Figlia di Drago

di Jordan Hemingway
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Nick sul forum/ Nick su EFP: Jordan Hemingway
Titolo Storia: Figlia di Drago
Genere: Fantasy, Drammatico
Rating: Giallo (ci sono un paio di scene più “forti” di altre, ma credo sia giallo: nel caso, cambio rating!)
Tipo di Coppia: Nessuna (ma c’è un accenno di het)
Note / Avvertimenti: Ho usato un lessico particolare, ispirato a termini malesi/indonesiani (data l’ambientazione in un simil-sudest asiatico), ma con significati diversi da quelli reali, quindi mi sembra meglio elencarli qui: Tuan: Generale supremo, Ibu: Sacerdotessa/e, Rani: Capo politico (femminile), Nyonya: Signora suprema, Lheun: Signore supremo (riferito esclusivamente ai draghi), Gaijin: straniero, Ikugan: nella mitologia filippina è una specie di gigante ricoperto di pelo
Lunghezza: 10.855 parole compreso il titolo/20 pagine TMR 12
Breve Introduzione: Narra la leggenda che all’inizio dei tempi Otto Clan si divisero le terre del Sud, prosperando sotto la guida del Primo Clan, che godeva della protezione dei draghi. Oggi i Clan sono divisi, e il popolo del Primo aspetta un segno dal loro Grande Protettore per tornare alla passata grandezza…
Due Figlie di Drago nate dallo stesso ventre, due metà dello stesso seme. Materiale da leggenda, ma si trattava di capire se da quella leggenda si potessero anche forgiare due armi letali, o se il fatto di essere state divise nel grembo della madre avrebbe influito sulla loro forza.

Partecipa al contest "Sangue di Drago" http://freeforumzone.leonardo.it/d/10922391/Sangue-di-Drago-Fantasy-Contest-/discussione.aspx/1 indetto da ManuFury su EFP Forum, e vi suggerisco di andarvi a leggere le altre storie partecipanti, che meritano parecchio!
 
 
 
 
 
Figlia di Drago



1
“E umani e draghi furono una cosa sola.”
Cantico delle Ibu
 
Era un grande onore, Ygraine lo sapeva bene, per questo ignorò l’imbarazzo che le provocava lo stare all’aperto, le parti intime esposte allo sguardo di tutti mentre l’anziana Madre Norah le tastava l’addome gonfio e pronto al parto.  Nessuno, nemmeno la Rani, era più importante di lei in quel momento: colei che avrebbe generato un dio. Gemette quando qualcosa di bagnato cominciò a scenderle tra le cosce aperte.
“Si sono rotte le acque.” Madre Norah fu svelta a porgerle una tazza di infuso caldo e amaro. “Le contrazioni inizieranno a breve.” Ygraine sorrise spavalda, ma dentro di sé ricordava le urla soffocate delle donne nella casa di Norah, i gemiti, gli occhi spenti dei mariti e dei figli quando qualcosa non andava come doveva. Non poteva mostrarsi debole: per il bene di suo figlio sarebbe stata forte, non doveva piangere. Prese il bastoncino che le porgeva la levatrice e lo addentò con forza, isolandosi dalla folla radunata attorno a lei.
La prima contrazione le tolse il respiro e le inarcò la schiena.
Non aveva mai provato un dolore così intenso.
“Spingi, Prescelta, spingi.”
Cercò di concentrarsi sui ricordi migliori: gli alberi di mangrovia a primavera, lo stufato di coniglio di sua nonna, il profumo della lavanda appena tagliata.
“In ginocchio!” Ordinò la Rani aprendo le braccia e tenendole alte sulla piazza. “Preghiamo i Supremi per la salvezza della loro stirpe!”
Era strano, nessuna memoria di Ygraine conteneva Lheun Heliox, il padre di suo figlio.
“Salvate la vostra progenie”
“Spingi di più, mia signora!”
Ricordava il giorno in cui lui l’aveva scelta, il timore trasformato in stupore e poi in felicità per essere diventata Colei Che Genera Dei. Non ricordava l’aspetto di Lheun Heliox, solo l’intensità dell’aura di lui che la colpiva, l’accarezzava e infine entrava in lei. Sarai la madre della mia stirpe. La vittoria del tuo Clan.
“Salvate il nostro popolo.”
“Sta uscendo!” Madre Norah afferrò un ciuffo di peli bagnati, una testolina, due braccia squamose. Una femmina.
Nessuna memoria del colore dei suoi occhi, delle sue ali.
La Rani afferrò la bambina dalle mani di Norah e la mostrò al suo popolo. “Rendiamo omaggio alla Stirpe del Drago!”
Un boato si sollevò dalla folla, coprendo un suono che solo Madre Norah colse: l’urlo di dolore di Ygraine. Con orrore, la levatrice si accorse che le contrazioni erano ricominciate, nonostante la placenta fosse già stata espulsa. “Non può essere vero…”
La Rani si voltò. “Che cosa succede?”
“Non abbiamo ancora finito, mia Rani.”
Ygraine sentiva le sue forze sparire sempre più ad ogni contrazione. Capì di essere alla fine molto prima di Madre Norah e della Rani. Cercò di convincersi che quello era il prezzo dell’essere prescelti da un Signore dei Cieli, che la sua doppia benedizione le avrebbe aperto le porte del Mondo Sospeso, avrebbe portato agli altri la fine delle guerre tra Clan e la pace nella loro terra.
L’unico pensiero, mentre dava alla luce la seconda bambina e moriva, fu il profumo della lavanda appesa ad essiccare nella casa di sua nonna, colpita dai raggi di sole che si infiltravano dal tetto.



 

 

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Capitolo 2
*** 2 ***


Figlia di Drago



2
“Chi non sa usare una spada non sa affrontare la vita”
Proverbio del Primo Clan
 
Guinevre e Vivianne iniziarono l’addestramento nel primo giorno dell’anno del Drago, sotto una pioggia torrenziale che impregnava di umidità ogni angolo della città sepolta nella foresta.
Le due bambine sedevano davanti a Tuan Hector senza parlare, tenendo la schiena dritta e il mento alto: le loro scaglie dorate e i capelli immacolati sembravano fuori posto nell’abitazione coperta di muschio.
Il Tuan continuò a lucidare la propria lama, prendendosi tutto il tempo per osservarle di sottecchi: due Figlie di Drago nate dallo stesso ventre, due metà dello stesso seme. Materiale da leggenda, ma si trattava di capire se da quella leggenda si potessero anche forgiare due armi letali, o se il fatto di essere state divise nel grembo della madre avrebbe influito sulla loro forza.
La pioggia ticchettava sul tetto della stanza, alcuni rivoli scendevano sui sai e sulle sciabole appese alle pareti e si riversavano sul pavimento di legno gonfiandolo leggermente.
“Sai tenere in mano una di queste?” La voce del Tuan ruppe il suono ossessivo delle gocce di pioggia. Le due gemelle si scambiarono uno sguardo senza voltare la testa, indecise su a chi fosse rivolta la domanda. Infine fu Guinevre, la maggiore, a rispondere. “Sì, Tuan Hector.”
“Dimostralo.” Una sciabola scivolò nelle mani di Guinevre, mentre il Tuan, alzatosi, puntava la propria alla gola della bambina. Pochi colpi e Guinevre cadde a terra di schiena. La sciabola era finita in un angolo della sala.
“Tu pensi di saper fare di meglio?” Il Tuan si rivolse a Vivianne, ancora immobile al suo posto, ma non ricevette risposta. Un momento dopo anche lei si ritrovò a terra accanto alla gemella. Su di loro troneggiava la figura di Tuan Hector. “Per tenere in mano una lama bisogna saperla usare, tuttavia è meglio tentare che arrendersi senza aver prima provato.”
Negli occhi di Guinevre si accese una scintilla, la stessa che abbandonava quelli di Vivianne.
Fuori, la pioggia continuava a cadere.
 
Dopo due anni di addestramento militare, Tuan Hector decise che era giunto il tempo di affrontare l’argomento con le allieve.
“La magia è parte dei Figli di Drago.” Spiegò durante una pausa dagli allenamenti. “Dicono sia come pregare, ma con una risposta più concreta dei vaticini delle Ibu.” Le due ragazzine sorrisero di nascosto, ricordando certe filippiche del loro maestro.
Vivianne chiese la parola. “Che tipo di risposta?”
“Magia. Quando il Grande Protettore viene invocato da uno dei suoi Figli, Egli gli concede l’energia necessaria per sconfiggere un esercito, far crescere una foresta o accendere un fuoco da campo, a seconda dei casi.”
“Questo vuol dire che la magia può essere usata ogni volta che vogliamo?” Guinevre iniziò a prestare interesse alla conversazione.
“Non così in fretta. La magia si riversa nella parte di sangue di Drago contenuta nel Figlio, ma da lì non può uscire: per usarla il Figlio ha bisogno di un catalizzatore, una cosa che tu non hai, signorinella.”
“Un cata-che?”
“Un catalizzatore è un oggetto che permette all’energia di passare da uno stato all’altro.” Vivianne aveva risposto d’impulso, e si zittì immediatamente sotto l’occhiata severa del Tuan.
“Vedo che, a differenza di tua sorella, qualcuno legge anche libri delle Vecchie Epoche. E dimmi, sai anche a chi è concessa la custodia dell’ultimo catalizzatore di questa era?”
La ragazzina annuì. “Alla Rani.”
“Quindi per usare la magia, serve il permesso della Rani, ovvero il permesso del popolo. Non si può usare a proprio piacimento: buonsenso popolare dei bei tempi andati. Ed ora, signorine, mostratemi come non si deve usare un sai.”

