Il collezionista

di Atomic Chiken
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***
Capitolo 4: *** IV ***
Capitolo 5: *** V ***
Capitolo 6: *** VI ***
Capitolo 7: *** VII ***
Capitolo 8: *** VIII ***



Capitolo 1
*** I ***


Marie Anne uscì dal Rita's Cafè e si diresse verso il telefono a gettoni. Prima di comporre il numero guardò l'ora.
Dio, quasi le una di mattina
Con un sospiro cominciò a premere i tasti malridotti. Era tutto quasi a pezzi nella piccola cittadina dove si era fermata a fare una sosta. Ed anche la compagnia del minuscolo bar non era da meno. Con un brivido lungo la schiena squadrò di nascosto l'uomo seduto lungo il marciapiede poco lontano dal suo punto. Aveva l'aspetto trasandato, la barba di una settimana e le occhiaie peggio delle sue.
Dio, non chiudeva occhio da più di ventiquattro ore! S'immaginò distesa nel suo letto al caldo con un bel libro in mano, assieme al suo unico grande amore.
Una voce aspra e assonnata gracchiò dall'altra parte della cornetta riportandola alla realtà " Chi è? "
" Sono io, Marie " rispose quest'ultima
La voce si addolcì subito " Sia ringraziato il cielo Annie, finalmente ti sei fatta viva! Ti rendi conto di quanto tempo sia passato dall'ultima volta che ci siamo sentite? "
" Mamma, sono via solo da due giorni " disse Marie sorridendo. Era sicura che stesse facendo altrettanto anche sua madre.
" Lo so tesoro, lo so. Ma tu sai che due giorni senza di te sono come un'eternità, per me. E non ci dimentichiamo del piccolo diavolo che mi hai lasciato "
" Come sta Tessa? " domandò Marie pensando al volto stupendo di sua figlia. Non vedeva l'ora di stringerla di nuovo tra le braccia, assaporare quel profumo tipico dei bambini, tenere in mano i suoi riccioli biondi e soprattutto riempirla di baci fino a farsi schiaffeggiare
" Oh, abbiamo passato due giorni bellissimi. Mi ha insegnato a fare le treccine, ha detto che - " Mamma le fa così! " - " mentre lo diceva cercò di imitare la sua voce. Un attimo dopo stavano ridendo tutte e due come matte. Avevano un rapporto particolare, loro.
" Sente la tua mancanza solo quando deve andare a nanna, quella furbetta. A proposito, quando hai intenzione di tornare? Abbiamo una bella sorpresa per te! "
" Sono ferma in una stazione di servizio a Mainhill, dovrei essere a casa entro le sette del mattino. Non vedo l'ora di sapere cosa avete in serbo per me ". Un suono irritante squarciò l'aria. Il tempo limite della telefonata era agli sgoccioli.
" E' meglio che mi rimetta in viaggio. Dai un bacio al diavolo da parte mia, e dille che le voglio un mondo di bene ".
Non l'avrebbe più rivista.


Marie ripose la cornetta e si girò per tornare alla macchina, una Ford blu vecchia di un secolo. Stava per sbloccare la portiera quando sentì una voce roca alle proprie spalle. Si voltò e vide l'ultima cosa che avrebbe voluto in quel momento: L'uomo trasandato stava correndo verso di lei.
Mi ucciderà, mi ucciderà qui, in mezzo al nulla fu il suo primo pensiero.
Non tentò nemmeno di aprire la portiera o correre a gambe levate. Era paralizzata. Rimase immobile a guardare il suo assassino avvicinarsi ogni secondo che passava. L'uomo alzò la mano in aria e la puntò verso Marie. Quest'ultima si accovacciò a terra urlando come una forsennata. Rimase in quella posizione per quindici secondi interminabili.
Sono morta?
Lentamente liberò la testa dalle braccia e alzò lo sguardo. L'uomo era di fronte a lei e le stava porgendo qualcosa
 Confusa ed esitante la donna si alzò. Era forse una trappola?
" Le è caduto questo " la informò l'altro. Marie vide il proprio portafogli nelle mani sporche dell'uomo. Non sapeva se sentirsi sollevata o imbarazzata.
" G-grazie " balbettò prendendolo.
L'uomo alzò le spalle e in meno di un secondo tornò ad occupare il proprio posto sul marciapiede.
Marie continuò a fissarlo come se potesse alzarsi da un momento all'altro e ritornare all'attacco. Con la coda dell'occhio notò un piccolo gruppo di persone uscire dal bar
A quest'ora sarei già morta  
Senza esitare rientrò in macchina e diede gas. Si rilassò solamente quando raggiunse la strada. Fu allora che si lasciò andare in una risata isterica. Per un attimo aveva davvero creduto di morire, e invece? Il portafoglio!
" Mai tanto paranoica quanto mia madre " disse consolandosi.
Qualcosa la fece sobbalzare sul sedile. La donna sbattè la testa contro il tettuccio e lanciò un'imprecazione. Nella fretta si era scordata la cintura di sicurezza. Dopo un paio di metri l'auto si fermò completamente.
" Non adesso maledizione! " urlò sbattendo il pugno sul volante. Doveva aver bucato una gomma. Scese dalla macchina combattendo contro la tentazione di chiudersi dentro. Era tutto troppo buio e silenzioso.
Buio.
Dannazione, lo odiava. Si guardò intorno stringendosi nelle spalle. Cominciava anche a far freddo e lei indossava solo una misera camicia da lavoro.
Evitando di portare lo sguardo verso il campo di grano che la circondava, controllò una ad una le gomme.
Le si gelò il sangue. Erano tutte a terra.
" Cazzo ". Non aveva nemmeno una ruota da ricambio.
Cosa avrebbe fatto Rick in una situazione del genere?
Si sorprese di star pensando al suo ex. Perché si erano lasciati?
Era uno stronzo.
Giusto. Uno stronzo. Che ora avrebbe voluto avere accanto.
Scuotendo il capo guardò l'orologio da polso. Socchiuse le palpebre tentando di leggere attraverso l'oscurità
Le una e mezza. Buon Dio, aiutami
Con il cellulare morto in tasca, partì nella direzione da cui era venuta. Camminò a testa bassa, spaventata all'idea di guardare tra gli spiragli del grano. Sobbalzava ad ogni piccolo rumore, anche dei suoi stessi passi. Senza volerlo si rimise a pensare a Rick. Lo aveva amato, lo amava. E in cambio era stata tradita con la sua migliore amica. Se solo aves..
Cosa cavolo..
Era un ringhio, quello che aveva appena sentito?
Sei troppo paranoica
Subito ne sentì un altro, questa volta più vicino di quanto credesse. Si voltò pronta a ritrovarsi l'uomo davanti.
Non c'era nessuno.
Stai dando di matto
Un colpo improvviso alla testa la costrinse a mettersi in ginocchio. Colta alla sprovvista cominciò a tirare pugni all'aria, sperando di colpire qualcosa di solido. Si fermò quando si accorse del silenzio. Più penetrante di prima. Si rimise in piedi e girò la testa in tutte le direzioni.
" Chi è là?! " chiese sentendosi una stupida. Di certo, chiunque fosse stato, non le avrebbe risposto.
Ed invece lo sentì distintamente. Qualcosa.
Qualcosa che non poteva appartenere ad un essere umano.
In preda a puro terrore si mise a correre verso la macchina. Le sembrava un miraggio irraggiungibile.
Se solo fosse rimasta dentro..
Il ringhio si avvicinava sempre di più. Qualsiasi cosa fosse, era veloce. Si rese conto che era solo grazie all'istinto di sopravvivenza se riusciva a mantenersi in equilibrio. Il colpo alla testa stava cominciando ad avere l'effetto di un tranquillante.
Questa volta sentì il ringhio più vicino, forse a meno di due metri.
Devi correre più veloce maledizione
La macchina era lì. Davanti a lei. Ce l'aveva quasi fatta. Ancora un altro sforzo..
Inciampò nei suoi stessi piedi cadendo rovinosamente.
No!
Con la pancia a terra vide qualcosa di orrendo avvicinarsi velocemente.
No. Non poteva essere una persona. Non aveva nulla di umano. Era la cosa più disgustosa che avesse mai visto.
Perse i sensi, li riebbe.
Il respiro della cosa le alitò sulla pelle. La bocca sfiorò l'orecchio di Marie.
L'ultima parola che sentì prima di perdere conoscienza le fece accapponare la pelle.
" Mam-ma ".

