Niente sembra bastare

di Aura
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il signor Testa di... Corno ***
Capitolo 2: *** Una serata da dimenticare ***
Capitolo 3: *** Un malinteso ***
Capitolo 4: *** Difese (immunitarie) abbassate ***
Capitolo 5: *** Paragoni (pt 1) ***
Capitolo 6: *** Paragoni (pt 2) ***
Capitolo 7: *** A casa di William ***
Capitolo 8: *** Nuovi approcci ***
Capitolo 9: *** L'appuntamento ***
Capitolo 10: *** Fango sulla città ***



Capitolo 1
*** Il signor Testa di... Corno ***


sconvolta


Promettimi che non mangerai l'uovo", stridette aprendo gli occhi, "Ti prometto che non mangerò l'uovo” ripeté il gatto Zorba. 
"Promettimi che ne avrai cura finché non sarà nato il piccolo". "Prometto che avrò cura dell'uovo finché non sarà nato il piccolo".
"Promettimi che gli insegnerai a volare" stridette guardando fisso negli occhi il gatto.
Allora Zorba, il gatto, si rese conto che quella sfortunata gabbiana non solo delirava ma era completamente pazza.
"Prometto che gli insegnerò a volare.
(Luis Sepùlveda)







Io davvero non riesco a credere che questo individuo si sia permesso di scrivere una nota simile ad Allie.
Mi tremano letteralmente le mani, mentre la leggo, lei se ne accorge perché si affretta ad aggiungere:
- Scusa zia, ti prometto che mi comporterò meglio.
Sospiro, tutto può pensare tranne che sono arrabbiata con lei.
- Cucciola, è quella testa di... corno del tuo nuovo insegnante, è con lui che ce l'ho. Anzi, sai che ti dico? È un bene che mi abbia chiesto di andare a parlargli, sono certa che quando la tua super zia avrà finito con lui sarà molto meno arrogante.
Le stropiccio i capelli e appallottolo la nota che va a finire dritta dritta nel posto dove le spetta: il cestino.
Allie ridacchia per l'allusione alla super zia e perché, dopo aver gettato la nota, mi sposto i capelli dietro alla schiena con un cipiglio degno di wonder woman. - E ora la merenda. - dico, mettendo sul tavolo la mela coperta di zucchero che ho scaldato al microonde.
So benissimo perché Allie non ha fatto il compito che le era stato assegnato, sono inorridita al pensiero che quel demente l'abbia messa in punizione. Diamine, eppure a scuola sanno la sua situazione, sanno che Becca era una ricercatrice marina, e lui cosa fa? Le assegna un compito sui delfini. Sui delfini, mi meraviglio che, già che c'era, non le abbia chiesto un tema sulla madre morta.
E adesso arriva la parte in cui mi sento in colpa: se Allie si fosse fidata di me, me ne avrebbe parlato e le avrei scritto una giustificazione per il compito. Un bip ripetuto del telefono mi segnala un promemoria, e meno male: mi ero già dimenticata che oggi aveva la lezione di danza. Controllo la sua sacca, domandandomi se tra un'ora avrà digerito la mela o sarò responsabile di una congestione; poi prima di andare a farmi una doccia scrivo un biglietto distaccato e secco alla testa di cazzo (nella mia testa lo posso dire) del signor Parker, invitandolo a comunicarmi giorno e ora del colloquio.

- Sei carica? - chiede Pam, tenendomi la borsa mentre mi infilo la giacca.
- Altroché! - Mi metto in posa da pugile e sferro qualche colpo al mio invisibile bersaglio. - Questo incontro avrà un solo vincitore, e stai pur certa che sarò io.
Mi sfila i capelli che sono rimasti impigliati nel colletto,
- Lo spero bene, in fondo come minimo me lo devi.
Prendo la borsa e corro verso l'uscita del negozio, camminando all'indietro.
- Ti ho già detto che sei un angelo per esserti offerta di sostituirmi?
Pam sorride,
- È un piacere, specialmente perché nessuno può permettersi di trattare così la nostra Allie. Lexie! - mi chiama, quando sono già per strada e la porta si sta richiudendo alle mie spalle. Mi corre dietro, appesantita dalla pancia ormai visibile, e mi tira la giacca lungo la schiena, che evidentemente si era impigliata nella tracolla. - Per l'amor del cielo, imparerai mai a vestirti? - mi rimprovera, materna. - Fallo nero! - grida poi, quando io già sto trotterellando giù per i gradini della metropolitana.

- Porca... - non mi trattengo dall'esclamare, notando solo ora che l'indice destro ha lo smalto scheggiato. Ignorando le occhiatacce che ho attirato frugo nella borsa, sperando di avere la boccetta giusta: ho pianificato ogni singolo dettaglio del mio incontro con il signor Testa di Corno Parker (correvo il rischio di usare l'altro epiteto davanti ad Allie, devo imparare a censurarmi anche i pensieri) e avere lo smalto scheggiato intacca l'immagine seria e responsabile che avevo previsto. Svito con attenzione il tappo e scarico un po' di prodotto prima di avvicinarmi con circospezione al mio dito... frenata della metropolitana. La pennellata è andata ben oltre l'unghia, avendo sbavato non solo la pelle ma anche la borsa su cui mi ero appoggiata; grugnisco e cerco di sistemare i danni con una salviettina umidificata prima di accorgermi che era la mia fermata.
Non sono in ritardo, per fortuna avevo calcolato un margine di imprevisti e quindi arrivo davanti all'aula del signor Testa di Corno proprio quando la porta si apre, lasciando uscire una di quelle mammine iper perfette che mi rivolge un'occhiata quasi schifata.
Dall'aula arriva una voce maschile,
- Un attimo solo, Miss Spencer, e sono da lei.
Ma senti come parla questo... Sfido con lo sguardo la mamma dell'anno a guardare altrove e mi controllo un'ultima volta. Poteva andare peggio: le scarpe col tacco sono in ordine nonostante la camminata di tre isolati, la borsa l'ho girata in modo che non si veda la macchia color smalto antracite a edizione limitata e i capelli, vedo dal riflesso del telefono, sono a posto. E per quanto riguarda il dito smaltato mi sono allenata, camminando fin qui, a tenere la mano chiusa a pugno.
La porta si apre ulteriormente,
- Prego, Miss Spencer, entri pure.
Perfetto, mi ha beccata che mi sistemavo la frangia. Faccio finta di niente e lo sorpasso con nonchalance, entrando spavalda nell'aula.
- Signor Parker, lei non ha il diritto...
Lui si accomoda alla cattedra, incurante che ho iniziato il mio discorso e mi interrompe, facendomi segno di sedermi.
- Miss Spencer, lei è la zia di Alanis, giusto? - dice con un insopportabile tono pacato, che non fa altro che farmi innervosire ancora di più.
Mi siedo, sfilandomi borsa e giacca, e riprendo il mio monologo.
- Vedo che è stato informato, e a maggior ragione mi chiedo come si sia permesso di mettere in punizione mia nipote, dopo tutto quello che...
- Alanis non ha fatto i compiti, Miss Specer. Non è la prima volta in base al registro che mi ha lasciato Mrs Moore, quindi era prevedibile che ci sarebbero state delle conseguenze.
Già lo considero una Testa di Corno, se poi continua a interrompermi è sulla strada per diventare un mio nemico giurato. Soprattutto dal momento che sta usando il tono da insegnate con me, un'adulta.
- Gli ha dato un compito sui delfini! Sua madre era una ricercatrice marina e Allie ha praticamente vissuto al Bio Parco, per l'amor del cielo, possibile che sia così cinico da non poter chiudere un occhio in questo caso?
Lui sfoglia il registro, con la sua insopportabile calma.
- Miss Spencer, le ho chiesto un colloquio perché ritengo che nei confronti di sua nipote sia stata usata un indulgenza non propedeutica, volevo parlarne con lei. Ora però credo di capire che lei fa parte del problema.
Ora scatto, lo giuro, sono venuta qui con il piede di guerra e questo insegnante represso e con manie di grandezza non ha fatto che provocarmi.
Mi alzo in piedi,
- Come si permette...
- Si sieda, la prego.
Sono sbalordita. Sono così tanto agitata che il mio corpo ha reagito inconsciamente alla sua richiesta, e se non fosse che farei la figura della stupida mi alzerei di nuovo per dispetto.
- La smetta di interrompermi, gran maleducato! - sbotto.
Lui fa un cenno di assenso.
- Ha ragione, mi perdoni, continui pure. Ma le chiedo di darsi un contegno, Miss Spencer: i suoi toni sono oltre la soglia della cortesia sin da quando ha messo piede in questa aula.
Una volta ottenuto silenzio mi sistemo la camicetta e riprendo, talmente sommessa che il mio è quasi un sibilo:
- Come si permette, sapendo quello che è successo a mia nipote, di giudicare il modo in cui la stiamo aiutando a superarlo? Sa, la pedagogia moderna avrebbe grandi novità per lei, non si tratta di indulgenza ma solo di non farle pesare il fatto che sua madre è morta! Come si permette di dirmi che io sono un problema? Lei non ne ha alcun diritto.
Mi guarda, aspettando che io continui.
- Posso parlare, senza correre il rischio di interromperla di nuovo, Miss Spencer? La madre di Alanis è morta l'anno scorso, è corretto? - chiede, e continua senza aspettare una mia risposta. - Mi sembra evidente che, se dopo un anno una bambina di sette anni non è ancora riuscita a elaborare il lutto, non è da ritenersi un buon risultato. Cosa dovrei fare, secondo lei: eliminare le materie che in qualche modo possono ricordargliela dal programma? E cosa mi dice del compito di matematica di settimana scorsa, forse sua madre era un'esperta di addizioni?
Questo è troppo, balzo in piedi nuovamente, per niente intenzionata a rimanere un minuto di più:
- Lei è uno stronzo senza cuore!
Seguo lo sguardo del signor Testa di Corno all'indice macchiato che sto puntando verso di lui e richiudo veloce la mano a pugno.
- Sapevo che era giovane, Miss Spencer, ma pensavo che fosse in grado di capire che qui non si tratta di avere o meno un cuore, ma di come sta crescendo sua nipote.
Il fumo mi esce letteralmente dalle orecchie mentre mi infilo la giacca e la borsa,
- Non ne sa niente.
- Non le interessa sapere che Alanis crescerà debole, se continuerà a lasciarle passare qualsiasi cosa? Qui non si tratta di pedagogia moderna o meno. - Mi insegue e blocca la porta, impedendomi di precipitarmi fuori. - Le ripeto, sono convinto che l'indulgenza esagerata che è stata usata con quella bambina non la sta aiutando affatto. Ha bisogno di sapere che deve rispettare alcune regole, anche se sua madre è morta, ha bisogno di poter affrontare alcuni argomenti che se no rimarranno sempre un tabù.
- Ha finito? Bene, questa è la sua convinzione; la mia è che lei sbaglia.
Tiro la maniglia e faccio la mia uscita di scena sbattendo la porta alle mie spalle.
Cretino di un pallone gonfiato.

Certo che ha torto, non può venirmi a dire che sono troppo indulgente: io do delle regole a Allie, e lei le segue. Solo non ne faccio una tragedia se lei non vuole fare un compito che le spezza il cuore, e lui è un mostro a non capirlo.
Mi precipito alla libreria per liberare Pam il prima possibile e non appena la vedo aspettarmi speranzosa, in attesa di un gran racconto, mi sento più che mai un fallimento.
- Ehi, che succede? - Oltrepassa il banco della cassa e mi viene incontro, io non riesco a fare altro che nascondermi la faccia con le mani per non farle vedere il mio labbro che trema incontrollabile. - Lexie, cos'è successo? - mi chiede sinceramente preoccupata, e non riesco a più a trattenere le lacrime: sono uno schifo, ecco cosa succede.
- È stato terribile, pensavo di metterlo a tappeto e invece non sono riuscita a tenergli testa. - singhiozzo. - Io continuavo ad agitarmi e lui sempre più calmo. E non sono... - Premo la base del naso con due dita. - Non sono stata in grado di difendere Allie.
Pam mi circonda con un abbraccio e io nascondo il viso contro la sua spalla.
- Tu sei bravissima, è lui che è un coglione. - dice, solidale, - E certi coglioni sembrano avere sempre la meglio, ma sono certa che sei riuscita a dirgliene quattro.
- No, Pam. - Mi tiro su e frugo nelle tasche cercando un fazzoletto. - Tu non c'eri, è stato orribile: blaterava sul fatto che sono troppo indulgente, che la sto crescendo male e le rovinerò la vita!
Lei mi porge un pacchetto di kleenex,
- Non devi permettere a nessuno di metterti in testa determinate cose, hai capito? Sei una grande, Lexie, io non mi sarei mai aspettata che una ragazza di soli ventun anni lasciasse l'università per prendersi cura della nipote e se la cavasse così bene! Guardati: ce la stai facendo!
Tiro un sospiro, che Pam abbia ragione o no, non posso permettermi di abbattermi: mamma e papà è già tanto se riescono a tenerla qualche fine settimana, dato che entrano ed escono dall'ospedale per le dialisi e i vari controlli; il padre non è mai esistito e così l'unica speranza per Allie sono sempre stata solo io. E non ho il lusso di lasciarmi andare ed essere terrorizzata, devo tenere duro.
Tiro su con il naso, asciugandomi gli occhi.
- Scusa se ti ho tirato addosso la mia merda, Pam. - dico, controllando di non avere sbavature di trucco.
- Ma stai scherzando? Se non ci tiriamo addosso la nostra merda tra di noi con chi possiamo farlo? È a questo che servono le amiche.
- Lexie adora Pammie. - dico, con la vocetta stupida che ogni tanto uso con lei. - Ora fila via, prima che decida di sfruttare la tua presenza per andare dal parrucchiere.
- Non esageriamo, adesso. - Va nel retro a prendere le sue cose. - Ci vediamo sabato sera da me, te lo ricordi, vero?
La mia mascella tocca praticamente il bancone della cassa: l'avevo completamente rimosso, mi stavo già preparando una serata a base di gelato, birra e Sons of Anarchy.
- Ehm... - non so se sono pronta a rinunciare all'unica serata in cui ho il controllo del telecomando.
- Allie non va dai tuoi genitori questo week end? Andiamo, Lexie, l'abbiamo programmata settimana scorsa: ci saranno il collega di Paul e la sua
adorabile ragazza, e tu lo sai che gli ormoni della gravidanza mi rendono molto meno paziente! E poi lui porta anche suo fratello, Paul ci rimarrebbe malissimo se tu non venissi...
Inizio a fare uno più uno.
- Aspetta un attimo, Paul mi ha organizzato un appuntamento al buio con il fratello di Scott?
Pam sembra avere un'improvvisa fretta di andarsene ora.
- So come la pensi e gli ho detto che è una cazzata, te la vedrai con lui. Comunque ti è vietato darmi buca, dopo oggi me lo devi.
- Ehi, le amiche non si rinfacciano i favori! - dico, alla porta che si chiude alla sue spalle. Ottimo, ho solo ventidue anni e già i miei amici mi trattano come una zitella incallita solo perché ho ereditato una figlia; mi immagino i miei coetanei cosa penseranno di me. Sollevo uno scatolone con i nuovi arrivi, mesta: sono destinata a rimanere sola a vita.

Mi sistemo la frangia nello specchio dell'ascensore: devo proprio andare a farmi tagliare i capelli, sta diventando troppo lunga. Eppure quello che dicono non è uno scherzo, quando ti occupi di un bambino il tempo non è mai abbastanza: oggi, per esempio, Allie aveva una festa di compleanno di una sua compagna, così stamattina siamo uscite presto per andare a prendere un regalo, abbiamo praticamente setacciato tutta la città in cerca di qualcosa che la principessina Michelle avesse messo nella sua lista e quando l'abbiamo trovato siamo dovute correre a casa a cambiarci per non arrivare in ritardo. Prima di scoprire che metà classe non era ancora arrivata, così la festa è durata più del previsto e io quasi non credevo di essere stata tanto previdente per aver avuto l'intuizione di preparare il bagaglio di Allie in anticipo: siamo salite in macchina e mi sono scapicollata verso casa di mamma e papà, così addio all'appuntamento dal parrucchiere che avevo programmato. Ho avuto giusto il tempo di farmi una doccia prima di venire da Pam, senza neanche una bottiglia di vino: per fortuna che non è il tipo da fare caso a certe cose. Né farà caso al fatto che non sono esattamente vestita per un appuntamento al buio: ovviamente non sono riuscita a lavare in tempo il vestito che avevo scelto, che è rimasto nella cesta dei panni sporchi troppo tempo per riuscire a utilizzarlo comunque, e presa dalla fretta mi sono infilata un paio di jeans e la prima maglietta che ho trovato, che per fortuna è di quelle passabili.
- Non sono in ritardo, vero?
Il volto di Pam si illumina quando mi vede.
- Hai trenta secondi netti di anticipo, come tuo solito. - mi prende in giro, facendomi cenno di entrare prima di scappare in cucina. - Chiudi la porta, stavo lavando l'insalata.
- Wow, mangiare salutare! Ti serve una mano?
- Vai in salotto e fatti servire da bere da Paul, io qui ho fatto.
Appendo il cappotto nell'armadio a muro dell'ingresso, perfettamente a mio agio, e mi stiracchio andando a cercare Paul.
- Lexie odia Paul. - cantileno, entrando in soggiorno.
- Ehi, eccoti qui. - mi dice, - Birra per te, giusto?
Mi blocco sulla porta: perché ho pensato di essere la prima arrivata? Scott mi fa un cenno di saluto con la mano, dall'altra parte della stanza, e sul divano che divide il soggiorno, rivolto verso la tv, c'è come-si-chiama che come al solito ha un bastone su per il culo e di fianco a lei un paio di spalle maschili, presumibilmente il fratello di Scott nonché il mio appuntamento al buio.
Mi schiarisco la voce, con le guance roventi per l'imbarazzo.
- Sì, grazie.
- Ah, - mi arriva la voce annoiata di come-si-chiama. - è
lei, allora. Ma ha l'età per bere?
- Gaby, - la rimprovera Scott mentre io prendo una generosa sorsata facendo finta di non aver sentito, - certo che ha l'età per bere. Lexie, ti ricordi di Gabrielle? E lui invece è mio fratello Will...
Ha qualcosa di famigliare.







Nda Benvenuti nella mia nuova storia.
Un paio di preamboli necessari: sì, è un'altra commedia, niente di pretenzioso. Scriverla mi ha rilassata, e usare un protagonista che si discosta così tanto dal mio solito è stato nuovo e stimolante quanto difficile, a volte: ormai mi è facile e automatico far parlare e agire un "buzzurretto" passatemi il termine, giocare con un maestro elementare che ha come nota distintiva un'essenza molto british (nell'accezione quasi altezzosa) è un altro paio di maniche. 
Secondo: ho un chitarrista che sprizza sesso da tutti i pori nella memoria del pc, o almeno è l'effetto che fa a me, e la sua storia è parzialmente finita (Sweet child o' mine); ho chiesto consiglio a un'amica che mi ha detto di seguire l'istinto e provare con questa invece, perché attualmente mi coinvolge di più. Perché? Ve l'ho detto, per me è qualcosa di nuovo.
Quindi posto, vediamo come va. Non ho pretese se non quella di arrivare alla fine, in maniera dignitosa possibilmente. 
So che è difficile giudicare dal primo capitolo ma il secondo arriverà domani, a darvi un'idea più completa.

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Capitolo 2
*** Una serata da dimenticare ***


sconvolta


Nessun uomo è un'isola, completo in sé stesso; ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto.
(John Donne)







- Miss Spencer?

O cielo. È lui. Il signor Testa di Corno Parker.
- Ehm, ciao a tutti. Pam ha bisogno di una mano. - borbotto, battendo in ritirata.
Chiudo la porta della cucina e mi ci appoggio, prendendo un lungo sorso dalla bottiglia di birra che mi sono portata dietro.
- Che hai? - mi chiede Pam, ingenuamente.
- È qui. - mormoro, allucinata, - il signor Testa di Corno. È lui. Cazzo, il fratello di Scott è il signor TDC e io ho fatto una figura di merda incredibile!
Lei saggiamente mi prende la bottiglia di mano e l'appoggia al bancone della cucina, per evitare che mi ubriachi rendendomi ulteriormente più ridicola.
- Ora stai qui con me e mi aiuti, poi torneremo di là come se non fosse successo niente.
La adoro quando ha una soluzione a tutto, mi sento già più tranquilla e mi lavo le mani, pronta a eseguire i suoi ordini.
- Comunque non puoi non dire che ho una sfiga addosso allucinante. - borbotto, adagiando le verdure grigliate nel piatto da portata e cospargendole di olio e prezzemolo. - È il fratello di Scott, ti rendi conto?
Lei scuote la testa, incredula.
- Già, con tutte le persone che ci sono a New York è tragicomico che sia proprio lui. Comunque mi era parso di capire che il signor TDC fosse vecchio.
Scrollo le spalle,
- Non so dargli un'età. Perché, scusa, quanti anni ha? E a proposito, perché Paul e Scott hanno pensato di accoppiarmi a un vecchio?
Pam ride,
- Perché non è vecchio, ha solo ventisette anni!
- Oh, dall'alto dei vostri ventinove e trent'anni può sembrare giovane, ma per me è un tantinello grande.
Mi toglie di mano il sale prima che faccia qualche danno. - Ma piantala, Lexie, non sarebbe stato per niente troppo grande per te. Ma giustamente ora non se ne parla nemmeno.
- Non c'è neanche da chiederlo, ti pare?
Controlla la cottura del pollo e decreta che possiamo iniziare con l'antipasto, così prendo più vassoi possibile e lascio che mi faccia strada.
Vado quasi a sbattere contro il signor TDC, che pare diventare improvvisamente gentile.
- Lasci che l'aiuti, Miss Spencer. - dice, prendendomi uno dei vassoi.
Scott ride,
- Ti prego, Will: chiamala Lexie, non siete a scuola.
Paul viene in mio soccorso, prendendo anche l'altro.
- Ci ha appena detto che la ranocchietta è una sua alunna.
- Già. - dico secca, sperando che non abbia aggiunto anche quale pessima tutrice sia secondo lui. - Scott ha ragione, possiamo darci del tu, adesso.
Il signor TDC sembra soppesare la cosa, appoggia il vassoio sul tavolo e mi tende la mano.
- Giusto. William. - si presenta, con il suo solito tono che sembra venire da un altro secolo.
Gliela stringo, riluttante: tipico, niente diminutivi per lui.
- Lexie, e mi dispiace di non avere un nome più lungo. - dico, prima di girare intorno al tavolo e andare a sedermi al mio solito posto. Paul ride, probabilmente pensa che io abbia fatto una battuta, ma sono certa che il signor Parker avrà colto che ho preso nota del suo ridicolo mantenere le distanze: ok, ho capito chiaramente che cosa pensa di me, e se ci tiene tanto a fare lo stronzo che si accomodi, sono qui apposta.

