The Man who loved her light too much

di Evee
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** After the storm ***
Capitolo 2: *** Unfinished business ***
Capitolo 3: *** White blank page ***
Capitolo 4: *** Broken crown ***
Capitolo 5: *** Little lion man ***
Capitolo 6: *** Devil's spoke ***
Capitolo 7: *** The cave ***
Capitolo 8: *** Feel the tide turning ***
Capitolo 9: *** Lover of the light ***



Capitolo 1
*** After the storm ***


Evee's corner

 

H^o^la!

Ebbene sì, come promesso (o, meglio, minacciato) sono tornata, incapace di smettere di tormentare la mia OTP e desiderosa di dare un seguito a quella che ho voluto chiamare “The Dark Blue Saga”, benché nel mio cuoricino “The White Lady who lost her soul” avrà sempre il posto d'onore.

Dato che squadra vincente non si cambia, non mi dilungo troppo a preavvertirvi su ciò che state per leggere: è sempre una fic con un titolo dal sapore hitchcockiano e spropositato, classificata un po' a caso, a PoV alternati dei protagonisti, infarcita di canzoni, condita con tanto dramma e cliffhanger dalla dubbia riuscita, aggiornata ogni domenica. Le sole differenze con “White Lady” è che ci sarà molto meno sangue e un po' più sentimento (ma non troppo, eh) e che per accompagnarvi e deprimervi nella lettura ho scelto i ritornelli delle canzoni dei miei amati Mumford and Sons, che al solito daranno il titolo ai capitoli... Anche se forse per il primo sarebbe stato più adeguato “La quiete prima della tempesta”, essendo solo preparatorio del terreno che poi mi appresterò a devastare.

Dunque, grazie infinite a tutti voi coraggiosi che avete trovato l'ardire di continuare a seguirmi. E se avete anche la forza di lasciarmi il vostro parere ve ne sarò immensamente riconoscente, perché si sa che i sequel di rado sono all'altezza delle attese, e per questo mi è salita un'ansia da prestazione considerevole... Anzi, una fifa Blu.

Spero a presto e buona lettura, vostra

- Evee

 

The Man

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who loved her light too much

 

I - After the storm

 

{And there will come a time, you'll see, with no more tears
And love will not break your heart, but dismiss your fears
Get over your hill and see what you find there
With grace in your heart and flowers in your hair}

 

Quella notte il suo sonno non fu più tormentato dagli incubi.

Anzi, quando socchiuse gli occhi e vide chi c'era accanto a sé, temette quasi di trovarsi ancora nel mondo dei sogni. A stento riusciva a credere a quanto gli era successo solo poche ore prima, ma quella ragazza addormentata nel suo letto era una prova sufficientemente tangibile da convincerlo che sì, era accaduto per davvero: Kisara era realmente tornata da lui, ed aveva veramente ritrovato la sua memoria passata. Così lui, per spiegarle il significato della visione che aveva avuto, le aveva finalmente svelato la verità. E benché si trattasse di narrare una vicenda che un tempo non aveva neanche la forza di ricordare, al punto che avrebbe preferito non averla vissuta affatto, fu un racconto molto più facile di quanto si fosse aspettato. Sì, probabilmente la Vodka aveva aiutato a sciogliergli la lingua ma... non era quello il vero motivo. Era perché, finalmente, quella storia assurda non lo confondeva più, ma aveva un senso. Serviva a qualcosa. Ad avvicinarlo a quella ragazza, a legarla a sé prima che potesse scivolare dall'orlo della disperazione su cui l'aveva condotto. La vera difficoltà, semmai, fu quella di riuscirci senza svelarle anche quanto ne avesse bisogno, di trovare le parole giuste per attenersi ai fatti omettendo, al contempo, le ragioni delle azioni che ne erano state causa. Ma lei lo aveva comunque incalzato con così tante domande, e lui aveva dovuto darle così tante risposte che, quando ebbe terminato di raccontare tutto ciò cui aveva assistito nel Mondo della Memoria del Faraone, era ormai passata la mezzanotte. E, dato che il temporale infuriava ben più di prima, ma soprattutto dato che non voleva proprio lasciarla andar via, l'aveva persuasa a fermarsi lì a dormire.

Anche se convincerla era stato infinitamente più arduo del farle credere che era già vissuta nell'Antico Egitto e che possedeva un drago per spirito.

Alla fine, però, aveva avuto la meglio lui ed era riuscito ad abbattere la sua caparbia resistenza, facendole capire che sarebbe stato da pazzi andarsene in giro con quel tempo. In realtà era ben più da pazzi accogliere un'assassina nel proprio letto, ma ormai Seto sapeva che non c'erano più ragioni per temerla. Né considerava fastidioso l'aver condiviso un tale momento di intimità con una persona che aveva conosciuto appena qualche giorno prima, perché Kisara era tutto fuorché un'estranea per lui. Forse qualcuno avrebbe potuto sentirsi a disagio trattandosi di una donna, per giunta talmente bella. In particolare, una con la quale si sono avuti dei trascorsi sentimentali per nulla superati. E, in effetti, doveva ammettere che quella circostanza non gli era del tutto indifferente... ma non perché la ritenesse imbarazzante. Era un altro l'aggettivo più appropriato per descriverla.

Eccitante.

Sì, era decisamente eccitante.

Risalì piano la figura sinuosa che le coperte lasciavano intravedere, raggomitolata verso di lui sul fianco, ondeggiando fino ad indugiare su un lembo di pelle che la camicia che le aveva prestato per la notte non era riuscita ad occultare alla vista. Si alzava ed abbassava con estrema lentezza, fino a farlo sprofondare nell'incavo alla base del suo collo, ed inducendo il suo stesso respiro a seguire un ritmo sereno ma troppo inadeguato al battito crescente del suo cuore. Avrebbe proprio voluto impadronirsi delle sue labbra socchiuse, per rubarle quell'ossigeno che a causa sua gli era venuto a mancare. Anzi, avrebbe voluto far suo quel morbido tepore che tutto il suo corpo emanava, sostituendolo al troppo calore procurato dalle coperte e dai vestiti, che si stava facendo sempre più insopportabile e soffocante.

Era normale che gli provocasse un tale effetto?

Fino ad allora non aveva mai avuto troppi problemi a tenere a bada i propri ormoni, ma era vero anche che non si era nemmeno mai trovato in una situazione simile con un'altra donna. Soprattutto non con una che avesse desiderato in quel modo e men che meno ossessionato con un sentimento simile, fin troppo irrazionale e che in quel momento era semplicemente fuori controllo.

Doveva cercare di darsi una calmata.

Ma probabilmente la sola cosa che avrebbe potuto aiutarlo a scacciare quella sensazione era una doccia fredda, ed il suo corpo non sembrava volerne sapere di separarsi da quella ragazza. Né di privarsi di quel frustrante languore in cui era così dolorosamente piacevole crogiolarsi... Eppure la distanza materiale fra loro era irrisoria, non sarebbe stato difficile accorciarla fino a soddisfarlo. Ma non osava farlo. Si era approfittato anche troppo di quella situazione, e soprattutto non si sentiva affatto in grado di sconfinare in quel campo a lui totalmente sconosciuto. Nella migliore delle ipotesi si sarebbe reso ridicolo, nella peggiore rischiava che lei lo respingesse brutalmente, con presumibile violenza più fisica che verbale. Aveva scoperto sulla sua pelle quanto sapesse essere pericolosa, nonostante quel suo aspetto così incantevole.

Un paradosso che quei capelli di nuovo candidi, sparpagliati sul suo cuscino, non facevano che accrescere a dismisura.

I loro lunghi riflessi luccicavano nella penombra, scivolando verso di lui per avvinghiarlo, arretendolo come il canto di una sirena. Incapace di trattenersi e confidando di uscirne impunito, allungò con circospezione una mano fino a sfiorarne una ciocca, raccogliendola tra le sue dita.

Fu proprio allora che la sua sveglia si mise a suonare.

 

***

 

Kisara aprì gli occhi di scatto, allarmata.

Era talmente abituata ad essere sempre vigile e all'erta, che neanche quando dormiva i suoi sensi la abbandonavano del tutto, pronti a captare il minimo rumore nonché potenziale fonte di pericolo. Tuttavia ciò che l'aveva appena svegliata era soltanto la insopportabilmente acuta, ma pur sempre innocua, suoneria di un orologio digitale, che il ragazzo di fronte a lei si affrettò a zittire con un movimento brusco ed un'espressione scocciata.

Quando poi, voltatosi, i suoi occhi azzurri incrociarono i suoi, avvertì il cuore saltare un battito e poté distintamente percepire il viso andarle in fiamme. Era la prima volta che si risvegliava con una persona accanto, realizzò. In realtà se n'era sempre ben guardata, benché non le fossero mancate le occasioni. Le era capitato svariate volte di adescare alcune delle sue vittime più sprovvedute, ma nessuna era sopravvissuta abbastanza per toccarla, figuriamoci per passare la notte con lei. Ed aveva sempre respinto con gelida fermezza ed intima repulsione qualunque altro uomo avesse tentato di portarla a letto.

Almeno fino a quella notte.

Ancora non riusciva a capire come avesse fatto Kaiba a convincerla a rimanere. Vero, era tardi e sembrava che fuori fosse appena scoppiato il finimondo. Vero, il suo letto a due piazze era abbastanza grande per poterci stare entrambi senza che ciò gli arrecasse il minimo disturbo. Vero, la sua proposta era un mero atto di cortesia e non implicava apparenti doppi fini... Si trattava solo di dormire. Ed infatti non era successo niente.

Ma, allora, perché aveva la netta impressione che fosse accaduto l'esatto opposto?

Era a disagio quando si era infilata tra le sue coperte, e si sentì terribilmente imbarazzata nel risvegliarsi tra di esse. Non erano nient'altro che un lembo di stoffa, ma rappresentavano anche un confine impalpabile che lui le aveva permesso di attraversare. Un confine superato il quale non si può più tornare indietro... Ma, in fondo, lo sapeva che se aveva osato farlo era solo perché anche lei lo voleva. Se c'era una persona al mondo con cui avrebbe mai potuto aprirsi, entrare in confidenza, e forse provare persino qualcosa era proprio lui, dopotutto. Doveva ancora metabolizzare appieno quello che le aveva raccontato sul loro passato, ma poteva comunque percepirlo, il filo del destino che li univa. Perché, da quando le aveva restituito quelle carte che sosteneva contenessero il suo spirito, non c'erano parole per spiegare come si sentiva in sua presenza. Non era semplicemente serena. Non era soltanto contenta... Si sentiva completa.

Si sentiva se stessa.

-Mi dispiace, non era mia intenzione svegliarti.- si scusò lui.

Kisara allora si scostò dal viso i troppi capelli spettinati dal sonno e si tirò repentinamente su a sedere.

-No, non è affatto un problema.- riuscì a dirgli, sforzando una voce che sentiva troppo impastata -E poi immagino dovrai andare al lavoro...-

Kaiba a quelle parole inarcò un sopracciglio con fare perplesso.

-Di solito è quello che faccio, ma di certo non la domenica.-

Rimase un attimo interdetta, provando intima vergogna per la sua totale incapacità di distinguere i giorni della settimana. Ma, d'altronde, non erano mai stati rilevanti: Kurosawa l'aveva educata privatamente, ed il suo lavoro non era affatto come quelli che vengono regolati da un orario d'ufficio... La quotidianità era un concetto a lei del tutto sconosciuto.

-Oh... E' vero.- fu costretta a riconoscere -Perché allora hai messo la sveglia?-

La mano del ragazzo attraversò l'aria in un gesto di sufficienza.

-Non mi piace essere improduttivo, e poi non voglio perdere l'abitudine. Anche se non ne avrei bisogno, ormai mi sveglio sempre prima che suoni.- le spiegò con fare annoiato -Comunque, non farti problemi e torna pure a dormire, se lo desideri.-

Kisara si affrettò a scuotere la testa in segno di diniego. Nemmeno lei era solita indugiare nella pigrizia, ed aveva approfittato anche troppo della sua ospitalità.

-No, è davvero giunto il momento che me ne vada.- mormorò, scostando le coperte.

Kaiba non disse nulla, ma avvertiva il suo sguardo implacabile su di sé mentre scivolava giù dal letto, impediva alla sua camicia di risalirle le gambe esposte, appoggiava i piedi sul freddo parquet, e raggiungeva gli abiti lasciati ad asciugare accanto al termosifone. Nel mentre le sfuggì uno starnuto, che la costrinse a fermarsi e a portarsi le mani alla bocca. In effetti il bruciore persistente che sentiva alla gola lo aveva lasciato presagire, che si era raffreddata.

-Grandioso.- gemette tra sé.

-Puoi ritenerti fortunata, invece.- la rimproverò Kaiba, che nel frattempo si era alzato a sua volta per scostare le tende -Con tutta l'acqua che hai preso mi stupisce che non ti sia venuta una polmonite.-

Lei allora afferrò i suoi vestiti e si diresse in bagno per cambiarsi, scoccandogli un'occhiata fugace mentre lo superava.

-Ho la pelle dura, tranquillo.- ribatté con fierezza.

Lui abbozzò uno dei suoi sorrisi sarcastici.

-Sì, lo so.-

 

***

 

Gli sfuggì un sospiro sconsolato.

Tempo pochi minuti e lei sarebbe stata di ritorno, vestita di tutto punto, pronta per andarsene. Mentre lui non era affatto pronto a salutarla.

Non di nuovo.

Non poteva accettare che lo abbandonasse ancora, specialmente dopo quella notte. Senza neanche sapere quando l'avrebbe rivista. Senza nemmeno sapere se l'avrebbe rivista. Non avrebbe retto ad un'altra separazione. Perché, se prima tutto gli suggeriva che doveva rassegnarsi e dimenticarla, ora tutto lo avrebbe portato a sperare... In cosa, non avrebbe saputo dirlo con precisione. Tutto ciò di cui era certo era che aveva bisogno di lei. La voleva nella sua vita. La voleva sempre al suo fianco. Peccato, però, che si trattasse di un desiderio irrealizzabile...

O forse no.

 

***

 

Le sfuggì un sospiro sconsolato.

Ad ogni bottone della camicia che apriva, le sue dita si facevano sempre più incerte e riluttanti a proseguire. Era di seta leggera, ma morbida ed accogliente, l'esatto opposto di quei ruvidi jeans e di quello stretto dolcevita che avrebbe dovuto tornare ad indossare. D'altronde, non aveva altra scelta. Quel pensiero la sconfortò profondamente, ma era arrivato il momento di tornare coi piedi per terra. Davvero non sapeva che cosa si fosse aspettata dal rivedere Kaiba. Certo, aveva finalmente ottenuto delle risposte sul suo passato, ma gli interrogativi sul suo futuro erano rimasti aperti ed impellenti.

Che fare?

Dove andare?

Tanto per cominciare, via da lì. Finché fosse rimasta in presenza di quel giovane non sarebbe riuscita a pensare ad altro, e lei aveva bisogno di riflettere con lucidità sulla questione. Finì dunque di cambiarsi e ritornò da lui, decisa a salutarlo.

-Vado.- gli annunciò, impegnando lo sguardo colpevole nell'atto di ripiegare la camicia, la cui sola utilità era quella di offrirle un pretesto per sfuggire al suo.

-Permettimi di riaccompagnarti a casa, allora.- lo udì offrirsi.

Un sorriso ironico le comparve sulle labbra.

-Se anche volessi, non potresti farlo comunque, dato che non ne ho una.-

-Come sarebbe?- le domandò con scetticismo -Dovrai pur stare da qualche parte.-

Kisara si strinse nelle spalle.

-Certo, ma non ho mai avuto un posto fisso. Spesso mi fermavo in un hotel, a volte in uno degli appartamenti che Kurosawa mi metteva a disposizione. Immagino che ora dovrò prenderne uno mio in affitto, ma non ha molto senso cercarlo prima ancora di essermi trovata un altro lavoro.- gli spiegò.

-Fermati qui, allora.-

Le sue mani si bloccarono, abbandonando una manica piegata a metà.

-Come?- esclamò, alzando gli occhi stupefatta.

Kaiba però la osservò con serietà, le braccia conserte.

-Fermati qui.- le ripeté -Almeno fino a quando non avrai trovato di meglio. Tanto, come avrai potuto di notare, questa villa al momento ha più di una stanza in disuso...-

-Non posso accettare.- si affrettò ad interromperlo -Non saprei davvero come fare a ricambiare un simile favore...-

-Io sì.- ribatté lui con un sorriso enigmatico, lasciandola interdetta -Dopotutto è per causa mia se non hai più un lavoro, mentre io per colpa tua ho perso ben quattro membri del mio personale...-

Kisara spalancò la bocca, incredula.

-Mi stai dicendo che vorresti assumermi? Sul serio?!?-

-Non è mia abitudine fare simili proposte per scherzo.- le disse con fermezza -Ho visto quello che sai fare, e devo ammettere che lo sai fare bene. Forse sarà un'occupazione un po' noiosa rispetto a quella cui eri abituata ma... avrei davvero bisogno di una persona come te, nel mio corpo di sorveglianza. Che ne dici?-

Le sue labbra si aprirono nel sorriso più aperto e sincero che avesse mai fatto, e che non avrebbe mai creduto di essere in grado di fare.

-Grazie.-

 

*

 

Le piaceva quel lavoro.

L'aveva capito sin dal primo giorno, e dopo solo una settimana quell'impressione si era già trasformata in una vera e propria convinzione. Certo, aveva dovuto abituarsi a collaborare con altre persone e, soprattutto, superare i pregiudizi sessisti dei suoi colleghi. Dopotutto era l'unica donna del gruppo, e la sua giovane età non aiutava affinché la prendessero sul serio... Non le erano sfuggiti i commenti volgari che le indirizzavano poco velatamente, né le insinuazioni su come o, meglio, cosa avesse fatto per farsi assumere. Ma si era rivelato un problema ben maggiore il suo superiore, un energumeno che rispondeva al nome di Fuguta e che, come ebbe modo di scoprire, era anche quella stessa guardia del corpo alla quale aveva sparato la prima volta che aveva cercato di uccidere Kaiba. Appena aveva saputo della sua assunzione, era andato nel suo ufficio a manifestargli apertamente la sua contrarietà, cercando di persuaderlo a cambiare idea. Ma tutto ciò che ottenne fu la minaccia che sarebbe stato lui ad essere messo alla porta, se avesse osato mettere nuovamente in discussione la sua decisione. Il che non fece che rafforzare l'astio che Fuguta provava verso di lei, e la sua volontà a renderle la vita alla Kaiba Corp. semplicemente impossibile.

Comunque, aveva risolto entrambe le questioni e guadagnato unanime rispetto nell'attimo stesso in cui, durante il primo addestramento, era riuscita a mettere al tappeto il suo finora imbattuto superiore in appena due minuti.

Ed anche se non fosse successo così in fretta, non avrebbe lo stesso cambiato idea sul suo nuovo lavoro. Era bello indossare la sua divisa, e sapere di far parte di un gruppo. Era bello avere di nuovo con sé un'arma, e sapere che se mai l'avesse usata non sarebbe stato per uccidere, ma per proteggere qualcuno. Per proteggere lui.

Ma, più di ogni altra cosa, le piaceva abitare a Villa Kaiba.

Con suo stupore, lì era stata accolta sin da subito senza riserve: sebbene fosse soltanto una semplice dipendente, il personale la circondava di mille, inutili premure, mentre il piccolo Mokuba aveva sempre per lei un sorriso e una frase gentile.

Sapeva che era solo una sistemazione momentanea, ma proprio non avrebbe potuto immaginare un posto migliore dove vivere. Era bello condividere con lui i pasti, ascoltando suo fratello raccontare con entusiasmo la propria giornata. Era bello addormentarsi nella sua stanza, e sapere di non essere sola in quella casa.

Era un po' come appartenere ad una famiglia, in fondo.

 

[e arriverà un momento, vedrai, senza più lacrime
e l'amore non ti spezzerà il cuore, ma scaccerà le tue paure

supera la tua salita e guarda cosa vi scopri

con grazia nel tuo cuore e fiori tra i tuoi capelli]

 

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Capitolo 2
*** Unfinished business ***


II - Unfinished business

 

{'Cause you've got blood on your hands
And I know it's mine

I just need more time
So, get off your low and let's dance like we used to
And there's a light in the distance
Waiting for me, and I will wait for you
So, get off your low and let's kiss like we used to}

 

Così non poteva andare avanti.

Ci aveva meditato su per l'intero fine settimana, dunque si era decisa: il lunedì mattina si svegliò appositamente mezz'ora prima, si vestì il più rapidamente possibile e poi scese di soppiatto in cucina per procurarsi qualcosa come colazione. Ma, proprio mentre stava attraversando l'atrio già vittoriosa, una voce la gelò sul posto, impedendole di raggiungere l'uscita.

-Dove credi di andare?-

Kisara si voltò in direzione delle scale, incrociando lo sguardo severo del suo datore di lavoro. Deglutì con fare colpevole, e si scostò dagli occhi una ciocca che non era riuscita a legare assieme agli altri capelli, maledicendola. Se non avesse inutilmente perso del tempo a cercare di sedare quella sua ribellione, forse sarebbe riuscita a farla franca.

-Al lavoro.- rispose quindi, cercando di suonare noncurante.

Kaiba corrucciò le sopracciglia con disappunto.

-E, di grazia, come pensavi di fare visto che io mi trovo ancora qui?-

-In tram.- azzardò lei, con una risposta che aveva più il tono di una domanda.

-Non dire idiozie.- la rimbeccò -Ci impiegheresti una vita, e non vedo perché dovresti quando puoi venire insieme a me.-

Kisara socchiuse gli occhi, sopprimendo un sospiro. Ormai tanto valeva vuotare il sacco.

-Lo so, ma credo che se iniziassi ad andarci per conto mio sarebbe più... professionale, ecco.-

Lui allora le si avvicinò, studiandola con i suoi implacabili occhi di ghiaccio.

-Perché?- le domandò, il tono pericolosamente irritato -Qualcuno ti ha forse fatto dei problemi al riguardo?-

Lei si affrettò a scuotere la testa, prima che con un'eventuale titubanza finisse per mettere nei guai i suoi colleghi, proprio ora che i rapporti con loro avevano iniziato a migliorare.

-No, per niente.- mentì -Ma sto già approfittando fin troppo della tua ospitalità, e non voglio dare l'impressione di ricevere un trattamento di favore dal mio capo.-

E, contro ogni suo pronostico, lui non parve risentirsi per quella considerazione, ma annuì piano.

-Sì, capisco quello che intendi.- mormorò, abbassando lo sguardo -Ma non è necessario che tu prenda il tram. Dirò ad Isono di metterti a disposizione una delle nostre vetture.-

Kisara scostò nuovamente la ciocca che, imperterrita, le era ricaduta sul viso, sempre più a disagio.