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Capitolo 2
*** II ***


Alex Smith parcheggiò l'auto sul ciglio della strada. Prima di scendere si mise gli occhiali da sole. Non gliene fregava niente se fuori stava piovendo. Appena uscì venne investito dal chiasso circostante. Rimandò indietro la rabbia che gli ribolliva dentro e cercando di sembrare il più disinvolto possibile si avvicinò al nastro giallo che era stato posizionato qualche ora prima. Mostrò il distintivo all'imbecille che faceva da guardia e alzò il nastro per passare.
Si fermò a qualche passo dall'auto e la squadrò. Era vecchia e malmessa, un auto adatta ad una donna, insomma. Dopo averla guardata troppo a lungo si avvicinò ad un gruppo di uomini, tutti imbacuccati nelle loro giacche.
" Un bel modo per iniziare la giornata, vero? " esordì per rompere il ghiaccio. Nessuno sorrise.
" Lei è lo sceriffo Alex Smith, giusto? " gli chiese uno di loro bruscamente. Alex fece un cenno d'assenso, facendo finta di non notare la loro espressione di superiorità.
" Qualcuno mi fa un resoconto di quello che è stato scoperto? " domandò trattenendosi dal prenderli a calci nel didietro.
Non lo stavano nemmeno ascoltando. Era davvero troppo.
Seguì il loro sguardo e si voltò. Un uomo stava venendo verso di loro.
" Signor Smith? Sceriffo? ". L'altro gli porse la mano. Alex esitò un secondo.
" Dovrei conoscerla? " chiese togliendosi gli occhiali.
" Mi scusi. Sono Jonathan Pierce, dal distretto di Harlow ".
Che diavolo ci faceva lì il poliziotto di un'altra città?
" Non capisco... ".
Pierce gli fece cenno di raggiungerlo accanto all'auto. C'era davvero troppo casino e pochissimo spazio per camminare liberamente. Intorno alla strada erano stati messi dei cartelli di lavoro in corso. Un numero minimo di poliziotti stava di guardia, così da impedire ai più impavidi di ignorare l'avviso.
" Si chiederà perché io mi trovi qui "
" Più o meno " rispose Alex impaziente.
" Le hanno detto perché lei è qui? ".
" So che è scomparsa una donna ".
" Si chiamava Marie Anne, una donna graziosa di quasi trent'anni. Hanno rintracciato i suoi familiari, la madre e la figlia. L'ultima volta che la madre l'ha sentita è stato più o meno intorno alle una di mattina. Sarebbe dovuta essere di ritorno per le sette circa ".
Alex guardò l'orologio da polso. Era dispersa da nove ore.
" Chi ha trovato l'auto? "
" Un uomo, stava tornando dal lavoro. L'abbiamo interrogato ma non siamo riusciti a ricavarne niente ". Ci fu un attimo di silenzio, se il chiacchericcio continuo dei poliziotti lo si poteva definire tale.
" C'è dell'altro " riprese Pierce " Per fare la chiamata si era fermata ad una stazione di servizio. I presenti hanno dichiarato di averla vista in compagnia di un uomo ".
Alex agrottò le sopracciglia. Tanti passi avanti in così poco tempo?
" La descrizione ci ha portati ad interrogare un senzatetto. Non crediamo abbia a che fare con la scomparsa ".
Di nuovo al punto di partenza.
" Non mi ha ancora detto perché si trova qui " insistette Alex. Notò un brusco cambiamento nell'espressione dell'uomo. Sembrava sul punto di crollare.
" Ad Harlow sono già sparite cinque ragazze, tutte a breve distanza di tempo. Hanno tutte in comune il fatto di essere estremamente carine. Sono sicuro che sia la stessa persona ad effettuare i rapimenti. Aspetti, Alex, lasci che le mostri qualcosa. Capirà che non sto affermando cose campate per aria ".
Alex lo seguì all'interno del campo di grano. Il cuore aveva cominciato a battergli forte. Il sudore si confondeva con le goccie di pioggia.
" Si può sapere cosa avete trovato? ".
" Lo vedrà tra pochissimo. Si tenga forte ".
Sbucarono fuori. Non c'era nessuno oltre a loro due. Pierce lo portò in un punto dove le spighe erano tutte a terra. Neanche un trattore avrebbe potuto fare quel macello.
Jonathan Pierce gli indicò qualcosa. Sembrava una coperta. Alex si mise i guanti che teneva in tasca e la prese in mano.
Non era una coperta. Erano...Capelli?
" Santo Dio " fu ciò che riuscì a dire. Il sangue era ancora rapresso intorno ad alcuni. C'era addirittura un intero pezzo di pelle.
" Sono stati tirati via con la forza. A tutte le poverette. Crediamo che possa trattarsi di una sorta di messaggio ".
" O forse è solo un pazzo scatenato che non ha un cazzo da fare tutto il giorno ".
Alex lasciò cadere lo schifo. Il mondo stava divenendo uno schifo.
" Nessuna delle ragazze è stata ritrovata? " chiese dopo un attimo di silenzio.
" E' stata setacciata l'intera zona di Harlow, Mainhill e addirittura delle altre città confinanti. Nessuna traccia, nemmeno un'impronta. Questo pazzo che non ha un cazzo da fare sembra saperci fare ".
Nella testa di Alex volavano una miriade di teorie, nessuna delle quali lo convinceva. Avevano forse a che fare con un uomo brutto che nessuna donna voleva? Era forse qualcuno che provava odio nei loro confronti tanto da arrivare a strappare via i capelli? O era semplicemente uno psicopatico?
Alex venne riscosso dai propri pensieri quando udì un urlo provenire dalla strada. Istintivamente cominciò a correre, seguito a manetta da Pierce. Qualsiasi cosa stesse succedendo là fuori, era sicuro che non gli sarebbe piaciuto affatto.
Quando finalmente la raggiunse spalancò gli occhi.
" Che cazzo sta succedendo?! ".

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Capitolo 3
*** III ***


Alex aveva le chiappe raggrinzite a furia di stare fermo. Si mosse a disagio sulla sedia scomoda e provò a distrarsi studiando la sala in cui si trovava. Quanto tempo era passato da quando erano stati tutti convocati ad una riunione d'emergenza? Un'eternità, questo era sicuro. Subito dopo che era corso fuori dal campo con Pierce aveva visto i poliziotti che cercavano di fermare un intruso. Alex e Pierce erano intervenuti cercando di portarlo fuori dalla zona ma l'altro non aveva ceduto, continuando imperterrito ad avvicinarsi alla scena del crimine. A quel punto Alex non ci aveva più visto e il suo pugno era entrato in azione ancor prima che se ne rendesse conto. Aveva steso un uomo, davanti a tutti. Un nodo allo stomaco lo costrinse a cambiare posizione.
Per distrarsi squadrò i presenti. Erano seduti su un tavolone circolare, molto simile a quelli che si vedono nei film polizieschi. Alla sua destra, a poco meno di mezzo metro di distanza, era seduto un uomo basso e dalla barba folta. Portava gli occhiali e si guardava in giro con circospezione. Sembrava sulla cinquantina. La sinistra era invece occupata da un uomo abbastanza giovane, i capelli raccolti in una coda di cavallo.
La moda d'oggi fa proprio cagare
L'attenzione di Alex fu catturata dall'individuo seduto all'altro lato del tavolo. Era una donna molto giovane, forse sui trent'anni. In quella pessima giornata fu l'unica cosa bella che vide. Portava i capelli biondi raccolti in una piccola treccia, con indosso un abito formale. I loro sguardi s'incrociarono per un attimo, ma l'altra non sembrò fargli molto caso.
Lo sceriffo tornò sul pianeta terra quando la porta della sala si aprì. Sulla soglia apparve il sovrintendente della polizia di Harlow, Mason, seguito dal suo vice di cui ignorava il nome. Alla fine entrò anche la star del momento. Aveva lo sguardo perso nel vuoto, assomigliando ad un impedito. Alex dubitava che fosse il contrario. Ma doveva essere sincero, non poteva negare che fosse un uomo bello. Era alto, sul metro e ottanta, con dei capelli biondi che in un primo momento gli erano sembrati bianchi. Rimase in piedi di fronte ai presenti accanto al sovrintendente facendolo sembrare una formica, mentre il vice prese posto vicino alla donna. Tutta l'attenzione cadde sui due in piedi. Mason si schiarì la gola " Ci scusiamo per avervi fatto aspettare così tanto " disse imitando l'espressione di un uomo addolorato. Era pessimo nel ruolo d'attore.
" Ma credo che siate abbastanza intelligenti da capire la gravità della situazione, tanto grave da costringermi a convocare qui tutti voi ". Con tutti voi si riferiva ai poliziotti delle quattro città che erano stati chiamati al distretto di Harlow, tutte città dove il pazzo aveva agito.
" Siamo di fronte ad una lunga catena di rapimenti, forse omicidi, solo il tempo potrà dircelo. Ben dieci ragazze sono scomparse in meno di una settimana, cinque ad Harlow, una a Mainhill, due a Poundville e due a  New Ramynis. Dieci, signori " mostrò dieci dita e guardò uno ad uno i presenti " E, a parte dei capelli che non portano a nulla, non abbiamo uno straccio di niente. Questo rapitore è molto scaltro e furbo, ma noi dobbiamo esserlo più di lui, solo così potremo catturarlo. Dobbiamo dare giustizia alle famiglie delle povere vittime ". Alex notò che aveva detto vittime, non scomparse. Un vero ottimista.
Dopo aver fatto il quadro della situazione presentò il nuovo arrivato. L'ansia di Alex salì alle stelle.
" Prima di cominciare vi prego di tenere i pregiudizi per voi ". Aspettò qualche secondo prima di continuare
" Lui è il signor... "
"...Ilyas Pendergast " finì per lui lo strano individuo. Alex si pentì di averlo colpito, gli faceva venire i brividi. Con la coda dell'occhio notò che anche gli altri la pensavano come lui.
" Fa parte dell'Fbi... ". Non finì di pronunciare quelle parole che la sala si riempì di disapprovazioni. Mason cercò di calmare gli animi sbattendo la mano sul tavolo
" Signori, vi prego ". Piano piano la stanza tornò silenziosa.
" Capisco perfettamente come vi sentiate, ma la situazione ci sta sfuggendo di mano. Come avrete già dedotto questo pazzo colpirà ancora. Dobbiamo collaborare, se vogliamo arrivare da qualche parte. Tutti " incalzò notando espressioni ancora  infuriate. Alex era uno di loro. Non riusciva a mandare giù il fatto di avere tra i piedi quei pinguini. Soprattutto quel pinguino.
" Dovrete passare i vostri rapporti a me, ed io farò in modo che arrivino al signor Pendergast, in modo che tutta l'unità dell'Fbi possa partecipare alle indagini ". Fece una pausa di due secondi
" Al momento il signor Pendergast è qui da solo e verrà quindi affiancato da uno di voi ". All'improvviso la tensione salì alle stelle. Alex vide il tipo con la coda incrociare le dita.
O la va o la spacca
" Ho deciso di dare questo incarico allo sceriffo Alex Smith ". Alex impiegò un paio di secondi per ritornare in sè
" Cosa? " sbottò alzandosi in piedi.
" Per favore..."
" Per favore un corno! Non mi faccio affiancare da nessuno, capito?! ". Sul volto di Mason apparve un'espressione di sconcerto. Questa volta non recitava
" Alex Smith... ".
" Lavoro da solo e non sarà di certo un pinguino a cambiare il mio modo di fare! ".
 " Si sieda, Alex " proruppe all'improvviso una voce femminile. Alex si voltò sorpreso verso l'unica donna presente
" In questo momento abbiamo problemi ben più grossi di questo. La prego ".
Lentamente, lanciando un'occhiata furiosa a Mason, Alex tornò ad occupare il proprio posto. In tutto quel tempo il biondino non si era mosso di un millimetro.
" La ringrazio, signorina Harper. Preferirei chiudere qui la riunione, vi chiedo quindi di tornare al lavoro. Buona fortuna a tutti ".


