Between your eyes, I can find my world.

di Charlotte_Insane
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.1 Who are you tonight? ***
Capitolo 2: *** 2.2 You should have known the price of evil… ***



Capitolo 1
*** 1.1 Who are you tonight? ***



Buonasera a tutti! Ebbene si, finalmente e sottolineo FINALMENTE sono tornata a scrivere ff per questo fandom, anzi, in particolare per la famiglia dei Deathbats.
Non esiste un motivo preciso per cui mi sono allontanata, ma sono contenta di essere qui e di RIPROPORRE una mia vecchia storia, cominciata il 22 maggio 2012, l’ho rivista, corretta, sistemata e sono pronta a proporla, non solo a voi ma ai membri di un altro fandom, Hetalia, che spero apprezzeranno la mia storia, soprattutto perchè, inconsapevolmente avevo cominciato una sorta di GerIta. (?)

 
Non mi pento di nulla! Buona lettura a tutti!
Charlotte_Insane.
 

 
Between your eyes, I can find my world.
 
 
  1. Who are you tonight?
 

 
Fissai quegli occhi così chiari e mi parve di trovarvi dentro ancora un barlume di speranza, forse non era ancora finita, o forse stavamo semplicemente per morire, ma c’era, comunque, qualcosa oltre quei suoi sguardi.
Un forte rumore di passi riecheggiò lungo tutto il lungo corridoio.
«Ecco, ora verranno ad ucciderci.»
lo sentì sospirare mentre chiudeva gli occhi, gli stessi che mi avevano dato un po’ di speranza solo due secondi prima, ora, invece, lasciavano percepire la sua rassegnazione, si era arreso e le sue parole lo confermavano. Lo avevo cacciato io in quella situazione e ora stavamo per morire, lo sapevo, lo sapevo benissimo eppure non ero riuscito a resistere al desiderio di farlo mio, di riuscire ad amarlo davvero, proprio come meritava.
Strinsi più forte i pugni e colpì il muro, non poteva davvero essere la fine di tutto, era così ingiusto...
Mentre i soldati si avvicinavano alla nostra cella ripensai a com’era cominciata tutta quella storia…
 

 
Anno 1942, quarto anno di guerra.

Il mio nome è Brian Elwin Haner Jr. e su questi campi di battaglia ci sono praticamente cresciuto, avevo 21 anni la prima volta che misi piede qui, ricordo tutto benissimo, come se fosse ieri, anche se sono passati già quattro anni, ma questa non è una storia di guerra, sto solo cercando di ricordare cosa successe in quella che pareva una sera come tante, quando vidi quel ragazzino avvicinarsi, non troppo alto, dai capelli scuri, ma con due immense iridi verdi, sembrava conservare ancora un po’ di innocenza nonostante avesse combattuto anche lui, era certo che avesse visto i suoi compagni cadere a terra, uno dopo l’altro, finché…
«Hey ciao!» Scossi la testa leggermente, a quanto pareva il ragazzino si era seduto accanto a me senza che io me ne rendessi conto.
«Ehm... ciao...» azzardai, mentre lui mi guardava sorridendo
«Sono Francesco Iero, piacere!»  mi disse porgendomi una mano, io la afferrai e lui me la strinse con decisione.
«Bri…Brian, Brian Elwin Haner Jr.» gli risposi un po’ sorpreso
«Però, che nome lungo!» commentò il ragazzo in italiano, ecco ero fottuto, io non capivo nemmeno una parola di quella stramaledetta lingua, dovevo inventarmi qualcosa e alla svelta, anche perché nel frattempo era calato un silenzio fin troppo imbarazzante, Francesco teneva lo sguardo basso, mentre si torturava le mani in grembo, mi guardai intorno cercando un modo per non passare per un ritardato.
«Schieße…» sospirai piano, ma purtroppo lui mi sentì ugualmente e mi rivolse uno sguardo interrogativo, che mi mise ancora più a disagio del silenzio.
«Va tutto bene?» mi domandò, ma questa volta in tedesco.
“Ma come quante cazzo di lingue parla questo ragazzino?!” pensai guardandolo stupito.
«Guarda che anche tu dovresti imparare l’italiano, amico…» mi rimproverò, ma il suo sguardo non mi lasciava capire se fosse serio o meno.
«No, non mi serve imparare la tua stupida lingua, siete voi che dovete imparare il tedesco.» risposi secco e con un tono più duro di quello che volevo.
«Questa è la cosa più stupida che io abbia mai sentito.» commentò cercando di sembrare serio, ma era chiaro che scherzasse, il lieve sorriso che gli increspava le labbra lo tradiva.
Mentre rimuginavo, lo vidi fermare una ragazza dai capelli scuri, anche lei italiana, pochi minuti dopo tornò da noi con due birre, me ne porse una sorridendo e l’altra la diede al ragazzo
«Grazie sorellina!» le disse in italiano scoccandole un leggero bacio sulla guancia
«Prego caro...» sorrise lei andandosene, guardando attentamente i due mi accorsi della somiglianza.
«Scusa se non vi ho presentati, ma ha parecchio lavoro stasera, vedi?!»  indicò i vari tavoli con un gesto della mano «Qui è più pieno del solito e voi tedeschi bevete davvero tanto…»
«Mi stai forse dando dell’ubriacone?!» gli chiesi con un tono che mi parve più minaccioso di quanto mi aspettassi, lui bevve un sorso di birra e prima di rispondere mi squadrò dalla testa hai piedi, come se avesse bisogno di riflettere parecchio su quella domanda.
«Mmh… no, non direi!» continuammo a parlare per tutta la sera, o per meglio dire, lui parlava ed io mi limitavo ad ascoltarlo, mi spiegò che odiava stare lì e che lo faceva solo per non deludere suo padre. Sua sorella, invece, si chiamava Diana, erano gemelli e non se l’era sentita di lasciarlo partire da solo, così lo aveva seguito, lavora li da qualche mese, in un locale vicino al quartier generale della città di Milano. Anche se, entrambi sapevano bene che presto i soldati avrebbero lasciato il fronte, erano rimasti fermi per qualche giorno e lunedì sarebbero ripartiti. Con l’aiuto dell’alcool anche io riuscì a raccontargli qualcosa di me, mi chiese di tutto, chi ero, da che parte della Germania venissi, pareva davvero interessato a saperne di più su di me, anche se quel suo modo ingenuo mi metteva ancora a disagio, non c’ero abituato.

