La Cattedrale delle rose selvatiche

di Melian
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Signore di York ***
Capitolo 2: *** Un articolo da prima pagina ***
Capitolo 3: *** La cattedrale ***



Capitolo 1
*** Il Signore di York ***


LA CATTEDRALE DELLE ROSE SELVATICHE

 

CAPITOLO I: IL SIGNORE DI YORK


“Ma tu chi sei, che avanzando nel buio della notte, inciampi nei più segreti dei miei pensieri?”
(W. Shakespeare - Romeo e Giulietta)

 

Lungo la sponda del fiume Ouse, una ragazza camminava con passo regolare e una borsa scura a tracolla. Di tanto in tanto, con un gesto distratto della mano, si scostava ciocche di capelli castani che le ricadevano scompostamente davanti agli occhi per colpa del vento pungente.
Se qualcuno l’avesse osservata, avrebbe visto sul viso di Allison uno sguardo incerto e pensoso, una stanchezza spropositata per una ragazza del genere, la spossatezza di chi – forse – per troppe notti non chiude occhio e, magari, si risveglia persino più stanco.
Allison camminava senza una vera meta. L’unica cosa certa era che non aveva voglia di tornare a casa: viveva da sola da più di un anno, ormai, ma sua madre non perdeva occasione per andarla a trovare, rendendo ogni sua visita insopportabile. Così, ogni volta, Allison finiva per afferrare le chiavi di casa, piantare sua madre che blaterava in cucina senza dire una parola e uscire, sbattendo la porta e augurandosi di non trovarla al rientro.
Col pensiero ancora rivolto all’ultima discussione solo di qualche ora prima – sua madre era preoccupata perché la trovava sciupata e insisteva nel chiederle se mangiasse e dormisse abbastanza, se avesse qualche problema di salute e e chissà quali altre congetture tipiche del genitore apprensivo – Allison gettò un’occhiata alla superficie lievemente increspata del fiume nel punto in cui si univa al Foss.
Il frinire dei grilli appostati tra l’erba la sorprese e la ragazza sobbalzò. Era un verso continuo, insistente e, a tratti, inquietante, di colpo divenuto assordante come se un gigantesco insetto strofinasse le sottili zampe senza sosta.
L’aria era umida e satura dell'odore muschiato della pioggia appena cessata. Il sole tramontava oltre il velo delle nubi grigie, immergendosi nella tavolozza di colori aranciati con cui aveva dipinto il cielo che, invece, in quel momento digradava pigramente verso il blu intenso della sera.
Era sabato sera, ed Allison passeggiava completamente sola. Con le dita allargò lievemente il foulard di seta che le avvolgeva il collo e le sembrò di riuscire a respirare meglio.
Qualcosa la rendeva inquieta ormai da un paio di mesi, la fantasia le sussurrava di luoghi e volti sconosciuti che, ormai, la tormentavano anche da sveglia; la sua salute aveva subito un brusco strattone, anche se si affannava ad ignorare le preoccupazioni di sua madre e la stanchezza che la opprimeva sempre più, i mal di testa e l'anemia da cui era afflitta ultimamente.
Quando chiudeva gli occhi, però, Allison si era convinta che lo stesso sogno che la ossessionava da giorni si sarebbe ripresentato, chiedendole di viverlo ancora e ancora, lasciandole in pegno una profonda stanchezza e ricordi annebbiati.
Sognava sempre di trovarsi in una grande sala soffusa della luce di miriade di candele, mentre l'effluvio dei fiori saturava l'aria e le faceva girare la testa, inebriante.
Il salone era gremito di dame e cavalieri che danzavano, volti nebulosi che si muovevano come fantasmi su uno sfondo sfuocato.
Allison era circondata dai fasti di un tempo passato, dalle risate argentine, dal tintinnare dei lunghi calici colmi di vino e dalla musica di una graziosa orchestra.
Anche lei danzava e volteggiava tra le braccia di un cavaliere di cui non scorgeva i lineamenti dietro ad una intrigante maschera nera che gli copriva la metà superiore del viso.
Mentre l'orchestra suonava, tra la musica si faceva strada la voce di una donna, che Allison associava – con una sensibilità tutta moderna – a quella di una cantante lirica:

«Tra le rose selvatiche danza,
vestita di petali nivei.
Cercami,
e nella notte scorgerai i miei occhi.»

A poco a poco, però, sparivano le dame e i cavalieri, la musica s’interrompeva, svaniva il salone addobbato a festa, ed Allison si ritrovava in un giardino, il profumo delle rose selvatiche le giungeva alle narici e la soggiogava. Passeggiava a piedi nudi sull’erba coperta di rugiada come ubriaca di tanta bellezza; il suo lungo abito bianco frusciava. Un dolce vento le scompigliava i capelli, ed Allison avvertiva una pace indicibile ammantare quel luogo e penetrare in lei. Si fermava solo quando raggiungeva un'antica costruzione che si apriva su un portico fatto di archi a sesto acuto e le note dell'organo al suo interno faceva vibrare i vetri variopinti delle finestre; doveva essere una cattedrale, ma Allison non ne era sicura.
Da lontano, la stessa voce accorata continuava a cantare e la accompagnava come l'eco della risacca di un mare tempestoso:

«Cadono gli uomini, sfioriscono le rose,
la luna si eclissa.
Ma tu segui il mio sussurro
e nella notte chiama il mio nome.»

Non udiva rumore di altri passi, ma era consapevole che qualcuno la stesse seguendo: era suo il cavaliere e non era spaventata dalla sua presenza. Allora, mentre lei gli sorrideva e reclinava dolcemente il capo, le braccia forti dell'uomo l’avvolgevano: Allison avvertiva un freddo sovrannaturale calarle addosso e un brivido improvviso scuoterla, un misto di paura e dubbio. Le sembrava di abbracciare una statua e, per un attimo, provava una gran pena e desiderava con tutta se stessa poter scaldare quelle membra solide e gelide.
Poi le dita delicate del cavaliere le accarezzavano i capelli castani, scostandoli, e le sfioravano il collo. Le labbra dell'uomo premevano contro la sua gola in un bacio a lungo desiderato ed Allison sussultava, fremeva e si abbandonava. Ma i brividi di piacere si stemperavano in un acuto dolore, quando il cavaliere le affondava i denti nella carne. Ed Allison si sentiva persa e sprofondava in un mondo sconosciuto, dove la vita e la morte correvano insieme lungo lo stesso, sottile filo, e tutto si tingeva del rosso del suo sangue.
Piacere. Dolore. Ancora piacere. E, infine, stanchezza e oblio.
Allison si riscosse dai propri pensieri e si portò istintivamente una mano alla gola, massaggiandosela. Non aveva alcun segno sul collo, quindi il suo era solo un sogno, non aveva dubbi. Eppure il fatto che si sentisse svuotata delle sue energie, anziché riposata, al suo risveglio faceva suonare un atavico campanello d'allarme in lei che, però, non le offriva alcuna risposta logica. Semplicemente, per la ragazza, l'unica spiegazione per quelle notti agitate era il troppo stress.
Tuttavia non poteva permettersi una pausa dal lavoro: aveva bisogno del suo stipendio per tirare avanti e la sua occupazione le piaceva fin troppo per pensare a mollarla così, su due piedi.
Ormai si trovava alla periferia di York: ci era arrivata senza nemmeno accorgersene, camminando sovra pensiero, meccanicamente. Si infilò in un vicolo stretto e buio, reso viscido dalla pioggerella, che usava come scorciatoia per tornare a casa. Col passo sicuro di chi conosce la strada, procedette spedita. Si era davvero fatto tardi: il display del suo cellulare segnava, infatti, le 23:22.
Un cane cominciò ad abbaiare. Era Rudolph, il cane di cui spesso Allison si era occupata per racimolare qualche soldo durante le vacanze estive quando non poteva permettersi di passarle altrove. Il San Bernardo era diventato grande e grosso, ma con lei era rimasto un pacioccone.
«Ciao, cucciolone!», esclamò Allison avvicinandosi al recinto per accarezzarlo.
Rudolph, però, prese ad abbaiare ancora più forte e a ringhiare.
«Ehi, Rudy, che ti prende?»
Allison corrugò le sopracciglia ed allontanò la mano. Poi si accorse che il cane latrava al buio alle sue spalle. Si voltò velocemente, allarmata, e sentì il cuore accelerare in una risposta istintiva, primitiva, mentre scrutava attentamente la stradina poco illuminata.
Niente.
«D’accordo, Rudy, questa non è serata nemmeno per te, a quanto pare. Io vado; che è meglio. Ciao, cucciolone!»
Allison si avviò, guardando con più attenzione per terra per evitare le pozzanghere.
Ma Rudolph continuava ad abbaiare come se avesse fiutato qualcosa di pericoloso nell’aria. Quei latrati si amplificarono nella strada deserta come una eco bellicosa, mettendo in allarme Allison, che cominciò a camminare più velocemente e con il cuore che batteva forte.
La ragazza gettò un’altra occhiata alle sue spalle, poi tornò a guardare davanti a sé e sussultò.
Qualcuno, infatti, si era piantato davanti a lei e la fissava con un sorriso bieco sul viso. Si trattava di un uomo molto alto, con le spalle larghe e il torace ampio. Portava vestiti logori e lunghi capelli di un rosso slavato appiccicati alla fronte troppo spaziosa.
Allison fece istintivamente un passo indietro, ma l’uomo le si avvicinò ancora, rapidamente. In un battito di ciglia, furono talmente vicini che la ragazza poteva vedere gli occhi spiritati e la carnagione pallida dello sconosciuto, persino annusare l'odore acre – come di sangue – del suo fiato.
I loro corpi si sfiorarono ed Allison provò un senso di profonda angoscia e di disagio e il primo fremito di una martellante paura.
Cercò di domare l' impulso che le ordinava di fuggire e domandò: «Va tutto bene? Ha bisogno di qualcosa?»
Lo sconosciuto non rispose subito, ma la scrutò intensamente per un attimo che le sembrò infinito. Quando parlò, però, la sua voce non era altro che un roco e basso sussurro: «Ho sete.»
“Ma perché non sto mai zitta?”, si chiese Allison, sconcertata: quella che stava vivendo era una situazione surreale, degna dei peggior film horror.
Quel tizio doveva aver bevuto, si disse, e la stava inquietando non poco: spuntarle così alle spalle, starle così appiccicato e fissarla con quegli occhi da pazzo... non era per niente una bella situazione e lei non sapeva come cavarsi dall'impiccio, adesso. Cosa voleva quel barbone proprio da lei?
«Purtroppo non ho denaro da darle con me, mi spiace.»
Cercò di allontanarsi, ma l'uomo le bloccò di nuovo il passo. Sorpresa da quello scatto improvviso, Allison sollevò lo sguardo, stavolta spaventata a morte, e fissò l’uomo che ghignava, lasciando scoperti i denti ingialliti: non sembrava avere per niente buone intenzioni.
«Ho sete», ripeté l’uomo con voce roca. Rise, una risata quasi gorgogliante, inumana.

Sulla terrazza di una palazzina della periferia, una figura elegante e slanciata contemplava la scena: gli occhi scuri – davvero troppo scuri per essere meramente umani – assorbivano il bagliore argentino dello spicchio di luna che ornava il cielo come una collana sulla gola di una bella donna.
In una notte come quella, quell'uomo era rinato.

***

 

“Vincere la paura della morte equivale a vincere ogni altro terrore: tutti i terrori hanno significato solo in rapporto a questo problema primario".
(Ernest Junger)

 