 

 


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Capitolo 3
*** 3 ***


Figlia di Drago



3
“Di mostri e fantasmi/il guerriero non parli”
Rani Astaria II Kanjaq
 
“Non dovremmo essere qui.”
La pioggia batteva sul tetto di canne e paglia della capanna di Madre Norah, attutendo le voci dei bambini radunati all’interno in attesa di una nuova storia per passare il tempo. La capanna era stretta, lunga e molto alta, così che nessuno, da terra, poteva vedere i pali che scorrevano appena sotto al tetto per fissarlo meglio ai tronchi portanti e dove trovavano rifugio svariate creature, dai pappagalli ai ragni a due Figlie di Drago scappate dalla loro stanza.
“Non dovremmo essere qui.” Ripeté Vivianne, rannicchiata nel punto dove la trave incontrava la parete, nel tentativo di evitare che anche una sola scintilla del fuoco acceso nel centro della capanna illuminasse le scaglie dorate che la ricoprivano interamente. “Se il Tuan ci scoprisse…”
Guinevre scrollò le spalle e si sdraiò a pancia in giù sulla trave. “Ci scoprirà solo se saremo così stupide da farci vedere dagli altri, e in quel caso avremo meritato la punizione.”  Fissò i bambini radunati sotto di lei. “Ma non succederà. Quando Madre Norah racconta le sue storie potrebbe passare un Roq sul villaggio e nessuno se ne accorgerebbe.”  Vivianne sorrise debolmente, ancora preoccupata, ma non parlò più.
“Eccola, ora comincia!” Sussurrò Guinevre, preparandosi al racconto della vecchia levatrice.
Madre Norah si sedette accanto al fuoco reggendo un enorme mazzo di erbe medicinali, subito prese in consegna dai bambini più vicini: presto ognuno di loro fu impegnato ad aprire i baccelli dei fiori e a sminuzzare le foglie secche con dita veloci. La vecchia donna li osservò critica per qualche minuto, poi, soddisfatta, si avvicinò al fuoco e iniziò a raccontare.
“Narrano le leggende che un tempo gli esseri umani abitavano sottoterra, come le talpe e i conigli. Il mondo era un posto pericoloso: i Roq abitavano nelle foreste, assieme ai Djinn delle paludi, ai giganti e altre creature spaventose.”
“Se fossi vissuto a quei tempi, avrei combattuto contro i mostri!” Urlò un bambino alto quanto una pianta di pepe.
“E saresti morto prima di capire come.” Lo zittì Madre Norah. “Un giorno un uomo si ammalò: per guarire aveva bisogno di mangiare il fiore di una pianta che cresceva sugli alberi. Sua figlia non accettò di lasciarlo morire, e di nascosto uscì all'aperto. Fu questo l’inizio di tutto.”
Guinevre si agitò sulla sua trave, pregustando il seguito.
“La ragazza camminò nella foresta, piena di paura ma decisa a salvare suo padre. Quando scorse l’albero dei fiori dimenticò ogni precauzione e corse verso la pianta: in quel momento un Roq la vide e l’agguantò con i suoi artigli pronto a divorarla. In quel momento il Grande Protettore si trovava a volare sopra le nostre terre: vide la scena e, commosso dalla pietà filiale della ragazza, decise di intervenire.” I bambini ascoltavano attenti.” Il Drago attaccò il Roq, e con un colpo dei suoi lunghi denti gli squarciò la gola da parte a parte. La ragazza cadde dagli artigli del mostro, ma prima di raggiungere il suolo venne afferrata dal Grande Protettore.”
“Questa è la parte che preferisco.” Sussurrò una bambina alla sua amica.
“Il Grande Drago si accorse allora che la ragazza era molto bella, che i suoi capelli erano morbidi e profumati , la sua pelle calda e il suo cuore impavido, e la desiderò come compagna. La portò con sé nella sua casa in mezzo al cielo, nel Mondo Sospeso, dove lei rimase per nove mesi.  Durante questo periodo suo padre e la sua gente credettero che fosse morta. La loro sorpresa fu enorme quando, dopo nove mesi, lei tornò da loro allattando un bambino coperto di scaglie dorate e portando al collo un medaglione che brillava come una stella. La Prescelta disse loro di uscire da sotto terra, poiché il Grande Protettore ci aveva concesso il suo favore. I simboli di quell’alleanza erano il bambino, il primo Figlio di Drago, che sarebbe diventato poi il primo Condottiero della Nuova Era, e il Medaglione, che permetteva ai poteri del Figlio di Drago di manifestarsi in questo mondo. Gli uomini abbandonarono i loro rifugi e salirono in superfici, si moltiplicarono e fondarono gli Otto Clan, ma il Primo Clan rimase quello della Prescelta, il nostro Clan, incaricato di guidare l’umanità per sempre.”
Tutti i bambini avevano ascoltato con il fiato sospeso.
“E cosa successe alla Prescelta?” Domandò una ragazzina in prima fila, porgendo i suoi baccelli a Madre Norah.
“Al termine della sua vita venne riportata nel Mondo Sospeso dal Grande Protettore, e anche per suo figlio fu lo stesso.”
“E i mostri?”
“I mostri rimasero nascosti fin quando il Figlio di Drago rimase tra gli uomini. Alla sua morte il Grande Protettore inviò uno dei suoi numerosi Figli a cercare una compagna umana con cui generare un nuovo Figlio di Drago, e così via, fino alla nostra epoca.”
Un bambino alzò la mano. “Quindi esistono molti Draghi?”
“Tanti quanto le stelle.”
Vivianne era rimasta incantata dalla storia, e provò ad immaginare un cielo costellato di Signori del Cielo. Guinevre stava pensando a come dovesse essere affrontare un Roq armata solo di una spada, e dentro la sua testa visualizzava quali colpi mandare a segno. La frase successiva della levatrice colse le due gemelle di sorpresa e rischiò di farle cadere.
“Ma può esistere un solo Figlio di Drago per generazione.” Tutti i presenti ammutolirono. La ragazzina dei baccelli parlò a nome di tutti: “Ma in questa generazione sono nate due Figlie di Drago.” Guinevre e Vivianne aspettarono la risposta di Madre Norah, immobili.
“Una di loro sarà la Figlia di Drago, l’altra è destinata a soccombere.”


 


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Capitolo 4
*** 4 ***


Figlia di Drago



4
“La Prova è squisitamente spirituale: il contatto più intimo con la mente del Grande Protettore…”
Ibu Varaina
 
Tuan Hector portò una mano alla fronte per coprire gli occhi dal riverbero dell’alba mentre osservava la spianata antistante la città che si stava già colmando di persone.
Quel giorno il suo lavoro si sarebbe finalmente compiuto: la Figlia del Drago avrebbe assunto il comando del Clan per farlo tornare alla passata grandezza, riportando i Clan sotto l’egida del Grande Protettore. Si trattava solo di stabilire quale delle due ragazze possedesse la forza e la magia del padre. Dentro di sé, il Tuan conosceva già la risposta.
Guinevre e Vivianne si prepararono in silenzio: anni di preparativi, allenamenti e prove avevano sviluppato il loro fisico in maniera quasi innaturale, mentre anni di insegnamenti, leggende e sussurri ne avevano forgiato lo spirito in modo tale che entrambe sapevano cosa aspettarsi dalla Prova. Guinevre si sentiva pronta: sapeva da tempo che i suoi fendenti mettevano in seria difficoltà Tuan Hector, a differenza dei colpi di Vivianne, che le sue strategie erano capaci di risolvere antiche sconfitte registrate negli archivi della Rani, che il suo coraggio non aveva nulla a che fare con l’intruglio di erbe che Madre Norah somministrava ai guerrieri del clan prima di ogni battaglia. Non aveva mai pianto in un allenamento, lei.
Guinevre sentiva lo spirito di suo padre scorrerle nel sangue mentre stringeva la spada al suo fianco, pronta ad iniziare la Prova.
Accanto a lei, Vivianne non riusciva a pensare a nulla. I lacci dell’armatura non volevano chiudersi sotto le sue dita. Come sempre, nulla voleva mai funzionare bene nelle sue mani: armature, spade, sai, corde, strategie… Di qualunque cosa si trattasse, Vivianne sapeva che sarebbe stata Guinevre ad eccellere, mentre a lei sarebbe toccata quell’occhiata pietosa del Tuan che l’aveva spinta a soffocare i singhiozzi durante le notti.
I Figli di Drago non piangono. I Figli di Drago non sono deboli. I Figli di Drago non nascono a coppie.
Per questo ora si trovavano entrambe in quella spianata, circondate dal loro Clan e sovrastate dalle gradinate di marmo coperte di rampicanti del tempio: una di loro non sarebbe mai dovuta nascere.
 
La Rani avanzò attorniata dalla sua guardia scelta e si fermò davanti alle due Figlie di Drago: tra le mani reggeva una piccola scatola di legno logorato dal tempo, da cui estrasse un ciondolo color avorio intagliato in modo rozzo, quasi infantile. Lo mostrò alla folla: “Quando oggi tramonterà il sole, per la prima volta dopo decenni avremo un Condottiero a guidare il nostro Clan verso la vittoria definitiva.” E dicendo questo, porse lentamente il ciondolo a Guinevre. “Invoca tuo padre, Figlia di Drago, e mostraci il segno della sua benedizione.”
Quando Guinevre chiuse le mani attorno al medaglione ne percepì la potenza: era come avere migliaia di insetti che premevano per uscirle da sotto la pelle e volarsene via. Chiuse gli occhi, e visualizzò l’immagine di suo padre, così come l’aveva immaginato per tutta la sua vita: una creatura immensa, potente, benevola verso la figlia. Padre, concedimi la magia per guidare il mio Clan. Sentiva il sangue scorrere più veloce e riempirla di quell’energia che veniva trasmessa da lei al medaglione e viceversa. Si concentrò sull’uso che voleva farne (un fulmine per spaccare la terra e raggiungere le riserve di acqua sotterranee) e infine, come se stesse usando una fionda, giunta al limite lanciò il potere che aveva accumulato, urlando.
Riaprì gli occhi.
Davanti a lei, la terra era intatta.
Di ciò che avvenne dopo conservò solo ricordi vaghi – la Rani che prendeva il medaglione dalle sue mani inerti per darlo a Vivianne, la mangrovia fatta crescere da sua sorella in pochi secondi, l’esultanza del Clan che portava Vivienne in trionfo, la voce di Madre Norah che tentava di fermarla mentre correva verso la foresta – tranne uno, che rimase vivido durante i mesi successivi alla sua fuga: la delusione negli occhi di Tuan Hector, il suo distogliere lo sguardo per poi seguire il Clan e la nuova Condottiera nella città. 


