Just the way you are

di Switch
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Back home ***
Capitolo 2: *** Something is wrong ***
Capitolo 3: *** Questions, ninjitsu and troubles ***
Capitolo 4: *** Leonardo-san ***
Capitolo 5: *** Doctor Jekyll and Mister Hyde ***
Capitolo 6: *** Gotcha! ***
Capitolo 7: *** I don't love you/I should not love you ***
Capitolo 8: *** For the first time in my life ***
Capitolo 9: *** The struggle of the eldest ***
Capitolo 10: *** Can I hope? ***
Capitolo 11: *** I'll be happy ***
Capitolo 12: *** You are who you choose to be ***
Capitolo 13: *** At the edge of darkness ***
Capitolo 14: *** Fall deep in the dark ***
Capitolo 15: *** Wonder and Wander ***
Capitolo 16: *** The strongest bond of Brotherhood ***
Capitolo 17: *** Escape from hell ***
Capitolo 18: *** Thanks and Sorry ***
Capitolo 19: *** Who's the Mysterious Hero? ***
Capitolo 20: *** Reckless move ***
Capitolo 21: *** Bloodthirsty night ***
Capitolo 22: *** Vengeance is like a splinter... ***
Capitolo 23: *** Just a little kiss ***
Capitolo 24: *** Fight me, Forgive me, Forget me ***
Capitolo 25: *** Who the shell are you? ***
Capitolo 26: *** Flames in the memory ***
Capitolo 27: *** Our missing part ***
Capitolo 28: *** Challenge ***
Capitolo 29: *** Matter of heart ***
Capitolo 30: *** To reach you... with all my might ***
Capitolo 31: *** ...It gets under your skin and can poison your life ***
Capitolo 32: *** Humans and Mutants ***
Capitolo 33: *** The real you ***
Capitolo 34: *** I love you... just the way you are ***



Capitolo 1
*** Back home ***


Sequel di "September in the rain"

"Sono annoiato. Annoiato, annoiato, annoiato!” riecheggiò una voce petulante dall'alto del cielo oscuro di New York. Scese giù dal tetto di un immenso palazzo, perdendosi poi tra le stradine sottostanti, inghiottito dal caos notturno.

Te lo giuro, Mikey... quant'è vero che adesso sono una tartaruga paziente, che se non la smetti ti uccido. Lentamente. Dolorosamente!” rispose un'altra voce, bassa e minacciosa, pronunciata così di petto da non riuscire nemmeno ad arrivare oltre il parapetto della costruzione.

Oh sì, Raph. Proprio paziente. Quasi Buddha, direi” soffiò ironica la prima voce, allontanandosi di poco dall'altra.

Già. Per esempio ti picchio meno di quanto meriteresti. Molto meno. E ricordiamoci che tu sei dannatamente fastidioso” asserì quest'ultima con sufficienza, come se le sue parole fossero ovvie.

Ma mi annoio! È una settimana che non succede nulla! Nessuna scazzottata, nessuna emergenza, niente!”

E io ti sembro forse il tuo giullare?”

Michelangelo lo guardò con un grosso sorriso stampato in volto e Raphael si chiese cosa nell'universo trattenesse il suo pugno dallo schiantarsi sulla testaccia verde del fratello. Certo, era indubbiamente diventato più controllato e meno impetuoso, grazie all'età e agli ultimi avvenimenti successi, ma il sarcasmo e le sue provocazioni avevano sempre e ancora il potere di farlo uscire dai gangheri, instillandogli il desiderio di colpirlo per farlo tacere.

In quel momento stava ghignando della sua espressione seccata, con quell'aria furba e svagata che da tutta la vita gli aveva visto su quel viso spensierato.

Sospirò, rassegnato.

Lo ignorò e continuò invece a correre, saltando sul tetto del palazzo di fronte, assorto nel pattugliare le strade brulicanti di vita al di sotto. Riusciva a sentire alla perfezione il brusio e gli schiamazzi che arrivavano dalla strada, composti da gridi, chiacchiere urlate ad un volume decisamente troppo alto, musica che fuoriusciva da locali ogni qualvolta le porte venivano aperte e persino il cigolio di un camion della nettezza urbana che scivolava per le strade per compiere il proprio lavoro.

Di problemi, guai o richieste di aiuto nemmeno l'ombra.

Rallentò appena l'andatura per osservare con interesse una coppia che mangiava un fresco gelato all'uscita dal cinema, sorbendolo con avidità e desiderio.

Quanto avrebbe voluto un buon gelato, ghiacciato quel che bastava a combattere l'afa che si era abbattuta sulla città in quella primavera insolitamente rovente.

Era il mese di Maggio più torrido che riuscisse a ricordare, da che aveva vita. Alte temperature da record, senza un alito di vento, con un'umidità stantia che si incollava alla pelle e ai vestiti, soffocando il respiro. Durante la notte la situazione migliorava leggermente, perché il sole battente scompariva e la frescura delle stelle riusciva a dare loro un po' di tregua; ma il fatto di correre rendeva comunque insopportabile tutta la situazione.

Sto morendo di caldo” si lagnò infatti Mikey, tirando il colletto della tuta per fare entrare un po' d'aria. “Vorrei un bel gelato gigante.”

Non possiamo. Leo e Don ci aspettano. Muoviti.”

Ripresero la loro corsa, diretti verso l'appuntamento coi loro fratelli, anche loro in pattuglia a coppia. Vide che erano arrivati ben prima di loro, in attesa sul parapetto in pietra del grattacielo su cui si erano dati appuntamento.

Allora, cosa vi ha trattenuti?” domandò Leonardo non appena atterrarono, dopo una scalata dal palazzo vicino.

Il leader li stava occhieggiando con rimprovero, impettito e con le braccia conserte.

Mikey. È dannatamente una palla al piede.”

È per quello che lo lasciamo a te” rispose Donatello, ridendosela tra sé.

Ehy! Non parlate di me come se fossi un pacco indesiderato!”

Ma lo sei, Mikey! Lo sei!”

Ma solo perché mi annoio! È tutto così noioso. Non c'è nulla da fare, nessun nemico da battere, nessun progetto malvagio in atto. E se non abbiamo nessun avversario, che cosa siamo?”

Tu di sicuro un piantagrane” gli rispose scocciato il fratello.

Ragazzi, adesso basta. Rapporto” li interruppe Leo, con uno sguardo tagliente.

Come Mr. Pacco indesiderato ha detto prima: non c'è nulla da fare, nessun nemico da battere. Non abbiamo trovato traccia di attività sospette e non c'era nessun segno di loro” rispose Raph conciso, riportando con infinita noia il rendiconto della sua nottata di ronda con Mikey il piantagrane. Che si era voluto fermare per coccolare un gattino abbandonato che Raph non gli aveva fatto adottare, che si era allontanato per andare a occhieggiare con desiderio una vetrina di dolci, che aveva insistito a tutti i costi per prendere una pizza dal locale all'angolo grazie alle loro tecniche ninja, lasciandosi ovviamente i soldi dietro, per correttezza.

A volte si sentiva come se fosse suo padre e non suo fratello. Salvo il fatto che lui, con un figlio come Mikey, sarebbe uscito completamente di testa.

Non è possibile” esalò Leo, preoccupato. “Un mese intero senza più un segno o una traccia... non è da loro!”

Sembra quasi che tu sia dispiaciuto. Ti manca il vecchio Hun, Leo? Mh? Senti nostalgia di quel vecchio, viscido scimmione?” lo canzonò Mikey, con un'alzata di sopracciglia derisoria.

Se non sai dov'è il tuo nemico è più difficile sapere le sue mosse” esclamò il leader, assorto.

Bella massima, Splinter junior. Ma non credo che Hun sia davvero sparito. È di certo nascosto da qualche parte, il bastardo” disse Raphael, storcendo la bocca in un un ghigno arrabbiato.

Sono d'accordo con te. Il problema è: dove sono finiti lui e i Purple Dragons? E cosa stanno tramando, nell'ombra?” domandò Leo, scrutando la città, sovrappensiero.

New York sembrava insolitamente minacciosa, più del solito, velata da quel mistero che non riuscivano a dipanare. Per quanto sembrasse bello da credere, nessuno di loro riteneva vero che un'organizzazione criminale, potente e temuta come loro, sparisse nel giro di una notte, senza lasciare alcuna traccia, senza nessuna spiegazione plausibile.

Erano come evaporati. La loro base era vuota, un guscio completamente svuotato se non per le carcasse di moto abbandonate, spranghe arrugginite e vecchi fustoni di ferro dove avevano bruciato documenti, a giudicare dall'enorme quantità di cenere trovata al loro interno. A rafforzare la convinzione che ci fosse qualcosa di strano, tutti i graffiti della banda per la città erano stati cancellati, sepolti sotto pennellate di vernice, come se non fossero mai esistiti.

Era ovvio che c'era qualcosa sotto. Ma cosa? Si erano trasferiti per perpetrare le loro malefatte in una nuova città? Era stata una nuova organizzazione a scacciarli via? Stavano tramando nell'ombra, raccogliendo forze in vista di un grosso attacco? O semplicemente Hun si era utopisticamente ritirato dalla malavita, trascinando con sé tutta la sua organizzazione?

Nessuno di loro riusciva a venirne a capo e pattugliare le strade era l'unico modo che conoscevano per avere informazioni. Eppure per un mese non avevano fatto altro che girare in tondo come un cane che si mordeva la coda.

Ok, per adesso cerchiamo solo di tenere occhi e orecchie bene aperti. Sento una minaccia imminente, ma non so quando o dove attaccherà.”

I tre fratelli annuirono alle parole del leader, cariche di preoccupazione. Lo seguirono per un giro a quattro, l'ultimo prima di ritirarsi al rifugio.

L'alba non era lontana; un leggero e tiepido lucore in lontananza ad Est annunciava che non mancavano che poche ore al sorgere del sole, perciò avrebbero fatto un giro davvero veloce, giusto per essere sicuri che non ci fosse niente di sospetto in giro.

Girarono da tetti a terrazze, saltando su cisterne e fili tesi tra i palazzi, dal grattacielo più alto all'appartamento più infimo, concentrati e silenti, invisibili e silenziosi come ombre nell'oscurità. Michelangelo ogni tanto spezzava il silenzio con una battute delle sue, Donatello ne rideva mentre Raphael lo sgridava, tutto sotto lo sguardo a tratti esasperato a tratti serio di Leonardo.

Non si poteva certo dire che i rapporti tra di loro fossero rimasti esattamente quelli di un tempo, per certi versi era meglio per altri peggio, ma nell'ultimo periodo tra loro si respirava un'aria di coesione, di lavoro di squadra pulito ed efficiente. Forse perché finalmente Leo e Raph avevano smesso di litigare come cane e gatto e collaboravano molto più volentieri. O meglio, litigavano ancora, ma meno spesso e meno violentemente di prima; Raph sembrava essere maturato abbastanza da sottostare agli ordini di Leo con più accondiscendenza.

Apprezzava gli sforzi del fratello di guidare al meglio la squadra e riconosceva il duro lavoro e la forza che effettivamente ci voleva per essere un buon capo, per cui, il più delle volte, anche se non era d'accordo con ciò che il leader diceva, semplicemente inclinava il capo e gli dava fiducia, senza contestare.

Mai avrebbero creduto che sarebbe arrivato quel giorno. Avevano sempre tutti pensato che Raph sarebbe arrivato ad autodistruggersi prima o poi, consumato dalla sua rabbia fino all'osso, probabilmente in qualche rissa che avrebbe cercato da solo, pieno di alcol fino a scoppiare.

E forse sarebbe successo davvero se non fosse stato per lei.

I ninja corsero verso la direzione della zona industriale, nel quale non si aggiravano da tempo. E se le loro vecchie conoscenze si fossero trasferite in uno dei grossi magazzini in disuso nel 'Meatpacking district'? Potevano avere fortuna e trovarli con le mani affondate in qualcosa di losco. E allora avrebbero potuto prendere Hun a calci nel suo sederone flaccido, che era sempre un buon antistress per loro.

Si fermarono in prossimità delle prime file di magazzini, scrutando l'area attorno. L'aria era permeata da un vago sentore dolciastro di carne andata a male, ma non si preoccuparono più di tanto: la zona era stata in passato un grosso centro di lavorazione della carne e benché si fosse trasformato col tempo in un quartiere famoso e rinomato anche per i locali, non era strano che dai vecchi depositi provenisse ancora l'odore di carne stantia, soprattutto con temperature calde come quelle a cui dovevano sottostare in quel periodo.

Decisero comunque di dare un'occhiata ai posti più sospetti.

Attenti, giù” esclamò secco Leo, riparandosi dietro il parapetto del tetto del basso palazzo su cui si trovavano.

Sentirono il vociare sgraziato e vagamente alcolico di un gruppo di ragazzi che usciva da un locale all'angolo, con un'insegna veramente brillante e faretti che illuminavano le strade e il cielo notturno.

Come pretendono che possiamo essere invisibili se non fanno altro che mettere insegne e lampioni ad ogni dove?” si lagnò Mikey una volta che le voci del gruppetto festivo si furono allontanate.

Non che non sia d'accordo, ma non credo che i gestori dei locali tengano conto dei ninja quando pensano all'illuminazione stradale, sai? Solo al benessere dei propri clienti” intervenne Don, rialzandosi insieme agli altri.

Non so se sia un bene o un male. Sembra che le strade siano più sicure, dato che si vede meglio ciò che succede, ma allo stesso tempo tutta questa luce distoglie l'attenzione dalle stradine buie appena più in là, dove può succedere di tutto.”

Donnie annuì, concordando con le parole del leader. Poi quando quello si gettò in una corsa verso un magazzino poco distante si accodò alla sua scia, insieme agli altri.

Un flebile rumore metallico arrivò alle loro orecchie, spezzato di tanto in tanto da qualche parola. Si bloccarono, prestando attenzione a ciò che stava accadendo sotto i loro piedi: un grosso via vai di muletti carichi di casse che uscivano da un magazzino immerso nell'oscurità e finivano nel retro di un enorme camion.

C'erano almeno una ventina di persone. Due di loro coordinavano i lavori, dieci guidavano altrettanti carrelli elevatori e gli altri facevano una gran fatica a caricare e scaricare casse, con poche parole e molte parolacce gridate per imprecare per lo sforzo.

Pensate che siano Purple Dragons?” bisbigliò Mikey.

Io non vedo nessun tatuaggio, né una toppa a forma di dragone. Piuttosto, cosa ci sarà dentro le casse?” esclamò Don, pensieroso.

Non so cosa ne pensiate voi, ma per me basta andare giù, prenderli a calci e aprire per scoprire” intervenne Raph con un sorriso predatore.

No. Non sappiamo ancora se sia una cosa illegale. Non possiamo picchiare chiunque ci sembri sospetto o avremmo già fatto fuori mezza New York!”

Raph abbassò le spalle alle parole del leader, ma con le mani ancora strette a pugno, mentre sembrava combattere contro sé stesso. Lasciò perdere con un sospiro.

Va bene. Per adesso li teniamo solo d'occhio” acconsentì, con un tono di voce che sembrava più un ringhio.

Rimasero in attesa, seguendo il via vai di quei volgari e piccoli uomini che come formiche si affaccendavano dal magazzino al camion e viceversa, ininterrottamente.

Mortalmente noioso.

Mikey sbadigliò. Don si passò una mano sul collo intirizzito, mentre l'altra teneva il binocolo con il quale continuava a tenere d'occhio di sotto; Raph si dondolava da un piede all'altro, spostando il peso a volte a destra, a volte a sinistra.

Solo Leo si manteneva perfettamente immobile, con le braccia conserte sul petto, senza muovere un muscolo.

Poi, un guidatore di un muletto fece una brusca sterzata, troppo avventata, e le casse che trasportava si ribaltarono, rovinando a terra con un secco rimbombo: le assi della prima si spaccarono con uno schiocco e il contenuto rovesciò a terra, tra le imprecazioni generali.

Don rise.

Mentre continuava a guardare la scena con il suo binocolo. Una risatina leggera, ma davvero sentita.

Cosa? Cosa c'è?” domandò curioso Mikey, provando a strappargli lo strumento di mano. Don glielo passò di sua spontanea volontà.

Michelangelo osservò attraverso le lenti con scrupolo, girò le rotelle per regolare lo zoom, una, due, tre volte, sempre più velocemente... poi scoppiò in una fragorosa risata. Così forte che rimbombò dal tetto fino a sotto, allarmando gli uomini affaccendati a riparare al danno.

Mikey!” lo sgridarono contemporaneamente i tre fratelli, ma senza tuttavia riuscire a spegnere le sue risate.

Al di sotto, intanto, gli uomini si erano resi conto della fonte del rumore e, fermati i lavori, stavano tutti con le facce all'insù, guardinghi e furiosi.

Mikey! Ci hai fatto scoprire!” gridò Leo, mentre il fratello continuava a ridere, semi accasciato contro il parapetto.

Scu... scusa. Ma... ma... Pucci!” continuò a ridere, balbettando le parole per il troppo ridere.

Eh?” esclamarono Leo e Raph, confusi, mentre Don ridacchiava.

Sono borse contraffatte di Gucci. Ma contraffatte male... c'è scritto Pucci” rivelò il genio, suscitando nuove risatine nel fratellino.

Dalla strada arrivarono urla e strepiti, con toni minacciosi.

Bene, adesso grazie a Mikey e alle Pucci dobbiamo per forza combattere... per delle borsette!” si lagnò Raph, incredulo.

Beh, il contrabbando e la contraffazione sono comunque reati” constatò Don.

Leo sospirò rumorosamente, quasi un po' affranto.

Va bene. Senza armi, ragazzi. Non voglio certo che malmeniate troppo un gruppo di idioti” esalò, mettendo un piede sul parapetto, seguito a ruota dagli altri.

Si gettarono tutti e quattro nel vuoto, gioendo delle facce sconvolte degli uomini via via che si avvicinavano al terreno. Mikey atterrò alla destra di Don e alla sinistra di Leo, più in là c'era Raph: i loro avversari li guardarono con tanto d'occhi, sorpresi e pietrificati.

Mostri!” strillò uno di loro, a cui mancava un dente, in preda all'isteria.

Io... ho sentito parlare di loro. Sono quattro mutanti verdi che escono di notte a battere i malviventi. Sono veloci, sono forti, sono spietati” balbettò un altro, un ragazzetto minuscolo, probabilmente di nemmeno quindici anni.

Hai dimenticato bellissimi” intervenne Raph, compiaciuto.

Quindi siamo una leggenda metropolitana. Forte” chiosò Mikey, elettrizzato.

Sanno parlare!” gridò lo stesso uomo col dente mancante, ormai completamente fuori di sé.

Gli altri compari erano rimasti in silenzio a valutare la situazione, occhieggiando preoccupati il loro aspetto e le armi che spuntavano dalle loro schiene o che pendevano dalle loro cinture.

Allora, avete due opzioni: o vi consegnate alla polizia spontaneamente, e ci evitate un po' di rogne, o ci vediamo costretti a ripassarvi per bene e poi a mandarvici con la forza” spiegò loro Leo, con tono bonario.

Io personalmente preferisco la seconda. Scegliete la via dura, vigliacchi, fatemi divertire” sibilò Raph, provocandoli.

Io non ci torno in galera” esclamò uno del gruppo, facendosi avanti con una spranga di ferro nelle mani.

E via che si comincia!” esultò Mikey, gettandosi nella mischia.

Sono venti... se la matematica non è un'opinione, e so che non lo è, abbiamo cinque avversari a testa” constatò Don, preparandosi a combattere.

Un'orda di uomini si riversò dal magazzino nello spiazzo dove si trovavano, tutti armati con mazze e spranghe, alcuni addirittura con coltelli.

Dicevi, genio?” soffiò Raph, con i pugni già alzati.

Leo stava già combattendo, colpendo i primi due al viso con un doppio calcio al volo. Mikey stava scorrazzando di qua e di là, evitando colpi alla testa e al viso, centrando nel contempo le loro gambe, atterrandone quanti più possibile.

Don lottava da sempre con il Bō, perciò era abituato ad un tipo di lotta a distanza, ma per una volta si gettò a testa bassa, colpendo duro, sentendo le nocche delle mani scontrare contro la loro carne, con un primitivo e di certo non razionale piacere.

La tattica di Raph era un po' più brutale. Niente schivate. Nessuna corsa. Solo pugni chiusi e attacchi forti e decisi, come un incontro di boxe. Dava persino loro modo di difendersi, sempre che ne fossero capaci. Di sicuro c'era solo che li buttava giù uno dopo l'altro, con sua somma soddisfazione.

Rimase in piedi solo il ragazzo di quindici anni, tremante, ma ancora ritto e vigile.

Raph gli si fece incontro, a grandi e lenti passi. Poi si inchinò, perché lo sovrastava di almeno trenta centimetri e il ragazzino doveva torcere il collo per poterlo guardare in viso.

Cosa ci fai qua, moccioso?” domandò, stringendo gli occhi a fessura.

L'altro tremò appena, ma non rispose affatto.

Ti ho chiesto che cosa ci fa un moccioso come te, di notte, in mezzo ad un traffico illegale con degli uomini indubbiamente equivoci!”

Raph, lo stai terrorizzando!” intervenne Leo, facendo dei passi verso di loro.

Silenzio! E tu, rispondi!”

Io... mio padre si è ammalato e lo hanno licenziato. Io sono il più grande dei miei fratelli e devo guadagnare soldi o ci butteranno fuori di casa” replicò alla fine il ragazzino, sconfitto.

I quattro ninja sollevarono le sopracciglia, sorpresi. Raph sospirò, stancamente, rialzando la schiena.

Questi uomini andranno in galera. Tu invece fili dritto a casa. Domani mattina andrai alla pizzeria all'angolo tra Kenmare e Mott e ti farai assumere come lavapiatti. E voglio che continui ad andare a scuola. Non voglio più vederti in giro di notte, non voglio più trovarti a compiere azioni illegali. E stai certo che se sgarri anche solo una di queste cose io lo verrò a sapere e ti farò passare le pene dell'inferno. Sono stato chiaro?”

Il ragazzino tremolò mentre annuiva, poi sparì come un fulmine, senza nemmeno voltarsi.

Ci sai davvero fare coi ragazzini. Chissà perché non fai l'educatore” lo canzonò Mikey.

Come sai che lo prenderanno al lavoro?” domandò Don, mentre si dava un'occhiata distratta attorno, controllando le casse e il contenuto per essere certo che non contenesse altro, oltre le borsette contraffatte.

Uno dei soci del locale è amico di Casey e so che cercava qualcuno. Lo chiamerò e gli chiederò un favore. Almeno quel moccioso non dovrà fare cose del genere.”

I tre fratelli lo guardarono con un sorrisino compiaciuto.

Che c'è?”

Ma che tenerone il nostro Raphie. Posso chiamarti papà Raphie? Mh?”

Mikey si beccò un pugno alla spalla, di rimprovero.

Ragazzi, ho finito con la telefonata anonima alla polizia. Possiamo andare” si intromise Leo, riportando la calma.

Don li rassicurò sul fatto che non ci fosse nient'altro nelle casse al di fuori delle borsette contraffatte, perciò attesero di sentire le sirene delle auto e poi si dileguarono nelle ombre, sparendo nel primo tombino disponibile.

Percorsero stancamente le fogne, con sonori sbadigli. Mikey pensava ad infilarsi nel letto alla velocità della luce. Raph avrebbe di certo fatto lo stesso. Leo l'integerrimo sarebbe corso al dojo a meditare.

Don fu il primo ad entrare al rifugio e si fiondò alla postazione del computer, iniziando a digitare alla tastiera come un matto. Gli altri tre, benché avessero decisamente altri piani, andarono a controllare.

Che fai?” chiese curioso Mikey.

Sto annotando tutti gli spostamenti sospetti che abbiamo scoperto nell'ultimo mese e sovrappongo i dati con quelli raccolti dei Purple Dragons. Non so se ci sia connessione tra la loro sparizione e i nuovi gruppi che sembrano spuntare agli angoli delle strade, ma intendo scoprirlo.”

Ancora con Hun. Perché non lo lasciamo stare dove sta?” si lagnò il fratellino, di colpo meno attento e svogliato.

Perché ovunque sia, lui di certo non ci lascerà perdere” replicò Leo, che invece seguiva gli schemi al computer con interesse.

Una sirena spezzò di colpo il silenzio, un lamento lungo e prolungato, mentre una luce rossa lampeggiava proprio sopra la loro testa.

Don la osservò sconvolto poi le sue mani volarono sui tasti, componendo codici ad una velocità prodigiosa: una cartina di rette e linee che si intersecavano, si svolgevano, si dipanavano in ogni dove apparve al posto della cartina di New York che c'era prima.

Don, che succede?” esclamò Leo, preoccupato. Il sensei apparve dal dojo e gli porse la stessa domanda, alzando la voce per sovrastare il rumore.

Un intruso nel perimetro di sicurezza” esalò il genio, seguendo con apprensione un piccolo puntino luminoso sullo schermo, che percorreva le linee, le fogne della città, con velocità.

Figliolo, disattiva almeno la sirena, per favore” pregò il maestro, le cui orecchie erano di certo ancora molto sensibili nonostante l'età.

Don pigiò un paio di pulsanti e il terribile suono cessò, ma non la pulsante luce rossa, che li metteva in guardia.

Non sarà Casey? O April o Angel?” provò Mikey, titubante.

No. Loro sanno che devono inserire il codice all'inizio del perimetro di sicurezza.”

Potrebbe anche essere solo un addetto alla manutenzione che è sceso a riparare una tubatura rotta” continuò il più piccolo, per cercare di spezzare la loro tensione.

Riusciva a sentirla. Riusciva a capire che erano tutti tesi, preoccupati che qualcuno avesse scoperto ancora una volta il loro rifugio. Le immagini dell'ultima volta in cui era stato distrutto gli passarono davanti agli occhi. Non voleva che succedesse ancora.

Il piccolo puntino continuò a scivolare tra le fogne con precisa sicurezza, avvicinandosi sempre di più.

A me sembra proprio che stia venendo qui” sibilò Raph, serrando la mascella. Sperò che non fosse uno di quegli uomini battuti prima, che magari li aveva seguiti senza che loro se ne accorgessero.

Sensei, piano di fuga o piano di lotta?” domandò Leo, con urgenza. Lo sguardo scivolò verso il loro padre, provando a leggere sul suo viso la risposta, ma il saggio ratto sembrava impassibile come sempre.

Non voglio abbandonare la nostra casa, per una minaccia fantasma. Vediamo prima di cosa si tratta.”

Rimasero in silenzio ad osservare il puntino avvicinarsi sempre di più, con una sottile ansia.

Quando non mancavano che pochi metri, si staccarono dalla piattaforma e si avvicinarono cautamente alla porta.

Dovremmo almeno aprire, no? Non voglio che ce la facciano saltare in aria” sussurrò Mikey, come se temesse di poter essere udito.

Leo annuì, d'accordo con lui, ma prima che potesse dare il via a Don per aprire, l'enorme porta del rifugio si sollevò da sola, lentamente.

Le mani corsero alle armi, inconsciamente, e i muscoli si tesero allo spasmo in una silenziosa difesa.

Avevo pensato di mandarvi una lettera, ma non credo che il postino vi avrebbe trovati” esclamò la voce dell'inatteso ospite.

I suoi occhi scuri scivolarono sui loro volti, poi ridacchiò, una risata improvvisa e delicata, che solleticò le loro menti.

Raphael conosceva quella risata. L'aveva sognata. Aveva bramato di sentirla in tutto quel tempo, una volta ancora, una sola.

Ma non poteva essere vera.

Isabel?” soffiò sconvolto davanti al suo sorriso.



Note:

Salve!

Sono felice di essere tornata.

La fine della prima storia mi ha fatto sentire piena di soddisfazione, ma anche triste. Non so spiegarvelo. E l'inizio di una nuova mi emoziona.

Qui ci sono complotti, un cattivone, sentimenti, azione e molto altro ancora. Pronti?

Ringrazio già fin da ora tutti coloro che la leggeranno.

A presto!

Abbraccione!


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Capitolo 2
*** Something is wrong ***


Isabel?” soffiò sconvolto Raphael davanti all'apparizione dell'inatteso ospite.

Era lì, davanti a lui, incorniciata dall'enorme porta del rifugio, in attesa delle loro reazioni, ma non riusciva ancora a crederci. Non poteva. Era andata via, anche se l'aveva pregata di restare, con tutte le sue forze.
Per quale motivo sarebbe tornata indietro? Per lui? Per vivere con lui nelle fogne per l'eternità? Ridicolo.
Eppure, anche nell'incredulità, nell'agitazione, nel tremore delle mille domande che gli affollavano l'anima, non riusciva a staccare gli occhi da lei.
E Isabel non era mai stata più bella. Col sorriso più splendido mai visto, che le illuminava il viso di felicità nel vederli.

Isabel!” strillarono sorpresi i suoi tre fratelli, correndo incontro alla donna, che spalancò gli occhi dalla sorpresa.
Si trovò stretta in un mega abbraccio, così appassionato che quasi faticò a respirare, mentre le voci si sovrapponevano l'una sull'altra, tra domande ed esclamazioni euforiche.
“Ragazzi... ragazzi, mi state soffocando!” strillò suo malgrado, seppure tra le risate. I ninja la lasciarono andare, ma ancora sorridevano.

Raph era l'unico che si era tenuto in disparte.
Lei era lì, a qualche passo di distanza. Era lì, in carne e ossa, non una fantasia della sua mente, non un misero sogno ad occhi aperti dei tanti che aveva avuto in quegli otto mesi da che si erano salutati.
Otto mesi. In cui la sua mancanza l'aveva quasi mandato alla pazzia, ma in cui non aveva fatto altro che ripetersi che lei se n'era andata per sempre, che non sarebbe mai più tornata.
E invece era davvero lì. Bella, radiosa, coi capelli lunghi raccolti in una coda, la figura snella eppure tonica, in forma e in salute, come se nell'ultimo tempo si fosse dedicata solo alla cura di sé stessa. E avrebbe voluto correre come un pazzo, abbracciarla e non lasciarla andare mai più, sussurrandole quanto gli fosse mancata, quanto fosse felice di vederla.
E tuttavia sollevò solo una mano in segno di saluto. Perché i suoi sentimenti si erano come bloccati tra il petto e la bocca, incastrati nella foga di volerli esprimere tutti assieme: erano troppi, erano troppo complessi ed enormi per riuscire facilmente a districarli.
Isabel gli sorrise, timidamente, abbassando lo sguardo mentre arrossiva. Come diamine poteva essere così bella?

Quando sei tornata? Perché sei tornata? Ti fermi qui? Cos'è successo? Sei diventata regina? Oh, cielo: sei una regina!?” continuò a strillare Mikey a pochi passi da lei, sempre più emozionato.
“Lasciala respirare! Se la asfissi di domande non saprà nemmeno da che parte è girata” lo rimproverò Don, tappando la bocca al fratello.
“Grazie mille, Donnie. Ho mille cose da raccontarvi! Ma prima... è un piacere rivederla, maestro.”

Isabel si inchinò davanti al saggio ratto, chinando la testa più che poté in segno di rispetto; Splinter allungò una mano e la afferrò sotto il mento, sollevandole il viso perché potesse guardarla, poi, inaspettatamente, l'abbracciò.
“Bentornata” le sussurrò sentito, mentre Isabel si commuoveva, per l'impensato slancio d'affetto.
“Devi essere stanca. Vieni a sederti e raccontaci come è andata e cosa ti ha ricondotta da noi” propose saggiamente il maestro, facendole strada verso l'angolo relax.

Isabel sorrise con gratitudine e si lasciò guidare, osservando con nostalgia e dolcezza il rifugio, fin nei suoi più piccoli angoli; era stata lei a rimetterlo a nuovo, con l'aiuto delle pietre della luna di cristallo degli Y'Lyntian, ma ritrovandosi nuovamente lì per la prima volta dopo così tanto tempo, era come se lo vedesse per la prima volta. E non era solo perché nel frattempo che lei se n'era andata, loro avevano arredato con mobili nuovi, con una complessa postazione multimediale e uno spazio tv decisamente esagerato. Era perché si era dimenticata quanto fosse grande e spazioso, e luminoso; come l'aria fosse pulita e senza odori, nonostante fossero nelle fogne, come tutto sapesse di casa.
Forse perché era lì con loro. E loro erano casa, per lei.

Il suo sguardo scivolò ancora una volta su Raphael, fugacemente, ma si scostò in un istante quando lui voltò gli occhi verso di lei, forse perché si era accorto di essere osservato. Sentiva che c'era qualcosa che non andava, ma sperò che fosse solo una sua impressione dovuta alla stanchezza del viaggio o all'emozione per averlo rivisto dopo tutti quei mesi.

Si sedette sul divano, con Mikey alla sua destra e Don alla sinistra, e il maestro le portò una tazza di tè, con cortesia. Attesero che bevesse, in rispettoso silenzio, senza pressarla con le domande che volevano farle. Isabel sorrise, dolcemente.
“Sono andata nel regno dei maghi. Non è stato facile trovarlo, ma dopo un paio di settimane e un'indagine nella mente di Gregor ho scoperto l'ingresso” iniziò a raccontare davanti ai loro visi curiosi.

Non hanno creduto subito alla mia storia. Una mezza strega, che aveva vissuto per tutta la vita fuori da regno, seguita e torturata dal reggente? Mi hanno riso in faccia, la prima volta che ho parlato davanti al concilio. Ma non ho vacillato. Ho presentato le mie memorie come prova. Tutte. Da quelle coi miei genitori, per provare la mia ascendenza, a quella battaglia a Central park. È stato veramente lungo ed estenuante, con interrogatori giornalieri, dibattiti e contro prove. La voce si è diffusa presto tra il popolo e la loro curiosità mi ha impedito di mettere piede fuori dal castello. È durato cinque mesi. Cinque mesi per dimostrare che razza di infido e vigliacco Gregor fosse, per dipanare tutte le sue trame, i suoi omicidi. Ma sono stata aiutata: Michelle, Jervis e tutti coloro che lo avevano servito minacciati dal suo potere si sono fatti avanti, comprovando la mia testimonianza. E così li ho convinti. Il concilio ha riconosciuto Gregor colpevole di tradimento, omicidio, Regicidio e persecuzioni e torture nei miei confronti, ed è stato condannato.”

La sua voce suonava così leggera, così felice, come se tutti i fantasmi del passato fossero scomparsi nel momento in cui quel fantomatico concilio dei maghi aveva dichiarato il suo aguzzino colpevole. Non potevano sapere delle lacrime silenziose che la notte aveva lasciato cadere, sentendosi sperduta e sola, lontano da loro.

Allora è morto?” domandò con voce bassa Mikey, come se fosse timoroso di svegliare qualcosa se lo avesse chiesto con un tono più alto.
“No. I maghi non hanno la pena di morte. Non è una punizione morire, perché le tue pene terminano e non puoi evolvere. È stato trasformato.”
“Trasformato?” ripeterono più voci, con lo stesso tono sorpreso.
“Sì. In un lombrico di terra. In questo modo potrà essere utile all'ecosistema e nello stesso tempo rimuginare sui suoi errori, fino alla fine della sua vita. Sperando che possa così migliorare.”

Le facce sconvolte dei suoi amici erano davvero ilari. Si era aspettata che non capissero appieno la cultura dei maghi; perfino lei si era trovata stranita, la prima volta in cui si era imbattuta in quella o quell'altra tradizione o forma di pensiero, così diverse da quelle degli umani. I maghi erano così eterei, più spirituali che fisici e materiali e non sempre aveva capito immediatamente i loro comportamenti o le loro parole o le loro dottrine. Ma poi, con pazienza, le aveva accettate come proprie, perché erano una parte del suo essere, tanto quanto la cultura umana.

Trovo che sia un'ottima dottrina di vita” mormorò colpito Splinter, sorridendole incoraggiante.
“Sì, ma poi? Cos'è successo dopo?” domandarono Mikey e Don assieme, che si erano appassionati al racconto.
“Dopo hanno iniziato a studiare i miei poteri, perché sono un po' differenti dai loro. Forse a causa della mia natura doppia. E mi hanno pazientemente insegnato ad usarli a mio piacere, senza farli più scoppiare fuori in caso di pericolo. E quando ho capito come padroneggiarli appieno, mi hanno chiesto di aprire la camera del tesoro, se ne fossi stata capace.”

Si interruppe in una pausa ad effetto, che non fece altro che accrescere la curiosità nei suoi interlocutori, che si struggevano per sapere.
“Allora? L'hai aperta?”
La voce di Michelangelo era appena un sussurro.
Lei bevve un altro sorso di tè, prima di rispondere.
“Sì, la camera si è aperta” rivelò con un sorriso enigmatico. I più trattennero il fiato, colpiti.
“Sei diventata la regina” continuò Donnie, con un sospiro.

Isabel annuì, poggiando la tazza di tè sul tavolino.
Raphael seguì ogni sua mossa, con una pressante angoscia acquattata sullo stomaco, che gli inacidiva l'animo e ogni cellula. Era davvero diventata la regina del regno dei maghi. Riusciva ad immaginarla benissimo, fasciata in sontuosi abiti e con una corona a cingerle la fronte, bella e potente, al comando di un regno. Allora cosa diamine era tornata a fare? A sbattere loro in faccia la sua felicità?

Allora non sei tornata per restare” esalò un po' affranto Mikey, che ci aveva sperato davvero.
“In realtà... sono la regina, ma solo di nome. Non governo io il regno” rivelò Isabel, con un sorriso che prometteva grandi rivelazioni.
“Cosa?” chiese Mikey, basito.
“Tu non sei... cosa?” seguì a ruota Don, confuso.
“Sono stata nominata regina, ma ho rifiutato di rimanere a governare. È il mio reggente ad occuparsi delle parti burocratiche, nonno Jervis.”
“Eh?”

Ad ogni secondo passato, e ad ogni parola che pronunciava, non faceva altro che creare caos e confusione nelle loro menti, che ormai non erano altro che un turbine di domande.
“Non è davvero mio nonno, è il nonno di Michelle. Ed era uno dei consiglieri di mio padre. Gli ho parlato e gli ho espresso i miei dubbi. E lui ha acconsentito alla mia richiesta di governare al posto mio.”

Ma... perché?” domandò Leo.
“Perché non ho mai desiderato essere una regina. Mio padre sarà anche stato il loro re, ma per me era solo mio padre. E non mi ha cresciuta come una principessa, ma come una bambina normale, con sogni normali. E adesso ho sogni solo miei e non mi importa di avere tutto il potere o il denaro che possono offrirmi, se devo rinunciarci.”
Si era infervorata ad ogni parola, perché di sicuro quell'argomento le era caro e le era stato chiesto anche laggiù, in quel fantomatico regno nascosto, al momento in cui aveva scelto di non rimanere a regnare.

E come l'hanno presa?”
“All'inizio male. Hanno cercato di convincermi con tutte le argomentazioni possibili e immaginabili. Ma alla fine si sono dovuti arrendere. E la mia presenza non è davvero necessaria, devo solo tornare una volta l'anno per un rito di potere; nonno Jervis continuerà a mantenere il regno prospero e in ordine al posto mio, con l'aiuto del concilio, con la clausola che mi permette di rientrare in caso di abuso di potere o di necessità. Ma so che entrambi i casi sono fuori questione.”

Ma allora... sei tornata per restare?”
“Sono tornata per accettare l'offerta che mi fece il maestro e diventare una sua discepola, se lo vuole ancora.”
Splinter le rivolse uno sguardo affettuoso.
“Certo che lo voglio. Ti ho giurato che ti avrei insegnato e ti avrei amato come una figlia, se mai avessi accettato. Perciò puoi anche iniziare a darmi del tu, Isabel.”
“Oh sì! Avrò una sorellina tutta mia? Ho sempre sognato di avere una sorellina!” strillò fuori di sé Mikey, sporgendosi per abbracciare Isabel con uno slancio caloroso.
“Una sorellina da abbracciare, con cui giocare, da proteggere, con cui parlare...”

È questo che vuoi essere? È questo il tuo sogno? Essere una kunoichi?” domandò interessato Don, interrompendo i vaneggiamenti di Mikey.
Lei sollevò un angolo della bocca, in un mezzo sorriso di soddisfazione, ancora stretta nell'abbraccio di Michelangelo. Sembrava trovare divertente la loro sorpresa.
“Quello è solo una parte. Voglio studiare medicina e diventare la prima dottoressa specializzata nel curare mutanti” rivelò nel silenzio attonito che la sua affermazione suscitò.

La faccia di Leo era sorpresa. Quella di Don piacevolmente attonita. Quella di Mikey, che ancora la teneva stretta, era scioccata. Quella di Raph completamente sconvolta. Il maestro invece continuò ad osservarla con i suoi occhi saggi e penetranti.
Lei voltò gli occhi da uno all'altro, aspettandosi che qualcuno dicesse qualcosa e che spezzasse l'innaturale silenzio, che la stava mangiando viva per l'agitazione.
“Non volevi aprire un negozio di fiori?” riuscì a dire Mikey, lasciandola finalmente andare per guardarla in viso.
Isabel aggrottò la fronte, spiazzata, poi cercò lo sguardo di Raphael, con rimprovero per aver rivelato quel suo segreto. Non sapeva che lo avevano visto nel viaggio tra i suoi ricordi, quando l'avevano aiutata a tornare in sé.
“Quello era solo un sogno di una bambina. Di tanti anni fa. La Isabel di adesso vuole altro” attestò convinta, muovendo come sempre le mani attorno a sé per l'agitazione.
“Perché proprio una dottoressa per mutanti?” le chiese Splinter, con semplice curiosità.
“Perché so guarire. E nessuno più di me sa cosa voglia dire essere ferito e non avere nessuno che possa curarti. Posso imparare a curare coi metodi tradizionali e unirli alla mia magia, offrendovi finalmente ciò che non avete mai avuto e che meritereste: la sicurezza di ricevere le cure adeguate, soprattutto dato il genere di vita pericolosa che vivete.”
“Ma... non possiamo chiedertelo. Vorrebbe dire sacrificare tutta la tua vita dietro a noi. Non vuoi vivere normalmente, ora che puoi?” esclamò Leo, lusingato dall'idea di Isabel, ma anche preoccupato per la sua scelta.
“No. Questa è la normalità, per me.”

Il discorso era chiuso. Si poté capire dal tono asciutto e secco che Isabel aveva usato. E se non fossero stati così scioccati da tutte quelle rivelazioni si sarebbero accorti certamente che Raph non era mai intervenuto, nemmeno una volta. Che si era tenuto in disparte, mentre i più disparati e conflittuali pensieri gli invadevano la testa e il cuore.
Avrebbero dovuto accorgersi dell'aura spessa e densa che emanava. Avrebbero dovuto accorgersi che c'era qualcosa di strano, dell'oscuro e torbido sguardo che aveva in quel momento. Ma non lo fecero. Troppo assorti nell'interessarsi a lei non si erano accorti della mancanza di reazioni in lui, che non faceva presagire nulla di buono.

L'alba era ormai sorta da ore, anche se lì sotto non potevano vederla. Il maestro suggerì a tutti loro di riposare, per ritemprare le membra e la mente: i suoi figli erano spossati dal giro di ronda e Isabel per il lungo viaggio. E tutti per l'emozione.
Fu Mikey ad accompagnarla fin al piano di sopra e a mostrarle la camera, tra la sua e quella di Leo, e non Raphael, come si era immaginata. Finita la discussione lui si era voltato ed era sparito nella sua stanza, senza un cenno o una parola, ghiacciandole il sangue nelle vene per la freddezza e il suo atteggiamento distante.

Ecco qui” le disse Mikey con allegria, aprendo la porta e mostrandole l'interno della camera: era molto più spaziosa e luminosa di quanto pensasse ed era già arredata con un mobilio essenziale e spartano. C'era perfino una finestra magica che rifletteva il tempo della superficie.
Stava osservando assorta il letto ad una piazza, quando Mikey le passò un cambio di lenzuola per poterlo rifare.
“Se hai qualche cosa da chiedere, io ci sono. Benvenuta in famiglia” le mormorò con un grosso sorrisone entusiasta, prima di stringerla in un nuovo e frettoloso abbraccio affettuoso.
Rimase attonita, anche quando lui se ne fu andato e a lei non rimase che guardare la porta, con un misto di gioia e imbarazzo.
Ecco, quella era una reazione che le faceva piacere. L'affetto e la premura di Michelangelo la sconvolgevano, era vero, ma erano mille volte meglio della totale freddezza di Raffaello.
Non si era certo aspettata che la baciasse davanti a tutti, urlandole quanto l'amasse e gli fosse mancata, ma nemmeno l'assenza di emozioni che aveva mostrato. Sembrava quasi che lui non la volesse lì, che il suo ritorno non fosse gradito.

Strinse nella mano la pietra viola della collana, sospirando.
Possibile che Raffaello avesse smesso di amarla? Nonostante lei non avesse fatto altro che pensare a lui, ogni istante? Anche se aveva sentito la sua mancanza come una pressione costante sul cuore per tutto quel tempo ed era quasi morta di felicità nel rivederlo?
A ben pensarci Raffaello non aveva mai detto di amarla. Lei lo aveva presunto, dedotto, dal suo comportamento nei suoi confronti, da quella notte assieme, ma lui non le aveva mai detto un “ti amo”. Però, quando stava per lasciarlo, lui l'aveva stretta con forza, supplicandole di non andare, chiedendole di restare con lui per sempre.
Allora cos'era cambiato in quegli otto mesi?
Forse aveva fatto male a tornare. Forse avrebbe dovuto informarlo dei suoi progetti, chiedere il suo parere.
Si affrettò a rifare il letto con le lenzuola fresche di bucato e poi si lasciò cadere sopra, appallottolandosi su sé stessa, confusa e molto meno felice di come si era aspettata.
Non sapeva che non era l'unica a pensare al suo ritorno e che non era l'unica a non esserne felice.




La notte era scesa presto, inghiottendo domande, pensieri ed emozioni. I quattro ninja erano scivolati via dal rifugio presto, per varie e diverse ragioni, e non avevano visto Isabel che per pochi istanti.

Hey!” esclamò Mikey raggiungendo i fratelli sul tetto del palazzo su cui avevano appuntamento.
“Eccoti qui! Era ora, ritardatario” lo sgridò Don, scuotendo la testa con disapprovazione.

Il fratello gli rilanciò un sorriso di scuse.
“È che Carl è così carino! Non puoi smettere di giocarci solo perché hai altro da fare!”

Che dice Casey?” si informò Leo.
“Dice che si informerà da alcuni suoi vecchi amici che sono stati nel giro dei Purple Dragon. Ha detto che non crede nemmeno lui alla sparizione di Hun e che vuole essere informato se scopriamo qualcosa” riportò Mikey, con insperata velocità e senza fronzoli.
Leo acquisì le nuove informazioni con un sospiro, meditabondo.

Oh, ehy, Casey mi ha detto di dirti che il ragazzino ha ottenuto il lavoro e che si comporta bene, per ora” continuò Mikey rivolto verso Raphael, che si limitò ad alzare leggermente le spalle per fargli capire che lo aveva sentito.
Se il piccolo di casa si fosse accorto o no del suo essere strano non era certo. E non gli importava.
“Sarà meglio che continuiamo a pattugliare” ordinò Leo, iniziando a correre verso il cornicione.

Non credevano che sarebbe successo niente di così strano come la sera prima, ma era evidente che si sbagliavano. Quando mai avevano ragione su questioni del genere?
Fu vicino a Chinatown che si imbatterono nella prima stranezza della nottata. Un convoglio di uomini che uscivano dal retro di un take away, con facce circospette e un sacco nelle mani ognuno, che tenevano stretto al petto come se fosse il loro figlio primogenito.
“Ok. Diamo un'occhiata?” propose Don con in mano uno Shuriken a quattro punte.
Lo lanciò nella notte con un sibilo morbido.
Il sacco del primo uomo si ruppe con uno strappo secco, che si sentì fin lassù, seguito dall'imprecazione del possessore.

Mikey rise, esattamente come la sera prima.
“Che c'è? Altre Pucci?” chiese svogliatamente Raph, piuttosto contrariato.
“Sapete, credo che ci sia una connessione tra la stranezza di ieri e quella di oggi. Ma che io sia dannato se ho capito quale sia” esclamò incredulo Don, continuando ad occhieggiare di sotto.
“Questa volta sono dei gioielli 'Toffani'” ridacchiò Mikey, che trovava la cosa esilarante.
“Oh, andiamo! Non mi batterò contro un altro gruppo di idioti!” ringhiò Raph allontanandosi da lì.

Il rumore di una mitragliata gli arrivò alle orecchie, facendolo voltare: Mikey, Don e Leo si erano allontanati dal bordo giusto in tempo per evitare le pallottole.
“Mh, forse posso farlo, invece.”

Si gettò in una corsa, pronto a gettarsi di sotto.
“Aspetta, Raph!” strillò Leo, anche se troppo tardi ormai. Il fratello era già in discesa, bersagliato da continui colpi che per fortuna riusciva ad evitare.
“Sì, come se potessi fermarlo! Deve scaricare l'emozione di riavere la sua ragazza a casa!” esclamò Mikey con una risata, affrettandosi a seguire il fratello.

Leo osservò lui e Don che saltavano nel vuoto, con un sospiro e un ghigno obliquo. Ma era davvero l'unico ad essersi accorto che c'era qualcosa che non andava?






Note:

Salve!

Scusate il ritardo nell'aggiornare, il mio pc mi sta abbandonando. Non so quanto continuerà a resistere e ne sono spaventata. Non mi abbandonare, pc!

Comunque, voglio ringraziarvi. Tutti quei commenti e i preferiti, in un solo capitolo! Wow, che fiducia! Non vi deluderò, lo prometto.

Allora, c'è un perché per tutte queste contraffazioni e questi gruppi di idioti? Sì, c'è. Più avanti si scoprirà perché spuntano fuori come funghi.

Scommetto che vi aspettavate che Raphael stringesse Isabel in un abbraccio e le declamasse il suo imperituro amore, ma purtroppo non fa mai quello che ci sia aspetta da lui, perciò...

Vi mando un mega abbraccio!



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Capitolo 3
*** Questions, ninjitsu and troubles ***


Mikey si abbandonò al suolo con un rantolo e un sospiro. I Nunchaku caddero al suo fianco con un lieve rumore sordo. Prese degli ampi respiri, gli occhi fissi sul cielo, il torace che si alzava e abbassava con foga, il corpo completamente ricoperto di sudore.
Sono... sono alla frutta” esalò a fatica.
Da qualche parte arrivarono i grugniti di approvazione dei suoi fratelli, anche loro totalmente sfiancati.
Per parecchi minuti nessuno parlò, troppo concentrati a riprendere fiato, tutti sdraiati a pancia in su sull'asfalto, incuranti dei corpi disseminati attorno a loro.

Basta! Giuro che se ne appare anche solo un altro mi faccio sparare con sollievo” mormorò Don, sollevandosi sui gomiti con una smorfia per i muscoli doloranti.
Mikey sorrise e annuì, Leo scosse la testa sollevando gli occhi al cielo, mentre Raph stava in silenzio, con un avambraccio poggiato sul viso, prendendo grossi respiri. Era quello che si era battuto con più foga di tutti, fino a che le forze lo avevano retto.

Dieci gang.
Avevano lottato contro dieci differenti gang, in una sola notte. Spuntate una dietro l'altra, nei posti più assurdi e disparati della città, mentre trafficavano le cose più assurde e disparate, con livelli di stupidità e pericolosità crescenti: erano passati dal primo gruppo che lottava solo con spranghe e bastoni, agli ultimi con pistole, fucili e mitragliatrici. Per tutta la notte erano dovuti correre da una parte all'altra di New York, e fino a quel momento, quando oramai non mancavano che pochi minuti all'alba, si erano battuti contro almeno cinquecento persone.

Io sono convinto davvero che l'ascesa di aggressività sia stata voluta. Così come sono convinto che tutte le bande fossero in qualche modo connesse tra loro” continuò Donnie, riuscendo infine a mettersi seduto.
Ma davvero, genio? Se non ce l'avessi detto non avremmo capito che è tutto collegato. D'altronde, come potremmo sospettarlo? È perfettamente normale trovare dieci bande che commerciano roba contraffatta male come borsellini Prado, abiti di Bolentino e orologi Polex. Sembra che ci sia un convegno di aspiranti criminali idioti in città!” ringhiò stancamente Raph, tirandosi su.
Mikey scoppiò a ridere, contorcendosi sul pavimento come un'anguilla.

I... i miei preferiti son stati gli accessori Dolce e Babbana!” strillò tra le risate, ormai completamente andato dalla stanchezza. Si dimenò per qualche minuto, finché le risa non scemarono e si rilassò, con ancora un grosso sorriso a stirargli le labbra.

Non c'è niente da ridere. Saranno anche stati gruppi di idioti con mercanzia tarocca, ma le loro armi erano tutto fuorché finte” lo riprese Leo, osservando distrattamente lo squarcio nella tuta che attestava il colpo di striscio che aveva preso al bicipite.
Mikey ne aveva ricevuto uno sulla spalla, Don e Raph almeno un paio ciascuno, tutti per fortuna solo superficiali. Non era nemmeno sicuro di come avessero fatto ad evitare quel diluvio di proiettili: ad un certo punto della nottata c'erano state talmente tante persone a sparargli contro, che l'aria era diventata completamente grigia, satura di pallottole fino a scoppiare.
Erano vivi per puro miracolo. Continuava a scorrere freneticamente con lo sguardo sui suoi fratelli per assicurarsi che non avessero ricevuto danni più gravi, ma a parte la stanchezza che stirava i loro visi sembravano stare bene.

Hai ragione. E sono preoccupato proprio per la combo stupidità-armi. E per la progressiva evoluzione nell'armamentario. Cosa dovremo aspettarci la prossima volta? Un cannone?”
Raph si era voltato alle parole accorate di Don, con un'espressione cupa.

La prossima volta? Potrebbe esserci una prossima volta?” domandò scioccato, con la vena che pulsava tra i muscoli del collo.
Il fratello fece spallucce, senza rispondergli direttamente. Sapevano perfettamente che ci sarebbe stata una prossima volta. E forse anche una dopo ancora. Non era possibile che una situazione del genere, che aveva tutta l'aria di essere solo la punta di un gigantesco e problematico iceberg, potesse risolversi da sola, magicamente.

E se avesse a che fare con Hun?” domandò d'un tratto Leo, seriamente.
Ancora? Quel grosso gorilla è stupido, ma non così stupido da mettersi con gente del genere!” sbuffò Raph, incredulo e seccato.
No. Non hai capito. Intendo: se la sparizione di Hun avesse portato alla formazione di queste gang improvvisate? Con la scomparsa dei Purple Dragons una grossa fetta della criminalità cittadina si è volatilizzata nel giro di una notte sola. E se qualcuno stesse cercando di approfittarne e prendere potere, ma fosse troppo inesperto e stesse facendo solo casini?” suppose il leader, spiegando ciò che gli frullava nella testa da qualche ora, ma che non era riuscito a dire nella foga delle continue lotte.

I suoi fratelli lo ascoltarono attentamente, valutando la cosa.
Una nuova organizzazione?” mugugnò Raph, soppesando le parole del fratello, come se trovasse l'idea un po' azzardata.
È una valida teoria. Potrebbe anche essere giusta” constatò sorpreso e compiaciuto Don, che non aveva affatto pensato a quell'eventualità. Aveva formulato almeno un centinaio di teorie, ma proprio quella non l'aveva tenuta in conto.
Dobbiamo interrogare qualcuno di questi e scoprire di più” disse Raph, occhieggiando gli uomini svenuti attorno con sguardo predatorio.

I quattro osservarono i loro ultimi avversari, -una cinquantina di persone,- riversi a terra senza conoscenza, in pose scomposte e con grossi lividi per tutto il corpo. Nessuno era ferito in maniera davvero grave. Forse. Dopo una notte passata a lottare senza sosta forse la mano gli era un po' scappata verso la fine, ma niente che non potesse essere trattato in un qualunque pronto soccorso senza troppe conseguenze.
Ok, quale scegliamo? Quello mi sembra meno svenuto degli altri” esclamò Mikey puntando il dito contro un uomo grosso come un armadio che giaceva supino schiacciato da almeno altri cinque uomini.
Mh, non so. Chi ci garantisce che ci diranno la verità?” titubò Don, scettico.
La minaccia di un'altra ripassata?” rispose Raph scrocchiando le nocche, minaccioso.
Allora che si fa? Ne prendiamo uno e lo portiamo al rifugio? È quasi l'alba” propose Mikey, guardando in su verso il cielo che cominciava a schiarirsi.
È fuori discussione. Non porteremo nessuno da nessuna parte!” asserì categorico Leo, scuotendo la testa davanti alla faccia di Mikey.

Si erano ormai alzati tutti in piedi e avevano raccolto le armi da terra, pronti a scomparire in un lampo ora che avevano ripreso fiato e si erano un po' riposati. Ma ancora non sapevano come fare per venire a capo del loro problema: non potevano rimanere a lungo all'aperto, perché entro pochi minuti le strade si sarebbero riempite di persone e avrebbero potuto essere visti, ma non potevano nemmeno prendere uno di quegli idioti e portarlo al rifugio, col rischio di scoprirsi troppo.

Io ho un'idea migliore. Il ragazzino di ieri.”
I tre ninja si voltarono verso Raph, che aveva parlato con un ghigno soddisfatto in viso, parzialmente illuminato da un primo raggio di sole.

Vuoi rapire il ragazzino?” strillò sconvolto Mikey, sollevando un po' la voce.
No, idiota. Andrò a parlarci!”

Leo storse appena la bocca, sovrappensiero. Non gli sembrava una buona idea lasciare quel ragazzino nelle mani di suo fratello. Probabilmente lo avrebbe strapazzato e lo avrebbe terrorizzato al punto da ottenere l'effetto contrario.
Andrò io. Stasera. È meglio andarci piano con lui, d'accordo?”
Raph sembrò lievemente contrariato, ma fece spallucce e acconsentì senza ribattere, anche se l'idea era sua. Riusciva a capire cosa suo fratello stesse pensando e avrebbe desiderato che capisse che non era più l'aggressivo Raphael di un tempo. Non così tanto almeno.

Con il nuovo piano in mente si decisero finalmente a tornare a casa, stanchi e malandati, con il proposito di coricarsi il prima possibile. Si diedero un'ultima occhiata attorno, sul cumulo scomposto di uomini al suolo che sarebbero stati presto trovati da una pattuglia opportunamente avvisata con una soffiata anonima, poi scomparvero nel primo tombino disponibile, in tutta fretta.

Mikey sbadigliò, stiracchiando le braccia doloranti per il troppo roteare dei Nunchaku con un cupo cigolio che ben poco si addiceva alla giovane età. Si bloccò con gli arti in aria, come preso da un pensiero improvviso, poi sorrise dispettoso.
Ah, come invidio chi ha la fidanzata a casa che aspetta il suo ritorno” esclamò a voce alta nel condotto che stavano attraversando, che fece riecheggiare il suono in maniera sinistra.

Raph, che camminava di fronte a lui, non si voltò all'affermazione né rispose, anche se aveva sentito perfettamente; socchiuse appena gli occhi dalla stanchezza e dal magone e accelerò l'andatura, cercando di distanziarli.
Non potevano capire. Nessuno di loro. Nemmeno lui riusciva davvero a capirsi, o forse sì, ma preferiva far finta di no per non dover davvero pensare a tutta quella situazione. Lasciò andare un sospiro.

Sì, corri pure! Non scappa mica, sai?” lo rincorse la voce di Michelangelo, che gli diede i brividi.




Isabel si alzò alle prime ore del mattino, piuttosto frastornata. Aveva dormito sul letto ancora fatto, con i vestiti addosso, in una posa particolarmente scomoda. Aveva sognato? Ricordava un confuso ammasso di immagini scollegate tra loro, ma che chissà perché le davano una spiacevole impressione.
C'era di mezzo Raphael, quello lo ricordava bene. La sua freddezza della mattina prima le aveva lasciato addosso una sensazione sgradevole, uno sconforto che la riportava a pensare come la sua vecchia sé, piena di dubbi e paure.

Stiracchiò con un sospiro affranto i muscoli del collo e il corpo intorpidito e poi passò alla toeletta, per sciacquarsi la faccia e lavare i denti. Dopo essersi rinfrescata, aver legato i capelli e indossato il completo da palestra, scivolò fuori dalla stanza, silenziosa senza una vera ragione apparente.
Si diede un'occhiata intorno circospetta poi, constatando che non ci fosse nessuno in giro, si piegò in avanti, compiendo un paio di capriole a mezz'aria, fino ad arrivare al bordo del pianerottolo: rimase in verticale con le mani sul cornicione, guardando il vuoto sotto, in bilico, con un delizioso capitombolo al centro dello stomaco. Si lasciò cadere di schiena, compiendo torsioni durante la caduta, e infine atterrò ammortizzando il contraccolpo con un piegamento di ginocchia e sollevando le mani in alto come una ginnasta alla fine del suo esercizio, soddisfatta di sé.

Di certo l'applauso fu meritato, ma anche così inatteso che sobbalzò. Leo le batteva le mani con un'espressione compiaciuta in viso, qualche metro davanti a lei.
Sei stata davvero bravissima. I miei complimenti” le disse con un sorriso, continuando ad applaudire.
Isabel arrossì violentemente e avvicinandosi bloccò le sue mani.

Non credevo che ci fosse qualcuno. Che vergogna” mormorò a mo' di scusa, imbarazzata da morire.
Mi scuso per non aver manifestato la mia presenza, allora. Vecchio difetto da ninja.”
Cosa fai in piedi così presto? Non siete tornati tardi dal giro di ronda?” gli chiese Isabel, iniziando ad incamminarsi verso il dojo.
Leo inaspettatamente la seguì.

Non sono nemmeno andato a dormire, a dire il vero. La ronda di stanotte è stata un po'... strana” le rivelò andandole dietro con falcate sciolte, senza entrare troppo nei dettagli di quella sfinente e assurda notte.
Lo sguardo di Isabel si poggiò distrattamente sullo squarcio della tuta sul suo braccio, con un luccichio timoroso.

Qualcuno di voi si è ferito?” domandò con voce apparentemente calma.
No, tranquilla. Stiamo tutti bene, solo un po' stanchi” la rassicurò, capendo che quel 'qualcuno' pronunciato da Isabel era riferito soprattutto a Raphael.
Quanto era fortunato quell'idiota ad avere qualcuno che si preoccupasse in quel modo per lui?

Erano arrivati alla porta del dojo e Isabel si era fermata ad ammirare gli intarsi e le incisioni dall'aspetto quasi reale, nel legno lucido color mogano.
Allora non sarebbe meglio che tu riposassi?” sussurrò apprensiva, ancora assorta.
No, a prescindere da tutto, mi alleno sempre di prima mattina con il sensei. Sonno o non sonno” le confessò aprendole la porta del dojo, mostrandole come era cambiato da quando lo aveva creato e mostrato loro: alle pareti c'erano degli arazzi di un bel colore rosso acceso con ideogrammi giapponesi in bianco, che spiccavano nitidamente; all'altro lato della stanza vi era un espositore con ogni genere di arma, da Katana antiche a Shurinken da tre a sette punte, pugnali, Bō, Sai, Naginata, Tonfa e mille altre ancora, tutte lucide e ben riposte in un ordine quasi maniacale.

Il maestro Splinter era già arrivato e sedeva in posa da meditazione al centro del dojo.
Buon giorno” esclamarono i due a voce alta, inchinandosi con rispetto.
Il topo mutante aprì gli occhi e si voltò a guardarli con un sorriso bonario sulle labbra.

Buon giorno a voi, miei amati discepoli.”
Si alzò, aiutandosi col fidato bastone al suo fianco, e li raggiunse a piccoli passi felpati. Era un errore credere che il bastone indicasse la sua vecchiaia o l'impossibilità a muoversi, perché sapeva essere veloce più del vento, se lo desiderava.
O quando c'erano in gioco le vite dei suoi figli.

Leo si era rimesso dritto e sorrideva al maestro, ma Isabel rimase con la testa china, in silenzio e con la schiena tesa.
Isabel?” la chiamò Splinter con apprensione.
Io... voglio ringraziarti per il grande onore, sensei. Non so come esprimere la gratitudine e il senso di rispetto che provo nel cuore. Farò del mio meglio per non deluder...”
La mano del vecchio saggio si poggiò sulla testa della giovane, con affetto.

Siamo una famiglia. Non abbiamo bisogno di tante parole e non hai bisogno di sforzarti per dimostrarci nulla, figliola.”

La schiena della ragazza tremolò appena, mentre un tenue sorriso si faceva strada sulle sue labbra e un vago pizzicore invadeva gli occhi. Non si era mai sentita così, prima. Non si era mai sentita così amata, avvolta dall'affetto in maniera così totale.
Sentiva di non meritarselo. Ma anche di amare quel calore nel cuore che la faceva sentire al settimo cielo e parte di qualcosa.
Si ricompose, anche se i suoi occhi rimasero lucidi di un velo di lacrime trattenuto. Leo le mandò un mezzo sorriso di incoraggiamento, mentre Splinter si spostava sotto allo stendardo col simbolo del clan Hamato: un fiore di peonia a cinque petali, il fiore preferito di Tang Shen, il cui centro era uno yin yang, in onore del maestro Yoshi.1

Per prima cosa il maestro li fece sedere di fronte a sé a gambe incrociate e schiena dritta, per meditare.
La meditazione è il primo passo per imparare il ninjitsu. La lotta comincia dalla mente. Se questa non è preparata, nemmeno il corpo lo sarà. Non importa quale livello di potenza un guerriero possa arrivare a raggiungere, senza la guida di una mente allenata alla perfezione non sarà altro che una nave in balia della tempesta, ingovernabile e destinata ad affondare miseramente. Mente e corpo lavorano all'unisono, sono un tutt'uno, le stesse facce di una sola moneta” mormorò quieto, mentre loro bevevano ogni sua parola, in silenzio.

Isabel annuiva di tanto in tanto, completamente assorta, ignara del sorriso che le incurvava le labbra, che era nato nel momento in cui aveva pensato che Splinter le ricordasse un po' suo padre: dolce e gentile, saggio e fermo, mescolati nella giusta dose.
Prendere dei grossi respiri è uno dei sistemi migliori per liberare la mente e rallentare il battito cardiaco e favorire lo svuotamento dei pensieri, al fine di raggiungere uno stato di quiete, base dal quale iniziare la meditazione” continuò lui, chiudendo gli occhi e inspirando a pieni polmoni.

Nel dojo si sentirono solo profondi respiri, lenti, ponderati; all'inizio disomogenei e cacofonici, perché ognuno aveva un proprio ritmo, infine divennero uniformi e armonici, regolati all'unisono.
Era come se respirassero allo stesso ritmo del mondo.

Hai un'ottima preparazione, Isabel” affermò il maestro nel silenzio, con un flebile tono che non desse fastidio o spezzasse la concentrazione.
Lei sorrise appena, senza aprire gli occhi, deliziata dal suo complimento.

La meditazione sta anche alla base della magia. Senza, non riuscirei ad usarla a mio piacere e verrei sopraffatta e spazzata via” spiegò lei, nella sua postura rigida e severa, con le spalle tirate verso l'esterno, il mento alto, le mani poggiate a palmo in su contro le ginocchia con i pollici e i medi a toccarsi.

Anche se la concentrazione di Isabel era adeguatamente allenata, Splinter insisté che non era mai troppa, per un buon ninja, e pretese quindi che ogni lezione iniziasse con almeno un'ora di meditazione collettiva, per rafforzare la coesione e lo spirito del gruppo. Si lamentò solo per pochi secondi sul fatto che gli altri suoi figli avrebbero perlomeno dovuto presentarsi alla prima lezione, -e su una cupa punizione per tutti loro,- poi ritornò nel mondo mentale, per testare le difese e le parti lacunose, se mai ce ne fossero state.
La sua voce guidò i loro pensieri e le loro azioni, con calma e fiducia, un passo alla volta.

Fu un'ora piuttosto strana, per Isabel. Aveva sempre meditato in solitudine e connettere la propria mente con altre persone non le risultò semplice, perché era molto meno intimo; non riusciva ad aprirsi ancora a quel genere di intrusione esterna e continuava ad innalzare le sue difese, sbattendo fuori e di malo modo i suoi compagni.
Se il maestro era stato comprensivo e rassicurante, Leo aveva mostrato attimi di insofferenza e frustrazione, velocemente dissimulati da un sorriso.
Isabel aveva sospirato di sollievo, alla fine, mezzo scombussolata per le continue intromissioni mentali. Aveva ancora davvero tanto da imparare.

Per le successive due ore il maestro testò le basi dell'equilibrio, facendola stare in bilico su un palo strettissimo, ma alto solo pochi centimetri. Il segreto era la stessa meditazione, le aveva detto Splinter, doveva solo cercare il suo baricentro interiore.
Leo stava su un altro palo alto almeno due metri, con una gamba sola, e tuttavia era perfettamente immobile. Se ne stava appollaiato con gli occhi chiusi, senza prestar loro attenzione e di tanto in tanto cambiava gamba con un saltello.
Nonostante la sua precaria condizione e il suo vistoso traballare, comunque, Isabel non cadde e scese quindi con molta allegria alla fine dell'allenamento. Le dolevano da morire i muscoli delle gambe e delle natiche e pensò che non c'era da meravigliarsi dei muscoli delle loro gambe se avevano dovuto allenarsi in quel modo in tutti quegli anni.
Si risedette con un fastidioso formicolio agli arti inferiori, dovuto non solo all'esercizio da funambolo, ma anche alla postura giapponese, sulle ginocchia.

Adesso manca solo una cosa per poter valutare appieno le tue potenzialità: voglio vedere come combatti” esclamò il maestro, sorprendendo sia lei che Leo.
Chiese una lotta d'allenamento a mani nude tra loro due. All'inizio Isabel pensò che stesse scherzando, -Leonardo l'avrebbe polverizzata senza nemmeno scomporsi,- ma quando vide il giovane inchinarsi al sensei e portarsi al centro del dojo, in attesa, seppe di essersi sbagliata.
Facevano dannatamente sul serio.

Si portò quindi in posizione, con lo stomaco sottosopra. Inghiottì a vuoto, nervosa.
Yoroshiku Onegaishimasu” dissero contemporaneamente con un inchino in sincrono, senza averlo nemmeno programmato.
Leo le sorrise, sorpreso che lei conoscesse la formula di rito. Era certo che non fosse stato quello zuccone di suo fratello ad insegnarglielo.

Vacci piano, ok?” gli mormorò tesa lei, rialzando il capo.
Piano? Stai scherzando? Ti ho vista combattere contro Raph e Gregor, non hai bisogno che io mi trattenga!”
Se lo ricordava alla perfezione, quello stile pulito e veloce, anche troppo per una che aveva imparato da così poco e sotto la guida di suo fratello. Ne era rimasto sorpreso e anche un po' stizzito, forse.

Oh, quello” soffiò Isabel, sorpresa che avesse menzionato quegli scontri del passato.
Ma allora ho combattuto con l'aiuto della magia. E io non voglio usarla più nei combattimenti.”
Avevano iniziato a muoversi in circolo, spostandosi di lato con passi lenti e ampi, studiandosi. Il sensei si teneva in disparte, seduto e tranquillo, osservando le loro mosse, i muscoli tesi dei loro corpi, il modo in cui differivano nell'analizzare l'avversario.

Cosa cambia?” domandò scettico il leader, mentre il piede strisciava leggero sul pavimento, con un fruscio appena udibile.
Sensei, posso mostrare a Leo cosa cambia se uso la magia per combattere? Ti prometto che dopo non ne farò più uso” esclamò Isabel, senza staccare gli occhi dal suo avversario.
La pressione guerriera di Leonardo era spessa e riusciva a sentirla anche da quella distanza. Non poteva permettersi nemmeno un millesimo di secondo di distrazione.

Permesso accordato” disse la voce di Splinter, rimbombando su ogni parete fino ad arrivare a loro.
Ok, Leo. Inizierò con le mie reali capacità.”

Si gettò contro di lui in un attacco, ma non gli fu difficile capire dove avrebbe colpito: alzò il braccio, parando il pugno diretto alla sua faccia. Isabel sollevò la gamba per colpirlo, ma anche quello era un attacco facile da parare. Tutta la sequela di colpi portati dalla ragazza erano buoni e veloci, ma non abbastanza per lui; perfino con la stanchezza accumulata in quella notte di ronda estenuante riusciva a reggere senza fatica il suo ritmo. Era prevedibile, lenta e perfino troppo normale, niente a che vedere con ciò che ricordava. Certo, c'era un buon margine di miglioramento, ma non riusciva a percepirla come una vera avversaria.
Si era rivelata deludente. Bloccò una gomitata con un semplice gesto di polso, piuttosto infastidito.

Isabel si fermò e trasse dei respiri profondi, con piccole goccioline che le imperlavano la fronte e alcuni ciuffetti scappati dalla coda alta che si appiccicavano al viso, le guance rosse. Si deterse il volto con un asciugamano con frenesia, prima di ritornare in posizione.
Adesso userò la magia” attestò con un sorriso, il tono della voce vagamente emozionato.
O lo aveva solo immaginato?

Non vide arrivare il colpo di taglio diretto al viso, percepì solo una folata di vento improvvisa e repentina, indirizzata violentemente contro la sua persona: sentì la maschera lacerarsi in mezzo agli occhi per la pressione e la velocità e cadere al suolo con leggerezza, senza nemmeno un fruscio.
Castano scuro” soffiò la ragazza, avvicinandosi in un secondo.
Poi sparì dalla sua vista. Tremò, lievemente, di terrore primitivo e incontrollabile. Si abbassò per puro istinto evitando, non seppe nemmeno come, il calcio al volo diretto contro il suo collo.
Isabel era diventata fulminea, precisa, letale e aggressiva. E dannatamente elegante nei movimenti, nonostante tutto.
Lo attaccava senza lasciare angoli ciechi, senza dargli la possibilità di contrattaccare: tutto ciò che riusciva a fare era scansare, correndo da una parte all'altra del dojo come una preda in fuga, ma sempre con più difficoltà. Anche bloccare i suoi colpi era escluso, perché facevano molto più male del normale; sentiva ancora il denso formicolio ad un braccio per aver parato un suo pugno invece di evitarlo.
Si sentiva braccato e il respiro divenne perciò sempre più corto e urgente, quasi ansioso.

Quando si sentì afferrare e lanciare al suolo, con un gesto fluido e naturale, non se ne sorprese molto e ne fu in un certo senso sollevato: neanche il tempo di atterrare che Isabel era già su di lui, l'avambraccio premuto leggermente contro la sua gola, gli occhi scintillanti di animalesca furia.
Questa è la differenza” sussurrò ad un soffio dal suo viso.
Poi si alzò e sembrò ritornare in sé: gli tese una mano, con un'espressione di scusa. Non era nemmeno sudata, il suo viso sembrava fresco e il suo respiro era normale.

Perché non dovresti usare la magia? Il tuo livello si incrementa del 100%!” disse Leo stizzito, alzandosi senza il suo aiuto.
Si spolverò pieghe immaginarie della tuta, per non doverla guardare.

Non mi piace. Voglio poter diventare più forte con le mie sole forze. Usare la magia è come barare e comunque in inverno i poteri sono più deboli, mi penalizzerei da sola a farci troppo affidamento.”
Si voltò titubante verso il maestro, per capire che cosa ne pensasse lui.

Sono d'accordo. La tua base di combattimento è buona anche senza magia e da domani possiamo iniziare con un allenamento personale, che miri a colmare le tue lacune e a potenziare tutto il tuo modo di combattere” rispose quello, quando entrambi lo raggiunsero, infine.
Eccellente primo giorno, Isabel” aggiunse, con genuinità.
Lei abbassò il capo, entusiasta e lusingata.

Ti ringrazio, sensei.”
Prendetevi pure il resto della giornata. Isabel, devi ancora ambientarti, familiarizzare con la città e i dintorni, con la casa e tutti noi. Vivere assieme è un'armonia che va coltivata, pian piano.”

Isabel si chinò di gratitudine verso di lui e verso di Leo, senza una parola. Non riusciva a trovarne nessuna che esprimesse adeguatamente come si sentisse.
Poi si incamminò verso la maschera azzurra poggiata al suolo a centro del dojo, striscia di colore brillante nell'uniformità scura del legno, e la afferrò.
Si avvicinò a grandi passi a Leo e gliela porse, poggiata sui palmi a mani aperte.

Mi dispiace di averla rotta. Mi sono lasciata un po' trascinare. Scusami.”
Leo tese una mano e sfiorò il tessuto azzurro sovrappensiero, sollevandolo con le dita.

È tutto a posto. Anzi, sai cosa? Tienila, è un ottimo ricordo del tuo primo allenamento col maestro e dell'unica volta in cui mi potrai mai battere” rispose pungente sottovoce, rimettendole la benda nella mano e chiudendo le dita di lei intorno alla stoffa.