Il silenzio regnava sovrano sulle colline avvolte dalla bruma da cui la luna si levava invitta e spandeva i suoi raggi, simili alle pallide dita dei fantasmi.
Un vento secco sollevava nugoli di polvere che ricoprivano i corpi stesi al suolo e rendevano i volti di quegli uomini, già sporchi di sangue raggrumato e congelati dalla morte, maschere ancor più grottesche.
Il campo di battaglia si estendeva quasi a perdita occhio: una macabra selva di lance spezzate e conficcate nel terreno, spade sporgenti dai corpi di guerrieri mutilati, scudi infranti e corvi famelici che saltavano da un cadavere all’altro, beccando gli occhi lattiginosi e i nasi tumefatti.
Lo scontro era finito e non aveva visto né vinti né vincitori. Entrambi gli stendardi, quello su cui spiccava la Rosa Rossa e quello su cui campeggiava la Rosa Bianca, erano coperti di sangue, strappati e calpestati.
L’orrenda vista dei corpi straziati torturava i pochi sopravvissuti che gemevano sommessamente per le loro turpi ferite. Qualcuno sarebbe venuto a raccogliere quei morti e a prestare soccorso ai feriti?
Sembrava che il tempo scorresse lentamente, troppo lentamente e che, invece, il sangue di quegli uomini fluisse fuori dai loro corpi spezzati velocemente, troppo velocemente.
La verde piana era divenuta il palco su cui la Morte, esile ed alta, vestita di nero ed elegante, si muoveva come una prima attrice.
Lui aveva appena ripreso conoscenza e tutto gli appariva confuso. Dovette sbattere le palpebre pur di mettere a fuoco quanto lo circondava, mentre il ronzio molesto del suo sangue nelle orecchie era un suono totalizzante e paralizzante.
Il dolore lo trascinò violentemente alla realtà in un attimo: aveva una freccia conficcata nel petto e si rese conto che sarebbe morto di lì a poco e fu invaso da una calma improvvisa e gelida, la calma di chi, in realtà, era preparato a quell'epilogo e non ne aveva alcuna paura. Il destino di un cavaliere è cadere combattendo, con la sua spada in pugno, per l'onore e la gloria e lo sguardo della propria dama.
L'uomo gemette e, freneticamente, tastò l'asta della freccia: la impugnò con l’intenzione di strapparla via, col respiro ansimante di un animale ferito. Si fermò pochi attimi prima di compiere quel gesto che gli sarebbe stato fatale, mentre lottava tra la consapevolezza lucida di non dover svellere la punta affilata e il sottile e istintivo panico di avere un corpo estraneo infilzato nella carne.
Il giovane respirò a fatica e cercò di liberarsi di quanto gli restava dell'armatura, ma non ne ebbe la forza: sentiva il sangue scorrere via e, con esso, la vita.
«Non sarei dovuto morire così miserabilmente. Dov'è la mia spada?» sussurrò nel buio e tossì, sputando sangue e tastando il terreno accanto a lui, cercando l'elsa intarsiata della propria lama.
Nell’udire quell’invocazione, la morte apparve: incarnata in una donna dai lineamenti senza età, non era bella nell’accezione comune del termine, poiché la sua bellezza non era spiegabile, eppure era orridamente affascinante. C'era qualcosa, nei suoi modi, di assolutamente straordinario: un languore di chi si veste di incanti e stregonerie e poi le sparge attorno a sé come reti ammalianti. Il suo volto magnetico sembrava quello di una splendida statua di marmo levigato, mentre gli occhi, di un intensissimo verde, ricordavano nel colore le corazze degli scarabei sacri egizi.
Le lunghe, impalpabili dita di quella donna sfiorarono il viso del cavaliere e un vago sorriso le increspò le le labbra esangui.
«Finalmente ti ho trovato.», gli sussurrò all'orecchio la donna con una dolcezza senza pari, come se il diavolo tentatore volesse rapirgli l'anima nell'ultimo afflato di vita che gli restava. Gli accarezzò teneramente i capelli sporchi di sangue, sudore e terra, senza paura di lordarsi la mano candida.
«Sei la Morte, non è vero? Allora prendimi, come hai preso tutti i guerrieri prima di me, ma non tentarmi, che Dio mi scampi almeno dal fuoco dell'Inferno. Voglio morire come un uomo degno delle insigne che porto», rispose il cavaliere, bloccando la mano d'ella con la propria tremante. Delirava, i tremiti di una febbre mortale gli facevano battere i denti: la Morte era china su di lui, che ne poteva contemplare il pietoso sguardo; possedeva una dolcezza tale da indurre al pianto sfrenato e liberatorio; gli appariva come una creatura pura e fragile come il vetro, come la luna che occhieggiava i cadaveri. E lei si aggirava su quella miseria umana con la grazia delle Dee greche ed egizie, pure e intoccabili, una novella Iside che ritrova il suo sposo e lo riporta alla vita.
«Dio? Lui non può ascoltarti, né salvarti, mio giovane cavaliere. Ma io posso e voglio. Tu non hai paura di abbandonare la vita, vero? Quale coraggio! A lungo ho seguito i tuoi passi e adesso ti ho scelto, per grazia della forza con cui affronti questo momento supremo: sarai mio.»
Lui non ebbe la forza di risponderle, la guardava con gli occhi velati e il respiro pesante, mentre si premeva le dita contro la ferita e sentiva il sangue inzuppargli la giubba e scivolargli, vischioso, lungo le dita. Non capiva, non comprendeva. Quela donna in mezzo a tanta desolazione non poteva essere che la Morte.
«No, mio cavaliere, non sono la Morte. Potrei, però, essere a Morte in Vita, per te. Sarai il mio capolavoro: dalla miseria umana, dalla sofferenza, dal fuoco del tuo coraggio, rinascerai come un eletto.»
La Morte in Vita gli sorrise in modo enigmatico e gli sollevò il capo, reggendolo per la nuca. Gli baciò le guance livide con le sue labbra seriche, cesellate come il marmo delle statue antiche.
La misteriosa donna seguì con la bocca il contorno della mandibola e poi scese sulla sua gola, sgranando un rosario di baci freddi che, però, cantavano di un desiderio fremente.
Poi furono delle zanne affilate a prendere possesso della gola del guerriero e ad affondare nella carne proprio dove l'arteria spiccava in rilievo.
Lui urlò un grido soffocato e gorgogliante e il sangue sprizzò e sporcò la bocca perfetta della donna – del Vampiro – di scarlatto e la fece mugolare di piacere insano.
Un dolore intenso percorreva ogni fibra del suo corpo e lui non riusciva a comprendere cosa stesse davvero accadendo. Il suo cuore batteva furiosamente e le sue pulsazioni gli riecheggiavano nelle tempie, assordandolo. Lentamente, però, la sofferenza cedette il posto ad una stordente sensazione di leggerezza e di piacere: il mondo freddo e grigio attorno a lui si animò di colpo e ogni suono e colore divennero più intesi. Poteva sentire il suo stesso sangue fluire da sé alla donna che se ne cibava, poteva avvertirlo come un fiume di vita che scorreva senza sosta da un corpo all'altro...
Il dolore così intenso e il piacere così potente divennero una cosa sola, martellante, ossessionante.
Il suo corpo reagì con uno spasmo involontario. Senza rendersene conto, serrò gli occhi e si abbandonò a quella che sembrava la fine più dolce e ad un pensiero quasi infantile: la Dama Nera – se davvero si trattava di lei – aveva posato le sue labbra pallide su di lui e stava bevendo la sua anima: un onore riservato a pochi.
La Vampira, quell'essere così squisito e grazioso che si era trasformato in una gatta soffiante e famelica senza ritegno, trangugiò il suo pasto bollente. Si morse il polso e glielo premette contro la bocca: il Sangue Tenebroso prese a scorrere e lei lo indusse a leccarlo e poi a berlo, con foga.
Il cerchio si chiuse, la grande alchimia del Sangue Oscuro si consumò in quello scambio e fu il suggello perfetto per l'opera appena compiuta.
La donna si scostò e osservò il proprio Sangue che operava lento ed inesorabile il prodigio dell'Abbraccio sul suo prescelto: ridisegnava ogni cellula e fibra di quel corpo umano, demoliva ciò che non sarebbe più stato utile e trasformava il resto.
Il dolore di quel momento fu la cosa che il guerriero non si sarebbe mai dimenticato: ascendeva a vette inimmaginabili di letizia e poi ricadde rovinosamente giù, sempre più giù, nel baratro di un abisso oscuro. Il Sangue Oscuro gli si annidò in ogni anfratto del corpo e vorticò, scivolò lungo ogni più minuscolo capillare come lava.
Infine, così com’era venuta, quella tremenda sofferenza cessò, e anche il palpitare del muscolo cardiaco si spense. La luce nei suoi occhi svanì, e la realtà perse consistenza. Il nulla lo circondò e l’oblio, per un tremendo attimo, cancellò ogni suo pensiero e rapì il suo ultimo respiro. Era morto.
Poi il cavaliere si rialzò, ed era tornato forte come prima, forse anche di più, eppure diverso. Si sentì come svuotato, e poi nuovamente riempito come un'otre.
Il Sangue Oscuro gli bagnava ancora le labbra e, quando lo leccò, assaporò fragranze che prima non aveva notato: el Sangue era antico e potente e lo aveva trasformato, c'era una sfumatura dolce e ferrosa insieme, un connubio ammaliante.
Saggiò la sua forza stringendo il pugno a più riprese; si accorse di poter vedere perfettamente nel buio e di distinguere i suoni e i colori come mai avrebbe immaginato nelle sue più torbide fantasie. Tutto aveva una nuova consistenza, tutto sembra più... vibrante, complesso, vivo.
Scorgeva sfumature e ombre mai colte in passato. Vedeva, insomma, la realtà con una profondità diversa.
Afferrò l’asta della freccia che si ergeva sul suo petto e la svelse senza fatica, gettandola via. La ferita si rimarginò all’istante, la carne preternaturale tornò intatta.
Era morto all'umanità, tutto ciò che restava di quelle spoglie umane era una chiazza viscida di quello che il suo corpo aveva appena espulso.
Era rinato. Era come lei, come la donna che lo osservava come una madre indulgente e che gli parlò in tono sommesso:
«In questa notte, tu sei morto e tornato alla vita. La Vita in Morte scorre dentro di te, assieme al mio Sangue Oscuro. La tua anima è incatenata al tuo corpo e perdurerai finché lo farà questa terra. Ora sei pieno della Grande Tenebra e assaporerai la vita come non l'hai mai vissuta. Vivrai eternamente, ma molti moriranno per mano tua. Il tuo unico sole sarà questa grande luna piena che ci abbraccia, figlio mio, da adesso e per sempre.»
Il cavaliere si voltò con uno scatto e guardò la Vampira sotto una luce diversa: la sua Creatrice, sua Madre nel Sangue.
«Cosa sono diventato? Perché io?»
La sua Creatrice gli si accostò e gli baciò le labbra e lui avvertì i suoi morbidi capelli serici contro la guancia e il profumo inequivocabile del suo Sangue tentatore.
«Ci sarà tempo per le spiegazioni. Adesso, però, ci attende la tua prima caccia.»
La Vampira si allontanò a passi lenti, quasi come se nulla potesse toccarla, né le bruttezze mortali e il lezzo dei cadaveri potevano scalfirne la bellezza.
Il guerriero restò immobile ad osservarla solo qualche istante, poi sentì l’urgenza del suo nuovo appetito, scoprì il ringhio della Bestia nascosta nel fondo del suo animo. Allora s’affrettò a seguirla e, in quel tragitto trionfale, capì che lei avrebbe dominato la sua esistenza per sempre.
Dietro di sé lasciò la pina in cui si erano affrontati gli eserciti delle Due Rose, muovendosi con un’agilità e una velocità che non avrebbe mai pensato di possedere.

***

Dopo qualche secondo di perfetta immobilità, il Vampiro si riscosse, camminando lungo il cornicione del palazzo con la destrezza di un felino. I suoi sensi, molto più sviluppati rispetto a quelli di un qualsiasi essere umano, gli garantivano un equilibrio perfetto ed un’ottima visuale anche con poca luce. I capelli castani gli incorniciavano il volto dai lineamenti leggermente squadrati e che dimostrava poco meno di trent'anni.
Andrew Gabriel Lancaster, secoli addietro, era sceso in guerra contro la casata degli York, e tutti lo avevano creduto morto, benché il suo corpo non fosse mai stato ritrovato. Nessuno aveva mai sospettato che un Principe dei Lancaster, in realtà, fosse stato trasformato in un Vampiro e avesse preso ad errare lungo in largo per la Bretagna assieme alla sua Creatrice.
Era uno dei più antichi e potenti Bevitori di Sangue di tutta l'Inghilterra e il territorio della città di York era casa sua. Era stato l’Immortale artefice del proprio destino: da quando era stato Abbracciato, erano svaniti tutti i suoi timori e le sue incertezze. Lui era sempre stato libero. Sopratutto, conoscere la verità sui Bevitori di Sangue e il loro approccio alle vicende umane da sua Madre era stato il primo passo per comprendere le dinamiche del mondo mortale.
La Guerra delle Due Rose era stata manovrata dai Vampiri che si contendevano il domino sulla Gran Bretagna, divisi esattamente in due fazioni come gli York e i Lancaster. Gli umani dele due casate venivano usati come mere pedine, senza che potessero sospettare alcunché.
Andrew si riscosse dai propri pensieri e spiccò un agile balzo, raggiunse il tetto di un palazzo più basso e, alla luce elettrica di un lampione, scorse due figure: le riconobbe entrambe. Il sangue non gli mentiva.
“Boris, quell'inutile succhia sangue di strada!”, pensò con un moto di ferocia.
Decise di mettere fine alla sua caccia notturna: la città di York era sua, non tollerava Revenant nel proprio dominio senza la sua autorizzazione e, ancor di più, detestava l'idea dei disordini che avrebbero potuto provocare aggirandosi in maniera così sconsiderata. Non aveva intenzione di dare il via ad una nuova caccia alle streghe, non nel ventesimo secolo. Amava la sua pace, l'anonimato con cui passava tra le strade confondendosi con gli umani e le cacce selvagge senza spettatori a disturbarlo. E, sopratutto, Boris stava mettendo le mani su una sua proprietà e questo poteva tollerarlo anche meno.