- Pamela, - dice come-si-chiama, anzi, Gaby, - è un vero peccato che tu non possa assaggiare il vino che abbiamo portato, l'ha scelto Will: ha davvero un gusto formidabile.
Io, pur di andare controcorrente, faccio cenno a Paul di non riempirmi il bicchiere.
- Niente vino, grazie: preferisco continuare con la birra.
Ovviamente TDC e Gaby sembrano scandalizzati dal sacrilegio che è appena uscito dalle mie labbra.
- È un vino bianco del sud della Francia, - Will improvvisa una lezione per me, - ha un gusto molto delicato.
Io scrollo le spalle, contrariata di essere seduta proprio davanti a lui.
- Ma a me il vino non piace. - Faccio un sorriso tirato e ringrazio Paul per la birra che mi mette davanti.
Se Gaby già aveva delle perplessità su di me ora gliele ho confermate, perché inizia a sciorinare a Will una lista di sue amiche che sarebbero perfette per lui.
Colgo l'occasione per starmene un po' zitta a pensare ai fatti miei, e mi decido a osservare il mio commensale per capire se Pam ha ragione sulla sua età.
Effettivamente con quel maglione al posto della giacca e camicia con cui l'ho visto a scuola potrebbe anche passare per un ventisettenne, ma i sono i suoi modi a far pensare che in realtà sia più grande, forse anche più grande di Paul che non perde un'occasione per fare il cretino. Lui invece se ne sta lì, tutto impettito ad annuire a Gaby. E poi deve essere un gran sbruffone se mi ha trattata in quel modo a scuola e alla fine non ha nemmeno trent'anni, scommetto che le altre mamme hanno capito che è giovane e io sono stata la sua valvola di sfogo, oppure peggio ancora crede davvero di avere la scienza infusa in lui.
- Lexie, - mi chiama Paul, per tirarmi dentro alla conversazione, - ho preso quel libro che mi hai consigliato, non sembra niente male.
Gli sto facendo un sorriso soddisfatto mentre mando giù il mio involtino quando Gaby si intromette.
- Di che libro stiamo parlando?
Ah, già, lei è la massima esperta in qualsiasi cosa. Davvero, come un pezzo di pane come Scott riesca a sopportarla per me è ancora un mistero.
- Odissea d'argento. - dichiaro, pronta a sentire il suo parere che raramente è sulla stessa linea del mio. E infatti la vedo portarsi il tovagliolo alla bocca, come a voler coprire un sorriso che sarebbe ineducato tanto quanto il suo gesto.
- Oh, lo conosco molto bene, può essere godibile se non conosci Tolstoj. Se come me hai passato il college a marcire su Guerra e Pace, sia benedetto il mio professore che ce lo ha fatto amare, il libro di Stevenson ti sembra solo una brutta copia. Leggilo, Paul: mi interessa la tua opinione.
Mi inumidisco le labbra, per nulla intenzionata a dargliela vinta.
- Sai, Gaby, anche io ho letto Guerra e Pace e non mi sembra che Odissea d'Argento sia la sua brutta copia.
- Beh, certo cara che ognuno ha il suo parere, - mi dice, odiosamente conciliante, - ma ti posso assicurare che non puoi paragonare la semplice lettura di un libro del genere, alla lettura guidata e approfondita da un esperto in materia, non credi? - Ed ecco che mi rimette al mio posto, la stupida Lexie che non si è presa la briga di finire il college. Stronza, come se avessi avuto scelta. - Ma sentiamo l'esperto a questa tavola: tu, professore, cosa dici?
Il signor TDC mi guarda come stesse aggiungendo la mia inettitudine culturale alla lista delle mie malefatte.
- Non ho sentito parlare di quel libro. - dice, vagamente annoiato.
Gaby scoppia in una risatina vittoriosa,
- E questo dice tutto.
Paul mi guarda alzando le spalle, solidale, e io metto una mano sulla gamba di Pam, chiedendole silenziosamente di non reagire: contribuirebbe solo a rendermi più ridicola, dimostrando che ho bisogno di una difesa personale.
- E Paul, comunque il mio preferito è Harry Potter. De gustibus non disputandum est. - concludo, alzandomi. - Stai qui, Pam: ci penso io al pollo.
Pam sgrana gli occhi e Paul si precipita a darmi una mano.
- Lexie, ti ricordi il quattro luglio? Forse è meglio che ti aiuti. - mi prende in giro, e ripensando alle ali di pollo fritte che ho fatto volare ovunque quando sono inciampata, perfino nella scollatura di Gaby, non riesco a trattenere un ghigno.
- Suvvia, la pizza non fa così schifo! - mi difendo.
- Se vuoi la pizza non devi distruggere quello che mia moglie ha cucinato, basta dirlo. - dice strizzandomi l'occhio, e con il suo aiuto portiamo il pollo in tavola.

Ormai mi sono allenata ad escludere la voce di Gaby dal mio cervello, quindi per la maggior parte del tempo mi diverto, ma ogni volta che invece il signor TDC apre bocca rischio un suicidio del mio sistema nervoso.
Come può un essere umano diventare così spocchioso? Tutto quel sussiego che si da, la finta cortesia: è insopportabile.
Per fortuna ci pensa la sua adorabile cognatina ad intrattenerlo, quei due sembrano proprio fatti l'uno per l'altra e quasi quasi spero che finiscano insieme. Sicuramente, in tema di relazioni, per me sarebbe più adatto persino Scott rispetto al fratello.
Ridacchio per l'assurdità del mio pensiero, Scott è simpatico ma preferirei rimanere zitella piuttosto che con lui, e la sua passione smodata per i videogiochi non è che la prima di una lunga lista di incompatibilità.
- Cosa c'è di divertente, Lexie?
Guardo Gaby disorientata, il mio udito selettivo non mi aveva avvertito che stava parlando e ora penserà che ho riso per qualcosa che ha detto.
- Scusami, stavo pensando a una cosa. - Sembra una patetica scusa perfino alle mie orecchie.
Lei si impettisce, offesa,
- Scusami tanto se certe mie amiche sono ancora single alla loro età. – Gaby ha trent'anni ed evidentemente le ragazze in questione devono essere sue coetanee se non più grandi, a giudicare da come se l'è presa. - Non è più un tabù uscire con donne più grandi e per Will credo sia più stimolante uscire con una
donna che ha saputo tenere le gambe chiuse e ha qualcosa di interessante da raccontare della sua vita.
Non ci vedo più. O meglio, vedo rosso.
- Stronza. - La mia sedia striscia sul pavimento. - Quante volte te lo devo dire che è mia nipote? Mi occupo di lei perché mia sorella è morta, cazzo.

Sto già prendendo il mio cappotto, quando capisco che non voglio essere io ad andarmene con la coda tra le gambe, così mi chiudo in cucina e per aver qualcosa da fare mi metto a lavare i piatti.
Sento delle voci venire dal soggiorno, la stanno rimproverando di sicuro ora che non ci sono più io a non voler essere difesa. Però a sto giro se lo merita, eh: non vedo perché abbia insinuato che non è vero che sono la zia di Allie, come se fosse solo una scusa per coprire una gravidanza da ragazza; ma chi è che si inventerebbe una sorella morta?
Non avevo nessuno quando mi sono trasferita dal Nevada all'appartamento di Becca a New York per occuparmi di Allie, e so quanto sono stata fortunata ad aver incontrato due persone come Pam e Paul che sono diventate parte della mia famiglia, pronte a difendermi a spada tratta contro il mondo, ma a volte non riesco a credere che esistano persone così meschine per cui debba rivelarsi necessario.
Becca, se mi senti, lassù, fai sì che a Scott non venga in mente di sposarsela: è vero che è un appassionato di videogiochi e di Star Wars, ma in fondo è un bravo ragazzo e si merita di meglio.

Mi immobilizzo, sentendo le voci spostarsi nel corridoio e cerco di afferrare qualche pezzo del discorso ma le dannate porte in noce massiccio assorbono qualsiasi rumore. Poi il silenzio, e come se niente fosse mi rimetto a lavare i piatti.
- Lexie, che ci fai qua?
Scrollo le spalle facendo la finta tonta.
- Carico la lavastoviglie immaginaria, no?
Pam fa un cenno a Paul, indicandogli che sono nella loro cucina con il detersivo fino ai gomiti.
- Non te ne eri andata?
- Sul serio, Pam, sborsa questo testone e pigliati una lavastoviglie: come farai con il pupo? Lo so che i piatti vengono meglio se li lavi a mano, ma ti aiuterebbe a risparmiare un po' di tempo.
Lei mi fa un buffetto sulla guancia.
- Non devi, lo sai. E quella non rimetterà più piede in questa casa finché ci sarò io, questa volta ha passato tutti i limiti.
Paul si infila il grembiule.
- Credo che questa volta abbia esagerato anche secondo Scott. Donne, andate di là a spettegolare che qui ci penso io. - Mi passa uno strofinaccio per asciugarmi le mani e ci spinge via, ma Pam si arrampica sullo sgabello e io la imito.
- Spettegoliamo benissimo anche con te, ma se vuoi fare tu i piatti accomodati pure. - dico, cedendogli i guanti di gomma. - Sì, è una stronza, ma io spero di non avervi messo a disagio con la mia sfuriata.
- Non dirlo neanche per scherzo, la tua amica qua presente stava per versarle la sua aranciata addosso. - mi svela Paul, che aveva una visuale migliore della scena rispetto a me.
- E ancora me ne pento di non essere riuscita a farlo! Ma tu le avevi già dato della stronza, sarei stata fuori tempo. Se avessi avuto la prontezza di farlo mentre parlavi sarebbe stato perfetto, e invece ero preoccupata per te: ti ho seguita, pensavo che te ne fossi andata.
- Quella non mi farà scappare
mai. - annuncio, vittoriosa. - Comunque, Paul, io sono nel fiore dell'età e anziché cercare di organizzarmi l'appuntamento al buio più disastroso della storia dovresti concentrarti sul trovare una nuova ragazza a Scott, Gaby non si regge più.
- Sante parole! - Pam fa tintinnare la sua tisana di finocchio alla mia birra che nel frattempo ho recuperato, e Paul si unisce al nostro brindisi con un bicchiere insaponato.
- Comunque, signore mie, il povero Will non è così malaccio: un po' timido, forse, ma nel suo caso non dovreste essere così cattive con lui.
- Scusa, amore, ti sei già scordato cosa ha detto a Lexie al colloquio?
Lui alza le spalle, non del tutto sicuro della nostra posizione.
- Lex, eri agitata e forse hai equivocato: Will non mi sembra proprio uno tanto meschino e stupido da dirti che rovinerai la vita alla ranocchietta.
- Eppure l'ha fatto. - Mi gelo al solo ricordo.
- Se l'ha detto ha sbagliato. Se intendeva dirlo davvero. - ripete, non molto convinto.
Pam improvvisamente si ricorda qualcosa, perché scivola giù dallo sgabello con la grazia di un elefante.
- Il tuo cappotto! Sarà in giro a cercarti, l'abbiamo visto lì e abbiamo pensato che fossi andata via senza prenderlo, e Will si è offerto di portartelo.
- Ho il suo numero, panzerotta prendimi il cellulare e digli che è qua.
Lo guardo sconcertata, mentre Pam cerca il numero:
- Panzerotta? Sei serio? Diamine, non ci tieni proprio alla tua vita, eh? - Pam sta chiamando, e mi affretto a darle istruzioni. - Digli di lasciarmelo a scuola: posso prendere una tua giacca in prestito per stasera.
Lei va in corridoio in cerca di campo, e quando chiude la conversazione mi annuncia:
- Hai lasciato il telefono in tasca: sta tornando qua.

Neanche il tempo di finire la birra e il citofono suona, Pam lo invita a salire e il signor TDC è alla porta dopo qualche attimo.
Paul va ad aprirgli, e io e Pam sedute in cucina ascoltiamo i ringraziamenti di Paul e i tentativi garbati del signor Parker di non dare peso alla faccenda.
Mi faccio coraggio e sporgo la testa oltre la porta della cucina.
- Non era necessario portarmi la giacca, grazie. Se non avessi lasciato il cellulare in tasca non saresti stato costretto, ti prego di scusarmi. - aggiungo poi, quasi intimidita dalla sua figura calma e stabile.
Chiunque altro scrollerebbe le spalle, ma lui fa un cenno della testa.
- Nessun problema.
- William. - Pam compare al mio fianco. - Sarebbe troppo chiederti di portare a casa Lexie? È tardi e le strade sono ghiacciate, non mi fido che prenda un taxi tutta sola.
- Perché, se sono scortata azzero le possibilità di un incidente? - chiedo, sarcastica, ma so che è preoccupata anche per il paio di birre che ho bevuto, e per il fatto che debba tornare in una casa vuota. Rinuncio a oppormi, anche se è chiaro che non muoio dalla voglia di essere accompagnata dal signor Parker, e mi infilo il cappotto. - Grazie della serata. - Do un bacio sulla guancia a entrambi, - Grazie davvero, siete unici. - Mi avvio verso l'ascensore, e il signor Parker si schiarisce la voce.
- Miss Spencer? - dice, titubante. Pam mi corre dietro e prende lo strofinaccio, che avevo lasciato appeso alla tasca posteriore dei jeans.

Le porte dell'ascensore si chiudono, e il mio sorriso si trasforma velocemente in un espressione seria.
- Dovrebbe decidersi come chiamarmi, e che pronome usare: ci diamo del tu, del lei, basta che me lo dica: non voglio essere scortese. - lo rimprovero, fissando ostinatamente dritto davanti a me.
- Scusa, è stato istintivo. - Gli scocco un'occhiataccia: questa non è una risposta. - Credo che il tu vada bene fuori dalla scuola. Mi è solo difficile usare il tuo nome, è... molto colloquiale.
Le porte dell'ascensore si aprono e io esco fuori a passo di marcia.
- Oh, certo, il mio nome è troppo plebeo, mi dispiace
William.
Lui mi rincorre, sorpassandomi e tenendo aperto il portone per farmi passare.
- Non è quello che intendevo, ti prego di scusarmi, di nuovo.
Stiamo in silenzio per qualche istante, io faccio del mio meglio per ignorarlo e cercare un taxi.
- Davvero, non è necessario che mi accompagni, dirò comunque a Paul che l'hai fatto. - dico, senza smettere di guardare la strada.
- Abiti lontano? Possiamo andare a piedi, se per te non è un problema, io cammino volentieri.
Sbuffo, il suo ostinato voler essere cortese supera addirittura ogni soglia immaginabile.
- Va bene, andiamo. - prima ci incamminiamo, meno tempo dovrò sopportare la sua compagnia.
Mi segue in silenzio, e mi abituo così velocemente all'idea che sarà così fino a casa, che quando lo sento parlare per poco non sussulto dalla sorpresa.
- Non intendevo quello, riguardo al tuo nome. - Sembrerebbe quasi dispiaciuto. - È un bel nome, ma di quelli che si usano quando c'è una certa conoscenza reciproca che noi non abbiamo. Mi piacerebbe usarlo quando tale conoscenza sarà effettiva.
Perché ora mi devo sentire in colpa?
- E quindi, come vorresti chiamarmi? - dico sarcastica. Lo guardo con la coda dell'occhio e lo vedo realmente in difficoltà, così decido di venirgli incontro. - Miss Spencer può andare, ma per parità io non posso chiamarti con il nome di battesimo, sei d'accordo?
- Mi sembra ragionevole. - Ancora una volta mi chiedo da dove sia uscito. - Mi trovi divertente? - mi chiede più rilassato, notando che sto ridendo sotto ai baffi.
- Un po'. - gli concedo.
Poi mi ricordo del colloquio disastroso, e in un attimo la mia espressione si indurisce.
- Vorrei dirti che mi dispiace per quanto ti ho detto a proposito di tua nipote, non intendevo essere duro. La mia etica mi impedisce di ignorare quanto credo sia vero, ma ci tengo ad aggiungere che so che quello che hai fatto e stai facendo è in buona fede. - sospira, - Il massimo sarebbe che tu possa riflettere sulla mia opinione, e magari prenderla in considerazione anche solo parzialmente.
Cielo, perché non si è limitato alle scuse e basta? Doveva proprio insistere ad avere l'ultima parola?
Gli va bene che davvero, stasera ne ho piene le scatole di litigare.
- Il massimo? - lo prendo invece in giro. - Cos'è questo slang, signor Parker?
L'ho messo in imbarazzo, eppure vedo anche un certo divertimento nei suoi occhi. Mi fermo,
- Eccomi a casa. Aspetto con te un taxi? - gli chiedo.
Lui scuote la testa,
- Vado a piedi, grazie e buonanotte Miss Spencer. - Con mio grande stupore mi porge la mano. - È stato un piacere averti conosciuto.
Ma certo, cortese fino al midollo.







Nda Con questo capitolo dovreste avere un quadro più chiaro della storia, quindi ci possiamo sentire a settimana prossima, con l'aggiornamento.  As usual, ogni vostro parere sarà molto gradito!

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Capitolo 3
*** Un malinteso ***


sconvolta


“È verissimo”, replicò Elizabeth, “e potrei facilmente perdonare il suo orgoglio, se non avesse mortificato il mio.”
“L’orgoglio”, osservò Mary che teneva a dimostrare la profondità dei suoi pensieri, “è un difetto assai comune. Da tutto quello che ho letto, sono convinta che è assai frequente; che la natura umana vi è facilmente incline e che sono pochi quelli che tra noi non provano un certo compiacimento a proposito di qualche qualità – reale o immaginaria – che suppongono di possedere. Vanità e orgoglio sono ben diversi tra loro, anche se queste due parole vengono spesso usate nello stesso senso. Una persona può essere orgogliosa senza essere vana. L’orgoglio si riferisce soprattutto a quello che pensiamo di noi stessi; la vanità a ciò che vorremmo che gli altri pensassero di noi.”
(Orgoglio e Pregiudizio, Jane Austen)







Allie mi sta nascondendo qualcosa, lo capisco dal sorriso furbo che mi fa.
- Avanti, sputa il rospo. - le dico quando entriamo in casa, appoggiando il suo zaino in un angolo dell'ingresso.
Lei saltella e batte le mani.
- Guarda, zia, guarda!
Fruga nello zaino e tira fuori il suo quaderno, che appoggia per terra aprendolo a metà.
Mi accovaccio di fianco a lei e leggo, prima l'esercizio di matematica che ha svolto e poi la nota positiva del signor Parker.
- Ma sei un piccolo genio! - mi complimento, abbracciandola. Lei ride, fiera, e prima di firmare il voto faccio una foto con il telefono al quaderno. Che sia il segno che finalmente il signor TDC abbia capito di aver sbagliato? Le super zie vincono sempre contro i cattivi. Già che ci sono controllo sul calendario del telefono, per assicurarmi che non mi sono dimenticata nessun impegno per oggi. - Adesso vai a scegliere un dvd mentre io preparo la merenda: dobbiamo festeggiare!
Come se ci fosse qualche possibilità di scelta: Allie ha visto Come d'Incanto più o meno tante volte quante io ho visto Dirty Dancing. È pur sempre mia nipote, ce lo abbiamo nel sangue il fissarci con le cose. Prepariamo la nostra tana sul divano: i pouf davanti a noi per appoggiare i piedi, la coperta e sul tavolino biscotti e latte. Mi siedo e allargo le braccia, perché si possa tuffare su di me, e anche io finisco per godermi il film.
Quando finisce, anziché sentirci piacevolmente intorpidite, abbiamo tutte e due un sacco di energie da sfogare per via della merenda d'eccezione, così sposto il tavolino per fare posto davanti alla tv e giochiamo a Just Dance fino a tardi.

- Allie svegliati: ci siamo addormentate sul divano, andiamo a letto. - la scuoto.
La piccola si stiracchia, sbadigliando.
- Il signor Parker si arrabbierà se non faccio i compiti. - mormora, assonnata.
Una carriolata di mattoni mi cade in testa, compiti? Non ci avevo minimamente pensato.
- Dimmi che sono pochi, ti prego... - piagnucolo.
Allie controlla nello zaino e apre il quaderno di inglese: deve imparare lo spelling di quattro parole, mi è andata meglio del previsto.
Inizio a interrogarla, facendogliene dire una alla volta ripetutamente e poi le alterno: tazza, casa, libro e gatto; ci addormentiamo quando ancora sta sillabando l'ultima parola e, quando la sveglia suona, riprendiamo da dove ci siamo interrotte. Per tutta mattina, mentre ci laviamo e facciamo colazione, è il nostro unico modo di comunicare, quelle quattro parole sillabate, e quando la lascio a scuola tiro un sospiro di sollievo: poteva andarci molto peggio e invece per una volta siamo state fortunate. Farla andare a scuola senza compiti il giorno dopo che ha ricevuto una nota positiva sarebbe stato tirare un po' troppo la corda con il signor Parker.
Corro alla libreria e apro la serranda con già il ragazzo delle consegne alle calcagna.
- Fammi almeno disattivare l'allarme. - lo rimprovero, facendogli cenno di stare indietro.
Lui sbuffa ma mi lascia fare, iniziando a tirare giù dal furgone gli scatoloni.
Lo so che ha una tabella di marcia molto rigorosa da rispettare, ma io apro sempre il negozio in perfetto orario e non posso certo anticipare il mio arrivo solo perché i suoi capi gliela programmano male. Ho già chiesto alla signora Fitzpatrick, la proprietaria della libreria, di segnalare la cosa alla ditta delle consegne, ma per il momento le cose non sembrano cambiare e due volte alla settimana io e lui mettiamo in scena questo teatrino.
- Se tu fossi più puntuale io non dovrei passare il resto della mattina a correre di qua e di là per rimediare al tuo ritardo. - si lamenta lui, portando gli scatoloni nel magazzino.
- Io sono puntualissima, sei tu che sei sempre in anticipo. - commento distratta, mentre controllo la bolla. Una firma e se ne va, e finalmente la giornata inizia.
Dopo le prime settimane rimasta a casa ad occuparmi esclusivamente di Allie ho capito che, se volevo che avesse qualche opportunità di andare al college e conquistarsi una vita migliore della mia, avrei dovuto limitarmi nell'attingere al premio dell'assicurazione per le spese giornaliere, e trovarmi un lavoro che mi avrebbe permesso di mantenerci senza dover assentarmi tutto il giorno da casa. Insomma, un'utopia per una ragazza che si era ritirata dal college.
Ho iniziato a fare la cassiera al market ingoiando ogni ambizione, quando Melanie, una vecchia collega di Becca, mi avvisò che alla libreria dove lavorava la sorella cercavano personale.
Conobbi Pam che mi prese immediatamente in simpatia e spese una buona parola per me con Helen Fitzpatrick, e ancora oggi ringrazio Becca per avermi trovato non solo quel lavoro, ma anche la mia famiglia.
In tutta onestà amo lavorare alla libreria: passare la giornata tra i libri, consigliare i clienti e intrattenermi con loro in lunghe discussioni a proposito di qualche titolo mi fa dimenticare che un tempo il mio sogno era laurearmi in giornalismo. La Fitzpatrick si fa vedere solo una volta alla settimana, fidandosi ciecamente di me e Pam, e così è come se questo posto fosse un poco mio.

- Lexie! - Beth, che lavora allo Starbucks dall'altra parte della strada, entra con una folata di vento, reggendo un bicchierone Tall in ogni mano.
- Grazie al cielo. - Mi fiondo sulla mia fonte di carica quotidiana, - Pensavo non arrivassi più!
Lei alza le sopracciglia, maliziosa.
- E ho la roba. - dice, sventolando il sacchettino che ha appeso al polso.
Un senso di colpa si mischia al desiderio impellente.
- Fanculo, Beth, sai che voglio smettere finché sono in tempo.
Lei mi fa cenno di non protestare, e mette sul banco della cassa un tovagliolo su cui appoggia la più perfetta ciambella grondante di burro che io abbia mai visto. Mi tremano quasi le gambe.
- Faremo a metà, non preoccuparti. - mi dice, e io non riesco a resistere.
- Oh mammina... - mugugno, tirando fuori dal cassetto un coltello di plastica con cui Beth taglia il donut con riverenza. - Questa è l'ultima, giuramelo. - dico, cedendo e gustandomi un morso di quella squisitezza.
- Te lo giuro, ma oggi ne avevo proprio bisogno: ho buttato fuori Alex di casa.
Vorrei dire “di nuovo”, ma mi trattengo.
- Cos'è successo?
Lei alza le spalle,
- Il solito, è tornato a casa ubriaco, senza nemmeno la decenza di avvisarmi che sarebbe rimasto in giro a bere. L'ho chiamato centinaia di volte, secondo me era troppo preso a sbattersi qualche troietta per rispondermi. - dice, cinica.
Odio Alex forse ancora più di Gaby, e purtroppo Beth continua a riprenderselo con sé tutte le volte che è abbastanza forte da chiudere con lui.
- Ti prego, dimmi che questa volta non ci ricaschi.
Lei scuote la testa:
- Me ne voglio andare, Lexie: New York era il mio sogno, ma sta diventando la mia trappola per colpa di quel cretino, e purtroppo so che se si ripresenterà nella serata sbagliata, a farmi tutte quelle promesse che lui è capace di inventarsi, ci ricadrò ancora.
Le stringo la mano, comprensiva.
- Se sento qualcosa in giro ti faccio sapere, ok? - Tra noi poveri disadattati della società ci si aiuta sempre.
Controlla l'orologio, la sua pausa è finita e mi lascia anche il suo caffè bevuto solo per metà, ben sapendo che con me non andrà buttato via.