Isabel sollevò lo sguardo, sorpresa, e incontrò quello indecifrabile del leader.
Oh, che affermazione frettolosa, la tua. Chi ti dice che non succederà mai più, con le mie sole forze? Un giorno accadrà di sicuro” ribatté con un sorrisino e un bisbiglio, stando al gioco.
Lo attenderò con impazienza” la sfidò lui, contro ogni spiegazione razionale, contro ogni buon senso.
Era ancora sottosopra per la trasformazione che aveva visto sotto i suoi occhi nel modo di combattere di Isabel e in fondo, in una piccola parte di sé, ne era spaventato e invidioso.

Oh, ma guarda che scena tenera! Come si tengono per mano, occhi negli occhi... ma c'è qualcosa che non va. Quello è il mutante sbagliato: il suo colore è troppo chiaro, non ha problemi di gestione della rabbia e non russa come una motosega. Questo è quello giusto!”

La voce di Michelangelo era arrivata improvvisa e ironica come solo lui sapeva essere, sorprendendoli. Lui, Don e Raph erano sulla porta del dojo, che li fissavano.
Lo sguardo di Raph scorse velocemente sulla loro vicinanza, sulle loro mani unite, sugli occhi scoperti del fratello e la sua maschera nella mano di lei, sui sorrisi che si scambiavano, anche se non sapeva fossero sorrisi di sfida.
Isabel si accorse della sua presenza e il suo sguardo si illuminò. La vide sorridere nella sua direzione, ma non le rimandò un sorriso o un cenno in risposta. Si incamminò invece verso la fine della stanza, richiamato dal sensei insieme ai suoi fratelli.
Nel petto gli bruciava un sentimento di gelosia, totale e spiazzante, che fece molta fatica a nascondere. Un'orribile, orrida sensazione e la presa di coscienza definitiva, che fino a quel momento aveva solo rimandato.

Isabel doveva andarsene. Doveva sparire dalla sua vita. Prima fosse stato, meglio per tutti.





Note:

1: Non c'è un vero stemma degli Hamato. Nel fumetto originale non viene mai mostrato nulla del genere e nella serie del 2003 Yoshi non ha davvero un clan, in quanto orfano, perciò non ne ha mai avuto uno. Però, pur essendo stato adottato dall'antico, ha mantenuto il suo cognome che si è poi tramandato a Splinter (o che se n'è appropriato! XD)

Comunque, ho immaginato che Splinter abbia creato uno stemma ad un certo punto, per onorare le due persone grazie alle quali è diventato ciò che è:

La peonia per Tang Shen, che lo ha salvato e adottato. Perché nell'episodio “Tale of master Yoshi”, in cui si racconta la vita del maestro, lei viene mostrata con un fiore in mano che a me pare una peonia. Anche la sua tomba sembra circondata dagli stessi fiori, mi piace pensare che fossero i suoi preferiti.
La peonia ha anche un bel significato per un guerriero: l'immagine della peonia tatuata incarna coraggio e audacia, come un giocatore che affronta la partita con lo spirito che potrebbe essere l'ultima o come, in un'altra interpretazione, i guerrieri Samurai affrontavano ogni giorno come se fosse quello conclusivo della loro vita.

Lo yin Yang centrale per Yoshi, una sorta di padre per lui. Nello stesso episodio di prima, a Yoshi viene data una medaglia, da parte degli utrom: al centro c'è uno yin yang, simbolo di forze contrapposte ma unite. Penso che rappresenti bene gli insegnamenti che Splinter dispensa.

Sotto c'è uno schizzo che ho fatto al volo per farvelo immaginare.
Tutto questo ha rilevanza ai fini della storia? Forse. O forse no. Volevo rendervi partecipi dei mille dettagli che penso ogni volta che creo una storia.


Allora:

Leo è infastidito da Isabel. Raph vuole che se ne vada. Ci sono decine di nuovi gruppi di idioti pericolosi in città. Mikey è sempre adorabile.
Mi rendo conto che la trama sembra assurda, anche un po' sconclusionata forse. Ma abbiate pazienza, sapete come sono, devo creare prima una base per poi sviluppare tutto!
Vi assicuro che la storia sarà un crescendo!
E dopo questa nota chilometrica, e anche abbastanza inutile, vi lascio con un abbraccio!



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Capitolo 4
*** Leonardo-san ***


Leonardo saltò sul cornicione del palazzo di fronte, con scioltezza.

La notte aveva l'odore denso di smog stantio e caldo che, dopo aver asfissiato le vie della città durante la rovente giornata, risaliva fino al cielo, saturando l'aria. Si infilava nelle narici con prepotenza fino ad arrivare alla gola, attaccandosi alla lingua.
Gli sembrava quasi di poter sentire il sapore dei fumi ed era davvero sgradevole. Deglutì un paio di volte per cercare di mandarlo giù, ma rimaneva sempre attaccato al palato.

A volte gli mancava l'aria pulita e fresca che si respirava nella giungla. Senza sapore, senza odore. Solo ossigeno, genuino e in gran quantità, che riempiva i polmoni e la testa con leggerezza, rendendo tutto migliore.
A dover essere sincero non gli mancava solo l'aria più pulita, della sua permanenza nell'Amazzonia: gli mancava il senso di libertà, il non essere legato a dogmi e doveri; gli mancava dormire tra le fronde lussureggianti degli alberi; gli mancavano le sere passate a pescare, seduto con tranquillità sulla riva di un fiume, le notti trascorse a guardare le stelle e la luna piena, astri vividi e splendenti come non li aveva mai visti; gli mancava la semplicità delle giornate trascorse.
Gli mancava non doversi nascondere costantemente.
Per quanto amasse New York, non c'era giorno che non pensasse anche solo per un istante di ripartire e scomparire nelle profondità della giungla, nascosto tra la rigogliosa vegetazione fino a non essere mai più visto da occhio umano.
Forse, però, a lungo andare si sarebbe sentito solo. Forse sarebbe stato bello partire con qualcuno e dividere una vita semplice e spartana, eppure felice.

Si fermò d'improvviso, scrutando i dintorni. Era un secolo che non passava per Little Italy.
Era stato talmente concentrato nei suoi pensieri, mentre correva, che non si era nemmeno accorto che l'odore nell'aria era diverso, pieno di un delizioso aroma di vari cibi che si mescolavano con gentilezza, senza prevalere l'uno su l'altro; riusciva a distinguere facilmente il familiare e fragrante profumo di pizza, quello dolce della pasticceria alla fine della strada, quello speziato della gastronomia "da Alberto's", in cui April ogni tanto comprava le lasagne per tutti loro.
Sorrise con gratitudine, dato che tutti quei gustosi profumi avevano annullato il saporaccio di smog che fino a pochi istanti prima gli aveva invaso la bocca.

Lo stomaco brontolò, con un ululato indignato. Gli aromi di Little Italy avevano un effetto deleterio sull'appetito. Forse era per quello che Mikey amava così tanto andare di ronda da quelle parti.
Ignorò la fame con uno sbuffo stizzito del naso. Era un ninja, lui. Non si piegava a fame, dolore, paura o cose del genere. Era rigoroso e allenato a sopportare qualsiasi cosa con stoicismo e indifferenza.
Era pur vero che era umano anche lui, in un certo senso. Umano per quanto possibile per un mutante. Di certo della razza umana avevano preso le debolezze e per ciò era ancora più difficile cercare di resistere. Lui ci riusciva con allenamenti. Centinaia diventati poi migliaia, accumulati in milioni. Giorno dopo giorno dopo giorno ancora, fino allo stremo.
Per dimostrare a sé stesso che non erano inferiori agli umani, ma che potevano essere addirittura meglio.

Occhieggiò con trepidazione i dintorni, cercando con meticolosità la sua meta. Le sfavillanti luci a neon delle insegne dei locali erano particolarmente fastidiose, si infilavano con forza nella retina, coi loro mille colori accecanti.
Gli ricordarono stranamente Isabel. Fastidiosa e accecante. Perché quei due aggettivi gli erano venuti alla mente insieme al suo nome?

Lo sguardo si fermò infine sul locale che cercava: la piccola eppure affollata pizzeria di “Bel mondo”, ormai parecchio rinomata. Non aveva aperto da molto, un paio di anni al massimo, ma era diventata ben presto una delle più famose e consigliate della città.
Il proprietario era un italiano sposato da pochi anni con un'americana, che aveva messo su l'attività con Joe, un vecchio amico di Casey, che lui aveva faticosamente riportato sulla retta via dopo anni passati da delinquente per le strade.
Ed era stata una vittoria. Ogni sera il locale era colmo da scoppiare e almeno venti fattorini facevano il viavai per consegnare pizze in ogni angolo di New York.
Riusciva a vedere la fila cicaleggiante all'ingresso del locale che aspettava il proprio turno per entrare, una moltitudine di gente delle più svariate etnie.
Ma a lui non interessava l'ingresso del locale. Era nel retro che sapeva di trovare ciò che cercava.

Saltò sul filo teso tra i due palazzi e lo attraversò con leggerezza e stabilità, sicuro di sé, poi percorse velocemente i metri che separavano l'entrata del locale dall'uscita sul retro, nello stretto e angusto vicolo in cui sostavano i bidoni dell'immondizia.
Si sedette sul cornicione, in attesa, osservando la piccola finestrella che dava sulla cucina del locale. Fuoriusciva tanta luce, che illuminava un pezzetto di strada sporca e grigia con la sua luminescenza gialla e calda.
Ogni tanto qualcuno ci passava davanti e oscurava tutto per qualche istante e il vicolo tornava nella soffusa penombra; poi scivolava via dritto per la sua strada e la luce fuoriusciva di nuovo splendida e avvolgente, catturando la sua attenzione.

Non appena si accorgeva di essersi distratto, tornava di nuovo a concentrarsi con maggiore impegno, dandosi dello sciocco.
Da quando la sua mente si disconnetteva da un proposito con così tanta facilità?
Attese per ore. Con la schiena ritta e le spalle tese, silenzioso e invisibile nella notte.




La piccola porta si aprì e un gran vociare uscì fuori, insieme ai fumi della cucina.
Sbrigati, ragazzo! Ci sono almeno venti sacchi! Ed è già l'una!” urlò una grossa voce, cavernosa e possente.
Sì, signore! Subito!” rispose una vocina con sussiego, sparendo quasi tra rumori di pentole e scalpiccii frettolosi.
Un ragazzino uscì a fatica, trascinandosi dietro due enormi sacchi neri. Aveva un grembiule scuro sui vestiti sportivi e i capelli biondi spettinati dal vapore.
Sbuffava per lo sforzo.
Arrivò a fatica davanti ai cassonetti e aprì il coperchio con una mano, prendendo poi lo slancio per riuscire ad issare il sacco oltre il bordo con un solo lancio.

Ehilà, ragazzino.”
Il giovane trasalì e sobbalzò, lasciando andare il coperchio che sbatté con un tonfo cupo, allarmandolo se possibile ancora di più. Gli occhi azzurri e sbarrati di paura scivolarono con ansia attorno, mentre il respiro accelerava.
Incontrò lo sguardo del mutante acquattato nell'ombra. Se possibile i suoi occhi si ingrandirono ancora di più e indietreggiò spaventato.

Io... io... sto rigando dritto, sto lavorando, sto andando a scuola, non esco, non sto per strada, non...” sciorinò tutto d'un fiato, senza quasi respirare mentre il colorito lo abbandonava piano piano.
Tranquillo. Non voglio farti del male” esclamò tranquillamente Leo, facendo qualche passo lento e calcolato verso di lui.

Il ragazzino lo occhieggiò con sospetto. Le Katana erano nei foderi sulla sua schiena, ma sapeva benissimo che non aveva bisogno di armi per fargli del male.
Do... dov'è quello alto e grosso?” domandò con una vocina acuta e sottile, guardandosi attorno come se temesse che spuntasse d'un tratto alle sue spalle per aggredirlo.
Quello alto e grosso. Raphael era solo qualche centimetro più alto di lui e solo appena più muscoloso, non c'era davvero bisogno di chiamarlo quello alto e grosso. Lo faceva sentire come se in confronto fosse piccolo e insignificante.
Si ricordò con nostalgia di quando erano tutti alti uguali. Identici in ogni aspetto, tranne per il colore della pelle. Sarebbero potuti passare tutti e quattro per gemelli. Poi avevano iniziato a sviluppare in maniera diversa, anche a causa del tipo di arma scelta o del tipo di allenamento o dalla frequenza. Raphael, che si allenava più di chiunque altro, aveva finito per diventare più muscoloso e Dio solo sapeva perché anche il più alto.
Ma era comunque fuori luogo chiamarlo quello alto e grosso. Nemmeno fosse stato Hulk.

Sono venuto da solo. Voglio farti qualche domanda” disse con voce rassicurante, sedendosi su uno dei bidoni e incrociando le braccia al petto.
Il ragazzino sembrò pensarci su, poteva quasi vedere il suo cervello che cercava di capire se potesse fidarsi o meno e quali conseguenze avrebbe dovuto affrontare nel caso in cui fosse scappato a rotta di collo per la stradina per cercare di seminarlo.
Leo sperava davvero che non ci provasse, perché sarebbe stato inutile oltre che un enorme spreco di tempo.
Con un sospiro il giovane smise di agitarsi e fissò lo sguardo nel suo, piuttosto deciso per essere uno scricciolo del genere.

Perfetto. Io sono Leonardo. Come ti chiami?” iniziò, cercando di farlo sentire a suo agio.
Steve. Steven Gregson” rispose l'altro con un pigolio.
Bene, Steve, molto piacere. Credo che tu sappia che cosa voglio domandarti.”

Il ragazzino annuì lentamente.
Prima... prima io voglio chiedere una cosa” esalò tutto d'un fiato, prendendo il coraggio da chissà dove.
Leo roteò gli occhi al cielo, velocemente. Se l'era aspettato.

Sono un mutante. Una tartaruga mutante con addestramento ninja. Ho indovinato la tua domanda?”
Steve annuì vigorosamente. Stava di certo assimilando le informazioni. Delle strane e inusuali informazioni, lo sapeva bene.

Allora, adesso che ho soddisfatto la tua curiosità tocca a me. Come sei finito nel brutto giro dell'altra sera? Chi ti ha reclutato?”
Jack Tracey, un vecchio amico di papà. Quando erano giovani, entrambi facevano parte di una gang e facevano un sacco di 'lavoretti' non proprio puliti. È venuto a trovare papà per proporgli qualcosa di grosso, ma lui lo ha cacciato via in malo modo. Io non volevo seguirlo, so che è sbagliato, papà non fa che dirci che si è pentito di essere stato un delinquente da giovane, ma è molto malato. E non abbiamo abbastanza soldi per poterlo curare come merita o per andare semplicemente avanti. E così io sono andato da Jack, proponendomi al suo posto.”
La confessione sembrava avergli tolto un grosso peso dal cuore. Sapeva di aver sbagliato, ma sapeva che aveva agito così perché non aveva altre scelte. A soli quindici anni si era trovato con un padre malato, due fratellini da curare, bollette e debiti. Era stato costretto a prendere la via facile e sbagliata.
E l'avrebbe rifatto, se fosse servito a proteggere i suoi cari. Ma non ne andava fiero.

Dopo mi dirai esattamente dove hai incontrato questo Jack. Adesso mi interessa sapere cosa ti ha detto” dichiarò Leo, strappandolo alle sue riflessioni.
Steve gettò lo sguardo verso la porta della cucina, in silenzio, ascoltando i rumori dei lavapiatti che si affaccendavano per sbrigarsi e andare finalmente a casa. Da quanto era lì fuori? E se qualcuno fosse venuto a controllare perché ci stesse mettendo così tanto e avesse visto Leonardo? Sarebbe scoppiato il finimondo.

Non adesso e non qui. Tra mezz'ora finirò di lavorare. Aspettami qua fuori e ti racconterò ogni cosa” esclamò con molta più baldanza di quanto avesse dimostrato fino a quel momento. Sembrava perfino autoritario, quasi.
E non è una scusa per cercare di scappare?” ipotizzò Leo con un'alzata di sopracciglia dubbiosa.
No, promesso. Grazie a voi ho un lavoro e il signor Joe mi ha già dato il mese in anticipo per poter pagare i debiti di papà e alcune cure. Vi devo molto.”
Io non c'entro nulla. Ha fatto tutto mio fratello Raphael. Quello alto e grosso.”
Steve gli sorrise, inaspettatamente. Forse perché nel suo tono era trasparso il fastidio nell'usare quegli aggettivi per suo fratello.

Aspettami, ok? Vi aiuterò come posso” concluse Steve, inchinandosi per raccogliere i sacchi e gettarli nei cassonetti.

Leo lo osservò per qualche istante mentre con ogni sforzo cercava di sollevare il grosso sacco oltre il bordo, con infruttuosi risultati. Con un sospiro si avvicinò e gettò i due sacchi con facilità, con una mano sola.
A dopo” mormorò prima di saltare sul coperchio e sparire sul tetto, confuso tra le ombre.


Non doveva aspettare molto, in effetti. Anche se era comunque noioso dover attendere. Guardò svogliatamente il via vai di Steve dalla cucina ai cassonetti con due o tre sacchi alla volta e i suoi patetici tentativi di gettarli. Santo cielo, non aveva un minimo di forza fisica.
A quindici anni lui e i suoi fratelli erano già colossi di muscoli e tecniche ninja. Certo, essendo stati allenati dall'età di tre anni non c'era neanche da meravigliarsene; forse se fossero stati dei normali ragazzi come Steve sarebbero stati così a quindici anni. Forse non avrebbero avuto bisogno di allenarsi prima ancora di saper scrivere o parlare propriamente per potersi difendere dall'esterno o per essere pronti a reclamare vendetta.
Chissà come sarebbe stato essere dei semplici umani. Chissà come sarebbe stato andare a scuola come dei semplici ragazzi.
Donnie sarebbe stato un nerd, Mikey un buffone e Raph un bullo? E lui, cosa sarebbe stato?
Quali erano alla fin fine le sue caratteristiche particolari?


Steve uscì dalla porta sul retro esattamente all'una e mezza, salutando con un gran vociare gli altri che ancora si attardavano nella cucina.
Si incamminò verso la fine del vicolo a grandi passi, con il naso verso il cielo. Si avvicinò alla scaletta anti-incendio e si issò, scalandola fino sul tetto velocemente, sperando di non essere visto.

Sono qui” esalò una volta in cima, scrutando nell'oscurità per cercare di mettere a fuoco.
Non sei scappato. Bravo” lo raggiunse la voce di Leo.
Se ne stava seduto su un vecchio condizionatore, con un sorriso compiaciuto e anche un po' sorpreso.

Potresti essere anche un po' meno stupito. Ho detto che non lo avrei fatto! Un minimo di fiducia!” replicò Steve mezzo seccato, raggiungendolo con pochi passi.
Sì, va bene. Scusa” concesse Leo con un'alzata di spalle
Pizza?” chiese il ragazzo senza nemmeno ascoltarlo, tirando fuori dallo zainetto che portava in spalla un cartoccio fumante.
Porto sempre via gli avanzi dalla cucina. Tu mangi pizza?” continuò, ignorando l'espressione sul viso di Leo al vedere che si era portato la cena dietro, ad un interrogatorio, seppure informale.

Senza una parola il ragazzo iniziò a mangiare, porgendo poi perché anche il mutante se ne servisse. Leo allungò una mano con un po' di titubanza.
Finirono per mangiare quasi tutto in pochi minuti, con voracità.

Ok, adesso vuoi raccontarmi cosa sai?” esclamò Leo d'un tratto, ricordandosi del motivo per cui si trovava sul tetto con quel ragazzino. Di certo non era lì per mangiare pizza assieme.

Steve si pulì le mani sui pantaloni e incrociò le gambe, sporgendosi in avanti.
Jack è un tipo piuttosto chiacchierone” iniziò a raccontare con un sussurro a malapena udibile.
Basta che beva abbastanza e ti racconta anche il suo numero di conto corrente. Mi ha detto che il lavoro era stato commissionato da un uomo molto potente e pericoloso. Non ha detto il nome, ma solo perché non lo sapeva. Ha detto che ha nelle proprie mani la maggior parte dei disperati e delinquenti della città e che se ne sta servendo come scudo.”
Come scudo?” ripeté Leo, interessato.
Sì. Gli ho chiesto che cosa volesse dire e come pensasse che trafficare roba così palesemente tarocca potesse essere di qualche guadagno, ma lui è tornato in sé e mi ha detto solo di tenere a freno la lingua e di lavorare senza domandare niente. Mi ha fatto capire che ci sarebbero stati molti lavori del genere per chi si fosse mostrato meritevole” finì Steve, facendo spallucce.

Leonardo sembrava assorto.
Questo Jack, era con te la notte che vi abbiamo scoperti?” chiese sovrappensiero, ragionando velocemente.
Sì. L'avete picchiato due volte. Una tu e una tuo fratello alto e grosso. Credo che gli siano saltati via due denti... non è uno che capisce quando deve desistere.”
Allora è in prigione e io non posso interrogarlo” constatò con un ghigno deluso Leo.
Forse Jack senza due denti sapeva più di quanto avesse detto e gli sarebbe stato utile farci due chiacchiere. Magari insieme a Raph, giusto per spaventarlo un po'.

Oh, no, è fuori! Sono tutti fuori!” esclamò Steve con un tono sorpreso, come se pensasse che lui dovesse saperlo.
Tutti?”
Sì! Sono usciti il pomeriggio stesso. Qualcuno ha pagato le cauzioni.”
Qualcuno ha... come fai a saperlo?”
Quel ragazzino sembrava sapere ben più di quanto pensasse all'inizio. E cominciò a venirgli il dubbio se potesse fidarsi o meno. E se tutta quella storiella gli fosse stata fatta imparare apposta?

Jack è venuto a cercarmi quella notte. Voleva sapere come avessi fatto a scappare dalla cattura e dal pestaggio. Pensava che avessi fatto la spia” rivelò con un sussurro Steve, con le sopracciglia aggrottate di rabbia e tristezza, al ricordo.
Riuscì a vedere il suo viso anche nella penombra che le luci del palazzo vicino gli fornivano.

Ti ha minacciato? Ti ha picchiato?” domandò con un solo respiro, dandosi dell'idiota per aver pensato male nemmeno che pochi secondi prima.
Il ragazzo scosse le mani in agitazione, accortosi della sua premura.

No, no. Beh, non dico che non ne avesse l'intenzione. Ma gli ho rifilato una bugia e gli ho detto che sono scappato non appena siete spuntati fuori dal nulla. Ci ha creduto e mi ha proposto un nuovo lavoro per quella sera, ma ho rifiutato” si affrettò a spiegare, in imbarazzo.
E ti ha lasciato andare così?”
Mi ha 'chiesto' di tenere la bocca chiusa, altrimenti qualcosa di brutto sarebbe successo alla mia famiglia. Dopo è sparito nella sua scia alcolica e non l'ho più visto.”

Leo ascoltò con un leggero magone nel petto. Non aveva pensato che Steve sarebbe stato preso di mira. Quella notte non l'avevano picchiato perché era giovane e visibilmente spaventato, si vedeva che era capitato in mezzo a quei delinquenti per caso e che si stava chiedendo il perché, con disperazione.
Non pensavano di certo che gli uomini battuti sarebbero usciti di prigione così presto. Non pensavano che qualcuno potesse andare a fargli domande o a minacciarlo.
Eppure avrebbero dovuto. Che grande errore.

Ok, senti che cosa facciamo: tu righi dritto, come stai facendo. Non cerchi di investigare, non giri con brutta gente, non fai niente di niente. Io e i miei fratelli ci occuperemo di questi strani traffici e verremo ogni tanto a darti un'occhiata. E avrai un numero da chiamare in caso di necessità” suggerì Leo, con la sua mistica aura di calma, che aveva il potere di rassicurare chi lo ascoltava.

Steve annuì con gratitudine, con un sorriso.
Leo si fece raccontare ancora qualche cosa, poi lo riaccompagnò a casa, assicurandosi che nessuno li stesse seguendo.
Aveva una strana inquietudine addosso e non sapeva ancora il perché.




La notte era stata così tranquilla da risultare perfino noiosa. Se la sera prima si erano dovuti battere contro tutte quelle bande una dietro l'altra, quella era stata di un piattume unico. Nessuna emergenza, nessun furto o delitto, solo silenzio, strano e piuttosto innaturale.
Ritornò comunque al rifugio per ultimo, dato che gli piaceva essere sicuro e controllare ossessivamente per le vie della città, ancora e ancora, fino allo stremo.
Mikey, Don e Raph lo avevano avvisato almeno mezz'ora prima di essere già tornati a casa.

Lui si infilò per le fognature che era ormai quasi l'alba, ma non era stanco e avrebbe affrontato l'allenamento mattutino con molta voglia di combattere. Chissà, magari se la sarebbe presa con Isabel. Con lei e i suoi occhioni da brava ragazza.
Gli facevano venire voglia di punzecchiarla e darle fastidio, fosse solo per vedere ancora una volta quella parte feroce e aggressiva che avrebbe fatto paura anche a Shredder. Lui voleva prendere a calci quella Isabel sin troppo perfetta.

Lo raggiunsero delle voci nella tubatura, ma rimbombavano talmente tanto che non riuscì a capire una parola.
Aspetta” riuscì a sentire, anche se non sapeva chi lo avesse detto.
Un'ombra si avvicinò e riuscì a distinguere Raphael, solo dopo alcuni istanti: camminava a grandi passi, le spalle rigide e le mani strette a pugno.

Ehi! Sono andat...”
Raph lo ignorò e tirò dritto, sparendo in pochi secondi per il condotto.
E pensare che voleva raccontargli del ragazzino che avevano aiutato. Ma perché si meravigliava ancora delle stranezze di Raph? Avrebbe dovuto esserci abituato ormai. Anche se quel tarlo nel cervello non lo voleva abbandonare da giorni: c'era qualcosa di davvero strano in suo fratello e non riusciva ancora a capire cosa fosse.

Entrò al rifugio sicuro di trovarlo vuoto e invece rimase interdetto nel vedere Isabel, di spalle. Lei sentì il rumore dei suoi passi e si voltò verso l'ingresso, con uno sguardo di gioia ed emozione che si infranse nell'istante in cui lo identificò.
Cercò di dissimulare in fretta l'aria triste e delusa, con un sorriso sin troppo forzato.
In quel momento non aveva niente di fastidioso e accecante e sembrava in un certo senso sbagliato.
Leo sospirò, con ancora quell'inquietudine nel petto. Forse non avrebbe infierito per quella giornata.





Note:

Ciao a tutti!
Questo capitolo è incentrato tutto su Leo e dalla sua ottica.
Ammetto che quando lo scrissi mi piacque molto mettermi nei suoi panni, così inusuali. Si tende a vedere Leo come un essere perfetto, che non sbaglia mai, che sa fare tutto con maestria, una sorta di santo. Il mio Leo è invece più “umano”, ha cattivi pensieri, fastidi, dubbi, si annoia. Sembra quasi un po' meschino.
Spero che non risulti OOC. Nel caso, ditemelo.
Il ragazzino è tornato. Steve è uno dei miei OC che avrà ancora i suoi spazi all'interno della storia, spero che vi piaccia.

Voglio ringraziare di cuore tutti i nuovi preferiti e seguiti. Sono felicissima che la storia vi stia prendendo! Grazie a chi commenta, mi fa sempre tanto piacere leggere i vostri messaggi!
Vi mando un abbraccio enorme e affettuoso!

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Capitolo 5
*** Doctor Jekyll and Mister Hyde ***


Passò una settimana.
Intensa, piena e affollata. Come mai le era capitato prima in vita sua.
Isabel si era alzata ogni mattina all'alba per allenarsi con Leo e il sensei, migliorando con pazienza le sue tecniche. Il maestro era una persona calma, saggia, ma potente: una vera guida, che la seguiva nei suoi progressi con costanza e affetto, le mostrava ogni giorno le tecniche migliori e la osservava con orgoglio mentre diventava sempre più forte, sempre più brava.
Leo invece si presentava al dojo alla sua stessa ora, per allenarsi, diceva. Si era preoccupata che continuare a seguire il suo livello di combattimento lo avrebbe solo rallentato, ma Leo l'aveva rassicurata, dicendole che non gli pesava darle una mano; le faceva continuamente da partner, per la lotta in meditazione e per quella fisica.
Mikey sembrava essere sinceramente e totalmente felice della sua presenza. Quando andava in cucina, dopo gli allenamenti, l'attendeva con la colazione pronta per lei: le preparava ogni volta qualcosa di diverso e la trattava come una principessa, abbracciandola ogni volta che poteva, chiamandola la sua sorellina. Le insegnava a giocare coi videogiochi, cercando anche di farla vincere di tanto in tanto, dato che Isabel era proprio una frana, e ridevano assieme ad ogni stupido errore che lei commetteva nei livelli di gioco.
Don era un pozzo di conoscenza e sembrava trovare meraviglioso che qualcuno volesse attingerne; lei passava ore intere ad ascoltarlo parlare e si faceva insegnare tutto quello che non sapeva e che assorbiva come una spugna. Lui e Leather Head erano diventati i suoi insegnanti personali ed entrambi erano visibilmente lusingati dalla sua dedizione e attenzione.
Il grosso e peloso Klunk la seguiva quasi dovunque e benché fosse certa di chiudere la porta della camera, ogni notte, ogni mattina si svegliava con il pesante micio acciambellato sulla pancia che le faceva le fusa felice.

Era uscita spesso con April e Angel, quasi ogni giorno. Quando aveva reincontrato l'amica, il giorno dopo essere ritornata, era stata una delle scene più emozionanti e spassose che avesse mai vissuto: si era presentata al 'second time around', in un momento in cui il negozio era particolarmente pieno; April aveva salutato con un cortese buon giorno, ma non le aveva prestato particolare attenzione, troppo presa dalla moltitudine di persone che vagavano tra gli scaffali e le vetrine, poggiando incautamente le mani su preziosi reperti e antichità. Splinter le aveva detto che il piccolo Carl ormai andava all'asilo, per permettere ad entrambi i genitori di lavorare.
Isabel era rimasta in un angolo, con un grosso sorrisone, in attesa che lei e Casey si accorgessero della sua presenza. Ad un tratto l'uomo le era andato a sbattere contro, con la sua solita sbadataggine, mentre trasportava un grosso scatolone di porcellane cinesi che per fortuna non aveva rotto.

Oh, mi dispiace tantissimo, Isabel. Spero di non averti fatto male” si era scusato distrattamente, afferrando per bene i bordi della scatola e rafforzando la presa, per evitare che gli scivolasse via. Aveva fatto qualche passetto verso il bancone, attento e vigile, prima di bloccarsi e dare un'occhiata sorpresa verso la moglie, che l'aveva sentito benissimo, nonostante il trambusto. I due si erano voltati verso di lei, poi si erano guardati nuovamente l'uno con l'altra, come a chiedersi muta conferma di aver visto bene.
Con uno strillo sorpreso April aveva lasciato su due piedi una anziana signora che stava servendo e le era corsa incontro, abbattendo nel tragitto Casey, che per miracolo aveva salvato la mercanzia che teneva in braccio: il suo abbraccio era stato emozionante e completo, soffocato di domande e risate felici.
Da quel momento non c'era stato giorno che non avesse visto lei ed Angel: uscivano a fare shopping, a prendere un caffè, a fare lunghe passeggiate col piccolo Carl al seguito e lunghe chiacchierate, e perfino al cinema e cene tra sole donne; le piacevano, le piacevano così tanto che si ritrovava a sorridere tra sé quando ripensava alle loro uscite assieme, alle battute che si scambiavano, alle loro frecciatine, al loro affetto: non aveva mai avuto delle amiche e amava il rapporto di fiducia e complicità che stava instaurando con loro.

Era felice, era serena.
Padrona della sua vita, delle sue scelte, dei suoi spazi e del suo futuro, secondo dopo secondo. Libera di costruire la sua felicità con le proprie mani, senza costrizioni e paure.
Ma nell'idillio di quell'ultimo periodo non tutto era andato per il verso giusto: Raffaello.
Non le aveva mai rivolto la parola ed era più di un semplice malinteso o di necessità di tempo per digerire il suo ritorno: la stava evitando.
Tutto era stato fin troppo chiaro da quella mattina di una settimana prima, in cui aveva provato a parlargli, lo aveva pregato di aspettare, ma lui era comunque andato via. Eppure, anche se l'indifferenza nel suo sguardo l'aveva ferita, non aveva smesso di provare a cercare di confrontarsi con lui.
Aveva cercato in ogni modo possibile di capire perché, aveva cercato di parlargli, aveva cercato di trovarsi da sola con lui per metterlo alle strette, ma tutto era stato vano: se entrava in una stanza, lui ne usciva senza una parola; se cercava di attirare la sua attenzione, girava il viso, facendo finta di non averla vista; se gli rivolgeva una domanda si limitava a rispondere a monosillabi, allontanandosi prima che lei potesse continuare.
Erano ormai giorni che non dormiva bene, assillata da domande a cui non aveva risposta. 
Perché Raffaello si comportava in quel modo?



Si aggiustò la maglietta, tirando il bordo verso il basso. Nella foga degli allenamenti continuava a salire su, mostrando la pancia. Leo le mandò un'occhiata accondiscendente, aspettando che finisse di mettersi a posto. In realtà sistemarsi era solo una scusa per riprendere fiato, con ampi respiri e i muscoli doloranti, e lui lo sapeva benissimo.
Erano ormai tre ore che si allenavano. E il suo compito per quella mattina era mettere a frutto gli insegnamenti sulle proiezioni, ovvero cercare di schienare Leo, il suo partner di lezione, con poche semplici mosse.
Semplici.
Schienare Leo non era per niente semplice. Innanzitutto lui se l'aspettava. E perciò era il doppio più guardingo e attento. E poi era veloce e preciso e lei, il più delle volte, non riusciva nemmeno ad afferrarlo.
Erano più le volte in cui lei finiva al tappetto di quante fosse riuscita ad atterrare lui. Che poi era zero.

Su! Questo lo chiami il tuo meglio? È davvero patetico” le disse d'un tratto, con un sorriso beffardo in viso.
La stava canzonando.

Era una cosa che aveva notato. Leo era parecchio pungente durante gli allenamenti. E per quanto poco lo conoscesse, aveva pensato fin da subito che fosse una cosa strana. Aveva chiesto conferma a Don e anche lui le aveva assicurato che mai e poi mai Leo avrebbe deriso un avversario in nessun modo.
Allora aveva iniziato a pensare che ce l'avesse con lei per qualche cosa. Forse la trovava fastidiosa e continuava ad allenarsi con lei solo per rispetto verso il suo sensei e padre. Forse era ancora infastidito per la volta in cui lo aveva battuto usando la magia, anche se si era scusata in ogni modo possibile. O forse era il suo personale modo di cercare di spronarla a migliorarsi.
Di certo sapeva che era un continuo altalenarsi tra gesti di cortesia e frecciatine, come se avesse a che fare con un dottor Jekyll e mister Hyde mutante.

Va bene, sono pronta. Attaccami!” gli disse, annuendo. Divaricò appena le gambe e abbassò il baricentro, con i nervi tesi per poter reagire al momento giusto.
Leo le sorrise. In una maniera strana e inquietante. Poi, veloce e repentino, le si scagliò contro con il pugno alzato.
Isabel seguì la traiettoria con apprensione, tesa e concentrata, la fronte era completamente imperlata di sudore: allungò le mani e afferrò il suo braccio, vittoriosa ruotò il busto per poter fare leva sui muscoli dorsali per lanciarlo, ma si bloccò con uno strattone violento, il cui contraccolpo la riportò indietro, dove sbatté con la schiena contro il piastrone di Leo.
Sollevò la testa, mentre ancora tratteneva il suo braccio sulla spalla, e incontrò il suo sguardo cinico.

Non avrai pensato davvero di riuscirci” le sussurrò lui, alzando un sopracciglio derisorio.
Certo che sì! Sono riuscita ad afferrarti, finalmente! E a quest'ora tu dovresti essere guscio a terra, dopo un bellissimo volo!” ribatté lei piccata, provando a tirare il braccio per smuoverlo. Non lo spostò nemmeno di un millimetro.
Oh sì. Beh, ci sarei, se tu fossi stata più veloce. Tra il momento in cui mi hai afferrato e quello in cui hai cercato di lanciarmi, ho avuto tutto il tempo di spostare il centro di gravità più in basso, contrastando il tuo mesto tentativo” le spiego con sufficienza, stirando appena le labbra con arroganza.

Isabel arricciò il naso, lievemente infastidita.
Sì? Allora evita di farlo, grazie!”
Ma dai, credi che un qualsiasi avversario ti agevolerebbe, lasciandoti tutto il tempo che vuoi per lanciarlo al suolo?” continuò lui, sempre con quel tono accondiscendente che le stava facendo perdere la pazienza.
No, ma se sono anche solo un pochino più simpatici di te non mi verrà voglia di farlo, garantito” soffiò sarcastica Isabel, lanciandogli un sorriso che sembrava una paresi.
Non so se sia peggio la tua prova di ninjitsu o il tuo sarcasmo” gli sentì dire, sottovoce. Spalancò la bocca, sorpresa e attonita, spiazzata dalla sua cinica uscita.
Ah sì, ninja superallenato-sono-il-più-bravo-solo-io? Allora fammi vedere tu cosa sai fare!” replicò, mentre stava quasi cedendo al pensiero di usare la magia per ripagarlo con la stessa moneta.

Leo non le diede il tempo di muoversi e con un piede spazzò i suoi dal terreno, facendole perdere la presa col suolo: Isabel cercò di aggrapparsi più forte al suo braccio che ancora teneva, ma le mani scivolarono sulla manica della tuta, le unghie graffiarono il tessuto senza forza e cadde. Chiuse gli occhi, aspettando il contatto con il pavimento.
Che però non avvenne: una mano si poggiò sotto la sua schiena, frenando la caduta. Aprì gli occhi, titubante, sul viso di Leo che le ghignava in faccia.

Si fa così” le sussurrò, continuando a tenerla a mezz'aria, come in uno statico casqué. Isabel osservò il dojo a testa in giù, contrariata, per non guardarlo in faccia.
Capirai che fatica. Deve essere difficile atterrare una donna di cinquantatré chili” sibilò cinica, decisa a non dargli soddisfazione.
Ti piacerebbe. Almeno sessanta, direi” ribatté Leo divertito, esagerando di proposito.
Isabel risollevò lo sguardo, affilato e tagliente, poi si rialzò, riguadagnando contatto con il pavimento e l'equilibrio.
Si lisciò invisibili pieghe nella maglia e nei pantaloni, per prendere tempo.

Sai, non avrai mai successo con le donne, se parli loro in questo modo” gli disse dopo qualche minuto, in cui lui aveva incrociato le braccia al petto, in attesa della sua sfuriata.
La sua reazione tranquilla sembrava averlo quasi deluso.
Gli piaceva dare fastidio ad Isabel. E doveva ammettere che lo rilassava, anche. Quando vedeva quello sguardo infastidito nei suoi occhi di colpo gli veniva da ridere: più lei si arrabbiava, più lui ne trovava giovamento. Perciò quella sua reazione pacata non gli dava alcun piacere.

Me ne ricorderò per quando dovrò parlare con una donna” asserì, quasi senza pensarci.
Isabel sbatté le palpebre per qualche istante, confusa. Non era stata una gaffe o una distrazione, Leo aveva detto quello che aveva detto coscientemente, con un mezzo ghigno e uno scintillio nello sguardo.
Perché?
Quel fastidioso cinismo e atteggiamento pungente a cosa era dovuto? Forse perché lei era la quasi-non-capiva-ancora-bene-se-fosse-ancora-ragazza di suo fratello? Come se il fatto che loro due fossero stati assieme l'avesse resa una sorta di essere senza definizione che poteva trattare come un fratello. Sì, doveva essere così... Leo la vedeva come un compagno di allenamento, senza genere, mentre lei, che si aspettava si comportasse gentilmente perché era una donna, non aveva capito inizialmente il suo atteggiamento.
Era tutto così chiaro!
Allungò un braccio e gli diede un amichevole pugno sul bicipite, fiera della sua illuminazione.

Leo sciolse le braccia conserte per strofinarsi perplesso la parte lesa, confuso dalla contentezza sul viso di Isabel, quasi come se avesse a che fare con una pazza. Fece per aprire la bocca per ribattere.
Figlioli!” chiamò la voce del sensei, interrompendolo proprio prima che esalasse un solo suono.
Isabel sorrise della sua espressione mezzo seccata, mentre entrambi si avvicinavano al saggio ratto, che sedeva sulle ginocchia sotto lo stendardo di famiglia; si inginocchiarono con rispetto.

Avete lavorato abbastanza bene, anche se vi perdete molto in chiacchiere... di cosa parlavate?” domandò il sensei curioso, trattenendo un sorriso bonario, per mantenere la sua aria seria e composta.
Isabel spostò appena lo sguardo alla sua destra, velocemente, occhieggiando Leo, che si era irrigidito. Il leader odiava essere ripreso, anche indirettamente.

Leonardo mi stava illustrando i modi più semplici per migliorare la mia pratica, sensei” mentì lei, tranquillamente.
Sapeva che Leo aveva una faccia sorpresa anche senza guardarlo e sperò che il maestro non la vedesse; il vecchio maestro aveva un sesto senso per le menzogne, anche quelle innocue come quella, in genere.
Splinter sorrise, contento della sua risposta. Se aveva capito che era una bugia non ne diede segno.

Devi lavorare ancora sulla tua velocità, Isabel. I tuoi movimenti sono ancora un po' impacciati, hai un secondo di titubanza dopo aver afferrato l'avversario: devi essere sicura e decisa. Devi focalizzare il proposito e lasciare che il corpo esegua quell'obiettivo.”
Isabel annuì, deferente. Era la stessa cosa che le aveva detto Leo, più o meno, ma il maestro riusciva ad esprimerlo in un modo così zen, così fiducioso, che le dava voglia di impegnarsi al suo massimo per riuscire. Tutto il contrario del cinismo del suo compagno di allenamento.

Sono certo che Leonardo continuerà a darti dei buoni consigli” continuò Splinter, saggiamente, facendola quasi scoppiare a ridere.
Si morse l'interno della guancia, cercando di rimanere seria. Annuì ancora, con più vigore.

Bene. Adesso faremo una pausa. È ora di colazione e sono certo che Michelangelo sarebbe contrariato se la sua sorellina non assaggiasse tutti i pancakes che le ha preparato” soffiò semi esasperato il sensei, strappando un sorriso ai suoi discepoli.
Riprenderemo l'allenamento fisico più tardi, conto di rivedervi tra un'ora per la meditazione” concluse, congedandoli.
I due inchinarono il capo con rispetto, poi si alzarono e si diressero verso l'entrata.

Oh, sì, conto di vederti alla meditazione, Leo... non vedo l'ora” lo punzecchiò Isabel, quando erano arrivati quasi sulla porta e il sensei non poteva più sentirli.

Leo serrò appena la mascella. Sapeva che Isabel gliel'avrebbe fatta pagare durante la meditazione, dove lei era più forte. E quella era una cosa che lo faceva uscire dai gangheri. Forse proprio per quello si rifaceva su di lei nella lotta fisica, dove sapeva di poter vincere. Era in competizione con Isabel e davvero, nemmeno lui capiva appieno perché.
Odiava veramente così tanto perdere?

Saresti meschina ad approfittarne” le sussurrò, provando a far leva sul suo senso morale. Ma non era poi lui, il primo ad essere un po' meschino?
Lei sorrise divertita, spiazzandolo. Isabel non reagiva praticamente mai come si aspettava facesse, era così difficile da leggere e anticipare.

Oh, andiamo. Sai che non sono il tipo... forse” replicò lei, con un'occhiata per nulla pulita, sorpassandolo per correre fuori dal dojo.

Varcò la soglia.
Stava stiracchiando i muscoli indolenziti delle spalle, quando lo vide: Raphael stava entrando nel rifugio, ad un'ora così tarda.
Dove poteva mai essere stato in pieno mattino?
I loro sguardi si incontrarono, nel silenzio. Erano ai lati opposti del rifugio, eppure era come se ci fossero solo pochi centimetri, tra loro: gli occhi erano negli occhi, fermi e vigili.
Isabel rimase tesa, congelata nella postura che aveva preso, con le braccia tese, mentre Raphael era rigido e ritto sulla porta, immobile. Forse nessuno di loro due stava respirando.
Quante cose aveva da dirgli. Troppe, tante da non saper neppure da dove iniziare. Si erano accumulate giorno per giorno negli otto mesi in cui era stata lontana, si erano assiepate dietro le sue labbra in quei pochi giorni da che si erano ritrovati, senza riuscire ad esprimerli per mancanza di tempo o per paura o perché lui non voleva sentirle.
Ma da qualche parte doveva pur cominciare a rompere quella assurda e ingiustificata distanza, doveva insistere finché il divario tra loro non si fosse colmato e un qualcosa fosse infine venuto fuori. Un dialogo. Anche un litigio. Qualcosa.
Ma non silenzio, indifferenza e angoscia.
Il suo corpo si tese verso di lui, i suoi piedi la stavano trascinando nella sua direzione, la sua mano si era sollevata come se avesse presagito cosa sarebbe successo e stesse cercando inconsciamente di evitarlo e fermarlo: fece per aprire bocca, ma lui voltò lo sguardo, il busto, poi tutto il corpo, ritornando sui suoi passi. Uscì in fretta dal rifugio, senza una parola.
Isabel occhieggiò ferita la porta, con le parole che le morivano in gola, in mezzo alla frustrazione e alla rabbia.
Abbassò lievemente la testa e lasciò andare le spalle, con un sospiro sofferto. Avrebbe voluto piangere, lacrime di collera, ma non era sua abitudine mostrarsi debole.
Mai, mai, mai piangere di tristezza o dolore.

Si sente il profumo delle frittelle di Mikey” esclamò una voce, sorprendendola.
Si voltò, incredula: si era dimenticata di Leo, completamente. La vista di Raphael aveva cancellato ogni altra cosa, dov'era, con chi, cosa stava facendo.
Leo aveva visto tutto? Poteva sperare che fosse tornato indietro per qualche motivo e si fosse perso quella scena orribile?
Lo guardò, spaesata.

Andiamo o no a fare colazione?” domandò lui tranquillo, dandole certezza che non avesse visto il tetro siparietto tra lei e Raffaello.
Preferirei la doccia, prima” gli rispose con una voce che sforzò di far suonare normale, sperando di riuscirci. Voleva affogare sotto il getto, senza dover trattenere l'espressione di tristezza che il suo viso premeva per mostrare.
Leo spalancò la bocca, sconvolto.

Andare a fare la doccia assieme? Ma sei una screanzata!” le urlò, fintamente turbato, con gesti teatrali.
Isabel sgranò gli occhi, osservò il volto di lui diventare sempre più paonazzo, poi scoppiò a ridere, senza freno, tanto che si dovette tappare la bocca con le mani per non farsi sentire.

Ecco, è meglio quando ridi di quando fai quella faccia depressa” le disse, dandole una pacca affettuosa sulla testa, col viso girato per non mostrare il rossore per quella battutaccia, così poco da lui.

Isabel si riprese, meravigliata da quella uscita dell'amico.
Allora Leo aveva visto il suo patetico tentativo di parlare con Raffaello e la fuga di lui. E aveva cercato di farla sentire meglio, anche se con una tremenda e orribile battuta. Avrebbe dovuto imparare un po' da Mikey. Eppure, nonostante non fosse il più buffone e ilare tra i quattro, era riuscito a farla ridere.
Gli sorrise, grata della sua premura e fu quasi spinta ad abbracciarlo. Ma non lo fece.

Leo e Don erano diversi da Mikey.
Se il più piccolo di casa amava da morire abbracciarla in ogni occasione, gli altri due, i maggiori, erano più seri e compassati e Isabel non sapeva mai se potesse permettersi di farlo. Non che volesse o avesse pensato di provarci, -aveva passato una vita senza contatti umani e ancora faceva fatica ad abituarcisi, e non imponeva mai la presenza fisica se non era necessario,- ma sentiva che loro erano comunque restii a manifestazioni di affetto.
La pacca che Leo le aveva dato sulla testa era stata quasi un miracolo.
Di Leo dottor Jekyll, ovviamente. Leo Mr. Hyde probabilmente le avrebbe dato un pugno al braccio.

Non cercò di affogarsi sotto la doccia dalla tristezza, la battuta e il viso di Leo le tornarono alla mente, facendola ridere talmente forte che rischiò di bere l'acqua più volte.
Arrivò in cucina, strofinando i capelli per asciugarli, rinvigorita e affamata.

La mia sorellina!” la investì un uragano verde, che intravvide appena sotto il bordo dell'asciugamano.
Mikey la strizzò in un abbraccio affettuoso, totale.

Hai dormito bene? Com'è andato l'allenamento? Leo ci è andato piano con te? Hai fame? Ah, profumi di lavanda” sparò a raffica con la guancia premuta contro la sua testa, mentre lei ridacchiava.
Come un ghiro. Sto imparando le proiezioni. Leo potrebbe farsi schienare ogni tanto, anche per finta per darmi un po' di fiducia. E sì, ho fame, tanta. Grazie, tu sai di frittelle e marmellata di arance” rispose in successione lei, senza dimenticarsi nemmeno un dettaglio, facendo scoppiare a ridere Mikey.

Leo non ti renderà le cose facili e non si farà schienare per farti piacere” la raggiunse la voce del leader, seria, mentre era impossibilitata a muoversi e cieca per l'asciugamano in faccia.
Mikey la lasciò andare e lei sollevò il tessuto, incredula, occhieggiando Leo seduto al tavolo, che faceva colazione con un piatto di uova e bacon e una tazza di caffè.

E da quando Leo parla in terza persona? Manie di grandezza? Complesso di narcisismo? Dissociazione mentale?” domandò, iniziando a chiedersi se davvero non fosse pazzo.
Da quando ho a che fare con te... probabilmente” soffiò stanco lui, alzando gli occhi al cielo.
Leo! Ritira ciò che hai detto alla mia sorellina! Quasi non ti riconosco più! Non sei così antipatico nemmeno con Raph!” la difese Mikey, minaccioso, con ancora addosso il suo grembiulino rosa per cucinare, con il disegno di un cuore pieno di fronzoli e spalline a sbuffo.
Isabel sussultò alla menzione di Raphael, poi si irrigidì. Leo riportò gli occhi su di lei, forse per valutare le sue reazioni. Mikey era perfettamente ignaro della cosa, ma si era accorto dello sguardo preoccupato e si era messo a girare la testa da uno all'altra leggermente inquieto.

Mikey... sai che quel grembiule ti dà un'aria davvero sexy?” soffiò fuori Leo, serio, sorseggiando il suo caffè. Il fratellino spalancò gli occhi, sorpreso e confuso, con un'espressione comica in viso.
Isabel iniziò a ridere e perfino Leo sorrise dietro la tazza di caffè. Mikey li guardò, mezzo offeso, per lo meno con il fratello, come se si sentisse preso in giro. Poi si allontanò, ancora sconcertato, per prendere la colazione di Isabel.

E due” sussurrò lei al leader, poggiando l'asciugamano alla spalliera della sedia. Un miagolio annunciò l'arrivo di Klunk, che con arroganza ed eleganza saltò sulle sue gambe, rivendicando la sua proprietà su di lei.
Due cosa?” fece il vago Leo, giocando con i rebbi della forchetta sul cibo: il tuorlo dell'uovo all'occhio di bue si ruppe, spargendosi sulla pancetta e lui osservò il tutto, contrariato.
Due casi in cui mi è saltato alla mente di aggiungere Psicologia ai miei corsi... c'è qualcuno in questa stanza che ne ha decisamente bisogno” ribatté Isabel, con gli occhi al cielo per la stranezza di quell'uomo.
Mikey intanto si avvicinava con una pila di frittelle ben impiattate.

Non è carino parlare delle stravaganze di Mikey! Noi gli vogliamo bene così com'è!” replicò mezzo serio Leo, mentre lei, attonita, scoppiava a ridere.
Beh, che c'è? Stamattina siete decisamente strani” esalò con sforzo il più giovane, poggiando il piattone sul tavolo, davanti alla faccia esterrefatta di Isabel.

Klunk allungò il nasino roseo, annusando l'aria con famelica attenzione.
Oh, santo cielo, Mikey! Sono bellissime e appetitose... ma non vorrai davvero che le mangi tutte da sola?” esclamò la ragazza, occhieggiando la montagna di cibo con apprensione. Riusciva a malapena a vedere Leo al di là della tavola.
Pesa già abbastanza così, credimi” lo sentì dire dietro la pila di frittelle.
A cuccia, Mr. Hyde!” gli rispose per le rime.
Mikey, siediti a fare colazione con me! E ne diamo qualcuna anche a Leo, magari si addolcisce... o magari lo rallenta un po' negli allenamenti” continuò poi, con un mezzo sorriso.

Donnie arrivò dopo qualche minuto, con un'espressione sorpresa nel trovarli tutti e tre lì ad abbuffarsi di frittelle, scambiandosi battutine e frecciatine.
Stava trascinando una lavagna posta su una base a rotelle, che cigolava ad ogni movimento e ondeggiava precariamente. Ci aveva attaccato una cartina di New York, fissata ai bordi in legno con del nastro adesivo.

Oh, bene. Non ci siamo tutti, ma almeno i cervelli funzionanti ci sono. Ovviamente non parlavo con te, Mikey” esclamò il genio, afferrando al volo una frittella, prima che il fratellino provasse a pestargli la mano con indignazione.
Voglio la vostra attenzione, qui! Cosa vedete?” continuò, puntando con il pollice verso la lavagna.
La cartina della città” constatò l'ovvio Mikey.
Almeno un centinaio di puntine rosse” aggiunse Leo, guardando i punti disseminati per tutta la mappa.
Esatto. Ogni puntino indica esattamente il luogo in cui abbiamo combattuto contro uno dei gruppi di contraffattori nei dieci giorni da cui questa storia è iniziata. Come ci ha detto Steve, il 'lavoro' prevede che si impegnino per due notti di seguito e che poi stiano fermi per i seguenti cinque, in un circolo continuo. Perciò, nelle quattro notti in cui li abbiamo incontrati, finora, ci siamo scontrati con loro settantuno volte. Quindi, cosa possiamo capire?” domandò il genio, con sussiego.
Che non importa quante volte li picchiamo, tanto qualcuno li toglie fuori di prigione e ci tocca rifarlo?” scherzò Michelangelo, mangiando frittelle con gusto.

Don si limitò ad un'occhiata di rassegnazione.
C'è uno schema dietro. Un disegno specifico” indovinò Leo, guardando con più attenzione.
Mikey sembrò interessarsi di colpo: lo videro alzarsi e prendere uno spago da uno dei cassetti della cucina, poi avvicinarsi alla lavagna e provare ad unire i punti, con la concentrazione a mille.

Non quel genere di disegno!” lo sgridò Donnie, schiaffandosi una mano in faccia di incredulità.
Mikey sorrise.

Lo so. Ma guarda che bel cagnolino è venuto fuori!” sentenziò felice, indicando la lavagna con gesto teatrale.

Isabel rise del loro siparietto comico. Seppure fosse ormai praticamente una routine, non poteva fare a meno di trovarli spassosi. Sapeva quanto Mikey si divertisse a fare uscire fuori di testa i suoi fratelli.
Io ho capito cosa c'è dietro” la sentirono dire non appena ebbe smesso di ridere.
Si trovò i loro occhi puntati addosso e se avesse saputo di avere la bocca sporca di zucchero a velo probabilmente si sarebbe risparmiata il sorriso compiaciuto.

Ma ve lo dirò solo se mi porterete con voi la prossima volta che sapete che usciranno allo scoperto” finì, lasciandoli basiti.
Te lo sogni! Non riesci nemmeno a schienarmi, non puoi venire con noi!” intervenne Leo, visibilmente arrabbiato.
Ma sono degli idioti! L'avete detto voi!”
Sì, ma sono armati. E ad ogni nuova volta in cui li incontriamo, il loro armamentario cresce” spiegò Mikey, che era stranamente diventato serio.

Isabel si scontrò contro il loro muro compatto di disapprovazione. Sembravano essersi dimenticati che in passato era uscita di ronda con loro, anche se per poco. Ma soprattutto sembravano aver dimenticato che non era una ragazza che amasse farsi proteggere e che in realtà era perfettamente capace di badare a sé stessa. Gliene aveva dato ampia prova, nella lotta contro Gregor.
Si erano abituati decisamente in fretta al ruolo della sorellina da vezzeggiare e tenere al sicuro.
Eppure, non era nelle sue corde demordere. Non più.

Si alzò decisa, mentre Klunk la guardava con sguardo contrariato per essere stato sfrattato.
Allora, vediamo un po', mancano cinque giorni alla prossima certa apparizione dei misteriosi gruppi di contraffattori: se riuscirò a schienare Leo, -senza usare la magia, si intende,- mi porterete con voi al posto dove si nasconde in realtà il vero mistero. Affare fatto?” propose con uno scintillio nello sguardo e una mano tesa.

I tre si guardarono con sospetto e sorpresa per la sua sicurezza. Leo sembrava combattere contro sé stesso con ogni fibra del suo essere. Non voleva cedere al ricatto, ma lei sembrava davvero essere certa di ciò che sapeva.
Ma poi, a ben pensarci, non era assolutamente possibile che lei riuscisse a gettarlo a terra in cinque giorni. Nemmeno in cinque settimane ne sarebbe stata capace. Ne aveva di strada da fare. E non era nemmeno detto che sapesse qualcosa, magari stava solo bluffando.
Sorrise tra sé, soddisfatto, e allungò una mano per stringere quella di Isabel.

Portarti dove?” chiese.

Isabel si avvicinò alla lavagna e puntò un dito sulla carta.
Al porto. L'unico posto in cui nessuno dei gruppi ha mai operato. Anzi, ci si sono tenuti davvero alla larga, perché erano solo un diversivo” espose con certezza, mentre i tre osservavano stupiti il cumulo di puntine distante parecchi centimetri dalla sua falange, che al momento copriva una porzione di Manhattan.
Rimasero a bocca aperta, perché non avevano fatto minimamente caso al vuoto attorno all'area del porto. Non c'erano arrivati.

Nessuno ci dice che sia effettivamente così, ma andremo a dare un'occhiata. Tra cinque giorni” concluse Leo accondiscendente, come se le stesse facendo una concessione.
Tanto, non c'era davvero possibilità che lei riuscisse a schienarlo. Nemmeno una in un milione.





Note:

Buona sera a tutti!
Come va?
Sono felice di trovare sempre così tanto seguito.

Leo, lo ammetto, pensavo sarebbe stato criticato. Ero convinta di averlo reso troppo diverso e che tutti mi avrebbero detto che non piaceva... che sorpresa. Siete state tutte unite nel dire che il carattere decisamente umano vi è piaciuto.

Beh, c'è ancora da vedere cosa ne penserete più avanti. Perché il mio Leo non è tutto qui. * risata malefica in sottofondo *

Per la storia di Jekyll e Hyde, per chi non la sapesse: http://it.wikipedia.org/wiki/Lo_strano_caso_del_dottor_Jekyll_e_del_signor_Hyde

Rinnovo i miei ringraziamenti a tutti coloro che seguono, che hanno messo tra i preferiti e che commentano. Grazie di cuore.
E grazie anche a chi continua a leggere September in the rain e a preferirla, anche se è finita! Stragrazie!

Vi abbraccio tutti con immenso affetto

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Capitolo 6
*** Gotcha! ***


Isabel aveva preso la promessa in maniera terribilmente seria.
Nei giorni seguenti aveva dato fondo a tutte le sue energie per raggiungere il suo proposito, ma per quanto si sforzasse, non era riuscita nemmeno a smuovere Leo, figurarsi schienarlo.
Il sorrisino che lui le rivolgeva ogni giorno a fine allenamento, trionfante, era davvero frustrante.
Le dava sui nervi e le faceva seriamente venire voglia di ritrattare la parola data e di usare la magia pur di batterlo e toglierglielo dalla faccia.
Ma tra il desiderare e il riuscirci sul serio c'era un abisso. Doveva prendere atto delle sue limitazioni: non era ancora al livello di Leo e non sapeva se in effetti ci sarebbe mai arrivata.
Eppure, anche se nel profondo ne era conscia, non era da lei lasciar perdere. La sua testardaggine e il senso d'orgoglio plasmati nel corso degli anni le imponevano di non arrendersi.
Ecco perché si spaccava letteralmente la schiena per cercare di migliorarsi. Aveva “assaggiato” il pavimento lucido del dojo almeno un centinaio di volte ormai, aveva ingoiato la rabbia e cercato di sopperire alle sue mancanze, infruttuosamente.
Quattro giorni dalla promessa, meno un giorno alla notte di ronda in cui loro sarebbero andati al porto a controllare che la sua intuizione fosse esatta.
Poteva ancora farcela.



Incontrò la dura superficie legnosa prima con il sedere, poi ci sbatté sopra anche la schiena, con un tonfo allarmante. Rimase sdraiata a guardare il soffitto bianco latte, prendendo dei grossi respiri dolorosi, con le vertebre che chiedevano pietà.
Passò una mano sul torace, giusto per assicurarsi di essere ancora tutta intera e sentì il battito sofferto del suo cuore sottoposto allo sforzo. E alla sconfitta.

Nel suo campo visivo apparve il ghigno di mister-sono-perfetto-solo-io-e-tu-non-riuscirai-a-schienarmi-te-lo-puoi-scordare.
Anche senza dire una parola era davvero, davvero irritante.

Non sei stanca?” domandò serafico, come se si stesse riferendo solo a quella sessione di allenamento.
In realtà le stava chiedendo se non fosse semplicemente ora di lasciar perdere nel provare a batterlo. Non era così stupida da non capirlo.

No!” soffiò fuori decisa, puntellando i gomiti per rialzarsi.
L'avrebbe sbattuto a terra. Oh sì che l'avrebbe fatto. E poi gli avrebbe sogghignato in faccia tronfia e vendicativa. Leo riusciva decisamente a tirare fuori il peggio di lei.

Si stava rialzando sulle gambe stanche e doloranti, quando il maestro si avvicinò, a piccoli passi.
Sei migliorata davvero molto, figliola, ma ancora c'è incertezza. Eppure la tua determinazione di questi giorni è stata di sicuro perfetta. Si può quasi pensare che stessi cercando di uccidere Leonardo” disse con un sorrisetto incredulo, scherzando con loro.
Isabel non mosse il capo, ruotò solo gli occhi per guardare un secondo verso Leo, sbuffando lievemente dal naso per esprimere una risatina trattenuta.
Quasi. A volte aveva avuto davvero l'impulso di fargli male, a quel cinico, altezzoso, borioso e spocchioso compagno di allenamento, che non solo non le dava alcun consiglio o aiuto, ma che quando la gettava al suolo lo faceva senza alcun riguardo. E sospettava anche che si divertisse.

Se continuerai con questa energia riuscirai ad eseguire una proiezione perfetta già tra qualche settimana” continuò il sensei, sicuro di rincuorarla con le sue parole.

Il realtà il morale di Isabel era appena sceso sotto i piedi. Lei non aveva qualche settimana. Sapeva che era sbagliato forzare il suo addestramento in quel modo, e per una scommessa tra l'altro, ma desiderava uscire di ronda con loro con tutte le sue forze.
Innanzitutto le mancava uscire di notte e correre per i tetti di New York: era una delle sensazioni più belle del mondo, di libertà totale. Poi, se fosse uscita assieme a loro, avrebbe avuto un'occasione preziosa per poter finalmente parlare con Raphael e non intendeva rinunciarci così facilmente.
E in ultimo, c'era una piccola parte di lei che trovava intollerabile ricevere dei divieti così secchi e categorici. La sua parte Raffaello, testarda e indipendente.

Grazie, sensei. Farò del mio meglio” mugugnò in risposta, con tutta la cortesia possibile.
Bene, per oggi è tutto. Riprenderemo gli allenamenti domattina, grazie per il duro lavoro” continuò l'anziano, congedandoli.
Grazie per aver condiviso la tua saggezza” replicarono in coro inchinando il capo, seguendo un rito prestabilito di cortesia ed etichetta.

Il sensei uscì dal dojo e Isabel si trovò di nuovo di fronte quel sorrisino compiaciuto di Leo.
È quasi ora di cena. Faresti meglio a sbrigarti a pulire il dojo” sibilò contento, iniziando ad incamminarsi verso la porta.
Isabel arricciò il naso, arrabbiata. Dovevano pulire il dojo assieme, come avevano sempre fatto, ma da quando c'era in atto quella scommessa, Leo se ne approfittava, lasciandola da sola a provvedere a tutto.

Quando ti batterò dovrai pulire tutto da solo per una settimana!” gli urlò dietro con stizza.
Lui rise divertito e il suono si amplificò nello spazio vuoto, con una flebile eco.

Se mi batterai. Se succederà sarà talmente un miracolo che farò tutto quello che vuoi!” rispose senza nemmeno voltarsi.
Isabel sorrise. Gli avrebbe fatto rimangiare quella superbia e lo avrebbe rimesso a posto. Parola di strega.


Ci mise un'ora a ripulire tutto e dato che era ormai tardi, si recò in cucina senza fare la doccia, stanca e arrabbiata.
Ecco qui la mia adorata sorellina!” strillò Mikey con un sorrisone felice non appena la scorse, correndole incontro per abbracciarla. Isabel alzò le mani per fermarlo, velocemente.
Non mi sono ancora fatta la doccia, Mikey. Sono sudata” gli disse sottovoce.
Lui le sorrise e inaspettatamente l'abbracciò lo stesso.

Sei sempre bellissima e profumata. Sai di... cera per pavimenti e spray per legno al miele. Un nuovo profumo?” le sussurrò all'orecchio, facendola ridere.
Si chiama eau di sconfitta. Non sono ancora riuscita a schienare quell'antipatico di Leo e mi tocca pulire il dojo da sola” rivelò staccandosi da lui, dando un'occhiata intorno.
In cucina c'erano già tutti: Don ai fornelli, preparava qualcosa che profumava di melanzane e patate, mentre Raph apparecchiava la tavola. Leo era già seduto e la osservava con quello scintillio irritante nel fondo dello sguardo; si limitò a rimandargli uno stiramento di labbra che sembrava tanto un augurio di dissenteria fulminante.

Tutti a tavola!” esclamò Don, allegro.
Si sedettero nel solito ordine e incominciarono a mangiare: Isabel si sentiva affamata, una sensazione orribile che le ricordava i patimenti che aveva vissuto durante la sua vita. Non lo provava da molto, per grata fortuna, era finalmente riuscita ad avere un po' di stabilità e normalità, ma in quegli ultimi giorni dava fondo ad ogni energia, quasi fino allo stremo e si stancava come una volta.
Quando il suo corpo si accasciava senza forze in un vicolo, dopo aver corso come una pazza nelle ombre.

Ehi, che appetito. Piano, non scappa” scherzò Mikey, mentre lei si infilava forchettate di cibo in bocca e masticava voracemente.
Scusa, muoio di fame” rispose una volta che ebbe inghiottito, con la forchetta già colma di una porzione di pasticcio.

Si chiacchierò del più e del meno per tutto il corso della cena. Almeno, loro cinque parlarono per tutta la cena, Raph aveva il viso incollato al piatto, senza guardare né parlare con nessuno, come aveva fatto ad ogni pasto.
Solo quando il sensei si alzò congedandosi per primo per poter meditare prima di coricarsi, Isabel si ricordò di qualcosa, mentre mangiavano il sorbetto al limone.

Maestro, domani è possibile spostare o annullare l'allenamento delle tre? È per quell'impegno di cui ti ho parlato” esalò tutto d'un fiato prima che lui uscisse dalla cucina.
Il sensei poggiò la mano alla porta e girò appena la testa.

Alle tre? Va bene, ma voglio che ti impegni di più di mattina, d'accordo?” propose furbo, strappandole un cenno positivo.
Buona notte, figlioli.”
Notte, sensei.”

Ehy, dov'è che vai domani alle tre?” domandò Mikey allungandosi lungo il tavolo, curioso come non mai.
Vado all'università a portare la mia iscrizione” rivelò contentissima, con un sorrisone, smontando tutta l'attenzione nel giovane.
Le lezioni iniziano a Settembre, devo assicurarmi un largo anticipo per essere sicura dei corsi scelti.”
Ma... è così che funziona normalmente?” domandò Leo.
No. In genere si passa dalla scuola superiore, controllano la media di uno studente che fa richiesta, fanno dei colloqui, degli esami per valutare preparazione e quoziente intellettivo, ci vogliono lettere di raccomandazione e tanto altro ancora. Ma io ho qualcosa che gli altri non hanno...”
La magia” continuò Mikey con un tono di voce cospiratorio, agitando le mani con mistero, come un mago che cerca di ammaliare il pubblico.

Ma non è un po' come barare?” si intromise Don, con le sopracciglia piene di rimprovero.
No, non faccio nulla di male. Non tolgo il posto a nessun altro studente, ne creo uno nuovo per me. E, senza modestia, mi merito di andarci. Posso recidere il ventricolo di un cuore a occhi chiusi, senza danneggiare nessun altro organo od osso nella procedura, e ripararlo coi miei poteri in un batter d'occhio.”
Oh, beh... allora ok. Magari potresti insegnarmi qualcosa, non appena le lezioni si faranno interessanti” mormorò Don, con un mezzo sorriso speranzoso.

Isabel lo fissò, pensierosa.
Donnie... ti piacerebbe frequentare medicina con me?”
Il mutante spalancò gli occhi, meravigliato dalla domanda, con la forchetta ancora in mano bloccata a mezz'aria vicino alla sua bocca.

Io... io non posso venire all'università” balbettò titubante, constatando l'ovvio.
Ma io posso fare un'iscrizione a tuo nome e posso videoregistrare tutte le lezioni. La sera potremmo studiare assieme e posso fare in modo che tu possa dare gli esami... cosa ne dici?”

L'amico rimase in silenzio, senza staccare lo sguardo dal suo. E forse non respirò nemmeno in tutto quel tempo in cui rimase assorto, preda di mille pensieri. Perfino Raph aveva alzato lo sguardo dal piatto per guardarlo, per sapere cosa avrebbe detto.
Puoi davvero farlo? Farmi prendere una laurea, col mio nome sopra? Valida, vera... un vero attestato?” domandò il genio incredulo, col tono di voce più dolcemente insicuro che lei avesse mai sentito.
Gli sorrise, resistendo all'impulso di abbracciarlo.

Vero davvero! Vuoi tu, Donatello Hamato, diventare mio collega di università nei terribili anni a venire, sopportando crisi isteriche pre esame e sessioni di studio avvilenti e complesse, motivandomi quando deciderò di sbattere la testa al muro per farci entrare le nozioni a forza e sostenendomi se mai prendessi qualche brutto voto, come io prometto di fare con te?” domandò con fare solenne, alzandosi in piedi con fare teatrale.
Certo che lo voglio!” strillò fuori di sé l'altro, completamente in balia dell'emozione. Mikey fece finta di asciugarsi gli occhi col fazzoletto, tirando su col naso.
È stata la più bella proposta che io abbia mai sentito. Come crescono in fretta questi bambini” soffiò con fare melodrammatico, come una mamma orgogliosa.

Raph si alzò, grattando la sedia rumorosamente contro il pavimento.
Troppe cretinate per una stanza sola” mormorò a voce alta, girando loro la schiena e allontanandosi a grandi passi.

Leo stava per alzarsi e dire qualcosa, quando la mano di Isabel lo bloccò, poggiandosi sulla sua spalla per farlo rimanere seduto. I suoi occhi non erano diretti verso nessuno di loro in particolare, perché sapeva che tutti stavano guardando verso di lei.
Sorrise, al nulla, come se non fosse successo niente di importante. Ma quello scintillio ferito era difficile da nascondere.

Allora, Donnie, domani creeremo il tuo primo documento di identità. Emozionato?” chiese, infondendo nella sua voce tutta l'allegria possibile.
Doveva assolutamente parlare con Raphael. Doveva rimanere da sola con lui abbastanza a lungo per chiarire la situazione, capire cosa non andasse e sicuramente prenderlo a calci per il suo comportamento.



Quando dopo cena Isabel si fiondò a fare a doccia con gratitudine, Leo si alzò da tavola, percorrendo la stanza a grandi passi: uscì nel grande ingresso e con un agile salto arrivò al primo piano, fermandosi davanti alla stanza del fratello.
Bussò, secco.

Raph?” chiamò quando non ricevette risposta.
Nessuno rispose da dentro. Bussò più forte, con insistenza.

Raph! Lo so che ci sei!” urlò a voce più alta.
Non ci fu comunque risposta. Abbassò la maniglia ed entrò cautamente: la stanza in penombra era vuota. Richiuse con un colpo secco, poggiandosi contro la porta.

Cosa diamine stava succedendo a suo fratello? Perché non era contento che Isabel fosse tornata? Avrebbe creduto che averla di nuovo nella sua vita l'avrebbe reso folle di gioia e invece non solo l'aveva spudoratamente ignorata, ma le poche frasi che le aveva rivolto erano state cattive o acide. E lui non riusciva a tollerare lo scintillio ferito che gli occhi di Isabel cercavano di nascondere ogni volta, mentre forzava un sorriso. Poteva ingannare Mikey, forse persino Don, ma non lui: si erano allenati ogni mattina, l'aveva sfidata con la mente durante la meditazione, con il corpo durante l'allenamento, ed era entrato più in sintonia con lei; capiva quando mentiva, quando era imbarazzata, quando era delusa o arrabbiata, benché lei non mostrasse quelle emozioni apertamente.
E Isabel era turbata, sempre più spesso, a causa di Raph.
Vederla in quello stato a causa di quell'idiota lo faceva arrabbiare.




Maledetto Leo Mr. Hyde.
Isabel si fece la doccia, con un cupo scricchiolio di sottofondo delle sue povere ossa martoriate. Di nuovo, maledetto ghignante Leo Mr. Hyde. L'aveva lanciata ovunque per il dojo senza pietà.
Si asciugò e rivestì, con calma e cura, e si mise due gocce di profumo dietro le orecchie, pronta per uscire.
Venne intercettata alla porta dell'ascensore da un uragano verde e arancio.

Dove va la mia sorellina?” squittì Mikey, approfittandone per abbracciarla. Isabel ridacchiò, affettuosamente rassegnata all'irruenza del mutante.
Tutta in tiro e profumata e bella e...”
Ho un appuntamento, Mikey” soffiò misteriosa, prima di staccarsi da lui e correre verso l'interno dell'ascensore.
Ah, sì? Ti tengo d'occhio!” le urlò mentre le porte si chiudevano. Isabel riuscì a vedere il suo sorriso e l'occhiolino che le mandò.

Arrivata in superficie si sistemò bene il manico della borsetta sulla spalla e uscì dal garage, con un'occhiata un po' triste e malinconica verso la moto nera di Raphael. Le suscitava dei ricordi così belli da essere anche troppo dolorosi.
Camminò per le strade già abbracciate dalla luce rossastra del tramonto e canticchiò tra sé e sé per tutto il tragitto, mentre lo sguardo scivolava tra i mille volti, su sorrisi e ghigni tristi, sul viso felice di una bimba che gustava il gelato coi genitori, sul cagnolino scodinzolante dall'altra parte della strada.

Occhieggiò in lontananza gli ombrelloni rossi del bar. Una mano sventolò in aria, facendole segnali.
Isabel! Siamo qui!” urlò la voce familiare di April.
Lei e Angel sedevano al tavolino all'aperto, davanti a due coppe di gelato, mentre Carl, seduto nel passeggino, sbrodolava una coppetta sul visino e tutto intorno.

Carl! Tesoro, come sei bello” si complimentò lei, che non aveva occhi che per lui. Il bimbo ridacchiò nel gelato, ormai completamente rosa e giallo, con le mani, la faccia e la tuta impiastricciati di fragola e banana. Era da quando era cominciata quella scommessa con Leo che non vedeva le sue amiche e il bambino, troppo presa ad allenarsi.
Si chinò a dargli un bacio sulla fronte e lui ne approfittò per toccarle la guancia con una mano appiccicosa.

Ja Shabé” strillò il frugoletto, felice di vederla.
No. Prova a dirlo bene: Zia Isabel” provò lei, staccando le sillabe e allungando le vocali.
Jaa Shabeé” ripeté imperterrito lui, piuttosto concentrato. Lei rise alla sua faccina buffa, rinunciandosi.
Sì, Ja Shabè: hai ragione tu, piccolo!”