Boris torreggiava minacciosamente su quella che aveva eletto a propria preda.
Sogghignava, pregustando il momento in cui avrebbe affondato i denti nel collo della ragazza, squarciandolo. Troppo preso a trastullarsi nei propri pensieri famelici, Boris non si accorse che qualcuno lo sorvegliava.
Un guizzo, il rapido movimento di una figura vestita di nero, e il braccio di Boris, proteso ad agguantare l'umana, fu bloccato, mentre Allison venne spinta contro il muro.
Frastornata e scossa, la ragazza rimase immobile nel punto in cui era caduta. Ci vedeva doppio e le orecchie le ronzavano. Sbatteva le palpebre per tentare di vedere cosa stesse succedendo, ma tutto quello che riusciva a distinguere erano solo due macchie scure e delle voci. Voleva tirarsi su, ma le palpebre erano divenute improvvisamente troppo pesanti e la testa le girava.
Andrew non si curò minimamente della ragazza, ma strinse il polso di Boris con una forza indescrivibile e sentì distintamente lo scricchiolio sinistro dell'osso che minacciava di spezzarsi.
«Ti avevo detto di andartene. Non mi sembra un concetto tanto complicato da capire.», gli sibilò in tono calmissimo, asciutto, persino troppo per non trasmettere un soverchiante senso di pericolo.
Boris cercò di divincolarsi dalla sua stretta senza riuscirci. Il suo Sangue non era potente quanto quello del signore di York.
«Avevo fame», si limitò a giustificarsi Boris con un ringhio basso. Aveva la stessa aria inferocita di un cane a cui avevano appena strappato l'osso.
Andrew squadrò l’Upier e gli rivolse un sorriso di scherno. «Sei solo un misero animale senza cervello. Cacci nelle mie strade, senza alcuna autorizzazione e dove potrebbe vederti chiunque. Hai sprecato fin troppe possibilità di toglierti dai piedi.»
«Sei solo un pallone gonfiato che gioca a fare il principino. Questa città non ti appartiene più: verranno altri come me e se la prenderanno.», ribatté Boris e cercò di caricarlo con tutta la propria forza sovrannaturale.
Nel momento in cui l’Upier si abbatté su di lui, Andrew fece un unico balzo e assestò un calcio preciso e potente al collo del suo avversario: gli spiccò la testa dal resto del corpo.
Il cadavere di Boris ricadde all’indietro, tremando in preda ad orribili spasmi in una pozza di Sangue Oscuro. La testa rotolò ai piedi di Andrew: la schiacciò sotto la suola dello stivale con un tremendo suono di ossa e carni spappolate, fino a renderla una massa informe sull'asfalto. Pochi secondi dopo, il corpo del russo iniziò a divenire cenere e si disgregò completamente.
Andrew calpestò i resti del Vampiro – un mucchietto di cenere – senza tanti complimenti.
«Che inutile spreco di Sangue che eri, Upier.», mormorò, infilandosi le mani nelle tasche dell'impermeabile nero.
Si voltò e dedicò la sua attenzione alla ragazza svenuta per terra, soppesandola a lungo. Le si avvicinò, si accovacciò accanto a lei e la guardò con una punta di interesse maggiore. Non era affamato, ma l'odore del suo sangue familiare solleticò il suo istinto predatorio ed un sottile languore carnale: erano sensazioni che ad Andrew piacevano e gli evitavano il torpore che alle volte prendeva gli Antichi della sua razza, spingendolo ad amare ancora quel mondo mortale.
Finalmente, Allison si riprese e si ritrovò a fissare due occhi scurissimi. Occhi di tenebra.
Batté le palpebre e si fece sfuggire un basso lamento, mentre si massaggiava la testa e strisciava la schiena contro il muro, rimettendosi dritta.
Andrew non fece una piega e le tese la mano, con naturalezza. «Tirati su, ragazza!»
Allison, intontita, fissò la mano tesa, diffidente. «Che è successo? Chi sei? E dov’è finito quell’uomo?»
Il Vampiro le sorrise, vagamente irridente. «Troppe domande in una volta sola, non trovi?»
Dopo una breve pausa, la afferrò e la rimise in piedi senza troppi complimenti.
«Era soltanto un ubriacone, probabilmente voleva rapinarti. Ma è scappato appena sono arrivato.», mentì con noncuranza. «Ma dovresti fare più attenzione, ragazza, se non vuoi incontrare il lupo cattivo.»
«La prossima volta che mi troverò a recitare la parte della fanciulla in pericolo, saprò chi chiamare, allora.», rispose Allison con lo stesso tono ironico. Si fece di colpo seria, mentre stringeva ancora la mano del ragazzo. «Grazie per avermi aiutata.»
«Nah, lascia stare! Stasera mi sentivo... buono.», commentò Andrew con un accenno di sorriso bieco Il contatto prolungato con la mano della ragazza gli piaceva, amava il tepore che emanava. Eppure, quando sentì il fremito della Sete, fu il primo a rompere quel contatto e ad allontanarsi di un paio di passi. «Beh, ci vediamo.»
«Aspetta! Permettimi di sdebitarmi con te: ti offro un caffè. Charlie's, all'angolo, a quest'ora è ancora aperto e sforna le brioche calde.», propose Allison, stavolta con un accenno di maggior premura.
Andrew diniegò con un cenno : «Sarà per la prossima volta.»
Con passo agile, le mani ficcate nelle tasche dei calzoni, si allontanò tra le volute di condensa di un sistema di climatizzatore attaccato al muro del palazzo.
“Che tipo!”, pensò Allison, mentre si incamminava a propria volta, stringendosi nella giacca, attentissima a dove metteva i piedi, stavolta.
A casa, si mosse nel familiare buio e raggiunse la camera da letto. Era così stanca e scossa che lasciò tutti i vestiti in disordine per terra.

***


«Ho sentito dire che hai eliminato l’Upier, Andrew.»
Con passo lento, un uomo biondo e dai lineamenti senza età – poteva avere cinquant’anni come venti – attraversò il Ponte di Lendale e si avvicinò ad Andrew, tra le mani mescolava delle carte francesi, l'abilità dei bari tra le dita. Gli pose una mano sulla spalla con una evidente confidenza e un che di cameratesco.
Andrew voltò di poco la testa, giusto per riuscire a guardare il profilo del suo amico.
«Vedo che le notizie corrono, Caleb. Ma anche tu hai mantenuto il vizietto del gioco d'azzardo, mh?», rispose con malcelata ironia e una punta di cinismo, prima di chiosare: «Lo sai che odio i forestieri.»
Sotto di loro, il fiume Ouse scorreva veloce e la sua voce riempiva il silenzio della notte. I lampioni erano ancora accesi e illuminavano i battelli ormeggiati sulla sponda destra del fiume che beccheggiavano pigramente.
«Quindi odi anche me, vecchio mio?», domandò Caleb con tono serissimo e apparentemente offeso. Subito dopo fece spallucce: «Vorrà dire che resterò a Norwich e non verrò più a trovarti.»
Andrew sapeva bene che Caleb scherzava: poteva ingannare chiunque, tranne lui che lo conosceva da secoli. Per Caleb aprì la sua mente e lasciò che la corrente dei suoi pensieri fosse agilmente leggibile all'altro Vampiro che, dal canto suo, rimase assorto, catturato da quell'improvviso profluvio di immagini, voci e sensazioni.
«E così, Andrew ha fatto una buona azione!», lo canzonò Caleb quando smise di leggergli la mente.
«Simpatico.», commentò Andrew con un pizzico di alterigia. «Comunque, non è tutto. Io quella donna la conoscevo da ben prima di incrociarla faccia a faccia stasera. Due mesi fa, mentre ero a caccia, ho avvertito una chiamata: era così forte che non potevo ignorarla. Era il richiamo del sangue, dolce, dolcissimo sangue. Così, spinto dalla Sete, mi sono ritrovato davanti ad un vecchio palazzo ad arrampicarmi su per la scala anti-incendio. Spiai in ogni finestra, mi feci spettatore delle vite di quegli appartamenti: un'anziana che dormiva con la sua nipotina e il gatto acciambellato ai piedi del letto; un uomo che russava mentre la moglie tentava di prendere sonno; un paio di ragazzi che giocavano ai videogiochi e bevevano birra... poi lei.
Era sola in quella casa immersa nella penombra e nel silenzio. Mi divertì ad esplorare l'appartamento e tutto parlava di lei: la spazzola lasciata sul comodino, la sveglia puntata ad una certa ora, il tramezzino lasciato in un piatto sul lavello della cucina...
Intanto la mia sete cresceva, l'avevo spinta fino allo spasmo e, quindi, sedetti accanto a lei, sul bordo del letto. Mi bastò sfiorarla per vedere nello specchio dei suoi sogni e leggere i suoi pensieri: passeggiava in un giardino che, per me, era familiare. In quel sogno che io avevo turbato con la mia presenza, si offrì a me spontaneamente. Il suo corpo si arrese sotto il tocco delle mie dita e, nei suoi sogni, mi chiamò. La morsi senza che lei si opponesse, né che si svegliasse, tenendola stretta contro di me come se fosse stata la mia ancora di salvezza. Bevvi e bevvi, mentre quel corpo fremeva contro il mio e sentivo il deliquio impossessarsi di me, il piacere sconvolgermi nel profondo e il gemito della Bestia sazia che mi sfuggiva dalle labbra sporche. Le regalai in cambio la delizia dei sensi e un sogno meraviglioso.
Così, ogni volta che la sete si fa sentire, lei mi chiama, ed io la raggiungo. Come se lei sapesse che ho bisogno di nutrirmi, mi attira con un potente richiamo psichico che si manifestava mentre dorme. Da allora ho iniziato ad orchestrare per lei sogni ovattati e , in cambio, ho preso il suo sangue. La sua singolare capacità, però, mi sorprende, non credevo vi fossero umani con doni simili o, almeno, non che non ne fossero consci. Questa cosa mi manda ai pazzi, sai? Questa donna, senza saperlo, mi chiama e si dona a me, la sua vita è nelle mie mani e, per giunta, lei non se ne rende conto. Stasera, quando l'Upier l'ha attaccata, ho sentito un violento spasmo: è roba mia, il suo sangue mi appartiene, non mi andava l'idea di dividerla con un qualche miserabile rifiuto dell'eternità.»
Caleb rifletté per un momento, ma sembrava anche piuttosto convinto di quanto rispose: «La storia è interessante. Ma avermela raccontata non ha risolto i tuoi dubbi e ne ha fatti venire a me, a quanto pare. Mi sembra chiaro un unico punto, però: la mortale ti interessa, il che è senza dubbio singolare. Dopo così tanti anni, il fatto che gli esseri umani ti suscitino ancora curiosità e domande è positivo, significa che non sei ancora divenuto arido. Il mondo riesce ancora ad avere il suo fascino su di te e puoi scongiurare il pericolo che ti sia venuto a noia.»
«Non mi è mai sfiorata l'idea di sprofondare nel torpore dei Vampiri, a dire il vero.», replicò Andrew. Il suo volto non aveva espressioni, liscio come i lineamenti di una statua dimenticata su quel ponte per caso, ma si accese di una scintilla di vitalità quando aggiunse: «Il sangue esercita un fascino troppo potente su di me, perché vi rinunci per una dormitina.»
«Hai bisogno di risposte, amico», interloquì allora Caleb. «Se la ragazza è dotata di qualche potere paranormale, potrebbe essere un buon soggetto di studio...», insinuò con un accenno di puro cinismo.
«Ho bisogno di tornare alla cattedrale. Non ci viene nessuno da anni, è perfetta: ti offro un rifugio per il giorno.», gli rispose al contrario Andrew, asciutto.
D’un tratto, infatti, gli occhi dei due Vampiri si volsero al cielo. Il loro sangue vampiresco li aveva messi in allarme: presto sarebbe sorto il sole.


 

____________________________________

Note della autrice:

Questa storia è stata scritta per:

→ il contest: “Left Behind – storie di ruggine e abbandono” indetto da Tsunade e InoChan sul forum di EFP.
I pacchetti usati sono:
- Sussurro (Oggetto: Lettera rovinata; Persona: Ragazzo)
- luogo: http://en.textsave.org/FErb

Qui il luogo viene introdotto per ben due volte, la prima è l'accenno nel sogno di Allison, la seconda è proprio alla fine del capitolo, quando Andrew ci invita Caleb.
Gli altri elementi del pacchetto “sussurro” verranno utilizzati in seguito.

→ il contest: “The anatomy of a soul”, indetto da Rondini, sempre sul forum di EFP.
Il pacchetto usato è “Vena porta (la vena porta è il principale elemento costitutivo del sistema portale epatico, una circolazione propria del fegato. L’ho collegata all’espressione avere fegato)”:
- prompt: coraggio.
- genere: Generale.

Spendo due parole sul prompt “coraggio”. Qui, nel primo capitolo, è presente sopratutto associato ad Andrew ed è la motivazione per cui viene scelto e trasformato in un Vampiro, quindi ha una certa rilevanza sul personaggio.
Ho deciso di utilizzare il prompt anche come “assenza di coraggio”, ovvero nella circostanza dove Allison prova paura.


Notizie sparse:
Upier è il nome di un tipo di Vampiro originario della Polonia e della Russia.
I fiumi Ouse e Fosse, e il Ponte di Lendle sono elementi reali della città di York.
Ho scelto come sfondo della storia di Andrew la “Guerra delle Due Rose”, perché l'idea mi attirava, visto che non mi è mai capitato di scrivere nulla su quel periodo.

 

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Capitolo 2
*** Un articolo da prima pagina ***


CAPITOLO II: UN ARTICOLO DA PRIMA PAGINA

La domenica mattina di Allison trascorse veloce, forse fin troppo. Seduta alla scrivania della sua stanza, la ragazza era stata impegnata a correggere le bozze di alcuni articoli per il Daily York, il giornale per il quale lavorava come redattrice. Fu un lavoro monotono, ma che Allison aveva dovuto fare, nonostante si annoiasse e, spesso, si distraesse.
Più che correggere le notizie, infatti, lei adorava scovarle e scriverle; trovava ben poco stimolante un lavoro di editing, ma dovette portarlo a termine con una forte dose di buona volontà. Si era preparata un pranzo veloce e poi si era concessa un paio d’ore di lettura per ultimare il libro giallo che aveva preso in biblioteca due giorni prima. Poi ancora lavoro. Peccato che, ad un certo punto, la lavatrice avesse deciso di rompersi e che, quindi, ruscelli d'acqua avessero invaso il bagno, costringendo la ragazza ad armarsi di pazienza e stracci.
Allison, esausta, guardò l’orologio sul monitor del suo laptop: erano le 20:33. Stiracchiandosi, decise di fare una passeggiata: ne aveva decisamente bisogno.
Le strade di York erano ancora poco affollate ed era piacevole passeggiare tra i negozi che, seppur chiusi, offrivano delle splendide vetrine da osservare. Allison guardava gli oggetti in esposizione non troppo interessata: molti di quegli oggetti erano superflui, altri non poteva permetterseli.
«A quanto pare, Cappuccetto Rosso è stata fortuna e non ha più incontrato il lupo cattivo.»
Allison sussultò e si riscosse dai propri pensieri; si accorse che qualcuno era fermo proprio dietro di lei: poteva vederne il pallido riflesso nella vetrina. Ci mise poco a capire chi fosse il suo interlocutore, tanto che sorrise piacevolmente sorpresa.
«Compari sempre così all’improvviso?»
Il ragazzo, le mani infilate nelle tasche di una giacca nera, sembrò pensarci su e poi si strinse nelle spalle. «Potrei citarti la battuta di un noto romanzo fantasy a proposito della puntualità degli Stregoni.»
«Quello era “Il Signore degli Anelli” e tu non mi sembri Gandalf, a dire il vero. Però non mi sembra che, in questo momento, io abbia bisogno di aiuto, per fortuna.», ribatté Allison senza riuscire a trattenere una mezza risata di divertimento.
«Tu non puoi fare a meno di me da quando mi hai incontrato.», rispose Andrew con una disarmante faccia tosta e una buona dose di ironia.
«Che fai, cerchi di abbordarmi?», domandò Allison con una punta di ilarità.
«Chi, io? Sei fuori strada: io sono un cavaliere.», insistette Andrew.
«Prima che tu te la dia di nuovo a gambe, cavaliere, sarà meglio che mi presenti: Allison Bishop, giornalista per diletto e vocazione. Ora dovresti davvero permettermi di offrirti quel caffè... o un tè o qualsiasi altra cosa tu abbia voglia di bere, naturalmente.».
Allison iniziò a parlare a raffica, tanto che Andrew non ebbe il tempo di replicare fino a quando sollevò la mano in un gesto repentino.
«Ehi, ehi, calma! Sei davvero... loquace.», commentò il Vampiro con un accenno di sorriso più indulgente. «D'accordo, andiamo. Ho il sospetto che non riuscirò a liberarmi di te, altrimenti.»
«Io non mi accontento mai di un no. Che razza di giornalista potrei mai essere, se mi arrendessi al primo rifiuto?», gli chiese retorica la ragazza e, quindi, fece un cenno verso il fondo della strada, incamminandosi: «Vieni, Charlie's è proprio all'angolo. Hanno il miglior caffè della città e le torte più saporite. Ah, non ho capito come ti chiami...»
«Andrew.», sussurrò il Vampiro e la seguì con espressione concentrata. Si stava chiedendo come avrebbe potuto farle capire che non era il caffè, quello che aveva voglia di bere.