 

_



La notte era calata a Mainhill. Un individuo uscì dal caldo della sua abitazione e s'immerse tra le raffiche del vento e la pioggia incessante, diretto verso un punto preciso. Continuò a guardarsi intorno furtivo per tutto il tragitto, attento a tenersi basso. Dopo un paio di minuti raggiunse la meta e vi si inoltrò sotto la guida di una torcia. Svoltò un paio di volte rivedendo la mappa mentale. Schiacciò qualcosa e da qualche parte si aprì un varco. Vi entrò silenzioso e quello si richiuse alle sue spalle. Avanzò nell'oscurità più completa, la torcia rimpiazzata da un oggetto appuntito. Da qualche parte si sentì una voce soffocata. L'individuo sorrise.
" Non farmi del male " implorava.
L'individuò raggiunse la fonte dei lamenti.
" Silenzio " ordinò. Era bellissima. Come tutte le altre.
La sgozzò con un unico taglio netto. Il sangue uscì a fiotti sporcando il pavimento. Il corpo smise di muoversi dopo un minuto. Senza smettere di sorridere la prese in braccio. Rimase a saggiare ogni istante di quel momento per un paio di minuti, prima di buttarla via con le altre.
Quella notte dormì benissimo.

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Capitolo 4
*** IV ***


Alex Smith aveva voglia di prendere a pugni qualcuno. Parte di quella sensazione era dovuta al fatto che con il caso fossero ad un punto morto, ma soprattutto a causa del pinguino. Non riusciva proprio ad accettare il fatto di dover lavorare con uno dell'Fbi, maledizione, non aveva mai avuto un partner!
Soprattutto un partner a cui avesse mollato un pungo in faccia. Il solo pensiero di vederlo un'altra volta gli fece venire la nausea. Si rigirò nel letto come un bambino, cercando di prendere sonno e allontanare quel pensiero. Il risultato invece fu un letto ancor più disfatto e dei crampi alle gambe. Alla fine si alzò e andò a  rifugiarsi sotto la doccia, sperando di lavar via tutti i problemi. Ed effettivamente, una volta uscito, si sentiva molto, molto meglio. S'infilò i boxer e mangiò dei cereali dal gusto terribile. Tutto quello che vendevano al Rita's Market era terribile, ed era terribile anche il fatto che fosse l'unico supermercato aperto in quella minuscola città. Aveva pianificato diverse volte di andarsene, ma non riusciva a vedere un futuro migliore dell'essere lo sceriffo della propria città. Aveva sognato di diventarlo fin da piccolo, e con molti sacrifici aveva raggiunto l'obbiettivo. Certo, non era bello farsi comandare a bacchetta dai poliziotti degli altri distretti, ma qui, a Mainhill, dove era nato e cresciuto, comandava lui. Fino a che Mason non gli aveva rifilato il biondino. Il pensiero lo colpì come un cazzotto nello stomaco. Mise la ciotola nel lavello e si vestì. Mentre passava davanti allo specchio della stanza si fermò a guardare il proprio riflesso. Non era niente male nemmeno lui, doveva ammetterlo. Il viso che s'incurvava dolcemente, i capelli castani che ricadevano ribelli sugli occhi grigi e il fisico su cui si notava un accenno di muscoli. Sì, non era niente male. E proprio allora, come il sole in una giornata di pioggia, gli tornò alla mente il volto della donna che aveva visto durante la riunione. Era carina. Anzi, era davvero carina, e non gli sarebbe dispiaciuto farci un pensierino. Fu così che ad Alex Smith tornò il buon umore. Non per molto, però.



Prima di tornare al lavoro, Alex decise di passare dal bar accanto a casa sua. Aveva proprio voglia di un bel caffè, ma la voglia gli morì dentro quando mise piede nel locale. Non lui, non adesso!
Il biondino era seduto ad un tavolo e lo fissava con uno sguardo troppo intenso. Tentando di sembrare indifferente, Alex raggiunse il bancone e ordinò quello per cui era venuto. Per tutto il tempo il biondino continuò a guardarlo. Cominciava a dargli sui nervi, ed ora, alla fin fine, non gli dispiaceva il fatto di averlo colpito.
Pagò e lasciò il bar con un sospiro di sollievo. Un gemito gli salì su per la gola quando lo vide in piedi accanto a sè. Quando diavolo era uscito?
"Cosa vuole da me?" riuscì a tirar fuori senza balbettare.
"Non voglio niente da lei. Voglio solo trovare il colpevole, e per farlo dobbiamo lavorare insieme".
"Come ha fatto a trovarmi?" chiese di nuovo Alex.
"E' lei che mi ha trovato, Alex. Io stavo solo iniziando la giornata con un buon caffè". Sì, gli dava proprio sui nervi.
"Se non le dispiace io dovrei andare nel mio ufficio. A lavorare". Stava per incamminarsi quando l'altro lo fermò.
"Che ne dice di iniziare a lavorare interrogando qualcuno?". Lo sceriffo stava per ribattere ma non ne ebbe il tempo.
"Andiamo nel suo ufficio, vediamo chi ha le carte giuste per essere sospettato e passiamo a trovarlo. Non le sembra il piano adatto per iniziare?".
"Sì. Certo" biasciò a fatica Alex. D'un tratto lo sguardo dell'altro s'indurì facendo venire i brividi allo sceriffo. Qualche passante curioso si girò verso i due.
"Capisco perfettamente di non starle simpatico, Alex. Ma non capisco come non possa mettere da parte questo inconveniente per il bene degli altri. Ci sono donne là fuori, che in questo esatto momento potrebbero essere in pericolo, mentre noi due battibecchiamo su un argomento superfluo. Riuscirà a mettere in secondo piano questo problema fino a che non diamo un volto al colpevole? Glielo chiedo in ginocchio, Alex". E con suo grande stupore, il biondino si inginocchiò di fronte ai suoi occhi. Rosso in volto, lo sceriffo pregò l'altro di rimettersi in piedi.
"La prego, c'è gente che guarda. D'accordo, farò del mio meglio, però adesso si alzi per favore". Finalmente il biondino tornò in piedi, l'espressione seria rimpiazzata da un sorriso.
"La ringrazio di cuore, Alex. Adesso porterebbe questo pinguino a fare un giro del suo ufficio?".



L'ufficio non era molto grande, ma Alex ne andava fiero. Era suo, e questo gli bastava come motivo. Fece sedere l'uomo e lo imitò un attimo dopo, all'altro lato del tavolo.
"Molto bello" disse il biondino studiando l'ufficio con circospezione. Stranamente, ad Alex parve un commento sincero. E, ad essere sincero lui con se stesso, quel nomignolo non gli piaceva più.
"Come ha detto che si chiama?" chiese.
"Ilyas Pendergast. Mi dia pure del tu, Alex". A quest' ultimo sembrava impossibile riuscire a dare del tu ad un uomo come quello. Ancora non capiva perché gli desse i brividi.
"Da dove viene? Non ha un accento di qui".
"Credo che queste siano domande rimandabili. Che mi dice dei possibili sospetti?". Alex avrebbe davvero voluto saperne di più su quell'uomo, ma con una nota di dispiacere iniziò ad elencare le persone.
"C'è Micheal Jhonson. E' l'ubriacone della città, e forse a furia di bere gli si è fuso il cervello. Poi ho trovato Daniel Wins, da quando la moglie lo ha lasciato ce l'ha a morte con tutte le donne del mondo. Il terzo sarebbe Howard Lincoln, l'uomo che abita sulla collina. E' un tipo molto ricco e schivo, lo si vede raramente in giro. Non so che motivo possa avere per fare questo, ma l'ho aggiunto comunque alla lista".
"Lo metta tra i primi da interrogare". Contrariato, Alex scrisse il nome.
"Ripeto che è un uomo ricco, Ilyas, sarà difficile chiedergli anche solo il nome. E' un cosidetto protetto, avendo un mucchio di soldi. Si è fatto dare l'immunita pagando centoni alla Willson, il giudice. E' una vera stronza, dico io, che più stronza non esiste". Ilyas sembrò non aver fatto caso alle sue parole, lo sguardo perso nel vuoto. Poi, così com'era diventato silenzioso, tornò a parlare.
"Continui così Alex, siamo sulla buona strada. Avverta dei sospettati anche il capitano Mason, ma le chiedo un favore". Alex ingoiò più saliva del dovuto.
"Tenga per sè Howard Lincoln. Come ha detto lei è un uomo ricco, e troppi poliziotti potrebbero dargli noia. Ci penseremo noi due ad interrogarlo, volente o dolente che si dimostrerà. E' d'accordo?".
Alex annuì convinto. Gli veniva difficile da ammettere, ma quel pinguino iniziava a piacergli.
"Bene. Adesso, se le dispiace, avrei un impegno e vorrei sbarazzarmene al più presto. Spero che continuerà su questa buona strada, sono sicuro che siamo molto più vicini al colpevole di quanto immaginiamo". Detto ciò si alzò abilmente dalla sedia e sparì dietro la porta, lasciando Alex immerso nel silenzio più assoluto.
 

-

 

Bube era triste. Molto triste. Si sentiva solo, ignorato da tutti. Quel postaccio buio non gli piaceva, gli faceva venire i brividi. Ma aveva il suo rifugio. Era un luogo immenso, immerso in una fitta nebbia, silenzioso. Molti lo trovavano un posto orrendo, ma a Bube piaceva. Era il luogo dove trovava pace, il luogo dove si sentiva bene per davvero.
Sua mamma non era d'accordo, e Bube era sicuro che fosse questo il motivo per cui lo abbandonasse tutte le volte. Gli mancava da morire, e all'improvviso si sentì ancor più triste e solo. Avrebbe potuto nascondersi nel suo rifugio, ma non questa volta. Doveva cercare la mamma, e subito.