-Il fatto è che non avrei la patente per usarla.- fu costretta ad ammettere -Ho solo quella per le moto...-

Tra l'altro, falsa. Ma per sostenere l'esame si sarebbe dovuta iscrivere ad una scuola guida, il che avrebbe richiesto dei soldi e, soprattutto, una regolarità nella frequenza che non si sarebbe mai potuta permettere. E in ogni caso le andava bene così, perché avrebbe comunque preferito muoversi su due ruote: il cubicolo stretto delle auto le provocava sempre un senso di claustrofobia, per non parlare poi della prigionia inflitta dalle cinture di sicurezza. Invece su una moto la sensazione di controllo alla guida, la possibilità di scivolare agile nel traffico, lo sfidare in velocità l'aria sferzante, erano qualcosa di semplicemente impareggiabile.

Qualcosa che aveva il sapore della libertà.

-Vorrà dire che te ne farò avere una.- le annunciò allora Kaiba.

 

*

 

Non poteva credere ai propri occhi.

Quella sera stessa, quando era uscita dalla Kaiba Corp., aveva trovato ad attenderla sulla strada nientemeno che una Kawasaki Ninja 300. Kaiba doveva averle letto nel pensiero, perché era la moto che aveva sempre desiderato... Ma, proprio per quello, sapeva perfettamente quanto costava. Ossia troppo. Per quanto le avesse promesso una paga oltremodo generosa, avrebbe impiegato anni per mettere da parte gli 8 milioni di yen necessari per acquistarla.

-Non posso accettarla.- gli disse con riluttanza.

Lui per tutta risposta le mise in mano le chiavi.

-Non fare storie.- la redarguì severo -E' già intestata a tuo nome.-

E con ciò, sedò sul nascere ogni sua ulteriore rimostranza. Sapeva che avrebbe dovuto dire qualcosa per ringraziarlo, ma venne sopraffatta dalla commozione e riuscì solo a sorridergli: non c'erano parole per descrivere quanto gli fosse grata. Perché, se già era innamorata di quella moto, in quel lucente bianco perlato le parve ancora più splendida.

E la scelta di quel colore non poteva essere stata casuale.

 

***

 

Non glielo disse, ma quel sorriso radioso bastò a ripagarlo di ogni singolo yen speso, ed anche di più.

Avrebbe dovuto rinunciare alla sua compagnia durante gli spostamenti in auto, ma forse era meglio così. Era giusto che avesse i suoi spazi. E poi, l'entusiasmo che le brillava negli occhi quando montava sulla sella ed accendeva il motore, l'ondeggiare disordinato dei suoi capelli al vento quando sfrecciava in strada, il viso arrossato e felice che si svelava quando toglieva il casco dopo una corsa, gli scaldavano sempre il cuore.

In fondo, il vero regalo l'aveva fatto a se stesso.

 

***

 

-Aibara!-

Kisara si bloccò a metà corridoio, volgendosi verso il giovane che l'aveva appena appellata con voce fredda ed imperiosa. D'altronde in pubblico le si rivolgeva sempre così, ed anche lei preferiva si mantenesse un certo distacco. Solo quando erano soli la chiamava per nome. Il suo vero nome. Un tempo il solo sentirglielo pronunciare le era intollerabile, ma ora le faceva persino piacere il suono che aveva sulle sue labbra. Sapeva di autentico, come quello che c'era tra loro... Qualunque cosa fosse. Ma, proprio perché non riusciva a definirlo, lei non si era ancora decisa su come dovesse rivolgersi a lui. Tutti lo chiamavano “Kaiba”, ma ora le sembrava troppo impersonale e indegno dell'evoluzione che aveva avuto il loro rapporto... E poi sarebbe stato falso, perché lui rispondeva a quel cognome tanto quanto lei a quello di Aibara. Ciononostante, usare il suo nome proprio era fuori discussione. Solo suo fratello osava farlo, il che ne rendeva l'utilizzo ancora più intimo di quanto già non fosse. E tra loro non c'era affatto simile confidenza, né voleva infastidirlo con un pretenzioso tentativo di crearla.

Per cui, ovviando il problema, non lo chiamava affatto.

Lo raggiunse sollecita, domandandosi per quale ragione l'avesse fermata.

-Sei in ritardo.- la riprese tagliente.

Kisara si morse inavvertitamente un labbro, colta di sorpresa. Era continuamente testimone di quanto Kaiba potesse rivelarsi un vero bastardo al lavoro, ma non si aspettava che arrivasse a riprenderla per neanche dieci minuti di ritardo. In realtà non era nemmeno da lei una tale negligenza, ma quella mattina aveva finito per cedere alle recenti ed infaticabili insistenze di Mokuba perché lo accompagnasse a scuola in moto. Cosa che, ne erano consci entrambi, il suo iperprotettivo fratello non avrebbe di certo approvato, motivo per cui si erano reciprocamente promessi di tenergliela nascosta. D'altronde, il piccolo Kaiba sapeva essere a parole tanto persuasivo quanto il maggiore indisponente. E poi, sotto sotto, aveva finito per affezionarsi a lui... Perciò preferiva evitargli una ramanzina e lasciare che il fratello se la prendesse con lei, piuttosto. Anche se, non incrociandolo spesso al lavoro, aveva sperato non si accorgesse affatto di quel ritardo ingiustificabile. Ma aveva sperato male. Certo che non gli si poteva nascondere proprio nulla...

Per sua fortuna, però, non ebbe bisogno di inventare scuse, perché prima che potesse replicare lui la superò a passo sostenuto.

-Lascia stare.- tagliò corto -Muoviti, ho una conferenza stampa tra meno di un quarto d'ora.-

Lei allora richiuse la bocca e si affrettò con prontezza a seguirlo.

-E' per l'annuncio del torneo?- si informò.

-Sì.- rispose laconico.

Lo sospettava. In realtà, era dal suo primo giorno che tutto il personale era in fermento per l'edizione annuale di Battle City. Quella sarebbe stata la terza, e sembrava che organizzarla fosse ormai una specie di tradizione per la Kaiba Corporation. Aveva sentito dire dai suoi colleghi che il loro presidente contava di fare le cose in grande, e di superare il precedente record di iscritti... Tuttavia, nessuno sapeva ancora se tra questi ci sarebbe stato pure lui.

-Parteciperai anche tu?- osò chiedergli, incapace di trattenersi.

A quella domanda lo vide irrigidirsi, e la sua andatura tentennare.

-No.- rispose poi, perentorio -E' parecchio tempo che non duello, e comunque non potrei più ricominciare a farlo.-

Dunque allungò il passo, cercando di sfuggirle. Ma lei non intendeva demordere. Anzi, quella risposta irragionevole non fece che aumentare la sua curiosità. Non capiva davvero per quale ragione non potesse più fare qualcosa in cui, almeno a detta di tutti, non solo era abilissimo ma si era anche talmente appassionato da farne il cuore della sua stessa società.

-Ma... perché?!?- insistette, standogli dietro con ostinazione.

Lo vide stringere le labbra, presagio di una replica gelida che non tardò ad arrivare.

-Sai com'è, ho scelto di restituire i miei draghi bianchi ad una certa persona.-

Questa volta fu il suo turno di rimanere indietro, mortificata.

-Sì, questo lo so...- mormorò piano.

Tuttavia, c'era ancora qualcosa che non sapeva. Qualcosa che continuava a sfuggirle, e causa di quel dubbio che la sopraffaceva tutti i giorni, ogni volta che incrociava con lo sguardo gli occhi blu di quei tre magnifici draghi che l'accoglievano quando si recava al lavoro.

Quegli occhi così simili ai suoi da potersi specchiare in essi.

Il che non era una coincidenza, gliel'aveva già detto. Eppure, nonostante le tante parole scambiate quella notte sul loro passato, sentiva che nessuno dei due aveva affrontato la questione più importante di tutte. Perché c'era una ragione se la giovane donna cui assomigliava aveva scelto di sacrificarsi per quel sacerdote, e se il suo spirito aveva deciso di vegliare per sempre su di lui. Meglio, più che una ragione, un sentimento... che lei non aveva mai conosciuto in prima persona, ma che ricordava alla perfezione. Perciò, avvertiva tutto il bisogno di scoprire se si trattava dello stesso che, un tempo, l'aveva portato a piangere sul suo corpo...

E se era sempre quello che, dopo millenni, l'aveva spinto a legarsi tanto a quella carta e a rischiare tutto pur di aiutarla.

 

***

 

Provò una fitta dolorosa nell'udire la sua voce tanto avvilita, ma si sforzò di ignorarla.

Dannazione. Non gli piaceva trattarla male, ma quella volta se l'era proprio andata a cercare. Le aveva già spiegato ciò che significava per lei il Blue-Eyes White Dragon, ma non aveva intenzione di rivelarle anche l'importanza che aveva avuto e continuava ad avere per lui, e di certo non in quel momento.

Prima che potesse raggiungere le porte dell'ascensore, però, parlò ancora.

-Non potresti utilizzare altre carte?- osò proporgli.

Allora si fermò, e volle guardarla dritto per mettere le cose ben in chiaro. Grandissimo errore, come realizzò nel sentire la sua determinazione vacillare. Tutta colpa di quegli occhi blu... Tanto da essere quasi blu scuro, ma non uno cupo, perché in profondità vi si scorgeva una luce così pura che poi era impossibile smettere di fissarla, non desiderare possederla. Ma quella era troppo lontana, troppo sua per poter essere raggiunta, e inseguirla finiva solo per abbagliarlo, per fargli abbassare le difese.

-Non sarebbe la stessa cosa.- le disse.

“Non saresti tu”, intendeva dirle.

E magari l'avrebbe fatto, se fosse stato solo un po' più coraggioso. Ma se lo fosse stato per davvero, si sarebbe spinto anche a scostarle quella ciocca argentea che nascondeva indebitamente i suoi occhi preferiti. Ed allora, forse, avrebbe persino osato trattenerle il viso per avvicinarlo al suo. Per scoprire il sapore di quelle labbra socchiuse, che provocatorie lo sfidavano a baciarle.

Allungò istintivamente una mano verso Kisara, ma come vide i suoi occhi spalancarsi dallo stupore ritornò in sé: cercando di apparire naturale, all'ultimo deviò il suo gesto per chiamare l'ascensore dietro di lei. E se ne pentì subito.

Di quale delle due azioni, però, non avrebbe saputo dirlo.

 

***

 

Il tragitto in ascensore fu quantomai silenzioso, ed imbarazzato.

Almeno, per lei lo fu di sicuro. D'altronde, il cuore le batteva sempre più veloce quando gli era vicina, anche se non riusciva a distinguere se solo per l'amore di un tempo o per quel qualcosa che effettivamente provava per lui. Perché sì, certo, gli era immensamente riconoscente per tutto ciò che aveva fatto e continuava a fare per lei, e più imparava a conoscerlo più sentiva di stimarlo ma... non si trattava solo di quello.

No, c'era anche quell'incontrollabile, destabilizzante attrazione che mai aveva avvertito prima.

Tuttavia, per quanto Kaiba fosse innegabilmente bello, non era il suo aspetto ad esserne la vera causa. Anche Kurosawa lo era stato, eppure non le faceva un simile effetto, neppure quando ancora lo considerava il suo protettore, anziché uno schiavista come quando il tempo e le sofferenze inflitte gliene avevano offerto una visione ben più disillusa. Riusciva a vederne ancora gli occhi verdi, perfetti ed ammalianti, ma dietro quell'apparenza terribilmente spietati e crudeli. Invece, quelli azzurri di Kaiba erano così freddi da risultare gelidi e taglienti, però... se gli si dava fiducia svelavano un fuoco nascosto, e se si aspettava pazienti arrivavano a trasmettere un calore davvero stupendo. Ecco, era proprio per quel fascino più profondo, se riusciva a farla fremere al suono avvolgente della sua voce, a catturarla quando la fissava con il suo sguardo magnetico, ad incantarla ad ogni gesto sicuro delle sue mani...

Come quello che, giusto un attimo prima, le aveva fatto credere, se non desiderare, che intendesse baciarla.

 

***

 

Il tragitto in ascensore fu troppo silenzioso, e fastidioso.

In realtà, lui non sentiva mai la necessità di parlare con qualcuno giusto per il gusto di farlo, ciononostante dopo quanto appena successo ne sentì tutta l'impellenza, e la sua più assoluta incapacità. Non che fosse successo davvero qualcosa, ma avrebbe potuto, e temeva che anche lei l'avesse percepito. Scrutò di sottecchi Kisara, cercando inutilmente di capire cosa le stesse passando per la testa, ma quella ragazza gli continuava ad apparire più impenetrabile di una torre d'avorio... e troppo irresistibile per non desiderare scalarla.

Involontariamente i suoi occhi scivolarono lungo la sua schiena ed oltre, indugiandovi ben al di là di quanto consigliasse la comune decenza. Quando se ne accorse, e soprattutto prima che potesse farlo anche lei, sbatté le palpebre e si impose di distogliere lo sguardo. Represse un'imprecazione. Odiava ammetterlo, ma con quel completo scuro, dal taglio maschile ma perfettamente adattato ad ogni sua forma, era davvero attraente.

Ma esisteva forse qualcosa con cui non apparisse così, irrimediabilmente sexy?!?

I primi tempi aveva pensato fosse unicamente un suo problema, ma poi aveva iniziato a notare gli sguardi lascivi che le dedicavano più o meno di nascosto gli altri uomini. Il che gli aveva confermato che non si trattava solo di una sua impressione e, soprattutto, gli ingenerava il puntuale desiderio di cavar loro gli occhi con le sue stesse mani. Ma se avesse ucciso o anche solo, più civilmente, licenziato tutti quelli che mostravano interesse per lei, era verosimile che avrebbe dovuto sbarazzarsi della quasi totalità del suo personale maschile. E forse anche di parte di quello femminile.

Il suolo sotto ai suoi piedi gli venne improvvisamente a mancare, ed il ronzio di sottofondo che aveva accompagnato i suoi pensieri si interruppe, anticipandogli che l'ascensore aveva ultimato la propria corsa. Al che si maledisse per essersi lasciato andare a tal punto, anziché rimanere concentrato su un discorso che in quel momento faticava a ricordare. Ma forse non avrebbe neanche dovuto chiedere che fosse Kisara ad accompagnarlo, considerando che nel giro di cinque minuti era riuscita a fargli desiderare di dedicarsi con lei ad altre attività, e per ben due volte...

“Ok”, si impose, “ora basta”.

Non appena le porte dell'ascensore si aprirono, scattò fuori dal vano per farla uscire, se non dalla testa, quantomeno dalla vista, e si diresse risoluto verso la sala conferenze.

Ma non riuscì a raggiungerla.

Svoltato l'angolo, si imbatté in un gruppo di persone parate davanti all'ingresso, pronte a sbarrargli la strada. Tuttavia non si trattava della solita, fastidiosa folla di giornalisti, ma di una mezza decina di poliziotti inequivocabilmente in sua attesa. E quella circostanza lo innervosì ancor di più perché, a prescindere dall'eventuale impellenza delle ragioni per cui fossero lì, rappresentavano di certo un contrattempo quanto mai inopportuno sulla sua già arretrata tabella di marcia.

-Che diavolo succede?- sbottò.

Eppure, avrebbe dovuto rendersi conto da solo di quello che stava accadendo. L'avrebbe dovuto leggere nello sguardo inquieto del detective Mori. L'avrebbe dovuto intuire dall'atteggiamento a lui ostile degli agenti al suo fianco. L'avrebbe dovuto presagire dal brivido freddo che gli percorse la spina dorsale, e dal pallore mortale che aveva assunto il viso di Kisara.

Ma, prima che potesse farlo, due poliziotti lo presero ai lati e si ritrovò con i polsi ammanettati. L'espressione di Mori, se possibile, si fece ancora più grave.

-Signor Kaiba, la dichiaro in arresto per l'omicidio di Riichi Kurosawa.-

 

[perché hai del sangue sulle tue mani
ed io so che è il mio

ho solo bisogno di più tempo
dunque, scrollati di dosso la tua malinconia e balliamo come facevamo una volta
e c'è una luce in lontananza
che mi aspetta, ed io aspetterò te
dunque, scrollati di dosso la tua malinconia e baciamoci come facevamo una volta]

 

Evee's corner

 

H^o^la!

Ordunque, dopo una tormentata operazione di taglia-e-cuci mi sono rassegnata e, non riuscendola ad imbrigliare, ho finito per dare più spazio del previsto alla mia vena romantica anche in questo capitolo, sig sob. Ditemi voi se avete apprezzato o vi ho fatto venire la carie per la troppa melassa. Comunque non esultate/disperate perché, come avrete intuito dalla conclusione, d'ora in avanti si cambia musica... Anzi, a proposito: preciso che la canzone che ho scelto stavolta è una cover dei White Lies e, a mio modesto parere, la versione dei Mumford and Sons è persino migliore dell'originale.

Grazie mille di essere qui, e alla prossima domenica... anzi, no. A mercoledì, perché come regalo di Natale pubblicherò un nuovo capitolo di “The little brother... etc” davvero speciale, a colmare i vuoti di questi primi due capitoli.

XOXO

- Evee

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Capitolo 3
*** White blank page ***


III - White blank page

 

{So tell me now, where was my fault
In loving you with my whole heart

Oh, tell me now, where was my fault
In loving you with my whole heart}

 

Nori Nishiguchi.

Così si chiamava il pubblico ministero che aveva assunto la direzione delle indagini sulla morte di Kurosawa. Durante il tragitto per la procura il detective Mori si era premurato di metterlo in guardia sul suo conto: era un magistrato tanto giovane quanto inflessibile, e che aveva fatto non poche pressioni sulla Procura Distrettuale affinché le venisse assegnato il caso. Per questo, a dispetto dell'accortezza con cui l'ispettore aveva redatto il suo rapporto sull'operazione Kurosawa e sostenuto la loro versione dei fatti, quella donna si era comunque insospettita ed aveva iniziato a fare molte, troppe domande.

Più o meno quelle che ora stava rivolgendo a lui.

-Dove si trovava lo scorso 13 di febbraio, signor Kaiba?-

La sua voce stentorea risuonò vivida nel silenzio della stanza in cui era stato condotto per l'interrogatorio. La quale, al di là delle manette che lo costringevano alla sedia, era ben diversa da come svariati, squallidi film polizieschi gliel'avevano fatta prefigurare: ampia e luminosa, con al centro il tavolo presso il quale si trovava lui e, sul lato opposto, la Nishiguchi assieme a Mori, in una straniante veste da “poliziotto buono”. In un angolo, una segretaria e le sue lunghe unghie laccate attendevano di stenografare al computer ogni parola, con un ticchettio a dir poco snervante.

-A casa mia.- rispose senza incertezze -Come il detective qui presente può confermare, essendo intervenuto per fermare i due agenti che mi facevano da scorta e che hanno deciso di assalirmi a mano armata.-

-Sì, l'ho letto nel verbale.- fece la Nishiguchi con sufficienza -Si ricorda l'ora in cui è avvenuto il fatto?-

-Attorno alle cinque del pomeriggio.- rammentò dopo una breve pausa, sufficiente a dar l'impressione che avesse dovuto radunare le idee, e non troppo lunga affinché non apparisse una menzogna -Ma la polizia è sopraggiunta solo dopo una mezz'ora.-

-Alle cinque e ventidue minuti, per la precisione.- confermò il pubblico ministero, controllando nel suo fascicolo -E dopo, cos'è successo?-

Questa volta Seto fu costretto per davvero a riflettere prima di rispondere, ben consapevole che quella che le aveva posto non rappresentava più una domanda retorica, e che stava per muoversi su un terreno minato. Non sapeva quanto il p.m. avesse scoperto, né quanto Mori fosse stato costretto a rivelarle per non mettere a repentaglio il suo distintivo, ma non gli rimaneva che attenersi alla storia che avevano preconfezionato. Con calma, iniziò a raccontare di come avesse dato alla polizia il suo appoggio per catturare il fuggitivo e per tendere un'imboscata a Kurosawa.

-Ho già avuto modo di ascoltare le registrazioni delle vostre conversazioni.- venne però interrotto -Quello che vorrei mi dicesse, piuttosto, è come faceva a sapere che era lui il mandante degli attentati alla sua persona.-

-Una semplice supposizione.- mentì Seto -Come di certo saprà, i nostri rapporti d'affari non erano dei migliori ultimamente e, conoscendo la sua reputazione, mi aspettavo già da lui un qualche tipo di ritorsione.-

Le sottili labbra della Nishiguchi si tesero in una linea inespressiva.

-Un'intuizione davvero fortunata.- commentò -Un vero peccato che le sia venuta solo allora, e non già in seguito alla sua prima aggressione.-

Le mani gli si irrigidirono involontarie, ma riuscì a mantenere la sua espressione neutrale. Non doveva insospettirla ulteriormente, ma evitare una volta per tutte ogni possibile coinvolgimento di Kisara.

-E così è stato, ma ho preferito aspettare prima di condividere con altri i miei sospetti. Poteva sempre essere un evento isolato, e denunciarlo a piede libero senza ulteriori basi mi sembrava azzardato, per non dire controproducente.-

La Nishiguchi annuì meccanica.

-Chiaro.- commentò con distacco -Dopotutto, lei è una persona previdente, non è vero, signor Kaiba? Altrimenti, non si sarebbe premurato di avere con sé, in vista del suo incontro con Kurosawa, un'arma pronta all'uso...-

Questa volta Seto venne realmente preso in contropiede. Quella era una circostanza su cui il detective Mori non poteva averla informata, perché gli accordi erano di far risultare la morte di quell'uomo come l'esito accidentale della sparatoria avvenuta nel suo locale. E lui si era ben guardato dall'abbandonare la sua SIG Sauer sul luogo del delitto.

-Questo lo dice lei.- replicò tagliente.

-No, signor Kaiba, questo lo dicono i fatti.- fece, stringendo su di lui i suoi occhi cupi -Dei colpi sparati dai nostri agenti con le pistole d'ordinanza, nessuno può essere arrivato a colpire Kurosawa nella stanza in cui è stato ritrovato il suo cadavere: tutti i bossoli sono stati rinvenuti nel salone principale. Inoltre, dall'esame balistico è emerso che il proiettile che l'ha ucciso è penetrato con un'angolazione di 45 gradi, dall'alto verso il basso. Ossia, mentre si trovava a terra. Il che significa che non può essere stato colpito per errore, o per cercare di fermarne la fuga, ma deliberatamente.-

Si astenne dal guardare Mori, ma con la coda dell'occhio vide comunque che il detective aveva abbassato il capo, colpevole e mortificato. Tuttavia Seto non provava grande risentimento nei suoi confronti, in fin dei conti si era già compromesso anche fin troppo per coprirlo. No, la sola persona con cui poteva prendersela era se stesso... Avrebbe dovuto preventivare che la loro storia non avrebbe retto ad un'indagine approfondita. Ma, per come si erano svolti i fatti, quella era la sola versione che avrebbe potuto funzionare per garantire sia a lui che a Kisara di uscirne puliti.

Una sua illusoria speranza più che una concreta possibilità, ora se ne rendeva conto.