Quante volte Andrew aveva affascinato le sue giovani vittime prima di morderle? Il signore di York amministrava molto bene il potere ipnotico degli antichi Vampiri, quella forza psichica che riusciva a scardinare le difese dei mortali e spezzarne la volontà, assoggettandoli ai propri capricci.
Mordere: quel pensiero attraversò la mente di Andrew come una lama che affondava sempre più nella sua coscienza e richiedeva il suo tributo di sangue. La Sete, quel bisogno ancestrale, si accese in lui come un incendio, torcendogli le viscere e ogni singola vena.
Deglutì. Il profumo del sangue umano era come il canto di una sirena, quello di Allison – così familiare – era ancora più potente. Quante volte aveva bevuto da lei, mentre dormiva? C'era qualcosa di assurdamente perverso in quello che stava facendo adesso: fingere di non conoscerla, fingere di essere un ragazzo qualsiasi, fingere che il sangue di lei non esercitasse quel distorto fascino... fingere.
Provò l’impulso di mordere Allison, mentre la osservava tra le volute del fumo che saliva dalla tazza di tè che lei stringeva tra le dita, seduta ad uno dei tavoli della caffetteria affollata.
No, non l’avrebbe uccisa, le avrebbe solo succhiato il sangue che gli bastava per placarsi. Aveva tutto il diritto di prendersi ciò che gli spettava, dopotutto. Bastava che allungasse la mano e facesse leva sul proprio charme sovrannaturale: la ragazza non si sarebbe opposta e, agli occhi di tutti gli altri umani, il loro abbraccio sarebbe parso solo lo scambio di una effusione passionale.
Andrew scosse la testa, scacciò quel pensiero. Tentò di domarsi, ma la sua Sete lo faceva ardere di desiderio. Aveva bisogno di bere, un bisogno disperato. Ma no, non voleva toccare Allison: un barlume di ragione nella sua mente ottenebrata gli suggeriva di stare calmo. Se l’avesse aggredita, sarebbe stata la fine.
Le sorrise, garbato, celando il cupo abisso che lo rodeva dietro modi affabili e una buona conversazione.
Quella notte, però, qualcuno sarebbe morto, immolato alla sua fame.

***

La strada era praticamente deserta, se si escludeva un camioncino tutto sporco e con la targa coperta – forse ad arte – da uno spesso strato di fango, fermo nel vicolo accanto alla banca centrale di York e rigorosamente coi fari spenti.
Nell’abitacolo del conducente, un uomo stempiato e vestito sciattamente attendeva con aria preoccupata e impaziente. Fumava una sigaretta e soffiava il fumo fuori del finestrino, frammisto a qualche colpo di tosse tipico di quei fumatori incalliti con i polmoni guastati. Guardò nel vicolo con circospezione, anche se la pistola che portava alla cintola gli conferiva una certa sicurezza. Aspirò l’ultima boccata di fumo e buttò via il mozzicone con noncuranza.
«Ma quanto ci mettono?»
Frank avrebbe preferito passare quella notte nel suo letto, piuttosto che a fare il palo per una rapina, e sperava di poter rientrare a casa ad un orario non troppo indecente, anche se non c'era nessuno ad aspettarlo, a parte la confezione di birra in frigo. Poggiò un braccio sulla portiera e frugò nelle proprio tasche, prendendo il pacchetto di Light Blue, ma non trovò l'accendino.
«Ha da accendere?»
A Frank per poco non venne un infarto: il suo campo visivo era appena stato occupato da una figura di cui non riusciva a vedere la faccia. Istintivamente, portò la mano alla cintola, sulla pistola e la impugnò, tenendola bassa.
«No, amico. E levati dai piedi, non è serata.», tagliò Frank aggressivo e diffidente.
Fissò il ragazzo che si era appena chinato: vestito troppo bene e dai modi troppo circospetti.
«Sarai mica uno sbirro? Ma io non mi faccio fregare, piuttosto mollo quei due imbecilli lì dentro, ti faccio saltare la testa e me ne vado.»
Frank estrasse la pistola e la puntò dritta contro l'uomo che, nonostante tutto, gli sorrideva serafico. «Che cazzo ti ridi? Fammi vedere le mani, stronzo!», pretese e scese rapidamente dal furgone, tenendo la pistola puntata contro l'uomo che, però, sollevò le mani e gli sorrise beffardo.
«Ti consiglio di non farlo... amico.»
Frank caricò il colpo in canna e tenne il dito sul grilletto. Si avvicinò all'uomo e lo afferrò per il bavero della giacca, sbattendolo contro il cofano pieno di bozzi del furgone. La lamiera emanava calore e si poteva sentire il rumore borbottante del motore acceso.
Andrew stette al gioco e si lasciò perquisire senza opporre resistenza. Poteva sentire le brutali, avide e tozze mani di Frank tastargli le tasche e avvertì persino il respiro che sapeva di alcool contro la nuca.
«Non sei uno sbirro, ma sembri uno con i soldi. Magari a casa mammina ti aspetta e pagherebbe per riaverti intero, mh? Forza, sali! Verrai con me e i miei compari.», asserì Frank con un ghigno soddisfatto. Smosse la pistola, indicando il furgone, e ingiunse: «Muoviti o ti sparo alle gambe.»
«Ti ripeto, non farlo. Rendiamoci le cose più semplici e meno dolorose.», propose Andrew pacificamente.
Fissò l'uomo che lo minacciava con uno scintillio sadico nello sguardo, come se si divertisse in quel gioco dove faceva la parte della preda. Avanzò con uno scatto verso Frank e quello, allora, indietreggiò e sparò, senza mirare con esattezza, colto alla sprovvista.
Il rumore dello sparo riecheggiò lungo tutto il vicolo e, lontano, qualche cane riprese l'eco con un lungo latrato.
Andrew rimase immobile, quasi stupito da quella reazione improvvisa. Abbassò lo sguardo: la sua spalla sinistra era stata ferita e il proiettile era rimasto incastrato nella carne, un rivolo di sangue colava sui vestiti strappati. Tuttavia, non fece una piega, né si esibì in un gemito o un'espressione preoccupata. Nulla, aveva incassato il corpo senza alcuna reazione.
Frank rimase impietrito e sgranò gli occhi; la mano che stringeva la pistola tremò visibilmente. Guardava con un crescendo di stupore, orrore e raccapriccio la carne in cui la pallottola era penetrata contrarsi e il sangue, scuro e denso, colare. Un attimo dopo, la pallottola venne risputata fuori dal corpo di Andrew e cadde a terra con un tintinnio. Quando Frank tornò a fissare la spalla del suo antagonista, non trovò assolutamente nulla, nessuna traccia del foro, né del sangue, niente.
«Chi sei?! Cosa cazzo sei?!», urlò, incurante del fatto che i suoi complici fossero in una banca a tentare di scassinare il caveau.
Indietreggiò terrorizzato e stava per sparare tutto il caricatore addosso all'abominio che aveva davanti, quando si rese conto che era troppo tardi: il Vampiro lo afferrò per il collo, sollevandolo come se fosse stato un fuscello.
Frank annaspò, alla disperata ricerca d’aria: il suo volto divenne paonazzo, i piedi scalciarono, le pupille si dilatarono e tutti i capillari nei suoi occhi sembrarono sul punto di rompersi, gli occhi stessi minacciarono di schizzargli dalle orbite. Sentì le vene del collo pulsare dolorosamente, poi tutto divenne sfocato, i suoni sommessi e indistinti, le immagini si dissolsero un esplosione di bianco, il ronzare del sangue si fece nelle sue tempie sempre più lieve.
«Ti avevo avvertito.»
Fu l'ultima cosa che sentì prima di perdere i sensi, prima che denti acuminati affondassero nella sua gola, raggiungendo la giugulare esterna. Venne il dolore, acuto, sordo, selvaggio, uno spasmo che gli attraversò tutto il corpo. Poi il nulla.
Andrew stringeva la sua preda in un abbraccio micidiale, fu sicuro di sentire le ossa spezzarsi sotto la sua presa, ma non riusciva a staccarsi da quella fonte di cibo e dal piacere che lo squassava.
Il silenzio venne improvvisamente spezzato dall'allarme della banca che suonava all'impazzata e dalle voci roche di due uomini che si precipitavano fuori dall'edificio.
«Andiamo, presto! Dov'è quell'idiota? Doveva tenere il furgone in moto!»
Uno dei rapinatori si guardò attorno ed Andrew lasciò cadere bruscamente il cadavere della sua preda che si afflosciò come una vescica di bue svuotata.
Lontano, l'eco delle sirene delle volanti della polizia squarciava l'aria con il loro profondo lamento.
Il Vampiro dovette lasciare il corpo lì, in bella mostra, con i segni del suo passaggio sulla gola squarciata, e darsi alla fuga: richiamando a sé i poteri che il Sangue Oscuro gli conferiva, si arrampicò sul muro del palazzo adiacente la banca e saltò sul tetto, appiattendosi nel buio.
I due manigoldi urlarono di raccapriccio quando scoprirono il corpo esanime del loro complice, mentre la polizia si radunava e circondava la banca, tagliando loro ogni via di fuga.
«Dannazione!», sibilò Andrew con un ringhio di frustrazione.
Aveva appena commesso un gravissimo errore.
 

***


C'era il rumore di acqua corrente, ne era sicura. Poteva sentirne il suono amplificato dalle altissime volte del soffitto. Acqua corrente all'interno di un edificio? Com'era possibile? Eppure c'era.
Allison camminava sull'erba a piedi nudi, tremando per il freddo della rugiada sotto le piante e per il piacere che quella sensazione riusciva a provocarle. Sì, c'era un piccolo torrente pieno di sassi che correva sotto ad un ponticello di pietra che saliva nel cuore di una navata immersa nel buio e circondata da due ali di colonne altissime. In fondo c'era l'abside su cui si aprivano due fila di finestre bifore imponenti: era da lì che penetrava la fievole luce della luna che aveva appena fatto capolino nel cielo.
Poi, all'improvviso, la cattedrale si riempì e una lunga fila di frati con i cappucci tirati sul capo, salmodiando, attraversò la navata e, dietro di loro, il vescovo vestito di sfarzosi paramenti sacri si avviava, tra il fumo dell'inceso, verso un sarcofago di marmo dal coperchio scolpito nelle sembianze di un cavaliere. Qualcuno doveva essere morto molto giovane: quello era un funerale.
La cattedrale era colma di fiori e il loro profumo rendeva l'aria più pesante. Innumerevoli fiammelle di candele si smossero alla sottile corrente che penetrava dalle finestre. La litania in latino dei frati riecheggiava tra le mura. Una giovane donna, vestita di broccato nero e con il volto nascosto dietro ad un velo di pizzo, strava immobile con le mani giunte sul ventre accanto alla tomba vuota: nel sarcofago non era deposto alcun corpo, ma il coperchio venne ugualmente posto e sigillato.
Allison osservava la scena come se fosse un fantasma fluttuante sulle teste del corteo funebre e avvertì un profondo malessere, una nausea che la costrinse a scappare, a fuggire volando oltre il soffitto della cattedrale circondata da un tappeto di rose selvatiche.

Il rumore insistente della sveglia fece destare Allison di malumore. La ragazza allungò una mano da sotto le lenzuola, cercò tastoni l’orologio digitale e lo spense. Aprì un occhio, poi l’altro, e la luce solare l’abbagliò.
Allison mugolò assonnata in viva protesta, ma dopo un paio di minuti in cui procrastinava l'inevitabile, riemerse dalle coperte. Si sentiva stanca morta e aveva uno spiacevole ricordo del sogno da cui era emersa solo poco fa, una sensazione claustrofobica, e cercò di scacciare quel ricordo in tutti i modi.
Andò in cucina e si preparò una colazione leggera: non aveva molta fame. Dopo una doccia veloce, si vestì e uscì. Prese il solito autobus che la portò in ufficio.
Lavorava al Daily York da oltre sei mesi, ma non era ancora riuscita ad ottenere un incarico importante, uno di quelli che per un giornalista significherebbe conquistarsi la prima pagina. Si chiese se quel giorno fosse la volta buona, anche se era molto decisa a procacciarsi qualche succulento scoop in un modo o nell'altro. Non era un tipo arrendevole e, anche se il mondo del giornalismo era pieno di squali, non aveva intenzione di fare la fine del pesciolino rosso. Aveva studiato e al college era stata sempre tra le più motivate, non poteva sprecare l'occasione che aveva al Daily York.
“Altro che stagista, a breve avrò il mio ufficio con tanto di targhetta con il mio nome appiccicata sulla porta, me lo sento.”, pensò con una ventata di ottimismo.
Quando entrò in ufficio, ebbe appena il tempo di posare la borsa sulla sua scrivania, che il direttore la mandò a chiamare.
Allison bussò alla porta dell'ufficio del direttore con un entusiasmo palpabile: forse quella poteva essere davvero la sua grande occasione.
«Voleva vedermi?»
Paul Sisley, un uomo sulla cinquantina con i capelli brizzolati e i baffi ben curati, sollevò il viso dai fogli che stava visionando ed indicò la poltroncina alla ragazza.
«Sì, si accomodi.»
Quando Allison si fu seduta, Sisley riprese a parlare: «Lei è l’ultimo acquisto del nostro giornale e, fino ad ora, non ha avuto che incarichi di poco conto da svolgere, dico bene?»
Allison annuì, e dalla sua espressione trasparì l’insoddisfazione.
Sisley congiunse la punta delle dita e osservò la ragazza, poi fece un sorriso franco.
«Voglio darle fiducia. Si è presentata in questa redazione con ottime credenziali e credo che abbia già preso abbastanza confidenza con il nostro modo di lavorare. Da oggi, lei sarà la nostra nuova inviata in prova. Le assegnerò un primo incarico per vagliare le sue capacità sul campo. Si ricordi: questa è un'occasione che non è data a tutte le nuove leve ed è la prova della grande fiducia che voglio riporle in lei. Se la sente?»
Allison cercò di non far trasparire la meraviglia e l'eccitazione, a favore di un tono pacato e professionale: «E Furlan? Dovrò lavorare con lui o...?»
«Furlan è all’estero, quindi sarà un lavoro tutto suo. Può disporre come preferisce per il reporter che verrà con lei. Voglio un servizio completo sull’omicidio e sulla rapina alla banca centrale e, se farà un buon lavoro, sarà promossa definitivamente.», spiegò Sisley.
Allison non rispose subito, rimase seduta ancora nella poltroncina di pelle nera, quasi cercasse di capire dov'era la fregatura.
«Non vorrà restare una redattrice per sempre, vero?», domandò Sisley mentre la osservava con aria indulgente, vagamente divertita.
«Certo che no!»
«Allora, si muova, signorina Bishop!», la incoraggiò Paul Sisley, tornando alle carte che stava leggendo con un mezzo sorriso divertito.
«Sì, signore! Signor sì, signore!», rispose la ragazza scattando in piedi.