Questo week end Allie rimane con me, e com'è tradizione, domenica mattina ci prepariamo e andiamo a fare colazione da Pam.
Quando arriviamo sotto al palazzo noto subito un furgone da traslochi che sta parcheggiando, e Paul sul marciapiede che aiuta l'autista a fare manovra; Allie si libera dalla mia mano e corre a salutarlo.
- Cos'è successo, - lo stuzzico, - l'hai chiamata di nuovo panzerotta e lei ti ha buttato fuori di casa?
Paul mette a terra Allie che aveva preso in braccio per farsi stringere le braccia al collo.
- Ma com'è spiritosa tua zia, ranocchietta. - dice, fingendo una risata tirata. - Scott ha lasciato Gaby.
Mi fingo scandalizzata.
- Ehi, pensavo che io e Allie avremmo avuto la precedenza a venire a vivere con voi!
- Sciocca, cos'hai mangiato, pane e stupidità? - Mi dà un colpetto alla visiera del cappellino, calandomela sul naso. - Era libero l'appartamento al secondo piano, e l'ha affittato.
Scott, dopo aver parcheggiato, salta giù dal furgone a noleggio.
- Ehi, Lex, sentito la novità? In quanto vicino di casa ora non ci sarà più storia, sarò io il loro migliore amico. - È un giochetto che va avanti da un po' di tempo.
- Scordatelo, la vedi questa? - Indico Allie, - Se la vorranno tenere buona come babysitter per quando loro figlio sarà grande, preferiranno sempre me.
Lui mi strizza l'occhio, e io mi sento in colpa per non trovare niente di consolatorio da dirgli sulla rottura tra lui e Gaby.
Loro hanno già fatto colazione e non sono tentati da un altro giro di caffè, così io e Allie saliamo da Pam perché possa rifocillarci, con la promessa di scendere ad aiutarli più tardi.
Amo letteralmente il loro caffè, una miscela che Paul prepara personalmente aggiungendo un po' di cannella e qualche altro aroma che non copre ma esalta solo il gusto della sacra bevanda. Pam ha apparecchiato sulla penisola, in cucina, e ci sta aspettando con una vagonata di cibo da consumare: french toast, uova strapazzate, cereali e frutta fresca; e come al solito io e Allie cerchiamo di rifilarci a vicenda gli avanzi.
- Tieni, tu devi crescere e io dimagrire. - le dico, sazia.
- Ma zia, - dice la piccola peste, - tu hai lo stomaco più grande del mio!
Pam non ci perde di vista, per assicurarsi che non rimanga nemmeno una briciola, e alla fine ci dividiamo quello che è rimasto e riusciamo a finire tutto.
- Sei una schiavista. - mi lamento, - Non puoi sfogare su di noi tutte le tue turbe gravidiche: non possiamo scoppiare solo perché tu sei apprensiva.
Pam scrolla le spalle:
- Mangerete meno a pranzo. - dice, imperturbabile.
Ingollo un'altra tazza di caffè e mi stiracchio, rischiando di cadere dallo sgabello.
- E così Scott e Gaby hanno rotto: lui come l'ha presa? Spero che non sia stata colpa di quella tragica cena. - le dico, scansandola dal lavandino per lavare le nostre tazze.
Pam pulisce uno sbaffo di cacao sulla guancia di Allie.
- Credo che sia uno dei motivi che l'hanno aiutato ad aprire gli occhi, ma in due settimane non maturi una decisione così importante se prima non ci avevi mai pensato.
Peccato che Beth abbia deciso di andarsene, o avrei potuto farli conoscere.
- È brutto se dico: buon per lui? Cielo, mi sento orribile.
- L'abbiamo pensato tutti, tranquilla. Anzi, io ho detto di peggio. - dice, facendo una smorfia divertita.

Scendiamo tutte e tre, per dare una mano nel nostro piccolo, e non avrei dovuto essere tanto sorpresa nel sentire Allie salutare il nuovo arrivato.
- Signor William! - O forse sono stupita di sentire la voce genuinamente contenta con la quale si rivolge al suo insegnante. Lui la saluta, più sereno di come l'ho visto comportarsi ultimamente e poi si rivolge a me e a Pam che siamo rimaste indietro e ci saluta con un cenno della mano.
Sono ancora grata a lui per il voto di settimana scorsa, convinta di aver trovato un nuovo alleato, non gli nego un sorriso che sembra coglierlo impreparato.
Ci dividiamo i compiti: Pam, seduta su un panettone di cemento, dirige i lavori e fa la guardia al camion aperto; gli uomini portano le cose più pesanti e Allie i sacchetti più leggeri, mentre io mi occupo di quello che rimane.
Non perdo d'occhio mia nipote, sembra aver dimenticato persino per il suo debole per Paul perché non si allontana mai a meno di un passo da Parker, come lo chiamo nei miei pensieri ora che siamo in tregua, e questo mi dà l'opportunità di osservare il suo modo di rapportarsi con lei.
È in linea con la sua personalità, direi: non fa il piacione ma le parla con tono calmo e sereno, trattandola con rispetto, conversando con lei come se fosse una sua coetanea. Anzi, mi correggo perché ho avuto modo di constatare che quando parla con gli adulti è sempre spocchioso.
- Zia! - Si girano entrambi verso di me, beccandomi a spiarli. La guardo, cercando di fare finta di niente. - Il signor William ha un gatto, possiamo averne uno anche noi?
Ottimo, l'avevo appena convinta a lasciare perdere l'idea del cane.
Mi schiarisco la voce:
- Vedi, Allie, in famiglia non andiamo troppo d'accordo con i felini, scommetto perfino che sei allergica. - butto lì.
A dire la verità io sono molto più da cani, se non fosse per l'impegno che richiedono.
- Non volevo metterti in difficoltà. - aggiunge Parker, ancora fermo sul pianerottolo. Io gli indico la mia scatola, che sta iniziando a pesare, e gli faccio cenno di proseguire.
- Nessun problema.
Continuiamo a scaricare e a mettere a posto, Allie si sarebbe stufata già da un pezzo se non fosse che vuole fare bella figura con il suo insegnante e non riesco a non essere fiera di lei.
Nonostante Parker dia l'idea di essere sempre colto alla sprovvista dal mio cambio di comportamento, ora che giochiamo nella stessa squadra mi sorprendo ad ammettere che pur essendo fatto a modo suo, è quasi simpatico.
Sembra terribilmente anacronistico in maglietta e jeans, ma è anche a suo agio con i lavori manuali, cosa che da lui non mi sarei mai aspettata.

Verso mezzogiorno, quando il camion è vuoto, Pam dichiara che è arrivato il momento di prendersi una pausa, e mentre Paul segue Scott in macchina e vanno a restituire il furgone, io salgo con lei ad aiutarla a preparare da mangiare e Allie insiste a rimanere di sotto con Parker a fargli da assistente mentre monta alcune mensole.
- Ti vedo ben disposta verso William: avete deposto l'ascia di guerra? - mi chiede Pam, mentre lei butta la pasta e io faccio la spola tra la cucina e il soggiorno per apparecchiare.
- Non pensavo, e invece è stato lui a cambiare atteggiamento: credo che non ammetterà mai di aver sbagliato, ma a me basta vedere che ha capito.
Pam solleva un sopracciglio:
- Ti prego però: non finire con lui, non sopporterei mai che Paul l'abbia vinta, alla fine.
Sbarrò gli occhi, scandalizzata dall'ipotesi.
- Ma sei fuori? Non delirare, ti prego: avrà ventisette anni ma quello è vecchio dentro! E poi sai che io ho un debole per i bad boy. - dico, strizzandole l'occhio.
- Io tutto questo debole non l'ho mai visto, se non con la tua serie tv.
Mi porto una mano al cuore, teatrale:
- Ti prego, Jax, esci dallo schermo e vieni con la tua motocicletta a sbattermi!
Pam ride,
- Quanto sei cretina.
- Ehi, bella, ti devo ricordare che mi hai confessato di avere una cotta per Damon? - la provoco, ben sapendo di aver toccato il suo punto debole. Che poi, Vampire Diares sarà anche diventato una cagata colossale, ma anche io se si presentasse qui il bel Damon Salvatore non ci penserei molto prima di gettarmi ai suoi piedi.
- Ok, ok, ma intanto io ho un marito in carne e ossa. Vai a chiamare Allie e William, i ragazzi saranno qui tra poco ed è quasi pronto.

Scendo a piedi e noto la porta d'ingresso aperta, mi avvicino silenziosamente e assisto alla lezione che Parker sta dando a Allie sul funzionamento della bolla: stanno facendo vari esperimenti appoggiandola su inclinazioni diverse e le mensole sono ancora tutte a terra.
Dopo che il mio cuore di zia si gonfia d'affetto e di orgoglio per la mia bambina mi trovo a spiare il suo insegnante,
hanno entrambi la stessa espressione concentrata mentre osservano l'esito della loro prova.
Ok, ammetto che Parker ha il suo perché, anche se sembra incapace di relazionarsi altrettanto bene agli adulti.
Fin da quando l'ho incontrato la prima volta per me è sempre stato semplicemente il signor Testa di Corno, quindi non mi sono mai presa la briga di osservarlo, ma come ho già detto nonostante i suoi tratti siano regolari e al tempo stesso anonimi, ha un che di anacronistico. Sarebbe un attore perfetto per un film in costume, non solo per i suoi modi ma anche per il suo aspetto: pur essendo asciutto non ha nè l'esile magrezza nervosa degli uomini un po' rock o bohemien, nè i muscoli allungati tipici dell'atleta. I suoi lineamenti sono camaleontici, tanto riesce a sembrare superbo e spocchioso quando ha la sua tipica espressione crucciata, tanto ora sembra perfino innoquo, quasi fosse addirittura un'altra persona.
Vedo il bicipite non molto definito gonfiarsi però a dovere mentre solleva la cassetta degli attrezzi, e decisamente ha il suo perché, anche se non lo ammetterò mai neanche sotto tortura.
- Pensavo che dovevate montare le mensole. - dico, palesando la mia presenza.
- Era interessata alla bolla, ho ritenuto che meritasse una spiegazione dettagliata.
Sbatto gli occhi, santo cielo: quando parla passa da cento a zero in dieci secondi. Sembra a disagio che io li abbia trovati nel bel mezzo della lezione, se non contrariato, e non fa molto per nasconderlo.
- Forza, Allie: a lavarti le mani, è quasi pronto. - le dico, lasciandola correre di sopra mentre io sono indecisa se aspettare o meno Parker: vorrei ringraziarlo per come ultimamente si sta comportando con lei, ma non vorrei farlo quando è così palesemente di cattivo umore, rischiando di rovinare tutto.
Quando opto per andarmene lui è pronto, e così usciamo dall'appartamento insieme, in silenzio.
- Grazie per quel voto al compito di Allie.
Parker si ferma, si appoggia al corrimano e mi guarda.
- Ha fatto un buon compito è si è meritata quella nota positiva, non avrai pensato che l'ho fatto perché ho cambiato idea, vero?
Questa non me la aspettavo.
- No, è che... cioè, da un lato sì. - ammetto, per un attimo disorientata.
- Dimmi una cosa, se la premi a prescindere come farà a distinguere quando ha fatto qualcosa di veramente buono e quando non ha fatto altro che il suo dovere?
- Ancora con questo vizio a volermi insegnare come crescere mia nipote? - ribatto allora, più sicura di me.
- È una mia alunna, non voglio insegnarti un bel niente ma mi è forse vietato dire la mia opinione?
Sarà anche vestito con jeans e maglietta, ma a me adesso sembra identico a quando era nell'aula, impettito nella sua giacca da professore.
- Tu non hai opinioni, tu pretendi di avere ragione! - gli faccio notare.
- No, tu pretendi di avere ragione.
E ci mancherebbe altro, direi:
- Sono sua zia, la conosco da quando è nata e sono la sua tutrice: forse so quello che è giusto per lei.
Lui fa una faccia scandalizzata.
- Andiamo, sei una ragazzina incapace di ascoltare i consigli di chi potrebbe aiutarti.
È fortunato che non credo nella violenza, o gli avrei tirato un sonoro schiaffone, qui su queste scale.
- Non ti permettere, io sto facendo di tutto! - sibilo, dandogli le spalle e considerando chiusa la conversazione.
- Volevo dire che non c'è niente di male a chiedere aiuto. - cerca di rimediare, ma ormai l'ho seminato.

L'atmosfera è totalmente cambiata a pranzo, io mangio in silenzio e Parker fa lo stesso, se non per rispondere alle domande di Allie. Poi, quando a fine pasto lei gli chiede se le darà una mano lui con i compiti, io decido che è arrivato il momento di alzare le tende.
- Non disturbare il signor Parker, Allie: dobbiamo andare a casa adesso e loro devono darsi una mossa, se Scott vuole dormire nel suo letto stasera.
Il signor TDC, nuovamente promosso a quel nome, cerca di fare il gentile:
- Non sarebbe nessun disturbo. - si affretta a dire, ma ormai alle mie orecchie nessuna parola potrà redimerlo:
- La ragazzina ha finito di frequentare le elementari da poco: credo di ricordarmi ancora qualcosa, sarò più che capace di aiutarla io. Alanis, non scordarti il cappello.
So che gli altri rimangono basiti dal nostro battibecco, non sapendo i precedenti, ma per fortuna avrò modo di giustificarmi in un altro momento.

- È stato inopportuno, - mi dà ragione Pam quando la chiamo, una volta a casa, - te ne do atto, ma imparando a conoscerlo credo che lui non voglia tanto giudicarti quanto darti una mano. Non mi sembra il tipo borioso che vuole farti sentire in difetto.
Mi asciugo la lacrima solitaria che mi bagna le ciglia.
- Però l'effetto è quello.









Nda Ora che "Imagine me & you" è finita setto l'aggiornamento di questa storia i primi giorni della settimana, dato che il martedì sono di riposo e riesco a garantire di avere il tempo per farlo. Vi stra-ringrazio per le recensioni e per le letture, ma soprattutto oggi colgo l'occasione per ringraziare un paio di lettrici che, ho notato, seguono ogni mia storia fin dai tempi delle fanfiction di Harry Potter. Non le nomino perché non vorrei che il mio ringraziamento possa passare come una forma di arruffianamento, così come non vi contatto personalmente, però vi ho notate: vi vedo aggiungervi sempre nelle liste delle mie storie e il fatto che mi seguiate così è per me un piacere immenso. Grazie!
Ps capitolo modificato 9/11: grandezza font modificati, in prova

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Capitolo 4
*** Difese (immunitarie) abbassate ***


sconvolta


Comunicare. È la prima cosa che impariamo davvero nella vita. La cosa buffa è che più noi cresciamo, impariamo le parole e cominciamo a parlare e più diventa difficile sapere cosa dire, o peggio ottenere quello che davvero vogliamo. [...] E alla fine della giornata ci sono delle cose delle quali non si può fare a meno di parlare. Certe cose semplicemente non vogliamo sentirle, e altre le diciamo perché non possiamo più tenerle dentro. Per certe cose non servono parole, certe cose si fanno e basta. Alcune cose si dicono perché non si ha altra scelta. E alcune cose le lasciamo dentro noi stessi. E non accade molto spesso ma di tanto in tanto alcune cose semplicemente parlano da sole.

(Grey's Anatomy, stagione 2 episodio 7)







Mi capita di vederlo sempre più spesso, quando vado a prendere Allie a scuola: nel cortile, alla finestra della sua aula, nell'atrio mentre sta uscendo. E tutte le volte devo trattenermi dal chiedergli che cos'ha da guardare o mandarlo a quel paese. È come se mi stesse tenendo d'occhio, e io questa cosa non riesco a sopportarla: sarò anche giovane, ma di sicuro sono in grado di badare a mia nipote, non ho nessun bisogno del controllino da parte dell'esperto.
Le mamme della classe sembrano tutte entusiaste di lui, ma questo è perché sicuramente lui sa quale culo leccare.

È stata una settimana terribile e sono contenta che sia già arrivato il venerdì: il culmine è stato svegliarmi stamattina con la febbre e sapere di non potermi concedere il lusso di fare la malata. Pam e Paul passano il week end fuori per un matrimonio, Beth usa ogni momento libero per cercare di organizzarsi con il trasloco e mamma oggi ha la dialisi e papà non può lasciarla sola; così devo trascinarmi fuori dal letto, accompagnare Allie a scuola e vegetare in libreria cercando di stare in piedi fino al momento di andarla a prendere; poi potremo andare a casa e chiuderci dentro per due giorni, sperando di guarire nel frattempo.
- Zia, hai la faccia verde. - mi dice, preoccupata.
- Zia ha solo un po' di raffreddore. - la tranquillizzo con voce nasale, bevendo un po' di sciroppo, - Questa mattina vanno bene i cereali per colazione, vero? Svegliami quando finisci di mangiare. - Le metto davanti la scatola e collasso sul tavolo della cucina, godendomi la sensazione di fresco sulla faccia. Pensavo di voler riposare solo gli occhi e invece quando Allie mi chiama mi rendo conto di essermi addormentata davvero, ma per quel poco è stato bello. Arranco verso l'ingresso, senza scordare di dirle di mettersi il cappello: se si ammala anche lei siamo fritte.
Per fortuna sapevo che non potevo lasciare Allie a nessuno e ho detto alla Fitzpatrick che non avrei potuto coprire il turno pomeridiano di Pam, perché quando lei arriva con un'ora di anticipo per darmi il cambio non ce la faccio più a rimanere.
- Potevi chiamarmi, ti avrei detto di stare a casa in queste condizioni. - mi rimprovera.
- Tanto dovevo portare Allie a scuola. - provo a giustificarmi.
Lei fruga nella sua borsa da nonna e tira fuori un blister di paracetamolo che accetto riconoscente,
- Grazie, per farmi andare via prima.
- Non ti preoccupare, Lexie: sono vecchia ma la libreria è mia e un turno ogni tanto sono in grado di farlo. Mettiti sotto alle coperte, mi raccomando!
Dopo che avrò recuperato Allie a scuola, di sicuro.

Arrivo in anticipo ed entro, puntando alle sedie del corridoio e nonostante la pastiglia di paracetamolo che ho preso sento che la febbre non accenna a scendere: sono coperta come un'eschimese eppure non riesco a smettere di tremare. Mi lascio cadere su una sedia fuori dall'aula di Allie, con tutta l'intenzione di farmi un sonnellino prima del suono della campanella.
- Miss Spencer?
Socchiudo gli occhi, il signor TDC mi guarda incredulo, probabilmente schifato dal mio aspetto da film horror.
- Non darò fastidio: manca solo un'ora alla fine della scuola, non posso andare a casa e tornare qui. - tossisco, sperando che rientri in classe e mi lasci dormire.
C'è silenzio e deduco che abbia seguito il mio consiglio implicito, e invece rabbrividisco al contatto di una mano gelida che mi sfiora la fronte.
- Scotti.
- Ma va? - borbotto, vince decisamente il premio di insegnante più intuitivo dell'anno.
- Perché non vai a casa?
E perché lui deve essere così ottuso?
- Perché devo portare a casa Allie: Pam e Paul sono via, i miei in ospedale e Beth non può. - rantolo, infischiandomene del fatto che non sa chi è Beth. - Non hai una lezione da tenere? Vai, su. - lo congedo.
Eppure ancora una volta il signor TDC non sembra intenzionato a lasciarmi in pace, si presenta di nuovo davanti a me con la sua giacca in mano.
- La classe è a ginnastica, stavo solo correggendo dei compiti. Vieni, ti porto a casa e poi torno a prendere Alanis.
- Non devi. - protesto, mentre dentro di me il pensiero di andare a casa adesso e per giunta in macchina è pari al sentire le campane del paradiso.
Lui mi aiuta ad alzarmi.
- Muoviti, Miss Spencer: oggi non sei in condizione di fare di testa tua.
Mi tiene per il braccio mentre camminiamo lungo il corridoio, adattandosi al mio passo strascicato, mi guida verso la sua macchina e aspetta che io mi sistemi dentro prima di chiudere il mio sportello e fare il giro per salire.
- Signor TDC... non sono sicura di potertelo lasciar fare, Allie si preoccuperà se non mi vede a prenderla.
- Allie era preoccupata per te, stamattina: sono sicura che capirà.
- Povera cucciola, cosa avrà fatto di male per meritarsi una zia così. - mormoro, nei deliri della febbre. - Tu sei d'accordo con me, vero? - sbadiglio, prima di lasciarmi cullare dal movimento della macchina e piombare in un sonno pieno di incubi.

Mi sveglio nel mio letto, la pelle mi brucia per la sconfortevole pressione dei jeans e ho la gola secca.
Allie!
Sento dei rumori ovattati venire dalla sala e cerco di chiamarla, ma la voce è troppo debole e capisco che non mi sentirà mai. Non so che altro fare se non allungarmi e prendere il cellulare sul comodino e fare il numero di casa. Sento il telefono squillare ma non risponde nessuno, invece Scott entra in camera.
- Ti sei svegliata, finalmente. - dice, con la voce paziente che si usa con i malati.
Per fortuna Allie non è da sola.
- Che ci fai tu qui? - tossisco.
Mi porge un bicchiere di spremuta, in cui presumo avrà sciolto qualche medicina.
- Sono venuto a dare il cambio a Will: lui ti odia e non poteva rimanere.
Faccio due sorsi con fatica e gli restituisco il bicchiere.
- Perfetto, quando è così lo odio anche io. - Scott mi guarda stranito ma non ho la forza di chiedermi il perché, non vedo l'ora di tornare a dormire. - Grazie per badare tu a Allie. - gli dico, mentre sta uscendo.

Apro ancora gli occhi,
prima di riaddormentarmi avevo avuto la buona idea di sfilarmi i jeans, quindi ora almeno non sento più quella fastidiosa sensazione, ma ho decisamente freddo. Chiamare Scott per farmi aiutare è fuori discussione, quindi mi faccio forza e mi metto a sedere, prendo un bel respiro e mi alzo, andando verso il cassettone. Frugo e trovo un paio di pantaloni della tuta, alzo una gamba e me li infilo lentamente... pessima idea.
La porta di spalanca e se già ero a disagio all'idea che mi trovasse Scott, collassata a terra con i pantaloni mezzi su e mezzi giù con il sedere di fuori, la visione del signor TDC mi fa rimpiangere di non essere del tutto svenuta.
- Oh cielo, non tu, ti prego. - rantolo mentre tento di alzarmi senza risultato, e lui sebbene sia ancora più in imbarazzo di me non fa una piega e mi solleva.
La prima cosa che faccio, una volta appoggiata al letto, è rimediare al disastro e tiro su i pantaloni quasi fino alle ascelle.
- Ti ho sentito cadere. - si giustifica, ma non fa cenno di volersene andare e rimane in piedi a guardarmi. - Devi essere molto debole, vuoi mangiare qualcosa?
Annuisco, ma dovrà passare sul mio cadavere se pensa che lo lascerò imboccarmi.
- Vorrei mangiare a tavola però. - Cerco di rimettermi in piedi e a mio malgrado devo appoggiarmi a lui per non cadere. - Allie? - chiedo.
Parker mi aiuta a sedermi su una sedia in cucina e poi cerca qualcosa in un sacchetto appoggiato al bancone.
- Dorme, sono le nove.
Mia nipote che dorme alle nove? Sto davvero delirando. E forse anche Parker è il frutto della mia immaginazione.
- Scott?
Lo guardo muoversi nella mia cucina, incapace di provare risentimento contro quella allucinazione.
- È a casa, domani mattina vanno delle persone a vedere il vecchio appartamento e lui sta dando una mano a Gabrielle a sistemarlo.
Scalda al microonde quella che deve essere una zuppa di pollo e poi la travasa in un piatto fondo, me la mette davanti e si mette a spremere delle arance.
- E tu perché sei qui, se mi odi? - non sono riuscita a fare a meno di chiederglielo, ma se è un'allucinazione forse non me ne devo preoccupare. Anche se il profumo di questa zuppa di pollo è reale, e anche il brontolio allo stomaco. Lui si è fermato e mi sta guardando, perplesso.
- Cosa?
Accidenti, l'ho proprio lasciato senza parole: ora è certo che è un'allucinazione.
- Me l'ha detto Scott prima: tu mi odi e non potevi rimanere.
La sua espressione si fa ancora più confusa, rinuncia alle arance e si siede di fianco a me.
- Dubito che Scott ti abbia detto così: il venerdì pomeriggio tengo un corso alla NYU, è per quello che gli ho chiesto di sostituirmi. E per inciso: non ti odio affatto. - Ha un modo di dirlo, così serio e determinato, che mi fa sentire in colpa.
- Non mi va più. - dico per cambiare argomento, spingendo leggermente il piatto in avanti: è troppo calda, e inoltre mi sento già più lucida per quelle due cucchiaiate che ho preso: immagino che la febbre si sia abbassata, e stare seduta mi fa bene.
- Mangia, miss Spencer. - mi intima, alzandosi e tornando allo spremiagrumi.
- Hai visto il mio sedere, non ti sembra che puoi passare a chiamarmi Lexie? - gli chiedo, sperando che neghi di averlo visto.
- No.
Ottimo, non so a che cosa si riferisca. Sospiro e prendo un altro po' di zuppa, e quando decide che ne ho preso a sufficienza mi porge due pastiglie e il bicchiere di spremuta.
- Ora vai a casa, vero? - gli chiedo, non vedendo l'ora che se ne vada e allo stesso tempo preoccupata per come supererò la notte da sola. Faccio per alzarmi e tutte le forze che ho racimolato mi abbandonano, facendomi cadere come un sacco di patate tra le sue braccia.
- Non mi sembra il caso, cosa dici?
Mi sento inutile, mentre lui mi solleva agilmente e mi porta in camera da letto. Odio aver bisogno di lui.

Lascio che mi appoggi a letto, spegne la luce e socchiude la porta dicendo che se ho bisogno di lui sarà sul divano.
Aspetto un po', nonostante la debolezza ho dormito tutto il giorno e il sonno non si decide ad arrivare, così cercando di non ripetere gli stessi errori mi alzo molto lentamente per mettere su un dvd. Ho un altro capogiro ma riesco ad afferrare il comò ed evitare di cadere, ma il rumore della custodia del dvd a terra deve averlo messo in allerta perché in una frazione di secondo è di nuovo in camera.