Ehy, ci siamo anche noi qua, Miss ritardataria!” protestò April, richiamando l'attenzione. Isabel si tirò su e prese posto nella sedia tra di loro.
Scusate, davvero davvero. Sarei arrivata prima, ma Leo mi ha sbattuta a terra una ventina di volte, solo stasera” si scusò, mentre con un braccio richiamava l'attenzione di un cameriere.
Isabel!” ammonì Angel, arrossendo.
Non in quel senso! Angel!” ribatté mezzo sorpresa, prima che il cameriere interrompesse la conversazione per prendere il suo ordine.

Metà del cervello era concentrata nello scegliere il suo drink, mentre l'altra pensava con un po' di ilarità agli assurdi fraintendimenti che Angel riusciva a percepire in ogni sua frase.
Quando era tornata, lei e April l'avevano messa al corrente di cosa fosse successo in passato, della storia di Gregor, della sua relazione con Raphael, pur senza entrare nello specifico, e dello scontro avvenuto otto mesi prima. Angel aveva completamente saltato la parte in cui lei e Raphael erano quasi morti nella battaglia, per un punto più cruciale che l'aveva sconvolta nel profondo: il fatto che avessero avuto una relazione.
Non che lei le avesse detto che ci aveva passato la notte assieme, che avevano fatto l'amore, ma anche così, senza dettagli di sorta, quella era la cosa che aveva più di tutte colpito Angel. Come se l'idea fosse semplicemente troppo assurda per poter essere concepita nel suo cervello. E da quel momento tutto ciò che le diceva, anche se non era coinvolto Raphael, ma uno dei suoi fratelli, Angel fraintendeva.
Doveva sedersi con lei prima o dopo e spiegarle le cose per bene. Più dopo, che prima, possibilmente.

Il sensei mi sta insegnando le proiezioni e devo schienare Leo. Ma tutto ciò che ottengo è di finire io al suolo. Leo è intransigente e punzecchiante e si diverte da matti a guardarmi da sopra a sotto mentre sono a terra, sconfitta” raccontò con calma una volta che il ragazzo si fu allontanato con la sua ordinazione.
Angel prese un altro cucchiaino di gelato, pensierosa.

Uhm, è strano. Anche io ho imparato le proiezioni e anche a me Leo ha fatto da partner, ma non si è mai comportato così” ricordò la ragazza, raccogliendo col dito una goccia di cioccolato che correva per il bordo della sua coppa.
Nemmeno con me” si intromise April, stringendo le spalle nel delicato cardigan smanicato color ciliegia, che si intonava sin troppo ai suoi capelli color fiamma.

Entrambe le sue amiche erano state allenate dal sensei, in passato. La prima era stata proprio April, -di ben nove anni più grande di lei,- che in combattimento prediligeva l'uso della Katana. Poi c'era stata Angel, addestrata anni dopo, più piccola di Isabel di un anno, e che ormai combatteva con i Tonfa. Entrambe avevano dovuto ricevere un addestramento adeguato, dato che facevano parte dell'assurda e variegata famiglia dei mutanti e che dovevano essere sempre pronte a tutto.
Erano straordinarie. La sua ammirazione nei loro confronti era senza limiti.

Beh, vi assicuro, Leo deve avere uno sdoppiamento della personalità o mi detesta: non fa altro che canzonarmi, punzecchiarmi e infastidirmi. E si diverte, anche” continuò imperterrita, allungando un fazzoletto verso Carl per detergergli le guancette sporche. Il bimbo afferrò il tovagliolino e lo strofinò con foga sul visino, mostrandole di saper provvedere da solo.
Oh, no! Te lo stai spargendo anche sui capelli” strillò inorridita April, tuffandosi verso di lui per rimediare al danno.

Nel frattempo il cameriere ritornò con il milkshake al melone per Isabel, con un sorriso cortese.
Comunque, sono sicura che Leo non ha problemi della personalità e non credo che ti detesti... perché dovrebbe?” riprese la donna mentre era intenta a pulire il pulibile in quel pasticcio gelatoso che era suo figlio.
Isabel tirò su un grosso sorso con la cannuccia, prima di rispondere.

Non lo so. Ci ho pensato anche io, non sai quanto. E l'unico sgarro che posso avergli fatto è stato quello di averlo brutalmente sconfitto quando, durante il primo incontro di prova, ho usato la magia per potenziare le mie abilità.”
Ma no. Una cosa del genere non è da lui. Mr. Bushido non se la prenderebbe mai perché tu l'hai battuto, né perché hai usato la magia o perché sei una donna. Non è mica permaloso come Raphae...” assicurò Angel, prima di interrompersi, accortasi di chi aveva menzionato.

Sia lei che April le mandarono un'occhiata preoccupata, come se temessero che svenisse all'istante, bloccate nelle loro pose: la super mamma mentre stropicciava la faccia del figlio, l'altra con il braccio a mezz'aria e il cucchiaino che colava gelato sul tavolo.
Tranquille, non mi verrà un infarto perché è stato nominato. Il suo nome non è diventato tabù, ok?” assicurò Isabel, con un mezzo sorriso.
Come va?” le chiese cortesemente April, mentre poggiava sul tavolo la coppetta ormai vuota di Carl.
Non va” soffiò lei sconfitta in risposta. Sospirò, facendo spallucce.
Non sono ancora riuscita a parlare con lui... ci credereste? Vivo sotto il suo stesso tetto da due settimane, ma non riesco a parlarci. E non è che non ci provi!”

Raccontò loro dell'episodio di quella sera, di come lui avesse risposto mentre andava via.
Non so davvero perché mi stia evitando né perché sia palesemente infastidito da me. Ho sbattuto la testa ad ogni muro, cercando la risposta, ma mi sono solo venute solo più domande: l'ho offeso? L'ho fatto arrabbiare? Ho frainteso il suo interesse nei miei confronti? Devo aver fatto qualcosa di veramente inqualificabile per farlo arrivare ad evitarmi, ma cosa? Cosa ho fatto?”

April ed Angel stavano in silenzio, ascoltando pazientemente la sua confessione sentita e angosciosa, di donna innamorata che viveva le tribolazioni d'amore.
Perché dai per scontato che la colpa sia tua?” chiese April, saggiamente. Isabel piegò la testa di lato, arricciando le labbra mentre pensava.
Non lo so... se non avessi fatto qualcosa, perché allora dovrebbe evitarmi?” rispose insicura, non sapendo bene come spiegarsi.
Oh, ne avrei mille di spiegazioni per i comportamenti strani di Raphael. Reagisce male a qualsiasi stato d'animo, ti ricordo. Magari è imbarazzato per qualcosa e ti evita. O ha fatto qualcosa e non sa come parlartene e allora ti evita. O il fatto che tu sia lì in carne ed ossa, sotto il suo stesso tetto lo emoziona e quindi ti evita. Ti sei scelta il più strano dei quattro, non puoi certo lamentarti delle sue stravaganze” affermò April, con sicurezza, con un grosso sorriso.

Isabel lasciò andare un sospiro angosciato. La sua amica aveva ragione e lo sapeva. Ma come riuscire a chiarire la situazione se Raphael la evitava?
Uhm, ho un'idea! Fatti trovare nuda nel suo letto... non potrà evitarti!” aggiunse la rossa, con un occhiolino malizioso.
Angel tossì per una cucchiaiata di gelato andatale di traverso, mentre April rideva delle sue guance rosse.

April!” strillò infatti la ragazza, tra un colpo di tosse e l'altro. La donna rise delle sue espressioni e anche Isabel non poté proprio resistere.
Non puoi dire una cosa del genere!” la riprese, mentre ancora il viso presentava chiazzature rossastre in zona guance.

April si avvicinò, abbassando la voce.
Perché no? Questa donna qui” iniziò a dire puntando verso Isabel, “è l'unica al mondo che sa cosa ci sia sotto quel guscio” finì allusiva, con un occhiolino verso di lei.
Angel si coprì le orecchie con le mani, ormai dello stesso colore ciliegia della maglia di April.

Isabel non ce la faceva più e se la rideva imbarazzata in un angolo.
La devi finire!”
Oh, Angie, non fai certo così quando parliamo di uomini, perché con loro è diverso?” la punzecchiò la donna, che si stava divertendo da matti.
Loro sono... come tuoi fratelli! Come puoi anche solo pensare...” sibilò Angel, avvicinandosi al suo viso così che nessuno potesse sentire.
E come loro sorella maggiore sono fiera di poter vantare i loro fisici scolpiti, i muscoli guizzanti...”
Lalalà, non ti sto ascoltando! Finiscila, finiscila!” strillava la ragazza premendosi le mani contro le orecchie.

Isabel rise talmente tanto del loro teatrino che le scesero anche le lacrime. April era davvero malefica a volte e da quando aveva capito che Angel si imbarazzava nel sentir parlare delle tartarughe in certi termini, ne approfittava ad ogni occasione per punzecchiarla.
E lei si divertiva, come unica spettatrice. E si rilassava fino a dimenticare per un po' dei suoi problemi, con quelle due.

Ragazze... ragazze!” riuscì a dire alla fine, attirando la loro attenzione.
C'è una cosa più importante al momento: come schieno Leo?” domandò con sussiego, davvero concentrata e decisa.

April e Angel smisero di punzecchiarsi e si lanciarono due identici sorrisetti complici.
Un metodo c'è... non è proprio ortodosso, però. Tu, quanto ci tieni a batterlo?” si informò cospiratoria April.
Isabel le sorrise, piuttosto cinica.

Più di qualsiasi altra cosa!” attestò convinta.




Il dojo era immerso nel silenzio. Isabel studiava Leo, senza una parola. Le spiegazioni di April e Angel della sera prima le rimbombavano in testa, in un ciclo infinito; le aveva quasi sognate a furia di ripetersele. Non aveva dormito che poche ore per ripassare tutti i movimenti necessari.
Era il giorno della ronda speciale. Quella notte Leo e gli altri sarebbero andati a controllare la zona del porto, per sincerarsi della sua intuizione. E lei doveva andarci.

Finalmente oggi questa storia finirà” sussurrò lui, mentre scivolava di lato, pronto al prossimo attacco.
Isabel si limitò a sorridergli, certa che l'avrebbe fatto indispettire. La linea che apparve sulla sua fronte le rivelò che c'era riuscita.

Sentirono il grido del maestro che dava il via, ma per entrambi non fu che un sibilo tanto erano concentrati in un mondo tutto loro.
Leo si fiondò in attacco, col braccio già caricato all'indietro, pronto a colpire: sferrò con tutta la sua forza, certo che Isabel l'avrebbe comunque preso. Ed era già pronto al contrattacco.
Sentì le dita chiudersi sul suo polso con forza e si sbrigò ad abbassare il baricentro, per contrastarla prima che lei ruotasse il busto per poterlo lanciare con la schiena: ma Isabel non fece nessun gesto del genere, rimase di fronte a lui, immobile.
Gli stava sorridendo vittoriosa, seppur nello sforzo della concentrazione di ciò che stava per fare.

Il piede di lei si poggiò sul suo piastrone all'altezza dello stomaco e contemporaneamente vide il suo corpo lasciarsi cadere al suolo, trascinando il suo giù con lei: fu tutto così inatteso e veloce che non riuscì a reagire. Isabel usò il suo peso, la forza di gravità e il piede per lanciarlo dall'altra parte e anche se riuscì a contorcersi a mezz'aria, finì comunque guscio contro il suolo, con un tonfo spaventoso.
Rimase attonito a guardare il soffitto, incredulo, mentre un grido di esultanza si diffondeva per tutto il dojo.

Ce l'ho fatta!” urlava a ripetizione Isabel con orgoglio e un'incredulità pari alla sua.
Hai barato” esalò sottovoce, sicuro che lei non lo sentisse. Invece la sua voce era più vicina del dovuto quando rispose.
Non ho barato” la sentì dire semi arrabbiata, da qualche parte vicino ai suoi piedi. Mosse gli arti inferiori, con un sogghigno cinico che si tramutò in risata quando colpì un altro paio di gambe.

Con uno strillo sorpreso Isabel gli cadde dolorosamente addosso, la lunga coda che mulinava nell'aria.
Sei meschino! Non sai perdere!” si lamentò la ragazza, piantandogli i gomiti nel petto per alzare il viso.
Leo le rise in faccia. Aveva un piccolo bozzo rosso nella fronte, nel punto dove aveva sbattuto contro il suo piastrone.

Non ho perso! Tu hai barato! Non è la tecnica che ti ha insegnato il sensei!” rispose quando ebbe smesso di ridere.

Isabel aveva arricciato il naso come faceva quando era infastidita. Nessuno dei due si era accorto che Splinter si era avvicinato, troppo presi a punzecchiarsi.
Non è la tecnica che conta, quanto il risultato” disse serenamente, sorprendendoli. Entrambi sussultarono e girarono il viso verso di lui, che torreggiava su di loro con un sorriso bonario.
Allora ce l'ho davvero fatta?” chiese Isabel emozionata, ignorando Leo che si dibatteva sotto di lei per provare a scrollarla via di dosso.

Splinter annuì, con uno sguardo fiero che le colmò il cuore di gioia.
E prima di quanto credessi... forse è arrivato il momento di pensare al passo successivo” sentenziò il saggio maestro tra sé, un po' misterioso.
Lo osservò allontanarsi a passetti leggeri, assorto in qualche suo pensiero, fino ad arrivare alla porta della saletta della meditazione, dentro alla quale sparì senza una parola.
Isabel rimase a fissarla mentre in sottofondo sentiva gli sbuffi di Leo, che si stava sforzando con tutto il suo impegno per levarsela di dosso.

Lei poggiò il mento sulle mani congiunte, a pochi centimetri dalla sua faccia. Aveva stampato su un sorrisetto tronfio e spocchioso, come aveva preventivato.
Cos'è quella faccia? E perché non riesco a muovermi?” urlò Leo contrariato, provando a scrollare la parte superiore del corpo, inutilmente.
Era bloccato al suolo.

Ti ho battuto, fearless leader” lo tormentò Isabel. Si voltò e si sdraiò con la schiena contro il suo piastrone, la nuca poggiata nell'incavo tra la spalla e il collo, e i suoi capelli gli finirono in faccia.
E sei bloccato dai miei poteri. Non è stato carino atterrarmi dopo che avevo vinto” continuò allungando le mani verso il soffitto per stiracchiarsi.
Stai usando la magia. Bugiarda. Liberami” soffiò fuori lui incattivito, con i muscoli tesi fino allo spasmo, anche se non riusciva a muoversi di un millimetro.

Sentiva il peso di Isabel addosso e fortunatamente, benché dicesse sempre il contrario, non pesava molto. Anzi probabilmente un paio di chili in più non le avrebbero fatto male. Ma non gli faceva comunque piacere averla addosso. Non era uno a cui piaceva il contatto fisico. E c'era caldo, in quell'inizio di Giugno afoso, perfino lì sotto, e il calore che emanava il suo corpo era intollerabile.
Non ho usato la magia nel combattimento, non ho infranto nessuna regola” rispose lei, la cui voce sembrava sempre più flebile e incerta.
E ti libererò quando mi assicurerai che mi porterai stasera” finì, sbadigliando.
Hai barato. Non ti porto” sentenziò secco, deciso a fargliela pagare, incaponendosi come un bambino che non sapeva perdere.
No, il sensei ha detto che ti ho battuto lealmente. Quindi vengo anche io” rispose con un sussurro Isabel, girandosi di fianco e rannicchiandosi sul suo torace.
Ehi! Non ti addormentare! Guai a te se ti azzardi!” strillò Leo sempre più furibondo.
Ho dormito poco stanotte. Stavo pensando a batterti per toglierti quel sorrisino dalla faccia” bofonchiò lei, sfregando la testa contro il suo mento, ormai solo mezzo conscia di cosa gli stesse dicendo.
Non mi importa. Scendi! E fammi muovere! E poi, perché vuoi venire di ronda così disperatamente?” ringhiò, mentre provava a muovere il collo per poterla almeno mordere.
Voglio parlare con Raffaello.”

Leo smise di muoversi con un sospiro angoscioso, mentre il fioco sibilo di Isabel si tramutava in un delicato respiro da sonno.
Sapeva che non era semplice per lei. Non aveva nessuno al mondo. Nessuna famiglia, nessun amico oltre a loro. E l'unica persona che per lei contava qualcosa continuava a sbatterle metaforiche porte in faccia, allontanandosi passo dopo passo senza una spiegazione. Eppure non mostrava quelle preoccupazioni, mai, a nessuno di loro. Se ne andava in giro con quei sorrisi come se non fosse nulla per cui non potesse continuare ad andare avanti.
Forse era arrivato il momento di smetterla di darle fastidio di proposito. Forse avrebbe fatto meglio a supportarla, invece. Non gli piaceva vedere Isabel triste. Arrabbiata, infastidita, quelle erano espressioni divertenti. Ma non triste.

Va bene, hai vinto tu” sussurrò cedendo alla sconfitta, anche sei lei, addormentata seraficamente sul suo guscio, non poteva sentirlo.





Note:

Buonasera!
Dunque, sto lavorando come una matta a correggere e pubblicare, perché voglio accelerare un po'. Ad agosto forse non ci sono e vorrei quindi lasciarvi qualcosa in più adesso.
Dunque: non c'è molto di nuovo, è vero. Don nei panni di dottore mi ha sempre affascinato come idea. Nella serie del 2003 non sa un acca di medicina, lo dice lui stesso. È un ingegnere non un dottore. Mi piace pensare che l'idea di poter studiare veri corsi universitari lo elettrizzi.

Per i corsi delle università americane: mi sono informata via internet, se ho sbagliato qualcosa comunicatelo pure! Correggerò!

April maliziosa mi fa sorridere. Non dimentichiamo che è di molto più grande di Isabel ed Angel e ce la vedo a punzecchiarle da brava sorellona maggiore. Ed Angel mi è venuta fuori pudica, non chiedetemi perché. Tosta sì, ma pudica.
Non vedo l'ora di pubblicare il prossimo capitolo! Smanio!
A presto!
E grazie ancora con l'inchino per la vostra partecipazione e il vostro entusiasmo!

Abbraccio fortissimo!

p.s.: un abbraccio sentito a MC1119 che è tornata dal suo volontariato. Tanto rispetto!

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Capitolo 7
*** I don't love you/I should not love you ***


Un flebile suono di passi in avvicinamento riempì il dojo. Felpati, leggeri.
Un colpo di tosse risuonò secco, richiamando l'attenzione.

Salve, sensei” esalò Leo, con l'espressione più rassegnata che il suo anziano padre gli avesse mai visto in viso.
Lo sguardo di Splinter era divertito e anche curioso: osservava la ragazza rannicchiata sul petto di suo figlio, che se la dormiva pacificamente, mentre sembrava trattenere un sorriso.

Non c'è nulla da ridere, sensei” lo ammonì il leader, che si era accorto del suo mezzo tentativo di rimanere serio.
Mi ha bloccato a terra! E poi si è addormentata!” esclamò, anche se stranamente sottovoce.
Era rimasto paralizzato al suolo per una buona mezz'ora. Aveva pensato varie volte di svegliarla con uno strillo nelle orecchie, ma poi, alla fine, aveva deciso di non farlo e se n'era rimasto immobile a guardare il soffitto, pensieroso, con solo il sottofondo del suo respiro.

E perché non l'hai svegliata?” gli domandò sagace il saggio genitore, come se avesse intuito il suo pensiero.
Leo sospirò, sconfitto dalla sua furbizia.

Ti prego, toglimela di dosso” supplicò, non sapendo che altro dire.

Il maestro si inchinò e poggiò delicatamente una mano sulla testa di Isabel, accarezzando i capelli castani.
Figliola? È un po' tardi per dormire” esclamò con dolcezza, scuotendola un po'.
Isabel sbatté gli occhi confusa, poi gli rivolse un grosso sorriso, stiracchiandosi teneramente.

Hai intenzione di scendere, elefante?” sentì dire a Leo, piuttosto seccato.

La ragazza sollevò la testa e lo guardò, assonnata e divertita. Si mise a sedere e allungò le gambe, poi si alzò, levandosi finalmente di dosso. Quando schioccò le dita verso di lui, Leo riuscì a muoversi e sospirò con gratitudine.
Fletté i muscoli intorpiditi e si alzò dal pavimento, facendo stretching per sciogliere la tensione accumulata nell'ultima mezz'ora, con uno sguardo cattivo in direzione di Isabel, che però, concentrata sul maestro, non se ne accorse.

Dov'eri andato, sensei?” gli chiese curiosa.
Stavo riflettendo. Sul tuo metodo d'insegnamento” rivelò, sedendosi sul pavimento, invitandoli a fare lo stesso.
Leo si lasciò scappare uno sbuffo sottile, all'idea di essere costretto nuovamente in una posizione scomoda.

Sei brava, Isabel. Hai una buona concentrazione e impari in fretta, anche se non sempre i metodi tradizionali. Ma un ninja non ha regole tradizionali, in effetti: tutto è un'arma, tutto serve allo scopo. Non importa quale tecnica userai, se ti aiuta a restare in vita e raggiungere il tuo obiettivo, purché sia onorevole. E tu, forse a causa dello stile di vita che ti ha accompagnata durante la crescita, hai questo precetto già ben inciso nella mente.
Mi sono convinto di poter passare ad un livello successivo. Da domani inizierò ad allenarti nell'uso delle armi: ti illustrerò la storia di ogni arma, il suo utilizzo, le tecniche migliori per ognuna, finché non le padroneggerai appieno. So che sei già formata nell'uso dei Sai, dato che Raphael ti ha insegnato, ma vorrei che tu non li portassi più con te quando esci. Voglio che d'ora in poi tu usi i Tessen” spiegò con calma il maestro.

Isabel spalancò appena gli occhi, elettrizzata all'idea di essere finalmente istruita all'uso delle armi, -gli Shuriken in particolare la affascinavano, voleva riuscire a lanciarli con precisione,- ma era rimasta confusa dalle ultime parole del maestro.
I Tessen, sensei?” chiese con voce deferente.
Sono ventagli” rispose Leo al suo lato, mettendola al corrente.
Isabel abbassò la testa, pensierosa. Rimase in silenzio per qualche momento, poi alzò lo sguardo e fissò Splinter negli occhi.

È perché sono una donna?” domandò con tutto il rispetto possibile, frenando il battito del cuore per la delusione che minacciava di prenderla.
Non voleva credere che fosse quella la motivazione, ma aveva paura che il maestro le rispondesse affermativamente.

Splinter giocherellò con la barba, quasi in stato di trance, con lo sguardo fisso di fronte a sé, come preso da ragionamenti così profondi da non poter essere espressi.
No. Affatto” disse all'improvviso.
Tu sei un'ottima discepola e combattente, Isabel. E non fa alcuna differenza il sesso dei miei allievi. Voglio che usi i Tessen perché sei un'umana. Esci frequentemente nel mondo di superficie, giri in mezzo alla gente tranquillamente e presto, quando entrerai all'Università, avrai nuovi amici e interazioni sociali con essi. Non puoi portare con te i Sai, ma non voglio che tu vada in giro senza un'arma: i Tessen sono dei ventagli da combattimento, ma il loro aspetto esteriore sembra innocuo e normale.”
Isabel ascoltò la spiegazione con sollievo crescente, tanto che alla fine un sorriso le spuntò sulle labbra. Non si era nemmeno accorta di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo, sulle spine. Come aveva potuto anche solo pensare che Splinter la volesse penalizzare? Era stata una sciocca anche solo a dubitarne.

Sospirò, di colpo più serena.
Sarò felice di imparare l'uso dei Tessen, sensei. E ogni altra cosa vorrai insegnarmi. Perdona la mia sfiducia” si scusò con un inchino rispettoso.
Sentì una pacca gentile sulla testa, dalla piccola mano ossuta dell'anziano maestro.

Non è sfiducia domandare per fugare i dubbi. Tenerli dentro e lasciarli crescere, alimentati dalla paura... quella è sfiducia. Sarai un'ottima kunoichi, Isabel” lo sentì dire, mentre si allontanava con il suo solito passo calmo e riflessivo, che lo rispecchiava perfettamente.
Per oggi è tutto, figlioli.”

Il maestro sparì dopo quelle parole e andò a meditare nella sua stanzetta in fondo al dojo, lasciando loro libero il resto della giornata.
Isabel si voltò verso Leo, che aveva assistito a tutta la scena, e lo trovò sorridente.

Che c'è?” gli domandò, perplessa, trovando strano il suo comportamento.
Il sorriso di Leo si ingrandì ancora di più.

Stavo solo immaginandoti a combattere con i Tessen. È una tecnica di combattimento molto aggraziata, sarai molto carina” le disse senza riuscire davvero a trattenere il sorriso nell'immaginarla.
Isabel gli allungò un pugno sulla spalla, arrossendo suo malgrado. Era confusa dalla strana nuova premura di Leo.

Tu sai combattere coi Tessen?” chiese cauta, soppesando le parole.
Sì, all'inizio il maestro ci ha allenato in ogni disciplina. Siamo stati noi a scegliere di specializzarci in una sola arma” rispose Leo, massaggiandosi la spalla dolorante, dato che Isabel lo aveva colpito usando la potenza della magia.
Perché?” le domandò poi, sospettoso.
Lei sorrise. Un sorriso perfino più grande e inquietante di quello che lui le aveva rivolto, mentre si alzava in piedi.

Chiederò al maestro di farti fare una dimostrazione. Sarà interessante vederti combattere in una maniera così... aggraziata. Sarai molto carino” lo canzonò con le sue stesse parole, con la ridarella appena trattenuta davanti ai suoi occhi spalancati.
Leo mise su una faccia preoccupata, saltò in piedi e la rincorse fuori dal dojo urlandole di non azzardarsi mentre Isabel correva via ridendo e strillando.


Il resto della giornata fu così frustrante per Leo.
Isabel aveva raccontato a Don e Mikey della sua vittoria e mentre il secondo in carica si era limitato ad un sorrisino e ad un'alzata di spalle nella sua direzione, il piccolo di casa, Mikey il rompiscatole, gli rideva in faccia ad ogni occasione. Così, giusto per farlo arrabbiare.
Se ne rimase perciò nel dojo a meditare, completamente solo, in balia dei suoi pensieri.
Si rendeva conto di essere strano, negli ultimi tempi. Come se fosse arrabbiato, ma senza sapere perché. Come se si sentisse inadeguato e stesse combattendo interiormente con sé stesso. Più del suo solito.
Sentiva un grande caos dentro. E non riusciva a capirne la causa.



Isabel era così emozionata che dopo cena iniziò a dare il tormento a tutti, smaniosa di uscire come non mai.
È ancora presto! Guardiamo un po' di tv per ammazzare il tempo” smorzò l'entusiasmo Leo, camminando verso la postazione video, dove già Mikey faceva zapping per cercare qualcosa da guardare.

Il film scelto era un thriller con toni noir, piuttosto introspettivo, ma incalzante quel tanto che bastava a tenere l'attenzione incollata allo schermo. Leo aveva già capito chi tra i personaggi era il cattivo in incognito che muoveva i fili della storia, perciò la sua attenzione era connessa solo a metà: era più interessato ai commenti tra i denti che Isabel si lasciava scappare mentre con gli occhi divorava la pellicola.
Battute sarcastiche e commenti ironici, esclamazioni stupite e avvertimenti ai personaggi, conditi da insulti per le loro ovvie scelte idiote in determinate situazioni.

Se vai all'appuntamento sei proprio uno stupido! È una trappola, imbecille!” la sentì dire al protagonista, piuttosto seria e concentrata.
Ridacchiò tra sé e sé, per non farsi scoprire, ma lei era accanto a lui e sentì la spalla premuta contro la sua tremolare nella risata.

Cosa?” gli domandò sottovoce, mentre i riflessi dello schermo brillavano negli occhi scuri.
Sei davvero una tipa stramba” sibilò in risposta, ridacchiandosela ancora.

Ehy, tra poco ci muoviamo” annunciò a voce alta.
Due grugniti di approvazione arrivarono dal divano, dai suoi fratelli ancora assorti sullo schermo.

Ma Raph? Non lo aspettiamo?” domandò Mikey mentre divorava gli ultimi pop corn rimastigli.
Isabel sussultò appena e quasi si tese, in ascolto. Raphael non si era nemmeno presentato a cena.

Lo avete sentito?” si informò Leo, anche se lui stesso aveva cercato di mettersi in contatto col fratello inutilmente. Le chiamate finivano sempre per cadere dopo minuti interi di squilli snervanti, senza che nessuno rispondesse mai.
Non risponde” gli assicurò Don.
Ma ha mandato un messaggio per avvisare che è già di ronda, per conto suo e io gli ho mandato le coordinate della zona che pattuglieremo stanotte. Perciò lo troveremo in giro.”

Isabel si accorse che Leo la stava osservando, con occhi vigili per valutare le sue reazioni.
Io inizio a prepararmi!” strillò saltando su dal divano con nervosismo, correndo verso la sua stanza.
Non dimenticarti i Sai! Potrebbe essere l'ultima volta in cui li userai per molto tempo” le ricordò la voce di Leo, non seppe dire se con sarcasmo o comprensione.
L'ultima... cosa?” chiese in apprensione Mikey, che si era alzato anche lui.
Da domani Isabel verrà istruita nella lotta coi Tessen. Il maestro preferisce non giri coi Sai tra gli umani” spiegò il leader ai fratelli, con tono pratico.

Mikey lasciò cadere l'espressione preoccupata e con uno strilletto felice corse verso Isabel e la strizzò in un abbraccio.
Sarai stupenda! Non vedo l'ora di vederti combattere coi Tessen, bella, aggraziata e letale!” le urlò esaltato, appoggiando la guancia contro la sua fronte con affetto.
Lei sorrise, colpita dalla dolcezza di Mikey. Era come avere un tenerissimo e raggiante fratello maggiore, ma che si comportava come un bambino ogni volta che si relazionava con lei: era contento di tutto ciò che faceva, la incoraggiava e rassicurava in ogni circostanza e si divertiva da matti a giocare e stare con lei.

Perché lui non si è beccato un pugno per averlo detto?” esclamò oltraggiato Leo, occhieggiandoli con uno strano sguardo appena sopra il bordo dello schienale del divano, quasi seccato.
Perché lui non l'ha detto con quel tono derisorio che avevi tu!” gli rispose Isabel, arricciando il naso per non sorridere davanti alla sua faccia offesa.
Non avevo nessun tono... derisorio. Ero sincero quando ho detto che sarai carina!” dichiarò con un lieve rossore.
Donnie e Mikey spalancarono leggermente gli occhi, sorpresi; il genio del gruppo scrutò il fratello maggiore sottilmente, pensieroso. Forse Leo se ne accorse o si rese conto di ciò che aveva ammesso; si schiarì infatti la gola, con fare serio.

Allora... vuoi venire di ronda o no?”



Mezz'ora più tardi, tutti e quattro guardavano New York dall'alto in basso, scrutandola con premura.
Santo cielo, com'è bella! Lo avevo dimenticato” sospirò Isabel, abbracciando con lo sguardo la distesa di palazzi, dall'appartamento più piccolo e squallido all'attico più lussuoso. Perfino l'aria inquinata le era mancata e dall'odore spiccatamente marcato di smog. Indossava la vecchia tuta nera e una maschera dello stesso colore che nascondeva i suoi lineamenti, per non rischiare che qualcuno potesse in seguito riconoscere il suo viso. Aveva chiesto a Don di fargliela, la notte in cui aveva scommesso con Leo.

I tre amici la osservarono, sorridendo della sua gioia. Certo, anche loro amavano New York, ma c'era stato un tono così tenero e dolce nel modo in cui lei lo aveva detto, come se fosse la città più bella del mondo, un fantastico e colorato mondo fatato, che non poterono evitare di sentire una morsa al cuore di dolcezza.
Mikey l'abbracciò con trasporto.

Ma come sei tenera!” le strillò in un orecchio.
Qualsiasi scusa è buona per abbracciarla, eh, Mikey?” soffiò sarcastico Don, scuotendo la testa con rassegnazione.
Certo che sì. Andiamo, chi non vorrebbe abbracciarla? È così dolce e tenera e morbida e coccolosa. Prova, Donnie! Abbraccia la mia fantastica sorellina” rispose l'altro, passandogliela come se fosse un pacco.
Vuoi finirla?” lo sgridò non molto seria la ragazza, che non poté proprio impedirsi di ridere.

Ok, basta giocare. Siamo usciti per una cosa seria” esclamò secco Leo, rimettendoli in riga.
Andremo a controllare la zona del porto e rimarremo tutti e quattro uniti. Silenziosi, invisibili, furtivi” incalzò con tono quasi militare.
Le sappiamo già queste cose, leader” si lagnò Mikey, grattandosi la testa con fare annoiato.
Voi sì, lei no” rispose il fratello indicando Isabel.

Il suo dito verde la indicava proprio in mezzo agli occhi, impietoso.
Sentimi bene, le regole le conosci già, ma ne aggiungiamo una per sicurezza: se le cose si mettono male usa i tuoi poteri per difenderti! Che sia uno scudo o il potenziamento della tua forza e velocità, se la situazione è brutta, e per brutta intendo che siamo feriti o morti e tu sei in pericolo di vita, allora devi usare i tuoi poteri!” ordinò, deciso.

Isabel continuava a fissare il suo dito puntato contro, quasi al limite dello strabismo. Poi lo colpì con una mano, allontanandolo dalla sua faccia.
Non c'è bisogno di essere così... allarmista!” replicò, rimasta negativamente colpita dalla sua eccessiva serietà.
O così o niente!” si sentì rispondere.
Girò un momento gli occhi verso Don e Mikey e li trovò stranamente silenziosi e fermi, assolutamente decisi a non intervenire. La parola di Leo era legge, di ronda. Il suo ruolo di leader era assoluto. Sulle sue spalle poggiava la sicurezza della squadra, della sua famiglia, era logico che prendesse le cose così seriamente.
Forse per Leo non esisteva il concetto di “troppo zelo”.

Hai la mia parola” rispose Isabel dopo averci pensato, con una smorfia imbarazzata per non aver capito da subito delle cose così ovvie.

Una volta ottenuta quella assicurazione da lei, Leo si decise a guidare il gruppo per la strada prestabilita, la più veloce e sicura per il porto.
Isabel era concentrata, focalizzata su dove stavano andando, ma una piccola parte della sua mente si chiedeva dove fosse Raffaello e cosa stesse facendo in quel momento.
Perché non era con loro?


Arrivarono ai magazzini del porto, in totale silenzio, con le orecchie tese per percepire rumori.
Leo fermò la corsa e fece cenno di stare fermi e muti, mentre dava un'occhiata intorno. Lo videro correre con passo elegante e felpato per il perimetro del tetto, mentre gettava uno sguardo assorto al di sotto.
Un nuovo cenno per farsi seguire e i tre si accodarono alla sua scia, saltando come saltimbanchi nell'oscurità, seguendo l'intuizione del leader.
Si sentiva il rumore leggero delle piccole onde che battevano contro i pontili in legno, al di là della sottile striscia di cemento davanti ai magazzini.
E poi sentirono quello che Leo aveva percepito per primo: un rumore meccanico, ripetuto e ciclico, come una sequenza ripetuta con minuzia.
Atterrarono sul tetto semi spiovente di un vecchio magazzino grigio, le cui tegole minacciavano di staccarsi da un momento all'altro: la piccola cupola a vetri per portare luce era ricoperta di uno spesso strato di sporco che rendeva le lastre scure, come se fossero affumicate.
Leo si avvicinò per primo, piegato in due per non essere scorto. Pulì il vetro in basso strofinando la manica della tuta e diede un'occhiata dentro.
Sorrise.

Ad un cenno anche loro tre si avvicinarono guardinghi e scrutarono al di là dei vetri: c'era un veloce viavai di uomini, casse e muletti, in una catena di montaggio senza fine e piuttosto ben organizzata. Gli uomini erano in numero minore di tutte le altre gang mai incontrate prima. Non arrivavano nemmeno a venti unità.
Ok, abbiamo trovato qualcosa, ma chi ci dice che non siano altre contraffazioni fatte male?” sussurrò Leo, intento a scrutare tutte le casse per capire cosa potesse esserci all'interno.
No... non stavolta. Guarda laggiù, nell'angolo vicino alla porta rossa” sibilò Don, con le palpebre socchiuse per mettere bene a fuoco.
Leo distolse l'attenzione dall'ipnotico andirivieni degli uomini piccoli come formiche e osservò nel punto indicatogli.
Trattenne il fiato per la sorpresa.

Nell'angolo dell'enorme magazzino più lontano e nascosto c'era un vero e proprio arsenale: mitra, fucili, pistole, bazooka, granate e munizioni di ogni dimensione come se piovesse, imballate direttamente sul posto nelle stesse casse che stava guardando poco prima, che si apprestavano a chiudere sul momento proprio sotto i loro occhi.
Abbiamo fatto bingo! Come l'hai capito, Isabel?” mormorò Mikey con gli occhioni spalancati che non si perdevano una mossa.
Non sapevo fossero armi. Ma avevo capito che tutte le bande che avete combattuto nelle scorse settimane erano uno specchietto per le allodole. Per voi.”

I tre ninja si indicarono sorpresi. Qualcuno aveva cercato di prenderli in giro?
Leo ci pensò su: Steve non aveva detto che le bande di idioti erano uno 'scudo' usato dal misterioso capo dell'organizzazione?
Uno scudo contro di loro?

È stata tutta una tattica per tenervi impegnati e fuori dai piedi, mentre qualcuno smerciava qualcosa di molto più grosso. Pensateci un po' su: quale donna comprerebbe una Pucci o una collana Toffani?”
Mikey ridacchiò sottovoce, ma smise all'istante quando incontrò lo sguardo severo di Leo.

Allora scendiamo giù, picchiamoli un po' e facciamoci dire chi ha architettato questo piano balordo” propose ricomponendosi.
Non scenderemo in una santabarbara1 piena di uomini pronti a scaricarci tutto l'arsenale addosso! Abbiamo bisogno di un piano!” lo riprese il leader, mentre pensava a velocità doppia sul come agire.
Il rombo di un motore in avvicinamento lo distolse dai suoi pensieri, con un sorriso.



Un colpo. Un altro. Un terzo.
La saracinesca rimbombò sotto il bussare in codice e gli uomini all'interno ghignarono felici.

Ehy, Abe, il camion è arrivato, vai ad aprire!” strillò una voce grossa dal fondo del magazzino, con tono secco.

Un uomo un po' corpulento lasciò andare la cassa che stava per prendere e si avvicinò all'ingresso, poggiando poi la tozza mano sul pulsante rosso all'altezza del viso vicino alla porta: con un cigolio ritmico la saracinesca si sollevò e le luci posteriori del camion squarciarono l'oscurità.
Roy! Fai manovra!” urlò all'autista una volta che la via fu completamente aperta, facendo segno con la mano perché l'uomo alla guida capisse che poteva indietreggiare.
Il camion rimase immobile, ma il motore ancora rombava sommesso.

Roy! Mi senti, razza di cretino? Andiamo! Non ho voglia di stare qua tutta la notte!” strillò più forte, mulinando le braccia in aria perché capisse l'antifona.
È scoppiata una ruota. Dovete aiutarmi a sostituirla!” sentì dire dalla cabina del guidatore. Anche se la voce era stranamente soffocata e bassa.

Abe sbuffò e si aggiustò i calzoni in vita per coprire la fessura delle chiappe che sporgeva dal retro.
Questo idiota. Altro lavoro. Solo altro lavoro” borbottò tra i denti mentre si voltava verso l'interno del magazzino.
Ragazzi, mi serve una mano” ordinò di malavoglia.

Gli uomini lì attorno lasciarono in sospeso i lavori per seguirlo fuori, costeggiando il camion con attenzione come cani antidroga ad una retata.
Le ruote sono a posto, imbecille!” urlò Abe arrabbiato, battendo con furia contro lo sportello del posto auto.
Infatti è il tuo cervello che non va, genio” lo canzonò Mikey, aprendo lo sportello con un colpo secco che gli arrivò dritto in faccia, stendendolo al suolo.
I suoi compari si accorsero all'istante della trappola e iniziarono a correre verso il magazzino, per poter prendere le armi.

Non fateli scappare!” ordinò Leo, gettandosi dal tettuccio del veicolo proprio in mezzo a loro. Don e Isabel atterrarono ai suoi lati una frazione di secondo dopo.
Gli avversari li scrutarono con paura, gli occhi sulle armi lucenti e pericolose e i ghigni sui volti dei mutanti, che incutevano terrore.
I Nunchaku di Mikey sibilavano nella notte, roteando impazziti nelle mani del proprietario.

Abbiamo delle domande. Vi spiace darci due minuti?” esclamò scendendo dal camion.
Chi li butta giù avrà soldi e potere! Prendeteli!” gridò la voce di Abe impastata dal sangue, che si era rialzato.

La lotta scoppiò improvvisa.
Com'era prevedibile, almeno per i tre mutanti, tutti quegli energumeni si concentrarono maggiormente contro Isabel, dato che era la più piccola della squadra. Si gettarono in gruppo contro di lei, a testa bassa e pugni chiusi, sicuri di avere la meglio.
Ma Isabel era inafferrabile come l'aria.
Schivava facilmente i loro attacchi e ne colpì lei stessa qualcuno, e anche se non potevano vedere il suo viso sotto la maschera nera, sapevano tutti e tre che stava sorridendo, fiera di sé stessa.

I tre approfittarono della distrazione che Isabel aveva creato, come una perfetta esca, e colpirono veloci e duro, senza risparmiare nessuno.
Don vide con la coda dell'occhio due degli uomini fuggire in direzione del magazzino, correndo come se avessero la morte alle calcagna.

Non devono tornare dentro!” avvisò verso Mikey, il più vicino per intervenire.
Il fratello spiccò un salto, pronto ad atterrare i due uomini con due colpi secchi di Nunchaku, ma l'uomo coi capelli neri, ormai quasi arrivato, si accorse del suo attacco.
"Tartarughe!” urlò con le mani a coppa attorno alla bocca, un istante prima di perdere i sensi per il colpo alla nuca.

Dall'oscurità del magazzino arrivò un lieve sibilo.
Poi un boato e una vampata di fuoco esplosero nel silenzio, correndo loro incontro come una fiammata letale di un drago.
Rimasero tutti e quattro pietrificati a guardare il missile avvicinarsi con orrore.

Isabel! Attenta!” strillò Leo, mettendosi di fronte per proteggerla.
Giù!” urlò invece lei, spingendo a terra l'amico.

La deflagrazione fu potente: la luce intensa, il calore, il rumore, i detriti che volavano in ogni dove; era stata di sicuro udita in tutta New York, aveva di sicuro spazzato via ogni cosa lì attorno.
Lo scheletro del camion atterrò nel piazzale con un fragore di acciaio divelto e compresso, dopo un volo di qualche metro: il fumo si sollevava dal suo interno bruciato e nero, e della massa informe non si riusciva più a capire la forma iniziale.
Sulla soglia del capannone apparve un gruppo: cinque uomini che trainavano un cannone anticarro su ruote, un M3 a gettata lunga. Se la ridevano, dandosi pacche e pugni esultanti, osservando la cappa di fumo e fuoco che avevano creato.

Disinfestazione tartarughe effettuata” ghignò uno dei più grossi, sfigurato da una grossa cicatrice che gli divideva la faccia a metà, che rendeva il sorriso sul suo volto dieci volte più grottesco del normale.

Se ne stettero tutti immobili ad aspettare di poter ammirare il proprio operato.
Il polverone iniziò a scendere e l'uomo sfregiato perse il suo sorriso, a poco a poco, insieme ai suoi compari: i tre mutanti erano, sì, sdraiati a terra, ma illesi e senza un graffio, all'interno di una bolla protettiva; una sola persona era in piedi, di fronte a loro, con le braccia tese: la maschera spaccata a metà sul suo viso lasciava intravvedere un occhio, furioso e pericoloso, sbarrato di rabbia.

Cosa dia...”
L'uomo non finì mai la frase: il fulmine colpì lui e i suoi uomini in un secondo, abbattendosi come un giudizio divino. Isabel rimase per un attimo a fissarli mentre ancora si contorcevano a terra per la scarica residua.

Un mugolio leggero attirò la sua attenzione.
State bene?” domandò correndo verso gli amici, osservando con scrupolo che non fossero feriti.
Mikey si era rialzato a fatica e si stava spazzolando via un po' di polvere dalla tuta, ma venne distratto alla vista degli uomini a terra.

Non li ho uccisi. Sono solo svenuti. E un po' bruciacchiati” lo rassicurò Isabel, dandogli una pacca sul guscio di rassicurazione.
Mi hanno fatto un po' arrabbiare” si scusò, con un'alzata di spalle.

Mikey e Don stavano  ispezionarono i tizi svenuti ai loro piedi per cercare degli indizi, mentre Isabel aiutava Leo a rialzarsi: loro due erano i più vicini al momento dell'esplosione e pur con la bolla protettiva avevano risentito maggiormente dell'onda d'urto e del boato.
Il leader si fiondò su Isabel e le tolse ciò che rimaneva della maschera, controllando che non fosse ferita: c'era un bernoccolo sulla fronte, ma era riuscita a sollevare lo scudo in tempo, evitando che tutti loro saltassero per aria.

Cosa diamine pensavi di fare? Devi stare attenta!” la sgridò, premendo leggermente sulla pelle per valutare i danni.
Isabel lasciò scappare un mugolio di dolore e afferrò la sua mano per scostarla.

Sì? Invece il tuo guscio avrebbe protetto me e te?” lo canzonò, arricciando il naso per prenderlo in giro. Smise immediatamente, perché farlo le faceva male alla testa.
Era normale che gli occhi le pulsassero dolorosamente dentro le orbite?

Mikey, trovato niente?” sentì chiedere a Don, mentre le dita di Leo tastavano la sua fronte, nonostante lei cercasse di allontanarlo.

Un lieve tonfo troppo vicino fece voltare tutti loro, sul chi vive. Raphael si rimise in piedi, dopo essere atterrato, scrutandosi attorno, facendo scivolare lo sguardo sugli uomini a terra, sui suoi fratelli, sulla carcassa fumante del camion, sui detriti sparsi ovunque. Su Isabel.
Non lasciar trapelare la rabbia che lo stava divorando richiese lo sforzo di ogni singola cellula del suo corpo.

Ho sentito l'esplosione, da almeno venti isolati di distanza. Cos'è successo?” domandò con voce forzatamente atona.
Traffico di armi: ci sono andati giù pesanti” rispose Don, puntando un dito verso il cannone lasciato incustodito sulla soglia del magazzino.
Sappiamo chi sono?”
Non ancora. Ma sono arrivati a prenderci a cannonate, non devono essere dei tipi con cui scherzare!”
Senza Isabel probabilmente saremmo brandelli di tartaruga nel vento” si intromise Mikey, tremando ironicamente all'idea.

Però lei si è ferita” mormorò il leader, avvicinando nuovamente la mano alla sua fronte.
La smetti di premerci contro? Sì, mi fa male, Leo! Anche senza che tu ci metta le dita sopra!” lo sgridò la ragazza, schiaffeggiando la sua mano per l'ennesima volta.
Era dolorante, la testa era stretta in una morsa e sentiva la pelle gonfiarsi attorno all'occhio. E lui era lì. Una serata davvero perfetta.

Sto cercando di capire se hai una frattura!” si difese il leader, per nulla colpito dalle sue lamentele.
Se continui a premerci sopra ce l'avrò per certo!”

Nel suo campo visivo apparve Raph, all'improvviso, che scostò Leo da una parte: scrutò con insistenza la sua fronte, occhieggiando il bozzo e la sfumatura violacea che stava assumendo, fino al contorno dell'occhio, tumefatto.
Isabel non poté impedirsi un forte batticuore, che sperò lui non percepisse. C'era uno strano silenzio innaturale per la strada e tutto quello che riusciva a sentire era il battito del suo cuore nelle orecchie, forte e doloroso.

Poi Raph chinò la testa, la afferrò per la nuca e la baciò. Secco. Deciso. Senza preavviso.
Mikey strillò, sbalordito; Don lasciò quasi andare il bastone, attonito; Leo spalancò gli occhi, sconvolto: cos'era quella strana ansia pressante nel petto? Angoscia? Rabbia?

Raph lasciò andare Isabel, troppo sorpresa per reagire propriamente: sollevò la testa e poggiò le labbra contro la sua fronte.
Lei si lasciò sfuggire uno sbuffo di dolore, al quale seguì immediatamente il sollievo della guarigione. Lo sentì scostarsi e se lo ritrovò di fronte, molto più tranquillo di quanto fosse lei, preda di un tumulto interiore, con le viscere attorcigliate di dolore e desiderio, di paura e speranza.

Adesso è guarita” disse semplicemente e freddamente lui, scostandosi di un passo all'indietro.

I tre fratelli scrutarono la fronte di Isabel, senza più alcun segno, liscia e intonsa come prima dello scontro. Lei continuò a fissare lui, invece, tremando lievemente, arrabbiata per il tono atono e i suoi comportamenti. Come si permetteva di baciarla in quel modo dopo due settimane senza nemmeno una parola?
E come si permetteva di continuare a evitarla dopo il bacio? Di non guardarla nemmeno negli occhi?
Tutta l'emozione di prima si era trasformata in indignazione.

È così che funzionano i suoi poteri di guarigione? Allora l'altra volta... quando era ferita... l'hai baciata dovunque?” esalò Mikey con un filo di voce acuto ed emozionato.
Lo scappellotto di Don risuonò nell'aria, seguito dal lamento indignato del fratellino.

Questo è il motivo per cui una principiante non dovrebbe giocare a fare la vigilante” esclamò Raph con tono cattivo, ignorando i suoi fratelli.
Isabel sostenne il suo sguardo, col respiro pesante di rabbia. Ma prima che potesse replicare, con tutta la furia che sentiva dentro, Raph fece dietro front e sparì, saltando sul tetto del magazzino.
Rimasero tutti e quattro in silenzio, con lo sguardo perso sul punto in cui era sparito, sorpresi e perplessi dal veloce e inatteso sviluppo di quella nottata. Poi Isabel scattò, lanciata a folle velocità.

Isabel!” esclamarono i tre, all'unisono.
Devo parlargli! Non preoccupatevi!” strillò in risposta, scalando la costruzione con leggiadria.

Corse più del vento, usando la magia, nonostante avesse promesso di non farlo: ma doveva raggiungerlo, doveva fermarlo, doveva chiedere, doveva parlargli.
Sfilò senza peso, senza attrito, fusa con l'aria. Oltrepassò la zona del porto, infilandosi verso il centro della città; superò due interi quartieri senza fermarsi.
Lo scorgeva, in lontananza, di fronte a sé.

Raffaello! Fermati!” tuonò imperiosa. Lui voltò la testa, sorpreso nel sentire la sua voce, ma non rallentò; anzi, iniziò a correre con più forza.
Isabel digrignò i denti, seccata, spingendosi ancora più allo stremo, accorciando sempre più la distanza; ma sapeva che non era abbastanza.

Un gesto della mano e Raph si fermò in modo brusco, contro una parete invisibile. Si voltò verso di lei, tenendosi la testa.
Cosa vuoi?” la aggredì, intrappolato nello scudo contro la sua volontà. Ci premette i palmi contro con forza e furore, cercando di romperla, schiacciando la pelle fin quasi a farla sbiancare.

Isabel fermò la corsa, facendo uno o due passetti in avanti per stabilizzare l'equilibrio, sulla terrazza del grattacielo sul quale era arrivata nell'inseguimento, gli occhi fissi su di lui.
Voglio parlare” rispose con semplicità, riprendendo fiato.
Io no!” ribatté pronto lui, allontanandosi e rivolgendole le spalle, provando a premere dall'altra parte dello scudo.
Me ne sono accorta. Sono due settimane che non lo fai. Ma non hai molta scelta, al momento. Se non vuoi parlare con me, perlomeno ascolterai” mormorò Isabel, avvicinandosi alla bolla, appoggiandoci le mani sopra.

Parlare alla sua schiena era sempre meglio che non parlare affatto.
Sono due settimane che sono tornata. Sono due settimane che provo a parlare con te. Sono due settimane che mi eviti. All'inizio credevo che tu dovessi solo abituarti a riavermi attorno, credevo che ti servisse tempo. Ma ogni parola che mi hai rivolto era una coltellata al petto, ogni sguardo come uno schiaffo, la tua indifferenza puro veleno. E allora ho iniziato a farmi mille domande, ma non riesco a trovare nessuna risposta: perché non mi vuoi con te, Raffaello? Perché non sei felice che io sia tornata?”

Lo vide sospirare e tirare su le spalle, come se si stesse preparando psicologicamente ad uno scontro.
Raph ritornò sui suoi passi e si poggiò contro lo scudo, avvicinando più che poté il viso, piegato nell'espressione più acida e infastidita che avesse mai visto prima.

E chi ti ha chiesto di tornare?” le soffiò con tono maligno.

Isabel sgranò gli occhi, perché si era aspettata tutto tranne quello che il suo cuore più temeva.
Credevo che mi volessi con te. Da quello che mi dicesti quando sono andata via” rispose con insicurezza, che la dilaniava pian piano, secondo dopo secondo.
Io ti ho chiesto di non lasciarmi. Ma tu te ne sei andata comunque, come hai sempre fatto. Cosa pensavi? Che sarei rimasto qui in eterno ad aspettarti? A smaniare per il tuo ritorno?”
La sua voce era tagliente e accusatoria, ferita e arrabbiata.

Sei tornata troppo tardi. Io... ho smesso di pensare a te, tempo fa. Non provo più niente per te, Isabel. Mi dispiace. E averti attorno è degradante per te e fastidioso per me” aggiunse, chinando il capo, come se stesse cercando di scusarsi.

Rimase attonita a fissarlo, coi palmi sullo scudo che tremavano. Poi quello cadde, spezzato per suo stesso volere. Allungò una mano e tirò la maschera di Raph, sciogliendola dalla sua testa: il lungo nastro rimase impigliato tra le sue dita per un'estremità e si srotolò fino ai piedi, ondeggiando mollemente nella flebile brezza notturna.
Guardami negli occhi e dillo ancora” sussurrò con un filo di voce. Il mutante sollevò lentamente la testa e fu occhi negli occhi.
Io non ti amo, Isabel. Non provo nulla per te. Non sei più nulla per me” ripeté, lentamente, senza distogliere lo sguardo. Anche se guardare gli occhi velati di Isabel gli fece male.

Lei sorrise. Mordendosi un labbro, con le lacrime che minacciavano di cadere, ma che trattenne con tutte le sue forze.
Sorrise.
E con un altro passo fu praticamente ad un soffio dal suo viso e le braccia furono attorno al suo collo, con la guancia calda e morbida contro la sua: lei si ritrasse dopo due secondi, tenendo in mano la collana dalla pietra viola che gli aveva donato.
La collana degli amanti, che faceva coppia con la sua, che l'avvisava quando era in pericolo. Si era illuminata anche quella notte, avvertendolo della minaccia mortale che lei aveva evitato pochi minuti prima.

Immagino che non vedessi l'ora di toglierla” esclamò Isabel, forzando un tono allegro, stringendo il monile nella mano, con forza, insieme alla sua bandana.

Poi abbassò il viso, in un gesto di resa.
Non posso smettere di amarti solo perché non mi ami più, Raphael. Non è così che funziona l'amore” soffiò distrutta, trattenendo le lacrime, anche se ormai la vista non era che una bruma indistinta, una nebbia bianca di dolore che avvolgeva la sua serenità e la distruggeva.
Non era possibile che stesse accadendo. Era andata via dal regno sicura, convinta, della felicità che avrebbe costruito pian piano con lui, con l'uomo che amava. Perciò non poteva essere vero. Che lui la stesse lasciando sul tetto di un grattacielo, nella notte di New York più cupa che potesse immaginare.

Non lo guardò mentre le voltava le spalle. Non lo guardò andare via. Ma sentì comunque la sua assenza, come se la felicità fosse sparita con lui.



Ti ho cercata dappertutto! Sei sparita ore fa!” gridò Leo, atterrando sul tetto del palazzo sul quale era seduta. Nella mano aveva ancora la maschera nera di lei rotta a metà e ansimava per lo sforzo di correre ovunque per cercarla. Non aveva smesso per un secondo, preoccupato che potesse esserle successo qualcosa.
D'altronde non aveva risposto alle quarantatré chiamate che le aveva fatto, aveva diritto di preoccuparsi per lei.

La osservò, leggermente incurvata in avanti, seduta sul cornicione in pietra, i capelli sciolti che ondeggiavano pigramente quando un alito di vento li accarezzava.
Gli dava la schiena ed era immobile, come un gargoyle nero a cui avevano rubato le ali.

Tutto bene?” le domandò preoccupato, notando l'assenza di reazioni.
Isabel chinò leggermente la testa.

Tutto a posto, grazie” rispose con un tono strano, atono, che svanì subito nell'aria, come se fosse leggero come una bugia.

Hai parlato con Raph?” insisté lui per nulla convinto, avvicinandosi.
Vorrei stare da sola” disse Isabel, interrompendo la sua camminata.
Leo sospirò, indeciso. Poteva sentire il dolore che lei sembrava emanare, persino da quella distanza.

Isabel, se è successo qualcosa perché non ne...”

Lei si alzò di scatto e si allontanò a grandi passi, alla sua destra. La bandana rossa che teneva nella mano sventolò pigramente nella notte scura, schioccando con arroganza, come arrogante era il suo proprietario.
Leo osservò il tessuto cremisi sventolare e intuì cosa potesse essere successo.

Raph... cosa ha fatto?” le chiese, cercando di forzare il suo mutismo, andandole dietro.
Sul tetto risuonò il suono felpato dei suoi passi e il ticchettio degli stivali di Isabel, che facevano rumore nella corsa che lei aveva spiccato per distanziarlo.

Lasciami in pace. Per favore!” lo supplicò lei, praticamente urlando.

Leo si lanciò in avanti e l'afferrò per un braccio, fermando la sua fuga. Lo strattone la fece voltare, lasciandolo impietrito: la luce dei palazzi illuminò le lacrime che le riempivano gli occhi, che le rigavano le guance, che si schiantavano al suolo, goccia dopo goccia. I suoi occhi erano specchi enormi e lucidi nei quali riuscì a vedere solo dolore.
La maschera nera gli scivolò mano e cadde con un tocco acuto sul pavimento del tetto. Rimase a guardare Isabel per interminabili secondi, sorpreso.
Spaventato, arrabbiato... attratto.

Non aveva mai visto Isabel piangere. L'aveva vista ridere, sorprendersi, emozionarsi, arrabbiarsi, concentrarsi, indignarsi, con la faccia ironica o sarcastica, allegra e canzonatoria, assonnata o in meditazione, perfino sofferente. Ma non l'aveva mai vista piangere.
Perché Isabel non mostrava mai la sua fragilità, a nessuno.
L'aveva vista resistere alle torture peggiori mai concepite da mente umana senza lasciare andare un fiato, chiusa dietro una maschera di indifferenza e rassegnazione. Resistere alla sofferenza, alla solitudine, alla paura... senza mai cedere al pianto.
Eppure quella era la stessa Isabel.

Allungò un dito verso la sua guancia e toccò una delle lacrime, per capire se fosse reale.
Era calda. Era vera.
Lei chiuse gli occhi e abbassò il viso, trattenendo il dolore, perché non lo vedesse, arrabbiata con sé stessa per essere stata scoperta, delusa dalla sua stessa debolezza.
Leo la osservò un secondo, col magone, mentre ancora tratteneva il suo polso nella mano; e la sentì, la vergogna che provava, e lo sentì, lo strazio che la dilaniava, nel battito furioso del cuore che soffriva.
Fu improvviso e non previsto.

L'attirò verso di sé e l'abbracciò, stringendosela contro, prendendo parte di quel tremore che la scuoteva per sé.
Se vuoi piangere, fallo pure. Nessuno vedrà le tue lacrime, tranquilla. Le nasconderò per te” le sussurrò dolcemente.
Isabel affondò il viso nel suo petto, urlando la sua sofferenza. E si lasciò andare al pianto, col cuore che moriva a poco a poco tra gli spasimi e lo strazio.
Un fulmine cadde vicino a loro, seguito da un forte acquazzone, ma nessuno dei due si mosse.

Leo raccolse tutto il suo dolore. La abbracciò per ore, la confortò in silenzio, assorbì le sue lacrime.
E forse quello che sentì nel cuore non era lecito, ma non poté frenarlo. Perché era già piantato dentro di sé da tempo e solo in quel momento se ne rese conto, mentre la stringeva con tutte le sue forze, desiderando di poter fermare quelle lacrime e vederla sorridere, invece.
Lui non avrebbe mai permesso che Isabel piangesse a causa sua.
La notte passò lenta, coprendo le lacrime della ragazza che non piangeva mai e l'amore neonato del mutante che non poteva permettersi di amare.



1: una santabarbara è un deposito di armi e munizioni, generalmente chiamato anche polveriera. Prende il nome da Santa Barbara, protettrice dal fuoco e dai pericoli delle morti violente. La cambusa delle navi pirate in cui venivano conservate munizioni e polvere da sparo si chiamava santabarbara.



Note:
Ciao!
Come promesso sto lavorando come una matta per velocizzarmi.

Ci sono un sacco di note, perciò vado:

-Il titolo, “I don't love you” (non ti amo) è da parte di Raph, “I should not love you” (non dovrei amarti) il punto di vista di Leo.
A proposito di ciò: c'è chi lo aveva già capito, un applauso ragazze!
Vi assicuro che Leo non è stata la scelta più scontata, come potreste pensare. In realtà, è stata l'ultima scelta. All'inizio, quando pensai la storia per la prima volta, era Mikey ad innamorarsi di Isabel, per via della sua dolcezza. Però lui andava via di casa per via della situazione e c'era un'aria di pesantezza nella storia. Nella seconda versione era Don a soccombere al fascino della sua intelligenza, dato che passavano molto tempo assieme per studiare, ma non finiva bene e non volevo far soffrire Don. Lo ammetto, io non sopporto far soffrire Donnie.

E alla fine è stato Leo a prendere il ruolo. Anche piuttosto naturalmente, se devo dire. Anche nelle due versioni precedenti lui era strano e sembrava provare qualcosa per lei, in silenzio, quindi alla fine è semplicemente uscito fuori. Anche perché io vedo lui e Raph molto simili tra loro.
So che molti storcono il naso in questa situazione, pensando che sia prevedibile, ma datemi fiducia, ok? Finora non vi ho mai deluso, spero, e non intendo iniziare a farlo ora.
Anche perché ormai dovreste saperlo che non scrivo cose a caso, ma c'è sempre un perché e un percorso per i personaggi.

Per i tessen: quando ho scritto la storia non c'era ancora la nuova serie, perciò è solo una coincidenza. Anche perché li avevo scelti solo perché hanno un aspetto innocuo e Isabel ha bisogno di armi che possa portare in mezzo agli umani.

Ok, credo sia tutto. Smetto con queste note chilometriche!

A presto,
Un disegno che ho fatto tempo fa e che ultimamente ho colorato con photoshop (non sono capace di colorare e a quanto pare non sono capace ad usare photoshop. Però mi piaceva il contrasto tra il disegno tutto sul bianco nero e grigio, e la fascia rossa come unica nota di colore.)


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Capitolo 8
*** For the first time in my life ***


Schioccò la lingua contro il palato, frustrato. Dondolò un po' sul posto, cercando un migliore equilibrio, per tutto il tempo con gli occhi chiusi, ma la meditazione era sempre carente. Con uno sbuffo sofferto, Leo lasciò andare appena le spalle, mezzo sconfitto.
Il suo sospiro rimbombò per qualche secondo nel dojo vuoto, amplificato.
Ma chi diamine voleva prendere in giro? Come pretendeva di potersi concentrare sul nulla, quando la sua mente era completamente affollata dal pensiero di lei? Maledizione. Non ci aveva chiuso occhio. Era rimasto ore a fissare il buio, con la testa confusa e incasinata e il cuore colpevole, ma felice.

Perché da quel maledetto secondo in cui l'aveva afferrata e aveva scoperto le sue lacrime, tutto era cambiato: quello che aveva sentito, quello che aveva desiderato... non era permesso. Se l'era ripetuto centinaia di volte nella mente, mentre l'abbracciava per confortarla, anche se il cuore aveva soffocato quella voce con facilità, con i mille battiti al secondo che pulsava.
Si era chiesto che diamine stesse facendo, mentre camminava mano nella mano con lei verso casa, con i primi raggi rosa dell'alba che facevano capolino negli spiragli tra gli edifici, ma aveva smesso di domandarselo all'istante: era più importante stringere forte la presa e bloccare il tremito che la sua mano gli trasmetteva, perché capisse che non era sola.
Per non parlare dell'abbraccio in cui l'aveva stretta davanti alla porta della sua camera: troppo sentito, troppo coinvolto, con la mano che carezzava lentamente la schiena di lei, così piccola e carica di dolore, in un silenzio perfetto e intimo; il senso di colpa che aveva provato per aver gioito di quel contatto era stato spazzato via in un secondo dal tepore di Isabel che passava anche attraverso i vestiti bagnati, che era dolce e rassicurante, come niente era stato prima nella sua vita.

Perché... perché? Non poteva essere davvero amo... quel sentimento. Non poteva. Lei era dolce e bella, intelligente e simpatica, seria e appassionata in ciò che faceva, ma non poteva piacergli: era innamorata di Raph. Anche se quell'idiota aveva avuto la faccia tosta di lasciarla.
Non che fossero mai stati propriamente assieme, a pensarci poi bene, ma c'era comunque stato qualcosa tra loro; senza volerlo ripensò alla notte in cui li avevano scoperti nella camera di Raph e registrò due reazioni distinte: rabbia e desiderio; l'immagine di lui che la cingeva e di quel succhiotto viola sul collo di Isabel lo mandarono in bestia, mentre il ricordo della sua schiena candida, attraversata da una rosea e lieve cicatrice lo eccitò.

Piegò la testa di lato, aggrottando le sopracciglia, sempre più collerico: cosa diamine c'era che non andava in lui? Non poteva davvero pensare a quelle cose. Di sicuro gli piaceva Isabel solo perché nella sua mente rappresentava un traguardo, un simbolo positivo: lei non li vedeva come mutanti o mostri, ma come uomini. Si era invaghito dell'immagine che aveva di lei. Parafrasando Aragorn del Signore degli anelli: “Era di un ombra e un pensiero che si era invaghito.”
Non di lei.

Meditazione difficile?” ridacchiò d'improvviso la voce tanto temuta, che lo sorprese e gli mandò un forte batticuore.
No, non aprire gli occhi” continuò velocemente, intuendo le sue reazioni.
Sentì Isabel sedersi di fronte a sé e tendere le mani, afferrando le sue: d'improvviso si rese conto di avere delle mani, ed erano enormi e non sapeva che sudassero così tanto... e santo cielo, perché tremavano?

Nella sua mente apparve lei, con il completo da allenamento e un grosso sorriso. Era abituato a vederla come proiezione mentale nella sua testa, era un esercizio mattutino che compivano assieme, ma quel giorno fu diverso: forse perché la sera prima l'aveva vista piangere, forse perché l'aveva abbracciata con tutte le sue forze, forse perché aveva continuato ad asciugare via le sue lacrime per tutta la notte, forse perché aveva riempito di piccoli baci la sua fronte e la sua testa, con dolcezza.
Quale che fosse il motivo, la sua proiezione mentale non se la sentì di guardarla più del dovuto. Non senza arrossire, per lo meno.

Allora? Qual è il problema? Avevi paura che ti battessi anche oggi?” lo canzonò Isabel del pensiero, provando ad avvicinarsi.
Leo perse un battito. E d'improvviso capì. Capì perché era stato così fastidioso, così strano e punzecchiante, cinico e permaloso nei confronti di Isabel: si era comportato come un moccioso alla sua prima cotta, che infastidiva la bambina che gli piaceva per attirare la sua attenzione. Se l'era presa per tutte le volte in cui lei lo aveva battuto, con la magia o nella meditazione, perché voleva apparire sempre perfetto ai suoi occhi; aveva continuato a stuzzicarla per attirare il suo interesse; si era reso ridicolo quando era triste per vedere il suo sorriso.
Come aveva fatto a non accorgersi di quel cambiamento? Come aveva potuto non capire che lei aveva iniziato a diventare una costante fissa nei suoi pensieri?

Leo?”
Continuò a non rispondere. Non era sicuro di stare esattamente bene. Il suo respiro era troppo veloce, per esempio, e il suo battito era troppo accelerato... possibile che lei non se ne fosse accorta?
Si azzardò a sollevare lo sguardo e a rivolgerle un cenno tra il dubbioso e l'insicuro.

Oggi niente lotta. Vieni con me” esclamò Isabel, afferrandolo per il polso, iniziando a camminare nel nulla che erano le loro menti.
Se arriva il sensei e ci trova a bighellonare invece di allenarci, saranno guai. Per te. Perché tanto è ovvio che sia colpa tua” soffiò fuori il mutante, cercando di suonare pungente come suo solito.

Isabel rise e la sua mente fu piena di quel suono delizioso, che gli mandò un brivido. Stava riuscendo a gestire il batticuore e a comportarsi come al solito, per fortuna.
Posso sapere almeno dove mi stai portando?” domandò fintamente seccato, anche se in realtà era completamente in balia di lei, dato che le aveva concesso il controllo della situazione.
Un posto speciale” soffiò criptica Isabel, continuando ad avanzare, tirandolo con tutte le sue forze. La camminata si fermò bruscamente, di fronte ad una porta luminosa, che sembrava fatta di pura luce.
Ah, no! Mi spiace. Non metterò mai più piede in un tuo ricordo!” tuonò Leo spaventato, indietreggiando.

La faccia di Isabel divenne un misto tra colpa e ilarità.
Mi ero dimenticata che anche tu hai guardato nei miei ricordi. Imbarazzante. La parola che descrive il mio pensiero al momento è: imbarazzante! Ma questo non è un ricordo, tranquillo!”
Leo scrutò il suo viso, così sereno e diverso dall'espressione di dolore che le aveva visto la sera prima. Eppure i suoi occhi erano gonfi e rossi, eppure nel fondo castano c'erano le pagliuzze di sofferenza, eppure gli angoli di quel sorriso sembravano lottare per potersi incurvare in una smorfia di dolore.
Cedette, battuto dalla voglia di assecondare ogni suo desiderio, se poteva renderla felice.

Va bene... andiamo!”

Attraversarono l'arco luminoso, che accecò la sua vista per qualche secondo, e quando rimise a fuoco quasi gridò dallo stupore: davanti ai loro occhi si estendeva un mondo meraviglioso, una radura verde che scendeva in una vallata, dove una piccola cascata cadeva da una irta montagna, formando un laghetto dall'acqua chiara e limpida, poco distante da una foresta che sembrava incantata, il tutto illuminato dai raggi gentili di una giornata tersa.
Era un paradiso, una fiaba che prendeva vita.
Si voltò verso Isabel, per chiederle spiegazioni, ma rimase invece solo più sorpreso: la tenuta da allenamento era sparita e lei vestiva invece con una veste leggera, una tunica porpora dalle ampie maniche. Solo in quel momento si accorse che anche lui non era più vestito con la sua tuta da ninja, ma con una Hakamashita blu e una Hakama nera, stretto in vita da un Obi celeste1.

La osservò, confuso, e lei sorrise, ancora più bella, ancora più splendida, davanti alla sua perplessità. Voleva farle mille domande, ma una leonessa dal manto ambrato spuntò dal folto della foresta e puntò diretta e decisa verso loro, con la sua camminata regale e minacciosa.
Attenta!” strillò Leo, alzando le mani per prendere le Katana: si chiusero sul vuoto. Controllò con ansia pressante tutto il suo corpo, cercando le sue armi, senza nessun esito.
Ok, adesso cerca di calmarti... respira lentamente. Non c'è nessun pericolo” disse Isabel con tono calmo, andando incontro alla fiera con naturalezza; la raggiunse con pochi passi e allungò una mano, poggiandola sul suo muso: il felino chiuse gli occhi e si strofinò contro, soddisfatto.
Cosa... dove...”
Questo è il mio spazio mentale, Leo. È il mio mondo segreto, dove ogni cosa è così come io la desidero, una fortezza nella mia mente dove posso rifugiarmi a meditare. È una sorta di spazio sacro delle streghe, in cui prepararsi spiritualmente per un rito o dove andare quando si vuole stare soli, in contatto con sé stessi e con forze superiori” spiegò Isabel, mostrandogli con fierezza quel posto.

Leo ammutolì. Quel posto era quindi vero, in un certo senso? Esisteva nella mente di Isabel, ma era frutto e parte della sua magia?
E la... leonessa?” domandò, osservando ossessivamente negli occhi dorati della belva, ancora troppo scosso per capire appieno di cosa lei parlasse.
Isabel gli fece cenno di avvinarsi e quando fu abbastanza vicino prese la sua mano, allungandola verso l'animale: il manto della leonessa era morbido e setoso, ma dopo averle toccato la testa ritrasse la mano.

Lei è Luce. È l'incarnazione del mio “Sè” 2, la parte della mente più profonda e complessa. Lei controlla tutte le altri parti di me, vigila su di esse, le tiene in ordine.”
Leo allungò nuovamente la mano, poggiandola sulla testa della leonessa, con titubanza, grattando lentamente dietro l'orecchio. Il grosso felino inclinò il capo, chiudendo gli occhi, godendosi le carezze.

Quindi Luce... sei tu?”

Isabel sorrise, con uno strano sguardo misterioso. Leo sentì il cuore accelerare. Staccò lo sguardo dal suo, concentrandosi invece sul meraviglioso paesaggio attorno, riprendendo il controllo delle sue emozioni, che premevano per prendere il sopravvento.
Sapeva di trovarsi in uno stato mentale creato da Isabel, ma era così vero da fargli credere di essere in un mondo reale: l'aria profumava di lavanda e i raggi del sole, seppur tenui, scaldavano la pelle, delicatamente; respirò a pieni polmoni, in pace.

Questo posto è fantastico” si lasciò scappare, forse troppo rilassato, con un'espressione serena in viso.
Grazie. È qui che vengo quando le cose non vanno bene o sono sconvolta. Qui medito e rifletto… e alla fine riacquisto un po' di serenità” disse la ragazza, inchinata vicino al laghetto, con la mano immersa nell'acqua azzurra, creando piccole increspature sulla superficie.

Era lì che si era ritirata la notte prima. Lo sapeva. Poteva capirlo dal tono sofferente nascosto dietro le sue parole. Isabel si era rifugiata in quel mondo dopo che quell'idiota di Raphael l'aveva lasciata, cercando un po' di tranquillità. Aveva pianto ancora, da sola, in quel luogo fuori dal tempo e dallo spazio? Osservò con attenzione la leonessa avvicinarsi a Isabel e strofinarle il muso contro il collo, in gesto d'affetto. Sì, aveva di certo pianto ancora; lo stava ancora facendo, internamente.
Si avvicinò anche lui e si inchinò vicino a loro, appoggiando una mano sulla superficie fredda dell'acqua, assaporando il momento.

Nessuno è mai entrato qui, a parte me. Sei il primo estraneo a vedere questo posto e a conoscere Luce. È per farti capire quanto ti sia grata per essermi stato accanto. Sei stato davvero... gentile. Insospettabilmente. Grazie” mormorò la ragazza in imbarazzo, voltandosi per mandargli un sorriso di gratitudine.

Si sentì improvvisamente molto lusingato ed emozionato. Si sentì arrossire violentemente, di orgoglio e sorpresa, alle sue parole. Nessuno aveva mai messo piede lì dentro, nemmeno Raphael. Ma lui sì, nella parte più profonda e davvero intima di Isabel. Era di sicuro meglio e più importante di qualunque cosa suo fratello potesse aver condiviso con lei.
Era così... onorato. Più di quanto avrebbe dovuto.
Non poteva davvero sentirsi così. Non era permesso. Non era giusto. Isabel era off limits in ogni senso possibile e immaginabile. Perché non poteva sentire verso di lei l'amore fraterno che Mikey e Don provavano? Qualsiasi cosa fosse quella che si agitava nel suo petto non era semplice affetto. E lui non doveva permettersi di provarlo. Avrebbe creato caos nella sua vita, nella famiglia, in tutto quell'ordine che aveva faticato anni a costruire, con sacrifici e sudore.
Isabel non gli piaceva. Era di certo solo un malinteso. Punto. Era qualcos'altro. Simpatia. Pena, forse. O forse solo una banale e trascurabile infatuazione dovuta al fatto di averla sempre attorno. Sì, per certo non era niente di più di una di quelle opzioni.

Isabel si alzò di scatto e anche Luce sollevò la testa, come in ascolto.
Il maestro... sta arrivando” annunciò la ragazza, assorta nel percepire l'ambiente intorno. Abbracciò la leonessa, poi tese la mano.
Andiamo” sussurrò con dolcezza.
Leo rimase per un secondo a fissare il palmo bianco, aperto, fiducioso, teso verso di lui... afferrarlo non sarebbe stato come cedere a quel qualcosa che non doveva provare?
Lei era in attesa, con un sorriso cortese, che nascondeva il dolore che provava. Perché doveva sempre essere così dura con sé stessa? Perché cercava sempre di non far pesare agli altri la sua tristezza? Come se non le fosse concesso mostrarsi debole e umana come chiunque altro, come se avesse paura di venire schiacciata dal dolore se gli avesse permesso di venire fuori, di tanto in tanto.