 


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Capitolo 5
*** 5 ***


Figlia di Drago



5
“Che le stirpi che hanno dimenticato la Via vengano dimenticate, che i reietti del Grande Protettore marciscano nell’ombra.”
Rani Astaria II Kanjaq
 
Si era trovata un rifugio, una grotta accanto ad un piccolo ruscello dove poteva pescare alcuni ghiozzi. L’addestramento ricevuto non sarebbe stato del tutto inutile.
Non poteva tornare al Clan, dove avrebbe dovuto vivere all’ombra della sorella, tra il disprezzo generale. Una falsa Figlia di Drago, uno scherzo della natura: sarebbe stata condannata al disprezzo generale fino a che non fosse morta in battaglia per riscattare se stessa, come nelle antiche leggende.
Più di tutto ciò, non avrebbe potuto sopportare di vedere ancora la delusione e il disprezzo nell’espressione di Tuan Hector.
Immersa nei suoi pensieri, non udì i passi dietro di lei fino a quando non fu troppo tardi: sentì la rete avvolgerla completamente e pungerla con tanti piccoli aghi: una rete uncinata, l’arma tipica dell’Ottavo Clan. Cercò di non dibattersi per non peggiorare le cose e tentare di raggiungere il pugnale che teneva nello stivale, ma la rete venne stretta ancora, fino ad immobilizzarla del tutto.
“Che cosa abbiamo pescato oggi?” Un uomo sbucò dagli alberi, seguito da due giovani: portavano tutti i segni di appartenenza all’Ottavo Clan. “Una ranocchia per il mercato degli schiavi o un airone per l’harem del Rajah?” Si bloccò, accorgendosi delle scaglie di Guinevre che scintillavano sotto i raggi del sole. “Che cosa…” Sputò a terra formando un segno scaramantico con le dita. “Un’Ibrida. Una schifosa Ibrida.”
I due giovani cacciatori iniziarono a ridere. “Che cosa credevi, Jani, di trovare una sultana in un posto del genere?” Uno dei due si chinò su Guinevre per osservarla meglio. “Non è brutta: ne ricaveremo un buon prezzo al mercato. Non ne ho mai viste di questo tipo.”
“Non osate toccarmi, umani, o invocherò il Grande Protettore!” Guinevre giocò la sua ultima carta.
I tre cacciatori si guardarono: “C’è un solo Clan che usa questo nome.” Jani prese il mento di Guinevre tra le dita. “Vuoi vedere che abbiamo tra le mani un’Ibrida del Primo Clan?”
“Non è possibile!” Esclamò uno dei due giovani. “Loro li uccidono tutti.”
“Non proprio.” Rifletté Jani. “ Non gli Ibridi di Drago: quelli sono sacri.”
“Ma non esistono Ibridi di Drago!”
“Non se ne vedono da quasi un secolo, ma esistono. Tuttavia, se fosse un’Ibrida di drago non sarebbe qui, sarebbe già alla testa dell’esercito di quei cani esaltati del suo Clan. Dì un po’, Ibrida” La sua presa sulla ragazza aumentò. “Che cosa ci fai così lontano dalla tua torre d’avorio?”
Guinevre non rispose.
“Volevi vedere il mondo forse? Non avevi amichetti con cui giocare?”
Un sorriso lascivo apparve sul volto di Jani. “Dite, ragazzi, secondo voi le Ibride di drago godono come le altre?”
Non ebbe il tempo di dire nient’altro: Guinevre, rotta la rete con uno degli uncini, gli aveva conficcato il pugnale nel collo.
Con un unico gesto fluido si liberò del tutto, per poi saltare sugli altri due cacciatori, strangolarli con la loro rete e dileguarsi nella foresta.
 
Ibrida.
Avevano mentito tutti.
Ibrida di drago.
Il Grande Protettore era suo padre o un’altra menzogna inventata per creare una leggenda vivente?
Guinevre guardò il suo viso dentro una pozza d’acqua: le scaglie dorate scintillarono per i riflessi della luna.
Forse non esisteva nemmeno lei.
Vivienne aveva avuto il dono della magia, lei era la Figlia di Drago. Guinevre era solo un’ibrida, una preda per cacciatori e mercanti di schiavi in quel mondo che non conosceva.
Loro li uccidono tutti.
Il suo viso la osservava dalla pozzanghera.
Guinevre prese il coltello e lo affondò nella guancia. Nonostante il dolore, fece leva con l’acciaio per estrarre una scaglia: sulla sua mano brillava anche coperta dal sangue.
Riportò la lama al viso e continuò per tutta la notte.


 


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Capitolo 6
*** 6 ***


Figlia di Drago



6
“Ai Figli di Drago la guida del Clan, all’Ordine la loro educazione”
Ibu Varaina
 
Tutto il Clan era davanti a lei, in ginocchio, mentre la Rani deponeva le insegne del comando ai suoi piedi. Vivianne non lo aveva mai creduto possibile, eppure la magia scorreva nel suo sangue. Era lei, e non Guinevre, l’unica Figlia di Drago, la Salvatrice.
Dov’era Guinevre? Il suo primo impulso era stato correrle vicino, spingerla a riprovare, sarebbe bastato concentrarsi di più…  La stretta di Madre Norah sulla spalla glielo aveva impedito, lo sguardo della Rani l’aveva costretta a prendere il talismano.
Ed era avvenuto il miracolo.
“Rendete onore alla Figlia di Drago, Nyonya Vivianne, nuova Condottiera del nostro Clan.” Le acclamazioni della sua gente, quelle stesse persone che non avrebbero scommesso un denaro su di lei, scendevano come miele dentro la sua gola. Volevano Vivianne: Guinevre non era più la gemella forte, e lei non era più la sua ombra.
L’albero era spuntato e fiorito, la magia era uscita dalle sue mani come sangue caldo, aveva sentito il Grande Protettore accordarle il suo favore. Guinevre era già sparita nella foresta quando lei era riemersa dalla trance: inseguirla non era più possibile. Non quando mille mani la sorreggevano per portarla al tempio.
Non era più un ombra.
 
Come nuova Condottiera, e come guida suprema del Clan, Vivianne entrava a far parte del Consiglio. Era stata indetta una riunione straordinaria, a cui la Figlia di Drago prese parte per la prima volta.
“In questo momento i nostri soldati si stanno preparando, Nyonya Vivianne: entro la fine della settimana potremo marciare contro gli altri Clan.”
“Così presto?” Tuan Hector socchiuse gli occhi. “Non dovrebbero ricevere un addestramento adeguato in preparazione di una guerra?”
Il Consigliere Nabur arrossì di rabbia. “State forse dubitando della forza del nostro esercito, Tuan Hector?”
“Non ho dubbi sulla forza, è dell’esperienza che mi preoccupo.” Il vecchio generale si alzò in piedi. “Quanti di voi ricordano l’ultima guerra, signori?” Tutta l’assemblea rispose affermativamente. “E quanti di voi hanno combattuto in quella guerra?” Domandò il Tuan, alzando la mano. Solo alcuni, tra gli anziani, lo imitarono. “E voi credete che il ricordo dei combattimenti basti ai nostri uomini come preparazione?”
“Che cosa suggerite, Tuan Hector?” Chiese la Rani.
“Di cominciare dal primo passo, mia signora. Di iniziare a portare piccoli gruppi di soldati in azioni di guerriglia, di insegnare loro tutto quello che abbiamo imparato dall’ultima guerra tramite l’esempio pratico. In questo modo, quando saremo pronti, potremo lanciare un’offensiva rapida e letale sugli altri Clan.”
“Ma potrebbero volerci mesi, anni!” Nabur e gli altri Consiglieri si agitarono nei loro scranni. “Con Nyonya Vivienne al comando non serviranno ulteriori preparativi.”
“La magia della Figlia di Drago non può essere usata a vostro piacere.” Affermò Madre Norah. “Inoltre, dovremo insegnarle ad incanalare il suo potere nel talismano e prepararla alla guerra. Tuan Hector ha curato il suo addestramento militare, a me e alle Ibu spetta la sua educazione soprannaturale.”
Tuan Hector aggrottò la fronte. “Che cosa hanno a che fare le Ibu con la magia della Figlia di Drago?”
“Come custodi della saggezza spirituale del nostro Clan abbiamo molto da insegnare.” Rispose dolcemente Ibu Andia, capo dell’Ordine, rivolgendosi direttamente a Vivianne. “La fonte della vostra magia è il Grande Protettore, e noi abbiamo dedicato la nostra vita a comprenderlo e conoscerlo.”
La Rani si alzò in piedi a sua volta. “Dunque è deciso: attenderemo la completa istruzione della Figlia di Drago Vivienne e l’addestramento sul campo dei nostri soldati prima di andare in guerra. Ci rimettiamo alla vostra approvazione, Nyonya  Vivianne.
Guardando tutta l’assemblea, e soffermandosi in particolare su Ibu Andia, Vivianne respirò profondamente.
“Approvo la decisione del Consiglio.” E sorrise.
Non sono più un’ombra.
 