-Il che, però, non significa anche che sia stato io a farlo.- provò ad obiettare, con fredda compostezza.

-No, certo che no.- considerò quella donna con un sorriso per nulla benevolo -Fino a prova contraria è presunto innocente. Peccato che lei sia anche il solo ad aver avuto sia un movente che la possibilità materiale per farlo. E sono certa che, perquisendo la sua abitazione, troveremo un'arma le cui rigature coincideranno con le scanalature sul proiettile che ha ucciso Kurosawa...-

Detto questo, estrasse un foglio dalla sua cartelletta e glielo fece scivolare davanti.

-Fossi in lei, valuterei attentamente l'opportunità di firmare questa confessione.-

Seto fissò livido lo spazio bianco lasciato sotto una fitta, precostituita dichiarazione e che non si sprecò nemmeno di leggere, non avendo la minima intenzione di farla propria.

Tutto ciò che avrebbe voluto fare, e che avrebbe fatto se solo avesse avuto le mani libere, era prendere quella pagina per stracciargliela davanti agli occhi.

 

***

 

-Voglio vedere mio fratello!-

La voce di Mokuba era tremante, frustrata e pericolosamente incrinata.

Isono gli scoccò un'occhiata preoccupata, mentre Hideo Endo, l'avvocato che era stato incaricato di assumere le difese di Kaiba, rimase impassibile, neanche fosse stato invitato a sedersi di fronte a loro per prendere il tè delle cinque. Avendo la fama di essere il miglior penalista della città, di certo nella sua navigata carriera gli era già capitato di imbattersi in casi simili, ma Kisara lo odiò comunque per quel suo atteggiamento.

-Temo che non sia possibile.- disse laconico -Suo fratello è tenuto nel più completo isolamento, e solo io sono autorizzato a contattarlo. Per cui, se ha un messaggio per lui, me lo comunichi e provvederò a riferirglielo.-

-Allora gli dica che voglio che esca di lì subito!- gridò il piccolo, scattando in piedi in un moto d'ira.

Kisara aveva già assistito nelle ore precedenti a quanto la disperazione potesse far perdere a Mokuba il controllo, ma ogni volta le sembrava più insopportabile. E si faceva sopraffare dall'impotenza. Solo Isono sembrava aver conservato sufficiente lucidità per gestire la situazione, ed infatti appoggiò con calma sofferta una mano sulla sua spalla, inducendolo a rimettersi seduto. Tutto ciò che invece lei sembrava essere in grado di fare era starsene impalata con lo sguardo perso, la testa svuotata. Era da quando se l'era visto portare via che si trovava in quello stato. Come in una boccia di vetro, gli eventi le scorrevano davanti estranei, ovattati.

E lei ci stava affogando dentro.

Ma non era che un incubo, giusto? Non stava succedendo veramente. Non poteva e basta. Non proprio quando aveva iniziato a credere che fosse tutto finito, che quel capitolo della sua vita fosse chiuso per sempre. Era morto, ci aveva pensato lei stessa a sbarazzarsene. Perché non rimaneva morto, anziché tornare a tormentarla? Perché il suo fantasma era così crudele da vendicarsi prendendosela proprio con lui?

-Purtroppo la legge consente di trattenere un indiziato anche per 23 giorni.- comunicò loro Endo, imperturbabile -Almeno fino a quando il pubblico ministero non ne ordina la liberazione, o non viene pagata la cauzione...-

-I soldi non sono un problema, gliel'ho già detto.- sibilò Mokuba a denti stretti.

Questa volta, il suo tono di voce era così tagliente, ed il suo sguardo così infuocato da assomigliare al maggiore dei Kaiba in modo davvero spaventoso. Persino l'espressione dell'avvocato ebbe un attimo di tentennamento.

-Non è così semplice.- iniziò a spiegare, aggiustandosi sul naso occhiali grigi quanto la sua persona -L'accusa contro suo fratello è molto grave, e la procura si è riservata di provvedere sulla richiesta di rilascio. Sto cercando di sollecitare una risposta, ma in genere è una decisione che viene presa solo una volta valutate le esigenze cautelari e quanto emerge dagli interrogatori...-

Ma Mokuba non lo stette più a sentire. Si liberò con uno scatto dalla stretta di Isono e scappò dal soggiorno, correndo a rifugiarsi in camera sua. E la sua porta rimase chiusa per tutte le ore successive, rifiutando tra i singhiozzi la cena e la vista di qualunque altra persona che non fosse suo fratello.

Quella notte, benché fosse troppo distante per poterlo udire, la consapevolezza del suo pianto impedì a Kisara di addormentarsi.

 

***

 

Dieci ore.

Era quello il tempo per cui veniva quotidianamente tenuto sotto interrogatorio. Anche per questa ragione, il pubblico ministero aveva disposto che la sua detenzione non avvenisse in prigione, ma che venisse trattenuto presso il daiyo-kangoku, il carcere interno alla procura. Così, la Nishiguchi poteva metterlo sotto torchio a suo piacimento, cercando di strappargli le dichiarazioni autoincriminanti cui tanto agognava.

Che illusa.

Con chi credeva di avere a che fare? Non avrebbe ceduto alla sua pressione psicologica, per quanto estenuante fosse. In realtà, il suo avvocato gli aveva caldamente consigliato di tenere un atteggiamento collaborativo con gli inquirenti, per evitare di aggravare la sua posizione... Ma d'altronde tutto ciò che diceva, e che non coincideva con la versione dei fatti sostenuta dal pubblico ministero, veniva ripetutamente verbalizzato come “non convincente” o, peggio, “arrogante”. Il che non era privo di conseguenze in quanto, come sempre Endo l'aveva informato, durante i processi i giudici tendono a basare le proprie decisioni più su quanto contenuto nel fascicolo delle indagini preliminari, che su quanto deposto in aula. Tuttavia non poteva nemmeno avvalersi della facoltà di non rispondere, perché così facendo si sarebbe definitivamente precluso la possibilità di ottenere un rilascio su cauzione.

E lui desiderava assolutamente uscire di lì al più presto.

La ristrettezza di quella cella gli era intollerabile, anche per quel poco tempo della giornata in cui era costretto a rimanervi. Mai quanto allora gli erano mancate le confortanti mura di casa, e il caldo sorriso di suo fratello ad accoglierlo alla porta. Avrebbe tanto voluto poter vedere Mokuba, per rassicurarlo di persona dall'ansia che sapeva avergli procurato la notizia del suo arresto, ma non poteva. Il suo unico contatto con l'esterno era il suo avvocato, con cui gli era consentito parlare non più di un quarto d'ora e, al massimo, scambiarsi una breve corrispondenza.

Lui, ed i giornali che si premuravano di recapitargli ogni mattina.

E non si trattava certo di un gesto di cortesia, ma dell'ennesimo bieco sotterfugio per demoralizzarlo ed indurlo a confessare. Tuttavia, lui li ignorava sempre. Sapeva già qual'era la notizia che capeggiava tutte le prime pagine. Inoltre, era più che preparato a cosa avrebbero scritto su di lui, perfettamente conscio di quali insinuazioni avrebbero potuto muovergli contro e di quali scheletri non avrebbero esitato a tirar fuori dal suo armadio. La stampa non avrebbe avuto bisogno di inventarsi troppe storie, per infangare il suo nome. Né la gente avrebbe faticato a darvi credito, perché sapeva che non aveva mai attirato grande simpatia... Ma tanto non gliene fregava niente di quello che avrebbe potuto dire o pensare. Tranne che per una persona.

Pur sapendolo vano, pregò che lei non venisse mai a saperne nulla, di quelle voci.

 

***

 

«Il vero volto di Seto Kaiba»

Così titolava a caratteri cubitali la prima pagina del “Domino News”, il quotidiano locale che ogni mattina trovava puntualmente disposto accanto alla colazione servita in salone, benché venisse, con altrettanta puntualità, snobbato a favore dello “Yomiuri Shinbun” o del “Wall Street Journal” dal padrone di casa. Tuttavia, quel giorno fu proprio quel giornale ad essere sfogliato.

Kisara non seppe a spiegarsi perché lo fece. Fino ad allora se ne era ben guardata, consapevole che non avrebbe dovuto mettersi a leggere simile spazzatura, e che non vi avrebbe trovato la benché minima notizia che potesse dirle come stava Kaiba in quel momento... Ma la sua sedia era così terribilmente vuota, ed il caffè troppo amaro senza la sua compagnia. E quella sua foto in bianco e nero sembrava essere la sola cosa in grado di addolcirlo.

Tuttavia, man mano che avanzava nella lettura di quel lungo, enfatico articolo, il senso di nausea che già l'aveva privata dell'appetito si acuì fino a farsi insopportabile. Dopo un breve resoconto abbastanza obiettivo sulle dinamiche del fermo e dell'accusa di omicidio sollevata contro Kaiba, il testo proseguiva andando a riepilogare le circostanze della morte di Kurosawa. E a quel punto i sottintesi e le illazioni erano così numerosi e poco velati che un'altra persona non sarebbe riuscita più a distinguerli dalla realtà dei fatti. Perché, purtroppo, anche se la polizia non aveva ancora reso noti i risultati delle indagini, era di dominio pubblico l'accesa controversia che li aveva visti azzannarsi per quello stupido appalto a Kyoto. Una circostanza che rappresentava un movente fin troppo verosimile, come Kisara sapeva per esperienza diretta. Ed il cui effettivo perseguimento era reso ancora più plausibile dalle tinte fosche con cui quell'articolo andava dipingendo il passato di Seto Kaiba.

«D'altronde, questo arresto è solo la conferma dei numerosi sospetti che già da tempo gravavano intorno al troppo giovane presidente della KC. Una carica che, come risaputo, ha assunto anni fa a seguito della scalata ostile che, con l'appoggio degli altri azionisti, gli ha permesso di acquisirne il pacchetto di maggioranza. E spingendo per l'umiliazione il suo predecessore, il compianto Gozaburo Kaiba, al suicidio. Anche se, ora, le voci che volevano fosse stato proprio lui a gettarlo dal decimo piano del suo grattacielo meritano indubbiamente maggior credito...

Senza considerare che quella non sembra essere stata l'unica volta in cui le sue mani si sono sporcate di sangue... Tutti siamo a conoscenza dell'attaccamento di Seto Kaiba per una certa carta di Magic and Wizards, quel 'Blue-Eyes White Dragon' grazie al quale per anni ne è stato un campione indiscusso e che è diventato persino il simbolo della sua stessa società. Ma non tutti sanno come ha fatto ad impadronirsi delle uniche tre copie ad oggi esistenti. Non solo ne ha pubblicamente strappato il quarto esemplare dopo un duello che ha causato il ricovero in ospedale del suo proprietario, ma è realistico pensare che abbia dato anche un apporto determinante alle vicende che hanno colpito tutti gli altri precedenti possessori. Guarda caso uno è caduto in bancarotta, uno è stato rapito e l'ultimo si è misteriosamente 'suicidato'... Un'ossessione, insomma, a dir poco patologica e una vicenda che dimostra non solo tutto il suo squilibrio mentale, ma anche un'inquietante pericolosità sociale e una ben marcata tendenza a delinquere.»

Il testo proseguiva ancora a lungo, ma dopo quelle parole Kisara non ebbe più la forza di continuare a leggere. Che il mondo credesse quello che gli pareva, lei non avrebbe permesso a quell'inchiostro di macchiare l'immagine che aveva di Kaiba, inquinarle i pensieri, sbiadire i suoi stessi ricordi. Né di avvelenare i sentimenti che provava per lui, già troppo feriti da ogni singola, stramaledetta parola scritta nient'altro che sulla base di una menzogna, di un errore solo suo, e pensata al preciso scopo di rovinarlo del tutto, come se non fosse già stato abbastanza, ingiustamente colpito.

Con le mani tremanti prese a stracciare quel giornale, desiderosa di farlo a pezzi con la stessa brutalità con cui le aveva appena lacerato il cuore.

 

[dunque dimmi ora, dov'è stata la mia colpa
nell'amarti con tutto il mio cuore

oh, dimmi ora, dov'è stata la mia colpa
nell'amarti con tutto il mio cuore]

 

Evee's corner

 

H^o^la!

Ebbene sì, ho appena sbattuto al fresco il grande Seto Kaiba.

Come a questo punto sarà chiaro, forte delle mie conoscenze giuridiche ho voluto giocare in casa e lanciarmi in un legal-thriller. Chiaramente prima ho dovuto colmare le mie lacune sulla legge giapponese in materia, volendo essere il più verosimile possibile. Perciò sappiate che nella descrizione delle dinamiche investigative e del trattamento degli indagati sono stata tristemente fedele alla realtà in ogni dettaglio: i Giapponesi ci vanno giù piuttosto pesante con la repressione dei reati. Ma se qualcuno di voi ne sapesse più di me sull'argomento, sarò ben lieta di accogliere le vostre segnalazioni!

Altra cosa, anche stavolta ho inserito degli original characters, ossia l'avvocato Endo e soprattutto il p.m. Nishiguchi. Quest'ultima ho scelto con cura come chiamarla: “nori” è un nome piuttosto androgino che significa “regola”, mentre il suo cognome si può tradurre come “portale dell'oltretomba”. C'è anche un'altra ragione, ma su cui per ora non posso dire nulla perché emergerà in seguito...

Grazie come sempre della lettura, e come sempre alla prossima domenica!

XOXO

- Evee

P.s. devo gridarlo al mondo: miracolo, hanno annunciato un nuovo film di ygo con Yugi e Seto come protagonisti!!! *piange dalla commozione* Purtroppo l'uscita è prevista per il 2016 ma... chissene. Basta l'immagine promozionale per andare in coma da hype, e c'è un solo modo per commentare una simile notizia: FUCK YEAH.

 

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Capitolo 4
*** Broken crown ***


IV - Broken crown

 

{Crawl on my belly til the sun goes down
I'll never wear your broken crown

I can take the rope and I can fuck it all the way
But in this twilight, our choises seal our fate}

 

Riconobbe subito lo scalpiccio di quei passi severi lungo il corridoio, ed il tintinnio delle chiavi ruotate nella serratura.

-E' già ora?-

La domanda risuonò alle sue orecchie priva dell'irritazione che intendeva farvi trasudare, e fin troppo flebile. Ma la verità era che quegli undici giorni di prigionia l'avevano estenuato, ed iniziava a non confidare più che i suoi nervi, per quanto saldi, sarebbero riusciti a resistere ad altrettante ore di interrogatorio.

-Può andarsene, signor Kaiba.- udì dire dalla voce del detective Mori.

Seto sgranò gli occhi, incredulo a quell'annuncio tanto improvviso quanto inaspettato.

-Sul serio?- chiese conferma, quasi temendo si trattasse di una qualche machiavellica trappola ordita a sue spese da quel demonio della Nishiguchi.

-Sul serio.- lo rassicurò l'uomo con inusuale fare bonario -Il pubblico ministero ha autorizzato il suo rilascio su cauzione. Sotto libertà vigilata, è evidente.-

“Chissenefrega della libertà vigilata.”

Senza ulteriori indugi scattò in piedi, dedicò all'ispettore un breve cenno di commiato ed accelerò il passo, desideroso di porre tra sé e quel luogo la maggiore distanza possibile. E quando vide chi c'era all'ingresso, pronto ad accoglierlo, il peso che lo aveva schiacciato così a lungo scomparve del tutto.

-Seto!-

In un attimo Mokuba lo raggiunse e gli saltò al collo, con tale slancio che per poco non gli fece perdere l'equilibrio. Lo salutò con altrettanto entusiasmo, e lo strinse a sé con forza ancora maggiore. Era così sollevato di poterlo finalmente rivedere.

Lui, e quella ragazza dagli occhi blu che, più in disparte, l'aveva salutato con il suo lieve ma luminoso sorriso sulle labbra.

 

*

 

Tuttavia la sua felicità non sarebbe durata a lungo, se lo sentiva.

Era inutile mentire a se stessi, entro 12 giorni il pubblico ministero avrebbe dovuto decidere se disporre l'archiviazione del caso o formulare contro di lui un'imputazione. E la Nishiguchi gli aveva già prospettato quale sarebbe stata: omicidio volontario, aggravato dalla premeditazione e dall'uso di un'arma detenuta illegalmente. Ma d'altronde il quadro indiziario a suo carico era talmente grave che nessun pubblico ministero si sarebbe sognato di disporre un non luogo a procedere, per quanto potesse vantare ampia discrezionalità nell'esercizio dell'azione penale.

Doveva prepararsi ad un processo, il suo legale gliel'aveva annunciato forte e chiaro.

L'unico dubbio era quando si sarebbe svolto, ma in ogni caso era vitale approfittare del tempo a disposizione non solo per predisporre la propria difesa, ma anche e soprattutto per tutelare la sua azienda e suo fratello da ogni possibile ripercussione. Già solo l'annuncio del suo arresto aveva fatto crollare a picco il valore delle azioni della Kaiba Corporation, e se non fosse corso con prontezza ai ripari il panico degli investitori avrebbe fatto scomparire il suo nome dall'indice Nikkei. Ma quello era un problema che aveva saputo arginare con un paio di conferenze stampa e delegando Isono a rappresentarlo dentro e fuori dal consiglio di amministrazione, nell'eventualità che non si trovasse in grado di presenziarvi o di firmare documenti urgenti.

No, ciò che più lo angustiava era come fare a tenere al sicuro Mokuba. Perché se fosse stato condannato, non solo non avrebbe più potuto rivestire alcun incarico nella sua società, ma gli avrebbero di certo revocato all'istante la tutela su suo fratello. E Mokuba era ancora troppo piccolo perché, come lui, potesse beneficiare di un provvedimento di emancipazione prima della maggiore età. Il tribunale l'avrebbe affidato ad un'altra famiglia o, peggio, ad un altro orfanotrofio...

Ma lui non poteva permettere che gli accadesse nulla di simile. Gliel'aveva promesso, che nessuno li avrebbe mai divisi. L'aveva giurato a se stesso, che avrebbe impedito a chiunque di portarglielo via.

Tuttavia, per quanti consulti legali potesse chiedere, nessun avvocato era stato in grado di offrirgli una soluzione. Non poteva nominare un tutore che facesse le sue veci se non con il consenso di un giudice, e non c'era magistrato in tutto il Giappone che avrebbe autorizzato l'affido di un minore ad una persona priva di alcun rapporto di parentela. Tutto ciò che poteva fare era cercare di uscirne assolto, o quantomeno di prolungare il proprio giudizio finché Mokuba non avesse raggiunto i 16 anni e, con essi, la possibilità di ottenere piena autonomia e capacità giuridica. Sulla prima opzione non si sentiva di voler scommettere, almeno non sulla pelle di suo fratello, ma aveva soldi a sufficienza per potersi permettere di pagare la parcella di Endo perché lo difendesse fino alla Corte Suprema. E davanti all'Imperatore stesso, se necessario.

Poi, però, arrivò quella telefonata che avrebbe demolito ogni sua speranza.

Era da parte di un numero non salvato in rubrica, che dal prefisso risultava effettuata da un telefono fisso cittadino. Solo uno sguardo al suo Blackberry gli permise quindi di capire che doveva rispondere a quella chiamata, perché era praticamente impossibile che uno sconosciuto avesse il suo numero, ed ancor più che un conoscente osasse disturbarlo al di fuori dell'orario di lavoro per qualcosa che non fosse della massima impellenza. Questo, oltre quel brivido gelido che gli scivolò lungo la spina dorsale chiamato pessimo presentimento, lo spinsero ad alzarsi e ad uscire all'istante dalla sala dove stava cenando.

-Pronto?- rispose, una volta al riparo dalle orecchie troppo curiose di Mokuba e dallo sguardo preoccupato di Kisara.

-Signor Kaiba?- sentì dire da una voce familiare -Sono il detective Mori.-

Le dita gli si strinsero nervose attorno al cellulare.

-Mi dica.- ingiunse, saltando inutili convenevoli.

Ci fu una pausa di incertezza.

-Il procuratore Nishiguchi ha disposto il rinvio a giudizio.-

I suoi occhi si ridussero a due fessure, contrariato. Credeva di disporre di più tempo, erano trascorsi appena quattro giorni dal suo rilascio... Ma, proprio perché l'aveva autorizzato, avrebbe dovuto intuirlo che quella donna si era già decisa sulla sua sorte.

-La data della prima udienza?- chiese allora, confidando che prima di quella trascorressero almeno un paio di mesi, come lo aveva rassicurato Endo.

-Il 25 di marzo.-

Avrebbe voluto chiedere al detective di ripetere, dirgli che o aveva capito male, o lui doveva aver sbagliato mese, ma purtroppo aveva sentito benissimo. Il 25 marzo. Tra neanche due settimane.

-Così presto?- protestò -Com'è possibile?!?-

Ci fu un'altra pausa, questa volta più lunga della prima.

-Signor Kaiba, quello che sto per dirle è strettamente confidenziale.- fece Mori con circospezione -Non sarei autorizzato a dirglielo ma, non avendo potuto garantirle l'immunità come mi ero impegnato, mi sentivo quantomeno in obbligo di preavvertirla per tempo, affinché abbia modo di prepararsi.-

-Prepararsi per cosa?-

Il detective emise un sospiro desolato.

-Sarà meglio che si sieda, prima che glielo dica.-

Non si sedette, chiaramente. Tuttavia nell'ascoltarlo lo sconforto lo assalì al punto da scoprirsi ad un tratto appoggiato con la schiena al muro. E così rimase anche quando, una volta terminata la telefonata, si ritrovò a fissare con sguardo perso il display vuoto del suo cellulare. Per tutto il resto della conversazione era rimasto in silenzio, astenendosi da commenti sarcastici che non gli sarebbero stati d'aiuto e per i quali aveva sentito un'improvvisa mancanza di ispirazione. D'altronde, non c'era molto da dire a Mori, eccetto ringraziarlo per il gesto. Anche perché il suo scopo non era stato quello di consentirgli di parlare con lui, ma con loro...

E non sarebbe stato affatto facile trovare le parole giuste per farlo, né il coraggio di affrontarli.

 

***

 

Quando la porta della sala si riaprì e scorse la sua espressione, ebbe la temuta conferma che c'era qualcosa che non andava.

La voce di Mokuba le stava parlando ignara, ma aveva smesso di prestargli attenzione sin da quando aveva udito la suoneria del suo cellulare. Quando anche lui si accorse che il fratello non era tornato a sedersi a tavola, si interruppe squadrandolo con aria interrogativa. Kaiba però eluse il suo sguardo e si rivolse interamente a lei.

-Puoi venire un attimo?-

A quella richiesta avrebbe tanto voluto rispondere che no, non voleva. Voleva rimanere lì seduta a tavola, e che lui tornasse a cenare con loro come se non avesse mai ricevuto quella telefonata. Tuttavia, rassegnarsi a cose che non voleva ma doveva fare ormai era diventata per lei un'abitudine.

Scostò meccanicamente la sedia ed ubbidì, seguendolo oltre l'atrio fin dentro al suo studio. Quando ne richiuse la porta alle spalle, Kisara non riuscì più a reggere quell'attesa e ruppe il silenzio.