Allungò la mano e afferrò la sua. Pelle verde foresta su pelle bianco avorio. Tre dita strette a cinque. Ruvidezza e calli contro morbidezza e calore.
E cercò di non pensare a quanto piacere gli facesse quel contatto, quel camminare mano nella mano verso una realtà che nessuno di loro due sapeva e voleva in verità affrontare.
Si lasciò guidare verso l'uscita di quel mondo meraviglioso, che non avrebbe mai più scordato, confuso come mai si era sentito prima in vita sua.

Aprirono gli occhi contemporaneamente, nel dojo illuminato dalle prime luci dell'alba.
Buon giorno, figlioli. È bello trovarvi così presto già in meditazione” esclamò la voce di Splinter, poco lontano da loro.
Si guardarono, trattenendo entrambi un sorriso.
Si sedettero in ginocchio davanti al sensei, ritto in attesa sotto lo stendardo col simbolo del clan Hamato. Quando ebbe ottenuto la loro totale attenzione fece dei passi verso sinistra, raggiungendo con calma gli espositori di armi addossati alla parete in fondo, proprio a destra della porta della stanza da meditazione: il saggio ratto scivolò lentamente, studiando tutte le armi scintillanti, tranquillamente. Si sporse e afferrò qualcosa, poi ritornò di fronte a loro e fece avanti e indietro, con le mani conserte dietro la schiena.

I Tessen nacquero per necessità. La necessità di portare armi, anche dove non era permesso. Nel Giappone feudale, era consuetudine spogliarsi delle armi quando si entrava nella magione di un personaggio importante, per dimostrare di non essere una minaccia. Ma era un periodo di grandi tensioni, tradimenti e agguati, anche nel posto più impensato, anche dalla persona meno sospetta.
Perciò i ventagli divennero armi. Ve n'erano di molti tipi: completamente in ferro; solo con le stecche rinforzate; ventagli chiusi che in realtà nascondevano una lama. I samurai a volte affidavano la loro protezione esclusivamente su queste armi e, nella storia, grandi condottieri si sono salvati grazie alla presenza di un Tessen.
Hanno un aspetto grazioso, ma hanno un potenziale che non ha nulla da invidiare a qualsiasi altra arma” finì di spiegare Splinter.

Allungò le mani verso Isabel, porgendole i suoi doni: due ventagli neri con decori argentati, ognuno correlato di due lunghe code nere. Lei si sollevò un poco, prendendo con timore eppure gioia le sue nuove armi, iniziando a studiarle con riverenza. Erano pesanti. Più di quanto si aspettasse.3
Ne aprì uno e ne osservò con attenzione i dettagli, assorta: mentre le stecche esterne erano nere, la base e le spesse stecche interne scintillavano di gelido acciaio, inciso con decori di spirali e fiori di peonia.

Erano freddi e letali, eppure nello stesso tempo raffinati e incantevoli.
Le piacquero. Non avrebbe mai potuto amarli come i suoi Sai, ma sapeva che ci si sarebbe trovata bene.

Pronta per un nuovo passo avanti?” le domandò Splinter, con un sorriso incoraggiante.
Il combattimento coi Tessen era completamente diverso da ogni altra cosa provata prima: non aveva l'irruenza della lotta coi Sai o la concretezza di quella corpo a corpo. Era davvero elegante, assorto e cadenzato, come una danza di morte. Ripeté con calma e grazia le mosse che Splinter le insegnò, in una sequela infinita e ritmata, parando e attaccando con sventolii letali.

Leo rimase seduto sulle ginocchia per tutto il tempo, in un angolo nel dojo, riempiendosi gli occhi e la mente di quelle immagini, col petto in tumulto. Lei stava letteralmente danzando sul cupo ritmo del suo cuore, un battito tribale e pericoloso, in sincrono perfetta, leggiadra e fatale. Ma solo lui ne era conscio e la cosa lo emozionava da morire.
Al diavolo le sue teorie strampalate e la negazione ad oltranza: Isabel gli piaceva. E non perché fosse un simbolo di speranza, un traguardo o un'ombra e un pensiero positivo di cui invaghirsi; Isabel gli piaceva perché era tutto ciò che gli mancava: sentimento e istintività, passione e dolcezza, serenità e allegria.
Con lei riusciva ad essere meno severo, meno rigido, meno... Leonardo.
Ma non doveva piacergli. Isabel era di Raphael, in ogni senso: era persino padrone del suo cuore, anche se l'aveva rifiutata e ferita.

Per la prima volta nella sua vita sentì una gran rabbia riempirlo tutto, divorarlo vivo, trascinarlo verso pensieri malvagi e di odio contro suo fratello.



Splinter fermò l'allenamento dopo un'ora.
Niente male, per la prima lezione. Sei stata brava” la lodò, con uno scintillio affettuoso negli occhi.
Isabel si inchinò, lusingata, riprendendo fiato. Le facevano male muscoli che non aveva mai usato prima, come quelli dell'avambraccio.

Molto... poco aggraziata” la canzonò Leo, avvicinandosi a grandi passi. Ormai decise di non fare nemmeno caso al batticuore: lo accolse nel petto con sollievo, anche se timoroso che lei potesse accorgersene.
Isabel rise della sua definizione, sorprendendolo.

Meno male. Mi sarei preoccupata del contrario. Almeno so che i miei ipotetici avversari moriranno dal ridere prima ancora che li attacchi” ridacchiò lei, richiudendo i ventagli con uno schiocco secco. Stavano cominciando decisamente a piacerle.

Leo, puoi andare a chiamare gli altri, per favore?”
La sua domanda titubante e inattesa lo sorprese. Così come il tono insicuro con cui l'aveva pronunciata, come se ci avesse pensato per molto tempo, cercando di farsi forza. Come se in realtà non volesse davvero farla.
Lei continuò a fissarlo, in attesa di una risposta, stuzzicando l'angolo di un labbro con i denti per il nervoso.
Leo annuì, brevemente, dirigendosi verso la porta.

Anche Raphael, ti prego” la sentì dire, con un tono di voce trattenuto, che gli fece perdere ritmo nella camminata, per un secondo.
Se doveva chiamare anche Raph... era certo che non fosse per una cosa banale come mostrare a tutti le sue nuove armi, no?

Uscì dal dojo, diretto in cucina: era certo che Mikey fosse già lì a spadellare una colazione per la sua adorata sorellina... perché diamine non poteva essere come lui? Avrebbe dato le sue Katana per provare la dolce innocenza del suo fratellino.
Lo trovò proprio lì, comicamente intento a sbattere uova e mescolare decine di ingredienti, con il suo grembiulino rosa, canticchiando tra sé.

Ehy, Mikey, riunione al dojo” esclamò conciso, uscendo all'istante dalla cucina incasinata, per non riempirsi anche lui di farina.

Trovò Don nel suo laboratorio, come si era immaginato, intento a lavorare ad un nuovo sistema di difesa per il rifugio, che comprendeva parecchie telecamere. Dovette urlare un paio di volte per farsi sentire al di sopra dello sfrigolio della fiamma ossidrica.
Cosa?” gli chiese l'altro, una volta spento l'attrezzo e sollevata la mascherina.
Riunione al dojo, Donnie.”

Uscì dal laboratorio, sospirando. La parte facile era finita. Gli toccava quella difficile. E non gradita.
Saltò verso il piano superiore, con due balzi ben calcolati, camminando in direzione della penultima porta a destra. Bussò e attese. Non arrivò nessuna risposta. Bussò più forte, con più arroganza. E ancora nessun rumore, né una voce rispose.
Con uno sbuffo spazientito chiuse la mano a pugno, con forza.

Raph! Svegliati, dannazione!” urlò fuori di sé, battendo furiosamente contro la superficie legnosa in una sequela infinita.
La porta si aprì, di colpo, e il fratello apparve, ancora mezzo assonnato e con la maschera sul viso storta.
Non ebbe mai così tanta voglia di prenderlo a pugni come in quel momento, mentre se ne stava lì, appena uscito dal suo sonno pacifico, senza curarsi del dolore che aveva inflitto a Isabel.

Cosa diamine vuoi? Perché strilli?”
Al dojo, immediatamente” rispose semplicemente, prima di voltarsi e andare via.
Non voleva rimanere più del dovuto in presenza di suo fratello; non era certo di come avrebbe reagito e la cosa lo spaventava. Era terrorizzato dai suoi stessi pensieri, da ciò che avrebbe potuto fare in un attimo di follia. Non si era mai sentito così prima. Così geloso, così rabbioso, così instabile.

Ripercorse la strada al contrario, tornando indietro: nel dojo c'erano già i suoi fratelli, intenti a studiare i Tessen di Isabel.
Dai! Fammi vedere cosa hai imparato! Per favore!” la supplicava Mikey, senza successo, inseguendola.
Isabel infatti arrossiva, tirandosi indietro.

No. Mi vergogno. Non sono brava!” rispose, nascondendo il viso per l'imbarazzo.
Ma Leo ti ha vista, non è giusto!”
È stata davvero terribile. Ma tutto sommato poteva andare peggio” rispose il leader, strappandole un sorriso.
Se volevi vederla avresti dovuto alzarti prima.”

Isabel si irrigidì di colpo e Leo seppe che lui era arrivato. Lo percepì avvicinarsi a loro, lentamente; si sentiva sempre più arrabbiato, secondo dopo secondo.
Si sedettero tutti in cerchio, quasi come se si stessero preparando a meditare, ma ci fu un gran silenzio, che nessuno sembrava intenzionato a rompere.

Come mai ci hai chiamati, sensei?” domandò infine Mikey, dopo qualche minuto.
Il vecchio maestro scosse la testa.

Non sono stato io. Isabel ha richiesto la vostra presenza.”

Si voltarono tutti verso la ragazza, sorpresi; era tesa, con la schiena rigida come un fuso.
Io... non è semplice. E vorrei che mi ascoltaste fino alla fine, prima di parlare o fare domande. Vi sono grata per avermi accolta qui, come una di famiglia. E di avermi dato così tanto affetto e comprensione... -e colazioni e abbracci, Mikey-. Però... ho deciso di trasferirmi. Vado a vivere in un appartamento.”

La sua voce era un sussurro e i suoi sorrisi così tirati, da fare male. Gesticolava furiosamente, in preda al nervosismo. Mikey si era quasi alzato, con gli occhi spalancati di sorpresa, Leo si era mosso a disagio sul posto e Don aveva teso una mano provando a prendere la parola.
Sto bene qua con voi” li precedette Isabel, frenando le loro interruzioni sul nascere. “Davvero. Non c'è posto che definirei casa, a parte questa, in tutto il mondo. Ma sono piombata qua all'improvviso, sconvolgendo i vostri ritmi, le vostre abitudini... avete bisogno della vostra privacy. Avere una donna in giro dopo anni di vita solo uomini non deve essere facile.”
Aveva provato a buttarla sullo scherzo, ma gli altri erano troppo scioccati per reagire.

Isabel... perché?” domandò Mikey, ferito.
Io... continuerò a prendere lezioni col maestro. E tutti voi siete i benvenuti nel mio appartamento: per studiare, o giocare, guardare un film, o anche solo per parlare. Non voglio tagliare i ponti con voi. Voglio solo ridarvi i vostri spazi.”
Li osservò, in attesa che dicessero qualcosa.

Leo occhieggiò Raph, ma il fratello aveva gli occhi bassi, imperscrutabili. Sapeva che era tutta colpa sua. Don e Mikey non avevano saputo nulla della sera prima, -nemmeno lui era a conoscenza di ogni particolare e di cosa Raph le avesse detto-, ma era certo che fosse tutta colpa di suo fratello.
Le mani poggiate sulle ginocchia si strinsero a pugno, così forte che le nocche sbiancarono.

Isabel se ne stava andando. E se le cose fossero cambiate tra loro? Se lei si fosse allontanata sempre più, fino a scomparire del tutto dalle loro vite? Lui non voleva perdere Isabel. La voleva con sé, ogni giorno. Voleva poter osservare ancora la sua camminata mezza assonnata quando si dirigeva al dojo di prima mattina. Voleva guardare un film con lei dopocena, stretti nel divano, e ridacchiare sottovoce dei suoi commenti. Voleva trovarla di notte in piedi in cucina, coi capelli arruffati e il pigiama colorato, a versarsi una tazza di latte mentre gli raccontava uno dei suoi strani e buffi sogni.
Voleva avere Isabel attorno ogni secondo possibile. Voleva respirarla, viverla. Ma non avrebbe più potuto.

Si accorse che Mikey si era alzato, protestando la sua indignazione per quell'idea, abbracciando Isabel e pregandola di restare. Bravo fratellino! Gli diede tutto il suo appoggio silenzioso, sperando che la convincesse.
Non vado davvero via, Mikey. Voi siete sempre la mia famiglia, anche se non vivrò più qui!” rispose lei, con un grosso sorriso commosso.
Leo la osservò, chiedendosi con rabbia quante di quelle lacrime che le inumidivano gli occhi, e non voleva lasciare andare, fossero per quell'idiota e ingrato di Raph.




1: La Hakamashita è una sorta di giacca giapponese, quasi un kimono più corto. In genere non arriva oltre il bacino, perciò può essere usato in coppia con la Hakama, un pantalone piuttosto ampio, a pieghe. L'Obi è la cintura solitamente usata con i Kimono, per gli uomini è molto sottile e semplice, a differenza di quelli da donna.


2: Vorrei spiegarvi bene la concezione del sé in psicologia, ma mi rendo conto che la me che aveva scritto la storia lo sapeva, mentre ormai io ho dimenticato tutto. Mi rifaccio a grandi linee a Jung e lo parafraso pure (se dico castronerie siete invitate a prendermi a sassate e a correggermi):
Il sé è la completezza psichica. L'Io, che da Freud era in pratica descritto come il sé di Jung, è la parte cosciente di noi, per Jung, e non è altro che una piccola parte del sé.


3: I ventagli giapponesi da combattimento sono diversi: ci sono quelli completamente in ferro o alcuni che hanno solo le parti esterne rinforzate, altri hanno delle lamine nascoste all'interno di alcune stecche.
I Gunsen avevano le parti interne di legno, bronzo od ottone e le stecche esterne in metallo sottile, in questo modo erano più leggeri. I Tessen erano interamente in ferro, perciò risultavano piuttosto pesanti.

In realtà quelli di Isabel sarebbero Gunsen, quindi, con la parte interna in acciaio e quella esterna in ferro.
All'epoca in cui scrissi la storia non sapevo le differenze, perciò lascerò Tessen. Potrei cambiare, ma mi piace rispettare la scrittura della me stessa di allora.



Note:

Salve!
La rivelazione di Leo non ha scioccato nessuno, ve lo aspettavate tutte! Eh, non sono brava a non far trapelare queste cose. Scusate.
C'è chi ha gioito, chi già li shippa, chi si è sentito tradito, chi non ce li vede proprio. Non saltate a nessuna conclusione e aspettiamo che le cose evolvano, per vedere come sarà.
Vi posso solo assicurare che alla fine di questa storia amerete alla pazzia Leo e fonderete un fan club solo per lui. Persino io ho un debole per il mio Leo, e lui è l'ultimo dei miei preferiti.
Raph ha suscitato indignazione collettiva! Ma continuo ad amarlo lo stesso!
E amo voi! Grazie per leggere! Grazie per i commenti che mi fanno sorridere e a volte ghignare maleficamente al pensiero di come reagirete nel futuro!
Sì, sono malvagia!
Vi adoro!
Abbraccione

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Capitolo 9
*** The struggle of the eldest ***


Isabel si trasferì quella sera stessa. Non ci mise molto a racimolare le sue cose, non aveva accumulato molta roba dacché si era trasferita: una valigia capiente fu tutto ciò con cui si presentò a loro, all'ingresso secondario del rifugio.
Erano tutti lì, allineati e impettiti, senza sapere che fare o dire. C'era perfino Klunk, e sebbene sembrasse pazzo pensarlo, il grosso micione muoveva la coda lentamente, come se avesse capito cosa stesse accadendo.
Mikey tirava su col naso, minacciando di scoppiare a piangere da un secondo all'altro. Aveva cercato con ogni mezzo di farle cambiare idea, si era impuntato in ogni modo, aveva opposto resistenza, ma ogni sforzo era stato vano.
Gli sforzi di tutti erano stati vani. Alla fine il sensei aveva spento le lamentele generali, ricordando ad Isabel che era sempre di famiglia, anche se fosse andata via, e che era la benvenuta se mai avesse cambiato idea. Lei aveva sorriso riconoscente, grata che il gentile maestro avesse compreso la sua richiesta, anche se probabilmente non la condivideva.

Isabel li salutò con la mano, pronta ad andare prima che Mikey rincominciasse con la storia della festa d'addio, quando proprio quest'ultimo la fermò, abbracciandola con trasporto.
Non andare via! Per favore!” la supplicò, stringendola fermamente.
Isabel lasciò andare la valigia e lo strinse a sua volta, con affetto.

Non vado via, Mikey. Lo sai. Starò sempre qui, a New York. E ci vedremo ogni giorno” lo rassicurò, commossa.

Klunk si era avvicinato ai due e si strusciava tra le loro gambe, forse per attirare la loro attenzione, forse semplicemente per esternare la stessa tristezza del suo padrone.
Ma non vivrai più con noi. Non sarai più la mia sorellina!” continuò lui imperterrito, come se non l'avesse nemmeno interrotto.
Mi stai declassando solo perché vado ad abitare da sola? Certo che resto la tua sorellina, se lo vuoi. E quando mi sarò sistemata faremo una festa con pigiama party. Pizza, videogiochi e film idioti fino all'alba! Oh, e segreti da fratelli, ovviamente.”
Mikey rise all'idea, poi rafforzò brevemente la presa, trasmettendo tutto ciò che voleva dire e non poteva, appena prima di lasciarla andare.

Ci conto!” esclamò con forzata allegria, facendo un passo indietro.

Isabel li guardò tutti, brevemente, poi si chinò per raccogliere la valigia e una volta dritta fece un semplice cenno con la mano.
A presto” sussurrò loro, prima di voltarsi e salire dentro l'ascensore. Le porte si richiusero davanti al suo sorriso, portandola via.
Ascoltarono il lieve ronzio, in silenzio. Mikey sospirò rumorosamente.

Tu!” urlò Leo all'improvviso, facendo sobbalzare tutti, fiondandosi nell'angolo in cui Raphael aveva seguito tutto e strattonandolo per un braccio. Lui si difese, spingendolo via, mentre gli altri si avvicinavano sorpresi e allarmati.
Il leader cercò di raggiungerlo di nuovo, furioso, ma venne trattenuto da Mikey, anche se a fatica.

Leo, fermati! Che c'è?” strillò il fratello, cercando di placcare le sue aggressioni verso Raph, che si teneva alla larga.
È tutta colpa sua. Di questo schifosissimo idiota...”
Basta, Leonardo! Che cosa ti succede?” lo riprese Splinter, attonito davanti al suo comportamento inusuale.
Lui rispose al richiamo, smettendo all'istante di agitarsi. Si bloccò e prese dei grossi respiri, continuando a guardare il fratello in cagnesco. Doveva controllarsi, aveva ragione il sensei, ma gli risultava davvero difficile, con tutta quella furia che gli si agitava dentro, con quella voglia pressante di prendere a pugni suo fratello.

Isabel se n'è andata per colpa di Raph. L'ha buttata fuori di casa” rivelò con rabbia.
Mikey strillò, meravigliato, e si fece avanti per chiedere spiegazioni, già piuttosto alterato.

Non l'ho buttata fuori! L'ho lasciata!” ribatté l'altro, visibilmente seccato di dover parlare di cose private con tutta la sua famiglia.
C'era quella vena pulsante sul suo collo, che spuntava solo quando era arrabbiato. Che sfortunatamente era quasi sempre.

Tu hai... cosa?” strillarono scossi Mikey e Don.
E immagino il tatto con cui l'hai fatto, se questo l'ha indotta a scappare!” continuò Leo, che non stava prestando alcuna attenzione agli altri.
Vedeva solo Raph e la sua espressione noncurante ed era ciò che gli dava più fastidio. Come se tutto quello non gli interessasse, come se non lo toccasse minimamente. L'idea di aver allontanato Isabel dall'unica famiglia che potesse esigere, sembrava non turbarlo affatto.

È ovvio che se ne sia andata! Questa è casa mia, voi siete la mia famiglia! Come può pretendere di accamparsi qui, di fare come le pare solo per ciò che è successo in passato?” strillò infatti il fratello, dandogli la certezza su come la pensasse.
Questa casa non esisterebbe nemmeno se non fosse per lei e lo sai. Ha diritto di rimanere qui quanto te!” contestò Mikey, sempre più arrabbiato.
Non avremmo avuto bisogno di una nuova casa se per colpa sua non ci avessero raso al suolo la vecchia!” strillò Raph, con veleno, sconvolgendoli.

Tutti e tre i suoi fratelli lo guardarono con amarezza.
Non l'ho sentito... ditemi che non l'ho sentito davvero. Nemmeno lui può aver detto una cretinata simile” mormorò furioso Leo, che lo occhieggiava malevolo.
Isabel non ha nessuno al mondo. Noi siamo tutto ciò che ha” gli rispose Don, più pacato degli altri, ma molto più amareggiato di quanto volesse ammettere.
Ha il suo magico mondo fatato dove può fare la regina. Che ci torni! Non voglio stare con una persona di cui non mi importa più nulla solo perché voi possiate giocare all'allegra famigliola felice!” sputò fuori con rancore, reso ancora più furioso dalla loro insistenza e dal muro compatto di disapprovazione che gli avevano creato attorno.
Leo sembrò sul punto di reagire, alle sue parole: digrignò i denti e strinse le mani a pugno, in preda alla rabbia. Poi prese un profondo respiro e gli voltò le spalle.

Stalle lontano. Se la farai piangere ancora, non ci sarà nessuno che ti potrà salvare, la prossima volta.”

Raph sbuffò strafottente, per nulla colpito dalla sua minaccia o al sapere che Isabel aveva pianto. Non era affar suo e non doveva essere certo affar loro.
Eppure sembrava che loro pensassero decisamente il contrario; iniziarono ad evitarlo, tutti molto alterati e delusi. Mikey era l'unico che provasse a non trattarlo come se fosse invisibile, ma quando si avvicinava a lui si incupiva terribilmente e non riusciva a dissimulare la delusione e la tristezza.
Perciò prese ad evitarli di sua spontanea volontà.
Se ne stava rabbiosamente per i fatti suoi, cupo e schivo. Stava da solo, non parlava con nessuno, si sfogava per ore prendendo a pugni il fidato sacco da boxe.
Se solo avessero potuto sapere cosa si agitava dentro il suo cuore, nessuno di loro avrebbe potuto biasimarlo.
Isabel doveva sparire per sempre dalla sua vita.




Il sacco di plastica nera sobbalzava ad ogni passo, rischiando di trascinarlo giù da quanto era pesante. Steve sbuffò per lo sforzo, ma non lasciò la presa, anche se gli dolevano le mani per la forza che ci metteva per stringere il nodo, che scivolava per via del sudore.
Ma era l'ultimo sacco per quella notte e finalmente sarebbe potuto andare a casa. Lo aspettava una cena fredda e una doccia e poi il letto e sonno, in gran quantità. Non vedeva l'ora di infilarsi nel letto e dormire, come se non ci fosse domani.
E l'avrebbe fatto, dopo l'ultimo sacco.
Che cadde a terra, quando vide il mutante e capì che niente sarebbe andato come aveva programmato.

Sapevo che saresti venuto stasera” esclamò, riafferrando il sacco da terra e continuando il suo tragitto fino al cassonetto.

Leo balzò giù dal portellone e lo sollevò per lui, facilitandogli il compito. Il ragazzo sollevò il sacco con un solo lancio ed entrambi lo guardarono adagiarsi sul fondo del cassone dell'immondizia. Leo lasciò andare il coperchio, con un sorriso stupito. Il ragazzo ci stava prendendo la mano. Se avesse continuato a lavorare e avesse fatto qualche altro esercizio, in breve tempo si sarebbe irrobustito un po'.
Si risedette sul portellone, mentre Steve rimaneva in piedi, intento a pulire le mani sul corto grembiule da lavapiatti.

Come facevi a saperlo?” domandò, curioso della nota sicura che aveva percepito nell'esclamazione del ragazzo.
Steve smise all'istante di pulirsi e sollevò lo sguardo su di lui.

Stai scherzando? So cosa avete fatto ieri, sospettavo che saresti venuto a farmi delle domande” sbottò, sollevando le mani al cielo per l'entusiasmo.

Leo sollevò le sopracciglia, completamente sconvolto.
Tu sai... cosa?” mormorò, solamente.
Tutto! La clamorosa scoperta di contrabbando di armi è su tutti i giornali e telegiornali! Non li hai visti?” proruppe il ragazzo, stupito che proprio lui, uno degli artefici dell'arresto, fosse all'oscuro.
La scoperta di quello che provava per Isabel e poi la sua partenza dal rifugio gli avevano tenuto la mente impegnata per tutto il giorno. Non aveva fatto caso ad altro, niente di ciò che proveniva dall'esterno. Non quando c'era così tanto casino dentro di lui.

Ma i dettagli... quelli li ho sentiti per la strada. Sussurri che volano da bocca a orecchie come un immenso telefono senza fili, per tutta la città! Come che per esempio siete arrivati nascosti in un furgone e che...” continuò Steve, con un mormorio cospiratorio, come se non volesse essere udito da orecchie indiscrete.

Cosa... voci? Quali voci? Da chi sono partite?” domandò Leo, riprendendo infine controllo dei propri pensieri, sorpreso nel sentire certi dettagli, che di certo nessuno poteva sapere tranne le persone presenti la sera prima.
E a parte la sua squadra, che era certo non avesse parlato, potevano essere solo complici di quei farabutti.

Sai come sono le voci. Non sai da chi partono, ma si diffondono come macchia d'olio. Allora è vero? Eravate nascosti su un camion? E li avete attirati per non fargli usare le armi? Ed è vero che vi hanno sparato addosso con un cannone anticarro?” chiese il ragazzo sempre più emozionato.
Si vedeva che era felice di poter avere conferma di quelle voci di prima mano, da chi c'era e aveva combattuto di persona lo scontro tanto chiacchierato.
Annuì, suo malgrado. Non c'era nulla di male a confermare. Per lo meno quello che si diceva in giro era tutto vero. Per una volta. In passato erano circolate notizie ben peggiori.

Steve sgranò gli occhioni azzurri con meraviglia e una punta di rispetto, come se si trovasse al cospetto di un supereroe. Beh, dire che si è sopravvissuti ad un colpo di cannone di certo era un buon incentivo per far aumentar la stima.
Ed è vero che c'era una persona con voi che ha scagliato un fulmine? La chiamano 'Atena' e le voci che parlano di lei si abbassano sempre di un ottava, dalla paura” terminò l'umano con emozione, come se si fosse tenuto quella domanda per ultima, per non rovinarsi la scoperta.
Atena?” replicò Leo, sorpreso dal nome. Era evidente che stesse parlando di Isabel.
Sì, sono andato su internet per cercarlo: era una dea guerriera, figlia di Zeus, e come il padre poteva usare il fulmine. I suoi occhi erano definiti splendenti ed era terribile e fiera, temibile da trovarsi contro in battaglia.”
Leo sorrise appena della descrizione. Era proprio Isabel. E benché fosse uscito dal rifugio con l'intenzione di non pensare a lei, inevitabilmente, senza che potesse farci nulla, il pensiero finiva per cadere sempre lì.
Isabel. Sempre Isabel. Solo Isabel.

Le calza a pennello direi” rispose, all'amico che attendeva sulle spine.

Quello trattenne il respiro, desideroso di fare ancora tante domande. Se l'avesse lasciato fare avrebbe passato la notte a parlare dell'unica persona a cui non voleva pensare. Perché tanto ci pensava già il suo cuore a ricordargliela ogni secondo.
Doveva assolutamente cambiare argomento.

Cosa sai dei banditi che abbiamo battuto ieri?” domandò velocemente, porgendo la prima domanda che gli era saltata alla mente.
Che era poi il reale motivo per cui era finito lì quella sera. Dopo la ronda infruttuosa in cerca di pace dai suoi pensieri si era recato da Steve, pensando che potesse aver saputo qualcosa.

Il ragazzo si sgonfiò, rilasciando il fiato.
Niente di interessante. Non sapevo nulla di traffici di armi, te lo assicuro. Ma so che uno degli uomini che avete battuto ieri era un compare di Jack Tracey, l'uomo che mi ha reclutato per il contrabbando di borse fatte male. Era con noi la sera in cui c'era quel carico di Pucci ed è caduto giù coi pugni di tuo fratello con la benda arancio” rivelò, facendo spallucce.

Leo si animò un poco alla nuova notizia, di certo la cosa migliore che fosse capitata in quella giornata.
Chi è? Come si chiama?” domandò velocemente, con già dei piani in mente.
Steve lo scrutò per qualche secondo, come se stesse valutando qualcosa all'interno della sua testa.

Abraham 'Abe' Wilson, c'era il suo nome sul giornale: basso, corpulento, stempiato, con le palpebre pesanti e il brutto vizio di indossare pantaloni che non gli coprono mai del tutto il fondo schiena. Un tipo alquanto disgustoso.”
Sì, ho capito. Anche ieri le ha prese da Mikey. Non sapevo che ci fosse anche quella notte... deve sapere un bel po' di cose. Mi piacerebbe farci due chiacchiere” esclamò il mutante, pensando a quante cose si fosse fatto sfuggire la notte prima, a causa di Isabel
Si era preoccupato solo di lei e della sua ferita, mentre il suo dovere di leader lo avrebbe dovuto tenere concentrato sui loro avversari e il motivo per cui erano lì. Isabel era una distrazione troppo pericolosa, gli toglieva il raziocinio, gli toglieva la concentrazione e lui non poteva permetterselo.

Se io... se io contattassi Jack? Se mi infiltrassi?” sentì dire a Steve, che lo strappò dalle sue riflessioni.
Cosa?” sbottò, incredulo da ciò che aveva appena sentito.

Steve gli fece segno di abbassare la voce, mentre si guardava attentamente alle spalle e scrutava verso la porta della cucina, per capire se qualcuno potesse aver sentito qualcosa. Era vero che ormai c'erano solo lui e il capo, il signor Giorgio, che era occupato nel controllare le vendite, ma non gli sembrava saggio far troppo rumore.
Jack è un ottimo collegamento! E io posso ritornare dalla sua parte, per scoprire qualcosa” propose il ragazzo, con un entusiasmo palpabile.
Ma sei pazzo? Non esiste! Tu non devi avere più nulla a che fare con quella gente!” replicò all'istante, più minaccioso possibile.
Eppure Steve non sembrava minimamente spaventato, piuttosto lievemente deluso. E pensare che la volta in cui l'aveva sgridato Raph aveva tremato come una foglia.
Era davvero più intimidatorio suo fratello di lui?

Ma io posso aiutare! Non avete altre piste adesso e... mi puoi insegnare il karate, così mi potrei difendere” insisté il giovane, davvero motivato e sorpreso dalla sua stessa idea.
Leo occhieggiò solo per un secondo la secca figura di quel suo nuovo, inusuale amico e sbuffò incredulo.

Ninjitsu. E non te lo insegnerò. E non ti metterai in mezzo a questa cosa. È pericoloso, ci hanno perfino sparato contro con un cannone!”
Ma...”
E poi adesso devi pensare alla tua famiglia. Come vanno le cose?” continuò più gentilmente, accortosi dell'aria triste che il ragazzino aveva assunto alla menzione dei suoi famigliari.
Bene” rispose l'altro appoggiandosi al muretto, vicino al cassone dove stava lui.
La scuola è finita e posso fare più turni al locale, così posso pagare più visite. Non va tanto male” spiegò con un'alzata di spalle, che voleva essere indifferente, ma che invece tradiva la tristezza nel fondo che cercava di dissimulare.
Lavori tutto il giorno? E le tue vacanze? E le uscite con gli amici?” incalzò Leo, preoccupato per lui e quell'aria bianchiccia e stanca che c'era sul suo viso.
Mi piacerebbe uscire e divertirmi, incontrare gli amici al parco, organizzare una gita al mare... non lo nego. Ma sono il primogenito, ho doveri e obblighi verso i miei fratelli. Non posso pensare a me, adesso” rispose sottilmente Steve, con voce seria e matura, che sorprese Leo.

Erano così uguali. E non lo aveva sospettato.
Steve era un ragazzetto senza particolari qualità e quindi gli era sfuggito che fossero così uguali in qualcosa: nelle responsabilità. Che nessuno dei due aveva chiesto, ma che erano state poggiate sulle loro spalle e che dovevano portare, volenti o nolenti.
Doversi costantemente preoccupare del benessere e della felicità degli altri, rinunciando alla propria. Fare sempre la cosa giusta, immolarsi, anche quando andava contro il proprio beneficio, perché gli altri stessero tranquilli e al sicuro.

Quanti fratelli hai?” domandò, curioso.
Non gli aveva mai chiesto nulla sulla sua famiglia nello specifico. Chissà perché, poi.

Due. Patrick ha tredici anni e mi dà un sacco di problemi, non ascolta mai quello che gli dico. E Olivia ha sette anni, la principessina di casa che vorrebbe tutto quello che ha la faccia di Barbie sopra, se potesse permetterselo. Sono dei bravi fratelli, ma è difficile stargli dietro. Soprattutto perché non ho molto tempo da passare a casa e papà non può seguirli come vorrebbe, a causa della malattia.”

Rimase un silenzio pesante alla fine. Benché Steve avesse parlato con tono noncurante, come se non fosse niente di importante o troppo grave, c'era stato un tono lievemente amareggiato nel fondo, che Leo aveva percepito benissimo.
Perché poteva capirlo appieno.
Capiva benissimo la frustrazione di un fratello maggiore, lo sforzo continuo e disinteressato per tenere uniti e in salvo i propri fratelli. Anche se poi, nessuno di loro ricambiava la premura, nessuno di loro era mai andato a chiedergli come stesse, cosa volesse, cosa sentisse.

Mi dispiace per ciò che stai passando” sussurrò sentito. “ Sei in gamba.”
Steve spalancò gli occhi in imbarazzo, poi sorrise, grato del suo scrupolo.

Grazie... allora mi insegni il ninjitsu?”
Leo scosse la testa, incredulo, davanti alla sua faccia furbetta.

Ehy, ragazzo! Steve! Dove sei?” arrivò una voce dall'interno, con l'accento simile a quello di Isabel.
Il giovane saltò su come se si fosse scottato il sedere, sul chi vive.

Arrivo, signor Giorgio!” urlò precipitosamente, facendo già dei passetti frettolosi verso la porta sul retro.
Poi si voltò verso Leo.

Ci vediamo. E non metterti troppo nei guai, ok?” si raccomandò, entrando in cucina.
Questo dovrei dirlo io, moccioso. Stai attento” sussurrò Leo, prima di tornare nelle ombre della notte.



Per quanto fosse disabitato, il sottosuolo era tutt'altro che silenzioso.
Nel suo tragitto verso il rifugio era attorniato da ogni genere di rumore: lo scroscio dell'acqua nelle tubature, il gocciolio di liquidi non meglio identificati nel fiume di liquami, il sibilo di qualche perdita, da qualche parte, il cigolio delle giunture sotto la pressione. Senza contare il rimbombo della metropolitana in lontananza.
In effetti non c'era mai silenzio, lì sotto, pensò Leo.
Non che gli dispiacesse. Per lo meno aveva un po' di sottofondo per i suoi pensieri.
Pensieri che cercava di tenere lontani da lei, perché non poteva. Doveva scordarsela, aveva ben altro a cui pensare.
La sua lontananza gli faceva male, lo faceva sentire triste e allo stesso furioso, ma avrebbe di certo mitigato quello che sentiva. Averla lontana l'avrebbe aiutato a dimenticarla in fretta, l'avrebbe liberato da quelle sensazioni così sbagliate.
O almeno lo sperava.
Isabel era qualcosa che non poteva permettersi, che non doveva permettersi. Non senza sfasciare e distruggere la serenità della famiglia.



Arrivò al rifugio e non era certo di che ora fosse esattamente.
Le luci al pianterreno erano spente, l'unico riverbero luminoso veniva dal computer nell'angolo, al quale un Don molto stanco stava lavorando.

Ehy, come va?” gli domandò una volta avvicinatosi, controllando lo schermo.
Don continuò a digitare, senza nemmeno voltarsi.

Come prima. Per adesso niente da segnalare” rispose continuando a fissare i puntini rossi che lampeggiavano sul monitor, su quella che sembrava la cartina della città. Ogni puntino si trovava sempre ad almeno un centinaio di metri dagli altri, con un meticolosità e precisione che dava quasi da pensare.
Sono già usciti di prigione, vero? Sei certo che non se ne siano accorti?” replicò Leo prendendo la sedia vicino alla sua e lasciandosi andare sopra, stanco.
Sì. I microchip che gli ho iniettato sotto pelle sono così minuscoli da essere pressoché irrintracciabili. Possiamo seguire ogni più piccolo spostamento, persino di qualche metro... dobbiamo solo aspettare che si riuniscano, anche solo un gruppetto. E poi agire” lo rassicurò il fratello, prendendo la tazza di tè ancora caldo poggiata sulla scrivania, sorbendone un grosso sorso.
Ti ricordi se l'hai messo anche al tipo che Mikey ha preso in faccia con lo sportello del camion?”

Don ci pensò un attimo su, assorto. Aveva portato dietro solo dieci microchip, la sera prima, perciò aveva dovuto scegliere a chi iniettarli: cinque erano finiti dentro agli altrettanti uomini che avevano sparato loro contro col cannone. Perciò gli altri cinque erano stati messi a caso.
No, non mi sembra. Perché, era importante?”
Steve dice che c'era anche la volta in cui li abbiamo trovati a contrabbandare le finte Gucci. E se era in entrambe le bande, c'è un collegamento. E io voglio saperlo” lo informo Leo.
Don sorrise un secondo alla menzione del ragazzino. Leo aveva proprio preso a cuore quel piccolo combinaguai.

Scommetto che si è proposto di infiltrarsi, quel teppista” indovinò, senza nemmeno molta fatica.
Tutti loro conoscevano ormai Steve, anche se era solo Leo a interagire con lui; loro si limitavano a osservarlo di tanto in tanto nell'ombra, per essere sicuri che non gli succedesse niente.
Leo annuì alle sue parole, dandogli la conferma dei suoi sospetti.

Poi due dei puntini rossi sul monitor si mossero, quasi sfiorandosi, riallontanandosi velocemente, senza un effettivo contatto; ma oramai la loro attenzione era stata attratta dallo schermo, col sospetto che potesse succedere ancora qualcosa.
Come possiamo sapere che non comunicano tra loro?” domandò attento Leo, valutando il quadro generale dei dieci uomini.
Non lo sappiamo. Ma sappiamo che c'è qualcosa di grosso dietro e che presto si riuniranno. Forse non tutti, forse la metà o perfino solo due. E noi agiremo in quel momento.”

Donnie si alzò e si stiracchiò, sciogliendo la schiena indolenzita dalle ore passate davanti al computer.
Ma prima sarebbe meglio che tu parlassi con Raph. Non possiamo stare senza di lui, lo sai” mormorò, voltandosi per affrontarlo.
Leo rimase seduto e sollevò la testa verso il fratello, che lo guardava terribilmente serio.

Ma lui ha...” iniziò a dire, senza sapere nemmeno lui cosa volesse dire. O meglio come esprimerlo senza tradire i suoi pensieri.
L'ultima cosa che voleva era che Don capisse cosa si agitava dentro di lui. Ne sarebbe seguito un discorso lungo e tedioso che lui non voleva proprio affrontare.

Quello che è successo tra lui e Isabel non è affare nostro. Anche io sono amareggiato e triste per ciò che è successo, soprattutto perché non riesco a capire come possa buttare via qualcosa di così meraviglioso in un secondo; ma è la sua vita. Nessuno di noi ha mai passato nulla di simile, nessuno di noi sa cosa voglia dire, magari c'è un perché, c'è molto di più dietro. Non gli abbiamo nemmeno chiesto perché l'abbia lasciata, né cosa provi davvero. Parlaci, Leo.”
Il discorso di Donnie era così sensato. Dannatamente sensato. Cosa altro poteva aspettarsi dal razionale e pratico genio di famiglia?
Ma lui non voleva essere sensato. Anche se era assurdo e così poco... Leonardesco, lui non voleva essere sensato, per una volta. Voleva spaccare la faccia a Raph, per una volta.
E trarre gioia nel farlo.
Ma era il leader, perciò avrebbe soffocato ancora una volta tutto ciò che provava e avrebbe fatto la cosa giusta.

Va bene, ci parlerò” esalò, sconfitto, strappando un sorriso rincuorato a Donnie.
E sperò che le cose non gli sfuggissero di mano, ancora una volta.




Note:

Ciao!
Benritrovati!
Scusate il ritardo, avrei dovuto aggiornare ieri, ma il mio pc non ha collaborato. Ma eccomi qua!
Continuiamo con la storia vista dal punto di vista di Leo. E' quasi tutta dal punto di vista di Leo, in effetti. Quasi.
C'è molta rabbia in lui, notato?
Ho scatenato il putiferio con la mia frase nelle note finali nel capitolo prima! Non lo farò mai più, ma mi ha divertito, lo ammetto, vedere quante teorie ne sono scaturite fuori!

Per il soprannome di Isabel: Atena è davvero pretenzioso, lo so. Ma mi serviva qualcosa che si ricollegasse con il suo potere del fulmine e Atena di tanto in tanto ha il permesso di usarli, da suo padre Zeus.
Pensate che dopo che era uscito Dragon Trainer 1, volevo cambiare il soprannome in Furia Buia, ma poi lasciai perdere. Insomma prendetelo solo come un soprannome, niente di più.
Non vedo l'ora di arrivare ai capitoli grossi! Siete con me?

Grazie ancora e di cuore a tutti voi!
A presto!

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Capitolo 10
*** Can I hope? ***


Nonostante la promessa fatta a Don, non parlò con Raph. Non subito, perlomeno.
Per i giorni seguenti ci girò intorno come un avvoltoio, ma rimandava sempre all'ultimo secondo. Voleva parlargli, ma c'era quell'altro Leo, dentro di sé, che lottava per non farlo ed era incredibilmente forte, forse più di lui. E quell'altro Leo voleva continuare a non parlare con Raph, perché gli dava fastidio. Perché era geloso di lui, anche se non avrebbe voluto.

Isabel non si era più fatta viva in quei due giorni seguenti al trasferimento e immaginava che fosse perché era stata molto impegnata nel prendere possesso del nuovo appartamento e magari procurarsi le cose che le servivano... perciò non era preoccupato.
Ma era ancora troppo preso da lei. Aveva creduto che non avendola attorno l'avrebbe scordata all'istante. Che non l'avrebbe nemmeno pensata, addirittura. E invece era stato l'unico pensiero, dominante, in ogni secondo. Il suo sorriso. I suoi occhi. Quel modo in cui arricciava il naso quando era infastidita. Ogni dettaglio era sempre nella sua mente, gli aveva tolto ore di sonno, gli aveva annebbiato il raziocinio, lo aveva reso incostante e poco focalizzato.

Ed era così arrabbiato con sé stesso per quello. Non era nemmeno più lui.
Non gli era mai successo, prima. Quando si era invaghito di Karai, non era stato così. C'era stata l'ammirazione per lei e la sua intelligenza, la sua algida bellezza orientale, -perfino per il suo modo di combattere,- e mischiata c'era stata la rabbia per come si comportava, per non prendere mai una posizione, per continuare a seguire quel farabutto di Shredder.
Ma anche se era stato confuso, combattuto, insicuro, quello che aveva provato allora non poteva essere paragonato a ciò che sentiva in quel momento. Quell'ansia, quell'agitazione... e poi quella leggerezza e voglia di trasgredire. Quella rabbia e quell'aspettare.
Gli sembrava di vedere le cose con gli occhi di qualcun altro. Così come le avrebbe viste se non si fosse allenato da sempre per essere un buon e affidabile leader, soffocando ogni scintilla di disobbedienza, probabilmente.



Alle prime ore dell'alba, Leo varcò la soglia del rifugio, stanco. Aveva pattugliato per tutta la notte, in un malanimo torpore, che non riusciva proprio a scacciare; era come se qualcosa al suo interno si fosse assopito, fosse caduto in stato catatonico, trascinando giù anche la sua concentrazione.
E non gli era di nessun aiuto l'improvvisa sparizione di ogni banda, come se New York fosse stata dichiarata di colpo città con i massimi sistemi di sicurezza al mondo e perciò i banditi l'avessero abbandonata.
Perché a lui servivano risposte alle strane cose che erano successe nelle settimane precedenti e sarebbero state un ottimo modo per tenere occupata la mente, tra l'altro. Avrebbe chiesto a Don se i suoi studi sugli spostamenti dei microchip avessero dato qualche risultato. E lo sperò con tutte le sue forze. Prendere solo borseggiatori non era decisamente divertente.

Si stiracchiò, soffocando uno sbadiglio; il collo scricchiolò con un rumore cupo che risuonò nel silenzio.
Sei certo di non averlo spezzato? Dal suono parrebbe proprio” disse d'improvviso quella voce, bloccando ogni suo movimento.
Un breve tremolio lo scosse.
Isabel era sulla soglia della cucina, con una tazza di latte freddo in mano e un grosso sorriso in volto e lo osservava. Arrossire e venire assalito dal batticuore fu un tutt'uno; abbassò le braccia velocemente, in imbarazzo.

Tu... non ti avevo percepita” mormorò, avvicinandosi a grandi passi. Come aveva fatto a non sentire quel meraviglioso profumo di lavanda che emanava la sua persona ad ogni movimento?

Doveva abbracciarla? Poteva abbracciarla? Santo cielo come gli era mancata. Altro che dimenticarla. Stava facendo violenza fisica su sé stesso per non allungare le braccia e afferrarla, come aveva fatto quella notte per consolarla. Ricordava con precisione tutte le sensazioni che aveva provato allora e moriva dalla voglia di risentirle.
Ma lui non doveva affatto provarle. Non stava combattendo per scordarsela? Non stava cercando di allontanare da sé quel sentimento che era sbagliato e non doveva provare?
Certo che sì. Certo che lo avrebbe fatto.

Isabel piegò la testa di lato, con un'espressione furba.
Scusa. Vecchio difetto da Kunoichi” gli disse, canzonando una sua vecchia frase.
Leo ridacchiò, sollevato. Dov'erano finite quell'apatia e quella rabbia che lo avevano assalito nei giorni prima? Com'era possibile che fossero scomparse così, per magia, non appena lei era tornata?

Sei tornata” constatò stupidamente, completamente annebbiato da tutt'altri pensieri.
Non sono andata veramente via. Vivo solo in un'altra casa, tutto qui” replicò lei avviandosi verso il dojo.
Leo le mandò un'occhiata di sbieco, studiando il suo viso mentre parlava. Sembrava la solita Isabel, con quel sorriso tenue e gli occhi profondi, ma lui sapeva, poteva percepire che era turbata. Che c'era troppa tristezza che cercava di nascondere nel fondo dell'anima.
Aveva di certo pianto ancora, da sola, mentre sistemava la nuova casa.

Sei venuta per la lezione?”
Certo, pensi forse che avessi intenzione di interrompere i miei allenamenti? O forse lo speravi? Ammetti che hai pregato per non dovermi più vedere allenarmi coi Tessen! Ti ho visto ridacchiare la volta scorsa!”
Oh sì, è stato terribile! Ma sono preparato al tuo peggio!”
Lo disse con una smorfia canzonatoria, mentre schivava il pugno che lei gli tirò, di disapprovevole affetto.
Gli piaceva comportarsi ancora in quella maniera punzecchiante, con lei; Isabel sembrava trovarla divertente e lui era meno teso se non doveva stare a pensare a come agire ogni secondo, per paura di tradire quel batticuore.

Come stai?” le chiese con un velo di preoccupazione, tenendo la porta del dojo aperta per lei.
Isabel fece spallucce.

Bene! Ho trovato un piccolo appartamento nel Village, molto carino, perfetto per me e mi sono divertita a girare con April ed Angel per cercare mobili 'assolutamente adatti' per arredare” raccontò sfilando le scarpe all'ingresso e continuando a camminare a piedi scalzi sul pavimento in legno.
Leo aggrottò le sopracciglia alle virgolette che lei aveva mimato all' “assolutamente adatti” che di certo voleva dire qualcosa.

Ti hanno trascinato per tutta la città, in qualsiasi negozio di mobili, senza darti tregua, vero?” indovinò facilmente, conoscendo alla perfezione le due donne di cui si parlava.
E dai rigattieri, nei negozi di seconda mano e anche alle aste! È stata un'epopea senza fine e adesso non ho un mobile uguale ad un altro in casa!” sbottò lei, mulinando le mani per enfatizzare.
Ma è stato divertente, lo ammetto. E un'ottima distrazione. Sono proprio matte” finì con un grosso sorriso affettuoso.

Intuì all'istante che non aveva detto nulla ad April. Ne era assolutamente certo. Perché era certo che non volesse nessuna occhiata di compatimento o parole di conforto e pena.
Era fatta così, stoica fino a morirne, e non poteva di certo negare che gli piacesse anche quel lato di lei, anche se credeva che l'avrebbe consumata prima o poi.

Non vedo l'ora che il sensei mi insegni a lanciare i Tessen come se fossero Shuriken” disse la ragazza estraendo i ventagli dalla borsa, prima di poggiarla in un angolo del dojo.
Ma se non sai lanciare nemmeno quelli” la punzecchiò lui, tenendosi per precauzione a debita distanza.
Appunto! Voglio imparare a lanciarli entrambi! Sono stupendi ambedue... ma con un Tessen posso staccare una testa dal resto del corpo” ribatté lei aprendo il ventaglio di scatto, con le stecche acuminate ben puntate contro di lui.
Se stai cercando di spaventarmi, non funziona. Non riusciresti a prendermi nemmeno se avessi un bersaglio disegnato addosso” rispose altezzosamente, sapendo di farla arrabbiare.
Eccola lì, l'arricciatura che tanto adorava, quelle pieghette alla radice del naso che spuntavano quando lui la infastidiva, rendendolo perfino più piccolo.
Sorrise, senza volerlo.

Ma se fai da brava ti insegno come lanciarlo. Ma non devi mai, mai, mai, davvero mai tirarmelo contro. Prometti!” continuò, avvicinandosi a lei e prendendo uno dei suoi Tessen per poi lanciarlo dall'altra parte del dojo con un gesto fluido.
Il ventaglio girò ripetutamente su sé stesso con un sibilo letale che fendeva l'aria, poi si conficcò nell'asse centrale dell'espositore di armi con uno schiocco secco, nel vuoto che proprio i Tessen avevano lasciato quando il sensei li aveva tolti.
Si voltò verso Isabel, che continuava a guardare verso il fondo della stanza con gli occhioni spalancati e luminosi di eccitazione.

Insegnami! Per favore! Insegnami! Farò la brava! Non ti lancerò mai, mai, mai, davvero mai uno dei miei Tessen contro, lo giuro!” strillò emozionata, aggrappandosi al suo braccio e strattonandolo.

Lui resistette un secondo all'impulso di sorridere, per tenerla sulle spine, e lei continuò a sballottarlo di qua e di là.
Va bene. Ma non userai la tecnica al di fuori del dojo, per ora” acconsentì alla fine, facendo un finto sbuffo minaccioso.
Allora, prima di tutto devi capire come fermare il ventaglio” iniziò a spiegare, portandosi alle sue spalle.
Chiudi gli occhi e fai scorrere le dita nelle stecche di Guardia1... senti una sporgenza, nella base, vicino al perno?” domandò con voce leggera, osservando le delicate dita di lei accarezzare il ferro dell'arma per poi fermarsi.

La vide annuire.
Quello è un fermo. Il ventaglio è mobile, è uno dei suoi punti di forza: deve passare da aperto a chiuso e viceversa, a seconda del tipo di attacco o di difesa previsto, ma non può essere lanciato in quel caso, perché finirebbe per chiudersi. Quando vuoi farlo, devi premere quel fermo. Solo quando vuoi lanciarlo. Non bloccare il Tessen se non sei sicura, perché potrebbe essere una scelta fatale” spiegò il leader, allungando una mano fino ad arrivare alla sua.
Premette delicatamente sul suo dito per spingere il fermo, che non fece nemmeno un rumore.

Bene, adesso devi afferrare la base con forza, accogliendola nel palmo. Il resto è solo un gioco di polso” finì con la voce lievemente roca, prepotentemente conscio della vicinanza dei loro corpi.
Isabel era in silenzio, attenta alle sue spiegazioni, docile tra le sue mani... come sarebbe stato semplice approfittare di una situazione simile.
Stupidi pensieri. Stupidi sbagliati pensieri. Non avrebbe ceduto. Quel batticuore non esisteva. Quelle sensazioni non esistevano.
Si schiarì la gola.

Fletti il braccio e piega bene il polso... poi lancia con un colpo secco. Così.”
Lanciarono il Tessen assieme, con uno schiocco deciso, e lo osservarono vorticare nell'aria come un elegante uccello d'acciaio, finché non si piantò nel bordo dell'espositore, poco più a destra dell'altro.

Sì! È stato magnifico! Non è stato magnifico?” esultò Isabel con un piccolo saltello entusiasta.
Si voltò verso di Leo e lo afferrò per le braccia.

Grazie, grazie, grazie! È stato magnifico! Voglio lanciare i Tessen per tutto il giorno!” esclamò fuori di sé, con un sorriso enorme e gli occhi scintillanti.

Com'era bella quando sorrideva, felice ed emozionata.
Come sarebbe stato facile afferrarla, sporgersi e baciarla. Troppo facile. Troppo egoista. Troppo sbagliato. Anche se era quello che desiderava.
No, non lo desiderava. Desiderare una cosa del genere era sbagliato. Sbagliato. Perché continuava a oscillare in un'altalena di gioia e colpa, continuamente, senza pace? Perché doveva provare un sentimento così dolce e poi sentirsi sporco per quello?

È stato un lancio perfetto. Ma è un po' presto per questo, figliola” dichiarò l'autoritaria voce di Splinter, d'improvviso.
Si voltarono entrambi verso l'ingresso, dove il ratto li osservava con sguardo indecifrabile.
Colti sul fatto.

Mi spiace, sensei, so che non avrei dov...” iniziò contrito Leo, prima che lei lo bloccasse.
Sono stata io a chiederglielo, maestro. Ma ovviamente Leo mi ha fatto spergiurare che non avrei mai usato questa tecnica fuori dal dojo prima che tu me la insegnassi perfettamente” si scusò Isabel, con una smorfia lievemente, solo lievemente colpevole.

Vide il sensei mantenere lo sguardo serio solo per un secondo, per poi sciogliersi in un tenue sorriso. Com'era debole contro Isabel. Forse perché la vedeva davvero come una figlia e magari aveva sempre desiderato avere una femmina e mostrava un'indulgenza esagerata.
Oh, beh, lui era il primo a non poter sindacare su una cosa del genere: era il più debole contro Isabel, non c'era una cosa che non avrebbe fatto per lei. Anche parlare con Raph per provare a sistemare le cose tra loro. Lo avrebbe fatto se lei gliel'avesse chiesto.
Osservò con affetto il maestro salutare la ragazza e informarsi sulla sua nuova sistemazione, con un luccichio solo appena triste nel saggio sguardo, forse perché lei non era più con loro. Perfino il maestro soffriva per quella situazione.
Stupido, idiota Raph.

Dopo la consueta meditazione di gruppo, Isabel si impegnò nell'esercitazione degli affondi con i Tessen, sotto lo sguardo vigile del maestro, e lui dovette ripetere gli stessi movimenti con un paio di Tessen di legno da esercitazione, come monito, gli aveva detto il sensei.
Isabel di tanto in tanto gli lanciava un'occhiatina, poi sorrideva tra sé e sé, davvero divertita.
Gli si avvicinò alla fine delle due ore di lezione, scrollando le mani per sciogliere i muscoli indolenziti.

Sei stato molto...” iniziò a dire, sorridendo della sua espressione scocciata, come se presagisse che lei volesse prenderlo in giro, “elegante” finì, sinceramente, sorprendendolo.
Vorrei riuscire a muovermi come fai tu, ma le braccia si stancano piuttosto velocemente. E i polsi iniziano a dolermi e scricchiolare, senti?” continuò con sussiego, ruotando i polsi perché lui sentisse il cigolio cupo delle ossa stanche.
Con l'allenamento costante non ci vorrà molto prim...” cercò di consolarla, prima che la porta del dojo si spalancasse di colpo, su un Mikey emozionato.

Sorellina!” strillò con le braccia al cielo, per poi correre verso Isabel e sollevarla in un abbraccio sentito, mentre lei rideva.
Mi sei mancata” disse una volta che l'ebbe rimessa a terra. Isabel lo strinse a sua volta, poggiando la testa sul suo petto.
Mi sei mancato anche tu, Mikey.”
Come facevi a sapere che era qui?” domandò Leo al fratello, con solo una lieve punta di invidia per come riuscisse a relazionarsi facilmente con Isabel.
Il suo fratellino era davvero un mago nel relazionarsi con la gente. Era espansivo, allegro, ottimista e divertente... un carattere davvero amabile e invidiabile.

Ho visto le buste della spesa poggiate in cucina... e solo la mia sorellina compra le patatine al formaggio piccante per me, perché sa che le adoro” rispose quello con un grosso sorriso.
Poi iniziò a farle milioni di domande, sommergendola completamente, sulla casa, su come stesse, su altri mille dettagli, con una valanga di parole.

Isabel rideva delle facce buffe del fratello, completamente a suo agio. Cosa non avrebbe dato per riuscire a farla ridere in quel modo. Solo se fosse ritornata serena probabilmente avrebbe ricominciato a ridere davvero.
L'appartamento è bellissimo, Mikey! Cosa ne dici se stasera facciamo la serata in famiglia che avevo promesso?” la sentì dire, mentre gli occhi del fratellino si spalancavano di eccitazione.
Sì!” lo sentì strillare.
Porterò il mio pigiama estivo con le stelle marine! E mangeremo pizza! E prima guardiamo un film e poi giochiamo! Io, tu, il sensei e… ehy, Leo! Tu sei dei nostri, vero?” incalzò, iniziando a pianificare una nottata eccessivamente lunga.
Leo scosse la testa, lentamente.

No, scusate. Ho altri programmi per stasera.”



Camminava ormai da mezz'ora sui tetti, nell'oscurità della notte.
Era pronto. Ci aveva pensato tutto il giorno, aveva meditato per calmarsi e rafforzare la sua convinzione. Poteva farlo. Doveva farlo.
Scrutò in lontananza, socchiudendo le palpebre per mettere a fuoco, poi si lanciò in una corsa decisa, saltando da tetto in tetto.
Raph lo stava aspettando, lì dove avevano appuntamento. Con le braccia conserte e le spalle tese, la mascella contratta.
Era ovvio che si aspettasse un altro litigio, di essere ripreso, di essere incriminato, ancora.

Ehy!” lo salutò, atterrando sul terrazzo in disuso che aveva scelto per l'incontro.
Isolato e vuoto abbastanza per contenere possibili scatti d'ira del fratello, anche se sperava vivamente che non ce ne fossero.

Allora?” esclamò d'un tratto Raph, stufo e guardingo, senza guardarlo in viso.
Voglio parlare.”
Ma davvero? Pensavo mi avessi chiamato per offrirmi una cena.”
Solito sarcasmo per difendersi. Bene. Almeno era il solito Raph.

Mi dispiace di averti aggredito. Qualcuno mi ha fatto notare che non mi devo immischiare nella tua vita” esalò un po' forzatamente.
Era vero che non dovevano essere fatti suoi, ma in un certo senso lo erano, volente o no.
Raph sollevò le spalle e sbuffò col naso, come se fosse una cosa logica e ovvia e quindi nemmeno degna di risposta.

Perché hai lasciato Isabel?” domandò Leo d'improvviso, forse con troppa urgenza.
Lo voleva sapere. Solo il cielo sapeva quanto. E allo stesso tempo non lo voleva. Perché forse avrebbe complicato ancora di più le cose.
Raphael si era voltato e lo stava osservando, sorpreso dalla sua domanda.

Perché ti interessa?” fu la replica cauta.
Voglio cercare di capire” rispose con genuinità.

Il fratello prese un grosso respiro e lasciò andare appena le spalle, rilassando un po' i muscoli.
È semplice: non mi interessa più. È andata via e io l'ho dimenticata. Punto. Finito. Nient'altro da aggiungere” spiegò con tono neutro, un po' infastidito.
Ma... com'è possibile? Dopo tutto quello che c'è stato? Dopo tutto quello che avete passato, che lei ha passato per te. Io c'ero! E mi ricordo sin troppo bene quello che c'era tra voi!” urlò Leo, alterato, perdendo parte della sua compostezza.
Sì, quella rabbia ruggente stava premendo nelle sue vene per uscire. E contenerla era davvero difficile.

Che c'è, Leo? Non eri tu a dire che umani e mutanti non devono stare assieme? Non sei stato tu ad urlare che era sbagliato, che ero uno sconsiderato?” gli rinfacciò Raphael, paonazzo in volto per la rabbia tanto quanto il fratello.
Si studiavano a pochi metri di distanza, con le mani strette a pugno e le vene che pulsavano sulle tempie e il collo per lo sforzo di urlarsi contro, ma entrambi mantenevano ancora un briciolo di autocontrollo per non saltarsi addosso.

Ho cambiato idea! Posso cambiare idea?” strillò in risposta Leonardo, sollevando le braccia al cielo nella foga di difendersi.
Beh, anche io! Pensa un po' che caso! Uno scambio di personalità!”

Ma... perché? Non riesco a capirti! Non... perché rinunciare a qualcosa di così... perché? Lei ti ama e sta soffrendo” domandò davvero disorientato, confuso e deluso.
E allora? Non posso smettere di amare una persona? È un reato? Succede, Leo! Io non volevo ferire Isabel, te lo posso giurare. Ferirla era l'ultima cosa che volevo, ma non posso fare altrimenti” confessò Raph, sentitamente.
Leo smise all'istante di urlare, colpito dal tono provato e tormentato del fratello. Gli credette, assolutamente, perché conosceva sin troppo bene Raph.
Si calmò e aprì le mani, rilassando i muscoli e allontanandosi di qualche passo indietro, manifestando il suo intento di non belligeranza; vide l'altro fare lo stesso, lentamente.

Sai che non ti capiterà mai più niente del genere?” mormorò d'un tratto, quasi sottovoce, come se quello fosse un segreto inconfessabile, una verità scomoda e dura.
Se so che un mostro come me non troverà mai più una donna che lo ami come mi ama Isabel? Certo che lo so. Ma non è comunque un motivo valido per rimanere con lei, non sarebbe giusto.”
Provò rispetto per lui, per quella presa di posizione che era in effetti giusta, anche se dolorosa per qualcuno.

Quindi è finita? Se lei si rifacesse una vita con un'altra persona, tu non proveresti niente?” provò a chiedere, per valutare le sue reazioni.
Raph non mosse un muscolo, non scattò come si era aspettato, non tentennò un secondo.

Solo sollievo. Anche io voglio che sia felice” lo sentì replicare, in un sussurro sincero.

Rimasero in silenzio, presi in pensieri così diversi. Forse.
Si sentì bene per aver parlato con Raph. Ma anche ansioso. Perché adesso non aveva più freni per i suoi pensieri. Se non c'era più l'ostacolo di suo fratello, poteva alla fine accettare i sentimenti che provava senza farsi troppi problemi? Poteva davvero sentirsi libero di provare qualcosa per Isabel?

Abbiamo delle nuove piste per quel traffico di armi. Sei dei nostri, vero?” esclamò tendendogli la mano, in segno di pace.
Avrebbe pensato con calma ai suoi problemi personali, per ore, anche per giorni. In quel momento era più importante riavere indietro suo fratello.
Raph tese la mano e strinse la sua, dopo qualche attimo di esitazione.

C'è anche da chiederlo? Spero che ce ne siano parecchi da picchiare... ho un po' di rabbia in arretrato da sfogare.”
Un minimo di rapporto era stato recuperato, ma avrebbero dovuto lavorarci ancora un po', per ritornare una squadra affiatata come un tempo.
Se fosse venuto fuori quello che sentiva... avrebbe affossato quel rapporto appena ritrovato o no?




Ritornò nel rifugio insolitamente vuoto. Ci mise solo un minuto a ricordarsi che erano andati tutti da Isabel. Tutti tranne lui e Raph.
Non accese nemmeno le luci. Si mosse nell'oscurità, schivando gli ostacoli a memoria, fin ad arrivare alla scaletta che portava al primo piano, scalandola con stanchezza.
Arrivò alla porta della sua camera e la aprì, con la mente piuttosto frastornata, prestando solo attenzione a metà a ciò che faceva. Si stava muovendo per abitudine, gesti ripetuti milioni di volte, sovrappensiero. Aprire la porta, chiudere, abbassare la zip della tuta e sfilare l'indumento e ripiegarlo in un angolo.

Bentornato” lo sorprese una voce nell'oscurità, allarmandolo.
La mano corse velocemente verso l'interruttore, inondando la stanza di luce fredda e accecante. Dopo aver sbattuto le palpebre un paio di volte riuscì a mettere a fuoco la ragazza seduta sul suo letto, che gli sorrideva con la testa piegata di lato.

Isabel?” esclamò sorpreso e imbarazzato, con la tuta sfilata a metà e troppo poco spazio in quel posto per entrambi.
Cosa... cosa fai qua?” balbettò, mentre lei si alzava dal letto e gli si faceva vicino, lentamente, senza staccare lo sguardo dal suo.
C'era qualcosa che mancava, stasera, alla festa... non me ne sono accorta subito. Ma c'era un vuoto. Mancava qualcosa d'importante” disse Isabel, sempre più vicina, tanto che lui arretrò inconsciamente e finì per sbattere contro il legno della porta, in trappola.
Co... cosa?”

Deglutì a vuoto, col batticuore che ballava sul pomo d'Adamo.
Tu” soffiò Isabel, allungando una mano verso di lui e sfiorandogli una guancia.
Era calda. Era morbida. Socchiuse appena gli occhi al contatto.

Mi sei mancato, Leo. Mi è mancato il tuo sorriso. Mi è mancato il tuo modo pungente di tenermi su, la dolcezza che riesci a tirare fuori all'improvviso, quando ne ho bisogno. In questi due giorni mi sono ritrovata a pensarti fin troppo spesso, anche se non volevo” confessò lei, ormai premuta contro di lui.
Poteva sentire il suo calore, il tremito lieve, il fiato caldo contro la pelle. Aveva una morsa di desiderio ed emozione al centro del petto che lo dilaniava, ma il suo cervello era completamente assorbito da lei, dai suoi occhi scuri che scintillavano nel guardarlo, dalle sue labbra sempre più vicine. Da ciò che gli aveva appena detto.

Mi piaci, Leo” sussurrò, con la bocca praticamente sulla sua.
Rispose al bacio con tutta la sua anima, con tutto l'ardore.

Si svegliò di colpo, sbattendo dolorosamente sul pavimento. Aveva il fiatone e il corpo era scosso da tremiti d'eccitazione, il cuore pulsava dolorosamente, ad un ritmo infernale.
Un sogno erotico. O un sogno d'amore? Che importava? Era stato solo un sogno. Non riusciva a capire se era più arrabbiato per il senso di colpa che provava o per la delusione per essersi svegliato troppo presto.
La situazione gli stava decisamente sfuggendo di mano.
Si alzò dal pavimento e corse verso il bagno, colpevole, deluso, innamorato, confuso.
Di certo sarebbe stato difficile guardare ancora Isabel negli occhi, col ricordo di quel sogno peccaminoso nella mente.



1: le stecche di Guardia sono le stecche esterne del ventaglio, più spesse ed elaborate.


Note:

Salve a tutti! Faccio le ore piccolissime per aggiornare. Ho promesso, sono scrupolosa!
Allora: ci avete creduto per mezzo minuto? Vi aspettavate stesse succedendo davvero e non che fosse un sogno? Perverso Leo.
Lo immagino così confuso e in un certo senso infantile nelle questioni di cuore, visto che non ha esperienza di alcun genere.
Spero che lo stiate amando almeno un po'.

Io continuo a ringraziare voi, per i commenti, i nuovi preferiti, per tutto!
Abbraccio mega!
A presto

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Capitolo 11
*** I'll be happy ***


Ehy, che faccia tirata!” sbottò Don al vederlo entrare nel laboratorio, il giorno dopo, sul tardo pomeriggio.
Stava lavorando su una serie di calcoli su un taccuino, e di tanto in tanto sollevava lo sguardo per guardare il monitor del pc di fronte a sé, seguendo un po' l'andamento dei puntini, poi ritornava al suo lavoro.
Leo camminò fino alla scrivania con passo stanco, sbuffando tra sé e sé.

Non ho dormito bene” proferì tra i denti, piuttosto di malumore, passandosi una mano sugli occhi stanchi, cerchiati da occhiaie.
Da quando quel sogno lo aveva svegliato non era più riuscito a chiudere occhio, un po' per il batticuore che sentiva ogni volta che chiudeva gli occhi e il viso di lei riappariva, un po' per il rimorso di aver sognato Isabel in certe circostanze, anche se era abbastanza normale. Era un uomo seppur del genere mutante, aveva già fatto sogni del genere, ma non con protagonista una donna che conosceva così intimamente; magari con l'attrice di qualche film, quello sì.
Si sentiva così in imbarazzo da aver persino disertato l'allenamento mattutino con una scusa, perché non se la sentiva di guardarla con quel ricordo costante nella mente. Lo faceva sentire troppo... impuro.

Eppure eri già a letto quando siamo tornati, sul tardi. Avevi pensieri per la testa?” si informò il fratello, solo mezzo attento a lui per via di ciò che stava facendo.
Leo fece una smorfia senza essere visto. Pensieri... che eufemismo. Si sedette nella sedia davanti alla scrivania, occhieggiando verso il suo lavoro al contrario.

Allora... come va qua?” cambiò discorso repentinamente, riportando la conversazione su un terreno consono e neutro.
Era per quello che era andato lì, dopotutto: avere informazioni sugli spostamenti dei microchip.

Ancora nulla. Ma sono passati solo tre giorni e sono certo che al momento sono diventati più cauti, a causa della nostra apparizione a sorpresa. Lasciamoli cullare in un falso senso di sicurezza, per ora; faranno di certo un errore” rispose Don mentre riempiva il taccuino di numeri e formule.
Entrambi rimasero in silenzio e il laboratorio era pieno di ticchettii e sbuffi dagli angoli più improbabili, dove invenzioni e prodotti chimici giacevano nel loro lavoro.

Dimmi, invece... perché non sei ancora andato ad interrogare Jack Tracey? Lui ha reclutato Steve e sono sicuro che sappia qualcosa. Dovresti averlo già fatto a quest'ora” disse d'un tratto il genio, sollevando il viso dal suo progetto e guardandolo con malcelata curiosità.
Leo si strinse la radice del naso tra le dita, cercando di scacciare un principio di emicrania.

Hai ragione, avrei dovuto... ma ho avuto paura. Ho paura che se strapazzassi quel tipo per farmi raccontare cosa sa, poi non ci metterebbe molto a fare un collegamento tra noi che li abbiamo picchiati quella notte e Steve che ne è uscito illeso e che è l'unico che potrebbe averci detto il suo nome e dove trovarlo. Capisci... è stupido, ma perfino lui potrebbe fare una connessione simile! E se Steve ci andasse di mezzo non potrei perdonarmelo.”
Donnie sorrise con aria saputa, come se riuscisse a leggerlo sin troppo bene. Leo aveva quella altruista predisposizione a proteggere la gente, a comportarsi da fratello maggiore con chiunque fosse nei guai, sobbarcandosi di preoccupazioni eccessive; e se già il ruolo di leader lo pressava, quella sua brutta abitudine non faceva che rendergli le cose più difficili.
Certo che poi non dormiva se doveva pensare ai problemi del mondo.

Beh, dobbiamo trovare una soluzione. Lui e Abraham 'i pantaloni mi cascano sul fondoschiena' Wilson sembrano delle buone fonti di informazioni che sarebbe meglio spremere. Voglio cercare di capire cosa sta succedendo... perché New York sembra davvero piombata in una spirale di caos e mistero e sai che non sopporto non sapere le cose. Hai letto il giornale, stamani?”
Il genio si sporse all'indietro e afferrò un giornale sgualcito, probabilmente recuperato da qualche tombino, poggiato con distrazione sul vecchio tostapane fuso che aspettava una riparazione da mesi; lo allungò verso di lui, in silenzio.

Leo lesse il titolone in prima pagina mentre Don prendeva due tazze e le riempiva di caffè dal termos poggiato sulla scrivania, passandogliene poi una.
Cosa...” esalò orripilato il leader, con il sangue ghiacciato nelle vene. La mano che stringeva il manico della tazza tremava.
Una banda di ragazzini ha assaltato una banca del Queens questa mattina all'alba, armati di fucili, pistole e bombe a mano: sedici morti, tra cui tre dei rapinatori, di nemmeno quindici anni. Erano tutti sotto effetto di droghe, ancora da determinare dalla scientifica della polizia” riassunse Don con voce incolore, anche se lui aveva già letto il peggio dall'articolo.
Lo rilesse almeno dieci volte, con gli occhi che quasi sfocavano dalla velocità con cui leggeva: si fermarono solo sulle foto di quei volti così giovani, rovinati o finiti per sempre.

E quei ragazzi erano scappati di casa, nemmeno due giorni fa, non può essere un caso” finì il genio, poggiando la tazza sulla scrivania nel solito posto, anche se non propriamente nello stesso punto a giudicare dalle decine di aloni circolari color caffè stinto che formavano una sorta di spirale sul legno color noce.

Come fai... non c'è scritto niente del genere sul giornale. Né della droga, né delle armi, né che sono scappati di... sei di nuovo entrato nei computer della polizia?” indovinò Leo con un cipiglio minaccioso nello sguardo, puntandogli la sua tazza ancora piena di caffè contro.
Se il dipartimento di polizia vuole tenere certe informazioni segrete farà meglio a trovare un sistema di sicurezza migliore, che io non possa crackare” attestò Don senza modestia, per una volta.
Leo sospirò esausto, rimangiandosi una ramanzina che non era proprio il caso di fare. D'altronde le sbirciate di Don ai file della polizia o del governo erano estremamente utili, solo che aveva una dannata paura che un giorno la CIA gli piombasse nel rifugio e li portasse via per degli esperimenti e solo perché erano riusciti a scoprire che suo fratello si era intrufolato nei loro computer, seguendo il segnale all'indietro fino a loro.
E per fortuna Donnie non era malvagio o il fatto che fosse così intelligente da gabbare anche i servizi di intelligence non lo avrebbe davvero fatto dormire la notte.

Dobbiamo stare attenti anche a questo caso. Se fossi stato in giro questa notte...”
Lasciò la frase a metà, pieno di rimorso. Si sentiva sbagliato. Avrebbe dovuto pattugliare invece di pensare a cose stupide come un'infatuazione. Se lui fosse stato di ronda le cose sarebbe potute andare diversamente.
Era stato uno stupido, egoista, meschino e fallito... come leader e come essere vivente.

Leo?” lo raggiunse la voce di Don, carica di premura.
Si accorse d'un tratto di essersi estraniato e di aver stretto tanto il manico della tazza da frantumarlo nella mano, facendo cadere il caffè a terra, insieme ai cocci infranti.

Il fratello si alzò dalla sedia e si inchinò per raccogliere i frammenti dal pavimento, lentamente.
Non hai nessuna colpa, Leo. Non iniziare a perderti nelle tue recriminazioni contro te stesso, come: 'se avessi fatto', 'se ci fossi stato'... non puoi essere dappertutto e non puoi fare tutto. Ma fai già troppo e abbastanza per questa città. New York è troppo grande per proteggerla tutta col tuo guscio... non sentirti in colpa se qualche volta non ce la fai.”
Donnie si era rialzato e lo guardava in attesa, con uno sguardo carico di fiducia che sentiva di non meritare. Ma annuì lo stesso in risposta al suo discorso incoraggiante, come se gli avesse fatto bene.

Devo andare a controllare Steve. Sono preoccupato, ci sono altre tre sparizioni di ragazzini sul giornale e non starò tranquillo finché non mi sarò accertato che stia bene” mormorò alzandosi dalla sedia, in procinto di congedarsi.