L’addestramento con l’Ordine delle Ibu si protrasse per mesi, tanto che alla fine Vivianne smise di tenere il conto: le bastava imparare ogni giorno qualcosa in più sulla propria natura, sull’uso della forza che le scorreva dentro e sulle leggi che governavano il mondo. Ovviamente, senza dimenticare le lezioni di Tuan Hector.
Fu dopo qualche mese che le portarono il primo bambino.
“Sua madre è morta.” Le spiegò brevemente Ibu Andia. “Si era spinta troppo lontano dai confini durante la raccolta di frutta, ma nessuno si è accorto di cosa portasse in grembo fino al giorno del parto.”
Vivianne non capiva: il bambino, chiuso nelle sue fasce, dormiva tranquillo con un dito in bocca, e a lei sarebbe piaciuto poterlo prendere in braccio al posto di Ibu Andia.
Quest’ultima lo posò a terra dinnanzi a lei.  “A voi, Nyonya, spetta ora il compito di ucciderlo.”
All’inizio la ragazza pensò di non aver capito, ma quello che lesse negli occhi della sua maestra le tolse ogni dubbio. “Perché?” Domandò sgomenta.
Ibu Andia, in silenzio, tolse le fasce al bambino e si fece indietro. Due ali ricoperte di piume rosse si schiusero attorno al bambino, circondandolo completamente.
“Un Roq ha infangato il ventre della cercatrice di frutta” Andia guardò con disprezzo il neonato, che ora piangeva per il freddo. “Non possiamo permettere che simili abomini vivano in questo mondo.”
“Non capisco….” Vivienne scosse la testa debolmente. “Anche io sono come lui.”
“Voi siete la progenie del Grande Protettore. Questo essere è il frutto dell’accoppiamento di un mostro con una donna sfortunata. Crescendo, diventerà un mostro a sua volta, e potrebbe portare alla rovina tutti i Clan. E’ nostro dovere, come Primo Clan e come prescelti dal Grande Protettore, impedire tutto questo.”
“Ma è solo un bambino. Potrebbe imparare, potremo insegnargli…”
“Impossibile. Il sangue dei mostri prenderebbe il sopravvento sulla parte umana. Non è il primo abominio di cui ci occupiamo, Nyonya: finora il compito di risolvere il problema spettava a me, ma ora tocca a voi.”
“Non… Non voglio.” La ragazza si chinò a raccogliere il bambino, ma Ibu Andia fu più veloce: con un passo schiacciò il collo del piccolo, uccidendolo sul colpo.
Tremante, Vivianne raccolse il corpicino da terra, avvolgendolo nelle sue ali. Ibu Andia le si avvicinò e la guardò con dolcezza. “Era la vostra prima volta, e non vi biasimo per non esserci riuscita. Ma, se non volete che nel Clan si inizi a sospettare che la Figlia di Drago sia più vicina ai mostri che non al suo popolo, vi consiglio di imparare a eliminare la pietà dal vostro cuore.”
Quella fu la prima vera lezione dell’Ordine delle Ibu.


 


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Capitolo 7
*** 7 ***


Figlia di Drago



7
“Oh, fossi un girovago/che viaggia nel vento/danzando al tramonto”
Yinna Ibn Arsa, Poesie scelte
 
I carri si fermarono al crepuscolo: in pochi attimi i guidatori li disposero a cerchio e fermarono i cavalli, le donne uscirono e accesero un fuoco al centro dell’accampamento, accingendosi a preparare la cena. Fu uno dei bambini a notare la figura raggomitolata alle radici di un albero.
“Un fantasma! Un fantasma della foresta!” Urlò, talmente spaventato da dimenticarsi di correre via.
“Idiota. E’ solo un viandante che dorme.” Lo rimproverò suo fratello, che per il fatto di avere due primavere in più di lui si sentiva esperto nelle cose del mondo. “Ecco, ora si è svegliato. Ed è colpa tua, idiota.” Concluse con un colpo secco sulla nuca del fratellino, come sempre.
“Un viandante?” Uno degli uomini uscì dal suo carro e si avvicinò, ma il viandante, completamente ricoperto da un mantello di liane secche, aveva già iniziato ad allontanarsi. “Fermo dove sei.” All’improvviso l’uomo era alle spalle del fuggitivo, e lo aveva agguantato saldamente ad un braccio. “A noi gente delle carovane non piacciono le spie: a quale Clan appartieni, gaijin?”
L’altro non rispose, preferendo lasciarsi cadere a terra come un sacco vuoto. L’uomo lo toccò cautamente con un piede, spostando il mantello che lo avvolgeva.
“Gan!” Uno dei due bambini si portò alle sue spalle. L’uomo sollevò il viandante svenuto, facendo attenzione a non far cadere il mantello. “Dì a tua madre di preparare una scodella di stufato in più.”
 
Dopo due settimane passate nel fondo del carro a dormire e mangiare, l’uomo decise che per il suo ospite misterioso era giunto il momento di fare una chiacchierata.
“Allora, gaijin.” Iniziò, dopo aver spedito figli e moglie fuori dal carro. “Chi sei tu?”
Nessuna risposta da parte del fagotto di rafia davanti a lui. L’uomo sospirò. “Dunque, mio misterioso gaijin, forse dovresti sapere un paio di cose su di me. La prima è che il mio nome è Leung Yaw, e sono noto per la poca pazienza. La seconda…” E dicendo questo si tolse uno stivale. “E’ che probabilmente la tua storia sarà simile alla mia.” Il viandante si irrigidì: il piede e la gamba di Leung Yaw erano sottili, ricoperti di piume, del tutto simili alle zampe di un uccello.
“Mia madre era un Roq.” Leung Yaw si rimise lo stivale. “Almeno, questo è quello che mi raccontava mio padre. Venne rapita dal Terzo Clan subito dopo avermi partorito: per mia fortuna era riuscita a consegnarmi a mio padre, prima di essere presa.” Riportò lo sguardo sul viandante. “Io non so chi o cosa tu sia, gaijin. Da quel poco che ho potuto vedere di te, tuttavia, credo tu abbia dannatamente bisogno di aiuto.”
Ci fu un lungo silenzio.
“Chiamami Guin.” Sussurrò il viandante, levandosi lentamente il mantello. Leung Yaw trasalì: le scaglie dorate che ricoprivano il corpo della Mezzosangue terminavano all’altezza del collo. Il viso era una maschera di sangue rappreso e croste, alcune delle quali iniziavano a suppurare. Solo attorno agli occhi, al naso e alla bocca rimanevano dei bagliori dorati, troppo piccoli per essere estratti.
“Chi ti ha fatto questo?”
“Io stessa.”
 