- È un vizio, ragazzina? - dice contrariato, vedendomi piegata e aggrappata al comò.
- Volevo vedere un film. - mi giustifico, abbassando la testa.
- E non potevi chiedermi di prendertelo? - chissà dov'è finito il suo tono cortese, oggi sembra sempre arrabbiato quando mi parla.
- Non volevo disturbare.
Lui sospira e mi solleva di nuovo, ma anziché portarmi a letto si gira e andiamo in sala.
- Mi costringi a tenerti sott'occhio, se ti ostini a fare così. - mi rimprovera. Mi allunga la coperta e rimane in attesa di istruzioni. - Avanti, che film volevi vedere?
Guardare Dirty Dancing con un ragazzo? Cielo, no.
Un attimo, ragazzo? Cosa mi viene in mente di chiamarlo così, lui è un vecchio Testa di Corno.
Mi schiarisco la voce, cercando di pensare a un'alternativa, ma non me ne viene in mente nessuna, e poi ho proprio bisogno di Patrick Swayze in questo momento.
Lui, vedendomi incerta, torna in camera, raccoglie il dvd a terra e torna in sala. Lo mette su e si siede vicino a me, rannicchiata all'angolo del divano.
- Mi sento a disagio, con te qui. - o glielo dicevo, o sarei scoppiata.
Lui mette in pausa e mi guarda, aspettandosi che io continui, ma quello che dovevo dire l'ho detto.
- Posso capire, miss Spencer: non ci conosciamo abbastanza per avermi nel tuo salotto tutta notte.
Cielo, mi fa passare per una puritana: quando ero al college ho fatto cose molto peggiori con ragazzi che conoscevo da molto meno, però è diverso.
- Non si tratta di quello. Ti stai... prendendo cura di me, e io non voglio.
Lui annuisce,
- Non hai smesso un attimo di ricordarmelo, ma cosa dovrei fare? Lasciarti a te stessa? E Alanis?
Lo sapevo, si sente in dovere di rimanere per un suo codice d'onore personale.
- Non sei obbligato.
- Non mi obbliga nessuno, miss Spencer. E adesso guarda il tuo film, se ti da fastidio la mia presenza vado in cucina a correggere i compiti, dove potrò comunque tenerti d'occhio.
Ed ecco che mi fa sentire ancora in colpa, porca miseria.
Cerco di non pensarci e mi tuffo nel mio film preferito, ma questa volta sono completamente consapevole di un'altra presenza in casa, e non riesco a perdermi del tutto.

Qualcuno mi sta chiamando, e dal nome che usa è ovvio che si tratta di Parker.
- Miss Spencer? Ti è salita la febbre, ora ti porto a letto ma prima devi prendere un'altra pastiglia.
Sono troppo stanca e intontita per ribellarmi e faccio quello che lui mi dice, poi quando lui appoggia sul tavolino il bicchiere d'acqua che gli restituisco, gli tendo le braccia perché possa sollevarmi.
- È una piacevole novità vederti così arrendevole. - borbotta, oserei dire divertito ma la febbre come al solito distorce tutto quello che vedo e che sento.
- Non ti ci abituare. - trovo però la forza di dirgli.

Non so se l'ho sognato oppure è successo davvero, ma ho l'impressione che Parker sia venuto a svegliarmi un paio di volte stanotte, per farmi bere e per darmi le medicine, e effettivamente quando mi sveglio a mattina inoltrata sento che la febbre è passata.
Mi alzo, e sebbene mi senta ancora debole non mi prende nessun capogiro così, più tranquilla, esco dalla stanza.
- Ti spezzi ma non ti pieghi, eh? - Sento il suo rimprovero e immediatamente dopo l'odore acre che emana. Mi giro, o meglio emana la sua maglietta. Cerco di non fissare il suo petto nudo, trovando inappropriata più che mai questa situazione. - Immagino che tu non abbia magliette da uomo da prestarmi, vero?
Ok, qualche sbirciata la do.
- Che cosa è successo?
È magro e asciutto, eppure pur non avendo i muscoli sviluppati il suo torace risulta ben sagomato, niente tavola da surf con due etichette circolari come capezzoli, è decisamente il torace di un uomo. E se evitavo di prenderne nota era meglio.
- Allie: sta male anche lei. Adesso dorme, ma mi ha vomitato la colazione addosso.
Non posso fare a meno di ridacchiare, lui così dignitoso con in mano la maglietta piena di vomito.
- Mettila a bagno: vedo se posso trovarti qualcosa.
Torno in camera e trovo una maglietta con il logo del college che penso gli possa andare bene, poi prima di tornare da lui prendo anche un asciugamano. Non ho pantaloni e biancheria da uomo, si dovrà accontentare. - Immagino che ti vada una doccia. - dico, tornando in bagno. Sta arrossendo o mi è tornata la febbre con le sue allucinazioni? - E poi credo che tu possa andare, mi sento meglio.
Lui prende la maglietta e l'asciugamano.
- Smettila. - dice, prima di chiudersi in bagno.

Ha passato la notte in casa mia, ha vegliato su di me e su mia nipote che gli ha vomitato addosso e ancora sono a disagio con lui. C'è da dire che in tutto questo lui si ostina a non volermi chiamare Lexie. Quest'uomo è ridicolo.
Faccio capolino nella camera di Allie e vedo che dorme tranquilla, è calda ma non bollente quindi spero che, anche se gli ha preso lo stomaco, la sua influenza sia meno aggressiva della mia.
Raggiungo la cucina e metto su il caffè, mentre aspetto che scenda mi siedo, già stanca di quel giro della casa, e sento il suo rimprovero.
- Non hai il The. - dice, come se fosse un'eresia.
Devo sforzarmi di non sorridere: con la maglietta del college e i capelli umidi che si arricciano sulle tempie la sua età è decisamente ridimensionata.
- The? Sarebbe? - dico, fingendo di non conoscere quella parola. Lui scuote la testa e prende due tazze.
Dovevo aspettarmelo, io adoro il caffè e lui il The: non potrei trovare una persona con cui sono meno affine.
- Come ti senti? - mi chiede, mettendomi davanti oltre alla tazza di caffè anche una spremuta e una pastiglia.
- Meglio, sono certa che sto guarendo.
- Hai ancora la febbre. - mi informa, - Ma forse dopo aver passato la notte con la temperatura a quaranta gradi adesso ti sembra di volare.
Metto il termometro sotto l'ascella e quando lo sento suonare scopro che ha ragione, segna trentotto gradi. Sospiro, maledicendo la mia debolezza che lo rende così necessario.
Lui beve solo un paio di sorsi e poi si arrende, lasciando lì il caffè che sono tentata di rubargli.
- Cosa hai dato ad Allie? Ha un po' di febbre.
- Solo trentasette e mezzo, finché non sale Pamela mi ha detto di non darle niente.
- Pam? - chiedo, stupita.
Lui annuisce,
- Quando ti ho portata a casa, ieri, non sapevo in che appartamento entrare e l'ho chiamata, siamo rimasti in contatto. E per Alanis ho preferito chiedere consiglio a lei.
La mia Pam, chissà cosa farei se non ci fosse.
Mi stiracchio, sentendo che tornare a letto non mi dispiacerebbe per niente, ma anziché andare nella mia stanza viro verso quella di Allie e mi raggomitolo accanto a lei.

Ho passato l'intero pomeriggio senza febbre e anche Allie sembra sulla via della ripresa, e Parker finalmente ha acconsentito a lasciarci sole.
Averlo in casa oggi, più lucida, è stato ancora più strano di ieri perché per quanto credessi di esserlo ero decisamente intontita dalla febbre e con le difese abbassate: posso solo sperare di non aver detto niente di strano, che il filtro pensiero-bocca non sia stato totalmente fuori uso.
E stranamente anche lui, capendo che stavo meglio, non mi è stato tanto tra i piedi. Alle sei l'ho accompagnato alla porta, ringraziandolo, e quando l'ho visto prendere l'ascensore ho tirato un sospiro di sollievo: i due giorni più imbarazzanti della mia vita.











Nda Ed ecco che William Parker aka TDC prende più forma, in questo capitolo finalmente si capisce un altro pezzettino di questo uomo.  A scanso di equivoci: Scott non dice veramente a Lexie che William la odia, ma i deliri da febbre alta le hanno fatto capire così. A proposito sì, pur senza esagerare ho cercato di rendere la narrazione in linea con il suo temporaneo stato mentale, se noterete la differenza eccovi la giustificazione.
Sto provando una nuova dimensione del testo, perché c'era chi aveva difficoltà a leggere con la vecchia formattazione: fatemi sapere com'è questa, eventualmente posso cambiarla ancora.
E per il banner lassù in alto, semplicemente capita che per ispirarmi mi metto a giochicchiare con le immagini (e JJ Feild è stata una notevole fonte d'ispirazione ♥) e se mi escono decenti le allego alla storia, quindi all'alba del quarto capitolo abbiamo una copertina.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, vi saluto e vi auguro una buona settimana!

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Capitolo 5
*** Paragoni (pt 1) ***


sconvolta


È come per le torte, alla fine di ogni serata, del cheesecake e della torta di mele non rimane assolutamente nulla, della mousse di pesche e della torta di cioccolato ne rimangono delle fette, mentre la meravigliosa torta di mirtilli rimane intatta.
(My  Blueberry Nights)







- Mi ha visto il sedere. - dico a Pam e Beth a bassa voce, per evitare che i clienti in negozio mi sentano. - Non vorrei parlarci mai più, ma ovviamente è l'insegnate di Allie e mi è impossibile.
Beth ridacchia,
- Fortunato lui!
- Ero uno straccio, penso che nessun uomo abbia potuto trovarmi attraente in quelle condizioni.
- Però è stato molto carino. Sembrava preoccupato quando l'ho sentito per telefono, e non ho dovuto nemmeno consigliargli io di rimanere per la notte: lo dava per scontato.
Pam ha la sua lista di priorità e non voglio stare a discutere sul fatto che la sua presenza mi ha messo a disagio. E sì, vista la situazione dall'esterno posso ritenere adorabile la preoccupazione della mia amica per me malata e ovvio come Parker sia salito di qualche gradino sulla sua scala che va da uno a dieci, dove uno è “Vecchio Testa di Corno spara-sentenze” e il dieci ovviamente non può che essere “Noah di Le Pagine della Nostra Vita che legge tutti i giorni alla moglie malata di Alzheimer il racconto della loro storia”.
Però, vista da me, la situazione è un tantino diversa: non solo perché mi sono resa ridicola in tutti i modi possibili di fronte alla controparte di tutte le mie più recenti discussioni, ma si dà il caso che sia anche l'ultima persona al mondo che voglio che mi ritenga ridicola e bisognosa di aiuto. L'uomo che mi giudica, quello che mi ha chiamato ragazzina: le sue parole mi hanno umiliato, nonostante io sappia che sto facendo di tutto per fare le cose bene, ha il potere di farmi sentire in difetto. Come posso non voler cancellare dalla mia mente questo catastrofico week end?

Beth si solleva dal bancone della cassa, dove si è appoggiata.
- Beh, ragazze, è arrivato il momento dei saluti. Pam: quando il pupo nascerà voglio sapere tutto, ricordati di mandarmi un messaggio, ok? - La stringe, facendo attenzione a non schiacciarle la pancia. - E Lexie... - Passa a me, stritolandomi. - Non ti preoccupare, ho dato istruzioni al mio sostituto perché si prenda cura di te: non sentirai affatto la mia mancanza, fidati. - dice, strizzandomi l'occhio.
Sono contenta per lei, ma chiunque sia il suo sostituto ha torto: mi mancherà un sacco.
- Ed eccolo, in perfetto orario: bravo Drew, complimenti. - dice, rivolgendosi al ragazzo che è appena entrato in negozio con in mano una tazza di caffè.
Ok, non sentirò affatto la mancanza di Beth. Do una leggera gomitata a Pam, che rischia di sbavare, e sorrido radiosa al nuovo arrivato, sperando che non noti che ho il naso ancora arrossato per via del raffreddore.
- Questo è per Lexie, - dice porgendomelo, sicuro come se Beth gli avesse fornito una mia foto con sotto la didascalia “dipendente da caffeina”. - Non sapevo che ci sareste state anche voi, vado a prendervi qualcosa?
Beth tira Pam per il gomito.
- Io me ne stavo andando, e anche lei: fa il turno del pomeriggio. Ricordati: per la mammina niente caffeina, ma solo spremute d'arancia e tisane. - gli impartisce le ultime lezioni mentre spinge Pam fuori dalla porta. - Ciao Lexie, chiamami! - dice poi, lanciandomi un ultimo bacio.

Rimasti soli guardo Drew e capisco che è sciocco presentarmi, dal momento in cui già conosciamo i rispettivi nomi.
- Ho un conto aperto, pago una volta alla settimana. - lo informo, pensando che sia ancora qui perché aspetta di essere pagato, ma lui sfodera un sorriso che mi fa tremare le ginocchia.
- Lo so, ma Beth mi ha detto che questo è un posto tranquillo dove passare la pausa senza essere disturbati, spero non ti dispiaccia.
- No. - squittisco, nascondendomi dietro al caffè.
Lui si guarda intorno, e io guardo lui: è come se qualcuno avesse preso nota delle mie preferenze e lo avesse confezionato per me. Alto come Parker ma sicuramente più muscoloso. I capelli sparano in tutte le direzioni, ingellati, e ha un piercing sul labbro che mi fa battere il cuore solo a guardarlo.
Molto bene, Drew, benvenuto.
Sono contrariata per aver pensato un attimo a Parker paragonando le loro altezze, ma forse sono ancora i residui della febbre o la gentilezza che, nonostante tutto, ha dimostrato mentre si prendeva cura di me; e forse perché è stato il primo uomo che vedevo a petto nudo dopo un bel po' di tempo.  Mi consolo però, sicura che Drew spazzerà questi malsani rimasugli di pensieri via dalla mia mente. Si gira, sorprendendomi a guardarlo, e mi fa l'occhiolino.
- Quanti anni hai?
- Ventidue. - dico sicura.
So già dove vuole andare a parare e quindi non mostro un minimo di esitazione quando, dopo avermi restituito lo sguardo lusinghiero mentre mi studia per benino, mi chiede: - Ottimo, volevo invitarti a bere qualcosa.


Andiamo a fare l'aperitivo il giorno dopo, e scopro che nonostante l'aspetto più giovanile ha ventotto anni, uno in più di Parker.
Non è male uscire di nuovo con un ragazzo, Allie è con la famiglia P, Pam e Paul, e non ho nessuna fretta di andare a casa; ma chiacchierando sento chiaramente che, al di là dell'esperienza in sé per sé, questa serata non è per niente come me l'ero immaginata: è come se mancasse qualcosa.
Una certa continuità nelle chiacchiere non certo carente per il desiderio di fare colpo, anzi; brivido inesistente.
Non che Drew non sia un bel vedere, a rischio di ripetermi è esattamente il mio ideale di ragazzo; ma forse proprio per questo ero un po' troppo carica di aspettative e invece mi ritrovo a captare ogni movimento che fa verso di me, come se rispettasse un copione che ho già letto, con un effetto finale decisamente tiepido.
Drew almeno non è come la maggior parte dei ragazzi del college con cui ero uscita, impazienti di concludere la giocata: non mi fa pressioni e tutto sommato lo posso definire galante, prende le cose per la lunga ma non eccessivamente, mi dà il bacio della buonanotte e ci salutiamo dicendoci che dovremmo rivederci al più presto.

Quando suono al citofono e non mi risponde nessuno mi faccio prendere dal panico, ma prendendo il telefono pronta a chiamarli e a scoprire chissà qualche disgrazia, leggo il messaggio di Pam che mi avvisa che sono tutti da Scott.
Scommetto che invitarli è stata una sua mossa per tirarli dalla sua parte, penso già pianificando un modo per poter stuzzicarlo, e suono il citofono. Mi risponde lui, invitandomi a correre su: mi aspettano con una birra ghiacciata e vogliono sentire tutti i dettagli; salendo rido tra me e me paragonandolo, nella nostra strana famiglia allargata, a un fratello maggiore. Beh, non di quelli gelosi, è ovvio.
Hanno lasciato la porta socchiusa e non appena la apro Pam, che mi aspettava in corridoio curiosa come una scimmia, mi investe:
- Allie si è addormentata, non può sentire quindi non ti risparmiare: come è stato baciare uno con il piercing?
- E chi ti dice che l'ho baciato? - ridacchio, ma dal suo sguardo capisco che non è prudente tenere sulla corda una sotto effetto degli ormoni della gravidanza. - Ok, l'ho baciato. - dico a voce abbastanza alta perché mi sentano anche Paul e Scott, in sala. - Ma giusto per essere chiari: poteva andare meglio, anche se è un figo spaziale.
Mi prende sottobraccio, soddisfatta, e li raggiungiamo,
- È decisamente un bel esemplare. - dice, e suo marito si ribella.
- Ehi! - dice, tirandosela coraggiosamente sulle ginocchia nonostante ora non sia più un peso piuma.
- Amore mio, anche tu sei bello: non temere. - mentre lei lo tranquillizza io per l'ennesima volta mi rendo conto che prima di urlare devo informarmi su chi sia presente: Parker è lì, e ha sentito tutto.
Sono a disagio perché non abbiamo abbastanza confidenza per certi discorsi, e lui deve pensarla allo stesso modo perché non mi rivolge nemmeno uno sguardo.
- Quindi lo rivedrai? - chiede Scott, curioso, mettendomi una birra in mano.
- Non lo so. - la mia esuberanza si è sgonfiata come un palloncino e spero che si parli presto di altro.
- Venerdì tu e la ranocchietta venite a cena da noi? - mi chiede Paul, traendomi d'impaccio.
- Non ci siamo: la porto da mamma e papà nel pomeriggio, venerdì danno l'anteprima dell'ultimo cartone della Pixar e loro ci tenevano a portarla.
- Week end libero: quindi lo rivedrai, eh? - ripete allora Scott, con un tono malizioso che questa volta mio malgrado mi fa scoppiare a ridere.
- Cretino...

La Fitzpatrick mi ha chiesto di fare il turno di sabato mattina e dal momento che non ho Allie non ho motivi di rifiutarmi: mi sento in colpa perché non posso darle più disponibilità di quanto faccia, tra un po' Pam starà a casa per la maternità e sarà costretta ad assumere qualcun altro; così quando posso mi fa piacere aiutarla.
Dopo una prima ondata di clienti che mi fa quasi sudare freddo, la calca diminuisce e riesco ad occuparmi meglio dei pochi clienti che entrano.
Ormai riesco ad inquadrarli abbastanza bene, quelli che vogliono un consiglio, quelli che vogliono chiacchierare e quelli che vogliono prendere nota della mia esistenza solo al momento del pagamento: i presenti fanno quasi tutti parte della terza categoria, tranne forse il ragazzo che sta guardando la sezione dei romanzi stranieri.
Decido di provare a vedere se ho ragione, esco dalla cassa e mi avvicino a lui.
- Ha bisogno? - gli chiedo.
Lui si volta,
- Pensavo avessimo deciso di darci del tu.
Parker.
Spalanco la bocca, sorpresa nel trovarmelo davanti e in qualche modo sentendomi in difetto per non averlo riconosciuto.
- Scusami, non mi sono accorta che eri tu. Hai visto qualcosa che ti interessa?
Lui soppesa la mia cordialità ma è logico: in questo momento è un cliente e lo devo trattare come tale. Ammetto che per qualche strano motivo sono più imbarazzata del solito e anche lui non è da meno, infatti mi risponde, impacciato:
- Leggevo qualche trama. Mi consigli qualcosa?
In effetti abbiamo tutti i motivi di sentirci imbarazzati: prima passa il week end a occupasi di me e di mia nipote, senza contare tutti i vari incidenti primo tra tutti quello dei pantaloni; poi quando lo rivedo io esordisco raccontando a tutti che ho limonato con uno e non ci rivolgiamo la parola tutta sera.
- Non conosco i tuoi gusti. - ammetto, candidamente.
- A te cos'è piaciuto?
La domanda mi prende alla sprovvista, non voglio nominare Odissea D'argento per non rievocare quella disastrosa prima serata, così dopo un'occhiata veloce allo scaffale pesco uno dei miei libri preferiti, sentendomi stupida perché di sicuro lo conoscerà a menadito.
- Sicuramente l'hai già letto, ma se ti è piaciuto posso consigliarti qualcosa del genere...
Lui prende il libro, girandolo con attenzione.
- Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare? - chiede, dubbioso. E lo capisco al volo, dal suo tono e da come guarda la copertina, non l'ha letto: e potrò capire molto di lui quando mi dirà se gli piace o meno.
- Se non lo conosci, prendilo. - dico, senza esitazione.
Lui annuisce, attento, e quando lo vedo leggere la trama mi allontano, andando in cassa a far pagare un cliente che girava da stamattina e finalmente si è deciso.
Non appena lo saluto compare Parker, dietro di lui, che appoggia sul banco della cassa il libro. Noto che è il tipo che ne prende uno alla volta: loro soppesano la scelta che assume sempre un significato, ho imparato a rispettarli. Per fortuna non è il classico negozio che fa ai dipendenti pressioni sullo scontrino medio, per niente al mondo cercherei di cambiarli: quelli che escono con le pigne di libri inevitabilmente ne avranno uno nel mucchio che finirà dimenticato.
- Fammi sapere cosa ne pensi. - dico per riempire il silenzio, mentre batto lo scontrino.
- A che ora stacchi?

- Cosa? - il rumore della cassa ha coperto la sua domanda, non sono sicura di aver capito bene, o forse non so perché me lo abbia chiesto.
- È quasi ora di pranzo, credo che mangerò fuori e se stai per finire ti aspetto.
Oh, la solita cortesia. Cielo, ma quest'uomo fa mai qualcosa che gli vada di fare o si attiene sempre al suo rigido codice di comportamento?
- Manca un'ora e mezza. - gli rispondo, sperando di scoraggiarlo, ma lui sventola il libro, facendomi intendere che ha il modo di occupare il tempo.
- Ci vediamo da Starbucks?
Non sapendo che altra scusa inventarmi annuisco, sperando che non si riveli un pranzo d'inferno.
Quando esce tiene la porta aperta per fare entrare qualcuno, e quel qualcuno è Drew che mi dedica uno dei suoi sorrisi.
Deve aver finito il turno perché non ha la divisa, ma non è venuto a mani vuote.
- Ecco a te, piccola, scusa il ritardo: è stata una mattinata splatter, un bagno di sangue in caffetteria.
Stappo il coperchio e annuso l'aroma celestiale.
- Non dirlo a me, se fossi venuto un'ora fa non me ne sarei nemmeno accorta.
- Riposati oggi pomeriggio: non vorrei che stasera usi la scusa che sei stanca e mi dai buca.
Mi strizza l'occhio e in tutta risposta gli faccio la linguaccia:
- Ci sarò.
Forse al primo appuntamento non abbiamo fatto scintille, ma non era un buon motivo per smettere di flirtare con lui, e il suo bel faccino è di sicuro un bel motivo per dargli una seconda possibilità.