Oh, ehy, hai parlato con Raph” disse Don mentre era già quasi alla porta. Non era una domanda, suonava proprio come un'affermazione.
L'onnipresenza e onniscienza di Donnie era davvero frustrante a volte. Nonché spaventosa.

Sì, ieri notte, come hai...”
Stamattina stava colpendo il sacco da boxe, ma non così furiosamente come gli altri giorni. Un po' di meno” rivelò il fratello con un sorriso furbo.
Santo cielo, quel geniaccio riusciva a capire un cambiamento negli stati d'animo semplicemente da una differenza minuscola come quella... doveva stare assolutamente attento a non tradire mai il piccolo segreto che lo stava dilaniando.

Sì, abbiamo chiarito. Ha detto che non voleva ferire Isabel, ma che non è innamorato di lei e non voleva una relazione falsa” raccontò per sommi capi.

Don annuì gravemente, leggermente scosso.
Non me lo aspettavo. Avrei giurato che lui... com'è possibile? Povera Isabel, spero che stia bene.”
Beh, ha bisogno di tempo e affetto.”
Noi ci siamo per lei. Sai, dovresti andare anche tu a trovarla al nuovo appartamento, le farebbe piacere. Ieri ti ha nominato un paio di volte, ha detto che le mancavi” disse Don scrupolosamente, sicuro di fargli piacere.
Il suo cuore perse un battito e una veloce immagine del sogno della notte prima gli passò davanti agli occhi, della Isabel sensuale che gli diceva che le era mancato, prima di baciarlo.

Era arrossito, dannazione. Fortuna che era già alla porta e dava le spalle a Don, non poteva essersene accorto.
Sì, io... ci andrò prima o poi. Promesso” esclamò correndo via, preda di un turbamento troppo forte per poterlo persino spiegare a parole.



La luce che filtrava dalla finestra gli diede un po' di sollievo e accese contemporaneamente un senso di angoscia nel suo petto. Si gettò sul tetto del palazzo e poi scese fino al piano giusto, con agilità e attenzione; infilò la mano nello spiraglio della finestra e sollevò il vetro a ghigliottina fino allo schiocco in alto.
La stanza dalle tenui sfumature di giallo era assolutamente vuota, ma la luce del lampadario era accesa, perciò entrò e atterrò sul tappetto color caramello, indeciso se dare una voce o meno.
E se avesse svegliato qualcuno? Non voleva creare nessun disturbo.

Stava quasi per andarsene, -andare lì era stata in fin dei conti un'idea davvero stupida,- quando la porta all'angolo si aprì cautamente e una donna ne uscì in punta di piedi.
Leo?” strillò April quando si accorse della sua presenza, tappandosi subito la bocca con le mani. La vide tendere le orecchie per capire se Carl si fosse svegliato, con l'espressione assorta, e poi rilassarsi quando non udì nessun pianto.
Cosa fai qui?” gli domandò sotto voce, avvicinandosi a grandi passi. Pestò uno dei peluche del bambino nel tragitto e si fermò un secondo per inchinarsi e afferrarlo, per poi spolverarlo con delle pacche vigorose.
Ma sì, dannazione. Cosa ci faceva lì? Era stata un'idea scema, davvero scema, assolutamente non da lui. April era una donna intelligente: quanto ci avrebbe messo a leggere nell'aria che qualcosa non andava?

L'amica aveva ancora in mano il coniglietto peluche e guardava lui in attesa, via via più perplessa dal suo mutismo. Alcune ciocche erano sfuggite alla crocchia che portava alla base della nuca e sembrava un po' stanca, ma il suo sorriso era come sempre affettuoso e premuroso.
Io...” tentennò un secondo, prendendo il coraggio da qualche parte nel suo corpo, senza molto successo.
April capì che era in difficoltà e gli venne in aiuto.

È successo qualcosa? State tutti bene?” domandò un po' in apprensione, rilassandosi all'istante ai cenni affermativi che lui si affrettò a farle.
Allora vuoi Casey? È nella doccia, se vuoi gli dico di sbrigarsi” incalzò la donna, muovendo già dei passi verso l'altra parte della stanza.
La mano di Leo si chiuse delicatamente, ma fermamente sul suo polso, bloccandola sul posto.

Io...”
La voce gli mancò e dovette respirare a fondo prima di riprovarci, mentre April attendeva col magone e apprensione.

Io sono venuto per parlare con te” esalò alla fine, col capo un po' chino, incapace di guardarla in faccia.
Se lo avesse fatto avrebbe visto l'amica di una vita, la sorella maggiore che non aveva mai avuto, osservarlo con un misto di sorpresa e preoccupazione. Perché si era accorta dell'esitazione e del tormento che provava, dal semplice tocco della sua mano.

Cosa c'è, Leo? Non spaventarmi. Stai bene?” la sentì chiedere, mentre tornava sui suoi passi e gli si accostava, sollevando il viso perché i loro sguardi si incrociassero.
Quello di Leo scivolò a destra, a disagio.

Sì... sì, sto bene. È solo che... c'è questa cosa e non so con chi parlarne e... ho bisogno di un consiglio e tu sei la persona più giusta” esclamò tutto di colpo, come un fiume in piena, senza nemmeno respirare dall'agitazione.
Leo, sai che puoi parlarmi di qualunque cosa, io ci sono sempre e se ti posso aiutare non esiterò!”
Promettimi che non dirai a nessuno quello di cui parleremo. Nemmeno a Casey. A nessuno!” sbottò serio Leo, che ancora un po' si pentiva di essere andato lì, nonostante la premura e la dolcezza di April.
Ma con lei non era il fratello maggiore di nessuno, anzi si poteva cullare nell'illusione di avere una sorella più grande che aveva sempre le risposte, che era più saggia, supportiva e protettiva; poteva essere il fratello minore, per una volta.
L'amica annuì con gravità, avvinta dalla sua serietà.

Hai la mia parola, Leo. Ma ti prego, parla o morirò di preoccupazione!”

Lui lasciò andare il suo polso e prese a camminare, dei passetti leggeri e corti sul tappetto morbido, più per tenersi impegnato che davvero per voglia di muoversi. Respirò a fondo un paio di volte, ma non sembrava che l'ossigeno fosse comunque abbastanza.
C'è... c'è una persona che mi interessa. Una donna che mi piace e non so che fare” confessò alla fine a denti stretti, seppure una goccia di sollievo si spanse nel suo cuore per aver confessato almeno una parte del suo segreto a qualcuno.
Ascoltò il silenzio, atterrito, aspettando che lei gli dicesse qualcosa, qualunque cosa, ma non avvenne; voltò il capo e la trovò ferma immobile a guardarlo con gli occhi verdi spalancati di meraviglia, come se stesse osservando qualcosa di mai visto prima.

Lei si accorse della sua agitazione e sembrò riprendersi.
È... meraviglioso!” strillò entusiasta, fremendo di emozione.
Perché lo hai detto come se fosse una cosa orribile? È ancora per il problema di essere un mutante? Isabel non ha dimostrato che non conta?” asserì, senza sapere che stesse toccando un tasto dolente.
Sì, ma lei...” provò a dire Leo, impacciato.
Vi conoscete? Sa chi sei, come sei? Avete parlato?” iniziò a chiedere April, sempre più emozionata, la voce che diventava sempre più stridula, ma comunque sottovoce per non farsi sentire.
Sì, abbiamo parlato, ci conosciamo, sa... sa perfettamente come sono” rispose vago, piuttosto cauto su cosa diceva. Dire che si trattava di Isabel era assolutamente fuori questione. Assolutamente.

Oh! E io la conosco? L'ho incontrata? È qualcuno che hai salvato?”
La sfilza di domande cresceva a vista d'occhio, gli occhi di April si illuminavano sempre di più e la sua agitazione cresceva invece di scemare, perché la curiosità dell'amica poteva portarlo a dire più del necessario.

No... non la conosci” mentì, con solo un poco di rimorso per doverlo fare. Non voleva immaginare nemmeno lontanamente la sfumatura che il viso di April avrebbe potuto prendere se avesse detto la verità. E non riusciva a immaginare come lei avrebbe potuto reagire: felicità o rimprovero? Comprensione o disgusto?
Allora parlami di lei. Come si chiama, cosa fa, cosa ti piace di lei, voglio sapere ogni cosa! È così inusuale questo aspetto di te.”
Titubò per attimi interminabili, combattuto tra la voglia di dire tutto, tutto quello che gli si agitava dentro, e la paura di svelare troppo; ma alla fine prevalse quello slancio a lasciarsi un po' andare. Un grosso respiro per prendere coraggio, le mani strette a pugno e le spalle in dentro. E sciolse un po' i lacci che stringevano il suo cuore.

È... intelligente e divertente. A volte pensa di essere seria e minacciosa, ma in realtà risulta solo buffa, perché è un cosino piccolo e insignificante e tutto quello che ti suscita in quei momenti sono delle pacche sulla testa. Mi fa arrabbiare perché vuole avere sempre ragione, io la faccio arrabbiare perché non gliela do mai.
Mi piace come parla, mi piace come pensa, mi piace la sua determinazione, mi piace il suo carattere forte e tuttavia dolce. Mi piace chiacchierare con lei. Mi fa sentire leggero, mi fa sentire meno legato, meno rigido, meno inquadrato... solo libero e persino un po' ribelle; mi fa divertire, mi fa sciogliere, mi dà la voglia di non pensare a nient'altro che a lei.
E mi piace come sorride. C'è quel sorriso incerto che cerca di trattenere per non darti soddisfazione, ma che alla fine sboccia pian piano sulle sue labbra e lo vedi nascere istante per istante, fino al momento massimo di bellezza, e nonostante tu lo abbia seguito schiudersi ne resti comunque emozionato e rapito.
E poi il mio sorriso preferito: quello che nasce all'improvviso, che la coglie di sorpresa, che non ha messo in conto nemmeno lei, ma si apre di colpo sulle sue labbra, illuminando il suo viso; e forse sarà che non me lo aspetto nemmeno io, ma tutte le volte che sorride in quel modo io muoio un po', ogni volta.”

April stringeva il peluche al petto con foga, completamente rossa in volto, preda di una forte agitazione e lui tremò appena, convinto di essere stato scoperto. Aveva detto troppo, lei aveva capito di chi parlava... ma era stato così difficile fermarsi una volta iniziato, era stato impossibile fermare quei sentimenti che volevano essere ascoltati da qualcuno.
Rimase congelato in attesa, troppo spaventato perfino per respirare, mentre il suo sguardo rimaneva incollato sull'amica e le sue reazioni, scrutando ogni più piccolo dettaglio che potesse tradire quello che pensava.

April si sedette sul divano, sventolandosi il viso con una mano, prendendo grossi respiri; appoggiò il coniglietto sui cuscini, senza staccare gli occhi da lui. Si umettò le labbra e inspirò.
È stata la confessione più bella che abbia mai sentito. Spero che Casey parli di me con almeno un centesimo di questa passione con gli altri. Tu sei innamorato perso, Leo” disse con un sussurro commosso.
Perché non glielo dici? Lei sospetta cosa provi?” incalzò, in modalità amica impicciona e desiderosa di mettersi in mezzo per dare una mano.
Lui lasciò andare un sospiro sollevato nel constatare che April non avesse in effetti capito di chi stesse parlando. Forse perché era talmente assurdo, che l'idea non l'aveva nemmeno sfiorata.

Non è così semplice” riuscì a dirle, prendendo coraggio.

April gli fece segno di avvicinarsi e di sedersi sul divano accanto a lei. Pensava forse che da seduto sarebbe stato più semplice parlare?
Innanzitutto mi distrae troppo dal mio ruolo. Sono troppo distratto, poco focalizzato e mi sembra di sbagliare ogni cosa che faccio... mi sembra di non dover provare affatto una cosa del genere. Non è da me, hai ragione” asserì prendendo posto accanto a lei e lasciando andare un po' le spalle, poggiando i gomiti sulle ginocchia.
Oh, che stupidaggine! Certo che ti distrae... ma non è una cosa sbagliata! È questo che fa l'amore: ti libera la mente, ti aiuta a prenderla un po' alla leggera, ti illumina ogni cosa facendotela vedere in un'ottica diversa. Ma non è sbagliato. Non è sbagliato sentirsi euforici o con la testa tra le nuvole... nemmeno per uno come te, Leo. Tu sei capace di essere un buon leader e un uomo innamorato, ne sono sicuro. Se questa ragazza riesce a farti sentire così bene, forse dovresti solo accettare ciò che provi e buttarti, per una volta. O c'è qualche altro motivo per cui non vuoi farlo?”

Ci fu talmente tanto silenzio dopo la sua domanda, che riuscì perfino a sentire Casey che canticchiava sommessamente sotto la doccia, mentre intanto lui cercava di trovare il coraggio di parlare. Ma ormai era lì, meglio sputare tutto fuori, no?
Lei... ama un altro. Capisci, anche se io potessi essere preso in considerazione, non potrei mai avere delle possibilità finché lei non se lo scorda” confessò a disagio al suo fianco, senza voltare la testa.
E quest'altro ricambia i suoi sentimenti?” lo prese in contropiede lei, senza aspettare nemmeno che finisse la frase.
No. Lui non prova niente per lei.”
E allora? Dov'è il problema? Conquistala, falla innamorare di te! Mio dio, basterebbe che tu le dicessi quello che hai detto a me e cadrebbe ai tuoi piedi!”
No... non so... non è...”
Certo, senza dire tutti i dettagli sembrava in effetti molto più semplice, vista dall'ottica in cui l'aveva presentata ad April.

Leo, tu sei un uomo fantastico! E lo dico sul serio, non perché ti considero come un fratello. Sei una persona intelligente, buona, onesta e leale, dolce e altruista. Uno come te è il sogno di ogni donna!”
Se non fosse che sono un mutante, eh?” ironizzò con troppa insicurezza.
Fesserie! Isabel ci ha provato che sbagliavamo, tutti quanti! Che esistono persone al mondo a cui non interessa il vostro aspetto, ma come siete dentro. E pur con gli alti e bassi non sono una coppia stupenda?”
Lasciò cadere la domanda che gli aveva fatto, in imbarazzo. Per molto più di un motivo. Ma lei lo guardava con compiacimento, come se avesse detto una grande verità.

Non più... Raph ha lasciato Isabel” le rivelò cautamente, nemmeno lui seppe perché.
Cosa?” strillò April col viso paonazzo, tappandosi subito la bocca con le mani per aver alzato la voce. Rimase un secondo in silenzio prendendo grandi respiri, acuendo l'udito per ascoltare il silenzio in caso del pianto di Carl.
Cos'è successo?” sussurrò poi, con urgenza.
Raph ha detto che non l'ama, lei è andata a vivere da sola e adesso c'è un po' di tensione in casa.”

April si alzò dal divano con uno scatto e iniziò a camminare a grandi passi per scaricare la rabbia, con la vestaglia da notte viola che oscillava a scatti ad ogni suo passo.
Perché non mi ha detto nulla? Quella testarda, sciocca martire! Quanto ancora vuole continuare a tenersi le cose dentro?” sbottò in un sussurro furioso, continuando ad andare avanti e indietro.
Non dirle che lo sai. Non dirle che te l'ho detto. Io l'ho scoperto solo perché l'ho vista piangere subito dopo che lui l'ha lasciata” la mise in guardia lui, spaventato all'idea di ciò che Isabel avrebbe potuto dire o fare se avesse scoperto che aveva detto a qualcuno cos'era successo tra lei e Raphael.
Non glielo dirò! Ma sono arrabbiata! Non si fida di noi, ancora, nonostante tutto! Che amicizia è questa?”

Il suo volto era una maschera di rabbia e tristezza assieme, i suoi occhi pura preoccupazione. April condivideva con lui quell'abitudine ad affezionarsi agli altri e trattarli come piccoli fratelli o sorelle da proteggere.
Si alzò e le andò incontro, fermando la sua camminata nervosa, prendendola per le spalle.

Lo sai che non è vero. Isabel ha solo problemi ad aprirsi, ha paura di dare fastidio, di essere un peso. Ha solo troppa paura di essere lasciata da sola. Dalle tempo... sono sicuro che si aprirà con te, quando si sentirà sicura. Tu sei davvero importante per lei.”

April contrasse le labbra con rassegnazione e strinse le spalle, lasciando andare un po' di rabbia, poi allungò le braccia e lo strinse. Il suo fratellino minore, che faceva sempre il ruolo del maggiore, anche con lei.
Spero che la smetta di soffrire in silenzio. Che finalmente riesca ad essere felice, dopo tutto quello che ha passato. E spero che anche tu riesca ad essere felice, Leo. Mi presenterai questa ragazza, prima o poi?” disse stancamente, premuta contro il suo torace.
Leo ricambiò la stretta e annuì, passandole una mano rassicurante sulla testa.

Certo che sì. Vedrai che saremo felici, assolutamente” disse misteriosamente.




Note:
Salve!
Siamo ancora nell'introspezione. Questo capitolo e la confessione che Leo fa ad April è uno dei motivi per cui dissi la famosa frase scatta guai: “Alla fine della storia amerete Leo e fonderete un fanclub solo per lui.”
Leo è dolce ed esitante, ma così mortalmente romantico. Io ce lo vedo romantico. È uno di quegli uomini che si accorgono delle piccole cose che rendono felice la ragazza che amano e che la amano ancor di più proprio per quei dettagli insignificanti agli occhi degli altri.

Donnie l'ho reso davvero senza macchia, rileggendo... è quasi perfetto. Ma Donnie è dolcissimo e non si tocca. Lui è perfetto! Poi, più avanti, in un'altra storia, ci sarà spazio anche per lui.
Cos'altro? Ah, sì, grazie a tutti per leggere la storie e i bellissimi commenti che lasciate! Inchino! Vi adoro! *__________*

E aggiornerò giovedì... perché? Eh... mistero!
A giovedì, splendori!


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Capitolo 12
*** You are who you choose to be ***


* Attenzione, questo capitolo contiene il finale del film: Il gigante di ferro. Se non l'avete mai visto vi consiglio di farlo prima di leggere, per non rovinarvi uno dei più bei film mai creati. E io ve ne consiglio la visione caldamente, è bellissimo! Per chi l'ha visto: alla fine c'è il link per quella scena, che ho messo nel capitolo, per rinfrescarvi la memoria.
A dopo, alle note finali! *




Leo osservò con sollievo il ragazzino entrare al posto di lavoro, con un lieve ritardo e scuse proferite a voce alta nell'ingresso sul retro che portava alla cucina del ristorante.
Si acquattò dietro lo spuntone del palazzo che lo nascondeva alla vista, dato che era ancora sera e il sole splendeva ferocemente, rendendolo fin troppo visibile ad un occhio attento; avrebbe dovuto evitare situazioni come quella, ma non era riuscito a lasciar perdere. Aveva una irrazionale paura che succedesse qualcosa a Steve, come se il fatto di essere già stato invischiato in traffici strani potesse renderlo un'ottima preda di qualunque cosa stesse accadendo in città.

D'altronde com'era quel detto: pioveva sempre sul bagnato? C'era da scommettersi che uno che aveva già avuto esperienze del genere fosse più predisposto a ricaderci, di sua spontanea volontà o meno. Certo era che si sentiva un po' uno stalker a seguirlo da casa al lavoro e viceversa, soprattutto la notte, per paura di cosa potesse succedergli, a volte senza nemmeno manifestarsi perché non gli andava di parlare. Diventava la sua ombra, semplicemente. Un ombra molto attenta e con le orecchie tese a percepire ogni minaccia, in apprensione.
Questo per i due giorni precedenti, quanti ne erano passati da quando aveva letto quell'articolo che parlava di ragazzini scomparsi e baby gang che assaltavano banche, armati fino alla punta dei capelli, trucidando senza pietà persone innocenti. 
Agghiacciante.
Certo, a dover ricordare, lui e i suoi fratelli avevano più o meno quindici anni quando erano usciti per la prima volta in superficie, quando avevano lottato armi alle mani, quando avevano ucciso per la prima volta... ad un occhio esterno probabilmente non sarebbero parsi diversi da una qualunque banda di delinquenti, di assassini... ma c'era così tanto dietro e nel fondo. C'erano precetti e onore, desiderio di giustizia e tradizioni incise nella carne dallo sforzo di anni per imparare, per capire, per perdonare il mondo che li avrebbe visti come diversi e che tuttavia proteggevano con le loro vite, ogni notte, senza meriti e gratitudine, per fare la cosa giusta.
C'era un abisso tra loro e i delinquenti che strisciavano nel fango di quella città, ma se fossero stati scoperti nessuno avrebbe sprecato mezzo fiato per prendere le loro difese.

Sospirò. Quando lo prendevano quei pensieri, resistere al pensiero di scappare di nuovo nella giungla era quasi impossibile e straziante. Ci aveva lasciato parte dell'anima laggiù, era il suo posto tranquillo a cui pensare quando lo sconforto lo prendeva.
Scivolò giù di qualche metro per confondersi con il fregio scuro che occupava un piano del palazzo e andare via velocemente senza attirare l'attenzione di curiosi Newyorkesi affacciati alla finestra.
Ma che fare, ormai? Era troppo presto per poter andare di ronda, avrebbe dovuto aspettare che il sole iniziasse a tramontare per lo meno, perciò non restava che tornare al rifugio e attendere pazientemente, a meno che...



Occhieggiò la finestra e deglutì a vuoto.
Gli sembrava un'idea terribile, peggiore di quella di andare da April: la testa gli diceva di andarsene senza farsi nemmeno notare, mentre il cuore gli diceva di smetterla di fare il codardo e di andare fino in fondo, per una buona volta. Ci fu un breve conflitto interiore che lo portò nel piccolo terrazzino su cui dava quella finestra, alla fine, con lo sguardo verso l'interno per cercare traccia di lei: c'era la tv accesa nell'angolo a sinistra, ma non si vedeva nessuno in giro.
Era ancora giorno e non gli sembrò prudente rimanere nel terrazzo in piena vista, perciò sfilò una delle Katana dal fodero e usò la lama per sollevare il vetro dallo spiraglio che era stato lasciato, troppo sottile per poterci far passare una delle dita, ed entrò alla fine nel salotto estraneo, che in qualche modo la rispecchiava perfettamente: le pareti color violetto tenue erano eleganti e delicate, eppure anche allegre; l'arredamento era un miscuglio di mobili dai colori vivi e diversi per ogni pezzo, che però creavano un gradevole effetto.

Riabbassò lentamente il vetro della finestra e rinfoderò contemporaneamente la Katana, guardandosi scrupolosamente attorno, muovendo dei passi decisi verso la cucina sulla destra, sorridendo alle sedie scompagnate dai colori pastello attorno al tavolo rotondo e ai pensili turchesi e gialli, che mettevano di buonumore.1
Isabel?” chiamò a voce alta, annunciando finalmente la sua presenza. Si era preso fin troppa libertà nell'entrare così e gironzolare per dare un'occhiata.
Quando non gli arrivò nessuna risposta, ricominciò a scrutare i dintorni, allarmato. C'era la tv accesa davanti al divano color panna e la sua borsa gettata distrattamente sui cuscini colorati.

Isabel?” chiamò di nuovo a voce più alta, avvicinandosi alla tv per spegnere e sentire se lei rispondesse. Nessuna voce.
Si avvicinò alla porta più lontana dalla finestra, bussando forte. Che fosse addormentata? Ma non avrebbe potuto andarsene senza sapere che stesse bene, ormai, era troppo preoccupato che potesse esserle successo qualcosa.
La chiamò ancora e bussò, ma alla fine venne preso dall'agitazione e abbassò semplicemente la maniglia, entrando nella stanza: trovò una camera da letto con un breve muro che nascondeva il lettone alla vista appena si entrava, ma nessuna traccia di lei.

Corse fuori e si fiondò alla successiva porta, bussando ancora e chiamando il suo nome più forte, buttandola quasi giù quando ancora non ricevette una risposta e restando deluso e sempre più nervoso nel vedere che anche in quella camera non c'era nessuno, sebbene il letto fosse disfatto e le coperte in terra come se fossero state lanciate con foga in preda al panico.
Isabel!” strillò ritornando nel salotto, agitato come non mai.
Frugò nelle taschine e tirò fuori il cellulare con mani tremanti, componendo il numero di Isabel: la canzoncina di un gruppo che non conosceva trillò nelle profondità della borsetta e lui richiuse la chiamata con un gesto secco.
Era ad un passo dall'imprecare. Sul serio.
C'erano ancora due porte da controllare, quella di fronte alla finestra da dove era entrato e una subito alla destra.

Si fiondò sulla prima, colmo di paura e apprensione ed entrò come una furia, andando a sbattere contro qualcosa di caldo e bagnato, che strillò a pieni polmoni e mandò un bagliore intenso. Poi un lieve tonfo.
Serrò le palpebre per difendersi dalla luce e poi riaprì solo un occhio per dare un'occhiata, sul chi vive: Isabel era caduta a terra e lo guardava inorridita con gli occhioni spalancati, stretta in un asciugamano mezzo caduto che lasciava ben poco all'immaginazione, i capelli resi più scuri dall'acqua che si incollavano alla pelle bianca percorsa da miliardi di goccioline che riflettevano la luce rendendo il suo corpo luminoso.
Aveva gocce scintillanti impigliate anche nelle lunghe ciglia, simili a piccole perle di luce.
Forse il cuore gli era schizzato via dal corpo, da quanto forte iniziò a battere. Perché era di sicuro l'immagine più bella, pura e nello stesso tempo sensuale mai vista prima in vita sua.

Chiudi-gli-occhi-chiudi-gli-occhi-chiudi-gli-occhi-chiudi-gli-occhi-chiudi-gli-occhi...” urlò a ripetizione lei dal pavimento, stringendo più che poté l'asciugamano contro il corpo, schermandosi con le braccia.
Era rimasto a fissarla con la bocca semi spalancata per... quanto? Secondi? Minuti? Ore o perfino giorni? Non era sicuro, anche perché avrebbe potuto continuare a guardarla in eterno e non sarebbe mai stato sazio di quell'immagine perfetta, per quanto ogni dettaglio si fosse già impresso nella retina, inciso in ogni neurone, scolpito per sempre nel tessuto del suo cuore.

Leo! Chiudi immediatamente gli occhi!”
Ubbidì allo strillo imperioso e imbarazzato immediatamente, uscendo dallo stato di trance e schiaffandosi dolorosamente le mani sulla faccia, ormai completamente rossa.

Scusa-scusa-scusa-scusa-scusa” ripeté come un disco rotto, voltandosi anche di schiena, per maggior sicurezza.

Sentì Isabel che sbuffava e si rialzava e il suono del tessuto ruvido dell'asciugamano che veniva stretto, frusciare lembo contro lembo.
Santo cielo, pregò con tutte le sue forze, fa che il rumore del battito del mio cuore non sia così forte che lei lo percepisca.

Cosa fai qui? Come sei entrato?” gli arrivò la voce accusatoria di lei, molto, molto alterata.
Sono... sono venuto a trovarti... c'era uno spiraglio nella finestra e sono entrato. E ti ho chiamato, ma non hai risposto e mi son preoccupato e ho iniziato a cercarti e...” si spiegò come un fiume in piena, senza nemmeno respirare, con la voce incerta per via della vergogna che provava.
Ero sotto la doccia, non ti ho sentito! Ma tu non... non puoi piombare in casa mia senza avvisare! Uno squillo, un messaggio... ” la sentì strillare indignata e concreta, molto più vicina.

La mano di Isabel si poggiò sulla sua spalla e lo fece voltare e se la trovò di fronte, con gli occhi che lampeggiavano di furore.
Sei un uomo, diamine! Non puoi entrare in casa di una donna così, a tuo piacere! Avrei potuto girare nuda per casa, per quanto ne sapevi!” lo sgridò, ergendosi in tutta la sua piccola altezza per esternare la giusta verità che professava.
E aveva ragione. Ma si era perso un secondo ad osservare una delle gocce d'acqua scendere da dietro l'orecchio, percorrere lentamente la pelle serica del collo per poi scivolare dolcemente nell'incavo del...
No. No. No. Doveva riportare lo sguardo su, in zona sicura. Ecco lì, in quegli occhi ardenti come braci di furore cieco. Di male in peggio.
Se già si era vergognato per averla trovata mezza nuda appena uscita dalla doccia e averla gettata senza accorgersene al suolo, l'imbarazzo nel viso di lei e la sua frase non avevano fatto altro che accrescere la sua tensione, insieme alla consapevolezza di sé. Isabel lo vedeva come un uomo. La sua reazione, il suo rossore, la disperata foga per nascondere la sua nudità, gli ricordavano prepotentemente che sì, era un uomo, e Isabel una donna.
Lo sapeva già da prima, ovviamente, ma era un dettaglio così concreto, in quel momento.

Tu... giri nuda per casa?” gli venne stupidamente da chiedere, il cervello ormai andato da qualche parte, lontano, molto lontano, nel regno degli idioti.
Isabel sbuffò e arricciò il naso. Di certo avrebbe anche gesticolato, se avesse potuto, ma le mani erano impegnate a tenere i lembi dell'asciugamano premuto contro il corpo.

No e se avessi voluto iniziare a farlo, questo mi ha fatto cambiare idea!” rispose piccata, scansandolo e uscendo dalla stanza da bagno a grandi passi.

Lui si voltò e seguì con gli occhi la sua camminata marziale verso la prima camera da letto che aveva aperto, senza una parola.
Scusa! Ma ero davvero preoccupato! C'era quel casino nell'altra camera e ho pensato che potesse esserti succes...”
Lì ci ha dormito Mikey! Ieri notte è rimasto a dormire qua e non sono ancora entrata a controllare in che condizioni l'abbia lasciata!” sentì rispondere a voce alta lei, per farsi sentire nonostante la distanza.
Mikey. Beh, certo, aveva finalmente una spiegazione. Mikey era capace di distruggere qualunque cosa anche nel sonno, quella camera era perfino troppo in ordine per i suoi standard.

Mi dispiace” si scusò ancora, sinceramente.
Nessuna risposta dalla camera. Silenzio indignato e tombale.

Non sarei dovuto venire” soffiò sconfitto, incamminandosi verso la finestra per andare via.
Dove stai andando? Fermo lì!” lo bloccò la voce di lei, ancora nella camera. Come diamine aveva capito cosa stesse per fare?
Isabel ritornò nel salotto con un completo da palestra pantaloncino e canotta, dall'aria comoda, strofinandosi i capelli con l'asciugamano.

Non mi fa piacere il modo, ma mi fa piacere che ci siamo incontrati. Sono tre giorni che non ti vedo, Leo, che fine hai fatto? Come stai?” chiese con apprensione, avvicinandosi alla finestra.
La osservò sciogliere i legacci delle tende color crema e lasciarle cadere morbidamente davanti ai vetri, per evitare che i vicini sbirciassero.

Io... ho avuto un po' da fare” mentì, grattandosi il collo con fare innocente.

Isabel gli gettò un'occhiata che non seppe davvero come definire, se scettica o solo preoccupata, da sotto il bordo dell'asciugamano con cui strofinava la testa.
Se ci fossero problemi me lo diresti, vero?” domandò cripticamente.
Leo si prese tutto il tempo per rispondere, mentre intanto i suoi occhi si beavano della sua presenza, le sue orecchie del suono della sua voce... gli era mancata così tanto da fare fisicamente male e rivederla così di colpo e in quella situazione, era di certo troppo.
Arrossì di nuovo e abbassò appena il capo, schiarendo la voce.

Assolutamente no! Se ci sei tu i guai si triplicano!” rispose con tono ironico, sicuro di farla divertire. E non fu deluso. 
Lei sorrise scuotendo la testa, arricciando il naso.

Adesso è meglio che vada. Mi dispiace di essere piombato all'improvviso e... di averti buttata giù e... di aver visto...”
La vide arrossire e avvampò anche lui, contemporaneamente, e rimasero lì a fissarsi a disagio per qualche istante.
Possibile che l'unica volta che metteva piede in casa sua dovesse succedere una cosa del genere? Quante volte era andato Mikey a trovarla? Quasi ogni sera? E a lui era capitato? N... meglio per lui che non fosse capitato nulla del genere o gliel'avrebbe fatta pagare!
Isabel si schiarì la gola.

Facciamo... facciamo finta che non sia successo, ok? Dimentichiamo gli ultimi... quindici minuti, non sono esistiti, non è accaduto nulla” propose tesa, decisa a far finta di nulla.

Facile, per lei. Ma lui sapeva che quella scena era per sempre, indelebilmente stampata nella sua mente e che non lo avrebbe fatto dormire la notte e gli avrebbe dato il tormento nei momenti meno consoni. Gli sarebbe davvero piaciuto poter resettare a comando. Anche per non dover sentirsi così agitato, più del solito, al solo ricordo.
O... ok. Comunque, sono davvero dispiaciuto per quello che non è successo” concesse suo malgrado, solo per rassicurarla.
Lei sorrise in imbarazzo, un po' più sollevata, ma ancora rossa nella zona delle guance.

Quindi sei finalmente venuto a trovarmi... non ti faccio fare il giro della casa, hai già visto abbastanza” esclamò con una frecciatina che lo lasciò a bocca aperta, mentre lei rideva.

Ma cosa ne dici di rimanere per una pizza e un film?” propose, tirandogli l'asciugamano in faccia.
Ascoltò il suono della sua risata, ringraziando che lei non potesse vederlo, perché non era sicuro nemmeno di che espressione avesse... di certo era molto idiota.

Pizza e film... non ho mai provato! Caspita, mi hanno detto che è divertente, devo verificare” rispose sarcastico, rilanciandole l'asciugamano, che però lei scansò con una risatina.

Subito dopo aver ordinato al cellulare le due pizze, Isabel corse ad asciugare i capelli, lasciandolo da solo in salotto con la raccomandazione di fare come se fosse a casa sua.
Per evitare ulteriori gaffe, errori e di peggiorare quella serata iniziata già con una scena pessima, decise semplicemente di sedersi sul divano e aspettare mentre la mente vagava, ascoltando distrattamente il suono del phon che arrivava ovattato dal bagno insieme al flebile canticchiare di Isabel, una canzone simile alla suoneria del suo cellulare.
Sorrise tra sé e sé, lasciando andare la testa contro la spalliera del divano, chiudendo gli occhi. Era così bello, così rilassante, così intimo.
Poter passare una serata con Isabel, da soli, averla tutta per sé per una volta, tutti i suoi sorrisi, i suoi respiri, i suoi sguardi e i suoi... toc toc.
Toc toc?

Ci mise un paio di secondi a capire che era stato il bussare di qualcuno alla porta e al secondo tocco aprì gli occhi, tornando di colpo nella realtà.
Si alzò di corsa e andò di volata verso il bagno, dove si premunì di bussare a sua volta.

Isabel! Qualcuno alla porta” disse piano per non farsi sentire da fuori, ma abbastanza alto per farsi udire al di sopra del rumore del phon.
La porta del bagno si spalancò e lei ne uscì fuori, sorpassandolo come un ciclone.

Deve essere la consegna!” trillò contenta, afferrando la borsa poggiata sul divano nel tragitto.
Nella casa riecheggiò ancora una volta il bussare nervoso.

Consegna pizze” sentirono dire alla voce ovattata del fattorino.

Leo si spostò nell'angolo cucina, proprio dietro alla porta di ingresso, perciò una volta aperto, lui non sarebbe stato visibile in nessun modo.
Sì, arrivo!” strillò trafelata Isabel, spalancando la porta.
Salve!” salutò entusiasta, verso il porta pizze che lui non poteva vedere.
Sentì un respiro brusco, emozionato, e ridacchiò tra sé immaginando la faccia che doveva avere il suddetto, a bocca aperta come un baccalà.

Le... le sue pizze! Sono... mmm.... trent... no, ventiquat... no...”

Sentì un fruscio, come di qualcuno che cercava di leggere un foglio stropicciato, ma era più interessato a quella vocina tesa. Lui conosceva quella vocina tesa, che indicava che suddetto individuo era nervoso.
Si sporse sul bancone e allungò la testa oltre la porta, prima che Isabel potesse muovere un solo muscolo per fermarlo, guardando infine negli occhi del fattorino.

Steve?” domandò sorpreso.
Leo?” reagì quello addirittura sconvolto, quasi nello stesso istante.
Perché fai il porta pizze?” chiese il mutante.
Sostituisco uno che è ammalato. Tu che ci fai qui?” replicò il ragazzino.
Vi conoscete?” li raggiunse la voce attonita di Isabel, nel mezzo.


Steve venne invitato ad entrare, per una brevissima sosta, in cui sia lui che Leo spiegarono come erano arrivati a conoscersi, senza entrare troppo nei dettagli tecnici delle bande e del brutto giro in cui era finito.
Se ne stavano tutti e tre seduti nella cucina colorata, sulle sedie tutte diverse, bevendo limonata rinfrescante, immersi nella conversazione mentre le pizze si raffreddavano sul bancone.

Isabel era silenziosa alla fine della lunga spiegazione, in cui percepiva dei grossi buchi, ma di cui non disse nulla.
Cos'ha esattamente tuo padre, se posso chiedere?” domandò con tutto il tatto possibile, offrendo a Steve un altro bicchiere di limonata fresca con ghiaccio.
Una fibrosi polmonare idiopatica. I suoi polmoni stanno diventando come delle spugne che non filtrano più ossigeno, finché alla fine morirà senz'aria... ci sono farmaci che rallentano il processo, ma sono davvero costosi. Un trapianto di polmoni, poi, è praticamente impossibile senza un'assicurazione sanitaria.”

Ci fu un grande silenzio, spesso tanto da poterlo toccare, ma mentre per Steve era di dolore e tristezza, per Isabel era un silenzio colmo di pensieri.
Conosco quella faccia. Pensi di poterlo fare?” le chiese Leo, d'un tratto, che non si era perso un dettaglio dei suoi ragionamenti, tutti scritti sul suo viso mentre rifletteva.
Non lo so. Vedi, è diverso dal curare una ferita: in quel caso l'energia che mando accelera la rigenerazione delle cellule, velocizza la riproduzione dei tessuti e di nuovi globuli rossi e bianchi nel caso di perdite considerevoli di fluidi” iniziò a spiegare la donna, assorta, senza accorgersi che Steve non riusciva a capire di cosa stessero parlando.
Ma in casi come questo... c'è da considerare il fattore negativo. Come per il cancro e casi simili, c'è da tenere in conto il fattore malattia. Ci sono cellule malate, danneggiate sin nel cuore del nucleo, che non possono essere curate... sono difettose e anche curandole tornerebbero a riprendere il loro aspetto alterato, prima o poi. Bisogna prima sradicare quelle e poi forzare una produzione di cellule sane per sostituirle. È molto più complesso ed è un procedimento più lungo” continuò gesticolando, mimando forme con le mani che nessuno dei suoi ascoltatori comprese. Insieme alla maggior parte dei dati tecnici che lei aveva detto.

Quindi non puoi...” azzardò Leo, insicuro.
Sì, si può fare. Ma ci vorrà del tempo. Una stima approssimativa... almeno una settimana per ammortizzare il problema, all'inizio, con sedute giornaliere. Poi, una pausa di un mese seguita da un'altra settimana di cure e dopo un altro paio di mesi si può passare ad altre due settimane intensive di ripresa per rafforzare la cura. E in quel caso dovrebbe già essere sufficiente.”

Leo sorrise entusiasta, voltandosi verso Steve, che li osservava a bocca aperta, attonito.
Scusate, ho cercato di seguire finché ho potuto, e credetemi, sono bravo abbastanza in biologia... ma credo di non aver capito nulla, perché mi è sembrato che lei si stesse proponendo per curare mio padre” ridacchiò nervosamente, guardandoli a turno.
Sì, infatti. Isabel può...”
No! Non si può curare! O credete che non io non mi sia già informato dovunque, senza dormirci nemmeno la notte, senza trovare niente? Non si può fare nulla! Perciò io non so cosa voi stiate pensando, ma questo non è uno scherzo!” strillò saltando in piedi, con tanta foga e rabbia che urtò il tavolo e il bicchiere si rovesciò sulla superficie.

Erano ammutoliti. Per Leo era la prima volta che vedeva Steve reagire in quel modo, preda di dolore, incattivito dalla stanchezza.
Steve, mi conosci, sai che puoi fidarti. Isabel ha... un dono. Se c'è qualcuno che può curare tuo padre, quel qualcuno è solo lei” gli disse con tono calmo, con tutta la sincerità possibile.
Ma Steve scuoteva la testa per negare, perché ci era passato, aveva già provato a pensare al “tutto si aggiusterà”, sbattendo poi la faccia contro la realtà decine di volte. E faceva male.

Isabel, facciamogli vedere” sussurrò alla fine il mutante, rassegnato, sfoderando una delle Katana da dietro la schiena.
No, Leo, aspetta...”
La voce di Isabel si spezzò quando la lama della spada slittò sul palmo della mano di Leo, separando la carne di netto, e il sangue fiottò rosso e vischioso.
Eppure lui non pronunciò un fiato. Allungò la mano verso di lei, in silenzio.
Steve aveva gli occhi sbarrati di paura folle, eppure non si perdeva un secondo della scena, mordendosi un labbro dal nervoso.
Isabel poggiò le labbra sul palmo e il sangue si arrestò, la carne si richiuse millimetro dopo millimetro e dello squarcio non rimase che una linea sottile, appena più lucida del resto della pelle.

Leo chiuse e riaprì la mano un paio di volte, poi l'allungò verso Steve, perché la guardasse.
Questo è un millesimo di quello che Isabel può fare. Lasciale curare tuo padre... non hai nulla da perdere nel provarci, no?”
Il ragazzo occhieggiò il suo palmo minuziosamente, sconvolto, con le labbra tremanti e lo sguardo spiritato, inspirando bruscamente come se si sforzasse per non soffocare.
Poi lo videro abbassare il capo e annuire debolmente.

Sì... per favore, puoi curare mio padre?” sussurrò con una vocina insicura e dolce, da far tenerezza.



Se ne stavano sul divano, con le luci spente, a guardare la sigla di inizio del film; le Katana con tutti i foderi erano poggiate sul tavolo, per maggiore comodità.
Steve era andato via subito dopo che l'ebbero convinto a farsi aiutare, con la promessa di andarlo a prendere non appena fosse finito il suo turno di lavoro per riaccompagnarlo a casa, dove il ragazzino avrebbe parlato a suo padre per convincerlo a lasciarsi guarire.
Quel marmocchio aveva le lacrime agli occhi e continuò a tenere la mano di Isabel per qualche minuto tra le sue, quando si congedò, come se volesse dirle qualcosa, ma non ne trovasse il coraggio.
Leo sapeva che era un grazie che si sentiva troppo in imbarazzo per esprimere, d'altronde ormai conosceva davvero bene Steve.

Avevano mangiato la pizza mentre discutevano un po' il piano per il ciclo di terapia che Isabel avrebbe dovuto attuare, e per il quale aveva deciso di chiedere aiuto a Don e Leather Head, poi si erano fiondati nella parte video della sala, avevano messo su il film e spento le luci.
Isabel era raggomitolata al suo fianco, con gli occhi spalancati che riflettevano lo schermo.
Si sentiva calmo e teso allo stesso tempo, come se due forze distinte e contrastanti si stessero battendo nella sua testa. Ma nel mezzo di quelle sensazioni, nel suo cuore, era davvero felice.

Il film cominciò con una scena meravigliosa della terra vista dallo spazio e poi del sistema solare, cosparso di miliardi di stelle ed entrambi furono trascinati nella storia, gentilmente.
Si era aspettato che Isabel commentasse, come faceva sempre, ma rimase sorpreso nel constatare che non una parola le uscì di bocca, come se fosse così assorbita da non poter far altro che seguire o come se la pellicola fosse troppo perfetta per poter essere contestata.
La sentì trattenere il fiato all'apparizione del gigante di ferro e respirare bruscamente quando rimase impigliato nei tralicci dell'elettricità; poi ridacchiò quando il robot pronunciò le prime parole e si affezionò al ragazzino che lo aveva salvato, Hogart, tanto da volerlo seguire.
Ci furono altri spaventi e altre risate, per tutto il film, che li aveva stregati entrambi. Fino a quei minuti, prima della fine, quando il missile nucleare che doveva essere per il robot puntava verso la città e i suoi abitanti, condannandoli alla morte certa.

Il ragazzino si avvicinò al gigante, che si inchinò su di lui.
Hogart... Io... andare, tu... rimanere... non seguire” disse il robot puntando un dito verso di lui, ripetendogli una frase che il bambino aveva detto a lui, quando si erano conosciuti.
Il piccolo tese le braccia per afferrare il dito del gigante e non farlo andare via, ma quello si alzò e si allontanò con grandi passi all'indietro.

Ti voglio bene” mormorò Hogart, il naso in su per guardarlo.

Il gigante accese i razzi sotto i piedi e partì verso il cielo, sfrecciando a braccia tese verso lo spazio, incontro al missile mortale. E nella sua rotta, la voce di Hogart rimbombò nella sua testa, quella frase che gli aveva detto quando temeva di essere una macchina da guerra, mentre lui desiderava essere un eroe, un buono, come Superman:
Tu sei chi scegli di essere”2 disse la vocina del bambino, quando ormai il missile non era che a pochi passi da lui.
Superman” replicò il robot con un grosso sorriso, chiudendo gli occhi nel momento dell'impatto, salvando così la città e il suo piccolo amico.

Leo sentì un singulto. Nel buio della stanza rischiarato dalla luce dell'esplosione sullo schermo, un singulto si unì alla musica triste e due mani afferrarono il suo braccio, stringendolo con forza.
Isabel si voltò verso di lui e aveva le guance rigate di lacrime, che scintillarono al riverbero della Tv,  ma anche lui in effetti stava piangendo per la morte del gigante e si guardarono, per interminabili secondi, per poi scoppiare a ridere, un po' per l'imbarazzo, un po' per la commozione.
Osservarono la fine in silenzio, immobili, così.

Isabel poggiò la testa sulla sua spalla, ai titoli di coda.
Possiamo guardarlo un'altra volta?” chiese con voce nasale per via del pianto. Lui annuì soltanto, per non fargli sentire la sua, ugualmente scossa.
Perciò rimisero il film da capo e lo riguardarono con le stesse emozioni e reazioni della volta precedente e quando arrivò quel momento, quella scena, Leo sentì che Isabel ripeteva le battute sottovoce, la guancia premuta contro la sua spalla.

Tu sei chi scegli di essere” la sentì sussurrare insieme a Hogart mentre il gigante volava nello spazio, e poi sentì le lacrime che le erano sfuggite di nuovo, commossa dal sacrificio del robot.

Leo... tu chi hai scelto di essere?” domandò la sua voce emozionata, acquosa.
Lui sussultò appena, sorpreso e colpito dalla domanda così personale e intima, eppure meravigliosa.

Io... non lo so. Non ci ho mai pensato. Non so nemmeno se ho davvero scelto chi essere” rispose confuso, chiedendosi per la prima volta quanto di quello era, fosse frutto delle sue scelte.
Secondo me sì. Come il gigante di ferro hai scelto di essere il buono, di essere il 'superman' che salva gli altri, disinteressatamente. E sai cosa? Voglio essere come il gigante anche io. Voglio scegliere chi essere, senza condizionamenti, senza freni, senza limitazioni. E comincerò aiutando il padre di Steve, con tutta la mia forza” replicò lei sistemando meglio la testa nell'incavo del suo collo, osservando con lui le scene finali del film.
Scelgo di essere felice.”
Lui piegò il capo e appoggiò la testa sulla sua, colpito e affondato ancora una volta dalla sua dolcezza.



1: l'appartamento in cui vive Isabel è preso pari pari da quello di Monica e Rachel del telefilm Friends. È un telefilm stupendo, spero che l'abbiate visto. E il loro appartamento è un bijou! Ne vorrei uno uguale!

2: la frase in italiano nel film del gigante di ferro è: “tu sei chi scegli e cerchi di essere”, ma io l'ho tradotta così come dovrebbe essere dall'inglese “You are who you choose to be”, perché quell'aggiunta di “cerchi” mi è sempre suonata forzata. Insomma, basta scegliere chi essere, non bisogna per forza cercare di esserlo. La frase in inglese capeggia anche in un poster che ho creato nella mia camera, perché adoro questo film e adoro il suo significato.


Note:
Salve a tutti!
Capitolo tra il malizioso, il triste e il fluff. Non preoccupatevi, quelli d'azione arriveranno, anche troppo presto.
Ecco che i miei due OC si incontrano. Steve e Isabel, davvero differenti, ma entrambi così feriti. Vi assicuro che amo i miei originali, non so proprio perché gli renda la vita così difficile... Perdono!
Il gigante di ferro: è uno dei miei film preferiti. Sul serio, se non l'avete visto correte a farlo, non ve ne pentirete. Io piango sempre a quella scena. Sempre. E io non ho la lacrima facile, proprio per niente. Ma è così toccante e dolce e triste...come la adoro!
Il link per la parte finale, inizia a 1.30, ma se volete vederlo dall'inizio, fatelo:
https://www.youtube.com/watch?v=SXy3f6f9DxI
Preparate solo i fazzolettini. Tanti!

Ultimo, ma non ultimo: Sono felice di pubblicare oggi! Perché è il mio compleanno! E ci tenevo a festeggiarlo un po' con voi, che siete delle così belle persone e mi date tanto credito e affetto!
Grazie!

Nel caso ve lo steste chiedendo (in realtà so che non ve ne frega nulla XD) oggi compio la bellezza di 30 anni. Tondi tondissimi!
Sì, sono anagraficamente “adulta”, ma no, non sono invecchiata di un giorno dalla mia adolescenza, non sono cresciuta e nemmeno invecchiata... e non lo farò mai.
Mi autofaccio gli auguri, ma dato che queste storie le ha scritte la me di 23 anni, beh auguri soprattutto a lei!
E voi, a trent'anni, credete che sarete ancora così, pieni di sogni e desideri, storie e meraviglia? Vi auguro di sì, con tutto il cuore.
Abbraccione con torta alla frutta e candeline!
A presto!


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Capitolo 13
*** At the edge of darkness ***


Steve aveva lavorato con il cervello perennemente bloccato. Aveva fatto tanti di quei casini in una sola sera, che si chiedeva come avrebbe potuto continuare a tenere il posto di lavoro dopo quella notte... il signor Giorgio lo avrebbe di certo licenziato.
E non avrebbe potuto dargli torto. Perfino lui si sarebbe licenziato.
Aveva confuso tutte le consegne, dato il resto sbagliato ad almeno tre clienti, portato la pizza speciale per celiaci ad un indirizzo errato, tamponato un uomo in bicicletta, -per fortuna ad una velocità piuttosto bassa,- bruciato tre stop e perso dieci ricevute, tutto in sole tre ore di lavoro. Il suo cervello non era connesso per niente, era ancora sconvolto da ciò che aveva visto fare ad Isabel, da ciò che gli aveva proposto, da ciò che poteva significare per la sua famiglia...
Quando aveva capito, quando era stato messo di fronte alla verità e alla speranza.... si sarebbe messo volentieri a piangere, se non fosse stato per il suo recente cinismo che voleva essere certo, prima di crederci davvero.

Se ne stava in piedi fuori dell'ufficio del principale, con le mani che torturavano il berretto da baseball nero stinto dei New York Yankees, con gli occhi fissi sul vetro smerigliato della porta, dietro alla quale riusciva a vedere le forme confuse di alcuni mobili, aspettando di essere chiamato.
Deglutì a vuoto, ormai rassegnato. Stava per perdere il lavoro... chissà che avrebbe detto il fratello di Leo, quello alto e grosso. Ebbe paura che venisse a sgridarlo prima o poi, per essersi fatto licenziare. Ancora tremava per la ramanzina che gli aveva fatto quella notte che avevano battuto tutta la banda. Era minaccioso e aggressivo, incuteva timore.
Era così diverso da Leo... Leo era sì severo, ma anche piuttosto gentile.

Steve, entra, ragazzo” sentì chiamare al di là della porta.
Prese un paio di respiri profondi e allungò la mano, abbassando abbastanza deciso la maniglia.

Buo-buona sera, signor Giorgio” tentennò, entrando nel piccolo ufficio ingombro.
C'erano scatoloni di documenti gettati disordinatamente, sul pavimento, sull'archivio, sul tavolo nell'angolo, mentre lo schedario vuoto si riempiva di polvere: c'era un fila di bollette e ricevute anche sulla scrivania, messa piuttosto precariamente, vicino alle foto della sua famiglia, in cui la moglie e la figlioletta lo salutavano felici.
Era piuttosto ovvio che il suo principale avesse una concezione originale della parola ordine.

Prego, siediti” disse l'uomo col sorriso cortese sotto i baffoni folti.
Il signor Giorgio era un vero stereotipo vivente... sarebbe sembrato una versione umana di Super Mario, se non fosse stato alto quasi due metri, lungo e allampanato come un palo. Sembrava Luigi, a ben pensarci. Aveva sempre un sorriso cortese e trattava tutti con affabilità e raramente lo si vedeva perdere le staffe.
In quel momento lo guardava con serietà.

Tu sai perché ti ho chiamato, Steve, vero?” domandò con gentilezza, appoggiando i gomiti sulla scrivania per allungarsi un po' in avanti.
Lui annuì gravemente, sapendo già cosa aspettarsi. Rimproveri. Urla. E il licenziamento. Invece il suo principale gli fece una domanda.

C'è qualcosa che ti preoccupa? Hai qualche pensiero per la testa? Puoi parlarmene, se vuoi.”

Sussultò, preso alla sprovvista. La premura dell'uomo era così sincera che lo commosse, ma lo fece anche riflettere... quante persone si preoccupavano continuamente per lui? Leo, suo padre, il signor Giorgio, Isabel... era davvero così debole da attirare la pena della gente? Avrebbe tanto voluto essere più forte, essere più grande... come Leo.
Mi dispiace per i guai che ho combinato... non ci sono con la testa. Sono... confuso e stanco e...” farfugliò, incasinandosi parola dopo parola.
Prese un paio di grandi respiri per calmarsi e cercare il bandolo dei suoi pensieri, mentre l'uomo attendeva pazientemente, con aria attenta.

Forse c'è una cura per mio padre e io non ho fatto altro che pensarci e sperare ogni secondo da che l'ho saputo e non riesco a concentrarmi su nient'altro. Mi dispiace. So che non è una scusa, so che non ne ho...”
Rimase col fiato sospeso, mentre l'uomo assimilava le informazioni. Poi lo vide sorridere apertamente, fin troppo gioviale.

Allora era questo? Te lo confesso, sono davvero molto sollevato, non sai quanto. Ero convinto che avessi problemi come la droga o di delinquenza, hai sentito di quelle baby gang... invece sapere che eri solo preoccupato e per una cosa così bella... beh, ragazzo, sono contento. Spero che tuo padre si rimetta in salute, presto!”
Steve rimase a bocca aperta, scioccamente, probabilmente per interi minuti, imbambolato come un idiota.
Si era aspettato una ramanzina sulle responsabilità, sul lavoro... le solite cose che gli adulti amavano sputare fuori come sentenze appena sgarravi di poco dal tracciato che loro avevano deciso dovessi fare... perciò la comprensione e l'affabilità del suo principale lo avevano lasciato assolutamente esterrefatto.
Si schiarì rumorosamente la gola, le mani nervose che ormai avevano ridotto il povero berretto da baseball in una informe sagoma lisa.

Io... grazie. C'è... c'è altro che vuole dirmi?” domandò esitante, nemmeno lontanamente certo di volerlo sapere. Dato che se l'era scampata, perché rischiare di attirare quei rimproveri che si era risparmiato?

Ma il signor Giorgio scosse la testa con forza, facendo quasi ondeggiare i baffoni.
No, ragazzo. Fila a casa, adesso e fammi avere notizie sulla salute di tuo padre! E se hai bisogno di qualcosa... permessi, giorni liberi, prestiti, fammelo sapere, d'accordo?” esclamò con voce tonante l'uomo, battendosi una mano sulla coscia così forte che se avesse colpito lui lo avrebbe mandato ko in un secondo.
Steve annuì vigorosamente, poi si alzò deciso ad andarsene, fermandosi però all'ultimo, quando ormai la maniglia era già abbassata.

Signor Giorgio, perché è così disponibile e gentile con me? Mi ha assunto subito, mi ha dato il mese in anticipo, non mi sgrida se faccio errori... sia chiaro, non mi sto lamentando del trattamento di favore, ma perché... è così affabile?” domandò prima di potersi fermare, incerto se dovesse voltarsi o meno.
Rimase a guardare per alcuni secondi il vetro smerigliato della porta, seguendo le linee, non sapendo cosa aspettarsi. Di certo non una risata. Si voltò e vide che il suo buffo e chiassoso principale se la rideva della grossa, come se fosse in imbarazzo per essere stato preso in castagna.

Perché tu mi ricordi me, alla tua età. Ho perso mio padre che ero un bambino, morto in seguito ad una caduta dal tetto mentre lavorava come muratore, laggiù, in Italia. Io ero il più grande dei miei fratelli e ho dovuto lasciare la scuola e lavorare per poter aiutare mia madre e i miei fratelli... tu mi ricordi così tanto me stesso. Da quando ti ho assunto ti sei impegnato il doppio degli altri, non ti sei mai lamentato se c'era del lavoro extra, non hai mai cercato di avere comprensione dai tuoi colleghi facendoti scudo con la tua storia. Mi chiedi perché sono gentile con te, ragazzo? Perché ti rispetto. E spero che la vita decida di essere più clemente con te in futuro... sarai un grande uomo!”
Steve fece un buffo verso, una sorta di respiro che rimandava giù il singulto commosso che gli era quasi scappato. Annuì fiducioso e grato verso il suo principale, con un enorme sorriso, poi con un buona notte e mille grazie proferiti dal cuore, uscì dall'ufficio con un misto di gioia e ansia sottopelle, lusingato e spaventato dal futuro in egual modo.




Non dovette attendere molto, nel vicolo dietro la pizzeria: appena dieci minuti dopo essere uscito col suo zaino sulla spalla, due figure calarono dalle ombre, poco distante da lui, con mosse eleganti e studiate. Che Leo fosse un ninja lo sapeva, ma che anche la donna sapesse il ninjitsu... wow, rimase ancora più colpito.
I due gli fecero un paio di domande, poi lo convinsero a tornare a casa passeggiando per le strade assieme ad Isabel, mentre Leo li avrebbe tenuti d'occhio dai tetti, fino alla casa del ragazzo.

Perciò Steve si ritrovò a camminare tutto impettito e nervoso al fianco di una stupenda donna che gli sorrideva con dolcezza e attirava fin troppo l'attenzione. C'erano uomini che si voltavano ad ogni loro passo, alcuni in maniera cauta, altri sfacciatamente. Lei sembrava non accorgersene, impegnata com'era a fargli delle domande a cui rispondeva a monosillabi, in agitazione.
Ehi, splendore! Ti va di divertirti? Con un vero uomo?” domandò un tipo rozzo fasciato in un completo nero da motociclista, poggiato ad una grossa moto all'angolo della strada. Gli uomini attorno a lui ridacchiarono sguaiatamente, con idee piuttosto chiare su cosa stessero pensando.
Isabel lo occhieggiò solo per un secondo, continuando a camminare, ma Steve riuscì ad intravvedere un lieve bagliore nel suo sguardo, davvero agghiacciante.
L'uomo evidentemente non aveva colto la sottile minaccia silenziosa, perché si accodò alla sua scia, continuando a bersagliarla con proposte lascive e maliziose, a voce ben alta per divertire la sua banda. Steve aveva un po' di paura, ma sapeva che Leo era su e li stava osservando: buttò una frettolosa occhiata verso l'alto e vide una sagoma nera come la notte guardare verso di loro, vigile, pronta ad agire al primo segno di pericolo.

Il motociclista allungò il passo e prese Isabel per un polso, strattonandola all'indietro: un movimento fulmineo e uno strillo nella notte fu tutto ciò che Steve riuscì a captare in un primo momento, allarmato.
L'uomo era inginocchiato a terra, il braccio stretto nella morsa di Isabel piegato dietro la schiena: ad ogni più piccola pressione della mano della donna, si lasciava sfuggire uno strillo di dolore e si accasciava più giù, nel panico. I suoi uomini si erano fatti avanti, spaventati quanto lui, ma mostrando spavalderia per farle paura.

Se vi avvicinate gli spezzo il braccio. E tu, vero che non cercherai più di dare fastidio ad una donna?” ordinò senza paura, con uno sguardo minaccioso e cattivo, davvero strano su quel bel viso.

Il motociclista annuì con forza, mentre un nuovo urlo gli sfuggiva dalle labbra per colpa del movimento. Isabel lo lasciò andare poi fece per allontanarsi, poggiando una mano rassicurante sulla spalla di Steve.
Brutta puttana” urlò il motociclista, gettandosi contro di loro, togliendo velocemente dal taschino un coltello a serramanico.
Uno Shuriken sferzò l'aria con il suo sibilo morbido e si conficcò di netto nel piede dell'uomo, il cui urlo di dolore e panico riecheggiò per isolati.
Isabel e Steve si allontanarono velocemente, mentre la banda controllava cosa fosse successo e una folla di curiosi si avvicinava per dare un'occhiata.

La musichetta di una band trillò nel casino di voci che urlavano e domandavano, mentre loro correvano via, e Isabel afferrò il cellulare dalla borsa.
Sapevo che eri tu. Non c'era davvero bisogno di bucargli un piede, sai?” sussurrò mezzo seria, mezzo divertita.
Steve tendeva l'orecchio, senza perdersi una parola. Gli sembrò di sentire una risata ilare dall'altra parte del telefono.

Sì, sto bene... stiamo bene. Credo che passerà un po' di tempo prima che quel tizio faccia di nuovo il prepotente con qualcuna... sei stato davvero cattivo. Ma grazie.”
Chiuse la chiamata con un sorriso sulle labbra e si volto verso di lui, indicando con un dito verso il cielo.

Il nostro apprensivo angelo custode che lancia Shuriken” gli svelò, con un occhiolino complice.

Era... bella. E dolce. E forte. Gli ricordava molto sua madre, persa sei anni prima a causa di un incidente, troppo presto per un bambino... ma non era sempre troppo presto perdere la propria madre, anche da adulti?
Qual è la tua arma?” le chiese dal nulla, colpito dalla velocità con cui si era mossa prima, senza paura. Aveva capito all'istante che anche lei doveva essere una ninja, come Leo.
Sto imparando i Tessen, al momento. Sono dei ventagli ninja” specificò davanti alla sua faccia confusa.
Ma si può dire che le mie armi saranno sempre i Sai” la sentì mormorare accorata, persa in qualche sua riflessione triste, a giudicare dal ghigno che aveva preso la sua bocca.
Come sono i Sai?” provò ad informarsi, pensieroso sulle varie armi che aveva visto.
Leo portava sempre con sé due spade, uno dei suoi fratelli aveva un bastone, l'altro un paio di Nunchaku, -li conosceva anche lui per via dei film di Bruce Lee,- e l'ultimo quei buffi minitridenti, che pensava fossero davvero difficili da usare, solo a vederli.

Isabel gli descrisse le sue armi con voce dolce, come se stesse parlando del suo tesoro più prezioso e lui le riconobbe all'istante.
Hai le stesse armi di quello alto e grosso, il fratello di Leo... lo conosci?” constatò innocentemente, sorpreso che lei potesse riuscire ad usare delle cose dall'aria così scomoda.
Isabel scoppiò a ridere, tappandosi la bocca con una mano, davvero divertita dalla sua uscita.

Quello alto e grosso... beh, sì, suppongo che si possa definire anche così. Puoi aggiungere anche quello burbero o quello sempre arrabbiato. Gli si addice, no?” continuò, con gli occhi che scintillavano.
E sì, lo conosco bene. O almeno lo credevo” finì, con un sorriso che poté definire quasi come splendidamente triste.



Arrivarono all'appartamento a Soho, dove viveva la famiglia Gragson, in cortissimo tempo. Quel ragazzino era stato davvero fortunato ad avere trovato un lavoro a praticamente un quartiere di distanza, per lo meno non avrebbe dovuto percorrere molta strada di notte da solo per tornare a casa.

Leo rimase ad attendere seduto sul cornicione del palazzo di fronte, mentre Isabel e Steve entravano in casa e ci si trattennero per almeno mezz'ora, nella quale la sua mente cercava di focalizzarsi su cosa si stessero dicendo, mentre di tanto in tanto quell'immagine perfetta e tentatrice di Isabel appena uscita dalla doccia gli balenava davanti agli occhi, distraendolo con prepotenza, mandandogli i brividi giù per la schiena.
Quella sera con Isabel era stata stupenda, tanto bella da desiderare fossero tutte così, nel futuro... certo, magari senza la parte della gaffe iniziale; cenare assieme, parlare di progetti e poi stare così, seduti a guardare e riguardare un film, emozionarsi agli stessi momenti, amare le stesse scene, ridere e commuoversi assieme: era dolce e semplice, era tutto ciò che desiderava. Stare con Isabel sempre, vivere di piccole cose, ogni giorno.
Ma poi, alla fine, a cosa avrebbe portato? Lei era ancora innamorata di suo fratello, appena scaricata e lui non poteva farsi avanti. Ma voleva farsi avanti? Anche senza la certezza di avere chance, voleva confessarle cosa provava? Sarebbe stato da pazzi, sarebbe stato da irresponsabili... e lui, forse, un po' irresponsabile si sentiva, ultimamente.

La sua mente venne distratta dal portone del palazzo giallo che si apriva e dall'apparizione di Isabel, in compagnia di Steve; li vide confabulare tra loro e poi il ragazzino stringere affettuosamente le mani della donna, incapace di esternare in maniera più ardita la gioia che lo stava consumando. Riusciva a vedere il suo sorriso abbagliante fin da lassù.
Lei lo abbracciò fugacemente, poi lo salutò e dopo aver attraversato, sparì in un vicolo, veloce.
Steve sollevò lo sguardo e salutò con la mano verso di lui, proprio mentre Isabel gli apparve accanto.

Com'è andata?” domandò lui mentre ricambiava il saluto e si rialzava.
Alla fine bene. Ma è stato difficile convincere il padre di Steve. Ha reagito come lui, anche se senza le urla: c'erano sfiducia e rassegnazione nei suoi occhi, che dicevano solo 'lasciami in pace, non voglio niente'” raccontò lei incamminandosi verso la strada di casa.
E come l'hai convinto?” si informò Leo, saltando con scioltezza il comignolo sul tetto.
Steve ha fatto una cosa che mi ha sorpresa: ti ha imitato. Ha preso un coltello dalla cucina ed è tornato indietro a grandi passi: il padre stava quasi per svenire, pensando che fosse impazzito e avesse deciso di uccidere tutti! Invece si è tagliato il palmo della mano e te lo giuro, non ha fiatato, anche se si vedeva che stava soffrendo. Credo sia stato quel gesto, più che la vista della mia guarigione sulla sua mano, a sorprendere e convincere il padre. Si è lasciato controllare e ha acconsentito a farmi provare con la terapia, da domani.”

Quel piccolo...” esalò Leo, sorpreso e sconvolto dalla prova di coraggio di quel moccioso. E pensare che era quasi svenuto quando si era tagliato con la Katana per mostrargli i poteri di Isabel... non pensava avesse abbastanza fegato per fare una cosa del genere.
È davvero in gamba... mi piace quel ragazzo” sentì dire ad Isabel, colpita quanto lui da quello scriccioletto.
Nel giro di qualche anno, con i giusti allenamenti e i giusti studi, si sarebbe trasformato in uno splendido uomo, mostrando un coraggio invidiabile.
Non aveva davvero bisogno di preoccuparsi eccessivamente per lui, Steve non si sarebbe mai infilato consapevolmente in una brutta situazione, non avrebbe mai iniziato a drogarsi e di certo non sarebbe scappato di casa per entrare una banda; voleva troppo bene alla sua famiglia e avrebbe dato anche la vita per proteggerla e non dar loro dispiacere.
Esattamente come avrebbe fatto lui. Ma tra la sua famiglia ed Isabel, se si fosse creata la situazione in cui avesse dovuto scegliere, chi avrebbe preferito?
Il suo dovere o la sua felicità?

Isabel stava camminando al suo fianco, percorrendo il tetto con aria assorta, osservando i dintorni con aria sognante e un po' malinconica.
Leo ci mise un po' per riconoscere il posto, poi capì all'istante: erano sul tetto dove Isabel e Raph erano stati attaccati la prima volta che lei era uscita di ronda con lui, due anni prima; era incredibile come se ne fosse accorta immediatamente, come se ci avesse lasciato una parte di anima in quel posto e si fosse appena ricongiunta, riportandole alla mente ricordi lontani e dolorosi, seppure dolci.

Isabel, è tutto a...”

Un sibilo e un fruscio spezzarono il silenzio e fu abbastanza veloce da chinarsi, evitando il tubo di ferro diretto verso la sua testa; con una capriola a terra si spostò velocemente di qualche metro, provando a rialzare il viso per osservare il suo avversario negli occhi, ma un piede entrò nella sua visuale, mirando alla sua faccia con potenza e precisione, perciò saltò all'indietro, giusto in tempo.
Leo! Tutto bene?” sentì chiedere ad Isabel, in apprensione, la voce leggermente affannata, come se anche lei fosse sotto attacco.
Il leader atterrò infine, mettendo un po' di distanza per poter studiare i dintorni e capire e trattenne il fiato, sconvolto: c'era una decina di ragazzini, che li teneva a tiro con mazze, tubi di ferro e pistole, gli occhi spiritati e foschi contornati da profonde occhiaie e i muscoli che tradivano un tremore sottile nel profondo.
Isabel schivava con facilità gli attacchi, senza dare segno di voler contrattaccare; cercava di parlare con loro, invece.

Perché... ci state... attaccando?” domandò a spezzoni, prendendo fiato tra una scivolata a destra e una capriola in avanti.

Nessuno rispose, la gang sembrò solo più smaniosa di finire in fretta: il ragazzo più grande, con già un filo di barba rispetto agli altri visi imberbi, puntò la pistola contro di lui e sparò, così, senza tentennare un secondo, senza nemmeno pensarci, tre colpi a ripetizione, il cui rimbombo riecheggiò nella notte.
Era risaputo che quando si sentiva il rumore di uno sparo significava che era già troppo tardi, che il proiettile era già arrivato a destinazione, e lui era rimasto così sorpreso dal sangue freddo del giovane che non aveva reagito prontamente alla minaccia, rimanendosene semi accucciato, immobile, a guardare la vampata di fuoco uscire dalla canna e la sua morte avvicinarsi velocemente.
I proiettili si schiantarono contro un muro invisibile davanti alla sua faccia, accartocciandosi su sé stessi fino a diventare dei piccoli cilindri contorti, e caddero sul pavimento con un tintinnio cupo, nel silenzio attonito che si era creato.

I ragazzini spalancarono gli occhi folli e spaventati, indietreggiando da lui, ma si fermarono appena percepirono un bagliore e una lieve elettricità alle loro spalle e si voltarono lentamente: Isabel era avvolta dalle scariche e folgori e i suoi occhi erano bianchi, la mano puntata contro Leo, per formulare lo scudo.
Si ricordava perfettamente degli scoppi di magia della donna, ma sembrava considerevolmente diverso, questa volta: innanzitutto lei gli sorrideva incoraggiante e poi i suoi occhi sembravano sì vuoti, ma più lucidi e presenti.
E poi non volava, era ancorata al pavimento del tetto, saldamente.

Isabel?” provò a chiamarla, indeciso se credere alla sua intuizione.
Tranquillo, sono cosciente. Ho imparato a controllare i miei poteri... almeno per un po'” la sentì dire, mentre il corpo perdeva il bagliore dorato e ritornava la Isabel di sempre.
I ragazzini erano rimasti pietrificati, ma non appena lei perdette la sua luminescenza si riscossero e si allontanarono a rotta di collo, correndo sul tetto e pronti a gettarsi su quello di fronte.

Non costringetemi a fulminarvi, per favore. Parliamone, ok? Tornate qui!”

Un ragazzino venne travolto dal resto del gruppo e perse l'equilibrio proprio sul ciglio del cornicione e il suo salto non riuscì a piena potenza come avrebbe dovuto: cadde nel vuoto tra i due palazzi, con una risata isterica che ghiacciò loro il sangue nelle vene.
Isabel scattò in avanti in un istante e saltò nel nulla a testa in giù, gettandosi dietro il ragazzo senza esitare. La risata del delinquente si spezzò e ci fu un immenso silenzio.

Isabel!” strillò sconvolto Leo, saltando in piedi e correndo verso il bordo per controllare di sotto, terrorizzato da cosa avrebbe potuto trovare, il cuore che pulsava nella gola dall'ansia.
Incontrò gli occhi di Isabel, a pochi centimetri dalla sua faccia: gli sorrideva, anche se era un po' stravolta, e il ragazzino era stretto tra le sue braccia, svenuto, mentre lei si librava a mezz'aria.

Sai... sai anche volare?” chiese esterrefatto, col battito ancora accelerato, ma con il sollievo che si spandeva nel petto nel vederla sana e salva.
Lei tese una mano e afferrò il cornicione, chiedendo aiuto per tirarsi su. Poi la vide ridacchiare, perché il momento e la sua domanda erano identici ad una scena del gigante di ferro, che avevano visto solo poche ore prima.

No, volare è una parola troppo grande. Diciamo che svolacchio... mi limito a librarmi al di sopra del terreno, ecco” rispose lei, poggiando i piedi sul tetto e adagiando a terra il ragazzino svenuto, controllando le sue pulsazioni.

Non va bene... è in piena tachicardia... è...” iniziò a dire con apprensione, attirando la sua attenzione.
Il corpo del ragazzo iniziò a muoversi a scatti, contorcendosi in maniera grottesca e spasmodica, mentre una schiuma bianca fuoriusciva dalla sua bocca semiaperta.
Lui rimase ad osservare terrorizzato, mentre Isabel cercava di prestare soccorso, col corpo che brillava appena.

Leo, aiutami! Tienigli ferme le gambe!” urlò, senza nemmeno guardarlo, troppo assorta ad intervenire perché il ragazzo non si inghiottisse o mordesse la lingua.

Non capì cosa fece, la vide solo illuminarsi per un paio di secondi, tanto brillante da dover chiudere gli occhi e poi si accorse che il piccolo delinquente aveva smesso di agitarsi e rimase svenuto, col respiro pesante e rasposo, come se stesse soffocando.
Cosa... cos'è successo?”
La sua domanda rimase ad aleggiare nella notte per alcuni istanti, nel silenzio grave che regnava tra loro. Isabel teneva la testa del ragazzino sulle ginocchia e gli carezzava i capelli, distrutta e preoccupata.

Overdose di droga. Si è drogato o l'hanno drogato... ed è quasi morto” sospirò seriamente, la voce piena di dolore.

Rimasero con il ragazzino fino all'arrivo dell'ambulanza che avevano chiamato, poi Leo si fece in disparte, ad osservare lei salire sul mezzo per spiegare cosa fosse successo e la partenza a razzo con le sirene spiegate, che ulularono nella notte.
Era sconvolto. Disgustato. Preoccupato.
Che cosa stava succedendo alla sua città? Che cosa stava diventando New York? E a cosa serviva il loro duro lavoro, se poi lo schifo e il degrado strisciavano sotto i loro occhi e macchiavano le poche cose pure che ancora rimanevano?
Sarebbe risalito al problema, avrebbe ripulito ogni più piccola macchia.
Prese il telefonino e compose i numeri dei suoi fratelli, pronto a chiamarli a raccolta.





Note:
Buona notte a tutti!
È davvero tardi per aggiornare, lo so, ma non ho trovato altro momento!

Innanzitutto voglio ringraziare gli splendidi tesori che mi hanno fatto gli auguri di cuore e sinceramente, l'ho apprezzato molto: Ser-ser, Lisa, Nova, Piwy, Lara, Cat, Mizu, HyHo e I love Raph (non riesco ad abbreviarlo in nessun modo, tutti amiamo Raph!), Grazie mille!

Grazie anche ai nuovi preferiti, ai seguiti, a tutti voi che leggete in silenzio.
Grazie con l'inchino!

Mi preme di fare chiarezza su una cosa, perché tra spostamenti vari è possibile che vi siate persi: in questa storia Isabel ha 21 anni; Leo, Don, Raph e Mikey 23; April 30; Casey 31; Angel 20. Il piccolo Carl 2.

Ok, giusto per avere ben chiaro in che fase della vita sono.
Al prossimo capitolo pieno di azioneee! Promesso!
Abbraccio megagigantoso!
Vi adoro!

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Capitolo 14
*** Fall deep in the dark ***


I giorni seguenti furono piuttosto frenetici, anzi, per meglio dire, le notti: nelle ronde speciali che lui e i suoi fratelli fecero, cercarono senza tregua quei ragazzini spaesati e persi come quelli contro cui aveva combattuto assieme a Isabel, cercando un modo di aiutarli. Ogni notte, lasciando perdere ogni altra cosa, setacciarono la città palmo a palmo, rovistando fin negli angoli più oscuri per trovare le minigang, parlando con loro quando li trovarono, colpendoli solo quel tanto che bastava a far perdere loro i sensi per poterli portare all'ospedale più vicino.