Guinevre rimase nel carro per mesi, accompagnando la compagnia di girovaghi senza mai uscire dal suo rifugio, occupandosi di lavorare le pelli di cavallo e di altre incombenze che la moglie di Leung Yaw le affidava di volta in volta. Le sue ferite, curate da Leung Yaw con una mistura di erbe medicinali, erano guarite dopo alcune settimane: ora il suo viso era un ammasso di carne rossa e informe, in cui si distinguevano a malapena il naso e gli zigomi. Non si era più mostrata a nessuno senza mantello, si limitava a vivere di giorno in giorno sul fondo del carro, senza pensare a nulla che non fosse il trottare degli zoccoli dei cavalli.
Finché un mattino Leung Yaw andò a svegliarla prima dell’alba: “Guin, vieni con me.”
Gli toccò tirarsela in spalla e uscire così dal carro, ma ne valse la pena: appena furono fuori, la ragazza si irrigidì per lo stupore. Si trovavano sopra una collina priva di alberi, che scendeva dolcemente fino ad un enorme fiume che divideva in due le pianure sottostanti e si gettava nel mare. Sulle due rive erano sparse migliaia e migliaia di luci che si arrampicavano fin sotto le pendici della collina: “Quella è Kanduan, la Città di Luci.” Spiegò Leung Yaw. Guinevre fissò le case, le palafitte, i templi e i palazzi che si estendevano sotto di lei. “Gli altri ci seguiranno allo spuntare del sole. Vieni.”
Senza parlare, i due scesero la collina e raggiunsero velocemente le prime case di Kanduan: ad ogni finestra e cornicione erano appese lanterne di ogni forma e colore, che si agitavano nella brezza illuminando le mura intonacate di bianco o dipinte a colori sgargianti. Il groviglio di strade si svolgeva come un serpente tra edifici di ogni dimensione e forma addossati l’uno sull’altro, templi contro chioschi di laksa, catapecchie contro case tradizionali. Nonostante all’alba mancassero ancora delle ore, non mancarono di incrociare vari nottambuli, a volte ubriachi sulla via di casa, a volte operai pronti per iniziare il loro lavoro. Guinevre si strinse addosso il mantello, respirando l’aroma di spezie e di frutta andata a male.
La casa dove si fermarono aveva gli stipiti dipinti di verde e rami di magnolia alle finestre. Leung Yaw bussò tre volte in modo bizzarro, e una donna velata aprì il portone, guidandoli per lunghi corridoi in cui erano ammassate cianfrusaglie e strani apparecchi che a Guinevre ricordavano i manufatti delle Antiche Ere di cui Vivianne era appassionata. Scacciò il pensiero con un singhiozzo.
La donna velata li condusse infine in una stanza vuota, con un unico letto a baldacchino appoggiato al muro. Sul letto era steso un uomo enorme, il più grosso che la ragazza avesse mai visto nella sua vita.
“Ed ora, Guin, lascia che ti presenti il mio vecchio amico Conrad Vennchra.”
L’enorme uomo sbadigliò. “Che cosa mi porti, Leung, vecchio mio, a quest’ora della notte?” Stiracchiò le braccia, riuscendo a sembrare ancora più imponente. “Lo sai che ho bisogno di dormire.”
Guinevre lo squadrò sospettosa: si era fidata di Leung Yaw, ma la situazione le sembrava ora piuttosto equivoca.  Come se le avesse letto nella mente, Conrad sospirò e si alzò dal letto. “Non ti agitare, tu, sotto il mantello. Nonostante le apparenze, non esiste un posto più sicuro di questa casa per quelli come te e come noi.”
Fu allora che Guinevre si accorse della coda lunga e pelosa che spuntava dal retro di Conrad e si avvolgeva a spire intorno al suo caffetano da notte: in effetti, tutto il corpo dell’uomo sembrava ricoperto da una folta pelliccia nera, tranne che sul viso, accuratamente rasato.
Ikugan.” Spiegò Conrad affabilmente, indicando se stesso. “O almeno, da parte di padre. Ed ora vediamo un po’ cosa mi hai portato, Leung Yaw.” Guinevre si scansò, mentre Conrad cercava di scostarle il mantello.
“Calma, calma. Nessuno vuole venderti, stuprarti, lapidarti o qualsiasi altro grazioso passatempo passi per la mente degli umani. Sei al sicuro, ma ho bisogno di capire cosa sei, se vuoi che ti aiuti.”
Guinevre guardò Leung Yaw, infine si tolse il mantello.
Conrad le girò attorno, soffermandosi sul suo viso solo un istante di troppo.
“Lo sai? Potresti essere l’unica del tuo genere.” Concluse. Meditando, uscì dalla stanza, per ritornare poco dopo con un paio di guanti lunghi di seta nera, un paio di gambali e una maschera di garza rigida, dipinta di bianco e di nero. “Tieni. Ne avrai bisogno.”
La ragazza non aveva mai visto indumenti simili. Quando li ebbe indossati, si guardò nel riflesso della finestra: i suoi occhi la fissavano dal volto misterioso di una maschera rituale, le mani e le gambe erano completamente coperti dalla seta e dal cuoio, nessuna delle sue scaglie era visibile.
“Bisognerà fare qualcosa per quei capelli.” Borbottò Conrad, indicando le ciocche argentate della Mezzosangue. “Ma per il resto, è perfetta.” Si avvicinò a Leung Yaw. “Dove l’hai trovata?” Sussurrò.
“A circa dieci giorni dal confine con i territori del Primo Clan.”
L’Ikugan annuì. “Non mi sarei aspettato diversamente. Mi chiedo perché l’abbiano lasciata andare.”
“Non sono la Figlia di Drago.” Rispose Guinevre. I due aspettarono che continuasse. “Ho fallito, non sono riuscita ad invocare il Grande Protettore, a differenza di mia sorella. Non sarei mai dovuta essere nata.”
Il colpo la raggiunse allo stomaco. Conrad ora troneggiava su di lei. “Non osare più ripeterlo. Tutti noi.” E indicò se stesso, Leung, la donna velata e Guinevre. “Tutti noi siamo venuti al mondo in modi che hanno del miracoloso. Siamo sopravvissuti all’odio, agli stenti, alle persecuzioni degli umani e dei nostri simili, ma siamo vivi. Ci aggrappiamo alla vita in modi che non potresti nemmeno capire. Non disprezzare la tua vita, Figlia di Drago, solo perché lei ha disprezzato te.”
Leung Yaw si fece avanti. “Guin, Conrad è uno dei capi della rete di Mezzosangue degli Otto Clan. Grazie a lui centinaia di persone sono riuscite a mettersi in salvo dalle persecuzioni e dai mercanti di schiavi.”
“Tu sei la prima della tua specie che vedo in decenni di attività.” Gongolò Conrad. “Potresti esserci molto utile, che ne dici?”
Guinevre alzò lo sguardo verso Leung Yaw. “Ci fermeremo a Kanduan per tutta la stagione delle piogge. Avrai modo di vedere in cosa consiste il lavoro di Conrad e di decidere con calma. Intanto, ora che puoi usare le mani, inizia ad esercitarti con queste.” E le lanciò alcune sfere colorate, che Guinevre non riuscì ad afferrare. “Il nostro giocoliere ha bisogno di un’aiutante.”


 




Note: Salve! Vi ringrazio per essere arrivati fin qui! Finora non ho lasciato note, ma questo capitolo è stato abbastanza difficile da scrivere (come anche il prossimo^^') e continuo ad avere l'impressione che sia un tantino noioso, e che la cara Guinevre ci faccia una figura un po' miserrima... Scusate gli scleri da post-scrittura. Dicevo, dato tutto questo, se vi va, lasciatemi la vostra opinione: la storia è stata scritta per un contest, per cui non posso più modificarla, ma se la cosa sarà permessa (e avrò un'idea decente su come fare) vorrei provare a sistemare i punti più "critici"una volta concluso il contest. P.S. Sempre se vi va, andate a leggere le altre storie in gara: ce ne sono di veramente belle!^^

http://freeforumzone.leonardo.it/d/10922391/Sangue-di-Drago-Fantasy-Contest-/discussione.aspx 
Alla prossima!
 

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Capitolo 8
*** 8 ***


Figlia di Drago



8
“Riunirete i Clan sotto la vostra bandiera”
Le Parole del Grande Protettore, Anonimo
 
Le Ibu si aprirono a ventaglio per lasciare passare la Rani, che salì la gradinata e si portò alla sinistra di Vivianne.
“Guerrieri del Primo Clan.” La donna si rivolse alle schiere allineate sotto di loro. “Finalmente, dopo anni di addestramento, oggi sferrerete il primo attacco agli eserciti nemici. Che il Grande Protettore sia con voi.”
I soldati risposero portando entrambe le mani al petto e inchinandosi in silenzio.
“Il vostro valore ci è noto, e sappiamo che non fallirete nel riportare il nostro Clan agli antichi splendori.” Continuò Ibu Andia. “La benedizione del Grande Protettore sarà con voi, nella forma fisica di sua Figlia, la Condottiera Vivianne.” La vecchia Ibu fece un cenno a Vivianne, che si alzò e si portò al centro del patio.
“Miei soldati e mio popolo: offrire la vostra vita per la gloria del Clan è un dono immenso, e vi ringrazio a nome di tutti.” Tuan Hector, alle sue spalle, annuì. “Io sarò con voi fino alla fine, portando con me la benedizione del Grande Protettore che ci guiderà alla vittoria.” Scese i gradini del tempio e avanzò fino alle prime file di ufficiali. “I generali Maj e Logal, assieme a Tuan Hector, guideranno l’avanzata delle truppe assieme a me. Il Grande Protettore veglia su di noi.” Concluse, inchinandosi lievemente verso l’esercito.
Le truppe esultarono, disperdendosi in fretta per potersi congedare dalle famiglie e dagli amici.
Ibu Andia era compiaciuta. “Molto bene, Figlia di Drago.” Si congratulò con la giovane, che già stava discutendo i dettagli della partenza con il Tuan e con i generali. “Un bel discorso. Certo, un accenno al ruolo dell’Ordine delle Ibu avrebbe forse incoraggiato maggiormente i nostri devoti soldati... ”
“I nostri devoti soldati.” Tuan Hector inarcò le sopracciglia. “Al momento hanno ben altre preoccupazioni che le donazioni all’Ordine. E questo sia detto nel più grande rispetto del Grande Protettore, veneranda madre.”
“Certo, certo.” Ibu Andia decise di soprassedere alla lieve blasfemia. “Ma ora è tempo per la Figlia di Drago di dedicarsi alle preghiere per la battaglia, per cui, se volete seguirmi, mia cara… “
“Con permesso, Ibu Andia.” Questa volta fu il generale Maj a interrompere la vecchia sacerdotessa. “Abbiamo ancora alcune questioni da discutere con la Figlia di Drago Vivianne riguardo agli accampamenti.”
“Questo non ha importanza.” La donna fissò il giovane con disprezzo. “E’ la devozione al Grande Protettore che tiene in piedi il nostro mondo, generale. Sicuramente potrete parlare di cose di poco conto come queste in altri momenti.”
Tuan Hector si fece rosso in volto. Tuttavia, il generale si inchinò. “Nessuno mette in dubbio questo, veneranda madre: alla preghiera è bene però unire anche l’atto pratico, come le offerte che la mia famiglia porta al tempio ogni mese. Fra cinque minuti Nyonya Vivianne sarà libera di venire con voi, si tratta solo degli ultimi dettagli.”
“Molto bene.” E Ibu Andia, ricordando le ingenti donazioni della famiglia Maj, rientrò nel tempio senza ulteriori commenti.
“Ti è andata bene che le tangenti che fa versare alla tua famiglia siano piuttosto cospicue.” Borbottò Tuan  Hector, con una manata alla schiena di Maj. “Altrimenti sarebbe toccato a tutti un anatema.”
“Nel qual caso avrei chiesto alla Condottiera un’assoluzione.”
“Ve l’avrei concessa solo per vedere l’espressione di Ibu Andia, generale.” Sorrise Vivianne. Il Tuan sogghignò per un momento, poi riprese il solito cipiglio. “Bene, non sprechiamo i minuti graziosamente concessi dalla veneranda madre.” Sbuffò, aprendo una carta geografica davanti a sé. Da sotto il foglio, il generale Maj e Vivianne si scambiarono uno sguardo complice prima di riprendere la conversazione.
 