Nda Nella vita di un'autrice che rende pubblico il suo lavoro ci sono innumerevoli motivi di paranoie: nella mia, per come sono fatta, ce ne sono sicuramente una valanga. Non sto a spiegarvele perché non interessa a nessuno, ma ho rivisto la suddivisione dei capitoli che avevo fatto per le parti non ancora pubblicate, volevo provare a creare delle divisioni più ristrette ovvero capitoli più brevi; potete farmi sapere cosa ne pensate dell'attuale lunghezza, as usual qui si procede per tentativi ed errori ;-) a presto, non prometto niente ma se riesco a revisionarlo potrei pubblicare un capitolo infrasettimanale! (Il termine è corretto perché la mia settimana va dal mercoledì al lunedì u_u)

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Capitolo 6
*** Paragoni (pt 2) ***


sconvolta


Molta gente non sa che l'occhio umano ha un angolo cieco nel suo campo visivo. C'è una parte di mondo che noi non possiamo letteralmente vedere. Il problema è che certe volte gli angoli ciechi ci impediscono di vedere cose che non dovremmo assolutamente ignorare. A volte invece sono proprio gli angoli ciechi a dare felicità e contentezza alla nostra vita.
(Grey's Anatomy, S03E08)







Con disappunto posso staccare il turno in perfetto orario, così mi faccio coraggio e raggiungo Parker da Starbucks. Non so che cosa aspettarmi da questo pranzo, il solo fatto che abbia avuto l'insana idea di propormelo mi lascia allibita: non siamo amici e tra alti e bassi i nostri rapporti sono comunque stati sempre abbastanza freddi, un passo avanti e due indietro. E ora poi siamo nella fase dei “due indietro”, come gli è venuto in mente?
Lui, non appena mi vede entrare, chiude il libro e viene verso di me.
- Immagino che tu conosca un posto nelle vicinanze? - mi chiede.
A dire la verità no e inoltre non voglio correre il rischio di portarlo in un bistrot quando lui in realtà intendeva un chiosco degli hot dog, anche se potrei scommettere che Mr Precisino non abbia mai mangiato un volgare hot dog in tutta la sua vita; così preferisco delegare a lui la scelta.
- Non mangio mai in questa zona, quindi scegli tu. - gli dico, facendogli cenno di precedermi.
Camminiamo per un isolato ed entriamo in un piccolo ristorante italiano, di quelli con la tovaglia a scacchi bianchi e rossi che hanno come piatto forte la pasta alla bolognese, e mentre mi siedo domandandomi ancora il motivo dell'invito lui se ne esce, secco:
- Mi dirai mai cosa vuol dire signor TDC?
La mia faccia deve essere diventata ancora più rossa dei riquadri della tovaglia, - Scusami? - deglutisco.
Il suo volto invece non tradisce un'emozione.
- Mi hai chiamato così, quando avevi la febbre. - spiega.
Mi copro la faccia con le mani, desiderando ardentemente scomparire.
- Non vuoi saperlo. - dico con un filo di voce, - Fidati.
Non reagisce granché, ne prende atto e apre il menù.
- Come immaginavo. - dice, semplicemente.
Ora penserà al peggio, e mi trovo costretta a svelargli il simpatico nomignolo che si è beccato prima ancora che lo conoscessi di persona:
- Testa di Corno, - gli rivelo mortificata, - vuol dire Testa di Corno. Non pensare male, indica che... sei molto testardo. - tergiverso. - E comunque non ti chiamo mai così in presenza di Allie. - aggiungo in fretta. Senza contare quella prima volta in cui ho coniato il soprannome, ma non c'è motivo di specificarlo.
Lui solleva impercettibilmente un sopracciglio.
- Curioso, detto da una delle persone più testarde che io abbia mai conosciuto.
Spalanco gli occhi,
- Io, testarda?
- Continuavi a rischiare di svenire pur di non chiedermi aiuto.
Mi nascondo nel menù, colta in fallo, e mi chiedo cosa sia cambiato in quest'ora: prima eravamo imbarazzati ma tutto sommato era gentile, adesso invece è molto freddo, distante.
Credo che usi il suo tono cortese come un'arma, che regola a seconda del suo interesse nell'interlocutore; adesso come adesso, nonostante sia stato lui a invitarmi a pranzo, a giudicare da quello non occupo una postazione molto alta nella sua scala.
Vengono a prendere le nostre ordinazioni e ci portano prima da bere e poi da mangiare senza che uno di noi abbia spiccicato mezza parola, cosa che mi rende ancora più a disagio: mi sto accorgendo che per qualche strano motivo ho bisogno dell'approvazione di quest'uomo, prima lo accetto con me stessa e prima, forse, la smetterò di contrariarlo per il solo gusto di farlo. Non che non sia divertente farlo, e spesso ho ragione, ma devo ammettere che è una persona diversa da me, con delle idee e dei gusti diversi dai miei, e comportarmi di conseguenza: dobbiamo imparare a convivere, fintanto che Allie sarà sua alunna, senza volerci imporre a vicenda.

- Alanis è fortunata ad avere una zia come te. Io ti stimo molto, non insinuare il contrario. - dice, rompendo il silenzio tutto d'un tratto.

La polpetta che stavo per addentare cade giù dalla forchetta, rotola nel piatto e mi finisce addosso macchiandomi la maglietta.
- Perché mi dici questo? - balbetto, fingendo una tranquillità che non ho mentre cerco di pulirmi.
- Un'altra cosa che mi hai detto quando avevi la febbre, volevo metterlo in chiaro. Così come non ti odio.
- No? - mi trovo a dirgli con un filo di voce, titubante. Non so se mi disorientano di più le confessioni che non ricordo di avergli fatto, o invece le sue risposte adesso.
- No. - continua lui, i suoi occhi che non riesco a reggere fissi su di me. - Se lo vuoi sapere, ogni tanto mi rendi nervoso, non so mai come comportarmi con te.
Non riesco definitivamente più a guardarlo, non riesco a sollevare lo sguardo dal piatto né a spiccicare una mezza parola: io lo rendo nervoso? Lui non sa mai come comportarsi con me? E cosa dovrei dire, io?
Mi sento le guance in fiamme e il cuore che mi rimbomba nella cassa toracica.
Il pranzo va a rotoli, ancora più di prima: almeno era un silenzio dignitoso, invece adesso continuiamo a cercare di fare conversazione con scarso risultato, e io faccio cadere qualsiasi cosa tocco. A un certo punto tutti e due capiamo che è meglio tornare al fidato silenzio, e in tutto questo non ho ancora avuto il coraggio di guardarlo in faccia.
Questo William Parker è l'unione delle versioni che ho conosciuto prima: l'inquietante maestro che non si sbilancia mai a mostrare emozioni e il fratello un po' strano di Scott, che spiavo mentre spiegava a mia nipote la logica del sistema di gravità e dell'equilibrio applicati a degli strumenti di lavoro, con una calma e una serietà che mi hanno trasmesso una piacevole sensazione che non sono riuscita a dimenticare, nonostante i nostri trascorsi. O quello di cui ho vaghi ricordi, mentre si prendeva cura di me con una premura dignitosa.
È stato facile interpretarlo male quando l'ho conosciuto, ma è anche vero che lui non facilita certo il desiderio di provare a vedere al di là di quello che mostra di sé; e in mia discolpa posso anche dire che a ogni opinione positiva che mi provocava nel giro di poco ne seguiva una altrettanto negativa. Qualche volta sono riuscita a intravvederlo veramente sereno, come prima in libreria, anche se imbarazzato dava la sensazione di una versione più aderente a sé stesso, ma sommato a tutti i pregiudizi contrastanti che mi sono fatta su di lui, il risultato è che non sono riuscita a cavarne un ragno da un buco. Questo pranzo stesso, impacciato e catastrofico, è l'esatto riassunto della teoria su quanto siamo incompatibili: anche in territorio neutrale non possiamo fare a meno di scontrarci con le nostre diversità ed entrambi ci riduciamo al silenzio, un'amicizia tra di noi è letteralmente impossibile.
E come se non bastasse, le sue ultime criptiche parole rimbombano nella mia testa.
Finiamo di mangiare con lo stesso livello di comunicazione, verbale e non, di due persone sedute l'una di fronte all'altra in metropolitana, totalmente a disagio cerco addirittura di fare il più silenzio possibile appoggiando il bicchiere accanto al piatto vuoto. Non credevo potesse andare peggio di così, ma decreto il dong del mio imbarazzo massimo quando, mentre cerchiamo di alzarci insieme dal minuscolo tavolino e di girargli intorno per andare alla cassa, gli finisco addosso. Sono bloccata tra lui e il tavolo, non so come uscirne e adesso, davvero, vorrei sprofondare.
- Non sei un gatto a cui è stato affidato il compito di crescere un pulcino.

La sua voce mi arriva piano, quasi un soffio, e quando sollevo la testa per una frazione di secondo penso quasi che stia per baciarmi. No, la mia è sicuramente un'idea sciocca, eppure siamo qui, uno addosso all'altro, e lui non da segno di volersi spostare. Quando gli ho dato il libro ho pensato che la sua reazione mi avrebbe aiutato a capire qualcosa di lui: la cosa che mi ha appena detto rivela decisamente molto.
Annuisco, intimidita dal suo sguardo, sperando di non mettermi a piangere proprio adesso: ogni volta che penso di aver toccato il fondo va sempre peggio.
- Tutto sommato non sei male come insegnante, sai? Leggi bene le persone. - gli concedo, divisa dalla forza di quella scoperta, che lui mi abbia davvero letto come un libro aperto, e la sensazione dovuta dalla posizione in cui ancora siamo, che stia per baciarmi da un momento all'altro. Persino il mio corpo è confuso e non sa come reagire: il cuore mi batte, il respiro è poco più di un accenno e gli occhi mi pungono. Finalmente fa un passo indietro e mi lascia libera,
- Non sempre. - dice, lasciandomi sola a infilarmi il cappotto mente lui va a chiedere il conto.

- Quando vai a prendere Alanis? - mi chiede, e io mi domando se non mi stia invitando fuori stasera. Mi ero messa d'accordo con Drew, sarebbe un bel problema.
- Domani a mezzogiorno. - dico, titubante: ora mi chiederà di uscire, e io non so come rispondergli. Non so neanche come gli avrei risposto se effettivamente non avessi avuto impegni.
- Mi piacerebbe invitarvi a cena, domani. Alanis è molto brava nello spelling ma in classe si intimidisce spesso: vorrei capire se è in grado di partecipare al concorso cittadino.
La mia prima reazione è di orgoglio per mia nipote, poi mi rendo conto che mi aspettavo un appuntamento e non è altro che un interesse puramente professionale.
- Va bene, a che ora? Mi dai l'indirizzo?
Mi scrive la via sul retro dello scontrino del ristorante,
- Venite per le sette.

Arrivo a casa intontita, mi chiudo la porta dietro alle spalle e lascio scivolare giacca e borsa a terra.
Non so cosa mi stia prendendo: perché ho così difficoltà a interpretare William e perché ho continuato a pensare che stesse succedendo qualcosa.
Sentendo il bisogno del rilassamento estremo preparo la vasca da bagno e accendo un paio di candele profumate. Ho bisogno di parlarne con Pam, ma questa volta, prima di chiamarla, devo assolutamente mettere in ordine le idee: per quanto possa darmi della cretina c'è stato un momento un po' equivoco al ristorante, ed è normale che ho pensato stesse per baciarmi. Non implica che lo volesse fare né tanto meno che lo volessi io.
E quando ci siamo seduti, al contrario, era così distante; proprio prima invece di dirmi tutt'altro. Mi stima. Scivolo nella schiuma e metto la testa dentro l'acqua, perché il mio pensiero rimanga intrappolato lì: cosa vuol dire che lo rendo nervoso?
Non sono pronta a chiamare Pam, telefono invece alla mamma per sentire la voce di Allie, e poi mi preparo per uscire con Drew, mio malgrado continuando a chiedermi cosa avrei fatto se Parker mi avesse chiesto di uscire, con la mia insistenza in quei pensieri come ovvia risposta implicita.

Drew è perfetto: ogni parola che ha detto stasera, ogni sorriso che mi ha fatto, ogni sguardo che mi ha lanciato, è perfetto. Dannatamente perfetto, così tanto che vorrei urlare dalla frustrazione, perché non sono capace di godermelo e continuo a sentire la mancanza di altri modi, di altri accenti nella sua voce. Continuo a fare finta di niente, sperando di sbloccarmi nel corso della serata, ma va sempre peggio perché ad un certo punto arrivo quasi alle lacrime al pensiero che non è lui. Drew mi accarezza la mano,
- Sei nervosa?
Inizialmente annuisco, e poi scuoto la testa.
- No, Drew. Scusami ma... non sono nervosa. Tu sei perfetto e io non sai quanto invece non lo sono. Ho una figlia, cioè non è mia, l'ho ereditata ma a questo punto è come se fosse mia: l'impegno è lo stesso. Tu non sai quanto vorrei proporti di prendere quello che possiamo, vederci quando lei non c'è o posso lasciarla a qualcuno, non sai quanto mi servirebbe tornare ad avere ventidue anni ogni tanto.
Drew mette insieme i puntini.
- Ma non sei nervosa. - dice. E forse, dopo la mia confessione su Allie, è sollevato che sia così.
Sbuffo, frustrata:
- E tu sei così perfetto...
Ridacchia,
- Piccola, anche tu sei uno schianto. Lasciamo le cose come stanno, io ti porto il caffè tu fai finta di essere felice di vedere me e non per il caffè, ok?
Annuisco, grata che abbia capito.
Prendo la mia borsa e usciamo dal locale; Drew, dopo che passo cinque minuti a cercare di abbottonarmi, è costretto a farmi notare che ho il cappotto a rovescio, ma a parte quello finisce tutto bene. Mi riaccompagna a casa e non cerca di baciarmi, si limita al suo irresistibile occhiolino.
- E se qualche volta vorrai sentirti di nuovo ventidue anni... dimmelo, ok?
Lo saluto ed entro in casa. È tardi per chiamare Pam e le scrivo un messaggio criptico, riassumendole quando io sia pazza, lei non resiste e mi chiama. Le dico di Drew, e alla fine ammetto di essere confusa riguardo a Parker. La notizia la prende alla sprovvista, ma non come mi aspettavo.
- Due motivi. - mi dice, quando le chiedo spiegazioni, - Il primo è che nessuno rifiuterebbe una notte di sesso bollente con Drew se non avesse in mente qualcun altro. E il secondo... non dirlo a Paul o gongolerà come un pazzo perché se ti ricordi vi aveva organizzato un appuntamento al buio, ma insieme avete qualcosa, non so se vi porterà da qualche parte o no, ma è ben visibile.
Evito di specificarle che non ho propriamente in mente qualcun altro, perché ho capito che cosa intende: mi do ancora della stupida per non essere sotto alle lenzuola con lui, adesso, ma proprio non ce la facevo.











Nda William Parker è incomprensibile, lo so. Anzi, nella prima stesura di queste scene era ancora più intelleggibile, ho voluto parlare di questo momento filtrando tutto con la confusione e le emozioni contrastanti di Lexie, lei per prima non lo capisce e non capisce come, diciamoci la verità, abbia un po' desiderato che la baciasse, come ci è arrivata, e ho voluto che fosse così anche per chi legge.
E William... renderlo ancora più comprensibile di quanto mi sono concessa sarebbe stato snaturare il suo personaggio, perché ad oggi lui è stato abbastanza insondabile e Lexie lo capiva ancora meno.
Sono curiosa di sapere quindi cosa ne pensate, se il mio tentativo è fallito miseramente o se avete capito qualcosa... A martedì! 

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Capitolo 7
*** A casa di William ***


sconvolta


Perché per una donna le parole hanno un peso, non sono leggere come per un uomo. Una donna ci crede alle parole, soprattutto quando è un uomo a pronunciarle, solo a lei.
(Alessandro D'avenia, Cose che nessuno sa )








Allie accoglie bene la notizia che andremo a cena dal suo maestro, e per tutto il tragitto non fa che sprizzare gioia da tutti i pori. Quando siamo a casa la devo rallentare, vorrebbe già prepararsi, la distraggo con la proposta di andare a cercare una pasticceria aperta per prendere qualcosa da portare stasera. Lei è indecisa tra la Red Velvet e una torta di frutta e panna, io invece non riesco a togliermi l'idea che una torta di mele sarebbe più apprezzata. La prendo alla lontana e riesco a convincerla, così usciamo dalla pasticceria con il nostro dolce, entrambe soddisfatte.
Ripenso al pranzo di ieri, alle sue parole, a quel momento così innocuo e insignificante, lo so, che io ho trasformato nella mia mente in un quasi bacio. E il pensiero mi confonde: è da stamattina che ho in mente un'idea e solo al pensarci mi sento stupida.
Cerco di cancellarla, ma come un piccolo tarlo non se ne va e continua a tornare: non devo farmi beccare da Allie perché mi farà domande, magari davanti a Parker, e morirei di vergogna: non so cosa potrebbe pensare di me.
La spedisco in bagno e almeno dieci volte mi alzo, per tornare seduta a tamburellare le dita sul tavolo della cucina, nervosa. Ma che mi prende?
- Zia! - mi chiama e sussulto. - Posso mettermi il maglione giallo?
- Ok! - le do il permesso, e dopo aver controllato l'orologio capisco che è arrivato il momento che mi prepari anche io.
Sono una sciocca, dicevo tanto a Drew che volevo sentirmi ventiduenne ma la realtà è che lo sono, sono una ragazzina come Parker mi ha detto più di una volta, che cosa vado a pensare?
Mi alzo, ma prima di andare a fare la doccia prendo il dvd di Come d'Incanto e lo nascondo ben in fondo alla mia borsa.

Quando esco dalla camera vorrei tanto chiedere ad Allie come sto, ma ho paura che potrebbe capire qualcosa con l'intuito iper sviluppato tipico della sua età e mettersi a fare castelli in aria, quindi mi accontento di guardarmi nello specchio dell'ingresso.
- Come sei bella, zia!
Mi giro e la trovo accanto a me, che guarda il mio riflesso.
Mi sono cambiata dieci volte, adattando la filosofia di Chanel e togliendo ogni cosa che mi sembrava troppo elegante o vistosa; e alla fine ho scelto un paio di jeans e un maglione in cachermire aperto sul davanti che ho allacciato con una cintura.
Prendo la borsa e mi infilo la giacca, Allie è già pronta ad andare ed è lei a ricordarsi della torta.
Mi tremano le gambe. Per tutto il tragitto non faccio che inciampare nei miei stessi piedi, il dvd nella mia borsa pesa come fosse un macigno e la presenza di Allie mi innervosisce ancora di più. Lei mi guarda, ogni tanto, ma deve essersi abituata all'impiastro che ha per zia perché non fa commenti.
Arriviamo con il mio tipico tempismo, lascio ad Allie il compito di aprire il portone del palazzo e farmi strada mentre io mi aggrappo con metodica attenzione alla torta: se non mi do una calmata la più presto cadrà, me lo sento. Cielo, perché c'è Allie qui con me? Non che non la vorrei, ma se ci fosse Pam potrei sfogarmi e lei saprebbe cosa dirmi per calmarmi; ora mentre l'ascensore sale sono tesa nello sforzo di mantenere un contegno impeccabile quando dentro sto esplodendo.

Parker apre la porta e succede qualcosa: il mio battito rallenta, riesco a sorridere e ad affidargli la torta senza fare danni.
- Siete puntuali. - dice, probabilmente per fare conversazione mentre prende le nostre giacche.
- Chissà perché lo dicono tutti con tono stupito, eh, Allie?
- Lo dicono a te, zia.
Ottimo, perfino lei mi tratta come una ragazzina: siamo a posto.
Mi guardo intorno, la casa è piccola ma progettata bene, si entra direttamente nel soggiorno che si snoda ad elle intorno alla cucina, al lato opposto due porte che condurranno sicuramente alla zona notte e al bagno. Alla mia sinistra c'è una scala a chiocciola, e notando che la sto guardando Parker mi spiega:
- C'è un sottotetto.
Annuisco e li seguo in cucina, più tranquilla ma non meno impacciata. Al mio posto ha messo una bottiglia di birra, non posso fare a meno di ringraziarlo con lo sguardo per la piccola premura: gesti che sembrano ovvi quando siamo circondati dalla famiglia, Paul ne ha sempre una per me anche quando stappa un ottimo vino, ma che assumono un altro significato quando li notiamo da parte di qualcuno che in teoria non ci conosce così bene.
Ci sediamo e scelgo di passare la serata a fare l'ospite silenziosa: sono molto più spigliati tra di loro, quando non devono cercare di coinvolgere me; e lo stesso non si può dire invece di me e lui, per cui è la soluzione migliore per tutti. A parte quando Allie non decide che è arrivata l'ora di mettermi in ridicolo e svelare tutti i nostri segreti.

- Così la zia guardava il signore della banca facendo finta di non avere la maglietta sporca di succo, e lui alla fine ha fatto finta anche lui. - racconta, e se non fosse la mia adorata nipotina a quest'ora avrebbe già ricevuto un calcio sugli stinchi.
- Basta, Allie. - intervengo, - Il signor Parker ha già avuto modo di vedere che tendo ad essere
un po' maldestra. - lo vedo cercare di trattenere una risata, miracolo, e lui e Allie si scambiano uno sguardo d'intesa, decidendo silenziosamente di cambiare argomento.
- Mi fai vedere il gatto? - chiede, e sono quasi tentata dal dirle di continuare a raccontargli le cazzate che faccio.
- È allergica? - si informa Parker, per sicurezza.
Scrollo la testa,
- Niente allergia, sono io che non ci vado d'accordo.
E infatti, non appena va ad aprire la porta delle camere dove l'aveva confinato, il gatto punta dritto in cucina e poi su di me, captando che è l'ultima cosa che voglio: sono bestie proprio stronze.
- Su, vai da Allie, gattino. - gli dico, cercando di sfilare le sue unghie dal maglione con cui se la sta prendendo. -
Forza, gattino!
Parker interviene.
- Se le parli così, non la farai mai calmare. Vieni, Elisa.
Me la prende di dosso e la bestia diventa immediatamente mansueta: si mette addirittura a fare le fusa e giurerei che mi ha scoccato uno sguardo di sfida. Va a finire in braccio ad Allie, mentre Parker prepara il secondo e io decido di rompere il mio stato di ospite soprammobile, offrendomi di dargli una mano.
È stato rilassato fino ad ora, ma percepisco chiaramente che non vorrebbe avermi intorno mentre cucina, solo che è un po' dura tirarmi indietro adesso, così inizio a sparecchiare i piatti del primo cercando di non stargli tra i piedi.
- Posso andare a giocare di là con Elisa? Qui non c'è abbastanza spazio.
- Non abbiamo finito di mangiare, Allie: dopo. - mi viene istintivo dirle, indaffarata.
Lei sembra voler iniziare la cantilena del “ti prego”, e mi fa gli occhioni a cui non riesco a dire di no, ma essendo che siamo in presenza di Parker mi costringo a non guardarla finché è lui a capitolare.
- Hai mangiato abbastanza?
I suoi occhi brillano ora, passando in modalità “ce l'ho fatta”.
- Sì! E avevo mangiato tanto già dalla nonna!

Adesso è lui a guardarmi e io so che la facoltà di accordarle il permesso spetta a me, avendoglielo negato prima, ma lui è d'accordo.
Cielo, saremmo una coppia di genitori incredibile.
- Vai. - dico, arrossendo per il pensiero fuori luogo.
Lui mette l'insalata in tavola, sorpreso.
- Pensavo realmente che tu fossi troppo indulgente, e invece a modo tuo le regole le fai rispettare.
- Vedi? - assumo un'espressione soddisfatta.
- Alcune, - aggiunge in fretta lui. - per esempio non quella di mandarla a letto quando sarebbe ora. - Stringo le spalle, mi ha beccata. - E... siamo ancora in disaccordo su un paio di punti, giusto?
- Possiamo evitare di parlarne, stasera? - gli chiedo, e gli prendo un piatto di mano, mettendolo sul tavolo. Mi giro, per andare a prendere anche l'altro e permettergli di pensare al vassoio con il tacchino, ma sfortunatamente lui era già verso il tavolo e gli vado addosso, facendo volare per aria vassoio, tacchino e tutto quando. E noi siamo ancora nella stessa posizione di ieri, io tra lui e il tavolo senza che nessuno dei due faccia niente per raccogliere il disastro che c'è a terra. - Scusa. - dico sommessamente, impedendomi di deglutire: sapendo perfettamente cosa potrebbe leggere da quel gesto istintivo.
- Non è niente.
Mi sta guardando, questo non me lo sto sognando: non sono così patetica almeno. Mi sta fissando e...

- Avete fatto cadere qualcosa?
Non appena sento la voce di Allie lo spingo via.
- Indovinato: niente secondo, mi sa. - dico, cercano di mantenere un tono pratico per nascondere invece il mio turbamento.
Lei guarda il macello che Parker sta già sistemando.
- Per fortuna vi è rimasta l'insalata. - commenta, prima di tornare a giocare con la sua nuova amica.
Tiro un sospiro di sollievo e lo aiuto a raccogliere quello che è rimasto, prendendo nota del fatto che siamo ripiombati nel silenzio. Non so più cosa è vero e cosa è frutto della mia immaginazione, questa volta mi stava per baciare o no?
Lo guardo, mi dà le spalle mentre mi prende una seconda bottiglia di birra e si versa un bicchiere di vino: ti prego, Parker, baciami se vuoi perché non ce la faccio più. Sono pronta ad ammettere che lo voglio, ma fallo per favore.