-Che sta succedendo?-

Lui la guardò fisso, troppo fisso. I suoi occhi erano vacui, come se non la stesse guardando realmente ma avesse la mente altrove.

-Di chi era quella telefonata?- insistette ancora, percorsa da un fremito.

-Era da parte dell'ispettore Mori.- le rispose finalmente, con voce atona -Voleva avvertirmi che a breve manderà una pattuglia per prelevarmi. Devo tornare in carcere.-

Il respiro le si bloccò in gola.

No.

No.

Non ancora...

-Perché?- chiese con voce flebile.

Nascosta nella sua mente c'era già la risposta a quella domanda, ma la stava ricacciando indietro, rifiutandosi di ascoltarla. Rifiutandosi di crederci. Almeno fino a quando non l'avesse sentita dalle sue stesse labbra.

-Mi hanno revocato la libertà vigilata.- le spiegò -Non posso più beneficiarne, perché il pubblico ministero ha chiesto che venga condannato alla pena di morte e processato per direttissima.-

Non c'era un buon modo per dare una simile notizia, né Seto Kaiba era persona incline ad inutili giri di parole, ma le parve che fosse riuscito a scegliere proprio quello più spietato e brutale. Comunque, non poteva accettarla. Anzi, quella storia era andata già troppo oltre.

-Basta.- proruppe perentoria -Devi smetterla di proteggermi e dire la verità.-

-Assolutamente no, non voglio mettere anche te nei guai...-

-Allora lo farò io stessa.-

Lui serrò la mascella, fissandola duramente.

-Ragiona, per favore.- le intimò -Tutte le prove sono contro di me, nessuno mi crederebbe e tantomeno darebbe credito alle parole di una mia dipendente. Anzi, c'è il rischio che se ti esponi troppo qualcuno decida di indagare anche sul tuo passato, e così finiremmo sotto processo entrambi... E comunque dei due sono io quello che ha più possibilità di uscirne assolto.-

Abbassò il capo, mordendosi con frustrazione le labbra. Non rispose, né lui aggiunse altro al riguardo. D'altronde, cos'altro avrebbe potuto dirgli? Lo sapeva che aveva ragione. Ci aveva già riflettuto così tanto, in quei giorni, inutilmente.

Lei era inutile, maledizione...

-Kisara...- le mormorò poi, infrangendo un silenzio assordante -Ho bisogno che tu mi prometta una cosa.-

La ragazza si limitò ad alzare lo sguardo con riluttanza. Aveva paura di quanto avrebbe potuto esigerle, e di assumersi impegni che non poteva mantenere. Ma lui glielo chiese lo stesso, senza attendere il suo permesso.

-Devi prenderti cura di Mokuba.-

-No.- gemette -Non puoi chiedermi una cosa simile...-

-Promettimelo.- le ingiunse con fermezza -Non voglio che anche la sua vita venga stravolta per colpa di questa storia. Promettimi che gli starai sempre accanto, e che lo terrai al riparo dai media. E promettimi che lo proteggerai, qualunque cosa mi succeda.-

Kisara lo guardò supplichevole, senza però riuscire a smuoverlo, o anche solo a farlo tentennare. Perché era così ostinato da non capire che non poteva? Non poteva assumersi quella responsabilità, lei che riusciva a malapena a badare a se stessa. Né poteva prendere un posto così insostituibile: Mokuba aveva bisogno di suo fratello, non di lei. Ma anche se glielo avesse gridato in faccia, non sarebbe servito a fargli ritrattare quella richiesta, né avrebbe cambiato il fatto che lui non ci sarebbe stato, e che qualcuno avrebbe dovuto pensare al suo fratellino... e non certo in termini economici, ma come sostegno emotivo. Non si sentiva affatto adatta allo scopo, ma dopotutto quella era la sola cosa che le chiedeva in cambio e, per quanto le costasse, non era nulla rispetto al prezzo che lui avrebbe potuto pagare, pur di coprirla. E, soprattutto, era la sola in cui poteva essergli di un qualche aiuto...

Annuì piano, e vide l'espressione sul suo volto rilassarsi un poco.

-Ti ringrazio.-

Detto questo, si avvicinò alla porta e mise una mano sulla maniglia. Ma, prima che potesse piegarla, gli fece quella domanda che non riusciva più a trattenere.

-Perché proprio io?-

Lui si fermò sulla soglia, voltandosi a guardarla in un modo che si sarebbe potuto definire dolce, se non fosse stato anche così malinconico.

-Mi fido di te.-

-Non dovresti.- mormorò amareggiata -Non dovresti neanche essere in questa situazione... Sono io che ho premuto quel grilletto, non tu. E l'ho fatto così tante volte che neanche me lo ricordo, quante sono le persone che ho ucciso...-

-Ma sono io che ti ho spinto a farlo. E comunque, nemmeno io sono quella che si può definire una brava persona.- sospirò, scuotendo la testa -Anzi, qualcuno potrebbe dire che me lo merito.-

Quello era un altro discorso che davvero non voleva sentire. Non le importava nulla del suo passato, qualunque esso fosse. Lei aveva fatto ben di peggio. Inoltre, aveva potuto vederlo di persona che non era chi credeva la gente, e nemmeno quello che credeva lui. Se solo avesse potuto guardarsi sotto la stessa luce in cui lo vedeva lei, l'avrebbe capito.

-Non è vero.- protestò debolmente -Sono io che non merito tutto questo...-

Lui le rivolse uno sguardo fugace, e poi si voltò di nuovo verso la porta.

-Sì, invece.- si sentì dire -Te lo meriti, Kisara. Ti meriti di poter essere felice.-

Abbassò il capo, non sapendo come replicare ad un'affermazione simile. E non solo perché, prima di conoscerlo, nessuno si era mai preoccupato per lei. Ma perché sentiva che non avrebbe mai potuto riuscirci, ad essere felice. Non senza di lui. Anzi, il solo vederlo uscire da quella stanza e allontanarsi verso una separazione così indefinita, forse definitiva, le faceva sanguinare il cuore.

-Seto...!-

Come udì la sua voce chiamarlo, urgente di confessargli quel bisogno fino ad allora segreto perfino a se stessa, si spaventò ed ogni altra parola le morì in gola. Lui si fermò un attimo, volgendosi appena a guardarla.

Dedicandole un ultimo, triste sorriso.

 

***

 

Era stato terribile parlare con lei, ma con lui fu anche peggio.

Mokuba si rifugiò in un silenzio impenetrabile, irragionevole. Questo gli fece più male di qualunque grido o pianto. Forse se fosse stato una persona più sensibile avrebbe saputo come prenderlo per il verso giusto. Forse se avesse avuto più tempo sarebbe riuscito a farglielo accettare, quello che lo attendeva. Ma i minuti scivolavano via ineluttabili, facendogli perdere il controllo della propria vita.

E fu troppo presto che vennero a bussare alla sua porta.

 

***

 

Si avvicinò piano al ragazzino, rimasto a fissare perso una strada ormai vuota.

-Mokuba...- lo chiamò cauta, stringendosi nel suo cappotto.

Lui si voltò a guardarla con gli occhi arrossati.

-So che sei preoccupato, ma vedrai che si risolverà tutto.- gli disse dolcemente, cercando di suonare rassicurante -Lo sai che tuo fratello non è un tipo che si arrende facilmente. Però, non devi aggiungere alle sue preoccupazioni anche le tue, capisci? Mostrati forte per lui, solo così puoi essergli davvero d'aiuto.-

Mokuba parve capire, strinse le labbra ed annuì un poco.

-Sì, credo tu abbia ragione...-

Rimase con lui tutta sera, fino a quando non venne ora che andasse a dormire. Allora poté finalmente chiudere la porta della sua stanza, rifugiandosi dietro di essa. Sfuggendo allo sguardo del piccolo, e all'insostenibile sforzo di mostrarsi incoraggiante e fiduciosa, quando invece era ben conscia della gravità della situazione. Perché, per quanto Seto fosse innocente e il suo avvocato potesse essere abile, qualunque strategia difensiva era destinata al fallimento. Ed il suo non era semplice pessimismo, ma onesto realismo: le statistiche dimostravano che, una volta chiesto il rinvio a giudizio, ben il 99,88% degli imputati finisce per ricevere una condanna. Specialmente nei casi di omicidio. Praticamente sempre, quando viene chiesta la pena di morte.

Era da illusi sperare in un'assoluzione.

Si portò le mani al petto all'improvviso ansimante, cercando di fermarne lo spasimo. Tentando di placare il dolore fisico che quasi le stava dilaniando l'anima.

Inutilmente.

Conficcò le unghie nella carne, ma neanche quello servì a distoglierla da simile sofferenza. E ad indugiarvi ottenne solo l'effetto opposto, che crescesse fino a trasformarsi in una vera e propria agonia. Persino il respiro le era divenuto faticoso, bloccato da quel groppo impellente che le ardeva in gola. Si morse convulsamente le labbra, tentando di trattenerlo. Ma più vi opponeva resistenza, più si faceva insopportabile. E lei voleva solo che sparisse... subito.

Si accasciò tremante sul letto, ed affondò il viso nel cuscino. Soffocandovi il grido disperato che le uscì dalle labbra, bagnandolo con le tante, troppe lacrime trattenute.

Era tutta colpa sua.

 

[striscia sul mio ventre finché il sole non tramonta
non indosserò mai la tua corona spezzata

posso ricevere la forca e posso mandarla del tutto a puttane
ma in questo crepuscolo, le nostre scelte segnano il nostro destino]

 

Evee's corner

 

H^o^la!

Alors, stavolta preparatevi ad un fiume di precisazioni, perché ci tengo a fare le cose per bene:

1. in Giappone è il pubblico ministero che decide se sottoporre o meno a processo un indagato in piena autonomia, che io sappia non esiste equivalente alla nostra udienza preliminare, dove un giudice decide se rinviare o meno a giudizio l'imputato;

2. sulle aggravanti dell'accusa di Seto, tenete conto che la legge giapponese considera la detenzione d'armi da parte dei privati illegale, non c'è come da noi la possibilità che se ne autorizzi il porto;

3. l'indice Nikkei è dato dai valori di quotazione dei titoli di maggior valore nella borsa giapponese, e mi è parso scontato che tra essi vi fossero anche le azioni della Kaiba Corp.;

4. la pena di morte esiste ancora, sebbene non venga applicata di frequente e comunque previa approvazione del Ministro della Giustizia, per i casi di omicidio plurimo o aggravato. Per la precisione, per impiccagione;

5. da quello che ho letto i processi in Giappone sono lunghi come in Italia ma, dato che alla fine di 'sto processo immagino vogliamo arrivare tutti in tempi brevi, mi sono concessa la licenza poetica del processo per direttissima. Che poi, troppo implausibile non è: in Italia si utilizza questo rito in caso di flagranza o confessione, ma so che in altri Stati si tende ad accorciare i tempi quando il reato è grave e ci sono prove schiaccianti contro l'imputato;

6. non so se anche in Giappone ci sia un equivalente della nostra emancipazione, confesso che la parte sulla problematica della tutela di Mokuba me la sono un po' inventata prendendo spunto dal diritto italiano... Che vi devo dire, avevo bisogno di altro dramma.

Bene, mi pare sia tutto. Spero di non avervi stordito con il mio legalese, se avete dubbi o perplessità alzate la mano!!!

Grazie infinite della sopportazione, aggiornerò mercoledì “Little Brother” per rincarare la dose di angst, mentre qua ci si rivede domenica as always.

XOXO

- Evee

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Capitolo 5
*** Little lion man ***


V - Little lion man

 

{But it was not your fault, but mine
And it was your heart on the line
I really fucked it up this time
Didn't I, my dear?
}

 

-I suoi effetti personali, prego.-

Scoccò un'occhiata di traverso all'agente penitenziario, per quanto fosse consapevole che si trattava della prassi e non di una sua decisione. Solo dopo, con riluttanza, si separò dal Rolex, dal Blackberry e dal portafoglio, abbandonandoli nella cassetta metallica a lui dedicata e che si augurava li custodisse a dovere.

-Anche quello, se non le dispiace.- aggiunse la guardia, indicandogli il portafoto che portava al collo.

-, mi dispiace.- ringhiò, per nulla intenzionato a separarsi dal regalo di suo fratello.

-Non era una domanda.- replicò quello con lo stesso tono -Lo consegni.-

Parafrasando, Seto lo mandò al diavolo.

Per tutta risposta, gli arrivò un colpo di manganello dritto nello stomaco, che gli spezzò il respiro e gli fece capire che, d'ora in avanti, avrebbe dovuto sforzarsi di mordersi la lingua prima di parlare.

E così fece quando venne scortato in un gelido spogliatoio perché si svestisse ed indossasse un'anonima tuta di un colore che era solo il pallido ricordo di quello originario, e con un odore talmente sgradevole che temette fosse ancora di appartenenza del precedente proprietario. Ad aumentare il suo disgusto, c'erano un tessuto più ruvido della carta vetrata e una targhetta identificativa appuntata sul davanti...

"70593".

Grandioso, era appena stato omologato. In pratica era come tornato alle superiori, se non fosse che almeno lì lo chiamavano rispettosamente per nome e poteva indossare una divisa comoda, pulita, di un colore che gli piaceva e soprattutto interamente sua.

Successivamente, come ulteriore umiliazione, fu condotto in un'altra stanza affinché venisse catalogato.

-Nome?- gli chiese un altro agente, cartelletta alla mano.

Glielo stava chiedendo seriamente o lo stava prendendo per il culo?

-Seto Kaiba.- rispose a denti stretti.

-Professione?-

-Presidente ed amministratore delegato di una società che, guarda caso, si chiama Kaiba Corporation.-

L'uomo non gli diede neanche la soddisfazione di rispondergli e, trascritto il tutto, gli ingiunse di salire su una bilancia perché si pesasse. Poi gli misurarono l'altezza, gli prelevarono campioni di sangue e di urine, gli presero le impronte digitali e gli scattarono delle foto segnaletiche. Infine, come regalo di benvenuto gli consegnarono il regolamento della prigione, il cui studio l'avrebbe dovuto tenere impegnato fino a quando non lo avesse imparato con la stessa, maniacale cura con cui erano stati scritti i suoi cento e passa articoli.

Ma lui dopo un'ora l'aveva già imparato a memoria, e per la noia si era messo a leggere anche la versione cinese, coreana, inglese e russa alla ricerca di eventuali errori di traduzione.

D'altronde, non c'era molto altro che potesse fare per ingannare il tempo... I cinque metri quadri che gli avevano assegnato erano riusciti a fargli sentire subito la mancanza della sua vecchia cella al commissariato di polizia. Spazio che, tolti il futon, la scrivania, il lavandino e il gabinetto, risultava pressoché inesistente e gli impediva di muoversi liberamente. Ma, anche se avesse voluto farlo, l'articolo 6 del regolamento diceva chiaramente che gli era consentito alzarsi solo per andare in bagno. Per tutto il resto del tempo doveva starsene seduto e ben visibile alle telecamere di vigilanza, puntate su di lui 24 ore su 24. Perché sì, doveva tenere la luce accesa anche di notte. Tra l'altro, quell'alienante lampadina alogena era tutta l'illuminazione di cui poteva beneficiare, poiché tra la finestra e l'inferriata esterna c'era uno schermo di ferro perforato giusto quel che bastava per garantirgli un ricambio d'aria. Ma ad essere onesti avrebbe quasi preferito fosse del tutto chiuso, perché in quel posto non c'era il minimo riscaldamento e si sentiva già le membra ghiacciate fino al midollo osseo.

Tuttavia quello sembrava essere il meglio che quel posto potesse offrire, almeno per dei potenziali dead men walking. Perché, se si trovava nell'isolamento più totale e sotto stretta sorveglianza, era merito del fatto che gli era stata riservata una cosiddetta “cella anti-suicidio”. E forse, un tempo, quando ancora attribuiva all'orgoglio la priorità su tutto, persino su suo fratello, avrebbe davvero preso in considerazione l'opzione di togliersi la vita per sottrarsi ad una simile umiliazione. Il suo padre adottivo l'avrebbe sicuramente fatto. Poteva distintamente sentir riecheggiare la sua voce aspra impartirgli il suo ultimo precetto: meglio morire piuttosto che vivere nel disonore. Anche se non c'era molto nella stanza che potesse servire allo scopo, Gozaburo Kaiba non avrebbe esitato a corrompere un secondino perché gli procurasse una corda per anticipare il lavoro del boia. E, in caso di insuccesso, sarebbe comunque riuscito a soffocarsi staccandosi la lingua a morsi.

Ma lui, anche se ne aveva ereditato il cognome, non era suo padre.

Se lo fosse stato davvero, non avrebbe mai messo piede in quella prigione. Non avrebbe mai cercato di aiutare a sue spese un'altra persona, né avrebbe desiderato così tanto tornare da lei.

Perché lo sapeva che, senza la sua luce accanto, quella notte non sarebbe riuscito a sfuggire dai propri incubi.

 

*

 

La mattina seguente, nel giro di poche ore riuscì a collezionare tre ammonimenti, altrettante punizioni corporali e una riduzione di cibo.

Conservare il proprio orgoglio gli era costato caro, insomma. Ma proprio non era riuscito a rinunciarci quando, alle 7 e 30 spaccate, le guardie erano passate per fare l'appello. E lui non solo si era rifiutato di inchinarsi al loro fottuto cospetto, ma aveva anche osato guardarli in viso. Il che pareva essere un'infrazione alquanto grave dell'articolo 11 del regolamento, specialmente se si incrociava il loro sguardo con l'espressione ostile e sprezzante che lui aveva loro dedicato. Né era riuscito a calpestare il suo amor proprio quando aveva dovuto recitare quel pentalogo che volevano sentirlo gridare ad ogni suo spostamento: “D'ora in poi sarò onesto, sincero, educato e rispettoso. Collaborerò, mi atterrò alle regole, mi pentirò profondamente e sarò riconoscente”.

Lui aveva cambiato un po' troppo quella formula, e nessuno dei secondini aveva mostrato di apprezzare il suo sarcasmo.

Se non ci fosse già stato, si sarebbe di certo guadagnato l'isolamento a tempo indeterminato. Ma, dopotutto, quello era l'unico aspetto del suo trattamento a lui gradito. Non aveva mai avvertito la necessità di stringere amicizia con altre persone per sfuggire alla solitudine: non era un insicuro, lui. Stava bene con se stesso. Tantomeno sentiva il bisogno della compagnia di un criminale analfabeta che lo avrebbe solo distratto dai suoi pensieri, se non dato ai nervi. Ma, considerando gli insulti che gli altri carcerati solevano lanciare al suo indirizzo, neanche lui sarebbe stato un compagno di cella tanto gradito... Probabilmente avrebbe finito per istigare al pestaggio a sangue o a farsi sodomizzare, tra l'altro senza poter contare su alcun intervento in suo favore da parte di guardie alle quali sin da subito non era stato simpatico, e che si era già premurato di inimicarsi ulteriormente. Si sarebbero girate dall'altra parte o, perché no, unite al divertimento.

Comunque, quella giornata non era iniziata sotto grandi auspici, né si aspettava un suo miglioramento. Di certo, non sarebbe migliorato il suo umore...

Ma si dovette ricredere quando, a metà pomeriggio, vennero ad annunciargli che aveva una visita.

 

***

 

-Dove crede di andare?-

Kisara fissò con aria di sfida la guardia che le aveva appena sbarrato il passaggio. “Dove cazzo mi pare”, avrebbe voluto rispondere.

-Ad accompagnare quel ragazzo a trovare suo fratello.- gli annunciò ostile.

Nell'udire la sua voce tanto alterata, Mokuba si fermò poco oltre il tornello e si voltò a guardarla con aria preoccupata. Quell'uomo, invece, rimase imperturbabile.

-E' una parente?-

-No, ma...-

-Allora non può passare.-

Questa volta fu Mokuba a protestare con vivacità.

-Passerà, invece.- sibilò, fulminandolo con uno sguardo davvero da Kaiba -O preferisce discuterne con il nostro avvocato?-

-Può chiamare tutti gli avvocati che le pare, per quel che mi riguarda.- replicò secco -Queste sono le regole.-

Il piccolo aprì nuovamente la bocca per ribattere, ma Kisara ritenne più opportuno fermarlo prima che a causa della sua insistenza venisse vietato anche a lui l'accesso.

-Lascia perdere, Mokuba.- gli disse, cercando di suonare conciliante. -Vai pure. Io resto qui ad aspettarti.-

Lui piegò le labbra colme di disappunto.

-Ma Keira, non è giusto...!- protestò.

No, era una vera e propria ingiustizia. Ma non potevano farci nulla. E poi, forse per lei era meglio così. Anche se soffriva la sua mancanza, temeva avrebbe sofferto ancora di più nell'abbandonarlo in quel posto, dopo averlo rivisto.

-Non importa...- mormorò, cercando di abbozzare un sorriso -Digli solo che lo saluto.-

 

***

 

Quando vide al di là del vetro il volto sorridente di suo fratello, sorrise anche lui.

Non avrebbe voluto mostrarsi a Mokuba in quelle condizioni, ma proprio non se la sentì di rimproverarlo per essere venuto a trovarlo. Anzi, era sollevato di scoprire che non ce l'aveva più con lui e che, almeno in apparenza, sembrava stare bene. Inoltre, più egoisticamente, gli faceva piacere avere la sua compagnia.

-Avete mezz'ora.- gli annunciò secca la guardia che l'aveva preso in carico.

Lui gli scoccò un'occhiataccia, ma non ribatté. Gli avevano ripetuto fin troppe volte che poteva parlare solo su domanda, e la circostanza che in quella stanza registrassero tutto quello che vi veniva detto sconsigliava di fare commenti poco graditi all'amministrazione carceraria.

Si sedette di fronte a suo fratello, che per primo decise di rompere il ghiaccio.

-Con quella divisa stai da schifo.- osservò canzonatorio, con una smorfia di finto disgusto.

Non si aspettava una simile frase per sdrammatizzare, ma funzionò. Per un attimo gli sembrò quasi di essere seduto con lui in soggiorno, a sorridere delle sue battute.

-Non me ne parlare.- gli fece allora con lo stesso tono, alzando gli occhi al cielo, per poi tornare più serio nel riabbassarli -Come stai?-

-Questo dovrei chiederlo io, non credi?- ribatté lui, inarcando un sopracciglio -Guarda che siamo tutti preoccupati per te... Sono venuto qui insieme a Keira in realtà, ma non l'hanno lasciata passare. Ha detto di salutarti.-

Nel sentirla menzionare e nello scoprire che non gli sarebbe stato concesso di vederla, il suo cuore si strinse per il dispiacere, i suoi pugni per il disappunto. Ma si sforzò di celare il suo turbamento.

-Dille che la ringrazio, allora.-

Mokuba annuì, anche se solo lei avrebbe potuto capire quello che sottintendeva realmente. Perché non le era grato solo per essere passata a visitarlo, ma anche e soprattutto perché era pronto a scommettere che lo doveva a lei, se suo fratello era tornato così in fretta ad essere tanto aperto nei suoi confronti.