Dopo le prime vittorie, anche i più esitanti tra i soldati sarebbero stati disposti a buttarsi nel fuoco su ordine di Vivianne. L’esercito del Primo Clan aveva sconfitto le avanguardie dell’Ottavo e del Settimo Clan quasi senza subire perdite, lasciando dietro di sé rovine e cenere. Il Grande Protettore non aveva abbandonato i propri figli prediletti, e quella ne era la prova.
A Vivianne tuttavia le vittorie sembravano più il frutto della mente degli strateghi e della tenacia delle truppe che il risultato della divina influenza del suo divino padre.
“Accerchieremo il nemico senza farci notare passando da qui.” Tuan Hector indicò un punto sulla sua cartina. “Poi attaccheremo solo sul fianco destro: è dove il comandante del Sesto Clan usa tenere le lame più pesanti, e noi li attaccheremo e li faremo avanzare fino a quest’altro punto.”
“Dove saranno in difficoltà per la conformità del terreno.” Annuì Logal. “E mentre loro arrancheranno nella palude, i nostri potranno farsi strada fino al cuore dell’esercito nemico. Che cosa riferiscono gli scout, Maj?”
“Il Sesto Clan non conosce bene questi territori, a differenza nostra. Non hanno equipaggiamenti adeguati e non sembra che intendano combattere in modo diverso dal solito.”
“Ottimo. Potremmo pensare di mandare delle squadre di guastatori stanotte, per mettere in ulteriore difficoltà i nostri avversari.” Rifletteva Vivianne.
E così via, battaglia dopo battaglia: finora non era nemmeno stato necessario l’intervento della magia, per cui Vivianne combatteva in prima fila come gli altri strateghi, spalla a spalla con il generale Maj.
Del resto, senza che nessuno lo sapesse, da qualche tempo ormai i due erano abituati a stare uniti non solo in battaglia, ma anche nel sonno.
“Saremmo dovuti andare in guerra molto tempo fa.” Mormorava Maj, abbracciando Vivianne durante le notti in cui condividevano la tenda (non c’erano mai abbastanza tende per tutti, a detta del Tuan), ricordando i tempi in cui la paura delle Ibu, che potevano virtualmente irrompere nelle stanze di Vivianne a qualsiasi ora, costringeva i due a escogitare sempre nuovi stratagemmi per incontrarsi.
Quella vita era quanto di più simile alla libertà Vivianne avesse mai provato fino ad allora: giorni passati a combattere per la gloria del suo Clan e notti trascorse ad amare il suo generale; l’Ordine delle Ibu era un ricordo lontano.
 
Gli insegnamenti di Ibu Andia e del Primo Clan tuttavia avevano attecchito nell’animo della Figlia di Drago.
“Quanti ne abbiamo questa volta?” Chiese Vivianne dopo l’ennesima vittoria.
“Dieci, mia Nyonya.” Logal spinse avanti un gruppo di prigionieri coperti di sangue e di fango. Alcuni di loro spiccavano per le ali colorate che nascevano dalle loro schiene, altri presentavano creste cornee lungo la spina dorsale.
“Mostri.” Vivianne non guardò gli Ibridi. Se non li guardi è più facile. “Profanate il mondo con la vostra esistenza. E’ per voi che gli altri Clan hanno perso il favore del Grande Protettore.”
Tuan Hector sputò sui prigionieri, mentre Maj porgeva a Vivianne la sua spada.
“Tu sei come noi.” Il più giovane degli Ibridi alzò la testa: le sue iridi erano rosse come il sangue sulla sua fronte. “Tu sei come noi: perché…?” Non poté continuare: con un colpo Vivianne gli tranciò la gola.
“Io non sono come voi. Io sono la Figlia di Drago.”


 


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Capitolo 9
*** 9 ***


Figlia di Drago



9
“A volte è necessario che l’ombra venga alla luce”
Proverbio di Kanduan
 
“Correte, ci sono Guin e Jokowo!”
La voce si sparse in tutta Kanduan, e un numero sempre maggiore di bambini e ragazzi si gettò nelle strade a tutta velocità per raggiungere per primi la piazza antistante il Palazzo del governatore.
Un successo impossibile da prevedere anni prima, quando Guin era solamente l’apprendista di Leung Yaw: ora il capo dei girovaghi si limitava a starsene seduto sul carro guardando lo spettacolo, mentre Guin e il suo partner roteavano con destrezza cerchi di stoffa arabescata, torce infuocate, verdura e frutta, saltando sui trampoli in decine di figure diverse.
Nessuna meraviglia che avessero estinto il debito con il loro maestro anni fa, rifletteva Leung Yaw applaudendo come tutti ad un nuovo numero di Guin, che quel giorno appariva in piena forma, l’inespressiva maschera bianca e nera quasi animata dalle lingue di fuoco delle torce.
Perché Guin rimanesse tra i girovaghi, nonostante il successo crescente, Leung Yaw lo comprendeva bene: grazie alla sua copertura era riuscita ad avvicinare Mezzosangue in ogni territorio dei Clan, portandone in salvo decine. Conrad non smetteva mai di ringraziare il giorno in cui la sorte aveva messo Guin sul suo cammino. I motivi di Jokowo invece gli rimanevano oscuri. L’uomo si era unito alla compagnia qualche anno prima, finendo tra gli apprendisti di Leung Yaw per la sua incredibile agilità. Non era un Mezzosangue, né una spia dei cacciatori: del suo passato non si sapeva nulla, e non amava conversare. Girava voce fosse un rinnegato della Gilda degli Assassini, o un soldato reietto del Primo Clan, o un Vendicatore in viaggio per cercare la sua preda.
Comunque fosse, rimaneva uno dei giocolieri più abili che tutta Kanduan avesse mai visto, come dimostrava l’applauso che ora scrosciava senza accennare a fermarsi, assieme alla pioggia di monete di ogni tipo.
“Un buon raccolto anche oggi, Guin.” Commentò Leung stimando con gli occhi il gruzzolo ammassato in una cesta.
“E aggiungete pure il contributo del Consigliere Tenna: ci ha appena ingaggiati per una cerimonia nuziale stasera.” La voce di Guin esprimeva una profonda soddisfazione, e i suoi occhi brillavano al di là della maschera.
“Di bene in meglio: mi domando quando tu e Jokowo deciderete di abbandonare questa povera compagnia al suo destino.”
“Forse quando tutto il Pantheon deciderà di assistere a uno dei nostri spettacoli.”
“Non manca molto allora.” Scherzò Leung Yaw, assumendo un’aria afflitta, ricevendo subito una manata sulla schiena da Guin.
“Jokowo!” Guin chiamò il compagno, già in procinto di rientrare nel suo carro. “Fra un paio d’ore prepara i cerchi di fuoco per lo spettacolo di stasera.”
L’uomo annuì. “Saranno pronti.”
“Ti unisci a noi per il pranzo?” Chiese Leung Yaw, conoscendo già la risposta. Jokowo scosse la testa, e salì nel carro.
Leung Yaw sospirò. “Non so come tu faccia a sopportarlo.” Confessò a Guin.
“Con lui non ho bisogno di parlare.” Guinevre finì di ripiegare le bandiere che aveva usato nell’esibizione. “ Andiamo a mangiare, maestro.”
 
Il Consigliere Tenna aveva ricompensato lautamente Guin e Jokowo: “Non avevo mai assistito ad uno spettacolo simile.” Guin era soddisfatta: con quei soldi la compagnia avrebbe potuto comprare altri due cavalli, e sarebbe rimasto ancora qualcosa da dividere con Jokowo.
I due camminavano in silenzio per le strette strade di Kanduan, illuminati dalla luce delle lanterne.
L’atmosfera era strana: l’euforia per le nozze della figlia del Consigliere sembrava aver contagiato tutta la città, e Guin non era immune.
“Che cosa farai con la tua parte?” Era raro che domandasse qualcosa di personale a Jokowo, e subito si pentì di quell’impulso a fare amicizia.
“Quando saranno abbastanza, comprerò una spada da Yamaguchi.”
La donna quasi si bloccò dallo stupore. “Una spada di Yamaguchi-sensei?” Il maestro fabbro di Kanduan era un uomo tanto abile quanto riservato: le sue spade erano poche e per pochi, usualmente Condottieri e Signori della Guerra particolarmente meritevoli.
“Come puoi sperare di ottenerne una?”
Jokowo scrollò le spalle, girò la testa verso di lei, fissandole gli occhi al di là della maschera. “Vieni con me.”
 
La bottega di Yamaguchi-sensei si trovava sulla riva del fiume, in un angolo poco frequentato e privo di lanterne. Jokowo grattò la porta leggermente: ad aprire fu lo stesso sensei, che squadrò lui e la sua compagna per qualche minuto. “Entrate.”
Si sedettero al basso tavolo al centro della stanza che fungeva da fucina, camera da letto e cucina allo stesso tempo. “E’ lei?” Chiese Yamaguchi a Jokowo, che annuì. Guin si alzò di scatto e fece per correre verso la porta, ma venne fermata dal braccio di Jokowo, che la costrinse a risedersi.
“Che cosa sai della guerra?” Le chiese Yamaguchi.
I sensi di Guin si tesero allo spasmo. “Che il Primo Clan ha conquistato in pochi anni Sei Clan su Otto. Che il Secondo Clan è l’ultimo Clan libero e sta per cadere. Che tra Kanduan e il Primo Clan sta solo la Terza Armata del Secondo Clan.”
“Sai pure che Kanduan, nonostante sia una Città Franca, è destinata a soccombere, a differenza di quanto credono i Consiglieri.” Commentò aspro Yamaguchi.
Guin rimase in silenzio.
“Non tutti la pensano come i Consiglieri.” Jokowo parlava a voce talmente bassa da risultare un sussurro. “Ci sono persone che pensano sia necessario combattere il Primo Clan, e non stringere accordi commerciali con loro. Queste persone credono che per combatterli sia necessaria una diversa strategia: dobbiamo conoscere il nostro nemico, i suoi punti deboli, chi controlla l’esercito.”
“Il Primo Clan è rimasto isolato per anni. Nessuno può essere a conoscenza di tutto questo.”
“Tranne qualcuno che appartenga al Primo Clan. Qualcuno che se ne fosse allontanato.” Jokowo e Yamaguchi la guardarono. “Qualcuno che ricopriva un ruolo importante per loro, ma che è stato rifiutato.”
Dietro la maschera, Guin strinse i denti.
“I Clan sottomessi hanno adeguato la loro economia e la loro stessa esistenza ai bisogni del Primo Clan.” Yamaguchi-sensei chiuse gli occhi. “Le epurazioni hanno portato alla morte di centinaia di Ibridi. Mio fratello era un artigiano del Quinto Clan: non è riuscito a nascondere le piume ereditate da nostro nonno.”
Jokowo parlò. “Ero un soldato del Secondo Clan. Mia moglie era una Djinn: non usciva mai di casa, ma non è bastato. E’ stata catturata e torturata dal Primo Clan, i nostri figli sono stati trucidati sotto i miei occhi. Poi mi hanno imposto di servire nel loro esercito.”
I tre rimasero in silenzio per lungo tempo.
Infine, Guin alzò la testa. Lentamente, portò le mani sulla nuca e slacciò la maschera, che cadde sul tavolo.
I due uomini fissarono impassibili il suo viso sfigurato.
“Ditemi di cosa avete bisogno.”
 