Ci sediamo a tavola, uno di fianco all'altro, e mi porge la birra.
- Tutto bene? - mi chiede, notando che sono incerta nel prenderla.
Beh, sì, mi va, ma mi andrebbe anche di assaggiare il vino che sta bevendo, anche se non è una cosa che sono disposta ad ammettere ricordando quella cena a casa di Pam.
Lui segue il mio sguardo.
- Vuoi assaggiarlo? - mi chiede, e io scuoto caparbiamente la testa. Mi porge il calice, - Andiamo. - insiste e questa volta, mentre faccio ancora cenno di no, sorrido. L'ha capito. - Vado a prendere il pane. Lascerò il bicchiere qui e non mi girerò a vedere se cedi alla tentazione, va bene?
Sono indecisa, non voglio dargli questa soddisfazione anche se non potrà mai saperlo. Però ormai è nato un mito intorno a questo vino, ne bevo un sorso e sì, dannazione, è maledettamente buono.
Lo metto velocemente al suo posto e controllo che sul bicchiere non siano rimaste eventuali tracce, quando Parker si gira mi trova con in volto l'espressione più innocente di cui sono capace.
- Quindi? - mi chiede.
- Non l'ho mica bevuto. - dico, cercando di trattenermi dal ridere.
Lui stringe gli occhi, appoggia il cestino del pane sul tavolo e si siede. Penso che la questione sia finita ma lo vedo che osserva pensoso il bicchiere e so che non riesce a capire se l'ho bevuto o no.
- La pianti? - ridacchio, sentendomi la vittoria in tasca.
Mi guarda, e come se niente fosse mi afferra il mento e mi assaggia. Letteralmente, non c'è altro modo di spiegarlo: le sue labbra si impossessano delle mie, la sua lingua prima segue il contorno della mia bocca e poi la schiude senza trovare resistenza e accarezza la mia. Mi assapora in ogni modo possibile e io sono così stordita che rimango incapace di muovermi, l'unico segnale che sono viva è il cuore che sembra voler schizzare via dalla cassa toracica. Bacia da dio.
Si intreccia ancora alla mia lingua, e poi si allontana senza preavviso, così come si era avvicinato, lasciandomi imbambolata con gli occhi ancora socchiusi.
- L'hai assaggiato. - dice.
Registro che sta iniziando a mangiare l'insalata ma io non riesco ancora a muovere un muscolo: chi è William Parker? Esiste un manuale di istruzioni? Esiste la funzione “repeat”?
A me, attualmente, andrebbe benissimo quella “loop”.
Lo vedo guardarmi con la coda dell'occhio e infilzo qualche foglia di insalata, non troppo impaziente di togliermi la sensazione del suo bacio, poi quando Allie torna in cucina dichiarandosi pronta per il dolce sono costretta a riprendere il controllo di me.
- Elisa vuole dormire ora, e io mi annoio.
- Stiamo ancora mangiando noi, cerca di avere un attimo di pazienza.
William segue con interesse il nostro scambio di battute, e alla fine mi toglie letteralmente la forchetta di mano.
- Mangiamo la torta: neanche a tua zia andava molto l'insalata, ci sta giocando da cinque minuti.
Le strizzo l'occhio, mentre lui è girato, e mi allungo invitandola a stritolarmi in un abbraccio. Allie, pur inconsapevole del mio scombussolamento emotivo, non se lo fa ripetere due volte e per un attimo mi sento meglio.
Al contrario dell'insalata mi getto a capofitto nella torta, frustrata, e finisco la mia fetta così velocemente che Allie e William mi guardano stupiti. Io scrollo le spalle e la mando giù rubandogli un sorso di vino, poi lo guardo innocentemente:
- La birra non si abbina bene alla torta di mele. - mi giustifico. Mi sembra di scorgere un lampo di sfida nei suoi occhi e ci vuole tutta la mia determinazione per non rabbrividire.

Sì, mi ha baciato e vorrebbe farlo di nuovo, non mi sono inventata niente.
- Allie, - dico, fissando lui per spiare la sua reazione e aspettare che mi guardi. - ti va di vedere Come d'Incanto?
- Ce l'hai, signor William?
Lui mi guarda perplesso e io non riesco più a sostenere il suo sguardo, abbasso gli occhi.
- È nella mia borsa. Chiedi al signor William se te lo può far partire, non penso che tu sia capace di usare il suo dvd.
Allie è già andata a frugare nella mia borsa e William la segue, perplesso.
Sento i rumori dalla sala, le sta accendendo la tv e io, pur di non rimanere con le mani in mano ad aspettare di affrontarlo, mi metto a sparecchiare.
Non lo sento tornare in cucina, le sue braccia mi afferrano e mi girano contro il lavandino e lui finalmente mi bacia.
È più impetuoso di prima, mi toglie letteralmente il respiro ma mi riprendo subito, e questa volta mi aggrappo a lui e gli rispondo.
Mi solleva appoggiandomi sul piano della cucina, portandomi alla sua altezza, e mentre io lo inseguo lui si tira leggermente indietro, per guardarmi.
- Hai portato un film. - mi dice, sottolineando l'ovvio.
- Non mi sembra che abbiate parlato di spelling. - ribatto, e adesso che siamo pari si spinge ancora sulle mie labbra.

Non avrei mai creduto di volerlo, eppure eccomi qua, totalmente persa in lui: non è solo fisica, per quella probabilmente Drew sarebbe andato benissimo lo stesso, ma nonostante siamo così diversi è lui che voglio, c'è qualcosa in William che mi attrae e ci unisce. E ora, sotto l'effetto del suo bacio, non mi ricordo nemmeno più com'era vivere senza aver bisogno di lui.

La sua mano, posta al centro della mia schiena, mi tira contro il suo torace ed è la cosa più sensuale che io abbia mai provato. Lo ripeto, non ero una puritana, ma tutto quello che fa mi provoca un giramento di testa.
- Ho bisogno d'aria. - sospiro, staccando le labbra da lui e appoggiando la fronte al suo mento, respirando a fondo. Ho decisamente bisogno d'aria, o potrebbe farmi dimenticare che Allie è di là a guardare un film. Potrebbe farmi dimenticare che è l'insegnate di Allie e non voglio farlo con lui sul piano della cucina, per quanto sto avendo un anticipo di quanto potrebbe essere piacevole, non ora.
Le sue dita corrono sulla mia schiena mentre riprendo fiato, leggere e confortanti, facendomi sentire al sicuro. E considerando quante volte mi sono invece sentita a disagio con lui, è una strana novità.
Fa un passo indietro, ma ho bisogno di trattenere questa sensazione. Stringo il tessuto della sua camicia, guardandolo, finché ancora non siamo divisi che dall'incastro dei nostri corpi, e sollevando appena la testa ritrovo le sue labbra.
Un primo bacio che mi ha fatto tremare le ginocchia, un secondo che me le ha private di ogni forza, e con questo terzo sento che non solo le ginocchia sono state coinvolte, ma anche qualcosa che è da qualche parte nella mia cassa toracica.
Non c'è fame in questo nuovo bacio, o almeno non è così travolgente come poco fa. Le nostre bocche si sfiorano e si approfondiscono, tornano a lambirsi dolcemente e affondano di nuovo l'una dentro l'altra. Le lingue si incontrano e si rincorrono, piano, le nostre dita si trovano e si intrecciano, coinvolgendosi nella scoperta.
Lo sto sentendo molto più nel profondo di quanto avrei creduto.
Mi lascia andare, ma non slega le nostre mani che continuano a cercarsi mentre ci osserviamo. Afferra la mia e mi fa scivolare giù dal tavolo.
- Sarebbe stato molto più sexy se mi avessi sollevato tu. - gli dico con ancora un filo di imbarazzo, per sciogliere il silenzio. Non c'è niente che non vada nel silenzio ma noi ce ne siamo confinati dentro troppe volte, e ho bisogno anche delle nostre parole.
Lui mi guarda, imperturbabile,
- Prenderò nota. - mi dice, e anche se la sua voce è più rilassata del solito è confortante sentire che è la stessa di sempre, calma e vagamente fuori moda con la sua perfezione.
Non so cosa dire del suo tempismo, in realtà mi ha spostato perché ero sopra alla lavastoviglie e la sua intenzione è quella di caricarla. Finisce di sparecchiare e appoggia la pigna di piatti nel lavello.
- Lo so fare abbastanza bene anche io, sai? - gli dico.
Mi arrampico ancora sul piano ma dall'altra parte rispetto al lavello, passo ogni piatto sotto al getto dell'acqua pulendo gli avanzi e glielo passo, perché lui possa metterlo nella lavastoviglie. E anche se il suo tempismo non è stato dei migliori devo ammettere che non è male: ci guardiamo, ci sfioriamo, sorridiamo.
- Posso farti una domanda sciocca? - azzardo.
- Dubito che tu abbia domande sciocche.
Detta da un'altra persona suonerebbe come un'adulazione, ma da lui no.
- Parlami di te.
Lui mi guarda, aggrotta appena le sopracciglia osservandomi meglio.
- Domani mattina ho scuola, non credo di avere tanto tempo.
- Sai quello che intendo.
Chiude la lavastoviglie e la fa partire, poi si mette di fronte a me e incastriamo le nostre gambe mentre le mani si trovano ancora.
- Ho sempre pensato che avrei insegnato a dei ragazzi più grandi. Forse letteratura, al college o alle superiori. Non credevo sarei finito alle elementari, non so se ti sei accorta ma il mio approccio non è il classico da maestro.
Trattengo un sorriso, ha assolutamente ragione. E, quasi non credo alle mie orecchie, sta facendo auto-ironia.
- Va avanti. - lo incalzo, allungando la mano verso la birra che ha appoggiato di fianco a me quando ha sparecchiato la tavola.
- Poi un giorno mi è stata proposta una supplenza, l'anno scorso, e ho capito che in questo momento è la cosa che voglio. C'è qualcosa, nei bambini... fiducia, rispetto, che al college in un aula di cinquanta persone trovi solo in cinque, e alle superiori se sei fortunato hai uno studente all'anno così. Non credo di avere la pazienza necessaria a fare il babysitter a degli adolescenti scalmanati.
Smetto immediatamente di bere per non rischiare di sputare la birra. L'idea, con lui sempre così impeccabile, è abbastanza comica.
Arriccio le labbra.
- E allora che cosa ci trovi in me?
Basta il suo sguardo per farmi stingere lo stomaco.
- Non sei il gatto a cui è stato affidato il compito di crescere un pulcino: tu sei la gabbiana che ha imparato a volare, tu sei Fortunata.
Vorrei stringermi il maglione addosso, perché mi ha guardato come se stesse guardando direttamente il mio cuore.
Non so cosa dire, e di sicuro lui non ha bisogno di aggiungere nient'altro, così mi aggancio al suo collo andando incontro alle sue labbra.
Sento la sigla di coda del film, e capisco che è arrivato il momento di tornare con i piedi per terra in tutti i sensi.
- Andiamo a casa? - dico, affacciandomi verso la sala, in quello strano stato in cui si è in pace con il mondo.
William ci accompagna alla porta, mi restituisce il dvd e aiuta entrambe a metterci le giacche.
- Hai salutato Elisa? - chiede ad Allie, e lei corre a cercarla.
Nascosti dal muro della cucina ne approfitta per spingermi dolcemente contro lo stipite della porta e darmi il bacio della buonanotte.

- Mi sono divertita un sacco. Voi non vi siete annoiati mentre guardavo Come d'Incanto? - sbadiglia Allie, nel taxi.
Mi copro con la sciarpa per non arrossire.
- Ce la siamo cavata.

Allie si addormenta in taxi e la porto in casa in braccio, la metto a letto e torno in soggiorno. Prendo il telefono e faccio scorrere le foto, sempre più indietro, fino a che ne trovo quelle che ho copiato dal vecchio cellulare, in un mondo in cui è l'unico modo per non perdere i ricordi.
Siamo io e Becca, alla mia festa del diploma con le bocche spalancate, catturate mentre cantiamo il ritornello di Ironic.
- E scommetto che tu eri il gatto, vero?
Accarezzo il suo viso con il dito e spengo lo schermo, chiedendomi come sarebbe raccontarle di William.













Nda Ben ritrovate! Non aggiungo molto a questo capitolo, se non i ringraziamenti a chi mi segue e mi recensisce. È sempre un piacere ricevere le vostre impressioni, quindi ancora grazie.
Questo capitolo proprio non potevo dividerlo in due, già inizio a rompere i miei buoni propositi (un po' come Bridget all'inizio: buoni propositi per l'anno nuovo smettere di fumare e bere di meno, poi si accorge di avere in una mano un bellini e nell'altra una sigaretta accesa. "E rispettare i buoni propositi" XD )
A dire la verità penso che farò così, se dividerò i capitoli in pezzi più brevi farò un secondo aggiornamento settimanale, in alternativa uno con un capitolo un po' più lungo.
Alla prossima!

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Capitolo 8
*** Nuovi approcci ***


sconvolta


L'amore è sempre nuovo. Non importa che amiamo una, due, dieci volte nella vita: ci troviamo sempre davanti a una situazione che non conosciamo.
L'amore può condurci all'inferno o in paradiso, comunque ci porta sempre in qualche luogo.
È necessario accettarlo, perché esso è ciò che alimenta la nostra esistenza. Se non lo accettiamo, moriremo di fame pur vedendo i rami dell'albero della vita carichi di frutti: non avremo il coraggio di tendere la mano e di coglierli.
È necessario ricercare l'amore là dove si trova, anche se ciò potrebbe significare ore, giorni, settimane di delusione e di tristezza. Perché, nel momento in cui partiamo in cerca dell'amore, anche l'amore muove per venirci incontro, e ci salva...
(Paulo Coelho, Sulla Sponda del Fiume Piedra)





Io e William ci osserviamo da lontano, a scuola e quando ci vediamo da Pam, ci guardiamo negli occhi sapendo che non è il momento giusto, e aspettiamo. Che il momento giusto arrivi, che ci sia l'occasione per rimanere da soli e riprendere da dove domenica sera ci siamo interrotti; e nel frattempo passiamo ore al telefono: la sera, quando Allie si addormenta, mi infilo sotto alle coperte e lo aspetto, in qualche modo sa sempre quando farlo. Il telefono suona e parliamo a volte di tutto e a volte di niente, della nostra giornata o di un film che stanno dando alla tv.
La sua voce mi culla e qualche mattina mi sveglio con il cordless ancora in mano, è la cosa più sciocca del mondo ma sono le mattine in cui sono più felice. È passata una settimana dalla cena a casa sua e mentre la sera, per telefono, è praticamente la mia metà mancante, quando ci vediamo sono ancora incredibilmente nervosa.
Questa è la seconda sera che ci incontriamo a casa di Pam e la tensione si taglia con un coltello: a lei ho raccontato quello che è successo e delle nostre chiacchierate; mentre Paul, Scott e ovviamente Allie sono all'oscuro di tutto. Non so come ci siamo cristallizzati in questa situazione, ogni cosa è amplificata, perfino quando le nostre dita si sfiorano quando mi passa l'insalata è un gesto che mi risuona dentro.
Scaccio dalla mente la voce di Scott che ci sta raccontando qualcosa a riguardo del nuovo gioco che uscirà settimana prossima, l'evento dell'anno, che mi sembra una cosa ben insignificante paragonata al modo in cui suo fratello mi ha appena guardato. Metto un paio di forchettate di insalata nel mio piatto e in quello di Allie, appoggio l'insalatiera davanti a me e cerco di nuovo il suo sguardo. William annuisce a qualcosa che gli ha detto Paul, e quando lui inizia a prendere in giro Scott per la sua fissazione, finalmente mi guarda. Lexie, non arrossire: è la stessa persona con cui parli al telefono tutte le sere, per la miseria.
È inutile, dopo qualche attimo di contatto visivo mi arrendo e torno a concentrarmi sul mio piatto.
Pam osserva i nostri teatrini e si astiene da qualsiasi commento, ormai mi conosce talmente tanto bene che deve aver capito la fragilità di questo momento.
In fondo ci siamo baciati per una sera, e poi la cosa è scivolata subito su un altro piano fatto solo di sguardi e telefonate che di certo non avevano come argomento le nostra labbra.
Mi riscuoto dai miei pensieri per rispondere a Allie, e mentre Paul va a prendere lo spumante dalla cantinetta vicino alla tv io vado in cucina a prendere la macedonia che Pam ha preparato questo pomeriggio.
Quando sento qualcuno seguirmi, dato che ormai è una legge universale il fatto che io non sia in grado di trasportare una portata da una stanza all'altra senza combinare danni, spero per un istante che sia William e lo stomaco mi si contorce nervosamente. Apro il frigorifero lanciando un'occhiata casuale alle mie spalle e ho un piccolo tonfo di delusione scoprendo che non è che Scott.
- Cosa succede a mio fratello?

La domanda mi prende alla sprovvista e prima che trovi qualcosa di sensato da dire passa qualche secondo.
- Perché lo chiedi a me?
Scott mi guarda di sottecchi.
- Niente, pensavo che foste  come al solito in convalescenza dopo uno dei vostri litigi. - commenta, con tono ovvio. - Comunque ci ho iscritto a un corso di Fit Boxe.
- “Ci” sta per te e William? - gli chiedo.
- No, io e te.
Appoggio la macedonia sul banco.
- Cosa? - Ma come diavolo gli è venuto in mente? Scott ha davvero perso qualche rotella.
- Dai, Lexie: dobbiamo rimorchiare e un corso in palestra è l'occasione ideale.
- Rimorchiare non è nella lista delle mie preoccupazioni attuali, e non ho tempo per un corso. - taglio corto, cercando un mestolo nel cassetto e affidandogli la ciotola grande, mentre io mi occupo delle coppettine.
- Si tratta di un'ora a settimana, che sarà mai? La ranocchietta può stare con Paul e Pam, o perfino con Will, che problema c'è? Dai, venerdì prossimo c'è la lezione di prova, vieni a fare un salto.
Sollevo un sopracciglio, spingendolo via senza degnarmi di rispondere. Se sapevo che sarei finita a fare la spalla a Scott, col cavolo che incrociavo le dita perché lasciasse quella stronza della sua ex. Beh, più o meno.
- Comunque questa storia che deve sempre esserci qualcuno ad aiutarmi quando porto qualcosa sta iniziando a diventare ridicola. - dichiaro, tornando in soggiorno. Neanche l'avessi detto, inciampo nel tappeto e rovino addosso a William a cui finisce il vassoio in testa, ci guardiamo brevemente e subito torno in piedi, imbarazzata.
Paul mi spettina i capelli,
- Ed ecco che il servizio da dolce in plexiglass si è rivelato un ottimo acquisto.
- Lexie odia Paul. - borbotto, guardandolo storto.
Pam viene in mio aiuto,
- Non prenderla in giro, è stato un caso. - dice, cercando con tutte le forze di trattenere un ghigno.
- A questo punto, Paul, - dico, lasciandomi cadere sulla sedia, - vai tu in cucina a lavarle: io potrei farle cadere di nuovo, tornando qui.
Sono offesa, sì, perché ho fatto un'altra figuraccia davanti a William. Come se già non gli avessi dimostrato ampiamente che disastro ambulante sono.
Paul, per nulla scocciato, va a sciacquare le scodelle cadute, Allie parla alla pancia di Pam e Scott è andato a prendere la panna montata, che sopra alla macedonia non può mancare. Mi rendo conto che tutti sono distratti solo quando la mano di Will attraversa il tavolo e sfiora la mia. Dopo essermi velocemente guardata intorno, mi azzardo a guardarlo e per un attimo mi sento un po' meno stupida. Poi Allie si gira per dirmi qualcosa, e a bolla di sapone scoppia mentre le nostre mani si allontanano.

Come da copione la serata si è conclusa con un saluto imbarazzato tra me e William, poi una volta a casa, messa a letto Allie, prendo coraggio e lo chiamo, e per telefono la tensione svanisce.
- Tuo fratello deve essere impazzito. - dico spaparanzata sul letto a pancia in su. - Ti rendi conto che mi ha iscritto a un corso di fit box?
Lo sento sorridere,
- Ha un modo tutto suo di prendersi cura delle persone. - ammette. - E poi è uno sport che ti si addice. Ti vedo, a tirare pugni a un sacco.
Trattengo il respiro, sapendo che c'è un'altra cosa che gli devo dire.
- Sì, beh... il fatto è che è stata una cosa inaspettata e non credo di avere tempo. E poi... ci ha iscritti per farci da spalla a vicenda e... - deglutisco, - non sono interessata a rimorchiare degli sconosciuti.
Il breve silenzio che segue mi fa rimbombare il battito del cuore nelle orecchie, avrà capito cosa intendo?
- Domani mattina porti Alanis a casa dei tuoi genitori? - l'ha capito. Mi tiro su a sedere,
- Sì. - trattengo il fiato.
- Quando torni vuoi...
- Sì! - dico, precipitosa.
Sorride ancora.
- A che ora vuoi che ti passo a prendere?
Faccio un veloce calcolo, - Pranzo da loro, per le tre va bene?
- Va bene. - Hey baby suona all'improvviso a tutto volume, facendomi sobbalzare. - Stai guardando ancora quel film?
Mordicchio il labbro inferiore mentre recupero il cellulare dal comodino, indecisa se dirgli o no la verità, sapendo che nel caso dovrei salutarlo.
- È la suoneria della mia compagna di stanza. - ammetto, - Della mia vecchia compagna di stanza. - mi correggo subito.
- A domani, allora.
Cerco di trattenere il più possibile il suono della sua voce, - A domani. - lo saluto, dopo un istante.

Taylor, insieme a Luke e Rachel, è un po' l'arto che mi hanno amputato quando Becca è morta e io ho dovuto mollare tutto.
Ci siamo conosciute al primo anno e non appena abbiamo svuotato gli scatoloni, trovandoci nello stesso momento con in mano le rispettive copie del dvd di Dirty Dancing, non ci siamo più lasciate. Rachel ha iniziato a rifugiarsi nella nostra stanza qualche sera dopo, per scappare alla sua compagna sociopatica e ai ragazzi che si portava al dormitorio, e Luke si è aggiunto quando lui e Taylor hanno studiato insieme per l'esame di economia, diventando il nostro D'artagnan.
Avevamo il nostro micro clima perfetto e inattaccabile, fino a quando la giostra si è improvvisamente fermata e l'altoparlante ha annunciato il mio nome chiedendomi di scendere. Io mi sono trasferita a New York e loro sono ripartiti senza di me, e per quanto un tempo eravamo inseparabili adesso non è più lo stesso: è stato subito chiaro che vivessimo su due mondi paralleli destinati a non incrociarsi più, loro avevano le lezioni e la vita del campus, io Allie e i problemi di un altro tipo di vita quotidiana. Sono venuti a trovarmi a New York, una volta durante le vacanze primaverili lo scorso anno e un'altra prima di ricominciare il semestre autunnale; continuiamo a sentirci di tanto in tanto ma l'arto che è stato staccato non si riattaccherà mai al corpo.
Quando Taylor mi parla della vita che fa ho quasi le vertigini, come il senso di deja-vu di qualcosa che non si è mai vissuto, e non posso fare altro che consolarmi pensando che forse quando finirà il college sarà diverso, saremo più simili.
Mi racconta le ultime novità: la nuova ragazza di Luke che né lei né Rachel sopportano, la festa che hanno dato al dormitorio ieri sera e Rachel che si è svegliata in una stanza di uno tizio di cui non ricordava nemmeno il nome. Abbiamo una teoria, io e Taylor: Rachel è pazza di Luke ma non lo vuole ammettere, e lui è troppo rispettoso del patto che ci siamo fatti al primo anno di non andare a letto con nessuna di noi per accorgersene.
Io vorrei raccontarle di William, ma non so come fare: Taylor è come me, con la tessera onoraria al fan club dei bad boys; apprezzerebbe molto di più Drew e non riuscirebbe a capire William, a meno di conoscerlo. Nemmeno io so spiegare perché, cosa mi fa e com'è successo.
Prima di chiudere a telefonata mi chiede, come al solito, se ho deciso qualcosa per la lapide; e come al solito dico di no.











Nda Eccomi qua, dolorante dopo una seduta abbastanza invasiva dal dentista non sono riuscita a revisionare più di questo pezzo, ma mi impegno come al solito a postare qualcosa prima di settimana prossima. Ormai l'avrete capito, ce la metto tutta per rispettare i tempi che vi dico, ma questa è la settimana prima delle ferie e ho un sacco di lavoro in arretrato, se non dovessi farcela so che mi capirete.
Veniamo all'introduzione di un nuovo personaggio: Taylor non sarà una regular, ma non l'ho inserita a caso. Rappresenta il passato di Lexie, la sua vita sarà il paragone più ovvio rispetto a come vive lei; soprattutto avendo conosciuto la Lexie "prima", è anche a conoscenza di certe cose che lei cerca di procrastinare e che per ovvi motivi di istinto di sopravvivenza non ha confessato a Pam.
Quindi, ecco, il suo personaggio ha senso, non l'ho presentata solo per occupare righe u.u
Grazie mille per le vostre recensioni, a presto!

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Capitolo 9
*** L'appuntamento ***


sconvolta


L'enciclopedia galattica nel capitolo dedicato all'amore afferma che è troppo complicato da definire. La guida galattica per autostoppisti invece, sull'argomento amore, dice evitatelo se possibile.

(Guida galattica per autostoppisti)






Mi sento un po' in colpa perché praticamente bevo il caffè con il cappotto addosso, tanto ho fretta di tornare in città.
Ho avuto la pessima idea di dire ai miei che nel pomeriggio ho un turno in libreria e mi sono sentita decisamente in colpa, perché mia madre ha cercato di servire il pranzo il più in fretta possibile. No, mamma, tua figlia è una bugiarda: non deve andare al lavoro, è sulle spine solo perché deve uscire con l'insegnate di tua nipote.
Una volta a casa mi precipito in bagno, e mentre l'acqua della doccia si scalda vado in camera e rovescio quasi tutto il contenuto dell'armadio sul letto.
Quando suona il citofono i capelli sono asciutti e sono più o meno truccata, il giusto indispensabile, ma ho una gamba in un paio di jeans e l'altra nei leggins. Incespico a rispondere, avvisandolo che scenderò subito mentre nel frattempo saltello togliendomi i leggins. Li appallottolo e li lancio in camera, chiudendo la porta e confinando lì l'esplosione di vestiti, finisco di infilarmi i jeans e vado in cerca della giacca. Giusto, mancano le scarpe, ancora qualche esitazione e finalmente riesco a uscire di casa.