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Capitolo 5
*** V ***


Janet McBeth si guardò in giro con circospezione. Aspettò ancora qualche secondo, poi si decise ad entrare nel locale. Era davvero grande, per una ragazza minuta come lei, e per un attimo le balzò in testa l'idea di tornare sui propri passi.
Studiò l'interno puzzolente e sporco, attirando non pochi sguardi. Era minuta sì, ma aveva anche un corpo mozzafiato e il viso, come diceva sua madre, angelico. Sentì qualche fischio e dei commenti intimidatori. La paura e l'insicurezza s'impossessarono di lei. Ripassò mentalmente il momento in cui era sgusciata fuori di casa di nascosto, a come il cuore avesse rischiato di saltarle fuori quando un amico di suo padre era arrivato a tanto così dal scoprirla. Ignorando la testa e l'istinto aveva continuato il tragitto, fino a raggiungere il bar più malvisto della città.
Non si sentiva per niente a suo agio in quel posto. Non era quel genere di ragazza. Dio, a ventiquattro anni era ancora vergine!
E adesso, forse, le cose stavano per cambiare. Quando andava a scuola veniva derisa da tutti, ricordava ancora i commenti disprezzanti delle altre ragazze, su come le dicessero aspramente di scopare, cominciando a ridere subito dopo.
Anche adesso le derisioni continuavano, e Janet era arrivata al limite della sopportazione. Non riusciva più a nascondere la tristezza che la mangiava dietro i falsi sorrisi che mostrava ai suoi genitori. No, non ce la faceva più.
Facendosi coraggio avanzò nel locale sotto gli sguardi ispettori di tutti gli uomini presenti. Strinse i pugni e iniziò a pregare sottovoce.
Fa che finisca in fretta
Finalmente lo vide. In fondo ad un tavolone mezzo distrutto c'era il ragazzo che si era offerto di farle il favore. Avanzò con il cuore a mille e la testa in subbuglio. Non riusciva ancora a credere che stesse per fare una cosa simile. Non era da lei!
"Finalmente ti sei fatta viva" le disse Jamie. Era carino, ma non era un motivo abbastanza convincente per Janet.
Torna a casa, bimba
Invece si sedette al bancone, facendosi piccola piccola e sperando così di attirare meno sguardi.
"Quando...Quando si comincia?" balbettò mangiandosi qualche lettera. Un sorriso perfido si stampò sul volto dell'altro, che per l'ennesima volta la squadrò da capo a piedi. Le era stato esplicitamente ordinato di mettersi qualcosa di appariscente, e così Janet aveva fatto, seppur contro tutta la buona volontà che la rodeva dentro.
"Meglio appartarsi, qui le voci girano e la gente guarda". Detto fatto la prese per il braccio, stringendolo con troppa forza. Janet tentò di dirgli di lasciarla quando una seconda mano fece la sua comparsa sull'altro braccio.
"Che cosa state facendo?! Lasciatemi andare!". Venne letterlamente trascinata fuori dal locale, senza che nessuno accorresse in suo aiuto. La portarono sul retro, all'aperto.
E poi Janet vide un terzo uomo spuntare dietro le loro spalle. Il respiro le venne a mancare mentre implorava con le lacrime agli occhi di lasciarla andare. In tutta risposta una mano le sfiorò il collo, per poi iniziare a scendere.
L'uomo ritirò la mano quando Jamie gli ordinò di fermarsi. Per un secondo Janet fu invasa da pura speranza.
"Dobbiamo portarla via, poi falle quel che ti pare". La ragazza sgranò gli occhi.
"Dove volete portarmi?!"
"Oh, lo vedrai presto".
Qualcosa di freddo e pungente venne a contatto con la tempia di Janet.
"Se sento anche un suono da quella bocca ti faccio saltare la testolina, capito? Adesso muoviti". Esitando, ancora incredula che tutto quello stesse succedendo per davvero, Janet obbedì. Aveva voglia di piangere, di mettersi a gridare e chiedere aiuto. Era stata una stupida ad avventurarsi in quel posto, ed ora ne stava pagando le conseguenze. Se lo meritava, ma non era giusto.
La fecero entrare in macchina. Jamie si sedette accanto a lei e senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi prese il suo volto tra le mani sudice. Sembrava il diavolo in persona.
"Giuro che non lo dirò a nessuno" lo supplicò Janet.
"Fammi andare, nessuno saprà niente, lo giuro...".
"Shh, lo sai che sei bellissima? ". La ragazza provò a liberarsi senza risultati.
"Ti divertirai un casino, vedrai. Finirà presto".
Il viaggio sembrò un'eternità, ma durò solo cinque minuti.
Il cuore di Janet prese a battere ancora più veloce. No. Doveva essere un incubo, poteva solo essere un brutto incubo. E allora perché tutto sembrava così reale?
La fecero uscire dall'auto spintonandola verso il campo di grano. Il silenzio regnava indisturbato, interroto solamente dalle continue risate dei tre uomini e le suppliche di Janet. Venne spinta in avanti, cadendo rovinosamente tra le spighe. Qualcuno le afferrò entrambe le braccia.
"Josh? Dove cazzo sei finito?". Come per magia, il tipo robusto fece la sua comparsa ai piedi di Janet.
Non perse tempo e iniziò a sfilarle i vestiti. Con il volto bagnato dalle lacrime Janet guardò verso Jamie. Fissava la scena con occhi divertiti, un sorriso perfido stampato sulla bocca.
E poi successe l'incredibile. In un primo momento Janet pensò di aver avuto un'allucinazione.
Qualcosa sbucò alle spalle del ragazzo e lo atterrò come fosse stato un pupazzo. L'urlo improvviso fece voltare anche gli altri due,  sorpresi e storditi quanto Janet. La ragazza notò con orrore che il ragazzo a terra non si muoveva più.
Poi riuscì a tornare con i piedi per terra. Doveva sfruttare quel momento di distrazione.
Con più forza di quanta credesse di avere, mollò un pugno prima a quello che la teneva, infine raggiunse l'altro con un calcio. Successe tutto in meno di tre secondi. Janet si alzò noncurante di avere indosso solo le mutandine e il reggiseno e iniziò a correre alla cieca, gridando aiuto come una forsennata. Non le passò minimamente in testa di entrare in macchina. Inciampò diverse volte procurandosi ferite lungo le gambe. Poi, proprio mentre iniziava a credere d'avercela fatta, qualcuno le afferrò un piede. La ragazza volò a terra con un gridolino. Voltò la testa preparandosi alla vista di uno dei rapitori.
Un urlo le morì in gola, cercò di strisciare via, scalciò in preda al terrore, chiuse gli occhi e li riaprì.
Era ancora lì, a fissarla. Janet provò a dare un volto a quella cosa ma non ci riuscì. Non c'era un volto, là sopra. Non c'era niente, davanti ai suoi occhi increduli. Non era una persona, quella cosa. Aveva mani, braccia, gambe.
Dov'era la faccia, allora?
All'improvviso la vista di Janet iniziò ad offuscarsi. Cercò con tutte le sue forze di rimanere sveglia, cercò di aggrapparsi a qualcosa per non volare nel buio, afferrò addirittura le braccia di quella cosa, braccia dure e fredde ma nel contempo morbide come quelle di un bambino.
E svenne.

 

-
 

Alex Smith era nervoso. Ancora più nervoso della volta in cui si era dichiarato alla sua vicina di banco alle elementari.
La vista di Ilyas lo rassicurò un po', ma non abbastanza da calmarlo. Non si capacitava proprio di come quell'uomo potesse essere così sicuro e calmo in un momento simile. Più volte Alex fu tentato di tornarsene in macchina, e stava per farlo quando la porta si aprì. Alex maledì il tempismo mostrando un sorriso cordiale e il distintivo all'individuo di fronte a lui, Howard Lincoln. Quest'ultimo non mosse un muscolo, invitandoli con sua sorpresa ad entrare. Alex seguì Ilyas, studiando l'interno con attenzione. Notò che lo stesso faceva Pendergast. Vennero guidati fino a quello che sembrava il soggiorno, una camera grande quanto una sala da ballo.
"Molto accogliente" furono le prime parole di Ilyas, pronunciate con una certa ammirazione. Anche Alex doveva ammetterlo, era ben arredato, seppur con un certo gusto per l'antico.
"Desiderate qualcosa da bere?" chiese Howard Lincoln. Ilyas scosse il capo.
"Grazie, ma non ne abbiamo bisogno". Ad Alex non sarebbe dispiaciuta una tazza di caffè, ma preferì non discutere.
Howard Lincoln prese posto sulla poltrona davanti ai due e incrociò le mani all'altezza del petto. Era un uomo davvero affascinante.
"Cosa posso fare per voi, dunque?". Fu Alex a rispondere.
"Vorremo porle delle domande".
"Che tipo di domande?".
"Riguardo..." lo sceriffo andò a cercare aiuto nello sguardo di Ilyas.
"Abbiamo fatto una lista di sospettati per l'omicidio di Marie Anne, ne avrà sicuramente sentito parlare, e lei fa parte della lista" rispose Pendergast.
"Ah sì? E in base a quali parametri sarei sospettato?".
"Vive in un luogo isolato dalla città, da solo, in un'abitazione enorme, non esce mai e nessuno sa quasi niente sul suo conto. Mi dica lei in base a quali parametri dovremmo sospettarla". La risata di Howard Lincoln squarciò l'aria.
"Molto divertente, mio caro...".
"Ilyas".
"Ilyas, un nome molto bizzarro, per l'epoca d'oggi. Proviene da una famiglia ricca, o mi sbaglio?".
"Che ne dice di dirmi qualcosa su di lei, signor Howard? Qualcosa sul suo passato, ad esempio".
"Non c'è niente d'importante da sapere, signori, nulla che abbia a che fare con quello che siete venuti a sapere. Perché non mi chiedete dov'ero mentre avveniva il misfatto, invece di far perdere tempo prezioso ad entrambi?".
"Allora mi dica dov'era, signor Howard". Un sorriso compiaciuto si stampò sulle labbra di Lincoln.
"Ad un importante riunione per la salvaguardia delle grotte di Mainhill, fuori città".
"Grotte?" chiese Ilyas inarcando le soppracciglia.
"Certamente, mio caro. Dovrebbe saperlo che sono il proprietario della meraviglia di questa cittadina. Aperta al pubblico, tra l'altro". Stranamente, Ilyas cambiò argomento.
"Chi è quella graziosa signora?" chiese indicando una fotografia appesa al muro.
"Mia moglie" rispose l'uomo con un improvviso cambiamento del tono di voce "e' morta in un incidente molti anni fa". Passarono dei minuti, prima che Ilyas ponesse un'altra domanda. Alex guardava la scena incuriosito.
"Avete avuto dei figli?".
"Uno" disse l'altro "all'epoca della morte della madre aveva solo dieci anni, povero bimbo. Adesso si è trasferito con la ragazza". Con sorpresa di Alex, Pendergast si alzò.
"Molto bene, signor Howard. La ringrazio per averci dedicato il suo prezioso tempo".
"Ce ne andiamo di già?" proruppe Alex alzandosi a sua volta, seguito da Howard Lincoln.
"Sarà pieno di impegni come lo sono io e non vorrei disturbarla troppo". Howard annuì.
"E' stato un piacere. Spero di rivederla Ilyas, magari per una chiaccherata più amichevole".