Non che fosse facile: erano veloci e incredibilmente energici per essere sotto effetto di chissà quale droga e furbi abbastanza da tenersi alla larga da loro e provare a scappare alla prima occhiata.
Furono fortunati e riuscirono a salvarne altri quattro, anche se molti di più furono quelli che riuscirono a scappare, ancora troppo spaventati per lasciarsi aiutare.
Solo quella notte aveva incontrato tre bande, per un totale di dodici ragazzini scappati di casa, ma non era riuscito ad aiutarne nemmeno uno.

Camminò stancamente e angosciosamente per il suo giro di ronda e si lasciò quasi guidare dal suo istinto, mentre la mente pensava, formulava teorie, creava più caos con domande, di quanto ce ne fosse prima.
Si fermò solo quando si accorse che era arrivato al vicolo dell'uscita sul retro della pizzeria “Bel mondo”: perché finiva sempre per andare da Steve, quando aveva voglia di scambiare due chiacchiere? Ma a ben pensarci, erano già quattro giorni che non riusciva a parlarci, troppo preso a dare la caccia alle baby gang.
Rimase ad attenderlo, solo per potersi far dire che era tutto ok, poi sarebbe tornato al suo lavoro. Giusto per controllare che almeno lui stesse bene, per rincuorarsi un po' e ritornare un po' di buon umore.

Steve uscì dal retro un quarto d'ora dopo, come sempre con i consueti sacchi della spazzatura, che però ormai non faceva più molta fatica a portare. Aveva uno zainetto a tracolla su una spalla sola e salutò verso l'interno, augurando la buona notte a chiunque fosse rimasto a mettere in ordine.
Chiuse la porta, poi si voltò per avvicinarsi ai cassonetti e quasi sobbalzò quando lo vide seduto nell'ombra.

Leo? Oh, beh, era da un po' che non ti vedevo” constatò tornando a respirare, portandosi vicino al cassone e sollevando il coperchio con una mano.
Ho avuto molto da fare. Come stai? Come va con tuo padre?” gli chiese lui, osservandolo gettare i sacchi con una mano sola, con scioltezza, tanto che un breve sorrisino gli sfuggì dalle labbra, al ricordo di poche settimane prima, quando era andato a parlare con lui per la prima volta e lo aveva osservato sforzarsi in ogni modo per poterne gettare anche solo un sacco.
Come stava cambiando in fretta.

Steve si sedette sul gradino della porta della pizzeria e iniziò a raccontargli minuziosamente tutti i cambiamenti che aveva riscontrato in suo padre, ormai sotto effetto della cura di Isabel da quattro giorni: il colorito più sano, il respiro più regolare e profondo, la sensazione di minore stanchezza nel muoversi.
Capisci? Si alza da solo dal letto e riesce a stare dietro ai miei fratelli, certo, ancora un po' a fatica, ma è come se stesse guarendo sotto i miei occhi secondo dopo secondo per magia! Si stanca ancora facilmente e ha bisogno di me per poter fare alcuni dei lavori di casa, ma sta tornando pian piano ad essere l'uomo che conoscevo, più energico e vitale. La sua speranza di potercela fare è ritornata e io credo che questo lo aiuti considerevolmente nella guarigione. Vuole guarire, crede che ce la farà e tutti noi ne siamo contagiati” finì di raccontare con entusiasmo e commozione, con gli occhi accesi di felicità.
Faceva così bene vederlo sereno, finalmente. Da quando lo avevano incontrato, negli occhi di Steve c'era sempre stato un fondo di disperazione che poco si addiceva ad un ragazzetto di quell'età, schiacciato da responsabilità troppo grandi.

Lo sentì sospirare nel silenzio.
Pensare che se non avessi incontrato voi, niente di tutto questo sarebbe successo. Mio padre sarebbe ancora malato, ogni giorno più vicino alla sua fine, e io sarei inguaiato in una banda criminale, probabilmente in un'escalation di violenza, per finire chissà come” rifletté Steve, con voce amareggiata.
Dovrò ringraziarvi ogni giorno della mia vita finché campo.”
Leo sorrise della sua espressione seria, perché sapeva che Steve stava solo cercando un modo per dire grazie senza sembrare melenso o troppo commosso, come se volesse comportarsi come un uomo tutto d'un pezzo.

Ti assicuro che a noi non devi niente. Ma hai ringraziato Isabel? Investe molta energia per curare tuo padre, energia vitale, non è una cosa semplice e la lascia molto spossata” intervenne, spiegandogli un dettaglio che lui forse non sapeva.
Isabel si stava letteralmente svenando per poter curare il padre di Steve, sotto le direttive di alcuni dettagli medici che le erano stati spiegati da Leather Head, e dato che era una malattia grave che necessitava di vari tipi di trattamenti diversi e complessi, la sua energia magica si prosciugava quasi del tutto ogni giorno, costringendola a ore aggiuntive di sonno per poter recuperare in qualche modo.
In quegli ultimi quattro giorni non aveva fatto altro che curare il padre di Steve e dormire, in un circolo continuo e deleterio, e nessuno di loro era riuscito a vederla o a parlare con lei più che per salutarla, anche se si erano dati i turni per andarla a controllare, giusto per essere certi che non si sentisse male per lo sforzo assiduo.

Non stava con lei da quattro giorni e ogni volta che la osservava rincasare col viso stanco e la pelle tirata attorno alle occhiaie violacee, desiderava solo abbracciarla, poi prenderla in braccio e portarla a casa, metterla nel letto e rimboccarle le coperte e guardarla dormire ogni secondo, fino a che un nuovo giorno non fosse sorto.

Si accorse che Steve lo stava osservando in difficoltà, come se la sua spiegazione lo avesse messo in croce.
Io... sì, ci provo. Tutte le volte che viene a casa e quando se ne va... io, mio padre, perfino i miei fratelli, proviamo a ringraziarla, ad invitarla a rimanere con noi a cena, a chiederle se possiamo fare qualcosa per lei, ma non le interessano i grazie, non vuole nulla dalla nostra riconoscenza. Continua a dire solo che è felice per noi. E poi scompare in un lampo, per ritornare la mattina dopo con un sorriso. Ci proviamo, credimi. E non so nemmeno dirti quanto le siamo grati.”
Già, è fatta così. Si fa in quattro per poter aiutare chi necessita di una mano, forse perché sa cosa vuol dire avere bisogno di aiuto e non riceverlo. Isabel ha passato tutta la vita da sola, senza il sostegno di nessuno, e non rifiuterebbe mai la sua assistenza e il suo potere a qualcuno, se può” gli spiegò lui assorto, pensando a quanto amasse la generosità e l'altruismo di Isabel.
Era una delle cose che amava più di lei: nonostante avesse sofferto e fosse stata ferita, più e più volte, non aveva perso la sua umanità.

E quindi... ti piace, vero?” soffiò la voce di Steve, riportandolo nel vicolo dietro la pizzeria, di colpo.
Cos... Cosa...?” boccheggiò stupito dall'affermazione sicura dell'amico, sputata fuori come una sentenza, mentre sorrideva verso di lui con aria saputa.
Aveva un sopracciglio tirato in su in modo allusivo e saccente, il marmocchio.

Oh, andiamo! Non sono stupido! La guardi come il mio amico Bill guarda Stacy, la bella della scuola: come se non esistesse niente di più stupefacente sulla faccia della terra, come se il sole non sorgesse che nell'istante in cui finalmente lei appare” incalzò il ragazzino annuendo saggiamente per la sua stessa analogia, come se fosse vangelo.

Leo sospirò e strinse la radice del naso tra le dita per scacciare via una fitta di mal di testa, scoperto completamente. A cosa serviva negare, con quel sapientino dallo sguardo lungo?
Allora, come funziona? Umani e mutanti possono stare assieme? È possibile?” si informò Steve, prendendo il suo silenzio per un “sì, continua pure a bersagliarmi di domande”.
Sì, possiamo stare assieme” rispose suo malgrado, ormai impelagato in quel discorso di gossip, che faceva molto pettegolezzi dal parrucchiere.
Forte! Allora perché sei ancora qui a fare il salame con me e non vai a dirglielo? Lei sembra che ti voglia bene, si comporta in maniera così naturale con te. Potresti anche piacerle” lo sentì dire, ignaro di tutto quello che c'era dietro.

Eppure rimase un istante sorpreso nel constatare che per Steve non ci sarebbe stato niente di male se una umana si fosse messa con lui, come se non fosse una cosa strana e contro natura, assolutamente assurda.
Perché lei e mio fratello alto e grosso si sono appena lasciati e lei è ancora innamorata di lui” ribatté, sicuro di scioccarlo.
Tuo... quello alto... erano... avevano... stavano... sul serio? Ma che coraggio!” boccheggiò attonito Steve, di un bel color peperone.
Voglio dire... non... non c'è nulla di male... è solo che lui è... spaventoso e lei è...” provò a spiegargli nel panico, perché non fraintendesse la sua prima reazione.

Leo gli stava sorridendo, divertito dalla sua gaffe.
Tranquillo, è una cosa che ha sorpreso tutti, al tempo. A volte mi chiedo che cosa sarebbe successo se fossi stato io ad incontrarla per primo... mi fermo a pensare se tutto sarebbe stato come con lui, se lei avrebbe potuto...”
Lasciò la frase in sospeso, sentendosi uno sciocco per aver detto a voce alta uno dei suoi pensieri più imbarazzanti e inconfessabili. Anche se era vero. Aveva pensato spesso a cosa sarebbe successo se fosse stato lui, e non Raphael, il primo ad incontrare Isabel. Come sarebbe andata? Lui si sarebbe innamorato così, con quel dolore e quella smania che sentiva in quel momento, o sarebbe stato diverso? Le avrebbe insegnato il ninjtsu o avrebbe compreso il suo rifiuto, lasciandola andare? E se fossero stati assieme, giorno dopo giorno, lei si sarebbe potuta innamorare di lui?

Steve lo osservava con uno sguardo comprensivo negli occhi giovani; certo, lui era solo un ragazzino, ma non per ciò non poteva capire come si sentisse.
Beh, rimuginare sui 'se' e i 'ma' non porta mai a nulla, lo sai? Perché invece non ti fai semplicemente avanti? Potresti scoprire che per essere felice basta solo rischiare, a volte.”

Leo scosse la testa, negando l'idea con tutte le sue forze. Sì, era il fearless leader, si gettava senza timore in imprese assurde e pericolose, ma l'idea di stare di fronte a lei... di guardarla negli occhi, indifeso, come un semplice uomo e dirle che cosa sentiva per lei... non poteva farlo.
Era un vigliacco. Ma non avrebbe potuto sopportare di vedere orrore nel suo sguardo al capire, nel realizzare... ne sarebbe morto.

E se sondassi il terreno? Domande innocue per capire cosa prova per te?” sentì chiedere maliziosamente al ragazzetto che pensava fosse suo amico.
Si voltò verso Steve con la morte negli occhi, attonito dal suo sorriso complice ed infervorato.

Levatelo dalla testa! Se fai una cosa del genere, io ti...”

Un trillo interruppe la sua sfuriata e si affrettò a prendere il telefonino nella taschina, ma continuando ad occhieggiare lui con sospetto, cercando di sembrare minaccioso.
Pronto? Sì... Don! Certo che... no... cosa? Dici sul serio? Dove? Arrivo.”
Chiuse la chiamata con un sorrisino trionfante, dimenticandosi completamente cosa stesse facendo prima di rispondere.

Vedo che sei contento... è successo qualcosa di bello?” chiese Steve curioso, contento che lui si fosse scordato del suo mezzo rimprovero.
Se è bello non so, ma so che aspettavo questo momento da molto. Si sono infine radunati... quei farabutti che contrabbandavano armi. E noi andremo a stanarli!”

Steve non lo aveva mai visto così deciso e pronto: sprizzava affidabilità e minaccia al tempo stesso, un leader che aveva già ben chiaro cosa fare, la mente ormai completamente impegnata e focalizzata su un solo obiettivo, i muscoli che rispondevano automaticamente agli stimoli mentali.
Il mutante si preparò a saltare, assorto.

Devo andare. Stai attento nella strada del ritorno, Steve” disse prima di spiccare il salto, scalando il palazzo con due o tre balzi calcolati.
Aspetta, Leo!” provò a fermarlo, ma ormai era già diventato un'ombra tra le altre della notte, troppo lontano per poter sentire, troppo concentrato per poterlo fare comunque.
Steve sospirò, lasciando andare le spalle, osservando pensieroso il punto dove era sparito.


Sfilò da tetto a tetto, velocemente, avvicinandosi sempre più al suo obiettivo.
Delle risposte... quella era la notte in cui avrebbe avuto almeno qualche risposta, un pezzo di quell'incasinato puzzle che si formava da troppo tempo nella sua mente e nella sua città; non sapeva ancora come si sarebbe incastrato con le informazioni che già possedeva o con le sue teorie, ma sentiva di essere vicino alla verità, più vicino di quanto ci si fosse sentito in quei ventisette giorni in cui era iniziato tutto, quella giostra di problemi, uno dietro l'altro, che non si risolvevano mai, ma che si accumulavano invece in una pila interminabile.
Sì, li aveva contatti. Ventisette giorni da che New York sembrava piombata in una spirale di paura e dubbi e in cui loro avevano brancolato nel buio.

Vide i suoi tre fratelli in piedi sul cornicione del palazzo designato per l'incontro, silenziosi e vigili come Gargoyles minacciosi. Perfino Michelangelo sembrava aver lasciato perdere il suo comportamento fastidioso e ilare, in favore di un silenzio e una guardia alta da far invidia al miglior combattente; che anche loro sentissero che qualcosa di grosso era in agguato?
Bene, ci siamo tutti” constatò atterrando sul tetto con un suono morbido, sotto i loro occhi attenti.
Dove si va?” continuò, curioso.

Ad un magazzino costruito recentemente nella zona di Tribeca, che affaccia sull'Hudson river... si sono incontrati lì, nemmeno dieci minuti fa” svelò Donatello, snocciolando le informazioni con la sua solita praticità.
Chi? Quanti?” incalzò Leo, smanioso di sapere.
Tutti. Tutti i dieci uomini a cui abbiamo messo il microchip. E sospetto che ci siano anche gli altri.”
Si guardarono l'un l'altro, tutti e quattro, pensando la stessa identica cosa.

Andiamo” soffio fuori il leader, gettandosi per primo verso ovest, guidando la sua squadra nella notte.



Il fruscio morbido dei loro passi era pressoché inesistente, ad un orecchio umano. Solo un suono flebile perso nei rumori della notte, troppo lieve perché potesse essere sentito.
Si mossero con velocità e precisione e Leo sorrise nel guidarli, perché era fiero di essere il loro leader. A volte Mikey era troppo chiassoso, Raph si ribellava ai comandi, Don continuava a proporre alternative... ma quando le cose si facevano decisamente serie, la loro parte ninja usciva prepotentemente fuori e lavoravano come una squadra perfetta e senza pecche, in sincrono perfetto.

Si fermarono insieme e si diedero un'occhiata attorno, occhieggiando con scrupolo la loro meta.
Beh, c'è un lucernario anche questa volta. Sono davvero idioti” constatò Mikey con un sorriso divertito, scuotendo la testa per la stupidità recidiva di alcune persone.
I loro sguardi erano incollati sulla cupola a vetri che troneggiava sul tetto del magazzino, illuminata da una calda luce gialla.

Già, non imparano dai propri errori” gli fece eco Don.
Avviciniamoci, ma state attenti” ordinò Leo, già pronto a saltare via.

Atterrarono in silenzio e si accucciarono furtivamente per non essere percepiti, strisciando verso il lucernario per controllare all'interno, e si appoggiarono cautamente ai vetri, strizzando le palpebre per abituarsi alla luminosità interna: c'erano tutti.
In una stanza che sembrava blindata da porte spesse e numerose, su ogni lato, c'erano tutti i venti uomini che avevano trovato a contrabbandare armi, riuniti attorno ad un tavolo, che parlottavano tra loro animatamente, con toni piuttosto accesi a giudicare dalle facce arrabbiate e dai gesti violenti delle mani mentre discutevano.
C'erano anche l'uomo con la cicatrice che gli divideva la faccia a meta in orizzontale che aveva sparato contro di loro col cannone e quello che gli aveva descritto Steve, Abe Wilson, al quale traboccava il sedere dal retro dei pantaloni anche se era seduto.

Non sento niente!” sibilò Mikey contrariato, provando ad appoggiare l'orecchio contro il vetro per ascoltare meglio.
Come facciamo a sapere cosa dicono?”
Glielo chiediamo di persona” asserì Raph alzandosi in piedi, gettando uno sguardo verso Leo per sincerarsi di star facendo la cosa giusta.
Il leader annuì e si alzò anche lui, seguito dagli altri due.

Mani alle armi. Non fatevi toccare, chiaro?” dichiarò, serio, sfoderando le Katana con un solo gesto sciolto.

Bastò un piegamento della testa a dare il via e si gettarono all'unisono contro la cupola con le braccia a proteggere il viso, frantumando il vetro con le ginocchia, in un tripudio di cristalli infranti che caddero assieme a loro, catturando i bagliori delle luci.
Al frastuono dell'impatto si sommarono le grida di spavento di quegli uomini, e il ticchettio dei vetri quando toccarono il suolo, simile al rumore della pioggia.

Scusate se siamo entrati senza invito... siamo venuti a fare qualche domanda” annunciò Mikey atterrando sul tavolo, con i Nunchaku che sibilavano veloci.

Gli uomini erano arretrati, scivolando indietro dalle sedie e spostandosi velocemente da loro, piuttosto sconvolti.
Poi, inaspettatamente, scoppiarono a ridere, tutti, contemporaneamente, e la stanza fu piena del suono ilare delle loro risa sguaiate, che li sorprese e allarmò.

Non sono sicuro che vi piaceranno le risposte” replicò l'uomo con la cicatrice, alzando una mano verso il cielo, imperiosa, nella quale stringeva un piccolo telecomando.
Le porte che davano sulla stanza si aprirono simultaneamente e una moltitudine di persone si riversò all'interno, ognuno con un'arma scintillante nelle mani puntata contro di loro.

Ghignavano compiaciuti, senza perderli di vista un attimo.
Sapete... credo che fosse una trappola” asserì Mikey preoccupato, i cui Nunchaku avevano smesso di roteare, per la sorpresa.
Dobbiamo uscire immediatamente!” strillò Leo, velocemente.
Il fuoco venne aperto in quello stesso secondo e tra il boato di centinaia di spari e fumo e scintille, tutti loro scattarono verso una direzione diversa, ormai nel caos completo, ognuno determinato solo a rimanere vivo abbastanza a lungo da capire come uscirne fuori.

Michelangelo saltò in avanti e si tuffò a testa bassa tra la pioggia di proiettili, roteando le armi per riuscire a deviarne almeno qualcuno, puntando verso la porta rossa davanti a sé, pronto ad infilarla e sparire il più velocemente possibile. L'aveva quasi oltrepassata quando si voltò e osservò con rapidità alle sue spalle, oltre le teste dei suoi aggressori che gli andavano dietro, e constatò con orrore che i suoi fratelli avevano imboccato ognuno una strada diversa, diretti verso porte lontane tra loro, divisi.
Sfuggì dalle mani che cercarono di afferrarlo e spinse le ante delle porte dietro di sé, poggiandocisi contro per contrastare le loro spinte per sfondarle, il tempo che bastava ad allungare il braccio e prendere il piantone in ferro lì a fianco e infilarlo tra le maniglie e bloccarla.

Indietreggiò lentamente, prendendo fiato, osservando la porta traballare sotto i colpi, ma resistere nonostante tutto; arrivò il rumore di uno sparo e si scostò giusto in tempo per evitare il proiettile, allontanandosi a grandi passi da lì.
Che fine avevano fatto i suoi fratelli? Stavano bene? Erano riusciti ad evitare la cattura e a bloccare la porta dietro di loro?
Non era possibile che si fossero separati, anche se inconsciamente. Il sensei lo ripeteva sempre: “nel pericolo, non allontanatevi l'uno dall'altro; uniti avete la forza di riuscire, divisi siete fragili come un bocciolo di ciliegio sotto la tempesta.”
Perché proprio un fiore di ciliegio non lo aveva mai capito e non se l'era mai sentita di chiedere delucidazioni al padre, sicuro che lo avrebbe rimproverato anche solo con lo sguardo per la domanda fuori tema.

Continuò a correre per il lungo corridoio nel quale si trovava, occhieggiando con sospetto le porte che davano su di esso, a destra e sinistra, temendo che potessero contenere delle trappole. Ma una poteva portare al di fuori, no?
Gli usci si spalancarono in quell'istante e gruppetti di uomini con fucili sulle spalle si riversarono nel corridoio, mirando su di lui.
Deglutì a vuoto, senza fermarsi, i Nunchaku che vorticavano impazziti, unici suoi amici, in quel momento.


Donatello bloccò la porta con un piantone di ferro e si lasciò cadere un attimo al suolo, riprendendo fiato.
Era stato l'ultimo a chiudere la porta dietro di sé; un attimo prima di sprangare le ante era riuscito a vedere che Mikey, Leo e Raph erano riusciti a barricarsi, lasciando fuori l'orda inferocita che sparava contro le porte, sperando di prenderli.
Scivolò di lato, per evitare eventuali proiettili, e si rialzò usando il Bō come sostegno, stanco: il suo sguardo venne catturato da un foro perfetto alla fine del bastone, circolare e nitido, letale; se quel colpo avesse preso lui, invece della sua arma, sarebbe quasi sicuramente morto.

Prese un paio di respiri profondi, pensando razionalmente e in fretta: quattro porte, quattro diversi percorsi... era impossibile sperare che portassero tutti fuori da lì, e se quella era davvero una trappola, era probabile che in realtà nessuna fosse l'uscita, ma altre strade piene di pericoli.
Ce l'avrebbero fatta ad uscire tutti indenni?
Spiccò la corsa contro l'ignoto, pregando contro ogni razionalità di poter rivedere i suoi fratelli, illesi.


Raphael evitava le lame che avevano cominciato a spuntare dai muri subito dopo che era entrato nel corridoio, con grugniti di sforzo ad ogni nuova schivata o salto, il sibilo feroce che passava a pochi centimetri dal suo corpo, con uno spostamento d'aria letale.
Non doveva pensare a niente, niente che non fosse schivare ogni falce o spada affilata, ma era impossibile non preoccuparsi per gli altri; se la sua strada si era rivelata un enorme trabocchetto pieno di armi ad ogni centimetro, le altre come dovevano essere? Cosa stavano affrontando i suoi fratelli?
Si distrasse per un millesimo di secondo, ma fu più che abbastanza per rallentare la schivata a sinistra: la lama lacerò la tuta e la carne sul braccio, con un suono di squarcio grottesco e il bruciore intenso, che si diffuse fin nella testa.

Imprecò sottovoce, serrando la mascella per non urlare dal dolore, continuando a correre e schivare, incurante delle gocce di sangue che volavano nell'aria e si schiantavano a terra, il rumore del gocciolio attutito dal sibilo delle lame.
Se i suoi fratelli si fossero feriti, qualcuno avrebbe pagato col sangue, quella notte.


Leonardo teneva le Katana ritte di fronte a sé, camminando con studiata calma, analizzando i dintorni per capire, per orientarsi e fare il punto della situazione.
Aveva appena fallito su uno dei punti più importanti di un leader: non permettere mai che la squadra si separasse, non senza un buon piano. Quante volte glielo aveva ripetuto il sensei? Era la prima regola. Era suo dovere tenerli uniti e aveva fallito. Il pensiero che i suoi fratelli fossero in pericolo, in un corridoio identico, ma pieno di minacce e insidie lo allarmò e rese ansioso e strinse inconsciamente le mani sulle else, per farsi coraggio.

Un lieve click arrivò alle sue orecchie e si accorse di un leggero dislivello nel suolo, un quadrato di pavimento che era affossato sotto il suo peso: con un rombo e uno sfrigolio, lingue di fuoco proruppero dai muri e il soffitto, intersecandosi con un ritmo infernale, alzando la temperatura nel corridoio, considerevolmente.
Evitò la fiammata in pieno petto con una miracolosa scivolata, facendosi sfiorare appena: si rimise in piedi e corse via, eludendo le fiamme con eleganza e precisione, come un balletto infuocato.
Doveva trovare i suoi fratelli, ad ogni costo. Anche se ne fosse andato della sua vita.



Una stanza in penombra. Enorme. Avvolta nel silenzio, permeata da ombre e mistero.
Sui due lati più lunghi vi erano una decina di porte, distanziate di qualche metro le une alle altre: quattro si spalancarono contemporaneamente con forza e un frastuono che si amplificò nella stanza, di mille volte; altrettanti mutanti entrarono e si chiusero l'uscio alle spalle, riprendendo fiato, malconci e sfiniti.

R-ragazzi” esalò Leo, occhieggiando i suoi fratelli con apprensione, il torace che si alzava e abbassava nella foga di respirare di nuovo a pieni polmoni aria pulita e non piena di fumo.
Tossì un paio di volte e inspirò con un rumore rauco. Aveva delle vistose bruciature sulla tuta, ma sembrava che la pelle fosse stata risparmiata, ad eccezione di una piccola ustione sulla guancia, dai contorni lucidi e gonfi.
Erano tutti vivi. Erano rimasti separati per quasi mezz'ora in cui il non sapere come stessero lo aveva turbato, ma adesso erano tutti di nuovo insieme, riguadagnando una chance per riuscire a scappare.

Mikey!” sentì strillare Raph e si accorse del suo fratellino alla sua destra, che si avvicinava al centro della stanza zoppicando: stille rosse rimanevano al suo passaggio, vischiose e dal forte odore ferroso, che riuscì a sentire anche da quella distanza.
Si gettò verso di lui, assieme agli altri, per sorreggerlo prima che potesse cadere, ma un fragore di catene spezzò il silenzio e con un boato potente caddero dal soffitto due gabbie di metallo.

Aveva indietreggiato e chiuso gli occhi per riflesso, ma li riaprì immediatamente per studiare la situazione: Raph e Don lo guardavano al di là di sbarre d'acciaio, con le mani strette sui tubi che cercavano di forzare, imprigionati insieme in una gabbia identica a quella che lo circondava. Si voltò in fretta e si accorse che Mikey era lì con lui, poggiato contro una delle pareti, con il viso un po' più pallido del normale.
Ehy, Mikey! Cos'hai? Cosa è successo?” gli domandò frettolosamente, facendoglisi vicino.

Il fratellino sorrise con il suo solito charme, trattenendo una smorfia di dolore.
Oh, il solito. Gente che ti insegue, che vuole il tuo autografo, che ti spara contro...” scherzò, respirando profondamente tra una parola e l'altra, in pena.
Leo studiò il suo corpo, cercando un segno di ferita, la fonte del sangue che macchiava il pavimento sotto di lui.

Ti hanno colpito? Dove sei ferito?”
Mikey aprì la bocca per rispondere, ma non sapeva se per dirgli la verità o per scherzare e sdrammatizzare come suo solito.

Le luci si accesero di colpo nella stanza, decine e decine di lampadine, che illuminarono lo spazio a giorno, accecando i loro occhi abituati alla penombra; strizzarono le palpebre freneticamente, per essere pronti ad ogni evenienza.
Che piacere vedervi finalmente lì dove dovreste stare: in gabbia!” tuonò una voce divertita, bassa e roca.
Sentì i suoi fratelli trattenere il fiato dalla sorpresa e anche lui non poté evitarsi un'esclamazione colorita, a denti stretti.

Hun!” sputò velenoso, come se quel nome fosse un insulto.
Aprirono gli occhi e la sua figura apparve davanti a loro: alto e grosso come sempre, ancora muscoloso nonostante fosse ormai nella cinquantina e i capelli biondi si stessero tingendo di grigio; c'erano delle rughe nuove ai lati degli occhi e sul collo, pieghe grinzose e cadenti che tradivano perfettamente il suo invecchiamento. Il grugno malvagio e la cicatrice sulla guancia fatta da Splinter erano identici, invece.

Aveva un sorriso tronfio e lo sguardo compiaciuto nel vederli ingabbiati e laceri, come prede succulente.
Io!” gli fece eco l'uomo, canzonando il suo tono drammatico.
Scommetto che non avevate capito che dietro tutto, c'ero io!” esclamò soddisfatto, avvicinandosi ad una sedia al centro della stanza.
Un centinaio di uomini si stava riversando nella sala, con lo stesso sorrisino tronfio di Hun, con le armi ancora in braccio, con risate sguaiate e mani che indicavano verso di loro.
Erano come bestie in mostra ad uno zoo, esposte allo scherno e al dileggio per il divertimento altrui.

Fammi uscire fuori, bastardo, e vedrai quanto a lungo riderai!” sentì ringhiare Raph, che si gettò con tutto il peso contro le sbarre per provare a sfondarle: ottenne solo un tonfo sordo e probabilmente un livido alla spalla, ma la gabbia non si mosse di un millimetro.
Sì, continua! Fammi divertire, mostro” asserì Hun, seduto sulla sua sedia come se fosse un trono d'oro, impettito e fiero.
Raph smise di agitarsi davanti alla sua espressione di sfida, per non dargli nessuna soddisfazione: si tirò indietro e alzò il mento, lo sguardo fermo.

Qual è il tuo piano, Hun? Cosa sei tornato a fare dopo tutto questo tempo?” domandò Leo, cercando di mantenere la calma.
Non era facile. Erano palesemente in trappola e in inferiorità numerica. E Mikey era ferito e sempre più pallido e lui non sapeva ancora cosa avesse. Come uscirne? Come portare i suoi fratelli in salvo? Farlo parlare era un buon modo per prendere tempo mentre pensava ad un piano, un'alternativa, una via d'uscita. Il suo sguardo scivolò furtivamente e senza dare nell'occhio in giro, osservando le uscite, le funi e le catene che pendevano dal soffitto, analizzando ogni cosa.

Io non me ne sono mai andato. Anche se vi ho fatto credere il contrario” esordì Hun cripticamente, catturando nonostante tutto la sua attenzione.

L'omone sorrise delle loro facce sorprese e si lasciò scappare una risata volgare e ilare.
Sì, io non ho mai lasciato New York, cari mostri, ma mi sono impegnato per farvelo credere: ho spostato la sede, ho eliminato le tracce della nostra esistenza e fatto cancellare ogni nostro simbolo dalla città. Ma i Purple Dragons sono sempre stati sotto i vostri nasi.”
E a quale scopo?” domandò Don, che ascoltava con sospetto e incredulità quel piano che per lui non aveva alcuna logica.

Hun si sporse in avanti sulla sua enorme sedia, come se si stesse preparando a confessare una verità assoluta, per pochi eletti.
Per poter agire indisturbati e innalzare fondamenta solide sulle quali poter costruire un nuovo impero. Abbiamo reclutato nuovi elementi nell'ombra, sotto i vostri occhi ignari, contrabbandato armi, mentre voi davate la caccia alle mie gang fantasma, che commettevano piccoli reati per cui sarebbero usciti in men che non si dica; abbiamo sintetizzato e spacciato una nuova droga, ai ragazzini della città, che dà forza, velocità ed energia, e una dipendenza tale che saresti disposto a vendere tua madre per una dose, se te lo ordinassi. O ad ucciderla. Mi sono divertito come un matto a guardarvi mentre vi affannavate per avere risposte, per capire dove fossimo finiti, per creare le vostre teorie; e mentre cercavate di salvare le vite di quei ragazzini che abbiamo preso, non sapendo che loro non possono essere salvati.”
Ascoltarono la spiegazione di Hun con orrore e la morte del cuore, ma fu solo quando i visi di quei ragazzi comparvero nella folla, con gli occhi spiritati e foschi puntati freddamente su di loro, che si sentirono davvero nauseati, un disgusto che saliva dal fondo dell'anima.

Erano stati giocati. Hun aveva giocato con loro per tutto quel tempo, aveva creato un piano ad arte e loro ci erano cascati con tutte le scarpe, accecati dal loro senso di giustizia.
Era ovvio che si trovassero ormai dove Hun aveva deciso che dovessero essere... ma allora che cosa li aspettava, ancora? E come potevano uscire da una trappola architettata apposta per loro, forse da una vita intera?
Hun sembrò aver letto sul suo viso quelle domande, perché si alzò e si avvicinò alle gabbie, tenendosi comunque ad una distanza considerevole, per non poter essere toccato nemmeno da uno Shuriken lanciato con forza.

Ho ancora voglia di divertirmi con voi. Chissà alla fine quanti sarete, se qualcuno rimarrà vivo abbastanza per rivedermi, si intende” affermò, con gli occhi che scintillavano di malvagità, allungando una mano verso una leva che spuntava dal terreno: la abbassò con un gesto secco.
Il pavimento sotto i loro piedi si spalancò e vennero inghiottiti da due botole oscure e fredde, in un secondo.

Mikey! Leo!” strillarono Don e Raph assieme.
Don! Raph!” gridarono lui e Mikey, nello stesso istante.

Scivolarono nell'oscurità sconosciuta, a peso morto e senza punti di riferimento, in preda all'angoscia, con urla che rimbombavano nel lungo tunnel nero come la notte, il cuore stretto nella paura.
E il suo animo era doppiamente tormentato.
Un secondo prima di cadere nel nulla sotto i suoi piedi, tra la folla, era certo di aver scorto il viso di Steve, osservarlo con occhi allarmati e impauriti.



Note:

Salve a tutti!
Capitolo azione senza tregua! Letto con un sottofondo di musica epica è fantastico!
È tornato Hun, lurido bastardo! Ve lo aspettavate ci fosse lui dietro a tutto?


La parte in cui Leo pondera il “se fossi stato io ad incontrarla per primo” viene da una mia riflessione. Subito dopo aver scritto September in the rain, incominciai questa storia e si sa, uno degli altri tre si innamorava di Isabel. Perciò nella mia mente spuntò la domanda: come sarebbe stato September in the rain, se il protagonista fosse stato uno degli altri tre (nello specifico Leo, perché ha vinto lui la palma di gonzo innamorato della ragazza del fratello).
Vi tolgo ogni dubbio: non sarebbe stato SITR (acronimo, fa figo ed è più corto). Sarebbe stata una storia diversissima, perché le reazioni e le azioni sarebbe state adeguate al personaggio. E quindi forse lei sarebbe scomparsa per sempre già dopo il primo incontro e niente sarebbe mai successo e cambiato. Insomma, SITR funziona solo perché c'era Raph, quel Settembre sotto la pioggia.
Anche se magari, che so, con Leo poteva funzionare da subito, non esserci la pioggia, ma un sole splendente e niente fughe e struggimenti vari, solo amore e comprensione e happy ending. Chissà.
Insomma, io so come avrei scritto le altre versioni di SITR con gli altri tre, ma appunto non sarebbe per niente la stessa storia. Ha ragione Steve a dirgli che con i se non si va avanti!


Dunque, dopo questo capitolo, io dovrei prendermi dieci giorni di lontananza, non tanto per vacanze, perché non vado da nessuna parte, quanto perché con le feste e le ferie ho la famiglia a casa e quindi mi trovo senza tempo in tranquillità per correggere.
Però. C'è un però. Aspé, non vi fate venire un infarto.

Ho pensato che dopo questo fine capitolo tragico non vi posso lasciare così, a bocca asciutta e con la smania di sapere (almeno spero che voi ne siate così coinvolti da smaniare per sapere, magari mi sto facendo castelli in aria e a voi non frega nulla!)
Anyway, siccome non voglio trovarmi con una decina di macumbe e maledizioni sulla schiena, e siccome ci tengo a voi e non ci dormirei la notte perché sono una che si preoccupa sempre di non creare fastidio negli altri, cercherò di pubblicare almeno un capitolo, se sono fortunata anche due, ritagliando tempo al sonno e via dicendo. Non prometto nulla, ma sapete che se cerco, un modo lo trovo. Spero!
Se invece non ve ne importa nulla, ditemi pure: “Switch, sparisci, non ci frega niente e tanti cari saluti!”

Niente, sclero infinito di Agosto e il caldo e troppi impegni e poco tempo per me. Sono vecchia nelle ossa, capitemi, e ho il cervello fuso.
Abbraccio all'anguria rinfrescante, buone vacanze per chi le fa, buon tutto a tutti.
Vi adoroooo!


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Capitolo 15
*** Wonder and Wander ***


La caduta sembrava non avere fine, così come la sensazione di vuoto al centro dello stomaco mentre scendevano senza gravità.
Ma il pavimento era da qualche parte sotto di loro e con quella velocità, l'impatto sarebbe stato tutt'altro che morbido.

Leo sfoderò le Katana e provò a piantare le lame nelle pareti che era riuscito a percepire pochi istanti prima allungando una mano, ma il materiale sembrava una lega di metallo particolarmente resistente e il filo slittò, producendo scintille nell'oscurità .
Strinse i denti e tese i muscoli allo spasmo riprovando con più forza, ma oltre al rumore di ferro e ad altre scintille, non ottenne più fortuna del primo tentativo. Sentiva il grido di Mikey, sembrava quasi divertito dal volo inatteso, ma riusciva a percepire una nota di dolore nel fondo; non poteva permettere che Mikey si ferisse più di quanto non fosse già, non poteva, a nessun costo.

Rinfoderò le spade velocemente, poi stese le gambe e le braccia e le puntellò contro le pareti per frenare la caduta: sentì l'attrito contro il metallo, mentre la pelle sfregava con dolore bruciante, ma la velocità iniziò a diminuire considerevolmente.
Con un tonfo Mikey gli cadde addosso, e il peso di entrambi sugli arti rese ancora più difficile resistere, ma strinse i denti e serrò la mascella, deciso a farcela.
Non poteva mancare troppo alla fine del tunnel.




Raph? Raph, rispondimi, per favore. Raph!” chiamò la voce di Don, nella semioscurità.
C'era una lievissima nota di panico, che in genere il genio non mostrava mai.
Il fratello aprì leggermente gli occhi e osservò attorno, ma nel buio riuscì a intravvedere solo i contorni di Don, chino su di lui. Era sdraiato su un pavimento freddo e duro.

Cosa... che...” farfugliò confuso, cercando di ricordare.

Di colpo ogni cosa ritornò alla mente, con violenza: la caduta, le urla nel buio, lui che provava a frenare la loro discesa coi Sai senza successo, e poi la scelta disperata di fare da cuscinetto col suo corpo, rallentando di poco la velocità con le braccia e le gambe.
Aveva sbattuto la testa, se ricordava bene.
Si alzò di scatto e trattenne un gemito di dolore, lancinante, che lo riportò indietro, sdraiato e sofferente.

Ti senti bene? Senti qualcosa di rotto? Riesci a respirare con facilità? Ti gira la testa?” domandò apprensivo Donnie, che non si azzardava a toccarlo senza sapere cosa potesse avere.
Se continui a farmi domande mi verrà la nausea” replicò lui provando di nuovo ad alzarsi, ma un'imprecazione gli sfuggì dalle labbra, sofferta.
Cosa... cos'hai?” fu la pronta domanda, mentre l'occhio clinico cercava di focalizzare cosa potesse esserci di sbagliato in lui, anche nelle ombre.
La spalla” rivelò al fratello, allungando una mano e prendendo la sua, poggiandola sull'articolazione.

Sentì le sue dita muoversi con garbo e tastare la pelle in maniera quasi chirurgica, per non causargli ulteriore danno o dolore. Il genio trattenne il fiato al sentire l'osso sporgere in maniera innaturale, formando un bozzo vicino al bordo del guscio.
Si è lussata. Deve essere successo al momento dell'impatto. Devo rimettertela subito a posto o potresti avere conseguenze gravi... ma sarà dolorosissimo” spiegò Don con sussiego, senza fronzoli.
Sentì il suo respiro pesante nell'oscurità, in attesa di una sua risposta. Come se avesse molte alternative... il dolore alla spalla lo stava letteralmente uccidendo.
Sospirò e gli diede il suo assenso, sperando solo che finisse al più presto.

Bene, rimani sdraiato e mordi questo” disse Don allungandogli il suo Bō.
Non ci penso nemmeno!”replicò immediatamente, risospingendolo verso di lui con la mano buona, con ribrezzo.
Farà male e non abbiamo antidolorifici! E comunque dovresti sentirti onorato che io ti dia la mia arma senza pensarci due volte” gli spiegò l'altro, senza nessuna reazione particolare al suo sdegno e la sua risposta burbera.
Onorato? Schifato semmai! Chissà che schifo ci hai colpito con questo bastone! Ammettilo, quali chiappe hai colpito recentemente?”

Don rise e poi sospirò, sollevato almeno in parte dal dubbio senso dell'umorismo di suo fratello. Afferrò il suo polso con presa ferma e puntò uno dei piedi sul fianco di Raph, posizionandosi per bene.
Pronto?” chiese, anche se lo sapeva già, aveva già visto il fratello mordere il legno del bastone con tutta la foga possibile.

Tirò il braccio lentamente, ma con forza regolare, sentendo i tendini fare resistenza; eppure continuò a tirare, ricordandosi di ciò che aveva letto sul manualetto di pronto soccorso trovato una volta nella discarica, mezzo mangiato dai ratti: 'esercitare una trazione lenta e costante dei muscoli per un paio di minuti, fino a che....'
Sentì Raph respirare forte e bruscamente, in pena, ma ormai era quasi fatta.
Uno schiocco secco risuonò nel silenzio, indicando che l'osso era ritornato al suo posto, con molta sofferenza.

Fatto. Sei a posto” gli annunciò, smettendo all'istante di tirare e portando invece il braccio sul suo torace, perché stesse poggiato.
Raph non rispose, continuò a respirare profondamente e stancamente, unico suono nell'oscurità.

Perché sei bagnato?” domandò d'un tratto, dal nulla, come se si fosse accorto solo in quel momento del gocciolio della sua tuta e delle sue mani umide.
La porta dove mi sono infilato per scappare si è sigillata mentre cercavo l'uscita e ha iniziato a riempirsi di acqua ad una velocità impressionante, tanto che dopo pochi istanti mi sono ritrovato a trattenere il respiro, completamente sommerso. E per fortuna siamo dei nuotatori abili e che il guscio immagazzina sempre un po' d'aria” raccontò Don con leggerezza, come se i secondi in cui si era quasi trovato senza ossigeno fossero stati una bazzecola e non uno dei momenti peggiori mai vissuti.

E come ne sei uscito?” si informò, corrugando la fronte. Una camera sigillata piena d'acqua sembrava un genere di trappola da cui non si poteva uscire, se non una volta morti.
Avevo una mini bomba nello scomparto segreto della tuta. Non abbastanza da buttare giù una parete, ma potente quel tanto che mi serviva per creare un buco per far defluire parte del liquido.”

Raph respirò a fondo, pensando a quale insperato colpo di fortuna avesse permesso che fosse il genio a scegliere quella porta, che tra tutti i suoi fratelli era di sicuro quello che sapeva cadere sempre in piedi, qualsiasi problema gli si parasse di fronte. Se ci fossero stati lui o Leo o Mikey, invece... rabbrividì leggermente al pensiero.
Avrei preferito che fosse caduto Mikey con te” confessò di punto in bianco, con la voce profonda e roca che suonava preoccupata.
Raph era capace di passare dal burbero all'apprensivo nel tempo di due secondi, soprattutto se riguardava qualcuno di loro.

Ti sto particolarmente antipatico o hai una esagerata simpatia per Leo?” lo punzecchiò Don, sporgendosi per aiutarlo ad alzarsi per mettersi seduto.
Raph si tirò su con una smorfia di dolore e uno sbuffo infastidito e strisciando un po' nel buio raggiunse il muro e ci si poggiò contro, con un respiro di sollievo.

Tu sapresti curare Mikey! Stava perdendo sangue... di sicuro è ferito... è...”
Mikey starà bene! Leo è capace di prendersi cura di lui, come farei io!” lo rassicurò il genio, nonostante sapesse che se il fratello era stato colpito da un proiettile non c'era molto che lui o Leo avrebbero potuto fare.

Sospirò senza farsi sentire, cercando di scacciare quel magone che cresceva nel suo petto e impiegando la mente e il tempo a fasciare invece il braccio di Raph contro il busto, perché non lo muovesse, usando la sua bandana viola come sostegno.
Non devi muoverlo per nessun motivo. E non dovresti nemmeno camminare, ma dobbiamo assolutamente uscire da qui. Te la senti?”

Per tutta risposta Raph si sostenne al muro e si alzò lentamente in piedi, ondeggiando solo appena, senza mostrare la sofferenza che provava.
Donnie sorrise tra sé del consolidato stoicismo del fratello e afferrò il telefonino dalla tasca.

Chiamerò Leo. Sono sicuro che va tutto bene. Sono sicuro che usciremo da qui” soffiò fuori più fiducioso di quanto si sentisse davvero, forse consolando più sé stesso che suo fratello.



Un rantolo soffocato e un respiro strozzato nel buio.
Il contatto col pavimento era stato duro e spietato, ma meno doloroso di quanto si fosse aspettato: ringraziò la natura per avergli dato un guscio duro che lo proteggeva, perché le sue costole sarebbe state in polvere in quel momento, altrimenti.
Mikey lo aveva schiacciato a peso morto, per poi lasciarsi andare al suolo con un gemito sofferto.

Mikey! Come stai, Mikey?” domandò in apprensione voltandosi sul dorso e strisciando verso il fratello, che gli sorrideva nella semioscurità.
Ahahah, benissimo. È stato un gran volo... lo rifacciamo?” ridacchiò l'altro, assurdamente divertito.
Beh, almeno sembrava non aver perso nemmeno un grammo della sua solita allegria. Non sapeva se esserne rincuorato o spaventato.

Come ti senti? Dove sei stato colpito?” incalzò, cercando di frenare le sue risa.
Aveva paura che fossero risate isteriche prodotte dallo shock e il dolore. Il fratello smise di ridere davanti al suo tono apprensivo e sospirò: cosa doveva fare con quel suo troppo serio fratello maggiore?

Sto bene, Leo. Sto bene” lo rassicurò, sapendo quanto i suoi fratelli si preoccupassero sempre eccessivamente per lui, come se fosse un idiota o un bambino piccolo da tenere costantemente sotto controllo.
Due colpi alla gamba, ma i proiettili sono usciti dall'altra parte, è tutto a posto” rivelò a malincuore, stendendo l'arto lentamente e con sbuffi di dolore per mostrargli i fori tondi sulla coscia, col tessuto nero della tuta che scintillava per il liquido rosso di cui si era imbevuto.
Niente è a posto!” tuonò Leo, sciogliendo con dita veloci la maschera azzurra dalla testa e allungandola sulla sua gamba, annodandola forte tre dita sopra la ferita, per fermare la circolazione.
Controllò con scrupolo che non fosse troppo stretta, né troppo larga, poi aiutò Mikey a poggiare le gambe contro il muro in modo che la parte della ferita rimanesse più in alto dell'altezza del cuore, per rallentare ulteriormente l'emorragia.
Strofinò infine le mani l'una con l'altra, sentendo vesciche sulla pelle formarsi a causa della frizione contro le pareti del tunnel nella caduta; avrebbero fatto male una volta stretta l'elsa delle spade, era poco, ma sicuro.

Sai che non posso rimanere qua in eterno, vero?” domandò il fratellino, assennato.
Leo sospirò angosciosamente, poi si diede un'occhiata attorno strizzando le palpebre, per percepire un po' i dintorni: nel buio riuscì a vedere i muri che delimitavano l'area in cui si trovavano, una sorta di stanza quadrata e spoglia, e poi una lieve luminescenza che gli indicava dove lo spazio si apriva verso una strada che forse portava al di fuori.

Ti aspettavi che ci fosse Hun dietro a tutto?” sentì chiedere pensosamente a Mikey.
Abbassò lo sguardo e intravvide la sua figura adagiata a terra con le gambe poggiate al muro e lo sguardo perso sul soffitto.

No. Oh, sapevo che Hun non era davvero sparito, sapevo che prima o poi l'avremmo rivisto... ma non pensavo che ci fosse lui a capo di tutto: del contrabbando tarocco, del traffico di armi, della droga data ai ragazzini...”
La voce gli morì in gola, un po' al realizzare come scioccamente si fossero fatti manovrare, un po' al pensiero di tutti quei giovani visi dagli occhi spenti che li avevano guardati con indifferenza e senza rimorso, come se avessero perso ogni traccia di umanità. O l'anima.

E lui non riusciva a non pensare al viso di Steve in mezzo agli altri, con lo sguardo spaventato negli occhi azzurri, mentre cadeva nel vuoto; era certo che fosse lui, con il suo berretto stinto degli New York Yankes calcato sulla testa e la zazzera bionda che spuntava da sotto la tesa.
Ma perché Steve era lì? Non avrebbe dovuto nemmeno sapere di quel posto, e se lo sapeva... voleva dire che c'entrava qualcosa anche lui. Che era una spia, che per tutto quel tempo aveva fatto parte della banda di Hun e lo aveva manovrato a dovere, istruito dall'inizio per carpire la loro fiducia. Certo, aveva senso: tutte le cose che sapeva, le informazioni che aveva “sentito” per la strada, il suo strano coinvolgimento fin dall'inizio.

Tutto aveva così senso... ma non poteva crederci. Steve era un ragazzetto intelligente e docile, gentile e di buon cuore, con un sorriso gioviale e la voglia di mettersi alla prova... non poteva, non voleva credere che fosse stata tutta una messinscena per carpire la sua fiducia, che niente di quello che avevano passato fosse sincero, a discapito dell'affinità che aveva sentito con lui.
Steve era suo amico, per certo. Allora, se ci credeva davvero, perché nell'animo si sentiva tradito e spezzato, come se lo avesse pugnalato personalmente?
Dopo tutto quello che avevano fatto per lui, che Isabel stava facendo per...

Isabel!
Frugò in fretta nelle tasche e recuperò il telefono con urgenza, richiamando l'attenzione di Mikey.

Chi stai chiamando?” chiese quello, occhieggiando la sua fretta nel maneggiare il cellulare.
Isabel” rispose velocemente, portando il cellulare all'orecchio, col cuore in gola.
Isabel poteva essere in pericolo, se il suo sospetto era fondato, e in quel caso Hun sapeva della sua esistenza e di cosa lui provasse per lei; e lei non era abbastanza in forze per potersi difendere.

Bell'idea! Può sbaragliare questi idioti con un solo fulmine e curare queste ferite in un lampo!” chiocciò contento il fratellino, che non poteva sapere, non poteva capire la sua angoscia in quel momento.
No. Non le dirò di venire qua! Isabel può anche essere forte, ma non è invincibile! È sempre un essere umano... non voglio che si metta in pericolo per noi” lo sgridò lui, anche se la voce si smorzò d'intensità alla fine della frase, perché non era proprio il caso di prendersela con Mikey.
Non era colpa sua se Isabel poteva essere in pericolo a causa della sua idiozia nel fidarsi di una spia e non era colpa sua se la amava da morire e non poteva nemmeno pensare alla possibilità che in quell'esatto momento potesse essere in pericolo.

Premette il telefono contro l'orecchio con più forza per sentire gli squilli, ma il ricevitore rimandò solo un lieve suono a intermittenza, perciò lo portò al viso e guardò il display illuminato dolorosamente dalla flebile luce che lì sotto sembrava un faro in pieno viso.
Non c'è campo... non possiamo contattare l'esterno, né i nostri fratelli, Mikey” lo informò con inquietudine, osservando il suo sguardo esprimere il suo stesso pensiero, alla lucina del cellulare.



Se ti gira la testa o senti che ti fa male la spalla, fermati, d'accordo?” disse Don con premura, mentre camminava davanti a lui facendosi luce con il display del telefonino.
Da quando pochi minuti prima si era reso conto che non avrebbero potuto contattare i fratelli, aveva perlomeno deciso di usare l'apparecchio per potersi orientare nell'oscuro labirinto in cui erano finiti, e l'idea era stata azzeccata, perché era molto più facile muoversi con un minimo di chiarezza. Erano in una sorta di tunnel dalle pareti di mattoni grigi, col soffitto alto all'incirca tre metri senza un'apparente via di fuga da nessuna parte. Potevano solo andare avanti, per quel sentiero già tracciato, che però sapevano dovesse essere pieno di pericoli.
Cos'altro potevano aspettarsi da Hun?

Perciò camminavano con cautela, anche per non sforzare la ferita di Raph, senza troppe parole, come c'era da aspettarsi da uno come suo fratello; un taciturno che si teneva sempre problemi e pensieri dentro e lui, che si manteneva sempre piuttosto neutrale, che non forzava mai gli altri a confidarsi, se non se la sentivano... un'accoppiata azzeccata.
Non gli era difficile relazionarsi con Leo, gentile e affidabile, o con Mikey, allegro ed espansivo, ma trovava sempre degli attriti con Raph, anche se in effetti chiunque trovava degli attriti con lui, ad eccezione di Casey, probabilmente. Nel suo caso forse era perché lui era più razionale e celebrale e ciò strideva con l'impulsività di suo fratello, anche se negli ultimi tempi le cose erano decisamente migliorate
E doveva ammettere che un po' invidiava la naturalezza con cui Raphael riusciva a mostrare ciò che sentiva, senza limitazioni... ma era poi vero che suo fratello aveva smesso di amare Isabel? Non aveva il coraggio di chiederglielo, aveva ancora un braccio sano e sapeva che l'avrebbe usato su di lui.

Nel silenzio rimbombò un rombo gutturale, che si spense all'istante dopo aver percorso il pavimento con scosse lievi.
Hai sentito?” domandò sottovoce bloccando la camminata, perché il suono felpato dei loro passi non intralciasse l'ascolto.
Sentì Raph trattenere il respiro con le orecchie tese, provando a percepire il silenzio attorno.

Un nuovo verso si fece largo nel buio e arrivò a loro, con più forza rispetto a prima. Don alzò il telefonino che aveva puntato verso il pavimento e lo diresse di fronte a sé, e la luce illuminò fiocamente fino a qualche metro più in là.
Due occhi gialli scintillarono in fondo al tunnel, malignamente.
Si gettò in avanti, afferrando velocemente il Bō, ma si interruppe quando si accorse della presenza di Raph al suo fianco, con il Sai nella mano buona.

Cosa credi di fare? Stai indietro, non puoi combattere!” lo riprese con un lieve tono alterato, teso a percepire la minaccia che ringhiava nel buio di fronte a loro.

Io combatterò e tu non puoi impedirmelo!”
Oh, non iniziare! Ubbidisci una buona volta!”
Non credo proprio! Non sei il mio capo!”
Chi è il fratello maggiore? Chi è in carica adesso?”
Abbiamo la stessa età!”
Sì, ma io sono più intelligente.”
Non abbastanza da tenermi buono, a quanto pare!

Un ringhio basso e potente li sorprese nel mezzo del loro battibecco, troppo vicino a loro, e gli occhi gialli ormai tanto grandi da potercisi specchiare dentro, erano ad un tiro di schioppo.
Un coccodrillo gigante?” esclamò sconvolto Don, osservando la fila di denti aguzzi che scintillavano appena alla luce del telefono ormai caduto al suolo, incastrata nel muso di almeno un metro di lunghezza della bestiaccia che li guardava famelico.
Ma quanto cazzo è fuori di testa, Hun?” imprecò liberamente Raph, stringendo la presa sul Sai, sapendo che non era più che uno spiedino per quell'enorme rettile di almeno cinque metri che ringhiava contro di loro.




Leo e Mikey avanzavano lentamente, con il maggiore che faceva da supporto al fratellino, per permettergli di camminare e non sforzare eccessivamente la gamba.
Una volta appurato che non c'era alcun modo di mettersi in contatto con l'esterno o i loro fratelli, avevano capito che l'unica maniera per uscire da lì era cercarsi l'uscita da soli, con le loro sole forze. Perciò anche se a malincuore Mikey si era dovuto alzare, ignorando il bruciore intenso alla gamba, e insieme si erano incamminati per il cunicolo semiscuro, piuttosto sul chi vive.

Mikey riempiva il silenzio con la sua parlantina a lingua sciolta e Leo sapeva che lo stava facendo per lui, per non farlo impensierire dal suo colorito pallido e lo zoppicchio lento, ma non riusciva a pensare appieno con tutta la concentrazione necessaria con quel chiacchiericcio in sottofondo; e tuttavia lo lasciò fare, sapendo che avrebbe distolto la sua mente dal dolore.
La strada che stavano percorrendo non sembrava avere nessun genere di deviazione e non c'era alcuna possibilità di prendere un'altra direzione, perciò stavano andando incontro a tutto ciò che Hun aveva messo loro d'innanzi, ubbidientemente... dovevano stare all'erta, aspettando che i pericoli gli cadessero addosso.
Fantastico. Davvero fantastico.

Un flebile suono di strisciata si unì alle chiacchiere di Mikey, e al principio pensò di averlo solo immaginato, dato che in una situazione come quella, nella semi oscurità semi silenziosa, l'immaginazione tendeva a lasciarsi andare.
Mikey, fai silenzio per un attimo” sussurrò sul chi vive, issandosi meglio il braccio del fratello sulle spalle.

Nel silenzio che seguì, entrambi trattennero anche il fiato, riuscirono a sentire vari suoni di passi in avvicinamento, lenti e strascicati, come di qualcuno che faceva fatica a camminare per bene.
Io lo so cos'è!” mormorò mortalmente terrorizzato Mikey, tremando appena.
Zombie!” continuò serio, smontando le sue aspettative, che per un secondo gli aveva persino creduto.

Leo alzò il telefonino e illuminò il tunnel e le figure nel fondo e il brivido che gli serpeggiò per la schiena per poco non glielo fece cadere di mano.
Sempre più vicini, un gruppetto di ragazzini sotto droga si avvicinava a loro, con le mani cariche di armi e gli occhi spiritati e sbarrati, con l'ordine di uccidere.




Note:

Buon giorno a tutti!
Vi sono mancata? Voi sì, tanto! Siete splendidi! E io mi sono impegnata volentieri per potervi accontentare e aggiornare!
Dunque, siamo in un sotterraneo di misteri pieno di pericoli. E non tutti stanno bene, purtroppo.
Mi piacciono queste due squadre, non si vedono quasi mai, invece secondo me funzionano perché sono diversissimi tra loro. Leo-Mikey e Don-Raph. Severità-allegria, razionalità-impulsività!
Come vedete c'è poca parte descrittiva, poiché sono nella semioscurità!

Voglio ringraziarvi ancora per i commenti, i nuovi preferiti, per stare ancora con me.
Buon ferragosto!
A presto!
Abbraccione!

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Capitolo 16
*** The strongest bond of Brotherhood ***


Il rumore strascicato era sempre più forte, forse per la vicinanza o perché altri passi si erano uniti ai primi, aumentando le file di nemici. Ancora e ancora.
Sembrava un esercito di zombie, come aveva detto il suo fratellino, che aveva come unico scopo quello di attaccarli.

Mikey, credo che la nostra fuga sarà tutt'altro che semplice” sussurrò lentamente, rimettendo il telefonino nella tasca con mano tremante.

Era stato così stupido da parte sua: senza una fonte di luce quei ragazzini non avrebbero di certo potuto localizzarli, invece lui gli aveva fornito una direzione in cui sparare, piuttosto scioccamente.
Loro erano ninja, invece; al buio sapevano muoversi più o meno come in piena luce, ed evitare quella gang sarebbe stato uno scherzo, se solo se ne fossero accorti prima.
Ma era un po' tardi per recriminare, il suo unico pensiero ormai doveva essere il come portare Mikey fuori di lì senza un graffio e senza che la sua ferita peggiorasse.

Quando mai qualcosa è semplice, per noi?” sentì chiedere sarcasticamente.
Ah, quanto aveva ragione.
Altri passi. Sempre più vicini, sempre più veloci.
La lentezza iniziale che avevano mostrato doveva essere stata solo una precauzione nel muoversi nelle ombre finché non li avessero individuati: ormai che erano stati identificati, il gruppo si muoveva con celerità e silenzio, una minaccia compatta e invisibile a pochi metri da loro.
Non c'era anche Steve in mezzo a loro, no? Non poteva esserci. Non voleva nemmeno pensare che tra quei visi nell'oscurità potesse esserci il suo piccolo amico. Quello che forse era suo amico, non era davvero più così certo.

Aiutò Mikey ad appoggiarsi al muro con una spalla e sgusciò da sotto il suo braccio, impettito e guardingo.
Io devo lottare, ma tu non puoi. Perciò io li attirerò verso di me, mentre tu cerchi di sgattaiolare oltre le loro spalle” esordì, sottovoce, pensando velocemente ad ogni maniera possibile per attuare il suo piano.
Mikey sembrò sul punto di contestare, quando un sibilo passò in mezzo a loro, niente più che un leggero spostamento d'aria: Leo alzò il braccio e afferrò il pericolo, una freccia letale lanciata a caso nel buio.

Non abbiamo tempo. E lo sai che non mi sei di alcun aiuto, così ferito. Fai come ti ho chiesto, per favore” continuò, gettando la freccia a terra e appiattendosi contro il muro assieme a lui.
Sentiva la tensione di Mikey, che probabilmente voleva spezzarla con una battuta delle sue, sentiva che voleva ribattere, ma che si stava trattenendo. Perché sapeva che non c'erano molte soluzioni.

Dammi uno dei tuoi Nunchaku e tieniti sempre raso muro.”
Perché vuoi una delle mie armi?” domandò Michelangelo, anche se la mano stava già correndo alla cintura per sfilare il Nunchaku.
Non voglio ferire questi ragazzini. Sono sotto effetto di droghe, non sono davvero in sé... non posso colpirli con le lame. Voglio solo stordirli” confessò, con un sorriso tenue per il suo stupido senso dell'onore.
Nemmeno in un pericolo mortale riusciva ad accantonare il riguardo per un'altra forma di vita: se fossero state persone che ormai erano affogate nella cattiva strada per proprio volere e senza pentimento, allora avrebbe potuto usare le armi senza alcun rimorso, prendendo le loro vite per salvare la sua e quella di suo fratello; ma non era la stessa cosa con un'orda di ragazzini sotto effetto di droghe, contro la loro volontà, senza nessuna scelta per tirarsi indietro.
Non era lo stesso. E se avesse preso anche solo una delle loro vite, tutto ciò per cui si era allenato, tutto ciò in cui aveva creduto fino a qual momento si sarebbe spezzato in un istante.

Afferrò il Nunchaku di Mikey e si staccò dal muro, portandosi in mezzo al corridoio.
Sai come si usa, vero? Non te lo tirerai in testa da solo?” chiese il fratellino con un tono divertito.
Ti ho insegnato io, Mikey. Tu te lo tiravi sempre in testa, quando eravamo piccoli” sbuffò cercando di suonare offeso, anche se non poté proprio trattenere un sorriso al ricordo.
Mikey si era fatto tanti di quei bernoccoli cercando di usare i Nunchaku, che da piccoli temettero che avrebbe risentito delle botte per sempre, -un trauma cranico perenne,- e nonostante tutto non voleva smettere di provarci, perché erano delle armi fighe, diceva, e le usava anche Bruce Lee, diceva... e lui si era allenato di nascosto per potergli insegnare il modo più semplice di usarli, solo perché la smettesse di essere sempre pieno di lividi e bitorzoli.
Sentì il fratellino ridacchiare tenuemente, di sicuro anche lui perso nel ricordo.

Vai adesso” gli ordinò, prendendo il telefonino e accendendo il display, per essere ben visibile nel buio.
Stai attento” fu la replica insolitamente seria e sentita di Mikey.
Esplosero decine di colpi di armi da fuoco, in quello stesso istante, e non poté sentire una sua risposta, se mai ce ne fu una: Leo attirò l'attenzione su di sé con la luce del cellulare, mentre a lui non rimaneva che stare appoggiato contro il muro sperando che nessuno lo percepisse mentre correvano verso suo fratello.
Si sentiva così inutile.

Non poteva essere sempre il piccolo da difendere. Non era più il ragazzino di casa, ormai.
Ma con la gamba in quelle condizioni, cosa avrebbe potuto fare? Sarebbe stato davvero un peso, avrebbe davvero potuto mandare le cose di male in peggio; ma il pensiero di Leo che si faceva carico di tutto era insopportabile.
Scivolava raso muro, un passetto alla volta, ascoltando avidamente ogni rumore nella calca che potesse fargli capire che suo fratello era ancora in piedi.
Come diamine erano potuti cadere in una trappola così idiota?



Il ringhio riecheggiò nel cunicolo, ferendo le orecchie.
Sentirono il fiato caldo e puzzolente della creatura investirli, troppo vicino, troppo letale.

Raph, per una volta fai come ti dico: lasciami combattere da solo!” esclamò Don con la mano stretta convulsamente sul bastone, il respiro controllato per non produrre più rumore del necessario.
Non sapeva nemmeno perché lo stesse facendo: i coccodrilli erano perfettamente capaci di vedere al buio, perciò quell'enorme rettile sapeva esattamente dove fossero, anche se loro si fossero mantenuti nel più assoluto silenzio. Doveva essere quella sottile paura che provava sottopelle a sballargli i pensieri razionali.

Raphael sbuffò forte, giusto per comprovare che lui invece non aveva paura per nulla, e alzò la mano col Sai, pronto ad attaccare.
Non ce la farai” esalò asciutto, provando a muovere il braccio fasciato, che gli mandò una scarica di dolore.
Certo che ce la farò, dovresti finirla di sottovalutarmi” sibilò piano, cercando di suonare pratico come suo solito.
Ma un po' di risentimento era scivolato nella sua voce, al pensiero che i suoi fratelli lo vedessero sempre come il secchione imbranato della famiglia, meno capace degli altri per quanto riguardava la sua parte ninja. Sì, era meno muscoloso dei suoi fratelli e meno veloce, e la sua arma sembrava più innocua rispetto alle loro, e molte volte prediligeva gli studi e le invenzioni agli allenamenti, ma era capace e forte tanto quanto loro.
Certo, farsi battere quasi sempre ai primi round degli scontri non contribuiva a diminuire quell'idea che avevano di lui, a ben pensarci, ma era diverso in quel momento. Era il fratello maggiore e avrebbe dato il tutto e per tutto per proteggere Raph, a qualunque costo.

Raph, però, non sembrava colpito dalla sua determinazione: non si fece da parte, non indietreggiò, non smise di confrontare il vuoto con l'arma alta e pronta a colpire.
Non è questione di sottovalutarti o meno: c'è un coccodrillo di almeno otto metri dalla coda al muso ricoperto di denti affilati... per lui sei solo uno spuntino. Non posso lasciarti da solo” lo sentì rispondere accorato, pochi centimetri alla sua sinistra.
Un tremore sotto i loro piedi li avvisò che il rettile si avvicinava con le sue enormi zampe, ormai ad un tiro di schioppo.

Raph, lo so che ti stai preoccupando per me... lo fai sempre. Continui a tenerci tutti sott'occhio, a proteggerci, a cercare di tenerci al sicuro; ti fai sempre carico del doppio del lavoro e delle preoccupazioni di noi altri, perché non tolleri l'idea che ci possa succedere qualcosa... e lo apprezziamo, te lo assicuro. Sappiamo che è il tuo modo di dimostrarci affetto, un po' diverso dal normale, ma abbastanza comprensibile. Ma adesso non è il momento! Con quella spalla non sarai di nessun aiuto, anzi, mi faresti solo distrarre per controllarti e se fai un movimento sbagliato comprometterai la tua salute, irrimediabilmente! Fai come ti dico!”

Sentì il fratello respirare forte, assorto nell'ascoltare la sua invettiva, così razionale e logica, proprio da lui. Sapeva che Raph era contrario ad ogni forma di rigore e ragione, per quel motivo loro due erano virtualmente agli antipodi, ma sapeva anche che poteva capire un ordine velato, quando ne riceveva uno di così sensato.
Non posso, Don. Non hai molte possibilità” insisté ancora una volta, anche se percepì un lieve cedimento nel suo tono.
Non preoccuparti: ho già un piano! Ma ho bisogno di sapere che tu sei al sicuro prima di attuarlo” gli confidò fiducioso, sorprendendolo.
Percepì il suo sguardo affilato anche nella semi oscurità e sorrise tra sé per essere riuscito per una volta a lasciarlo senza parole.

Un vero piano?”
Sì. Ma devi andare avanti per primo. Appena ti do il segnale, scivola tra le zampe del coccodrillo senza farti scoprire, mentre io attiro la sua attenzione, e poi corri via seguendo il corridoio, senza sforzare troppo la spalla. Io ti raggiungerò il prima possibile” spiegò velocemente, mentre il bastone roteava nella mano, riproducendo il sibilo del vento, per mandare in confusione la bestia di fronte a sé.

Mi raggiungerai?” domandò timoroso Raph, ancora non del tutto convinto.
Contaci.”
Allungò un pugno chiuso verso di lui e Raph ci batté il suo contro, con forza, trasmettendo in quel fugace contatto ogni parola non detta, ogni paura nascosta, ogni incitamento possibile.
Il bastone sibilò più forte, cancellando ogni altro suono.

Vai!” urlò Don gettandosi contro il bestione che ringhiava, colpendolo sul muso rugoso per attirare la sua attenzione.

Il tonfo del legno contro la spessa pelle coriacea si propagò in ogni dove, unito ai ruggiti arrabbiati del rettile, che si dimenò nel corridoio, avventandosi contro il suo aggressore: uno spiraglio apparve tra le sue zampe e Raph scivolò sotto indisturbato, rialzandosi dall'altra parte del bestione, vicino alla sua coda spinosa e lunga come una frusta.
Titubò un paio di secondi, indeciso se intervenire o meno: voleva dare una mano, fare tutto ciò che era possibile per aiutare suo fratello, ma voleva anche dimostrargli di avere fiducia in lui, nella sua forza, nelle sue idee. Combatté ancora un po' contro sé stesso, in preda al conflitto.
Colpi di bastone e ringhi, stridore di unghie e squame contro i muri e colpi di coda che sbattevano sulle superfici con tonfi vibranti, l'aria ne era piena e non riusciva a capire cosa stesse succedendo precisamente, seppure stesse tutto accadendo a pochi metri da lui.

Non ti sento correre!” lo raggiunse la voce affannata e alta di Don, impegnato a combattere. Eppure suonava anche un po' divertito.
Farai meglio a raggiungermi!” gli gridò a sua volta, spronando le gambe a correre via, anche se il suo cuore gridava per rimanere lì e lottare, con tutta la disperazione possibile.



Il Nunchaku girava nella sua mano con solo un po' di titubanza. Anche se era un'eternità che non ci faceva pratica, non aveva perso del tutto la mano, fortunatamente.
Leo attaccò e sentì l'arma sbattere contro un osso nel buio e un lieve mugugno di dolore sfuggito al proprietario di suddetto osso: dopo una pioggia di colpi finalmente anche quegli zombie resi insensibili dalla droga cominciavano a sentire un po' di dolore; aveva cominciato a perderci la speranza.
Non sapeva nemmeno da quanto tempo stesse combattendo contro di loro, lì sotto sperduti nel buio, perché il tempo non sembrava avere più presa nelle menti, come se fossero in una dimensione alternativa: la stanchezza gli faceva pensare di essere lì da giorni ormai, ma il cervello gli diceva che non era possibile.
Di certo, qualunque fosse la realtà, erano già da troppo tempo in quella trappola, e dovevano uscirne al più presto.

Mikey... Mikey era riuscito a scappare?
Ruotò con più forza il Nunchaku, colpendo con forza eppure trattenendosi per non fare davvero male, pregando che il suo fratellino avesse raggiunto un'uscita e che non si fosse imbattuto in nessun altro pericolo.

Sentiva la presenza di almeno una decina di persone attorno a lui, ragazzini bramosi di vederlo a terra, per poter finire il loro compito: avevano smesso di sparare, una volta che si erano avvicinati a lui, e avevano iniziato a cercare di colpirlo con spranghe, mazze e armi bianche, come coltelli, provando al contempo ad allontanarsi, per non essere colpiti dal Nunchaku che roteava preciso verso le loro parti vitali, anche nel buio.
Erano sicuramente in svantaggio, rispetto a lui: poteva sentirli, percepirli con la mente; aveva chiuso perfino gli occhi per non essere distratto da fonti di luce esterne, per poterli sentire. Eppure fino a quel momento ne aveva mandato al tappetto solo cinque, colpiti ripetutamente finché non avevano infine perso i sensi.

Schivò un attacco con spranga scivolando a sinistra e si abbassò per evitare un colpo di bastone diretto alla testa, colpendo poi il più vicino di quei ragazzi proprio sotto l'orecchio, mandandolo giù come un sacco vuoto.
Sorrise. Beh, se avesse potuto prenderli di sorpresa e colpirli nel punto giusto, avrebbe finito in un secondo, senza troppi danni inflitti. Ma come poter distrarre la loro attenzione?

Cercò di schivare un affondo di coltello, ma nella foga non riuscì a piegarsi in tempo per evitare il colpo dall'alto: la mazza si schiantò contro la sua spalla violentemente, con un rumore preoccupante delle ossa.
Un solo gemito di dolore sfuggì dalle sue labbra prima di scansarsi velocemente per non essere colpito ulteriormente, anche se con fatica per la sofferenza che si irradiava dalla spalla fino alle più piccole cellule del cervello.
Doveva muoversi: più tempo passava, più possibilità avevano quegli sbandati di colpirlo, con colpi di fortuna alla cieca.

Avanti, forza! Colpite! Uccidete!” risuonò la voce di Hun nel buio, cavernosa e impaziente, distraendo i ragazzini.
Anche lui si era un attimo congelato nel sentirla, sorpreso nel capire che probabilmente lui stesse seguendo tutto da qualche stanza su, grazie a telecamere installate nel corridoio. Beh, aveva senso con la sua pazza vena sadica.
Eppure la sua voce gli era stata più d'aiuto che d'intralcio: approfittò del secondo di distrazione e scivolò veloce nelle ombre, alle spalle dei suoi assalitori, colpendo le loro nuche con un solo attacco deciso e preciso, quasi chirurgico; cinque caddero al suolo con un tonfo molle, allarmando quelli vicini che li percepirono perdere i sensi, alcuni addirittura trascinati giù dai corpi svenuti dei loro compari.
Quelli che poterono si allontanarono in preda al panico all'indietro, cercando di riprendere distanza e padronanza della situazione in fretta, anche se riuscì a sentire i loro rantoli disperati e spaventati.

Leo! Fai attenzione!” urlò la voce di Mikey all'improvviso, più vicino di come si era aspettato. Sembrava essere lontano solo pochi metri, alla sua destra... ma allora quello sciocco non era andato via!
Sentì i ragazzini rimasti gettarsi nella direzione della voce del fratello, tutti cinicamente emozionati all'idea di poter prendere facilmente quello dei due ferito, perciò con una morsa in gola si tuffò nella loro scia e ne falciò altri tre con colpi di Nunchaku ben assestati, decisi quel tanto che bastava: gli ultimi due arrivarono alla fonte della voce e portavano attacchi alla cieca, ma fortunatamente non sentì nessun rumore né lamento che potesse indicare che Mikey fosse stato colpito: saltò per scavalcare quelli a terra e atterrò proprio dietro le loro spalle, attaccando in un secondo.

Rimase fermo e impettito a riprendere fiato, con le orecchie tese, con una distesa di ragazzini svenuti ai piedi, la mente attenta per percepire altre minacce.
Mikey! Dove sei? Come stai?” urlò in apprensione, cercando di percepire la presenza di suo fratello da qualche parte, inutilmente.
Quaggiù!” ricevette in risposta, da una voce piuttosto esile e lontana nel corridoio, molto molto distante da lui.
Corse con tutte le sue forze, chiedendosi come avesse fatto ad allontanarsi così velocemente con la gamba ferita, ed in effetti, pensandoci bene, era impossibile.

Sentì l'aura allegra di Mikey già a qualche metro di distanza e si fermò a pochi passi da lui col fiatone, incredulo e sollevato.
Stai bene? Come.. come...” ansimò frettolosamente, appoggiandosi al muro al suo fianco per riposarsi un attimo.
Michelangelo ridacchiò sommessamente e Leo sentì una vibrazione propagarsi per la parete, correndo di mattone in mattone fino alla fine del corridoio.

Sto bene! Mi sono allontanato in fretta e mi sono appoggiato qui per aspettarti, perché la gamba non ce la faceva più a reggermi, e all'improvviso ho sentito un gran frastuono, come se non mi fossi allontanato nemmeno di un centimetro da te e lo scontro. È un fenomeno strano: le voci e i rumori così lontani scivolano sui mattoni e arrivano perfetti e integri come se la persona fosse vicina a te” spiegò il fratellino con un grosso sorriso che riuscì a sentire anche nell'oscurità.
Allora... hai parlato di proposito? Hai attirato l'attenzione verso un punto cieco per aiutarmi?” domandò incredulo Leo, sorpreso e anche colpito dalla vincente mossa di Mikey.
L'altro rise in risposta, fiero di sé.