- Eccomi! - lo saluto, chiudendo il portone del palazzo.
William aspetta che lo raggiunga con una strana espressione in faccia, poi una volta di fronte a lui seguo il suo sguardo e mi rendo conto che ho la sciarpa in lana rosa con i pon pon a cuoricino azzurri di Allie. - Mi sono sbagliata. - ammetto, frugando in borsa per cercare le chiavi. Lui, piano, mi raddrizza il colletto del cappotto.
- Non ti sta male, in effetti stai bene. - la sua voce non ha un briciolo di malizia o di adulazione, nonostante quell'inflessione un po' demodè che gli è peculiare, è cristallina.
E non ho più il coraggio di andare a cambiarla, considerando che l'ho già fatto aspettare abbastanza.
- Ok. - dico, cercando di nasconderla sotto al cappotto. - Dove si va?
- Ti piace pattinare?
Annuisco, mordendomi l'interno guancia per non sorridere come una stupida: niente fa più classico appuntamento Newyorkese che andare a pattinare sul ghiaccio a Central Park. Le nostre mani si trovano, e ci incamminiamo.
Chiacchieriamo del più e del meno, lasciando gli argomenti a metà per introdurne nuovi cercando di recuperare la naturalezza che abbiamo per telefono
- Sì, ieri hanno portato la nuova edizione di quel libro...
- Il consiglio di classe vuole organizzare una vendita di dolci natalizia...
- Adoro Homeland, ma non riesco a capire come cazzo faccia Carrie a continuare a stare dietro a Brody. - quest'ultima, con parolaccia annessa, è ovviamente mia.
Forse non siamo sciolti come quando ci parliamo al telefono, il fatto di averlo accanto mi destabilizza un po', ma in senso positivo: non siamo imbarazzati. Sono consapevole di lui, della sua mano che stringe la mia, dei suoi occhi che mi guardano mentre camminiamo, della sua presenza accanto a me.
Noleggiamo i pattini e, quando salgo incerta sul ghiaccio, mi chiedo quanto tempo ci metterò prima di trovarmi a terra. William invece, al contrario delle aspettative che non me lo fanno immaginare come il perfetto sportivo, è sicuro e stabile sui pattini. Viene accanto a me e mi prende per mano, aiutandomi a staccarmi dal bordo. Adegua la sua andatura alla mia e mi sostiene, finché non trovo il ritmo.

- Cosa mi dici invece, di te? - domanda, tutto d'un tratto.
Lo guardo velocemente con la coda dell'occhio, prima di concentrarmi nuovamente sulla pista.
- Cosa vuoi sapere?
- Cosa studiavi al college?
- Quello che studiano tutti, - lo prendo in giro: - un po' di questo, un po' di quello. Volevo laurearmi in giornalismo, amavo le lezioni di letteratura.
- Sembra che comunque tu abbia trovato il tuo posto nel mondo. Hai mai pensato di ricominciare alla NYU?
Scrollo la testa,
- Non fare finta di non sapere quanto sia impegnativo lavorare e occuparsi di una bambina: non avrei il tempo né per frequentare né tanto meno per studiare.
- E quando Allie sarà più grande? - il modo in cui me lo chiede non mi mette a disagio: una volta avevo pensato che mi biasimasse per non aver finito gli studi (come se fosse dipeso da me), invece percepisco interesse nella sua voce, come se a prescindere da quello che faccio o da quello che ho studiato volesse spingermi a non rinunciare, se lo voglio.
- No, William: non credo che riuscirò, e onestamente non voglio aspettarmi niente: non voglio sperare di poter ricominciare e trovarmi a una certa età e capire che non è possibile. Sarebbe come inseguire la vita che avrei potuto avere se Becca non fosse morta, senza Allie: ma la mia vita è questa, non quella.
Rallentiamo automaticamente, o forse è lui che frena e di conseguenza lo faccio anch'io dal momento che il mio passo è poco più di un contributo alla sua andatura.
Ci fermiamo, sollevo prima un piede e poi l'altro per girarmi, imitandolo. Lui mi guarda, come se stesse cercando le parole giuste.
- Vorrei rimangiarmi quella volta che ti ho dato della ragazzina, ma non lo farò, perché non sei invincibile e non puoi pensare di non avere bisogno di aiuto. Ma sei forte, straordinariamente forte, senza perdere la tua dolcezza e la tua vulnerabilità. E devo ammettere che questo contrasto mi lascia sempre stupito.
Trattengo quasi il respiro mentre lo guardo, senza riuscire a dire niente.
Dentro di me risuonano semplicemente i suoi occhi e le sue parole, solo da un piccolo angolo ho la lucidità necessaria per chiedermi quante volte potrà ancora lasciarmi a bocca aperta, da dove diavolo gli escono queste frasi. È la cosa più simile a una dichiarazione romantica di quelle che si leggono nei libri che io abbia mai sentito. Deglutisco,
- Io... - vorrei dirgli qualcosa, per fargli capire quanto mi ha colpita, ma niente mi sembra adatto.
Si avvicina e posa le labbra sulla mia fronte, per un istante, poi torna a prendermi la mano e ripartiamo.
William Parker è un po' un ossimoro: mi ha dato un signor bacio con tutti i connotati per capire se avevo bevuto o no il suo vino, poi mi fa la dichiarazione perfetta e mi bacia la fronte.
Arrossisco, pensando che dopo tutto l'episodio del vino era più un pretesto, ma la seconda parte rimane.
- Hai freddo? - mi chiede, interpretando il mio rossore.
- No, grazie. - Lo guardo con la coda dell'occhio, è presuntuoso dire grazie a uno che ti ha detto che sei forte e dolce?
Cerco di fermarmi ma con scarso risultato, se non quello di rischiare di cadere. Gli tiro la manica, sperando non siano necessarie ulteriori spiegazioni, e William ci rallenta, fermandosi di fronte a me.
- Quando hai detto quelle cose, come sono... - cerco di trovare le parole giuste. - Non so come risponderti, non so nemmeno se grazie sia giusto, ma grazie.
Mi chiedo se sia fuori luogo spingermi verso di lui e baciarlo, ma rinuncio primo perché non sono abbastanza stabile sui pattini, e poi perché è vero, domenica ci siamo baciati ed è stato bellissimo e ci parliamo al telefono tutte le sere, ma adesso sembra passata un'eternità. Se al suo posto ci fosse stato Drew probabilmente lo avrei fatto senza tanti pensieri, ma con William è tutto così intenso, persino sfiorarci mentre ci passiamo l'insalatiera, che non riesco a buttarmi semplicemente. Inoltre lui mi ha detto quelle cose, e io non saprei fare altrettanto: provo qualcosa per lui, ma non so ancora dargli un nome.
- Dovrei ricominciare a chiamarti Miss Spencer, non ti ho mai lasciato senza una precisa opinione su qualcosa.
Non è vero, ma non lo sa.
- Hai smesso di chiamarmi Miss Spencer? - gli chiedo. Io lo chiamo William, e lui non mi ha più chiamato per cognome ma neanche ha mai usato il mio nome. Ci ho fatto decisamente caso, evita con cura di chiamarmi, punto.
- Sì, Lexie.
E ora capisco perché.
Diceva che il mio nome era troppo personale da usarlo se non mi conosceva, e ora che glielo sento pronunciare arrivo al punto di essere contenta che abbia aspettato fino ad adesso. Le lettere scivolano, come se il mio nome fosse qualcosa di privato che ci unisce. Come se fosse un sentimento.
Il ginocchio mi cede un istante ma lui è lì ad afferrarmi, e mentre mi sostiene finalmente mi bacia.
Mi aggrappo al bavero del suo cappotto nonostante le sue braccia mi tengano stabilmente al sicuro, e inspiro questo bacio gelato. Se pensavo che baciare così bene fosse una prerogativa dei ragazzi un po' tenebrosi, William mi fa assolutamente ricredere. E in qualche modo questa cosa aggiunge una sorpresa che non mi lascia per niente indifferente.

- Ci ho pensato, comunque. - dico, quando, dopo aver pattinato a sufficienza, risaliamo a piedi Central Park. - Non ero certo una secchiona, ma il college, le lezioni: mi piacevano. E ci ho pensato, in passato, se trovare un modo per riprendere o no; non solo per dire un giorno “l'ho finito” e fare qualcosa con il mio pezzo di carta. Era bello.
Camminiamo un po' in silenzio, ma posso quasi sentire il rumore dei suoi pensieri.
- Ti piacerebbe ascoltare una lezione di letteratura? - dice poi, tutto d'un tratto.
Aggrotto le sopracciglia, senza capire: - Cosa intendi?
- Il venerdì pomeriggio tengo una lezione al NYU, non sarebbe un problema farti entrare una volta. Potresti venire con me, venerdì, ti piacerebbe?
All'improvviso sono più incuriosita dall'idea di ascoltare una sua lezione piuttosto che qualsiasi altra.
- Altroché, davvero possiamo? - non vedo già l'ora.
William mi tranquillizza: - Basta che non cerchi di sostenere nessun esame, nessun problema.
- Sei carino quando cerchi di fare le battute. - mi esce fuori, istintivamente.
- Io non cerco di fare le battute. - si ribella, incupendosi. - E soprattutto non sono carino.
Rido sotto ai baffi, è carino eccome, ma evito di insistere.
Le giornate sono corte e più si avvicina il momento del tramonto più il freddo aumenta, così mi decido a proporgli di andare a casa a bere qualcosa di caldo.
- Però mi dispiace deluderti, ancora niente The: se vuoi posso provare a fare la cioccolata calda. O, meglio ancora, puoi provare a stupirmi con le tue innumerevoli doti nascoste e puoi farmela tu.
- Sbaglio o c'è una nota ironica? - chiede, sospettoso.
Mi stringo al suo braccio mentre lui chiama un taxi che si sta avvicinando,
- Niente affatto. Sono una fan delle tue doti nascoste.
Solleva un sopracciglio guardandomi, sì, a modo suo sa essere malizioso, maledizione.

Quando entriamo in casa mi vengono immediatamente in mente tutti i sottintesi che il mio invito potrebbe avere, e nonostante da un lato sono sicura che William non è il tipo da aspettarsi qualcosa solo perché è in casa mia, d'altra parte non so cosa potrebbe pensare della naturalezza con cui l'ho invitato. Mi tolgo cappello, sciarpa e cappotto, lanciandoli sull'appendiabiti più alto dell'armadio a muro, quello che di solito è il mio, e poi prendo la sua giacca, appendendola dove è di solito quella di Allie.
- Sei già stato qui, - dico, alzando le spalle, - quindi è inutile che ti faccia vedere la casa.
Mi appunto mentalmente di andare a controllare di non aver lasciato niente di compromettente in bagno, tipo uno dei miei reggiseni appesi sopra alla vasca oppure il rasoio con cui mi sono depilata prima, e lo spingo verso la cucina. - Credo che tutto sommato la farò io la cioccolata. - dico, aprendo il frigo in cerca del latte. - Insomma, se stiamo a vedere tu hai cucinato per me quando sono stata male e poi a casa tua, potresti pensare che sono un'inetta in cucina.
Lui non si siede e si mette vicino a me mentre metto il fornello sul gas.
- Non lo penso affatto. - mi tranquillizza.
O almeno quello dovrebbe essere il suo intento, ma mi trovo a sorridergli nervosa mentre verso il preparato nel pentolino insieme al latte, totalmente consapevole della sua presenza.
Il sibilo del gas, il rumore del cucchiaio che gira, rimbombano nella stanza.
- Alanis ha una vostra foto nel suo diario.
Il rumore del cucchiaio che cade per terra. Il tempo di raccoglierlo e i miei sensi sono di nuovi tutti all'erta, pronti a individuare e bloccare ogni possibile invasione.
Con una vostra foto non intende con me e Alanis, ma io e Becca. William osserva i miei movimenti nervosi mentre butto il cucchiaio nel lavello e ne prendo un altro.
- L'ho vista, ha molte foto di sua madre. - dico, più rigida che controllata.
- A volte credo che abbia superato il suo lutto meglio di quanto tu pensi.
È vero, e mi chiedo che parte ho avuto io in tutto questo: si presumerebbe che io le sia stata più di aiuto di quanto non sia in realtà. Ho cercato di parlargliene all'inizio, ma dopo un po' lei ha iniziato a evitare con cura l'argomento, pensavo che avesse bisogno di tempo e gliel'ho dato, senza essere stata in grado di riprenderlo.
Quando ho scoperto quella foto, così naturalmente inserita tra le pagine del suo diario come una bella cartolina, non sono riuscita a dirle niente per paura di rovinare tutto.
- A volte. - sottolineo, appellandomi al mio ruolo di tutrice. Ed è vero, a volte, troppe volte è ancora una bambina che ha perso sua mamma.
- Mi sono chiesto se invece non sia tu, quella che ancora non ci è riuscita.
Quel tono, il suo tono da maestro. Fino a cinque minuti fa era perfetto, ora invece devo lottare contro l'impulso di chiedergli di andarsene: la cantilena che io non sono riuscita ad accettare la morte di mia sorella l'ho sentita già da tanti, l'ultima cosa che voglio è che lui la ripeta, specialmente con quel modo di fare, ricordandomi quanto era facile odiarlo quando l'ho conosciuto.
- So che ti chiedo uno sforzo eccessivo. - dico, leggermente più acida di quanto vorrei. - Ma preferirei non parlare di questo. Non sono fatti tuoi, William, e non intendo fare in modo che lo diventino.

Sbatto sonoramente il cucchiaio sul bordo del pentolino, talmente impegnata a coprirmi con lo scudo che mi permette di andare avanti che non mi importa particolarmente dell'occhiata carica di biasimo che mi rivolge. Sono fatti miei, come sono fatti miei, dal momento che è stato deciso che sia io a occuparmene, cosa farò scrivere sulla lapide della madre di Allie che andrà a sostituire quella provvisoria che ha da un anno.

E sono fatti miei quando deciderò di farlo. Sono fatti miei che mia madre sta morendo e io sono fisicamente incapace di essere la figlia che si merita, limitandomi ad aspettare il momento in cui rimpiangerò anche lei. Almeno in questo sono riuscita a salvare Allie dalla mia spirale di negazione, lei sì che è la nipote che si merita.

- Sei arrabbiata. - Genio. William sospira, - Non potrai scappare sempre dai tuoi problemi.
In un lampo mi sembra di riuscire a riconoscere la persona con cui ho passato il pomeriggio, prima che tutto questo venisse fuori. Lo guardo, incerta se potermi fidare o meno della sua effettiva resa.
- Solo non vorrei occuparmene adesso. Non voglio rovinare questa giornata.
Aggrotta per un attimo le sopracciglia, senza perdermi di vista, ma non aggiunge altro: forse posso fidarmi.
E forse lo conosco più di quanto pensassi, perché, ora che mi sento un poco più al sicuro noto anche lui e capisco che è combattuto nel decidere di accettare la mia richiesta. Comporta uno sforzo, per William, cedere e tirarsi metaforicamente indietro quando ha intravvisto il mio punto debole, quando come al solito è convinto di aver ragione. La sua espressione è abbastanza eloquente, non ci vuole passare sopra, ma in qualche modo tenta di farlo. Forse per lui è un “per il momento”, ma io onestamente non ho il tempo di venire a patti con quello che è successo, non posso crollare quando ho una bambina di cui occuparmi: non è forse quello che fanno i genitori?
Verso la cioccolata che innalza due colonne di fumo denso dalle tazze, il silenzio di adesso è ben diverso da quello di prima, assomiglia di più ai silenzi di cui ci siamo sempre deliziati. Lui osserva me e io osservo lui, incapaci di andare oltre nonostante ci stiamo provando, incapaci di ammettere di essere nel torto.
E poi, nella maniera più ridicola possibile, il mio telefono inizia a suonare Time of my life.
Mi affretto a rispondere a Allie, già sapendo che sarà sicuramente lei dalla casa dei miei che vuole farmi un saluto prima di cena, e sono incredibilmente sollevata di poter pensare ad altro.
- Ciao nipotina. - la saluto.
Allie mi racconta della sciarpa a maglia che sta aiutando la nonna a fare e dell'ultima zucca dell'orto che mangeranno stasera. In sottofondo mi arriva la voce di mio padre, che mi chiede se me ne deve preparare un po' in un tapperwhare e io spio con la coda dell'occhio William, sperando di trovarlo più rilassato.
Imperturbabile.
Metto di proposito un dito nella cioccolata per capire se è ancora troppo calda, e per cercare di smuoverlo un po' mi pulisco contro la sua guancia. Aggrotta le sopracciglia e le distende, bene: una reazione.
- Dì al nonno di mettermi via tutta la zucca che avanza: non voglio mangiare altro per i prossimi tre giorni, visto che è l'ultima.
La saluto e metto giù, William ha preso un tovagliolo di carta per pulirsi e io riesco a fermarlo in tempo posandogli un piccolo bacio dove l'ho sporcato, sufficiente a eliminare le tracce.
- Sei una contraddizione. - dice, ancora troppo serio per i miei gusti. Io alzo le spalle, è una cosa di poco conto e non mi tocca. Ma non mi sposto da davanti a lui, limitandomi a guardarlo. - No, mia cara, non ti darò nessun bacio adesso.
Mia cara. Nascondo un sorriso, me lo hanno detto mille volte con tono sarcastico, da mia madre ai miei amici, ma mai così. Non che l'abbia usato con tenerezza, non è ancora del tutto rilassato, ma non c'era una traccia di ironia nella sua voce. Lo lascio schivarmi e ci sediamo a bere la nostra cioccolata.
- Non puoi fare così, Lexie. - insiste.
E va bene, mollare il colpo non è da lui ma è da me: non ho nessuna intenzione di continuare a litigare né di farmi psicoanalizzare da lui. Posso accendermi come un fiammifero e continuare a bruciare per ore, ma quando dico basta, è basta.
- E invece sì: tu hai tirato in ballo l'argomento, e io non ne voglio parlare oggi. - gli dico, aggiungendo l'ultima parola con una bugia per ammorbidirlo.
- Quindi è così che funziona? Hai una lista di temi che non vuoi affrontare e dobbiamo attenerci ad essa? Di cosa dovremmo discutere, delle previsioni meteorologiche?
Provo a bere un sorso di cioccolata per nascondere un sospiro ma è ancora troppo calda. E chi l'ha detto che un bravo ragazzo è innocuo? Con Drew, sicuramente, non mi sarei mai trovata in queste sabbie mobili. Però nonostante tutto non riesco a rimpiangerlo, nonostante tutto, in questo momento non cambierei William per nessuno al mondo.
- Avanti, maestro, non ho detto che voglio parlare del tempo, solo che non ho intenzione di affrontare il discorso su come ho superato la morte di mia sorella. - mi arrendo, - Fai la tua domanda, so che ne hai una.
- Il padre di Alanis? Perché non ti dà una mano?
Tiro un sospiro di sollievo, grazie al cielo non è un argomento scottante.
- Facile: non esiste un padre. - William aggrotta le sopracciglia e prima che intervenga, spiegandomi che i bambini non nascono sotto i cavoli, mi affretto a spiegare: - Ovvio che biologicamente condivide la metà del patrimonio genetico con qualcuno, e sì: è una persona in carne ed ossa, Becca non ha fatto nessuna inseminazione artificiale.
- E lui, non si è mai fatto vivo? Nemmeno dopo la morte di tua sorella?
Scuoto la testa,
- Un padre non è chi dà il suo contributo per fecondare l'ovulo, ma qualcuno che tiene la mano di tua madre mentre sta partorendo. Chi si sveglia nel cuore della notte per controllare che tu sia coperto bene o semplicemente che stai ancora respirando, ti tiene in braccio quando hai le coliche e con il suo cipiglio severo riesce a farti sentire in colpa, quando più grande farai una sciocchezza, senza dover nemmeno dire niente. Quindi, no, il padre di Allie non è mai esistito.

L'argomento scema, e mentre il livello della cioccolata nelle nostre tazze diminuisce riusciamo a tornare su argomenti più tranquilli, e a poco a poco riesco a sentirmi totalmente tranquilla, come se quell'intermezzo disastroso non fosse mai successo. Sono diventata abbastanza brava a nascondere la polvere sotto al tappeto, modestamente parlando.
Sono rientrata nella mia bolla di serenità, come quando stavamo passeggiando per Central Park e ho capito che dovevo intentarmi qualcosa al più presto se volevo prolungare il nostro appuntamento, ecco perché mentre metto le tazze nel lavello cado letteralmente dalle nuvole.
- Sì è fatto tardi, - lo sento dire dietro di me, - è ora che vada.
Mi giro, pensando freneticamente a qualcosa per trattenerlo. La realtà è che voglio stare con lui, punto: non mi importa quello che facciamo o dove siamo, come quando siamo al telefono e mi addormento con la cornetta in mano pur di non salutarlo, adesso vorrei che il nostro pomeriggio insieme non finisse.
Mi limito a sospirare,
- Devi?
Mi sistema una ciocca di capelli dietro all'orecchio,
- Questo appuntamento ci è già sfuggito di mano, le consuetudini avrebbero voluto che ti riportassi a casa quando avevamo finito di pattinare.
Mi mordicchio un labbro per nascondere un sorriso, non sembra nemmeno lui del tutto convinto a seguire le consuetudini.
- Non è andata male, no? Discussione a parte. - cerco di strappargli.
È difficile però essere più convincente, con lui così vicino a me tanto che devo sollevare la testa per guardarlo.
- No.
Mi spingo appena verso di lui quando lo vedo muoversi verso di me e le nostre labbra si incontrano. I miei pensieri si azzerano all'istante, ho già detto come mi bacia? È impossibile rimanere lucida.
Le sue mani affondano nei miei capelli, tenendomi contro di lui, la sua bocca mi cerca, accarezzandomi con dolcezza e fermezza. Intenso.
Mi sfugge un sospiro mentre ho ancora gli occhi chiusi, quando si allontana, e quando li riapro lo vedo lì, a osservarmi. Prima che possa dire o pensare qualsiasi cosa si spinge ancora su di me, mentre mi afferra sollevandomi e appoggiandomi sul bancone della cucina. Sono in bilico con mezzo sedere tra il piano e la vasca del lavello, ma è l'ultimo dei miei pensieri: io, lui e le cucine: andiamo decisamente d'accordo.
Reclino appena la testa, invitando le sue labbra a scivolare dalla mia bocca alla pelle del mio collo, in preda a una necessità che che se avessi più lucidità non vorrei soddisfare.
Perché, a discapito dei nostri precedenti, del fatto che effettivamente oggi è stato il nostro primo appuntamento e che spaventata dall'idea che mi costringesse ad affrontare la mia torre traballante di problemi, gli ho detto che non avevo intenzione di diventar affare suo; e per quanto in quel contesto non mi rimangio niente, in qualche modo siamo già oltre tutto questo. William, mi rendo conto nonostante sia consapevole di non essere in pieno possesso delle mie facoltà mentali al momento, è la persona che potrei amare. Con lui il discorso va già oltre una notte di sesso bollente, nonostante in questo momento forse lo desideri più di quanto abbia mai desiderato avere il perfetto Drew nel mio letto.
Ogni centimetro del mio corpo è attraversato da un formicolio impaziente che mi porta più vicina che mai a rimangiarmi la decisione di andarci piano. Catturo le sue labbra con le mie, per un istante, e basta che appoggi la mano sul suo petto senza neanche imprimere un po' di spinta che un filo d'aria scorre nuovamente tra noi. Inspiro e butto fuori l'ossigeno, prima di accorgermi che per metterlo a fuoco dovrei aprire gli occhi. Lo faccio e non appena incrocio il suo sguardo intenso la fame che mi annebbia la mente viene mitigata un po' da un'altra sensazione, dolce, che mi aiuta a riprendere il controllo di me.
La mano intreccia le mie dita e se le porta alle labbra, baciando delicatamente le nocche.
- Ciao, Lexie. - sussurra.
- Ciao, William.
Non so se lo fa perché si ricorda il mio commento di settimana scorsa a casa sua o per il senso di galanteria che fa parte di lui, ma mi aiuta a scendere dal piano della cucina e devo fare fatica per non farmi abbandonare ancora dalle mie sinapsi.
Tiene la mia mano mentre mi precede alla porta di casa e mi appoggio all'attaccapanni guardandolo vestirsi, in un silenzio confortevole. Quando finisce di abbottonarsi il cappotto le sue labbra sfiorano per un istante ancora le mie, e se ne va, lasciandomi sospirare sognante.