-

 
 
Howard Lincoln chiuse la porta e attese la partenza degli ospiti. Una volta che il suono del motore fu abbastanza lontano, tornò nel soggiorno e si sedette sulla poltrona. Rimase in quella posizione per un'ora intera a meditare. C'era qualcosa che non quadrava in quell'uomo bizzarro di nome Ilyas, qualcosa che gli incuteva un timore primordiale.
Per la prima volta in vita sua, immerso nel silenzio racchiuso tra quelle mura, Howard Lincoln tremò di paura.

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Capitolo 6
*** VI ***


Alex portò alle labbra la tazza colma di caffè bollente. Studiò Ilyas, seduto di fronte a lui, e distolse subito lo sguardo quando gli occhi dell'altro toccarono i suoi. Rimasero in silenzio per un po', disturbati solamente dal brusio circostante. Dopo essere usciti dall'abitazione di Howard Lincoln, Alex aveva proposto di tornare al bar per fare colazione. Aveva fame, ma era più curioso di sapere cosa avesse costretto il collega ad abbandonare l'interrogazione così in fretta. Finì di bere e si decise a chiederglielo.
"Perché ce ne siamo andati di punto in bianco?" domandò tutto d'un fiato. Ilyas continuò a fissare un punto impreciso dietro le spalle di Alex.
"Voglio dire" continuò Smith "c'è un motivo particolare?".
Finalmente l'altro tornò in vita, ma invece di rispondere si alzò, intimando Alex a seguirlo. Raggiunsero un uomo che discuteva animatamente con un altro, per cui nessuno fece caso ai due nuovi arrivati.
"Ti dico io chi è la puttana, testa di cazzo!" stava urlando l'uomo. Aveva i capelli grigi spenti, un volto segnato dalle rughe e un'espressione disperata, tutto in contrasto con la corporatura robusta. Il tizio a cui si stava rivolgendo emise una risata fragorosa. Aveva il tipico aspetto di chi passa le giornate tra alcol e fumo. "Che mi castrassero pure se sto mentendo. Non te lo aspettavi eh, paparino?". D'un tratto la testa del tizio volò all'indietro. L'uomo gli saltò addosso e ci mancò poco che gli ficcasse nell'occhio un coccio di vetro. Il barista e altri presenti, Alex compreso, lo tirarono via con molta fatica. Sembrava un toro infuriato pronto ad incornare la propria preda.
Intontito, quello a terra si rialzò ricomponendosi. "Stronzo di merda! Te la farò pagare, lo giuro su mia madre!". Detto fatto fece per uscire quando Ilyas gli si parò davanti. Il cuore di Alex ebbe un sussulto. Cosa pensava di fare, Pendergast, contro quell'omone?
"Levati dalle palle" fece il tipo con arroganza, ma quest'ultima si dissolse quando notò l'espressione dell'uomo in nero.
"Cosa diavolo vuoi?" sbottò poi, visibilmente seccato ma nel contempo sulla difensiva.
"Potrei metterla in galera per possesso illecito di droga, come potrei mandare lei in prigione per aggressione in pubblico" si rivolse Ilyas ai due con tono fermo. Tutte le teste erano puntate su di lui.
"Almeno che qualcuno non mi esponga il motivo di questo battibecco". L'espressione dell'accusato divenne improvvisamente spaventata.
"Ehi, amico, vacci piano. Questo qui voleva sapere dove diavolo fosse finita sua figlia e io gli ho detto che l'ho vista in un Night Club, che cazzo di colpa ne ho io se sua figlia è una puttana?". Qualcuno dovette tenere fermo il padre perché non gli saltasse di nuovo addosso. Ilyas guardò in direzione di Alex. Quest'ultimo afferrò il messaggio.
"Signori, vi prego di seguirmi in centrale".



Ora che si trovavano nell'ufficio di Alex, gli animi si erano calmati. Il tipo della droga disse di chiamarsi Fenton, il padre invece Malcom. Ilyas rimase in piedi vicino ad Alex facendolo sentire non poco a disagio. Notò che anche gli altri si muovevano freneticamente sulla sedia.
"Perché adesso non parte dall'inizio?" propose Pendergast a Malcom. Prima di cominciare, l'uomo prese un gran respiro, come se anche solo parlare gli procurasse un dolore terribile.
"Mia figlia, Janet, è scomparsa. Stamattina mi sono svegliato e non l'ho trovata nel suo letto, ho pensato che fosse uscita a fare una passeggiata- qualche volta le vengono queste voglie-ma dopo un po' io e mia moglie ci siamo convinti che non si trattasse di una semplice passeggiata mattutina. Non volendo andare dalla polizia mi sono messo a chiedere in giro se l'avessero vista, e poi è arrivato lui..." guardò sprezzante Fenton "a dirmi che Janet ieri notte si trovava in un Night Club. Mia figlia non ha mai fatto nulla del genere, glielo posso giurare su quello che vuole". Per tutto il tempo il sorriso di Fenton non si fece pregare.
"Già, tutti i padri non ci credono fino a che non lo vengono a sapere" commentò quasi ridendo. Ad Alex venne voglia di finire il lavoro iniziato nel bar.
"Qual è la sua versione dei fatti, invece?" domandò Ilyas a Fenton ignorando la sua battuta sarcastica.
"Ero lì con un paio di amici a bere qualche drink quando è spuntata questa ragazza. Ha attirato molta attenzione con quelle due angurie davan...Cioè, era molto carina e lo hanno notato in molti. Sembrava spaventata, voglio dire, sembrava la sua prima volta in un posto simile. Poi si è messa a camminare verso un tipo. Si è seduta accanto a quello per quasi un minuto, poi si sono alzati ed è stata trascinata fuori da lui e un altro". Sulle ultime parole gli occhi del padre quasi non saltarono fuori dalle orbite. Lo stesso Alex rimase sbalordito. L'unico a non muovere un muscolo fu Ilyas.
"E lei non ha fatto niente per impedirlo?" chiese.
"Amico, cosa vuoi che facessi? Queste cose sono all'ordine del giorno in posti simili, e aiutare una donna in pericolo? No amico, mi farei soltanto sparare, e onestamente preferisco di gran lunga vivere col senso di colpa".
"Verme schifoso" disse Malcom, ricevendo il consenso silenzioso di Alex. Era un verme schifoso di quelli peggiori.
"Ha visto in volto chi l'ha portata via?". Fenton scosse il capo. Non ci volle un detective per capire che stesse mentendo spudoratamente.
"Ne è davvero sicuro, Fenton?" chiese di nuovo Ilyas avvicinandosi all'uomo. Fenton indiettreggiò con la sedia.
"Sì che ne sono sicuro cazzo, perché non mi lasciate andare?!". Pendergast gli fu addosso in un attimo e Alex sussultò sulla sedia.
"Mi guardi negli occhi e mi dica che non li ha visti in faccia".
"Sta calmo amico...maledizione, sì...forse qualcosa l'ho visto, c'erano Josh Minerva e Jamie Williams, due teste di cazzo che mi faranno fuori se vengono a sapere che sono stato io a spifferare tutto!". Ilyas si allontanò da Fenton ritornando accanto ad Alex.
"Non c'è alcun bisogno che si preoccupi. Sceriffo? Faccia accomodare il nostro amico in gattabuia".



Josh Minerva buttò l'ultimo paio di pantaloni nella borsa e corse in bagno a liberare la vescica. Aveva intenzione di sparire il più presto possibile, prima che qualcuno venisse a cercarlo. Sapeva fin dall'inizio che sarebbe andata a finire male. Con quel Jamie era sempre così, ma aveva comunque voluto rischiare. Tanto meglio, voleva andare via da quella città del cazzo da molto, e adesso aveva un motivo in più per farlo. Anche Drew Sanders, l'altro "complice" aveva intenzione di filarsela, e sicuramente avrebbe fatto lo stesso Jamie, se non fosse stato ucciso da...Cosa? Sicuramente un animale che viveva nel grano, non poteva essere altrimenti. Eppure, mai in vita sua aveva provato tanta paura quanto la vista di quell'animale. Era riuscito a scappare per un pelo assieme a Drew, e adesso stava per scappare anche da quel postaccio. Prese la borsa e il suo fidato pacchetto di Marlboro e si diresse verso la porta, quindi verso la macchina. Non appena mise piede fuori notò qualcosa di diverso. C'era un auto della polizia parcheggiata esattamente davanti a casa sua.
Merda
Lasciando cadere la borsa iniziò a correre come un matto verso il proprio veicolo.
"Fermo!" gli gridò qualcuno alle sue spalle.
Contaci pensò sorridendo Josh. Riuscì ad entrare in macchina e ad accendere il motore, dopodiché diede gas.
"Arrivederci, cazzoni!" furono le sue ultime parole, accompagnate con un bel dito medio, prima di scampare alla polizia.
E fu in questo modo che Josh Minerva si portò tra le braccia della morte.