Era stato un dettaglio a tradirlo, l’unghia del piede destro che Maj aveva dimenticato di dipingere di bianco per troppo tempo, due piume che non aveva strappato al momento giusto. Ora era troppo tardi per rimediare.
Il generale non invocò pietà, non ricordò le innumerevoli battaglie in cui aveva combattuto in prima fila, fianco a fianco con colei che adesso lo guardava con occhi spenti.
Tacque mentre Tuan Hector decretava la sentenza di morte, tacque quando i suoi commilitoni gli sputarono addosso e lo insultarono. Aveva avuto la sua occasione per salire e l’aveva perduta.
Non guardò Vivianne mentre la lama del Tuan gli calava sul collo.
Vivianne non batté ciglio quando Hector le porse la testa dell’Ibrido che aveva osato profanarla. La mostrò all’esercitò, e si unì alle urla dei soldati.
Dentro di lei, a sua insaputa, iniziava a pulsare il battito di una nuova vita.


 


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Capitolo 10
*** 10 ***


Figlia di Drago



10
“Le idee fanno nascere le guerre, le idee pongono termine alle guerre: nel mezzo sta chi combatte.”
Conrad Vennchra
 
 
Nessuno lo avrebbe potuto prevedere.
I Mezzosangue erano riusciti lì dove gli eserciti di sette Clan avevano fallito: ai pochi gruppi di guerriglia che avevano miracolosamente spezzato l’assedio di Kanduan si erano aggiunti man  mano sempre più ribelli, provenienti da ogni Clan, Mezzosangue e Comuni, spinti dal desiderio di riconquistare le loro terre palmo dopo palmo.
E finalmente l’esercito del Primo Clan iniziò a vacillare: dopo Kanduan, le offensive erano cessate, lasciando spazio per la guerriglia dei ribelli, capitanati dagli Ibridi sotto il comando di Guin e Jokowo. Ricompense, ritorsioni, imboscate: tutto era inutile, i Clan, sotto la minaccia degli invasori, avevano dimenticato la loro avversione per i cosiddetti Ibridi, ed erano disposti a morire pur di sostenerli con qualunque mezzo.
La spada di Yamaguchi-sensei nelle mani di Jokowo sembrava avere vita propria durante i combattimenti, così come la gemella impugnata da Guin: i due erano riusciti a vendicare il fratello del maestro, decapitando il generale Logal in uno scontro che era già leggenda.
Tuan Hector, per la prima volta nella sua vita, si trovava in difficoltà: non sapeva come prevedere gli attacchi nemici, non riusciva a comprenderne le strategie, così simili alle sue eppure diverse in vari punti cruciali.
“Non possiamo continuare in questo modo.” Sbottò durante una riunione degli strateghi. “I ribelli sembrano essere ovunque allo stesso tempo, è impossibile prevedere le loro mosse.”
“Dobbiamo schiacciare la testa del serpente.” Annuì uno degli strateghi. “Se riuscissimo ad attirare i loro capi in una trappola, potremmo infliggere loro un colpo mortale.”
“Certamente, e tu credi che i loro capi si lascino condurre tranquilli nella tua trappola?”
“Potremmo spostare parte dei battaglioni e…”
“Non sprecare il mio e il tuo tempo con queste stronzate, ragazzo.” Il Tuan sospirò: per quanto gli costasse ammetterlo, la decapitazione di Maj e la morte di Logal avevano privato il Clan dei migliori strateghi che avessero avuto negli ultimi decenni. Ora rimaneva lui, le cui ossa dolevano ogni sera di più prima di stendersi sulla branda, e rimaneva la Figlia di Drago, che però negli ultimi tempi aveva abbandonato le riunioni, preferendo combattere a viso aperto alla testa dell’esercito, come per annullare nel sangue la rabbia per la sconfitta di Kanduan. Senza un cambiamento radicale, presto il Primo Clan sarebbe stato costretto a ritirarsi dai territori del Secondo Clan, nell’ipotesi più favorevole.
Il problema era che Tuan Hector sapeva quale cambiamento radicale si sarebbe dovuto mettere in atto, e lo temeva ancor più della sconfitta.
Infine, Ibu Andia e la Rani raggiunsero l’esercito.
 
“Hanno raggiunto l’esercito. Ora la Condottiera potrà usare la magia.” Il messaggero sputò al di sopra della spalla per scongiurare la malasorte.
Jokowo e Leung Yaw si volsero verso Guin, che continuò a studiare le mappe dei territori occupati.
“Dovremo rivedere i piani.” Disse infine senza alzare la testa.
“Non te lo permetterò.” Leung Yaw parlò con calma, ma con decisione. “Non la affronterai da sola, noi siamo un esercito.”
“Sapevamo già che sarebbe successo, prima o dopo.” Guinevre segnò sulla mappa alcuni punti. “La magia non si può contrastare: la magia avviene e basta. Se la Condottiera decidesse di lanciare un terremoto su tutto il territorio del Secondo Clan, il terremoto avverrebbe, e ci ucciderebbe tutti.” Guardò i suoi compagni. “Non si può ragionare con la magia. Ma forse io posso contenerla quel tanto che basta ad uccidere lei.”
“Come?” Jokowo scosse la testa. “In un corpo a corpo? Con la possibilità che lei sconfigga te e poi noi? A questo punto è meglio tentare di infilarsi nella sua tenda di nascosto, e ucciderla prima che se ne renda conto.”
“La sorveglianza è alle stelle: le Ibu vigilano assieme ai soldati, entrare nell’accampamento è impossibile.”
“Dobbiamo tentare.” Decise Leung Yaw. “E’ meglio rischiare di perdere una pattuglia per vincere la battaglia che affrontare la strega in combattimento, con un rischio dieci volte maggiore.”
Guin rabbrividì.
“Jokowo: proverai stanotte. Non abbiamo più tempo. Se le cose andassero male, Guin potrà affrontarla domani in combattimento.”
 
Gli spasimi al basso ventre diventavano ogni giorno più insopportabile: senza dubbio la punizione per aver permesso ad uno sporco Ibrido di profanarla.
Vivianne si irrigidì alla nuova fitta che la lasciò tremante sulla branda. Non osava lamentarsi, nemmeno con Ibu  Andia: non poteva dare l’idea che la Figlia di Drago fosse stata maledetta da suo padre. Erano mesi ormai che il dolore cresceva, come se si stesse ingrandendo nella sua pancia. Non riusciva più a nutrirsi con regolarità, né a dormire: i combattimenti erano l’unico momento in cui dimenticava la sofferenza, la sensazione del sangue sulle scaglie la rinfrescava e la calmava come niente altro.
Altra fitta, altro urlo soffocato: per quanto avrebbe dovuto pagare per le sue colpe?
Improvvisamente, i suoi sensi attanagliati dal male avvertirono che qualcosa non andava.
Con uno scatto si lasciò cadere a terra, rotolando fino al punto dove giaceva la sua spada: la freccia avvelenata le sfiorò i capelli e si conficcò nel suolo.
Con un fendente Vivianne lacerò la tenda e si lanciò sul suo aggressore prima che potesse allontanarsi.
L’uomo non oppose resistenza, lasciandosi trascinare all’interno. “Chi sei?” Domandò la Figlia di Drago, puntandogli la spada alla gola.
Nessuna risposta.
“Sei riuscito ad arrivare alla mia tenda, non devi essere un ribelle qualsiasi.”
Ancora nessuna risposta, ma la donna si accorse che le dita dell’uomo si stavano impercettibilmente allungando verso l’orlo delle maniche. Senza perdere un istante gli afferrò un braccio, strappando i risvolti della camicia: una serie di aghi era accuratamente nascosta sull’interno del polsino.
“Non riuscirete ad uccidermi. Io sono la Figlia di Drago, la prediletta del Grande Protettore.” Disegnò dei cerchi con la punta della spada sulla schiena dello sconosciuto.
“Ti lascerò vivere: se sarai così fortunato da riuscire a tornare al tuo accampamento, voglio che tu porti un messaggio per me.” Avvicinò la spada alla sua faccia. “Il messaggio è Arrendetevi, e avrete una morte rapida. In caso contrario… ” Con una torsione del polso infilò la spada nella bocca dell’uomo. “Questo sarà solo l’inizio.” Mormorò, estraendo la lingua mozzata di Jokowo e infilandogliela nella mano mentre quest’ultimo vomitava sangue sul pavimento e su di lei.
Ah, ora va meglio.
 


 


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Capitolo 11
*** 11 ***


Figlia di Drago



11
“Non lasciare che gli dei decidano il tuo destino.”
Guin
 
La maschera di Guin portava la morte sul campo di battaglia. Questo sussurravano i ribelli vedendola avanzare tra le loro file in agguato al limite della foresta, in attesa che l’esercito del Primo Clan si facesse avanti.
Guinevre non avrebbe saputo dire se la sua presenza significasse realmente una maggiore probabilità di vittoria per i ribelli, o se sarebbe stato tutto inutile, come la missione di Jokowo, tornato all’alba coperto di piaghe e privo della lingua, un messaggio crudele per tutti loro. Sapeva solo che la sua gente si era spinta troppo avanti, che sua sorella aveva smesso da tempo di essere la bambina con cui aveva condiviso allenamenti e storie.
Non c’era altra scelta, sembravano dire le loro azioni. Non c’era altra scelta, secondo i ribelli.
L’esercito nemico venne avvistato.
Non c’è altra scelta?
L’attacco iniziò.
 