«Michael!», chiamò Allison, mentre – lasciato l'ufficio di Sisley – raccattava dalla propria scrivania la borsa e l'impermeabile e si avviava verso gli ascensori.
«Mike, dove sei? Ho bisogno di te.»
Michael stava camminando lungo il corridoio con un bicchiere cartonato pieno di caffè fumante in mano; si era appena lasciato alle spalle i distributori automatici e stava soffiando sulla bevanda, prima di berne un sorso. Aveva gli occhiali appannati dal vapore e se li sistemò sul naso con un gesto veloce delle dita, quando incrociò Allison.
«Oh, Allie, che succede? Sei di fretta?»
«Prendi la macchina fotografica e vieni con me! Ti spiegherò tutto strada facendo. Per ora ti dico solo che abbiamo un lavoro.», gli spiegò gongolante la ragazza.
«Come?», Mike sgranò gli occhi per la sorpresa e per poco non rovesciò il caffè che abbandonò sulla scrivania, mentre si metteva a tracolla la borsa con l'attrezzatura.
«Sisley vuole un servizio sulla rapina alla banca, dove ci è scappato il morto. Ha promesso ricchi premi e cotillon.»
Mike s’illuminò, sorridendo come se avesse vinto alla lotteria. Si passò una mano tra i capelli di un bel rosso, come se volesse raccapezzarsi meglio e assicurò: «Faremo un servizio da prima pagina.»

Sul luogo del delitto, Allison e Michael cercarono in tutti i modi di ottenere il maggior numero di informazioni possibili sull'accaduto: la scena del crimine era stata isolata dagli esperti della scientifica e un paio di poliziotti erano rimasti come piantoni per evitare che qualcuno inquinasse le prove.
I particolari dell'accaduto di quella notte venivano elargiti col contagocce: i due reporter riuscirono a sapere che i rapinatori erano in tre, uno dei quali morto e gli altri due catturati dopo un breve inseguimento e qualche pallottola vacante. Sul decesso di uno dei criminali le forze dell'ordine si ostinavano a mantenere il più assoluto riserbo, ma i due giornalisti riuscirono a cogliere il nome del medico legale che aveva preso il corpo in custodia e avrebbe dovuto eseguire l'autopsia. Ottennero persino delle foto risalenti alla notte del delitto, null'altro che alcuni fermo immagine delle registrazioni delle telecamere di sorveglianza che avevano ripreso strani movimenti nella strada: erano di pessima qualità per poter davvero offrire dei dettagli inoppugnabili, eppure Allison – per un momento fugace – fu certa di aver già visto da qualche parte l'uomo di profilo e in giacca scura che si avvicinava al furgone parcheggiato usato dai rapinatori.
«Che facciamo, torniamo in redazione?», chiese Michael un po' pensieroso, mentre cercavano di riordinare le idee.
«Volevo provare ad avere qualche anteprima sull'autopsia, a dire il vero. Ma come facciamo ad entrare nell'Istituto di Medicina Legale?», rispose Allison scontenta.
Mike fece roteare gli occhi e cavò il cellulare dalla tasca della giacca. Con il pollice scorse i nomi nella rubrica e poi premette il tasto per la chiamata.
«Che fai?», gli domandò Allison che rimase a fissarlo, interdetta.
Michael le fece il sorriso di chi sa il fatto suo e le confidò, sibillino: «Ho un amico che lavora proprio all'obitorio e mi deve un favore.»
Qualche minuto dopo erano sul retro dell'Istituto di Medicina Legale a parlare con uno dei dipendenti: un giovane specializzando in medicina che fumava una sigaretta nella sua divisa blu.
«Mike, questo è il massimo che sono riuscito a fare. Sono copie dei referti medici degli ultimi omicidi irrisolti dell'intera contea. Se qualcuno mi becca a passare questi documenti riservati alla stampa, posso dire addio alla carriera e prepararmi anche anche a vestire d'arancione nella prigione di stato. Quindi, sul serio, fai attenzione: è roba che scotta.», disse il medico, rifilando una cartelletta al reporter e tirando avidamente dalla sigaretta, prima di gettare la cicca fumante lontano.
«Sta' tranquillo, Chris: non ho intenzione di farti finire nei guai.», lo rassicurò Michael con un sorriso ampio.
«Un giornalista non rivela le sue fonti, puoi starne certo. Faremo in modo che nell'articolo non ci sia alcun riferimento a te.», aggiunse Allison in tono energico.
Chris fece un mugugno e la fissò di rimando, poco convinto: «A-ha, certo.», mormorò e poi puntò l'indice contro Michael: «Con questo simo pari, Mike. Ora è meglio se torno al lavoro.»
«Ci vediamo giovedì alla partita, Chris. Grazie ancora!», lo salutò Michael e consegnò l'intero incarto ad Allison, tornando alla propria auto, premendo un tastino del telecomando per aprirla.
Allison salì a bordo e sfogliò avidamente tutti i referti: era entusiasta.
«Qui ci sono casi irrisolti di mesi e mesi, Mike! Particolari che non sono mai stati divulgati Accidenti, è oro puro. Si può sapere che favore ti doveva quello?»
Mike mise in moto e fece marcia indietro, attento ad evitare le auto in transito. La guardò di sbieco, mentre finiva la manovra e imboccava la direzione corretta.
«L'ho beccato ad un festino con delle escort e lui è fidanzatissimo con la figlia di un finanziere. Splendide foto, davvero splendide...», le spiegò, insinuante.
Allison rise e scosse il capo: «Sei veramente pessimo!»

«Ti rendi conto? Quello di questa notte è l’ennesimo caso del genere a York, ma la polizia non ha mai scoperto niente, né il medico legale ha saputo dare delle spiegazioni valide a proposito di queste morti.», mormorò Allison, sparpagliando ancora di più tutto il plico di fogli sulla scrivania della redazione che aveva occupato assieme a Michael.
«E ci credo: ogni tanto spuntano cadaveri dissanguati, non è mica una cosa normale. Quante volte hai sentito parlare di gente morta in questo modo? Intendo, morti dove il sangue non si sa che fine abbia fatto, svuotati come potrei svuotare io una lattina di birra il sabato sera.», ribatté Mike con aria corrucciata, mentre dava una scorsa alle foto dei cadaveri, spesso classificati come sconosciuti.
«Mike, abbiamo a che fare con un serial killer, altro che furto.», realizzò Allison, fissando l'amico intensamente.
Michael rimase interdetto. Non rispose subito, ma tenne d'occhio una ragazza che stava passando proprio lì accanto con un paio di cartelline plastificate tra le mani e, quindi, si accostò maggiormente ad Allison, sussurrandole: «Un serial killer? E la polizia non ha avvisato nessuno? Se fossero sulle tracce di un assassino simile, si sarebbe scoperto da un pezzo. Credo semplicemente che abbiano accantonato questi casi, pensandoli strani, ma slegati l'uno all'altro. In effetti, sono cadaveri trovati in punti della città diversissimi l'uno dall'altro e ad intervalli di tempo irregolari, persone di vari ceti sociali,ma molto spesso poveracci, barboni, delinquenti, prostitute... insomma, gli invisibili delle periferie che sembra non abbiano niente in comune dalle ricerche che abbiamo fatto fino ad ora. »
«Beh, noi allora indagheremo come se fossero casi legati tra loro.», propose Allison, come se fosse cosa ovvia. Quindi diede un'occhiata al monitor del computer e chiese: «Come va lì?»
«Ho lanciato la ricerca da un po', agganciandomi al sito della biblioteca e usando diverse parole-chiave. Se ci saranno similitudini con vecchi casi, lo sapremo presto. Ormai le biblioteche hanno informatizzato tutto.», replicò Michael, ma non ebbe nemmeno il tempo di finire la frase.
Un pop-up lampeggiante, infatti, lo avvisò che il motore di ricerca aveva appena terminato di spulciare tutto l'archivio.
«Allie, guarda qua! Ci sono più di un centinaio di voci che corrispondono ai criteri di ricerca. Roba che risale a...» Michael si interruppe e avvicinò con uno scatto il viso al monitor, socchiudendo gli occhi, quasi non fosse sicuro di quello che aveva appena letto: «Medioevo, Rinascimento, antichità... si tratta di manoscritti, lettere, testimonianze e un mucchio di altri documenti. Incredibile!»
Allison osservò avidamente l'incredibile mole di informazioni che avevano trovato: diari provenienti da abbazie di tutta Europa, referti medici, semplici lettere d’epoca, manoscritti di demonologia e magia, testi esoterici e un gran mole di romanzi e opere di fantasia. Tutto rimandava, ossessivamente, ad una sola parola ricorrente in ogni link.
Ciò che più aveva colpito la giornalista, però, erano le pagine del diario di un medico tra cui spiccava una vecchia lettera rovinata dal tempo: era un'immagine digitalizzata ma che, tuttavia, conservava il fascino della carta ingiallita e screpolata, le evidenti pieghe di un foglio chiuso in quattro parti e l'inchiostro nero sbiadito in alcuni punti.

“E’ spaventoso. Mio Dio! Mio Dio! Quella donna era morta. Morta, vi dico! Io stesso ho constatato il decesso, dovuto ad una consistente perdita di sangue. Una cosa, devo ammetterla, inspiegabile ai miei occhi di medico. La ragazza non presentava nessuna ferita, tranne due segni sul collo: due fori bianchi e smangiati che sembravano dovuti al morso di un qualche animale, magari un cane.
Ora non so più cosa pensare. Mio Dio! Quella donna, che doveva essere morta, ha rapito un bambino e lo ha trascinato nel cimitero, mentre io e altri uomini la inseguivamo. Povero bambino! Quella cosa, che non poteva essere umana, lo stava mordendo al collo. Capite? Stava bevendo il sangue di quella creatura innocente. Si comportava come quei pipistrelli che succhiano il sangue degli animali, come un vampiro!”


Allison rimase a lungo a fissare quel frammento di corrispondenza e Michael scosse il capo. Lei, però, sembrava aver appena messo a posto tutti i pezzi di un enorme puzzle.
«Mike, credo che – togliendo le superstizioni, le leggende e tutto il resto – i fatti ci dicano una sola cosa, un'unica verità.», esordì con voce bassa e tremolante di eccitazione.
«No, Allie, ti prego, non vorrai davvero dirmi che...», la implorò Michael.
Allison era sognante: «Mike, già vedo il titolo del nostro reportage in prima pagina: “Il Serial Killer Vampiro colpisce ancora”

***

 

«Faccio una pausa. Vado a prendere uno snack. Tu ne vuoi?»
Michael si alzò, stropicciandosi gli occhi arrossati e stiracchiandosi. Ormai erano rimasti solo lui ed Allison in redazione, a parte la ditta di pulizia che stava ripulendo gli uffici; c'era il rumore ronzante e continuo di un aspirapolvere che riecheggiava nel corridoio illuminato dalla luce al neon bianca.

«Sì, grazie. Al cioccolato.», rispose Allison con gli occhi incollati sul monitor del computer. Il suo blocco note era pieno di appunti, ma lei continuava a scorrere le pagine dei documenti.
Michael si allontanò sbadigliando, ma Allison tornò alla lettera che avevano trovato come primissima fonte: l'aveva stampata e, ora che teneva i fogli tra le mani, poteva immaginare la sensazione di stringere l'originale tra le dita, la pergamena ruvida e spessa, di annusare l'odore dell'inchiostro fresco e rabbrividirepensando al sottile grattare della punta di un pennino sulla carta. Quella lettera era una fitta confessione tra un medico e un esperto di occultismo dell'epoca che, probabilmente come il Van Helsing nel “Dracula” di Bram Stoker. Dopotutto, Stoker non si era ispirato, per il suo romanzo, a vecchie leggende, inquietanti avvenimenti e fenomeni inspiegabili?
Allison si sentiva profondamente turbata e si accorse di mangiucchiarsi le unghie mentre era sovra pensiero. Non riusciva a staccare gli occhi da quelle pagine che l'avevano soggiogata e costituivano la spiegazione più ovvia – per quanto straordinaria e angosciante – per le sue condizioni di salute, i vuoti di memoria che si frapponevano tra lei e le ore di dormiveglia e le sensazioni insopprimibili e bislacche che le lasciavano i suoi sogni. Stava covando mille dubbi e infiniti interrogativi, si chiese addirittura più volte se fosse impazzita, eppure sembrava tutto così... ovvio e sensato!
 