Minerva diede ancora più gas quando intravide nello specchietto retrovisore l'auto della polizia avvicinarsi.
"Maledetti " bisbigliò tra sè. Aumentò la velocità al massimo e prese la svolta per l'uscita da Mainhill. Avrebbe dovuto superare tutto il campo di grano, prima di arrivare al confine con l'altra città, e con la macchina da due soldi che si ritrovava sarebbe stata un'impresa impossibile riuscire a farcela. Come dimostrazione vide gli altri avvicinarsi pericolosamente. All'improvviso Minerva virò a destra, andando a finire nel campo infinito. Aspettò che l'auto si fermasse da sola a causa delle spesse spighe, dopodiché saltò fuori e partì come un razzo nella sua corsa. Zigzagava a destra e sinistra sperando di confondere gli inseguitori.
"Josh! Fermati se non vuoi incasinare la tua situazione ancor di più!". Accelerò fino all'ultimo. Non si sarebbe fatto prendere così facilmente. Con suo grande sollievo notò che li aveva quasi seminati. Due bastardi contro una fava!
A suo favore inoltre c'erano le spighe alte un metro più di lui. Continuò a correre per altri dieci minuti e quando decise che fosse abbastanza, si fermò. Rimase immobile ad ascoltare.
Niente passi, niente poliziotti. Solo allora tirò un sospiro di sollievo, ma non durò molto, quando si rese conto di un fatto spigoloso. Non sapeva nemmeno dove si trovava, come avrebbe fatto ad uscire?
"Poliziotti di merda". Ritornò in piedi e si girò nella direzione da cui era venuto. O era forse alla sua destra, l'uscita? Dannazione!
Con un groppo alla gola avanzò alla cieca, sperando d'aver azzeccato. Ovunque girasse lo sguardo vedeva solo il giallo morto delle spighe di grano, e dopo quindici minuti di cammino iniziò ad irritarsi.
"Cazzo". Si fermò di nuovo, forse per la ventesima volta, e rimase ad ascoltare. Da quando era partito aveva avuto la continua sensazione di essere seguito. E proprio allora, immerso nel silenzio, sentì dei passi pesanti alle sue spalle fermarsi.
"Chi cazzo è?!". Minerva si voltò in tutte le direzioni spezzando numerose spighe. Non c'era anima viva.
"Se sono quegli stronzi in divisa, giuro che li ammazzo". Riprese il cammino più nervoso che mai, forse anche un po' spaventato. Aguzzò le orecchie catturando il rumore di passi alle sue spalle. Qualcuno lo stava seguendo, maledizione. Ignorando lo stimolo di correre nella direzione da cui provenivano, continuò ad andare avanti. E poi, quando meno qualcuno se lo sarebbe aspettato, si voltò pronto a cogliere in fallo il pedinatore.
Non c'era maledettamente nessuno, dietro di lui.
Accumulando aria nei polmoni e tentando di calmarsi, riprese a camminare. E poi iniziò a correre. Come si aspettava, il suono dietro di lui s'intensificò. Chiunque gli stesse alle calcagna aveva seguito il suo esempio.
"Fottiti!" urlò Josh al nulla, e sentì un dolore terribile investirlo per tutto il corpo. Udì qualche osso spezzarsi e una mano ruotare troppo. Un ronzio insopportabile si fece strada nella sua testa mentre un rivolo di sangue toccava terra. Non vide niente oltre al buio più totale, ma sentì un ringhio gutturale che per poco non gli distrusse i timpani. Aveva la sensazione di star venendo schiacciato vivo, non riusciva più nemmeno a respirare. Josh Minerva provò ad aprire gli occhi e ci riuscì. Si ritrovò faccia a faccia con la cosa più spaventosa che un omone grande e grosso come lui potesse vedere. Non gli ricordava nessun animale e nè tanto meno una persona. Sembrava quasi un alieno. Un mostro disgustoso uscito dai peggiori film dell'orrore. Un mostro che affondò le mani negli occhi di Josh, scavando in fondo, fino a toccare il cervello molliccio, lasciando il sangue caldo colare lungo le dita screpolate. Aspettò dei secondi, poi alzò il corpo inerme e si dileguò nel silenzio più assoluto.

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Capitolo 7
*** VII ***


Alex Smith sbucò sulla strada con un salto, tirò quindi un sospiro di sollievo. I suoi occhi impiegarono qualche secondo prima di tornare a vedere decentemente. Tutto quel giallo gli aveva dato alla testa. Qualche istante dopo lo raggiunse anche il collega.
"Per trovarlo servirebbe un elicottero, scommetto che quando e se arriverà quel bastardo sarà già scappato". Ilyas annuì.
"Eravamo costretti a tornare indietro, Alex, altrimenti non saremmo riusciti a trovare la strada del ritorno". Pendergast aveva ragione. In così tanti anni passati a Mainhill, Alex non aveva ancora capito dove sbucasse quel campo, o se avesse veramente una fine. Si fermò in piedi accanto alla propria auto.
"Chiamo i rinforzi?" chiese guardando all'interno della vettura. Ilyas scosse il capo.
"E' inutile. I suoi colleghi hanno tante probabilità quanto le nostre di perdersi là dentro".
"E allora cosa facciamo? Non possiamo starcene con le mani in mano a fare niente".
"Ha saputo di Jamie?" domandò Ilyas.
"E' scappato. Non si trova da nessuna parte, non lo hanno visto nemmeno al confine. Puff, finito nel nulla". Passò un intero minuto di silenzio. Alla fine Ilyas ruppe il ghiaccio.
"Torniamo in centrale e mandiamo qualcuno a prendere l'auto di Minerva. Devo fare un paio di telefonate che ci aiuteranno a smuovere la situazione".


Alex aspettava con pazienza seduto nel salone della centrale. Non c'erano molte persone, era un luogo piccolo come la città in cui era stato costruito. Jordan Sullivan, l'ultimo arrivato, gli venne incontro con una tazza fumante di caffè.
"Spero che vada bene" disse titubante. Era un ragazzetto giovane, i vent'anni passati da poco. Per un attimo gli tornò alla mente il proprio primo giorno in divisa. Fremeva dalla voglia di entrare in azione, ma lo avevano tenuto rinchiuso in quella tana per mesi, prima che gli venisse dato un incarico decente. Erano stati giorni difficili, quelli, ma l'amore per il proprio lavoro lo aveva portato fino in fondo. Prese la tazza e accennò un sorriso alla matricola. Il ragazzo girò sui tacchi quasi scoppiando dalla felicità. Aveva sicuramente sentito volare i commenti che definivano Alex uno stronzo senz'anima, uno che trattava i colleghi di lavoro come la merda sotto la suola della propria scarpa.
Beh, avevano pienamente ragione.
Bevendo un sorso pensò alla riunione del giorno seguente. Mason li aveva chiamati di nuovo per fare il punto della situazione, non che ci fossero svolte strabilianti di cui informare gli altri. Alex non aveva la minima voglia di andarci, se non fosse stato per la poliziotta davvero carina. Sentì qualcosa muoversi nello stomaco. No, non erano le farfalle. Si alzò dalla sedia e fece una scappatina in bagno. Quando tornò trovò Ilyas davanti alla porta del suo ufficio.
"Possiamo parlare in privato?". Alex lo raggiunse in un attimo, chiudendo la porta alle proprie spalle.
Si sedettero entrambi, l'uno di fronte all'altro.
"Sono passati quattro giorni da quando è avvenuta la prima sparizione qui a Mainhill. Ne è avvenuta un'altra solo due giorni dopo, ovvero quella della figlia del signor Malcom. Presubilmente Josh Minerva e Jamie Williams hanno trascinato via dal club la povera ragazza, portandola poi chissà dove. Le due sparizioni non hanno nulla in comune, se non il fatto che le ragazze fossero di estrema bellezza". Alex inarcò le sopracciglia.
"Dove vuole andare a parare, Ilyas?". Quest'ultimo, invece di rispondere, tirò fuori dalla tasca della giacca nera dei fogli, porgendoli ad Alex. Confuso, Smith li prese. Scoprì quindi che erano delle foto stampate.
Mostravano tutte un'unica scena da angolazioni diverse. Seppur le immagini fossero sfuocate, Alex riuscì a carpire l'essenziale. Una piccola e stretta via intasata da bidoni dell'immondizia. Quello che lo colpì come un pugno nello stomaco, però, fu la figura di una ragazza stesa a terra, circondata da tre uomini. Riconobbe distintamente il volto di Minerva e l'odio che provava nei suoi confronti tramutò in qualcosa di più profondo. Non si accorse nemmeno di aver stretto la fotografia fino a stropicciare il foglio.
Alzò lo sguardo verso Ilyas, il quale non aveva smesso per un istante di osservarlo.
"Quindi c'erano tre bastardi?" chiese scioccato.
"Esattamente. Josh Minerva, Jamie Williams e Drew Sanders. I miei colleghi hanno gentilmente fatto una ricerca, scoprendo così che Drew Sanders ha tentato di scappare ma è stato fermato all'aereoporto di New Ramynis. Lo tengono lì per possesso di droga, e noi dobbiamo raggiungerlo prima che venga trasferito altrove".