E non mi dici nulla per la mia imitazione di Hun?” gongolò Mikey, sicuro di sorprenderlo ancora di più.

Leo spalancò gli occhi, poi scoppiò a ridere, inaspettatamente.
Sei straordinario, Mikey! Sul serio!”
Beh, sì, grazie. Non mi chiamano 'il magnifico' per nulla” si pavoneggiò quegli, piuttosto lusingato dai complimenti che il suo fratellone gli rivolgeva.
Chi ti chiama così?” chiese Leo staccandosi dalla parete e aiutandolo a sua volta per potersi rimettere in marcia.
Io, per adesso. Ma vedrai che prima o poi riuscirò a diffonderlo ovunque!” replicò mezzo serio l'altro, appoggiandosi a lui per avanzare lentamente nella penombra, un passo alla volta.



Raph si muoveva velocemente, almeno quel tanto che poteva senza che la spalla gli mandasse una nuova fitta al cervello, costringendolo a fermarsi per riposare: nei primi minuti i ringhi e il rumore di lotta alle sue spalle era andato via via affievolendosi, ma ormai era un bel po' che non sentiva nulla se non il rumore felpato dei suoi passi e il suo respiro affannato e spezzato.
Don se la stava cavando alla grande, no? Era in gamba, non poteva soccombere facilmente ad un bestione del genere, anche se era grosso e aggressivo e pericoloso...
Basta. Sarebbe tornato indietro! Non poteva continuare a scappare come un mollaccione mentre suo fratello rischiava il collo tra le fauci di un enorme rettile assettato di sangue. Non avrebbe dovuto acconsentire ad andarsene già dall'inizio, non era comunque nelle sue corde correre via e lasciarsi proteggere, non era giusto, non era...

Rizzò le orecchie, assorto: gli era sembrato di sentire un rumore estraneo avvicinarsi. Rimase in ascolto per un paio di secondi finché non lo sentì di nuovo: un fruscio flebile e attento, alle sue spalle... Don?
Ma se invece fosse stato qualcos'altro? Una nuova minaccia scivolata giù da una botola di cui loro non sapevano nulla?
Afferrò il Sai con la mano ancora mobile e si tese in ascolto, trattenendo perfino il respiro, ogni muscolo pronto e guizzante per attaccare al primo segno di pericolo.

Il fruscio divenne pian piano un rumore felpato, sempre più forte e ritmato.
Raph! Sono io!” sentì strillare Don, con sollievo e premura, ormai vicino pochi metri.
Donnie!” esultò, accogliendo l'arrivo del fratello con gioia.
Ci era riuscito, era riuscito a mettere KO una bestiaccia di otto metri, tutto da solo, senza danni apparenti.

Come stai? Niente di ferito?” gli chiese solo leggermente in apprensione, allungando il braccio sano nel buio per toccarlo. Gli afferrò la spalla e la strinse, grato di averlo lì con sé, tutto intero.
Solo qualche graffietto. Sto bene, non mi ha colpito” lo rincuorò il fratello, con un respiro affannoso per riprendere fiato.

Come hai fatto? Il coccodrillone è morto?”
No, è ancora vivo. L'ho stordito con un dispositivo con impulsi sonar. Gliel'ho lanciato in bocca quando mi si è lanciato contro con le fauci spalancate e poi l'ho scavalcato con un salto col bastone. Non è quello che avresti fatto tu, ma ha funzionato” constatò con un'alzata di spalle, piuttosto semplicemente. Anche se nulla nella lotta contro quel feroce alligatore era stato semplice: le sue file di denti avevano schioccato vicino a lui ripetutamente, mentre la bestia cercava di staccargli la carne dalle ossa.
E sei sicuro che non si riprenderà e ci verrà dietro?” fu la domanda cauta di Raph, che evidentemente era ancora scettico.
Certo che si riprenderà! Ma è troppo grosso per potersi voltare nel corridoio, rimarrà incastrato se solo ci prova, perciò... siamo al sicuro.”
La mano di Raph si strinse più forte sulla sua spalla.

Ben fatto, fratellone” lo elogiò, rincuorato.
Si incamminarono per il tunnel, fianco a fianco, diretti verso l'ignoto, ancora una volta.



Da quanto tempo siamo qui sotto, Mikey?” domandò Leo, forse solo per sentire la voce del fratello.
Mikey si era fatto sempre più silenzioso via via che avanzavano e il suo corpo si era lasciato andare sempre più contro il suo, stanco e sofferente. Arrancava senza una parola, con il respiro appena più pesante, per lo sforzo di resistere al dolore e andare avanti.

Non lo so. Mi sembrano giorni. Ho una gran sete” esalò, barcollando appena.
Leo si fermò all'istante e lo aiutò a poggiarsi lentamente al suolo, senza strattonarlo troppo.

Non ho niente da bere, mi dispiace. Ma riposa un po'.”

Rimase in silenzio al suo fianco, ascoltando il suo respiro regolarizzarsi un po', meditabondo.
Pensi che ci sia un'uscita?” domandò d'un tratto Mikey, concretizzando i suoi pensieri.
Non lo so... ma lo spero. Se non è troppo strano sperare che quel sadico di Hun abbia messo una via d'uscita di questo tunnel oscuro e pericoloso... sì, ok, lo è.”
Sentì il fratellino ridacchiare lievemente e il suono lo risollevò un poco.

Vado in avanscoperta. Solo qualche metro, torno subito, solo per dare un'occhiata. Ok?” propose d'un tratto.
Voleva lasciare a Mikey il tempo di riprendersi e in più controllare per bene il tunnel, nel caso presentasse ancora qualche sorpresa.
Lo vide annuire stancamente nella penombra, perciò si incamminò a piccoli passi, con la mano poggiata contro il muro.

Avanzò col magone, passo dopo passo, finché non inciampò in una sporgenza nel terreno e rischiò di spiaccicarsi la faccia per terra; fortunatamente riuscì a riprendere l'equilibrio appena in tempo. Allungò il piede e sentì la presenza di gradini.
Gradini verso l'alto.
Corse indietro, più euforico e veloce di prima, e ricoprì quei pochi metri che lo separavano dal fratello in pochi secondi.

Una scala, Mikey! Una scala verso su!” gli annunciò contento, sicuro di rallegrarlo.
Sì! Usciremo da qui!” esultò l'altro, con un tono felice e incredulo.
Potrebbe anche essere una trappola... ma non abbiamo altre scelte al momento” constatò pratico Leo, aiutandolo a rialzarsi.
Affronteremo i problemi quando e se ne troveremo” aggiunse saggiamente, rincuorato dalla presenza di Mikey.
Era stato contagiato dal suo ottimismo e non sarebbe stato di certo lui a smorzare l'entusiasmo del fratellino.



Da quanto diamine stiamo camminando? Mi sembra di aver percorso chilometri” esplose Raph, continuando tuttavia a camminare, come un automa.
Se sei stanco o dolorante possiamo fermarci" propose Don, che aveva capito che il suo lamento era dato dalla spalla. Probabilmente lo stava facendo impazzire dal dolore, ma non si era lasciato sfuggire un lamento, nonostante tutti gli scossoni e il movimento che compiva.
No, sto bene” fu l'asciutta risposta, a denti stretti.
Don sospirò piano, cercando di non farsi sentire da lui. Non si poteva aspettare altro dallo stoicismo di Raph... se avesse avuto almeno un antidolorifico, qualsiasi cosa che potesse alleviargli un po' il dolore.
Un boato li raggiunse da dietro, un ruggito possente e arrabbiato, che li fece voltare entrambi sul chi vive.

Don... sei sicuro che il coccodrillo non potesse girarsi, vero?” domandò Raph, che era certo di aver capito cosa avesse prodotto il suono minaccioso di poco prima.
Certo che sono sicuro! Ci stava a malapena, occupava tutto lo spazio da un muro all'altro! Non è possibile che... a meno che... non abbia fatto una capriola su sé stesso, ma.. è impossibile!” rispose il genio, sottosopra, ascoltando anche lui il rumore di passi pesanti che si avvicinavano.
A quanto pare è un coccodrillo molto intelligente o molto snodato” replicò a sua volta, piuttosto seccato e preoccupato dalla minaccia che si avvicinava velocemente.
Hai un'altra bomba sonica?” aggiunse, presagendo già la risposta.
No.”
No. Lo sapevo. Allora non ci restano molte alternative...”
Sì, muoviti. Dobbiamo trovare un'uscita prima che lui trovi noi!” replicò Don afferrandolo per il braccio sano e tirandolo via, provando a distanziare il feroce rettile.
È un'idea molto scema! Rimaniamo qui a combatterlo!”
Corri e sta zitto!”

Il rumore frettoloso dei loro passi non riusciva a coprire appieno il rombo della grossa bestia che correva alle loro spalle e non gli era di nessun aiuto la spalla che bruciava e doleva come se fosse trafitta da spranghe di ferro.
Don, davanti a lui, si lasciò scappare un'esclamazione sorpresa al sentire il vuoto sotto al piede, e lo bloccò col braccio appena prima che lui ci cadesse dentro, in bilico su un'enorme voragine.
Dietro la bestia, davanti l'ignoto.

Non credo che scendere sia una buona idea... noi dobbiamo andare su” mormorò tra sé, cercando di pensare in fretta: quanto poteva essere grande la voragine? E quante possibilità avrebbero avuto se avessero affrontato il coccodrillo?

Allungò il telefonino e illuminò l'oscurità e forse riuscì a intravvedere il pavimento rimandare un riverbero a una decina di metri sotto. Non sembrava così profondo.
Era perso in ragionamenti e calcoli, ma Raph aveva già pensato per tutti e due: una mano si poggiò sul suo guscio e lo spinse di sotto, con un tocco leggero.

Ricordati di cadere con le tecniche ninja. E non sbattere quella tua testa da genio” gli sussurrò mentre ormai lui cadeva giù, la familiare sensazione di vuoto al centro dello stomaco, poco prima di sentire un ringhio prodigioso risuonare lì dove si trovava qualche secondo prima.
Raph! RAPH!” urlò con tutte le sue forze, anche se ormai l'oscurità e la bestia ruggente si erano inghiottiti ogni suo suono.




Note:
Buona notte! Ormai la sto prendendo d'abitudine a postare di notte!
Mi scuso per il ritardo, è stata una settimana che... sono contenta che sia quasi finita, credetemi! Spero solo che l'influenza non mi prenda, io corro veloce, spero di seminarla!
Comunque: pensavate che le cose si sarebbero risolte in questo capitolo? No, mi spiace! Siamo ancora nel pathos e nei problemi fino al collo! Poveri i miei tesori! Vi giuro che li amo!
Ma quanto sono dolci queste due accoppiate? Li adoro, come molte di voi si sono accorte, sono dei fratelli fantastici!

Rinnovo i miei ringraziamenti! C'è tanto seguito, tanti commenti, nuovi lettori e nuovi preferiti: grazie di cuore! *_*
A presto!
Megaabbraccio light!


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Capitolo 17
*** Escape from hell ***


Cadde a peso morto, urlando il nome del fratello con disperazione, chiedendosi perché non fosse in caduta libera insieme a lui; si ricordò appena in tempo di compiere un paio di capriole per smorzare la velocità di discesa e toccò il pavimento solo leggermente intontito e dolorante per il contatto contro le ginocchia, a velocità ancora troppo sostenuta.

Guardò verso l'alto immediatamente, cercando di scorgere i contorni del buco e la presenza di Raph, ma non riusciva a capire granché, senza una fonte di luce: ma era ancora lì, sentiva i ringhi del coccodrillo riempire l'aria con versi arrabbiati e c'era solo un essere al mondo che poteva dargli filo da torcere.
Raph! Dove sei? Scendi, Raph!” urlò con tutta la sua forza per farsi sentire.
Anche se era certo che fosse inutile, perché non era possibile che la sua voce potesse sovrastare il trambusto che arrivava da lassù, nemmeno una piccolissima possibilità.

Ma perché suo fratello aveva gettato lui di sotto e poi non lo aveva raggiunto? Perché era rimasto a confrontare il coccodrillo, quando aveva la salvezza a portata di mano, assieme a lui? Che Raph fosse convinto che il rettile avrebbe potuto raggiungerli?
Certo che era così: il suo apprensivo, sempre vigile e protettivo fratello minore si stava immolando per trattenere la bestiaccia e dargli così il tempo di fuggire... ma non c'era possibilità che perfino uno come lui potesse far fuori una bestia di quelle dimensioni, con una spalla fuori uso, per di più.
Doveva cercare un modo per tornare su e dargli una mano, ma intorno c'era solo buio e nient'altro.

Il suono di una goccia che si schiantava violentemente al suolo attirò la sua attenzione e si avvicinò alla fonte, lentamente: un forte odore di ferro lo assalì e alla luce del telefonino tirato fuori di tasca per l'occasione, vide i cerchi rosso cremisi dai contorni sfrangiati a terra, mentre nuove gocce cadevano.
Sangue.
Sangue che colava dal soffitto.

No! No! NO! Raph!”



Sbuffò forte per riprendere fiato, mentre saliva un altro gradino e trascinava letteralmente Mikey sullo stesso; aveva perso anche il conto di quanti milioni di scalini avevano già percorso, ma erano di certo troppi: quella scala sembrava non avere mai fine e non portare davvero a niente.
E Mikey sembrava essere arrivato allo stremo, a causa dell'abbondante perdita di sangue e dello sforzo continuo; ormai doveva sollevarlo quasi di peso gradino per gradino e la sfumatura di verde sul suo viso era davvero troppo pallida e tendente al giallo e il suo respiro corto e irregolare.
Ma era il suo strano mutismo a preoccuparlo davvero.

Siamo quasi arrivati, Mikey. Vedrai che non manca molto” esalò per rassicurarlo e magari strappargli qualche parola.
Il fratellino annuì lentamente e inspirò a fondo, ma non aggiunse altro, troppo attento a concentrare ogni energia nel difficile compito di salire i gradini senza svenire: sentiva una gran nausea risalire dal fondo dello stomaco e un bruciore infernale alla gamba ormai senza sensibilità.
Non se la sentiva di parlare, non se la sentiva di essere un peso morto, di dover ancora fare affidamento sulla protezione e la pazienza di Leo, senza poter essere di nessun aiuto, ed era davvero preoccupato per gli altri suoi due fratelli, dai quali non avevano alcuna notizia da almeno qualche ora... se lui era ridotto in quello stato, come stavano Don e Raph? Stavano bene, si erano feriti, erano in pericolo?

Guarda, Mikey... vedi anche tu quella linea?” domandò la voce di Leo, cercando di trattenere invano una debole nota di agitazione.
Alzò il viso e scrutò nell'oscurità di fronte a sé e la vide: una piccola linea di luce che si stagliava contro il nero, sottile e fragile da sembrare magica, e il cuore di entrambi accelerò esponenzialmente, di attesa.
Della luce entrava da quello che sembrava lo spiraglio di una porta e per quanto entrambi non sapessero cosa aspettarsi al di là, sapevano per certo che poteva essere una speranza di salvezza.

Percorsero gli ultimi gradini, sempre più stanchi e provati, col fiato sempre più corto e i muscoli doloranti, ma l'eccitazione era tanta che perfino Mikey sembrava aver ritrovato energia da chissà dove e zompettava un gradino alla volta con una gamba sola, tenendosi a Leo per non perdere l'equilibrio: arrivarono ad un piccolo pianerottolo chiuso su tre lati, piuttosto stretto per entrambi, con un piccolo foro di luce che li toccava, entrando dalla toppa della porta.

Ci siamo. Sei pronto, Mikey?” domandò Leo, serio e asciutto, allungando la mano libera a tentoni verso la maniglia.
Sì. Pronto” rispose a sua volta, parlando per la prima volta da non sapeva nemmeno quanto.
C'era ansia e paura sotto pelle, per l'ignoto che celava quella porta e che avrebbero dovuto affrontare di lì a qualche secondo, ma avevano entrambi la risoluzione di non poter restare per sempre ingabbiati lì sotto, senza possibilità di futuro.
L'ignoto spaventoso era meglio della certezza quieta, in quel momento.

Leo abbassò la maniglia e spalancò piano la porta e tutti e due strinsero le palpebre con forza, per difendersi da tutta quella luce che feriva gli occhi, dopo quell'eternità di ombre e buio.
Ci misero qualche istante per potersi davvero guardare attorno e capire dove fossero, ma erano rimasti entrambi vigili per tutto il tempo per sentire eventuali presenze e fino a quel momento si reputarono al sicuro: infine spaziarono con lo sguardo in lungo e in largo, attoniti.

È...” iniziò a dire Leo, sorpreso.
Si trovavano in un grande ring ottagonale, recintato da alte mura di pietra grigia e spessa, ricoperto di spuntoni in ferro e delimitato in alto da una gabbia in metallo. Al di là riuscirono a vedere spalti in pietra e un palchetto sontuoso, che si affacciavano direttamente su di loro.

... un'arena” finì per lui Mikey, con un sussurro tetro.
Entrambi sapevano che si trovavano lì perché Hun aveva deciso altrimenti e che se era un'arena il luogo scelto per il loro ritrovo, dovevano per certo aspettarsi mercenari assoldati per combattere contro di loro o bestie feroci e affamate, solo per il divertimento dei loro spettatori.
Ma dove erano, gli spettatori?

Come richiamati dalla domanda mentale, una porta si aprì vicino al palchetto centrale e una moltitudine di uomini si riversò nella stanza, coi visi sorridenti e fieri puntati su di loro, prendendo posto negli spalti. Hun fece la sua entrata trionfale e sciolta, nonostante la mole che ancora si portava appresso, e si portò al centro del palchetto, gli occhi di ghiaccio che non avevano lasciato per un secondo lo sguardo di Leo, come a volerlo sfidare.
Uno ancora intonso e uno ferito... due ancora giù. Decisamente non quello che mi aspettavo. Decisamente ancora troppe tartarughe per i miei gusti” esalò gelidamente, senza lasciar trasparire la furia che lo scuoteva.
Dove sono i miei fratelli, Hun? Cosa speri di ottenere con questi giochetti? Scendi giù e affrontami con onore, invece di nasconderti dietro a queste trappole e alla vigliaccheria!” urlò Leo fuori di sé, sgusciando da sotto il braccio di Mikey, -che barcollò un po' prima di trovare l'equilibrio su una gamba sola,- e facendo dei passi in avanti.

Il leader teneva il capo puntato verso l'alto e i muscoli pronti per prendere le Katana dalla schiena per ogni evenienza, ma non poté in alcun modo evitare la sua sorte: la pistola contro di lui spuntata tra le mani di Hun dal nulla, sparò troppo in fretta e se si fosse spostato il proiettile avrebbe preso in pieno Mikey, proprio dietro le sue spalle.
Perciò non mosse nemmeno una cellula del suo corpo e prese il colpo in piena spalla, ondeggiando un po' per il contraccolpo e la sofferenza, serrando la mandibola con forza per non gridare mentre il bussolotto di metallo si faceva strada tra la sua carne.

Mikey gridò il suo nome, invece, con preoccupazione: lo sentì tra il dolore e il bruciore e le grida sguaiate del pubblico sugli spalti, che incitava Hun di continuare a sparare.
Onore? Di quale onore stai parlando, mostro? Io non ce l'ho più, un onore: l'ho gettato via servendo un ripugnante alieno dalla forma di cervello per anni, credendolo un maestro, umiliandomi ai suoi piedi, senza ritegno. E quel poco che mi era rimasto lo avete consumato voi schifosi mutanti, continuando a mettermi i bastoni tra le ruote, ancora e ancora, non importa cosa facessi. Ecco dov'è finito il mio onore. Non è più tempo di quelle stronzate. Adesso è solo un uccidi e subito, senza scontri onorevoli e dall'esito incerto!” gridò infervorato Hun, con gli occhi lucidi di follia e rabbia e la pistola ancora puntata su di loro.
E giusto perché tu lo sappia, i tuoi fratelli sono spacciati. Andati. Morti” disse crudelmente, con un sogghigno soddisfatto e il solito coro di risatine compiacenti del suo seguito, che rimbombava crudele e graffiante alle loro orecchie.

Mikey urlò sconvolto, mentre lui, con ancora i denti stretti per il dolore, si mantenne esteriormente impassibile, anche se una piccola parte del suo cervello credeva a quelle parole e stava gridando di pazzia.
Non ti credo. Sono vivi” esclamò con sicurezza, anche se era ben lontano dall'esserne davvero certo.
Ma doveva aggrapparsi a quella speranza, doveva credere che fossero vivi, o tutta la disperazione gli sarebbe caduta addosso, cancellando ogni altra sensazione.
Hun gli rimandò un sogghigno certo e malvagio, mentre schioccava le dita verso uno dei suoi scagnozzi, che si precipitò a tirare giù una piccola leva alla sua destra, prontamente.

Non entrambi. Uno di loro è spacciato” rivelò, soddisfatto.

Il pavimento sotto di loro iniziò a tremare e la porzione centrale si aprì come una voragine, costringendoli ad indietreggiare verso le pareti, in apprensione: una piattaforma iniziò a salire con un cigolio cupo e solo dopo alcuni secondi videro apparire oltre il bordo dello spazio un groviglio di nero, verde e rosso.
Troppo rosso, che macchiava il bianco della piattaforma, che copriva i corpi dei loro due fratelli.
Don era chino su Raph, che era completamente ricoperto di sangue e lacerazioni, e provava a fermare le emorragie, in preda al panico: il loro fratello dal temperamento rabbioso era palesemente ferito dalla testa ai piedi e l'osso dell'anca della gamba sinistra aveva trapassato la carne e spuntava acuminato e ricoperto di rosso e tendini e brandelli di muscoli, in maniera dolorosa e da voltastomaco.

Raph! Donnie!” urlarono insieme lui e Mikey, gettandosi verso di loro nonostante le ferite.
Don sollevò lo sguardo al sentire le loro voci e riuscirono a vedere un tenue sollievo nei suoi occhi al vederli entrambi vivi.

Siete vivi, siete interi” esalò sull'orlo di una crisi di nervi, palesemente al limite.
Le mani non si erano fermate un attimo nel premere contro le ferite di Raph, supino a terra, per impedire senza successo al sangue di uscire: le sue braccia ne erano piene, usciva a fiotti da decine di lacerazioni disseminate per tutto il corpo del loro fratello, dalla faccia alle braccia, dal busto fino ai piedi. Quell'osso esposto poi, era la ferita peggiore che avessero mai visto.
Raph gemeva piano di dolore e strazio, provando con tutte le forze a trattenere le grida e lottando per non svenire: respirava con respiri corti e strazianti e il suo colorito era quasi bianco, incredibilmente.

Stai bene, Donnie? Cos'è successo a Raph? Come sta?” domandò in fretta Leo, chinandosi anche lui per premere con la mano ancora sana su una ferita all'addome del fratello, strappandogli senza volere un piccolo grido quando lo toccò.
Io... io sto bene. Il sangue è di Raph e del coccodrillo” rispose come in trance, con una voce sottile e angosciata da far pietà.
Un coccodrillo?” domandarono Mikey e Leo, sconvolti.
Lui è rimasto indietro per affrontarlo e mi ha spinto di sotto per proteggermi, ma dopo poco tempo sono caduti entrambi giù, avvinti nella lotta, ricoperti di sangue; Raph è stato morso più volte e io potevo sentire il cigolio delle sue ossa spezzarsi, risuonare nel buio come colpi di fucile” raccontò ancora sotto shock, con le mani che tremavano sul corpo del loro fratello.

Almeno tu stai bene. Anche Raph se la caverà, ha la scorza dura” lo rassicurò Leo, provando a fermare quell'angoscia che si era impossessata di Don, stranamente.
Vedere lo scontro tra Raph e il coccodrillo, e tutto il sangue e le ferite che lo martoriavano per proteggerlo, sembrava averlo sconvolto più di quanto avesse creduto. Alla fin fine, anche Don era fragile, come chiunque altro.
Il genio sembrò riscuotersi e sollevò lo sguardo sul leader, carico di preoccupazione.

Se non usciamo immediatamente da qui, Raph morirà” disse con voce grave, senza nessuna titubanza.
Erano ancora nell'arena, erano ancora circondati, tenuti sotto tiro da Hun e i suoi scagnozzi... come potevano uscire all'istante da lì e salvare la pelle tutti e quattro?

Leo si alzò, lanciando un'ultima occhiata rassicurante ai suoi fratelli e si incamminò al bordo dell'arena, sotto il palchetto di Hun, con una camminata un po' obliqua per il braccio sinistro che giaceva inerme e ferito contro il fianco e sollevò lo sguardo in alto, fiero.
Lascia andare i miei fratelli, Hun. Potrai fare di me ciò che vuoi: umiliarmi, torturarmi, uccidermi, qualunque cosa. Non mi opporrò a niente, se li lascerai andare” esclamò deciso e serio, sperando in cuor suo che quel bestione senza cervello fosse più stupido che crudele e e accettasse la sua proposta.
Lo vide sogghignare mentre pensava, con ancora la pistola stretta nella grande mano, deliziato al pensiero di avere le loro vite in pugno, di poter decidere se dovessero vivere o morire, di avere potere nel dargli speranza o dolore.

La pistola si sollevò contro di lui, e non sapeva se volesse dire che la sua proposta veniva accettata o rifiutata, ma non ebbe mai comunque modo di saperlo.
Nello stesso decimo di secondo in cui l'indice di Hun scorreva sul grilletto, una tremenda esplosione riempì l'aria, distruggendo una porzione di parete alle spalle del capo della gang, facendo tremare il pavimento fino alle fondamenta.
Ci fu il boato e detriti che volavano in ogni dove e corpi a terra e fiamme che entravano dallo squarcio nel muro, nel panico generale che si era creato in un istante.
Leo era spaesato come tutti gli altri, si voltò un secondo per controllare i suoi fratelli e vide Mikey e Don chini su Raph, per proteggerlo dai pezzi di muro che fendevano l'aria, ma sembravano che stessero esattamente come prima, senza nessuna altra ferita aggiuntiva; poi riportò lo sguardo in su, per essere pronto a tutto: c'era Hun con le braccia in alto per proteggersi la testa e urlava, urlava ordini nel caos, perché non perdessero la calma e loro di vista.

Erano tutti troppo concentrati nello schermarsi e scappare per accorgersi davvero di loro, o del fagotto nero che passò tra le sbarre della gabbia in metallo e cadde al bordo dell'arena come un sacco di patate, rimettendosi in piedi con fatica.
Steve si rialzò con una smorfia dolorante e corse verso di lui, con uno sguardo preoccupato e vistosi tagli ed ematomi sparsi per la faccia e le mani.

Giù! Questa sarà tremenda!” strillò buttandosi letteralmente su di lui e trascinandolo a terra, proprio mentre una nuova deflagrazione squarciava un lato dell'arena, facendo crollare gli spalti al di sopra di esso e tutte le persone che c'erano sopra, tra gridi e un boato che ferì le orecchie.

Una pioggia di detriti li investì, fortunatamente di dimensioni ridotte, e solo quando furono sicuri che non ci sarebbe stato nessun problema si alzarono, scrollandosi di dosso la polvere e i frammenti di calcinaccio.
Leo osservò Steve, incredulo che fosse davvero lui, incredulo di vederlo davvero lì, in quella situazione. E benché fosse contento di vederlo, una parte di lui ancora sospettava del ragazzino.

Dobbiamo andare via. Ce la fai ad alzarti?” chiese Steve rimettendosi in piedi, i vestiti completamente bianchi e marroni di polvere, così come i capelli biondi.
Perché sei qui? Come facevi a sapere di questo posto? Chi sei, tu?” lo aggredì Leo rialzatosi in piedi, afferrandolo per la maglia sul petto e tirandolo verso di sé, con uno sguardo assassino.

Io ti ho seguito. Quando sei andato via dopo la chiamata. Ti ho seguito... e sono entrato quando voi siete stati catturati e poi ho cercato un modo per farvi uscire, mentre gli altri seguivano i vostri spostamenti sui monitor di sorveglianza” confessò il giovane con un lieve tremito di paura, sconvolto dalla sua furia.
Non ci credo. Non puoi averlo fatto, non è possibile” sputò fuori il leader con angoscia e dolore, al pensare che Steve gli stesse mentendo, che lo avesse sempre fatto.
Ci sono solo due cose di cui sono fiero, di me: la mia velocità, acquisita negli anni per sfuggire ai bulli della scuola, e la mia predisposizione per la chimica... e hai visto come entrambi mi sono stati utili, stanotte” rispose fiero il ragazzo, alludendo alle bombe esplose prima, deglutendo a vuoto per il risentimento delle sue accuse.
Le sue mani artigliarono quella di Leo per lasciarlo andare e una volta a terra tirò la maglia in giù, senza guardarlo in volto, cupo.

Perché mi avresti seguito? Perché ti saresti gettato in questa situazione di tua spontanea volontà?” incalzò il leader, che stava cedendo alla verità di Steve, anche se gli sembrava ancora tutto assurdo. Ma i suoi occhi gli erano sembrati sinceri, per niente spenti e folli come quelli dei ragazzini drogati, ma invece lucidi e limpidi e vivi. E puri.
Il ragazzetto non rispose subito, lo vide tormentare un attimo il bordo della maglia mentre scuoteva via un po' di polvere.

Io... quando te ne sei andato... ho avuto la sensazione che non ti avrei più rivisto. Che se non ti avessi seguito, non ti avrei mai più incontrato. Mai più” confessò con un sussurro, guardandosi le scarpe impolverate, a disagio.

Leo osservò quelle piccole spalle che tremolavano appena, che si erano fatte carico di una responsabilità enorme, e gli credette. Credette a tutto perché sapeva, sentiva che era vero.
Allungò una mano, e vide Steve strizzare gli occhi, per la paura che volesse colpirlo, invece lo afferrò per la spalla e lo tirò a sé, stringendolo in un abbraccio veloce.

Grazie” mormorò sentito. E c'era ben più di un significato, in quella parola. Grazie per non aver tradito la sua fiducia, per essergli corso dietro nonostante la paura, per aver cercato un modo di aiutarli, difficoltoso a giudicare dallo stato in cui si era ridotto.
Steve fece un buffo verso, a metà tra un singulto e una risatina sollevata, ma sembrava troppo imbarazzato per rispondere all'abbraccio.

Leo lo lasciò andare in fretta, complici anche le circostanze tutt'altro che tranquille e adatte ad una chiacchierata.
Sai dov'è la via d'uscita?” chiese velocemente, occhieggiando i dintorni per assicurarsi che nessuno li stesse tenendo sotto tiro: la maggior parte degli uomini era scappata via in preda al panico, ma una grossa porzione era stata colpita dal crollo della parete e si rialzava a fatica, o era ancora sepolta sotto le macerie.
Hun era illeso, il bastardo, e cercava di districarsi tra i corpi dei suoi uomini e pezzi di calcinacci grandi come porte, mentre con lo sguardo fosco e cieco di rabbia continuava ad urlare e guardare verso di lui in cagnesco.

Sì e faremo meglio ad uscire prima che esploda la prossima bomba... è la più grande” annunciò Steve, con un mezzo sogghigno esaltato e compiaciuto.

Corsero verso gli altri, controllando che fossero tutti ancora vivi.
Steve sa come uscire. E ha preparato una bomba ancora più potente, dobbiamo correre via di qui” li informò Leo, lieto dei loro sguardi sollevati e solo lievemente sorpresi nel vedere il giovane.
Ma Raph non può muoversi. Non andremo lontano” disse Don, che non si era staccato un secondo dal fratello, cercando con ogni mezzo di tenerlo in vita.
Ho trovato un furgone, dovete portarlo fin lì” si intromise Steve, rincuorandoli non poco.

Leo seguì le direttive di Don e prese la bandana di Mikey e slegò quella di Raph con delicatezza, passandole poi al genio, che velocemente le usò per legare le gambe del fratello assieme, quella sana a quella ferita, perché non la muovesse: una bandana stretta attorno alle caviglie e una alle ginocchia, facendo attenzione a non peggiorare o toccare l'osso sfrangiato che gli bucava la coscia. Ormai tre delle loro quattro bandane erano strette al corpo di Raph, per evitargli dolore.
Don lo prese per la parte superiore e Leo, seppur con la spalla ferita, lo prese per i piedi e insieme lo sollevarono, e pure con tutta la delicatezza che infusero in ogni gesto, non poterono evitare che soffrisse per ogni movimento che trasmettevano al suo corpo, causandogli grida di dolore.

Mi dispiace, fratello. Tieni duro, ce ne andiamo” sussurrò Donnie con apprensione, muovendosi con attenzione per non farlo soffrire ancora.

Seguirono Steve che sorreggeva a fatica Mikey, con stoicismo, lungo l'arena e verso il buco nel muro, superando i detriti a fatica, con tutta la velocità concessa dalla situazione.
Da lontano sembravi più piccolo” mormorò il più giovane dei mutanti con un sorrisino, riacquistando un po' di colore.
Sei davvero in gamba... appena mi sentirò meglio ti ringrazierò con una maratona di videogiochi e una mega pizza” aggiunse serio, come una promessa solenne.
Steve sorrise tra i grandi respiri che prendeva per resistere al peso di Mikey, stranamente confortato dalla sua assurda aura di allegria, perfino in quel frangente.
Li guidò attraverso la breccia e prima di sparire da quella stanza sentirono tutti indistintamente le urla di Hun riempire l'aria coprendo ogni altro rumore, ordinando a qualcuno di prenderli, di sparare, di non farli fuggire, anche se nessuno rispose al comando, tutti troppo presi nel tentativo di salvare la pelle.
Percorsero un corridoio deserto e sbucarono in un grosso magazzino stipato di macchinari industriali e macchine.

Steve si diresse sicuro verso un furgone nero vicino all'uscita e aprì la portiera, immettendosi nel posto del guidatore e infilando le mani sotto il quadro dei comandi, con convinzione.
Incrociò brevemente lo sguardo disapprovevole e sorpreso di Leo e si sbrigò a spiegarsi.

So come si ruba una macchina, ma non l'ho mai fatto! Prima d'ora, almeno” lo informò, mentre il rombo del motore ruggiva improvviso.
Il ragazzo premette il pulsante per sbloccare le portiere di dietro e i quattro mutanti salirono con fatica e difficoltà, stringendosi nel vano dopo aver poggiato Raph al suolo.

Sai guidare?” domandò il leader, osservando Steve ingranare la marcia con sicurezza, decisamente troppa.
Ho quindici anni e sono di New York... certo che so guidare!”

Il furgoncino partì con uno stridore di gomme e a velocità sostenuta, diretto verso la saracinesca che chiudeva l'uscita, la lancetta del tachimetro che saliva sempre più ad ogni decimo di secondo.
Tenete stretto vostro fratello, e anche voi, aggrappatevi a qualcosa” esalò Steve, con le mani strette convulsamente sul volante, come artigli su una preda.
Non credo che sia una buooooooo...” gridò Leo, serrando gli occhi quando le linee orizzontali della saracinesca apparvero a pochi millimetri dal finestrino del furgone.
Il mezzo passò attraverso il metallo come se fosse burro fuso, creando un grosso buco, e sfrecciò nella strada illeso, con una sterzata brusca verso destra e poi via lungo la strada che costeggiava i magazzini e l'acqua del fiume.

È corazzato” riuscì a dire Steve dopo qualche istante, con gli occhi pieni di paura ancora incollati alla strada, come se nemmeno lui ci avesse sperato finché non lo avevano fatto per davvero.

Guidò come un folle, come se la morte li stesse seguendo e prendendo, proprio dietro di loro, e sterzò e cambiò direzione, cercando di mettere quanta più distanza possibile.
E il perché non tardò ad arrivare.
La notte di New York fu scossa e illuminata dall'esplosione e il boato più forte mai sentito, un tripudio di fiamme e deflagrazione che illuminarono il buio e le acque del fiume di lingue rosse di fuoco e una colonna di fumo nero che saliva verso il cielo.

Il furgone sbandò un poco nel momento del boato e Leo si voltò a guardare Steve, che continuava a non parlare e a guardare la strada, col volto livido e le nocche delle mani bianche per quanto stringeva il volante.
Era nel magazzino. L'ho messa nel magazzino delle armi e delle munizioni” disse dopo qualche secondo, con voce tesa, come se stesse trattenendo un conato di vomito.
Leo lo sapeva cosa stava cercando di dirgli... voleva sentirsi rassicurare sul fatto che non avesse ucciso nessuno, che non era morto nessuno per colpa sua... ma non era certo. Qualcuno poteva essere rimasto ucciso dal crollo o dall'esplosione, anche se lui era stato attento perché non succedesse.
Eppure sentì che Steve quelle considerazioni se l'era già fatte, che aveva già messo in conto la morte di qualcuno per mano sua e che alla fine aveva deciso di agire comunque, di sopportarne il peso, per salvare lui e i suoi fratelli.
Lo vide trattenere le lacrime nei grandi occhi azzurri, mordendosi l'interno della guancia e respirando a fondo.

Com'era cresciuto quel ragazzino spaventato che aveva tremato nel vederli per la prima volta, che era fuggito con la coda tra le gambe in un secondo, senza pensarci due volte.

Allungò la mano e la posò sulla sua spalla, con una presa rassicurante.
Ti insegnerò il ninjitsu. Ha dei grandi insegnamenti non solo per il corpo, ma soprattutto per la mente, il cuore e l'anima” gli disse, con un sussurro sottile che solo il ragazzino poté sentire.
E il sorriso incerto che gli spuntò sulle labbra lo fece sentire meglio e lo rassicurò, mentre il mezzo sfrecciava tra le strade di New York, piena del suono assordante delle ambulanze e dei pompieri che lacerava la notte.


Arrivarono al rifugio in pochi minuti, con la guida da pilota di formula uno di Steve. Centrò quasi la porta del garage, per la fretta che lo permeava e si fermò con uno stridore di gomme pari a quello della partenza.
Entrarono dall'ascensore e si meravigliarono tutti nel vedere la ragazza che si parò loro di fronte quando le porte si aprirono.
Isabel osservò sconvolta il loro aspetto e la videro stringere le labbra e spalancare gli occhi di dolore quando si posarono su Raph, col colorito pallido; il suo volto perse ancora colore e spiccò una corsa verso di loro, all'istante.

Cosa... cosa fai qui?” le chiese Leo, intercettandola e osservandola con attenzione: era pallida e fredda e delle occhiaie violacee contornavano i suoi occhi scuri, che brillavano di preoccupazione. Il suo corpo tremava leggermente, e sospettava che non fosse solo per lo shock, ma anche per la stanchezza e l'esaurimento dell'energia per curare il padre di Steve.
L'ho chiamata io” confessò Mikey, intromettendosi, mentre lei cercava di divincolarsi per raggiungere Raphael.
Il sensei sopraggiunse dalle spalle della ragazza e si fece avanti per aiutare i suoi figli, che sembravano dover crollare da un momento all'altro, con lo sguardo fosco e preoccupato, ferito come non lo avevano mai visto prima.

Non puoi curarci, Isabel! Quanto hai dormito? Guardati, sei ad un passo dallo svenire!” la rimproverò Leo, scuotendola con una mano sola senza difficoltà, vista la debolezza di lei.
Isabel strinse le labbra talmente forte che impallidirono e invece di provare a contrastarlo si buttò tra le sue braccia, stringendolo con forza.
Sentì le sue unghie artigliargli la carne del collo, in preda alla fretta e all'agitazione.

Non lascerò che nessuno di voi soffra ancora, anche se mi costasse ogni briciola di energia. E se provi a impedirmi di curare Raffaello, significa che non sai davvero di cosa sono capace” gli sussurrò all'orecchio, mentre lui sentiva un'insolita energia scorrere dal collo fin giù e poi risalire fino alla testa, che divenne stranamente leggera e sconnessa.

Le ginocchia gli cedettero e si accasciò ginocchioni, mentre lei rimaneva in piedi, seppur barcollante.
Il bruciore alla spalla stava sparendo e solo quando sentì un tintinnio per terra si accorse del bussolotto che si era fatto strada nella carne fino ad uscire dalla ferita, che si stava rimarginando.

Donnie, porta Raphael nel laboratorio, sto arrivando” la sentì dire, mentre con sguardo spento la osservava barcollare verso Mikey e poggiargli una mano sulle ferite, il palmo che si illuminò per un attimo e il viso del fratello che tornava colorito e la gamba di nuovo sana.
I poteri di guarigione di Isabel erano cambiati? Poteva guarire con un tocco della mano, adesso?
La ragazza si rialzò con gambe malferme e si trascinò letteralmente verso il laboratorio di Don, con gli occhi che ardevano e il colorito sempre più cadaverico, infervorata nell'animo, ma debole nel corpo.

E lui non poté fare niente per fermarla, non ne sarebbe stato capace. Isabel avrebbe fatto qualsiasi cosa per Raphael, gli avrebbe dato ogni goccia della sua vita se fosse stato necessario e quel pensiero era allo stesso tempo bellissimo e doloroso, più che un proiettile che perforava la carne, più che la paura di perdere la vita.
Perché lo sapeva, sapeva che lei era sempre di Raphael, qualunque cosa facesse o dicesse, lei avrebbe continuato ad amare sempre e solo lui e avrebbe dato ogni cosa perché stesse bene.
Rimase ad osservare la porta in cui era sparita, col magone e una preghiera silenziosa sulle labbra, perché nessuno morisse al di là di essa e nessuno si dovesse sacrificare per amore, quella notte balorda, la peggiore mai vissuta in vita sua.




Note:
Salve splendori!
Nuovo capitolo con paura e sangue e via discorrendo. A proposito di ciò, ho un dubbio che mi attanaglia sin da SITR e che adesso devo proprio sottoporre a voi, almeno vedo se riesco a chiarirmelo: devo mettere il rating rosso?
Ho il dubbio. In SITR c'era violenza, ma non mi sembrava eccessiva, anche nelle torture non sono scesa in dettagli raccapriccianti (credo), perciò mi sono tormentata un po' e poi ho messo arancio. Ma qui è tutto un po' più cruento e in futuro ci saranno altre scene crude. So che per molti sono banalissime, abituati a ben di peggio nei film, ma non sono certa di non andare contro il regolamento. Perciò chiedo a voi: sono ff da rating rosso? Se qualcuno lo sa può dirmelo? Insomma, qualcuno si è turbato o sono bazzecole senza alcuna presa? (non mi piace lo splatter, perciò magari risulta nelle storie, senza mordente.)

Tornando alla storia: alla fine sono riusciti ad uscire dalla trappola, grazie a Steve che non era affatto un nemico, povero cucciolo. Adoro tantissimo come interagisce con i quattro mutanti, soprattutto con Leo e in futuro con Mikey. Glielo faccio adottare, che dite?
Ma non tutti ne sono usciti indenni e la morte è sempre in agguato!

Prima di lasciarvi, un ringraziamento a SaraJane92, che ha fatto questo splendido disegno di una scena di SITR: è stupendo, non trovate? Hai un grande talento, continua a disegnare! E regalaci altre perle sul mondo TMNT, se ti senti ispirata!
Io sono lusingata che tu abbia creato un disegno di una mia storia, non sai quanto! Grazie mille, di cuore!

A presto a tutti!

Abbraccioni

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Capitolo 18
*** Thanks and Sorry ***


Il dolore era atroce, non era nemmeno possibile cercare di capire dove fosse più intenso, perché l'intero corpo era come cosparso di fuoco che ardeva la sua carne mentre era ancora vivo. O forse non era vivo e stava bruciando tra le fiamme dell'inferno. Sempre se i mutanti finivano all'inferno.

Raph cercava di non svenire, ma la sua coscienza andava e veniva, la vista si annebbiava a tratti e i suoni e i rumori si affievolivano per interi minuti, per poi ritornare con prepotenza, all'improvviso e decisamente troppo alti, tanto da assordarlo e confondergli i sensi.
Era stordito, sofferente e in preda ad un'angoscia soffocante.
Respirare era un'agonia, rantoli strozzati, strazianti come essere trafitto da cento pugnali, gelidi e impietosi nella carne.

Sentì delle mani che lo afferrarono e lo sollevarono, e parole confuse e flebili, dette da non sapeva chi, mangiate via dal dolore e l'ansia, dalla confusione e il buio; poi forse svenne per qualche istante, perché non ricordava di essere stato portato da qualche parte, ma dopo la bruma si riscoprì a fissare il tettuccio di un'auto, mentre Don e Mikey lo stringevano per non farlo muovere.
Mikey. C'era Mikey. Se non era un'allucinazione dovuta dal dolore, suo fratello era davvero di nuovo assieme a loro, vivo... sentì un po' del panico sciogliersi, ma dov'era Leo?
Non poteva muoversi per controllare e il dolore stava di nuovo per farlo svenire, ma appena prima del niente sentì il leader urlare qualcosa, decisamente spaventato. Voleva aiutarlo, voleva capire e aiutare i suoi fratelli, ma gli spasimi si portarono via tutto di nuovo, prepotentemente.

Rinvenne ancora ed ogni volta era peggio della precedente, perché il dolore cresceva e il respiro invece diminuiva: non riusciva più a mettere a fuoco per bene ormai e l'udito era tutto ciò che gli rimaneva come contatto con la realtà.
Sentì le mani di qualcuno che strappavano via brandelli di tessuto dal suo corpo con esclamazioni sofferte ad ogni gesto, come se la vista delle sue ferite fosse troppo cruda e difficile da digerire.

Don?” rantolò con fatica tra un gemito di dolore e l'altro, provando a fargli capire che fosse ancora cosciente, nonostante tutto.
Va tutto bene, Raphie. Andrà tutto bene” disse la voce spezzata del fratello, che gli strappò un sorriso senza volere.

Almeno credeva di aver sorriso. Dentro lo stava facendo. Perché Don non lo chiamava più Raphie da un secolo. Da piccoli era l'unico modo in cui lo chiamava, quando ancora non sapeva pronunciare bene le parole, a causa dei denti di davanti da coniglietto; era suo dovere chiamare lui e Mikey con dei soprannomi, aveva detto, perché era il loro fratello maggiore e poteva coccolarli e vezzeggiarli in ogni maniera possibile. Poi aveva smesso di rivolgersi a lui in quel modo quando lo aveva battuto la prima volta in uno scontro, a dieci anni: da quella volta era stato lui a prendersi il diritto di chiamarlo Donnie e di trattarlo come se fosse lui il maggiore, anche se sapeva che Don non lo gradiva.
Ma a quanto pareva per il genio lui era sempre Raphie, anche se veniva fuori solo in momenti delicati come quello, in cui la sua razionalità si scontrava con la paura.
Non doveva essergli rimasto molto, allora. Stava morendo. E non era così sorpreso, in effetti; era più stupito di essere ancora vivo.

Una porta si aprì con un colpo secco, nel silenzio pieno di ronzii e sbuffi del laboratorio.
Sono qui” sentì dire ad una nitida voce femminile e poi il respiro rincuorato di Don, come se un miracolo fosse appena accaduto davanti ai suoi occhi.
No! Nonononononononono!” iniziò ad urlare Raph con foga, perché sapeva a chi apparteneva quella voce.
Come se avesse potuto non saperlo.

Il suo corpo, se corpo si poteva chiamare quella massa di sofferenza che lo componeva, lo faceva impazzire dal dolore, ma prese ad agitarsi al tocco di quelle mani, che non voleva su di sé.
Vai via! Vattene da qui!” le gridò contro, sforzando lo sguardo per metterla a fuoco.
Gli occhi castani che in passato aveva amato alla pazzia apparvero davanti ai suoi, profondi, preoccupati e doloranti per lui, cerchiati di occhiaie livide. E lui non poteva sopportarlo. Non voleva guardarli, non voleva vederli.
Meglio davvero morire. Perché non poteva morire in santa pace, senza che fosse lei l'ultima persona su cui avrebbe posato lo sguardo?

Sentì Don che provava a tenerlo fermo e poi le fitte dei muscoli che si contraevano per la perdita di sangue e lo shock e la coscienza che si affievoliva; e vedeva sempre lei, con la pelle pallida e tirata, come se fosse sul punto di svenire su di lui.
Non ti voglio più vedere! Te ne devi andare via! Per sempre! Odio averti qui! Odio vederti!Vattene! Vattene e scompari dalla mia vita!” continuò a gridare con la tachicardia, le parole piene di rabbia eppure sempre più fievoli per la mancanza di ossigeno.
Isabel non si scompose, anzi, non staccò un secondo lo sguardo dal suo.

Donnie, hai della morfina, un anestetico? Se continuerà ad agitarsi avrà un collasso” la sentì dire con la voce stridula, seppure contenuta forzatamente per mantenere la calma.
Percepì che il fratello si era allontanato di corsa per controllare e prendere ciò che gli aveva chiesto, mentre lei non si era mossa di un millimetro dal suo fianco, ritta e pallida come un fiore di giglio.
E quegli occhi scuri lo trascinarono da qualche parte, perché il solo guardarli lo stava facendo sentire debole e sconnesso, il dolore che si affievoliva lentamente, la consapevolezza di sé che svaniva in una luce accecante.

Andrà tutto bene, riposa adesso” sussurrò Isabel, con un lieve sorriso rassicurante.
Chiuse gli occhi, e tutto fu luce e ombre che si mescolavano dolcemente, indistinto.

Vai via! Odio che tu sia ancora qui, non voglio mai più vederti” biascicò mentre cadeva nell'oblio, stranamente quieto.
Va bene. Ma solo se combatterai per non morire. D'accordo?” riecheggiò la voce nel nulla, lontana, flebile, ormai di un altro mondo.




Pesantezza.
Ogni cosa e sensazione era solo pesantezza, come se avesse addosso il peso del mondo, come se il suo corpo fosse schiacciato, intorpidito, per sempre.
Batté le palpebre con fastidio, due o tre volte, prima di arrischiarsi ad aprire completamente gli occhi e guardarsi intorno.
Dove diamine era?
Riconobbe i mattoni del soffitto, giallo paglierino, -il colore dei mattoni del rifugio,- ma come ci era arrivato? Era stato tutto un sogno? La trappola di Hun, lo scorrazzare nei sotterranei insieme a Don e la lotta col coccodrillo gigante... lo aveva davvero sognato?

Provò a tirarsi su di scatto, ma una fitta al petto lo fece piegare su sé stesso dal dolore, col respiro mozzo.
La sofferenza riportò tutto alla mente, con immagini spaventose che accrebbero il dolore esponenzialmente, causandogli un acceso attacco di tosse che rimbombava nella cassa toracica con fastidio.

Ehy, ehy, ehy, niente gesti inconsulti! Non sei ancora tutto come prima!” lo sgridò la voce di Don, mezzo esasperata.
Alzò lo sguardo e vide il fratello genio farglisi incontro, con uno scintillio negli occhi, di sollievo e contentezza. Erano nella sua camera, anche se all'inizio non se n'era accorto, preso com'era a capire cosa fosse davvero successo.

Don lo aiutò a rimettersi sdraiato e tirò di nuovo su il lenzuolo che lo copriva, con attenzione.
Cosa... cos'è successo? Come... come siamo usciti dai sotterranei? Che giorno è oggi? Cosa...” domandò velocemente, in preda alla confusione totale, chiedendosi se invece non avesse semplicemente immaginato tutto.
Ma allora perché tutte quelle bende, perché tutto quel dolore?

Calmati! O ti dovrò somministrare un tranquillante! Se prometti di non agitarti ti racconto cos'è successo” esclamò Donnie, con un tono da dottore che sembrava davvero piacergli troppo.
Il fratello prese la sedia dove aveva riposato mentre lo teneva d'occhio e la portò vicino al letto, sedendosi poi con calma.

Gli raccontò ogni cosa, dal momento in cui lui era caduto giù dal soffitto assieme al coccodrillo, di come lo avesse ucciso trapassandolo con Sai nel palato, arrivando così al cervello, ma di come fosse rimasto troppo ferito dallo scontro, incapace di muoversi, prossimo alla morte.
Non avevi un osso intero! Cinque costole fratturate, il femore sinistro esposto, una frattura scomposta al braccio sinistro, la spalla lussata in quello destro e una commozione celebrale. Per finire un polmone bucato e il fegato lacerato. E il sangue. Avresti dovuto vedere la quantità di sangue che hai perso! Sembrava una scena splatter, da voltastomaco” riferì con cipiglio tecnico Don, palesemente disgustato e inorridito.
A Raph venne quasi da sorridere. Don era quello che si nascondeva sotto le coperte, quando da piccoli guardavano film dell'orrore con una quantità enorme di sangue e budella di fuori; era rimasto identico ad allora, troppo sensibile, troppo gentile.

A te non è successo niente, vero?” si informò con apprensione, strappando un sorriso di gratitudine al fratello che lo rassicurò, ringraziandolo.

Poi continuò a narrargli di come all'improvviso il pavimento sotto di loro avesse iniziato a muoversi e salire, mentre lui provava a fermare l'emorragia, e dell'arrivo all'arena, dove si erano ricongiunti con Leo e Mikey.
Dove sono? Come stanno?” chiese di colpo Raph preoccupato, interrompendo il suo racconto. Di nuovo cercò di sollevarsi, lentamente, anche se lo sguardo di Don si corrucciò nuovamente di rimprovero.
Stanno bene. Avevano delle ferite da arma da fuoco, ma adesso stanno entrambi bene. Rilassati, però, o ti metterò a dormire e non finirò di spiegarti i fatti.”

Raph si poggiò sui cuscini, mantenendosi semi sdraiato e gli fece segno di continuare.
Don fece per aprire bocca, ma un lieve bussare arrivò dalla porta, interrompendoli.

Avanti.”
Il viso di Steve fece capolino dallo spiraglio e gli occhi del ragazzo sgranarono nell'incrociare quegli svegli e vigili di Raph, come se avesse di colpo visto una bestia feroce pronto ad azzannarlo.

Do-Donatello, mi... mi serve un antipiretico. Ha un po' di febbre” balbettò a disagio, tenendosi a debita distanza da loro, praticamente sulla soglia della porta.

Il genio ridacchiò sottilmente al vedere come il giovane reagiva alla presenza di Raphael, quando invece non si era fatto scrupolo ad entrare con facilità e ad avvicinarsi per studiarlo mentre dormiva, nei giorni precedenti.
Nel laboratorio, di fianco alla scrivania, c'è la borsa medica; leggi sulla confezione, troverai scritto antipiretico... è abbastanza chiaro?” spiegò passo per passo, tranquillamente.
Steve annuì soltanto, con gli occhioni azzurri che non riusciva proprio a staccare da Raph, anche se ci stava provando con ogni mezzo; forse aveva paura che se avesse smesso di guardarlo gli sarebbe saltato al collo e lo avrebbe ucciso.
Biascicando qualcosa che non capirono, Steve uscì dalla stanza come una furia, sparendo in un lampo.

Don rise apertamente, mentre Raph aveva lo sguardo sempre più corrucciato.
Il marmocchio cosa ci fa qui? E per chi è la medicina?” sbottò, incredulo e piuttosto confuso.
Il marmocchio ci ha salvato, per tua informazione” lo sorprese Don, con un sorriso soddisfatto per l'espressione di stupore che si dipinse sul suo volto.
Gli spiegò delle bombe create dal ragazzo, delle esplosioni che avevano annichilito e spaventato Hun e i suoi scagnozzi e non tralasciò nessun dettaglio: dal fragore alle fiamme, dai detriti alla polvere, dalle urla al terrore. E poi la fuga in furgone spericolata e vorace, mentre sfuggivano alla più grande deflagrazione, della quale si era parlato nei telegiornali per giorni.
E Raph ascoltò sempre più rapito e sempre più incredulo. Il moccioso aveva salvato le loro chiappe... il moccioso che era scappato con la coda tra le gambe al loro primo incontro, quasi un mese prima.

Un momento... che giorno è oggi? Quanto tempo è passato?” sparò a raffica, provando a fare un calcolo mentale.
Era il 23 di Giugno quando erano finiti nella trappola, di quello era certo, ma non era certo che fosse solo il giorno dopo. Sarebbe stato un po' improbabile.
Torse il collo e guardò verso la piccola finestrella magica che c'era ormai in ogni stanza, da quando il rifugio era stato ricostruito: filtrava la luce di quella che sembrava una tenue alba... ma di quale giorno?

Oggi è il 30 di Giugno. È passata una settimana” lo aggiornò Don, teso nell'aspettarsi una sua qualche reazione.
Una settimana. Era rimasto fuori gioco per una settimana. Aveva dormito o era rimasto in stato di coma per una settimana intera. Certo, le sue ferite non erano leggere, ma una settimana.... e com'era possibile che stesse così bene dopo solo sette giorni, per di più?

Passò una mano distratta sulle bende che gli fasciavano il torace, ma sentì che era tutto a posto. Certo, se si muoveva di scatto sentiva delle fitte a causa della rigidità degli arti e della postura di riposo forzata, ma si sentiva incredibilmente bene.
Come...”
Isabel ti ha curato. Era per lei la medicina, al momento sta riprendendo le forze nella sua vecchia camera” lo interruppe Don con voce sottile, come se non volesse dirglielo, ma non potesse fare altrimenti.
Raph sollevò lo sguardo, col cuore pieno di rimorso, e si diede dello stupido. Certo, chi altro avrebbe potuto? E come aveva fatto a non accorgersi del profumo di fiori e miele della sua crema magica che lo avvolgeva, completamente?

Non voleva sapere niente, non voleva che lui gli raccontasse di come si fosse immolata per il suo bene, ma sapeva che non avrebbe potuto fare altrimenti, sapeva che doveva ascoltare e sentirsi in colpa, volente o nolente.
Sta bene?” chiese, sinceramente interessato, su quell'argomento.
Non voleva che lei stesse male per causa sua, rendeva solo tutto più complesso e difficile, ed allontanarla da sé sembrava solo ancora più un'utopia.

Se con bene intendi che non morirà, sì, allora sta bene. Ma ha rischiato molto” commentò Don, dando senza saperlo una mazzata al suo senso di colpa.
È svenuta quattro volte solo per rimetterti a posto la gamba. Ci ha messo due ore. E nelle seguenti due ore in cui ha ricomposto il tuo corpo e ti ha dato la sua energia, ha perso i sensi altre tre volte, ma se ti dicessi che per quel motivo ha smesso anche solo un secondo di curarti, mentirei. Oh, e sai che adesso per curare gli altri può usare le mani? Sembrava molto fiera della cosa.”

Aveva abbassato il capo e ascoltava, anche se non avrebbe voluto. Don non poteva capire come lui si sentisse nell'apprendere quelle notizie, come lo facesse sentire il pensiero di essere il motivo per cui Isabel era quasi morta. Di nuovo.
Non lo voleva sapere e avrebbe voluto che non fosse successo. Avrebbe voluto non doverle niente, avrebbe voluto che non fosse nemmeno lì, avrebbe voluto che tra loro ci fosse stata distanza e silenzio, com'era giusto che fosse.
Non lo voleva il suo amore, lo soffocava, lo costringeva a sentirsi riconoscente e il pensiero lo faceva sentire sporco e ingrato, ma anche nel giusto. Non aveva chiesto di essere curato, non le aveva chiesto mai niente.

Poi, nonostante fosse mezzo morta, è andata a curare il padre di Steve, perché voleva finire il ciclo di terapie, ha detto, e non c'è stato verso di smuoverla. Ha continuato a curare te e lui per i successivi tre giorni e alla fine è crollata e dorme da allora” finì di spiegargli Don, mettendo ancora di più il dito nella piaga.
Rimase il silenzio tra loro, così affollato di pensieri, da non riuscire nemmeno a percepirlo.

Beh, non gliel'ho chiesto! Ma... immagino di doverla ringraziare” esalò dopo qualche secondo, piuttosto forzatamente.
E dovresti chiederle scusa” aggiunse la voce del fratello, asciutta.

Raph lo guardò in viso e notò con orrore che la sua espressione di rimprovero era tornata ed era persino più accentuata di prima.
Scusa per... cosa?” replicò attonito, guardandolo come se fosse pazzo. Non voleva di certo che si scusasse per averla lasciata, no?
Per tutte le cattiverie e le ingiurie che le hai rivolto contro quando è venuta a curarti.”
L'ho... l'ho insultata?” domandò, inorridito e anche un po' titubante.
Non ricordava niente del genere, non ricordava nemmeno di averla vista o di averci parlato... ma addirittura insultata, non poteva crederlo.

Beh, diciamo che sei stato sgarbato. Ma no, non ti ripeterò cosa le hai detto. Fatelo dire quando chiedi scusa” concluse secco il genio, come se fosse un discorso chiuso.

Lo forzò a ritornare completamente sdraiato e non rispose quando gli chiese che ne era stato di Hun, dicendo che lo avrebbe informato in un altro momento, quando fosse stato un po' più in forze e un po' più tranquillo. Poi il genio scese in cucina a preparargli qualcosa da mangiare, disse, e gli raccomandò di riposare un po'.

Raph attese che uscisse dalla stanza e poi di sentire il suono dei suoi passi che si allontanavano; si alzò lentamente, quando fu sicuro di non poter essere sentito.
Mettersi in piedi non fu doloroso, solo un po' difficile per via della rigidità che sentiva in ogni cellula del corpo.
Camminò lentamente fino alla porta e la aprì con cautela, occhieggiando con sospetto per vedere se qualcuno fosse al di fuori: il pianerottolo circolare era deserto e si arrischiò ad uscire, dandosi un'occhiata attorno. La camera di fronte alla sua, dall'altra parte dell'anello che faceva da corridoio per le camere, attirò la sua attenzione, con prepotenza.
No, non ci sarebbe andato. Non voleva andarci. Ma doveva.

Camminò raso muro, con pazienza e fatica, fino ad arrivare alla porta, la seconda da sinistra, tra la camera di Leo e quella di Mikey.
La camera dove aveva vissuto Isabel. Mikey continuava a chiamarla 'la stanza di Isabel', anche se lei non viveva più con loro. Cocciuto.
Doveva bussare. Ma non voleva farlo. Eppure doveva. E vinse come sempre il dovere.

Avanti” sentì dire alla voce dolce e familiare.
Entrò e tutto ciò che vide in un primo momento furono due occhi castani che sparirono sotto un lenzuolo, e il ragazzetto, Steve, che lo guardava con spavento dalla sedia vicino al letto, congelato con un bicchiere in mano che tendeva verso la figura rannicchiata.
Avrebbe quasi riso, perché la scena era davvero comica, seppur grottesca. E sapeva che solo lui poteva spezzarla in qualche modo.

Mocc... Steve” si corresse a metà strada, “dovrei parlare con Isabel” esalò con tutta la calma che gli riuscì, cercando di non spaventarlo più di quanto già non fosse.
Il ragazzo assunse d'un tratto uno sguardo molto più lucido e scaltro, quasi guardingo.
Lo stava sfidando?

Solo... solo se Isabel è d'accordo” gli rispose con baldanza, più di quanta ne avesse in effetti in quel minuscolo corpo.
Sì, non c'è problema, Steve” sentirono entrambi dire da sotto il lenzuolo, con sorpresa.

Il giovane poggiò il bicchiere sul comodino e poi si alzò con calma, senza staccare lo sguardo fiero e diffidente dal suo, come se lo stesse minacciando di non fare cose strane mentre non c'era. Rimase sbalordito e sorpreso dalla cosa. Non che ne fosse davvero intimorito, -era più o meno come se Isabel avesse un chiwawa che gli ringhiava contro,- ma perché il moccioso sembrava così apertamente ostile nei suoi confronti?
La porta si richiuse alle sue spalle e il silenzio sembrò ancora più pesante di prima. Isabel non si mosse dal suo riparo improvvisato, ma la sentiva respirare in agitazione dal di sotto.
Prima avesse parlato, prima sarebbe finita.

Sono venuto a parlare con te. Per... quello che è successo dopo lo scontro... Don me l'ha raccontato” esalò con forza, deciso a sputare fuori tutto.
Vide il lenzuolo muovere la testa a destra a sinistra.

Non ce n'è bisogno” disse in contemporanea Isabel, frettolosamente, la voce tesa che suonava più alta.
Senti, potresti almeno uscire da lì sotto? Sto cercando di ringraziarti, se non l'avessi capito” sbottò d'improvviso, con parte della pazienza che stava andando a farsi benedire.
Era sempre stato così, con lei, mai una volta che riuscisse ad essere tutto lineare e facile, mai che gli venisse incontro.

Non posso” fu la pacata replica del lenzuolo, niente più che un sussurro.
Sospirò e cercò di rimandare giù l'insulto che era spuntato di colpo sulle sue labbra. Agitarsi gli faceva male e Don lo avrebbe strozzato se avesse saputo che non se n'era rimasto tranquillo a letto.
Perciò si avvicinò alla sedia con cautela, si sedette e prese dei grandi respiri per calmarsi. Avrebbe provato a capire e a dire grazie e poi se ne sarebbe andato via da lì e non le avrebbe rivolto più la parola per un altro mese, se era fortunato per sempre.

Perché non puoi uscire da lì sotto?” chiese con pazienza, sperando che la risposta avesse un qualche senso che lo aiutasse nella conversazione.
Ti ho promesso che non mi avresti più vista, se avessi combattuto per non morire” mormorò imbarazzata la vocina sotto il tessuto, confessando una cosa che non avrebbe mai avuto il coraggio di dire senza la protezione di quel riparo.
Flashback improvvisi passarono davanti ai suoi occhi, insieme al sonoro di quello che sembrava essere lui in preda ad una crisi isterica: si ricordò in un istante di quello che le aveva detto mentre era tra le grinfie del dolore e storse la bocca, solo mezzo colpevole. D'altronde quelle cose le pensava sul serio, ma sentì che non era stato davvero carino sputargliele addosso con rabbia mentre lei cercava di salvargli la vita. Poteva dare la colpa allo shock, la perdita di sangue e il dolore?
Si passò una mano in faccia, frustrato.

Mi dispiace di aver detto quelle cose. Non... sai che quelle cose le penso, ma non avrei dovuto dirtele in quel modo, in quel momento... mi dispiace, è stato insensibile da parte mia” si scusò, sinceramente, grato anche lui di non doverla guardare in viso.
Il lenzuolo negò ancora, con più veemenza.

Non me la sono presa, lo so. E non c'è bisogno che ti scusi o che ringrazi. Va bene così... io l'ho fatto perché lo volevo, tu non hai nessun debito.”
Il silenzio cadde di nuovo e Raph si chiese cos'altro avrebbe potuto dirle. Non voleva i suoi grazie, non voleva le sue scuse. E c'era sempre la tensione tra loro per via della rottura, davvero poco delicata da parte sua, ma inevitabile; si accorse di colpo che era la prima volta che parlavano da quella notte in cui l'aveva lasciata.

Allungò la mano e afferrò il lenzuolo, tirandolo verso di sé: la testa bruna e scompigliata di Isabel spuntò fuori, con gli occhi scuri sorpresi e spaventati, le guance rosse che facevano un contrasto nitido con la carnagione pallida e a pugni con le lievi occhiaie viola.
Non poté evitare di ammettere a sé stesso che era adorabile. Ai suoi occhi lei era sempre sembrata come una delicata fatina che appariva all'improvviso e nella meraviglia.

Isabel... grazie. Grazie e scusa. Te lo devo, perché mi hai salvato la vita. E no, non cominciare con la storia che non è necessario. Voglio farlo. Perciò prenditi i miei ringraziamenti e le mie scuse e taci” replicò, in quello che lui reputava un discorso sentito.
Isabel scoppiò a ridere e lui rimase meravigliato, dimentico com'era del suo strano senso dell'umorismo, che la faceva reagire in maniera diversa da come le persone si aspettavano.
Ma sembrava che l'imbarazzo ormai fosse scomparso, perciò fu grato a qualsiasi cosa avesse detto o al modo in cui l'aveva fatto.

Adesso vado o Don mi ucciderà” disse a disagio, mentre gli ultimi sprazzi di risata di lei si spegnevano.
Lei annuì, semplicemente, perciò si alzò e si avvicinò alla porta, senza sapere che altro aggiungere.

Ehm... ciao” disse una volta superato l'uscio, ricevendo un saluto identico in risposta.

Si appoggiò alla porta una volta fuori, incredibilmente stanco. Cos'era affrontare un coccodrillo, a confronto? Avrebbe preferito altri dieci coccodrilli piuttosto che ripetere una cosa del genere.
Vagliò con la mente per ricordare cosa avesse detto, giusto per essere certo che non ci fosse nulla di fraintendibile. L'ultima cosa che voleva era che lei pensasse che ci aveva ripensato, che fosse ancora interessato a lei. Sospirò, pensando che era stato gentile e distaccato, senza nulla da travisare, perciò aveva fatto un buon lavoro.

Sentì uno sguardo truce che lo passava da parte a parte e aprì gli occhi confuso, voltandoli intorno: Steve era ritto vicino alla porta della camera e lo guardava con astio e diffidenza.
Era rimasto per tutto il tempo lì fuori?
Il giovane si incamminò verso la porta, manifestando la sua intenzione ad entrare, lanciandogli uno sguardo che sembrava dire: “Spostati, mi intralci.”

Stai tornando da Isabel?” chiese Raph, senza spostarsi, deciso a sfidarlo.
Sì e allora? Qualcosa in contrario?” replicò prontamente Steve, ergendosi in tutta la sua altezza, che però in confronto alla sua era davvero ridicola.

Raph sorrise e gli passò una mano nei capelli biondi con fare allegro.
Ma che carino. Ti sei preso una cotta per lei?” lo punzecchiò, con quel suo modo fastidioso che sapeva lo avrebbe mandato fuori dai gangheri.
Steve arrossì violentemente, allungando le mani per scacciare la sua e divincolarsi.

No. E se pure fosse non sono fatti che ti riguardano!” fu la risposta pronta e asciutta, da vero uomo maturo.
In realtà era rimasto a controllare per conto di Leo. O meglio, non che l'amico sapesse che suo fratello era lì con lei, ma lui voleva comunque tenere tutto d'occhio, per essere sicuro che non succedesse nulla. Tifava per Leo, lui. Se c'era uno che la meritava, e che lei meritava, era di certo Leo e non quello lì.

Raph sollevò un sopracciglio colpito, ma lui sapeva che lo stava canzonando.
No, infatti. Ma le leggi e lo stato avrebbero qualcosa da ridire. Perciò stai attento.”
Stalle lontano, simpaticone!”
Steve riuscì ad aprire la porta e ci si infilò dentro velocemente, prima che lui potesse anche solo pensare di replicare, sbattendogliela in faccia.
Stupido moccioso. Non poteva dire che non avesse buon gusto, ma che almeno ci provasse con quelle della sua età.

Si incamminò verso la sua stanza un po' frastornato e confuso, ma con un grosso sorriso al ricordo degli occhi azzurri di quello scricciolo che lo sfidavano, mentre il corpo esile del ragazzino tremava.
Di certo l'amore rendeva temerari, ma molto, molto stupidi.



Note:
Salve a tutti!
Come va? Alla fine per la storia del rating non ho avuto una risposta secca e decisa, perciò ci sto pensando. È comunque altamente probabile che in futuro il rating si alzi. Vedremo.
Il primo capitolo dall'ottica di Raph, finalmente. Era un po' che l'aspettavo anche io, sono stata contenta di leggerla e correggerla.
Dunque, questa scena la aspettavate da un po', ma di certo non è andata come ve l'eravate immaginata, no? Insomma, a Raph preme solo mettere le cose in chiaro senza darle delle false speranze. Ovvio che la stessa scena vista da lei abbia un sapore diverso, dato che è cotta fino alla pazzia.

Alla fine, lui crede che Steve abbia una cotta per Isabel, travisando ovviamente visto che non sa che Leo se n'è innamorato, e gli dice di stare attento, dato che essendo minorenne sarebbe una cosa illegale. La cosa buffa è che tra Steve e Isabel c'è la stessa differenza di età che c'è tra Leo e Karai, almeno in questo universo. In realtà nella serie 2003 dovrebbero avere una differenza di più di dieci anni, stando a turtlepedia, ma io l'ho ridotta a sei. Quindi quando si sono incontrati Leo aveva sedici anni e Karai ventidue. Sei anni di differenza.
Steve ne ha quindici e Isabel ventuno, giusto per ricordare.

Il rifugio: è difficile orientarcisi, perciò allego delle bozze del prima di essere distrutto, giusto per farvi un'idea di come fosse, e del dopo che Isabel l'ha rimesso a posto.
Quelle del prima sono assolutamente affidabili ed esattamente così com'è il rifugio degli Y'Lyntian nella serie. Ho fatto milioni di ricerche e scansionato gli episodi uno ad uno, certificato.
Se vi dovesse servire, usatelo pure.
Allora, nel primo ci sono meno stanze, il laboratorio di Don per esempio è nel corridoio sotto l'arcata del portico vicino all'officina. La cucina è minuscola e al bagno si arriva attraverso di essa: nel fondo della cucina c'è un'altra porta, che non so davvero dove porti; ho immaginato ci sia una dispensa, ma non è strano che possa esserci anche una stanza da pranzo. Non viene mai mostrata, perciò non so proprio.
Le stanze da letto al primo piano: che problema! A volte ne vengono mostrate troppe e tutte attaccate, ma in realtà dovrebbero essercene solo quattro, perché quando April era andata a vivere da loro, Mikey aveva dovuto cederle la sua e andare a dormire da Raph. Perciò sono solo quattro.

Turtlepedia mi dice che Don e Leo dividevano la camera, ma non ne sono sicura. Io li ho messi in due separate.
Nel dopo, dopo che Isabel l'ha ricostruito, mi sono divertita a rifare tutto a mio gusto, mettendo molte stanze in più. I disegni come vedete fanno davvero pena.

Ok, la smetto con le mie solite spiegazioni inutili e chilometriche!

Grazie a tutti voi, grazie a chi recensisce con tanto affetto, ai seguiti e preferiti nuovi!
Grazie!
A presto

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Capitolo 19
*** Who's the Mysterious Hero? ***


Quella sera avevano cenato tutti assieme, per la prima volta da quando erano tornati laceri e sanguinolenti da quella trappola malefica ordita da Hun.
Raph era sceso in cucina solo sotto la supervisione di Don, che non sapeva ovviamente che si fosse alzato anche senza il suo permesso, e Isabel fu scortata a vista da Steve, ormai autoeletto sua guardia del corpo personale.
Già nei giorni precedenti il ragazzino era stato la sua ombra, portandola dal rifugio a casa sua e viceversa mentre curava suo padre e i ragazzi, ma da quel momento in avanti si era ripromesso di non lasciarla un secondo da sola, perché quello alto e grosso non l'avvicinasse ancora.
Non che sembrasse averne l'intenzione, aveva continuato a guardare da tutt'altra parte e a non rivolgerle una parola... ma pensava fosse meglio essere pronti a tutto.

Durante la cena avevano parlato di cosa era successo dall'esplosione del magazzino, di cui Raphael non sapeva nulla. Tra un boccone di stufato e uno di verdure al vapore, ricette consigliate strettamente da Donnie, finalmente aveva scoperto ogni cosa che si era perso in quella settimana di oblio.
All'arrivo della polizia, delle ambulanze e dei vigili del fuoco al magazzino, Hun e alcuni dei suoi, -probabilmente quelli che erano riusciti a uscire illesi dalle esplosioni,- erano già scomparsi dal luogo senza lasciare traccia di sé. Le autorità avevano soccorso e arrestato per accertamenti almeno cinquecento persone, alcune in stato d'incoscienza e ferite in maniera seria, -ma per fortuna nessuno era morto. Qualcuno avrebbe portato le conseguenze di quella notte per sempre sul corpo, però, un pensiero che tormentava Steve, anche se provava a non darlo a vedere.

Di Hun non si sapeva dove fosse sparito, ma erano certi che fosse ancora vivo e più incattivito che mai; la città era diventata un campo di battaglia aperto, in cui si erano riversati i suoi scagnozzi e i suoi sottoposti, ad ogni ora del giorno e della notte, portando il caos: i graffiti della banda erano stati ripristinati ad ogni angolo delle strade, più grandi e più minacciosi che mai; furti, rapine, spaccio di droga e vendita di armi illegali continuavano ad avere luogo sotto le facce ignare delle forze dell'ordine e una serie di omicidi di piccole bande, che avevano preso piede mentre i Purple Dragon erano nascosti, stava terrorizzando la popolazione e scuotendo i media, che pure non osavano entrare nei dettagli, per paura di rappresaglie e conflitti che avrebbero portato inevitabilmente alla morte.
Hun aveva decisamente approfittato della loro assenza forzata per gettare una cappa di terrore su New York, a cui nessuno poteva sfuggire.