-Allora?- premette di nuovo il suo fratellino -Come va?-

Sorrise.

-Ora meglio.-

Chiacchierarono finché fu loro possibile, raccontandosi la propria giornata come facevano sempre: l'uno cercando di essere spensierato, l'altro di ironizzare. Poi però la solita, stramaledetta guardia li venne ad interrompere, e Mokuba fu costretto ad alzarsi per andarsene. Ma, prima di farlo, lo salutò con la mano e un'espressione incoraggiante.

-Verrò a trovarti tutti i giorni, promesso!-

 

*

 

E così avvenne per i due giorni successivi.

Poi, però, gli vennero interdetti ulteriori colloqui con qualunque persona che non fosse il suo avvocato.

L'ennesimo regalo da parte del procuratore Nishiguchi, che aveva chiesto al tribunale ed ottenuto senza troppi sforzi quel provvedimento sulla base di un asserito pericolo di inquinamento delle prove. Aveva ordinato ad Endo di presentare subito ricorso contro quella decisione, ma era stato altrettanto rapidamente rigettato. Il solo modo con cui poteva ancora parlare con suo fratello era a distanza, e non senza restrizioni... Non poteva fare telefonate, poteva solo ricevere una corrispondenza che gli veniva recapitata già aperta e scandagliata dalle guardie. Da parte sua, invece, gli era concesso di scrivere solo una lettera al giorno in cui, dato che non poteva essere più lunga di sette pagine, doveva cercare di condensare con la sua scrittura più minuta sia i messaggi per Mokuba che le istruzioni da impartire ad Isono per salvare la propria società dal fallimento. Che, tra l'altro, non solo venivano letti prima della spedizione, ma potevano anche essergli restituiti o addirittura censurati se con contenuti giudicati “inopportuni”...

Gestire la Kaiba Corp. in quelle condizioni era a dir poco frustrante, ma non aveva alternative. Inoltre, pensare al lavoro era uno dei pochi svaghi che si poteva permettere ed in grado di impedire ai suoi neuroni di atrofizzarsi. Quanto al resto del suo corpo, gli era concesso di praticare per mezz'ora esercizio fisico tre volte a settimana. Sempre se si può chiamare esercizio fisico camminare in tondo o, al massimo, saltare una corda. Né si poteva definire palestra una terrazza di appena cinque metri per due, e rigorosamente sorvegliata dall'alto per controllare che non provasse ad utilizzare quella fune per impiccarsi. Ma forse era meglio così, perché se avesse sudato troppo poi non si sarebbe potuto neanche fare una doccia. Certo, gli era permesso di farsi un veloce bagno di 15 minuti, chiaramente comprensivi del tempo necessario a svestirsi e rivestirsi, ma solo in due differenti giorni della settimana. Non sia mai che abbandonasse la sua cella troppo a lungo.

Quella cella che gli stava diventando sempre più stretta, e soffocante.

 

***

 

Arrivò il 25 di marzo.

Ovvero, la data in cui si sarebbe tenuta la prima udienza di quello che i giornalisti avevano soprannominato il “KK Case”, utilizzando come sigla le iniziali della vittima e dell'imputato. E ogni volta che Kisara sentiva quell'espressione, non poteva fare a meno di considerare, con amarezza, che si erano dimenticati di aggiungerne un'altra... Quella della colpevole.

Comunque, l'attenzione mediatica intorno alla vicenda si era fatta sempre più ossessiva, tanto che doveva letteralmente fare da scudo umano a Mokuba ogni volta che si mostrava in pubblico, per evitare che venisse assalito dai reporter.

Evenienza che, puntualmente, si verificò anche quel giorno lungo la scalinata del Palazzo di Giustizia.

-Come si sente in questo momento, signorino Kaiba?-

-E' davvero convinto dell'innocenza di suo fratello?-

-Signorino Kaiba, una dichiarazione...!-

Di fronte a tutti quei flash, microfoni e telecamere puntate addosso, Mokuba si paralizzò sui gradini, pallido e con gli occhi sgranati. Come se non fosse già stato abbastanza agitato da solo. Furente, Kisara gli si parò davanti e trucidò con lo sguardo la folla che stava ostruendo loro l'ingresso.

-Levatevi di mezzo!- esclamò loro.

Qualcuno fu abbastanza previdente da scansarsi all'istante, mentre i più ostinati vennero spintonati via con malagrazia, tra urla di protesta e minacce di denuncia per violenza privata. Lei li ignorò e, assicuratasi che il piccolo Kaiba la stesse seguendo, si fece strada nell'ampio e solenne atrio del tribunale. Le toghe svolazzanti di numerosi avvocati brulicavano in quel crocevia, chi reggendo voluminosi faldoni, chi ventiquattrore e cellulare. Ma lei non si lasciò disorientare e, memore delle indicazioni fornitole da Endo, scortò Mokuba verso l'ala destra dell'edificio, quella penale, alla ricerca dell'aula numero 9. Comunque, c'era così tanta gente che premeva alle sue porte che sarebbero riusciti a trovarla lo stesso.

A fatica e con qualche sgomitata si introdussero all'interno. Era una stanza stretta, perimetrata da colonne sbeccate e bisognosa di una mano di vernice, cionondimeno in grado di incutere rispetto. Di fronte a loro si stagliava imponente il banco ligneo della corte, affiancato dalle contrapposte ed ancora vuote postazioni delle parti. L'altra metà dell'aula era invece interamente riservata al pubblico, e già ampiamente occupata. Ma Kisara era stata abbastanza previdente da chiedere ad Isono di recarsi lì in anticipo, per prendere loro posto davanti ed evitare a Mokuba lo stress dell'attesa. Lui, appena li vide, si sbracciò accorato perché lo raggiungessero. Efficientissimo come sempre, si era schierato in prima fila, proprio dietro la ringhiera che fungeva da divisorio.

Una volta seduti, sentì di poter finalmente abbassare la guardia. Ma questo permise alla tensione da cui finora era stata distratta di crescere, fino a farsi quasi palpabile. Cercò di dissiparla, ma i suoi sforzi furono vanificati dal discorso di un uomo alle sue spalle.

-Sono proprio curioso di sentire quali balle si inventerà Kaiba per farla franca.-

-Anch'io.- replicò una voce femminile -Ma spero che almeno questa volta abbia quello che gli spetta, quel bastardo.-

Non poté impedire alle sue orecchie di sentire quelle parole, né poté evitare che anche Mokuba le udisse. E benché il piccolo continuasse a fissare davanti a sé a testa alta, non le sfuggì il tremito delle sue labbra e come strinse i pugni, convulsamente, fino a farsi sbiancare le nocche.

Delicatamente, Kisara lo prese per mano, cercando di infondergli ed infondersi coraggio.

 

[ma non è stata colpa tua, bensì mia
ed era il tuo cuore ad essere in gioco

questa volta ho proprio fatto un casino
non è vero, mia cara?]

 

Evee's corner

 

H^o^la!

Ok, ok, lo so. Sto letteralmente massacrando Seto. D'altronde avevo minacciato dramma, e dramma vi sto servendo. Comunque, questo è il capitolo più 'forte' di tutti, e spero di essere riuscita ad alleggerire i toni altrimenti troppo pesanti filtrando la narrazione con il sarcasmo del nostro sventurato protagonista e di aver dipinto sulle vostre labbra un sorriso, per quanto amaro. Poi, dato il tema affrontato, ci tenevo a precisare che nel descrivere il trattamento e lo stile di vita nelle carceri giapponesi sono stata e sarò tristemente fedele alla realtà (non che nelle nostre i detenuti se la spassino, beninteso). Per quanto il Giappone sia un paese estremamente civilizzato, sul rispetto dei diritti umani ho scoperto con sconcerto che sembra quasi rimasto al medioevo. Ho cercato di approfondire il più possibile la tematica, basandomi su quanto riportato nel sito internet di “Nessuno tocchi Caino” (per chi non la conoscesse, è un'organizzazione che promuove nel mondo l'abolizione della pena di morte) ed il saggio, curato da Amnesty International, “La pena di morte in Giappone. Una realtà nascosta”. Come sempre però, se avete delle segnalazioni da farmi o magari consigliarmi qualche altra lettura su questo argomento ne sarò più che felice.

Grazie infinite di supportarmi e sopportarmi, alla prossima domenica!

XOXO

- Evee

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Capitolo 6
*** Devil's spoke ***


VI - Devil's spoke

 

{All of this can be broken
All of this can be broken
Hold your devil by his spoke and spin him to the ground}

 

«La legge è uguale per tutti».

Quella scritta luccicante fu la prima cosa su cui i suoi occhi si posarono nel fare ingresso in aula. Non aveva mai dato peso a quell'espressione, fermamente convinto che ci fossero persone comunque più uguali delle altre, e che lui fosse una di queste. Tuttavia, di recente era stato costretto a ricredersi e a realizzare che c'erano cose contro le quali né il suo nome, né i suoi soldi potevano nulla.

Due agenti lo strattonarono ai lati, facendo sì che le manette gli scavassero i polsi e lo trascinassero dentro l'aula come un animale per il giogo. Il suo avvocato era in attesa dietro un tavolo laterale e una pila di fascicoli, ma lui venne costretto a fermarsi al centro della stanza, in modo che tutti potessero essere spettatori della sua umiliazione. Ma questa non era nulla rispetto a quelle che aveva già dovuto subire, in carcere e ancor più per tutta la sua infanzia, per cui camminò a testa alta, imperturbabile, così come era rimasto indifferente di fronte al comitato di benvenuto che i giornalisti gli avevano organizzato all'ingresso.

Eppure, non poté impedire alla sua retina di catturare un baluginio luminoso in prima fila, né al suo corpo di voltarsi verso la ragazza dagli occhi blu che tanto a lungo aveva desiderato rivedere. Ma fu uno sguardo che lo trafisse dolorosamente, perché lei lo stava osservando con quell'espressione triste che mai più avrebbe voluto scorgere sul suo volto.

-In piedi! Entra la corte!-

La voce di un cancelliere riecheggiò amplificata nell'aula, costringendolo a rivolgersi di nuovo verso la massiccia impalcatura lignea della corte distrettuale. Dietro di essa venne aperta una porta intarsiata e cigolante, facendo emergere le figure scure di tre giudici togati che si ersero solenni nei loro manti di ermellino, quasi a voler esibire i loro trofei venatori. Poi, fu il turno della giuria popolare chiamata ad esprimersi sul merito della causa. Tre per lato, quei cittadini asseritamente probi ed onesti lo squadrarono feroci al sentore del suo sangue, pronti ad essere sguinzagliati come mastini.

Il presidente quindi con un colpo secco fece risuonare il suo martello sul bancone, dichiarando aperta la stagione della caccia.

 

***

 

Rivederlo fu un brusco, sofferto tuffo al cuore.

La sua figura slanciata aveva conservato il tipico portamento fiero, ma ogni suo passo era rigido ed affaticato, quasi dimentico di come si facesse a camminare. E quando si rivolse a lei, soffrì ancor di più nello scoprire il suo viso pallido e scavato dalle privazioni, come scavate erano le fosse scure sotto ad occhi azzurri in cui riconobbe a stento il calore di un tempo.

L'assalì impellente il bisogno di allungare le braccia oltre quelle sbarre che li stavano separando, anche solo per sfiorarlo. Lui era lì, a neanche due metri da lei... eppure, era una distanza che pareva incolmabile.

-In piedi! Entra la corte!-

L'annuncio recise i loro sguardi e, come lui fu costretto a voltarsi, lei dovette alzarsi su due gambe che sembravano non essere più in grado di reggere il suo peso. Ma quando, distrattamente, si accorse della comparsa del pubblico ministero, si sentì per davvero sull'orlo di un mancamento.

Conosceva quella donna.

In tutta onestà quando aveva saputo come si chiamava il procuratore che seguiva il caso aveva già avuto un sentore di familiarità, ma si era imposta di non prestare troppa attenzione alle sue inclinazioni paranoiche... Anzi, si era lasciata trarre in inganno dal nome e si era immaginata si trattasse di un uomo. Ed in effetti il taglio dei suoi capelli biondo cenere era abbastanza androgino, ma era indubbio che il suo sesso fosse quello femminile. Come altrettanto indubbiamente aveva l'aspetto della donna che, negli ultimi tempi, si ricordò di aver visto in compagnia di Kurosawa. Certo, lui era più un uomo da relazioni usa-e-getta, ma sembrava anche che provasse troppe remore per potersi sbarazzare di quella con leggerezza... presumibilmente a causa della sua risaputa parentela con Shigeo Nishiguchi, attuale sosai dello Sumiyoshi-kai e che, quello sì, intendeva tenersi ben stretto. In altre parole, la sfruttava al pari di tutte le altre donne che si era portato e continuava a portarsi a letto nel mentre... Abitudine di cui lei era ingenuamente ignara o, forse, di cui era consapevole ma su cui preferiva soprassedere, avendo del tutto perso la testa per Kurosawa.

Ragion per cui, ora, Kisara comprendeva appieno perché si accanisse così ferocemente per avere quella della persona che credeva l'avesse ucciso.

-Si da atto della presenza delle parti, regolarmente costituite.- echeggiò la voce anziana del presidente della corte -Prego, procuratore Nishiguchi. A lei la parola.-

La donna allora si erse sui suoi tacchi a spillo, gli occhi scuri pericolosamente simili a quelli di una serpe pronta a scattare sulla sua preda.

-Grazie, Vostro Onore.- fece, con un tono così fermo da non necessitare nemmeno del microfono per farsi udire -Signori della corte, ci ritroviamo oggi in giudizio per accertare la penale responsabilità del qui presente Kaiba Seto...-

Seguì l'elencazione di una serie di articoli del codice penale, modo tanto univoco quanto criptico per identificare i capi d'accusa. Tecnicismi di un linguaggio comprensibile solo a quei tre iniziati che, occasionalmente, la interrompevano per unirsi al suo salmodiare. Poi il mantello di quella fattucchiera riprendeva ad ondeggiare, mosso dai gesti enfatici con cui accompagnava la formula dell'incantesimo che stava recitando con assoluta padronanza.

Ed ogni sua parola risuonava alle orecchie di Kisara come una maledizione, scagliata con rabbia sulla vittima da lei prescelta per quel rito sacrificale.

 

***

 

Il discorso d'apertura del p.m. fu metodico, dettagliato ed interminabile.

Dopo aver esposto la sua imputazione, iniziò a ripercorrere sin dal principio i fatti di causa, ossia dalla gara d'appalto individuata come il casus belli scatenante l'intera vicenda. Produsse praticamente tutti i documenti relativi alla trattativa e lesse ampi stralci dei verbali riportanti l'esito degli accertamenti e dei rilievi effettuati dalla Polizia di Domino nel corso degli interventi e successivi sopralluoghi occasionati dai tentativi di omicidio nei suoi confronti. Poi passò a narrare le dinamiche della retata organizzata ai danni di Kurosawa, sottolineando il suo coinvolgimento soprattutto per quanto ne riguardava l'esito. Fece ascoltare le registrazioni dei suoi dialoghi con la vittima, lesse il referto della scientifica corredato di parere medico-legale ed esame balistico, per poi esibire la pistola purtroppo rinvenuta perquisendo la sua villa e di cui aveva disposto il sequestro probatorio.

-Credo che il semplice riscontro tra quest'arma e il bossolo ritrovato nel corpo della vittima sia di per sé prova sufficiente per dimostrare la colpevolezza dell'imputato oltre ogni ragionevole dubbio.- tirò dunque le fila la Nishiguchi con spregevole soddisfazione -In ogni caso, per eliminare ogni possibile incertezza, chiedo l'autorizzazione a citare come testimoni per le prossime udienze anche i signori Shudo Takeshi ed Inoue Dai...-

Seto corrucciò le sopracciglia, chiedendosi chi diavolo fossero quei due tizi. E, dalla loro espressione, capì che se lo stavano chiedendo anche il suo avvocato e tutti i giudici della corte.

-Mi oppongo, Vostro Onore.- balzò in piedi Endo quasi in automatico -Non colgo la rilevanza di queste dichiarazioni...-

-Sono perfettamente ammissibili, invece.- ghignò la Nishiguchi -Il signor Takeshi, all'epoca dei fatti, era il buttafuori del “Nightingale”. Come potrà confermare di persona, è lui che ha provveduto a perquisire l'imputato prima del suo colloquio con Kurosawa, rinvenendogli addosso una SIG Sauer P226... Ovvero, l'arma del delitto che vi ho mostrato poco prima.-

L'imputato in questione si incupì ancora di più, innervosito dal fatto che il pubblico ministero avesse omesso di dire che aveva consegnato spontaneamente quell'arma, collocandola fuori dalla sua portata. Ma Endo avrebbe sicuramente provveduto a far chiarezza sul punto nel controinterrogatorio... O almeno se lo augurava.

-E per quanto riguarda il signor Inoue?- domandò allora il presidente.

Il pubblico ministero si esibì in un sorriso malizioso.

-E' presto detto.- disse, volgendosi verso un cancelliere poco in disparte -Può farmi la cortesia di farci ascoltare di nuovo la registrazione numero due? Non tutta, basterà andare direttamente al minuto 17...-

L'ufficiale annuì, e si mise a cercare il punto prescelto. Dopo una breve, silenziosa attesa, la voce di Riichi Kurosawa ritornò dall'oltretomba per risuonare nell'aula.

-Direi che possiamo saltare la parte delle presentazioni, visto che avete già avuto il piacere di conoscervi...-

Poi, Seto poté udire distintamente la propria voce in risposta.

-E' esatto. Credo di doverla ringraziare per questo, visto che dopotutto è stato merito suo...-

-Può bastare, grazie.- intimò sbrigativa il pubblico ministero.

La registrazione venne interrotta, e la Nishiguchi riprese a parlare, crogiolandosi nel compiacimento di essere riuscita a far pendere tutti dalle proprie labbra. Ma Seto aveva già capito, purtroppo, dove voleva andare a parare.

-Come è evidente da questo dialogo, il signor Kaiba ed il signor Kurosawa non erano i soli presenti nella stanza in cui è avvenuto il delitto... C'era anche una terza persona.- fece, sostando per una pausa ad effetto -Inoue Dai, per l'appunto. Ovvero, uno degli agenti che erano stati assegnati come scorta al signor Kaiba, che Kurosawa ha corrotto perché cercasse di ucciderlo, il cui inseguimento ha condotto la squadra dell'ispettore Mori fino al Nightingale e che, come lui stesso è pronto a testimoniare, ha assistito alla commissione dell'omicidio. Quindi, a conti fatti, direi che la sua deposizione è più che ammissibile, Vostro Onore.-

Seto rivolse a quella donna malefica uno sguardo carico d'odio. Non solo non aveva mai menzionato il nome di quell'agente prima d'allora, ma aveva persino trovato il modo di convincerlo a dichiarare il falso... Come se non ci fossero già state abbastanza prove a suo carico da smentire.

-Permesso accordato, allora.- assentì il presidente della corte -Se non ha altre richieste, può concludere.-

La Nishiguchi si piegò in un lieve inchino.

-Certamente.- rispose con compostezza -Alla luce delle investigazioni effettuate, delle prove raccolte e della gravità del fatto commesso, chiedo che l'imputato venga condannato alla pena di morte.-

-Procuratore Nishiguchi...- la richiamò allora uno dei giudici -Può motivarci le ragioni che l'hanno indotta a domandare una simile sanzione?-

Le voragini scure che quella donna aveva al posto degli occhi si accesero per l'entusiasmo, come se fino ad allora non avesse atteso che quel momento.

-So bene che la pena capitale rappresenta un'extrema ratio, la cui applicazione va ponderata con cautela...- iniziò a dire -Tuttavia, ritengo che in questo caso sia più che giustificata. Il signor Kaiba, vedete, rappresenta il perfetto esempio di quello che in criminologia viene definito uno “psicopatico intelligente”... Questo è stato confermato e più puntualmente motivato anche dalla relazione del consulente tecnico cui ho affidato la valutazione della personalità dell'imputato, che provvedo ora a depositare. Tra l'altro, l'analisi non è stata svolta solo sulla sua vita pregressa, già di per sé sufficientemente emblematica dei suoi disturbi psichici, ma anche studiando il comportamento da lui tenuto nel corso degli interrogatori e in regime di custodia cautelare. Tutti i sintomi principali di questo disturbo sono stati riscontrati, che si riassumono in gravi deficit nella sfera interpersonale, affettiva e comportamentale. Non solo non è in grado di intrattenere rapporti sentimentali autentici, ma neppure di provare empatia verso le emozioni proprie ed altrui. Questo da un lato lo porta a trattare la gente con disprezzo e crudeltà, dall'altro ad essere del tutto impassibile a qualunque situazione... Ad eccezione di quelle che ritiene provocazioni o offese alla propria persona, a fronte delle quali assume comportamenti particolarmente impulsivi ed aggressivi, tradendo gravi problemi di gestione della rabbia. Il che è riconducibile ad un egocentrismo, per non dire megalomania ed inclinazione a deliri di onnipotenza, che lo fa sentire superiore agli altri e a qualunque tipo di regola. Inoltre, è del tutto incapace di provare rimorso per le proprie azioni: nonostante l'evidenza dei fatti si è rifiutato di confessare, e non ha mostrato la minima vergogna o senso di colpa, disconoscendo ogni sua responsabilità e mentendo senza esitazione alcuna.-

Fece una breve pausa, inumidendosi le labbra come se stesse già assaporando il gusto del suo sangue.

-E ciò non significa affatto che il signor Kaiba sia incapace di intendere e di volere, tutt'altro. E' pienamente consapevole delle proprie azioni.- puntualizzò velenosa -Non dimentichiamo che possiede pur sempre un'intelligenza fuori dal comune, ma è proprio questa che lo rende ancora più pericoloso... D'altronde, il modo con cui si è servito delle forze dell'ordine per arrivare a Kurosawa e uscirne impunito è un esempio lampante di quanto sia abile nella premeditazione e manipolazione altrui, e del punto cui può spingersi pur di perseguire i propri interessi. In questo caso ha ucciso per vendetta, ma è assai probabile che, in futuro, questi suoi disturbi lo portino a commettere altri crimini, mosso da una delle sue manie ossessive o anche solo per vincere la noia... Ed è per tutte queste ragioni, Vostro Onore, che ritengo più che opportuna la sua condanna alla pena capitale. Anzi, oserei dire necessaria.-

Come terminò di parlare, dal pubblico alle sue spalle di levò un mormorio di epiteti lui dedicati al cui confronto quello di psicopatico era un complimento, e che il presidente poté sedare solo con ripetuti colpi di martello. Seto digrignò i denti, adirato. Quella era la ragione per cui si era sempre rifiutato di farsi visitare da qualsivoglia psichiatra. Perché sì, riconosceva di avere qualche disturbo della personalità, ma non era di certo il pazzo che la Nishiguchi l'accusava di essere.