Fu quasi una corsa contro il tempo. Raggiunsero l'aereoporto proprio mentre Sanders veniva scortato da un paio di poliziotti verso l'uscita. Ilyas mostrò il distintivo facendo ingoiare parole sprezzanti a uno di loro.
"Ilyas Pendergast, Fbi. Sono qui con il mio collega Alex Smith. Prima che portiate via il signor Sanders vorremmo fargli delle domande".
"A che proposito?" braitò un poliziotto dalla faccia curva. Aveva una vena grossa quanto una corda che gli pulsava sulla tempia. Sembrava incazzato come un toro, quello.
"Drew Sanders è indagato per rapimento e possesso di droga. Mi servono solo cinque minuti".
"Non ho rapito nessuno!" gridò Sanders cercando di fuggire dalla presa salda dei poliziotti.
"Ci è stato ordinato di portare via Sanders, e io non intendo smuovermi. La prego di lasciarci passare".
Alex stava per intervenire quando una mano si posò sul suo braccio.
"Signor Morgan" esordì Ilyas leggendo il nome del tipo sulla targhetta che portava al petto "sono sicuro che adesso si mostrerà più cordiale e disponibile. Se entro dieci secondi io e il mio collega non ci troveremo nella stanza degli interrogatori con il signor Sanders, il suo bel posto di lavoro a New Ramynis rimarrà un lontano ricordo. I miei cari amici sono già sul posto, pronti ad andare dal suo capo e informarlo del suo "lavoretto" che ha fatto ieri sera con l'aiuto dei suoi colleghi. Inoltre, le verrà imputato anche il fatto d'aver resistito ad un pubblico ufficiale e intralciato le indagini di un caso davvero delicato. Devo solo tirare fuori il telefono e digitare un numero. E' sicuro di non volermi concedere cinque minuti?".
Alex non potè non sorridere mentre venivano scortati fino alla stanza degli interrogatori.


Drew Sanders guardava imbestialito verso i due. Sembrava un cane rabbioso pronto a mordere.
"Non ho fatto un cazzo" disse subito in propria difesa.
"Ne dubito" ribattè Alex puntandogli davanti al naso le prove "sei ritratto in tutta la tua bellezza accanto a Janet, la ragazza scomparsa. Dove cazzo l'avete portata, tu e gli altri due?!". Drew rimase in silenzio.
"Rispondimi, stronzo, o ti faccio a pezzi".
"Non ho fatto un cazzo, non dico altro". Smith sbattè il pugno sul tavolo. Aveva davvero voglia di fare a pezzi quel cane.
"Ha poche opzioni" Ilyas prese le redini "Se ci aiuta a ritrovare la ragazza, la pena scenderà a dieci anni. Se decide di fare la bella statuina, passerà trent'anni senza la luce del sole". Il pomo d'adamo di Drew andò su e giù lentamente, quasi stesse soppesando le parole appena pronunciate.
"Va bene maledizione. Cosa cazzo volete sapere?".
"Dove si trova la ragazza?".
"Non lo so".
"Tenga in mente quello che le ho detto, Drew" insistette Ilyas. Sanders portò le mani al cielo.
"E' la pura verità, sant'iddio. Non lo so dove l'ha portata".
"Chi?" chiese Alex trattenendosi dal saltargli addosso.
"Il mostro. Ci ha attaccati al campo. Ha ucciso Jamie...Quella cosa ha ucciso Jamie, e avrebbe fatto lo stesso con me se non fossi scappato!" iniziò ad urlare prendendosi la testa tra le mani.
"Era un mostro, un fottutissimo mostro. L'ha presa e l'ha portata via, maledizione, io non ho fatto niente! E' stato lui, è stata quella bestia!".

 

-
 

Janet aprì gli occhi. Sbattè le palpebre più volte, le strofinò sperando di attenuare la luce accecante. E poi arrivò il buio. Per dei secondi terribili pensò di essere diventata cieca. Quando, girandosi verso destra, vide una lanterna accesa, tirò un sospiro di sollievo. Dove si trovava? Era morta?
Provò a mettersi in piedi ma ritornò col sedere per terra quando un dolore allucinante percorse le gambe fino a raggiungere la testa. Si toccò e quasi non gridò per la sorpresa. Continuò a tastarsi fino a che le mani non divennero appiccicose. Titubante, strisciò verso il punto in cui c'era luce e osservò le dita. Fu solo per miracolo, se non svenne di nuovo alla vista del sangue. Tanto sangue. Portò le mani al volto e lo scoprì pieno di liquido. Cosa diavolo era successo?!
In preda a dolori terribili studiò il luogo in cui si trovava. La luce non illuminava granché, ma sembrava una stanza abbastanza grande. Janet non era nemmeno sicura che fosse una stanza. In realtà, non era sicura di niente. Come aveva fatto a finire da casa sua in quel posto buio? Lentamente, i pezzi iniziarono a ricomporsi. Era stata portata al campo di grano, Jamie era morto...E quella cosa l'aveva presa. Era svenuta, e poi?
E poi si era risvegliata lì. Per quanto era rimasta priva di sensi? I suoi la stavano cercando? C'era la polizia, sulle sue traccie? Una lacrima calda come il fuoco le scivolò lungo la guancia. E poi Janet iniziò a singhiozzare. Avrebbe voluto essere a casa, tra le braccia della madre, a riempirsi le narici col suo dolce profumo e farsi coccolare come una bambina. Tutti i pensieri svanirono quando un tonfo la fece rinvenire. Istintivamente circondò le ginocchia con le braccia e fece sprofondare il volto tra esse. Non voleva vedere niente, non voleva sentire niente.
E invece qualcosa successe. La stanza si riempì improvvisamente di un odore pungente. Janet dovette usare tutte le sue forze per non mettersi a vomitare. Percepì la presenza di qualcun'altro, lì, con lei. Sentì dei passi pesanti girare in tondo. Verso il suo punto.
L'odore divenne insopportabile. Come se la sua fonte si trovasse dinnanzi a Janet. Qualcosa la toccò. La ragazza ingoiò un urlo.
"Lasciami stare" pregò sottovoce senza osar alzare lo sguardo. Non voleva rivedere quel volto mostruoso.
Un'ondata d'aria gelida le colpì il collo. Quella cosa le stava alitando sul collo!
"Ti prego" balbettò Janet. Non aveva mai provato tanto terrore in vita sua. D'un tratto le sue braccia vennero alzate con convinzione e la ragazza fu costretta ad aprire gli occhi.
"Cia-o" brontolò la cosa. Nemmeno l'oscurità in cui si trovavano riusciva a nascondere quel volto deforme. Sembrava una pezzo di roccia su cui avessero tentato di scolpire una faccia umana.
"Cia-o cia-o" ripetè di nuovo incalzando la voce.
"C-ciao" sputacchiò pietrificata Janet. Non si accorse di avere le coscie bagnate dalla propria pipì.
La cosa si alzò improvvisamente e iniziò a saltellare. Sembrava quasi che stesse ridendo. Janet provò a strisciare via sfruttando il momento di distrazione. Non percorse neanche dieci centimetri.
"N-o" sillabò la cosa guardandola negli occhi. Erano spaventosi, così come la voce.
"Fammi andare, ti prego...".
"As-pet-ta" componeva le parole con molta difficoltà. Janet aspettò, sperando di non vederlo tornare mai più. E invece, dopo due minuti, apparve di nuovo. La ragazza sgranò gli occhi quando vide che trascinava qualcosa. Raggiunse la luce con una lentezza esasperante, e permise a Janet di vedere più a fondo. Il cuore tentò di strapparle il petto e uscire, il respiro si strozzò in un gemito.
Era un uomo. C'era del liquido biancastro che colava dalle orbite vuote, il sangue rappresso sul volto ed una pallina che penzolava a destra e sinistra, attaccata alla cavità oculare solamente grazie a un sottile filo. Davanti allo sguardo incredulo di Janet, la cosa prese tra le mani l'occhio penzolante e iniziò a tirarlo verso l'esterno. Il liquido biancastro volò fuori come un fiume in piena e l'occhio si staccò con un suono simile ad una bottiglia che viene stappata. Lo strinse tra le mani e infine lo mostrò a Janet con una specie di sorriso.
"Gio-ca-re pal-la". Janet guardò prima l'uno e poi l'altro. Era tutto un semplice incubo, lei si trovava nel suo letto e presto si sarebbe svegliata.
Iniziò ad urlare.

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Capitolo 8
*** VIII ***


Alex Smith portò la tazza bollente alle labbra e bevve un lungo sorso. La riappoggiò sul tavolino e prese un gran respiro, poi si decise a guardarsi intorno. Non si sorprese nel vedere che la gente lo scrutava di nascosto, alcuni che parlottavano indicandolo, e altri che si limitavano ad ignorare la sua presenza. Riportò l'attenzione sulla tazza e mandò giù un altro sorso di caffè. Quel ben di Dio era ciò di cui aveva bisogno per sopravvivere a quella maledetta giornata. Aveva passato la notte in bianco tra il rigirarsi nel letto e correre in bagno a dare di stomaco. Le parole di Sanders gli rimbombavano ancora in testa.
"E' stata quella bestia!".
Quale bestia poteva essere peggiore dello stesso Sanders? C'era veramente lo zampino di qualcun'altro o Drew stava tentando di pararsi il culo? Qual era la verità, maledizione?!
Tutte le domande andarono in fumo quando Alex notò una figura accanto al suo tavolo. Voltò la testa verso di lui e rimase perplesso. Quando era arrivato?
"Buongiorno, sceriffo" esordì quasi con disprezzo Malcom Mcbeth. Prese posto di fronte ad Alex e incrociò le braccia al petto.
"Vedo che si sta godendo la colazione" disse. Smith non mancò di notare l'odio con cui pronunciò la frase.
"E' per Janet che è qui?" chiese Alex mantenendo un tono neutrale. Una smorfia attraversò il volto dell'altro.
"Lei cosa pensa?" rispose ironico il padre della ragazza. Poi si avvicinò all'uomo in divisa quasi saltando oltre il tavolo. Alex percepì l'alito dell'uomo sulla propria pelle, e la cosa quasi non lo costrinse a mollargli un pugno.
"Lei è un uomo di giustizia, Alex, e il suo compito è quello di mantenere la sicurezza di noi cittadini. Quando avvenivano piccoli crimini qui in città mi sentivo al sicuro, sapevo che c'era qualcuno che mi avrebbe protetto, qualcuno che avrebbe protetto tutti quanti. Adesso ho capito che non è così. Tutto quello che interessa a voi teste di cazzo è il malloppo che prendete a fine giornata, non ve ne frega niente di noi! A te non frega maledettamente niente di dove sia finita mia figlia, non te ne frega di cosa le succederà, non te ne  fregherà nemmeno quando l'ammazzeranno! Tutto quello che devi fare è finire quel tuo cazzo di caffè. Sì. Finisci il caffè, sceriffo. Finiscilo fino all'ultima goccia. Finiscilo e strozzati, per Dio. Io vado a cercare mia figlia".
Alex rimase a guardare sbalordito l'uomo alzarsi e dirigersi verso l'uscita. Tutto quello che riuscì a balbettare per fermarlo fu un indeciso "Non prenda decisioni stupide".
L'uomo aprì la porta infuriato e prima di uscire si rivolse un'ultima volta ad Alex.
"Ricorda queste parole, sceriffo: se non dovessi trovare mia figlia viva, ti verrò a cercare, ti verrò a cercare anche in capo al mondo. Ti verrò a cercare e te la farò pagare, lo giuro su Janet. Guardati le spalle, Alex".
La porta si chiuse con un tonfo lasciando il locale immerso in un silenzio irreale. Sotto gli sguardi accusatori dei presenti, Alex prese un gran respiro e finì tutto il caffè rimasto nella tazza. La giornata non poteva iniziare meglio.