Quando finimmo di parlare, mi resi conto che il posto era ormai quasi vuoto, doveva essersi fatto tardi, Diana si avvicinò al nostro tavolo, Francesco ci presentò velocemente, ma lei non pareva molto socievole, come invece mi era parso prima
«Francesco, io sono stanca, torno a casa con Valentina… Buonanotte!»
«No aspetta, vi riaccompagno io! Non voglio che andiate in giro da sole a quest’ora…» disse alzandosi in piedi, poi rivolse le sue attenzioni a me rivolgendomi un sorriso cordiale. «E’ stato un piacere Brian, ma ora devo andare, buonanotte!» mi sorrise un ultima volta, anche la ragazza fece lo stesso, li vidi allontanarsi insieme ad una terza ragazza, aspettai di vederli uscire prima di andarmene via.

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Capitolo 2
*** 2.2 You should have known the price of evil… ***



2.2 You should have known the price of evil…
 


Buio, non riuscì a percepire altro in quello che aveva tutta l’aria di essere un luogo dimenticato da Dio e dagli uomini, un pianoforte in sottofondo pareva suonare una qualche ninna nanna, a lui parvero unirsi dei violini, e poi un orchestra intera. Quella musica era bellissima, ma, talmente cupa da far venire la pelle d’oca…
Quello non pareva il fronte, ma solamente un luogo devastato dalle bombe piovute dal cielo, le stesse bombe che sganciavano i miei compagni notte e giorno.
Girai un po’ a vuoto, finché non inciampai in qualcosa, anzi in qualcuno. Mi alzai rapidamente, era un ragazzo, forse sui 20 anni circa, il suo volto era pallido ed incrostato di fango, fango che circondava tutto e di cui solo ora mi accorgevo.
Il ragazzo mosse un braccio leggermente, che fosse ancora vivo?! O quelle erano solamente le contrazioni di un cadavere?! Poi, il braccio del ragazzo si alzò, io tentai di indietreggiare, ma questi mi afferrò saldamente per la camicia, mi guardo con occhi vitrei e neri, quell’essere non poteva di certo essere umano.
«Perché mi fai questo Brian?»  mi domandò una prima volta, quasi in un sussurro, ma la seconda volta la sua voce morente parve diventare ancora più forte fino ad urlarmi, letteralmente, contro,  fu allora che mi lasciò, io caddi a terra, spaventato come non mai.
Trassi un respiro profondo e  mi alzai cauto, il ragazzo non c’era più, era sparito nel nulla. Allora, mi lasciai cadere nuovamente su quello che restava di un prato un tempo verde, solo fango ad imbrattare il mio viso, i miei capelli, i miei vestiti ed il mio corpo.
Chiusi gli occhi.
«CHI CAZZO CREDI DI ESSERE?!»  urlò qualcuno, e mi parve nuovamente quel ragazzo, mi alzai ma non lo vidi, poi un rumore di spari risuonò nell’aria e io caddi a terra..
 