Forse però pazzo lo era davvero se, nonostante tutto, continuava a sperare di poter sfuggire alla sua condanna.

 

***

 

Uscì dall'aula il più in fretta possibile, la bocca amara per il disgusto.

Si era preparata ad assistere ad un processo per omicidio, e la Nishiguchi l'aveva trasformato in un processo alla persona. Una mossa tanto scorretta quanto in grado di influenzare i membri della giuria... ed alimentare il linciaggio mediatico. Ma se l'udienza aveva reso i giornalisti in attesa all'uscita ancora più pressanti di quelli all'entrata, aveva anche accresciuto la sua insofferenza a dismisura. Aggiungendo poi che era pure stata assalita dai crampi premestruali, potevano ringraziare che non avesse con sé la sua pistola d'ordinanza... Anche se Fuguta le aveva assegnato un'orrenda Glock 17, in quel momento non avrebbe esitato ad utilizzarla per compiere una strage di paparazzi.

Tuttavia, il suo malumore non era nulla rispetto all'inquietudine che le trasmise l'espressione cupa assunta da Mokuba. Desiderosa di scacciarla al più presto, quando raggiunsero la sua Ninja 300 gli porse il casco con un sorriso gentile e una proposta che sapeva per lui irresistibile.

-Stavo pensando... E' una bella giornata, che ne dici se, anziché tornare subito a casa, andiamo a farci un giro sul lungomare?-

Gli occhi tristi del piccolo si illuminarono un poco di gratitudine.

-Sì, per favore...-

Fu così che finirono per trascorrere tutto il resto del pomeriggio in spiaggia. E, finché furono sulla sua moto e col vento tra i capelli, Kisara ebbe l'impressione di essere riuscita a risollevare il morale del ragazzino, o quantomeno a regalargli un po' di spensieratezza. Ma poi, quando raggiunsero un punto panoramico e si fermarono per osservare le onde infrangersi sulla battigia, si rese conto che quei brevi attimi non erano bastati a scacciare pensieri che avevano avuto il tempo di addensarsi nella mente del piccolo per intere settimane.

-Dimmi la verità...- le mormorò a testa bassa -Pensi anche tu che Seto verrà condannato, vero?-

Nell'udire quelle parole, il sangue le si gelò nelle vene.

-Mokuba, che cosa dici?!? Tuo fratello è innocente!- protestò a viva voce.

-Keira, per favore...- gemette -Non trattarmi da stupido.-

Kisara si morse le labbra, addolorata. No, non lo era, né lei voleva farlo. Inoltre, tenergli nascosta la verità non lo stava affatto proteggendo, ma solo facendo soffrire...

-Credimi, è così. L'unica sua colpa è quella di aver voluto proteggere me...- si decise di rivelargli, mortificata -Sono io che ho ucciso Kurosawa.-

Come prevedibile, a quelle parole il piccolo Kaiba sbarrò sconcertato gli occhi su di lei. E, probabilmente, dopo quello che gli avrebbe raccontato non l'avrebbe più guardata nello stesso modo... Ma non importava, perché non poteva sopportare che per causa sua Mokuba avesse una tale considerazione del fratello. Inoltre, doveva mantenere la promessa fatta a Seto... Tuttavia, ce n'era anche un'altra ben più importante, che non aveva mai dimenticato e che, si decise, avrebbe cercato di rispettare ad ogni costo.

Quella che gli aveva fatto la sua anima.

 

[tutto questo può essere interrotto
tutto questo può essere interrotto

trattieni il tuo diavolo per il suo discorso e rivoltalo a terra]

 

Evee's corner

 

H^o^la!

Dunque, ho svelato finalmente l'altra e principale ragione del nome dell'adorabile Nori Nishiguchi... Tra l'altro, Shigeo Nishiguchi è per davvero l'attuale “padrino supremo” dello Sumiyoshi-kai.

Purtroppo non sono riuscita a scoprire molti dettagli sulla procedura penale giapponese, per cui sul punto mi prenderò qualche licenza poetica facendo una sorta di “miscuglio” tra quella italiana e quella anglosassone (che è più figa). Ma se avete qualche nozione in più o sapete indicarmi qualche fonte su cui acculturarmi vi invito caldamente a rendermene partecipe, come sempre... Comunque per la descrizione dell'aula e della corte sono riuscita a mantenermi fedele alla realtà.

Chiaro poi che all'inizio ho messo in bocca a Seto una riflessione volutamente ispirata alla Fattoria degli Animali di Orwell (“Gli animali sono tutti uguali ma qualcuno è più uguale degli altri”), sia perché molto nel suo cinico stile di pensiero sia per fungere da ponte con le sue successive metafore faunistiche dell'ambiente giudiziario. Ho voluto infatti alternare i tecnicismi giuridici con qualche allegoria, per provare a trasmettere lo straniamento che in genere si prova quando si entra in un'aula di tribunale...

Chiedo poi venia se il 'profilo criminologico' di Seto è risultato così spropositato, ma d'altronde i p.m. sono alquanto avvezzi a sproloqui del genere e il giovane Kaiba soddisfaceva quasi tutti gli indici del disordine... In pratica, è stato come sparare sulla Croce Rossa.

Infine, per amor di precisione, chiarisco che la canzone utilizzata stavolta è sì dei Mumford and Sons, ma featuring Laura Marling.

Grazie come sempre della lettura, e alla prossima domenica!!!

XOXO

- Evee

 

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Capitolo 7
*** The cave ***


VII - The cave

 

{And I will hold on hope
And I won't let you choke
On the noose around your neck
And I'll find strength in pain
And I will change my ways
I'll know my name as it's called again}

 

Dopo una notte densa di riflessioni, il giorno seguente si recò da lui.

Superò il tornello, recuperò la sua borsa appena scivolata indenne sotto al metal detector, e si incamminò al seguito di un severo agente penitenziario che la scortò fino alla sua meta. La stanza dove venne condotta era di dimensioni a dir poco claustrofobiche, tanto che al suo ingresso si sentì quasi messa alle strette affinché si sedesse. E così fece, prendendo posto dinanzi al divisorio trasparente, oltre al quale era già in attesa un giovane moro e dai lineamenti affilati. Si era aspettata quantomeno una reazione di sorpresa da parte sua nel vederla ma no, nemmeno la detenzione lo aveva indotto ad abbandonare quel ghigno beffardo.

-Guarda chi si rivede... Se portavi ancora un po' di pazienza, appena uscito da qui avrei potuto concederti un vero appuntamento. Ma ti mancavo troppo, non è così?-

Kisara gli rivolse un'espressione feroce.

-Vaffanculo, Inoue.-

Lui curvò le labbra con finto dispiacere.

-Oh, su...- la sollecitò conciliante -Non vorrai rovinare subito il nostro incontro con una scenata...-

-Tranquillo, non intendo sprecare con te più fiato del necessario.- replicò lei tagliente.

Inoue allora reclinò il capo all'indietro, schernendola con una risata.

-Me l'immaginavo, che fossi una di quelle che salta i preliminari e vuole andare subito al sodo...-

Strinse i pugni frementi dalla voglia di spaccargli la faccia, cercando di contenersi. Inoue non le era mai andato a genio, tantomeno aveva mai tollerato che qualcuno la deridesse con battute a sfondo sessuale. Di solito, con la sua reazione faceva passar subito la voglia di farne delle altre... Tuttavia, in quel momento si ritrovava ad aver bisogno di quello stronzo, e a dover sopportare le sue squallide provocazioni.

-Tappati quella fogna che ti ritrovi per bocca, per favore.- sibilò a denti stretti -E, già che ci sei, tienila chiusa anche al processo contro Kaiba.-

Non le sembrava di chiedere nulla di irragionevole, dopotutto... Infatti, quand'era ancora dedita all'omicidio seriale, il primo imperativo cui sapeva doversi attenere era quello di non farsi beccare ma, laddove si fosse comunque verificata una simile eventualità, il secondo era quello di non parlare per nessuna ragione. E non solo nel proprio processo per non compromettere i mandanti del caso, ma anche in quelli altrui. Dopotutto, mentre i comuni testimoni hanno l'obbligo penalmente rilevante di dire la verità sotto giuramento, gli imputati in altri procedimenti giudiziari possono agevolmente avvalersi della facoltà di non rispondere, loro riconosciuta dalla legge anche in tali occasioni per evitare che debbano scegliere tra l'autoincriminarsi o l'essere accusati di falsa testimonianza. Ed avvalersene era la prassi, non solo per tutelare se stessi ma anche per una questione d'onore: chiamare in correità o fare dichiarazioni accusatorie ai danni di altri colleghi solo per migliorare la propria posizione era quanto di più infamante si potesse fare. Quel bastardo, invece, non solo aveva l'intenzione di violare quella regola che, per quanto non scritta, veniva considerata sacra, ma voleva addirittura testimoniare il falso. Anche se non ci fosse stata in gioco la vita di Seto, dire che una simile condotta le avrebbe dato ai nervi sarebbe stato eufemistico.

Ma sembrava che Inoue ci provasse proprio gusto, a farla incazzare.

-Ah, dunque c'è già un altro?- domandò, portandosi una mano al cuore con fare melodrammatico -Così però ferisci i miei sentimenti...-

-Inoue, ti giuro che, se osi parlare, appena metterai piede fuori da qui saprò procurarti ferite ben più dolorose.-

E lei manteneva sempre la parola data. Né faceva simili minacce a vuoto. Sapeva che, se l'avesse potuta sentire, lui non avrebbe affatto approvato ma, in fondo, si era solo impegnata a non uccidere più nessuno...

-Mi ricordavo che Kaiba è dedito a quel genere di pratiche, ma non avevo capito che piacessero anche a te... Non che abbia nulla in contrario a sperimentarle, sia chiaro.-

Senza contare che spezzargli una per una le ossa le avrebbe dato molta più soddisfazione dell'ammazzarlo.

-Sei davvero più idiota di quanto pensassi, se non riesci a prendermi sul serio.-

Questa volta le sue parole parvero sortire effetto. O, forse, Inoue aveva esaurito la sua vena umoristica.

-E' proprio perché non lo sono, che parlerò e dirò tutto quello che desidera la Nishiguchi...- disse, finalmente con aria seria -Solo con il suo appoggio ho speranze di uscire di qui. Inoltre, le volte che ho avuto a che fare con lei mi sono bastate per capire che, se si vuole vendicare di qualcuno, è più che in grado di tenere fede al suo cognome.-

Kisara si incupì. Anche a voler tralasciare il suo accanimento sul KK Case, Nori Nishiguchi aveva la fama di essere un procuratore davvero inflessibile nel perseguire i criminali. Le era difficile credere che, a fronte di un tentato omicidio da parte di un agente di polizia corrotto, potesse soprassedere all'esercizio dell'azione penale, accontentandosi di una semplice dispensa dal servizio. A meno che, forse, questo non fosse anche nei suoi interessi... Di quali interessi si potesse trattare iniziava a nutrire parecchi sospetti, ma da soli non le sarebbero stati d'alcun aiuto senza avere prima ulteriori conferme.

Per fortuna, aveva davanti proprio la persona in grado di rispondere a tutte le sue domande.

-Quali altre volte?-

 

***

 

Non ci poteva credere.

Ancora oden.

Guardò con disgusto la brodaglia galleggiante sul vassoio, che a quanto pareva era considerata il piatto forte della mensa carceraria. Perché di certo non lo era quel riso scotto, né quella frittura al cui interno avrebbe dovuto esserci del pesce, quale davvero non avrebbe saputo indovinarlo. La sola cosa commestibile in quel posto era il tè, amaro proprio come piaceva a lui... Ma non poteva andare avanti solo con quello, e non poteva nemmeno sperare che l'indomani gli servissero filetto di manzo. Forse avrebbero potuto concederglielo come ultimo desiderio prima dell'esecuzione, ma non era disposto a pagare un piatto così caro, per quanto fosse il suo preferito. Tutto quello che voleva era uscire da lì, ed uscirne vivo. Cosa che, se fosse morto di fame, non sarebbe certo riuscito a fare. In più, il suo cervello aveva bisogno di calorie per prepararsi alle prossime udienze... Doveva mangiare qualcosa.

Rassegnato, prese una cucchiaiata di quella roba e si impose di deglutire.

Nel frattempo, allungò gli occhi sulle fitte pagine che Endo gli aveva spedito, e che avrebbe dovuto studiarsi alla perfezione in vista del proprio interrogatorio. Nel leggerle, dovette riconoscere che l'avvocato sapeva il fatto suo, perché non solo aveva riportato le domande che gli avrebbe fatto e le risposte che lui avrebbe dovuto fornirgli, ma aveva anche cercato di anticipare quello che gli avrebbe potuto chiedere la Nishiguchi nel contro-esame, ed i punti deboli della loro versione su cui avrebbe insistito per demolirla. I quali purtroppo erano parecchi perché, dopo il discorso che aveva quella strega aveva imbastito in prima udienza, se avessero cercato di negare l'accaduto non sarebbe stato minimamente credibile, e dunque l'unica scappatoia che aveva per uscirne assolto era che si appellasse alla legittima difesa. Lui stesso era giunto alla medesima conclusione, nello sfogliare i libri di diritto e procedura penale che aveva richiesto ed ottenuto in prestito dalla biblioteca penitenziaria. In realtà, con i rigidi orari del carcere e tutte le altre questioni che doveva seguire non gli rimaneva molto tempo per leggerli, ma doveva assolutamente colmare le sue lacune in quella materia. Finora si era interessato per lavoro solo di legislazione civile e commerciale, ma conoscere le cause di nullità di un contratto o la struttura delle società per azioni non gli erano di minimo aiuto nel suo stato attuale. Anche se quello studio per il momento non gli aveva fornito alcun suggerimento valido, ma solo alimentato la consapevolezza che unicamente un miracolo avrebbe potuto aiutarlo per davvero. Ciononostante, per lui arrendersi prima della conclusione di una partita non era mai stata neppure un'opzione.

Finché non avesse esaurito le carte da giocare, finché gli fosse rimasto anche un solo Life Point, avrebbe continuato a lottare con tutte le sue forze.

 

***

 

Dovette resistere per svariate settimane ed innumerevoli udienze, ma infine giunse il momento tanto atteso.

La Nishiguchi aveva onorato il suo impegno con Inoue e, dopo che ebbe deposto contro Seto, gli aveva concesso la libertà condizionata. A questo punto, fu il suo turno di rispettare il loro accordo. E lo fece anche rapidamente, facendole recapitare una busta anonima e accuratamente sigillata quel giorno stesso. Alla fine, quel bastardo aveva dimostrato di avere, se non senso dell'onore, quantomeno buon senso nel non sottovalutare le minacce che gli aveva lanciato.

Aprì dunque con sollecitudine quell'incartamento, senza badare a farlo con delicatezza ma unicamente a verificarne il contenuto. Accertato che Inoue non le aveva giocato tiri mancini, infilò i documenti nella sua tracolla, afferrò le chiavi della sua moto e corse a montarvi sopra con trepidazione febbrile. Aveva dovuto attendere così a lungo per entrare in azione, che anche la sua incrollabile pazienza era ormai arrivata al limite.

Ma, soprattutto, vi era anche giunto il tempo a disposizione, e che non si poteva proprio permettere di bruciare ulteriormente.

Ignorò svariati limiti di velocità e un semaforo rosso, e in neanche dieci minuti arrivò davanti alla sua meta. Un edificio abbastanza anonimo, se non fosse stato per la solenne insegna all'ingresso che l'identificava come la sede della Procura Distrettuale di Domino. E pensare che, per tutta la sua vita, aveva sempre fatto il possibile per tenersi alla larga da posti simili...

Purtroppo tutto il suo zelo fu in parte vanificato nella previa ricerca di un posto dove parcheggiare, visto che l'elevata concentrazione di sbirri nei paraggi consigliava di prestare maggior attenzione del consueto affinché la sua Ninja non rischiasse la rimozione forzata. Conclusa quella scocciante incombenza, si introdusse senza ulteriori indugi nel commissariato.

L'interno non era affatto ostile come si era attesa, anzi le ricordò per certi versi la sede della KC, per quanto gli arredi moderni non fossero altrettanto all'avanguardia e la gente indaffarata al suo interno avesse un'aria assai meno stressata. Gettata un'occhiata intorno per orientarsi, individuò la segreteria e si rivolse all'impiegata di turno.

-Buongiorno.- fece, più per attirarne l'attenzione che per cortesia -Vorrei parlare con il procuratore Nishiguchi.-

L'addetta levò un sopracciglio al suo indirizzo con fare sdegnoso.

-Signorina, il p.m. in questo periodo è troppo impegnato per vedere chiunque.- la redarguì -In ogni caso, se desidera sporgere una denuncia può rivolgersi senza problemi a qualunque agente...-

-Io credo che invece vorrà vedermi.- la interruppe subito Kisara -Ho delle informazioni sul KK Case da riferirle.-

Come previsto, la Nishiguchi non esitò a concederle un po' del suo tempo per sentire quello che aveva da dire. La ricevette direttamente nel suo ufficio, un ambiente spazioso, ma freddo: c'erano una libreria e alcuni scaffali traboccanti di voluminosi tomi giuridici più o meno ammuffiti, svariati faldoni appoggiati sulla scrivania o, quelli eccedenti, per terra, ma praticamente nessun oggetto personale al di fuori di un paio di targhe appese alla parete e una toga abbandonata sulla poltrona nell'angolo.

Al suo ingresso, la Nishiguchi si alzò in piedi con formale cortesia, accennando ad una sedia.

-Prego, si accomodi, signorina...?-

Come si era aspettata, con i capelli al naturale non l'aveva riconosciuta. D'altronde, la consapevolezza dei suoi stretti rapporti con la Yakuza aveva sempre dissuaso Kisara dall'avvicinarsi troppo a lei. Anzi, non essendo irrisorio il rischio che anche in sua presenza Kurosawa arrivasse a dedicarle attenzioni indesiderate o che, comunque, quella donna riuscisse a captare l'interesse che aveva per lei, se ne era proprio tenuta alla larga. Non voleva certo che si ingelosisse e finisse per prenderla di mira...

E avrebbe preferito continuare ad evitarla, se solo le circostanze attuali e soprattutto la sua coscienza glielo avessero permesso.

-Aibara. Keira Aibara.- si presentò, prendendo il posto che le era stato indicato.

La donna davanti a lei curvò le labbra in un sottile sorriso, facendo sì che i primi segni del tempo segnassero il suo bel volto.

-Allora, signorina Aibara... Come posso esserle utile?-

-Ritrattando le sue accuse contro Seto Kaiba, tanto per iniziare.- le rispose con fermezza.

L'espressione della Nishiguchi perse all'istante ogni traccia di cordialità.

-Se è solo questo il motivo della sua visita, può risparmiare il suo fiato ed il mio tempo andandosene subito.- replicò secca.

Kisara per tutta risposta estrasse dalla borsa le pagine che aveva portato con sé, facendole scivolare sotto al suo sguardo.

-Le consiglierei di dare un'occhiata qui, prima di cacciarmi via.-

Gli occhi scuri della donna si strinsero su di lei, per poi abbassarsi ed iniziare quella lettura, durante la quale si incupì ancora di più.

-Che cosa significa?- domandò irritata poco dopo, rialzando il capo.

-Mi pare chiaro.- le fece pacatamente -Sono dichiarazioni fatte da Dai Inoue sul suo conto. E su come gli abbia funto da tramite con Riichi Kurosawa, ed abbia fatto pressioni sull'Agenzia Nazionale perché l'assegnasse alla scorta di Kaiba...-

-Anche se fosse, le parole di un agente dispensato con disonore non sono certo una prova.- replicò sprezzante la Nishiguchi.

Kisara allora sorrise maliziosa.

-Oh, ma ci crederanno tutti comunque, vedrà.- le assicurò -Scommetto che non è la prima volta che, con le sue parentele, girano voci di collusioni da parte sua con la criminalità organizzata... In più, sono disposta a testimoniare io stessa sui suoi rapporti con Kurosawa. E può stare certa che lo farò, perché io, a differenza sua, non ho nulla da perdere.-

Il volto algido del pubblico ministero si contrasse per il nervosismo, ma anche se messa alle strette non perse minimamente la sua compostezza.

-Non vedo proprio perché qualcuno dovrebbe darle credito, signorina Aibara...-

Kisara sbatté le palpebre, ma un secondo fu quanto le bastò per raccogliere la decisione necessaria. In realtà, aveva tutto da perdere... Ma preferiva rischiare che il mondo vedesse quanto sangue aveva sulle mani, piuttosto che sentirle sporche di quello di Seto. Anzi, era disposta a svelarlo lei stessa, pur di salvare la persona più importante della sua vita. Della sua stessa vita.

-Perché io sono White Lady.-

 

***

 

Dovette resistere per svariate settimane ed innumerevoli udienze, ma infine giunse il momento tanto temuto.

All'ingresso in aula, bastò un attimo per capire che la gente venuta ad assistere era ben più delle altre volte. Tutti i posti erano stracolmi, e le persone in piedi superavano nettamente quelle sedute. Gli parvero degli avvoltoi in attesa di gettarsi sul suo cadavere, ed il corridoio che conduceva al centro della sala la strada verso il suo patibolo. E non era un'improvvisa vena melodrammatica a dargli questa impressione, ma il suo lucido cinismo. Quell'ultima udienza era solo una formalità, i giurati avevano già emesso il loro verdetto. Lo leggeva nei loro sguardi disgustati, nell'odio di cui erano intrisi i commenti sussurrati tra il pubblico. Riconobbe di sfuggita alcuni visi noti, e con suo stupore in un angolo intravide persino Yugi. Ma, a pensarci bene, quella partecipazione non lo sorprendeva affatto.

Stupido, ingenuo Yugi...

Aveva sempre avuto fiducia in lui, quello sciocco sentimentale. Si chiese se fosse venuto perché davvero lo credeva innocente, o solo perché non voleva ammettere di essersi sbagliato sul suo conto. In ogni caso, non gli riuscì di trovare sgradita la sua presenza. Era probabilmente il solo in quel posto che non voleva la sua testa, assieme a quel gruppetto, piccolo ma rassicurante, seduto come sempre in prima fila. Tuttavia, nel guardare in quella direzione, si rese conto che mancava qualcuno, accanto ad Isono e a suo fratello.

Dov'era?

I suoi occhi cercarono affannosamente quelli di Kisara tra la folla, invano. Ma non poteva credere che non fosse venuta... non quel giorno. Razionalmente, la sua mente giustificò la sua assenza con un contrattempo, ma qualcosa dentro di lui la registrò con inquietudine. Si sforzò di nascondere il suo turbamento e di avanzare sicuro fino al solito posto, per quanto il suo orgoglio fino a quel momento non gli fosse servito granché.

Subito dopo, con l'ormai usuale cadenza, venne dichiarata aperta l'udienza di discussione. Come Seto aveva avuto modo di studiare e di sentirsi ripetere da Endo fino alla nausea, la parola spettava sempre prima all'accusa e per ultimo all'imputato, in modo da garantirgli, quantomeno formalmente, una parvenza del diritto alla difesa e al contraddittorio.