Durante la riunione non venne a galla niente di nuovo. Le foto dei due rapitori ancora in libertà vennero mostrate su un enorme schermo, e Mason pregò tutti i distretti di mettersi alla loro ricerca. Alex non riuscì a stare attento a ciò che diceva quell'omone per più di cinque minuti, finendo così per chiudere gli occhi e riaprirli solo sentendo il proprio nome venir ripetuto continuamente da qualcuno.
"E' sveglio?" gli chiese la stessa voce. Alex si drizzò sulla sedia e guardò la sala confuso.
"Dove sono tutti?" domandò mentre cercava di ricomporre mentalmente i pezzi di ciò che fosse avvenuto.
"Se ne sono andati" rispose Harper con un sorriso divertito.
"Anche Pendergast?".
"Anche lui, ha detto che aveva qualcosa d'importante da sbrigare. Stavo per fare lo stesso quando ho notato che il nostro sceriffo non accennava ad aprire gli occhi". Alex si mosse sulla sedia goffamente e cercò di mantenere un'espressione seria. Il risultato che invece ottenne fece scoppiare a ridere la donna.
"E' sempre così disinvolto con il gentil sesso?". Alex le mostrò un sorriso imbarazzato.
"Di solito sono loro a trovarsi nella mia situazione" riuscì a dire senza mangiarsi qualche parola "ma da quando ho questo caso per le mani mi si sta fondendo il cervello".
"E' un momento difficile per tutti, effettivamente. Abbiamo un bisogno sincero di smuovere la situazione, e credo che sia per questo che il signor Pendergast mi abbia chiesto di fermarmi in questa città per un paio di giorni".
Alex la guardò con un'espressione perplessa.
"In che senso?" domandò.
"Più teste ci sono a lavorare, meglio è. E dal momento che il colpevole sembra essersi soffermato qui a Mainhill, non posso che assecondare la decisione di Pendergast".
"Lo ha chiesto soltanto a lei?" chiese ancora Smith.
"Così sembra, e mi ha anche chiesto di non dirlo a nessuno. Ho tutte le buone intenzioni di mantenere questa segretezza, seppur non ne capisca il motivo, ma mi sentivo comunque in dovere di avvertire lei".
Una forte pressione invase la testa di Alex. Pendergast era un buon collega, e a Smith non dispiaceva lavorare con lui. Erano partner, maledizione, e allora perché il poliziotto gli teneva nascoste tutte quelle informazioni?
"Beh, la ringrazio per il gesto" disse Alex alzandosi.
"E la ringrazio anche per avermi svegliato. Se non fosse stato per lei sarei mancato ad un impegno importante".
La donna gli sorrise e Alex non potè fare a meno di notare la perfezione di quel volto.
"Allora ci si vede in giro, sceriffo". E con queste parole gli diede le spalle, attraversò la sala e uscì dalla porta, lasciandolo nel silenzio più assoluto.
Alex tornò a sedersi e prese la penna sul tavolo tra le mani. Iniziò a batterla sulla superficie fredda, lo sguardo perso nel nulla.
Pendergast gli stava nascondendo qualcosa, di questo era sicuro.
Doveva solo scoprire cosa.


-


Scese dall'automobile e ordinò silenziosamente al guidatore di portare il veicolo all'interno della tenuta. Rimase a contemplare l'edificio in lontananza per un paio di secondi, una valanga di ricordi prese possesso della sua mente per un attimo, ma Pendergast li scacciò con un delicato movimento del capo. Si mise in cammino senza smettere di osservare la bellezza che lo circondava. Era rimasto lontano da quel posto per troppo tempo, e per troppo tempo aveva rischiato di cadere in un pozzo di nostalgia. Sfiorò con le dita i fiori, assaporò il loro profumo, lasciò poi che gli occhi cadessero sulla figura femminile ferma sulla soglia del cancello. Per poco quest'ultima non lo circondò con un abbraccio. Si fermò solo ricordandosi quanto Pendergast odiasse quei segni così stupidi d'affetto.
"Ilyas" sussurrò invece avvicinandosi a lui leggermente.
"Sono contento di rivederti" le disse Pendergast senza cambiare espressione. Forse con una piccola nota di delusione, Sue gli fece strada fino all'abitazione. Non lo vedeva da quasi due anni, dopo quell'evento*. Due anni in cui gli era mancato terribilmente. Ed ora che finalmente lo aveva di fronte, gli sembrava più distante che mai.
La ragazza venne riscossa dalla sua voce, leggera come il vento.
"Hai preparato la stanza?". Sue venne percorsa da un brivido gelido. Annuì lasciando entrare l'uomo in casa.
"Mi dispiace disturbarvi così all'improvviso, oltretutto con un comportamente simile" si rivolse alla ragazza e Ingrid, la donna alla quale aveva assegnato il compito di "badare" a Sue. Era scesa delle scale subito dopo il loro arrivo.
"Purtroppo non ho molto tempo a disposizione per i convenevoli. Ho bisogno di parlargli subito". Gli occhi di Pendergast si posarono in quelli della ragazza, e quest'ultima colse il messaggio.
"Di sopra, prima porta a sinistra".
Con un groppo alla gola, Sue lo guardò salire le scale e sparire oltre l'angolo. Rimase immobile a fissare quel punto, come se si aspettasse di vederlo apparire di nuovo.
"E' inutile" le disse Ingrid con una nota di consolazione nella voce.
"Lo conosco da una vita, e non mi ha mai dato corda. Quell'uomo è un labirinto anche per me". Ripiegò le labbra in un sorriso e si allontanò in una delle stanze di quell'enorme abitazione.


Ilyas Pendergast chiuse gli occhi. Liberò la mente, rallentò il respiro e rilassò il corpo fino all'ultimo muscolo esistente. Stabilizzò il vuoto in testa e ridusse il respiro fino a smettere d'aspirare aria. Aveva imparato quella tecnica di meditazione durante gli anni passati con i monaci buddisti. Teoricamente ci sarebbe voluta un'intera vita per riuscire a praticarla per bene, eppure lui e Pendergast ci erano riusciti a tempo di record.
Raggiunse l'insensibilità ad odori e suoni, divenendo così un tutt'uno con il nulla che lo circondava. Mentre cominciava a sentirsi leggero come una piuma, iniziò a dire il suo nome.
Xialiu.
Attese pazientemente, poi lo ripetè di nuovo.
Aspettò dei secondi, e un'immagine appena percettibile gli percorse la visuale. Onde simili ad un'interferenza gli invasero la testa, rischiando di fargli perdere il contatto.
Xialiu.
E finalmente sentì la sua voce.
Pendergast.
Da quanto non ci sentiamo, amico mio?

Dal giorno della tua morte, se la memoria non m'inganna.
Una risata divertita gli rimbombò in testa.
Diretto come al solito, il nostro Ilyas. Ricordi che sei stato tu ad uccidermi?
Ti ricordo anche che è stato per tua volontà.
Non posso darti torto, ovviamente. Qual è il motivo di questa visita, invece? Ah, lasciami indovinare. Un altro caso delicato con cui ti devo aiutare, o mi sbaglio?
Non ti sbagli mai. E sono sicuro che non dirai di no.
Mi conosci fin troppo bene, caro Pendergast. Di cosa si tratta?
Devi trovarmi due persone. Jamie Williams e Josh Minerva. Ho bisogno di sapere dove sono.
Morti.
Il vuoto in cui si trovava il poliziotto vacillò.
Morti? Come fai ad esserne sicuro?
Oh, non ne sono sicuro Ilyas. Lo so. Dubiti del sottoscritto?
Non sto dubitando. Ho bisogno di sapere se ne sei certo.
Certo che ne sono certo, li ho visti finire nel buco con i miei occhi.
Come sono morti?
Di questo non ne ho idea. Dimentica la credenza che dal mondo dei morti si veda tutto quello che succede in quello dei vivi, mio caro. Se fosse vero non passerei le giornate a rigirarmi i pollici dalla noia. Non riesci a mandarmi una bella televisione, quassù?
Un'altra risata interruppe la conversazione.
Ti ringrazio del tempo, Xialiu. Mi sei stato incredibilmente d'aiuto.
Figurati. Non avevo comunque niente da fare.
Tornerò una volta concluso questo caso.
Non ci contare, Pendergast. Ne avrai un altro tra le mani ancor prima di rendertene conto.
Ilyas sorrise.
Lo so.
Lentamente, così com'era arrivata, l'immagine si dissolse in una nuvola di fumo. Aprì gli occhi e rimase fermo a gambe incrociate per un minuto intero. Solo allora riprese a respirare normalmente. Nel buio della stanza alcuni pezzi si ricomposero, e un'idea si fece strada nella mente di Pendergast. Un'idea spaventosa che gli fece gelare il sangue.









*"Morte cieca", ovvero il titolo della prima storia che ho scritto in cui ci sono Sue e Pendergast.
(l'evento si riferisce dunque a ciò che è avvenuto nella prima storia).

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