Nda Chiedo perdono! Non sono assolutamente riuscita a postare martedì, spero che questo aggiornamento più corposo possa compensare! E già che ci sono, giuro solennemente che posterò entro la fine di settimana prossima, ma essendo il prossimo capitolo ancora in fase di scrittura non garantisco che sia per martedì. Buon fine settimana a tutti, al prossimo capitolo!

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Capitolo 10
*** Fango sulla città ***


sconvolta


La fiducia è un bene fragile. Se la si guadagna, si gode di una libertà illimitata, ma una volta persa può risultare quasi impossibile riconquistarla. La verità è che non sappiamo mai di chi poterci fidare. Anche chi ci vive accanto potrebbe tradirci, mentre gli estranei a volte ci vengono in aiuto. Alla fine, la maggior parte di noi, decide di fidarsi solo di sé stessi; è il modo migliore per evitare cocenti delusioni.
(Desperate Housewife, stagione 1 episodio 10)





Quando mi sveglio, la mattina dopo, rimango sotto alle coperte a godermi la sensazione di pace e caldo, sentendomi una moderna Biancaneve alle prese con uccellini immaginari. Sbadiglio e mi stiracchio, ritrovandomi ad apprezzare anche una cosa stupida come il profumo delle lenzuola pulite.
Sono saltata così velocemente tra le fasi ragazzo del liceo, ragazzi del college e piattume della vita sentimentale a New York, che non mi ricordavo cosa significasse tutto questo, la sensazione dolce e un po' straziante di desiderare di vederlo ancora.
Il cordless suona e io mi rotolo sotto al piumone per raggiungerlo sul comodino, con l'innegabile piccola speranza che sia lui.
- Paul sta facendo il brasato come piace a te. Credo che sia un segnale abbastanza chiaro. - mi raggiunge la voce di Pam.
Il mio stomaco gorgoglia impaziente,
- Lexie adora Paul. - cantileno allegra, sapendo di essere in vivavoce. - Abbonda con il sughetto, a mezzogiorno sono lì.
Apro le imposte scoprendo la bellezza di una New York innevata, e la percezione meravigliosa che nella mia vita ci sia ancora qualcosa per me.

- Buongiorno a tutti! - esordisco, entrando dalla porta che hanno lasciato socchiusa quando ho suonato al citofono.
Nell'ingresso compare Paul, in perfetta tenuta da casa con uno strofinaccio sulla spalla e in mano un mestolo.
- Panzerotta! Lexie è schifosamente allegra. - osserva, con un ghigno.
Faccio finta di niente e appendo il cappotto, prima di rubargli il mestolo per pulirlo dal sugo rimasto.
- Tanto con questo hai finito, vero? - gli chiedo, assaggiandolo.
Paul sbuffa e ritorna in cucina.
- Se non vuoi dirmi niente, significa che c'è qualcosa dire. - grida, mentre io raggiungo Pam in soggiorno. Ci scambiamo uno sguardo d'intesa e mi siedo sul divano accanto a lei, rannicchiandomi contro il bracciolo e coprendomi le ginocchia con un lembo della coperta in pile. Pam spegne la tv e tamburella impaziente contro il telecomando.
- Paul ha ragione: - osserva, complice, - hai un sorriso accecante. Vuol forse dire che l'appuntamento di ieri è andato bene?
Mi sento arrossire e cerco inutilmente di tenere a bada il sorriso, che non sembra più rispondere al mio controllo.
- Diciamo di sì. Pam, non è tanto quello che è successo ieri, è lui che è... - mi zittisco un attimo, vedendo Paul che viene a portarmi una birra e una ciotola di patatine. - Grazie Paul! - cinguetto.
- Voi due mi state nascondendo qualcosa. - osserva, guardandoci entrambe. Pam fa la faccia indifferente e io mi nascondo dietro a una sorsata per non scoppiare a ridere mentre lui torna in cucina.
- Mi sa proprio che dovrò dirlo anche a lui. - giocherello con l'etichetta della bottiglia, - Comunque è... così diverso da come pensavo. Non so come spiegartelo, Pam, ma mi piace davvero. - concludo, con un sospiro.
Lei mi accarezza il ginocchio.
- Si vede. - dice, sorridendo con gli occhi illuminati dalla luce materna.
- Giusto per essere sicuri... stiamo parlando di William, vero? - dice Paul con aria indifferente, appoggiato allo stipite.
- Che ne sai tu? - ribatto stupita, mentre Pam gli lancia un cuscino.
- Non è educato spiare i discorsi altrui.
- Signore mie, sapete benissimo che non riuscite a tenere un segreto con me. Comunque, Lexie, per rispondere alla tua domanda: - mi lancia uno sguardo vittorioso. - Ho le mie fonti.
Sprofondo nel divano, nascondendomi dietro alla coperta.
- Che imbarazzo... te lo ha detto lui? - cosa che avevo ritenuto semplicemente impossibile, tanto da non considerarla proprio.
- Assolutamente no, andiamo: stiamo parlando di William. - mi fa notare, sedendosi sullo schienale del divano. Mi scopre la faccia. - A dire la verità io e Scott avevamo qualche dubbio, così ci siamo scambiati le informazioni, confrontandole, e guarda un po': coincidevano. Tu eri impegnata e lui aveva da fare, che caso, eh?
Gli faccio una smorfia,
- Pettegoli!
Paul mi spettina poco gentilmente,
- Così imparerai a tenermi all'oscuro. L'ispettore Paul scopre sempre tutto! - finge una risata sguaiata e si alza. Prima di tornare in cucina posa un bacio sulla testa di Pam. - Comunque, mogliettina mia, avevo ragione io.


La mia vita non è mai stata perfetta, e sicuramente dopo la perdita di Becca lo è stata ancor meno. Non tanto per come la vivevo, ma per quella costante consapevolezza che lei non c'era più: avevamo undici anni di differenza, ma a discapito di quello, il legame che c'era tra noi non avrebbe potuto essere più saldo nemmeno se fossimo state gemelle. Certo, ci sono stati periodi in cui ci guardavamo come due estranee, per esempio la fase in cui io avevo smesso di essere una poppante ridente e lei non aveva più voglia di far finta che io fossi la sua bambola; oppure quando io avevo quattordici anni e mi sentivo tutto il mondo contro e lei aveva la presunzione di sapere che quello che volevo dire con le mie occhiate e i miei grugniti, ma le abbiamo superate ritrovandoci poi più unite di prima, sempre. Becca era la mia complice e la mia guida, l'esempio migliore che io abbia mai potuto avere, e quando è nata Alanis, che essendo figlia di Becca non avrebbe mai potuto chiamarsi con un altro nome, pensavo che probabilmente tra me e lei sarebbe nato un rapporto simile e che noi tre avremmo creato un cerchio perfetto. Anche Becca me lo diceva, quando andavo a trovarla a New York appena Allie era nata; mi sembra ancora di vederci, qui in salotto, lei in poltrona ad allattare e io a bocconi sul tappeto: andremo, faremo, vedremo... tanti modi che significavano una sola cosa, vivremo.
Poi la grossa imperfezione della mia vita. Per lo meno, la seconda in ordine di tempo, perché un anno prima la mamma aveva scoperto di avere il cancro, ma dopo varie radioterapie erano riusciti a operarla e giusto in quei giorni avevamo avuto la notizia che erano riusciti ad asportarlo. La chemio le aveva distrutto i reni ma a quei tempi ancora non lo sapevamo, io ero tornata al college tranquilla che il peggio fosse passato, ed ero davvero serena.
Quando risposi al telefono e sentii la voce di mio padre, pensai immediatamente che alla mamma fosse venuta una complicazione post operatoria, di quelle che ci avevano illustrato i medici; lui dovette ripetermelo due volte perché all'inizio io non capii: no, Lexie, Becca è morta.
Quando chiusi la chiamata con lui feci il numero di mia sorella, una volta capito che non mi avrebbe risposto impacchettai la mia vita per andare a prendere Allie.

Il dover preoccuparmi per lei mi ha impedito fin da subito di crollare in mille pezzi: piansi disperatamente durante il volo fino a New York, ma non appena atterrai, realizzai che mia nipote sarebbe stata mille volte più devastata di me; così come mia madre, ancora debole dopo l'operazione, doveva affrontare il pensiero di aver perso una figlia. E mio padre che cercava di giostrarsi tra noi tre.
Inghiotti le lacrime, facendomi forza per sollevare almeno me e Allie, di cui mi sarei occupata io, dalle sue preoccupazioni.

Il funerale fu fatto in fretta e furia, con mia madre ancora ricoverata e una lapide provvisoria al cimitero vicino a casa dei miei: non mi ricordo molto di quel giorno, solo che Allie piangeva aggrappata a me. A un certo punto pensai che fosse pura crudeltà costringere una bambina a dover stare a guardare mentre seppellivano sua madre, così la presi in braccio e ce ne andammo.
Pochi giorni dopo ci trasferimmo nel loro appartamento a New York, e se penso a come era quei primi tempi, posso dire che abbiamo fatto grandi progressi in questo anno: la parte che impersonavo, impacciata, ha finito per diventare la mia vita; ho smesso i panni del mio ruolo come pezzo del cerchio che eravamo io, Becca e Allie, e sono diventata la sua tutrice. Può suonare un termine freddo, ma per me vuol dire tutto ciò che voglio essere e che sarò: più di sua zia, ma mai sua madre. Lo riterrei quasi morboso, pensare di sostituirmi a lei. Essere sua tutrice significa invece che sorpasseremo questa cosa insieme, che ci sarò io per lei.
Questo sistema ha ingranato abbastanza bene, abbiamo trovato la nostra quotidianità e le nostre dinamiche, ero realmente serena: avevamo Pam e Paul, io avevo un lavoro che amavo e nonostante non fosse mai una passeggiata, riuscivo a tenere la barca a galla senza particolari scossoni; mi definivo davvero soddisfatta.

Adesso, invece, mi sembra che qualcuno mi abbia tolto il paio di occhiali scuri con cui guardavo tutto. O forse, invece, mi hanno messo davanti agli occhi le famose lenti rosa. Per la prima volta, da quando ho perso mia sorella, ricomincio a cantare sotto alla doccia e mentre preparo la colazione accendo la radio come accompagnamento, senza sentire un insormontabile senso di colpa per continuare a farlo ora che Becca non c'è più.


- Allie, hai finito i compiti? - le grido dalla cucina, mentre spengo la fiamma sotto alla pentola di chili.
- Finitissimi. - dice, il suo nuovo vizio di aggiungere un grado superlativo a tutto quello che dice, - Sai, zia: stiamo leggendo un nuovo libro in classe, il signor William non fa le voci come il nonno, ma è bravissimo a leggere! Lui inizia il capitolo e poi a turno va avanti qualcuno di noi, oggi è toccato a me e Mary Perkins ha detto che sono stata brava! - dice, tirando fuori i piatti puliti dalla lavastoviglie e iniziando ad apparecchiare senza che io debba chiederglielo.
- Sono molto contenta, in questo potresti aver preso un po' da me: quando avevo la tua età passavo ore e ore a leggere ad alta voce ai miei pupazzi, volevo diventare un'attrice. - dico, sorridendo al ricordo.
- A me piacerebbe diventare una maestra. O lavorare in una libreria, come te e Pam, però leggerei ai bambini, come in quella libreria in centro.
È il periodo in cui le sue aspirazioni cambiano quotidianamente, però in qualche modo mi colpisce che i suoi modelli attuali siamo io e William. Ovviamente Allie non sa che ci stiamo frequentando, l'unica occasione in cui ci siamo visti con lei presente, al di fuori di quando ci incontriamo da Pam, è stata quella volta in cui ci aveva invitate a cena; però se le cose dovessero proseguire, ammetto che l'idea di noi tre non è così brutta. Nonostante certe sue idee e la sua testardaggine, William sarebbe per lei un'ottima figura di riferimento. Mi metto a mescolare energicamente il chili, in modo da poter dare la colpa al vapore per le mie guance improvvisamente rosse.
- Ripassiamo il programma di domani: Pam viene a prenderti a scuola e andate insieme a scegliere il regalo per Paul, io vi raggiungo a casa sua e mangiamo lì, va bene?
Io invece andrò con William ad assistere alla sua lezione al NYU, come mi aveva promesso.
Tolgo dal forno le tortillas e le metto nei piatti, poi aggiungo sopra ad ognuna una generosa mestolata di chili, ovviamente non piccante, e ceniamo.

La pioggia ha sciolto la neve, trasformandola in un pantano fangoso che invade i marciapiedi: avevo sperato così tanto che nevicasse per Natale, ma se continua così, anche se dovesse ricominciare, non farà mai in tempo a ricoprire tutto come prima. Appena esco dal lavoro leggo un messaggio di William che è stato trattenuto a scuola per un colloquio improvviso e mi propone di incontrarci direttamente al NYU, scusandosi di un eventuale ritardo; ma visto che ho finito con un leggero anticipo decido di andare a prenderlo a scuola. Quando esco dalla fermata della metropolitana mi rendo conto di aver dimenticato l'ombrello in libreria e corro sotto al portone, per non bagnarmi, posso solo sperare che quello di William sia abbastanza grande per entrambi.
- C'è nessuno? - dico, bussando allo stipite della sua aula. - Ho finito prima al lavoro, così ho pensato di venire qui e andare insieme.
William mi guarda, stupito, e si alza dalla cattedra, venendomi incontro.
- Hai fatto bene, scusami del contrattempo. - dice, con voce leggermente distratta.
- La porta era aperta, - mi sento in dovere di giustificarmi, mentre lui mi spinge dentro all'aula, - hai già finito? Se no posso aspettarti fuori...
Lui scuote la testa e mi fa cenno di sedermi.
- Hanno dimenticato qui l'ombrello, - si rende improvvisamente conto, setacciando l'aula con lo sguardo e trovando un grosso ombrello nero appoggiato sul primo banco, - vado a portarglielo, poi prendo le mie cose e andiamo.
Non è distratto, non è infastidito: è a disagio. Vorrei chiedergli perché, ma il fatto che insegni nella classe di mia nipote implica da parte sua una discrezione maggiore su quello che gli succede al lavoro.
- Tutto bene? - non riesco a evitare di chiedergli, però.
Si precipita fuori dall'aula, come se avesse qualcuno alle calcagna, andando a sbattere contro un uomo che invece stava entrando.
- Ho dimenticato il mio ombrello. - sento dire da una voce che non ricordo appartenere a nessuno dei genitori che conosco.
- Glielo stavo riportando. - dice William, rigido, porgendoglielo.
- Grazie, Parker, e scusa per il disturbo che ti ho causato. - La voce dell'uomo sfuma, io seduta nella sedia accanto alla cattedra non ho una grande visuale di quello che sta succedendo, se non William che sposta il peso da un piede all'altro, seguendo lo sguardo curioso dell'uomo.
- Non sono solo adesso, deve andare. - dice, duro.
- È lei?
Succede tutto al rallentatore: io mi alzo istintivamente, sconcertata da quella domanda, le spalle di William che si curvano in un sospiro, il viso di quell'uomo che mi guarda. - È lei, vero? La sorella di Becca. L'hai trovata, era nella tua classe.

L'equivalente di un pugno nello stomaco, mentre il volto sorpreso che mi guarda, da sconosciuto, lentamente affiora nella mia memoria: gli occhi, azzurri, circondati da occhiaie perenni che danno un'aria più vissuta. Così l'aveva descritto Becca, così lo ricordo dalle foto, così lo vedo ora.
Lo sguardo colpevole di William riassume tutto quello che mi sta bombardando la testa in questo momento, il tempo riprende a scorrere, all'impazzata, seguendo il ritmo del mio cuore. Mi ha tradito. E lui è venuto per portarmi via Allie.
- Come hai potuto? - bisbiglio, pregando di riuscire a trattenere le lacrime fino a quando sarò fuori di qua. Prendo la mia borsa in fretta, senza più guardare né l'uno né l'altro, senza ascoltare le parole che entrambi mi stanno dicendo. Scuse, da parte di Parker, spiegazioni quelle del signor Stevenson, giovane professore di Becca ai tempi del college con cui aveva avuto una breve relazione ma che mai avrei pensato potesse essere il padre di Allie. E invece...
Mi manca il respiro, ma devo assolutamente lasciarmeli alle spalle, anche con una crisi di panico in arrivo.
Le loro voci mi arrivano ovattate da un sibilo costante, gli occhi sono ormai pieni di lacrime che trattengo caparbiamente e mi impediscono di vedere bene quello che sto facendo, dove sto andando. Come se potessi guardarci davvero, con le immagini del mio futuro prossimo in agguato: battaglie legali per un diritto che giuridicamente è suo ma moralmente mio e solo mio, in un contesto dove alla fine conterà solo il fatto che lui è un genitore e io no. E Allie, nel frattempo? Davvero la costringerei a un iter così? Ma d'altra parte non potrei nemmeno lasciarla andare con uno sconosciuto senza combattere...
- Stia zitto, professor Stevenson: ha già fatto abbastanza.
- Parker, non essere sciocco: non ti ascolterà mai.
Entrambi mi bloccano la via per la porta, così mi ritrovo costretta a decidere chi affrontare:
- Non gliela lascerò. Non senza combattere, non può strappare Alanis dall'unica famiglia che ha mai conosciuto. - la scelta ricade sul professor Stevenson, lo minaccio perché sia chiaro che non gliela darò vinta. William Parker non posso nemmeno guardarlo negli occhi, sapendolo complice, sapendo che sono stata io a farlo avvicinare così tanto... - Mi dica una cosa, però: l'ha sempre saputo? Di essere suo padre. Oppure l'ha scoperto ultimamente?
Perché mi ricordo la domanda che mi ha fatto sabato, a casa mia: e il padre?
Forse è stata proprio la mia ingenuità nel fidarmi di lui a dare vita a tutto questo, non me lo potrei mai perdonare. Quanto a lui, anche il solo pensiero del perdono stride pesantemente con quello che sento.
Stevenson mi mette una mano sulla spalla.
- Calmati, Lexie.
Scanso il suo tocco, senza smettere di guardarlo. Come ha potuto non farsi vivo fino ad ora? E perché adesso?
- Miss Spencer, grazie. - lo correggo, tra i denti.
Le lacrime e la disperazione hanno lasciato il passo al puro istinto di sopravvivenza: come ho chiarito ampiamente a Parker, il fatto di aver fatto la sua al momento del concepimento non fa di lui un padre. Lui è solo quello a cui si è rotto il preservativo, fine della storia, e il fatto che non sia stato con Becca dopo la dice veramente lunga sul genere di persona che è. Dovranno passare sul mio cadavere se pensano che gli lascerò prendere Allie.
- Miss Spencer, - accorda, - non sono qui per prenderle Alanis.
Stringo le labbra per sembrare impassibile, quando il solo sentire il nome di mia nipote detto da lui è un aberrazione e mi provoca un conato di vomito.
- Che c'è, vuole tenermi buona? Non è ancora il momento di fare entrare in scena i legali, forse? Non ha ancora raccolto abbastanza materiale su come potrebbe presentarmi come una pessima tutrice?  
Le lacrime ricominciano a pungermi gli occhi, pensare che William sia coinvolto in tutto questo mi spezza ancora di più il cuore.
- Alanis non è mia figlia, nessuno gliela porterà via. - scuoto ossessivamente la testa e lui mi afferra le spalle, gentile ma fermo. - Non è mia figlia, non vi ho cercate per questo. Io e Rebecca siamo stati molto legati. La vita e alcune circostanze ci hanno diviso, ma quando ho saputo della sua morte... mi sento in dovere di accertarmi che voi stiate bene, per lei. E se mai avrete bisogno di qualcosa... - lancia un'occhiata a Parker. - È per questo che gli ho chiesto di trovarvi.
Ci ha trovate per conto di lui. Ecco quello che è successo.
- Non ci serve il suo aiuto. - ribatto, dura, per niente convinta a fidarmi. Poi raccolgo l'ultimo coraggio che mi rimane e sollevo lo sguardo verso Parker. - Non mi hai detto niente. Mi hai cercata per lui.
E se fosse stato suo padre? E se fosse stato un disgraziato da cui mia sorella era scappata?
Mi faccio largo in mezzo a loro con una spallata, sentendo che sto perdendo il controllo che in quest'ultimo minuto ho tenuto faticosamente. Corro per il corridoio cercando di vedere al di là della patina acquosa che ha ricominciato ad annebbiarmi la vista, due lacrime scivolano lungo le guance, lasciando due strisce bollenti.
Dietro di me Parker non smette di parlare, inseguendomi, ma la sua voce non riesce a raggiungermi, un po' come quando isolavo quella di Gaby dai miei pensieri. Mi sento tradita da lui, nel peggiore dei modi: mi ha nascosto tutto, si è approfittato della mia fiducia.
Esco dal portone e corro verso il cancello.
- Lexie!
Il mio nome pronunciato da lui, quel nome che si è rifiutato così testardamente di dire e che ora pronuncia senza esitazione. Riesco a sentirlo e mi fa male come l'ennesima bugia.
Sto per raggiungere la strada quando scivolo su una mattonella, trovandomi per terra e quindi raggiunta in un attimo dall'ultima persona al mondo da cui volevo essere raggiunta.
- Ti sei fatta male?
Scanso in malo modo il suo tentativo di aiutarmi ad alzarmi.
- Lasciami stare. - sibilo, facendo di tutto per evitare di incrociare il suo sguardo.
- Lexie...
Ora che è qui davanti a me non posso lasciarlo continuare chiamarmi così, come se non fosse successo niente.
- Smettila, smettila di chiamarmi così. - non appena inizio a parlargli inizia una discesa e io sono su una bici senza freni: acquisto velocità, terreno, e non c'è niente che io possa fare per fermarmi. - Non mi hai detto niente. Tu lo sapevi, Parker, che non era suo padre? Ne eri certo al cento per cento? - non mi serve guardarlo per capire che, tra tutte le domande che potevo fargli, ho scelto quella a cui non mi può dare una risposta. Mi basta la domanda che lui ha fatto a me, settimana scorsa: aveva il dubbio che potesse esserlo, nonostante quello che il professor Stevenson gli aveva detto. - Hai agito alle mie spalle, tutto quello che è successo tra noi era un modo per portarmi a lui? Per conquistare la mia fiducia e calpestarla?
- No, non sono andate così le cose, devi ascoltarmi. - mi dice, con l'urgenza che rivela la consapevolezza che non lo ascolterò a lungo. - Non ti ho trovata per lui, il professore mi aveva parlato della sorella della sua amica, ma inizialmente non ero convinto che si trattasse di te e Alanis, a quei tempi non ti conoscevo. Non mi sono tenuto in contatto con lui, oggi l'ho visto per la prima volta dopo mesi e chiediglielo, se non mi credi: non gli ho detto niente di te, di voi.
Per quanto possa credergli, questo non basta, nulla potrà più bastare.
- Non è quello il punto, non solo: non hai mai ritenuto che fosse il caso di dirmelo? Con una cosa così importante in ballo? - faccio un passo indietro, allontanandomi da lui. - Ho sbagliato a fidarmi di te, e non potrò mai più farlo. Non appena sarà possibile chiederò che Alanis venga trasferita in un'altra classe. Non ti posso obbligare a non vedere tuo fratello, immagino che prima o poi ci vedremo ancora da Pam, ma non rivolgermi più la parola. E per tutto il resto stammi lontano.

Prima la neve aveva ricoperto la città, ammantandola di un candore da favola, ora si è sciolta ed è solo fango grigiastro e sporco, che non tornerà più al suo stato originario.












Nda So che non ve lo aspettavate... ho molte cose in mente per questa storia, questo capitolo era in ballo da un po' e per me è stato tutto tranne che una sorpresa: sapevo esattamente dove stavo andando, al contrario di altre volte dove invece scopro la trama mentre scrivo.  Questo è una tappa fondamentale, come se si fosse chiuso un primo ciclo. E conosco anche le altre tappe, anche se da qui in poi scriverò più in conteomporanea rispetto a quando pubblico, fino ad ora avevo la mia bella rete di salvataggio pronta che mi ha permesso di non preoccuparmi più di tanto.
William? Sono una contraddizione vivente, perché gioisco come una mamma quando dimostrate finalmente di apprezzarlo e poi gli faccio fare certe cose... però nessuno è perfetto, tutti fanno degli errori, più o meno gravi. Non lo voglio martoriare, ma ho dovuto metterlo in questa situazione.
FYI: settimana prossima è Natale, e se non lavorerò sarò in giro a cercare gli ultimi regali o starò preparando pranzi e cene di quei giorni,  quindi farò di tutto per postare il capitolo entro quella settimana ma è abbastanza improbabile che lo farò esattamente di martedì (forse avevo fatto una premessa simile settimana scorsa ma a sto giro ci sono riuscita :-P)
Vi saluto, sperando che colpi di scena a parte il capitolo sia stato di vostro gradimento, un ringraziamento a chi mi recensisce e a tutti che leggete. Vi auguro di passare buone feste!

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