“[...] Ho avuto modo di visitare molti pazienti, negli ultimi mesi. Nella mia carriera non avevo mai avuto l'occasione di confrontarmi con una vasta gamma di sintomi come quelli che ho riscontrato in ognuno di loro, sintomi che – comunque – finivano per somigliarsi e, in molti casi, combaciare perfettamente.
Mi è parso chiaro, dunque, che questi pazienti dovessero aver contratto la medesima malattia.
Prima di tutto, esimio collega, voglio descriverti ciò che ho dovuto combattere con tutte le armi che la moderna scienza medica ci ha messo a disposizione. Che fossero donne o uomini, giovani o vecchi, ho riscontrato, per prima cosa, un notevole e graduale deperimento e di una conseguente estrema debolezza; un colorito pallido, tipico di chi soffre di una grave forma di anemia, anche se mi hanno assicurato che non avessero mai sofferto di questo male in passato. A questo si aggiungeva spesso febbre e, con l'andare del tempo, problemi respiratori.
Consigliai, inizialmente, una dieta adeguata a rimetterli in forze, in modo da aiutare il sangue a rigenerarsi e circolare meglio; ho inoltre raccomandato uno stile di vita salutare, con molte passeggiate all'aria aperta nelle prime ore del mattino e adeguato riposo. Lasciai loro impacchi e infusi di erbe officinali, nella speranza che, con rimedi quanto più naturali possibili, potessero riprendersi.
Nonostante questo, però, quando tornavo a visitare i miei pazienti, scoprivo non solo che non erano migliorati affatto, bensì addirittura peggiorati: era chiaro che un qualche male a me ignoto prosciugava il sangue dal loro corpo, lasciandoli deboli e smunti a languire nei letti. Prescrissi, allora, molte medicine ricostituenti, ma anche in quel caso non ottenni nessun risultato. Dovetti ricorrere ad un metodo ancora in fase di sperimentazione: la trasfusione. Mi convinsi che, se c'era qualcosa che divorava il loro sangue, l'unico modo di salvarli era donarne altro. Anche questo tentativo fallì miseramente.
Via via più preoccupato e abbattuto per non riuscire ad assicurare la guarigione che avevo giurato su Ippocrate di propiziare, mi convinsi che stavo apprestandomi a lottare contro qualcosa di molto più difficile e occulto del previsto che sui miei libri di medicina non trovava riscontro.
I miei cari, poveri pazienti, infatti, nei momenti in cui riuscivano a ritrovare le loro forze, mi raccontavano di strani sogni che li attanagliavano. Erano diversi per ciascuno di loro, ma tutti parlavano di strane e bellissime presenze: inquietanti uomini dagli occhi penetranti, lussuriose donne procaci, persino giovinetti maliziosi: come dei, ninfe e satiri, questi esseri accompagnavano il sonno agitato dei miei pazienti e li lusingavano, li affascinavano e li irretivano, fino a che li mordevano, succhiando loro il sangue, e li trascinavano in un mirabolante caleidoscopio di torbide sensazioni. Al risveglio, non ricordavano nulla della notte appena trascorsa, ma il sogno li ossessionava e si ritrovano spossati e deboli, con la testa dolente e la bocca arsa.
Per scrupolo, quindi, cercai ciò che non avevo mai cercato prima nel visitati e li vidi: segni di morsi, lievissimi, ben rimarginati, ma presenti.
Il mio stupore e la mia paura crebbero, anche se cercai di minimizzare la questione.
Mi ricordo di Angeline: uno splendido giunco dai modi raffinati e i polsi sottili, i capelli ricci e di un bel bruno, gli occhi di uno splendido castano; era l'unica figlia femmina di un mercante di sete, il gioiello della famiglia che i due fratelli avevano più cara di un occhio. Vederla preda di quel delirio dei sensi, di quella febbre che la consumava senza posa e di quella debolezza che ne aveva fiaccato il corpo rendendolo macilento e ossuto, fu straziante. Lo fu ancora di più ascoltare quelli che sembravano vaneggiamenti folli mentre, aggrappata con le unghie alla mia giacca, mi fissava negli occhi con disperazione, pregandomi di crederla.
Credo fu quello che mi spinse a chiedermi se ci fossero davvero forze maligne e invisibili all'opera. Mi rivolsi al prete del paese, un uomo tutto d'un pezzo che aveva ricevuto da Roma il mandato di esorcizzare gli spiriti e scacciare i demoni, operando come il braccio occulto della Chiesa. Fu lui a spiegarmi ciò che io avevo solo osato immaginare nelle mie più torbide fantasie: si trattava di Vampiri. Il borgo era caduto sotto le mire di alcuni di loro, era divenuto il loro terreno di caccia e, quindi, essi si dilettavano ad attrarre le loro vittime nel sonno per nutrirsene. E, se qualcuna di esse era abbastanza ricettiva e rispondeva a quella chiamata, i Vampiri penetravano nelle loro stanze come presenze discrete, predatori micidiali. Poi si intrufolavano nelle loro menti con i propri poteri psichici e ne manipolavano i sogni; gli umani cedevano, lusingati dalle splendide immagini opulenti e misteriose che quelle creature sapevano creare ad arte, e bevevano con avidità il sangue che li manteneva in vita. Sembrava, quindi che nessuno riuscisse a rendersene conto, se non quando diveniva troppo tardi e la morte se li portava via. [...]”

 

Allison quasi si sentì male, preda di una improvvisa nausea e di un senso di vertigine che la costrinse a reggersi il capo tra le mani. Aveva gli stessi sintomi, sintomi che nessun medico si era spiegato e che non era riuscita a combattere: possibile che fosse la preda inconsapevole di un Vampiro? Possibile che esseri del genere esistessero davvero? Lo strano e pericoloso incontro con il barbone era in qualche modo commesso agli omicidi di York su cui stava indagando? E, quindi, se in qualche modo tutto ciò era connesso, per quale coincidenza Andrew si trovava nel vicolo vicino casa sua proprio mentre il barbone l'aveva aggredita e poi sulla scena del delitto alla banca?
Allison si accorse che le tremavano le mani.

 

 

 

________________________

Note dell'autrice:

 

in questo capitolo, finalmente, ho utilizzato i due elementi del pacchetto prescelto: il ragazzo è Michael, mentre la lettera rovinata è quella che i due giornalisti trovano come testimonianza dell'esistenza dei Vampiri nella ricerca via internet.

Per quanto riguarda il prompt “coraggio”, stavolta è associato molto più da vicino ad Allison, che decide di giocarsi il tutto per tutto per avere la sua possibilità come giornalista.

I riferimenti a “Il Signore degli Anelli” e al “Dracula” sono ovviamente un piccolo tributo.
In particolare, il tono della lettera si ispira liberamente allo stile del romanzo di Stoker: mi sembrava piuttosto adatto, date le atmosfere del capitolo.


Alcune espressioni un po' più colorite, nella scena in cui Frank interagisce con Andrew, rispondono semplicemente al bisogno di rendere la situazione in qualche modo realistica. Non amo l'uso di parolacce gratuitamente, ho fatto uno sforzo in nome della verioimiglianza.

 

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Capitolo 3
*** La cattedrale ***


CAPITOLO III: LA CATTEDRALE

 

Allison si appoggiò allo schienale della sedia e distolse lo sguardo dai fogli, passandosi una mano sugli occhi stanchi. Sorrise a Michael appena lui le allungò il bicchiere contente una cioccolata calda e uno snack dall'incarto tutto colorato.
«Grazie, Mike.», mormorò con un filo di voce.
«Va tutto bene, Allie? Mi sembri turbata.», chiede Michael, sedendosi sulla propria sedia. Si diede un paio di spinte con i piedi, facendo volteggiare giocosamente la poltroncina girevole.
Allison sorrise nel guardarlo e lo rassicurò: «Tutto okay, sul serio. Piuttosto, ho avuto un'idea per cercare di scovare qualche indizio interessante sulla faccenda del serial killer.»
«Presunto serial killer, Allie. Presunto
«Sì, sì, fa lo stesso!», ribatté la ragazza con una punta di impazienza nella voce e gli rifilò un cenno della mano. «Dicevo, l'idea era quella di andare sul campo. E intendo dire confondersi tra la gente, infiltrarsi, ecco!»
Mike la fissò con aria incredula e un po' dubbiosa. Fermò la sedia e si riaccostò alla scrivania con un movimento secco e uno stridere delle rotelle contro il pavimento.
«Vuoi travestirti da tossicodipendente o da barbona o da poveraccia?»
«Perché no? Magari anche fingermi straniera, dato che sono queste le categorie maggiormente prese di mira per questi omicidi. Se è vero che c'è un assassino a piede libero, magari è il metodo migliore per scovarlo.», spiegò Allison e aprì la confezione del suo snack come niente fosse, dandogli un morso.
Michael rimase in silenzio e la fissò gravemente. «Questa è l'idea più stupida che abbia mai sentito! Non ti permetterò di giocare alla piccola detective e, magari, farti uccidere. Allison, levati questa follia dalla testa!»
«Mike, non mi succederà niente. Voglio solo provare a sondare un po' il terreno e scoprire la verità.», si schermò Allison con una smorfia di disappunto e una maschera di testardaggine ben in mostra.
«Tu ti credi coraggiosa, ma sei solo una vera incosciente. Fare tutto questo per una promozione, ne vale la pena? Siamo andati anche oltre e Sisley non credo ci paghi gli straordinari o...»
«D'accordo, d'accordo! Hai vinto.», dichiarò Allison con un sospiro.
«Promettimi che non farai niente di stupido. Anzi, giuramelo! Dico sul serio.»
Allison non rispose.

«Ricordami come hai fatto a convincermi ad essere qui e adesso.»
Michael stava battendo i denti per il freddo e si strofinava le mani con foga, cercando di scaldarsi. Si alitò sui palmi, mentre camminava avanti e indietro e fissava Allison in cagnesco.
«Diamine, a quest'ora potevo essere al pub con gli amici.»
Allison rimase a fissarlo con un sorriso furbo sulle labbra e con un'espressione volitiva che rendeva superflue le considerazioni del suo amico.
«Semplicemente, sono piuttosto convincente.», ironizzò.
«Sì, certo, solo perché fai leva sul fatto che non ti avrei mollata da sola qua in mezzo.»
Si trovavano nella periferia della città, ai margini della York vitale e ridente, dalle case caratteristiche in pietra e con i prati verdi tagliati all'inglese. Nei sobborghi, la vita degli emarginati era simile a quella condotta in qualsiasi altra parte del mondo: barboni, drogati e spacciatori, stranieri senza fissa dimora e prostitute si alternavano su un palcoscenico ben poco invitante, fatto di cartoni e stracci sporchi, siringhe usate e bottiglie spaccate lasciate contro muri scrostati dall'urina e cassonetti dell'immondizia. dove i cani si litigavano degli avanzi.
Tuttavia, se proprio volevano cercare di capire di più degli omicidi di York, Allion e Michael non avevano avuto alternativa: dovevano infiltrarsi tra quella gente sfortunata e i delinquenti e pregare di riuscire ad ottenere qualche indizio o, almeno, qualche storia degna di essere pubblicata sul Daily York.
Quindi,si guardavano freneticamente in giro, cercando al contempo di evitare di attirare troppa attenzione su di loro da parte dei frequentatori abitudinari del quartiere che avevano scelto per iniziare le indagini.
«Sono le tre di notte e non è successo niente di che, a parte il principio di una rissa su chi avrebbe dovuto fregarsi il materasso lercio nell'angolo.», riassunse Michael ad un certo punto, in tono neutro.
Allison fece una smorfia di disappunto: doveva ammettere la sua sconfitta, non era accaduto nulla di realmente rilevante. Preda dello sconforto, si sedette sul marciapiede accanto al ragazzo e si tirò via il cappello di lana che le imprigionava i capelli raccolti in una coda di cavallo. Era davvero delusa.
«Dai, andrà meglio la prossima volta.», cercò di confortarla Mike, poggiandole una mano sulla spalla.
Rimasero a fissare la strada dove tre prostitute, in abiti succinti e trucco sgargiante, passeggiavano su tacchi vertiginosi. Passò un'auto nera, poi un solitario furgoncino dalla marmitta sputacchiante fumo nero, infine ci fu una relativa tranquillità.
«Ehi, tesoro, vuoi divertirti con noi, stasera?»
Allison rimase ad osservare di sottecchi una delle prostitute, quella dai capelli di un biondo slavato, attaccare bottone con un uomo che si era fermato sul marciapiedi, vestito con una giacca e un maglione a collo alto, pantaloni dal taglio classico e scarpe lucide e nere. Si trattava di un uomo distinto, dai cappelli di un bel biondo e gli occhi di un grigio insolito, una tonalità che, al riflesso di un lampione dall'altra parte della strada, sembrava quasi perlaceo. Ma, forse, era solo la sua immaginazione che le giocava brutti tiri.
«Dove hai messo l'auto, mh? Non vorrai andare in giro a piedi, vero?», chiese la seconda prostituta reggendo una sigaretta tra le dita dalle unghie lunghe e smaltate.
Allison rimase ad osservare la scena con una sorta di repulsione innata al pensiero che quelle donne fossero costrette a vendere il proprio corpo e che ci fossero uomini disposti a pagarle per intrattenersi con loro. Tuttavia, era attratta da quanto stava accadendo in maniera singolare, come se un sesto senso le sussurrasse all'orecchio. Diede una leggera gomitata a Michael al suo fianco e gli indicò con il mento il gruppetto poco distante.
L'uomo, dal canto suo, stava sorridendo alle tre donne e non rispose, ma cavò dalla tasca diverse banconote che fece sventagliare a mezz'aria. Senza badare a quanti soldi stesse spendendo, aveva appena riempito le mani delle sue tre interlocutrici.
«Oh, sei un tipo di poche parole ma che sa come trattare. Allora, tesoro, dove vuoi andare? Posso esaudire tutti i tuoi desideri, per questa somma.», mormorò suadente la bionda, risultando però solo troppo allusiva e volgare.«Tesoro, non voglio null'altro che un bacio.», rispose allora l'uomo con una voce bassa e morbida che suscitava sottili brividi. Aveva qualcosa di magnetico, tanto che le prostitute rimasero in silenzio ad osservarlo, affascinate.
Il cliente si accostò alla donna e le accarezzò il viso con la punta delle dita; carezze leggere e fugaci con cui disegnava il profilo di quel viso gonfiato dalla droga e dai maltrattamenti. Lui, però, sembrava non farci caso e, anzi, la sfiorava come un fiore raro nel mezzo del deserto.
Allison rimase ad guardare, trattenendo il fiato. Michael si sforzava, intanto, di capire il motivo dell'interesse della sua collega.
«Hai le mani fredde.», mormorò la prostituta, con la voce tremante e persa.
Stava davanti al suo cliente e lo osservava come preda di un incantesimo, meravigliata da quel contatto così delicato. Le sue due amiche, a giudicare dai loro sguardi, la stavano invidiano: erano davvero rari gli uomini che le trattavano così bene.
«Lo so, per questo ho bisogno di te e del tuo calore, della tua sfolgorante umanità, amore mio.», interloquì l'uomo, con una galanteria spropositata e i modi sensuali di chi corteggia la propria innamorata. «Così, lascia che ti baci.», le sussurrò ancora e si accostò maggiormente a lei, lasciando vagare la mano lungo la guancia e poi oltre, lungo la linea della mascella e il profilo del collo.
Si piegò su di lei, mentre con il braccio libero le cinse la vita. In un susseguirsi di gesti lenti e languidi, l'uomo la strinse a sé e la prostituta gemette di piacere, annebbiata da un turbine di sensazioni che non riusciva a descrivere o afferrare.
Le labbra dello splendido seduttore si posarono sul collo decorato da una catenella d'argento e la prostituta si sciolse del tutto, si abbandonò tra le braccia dello sconosciuto; si strinse improvvisamente a lui, muovendo le anche come a cercarne una vicinanza più intima e carnale.
«Ti prego, fallo!», ansimò confusamente.
Allison strinse con forza le dita contro il polso di Michael e sgranò gli occhi: quell'uomo stava affondando i denti nella gola della sua preda!
«Mike, è lui! La fotocamera, presto!»