-Procuratore Nishiguchi, la invito ad esporci la sua requisitoria.- aggiunse poi il presidente, come da programma.

Quella donna allora si levò in piedi col suo spregevole fare plateale.

-Signori della corte...- iniziò a dire, con voce più irritante del solito -A causa di circostanze sopravvenute, mi vedo costretta a modificare le mie richieste in sede conclusionale... Prima, però, vorrei chiedere l'ammissione di un ultimo testimone.-

Un brusio si levò nell'aula, ed anche i giudici si scambiarono uno sguardo perplesso. Nemmeno Seto riuscì a nascondere il proprio nervosismo. Avevano già svolto fin troppa istruttoria, non riusciva ad immaginare chi altri ancora desiderasse sentire... A che gioco stava giocando quella megera? Sicuramente stava tramando qualcosa, ed il fatto che avesse atteso fino all'ultima udienza per attuare le sue macchinazioni non lasciava presagire nulla di buono.

-E di chi si tratterebbe?- le chiese con un sospiro il presidente.

Le labbra della Nishiguchi si aprirono in un sorriso inquietante.

-Aibara Keira, Vostro Onore.-

 

[e mi aggrapperò alla speranza
e non ti lascerò soffocare

sul cappio attorno al tuo collo
e troverò forza nel dolore
e cambierò i miei modi
riconoscerò il mio nome come viene chiamato ancora]

 

Evee's corner

 

H^o^la!

Ebbene sì, finalmente la nostra White Lady si è decisa ad entrare in azione e a rispolverare un po' della buona vecchia badassery... *Vai Kisara, scelgo te!* Con quali esiti, solo il prossimo capitolo lo dirà. Comunque, come nella prima storia, anche qui ho voluto che la trama riecheggiasse le vicende dei nostri due protagonisti nell'Antico Egitto, in particolare quando, da giovane, Seth salva Kisara dalla sua prigionia da un gruppo di banditi che poi distruggono il suo villaggio e l'aggrediscono per vendicarsi, finché il Blue-Eyes non accorre in suo aiuto.

Poi, forse qualcuno di voi si aspettava che la tirassi un po' più per le lunghe con il processo, ma sarebbe stato davvero troppo noioso ripetere cose su cui mi sono già abbondantemente spesa... e troppo imbarazzante descrivere Endo mentre prova a difendere Seto invocando la legittima difesa. Ma, poveraccio, di meglio non poteva proprio inventarsi.

Quanto invece al colloquio iniziale tra Kisara e Inoue, puntualizzo che se le è stato possibile è perché lui, a differenza di Seto, non rischia la pena di morte, e pertanto il suo trattamento carcerario ammette visite senza troppe restrizioni personali e temporali. Beh, per chi poi avesse la memoria un po' arrugginita preciso che la battuta di Inoue sui “gusti” di Kaiba è un chiaro sfottò a quando, durante l'incursione a Villa Kaiba, ha trovato Kisara ammanettata ad un letto. Che malpensante, come se io fossi usa a fare simili allusioni sessuali... Ahem.

Per il resto non ho molto da aggiungere a parte che lo so, dovrei cercare di lasciare un pò in pace Seto ma... memore di quanto odiasse l'oden, l'occasione per propinarglielo era troppo ghiotta!

Essendo arrivati ad un punto un po' nodale spero tanto di avere i vostri pareri e/o obiezioni, in ogni caso grazie di essere ancora qui e alla prossima domenica!!!

XOXO

- Evee

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Capitolo 8
*** Feel the tide turning ***


VIII - Feel the tide turning

 

{But you and I now
We can be alright
Just hold on to what we know is true
You and I now
Though it's cold inside
Feel the tide turning}

 

Seto sbarrò gli occhi, impietrito.

Lo shock che gli aveva provocato quell'annuncio fu tale che il suo cervello si rifiutò persino di elaborarlo. Ci pensò il suo avvocato a farlo per lui.

-Vostro Onore, mi oppongo all'ammissione di questa testimonianza...- iniziò a dire Endo.

-Ed io insisto che venga ammessa, invece.- lo interruppe la Nishiguchi con fermezza -In qualità di pubblico ministero, sono obbligata a presentare tutte le prove che mi pervengono, siano esse a carico o a discarico dell'imputato. Inoltre, trattandosi in questo caso di una deposizione che reputo idonea a scagionare il suo assistito, avvocato Endo, ritengo sia nel suo stesso interesse poter sentire la signorina Aibara.-

Queste ultime parole lo costrinsero a riprendersi come una secchiata d'acqua gelida. No, si rifiutava di credere che Kisara fosse stata tanto stupida da consegnarsi spontaneamente a quell'arpia... Gliel'aveva detto e ripetuto, che doveva rimanere fuori da quella vicenda. Benché, per esperienza indiretta, sapesse anche quanto fosse perfettamente capace di accorrere in suo aiuto senza badare alle conseguenze, dannazione a lei!

-Permesso accordato, allora.- sentì dire dalla voce rassegnata del presidente -Si dia ingresso alla teste.-

La Nishiguchi fece un cenno d'assenso ad uno degli agenti fermi a presidiare le porte dell'aula, e quello le aprì per permettere alla ragazza in questione di entrare. La sua comparsa gli provocò una commistione di emozioni così contrastanti da sopraffarlo. Chiaro che era lieto di rivederla e saperla vicina a lui, ma la sua presenza dalla parte sbagliata dell'aula gli provocò un'angoscia indicibile. Quello, e ancor più il timore di ciò che avrebbe potuto dire... Avrebbe voluto gridarle qualcosa, qualsiasi cosa purché si voltasse e ritornasse sui propri passi senza aggiungere una parola. Ma avrebbe solo peggiorato la situazione, e comunque la gola gli si era chiusa in una morsa così stretta che non si sentiva più in grado di emettere il benché minimo suono. Sperò che almeno i suoi occhi potessero parlare per lui, ma Kisara non gli rivolse un solo sguardo, ignorandolo come se fosse stato trasparente.

Ed il fatto che lo stesse così deliberatamente evitando portò la sua inquietudine a trasformarsi in vero e proprio terrore.

-Prego, signorina Aibara.- la invitò allora la Nishiguchi, inclinando il capo -Si sieda pure e dia lettura dell'impegno di rito.-

No.” la implorò invece lui “Ti prego, no... Vattene via.”

Ma Kisara si avvicinò comunque a quella donna, prese posto di fronte a lei e, scostata una ciocca di capelli, si accinse a pronunciare la formula di giuramento.

-Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto a mia conoscenza.- recitò con voce cristallina e, purtroppo, priva di incertezza.

-La ringrazio.- disse allora la Nishiguchi -Signorina Aibara, in via preliminare devo chiederle di dichiarare alla corte se attualmente intrattiene dei rapporti con l'imputato e, se sì, quali sono.-

-Sì, conosco già il signor Kaiba perché faccio parte del suo corpo di sorveglianza, presso la Kaiba Corporation. Lavoro lì da un paio di mesi, ormai.- rispose lei con assoluta tranquillità, e con sufficiente lucidità da omettere che, sempre da due mesi, risiedeva a casa sua.

-Sa essere più precisa sulla data?- la incalzò il p.m.

-Dal 18 di febbraio, mi pare.-

Al che, Seto intuì subito dove quella donna intendeva andare a parare. Ed infatti le sue labbra si aprirono in un sorriso a dir poco perverso.

-Dunque, dopo appena cinque giorni dall'omicidio di Riichi Kurosawa...?-

-Sì, proprio così...- dovette riconoscere Kisara -Ricordo che il signor Kaiba mi disse di avere urgente bisogno di sostituire alcuni membri del suo personale, per cui mi chiese se ero interessata a quell'offerta di lavoro.-

La sua accortezza nell'addurre quella giustificazione lo tranquillizzò un poco, e lo portò a sperare che, forse, il suo eccessivo timore che Kisara potesse arrivare a sacrificarsi per lui l'aveva indotto a conclusioni affrettate. Era ben più probabile che quella deposizione fosse tutta un'idea della Nishiguchi, per metterla alle strette fino a quando non avesse confessato qualunque trama la sua mente contorta avesse partorito.

E quest'impressione si rafforzò ancora di più alla sua successiva domanda.

-Ma per quale ragione il signor Kaiba era interessato ad assumere proprio lei?-

A quel punto, grazie al cielo, Endo si levò in piedi per interromperla.

-Vostro Onore, questa domanda è del tutto irrilevante, oltre che tendenziosa!- esclamò indignato.

-Ha perfettamente ragione, avvocato.- concordò conciliante la Nishiguchi -Riformulo subito la mia richiesta. Anche perché quello che mi interessa sapere davvero, signorina Aibara, è questo... Può dirci quando e in quali circostanze ha avuto modo di conoscere il signor Kaiba? E, prima di rispondermi, tenga presente che rendere falsa testimonianza integra una fattispecie di reato molto grave.-

Seto si voltò a guardare, assalito dal panico, la ragazza. Supplicandola con lo sguardo di non confessare nulla che potesse comprometterla... Allora, finalmente, quegli occhi blu risposero alla sua preghiera e si rivolsero verso i suoi, sorridendogli dolcemente.

-Sì, certo che posso dirlo... E' avvenuto tutto il 13 febbraio.- mormorò Kisara -Non potrei mai dimenticarlo, poiché in quell'occasione mi ha salvato la vita.-

 

***

 

Alle sue parole, il pubblico scoppiò letteralmente nel caos.

Una volta che il presidente, più paonazzo che mai, riuscì a riportare un po' di “ordine e civiltà” in aula, il pubblico ministero si schiarì la voce e si rivolse nuovamente a lei.

-Vuole raccontarci più nel dettaglio l'accaduto?-

Kisara annuì, più che pronta a recitare un discorso che aveva ripetuto così tante volte allo specchio da essersi quasi autoconvinta di quella versione dei fatti.

-Dunque, per la precisione era sera, qui in città, presso quello stesso locale in cui poi è morto il signor Kurosawa, il “Nightingale”. Io mi trovavo lì perché, all'epoca dei fatti, lavoravo al suo seguito... Ed ero appunto in sua compagnia, all'arrivo del signor Kaiba.-

Come da programma, Endo si alzò nuovamente dalla sua postazione per interromperla.

-Vostro Onore, vorrei contestare quest'ultima dichiarazione e rammentare alla signorina Aibara che è sotto giuramento!- esclamò, con sguardo ammonitore -Come risulta dagli atti di causa ed abbiamo già avuto modo di appurare più che approfonditamente, al momento dell'accaduto i soli presenti in quel privé erano Riichi Kurosawa, il mio assistito ed il signor Inoue...-

Questa volta, fu il turno della Nishiguchi a parlare per lei.

-Sì, questa era la tesi che io stessa ho sostenuto... Ma che ora mi vedo costretta a rettificare.- replicò con serenità -C'era una terza persona, è vero. Ma si trattava della signorina Aibara... Come affermato dallo stesso Inoue in questa deposizione scritta.-

Detto questo, estrasse dal suo fascicolo i fogli di parte delle dichiarazioni che l'ex agente aveva trasmesso a Kisara, ed in cui non solo ritrattava di aver assistito all'omicidio, ma anzi confermava la sua presenza insieme a Kurosawa. I tacchi del procuratore avanzarono spediti prima al cospetto sbalordito della corte, poi a quello sconvolto di Endo, facendone avere loro una copia perché potessero leggere con i propri occhi.

-D'altronde quando ha deposto non aveva obbligo di verità, pertanto ne ha approfittato per ottenere una liberazione anticipata in cambio della collaborazione... Comunque, se non dovesse bastare, il signor Inoue è più che disponibile a ripetere tutto quanto in aula.- ci tenne a puntualizzare il pubblico ministero.

Precisazione inutile, dato che nessuno trovò nulla da ridire al riguardo. D'altronde, Kisara aveva insistito con Inoue affinché scrivesse di proprio pugno quei fogli e ne chiedesse un'autentica notarile, in modo che avessero un valore fidefacente superiore a qualunque deposizione orale e suo eventuale ripensamento.

-Magnifico.- fece allora la Nishiguchi, schioccando le labbra -Prego, signorina Aibara. Continui pure.-

Kisara assentì con l'aria più umile e diligente di cui era capace.

-La ringrazio, procuratore... Dicevo, in quell'occasione ero proprio con Kurosawa. Mio malgrado aveva insistito perché rimanessi da sola con lui, ma fortunatamente il signor Kaiba è sopraggiunto per tempo. Era accompagnato da un buttafuori e...-

Come auspicava, venne nuovamente interrotta.

-Mi scusi, signorina, ma chiarisca la sua allusione. Si trattava forse di una situazione disdicevole, quella in cui si trovava assieme al signor Kurosawa?- le chiese il presidente.

Lei allora abbassò lo sguardo, sospirando con fare melodrammatico.

-Ecco, signor giudice... Deve sapere che accadeva spesso che il signor Kurosawa mi importunasse, specialmente se ubriaco. E quella sera aveva bevuto parecchio, oltre ad essere di cattivo umore... Per cui, quando ha tentato delle avances e l'ho respinto, ha reagito in modo molto violento. Ha iniziato ad insultarmi e...-

A questo punto si interruppe, e non fu unicamente per esigenze recitative. La voce le si era davvero affievolita, al ricordo vivido di quegli attimi che avrebbe tanto voluto rimuovere dalla memoria assieme a tutti gli altri traumi che quell'uomo le aveva inflitto. Per questo, evitò accuratamente di guardare Seto. Poteva avvertirli, i suoi occhi increduli puntati su di lei. E così dovevano rimanere, convinti che stesse solo mentendo. Nelle sue parole ci sarebbe stato un fondo di verità troppo orrendo e doloroso, per permettergli di vederlo.

-Non si preoccupi, signorina...- la tranquillizzò con calore il presidente -Si prenda tutto il tempo che le serve.-

Annuì piano, preparandosi a riprendere il suo racconto.

-No, sto bene, grazie.- gli rispose, ma badando a non abbandonare l'aria contrita -Molto meglio di quanto stessi allora, dopo tutto quello che mi ha fatto. Mi ha picchiato, messo al muro, colpito al viso, strappato persino i capelli. E, se non fosse stato per l'arrivo del signor Kaiba, non si sarebbe limitato ad usare su di me violenza soltanto fisica... Anzi, mi disse chiaramente che dopo aveva tutta l'intenzione di concludere quello che aveva iniziato a farmi. Dunque mi ha costretto a rimanere in sua compagnia mentre conversava con Kaiba, finché non sono stati interrotti dall'arrivo della polizia. Al che Kurosawa si è spaventato, ed ha tentato la fuga dalla porta di servizio. Tuttavia, dopo quello che mi aveva fatto non potevo permettere che la passasse liscia, così ho cercato di trattenerlo. L'ho afferrato d'impulso, senza considerare che lui era molto più forte di me, ed infatti è riuscito a contrastarmi senza fatica, gettandomi a terra. Poi, dato che nella colluttazione avevamo mandato in frantumi un tavolino, ne ha afferrato una scheggia di vetro per colpirmi. Me lo annunciò lui stesso, che meritavo di morire per aver osato intralciarlo... E di certo oggi non sarei qui a raccontarlo, se nel frattempo il signor Kaiba non avesse recuperato la sua pistola per fermarlo. Ha sparato a Kurosawa, è vero, ma solo per impedirgli di uccidermi...-

Questa volta, nessuno osò interromperla. Anzi, nell'aula era calato un silenzio pesante, rispettoso, persino commosso... Proprio quello cui mirava lei. Con quella storia era già riuscita a portare dalla sua parte la Nishiguchi, dopotutto. Anzi, le era bastato confermarle che il suo amato Riichi la tradiva impunemente per indurla a riversare tutto il suo odio su di lui, e farle desiderare che fosse ancora vivo solo per poterlo ammazzare personalmente... Tuttavia, arrivati a quel punto del processo non bastava più ottenere la sua assoluzione, ma quella dell'intera giuria.

-Grazie, signorina Aibara.- disse allora la Nishiguchi, piegando il capo -Non ho altre domande.-

Tornò quindi al suo posto, lasciando il campo libero per il controesame. Il presidente allora si riscosse e si rivolse ad un Endo quanto mai senza parole.

-Avvocato, ha qualche domanda da fare?-

L'uomo si aggiustò gli occhiali con nervosismo.

-Sì, ecco...- iniziò a dire, prendendo tempo per raccapezzare le idee -Volevo chiedere alla signorina Aibara perché si è decisa solo ora a rendere questa testimonianza...-

Se l'aspettava, per cui fu più che pronta a rispondergli.

-La verità è che, ecco... avevo paura. Temevo di non essere creduta, e di compromettere ancor di più la posizione del signor Kaiba... Inoltre è stato lui stesso ad ordinarmi di non parlare, perché non voleva che, così facendo, rischiassi di sollevare sospetti anche su di me.- spiegò con aria afflitta, ma intimamente sincera -Però poi mi sono resa conto che era il solo modo con cui avrei potuto aiutarlo, e sono andata a confessare la verità al procuratore Nishiguchi. Non potevo permettere che venisse condannato ingiustamente, quando invece lui ha fatto così tanto per me, anche dopo quel giorno orribile...-

Finse che la sua voce si fosse rotta dalla commozione e, dato che in quel caso era stata onesta, fu oltremodo convincente. Anzi, li aveva persino sviliti, i suoi veri sentimenti... Così evitò ancora lo sguardo di Seto, per non aggiungere troppo a parole di cui doveva aver colto tutta la verità. Ed anche Endo allora parve realizzare finalmente quali erano le sue intenzioni, annuendo con fare comprensivo. Era essenziale che anche lui le reggesse il gioco, ma non aveva potuto metterlo prima al corrente del piano per evitare che, con una sua eccessiva accondiscendenza, facesse sospettare alla giuria che in qualche modo Seto fosse riuscito a corrompere la Nishiguchi.

-Grazie, signorina... Può andare, ora.- la congedò il presidente con un sorriso.

Così Kisara si alzò, si piegò in un inchino di cortesia e si affrettò a raggiungere il suo solito posto, accanto al piccolo Mokuba. Nel frattempo, la Nishiguchi si era levata nuovamente in piedi per esporre la propria requisitoria.

-Dunque, alla luce di quanto appena emerso...- concluse poi, volgendosi ai componenti della giuria -Chiedo che il qui presente Kaiba Seto venga prosciolto, essendo stato costretto a commettere il fatto dall'assoluta necessità di salvare la signorina Aibara da un grave, se non fatale, pericolo per la sua persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile. In definitiva, in ragione di quello stato di necessità idoneo ad integrare una causa di giustificazione e privare di ogni rilevanza penale la condotta da lui tenuta, almeno per quanto riguarda l'omicidio di Riichi Kurosawa. Invece, quanto all'altra accusa di detenzione illegale d'armi da fuoco, la sua responsabilità è pacifica, ma ritengo che nessuna pena possa essergli irrogata, avendo già pagato la sanzione pecuniaria prevista e scontato in carcere un periodo persino superiore a quello irrogabile come pena detentiva... E' tutto.-

Fu quindi il turno di Endo che, a malincuore, fu costretto a mettere da parte il discorso prolisso che si era tanto accuratamente preparato a favore di poche, ma ben più efficaci, parole.

-Aderisco alle richieste del pubblico ministero, e chiedo che il mio assistito venga dichiarato assolto perché il fatto non costituisce reato per il primo capo d'imputazione, mentre venga ritenuto non punibile per il secondo. Si voglia anzi disporne l'immediata liberazione, con riserva di azione risarcitoria per l'ingiusta detenzione da lui sofferta.-

Poi, anche lui tornò a sedersi, e fu nuovamente il turno del presidente di parlare.

-Preso atto delle conclusioni rassegnate dalle parti, dichiaro terminata la fase di discussione. La corte si ritira per deliberare.-

Detto questo e battuto il martello, tutti i giudici, togati e non, si levarono quasi in contemporanea e si avviarono oltre la porta alle loro spalle, chiudendosi nel segreto della camera di consiglio. Come i battenti vennero serrati dall'interno, nell'aula si levò un brusio di commenti, mentre Kisara non riuscì a frenare l'ansia che l'assalì con impeto. Chiuse gli occhi, cercando di isolarsi dal fermento intorno a lei e, soprattutto, di placare l'agitazione per un'attesa di cui non sapeva la durata e di cui si augurava la fine tanto quanto la temeva. Chiedendosi se la sua idea avrebbe funzionato. Tormentandosi, al pensiero che forse avrebbe potuto e dovuto fare di più...

Quella volta, furono le mani di Mokuba a cercare le sue.

 

***

 

Furono le tre ore più lunghe di tutta la sua vita.

Anche perché più l'attesa si protraeva e più il suo esito si faceva incerto, tradendo i dubbi che la giuria doveva dissipare sulla credibilità dell'ennesima versione dei fatti loro presentata e gli innumerevoli pregiudizi che ancora nutrivano sulla sua persona. In realtà, neanche lui riusciva ancora a raccapezzarsi di come avesse fatto Kisara ad orchestrare tutta quella storia ma, di certo, era ben più convincente di qualunque altra pantomima Endo avrebbe mai potuto recitare. Era stata una vera folle, ma... assolutamente grandiosa. E la sua unica speranza. Se poi facesse bene a riporvi fiducia poteva scoprirlo solo aspettando, impotente, il verdetto della corte. Il che lo spaventava e lo infuriava al tempo stesso, per come osasse divertirsi a tenerlo sulle spine, giocando non solo con la sua vita, ma anche con il futuro di suo fratello.

Quand'ecco che quelle porte infernali si riaprirono ineluttabili, permettendo ad otto, solenni shinigami di andarsi a schierare in corrispondenza dei posti precedentemente occupati, sollecitando così anche il resto dei presenti ad alzarsi in piedi al loro cospetto. Quindi, il presidente si schiarì la voce e si accinse a leggere il dispositivo della sentenza che avevano appena steso, facendo appello a tutta l'autorevolezza consentita dalla sua voce anziana ed affaticata.

-In nome del popolo giapponese, questa corte dichiara l'imputato Kaiba Seto non colpevole per il reato a lui ascritto...-

Il sollievo che provò nel sentir pronunciare quelle parole bastò a liberarlo da tutto lo stress accumulato in quell'estenuante udienza, ed anche dalla persistente stanchezza frutto di troppe notti insonni. Non ascoltò nemmeno la motivazione della decisione, perché in tutta onestà non gliene fregava nulla. Gli avevano già detto la sola cosa che davvero gli importava, necessaria e sufficiente ad esaudire il suo unico desiderio...

Tornare finalmente a casa, insieme alle persone a lui più care.

 

[ma io e te ora
possiamo stare bene

aggrappati solo a quanto sappiamo è vero
io e te ora
anche se dentro fa freddo
sentiamo che la marea sta cambiando]

 

Evee's corner

 

H^o^la!

Ordunque, come da programma stavolta è stata Kisara a salvare il caro Seto, e pure senza spargimenti di sangue... anzi, ha salvato capra e cavoli, perché così non ha preservato solo la sua vita ma anche la sua reputazione facendogli fare bella figura. Della serie: “Screw the law, I have Kisara”.