Il sangue scorreva sulle scaglie di Vivianne, le imbrattava i capelli e colava pulsando sul medaglione che Ibu Andia le aveva affidato al mattino, facendolo risplendere di riflessi sinistri.
Vivianne non si era mai sentita così potente. Tutto il suo essere rispondeva alla magia del talismano, pronto a riversare la sua forza non appena avesse deciso di utilizzarne il potere. Per ora, tuttavia, era troppo esaltante assaggiarne la potenza: lo avrebbe usato al termine dei combattimenti, e sarebbe stata davvero la fine di tutto. 
Un nuovo avversario le si parò davanti: una maschera bianca e nera macchiata di sangue, una spada. All’improvviso la sensazione di onnipotenza svanì. Il dolore tornò a pulsare nelle vene di Vivianne, nel suo ventre: era come se il talismano cercasse di avvertirla che qualcosa non funzionava.
Con un ringhio soffocato la Condottiera si avventò sul nemico mascherato, mulinando tutti i suoi colpi migliori, inutilmente. La pancia sembrava stesse per scoppiarle.
Ansimando, Vivianne si fermò in posizione di guardia. “Togliti la maschera.” Ordinò. “Toglitela, ora!”
L’altro portò una mano alla testa, e lentamente ubbidì.
Vivianne lasciò cadere la spada e portò le mani al ventre. Un vento innaturale si alzò attorno alle due gemelle, lasciandole in vista ma isolandole da ogni interferenza.
Poi venne l’urlo.
 
Spingi.
Le contrazioni la riportavano indietro negli anni, ad un tempo in cui la sua vita non aveva ancora assunto la consapevolezza di essere tale.
Spingi, Prescelta, spingi!”
Per quale motivo doveva sopportare un dolore così grande? Perché? Che cosa aveva fatto al Grande Protettore per meritare tutto questo?
Salvate la Vostra Progenie, o Grande Protettore.
Spingi di più, mia Signora!
Era per l’Ibrido? Lo rinnegava, aveva cancellato ogni sentimento provato per lui. Niente poteva giustificare la sua sofferenza, nessuna delle preghiere dell’Ordine, nessuna vittoria in guerra, nessuna salvezza terrena o celeste.
E allora perché? Si chiese ancora, mentre con un ultimo urlo il dolore usciva da lei.
 
Guinevre non aveva mai fatto nascere nulla e nessuno, neanche un capretto: quello era il compito della moglie di Leung Yaw, non suo. Non aveva mai nemmeno visto un neonato fino a quel momento, per cui non sapeva dire se assomigliasse ad ogni altro neonato, con quella pelle ricoperta di scaglie dorate e due ciuffi di piume sulla schiena. A lei sembrava la creatura più bella che avesse mai tenuto tra le braccia.
Uccidilo. Ora.
Guin si girò di scatto, cercando di capire da dove provenisse la voce che le risuonava nella testa.
Uccidi l’abomino e sua madre, figlia mia prescelta.
“Non è possibile”. Si lasciò sfuggire la donna, stringendo il bambino al petto. Sul petto di Vivianne, priva di sensi, il medaglione pulsava di luce propria.
Devono morire, figlia mia: è il loro destino, sono stati concepiti per questo.
“Tu mi hai abbandonata.” Guin sentiva il richiamo della magia: sarebbe stato facile assecondare la voce di suo padre. Del Grande Protettore. “Tu non hai risposto alla mia invocazione: in me non scorre la tua magia. Vivianne è la tua Prescelta. Come puoi volere ora questo da me? E perché?” Urlò disperata, cadendo in ginocchio.
Questo mondo è impuro: gli umani hanno abbandonato le mie vie, si sono mischiati ai mostri e alla loro progenie, dimenticando la mia giustizia. E’ necessario porre fine alla loro insubordinazione. Il mondo celeste e il mondo mortale sono ormai separati da troppo tempo, e non posso tornare a voi se non per un tempo limitato. Occorre un sacrificio, un offerta dal mio stesso sangue e dal sangue impuro dei mostri con cui camminate. Per questo siete nate: un sacrificio e un’officiante, un anello debole e una spada per spezzarlo e sprigionare la magia che permetterà a me di tornare per purificare questo mondo.
“Dunque è così…” Balbettò Guin. “Era tutto già deciso… Deciso da te… “
Esatto, figlia mia prediletta. Ora compi la tua missione, e potrai camminare al mio fianco.
La donna posò a terra il neonato e si rialzò, impugnando la spada.
“Per tutti questi anni ho creduto che tu mi avessi abbandonata. Ero convinta di essere inutile, che la mia esistenza fosse un errore nel tuo grande piano.”
Sei sempre stata tra i miei pensieri.
“Avrei preferito continuare a crederlo.” E con movimento fluido, Guinevre staccò il talismano dal collo di Vivianne, ferendola lievemente al collo. Il medaglione continuava a pulsare dolcemente, emanando calore e conforto, come l’abbraccio che non avrebbe mai ricevuto da suo padre.
Indossalo e trafiggi l’abominio e sua madre.
“Coloro che tu chiami abomini mi hanno salvato la vita e l’anima. Dove ci hanno portato i tuoi insegnamenti?” Indicò il vuoto attorno a lei. “Guerra e sangue. E’ questo ciò che tu chiami purificazione, padre?” Sputò sull’ultima parola.
Il sangue è necessario al rinnovamento.
“Non in questa era.” Guinevre sentì il vento attorno a lei crescere e tentare di farla cadere. Gettò il talismano a terra e vi puntò la spada sopra. “Non con me.”
Ma prima che potesse fare qualcosa, una mano le afferrò la gamba, trascinandola a terra e facendole perdere la sua presa sulla spada.
“Eccomi, padre!” Vivianne guardava il cielo con occhi folli, tenendo in mano il talismano. “Io compirò la tua volontà! Il sangue di questi abomini purificherà il mondo!” E, impugnando la spada, la conficcò nel figlio ai suoi piedi.
La lama attraversò il fianco di Guinevre, lanciatasi a protezione del bambino.
Il vento ululò, e nel cielo iniziò a formarsi una crepa dorata.
“Vieni da me, padre!” Esultò Vivianne, ormai preda della follia. Il pugnale che le trapassò la mano la colse di sorpresa, così come il colpo che la spinse di nuovo a terra. Senza altri indugi Guinevre spezzò il talismano con la lama della spada, riducendolo a mille frammenti che si dispersero nel vento.
 
“La tua ferita guarirà.” Constatò Leung Yaw, seduto accanto alla branda di Guin. “Sei fortunata. Per Jokowo non sarà altrettanto facile.”
Guin cercò di sorridere, ma il suo volto sfigurato non si prestava a manifestazioni di affetto. “Tua sorella… Lei è un caso diverso.” L’uomo si rabbuiò. “Perché l’hai risparmiata? Dopo il tracollo del Primo Clan è rimasta sola, è pazza e rifiuta suo figlio. Per non parlare di tutti quelli che vogliono vendicarsi di lei. Una buona morte sarebbe stata la cosa migliore.”
“Quando mi ha raccolto, anni fa” Guin guardò le bende che le fasciavano l’addome. “Ero sola. Il mio mondo era crollato, mi avevano insegnato che non poteva esistere altra vita al di fuori di quella che avevo sempre condotto. Se non avessi incontrato voi, alla fine mi sarei tolta la vita in quella foresta.”
“Tu sei diversa da lei.”
“E’ vero. Ma solo perché tu, Conrad, e tutti voi mi avete reso diversa.” Guin alzò gli occhi verso Leung Yaw. “Io e Vivianne siamo gemelle: due metà dello stesso seme. Quando guardo lei, vedo che cosa ne sarebbe stato di me se nostro padre avesse deciso di rispondere alla mia invocazione invece che alla sua.”
I due rimasero a lungo in silenzio. Fuori dall’infermeria si sentivano i canti e le urla di vittoria dei ribelli.
“Non è ancora finita. Dovremo inseguire i resti delle armate del Primo Clan, rivendicare le nostre terre, e soprattutto impedire che gli umani riprendano a trattare gli Ibridi come merci.” Commentò Leung Yaw. “Ma il primo passo è stato fatto.” Si mise in piedi. “Alcuni dei nostri stanno già pensando ai festeggiamenti per la fine della guerra. Dicono che vogliono mettere in piedi uno spettacolo come non se ne sono mai visti finora: dovrai esercitarti duramente.” Estrasse dalla tasca una maschera. “Da parte di Conrad.”
Guin allungò il braccio. La nuova maschera era completamente dorata, con intagli che imitavano le squame di un serpente. “Sarà uno spettacolo indimenticabile.” Annuì, allacciandosela al viso e sorridendo con gli occhi. 



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Angolo dell'autrice: e salve! Questa è la fine: scusate l'attesa, ma ho preferito aspettare i risultati del contest a cui questa storia partecipava, e dove incredibilmente si è classificata prima! ^^ (il che, considerando le storie bellissime che concorrevano, è stato un colpo per me) Quindi spero di essere riuscita a attaccare il banner premio (meraviglioso), e che possiate vederlo tutti (o almeno chi è arrivato alla fine di questa storia).
Ringrazio un'ultima volta tutti coloro che hanno letto, seguito e preferito, e un abbraccio va a chi ha recensito i capitoli di tutto questo con pazienza! ^^ Grazie mille!! 

 

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