« AHHH!-» mi svegliai nel cuore della notte soffocando appena un urlo di terrore, respirai profondamente per poi alzarmi, mi diressi verso una finestra infondo alla nostra camerata, dormivano tutti, tranne me. Mi affacciai, la cittadina dormiva oltre una collinetta a pochi chilometri dal fronte. Nulla di sospetto, niente bombe, niente aerei, niente soldati. Quella notte, sembrava che tutti stessere raccogliendo le forze, pronti a colpire nuovamente.
Una mano poggiata con delicatezza sulla mia spalla mi fece sussultare appena, ma quando mi voltai vidi solo Zachary, era un amico per me, lo avevo conosciuto al fronte e da allora c’era sempre stato.
«Insonnia?»  mi chiese poggiandosi con un braccio al davanzale della finestra
« Incubi...» gli risposi a testa bassa, me ne vergognavo profondamente ma lui non fece trasparire alcuna emozione, non lo faceva mai in certe situazioni, in quei momenti non pareva neppure lui.
«Che cosa hai sognato?»
« Un soldato morto che mi chiedeva perché lo avessi ucciso..»
« Lo avevi fatto davvero?» fu la sua unica domanda, lo sguardo serio che, però, non gli apparteneva, se non in quelle rare occasioni.
«No, cioè, almeno credo...»  lo vidi sospirare mentre si voltava verso di me
«Mai disturbare i morti, diceva mia nonna… » riflettei su quella frase tornando a letto, mi distesi sulla brandina ripensando a quel volto pallido che sapeva solo di morte. Chi era davvero?! E che cosa gli avevo fatto io?! Io non stavo disturbando alcun morto, Zachary si stava sbagliando. .
Troppe domande per uno stupidissimo sogno che magari non aveva neppure un vero significato. Mi era capitato di uccidere altri soldati, era.. normale… non potevo cominciare a pensarci ora o sarei crollato disonorando la mia famiglia e il mio Paese.
Quello era solo un sogno, che di sicuro non avrebbe cambiato nulla nella mia vita.
 
 
Giunse l’alba, ma non ero riuscito a dormire molto dopo il mio incubo. Zachary era nella brandina accanto alla mia, dormiva ancora, non era fatto per la vita militare.
Lui era italo-tedesco, i suoi genitori si trovavano in Svizzera, si erano rifugiati lì per evitare la guerra, ma il mio amico era stato convocato al fronte.
Una volta mi raccontò che non avrebbe mai dimenticato l’espressione di sua madre quando lo salutò la mattina in cui è partito. Sul suo volto c’era la rassegnazione di chi sapeva che quella era l’ultima volta in cui avrebbe visto suo figlio vivo.
Mia madre era diversa dalla sua, era per natura più fredda e severa, e allo stesso modo aveva educato me.
Mio padre, era morto combattendo nella Prima guerra mondiale e da quel momento tutto era cambiato.
Se mi trovavo lì era soprattutto per lui, per onorare la sua memoria ed il suo sacrificio.
Mi tornò in mente il ragazzo che avevo conosciuto la notte scorsa, Francesco, chissà come la sua famiglia avesse preso la sua partenza, anche sua sorella poteva essere in pericolo in quell’ambiente, io stesso avevo visto i miei compagni d’armi fare cose terribili, ma per gli italiani eravamo costretti a comportarci in un determinato modo, poiché erano nostri alleati.
Improvvisamente capì l’apprensione che Francesco aveva dimostrato nei confronti di sua sorella, nonostante l’apparenza, ero certo che fosse un ragazzo forte.
Chiunque riesca a conservare il sorriso, anche dopo essere passato attraverso l’inferno doveva essere una persona molto forte.
Ed io lo ero?! Ero sempre stato convinto che fosse così, ma adesso mi sentivo come se fossi solo un fantoccio nelle mani dei miei superiori, un uomo dal destino incerto, pronto a morire in battaglia per la sua Patria e per i suoi ideali, ideali che forse non erano così perfetti come avevo sempre creduto…

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