Caleb socchiuse gli occhi, abbandonandosi al piacere sublime del sangue che gli riempiva la bocca e si incollava dolcemente al palato, prima di scivolare nella sua gola e diffondersi in ogni cellula del proprio corpo preternaturale. Il sangue, benedetto sangue! Com'era buono, con quel retrogusto salace e ferroso, e tutta la potenza con cui gli scorreva tra le labbra!
La sfortunata creatura che stringeva nell'arco delle proprie braccia era una delle tante a cui si accostava, esattamente come faceva Andrew. Ma lui, a dispetto del signore di York, sarebbe stato molto più attento a non lasciare tracce della propria presenza. Avrebbe, infatti, bevuto il necessario per sopravvivere, senza uccidere la donna che gli tremava contro il petto.
Com'era bella, nella sua miseria e nei suoi pianti, tra i lividi e gli stupefacenti. Com'era viva, così tenacemente legata alla sua esistenza sui marciapiedi, nella sua gabbia di disperazione e dipendenza. Era bella e sorprendente in quanto viva, il suo cuore gli parlava con eloquenza e il sangue gli sussurrava mille parole.
Cercò di ritrovare la propria coscienza in quel mare scarlatto in cui la sua Sete si quietava e si perdeva, ed emerse lentamente, staccando le labbra dal collo della vittima e intrufolando la lingua nei larghi fori creati dai suoi denti: fermò l'emorragia, guarì la ferita a regola d'arte.
Un flash.
Poi un altro flash.
Caleb sollevò lo sguardo e individuò Allison e Michael e la piccola macchina fotografia digitale che lo aveva immortalato. Comprese immediatamente il pericolo in cui si trovava e il valore delle foto che gli stavano scattando.
“No!”, pensò con un moto di rabbia ferina. Lasciò andare la prostituta come se non contasse più nulla e le altre tre gli urlarono contro, chinandosi a sostenere la loro amica.
Ma Caleb aveva un pensiero fisso e, appena vide che i due ragazzi stavano per darsi alla fuga, si gettò al loro inseguimento, un inseguimento breve, perché con uno scatto velocissimo tagliò loro la strada.
«Ehi, amico, ragioniamo un momento...», Michael sollevò appena le mani e la sua voce si colorò di un accenno di panico. Non ebbe il tempo di dire null'altro che Caleb lo colpì con una potente manata e lo fece sbattere contro un cassonetto con un gran fracasso.
«Mike, no! Oh mio Dio!», esclamò Allison tremando per la paura.
Si avvicinò a lunghi passi alla fotocamera e osservò la ragazza; la propria ricettività gli consentì di cogliere qualche frammento dei suoi pensieri.
“Serial killer.”, fu la prima cosa che individuò, nella matassa confusa di Allison. “Vampiro.”, lesse ancora. “Lo sapranno tutti, sarà sul giornale e in tutti i notiziari!”
«Tu?», mormorò con un modo di sorpresa: l'aveva riconosciuta dai ricordi di Andrew.
Con una smorfia ferina, Caleb schiacciò sotto la suola della scarpa la macchina fotografica, mandandola in mille pezzi. Poi, con impeto, si chinò e afferrò Allison di peso.
«Stai ficcando troppo il naso in faccende che non ti riguardano e che farebbero meglio a rimanere sepolte.»
«Lasciami andare!», urlò la ragazza e si dimenò, cercò di spintonarlo con tutte le sue forze, ma fu inutile: Caleb la strinse più forte, fin quasi ad averla faccia a faccia.
«Temo proprio che tu sia divenuta un problema, ragazza mia. Non credo proprio sia possibile lasciarti andare. Andrew deve farti un discorsetto»
Allison rimase impietrita a fissare il Vampiro. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte come volesse dire qualcosa, ma fu sicura di non essere riuscita ad articolare parola. Tutto il suo coraggio si dileguò nell'istante in cui gli occhi di Caleb furono nei suoi e sentì il gelo della sua pelle contro la propria, l'abbraccio granito in cui la teneva prigioniera.
Era in trappola, Michael era rimasto svenuto dopo quella botta tremenda e lei non poteva fare nulla per aiutarlo, né per aiutare se stessa.

 

***

 

Sono il vuoto, sono tutto ciò che esiste, sono in ogni foglia del bosco, in ogni goccia di rugiada, in ogni particella di cenere che l'acqua trascina via, sono nulla e tutto il resto in questa vita e in altre vite, immortale.”

(Isabelle Allende)

 

 

Andrew attraversò un sentiero invaso dall’erba ormai dimenticato da tutti. Filari di rose bianche e rosse crescevano e si aggrovigliavano.
La luna era solo uno spicchio timido dietro le basse e dense nubi grigie che veleggiavano sospinte dal vento pungente dell'autunno. Si poteva prevedere e annusare la pioggia.
La cattedrale aveva una facciata che si apriva in due ampie arcata e si innalzava grazie alla torre del campanile con le sue finestre bifore e il piccolo tetto piramidale; lateralmente si snodavano i due bracci della navata su cui si aprivano altissimi archi gotici su due livelli, tuttavia il tetto non c'era.
Sulle vecchie mura di pietre, l'edera e il muschio si erano avvinghiate con tenacia e colorato tutto di una moltitudine di tonalità di verde e marrone.
Tutta la natura si era riversata all'interno della chiesa e, lenta ed inesorabile, l'aveva reclamata per sé: laddove c'erano le panche, si allungava l'erba; laddove c'era l'abside con l'altare, adesso c'era un intrico di viticci e foglie.
Si udiva, sommesso, la voce del ruscello che correva nella falda sotterranea e che, adesso, era pienamente visibile sotto al ponticello proprio accanto all'edificio.
Andrew vi camminava come un fantasma strappato a tempi remoti, silenzioso e lento.
Quante volte era tornato in quella cattedrale? Quanti secoli prima era stata abbandonata e lui ne era l'unico visitatore?
Vecchie statue e vecchi affreschi lo osservavano con occhi dolenti e meravigliati oltre il velo fitto della polvere, ammantati del loro sacro segreto. Forse lo giudicavano, eppure Andrew non lo sapeva e no non se ne curava.
Si fermò davanti all'abside e, alle sue spalle, osservò le canne dell'antico organo: simili a fusti d'albero cavi e mangiati dalla ruggine e dalle intemperie, alcune di esse si accoccolavano l'una sull'altra, quasi dormienti. Il Vampiro si sorprese a pensare che, un tempo, quello strumento aveva riempito il greve silenzio della cattedrale e accompagnato il salmodiare dei monaci.
Lui era stato sepolto proprio lì: in una nicchia, infatti, c'era il sarcofago con il coperchio scolpito nelle sembianze di un cavaliere con una spada stretta tra le mani. L'incisione sul marmo recava il suo nome. Almeno, questo era ciò che il mondo sapeva di lui: morto in battaglia, da cavaliere e principe di York.
La sua famiglia doveva aver sofferto per la sua assenza, quando ogni ricerca divenne vana e lui sembrò come svanito, risucchiato dalle terra della Gran Bretagna.
Andrew passò la mano contro il coperchio del sarcofago e fece scivolare via il terriccio che vi si era depositato e una vecchia ragnatela.
Non a tutti è data l'occasione di assistere al proprio funerale, dopotutto. A quel tempo, nascosto e ammantato dal buio, aveva udito le orazioni e le ultime parole di suo padre, osservato sua madre asciugarsi gli occhi arrossati con un fazzoletto e la giovane ammantata di un velo nero con le mani compitamente serrate in grembo. All'epoca, aveva provato una morsa improvvisa allo stomaco: la sua promessa sposa era divenuta vedova anzitempo. Andrew aveva provato l'imperante impulso di correre da lei e svelarsi nella sua nuova natura, ma la sua Creatrice lo aveva fermato con un gesto improvviso, serrandogli le candide dita contro la spalla.
«Adesso, per loro e il mondo, tu non esisti più. E così deve rimanere. Lo capisci, vero?»
Andrew aveva ascoltato quel sussurro stringendo i denti e serrando gli occhi. Sì, lo capiva: non avrebbe potuto svelarsi a nessuno, mai più. La solitudine non gli era pesata mai tanto come in quell'istante.

Caleb lasciò cadere Allison di peso per terra, ma ebbe l'accortezza di depositarla su un mucchio di foglie rosse, gialle e marroni che, sotto il peso della ragazza, scrocchiarono rumorosamente.
Allison rimase immobile per terra, il respiro ansante e gli occhi sgranati e le pupille completamente dilatate: l'adrenalina che correva nel suo corpo la faceva tremare e battere ferocemente il cuore.
Ai sensi di Caleb, quello spettacolo non passò inosservato e, anzi, il Vampiro la fissò con un guizzo predatorio e un fugace umettarsi delle labbra.
«Alzati.», le disse con voce bassa e arrochita.
«Dove siamo?», domandò invece Allison, fissandolo con un improvviso impeto di coraggio, mentre lentamente si risollevava sulle ginocchia e indietreggiava gattonando.
«In uno dei nostri rifugi. Devi ringraziare Andrew, se sei ancora viva.», ribatté Caleb e, allora, la sollevò di peso afferrandola per un braccio.
«Andrew? Io non so di chi tu stia parlando. Cosa hai fatto a Michael? E... e chi sei? Cosa sei?»
Caleb la lasciò andare e si passò una mano tra i capelli con l'atteggiamento scanzonato di un seduttore, ma il suo sguardo possedeva una scintilla ferina che alla ragazza non passò inosservata.
«Il tuo amico avrà solo un bel mal di testa e male alle tasche, visto che dovrà ricomprarsi la sua fotocamera. Per quanto riguarda chi sono, è semplice: Caleb, signore di Norwich. Il cosa... beh, tesoro, sembravi molto convinta della risposta, in città.»
«Sei il serial killer.»
Caleb le fece un gesto rapido, interrompendola. Scosse il capo.
«Serial killer? Ragazza mia, non mi permetterei mai di rivaleggiare con la peggiore feccia umana che chiamate “assassini seriali”. Già, gli esseri umani possono essere molto più mostruosi dei veri mostri o, almeno, di quelli che vi affannate a vedere come tali.»
Allison non rispose subito, rimase ad osservarlo come farebbe un cervo con il lupo.
«Ma tutti quei morti trovati senza sangue...»
«Cosa vuoi che ti dica? “I Vampiri esistono e siamo in mezzo a voi”? Mi sembra una frase un po' scontata e banale da rifilare ad una giornalista, non ti pare?», le chiese Caleb in tono retorico e poi le passò un mano sui vestiti, spolverandoli dalle foglie rimaste impigliate. «Vai da Andrew. Io non ho altro da dirti.»
«Dov'è?», mormorò Allison in tono ansioso e seguì il dito di Caleb che gli indicava uno scheletro di pietra che sfidava il tempo.