Ok, quest'ultima abridged-reference dimenticatela e torniamo seri... *coff-coff* Dicevo, anche se l'esito era prevedibile, spero di essere riuscita a rendere comunque avvincente lo svolgimento del processo. Per il resto non ho molto da precisare, eccetto che gli shinigami cui Seto equipara i giudici sono i cosiddetti “dei della morte” giapponesi.

Bien, terminata quest'ultima udienza vi saluto e vi do appuntamento alla prossima settimana per la conclusione! E, ovviamente, grazie come sempre di essere qui.

XOXO

- Evee

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Capitolo 9
*** Lover of the light ***


IX - Lover of the light

 

{So love the one you hold
And I'll be your goal

To have and to hold
A lover of the light}

 

Era troppo bello per essere vero.

Si sentiva così felice nel vedere Seto di nuovo insieme a loro, a cenare come se non fosse mai successo nulla, che il solo pensiero che, da un momento all'altro, avrebbe potuto svegliarsi e scoprire di essersi solo sognata il suo ritorno la riempiva di terrore. Ma, forse, erano stati gli ultimi due mesi ad aver rappresentato un lungo, orribile incubo, cui solo alla fine aveva trovato la forza di ribellarsi.

Mokuba, invece, era così euforico che sprizzava gioia da tutti i pori. Il suo viso era illuminato da un sorriso perenne, e le sue labbra erano costantemente intrattenute da una parola o una risata, come se stessero liberando all'improvviso tutte quelle che vi si erano spente nell'ultimo periodo.

-Keira, preparati perché ora è il tuo turno di farti inseguire dai paparazzi...!- la minacciò, puntandole contro con fare giocoso le proprie bacchette.

Come sempre, riuscì a strapparle un sorriso.

-Sono loro che dovrebbero prepararsi, non credi?- ribatté, incrociando quell'arma impropria con le sue posate.

Seduto a capotavola, Seto li scrutò torvo con disappunto.

-Di certo almeno due di quelli che hai malmenato oggi si stanno preparando a sporgere denuncia.-

Kisara alzò gli occhi al cielo, contenendo a stento uno sbuffo esasperato, mentre Mokuba fu più esplicito e scoppiò in un'altra risata. Anche se, in effetti, avrebbe dovuto imparare a trattenere un po' di più, se non la lingua, quantomeno le mani. Sapeva che l'assalto che le avevano dato i giornalisti fuori dal tribunale era solo un assaggio di quelli che le avrebbero teso nei giorni a venire, come sospettava che presto il suo nome e quello del suo capo sarebbero comparsi tanto nelle pagine di cronaca nera quanto di quella rosa. Ad ogni modo, per quanto i media potessero essere fantasiosi, nessuno sarebbe mai riuscito ad indovinare quello che c'era veramente tra loro due.

E, in tutta onestà, neanche Kisara riusciva ancora a comprenderlo appieno.

Comunque, per quanto apprezzasse la compagnia dei fratelli Kaiba, finito di cenare si congedò con una scusa e si ritirò nella sua stanza, in modo da permetter loro di parlare da soli in piena tranquillità. Tuttavia, dopo neanche un paio d'ore, qualcuno bussò alla sua porta, provocandole ben più ansia del thriller nella cui lettura si era immersa.

-Sì?- chiese titubante.

La maniglia si piegò, permettendo al ragazzo sulla soglia di affacciarsi a guardarla con circospezione.

-Posso?-

Lei annuì, per poi appoggiare a faccia in giù il libro sul letto. Immaginava che prima o poi sarebbe giunto il momento di parlargli, come supponeva che non si sarebbe trattata di una conversazione di breve durata.

-Certo, dimmi pure...-

Lui allora chiuse la porta alle sue spalle, confermandole che sì, intendeva fare proprio quella conversazione. D'altronde, fino ad allora c'erano sempre state altre persone intorno ad impedirglielo. Ora, invece, non poteva più sfuggirgli.

Seto si avvicinò ed abbassò lo sguardo serio su di lei, incombendo fatalmente da un'altezza maggiore del solito.

-Devo ringraziarti, Kisara.-

Scosse la testa con ritrosia.

-No, non è necessario...-

-, lo è.- insistette perentorio -Hai badato a mio fratello per tutto questo tempo, ed oggi ti sei esposta prendendo le mie difese. Non avresti dovuto correre un rischio simile, se qualcuno dovesse scoprire che hai mentito...-

Lei allora alzò il viso, abbozzando un sorriso malizioso.

-Non succederà, la Nishiguchi mi ha dato la sua parola... Né oserà rimangiarsela, te lo posso assicurare: ha interesse a tener chiusa la bocca tanto quanto desidera che io tenga chiusa la mia.-

Seto inarcò un sopracciglio in segno di disapprovazione.

-Mi stai dicendo che l'hai ricattata?-

-Mi avvalgo della facoltà di non rispondere, Vostro Onore.-

Lui allora scosse la testa con fare sconsolato, ma si limitò ad emettere un sospiro. D'altronde, non era certo la persona più indicata per rimproverarla di una pratica in cui lui stesso era un maestro.

-Dunque, sembra proprio che non smetterò mai di sentirmi in debito con te...- mormorò poi.

-Nient'affatto.- si oppose fermamente Kisara -Eri tu che mi hai fatto un favore che non potrò mai ricambiare, proteggendomi... Era il minimo. Anzi, perdonami se non ho cercato di aiutarti sin da subito.-

Si morse un labbro, sopraffatta dai sensi di colpa. Lui, invece, assunse un'espressione seccata.

-Solo tu potevi uscirtene con una cazzata del genere.- sbottò -Non c'è nulla di cui tu ti debba scusare.-

Lei contraccambiò tutto il suo disappunto.

-Ma saresti potuto uscire di prigione molto prima... Non ci saresti neanche mai entrato, forse!- protestò vivamente.

Allora la sua espressione si appianò un poco, e le sorrise. Ma non con le labbra. Fu un sorriso più intimo, sincero, che gli lesse nello sguardo.

-Kisara, davvero... non importa.- le disse, quasi carezzevole -Anche se tornassi indietro, lo rifarei lo stesso.-

Ancora una volta, riuscì a lasciarla senza parole. Abbassò lo sguardo, cercando di trovarle, ma lui non gliene diede il tempo. Lo vide voltarsi, ma prima che potesse andarsene udì, come le era già successo, una voce impellente ed indipendente dalla sua volontà chiamarlo per fermarlo.

-Seto...!-

I loro occhi si incontrarono, gli uni in attesa degli altri. Ma, questa volta, Kisara riuscì a decifrare il battito del suo cuore, e a trasmettergli il suo messaggio.

-Anch'io lo rifarei.- gli confessò -Rifarei tutto, per te...-

E, se avesse potuto, avrebbe aggiunto che intendeva proprio tutto. Ora come allora. Di nuovo si sarebbe sacrificata per lui, di nuovo gli avrebbe donato il suo spirito, di nuovo avrebbe vegliato sulla sua anima per i millenni a venire, di nuovo avrebbe scelto di rimanere al suo fianco dopo averlo ritrovato. Ma non riuscì a dirlo e, forse, non ce n'era neanche bisogno.

Lo vide nei suoi occhi, che l'aveva capito.

Lo sentì sulle sue labbra, quando si piegò per baciarla.

Fu una sensazione dolce e fugace, quasi evanescente. Tutto l'opposto dei baci che così tante volte le erano stati rubati, strappati con la forza. Quelli li aveva sempre percepiti come una violenza da cui fuggire e, una volta in grado di farlo, a cui opporsi per non dover più sentire il freddo in cui la abbandonavano. Lui, invece, non la privò di alcun calore ma la sfiorò con una carezza e, per un attimo, le regalò il suo.

Poi però si ritrasse di scatto, gli occhi spalancati e spaventati come se avesse appena preso una scossa.

-Scusa...- iniziò a dirle, con un filo fragile di voce -Io non...-

Ma, questa volta, fu lei ad interromperlo. Voleva sentire di nuovo quella sensazione, scoprire se le avrebbe fatto lo stesso effetto e se, prolungandola, si sarebbe trasformata in una diversa. Perché, ne era certa, il sentimento che le aveva appena trasmesso e che lei aveva provato non era affatto un ricordo, ma qualcosa di reale.

Qualcosa di suo.

 

***

 

Non seppe spiegarsi perché lo fece.

Forse, fu solo per la morbidezza della sua voce quando pronunciò quelle parole e per la dolcezza che splendeva nei suoi occhi blu. O forse fu per l'impressione che, a parlargli, non fosse stata solo Kisara, ma la sua stessa anima. Oppure, più razionalmente, fu perché si era stancato di pentirsi per cose che non aveva fatto, ed aveva imparato quanto raramente la vita regala seconde occasioni per porvi rimedio. D'ora in poi, si decise, se avrebbe avuto dei ripensamenti sarebbe stato solo per qualcosa che aveva fatto per davvero. La sua coscienza preferiva di gran lunga i rimorsi ai rimpianti.

Fu così che si ritrovò a premere le labbra sulle sue. Al contatto, provò una sensazione così strana che lo fece rabbrividire, come se avesse appena riassaporato qualcosa di cui sentiva fortemente la mancanza. Ma erano millenni che desiderava compiere quel gesto, tanto da esserselo immaginato fin quasi a percepirlo. Tuttavia, l'incertezza sul come continuarlo e su quanto la sua iniziativa fosse stata gradita lo sopraffece, spingendolo ad allontanarsi subito. E a balbettare con voce roca cose senza senso.

Perché?!? Dannazione, non era stato altro che uno stupido, banalissimo bacio! Appunto, un bacio così ridicolo che chiunque, persino un bambino, avrebbe saputo fare di meglio e avrebbe potuto ridere di lui. E a ragione, dato che aveva appena fatto una perfetta, magistrale figura da...

Quand'ecco che Kisara si sollevò, appoggiando delicate le mani sulle sue spalle, e recise il filo disordinato dei suoi pensieri con un altro bacio. Al suo movimento improvviso fece un passo indietro, intimidito, e quando si sentì ricambiare rimase per un attimo stupefatto, gli occhi spalancati. Ma poi il profumo della sua pelle lo avvolse, assieme al tepore che quelle labbra dolci stavano imprimendo alle proprie. Sollevò allora le mani per inondarle tra i suoi capelli alla vaniglia, trattenendola per ricambiarla con desiderio, quasi con frenesia. Le punte dei suoi piedi persero l'equilibrio, arretrarono, scivolarono al contatto con il bordo del letto. Lei vi ricadde sopra, lui la seguì, avvinto dalle dita che Kisara aveva intrecciato dietro alla sua nuca e si erano aggrappate ai suoi capelli, sprofondando in quel bacio. Stringendola a sé, smarrendosi nel suo abbraccio. Qualcosa finì a terra. Forse quel libro che lei aveva socchiuso, non importava: nessuno ci prestò attenzione, né si sarebbe curato di raccoglierlo.

Si separarono per un attimo, riprendendo fiato. I loro occhi si scambiarono una muta richiesta, e le loro labbra si cercarono affannate. Si trovarono socchiuse, pronte ad approfondire il bacio e a fargli scoprire che amava il gusto avvolgente di quella bocca quanto il fremito che gli provocava lei nell'assaporare la sua. E nonostante le labbra gli bruciassero a stare troppo a contatto con le sue, lo preferiva a come gli pizzicavano, impellenti e affamate di quella sensazione, se osava staccarle anche solo per un istante.

Quella sensazione assurda che sfuggiva al suo volere, e travolgente in modo quasi insopportabile.

Era perfettamente conscio che l'attrazione fisica non è altro che una semplice reazione chimica, eppure gli sembrò di aver appena trovato l'unico elemento con lui compatibile... Ma no, lei era ben di più: Kisara era la sua combinazione perfetta. Altrimenti non avrebbe saputo spiegarsi perché, per quanti baci si scambiassero, non ne era mai sazio, ma vi diventava sempre più assuefatto e dipendente. Che poi, quante volte si baciarono? Probabilmente tante, considerando l'ora che si era fatta quando riuscirono fermarsi. Comunque poche, visto che neanche a quel punto riuscirono a salutarsi e, di nuovo, finirono per addormentarsi insieme. Di nuovo, con lei, dormì bene come non faceva da tempo, serenamente come non aveva mai fatto.

E di nuovo la baciò quando, il mattino seguente, si risvegliò al suo fianco.

 

*

 

Quanto gli era mancato il suo ufficio.

Accarezzò piano la liscia superficie della sua scrivania in mogano, come per accertarsi che fosse davvero lì davanti a lui. Fece scivolare le dita lungo tutto il perimetro, per poi andare a sedersi sulla sua tanto agognata poltrona. Si era talmente abituato alla spartanità della sua cella che ora quella morbidezza gli sembrò futile, quasi scomoda. Ma vi si adagiò comunque con soddisfazione, perché nulla gli regalava una sensazione di controllo simile a quella che provava quando ne stringeva i braccioli e la ruotava per dominare la città. Per osservare tutto ciò che aveva costruito con le sue sole forze, e che per poco non aveva rischiato andasse per sempre perduto, assieme a tante altre cose della sua vita cui prima prestava appena attenzione e che invece ora, dopo esserne stato spogliato, gli apparivano persino più importanti, essenziali. Come una luce vera, naturale, di cui troppo a lungo i suoi occhi erano stati privati e, benché non se ne fossero ancora pienamente riabituati, da cui non voleva più separarsi, anche a costo di venirne accecato.

E proprio non avrebbe saputo dire per quanto tempo sarebbe stato capace di rimanere in quella contemplazione, se qualcuno non avesse bussato alla porta per richiamare la sua attenzione. Si voltò di scatto, innervosito. Era perfettamente conscio che c'era una montagna di lavoro in arretrato e che nei giorni a venire si sarebbe dovuto rassegnare ad una folla di disperati questuanti alla ricerca delle soluzioni ai problemi che, senza di lui, non erano riusciti a trovare, ma... aveva appena rimesso piede nel suo ufficio, e che cazzo! Avevano aspettato per due mesi, quanto gli costava attendere due, solo due, fottutissimi minuti?

-Avanti.- ringhiò, già pronto a sbranare l'incauto di turno.

Ma con sua enorme, piacevolissima sorpresa fu la candida testa di Kisara a fare capolino nella stanza.

-Disturbo?- domandò cauta, probabilmente spaventata dal tono con cui l'aveva appena sentito sbraitare.

-Non fare domande idiote.- la rimbeccò, per poi affrettarsi a temperare la sua risposta -Tu non disturbi mai.-

Forse si era lasciato andare anche troppo, ma in fondo era vero. E non nel senso melenso con cui quella frase viene utilizzata a sproposito. Lei era probabilmente la persona meno invadente che avesse mai conosciuto. Ed anche quella volta non si smentì: alla sua risposta addolcì l'espressione tesa con un tenue sorriso, ma entrò comunque circospetta nella stanza e, ignorata la sedia davanti a lui, rimase rigidamente in piedi, mantenendo le distanze.

-Allora?- la incitò, visto che non sembrava volersi decidere a parlare per prima.

Lei si morse il labbro inferiore, tradendo il suo nervosismo.

-La prossima settimana inizia Battle City.- osservò.

Come se avesse avuto bisogno che qualcuno glielo ricordasse. E anche in caso contrario, aveva fatto cospargere Domino con così tanti manifesti promozionali che persino un alieno appena sbarcato sul pianeta ne sarebbe venuto a conoscenza.

-Dunque?- la sollecitò.

-Dovresti partecipare.-

Seto si incupì, aggrottando le sopracciglia. Non si aspettava di dover rivalutare il suo giudizio su di lei tanto in fretta.

-Pensavo avessimo già avuto questa conversazione.-

E lo disse con tono finalizzato a precluderne qualsivoglia ripetizione. Tuttavia, Kisara doveva aver incominciato a sviluppare un'immunità alle sue capacità intimidatorie... o, forse, era lui che non riusciva più a farvi appello con lei. Sta di fatto che la ragazza gli replicò senza tentennamenti, tenendogli testa.

-Pensavo avessi cambiato idea.-

-Non vedo perché avrei dovuto.- ribatté secco.

Lei esitò un attimo, poi andò al punto.

-Sapevi che il mese scorso l'Industrial Illusions ha fatto arrivare delle nuove espansioni di Magic and Wizards?-

-Sì, Isono me l'ha riferito.- rispose con sufficienza -Ed ho già chiesto che i database dei Duel Disk siano aggiornati per tempo, prima che tu me lo chieda.-

-Ma le hai viste?- insistette lei, con sguardo ostinato.

Seto indurì l'espressione, avendo finalmente intuito dove voleva andare a parare.

-Non ancora.- ammise -Comunque, dubito fortemente che ce ne sia anche solo una degna del mio interesse.-

Kisara gli rispose con un lieve sorriso.

-Neanche questa?-

Estrasse dunque di tasca una carta, appoggiandola timidamente sulla sua scrivania. Sulle prime Seto ebbe un moto di repulsione, perché vide subito che si trattava di uno di quegli orrendi mostri Synchro con cui ultimamente l'I2 aveva deciso di rovinare il Magic and Wizards. Poi, però, quando poté osservarla più da vicino, ebbe modo di ricredersi sul loro conto. O, almeno, cambiò idea su quella carta, che raffigurava una creatura incredibilmente simile al suo drago preferito, se non ancora più maestosa. E, nel leggerne il nome, comprese che non si trattava affatto di una coincidenza.

Azure-Eyes Silver Dragon”.

-So che non è la stessa cosa, ma...- udì dire da Kisara, con voce incerta -Quando l'ho vista ho pensato che, forse, potrebbe andar bene lo stesso.-

Seto allora alzò i suoi occhi azzurri su di lei, colmi di riconoscenza.

-E' perfetta.-

 

***

 

Vederlo duellare era una gioia per gli occhi.

Rimaneva incantata nel seguire le sue mani accarezzare le carte prima di giocarle con voce orgogliosa, facendole apparire come una magia al suo cospetto. Ammirava profondamente la posa fiera che assumeva in uno scontro, come la concentrazione della sua espressione nel ponderare strategie. E poi l'intensità con cui gli brillava lo sguardo, quando estraeva la carta giusta ed evocava il suo nuovo drago argentato, le scaldava sempre il cuore.

Anche se non conosceva le regole del Magic and Wizards avrebbe potuto guardarlo per ore, così come lui sarebbe stato capace di giocarvi ininterrottamente. Ma, dato che non era possibile, faceva di tutto perché nessuno osasse distrarlo quando, nei ritagli di tempo o addirittura saltando il pranzo, correva fino al Dipartimento di Ricerca e Sviluppo della KC per provare il suo nuovo deck ed allenarsi in vista di Battle City. Perché ci teneva davvero tanto, ad essere all'altezza di quella competizione e del duellante che era stato un tempo. Aveva perfino preparato per l'occasione un regale completo bianco, da abbinare a una lunga giacca con i risvolti azzurri, che Mokuba prendeva in giro definendola la sua nuova “divisa da battaglia”. E ci tenne ancora di più quando, una volta sparsasi la notizia della sua partecipazione, venne a sapere che anche il suo vecchio rivale, quel Yugi Muto di cui le aveva raccontato, aveva deciso di iscriversi per poter duellare di nuovo con lui. Sì, proprio quel tizio strambo che, come scoprì in seguito, l'aveva salutata sorridente giorni addietro, all'uscita del tribunale.

Per questo, la sera prima dell'inizio del torneo, la luce che filtrava dalla camera di Seto rimase accesa fino a tardi. Kisara la osservò con un sorriso, consapevole che nessuno sarebbe riuscito a fargliela spegnere, come niente avrebbe potuto spegnere la sua eccitazione per le sfide che l'attendevano. Allora, un pensiero le attraversò la mente, anche se non osò bussare per riferirglielo. Non voleva disturbarlo, e poi sapeva quanto fosse suscettibile riguardo alle critiche... ma, alla fine, si era sbagliato.

Anche lui meritava di essere felice.

 

[ama dunque colui che stringi
e sarò il tuo obiettivo

da possedere e da abbracciare
un amante della luce]

 

Evee's corner

 

H^o^la!

Allora, eccoci alla fine!

Chiaro che la canzone sarebbe stata questa, come chiaro che ci sarebbe stato l'happy ending. Anzi, romanticismo a palate per rimediare al dramma con cui vi ho afflitto per tutto questo tempo, e abbastanza baci da compensare quelli che i nostri protagonisti non si sono scambiati nella loro vita precedente... E, come in “White Lady”, anche qui ho voluto chiudere il cerchio aperto nei primi capitoli e, in parte, richiamare anche l'altra conclusione con lo “scambio” di carte proposto da Kisara. Al riguardo, prima che qualcuno imbracci i forconi, volevo chiarire che l'Azure-Eyes Silver Dragon non è un parto della mia mente malata, ma esiste davvero: eccovelo qui. E, a conti fatti, credo che sia la sola carta con cui Seto potrebbe accettare di sostituire il buon vecchio Blue-Eyes... Specialmente se ha il suo stesso placet. Inoltre, già che ha dato una rispolverata al suo deck, ho tirato fuori l'Enzo Miccio che è in me e mi sono permessa di fargli rinnovare un po' anche il guardaroba, perché il suo cappotto inamidato ormai avrà le tarme e non è che facesse proprio impazzire... *Kaiba, ma come duelli?!?* E qui mi sono rifatta a quel completo strafigo con cui viene disegnato in Yu-gi-oh R (probabilmente il solo merito di quello spin-off che per il resto preferisco abortire dalla mia memoria). Se volete rifarvi gli occhi, vi invito ad ammirarlo in tutto il suo splendore here.

Bene, è giunto il momento dei dovuti ringraziamenti a tutti voi, per avermi sopportato fino a qui. Chi in silenzio, chi aggiungendomi ai seguiti o persino già ai preferiti e chi regalandomi parole così preziose che è avvilente chiamarle solo recensioni. Dunque, in ordine di apparizione, una menzione d'onore per:

selenepitta; MuSiCaNdArTs95; Apolline; scarlettheart; waterlily_; Mavis; lalla_fairy_pole.

Spero che la conclusione sia stata di vostro gradimento, e che l'intera stagione sia risultata all'altezza della prima, se non anche migliore. Infine, prima che me lo chiediate... Sì, ci sarà il sequel. D'altronde, non c'è due senza tre (pure i Blue-Eyes). Inoltre avevo le idee, avevo persino già il titolo, per cui non avevo scuse per non scriverlo. Dunque, a chi sarà abbastanza sprovveduto da seguirmi ancora do appuntamento alla prossima domenica (e ancor prima a mercoledì per fare il punto della situazione anche con Mokie), mentre a chi, più saggiamente, è meno masochista, mando i miei più calorosi kisses!

XOXO

- Evee

P.s. vi anticipo che ho in cantiere anche un'altra long dal taglio più romantico, che inizierò a pubblicare a partire da San Valentino... blueshipping, of course.

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