Allison si sentiva quasi in soggezione dinanzi allo spettacolo che stava ammirando. Procedeva in silenzio, quasi non volesse disturbare gli alberi secolari che costituivano il tetto del bosco nel quale si trovava, lungo un antico sentiero coperto da foglie morte, un tappeto variopinto di rosso, marrone e arancio.
Quando raggiunse la vetusta cattedrale, ne contemplò la facciata preda di sentimenti contrastanti: voleva scappare, trovare qualcuno a cui chiedere un telefono e un passaggio per tornare rapidamente in città e sapere come stesse Michael, ma voleva anche entrare e, facendo appello a tutto il suo coraggio, scoprire la verità.
Andrew era lì dentro? L'uomo che l'aveva aiutata e con cui aveva riso e scherzato una domenica pomeriggio era coinvolto in quei casi di strani omicidi? Andrew era un Vampiro? La sua parte più razionale rifiutava categoricamente quell'idea; eppure adesso che poteva toccare con mano le risposte alle sue supposizioni, il suo istinto la spingeva a crederci.
Allison camminava come immersa in un sogno, lasciando dietro di sé orme ben visibili sul pavimento impolverato; il rumore dei suoi passi riecheggiò nella chiesa sconsacrata e si dilatò.
Ad Allison sembrò di trovarsi in un giardino: ovunque crescevano rose selvatiche, rosse e bianche; non ne aveva mai viste tante e tutte insieme in un luogo simile. F
All’ombra del colonnato, una figura di marmo sbiadita e coronata d’edera che la attrasse: Allison sfiorò la mano di una statua della Vergine dagli occhi vacui e dai piedi intrappolati dalle spine dei cespugli di fiori.
Si guardò attentamente in giro, sforzando la sua vista alla luce rada dello spicchio di luna che penetrava obliqua dall'alto.
«Caleb non avrebbe dovuto portarti qui, ma posso comprendere perché lo abbia fatto.»
Allison si irrigidì e si voltò di scatto, il cuore in gola. Frugò il buio con occhiate febbrili, fino a quando scorse Andrew comodamente sdraiato su una vecchissima panca di marmo.
«Mi hai ingannata.», rispose lei con una nota di risentimento nella voce.
Andrew non replicò. Tuttavia, nella frazione di tempo in cui Allison battè le ciglia, le fu addosso e le strinse i polsi, avvicinando il viso a quello di lei fin quasi a sfiorarla.
«La menzogna è soggettiva, quanto la verità. I sogni, Allison, sono bugiardi e fugaci quanto la realtà, che – a sua volta – altro non è che il modo soggettivissimo con cui avvertiamo e interpretiamo ciò che ci circonda. Quindi, è assai relativo che tu possa sentirti o meno ingannata.», mormorò Andrew in tono ozioso. La trattenne in una presa salda, ma gentile.
«Quindi, l'uomo che mi aveva aggredita non era un malvivente, ma...»
«Un intruso nel mio territorio, esatto. Vedi, Allison, il mondo dei Vampiri si regge su fili sottili, dove spesso il più antico, o magari il più furbo, pretende che le leggi della città su cui detiene il proprio potere e la propria signoria siano rispettate.»
«Potevi lasciare che mi uccidesse, proprio come tutti quei morti arrivati sul tavolo del coroner.»
Andrew sorrise appena e allungò le mani, fino ad intrecciare le dita con quelle di Allison, in una danza di gesti lenti e languidi che conduceva con maestria e noncuranza, mentre continuava a spiegarle sottovoce e pazientemente.
«Non hai ascoltato. York è la mia città e nessun Bevitore di Sangue può cacciarvi senza il mio permesso, sopratutto lasciando tracce in maniera grossolana e sfacciata: non amiamo essere sorpresi mentre ci nutriamo, come non amiamo che gli esseri umani si facciano strane idee su di noi. Meglio che parlino di leggende, folklore, libri e film, che ad Halloween si travestano con mantelli neri e canini finti o che ci interpretino su palcoscenici o nei giochi di ruolo. Quei morti su cui hai voluto indagare non sono altro che le vittime della millenaria legge della natura, dove la preda soccombe al predatore.»
Allison avvertì un brivido scuoterla fin nelle viscere a quelle dichiarazioni tanto crude quanto brutalmente sincere. La morsa allo stomaco venne alimentata dallo sguardo di Andrew che le scivolava addosso e le scavava dentro come una lama rovente.
«Non volete pubblicità, ho capito. Quindi non devo pubblicare il mio articolo, né devo andare in giro a cercare Vampiri nascosti tra le strade. Ora puoi lasciarmi andare, direi: anche se lo facessi, nessuno mi crederebbe. Sai, è proprio come dici tu: nel nuovo millennio, non c'è posto per le antiche paure e i vecchi mostri, li esorcizziamo imitandoli, scrivendo e leggendo di loro, scherzandoci su. Nessuno crederebbe ad una sola parola del mio articolo.»
«Hai in te uno strano miscuglio di decisione e fragilità, paura e coraggio.», si limitò a commentare Andrew, ma non la lasciò andare.
«Sono semplicemente umana.», si difese Allison immediatamente.
«No, c'è qualcos'altro in te, Allison. Qualcosa che non conosci, che appartiene al tuo inconscio, alla parte più profonda di te, dove il tuo cervello non riesce ad arrivare quando sei sveglia e lucida. Questione di sistema limbico, credo.», le assicurò Andrew e le fece sollevare e allargare lievemente le braccia, come volesse cullarla e sorrise quando avvertì il turbamento di lei, lo sfarfallare nervoso delle ciglia, il socchiudersi delle labbra imbronciate, l'oscillare del suo corpo nell'attimo del dubbio.
«Come sei freddo! Gelido e asettico come un essere vuoto. Non avrei mai pensato che fossi così, in realtà.» Allison era delusa e contrariata e, adesso, c'era della sfida nei suoi occhi; tentò di divincolarsi dalla sua presa.
Andrew non la lasciò andare, se non dopo diversi tentativi da parte della donna, in un movimento lento e calcolato. Rimase al suo posto anche quando lei indietreggiò e andò a sbattere contro una nicchia e un vecchio sarcofago.
Allora, come se nulla fosse successo, le disse: «Ciò che io provo è molto diverso da quello che avverte un essere umano. I miei anni mi consentono di avere uno sguardo più oggettivo sul mondo e sugli esseri che lo abitano, persino sulla storia. Io osservo e mi immergo nella vita, Allison, e ne percepisco la bellezza e la sensualità forse anche più complessamente e profondamente degli stessi mortali. Si dice che si comprende il valore di ciò che si possiede, solo dopo averlo perduto, in fondo. »
Allison si ammutolì e abbassò lo sguardo sul coperchio di marmo di quella tomba avvolta dalle rose: doveva esserci sepolta una donna, dato che il coperchio era scolpito in sembianze femminili e recava un cartiglio su un fianco:

 

“Qui riposa, nella grazia di Dio, Lady Eliwen di York.
Posta, per suo desiderio, accanto al sepolcro del suo promesso sposo dai nobili genitori e dai suoi fratelli.
Fu amata in vita, e la morte non ne cancellerà il ricordo.”

 

«Eliwen di York.», ripeté e si voltò: dall'altra parte c'era una seconda nicchia e la tomba di un cavaliere.
«É mio. Per meglio dire, è il sepolcro che avrebbe dovuto accogliere le mie spoglie durante la Guerra delle Due Rose. Una cosa che non accadde mai.», rivelò Andrew.
Lentamente, si avvicinò alla tomba di Eliwen e sfiorò il volto di pietra con un'improvvisa dolcezza.
«Era la tua promessa sposa. Com'è morta?», Allison abbassò di colpo la voce e la sorpresa e la tristezza si fecero rapidamente strada in lei.
«Ero un Lancaster e lei una York. Prima dello scoppio della guerra tra le nostre due casate, la nostra unione venne vista come il modo di sanare le antiche rivalità e intrecciare gli interessi delle nostre famiglie. Ma noi ci amavamo davvero. Un po' come Romeo e Giulietta avrebbero fatto più tardi a Verona.», raccontò Andrew, voltandosi rapidamente verso la giornalista. «Morì l'inverno in cui venni dichiarato disperso, per una polmonite. Dopo che lei venne sepolta qui, capì che non avevo più legami che mi trattenessero alla mia vecchia vita mortale e divenni ciò che dovevo: un autentico figlio delle tenebre, un autentico Bevitore di Sangue.»
«Vorrei raccontare la tua storia...», azzardò Allison, mentre si stringeva in un abbraccio solitario, tremando di freddo: il vento spirava e fischiava tra le rovine della cattedrale come il lamento di una prefica.
«Ci hanno già pensato in “Intervista col Vampiro”, Allison. Intendo dire che, ormai, sarebbe poco originale.», considerò Andrew e le mostrò un sorriso arguto.
«Allora spiegami come mai sono qui e mi stai raccontando tutto questo. Se vuoi solo assicurarti che io non pubblichi articoli sugli omicidi di York, non vedo il motivo di confinarmi qui. A meno che...», la donna non finì la frase e abbassò lo sguardo. «Vuoi uccidermi?»
«Se avessi voluto, avrei potuto farlo una notte qualsiasi, quando eri nel tuo letto e sognavi.», le fece notare Andrew con una risata improvvisa e un deciso scrollare del capo. «La verità è che tu mi hai chiamato, lo hai fatto notte dopo notte con inusuale insistenza e con tutta la potenza della vita. E mi sono accostato al calice della tua giovinezza e del tuo sangue come un fedele si avvicina al sacramento della comunione. In quei momenti, io ho scoperto la tua immensa e sfolgorante forza psichica: io ora voglio comprenderla. Voglio capire chi sei.»
La giornalista vacillò e dovette posarsi alla vecchia tomba, mentre – istintivamente – portava la mano al collo. «Allora è vero, tutto questo tempo sono stata male perché tu...», non ebbe cuore di finire la frase, ma strinse di più le dita contro la gola.
«Tu lo volevi.», appuntò Andrew dopo diversi attimi di silenzio. «E io cercavo qualcuno che mi accogliesse come hai fatto, poiché è raro e riempie le nostre esistenze come mai ci si potrebbe aspettare. Somiglia un po' come sapere che, quando si è lontani, a casa qualcuno ci sta aspettando.»
Il Vampiro si avvicinò lentamente alla ragazza e posò la mano sulla sua guancia in una carezza lieve e sentita. Chinò il capo e, per un secondo, le sfiorò il naso con il proprio, prima di deviare verso il suo orecchio, deponendovi un sussurro: «Sei stata la mia casa, Allison.»
Allison si rilassò, ammorbidì la postura contratta e si lasciò sfuggire un sospiro sollevato, mentre sfiorava il dorso della mano di Andrew sul suo viso.
L'uomo si accostò maggiormente a lei e le avvolse il braccio attorno ai fianchi, la mano che scivolava lungo la linea della spina dorsale fino alle scapole: la accompagnò nel suo inclinarsi, mentre le labbra le sfioravano il lobo dell'orecchio, lo zigomo e, infine, il collo.
Andrew fremette, travolto dall'impellente desiderio per quella creatura viva e calda , per la pelle che si increspava per mille brividi sotto le sue labbra socchiuse. Distingueva il tragitto di ogni arteria e vena: ai suoi occhi apparivano come vie intricate e luminose, dove il sangue fluiva simile a lava incandescente.
Andrew la morse: lasciò che le zanne aguzze assediassero la carne fragile della gola di Allison e si aprissero la strada fino al sangue, un torrente cremisi che gli sporcò la bocca e gli corse lungo la lingua e il palato.
Allison si aggrappò a lui, disperatamente, sopraffatta dal dolore e poi dalla subitanea scossa di estremo appagamento. Sentì il proprio sangue fluire dal suo corpo a quello di Andrew come un fiume che si getta in mare e la sensazione di star nutrendo la morte con la propria vita le fece tremare le gambe.
Tutto, attorno a lei, divenne dapprima sfocato e poi tremendamente nitido: sentiva il battito sordo e tenace del proprio cuore, il sommesso deglutire del Vampiro, il tocco delle sue labbra morbide che cingevano d'assedio la ferita e la succhiavano, la sua stretta poderosa e il suo stesso respiro trasformarsi in gemiti che rimbalzavano, osceni, tra le pareti della cattedrale.
“Mostrami il tuo segreto. Mostrami il tuo potere. Corri con me tra la vita e la morte!”
Allison fu sicura che la voce di Andrew le rimbombasse nella mente, che echeggiasse e ingigantisse in ogni fibra del proprio corpo. Annegò in quel mare di sensazioni inspiegabili che avevano appagato i suoi sogni, scoprì il proprio corpo come non lo aveva mai avvertito prima e seppe che esso poteva vibrare sotto il tocco esperto di chi ne conosceva le corde più intime.
Si lasciò andare, smise di pensare e si sentì fluttuare sopra il suo stesso io, sopra Andrew, fin quasi a toccare il soffitto della vecchia chiesa. Volava, ascendeva, fluiva attraverso le correnti stesse della realtà e le percepiva ora vive e intense, poteva toccare la trama segreta che permeava l'esistenza di ogni cosa e si celava dietro le ombre.
Poteva guardare se stessa dall'alto tra le braccia del Bevitore di Sangue e sperimentare la più sfrenata carnalità e la più alta spiritualità allo stesso tempo. Era in entrambi i mondi, ma la sua proiezione astrale si affacciava alla finestra dell'invisibile.
Andrew aveva ragione: doveva davvero possedere un enorme potere psichico che si mostrava solo quando si abbandonava completamente. Ora era libera, libera!
Allison planò leggera come una farfalla e decise che era ora di tornare a vestirsi di carne e sangue, di ritrovare i confini delle proprie membra, mentre Andrew si premuniva di fermare l'emorragia e guarire la ferita, sostenendola premurosamente.
«Dimmi cos'hai visto.», la invitò il Vampiro, con voce addolcita dal sangue appena bevuto.
Mentre sgusciava di nuovo nel proprio corpo, Allison la scorse: davanti all'altare, illuminata dai raggi della luna che penetravano dalle finestre alle sue spalle, c'era una giovane donna dai lunghi capelli coronati di rose purpuree e candide.
Impalpabile come l'aria, sembrava composta da pulviscolo lunare che danzava alla tenue luce d'argento, ora visibile, ora no. Il fantasma le sorrise e le sussurrò il suo nome: «Eliwen.»

 

 

 

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Note dell'autrice:

non c'è molto da dire, se non che – con questo terzo capitolo – sono arrivata alla fine della mia “piccola avventura”. Ho cercato di creare una storia che avesse degli spunti interessanti e con un finale, in qualche modo, “aperto”. Mi piaceva lasciare un tocco di mistero e anche l'idea che Allison potesse vedere gli spiriti, dato che i suoi poteri psichici sono l'anello che la connette ad Andrew e per cui il Vampiro si interessa tanto a lei.
Ho cercato di rendere degnamente la cattedrale come scenario di quest'atto finale e ho cercato di dosare il coraggio e la paura di Allison in maniera equilibrata.
Che dire? Il riferimento a "Intervista col Vampiro" della Rice è, come per gli altri riferimenti, voluto e da intendersi a mo' di omaggio.
Sono un po' dubbiosa sulla resa della storia (e probabilmente ci sono diversi errori che, anche a rileggere mille volte, non avrò notato, matematico), ma ho cercato di finirla in tempo per la scadenza del primo contest e, quindi, credo che non avrei potuto far di meglio, considerando i malanni invernali che mi porto dietro.

Grazie per la lettura,

Melian

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