E allora cosa ci facciamo qui? Usciamo e andiamo a prenderlo a calci!” aveva tuonato Raph arrabbiato, alzandosi dalla sedia di scatto e lasciando cadere la forchetta nel piatto con un tintinnio cupo.
Don si era alzato all'istante per cercare di calmarlo e impedirgli di agitarsi troppo, ma era stata la voce del sensei a riportare alla ragione il figlio desideroso di vendetta.

Nessuno di voi lascerà il rifugio e andrà alla ricerca di Hun. Avete sfiorato la morte e la sua ombra aleggia ancora su di voi! Isabel vi ha curato a prezzo di grandi sacrifici, ma la sua energia magica non era abbastanza e le vostre ferite non sono risanate ancora del tutto. Vi proibisco qualsiasi uscita in superficie e atto avventato finché non sarete nuovamente in forma come prima. Una sconfitta va prima di tutto metabolizzata, per essere pronti al passo successivo!”

Erano rimasti tutti ammutoliti ad ascoltare la paternale sensata e giusta del maestro, che aveva parlato con calma eppure una forte dose di autorità, che non ammetteva repliche né disobbedienza.
I suoi occhi erano rimasti calmi e sereni, tuttavia ognuno di loro vi aveva scorto una luce di severità che li ammoniva di non provare ad andare contro il suo ordine, perché non ci sarebbero riusciti e avrebbero dovuto subire una punizione se solo si avessero provato.
Perfino Raph aveva letto l'inflessibilità dietro le parole e si era lasciato cadere di nuovo sulla sedia, in silenzio teso, riprendendo a mangiare di malavoglia.

La cena era finita in un clima inquieto e pesante, che si protrasse per i giorni seguenti.
Isabel era tornata a casa la mattina seguente, mentre loro erano rimasti a riprendere le forze confinati nel rifugio, alcuni come Don e Leo, praticamente a posto, avevano iniziato ad allenarsi e a studiare strategie per il passo successivo; altri, come Raph e Mikey, bisognosi di riposo, erano stati forzati a non fare niente, mentre il tempo scorreva lento e agonizzante, difficile da tollerare.



La porta del rifugio si spalancò verso l'alto, lentamente e senza un suono, e Isabel entrò con passetti felpati, attenta a non fare rumore per non svegliare nessuno.
Ritornare ad allenarsi alle prime luci dell'alba era grandioso e non vedeva l'ora di entrare nel dojo e riprendere le sue lezioni, dopo il periodo di pausa forzato: aveva smesso di allenarsi da quando aveva iniziato a curare il padre di Steve, ormai tredici giorni prima. Era stato un compito talmente sfinente che non aveva fatto altro che curare e dormire in un circolo vizioso, a cui si era poi aggiunta l'emergenza dei suoi amici feriti da Hun, alla quale aveva cercato di reagire, curandoli con tutte le forze che aveva e forse anche qualcuna che non sapeva di avere.

Le si era fermato il cuore a vedere Raffaello in quello stato, e quelle immagini avevano continuato a tormentarla ogni volta che aveva chiuso gli occhi, strappandole quasi via il sonno. Ma era sopravvissuto, grazie al cielo e alla sua straordinaria forza vitale. O forse era solo troppo cocciuto per morire, fortunatamente.
Sorrise in imbarazzo al ricordo della sua visita del giorno prima per ringraziarla. Certo, non c'era stato niente da poter davvero fraintendere, ma era così felice che lui le avesse finalmente rivolto la parola, dopo tutto quel tempo, dopo la rottura tra loro; le era sembrato di parlare col suo vecchio Raffaello, burbero e pronto a perdere facilmente le staffe, ma in realtà dolce e attento, sotto la maschera da duro.
E com'era stato bello guardare di nuovo nei suoi occhi, per una volta.

Persa nei suoi pensieri, si accorse solo dopo qualche istante del riverbero azzurrino che splendeva nel rifugio in penombra, in fondo a destra. Si incamminò verso la zona video, in cui tutti e televisori erano sintonizzati sull'edizione del telegiornale del primo mattino, ad un volume bassissimo, che non aveva sentito dall'ingresso.
C'era qualcuno seduto sul divano, che ascoltava con avidità le notizie lette dalla avvenente giornalista.

Continuano senza sosta i crimini e gli atti di vandalismo per la città. New York si trova al centro di una spirale di delinquenza e criminalità come mai si era vista prima e ancora le forze dell'ordine brancolano nel buio, senza sapere chi si celi dietro questi orrori e misfatti. Non è più sicuro girare in certe zone della città e non è sicuro avventurarsi per le strade dopo il calare del sole, quando le strade si trasformano in veri e propri teatri di violenza e depravazione. Omicidi, furti, aggressioni e stupri sono ormai tristemente diventati routine, per tutti gli ignari e avventati cittadini senza protezione. Sono salite a trentasei le vittime di ieri notte, a causa di un incendio doloso ad un rifugio per senza tetto nei pressi del Queens, che ha divorato l'edificio e le persone che ospitava in pochi istanti, senza possibilità di salvezza.
Le forze dell'ordine invitano la popolazione a stare attenta e a non creare situazioni potenzialmente pericolose: non uscite dopo il tramonto, evitate le zone notoriamente malfamate e avvisate prontamente la polizia e tenetevi in disparte, nel caso assistiate ad un crimine. Ci colleghiamo col colonnello Morgan della Guardia Nazionale, per informazioni approfondite sul...”

Isabel rimase con gli occhi sgranati a fissare le immagini, ma ormai non riusciva più a sentire cosa l'uomo in divisa sullo schermo stesse dicendo, perché l'orrore e la rabbia avevano cancellato le percezioni esterne. Non si era resa conto che la situazione fosse così disperata; prima era stata quasi KO per potersi informare e il giorno precedente, il primo in cui era finalmente cosciente e vigile, non si era accorta o informata di cosa stesse succedendo a New York, stupidamente.
Era il caos. Era quasi anarchia.
Forse aveva espresso il suo pensiero a voce alta o aveva trattenuto il respiro dall'angoscia, perché la figura che era rimasta immobile a seguire le notizie si mosse e si voltò, scorgendo la sua figura.

Leo si alzò dal divano di colpo, divorato dalla paura e tuttavia sollevato nel vederla.
Da quanto sei qui? Hai sentito il notiziario?” le chiese velocemente, avvicinandosi a lei.
Isabel annuì soltanto, troppo affranta per dare voce alle preoccupazioni.

Ero preoccupato. Non è sicuro che tu giri in superficie, non... potrebbe succederti qualsiasi cosa!” continuò con voce alterata, poggiandole una mano sulla guancia.
Le occhiaie erano scomparse e il suo colorito era tornato normale, per fortuna; era così felice di vederla e poterle parlare, finalmente, dopo tutti quei giorni in cui aveva solo potuto vegliarla mentre riposava, vigilando il suo sonno perché niente le accadesse. Vigilare e proteggerla nel silenzio era tutto ciò che gli era concesso, lo sapeva, ma lo avrebbe fatto con ogni cellula del suo corpo, finché le forze lo avessero retto.

Isabel sollevò la mano e afferrò la sua appoggiata sulla guancia, stringendola con affetto.
Sto bene. Sono capace di difendermi, lo sai. E non rimarrò chiusa in casa, senza potervi vedere o sapere come state” rispose con dolcezza.
Rimani qua, allora! Tu sarai al sicuro e ci potrai tenere sott'occhio! Staremo entrambi tranquilli!” provò ancora lui, che proprio non ne voleva sapere di demordere.
Sarebbe stato felice di averla di nuovo sotto lo stesso tetto permanentemente, sia per saperla protetta che per averla di nuovo costantemente con sé; il pensiero che potesse succederle qualcosa lì fuori era capace di togliergli il sonno.

Sì e poi? Chiamerai anche April, Casey, Carl, Angel e Steve con tutta la famiglia al carico per stare qui? Non ci sono solo io lì fuori e di certo non possiamo stare tutti qua da voi!” ribatté lei con un mezzo sorriso accondiscendente, seppur commosso per la sua premura.

Beh, non sarebbe un'idea malvagia” sentirono dire ad una terza voce, che li sorprese.
Don era sulla porta dell'officina e si godeva la scena stranamente intima, con un sopracciglio inarcato.

Donnie! Sei d'accordo con lui?” esclamò Isabel sorpresa, scostandosi da Leo e facendo dei passetti verso di lui, con le mani che mulinavano di sorpresa.
Il genio si grattò il collo pensieroso, avvicinandosi a loro.

Non lo so. Ma so che sono preoccupato quanto lui. La superficie è diventata terra bruciata e siamo fortunati che tu abbia cancellato la memoria di Hun del nostro rifugio o probabilmente qua sotto la situazione non sarebbe migliore. La nostra casa è forse l'ultima zona sicura in città e forse dovremo davvero ospitarvi tutti qui! Perché il passo successivo di questa insana delinquenza sono le rivolte e le rappresaglie: i cittadini si uniranno in squadre di vigilanza per contrastare i criminali che la polizia non riesce a sconfiggere e sarà piena guerra. Non mancherà molto prima che qualcuno si faccia giustizia da solo e allora a pagarne le conseguenze potrebbero essere ancora più persone innocenti” spiegò affranto il genio, dando libertà alle sue paure, frutto però di pensieri razionali.

Don sapeva come ragionavano le persone e che potere avesse la pressione della massa sul singolo, soprattutto.
I tre si guardarono l'un l'altro con quel magone pressante nel petto, ma nessuno di loro aveva risposte o proposte concrete, perciò il passo successivo e ovvio fu attendere, provando a convivere con quella paura, nel guscio chiuso del non sapere.



Fu l'indomani, che le cose parvero già diverse, per quanto possibile.
La mattina iniziò nella stessa maniera della precedente, senza averlo programmato: Isabel entrò al rifugio all'alba per la lezione con il sensei e Leo, e trovò proprio quest'ultimo seduto ancora davanti ai televisori, avido di notizie fin dal primo mattino; o forse non aveva davvero dormito e aveva continuato a tormentarsi per dover stare nascosto invece di essere lì fuori a combattere e a dare una mano.
Ma le notizie di quel giorno erano differenti e rincuoranti. Riuscì a sentire uno spezzone mentre si avvicinava, dalla voce che a stento tratteneva l'eccitazione della consueta giornalista.

... e i superstiti sono ancora sconvolti e attoniti, nel capire la portata della minaccia che è stata sventata e che sarebbe costata loro la vita. L'ordigno esplosivo aveva una carica di plastico tale da poter spazzare via due interi isolati in ogni direzione dal centro dell'esplosione, l'Ospedale St. Matthius. Non si sa chi sia l'angelo che ha avvertito le autorità, catturato i tre uomini che hanno piazzato la bomba e disattivato la stessa; i pochi testimoni hanno ricordi confusi e frammentari, a causa della scarsa visibilità, ma dai pochi indizi gli ispettori sono riusciti a capire che il misterioso eroe è lo stesso che ieri sera al tramonto ha sventato una rapina in centro, senza lasciare quasi tracce dietro di sé. È la nascita di un nuovo supereroe? La città ne ha di certo bisogno, ora che i vecchi sembrano averla abbandonata, e i più si augurano che l'ignoto eroe continui a proteggere i cittadini e magari a spazzar via per sempre la cappa di delinquenza che ha coperto New York. Per l'edizione del mattino è tutto, grazie da...”

Leo spense i televisori e si accorse di lei, che era dietro lo schienale del divano, con le mani sul morbido rivestimento.
Si guardarono in silenzio e meraviglia, entrambi troppo sorpresi per parlare. La porta dell'officina si aprì e Don venne fuori, come il giorno precedente, ma con la stessa loro espressione in volto. Fu uno sguardo a tre.

Un misterioso vigilante che sbaraglia una micidiale esplosione e una imprevedibile rapina... beh, questo va ben oltre ogni rosea aspettativa” riuscì a dire Leo, che si sentiva stranamente... rincuorato? Il sapere che c'era qualcuno che stava facendo qualcosa, che stava combattendo contro il male al posto loro gli stava ridonando un po' di fiducia e forza.

Rosea aspettativa? È una cosa incredibile! Sapete perché quell'ospizio dell'altro giorno è bruciato e quell'ospedale di ieri notte è stato preso di mira? Il primo aveva dato rifugio a due uomini di una banda chiamata “Black Soul” che aveva preso piede e alcuni quartieri sotto il suo controllo mentre non c'erano più i Purple Dragons; e nel secondo posto sono ricoverati cinque uomini che erano quella notte nel magazzino esploso, che pare stiano prendendo accordi con la polizia per confessare in cambio di protezione... Capite? C'è Hun dietro a tutto e la città ormai è la sua scacchiera personale. Se trova questa persona la schiaccerà brutalmente e non voglio nemmeno immaginare cosa sarebbe capace di farle!” li informò con la voce sempre più alta e alterata, come se temesse qualcosa.

Fu Leo a capire cosa si celava nei pensieri del fratello.
Tu non pensi che... non è così stupido! Ha una moglie e un figlio! Casey non li metterebbe mai in pericolo!” lo difese il leader, anche se un minimo di sospetto era venuto anche a lui.
Il loro amico era ancora ferocemente nemico di Hun e dei Purple Dragons e non era strano che volesse vendicarsi per ciò che aveva fatto a suo padre e per ciò che aveva fatto a loro recentemente, e in più aveva una gran forza fisica ed era ferrato in meccanica ed elettronica... non era così impossibile che potesse disarmare una bomba. Ed era pazzo abbastanza.

Meglio assicurarcene. Pensi che le sei del mattino sia troppo presto per chiamarlo?” chiese Don, con già il telefonino in mano.
Se è stato in piedi tutta la notte per vigilare, sicuramente sì” fu la risposta pronta di Leo.
Ovviamente l'amico non rispose, il telefono suonava a vuoto e se in un primo momento ne erano rimasti allarmati, si ricordarono dopo qualche istante che era sua abitudine togliere la suoneria di notte, perché eventuali chiamate non disturbassero Carl o April.
Perciò con un po' di magone si diressero alle loro occupazioni, Don al laboratorio e Leo e Isabel al dojo per gli allenamenti.

Solo intorno alle nove, quando si trovarono in cucina per la colazione e Steve si unì a loro come ormai faceva ogni mattina, Don li informò delle novità.
Non è stato lui. Ci ho parlato per almeno mezz'ora e mi ha giurato e spergiurato che non c'entra nulla. Ha detto che gli sarebbe piaciuto fare qualcosa e che per mezzo minuto ci aveva pensato, ma che non avrebbe mai rischiato la sicurezza della sua famiglia per nulla al mondo. E io gli credo” spiegò mentre prendevano posto a tavola, per fare onore alla colazione che Mikey aveva amorevolmente preparato.
Beh, meglio così. È un'ottima cosa” mormorò Isabel, stretta in quel momento nell'abbraccio del suo fratello mutante, nel solito affettuoso rituale tra loro due.

Anche Steve aveva ormai posto in quella routine, perché Mikey lo aveva preso sotto la sua ala protettiva e ogni giorno lo sequestrava per qualche ora che passava con lui e tonnellate di videogiochi o fumetti o cartoni o ogni altro genere di intrattenimento il mutante pensasse dovesse piacergli e nel quale lui era maestro. Era quasi inorridito quando il ragazzino gli aveva confessato di non saper andare sullo skate, e tra le future ore che Steve avrebbe passato con loro mentre Leo gli avrebbe insegnato il ninjitsu, Mikey ne aveva prenotata qualcuna per insegnarli quello e altre cose per renderlo, -parole sue,- “figo”.

Sì, è rincuorante! Ma mi chiedo chi possa essere questo folle sprovveduto... e spero che non gli succeda nulla” soffiò Leo, che prese solo una tazza di caffè, evitando gli enormi pancakes ricolmi di miele fatti da Mikey.
Io lo posso scoprire” si sentì la voce di Steve, mezzo soffocata per il masticamento vorace e allegro della gustosa colazione.
Tu non farai proprio nulla!” lo rimproverò Leo, con un'occhiataccia torva. “Devi smetterla di ascoltare le voci di strada e ficcare il naso dove non devi!”
Steve si strofinò il naso con la mano libera e sostenne il suo sguardo.

Ma io sono utile. Voi siete bloccati qui e io scivolo nelle ombre in cerca di informazioni!” ribatté il giovane, strappando un altro morso dal pancake impalato sulla forchetta.
No, tu scivoli nelle ombre in mezzo a grossi guai! Sono serio: basta con le cose pericolose” continuò con la ramanzina il leader, placcandolo senza sosta. Era una scenetta che si ripeteva almeno una volta al giorno: Steve si proponeva per infiltrarsi e investigare, si lasciava scappare informazioni che aveva sentito, e Leo lo ammoniva perché stesse attento e non si mettesse nei guai, mentre loro erano confinati e impossibilitati a dargli una mano e difenderlo.
Se è così che la pensi, allora le ultime indiscrezioni che ho sentito, e che sono ovviamente pericolose, me le tengo per me” mise fine al discorso il giovane, alzandosi da tavola, gettando lì con finta innocenza l'amo.
Dimmi tutto quello che sai” lo minacciò Leo, affilando lo sguardo.

Steve indietreggiò di un paio di passi, come se avesse percepito tutta la portata dell'intimidazione del leader.
Solo se ammetti che sono utile e mi lascerai fare a modo mio” sibilò strisciando verso la porta della cucina, con gli occhi che saettavano da quella al tavolo per percepire ogni suo minimo movimento.
Non sto giocando, Steve... dimmi cosa hai scoperto!” tuonò Leo alzandosi dalla sedia con un solo gesto rapido e preciso.
Il ragazzino scattò nello stesso secondo, veloce come gli aveva detto di essere, una macchia sfocata, tanto che era già fuori dalla porta prima che lui riuscisse a spostarsi dal tavolo. Il leader gli corse dietro, con uno sbuffo esasperato e un urlo di richiamo, ovviamente inascoltato.

Io starei attento! Non è solo veloce, sa creare anche bombe catastrofiche con nulla! Mutante avvisato...” gli gridò Mikey, provando a suo modo a metterlo in guardia.

Isabel ridacchiava, per la prima volta da giorni.
Sono adorabili. Sembrano... non so, padre e figlio o due fratelli che si punzecchiano. Sono davvero adorabili” confessò sorridendo, improvvisamente molto più di buon'umore, forse nel vedere come stessero reagendo, nonostante tutto, come stessero riprendendo le forze e andando avanti, confrontando il futuro senza paure e a testa alta.
Senza dimenticare anche un po' di serenità e calore familiare.
La giornata passò in un clima pacifico, anche se Steve era stato catturato da Leo, alla fine, e aveva dovuto confessare ciò che aveva scoperto, e qualunque cosa fosse aveva gettato il leader in uno stato di cupa e silenziosa meditazione, come se stesse pensando a qualcosa di davvero importante e troppo grosso per poter essere rivelato in quel momento.



Il giorno seguente iniziò come il precedente e quello prima ancora. Non che lo stessero facendo apposta o lo avessero programmato, ma i consueti tre si ritrovarono seduti sul divano a guardare la televisione con ossessione, aspettando la prima edizione del mattino, desiderosi di sentire le novità.

La giornalista era visibilmente eccitata ed emozionata nel diffondere la notizia di almeno una decina di salvataggi e crimini sventati in una sola notte: le immagini scorsero sullo schermo, dai volti dei superstiti di una rapina in un lussuoso appartamento all'intervista rincuorante di un dottore che aveva in cura un paio di ragazzini che erano arrivati in nottata in piena overdose, le parole erano piene di speranza e gratitudine per il misterioso salvatore.
Era nero e veloce, tanto. Non sono riuscito a vederlo bene, ma era straordinario! E subito dopo, senza nemmeno una parola, è sparito in un soffio” disse eccitato un giovane che aveva scampato un'aggressione per pochi spiccioli, tenendo il microfono con mani tremanti.

Nero e veloce” ripeté a voce alta Leo, sovrappensiero.
Pensi di sapere chi sia?” saltò su Isabel dal suo fianco, con gli occhi pieni di sorpresa.
Potrebbe essere... Nobody. Che ne pensi, Don?” azzardò lui, cercando di fare memoria di quando fosse l'ultima volta che aveva avuto a che fare con lui o anche solo visto. Almeno tre anni prima, più o meno. O forse anche di più.
Con Nobody... tu intendi dire Nessuno?” chiese confusa Isabel, traducendo la parola nella sua testa, con un'espressione davvero comica mentre cercava di capire cosa lui stesse intendendo.

Don abbassò il volume della tv, con un sorriso in volto per l'equivoco.
È il nome di un eroe della città, Nobody: Nessuno. È una lunga storia” le spiegò brevemente, voltandosi poi verso Leo.
Ma non credo sia lui, è un membro della Justice Force, adesso. Si muoverebbero tutti insieme, nel caso. E sono in missione intorno all'orbita terrestre, al momento, perciò lo escludo del tutto!”
Sei di nuovo entrato... ehi, aspetta! Perché non fai una visita ai file della polizia e cerchi di scoprire più che puoi su cosa stia succedendo e sulle informazioni sul misterioso eroe?” sbottò entusiasta Leo, fiero della sua pensata.
Mi stai davvero chiedendo di andare contro la legge, Leo? E le tue ramanzine e il senso dell'onore dove sono finiti?” ribatté il genio con un sorrisino compiaciuto per essere finalmente riuscito a traviarlo sulla sua via della conoscenza, come chiamava lui le sue sbirciate ai computer del governo e delle forze dell'ordine.
Potrei sempre cambiare idea, sai, Donnie? Non tirare tanto la corda!”

Ok, ok, ma perché ti interessa così tanto scoprire chi sia questo individuo? Voglio dire: sta proteggendo la città mentre noi siamo fuori gioco, non è già tutto quello che dobbiamo sapere?” esclamò il genio sulla difensiva, sapendo quanto l'argomento dello spionaggio fosse spinoso con lui.
Certo, è tutto molto bello... ma non ti sembra strano che spunti fuori dal nulla un paladino della giustizia proprio nel momento del bisogno? Dov'era prima? Perché non ne abbiamo mai sentito parlare?”
Forse c'è sempre stato, ma non ci abbiamo mai fatto caso... magari le sue imprese erano confuse tra le nostre o quelle della Justice force o delle forze di sicurezza e non hanno mai spiccato come in questo momento in cui c'è un grande caos e anche il più piccolo gesto di giustizia viene messo sotto i riflettori!” provò a spiegare Don, tirando ad indovinare.
Beh, hai ragione. Ma è meglio se ne sappiamo di più. Possiamo aiutare questa persona o darle una mano nel caso succedesse qualcosa. Non fa mai male saperne il più possibile, no?”

Leo si alzò dal divano stiracchiando le braccia, in direzione del dojo, seguito a ruota da Isabel, mentre Don si recava al suo laboratorio, per investigare con tutte le sue risorse.
Che c'è?” domandò il leader nell'accorgersi che lei si era fermata e che stava guardando Donnie andare via. Si voltò in fretta alla domanda e si mosse verso di lui, accelerando il passo.
Niente. Solo che... è davvero sicuro che Don entri nei computer della polizia? Non ti chiedo se ne sia capace, so che deve essere una bazzecola per lui, ma mi chiedo se non sia pericoloso” confessò Isabel mordendosi un labbro dall'agitazione.
Ah, non sai quante volte me lo sono chiesto anche io! Vivo col terrore che prima o poi lo scoprano... ma lui ogni volta ridacchia e mi dice che se non sono riusciti a scoprirlo finora, non ci riusciranno mai. E Donnie potrà anche essere il più timido e schivo, ma quando si tratta delle sue competenze tecniche diventa davvero uno spaccone” esalò Leo, strappandole una risatina, forse per come lo aveva detto o al pensiero di un Don sbruffone.

Non lo videro né sentirono per quasi tutto il giorno, in cui era rimasto seppellito nel suo laboratorio a scrutare in centinaia, se non migliaia di file. Uscì fuori nel tardo pomeriggio, con gli occhi rossi e stanchi per la costante e lunga ricerca, un po' frastornato.
Si recò in cucina e prese una tazza generosa di thé caldo, poggiandosi poi contro il bancone della cucina. Leo e Isabel gli erano andati dietro, desiderosi di avere informazioni, e avevano pazientato durante tutta la sua sequela di preparazione per la bevanda, silenziosi.

Ho le gambe atrofizzate e il mio fondo schiena...” iniziò a lagnarsi per aver dovuto stare seduto per ore.
Si, scusa, ma non ci frega molto del tuo fondo schiena! Spostati” lo interruppe Raph, che era di turno per preparare la cena.

Si sporse per aprire lo sportello in alto e prendere un barattolo di conserva, poi ritornò al suo angolo davanti ai fornelli, senza prestare loro nessuna attenzione. Leo lo teneva d'occhio con discrezione, giusto per essere sicuro delle sue reazioni, essendo nella stessa stanza con Isabel; ma non accadde nulla. Nessun sguardo buttato per caso o di proposito, era come se nemmeno sapesse che era lì.
Era lei, invece, a saettare con gli occhi verso la direzione del fratello, spesso, fugacemente e nel pensiero di non essere scoperta. Certo, se lui non l'avesse tenuta d'occhio, sarebbero davvero passati inosservati. Ma sapeva che lei e Raphael si erano parlati, il piccolo ficcanaso glielo aveva detto, con un tono di voce cupo da funerale. Come se lui dovesse sentirsi male e deprimersi solo perché si erano parlati: sapeva che una cosa del genere sarebbe accaduta, prima o poi. E dei due, palesemente, era lei quella presa dalla cosa. Quello, lo faceva stare davvero male.

Allora, Donnie... novità?” chiese in fretta, distogliendo con forza la mente da quel circolo di pensieri.
Il genio bevve un altro sorso dalla sua tazza con su scritto: “World genius #1”, un regalo di Mikey.

Ci sono almeno una ventina di file criptati, che mi hanno dato filo da torcere. A quanto pare la polizia sa benissimo che Hun è dietro a tutto ciò che sta succedendo in città e stanno investigando sui suoi traffici con dei signori della droga colombiani e due trafficanti di armi dall'Europa dell'Est. C'è dietro una rete di contatti e sospetti da fare impallidire anche il più esperto agente di sicurezza. Non ce n'eravamo affatto accorti, ma il nostro caro nemico stava intessendo un piano grandioso in tutto questo tempo” iniziò a raccontare Don, con la sua voce rassicurante, che però stonava con le orribili notizie che portava.

Un piano davvero oltre la sua portata” fu la replica astiosa del leader, a cui bruciava ancora la facilità con cui li aveva attirati in trappola e battuti senza possibilità di difesa.
Beh, lo credevo anche io. Ma ha fatto le cose per bene; scambi di favori, minacce, rappresaglie e opportuni lavoretti per le persone giuste, e adesso ha nelle sue mani tutto ciò che gli serve per rivoluzionare la città: uomini, armi, droga e paura. La polizia sa tutte queste cose, ma non può muoversi: non sanno fin dove la sua forza possa arrivare, non sanno chi accorrerà in suo aiuto se venisse attaccato o quanta potenza di fuoco potrebbe sprigionare. Stanno vagliando le possibilità, ma ci sono quasi otto milioni di abitanti in questa enorme arena, non possono muoversi senza precauzioni.”

Leo si sedette al tavolo, col volto livido e scuro, al sentire quanto catastrofica fosse in realtà la situazione; aveva creduto che Hun fosse solo appena più preparato del solito, il consueto idiota tutto parole che alla fine avrebbero battuto con facilità, come avevano sempre fatto, ma non ne era più così sicuro.
Come avrebbero fatto a batterlo, quella volta? Perché non farlo avrebbe significato la loro fine e la capitolazione di New York.
Sentì la mano di Don poggiarsi sulla sua spalla.

Penseremo ad un buon piano. Uno che elimini quell'idiota definitivamente” mormorò, rispondendo alla sua domanda mentale.
Quel geniaccio sapeva sempre cosa gli frullava per la testa. Beh, quasi sempre. Non sospettava per niente quello che sentiva per Isabel e tanto meglio così.

E del misterioso vigilante?” domandò la voce di lei, curiosa.
Nessuna notizia, niente di niente. Giusto un paio di descrizioni di testimoni, ma che cozzano le une con le altre: alto, basso, magro, grasso, bianco, nero. Uno è stato sincero e ha detto che era troppo veloce per poter essere visto davvero. La polizia non ci sta davvero indagando, almeno finché compie azioni che aiutano la gente.”
Abbiamo un nemico certo e preparato, un aiuto non certo e misterioso. Dobbiamo rimetterci in forze al più presto e fare un piano efficace. Non possiamo rimanere ancora passivi e guardare Hun fare i suoi comodi.”
La cucina cadde nel silenzio, ma erano tutti d'accordo con le parole ispirate e giuste del leader. Perfino Raphael, che aveva ascoltato tutto senza farsi scoprire, era d'accordo con loro; agire subito e con forza era la soluzione migliore.

Isabel andò via subito prima di cena, con la promessa di farsi sentire non appena fosse arrivata a casa, così da non farli preoccupare.
Leo tenne il cellulare in mano per tutto il tempo, stringendolo tanto forte per l'ansia, aspettando il messaggio. Da quando era diventato quell'ammasso di angoscia e passività? Certo, lui più di tutti l'aveva a cuore, perché era la donna che amava. Era normale che si sentisse responsabile e in agitazione, avrebbe voluto proteggerla, vegliare su di lei e non aspettare, senza sapere niente o poter fare niente.
Non era nella sua natura aspettare senza agire e lasciare persone care brancolare lontano dal suo sguardo. Lasciare chiunque a brancolare nel buio.

E il pensiero corse inaspettatamente verso il misterioso vigilante notturno, un po' in apprensione, nel non avere idea di chi fosse e quanto affidamento potessero farci, un po' sollevato, al sapere che c'era qualcuno che salvava e proteggeva la città al posto loro, anche per poco, anche di poco.
Sentì la mano di Splinter che si poggiava sul suo avambraccio e si riscosse. Sapeva che era del maestro, sentiva le onde serene del suo animo accarezzare la sua mente.

Sento che sei agitato, figliolo. Che ne dici di un po' di meditazione?” propose con tono bonario, anche se la lunga coda spazzava il terreno, sottaciuto segno di probabile agitazione.

Leo sorrise fugacemente e piegò il capo.
Certo, sensei. Credo che mi farà bene” rispose cortesemente, celando però nel suo cuore pensieri e timori che non avrebbe mai mostrato al padre, pregando di essere abbastanza bravo da riuscirci per davvero.



Note:
Buon giorno a tutti.
Siamo in un momento di transizione. I nostri riprendono le forze e intanto in città c'è un misterioso vigilante spuntato fuori dal nulla... ma sarà davvero così?
C'è caos, ancora domande e dubbi.
La storia prosegue e ci aspettano ancora tante cose e colpi di scena.

Ringrazio davvero tutti voi che leggete, e specialmente chi recensisce. Vi adoro.
E grazie a SaraJane92 che mi ha mandato altri due splendidi disegni: uno tratto da JTWYA e uno che è lo studio del personaggio di Steve. Fantastici! Li adoro da morire! Hai un futuro splendido davanti!
Grazie!
Grazie a tutti, di cuore!
A presto abbraccione

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Capitolo 20
*** Reckless move ***


Isabel si strofinò gli occhi, soffocando uno sbadiglio. I cunicoli delle fogne erano sempre in penombra, perciò doveva tenere gli occhi bene aperti per non inciampare, ma era particolarmente difficile quella mattina; era stato difficile anche staccarsi dal letto morbido e accogliente. Solo il pensiero di una doccia rinfrescante in quella prima settimana afosa di Luglio era riuscita infine a strapparla dalle grinfie del sonno e a convincerla ad alzarsi.

Si stiracchiò un po' mentre con la mente iniziava a pensare alla lezione di quel giorno. Dato che con gli affondi e le parate stava progredendo in maniera spedita, Splinter aveva detto che le avrebbe insegnato finalmente a lanciare i Tessen e lei non vedeva l'ora di cimentarsi: Leo gliel'aveva già mostrato, ma era stato lui alla fin fine a lanciare entrambi i ventagli, perciò non vedeva l'ora di essere lei, con le sue proprie mani, a provare la mossa. Pregò di non causare incidenti, -fortunatamente Splinter era veloce a schivare e per sicurezza si ripromise di chiedere a Leo di uscire dal dojo prima di provare. Meno persone, meno incidenti.

Si fermò davanti alla porta del rifugio e attese che si aprisse, pazientemente: si aspettava di trovare la solita penombra, magari giusto il flebile luccichio degli schermi tv, perciò rimase attonita e un po' confusa da tutta la luce che fuoriuscì dal rifugio.
Fece un paio di passetti e strizzò le palpebre per mettere a fuoco, ma quel che vide non le piacque.
C'era un mutante che l'aspettava, impettito e silente davanti all'ingresso, proprio alla fine della rampa che scendeva nella circonferenza del laghetto. Era senza maschera e la stava guardando, con sguardo arrabbiato e fuori di sé.

Buon giorno” esalò poco convinta, entrando nel rifugio.
Dall'altra parte c'era solo silenzio. Stava forse aspettando che si avvicinasse ancora per poi balzarle addosso?
Quei pochi metri dalla porta al laghetto non le erano mai sembrati tanto lunghi, soprattutto nella vana attesa che l'altro aprisse bocca e parlasse.
Si fermò davanti a lui e deglutì, sapendo già cosa stava per arrivare.

Che cosa pensi di fare? Stai cercando di ucciderti?” la assalì Leo con tono cattivo, che la fece sobbalzare dalla sorpresa.
Non ebbe nemmeno il tempo di metabolizzare lo spavento perché una volta dato il via, iniziò a investirla, senza respiro.

Pensi che sia un gioco? Perché non ce ne hai parlato? E se ti fosse successo qualcosa? Se... se... è pericoloso! Non puoi! Smettila immediatamente! Come ti è saltato in mente di trasformarti in un giustiziere notturno?” continuò, arrabbiato e spaventato.
La sua carnagione verde foresta aveva perso colore nei pressi del suo viso. Lo sguardo di lei era incatenato al suo e leggeva le sue reazioni, dalle espressioni e dai gesti inconsci: era davvero preoccupato per lei. Al punto da tremare sottilmente, senza esserne consapevole.
E quello era il motivo per cui non gliene aveva parlato.

Come hai fatto a...” iniziò a chiedere, anche se sapeva già la risposta.
Steve!” fu la replica asciutta di Leo.
Già, lo sapeva che c'era l'adorabile e sapientino ragazzino dietro. Una vera e propria spia.

Uno dei testimoni dell'ospedale si è ricordato che il misterioso eroe lo ha aiutato a scappare per le scale e che aveva una figura piuttosto esile e un rigonfiamento eccessivo nella parte del torace... ti dice niente?” la informò, con un sopracciglio in su di rimprovero.
E ha diffuso l'informazione in giro, sicuramente per poter avere un'esclusiva dalla tv. Peccato però che nelle mani sbagliate sia una notizia davvero pericolosa! Hai una vaga idea di come mi sia sentito appena l'ho capito?” incalzò arrabbiato, senza darle davvero il tempo di rispondere, solo desideroso di buttare fuori tutta quella furia e quel rimprovero, tenuto a lungo nel petto e la mente mentre aspettava che lei arrivasse.

Quando aveva ricevuto la chiamata da Steve, e aveva capito chi fosse il misterioso eroe notturno, aveva perso la calma, la concentrazione e ogni battito, al pensiero di cosa potesse capitarle. Era così in preda all'ansia da prendersela anche con lei, anche se avrebbe voluto abbracciarla, invece, e impedirle di staccarsi da lui, per tenerla al sicuro.

Ma io non potevo rimanere senza far niente! Voi siete bloccati qui sotto e lì fuori c'è il caos! Ho pensato di poter essere utile, di poter prendere per un po' la responsabilità sulle mie spalle e lasciarvi il tempo di rimettervi in forze. Non avrò la vostra esperienza, ma non sono una sprovveduta!” spiegò velocemente lei, approfittando della pausa mentre lui prendeva fiato, cercando di fargli capire che non era una stupida e che aveva pensato ai pro e ai contro.
Sì che lo sei! Non hai nemmeno idea di come sia New York e come funzioni! Non puoi fare i tuoi comodi e pensare che non disturberà nessuno! Ci sono occhi e orecchie che riferiscono a chi non dovrebbe mai sapere! Che fai se qualcuno ti ha vista? Come pensi di agire se ti scoprono? Sei un'umana e devi girare spesso in superficie, a differenza nostra!” continuò imperterrito Leo, sempre più furioso, al sentire che lei non voleva capire.
Non poteva capire, in realtà. Non lo sapeva quanta paura gli avesse fatto scoprire di poter provare, nell'istante in cui l'aveva immaginata da sola là fuori a combattere.

Ma nessuno mi conosce o sa che sono...” provò a difendersi lei, in quell'unilaterale e piuttosto soggettivo processo.
Leo sembrava voler essere giudice e giuria, senza nemmeno darle modo di difendersi e spiegarsi, per provare a fargli capire perché avesse agito in quel modo. Certo, il suo “reato” poteva sembrare grave, ma se solo avesse ascoltato ciò che aveva da dire.
Lui sbuffò esasperato e fece dei passi verso di lei, le mani strette a pugno, con le nocche bianche, resistendo all'impulso di afferrarla e scuoterla.

Hai idea di quanto sia pericoloso? Hai idea di quello che ti potrebbe accadere se cadessi nelle mani di Hun o di uno dei suoi scagnozzi? Ti torturerebbero per avere informazioni o per il solo gusto di farlo! Non puoi nemmeno immaginare cosa potrebbero farti” urlò furioso, divorato dalla paura e la sua stupida noncuranza per sé stessa.

Le labbra di Isabel si sollevarono in un mezzo ghigno, freddo e spento, che non aveva niente a che fare con il sorriso dolce e solare di sempre: si slanciò in avanti e si fermò a nemmeno un passo da lui, il viso in alto per guardarlo negli occhi, lo sguardo che scintillava di orrore e disperazione.
Ma davvero? Parlami di torture, Leo... hai ragione, non so proprio niente. Della disperazione, del dolore, del pressante desiderio di morire, degli incubi e della sofferenza che ti si incidono dell'anima... parlami dei secondi che diventano eterno strazio e del cuore che smette di battere se non per la paura. E dell'assuefazione al tormento, tanto da non sapere se proverai mai di nuovo sentimenti e sensazioni umane... parlamene tu, Leo, dato che ne sai più di me” esalò con una voce roca e oscura che graffiava le orecchie, disperata come la morte, gli occhi lucidi di lacrime trattenute, come specchi che riflettevano ere di supplizi.

Leo sobbalzò e trattenne il respiro, attonito, ma non riuscì a staccare lo sguardo da quello tormentato di lei, dove lo scrigno dei ricordi seppellito nel fondo si era aperto.
Allungò le mani e l'abbracciò, repentino e svelto, per placare insieme il tremore che scuoteva entrambi.

Mi dispiace. Mi dispiace, Isabel, mi dispiace! Scusami, perdonami, mi dispiace” sussurrò come una litania, stringendosela contro. Era fredda e con le pulsazioni a mille, scossa da un lieve tremolio e spenta, come una statua senza vita.
Come poteva essere stato così stupido? Parlarle in quel modo e tirare fuori le torture... come aveva potuto non pensare a ciò che le era successo? A quella sofferenza a cui persino lui era stato testimone, a quei mesi di disperazione e violenza che l'avevano ferita fuori e dentro, per sempre.

Sentì il fiato di Isabel sfiorargli la pelle nel collo in piccoli e corti respiri affannati, in preda ad un attacco d'ansia, e la strinse più forte, passandole una mano sulla schiena per provare a rassicurarla.
Mi dispiace. Sono uno stupido, sono un idiota. Dimentica tutto. Torna qui con me” mormorò affranto, praticamente supplicandola.
Un respiro profondo spezzò quelli corti come se si fosse riscossa da un'apnea, e poi Isabel sospirò, tremante. Sentì il battito del suo cuore ritornare ad un ritmo normale, forse solo appena più accelerato, e le sue mani muoversi e risalire sul torace, chiudersi in pugni sul seno in un gesto di protezione, rannicchiandosi e facendosi piccola piccola, affondando di più la testa nel suo petto.

Scusami. Non avrei dovuto reagire così male... io sono... ancora...” provò a dire, ma le parole le morirono in gola, con un singulto secco.
No, è ok, è colpa mia. Va tutto bene, è tutto a posto. Ero preoccupato e ho reagito male io, perdonami” si scusò in agitazione, con la guancia poggiata sulla sua testa.
Stringerla e proteggerla era tutto ciò che poteva fare, ma quanto era affidabile, se era lui stesso il primo ad arrecarle dolore?

Siamo nel rifugio e tu stai bene. Non c'è niente che non vada, è tutto a posto. Ci sono io con te.”
Isabel singhiozzò piano tra le sue braccia, immobile.

Però, per favore, promettimi di non metterti più in pericolo. Promettimelo, Isabel. Non voglio temere che ti accada qualcosa” le chiese con premura e dolcezza, carezzandole la testa.
Lei annuì solamente, stretta nel suo abbraccio, fragile e tormentata.

Era riuscito a farla piangere... si sentì sporco, indegno di poterla anche solo guardare, figurarsi stringerla. Aveva riversato su di lei la sua frustrazione accumulata e le sue paure, e l'aveva ferita. Non era di certo quello che faceva un uomo alla donna che amava.
Ma per quanto si sforzasse di essere sempre al meglio e seguire i suoi sentimenti, era completamente negato. Non sapeva cosa fare o dire per poterla sostenere e difendere.
Il pianto silenzioso scemò di intensità e si spense, non seppero nemmeno dopo quanto. Quando si sentì di nuovo in sé, Isabel si allontanò delicatamente da lui e si asciugò le lacrime col dorso della mano, rivolgendogli infine uno sguardo, anche se titubante: gli occhi erano rossi e un po' gonfi, umidi e ancora feriti.

Lui le propose di saltare l'allenamento e di andare a casa a riposare, ma lei scappò invece verso il bagno per sciacquarsi il viso e quando Splinter apparve dalla sua stanza, lei era già di ritorno, facendo finta di nulla.
Eppure era diversa, anche se forse non se n'era accorta. Più silenziosa e tesa, spenta e guardinga.
Perfino il sensei se ne accorse, anche se non fece domande, captando lo sguardo di Leo, che gli comunicò in silenzio che gli avrebbe spiegato più tardi.
La meditazione fu un completo disastro, con la mente di tutti così in subbuglio, e la tanto attesa lezione per lanciare i Tessen seguì quella scia: Isabel era talmente poco attenta e motivata da non provarci nemmeno, benché sapessero che lei non vedeva l'ora di arrivare a quella lezione.

Alla fine, all'inizio della sera, lei si congedò, velocemente e un po' freddamente, quasi desiderosa di sparire all'istante.
Leo avrebbe voluto abbracciarla ancora, ma non poteva davanti agli altri, non senza lasciar trapelare ogni cosa.

Manda un messaggio quando arrivi” si raccomandò, poggiando una mano sulla sua testa con dolcezza.
Lei annuì e si voltò, avviandosi oltre il portellone d'ingresso, in silenzio.

Cos'è successo a Isabel?” chiese Mikey affranto, guardando la figura allontanarsi sempre più fino a sparire nella penombra del tunnel.
È successo che sono un idiota” rispose tra i denti Leo, allontanandosi da lì col shellcell stretto forte nel pugno, tanto che scricchiolò.



Isabel risalì in superficie e uscì dal solito tombino, nascosto in un vicolo deserto a due traverse dal suo appartamento. Compì i soliti movimenti come in trance: sollevare il coperchio, controllare che non ci fosse nessuno, saltare fuori, rimettere a posto il tombino e scivolare via da lì senza dare nell'occhio. Non stava prestando attenzione a nessun gesto, la sua mente era come bloccata.
Si sentiva una sciocca e tuttavia straziata, e non poteva farne a meno. Pensava di aver reagito in maniera spropositata, ma il cuore le diceva che era invece troppo poco, che c'era ancora tanto dolore seppellito nel fondo di sé. E che invece di guarire, stava scendendo sempre più in una spirale senza fine di sofferenza.
Dov'era la felicità che aveva pensato di avere una volta tornata lì? Dov'era il suo futuro roseo e sereno, al fianco dell'uomo che amava, che avrebbe cancellato ogni più piccolo ricordo negativo e doloroso del passato?

Continuò a camminare verso casa, infilandosi nella rete di vicoli sicuri e ormai conosciuti, pensando a tutto quello che era successo.
Aveva pianto davanti a Leo e lo aveva spaventato. Sapeva che non sarebbe stato d'accordo se gli avesse detto che aveva intenzione di pattugliare le strade al posto loro e che glielo avrebbe impedito. Continuava a pensare che non fosse pronta per gli scontri veri e a proteggerla.
Lei non aveva la loro preparazione e la loro forza, ma poteva contare sulla magia, che fino a quel momento l'aveva aiutata e sostenuta in quelle imprese. Aveva pensato che dare una mano fosse la cosa giusta, e ne era ancora convinta, ma presa nel momento di debolezza aveva promesso a Leo di non farlo più e non avrebbe rotto la parola data. Nemmeno quella detta in un momento di fragilità.

Si riscosse nell'accorgersi che era quasi arrivata e che nel suo deambulare in stato di trance aveva quasi buttato giù una vecchina che teneva due enormi buste della spesa, talmente pesanti da trascinare le sue spalle e la sua schiena in giù.
Ogni passo era lento e straziante, perfino da vedere. Isabel titubò un secondo al pensiero se dovesse o meno aiutarla, combattendo con la sua sfiducia e la paura che si erano risvegliate quel giorno nel suo corpo.
Poi riconobbe il foulard che la donna teneva legato in testa, blu e bianco con motivi greci, e si ricordò della vecchina che abitava nel palazzo di fronte; la ricordava bene proprio per quel particolare e vistoso copricapo, che lei sfoggiava con orgoglio come retaggio della sua ascendenza. Si ricordò dei sorrisi cortesi che la donna le rivolgeva quando si incontravano giù per la strada e le si scaldò il cuore.

Signora, le serve una mano?” domandò accelerando il passo per accostarsi, commossa dalla sua fatica.
La vecchina si bloccò e le tese una delle buste, un millesimo di secondo prima di alzarsi di scatto e gettarsi contro di lei, il foulard che cadde a terra rivelando una testa lucida incisa da un tatuaggio.

Una lama scintillò, uno schizzo di sangue riempì l'aria e fu il buio, totale e freddo, avvolgente.



Leo camminava avanti e dietro per la cucina, col shellcell in mano, sotto lo sguardo annoiato di Don, che preparava la cena.
La fai finita?” esalò il genio pelando e affettando le verdure, senza prestargli troppa attenzione.
Dalla porta fecero capolino Raph e Mikey, attirati dal profumo di qualunque cosa stesse sobbollendo nelle pentole sul fuoco. Si erano entrambi ormai ripresi del tutto e avevano passato la giornata ad allenarsi tra di loro dall'altra parte del dojo, con pesi e attrezzi per sciogliere i muscoli addormentati dal riposo forzato.

Ma avrebbe dovuto avere già mandato un messaggio. Non è da lei non farsi sentire” rispose il leader ignorando l'entrata dei fratelli, continuando a camminare in tondo.
Probabilmente è entrata in un negozio e si è attardata. È perfettamente capace di difendersi, non c'è da preoccuparsi” ribatté convinto Don, deciso a smontare tutte le sue lamentele.
No. C'è qualcosa che non va” replicò il leader a denti stretti, annoiato invece dalle sue risposte pronte.
Perché devi per forza reagire in maniera così apprensiva? Non è una sprovveduta e se volesse potrebbe spazzare via metà città con un dito. Non capisco proprio perché ti stia preoccupando così tanto.”

Parlate di Isabel? Era strana, oggi” si intromise Mikey, sollevando i coperchi per annusare per bene le pietanze. Si toccò la pancia con appetito e allungò la mano per afferrare un cucchiaio di legno dal pensile per assaggiare.
Non sembrava nemmeno lei” finì di dire mentre si apprestava a tuffare l'utensile nella pentola.
È colpa mia... stavamo parlando e... le ho ricordato senza volere le torture che ha subito e lei... ha pianto” confessò con un filo di voce Leo, ascoltando il silenzio teso che seguì le sue parole. Mikey aveva perfino lasciato cadere il cucchiaio nella zuppa, con un tonfo acquoso.

Tre identici respiri bruschi arrivarono, come aveva previsto.
Ma sei scemo?” fu la secca reazione di Raph, che a dover essere sincero non si era davvero aspettato.
Come si fa a menzionare per caso e senza volere un argomento come quello?” lo accusò Don, che si era voltato verso di lui con ancora il coltello per pelare in una mano.
Ecco perché era così strana. È ovvio che non stia per niente bene, e tu l'hai lasciata andare a casa! Fai bene a sentirti preoccupato!” esclamò affranto Mikey, con uno sguardo scuro.
Sì, grazie. Le so già da me queste cose! Grazie per aver messo il dito nella piaga” replicò acidamente il leader, allontanandosi a grandi passi da loro.
Cosa si era aspettato nel confessarlo? Un applauso per il suo poco tatto e la sua stupidità? Era già tanto che Raph non lo avesse picchiato. Il vecchio Raph che stava con Isabel lo avrebbe fatto, probabilmente.

Compose il numero di Isabel e premette il telefonino all'orecchio, aspettando col magone che lei rispondesse, mentre ascoltava il suono ritmato che lo avvisava che la chiamata era in corso.
Era appena uscito dalla cucina quando la sentì: una musica proveniva flebile dalla porta dell'ascensore, che sembrava in discesa verso il rifugio. Allontanò appena il telefono e ascoltò. Gli sembrava di conoscere quella melodia.
Il suono dentro il cellulare risuonava in sincrono con la musica, sempre più forte via via che l'ascensore si avvicinava: era la canzone di una band che non conosceva, ma che aveva già sentito altre volte.

Ragazzi!” chiamò con un tono di voce allarmato, al capire a chi appartenesse il telefono che squillava e che c'era qualcosa che decisamente non andava.
I tre gli erano andati dietro per continuare a fargli domande e rimproverarlo, perciò erano già alle sue spalle e aspettavano in silenzio, anche loro con un mezzo sospetto.

Le porte dell'ascensore si spalancarono di colpo e Isabel barcollò fuori, tenendosi la spalla destra con la mano: la camicetta color panna era lacerata e completamente imbevuta del suo sangue, creando una macchia cremisi dalle sfrangiature irregolari sul suo petto e il braccio.
Isabel!” strillarono, al vederla accasciarsi al suolo dopo pochi passi.
Cadde sulle ginocchia, con un tonfo sordo. Sollevò la testa e li guardò, con lo sguardo dolorante e spaventato, sforzando un sorriso che risultò più un ghigno.
Mikey fu il primo ad arrivare da lei. Si gettò in ginocchio e la sorresse, preoccupato dal suo colorito pallido e da tutto il sangue.

Isabel, cos'è successo?” le chiesero lui e Don assieme, che intanto si era inchinato per controllare la sua ferita.
Purple Dragons” sibilò in risposta, trattenendo un singulto di dolore quando lui cercò di togliere la sua mano per poterla ispezionare.

Don strappò via la corta manica della sua camicetta, ormai completamente rossa, e trattenne un'esclamazione preoccupata: il colpo era stato inferto da destra a sinistra, dal basso verso l'alto, e aveva creato una enorme lacerazione che dal braccio arrivava fino alla clavicola, profonda e dall'aria dolorosa; l'osso era visibile sotto il sangue e solo per pochi millimetri sembrava non essere stata incisa la giugulare.
Stavo... tornando a casa... e c'era una vecchina che si affannava con le buste, così mi sono offerta di aiutarla. Ma non era una signora: si è alzato e mi ha attaccato con un coltello da caccia. È stato tutto troppo veloce, non sono riuscita a tirare fuori i Tessen o a creare una barriera: ho sentito il dolore e i miei poteri sono esplosi. Quando mi sono risvegliata era svenuto e io sono riuscita a trascinarmi qua, facendo attenzione a non lasciare tracce di sangue.”

La sua voce si era fatta via via più flebile e il suo respiro corto e debole. Guardarono il suo colorito diventare sempre più pallido e livido, con preoccupazione crescente. Persino Raphael non riuscì a dissimulare l'espressione rabbiosa e agitata che aveva preso il suo viso.
Don premeva con la mano sulla ferita per cercare di fermare l'emorragia.

Ha detto... mentre colpiva, ha detto... che Hun vi manda i suoi saluti” riuscì a sussurrare Isabel, ad un passo dallo svenimento.

Raphael si inchinò davanti a lei e le prese il viso con una mano, tirandolo su, deciso a curarla coi suoi poteri. Avvicinò le labbra alle sue, repentinamente, ma si scontrarono con il dorso della mano di Isabel, che lei aveva alzato all'ultimo istante per coprirsi la bocca.
Cosa credi di fare?” ansimò con enorme sforzo, ormai completamente poggiata contro Mikey, che aveva assistito alla scena senza riuscire ad intervenire per la sorpresa.
Voglio curarti! Smettila di fare la stupida stoica e lasciamelo fare!” sbottò Raph irato, come se fosse una domanda sciocca, la sua. Non era ovvio che volesse solo curarla e far sparire il dolore dal fondo dei suoi occhi?
Isabel scosse la testa, macchiandosi le guance di sangue, di cui la mano era piena.

Donnie, mi servono dei punti e un po' della mia pomata magica” disse, ignorando la sua proposta; allungò la mano tremolante e lo allontanò da sé, garbatamente.

Mikey la prese in braccio, cercando di non scuoterla, e lei si lasciò andare contro il suo torace, esausta.
Promettetemi che non andrete da Hun. Voglio prenderlo a calci... io” mormorò, biascicando le parole.
Ci puoi scommettere” la rassicurò Mikey, poggiandole una guancia contro la fronte con affetto. Poi seguì velocemente Donnie, che gli fece strada verso il laboratorio. La porta si chiuse dietro di loro con un tonfo secco, che riecheggiò nel silenzio del rifugio.

Raphael distolse lo sguardo con rabbia e lo abbassò invece sul petto, dove l'impronta insanguinata della mano di Isabel era rimasta impressa, lucida e grottesca contro il nero serico della tuta.
Una furia cocente lo investì e si rialzò, di colpo, con uno sbuffo sofferto.
Leo era al suo fianco, con la stessa espressione livida, con la stessa mascella contratta, con la stessa luce omicida negli occhi. Si guardarono, senza una parola, poi si incamminarono verso l'uscita, allo stesso passo, con lo stesso intento.




Note:
Salve! Buon giorno a tutti!
Allora, il vigilante era Isabel. Chi c'era arrivato? Avevo messo dei depistaggi, perciò non importa. Quando quella mattina hanno sentito le notizie, lei ha deciso di agire, e difatti è già dal giorno dopo che si sente parlare del vigilante.
Ovviamente si è aiutata con la magia.
Ma Steve l'impiccione colpisce ancora. Poverino, l'ha fatto in buona fede, lui. Mica credeva che Leo preso dalla paura l'aggredisse in quel modo. Esagerato, è vero, ma adoro quando la stringe e la consola. Ah, com'è dolce.
Vi mando un grosso abbraccio e grazie a tutte voi che leggete, a chi commenta, ai nuovi arrivi.
Grazie. A presto

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Capitolo 21
*** Bloodthirsty night ***


L'ascensore salì troppo lentamente, mentre i due fissavano in silenzio le gocce di sangue sul pavimento, sentendo la furia montare nelle vene ad ondate ogni secondo di più, ad ogni macchia rossa che si sovrastava l'una sull'altra sulla superficie lucente.
Scivolarono fuori dal garage, sparendo in un baleno nelle prime ombre rossastre del tramonto, su, in alto, sul tetto del primo palazzo disponibile. E corsero, di tettoia in cornicione, lontani e veloci, pura forza e urgenza.

Nessuno dei due parlò, ma Raph seguì la scia di Leo con sicurezza, fiducioso nel credere che lui sapesse dove andare.
E Leo lo sapeva davvero.
Quello che Steve aveva sentito dire giorni prima, e che lui gli aveva estorto con la forza quando lo aveva preso dopo la sua veloce fuga, era proprio la locazione del nuovo rifugio di Hun, dove lui e i suoi fidi scagnozzi si riunivano per mettere a punto i piani per la giornata.
Oh, Steve gli aveva anche detto che erano solo voci di strada e che forse non c'era da fare così affidamento, ma Leo sapeva che andare a dare un'occhiata era il solo modo di saperlo per certo.

Saltò con un grande balzo la distanza tra due palazzi davvero lontani tra loro, -più si allontanavano dal centro e più le proprietà erano distanti le une dalle altre, mentre sporadici fazzoletti di terra e patii comparivano attorno,- e con una capriola a terra smorzò la velocità di atterraggio; il tonfo alle sue spalle lo avvertì che Raph era proprio dietro di lui.
Riprese la sua corsa folle e cieca, mentre la notte scendeva sempre più velocemente, ma senza una stella: dense nuvole scure si ammassavano sulla città, cupe e pronte a rilasciare un oscuro temporale.

C'era ogni genere di suono e rumore, via via che l'oscurità scendeva: allarmi che ululavano nell'indifferenza, sovrastando urla di paura e orrore; strilli, rumori di vetri infranti e di macchine che rombavano come fulmini nelle strade, falciando ogni cosa sul loro cammino, che fossero lampioni e idranti o povere vittime malcapitate.
Voleva fermarsi e soccorrere ogni sprovveduto e anima derelitta che vagava in quella notte oscura senza una guida e un aiuto, ma sebbene il cuore fosse straziato, la mente era lucida e già affollata, e pressava verso un unico obiettivo.
Tutto il resto poteva aspettare. Doveva aspettare.

Si fermò infine, col fiatone trattenuto appena nel petto, e scrutò di fronte a sé, l'edificio grigio e malridotto che si parava alla loro vista.
Era un vecchio e diroccato palazzo del Bronx, il cui piano terra sembrava essere stato un'officina per auto, ormai chiuso da tempo, mentre i restanti tre piani fungevano da uffici e depositi: le luci accese li informarono che non era poi così abbandonato come avrebbe dovuto essere.
Rimasero a scrutare ancora un po' i dintorni e l'edificio, valutando velocemente se ci fossero trappole o uomini appostati nelle ombre, in attesa del loro arrivo. C'era un innaturale silenzio attorno, che gli faceva presagire che forse erano attesi, come se quella calma inusuale in quella fetta di quartiere fosse preparata ad arte, ma anche se così fosse stato, non c'era modo che potessero fermarsi, ormai. Non era più possibile.

Con un gesto della mano, -le parole non erano necessarie,- Leo fece segno a Raph di seguirlo e si gettò giù dal tetto a volo d'angelo, smorzando la velocità con perfette capriole, atterrando di sotto con agilità e precisione.
Sguainò le Katana mentre attraversava la strada deserta che li separava dalla loro meta e sentì il morbido sibilo dei Sai di Raph, presi nelle mani dal loro proprietario.
Si fermarono di fronte alla spessa porta nera, fianco a fianco, nell'oscurità che avvolgeva ogni cosa lì attorno.



E io ti dico che non ho barato!” strillò con voce offesa Vance, un uomo mingherlino dai radi capelli color sabbia, occhieggiando con tono malevolo il suo compare che lo accusava, Bill, con la cicatrice che gli divideva la faccia a metà.
Io dico di sì! È il sesto poker di assi che tiri fuori stasera! Non puoi essere così fortunato!” urlò arrabbiato l'altro, gettando le carte sul tavolo e battendo i pugni sopra con disprezzo, per sottolineare il suo concetto.

All'interno dell'officina, la partita di poker andava ormai avanti da qualche ora, per ammazzare il tempo, più che davvero per desiderio di fare dei soldi: di quelli, ne avevano a vagonate e senza nemmeno sforzarsi troppo, grazie agli ultimi colpi andati a segno in alcune delle banche più succose della città. Tuttavia gli animi si erano surriscaldati parecchio, via via che le losche vincite di Vance si erano fatte sempre più numerose: prima c'erano state le occhiate sospette, poi i grugniti infastiditi e infine erano arrivati ad accusarlo apertamente, proprio quello che stava succedendo in quel momento.

Mi stai dando del baro, Bill? E voi siete d'accordo con lui? Bob? Lanny?” chiese ancora Vance, che stava cominciando ad arrabbiarsi anche lui, guardando le facce scure dei suoi compari che lo guardavano con sospetto.
Lesse le risposte sui loro visi senza che aprissero bocca e si alzò in piedi, inviperito.

Io non sono un baro! Sono solo fortunato! Oggi è la mia sera fortunata! Capita, sapete?” gridò loro contro, difendendo le sue convinzioni e la sua supposta buona sorte.
Un tonfo possente echeggiò nello spazio enorme dell'officina, mangiandosi le parole che gli altri erano pronti a dirgli, -dall'aria tutt'altro che amichevole,- e le mura tremarono appena.

Cosa...” esalò sorpreso e spaventato Bill, alzandosi anche lui.

La porta d'ingresso si scardinò con un boato e cadde al suolo, con fragore e spirali di polvere, e la luce che fuoriuscì nel rettangolo di esterno visibile, illuminò le due figure ritte e silenti nel quadro della porta.
Leo e Raph fecero qualche passo in avanti, entrando nel cono di luce delle lampade al neon, scrutando l'esiguo gruppetto di fronte a loro, le armi già in pugno.
Erano minaccia e furia silente, erano possanza e insidia, erano il pericolo.

Le... le tartarughe!” strillò spaventato Vance, tremando sul posto. Gli uomini al suo fianco invece scattarono e si tuffarono di lato, prendendo le armi abbandonate negligentemente sul tavolo affianco a loro, mentre giocavano.
Perché non assaggiate un po' di piombo?” esclamò stupidamente Bob, con un ghigno compiaciuto per la battuta, le mani strette convulsamente sul fucile puntato contro di loro, sicuro di sé.
Lui e i suoi amici spararono, dando fondo ai caricatori. Una pioggia di proiettili riempì l'aria, sibilando letali, e l'odore di polvere da sparo fu incontenibile.

Leo e Raph si gettarono nella lotta, schivando con scioltezza e velocità i colpi, avvicinandosi sempre più, come se i proiettili non esistessero neppure, in quei metri che li separavano da quei quattro.
Era un continuo piegarsi, scivolare di lato, flettere il busto mentre un proiettile fischiava vicino all'orecchio, per poi chinarsi in avanti ed evitarne altri due diretti al petto, ritornare in piedi dopo la capriola a terra e continuare a correre incontro alle loro facce spaventate e attonite.
Le Katana affettarono il fucile come se fosse burro e poi si avventarono sulla carne dell'uomo che impugnava l'arma, senza pietà, ferendolo al torace con uno squarcio profondo.

Leo era pura furia, preda di istinti animali di caccia e rabbia che non aveva mai provato prima; no, a doverci ben pensare, gli ricordava il ruvido e pericoloso furore che lo aveva avvolto nella sua cupa oscurità quando, dopo lo scontro con Shredder che aveva quasi distrutto la sua famiglia, si era dato la colpa per il fallimento e per non aver protetto meglio i suoi cari e si era trasformato via via, giorno dopo giorno, in un cumulo di collera e ira, che aveva colpito tutti, e lui soprattutto, indiscriminatamente.
Solo l'intervento dell'Antico, allora, era riuscito a riportarlo alla ragione, dopo mesi di cupo tormento, e pensava che mai più avrebbe perso la calma e il cuore, nella sua vita.1

Ma adesso quel furore era di nuovo rispuntato fuori, trasformandolo in un animale desideroso di vendetta. Forse perché, nel fondo della sua mente, nel minuscolo angolo che ancora aveva raziocinio, sentiva di essere davvero la causa del dolore di Isabel; se lui non l'avesse aggredita e resa fragile, forse non sarebbe stata colta di sorpresa, forse sarebbe stata attenta e avrebbe evitato la minaccia.
Forse avrebbe ridotto in polvere chiunque di loro fosse stato a colpirla.
Ognuno di quegli uomini era un nemico e andava abbattuto, senza rimorso e pietà. Ognuno di loro poteva essere il bastardo che aveva attaccato Isabel per mandare loro un messaggio.
Ognuno di loro doveva pagare.

Colpì l'uomo con la cicatrice sul volto, ferendolo allo stomaco con un taglio netto e preciso, portato con decisione e senza alcuna esitazione.
Il sangue schizzò, colpendolo al viso, e si deterse passandoci il dorso della mano con disgusto, osservando lo stesso rosso scintillare sulle lame delle spade. Raph, poco più in là, aveva appena atterrato il terzo uomo colpendolo coi Sai alle cosce, e quello si contorceva con gli altri due a terra tra gridi di dolore, mentre il quarto si allontanava spaventato all'indietro, cercando di raggiungere la porticina sul fondo della stanza, che portava ai piani superiori.

Dov'è Hun?” chiese la voce roca e gelida di Leo, mentre si avvicinava a grandi falcate, con le spade insanguinate contro di lui.
Vance tremò sul posto e finì la sua breve corsa con le spalle al muro, intrappolato.
I due mutanti ormai erano a pochi passi da lui, sanguinari folli e senza paura. E lo guardavano coi loro occhi pieni di odio e rabbia, con le mani strette alle loro armi letali.

Io... io... non” pigolò sempre più spaventato, con la voce che tremolava almeno quanto lui. Quando gli era stata offerta la possibilità di entrare nel giro dei Purple Dragons, non era di certo quello che si era aspettato di ottenere; soldi e tutto ciò che essi potevano comprare, quello sì, anche come solo riflesso di quelli che, più in alto di lui, comandavano e si sbattevano per portare a compimento il loro piano di potere. Ma non aveva mai pensato per un secondo di vedere la fine per mano di due orridi mutanti ciechi di rabbia.

La lama di una Katana si avvicinò pericolosamente al suo collo e gli carezzò la pelle con il suo filo di gelido acciaio, che sembrava pulsare al ritmo del suo folle batticuore.
Dov'è Hun?” ripeté quello con la benda azzurra, digrignando i denti a pochi passi dal suo viso.
Vance tremò e deglutì a vuoto, gli occhi sbarrati e terrorizzati che non riuscivano a staccarsi dal luccichio della lama che premette appena sul suo pomo di Adamo, pizzicandogli la pelle con più insistenza, questa volta.
Quanto era affilata quella spada? Poteva bastare un'altra semplice pressione e la sua carotide sarebbe stata tranciata in due, senza nessuno sforzo.

Al... all'ultimo piano” balbettò, senza forze.

Il pugno di Raph lo colpì in pieno viso e gli fece sbattere la testa contro il muro, mandandolo KO: il corpo scivolò verso il basso e nello stesso istante un suono straziante riempì l'aria, una sirena d'allarme ritmata e fragorosa, mentre una luce ad intermittenza rossa illuminava a sprazzi la penombra che avvolgeva l'enorme officina.
Entrambi videro la levetta dell'allarme antincendio che la mano di Lance aveva afferrato e che era stata abbassata dal peso del suo corpo quando era svenuto.

Bastardo” sputò fuori Raph, con disprezzo.

Leo gli fece segno di seguirlo ed entrambi corsero verso la porticina che portava ai piani superiori, prima che l'orda di persone si riversasse all'esterno e che Hun potesse sfuggir loro da sotto il naso.
Le scale rigurgitavano orde di uomini dai piani superiori, in preda al panico per l'allarme antincendio. Battere i primi mentre salivano, fu relativamente semplice; erano ignari della loro presenza e indifesi. Rotolarono giù per le scale, nella loro indifferenza.

Ma quelli dietro, che avevano visto le due furie avventarsi sui loro compari, bloccarono la loro fuga e fecero dietro front, correndo su anche a sei scalini per volta, provando a distanziarli con la paura nello sguardo e nelle gambe.
Allarme! Non è un incendio! Ci sono le tartarughe! Ci stanno attaccando” riuscì ad urlare un uomo prima di venire colpito alla spalla dalla Katana, ruzzolando poi con un grido sofferto giù per la scala, sparendo nel caos e nel dolore.
La sua voce echeggiò terrorizzata per la tromba delle scale e raggiunse i piani superiori, più velocemente di quanto loro potessero fare.

Si scatenò il putiferio.
Arrivati al primo piano, la porta si spalancò e tutti gli uomini sul piano apparvero imbracciando le loro armi, alcune classiche armi umane, altre evidenti residui dell'attacco dei Triceratons, fucili al laser e cannoni fotonici.

Prendeteli!” tuonò uno di loro con urgenza, sparando lui stesso per primo.

Al rumore cadenzato dell'allarme si aggiunsero le detonazioni delle armi, come percussioni che spezzavano il ritmo, che cacofonavano le une sulle altre, e l'aria fu piena di spari e baluginii di fiammate che si vedevano a malapena nel pulsare malato delle luci rossastre.
Forse, in un altro frangente, quegli uomini sarebbero stati fortunati e avrebbero colpito uno di loro due, per fortuna o per distrazione degli stessi, ma non quel giorno; non quando la furia aveva preso il controllo dei loro corpi, cancellando ogni altra percezione, rendendoli dei puri e semplici guerrieri, con un unico scopo. Determinazione e furia, erano solo quello in quel momento.

Nessun colpo andò a segno, i proiettili volavano nell'aria contro di loro, che ci danzavano attorno con schivate fulminee e salti avvitati, avvicinandosi sempre più, implacabili, silenziosi e spietati.
Le lame e le punte delle armi affondarono nei corpi, strappando urla di dolore e paura, ma non si arrestarono. Non c'era tempo per la compassione. Non ce n'era più.
Il gruppetto si accasciò al suolo, chi rantolando senza tregua, chi svenuto per il dolore eccessivo e i due mutanti scivolarono cautamente nel corridoio per controllare che nessun altro agguato li attendesse, magari alle spalle mentre salivano per il piano superiore.

Aprirono ogni porta e controllarono ogni stanza e batterono ogni uomo che incontrarono sulla loro strada, anche quelli che cercarono di fuggire, anche quelli che abbandonarono la lotta, ma del loro capo non c'era alcuna traccia.
Si lasciarono dietro un campo di uomini feriti, forse qualcuno anche più che semplicemente ferito. Non avevano tempo per controllare e non importava davvero.
La priorità era salire più velocemente possibile e trovare Hun. Prima che potesse scappare o ordire un piano contro di loro. Era certo che ormai sapesse di essere sotto attacco.

Si infilarono nuovamente su per le scale, il viso in alto a scrutare la zona, per essere certi che non ci fosse qualcuno ad attenderli. Le scale dal primo piano al secondo erano stranamente vuote, nessun viso apparve dall'alto, nessuno provò a sparare loro contro mentre correvano su, sebbene sarebbe stata una mossa logica e ben attuabile, dato che erano scoperti nel tragitto, vulnerabili ai colpi dall'alto.

Stavano per infilare quelle che portavano al terzo, quando la porticina che dava sul corridoio del secondo si aprì di colpo e la bocca di un cannone al plasma apparve, enorme tanto da poter contenere un uomo intero.
Raph!” strillò Leo con apprensione, quando l'interno dell'arma si illuminò repentinamente di azzurro e sparò un raggio dello stesso colore.
La detonazione fu fragorosa e consumò completamente tutto ciò che trovò sul suo cammino: la tromba delle scale crollò con uno schianto prodigioso e una nube di polvere e detriti, mentre ancora più urla si alzavano dai piani inferiori, di terrore e dolore.

Il pavimento tremò e una porzione cedette e si schiantò sul resto delle macerie, mentre l'uomo che aveva sparato si lasciava andare ad una stentata risata isterica.
Ce... ce l'ho fatta! Sono morte! Le ho uccise io!” trionfò, voltandosi verso il resto degli uomini alle sue spalle, con un sorriso sorpreso di compiacimento.
Gli altri si riscossero dalla loro paresi confusa e attonita e risero assieme a lui, poi si congelarono così, con dei ghigni in viso e gli occhi sbarrati di paura.

L'uomo si voltò, lentamente, e vide le due tartarughe in piedi sul corpo del cannone, la prima con la punta della spada puntata contro la sua faccia, in mezzo alle sopracciglia.
Nessuna delle due era davvero ferita, avevano solo un paio di lacerazioni sulle loro tute nere ricoperte di polvere e schizzi di sangue e gli occhi fiammeggianti di rabbia.
Tremò sul posto e provò ad indietreggiare, il cuore divorato dalla tachicardia, insieme ad alcuni dei suoi compari, mentre altri, quelli più lontani, puntavano le armi contro di loro, resi spavaldi dal pensiero che fossero abbastanza distanti e quindi al sicuro.
Uno scintillio di lama e l'uomo si accasciò al suolo e Leo sparì con un salto all'aprirsi del fuoco.

Raph non schivò, non questa volta. Schivare era alla fine noioso e stancante e lui era più abituato a gettarsi a testa bassa contro gli ostacoli: i Sai ruotarono nelle mani, veloci tanto da essere solo delle macchie color acciaio e il tintinnio dei proiettili deviati risuonò in ogni dove, mischiato al rumore degli spari che non si placavano.
Ogni uomo stava dando fondo a tutto ciò che aveva per sopravvivere, per provare anche solo lontanamente a fermare quella furia di distruzione e morte che erano quelle due bestie sanguinarie.

Leo atterrò alle spalle del gruppetto e attaccò, affondi e colpi decisi, senza ripensamenti. Non c'erano volti, non c'erano persone, solo nemici da battere, solo corpi senza anima e onore e possibilità di riscatto, in cui affondare le Katana, in un gesto anche troppo onorevole di pietà e redenzione.
Uno ad uno, caddero sotto i loro attacchi. Qualcuno provò anche a chiedere compassione, tirando in ballo la famiglia, il loro buon cuore. Ma i Purple Dragons erano andati troppo oltre, quella volta. Avevano toccato la loro, di famiglia, e solo per mandare un messaggio. E dovevano pagare per aver osato.

Leo si lanciò in avanscoperta e scivolò nel corridoio guardingo, occhieggiando oltre le porte aperte per controllare che qualcuno non si fosse nascosto o lo stesse tenendo sotto tiro.
Una mitragliata esplose nel silenzio e fece appena in tempo a buttarsi al suolo, evitando la sventagliata di proiettili indirizzata alla sua testa, dalla stanza in fondo al corridoio, sulla destra.

A-andate via! So-sono armato” balbettò una voce che voleva suonare minacciosa, ma che invece era solo pateticamente stridula e terrorizzata.
A rimarcare le sue parole, comunque, una seconda pioggia di proiettili sferzò l'aria, impedendo a Leo di alzarsi dalla moquette lisa del corridoio.

Un fruscio sopra la sua testa catturò la sua attenzione e si accorse di Raph, che puntellato braccia e gambe contro i muri si manteneva sospeso appena sotto il soffitto.
Gli mandò un lieve ghigno in risposta, avendo capito il suo piano.

Ho gettato le armi” urlò il leader, poggiando le Katana al suolo; “Se vieni fuori ne possiamo parlare! Mi sembri uno intelligente” continuò con tono convincente, sollevandosi appena sul busto con cautela, per occhieggiare la porta.
Una testa spuntò lentamente oltre lo stipite, prima una porzione piccola di fronte e di occhio per controllare la situazione, poi tutta la testa rasata, una volta capito che il suo nemico si stava davvero arrendendo.

L'uomo uscì dalla stanza con un ghigno incredulo in viso e una piccola mitragliatrice sotto braccio, gli occhi sbarrati che non credevano a ciò che stava succedendo.
Un'ombra scura si staccò dal soffitto e lo colpì con violenza alla nuca, mandandolo al tappetto con ancora quel sorrisino idiota sulla faccia e la mitragliatrice stretta come se fosse un tesoro.

Davvero intelligente, una vera cima” commentò sarcastico Raph che torreggiava sulla figura, mentre Leo si era nel frattempo alzato e lo aveva raggiunto. Il leader batté un pugno soddisfatto contro il suo braccio, un complimento senza parole per la sua bella pensata.

Conquistarono anche il secondo piano, controllando ogni spazio e ogni stanza, e ormai era chiaro che era il terzo piano, quello dove avrebbero trovato la loro preda più grossa.
Ma le scale erano crollate e non c'era possibilità di raggiungerlo tramite quelle.

Leo spalancò una finestra e si issò sul davanzale, con la testa puntata verso su. Rinfoderò le Katana e afferrò gli Shuko2 dalla tasca segreta della tuta, infilandoli sulle mani. Piantò gli aculei nel cemento e nella pietra e si issò sulla superficie logora e ricoperta di sporcizia dell'edificio, scalandolo velocemente, diretto verso la finestra sopra quella, illuminata flebilmente nel buio completo che l'attorniava.
Uno sbuffo gli rivelò che Raph era arrivato al suo fianco, scalando il muro con foga, ed arrivarono entrambi al cornicione contemporaneamente, allungando una mano per afferrarlo ed issarsi.

L'interno era un ufficio deserto, con una scrivania ingombra, le sedie rovesciate a terra nella foga di scappare e la porta spalancata dalla quale si vedeva una porzione di corridoio.
Leo si gettò contro la finestra e la infranse con le ginocchia, con una pioggerellina di vetri che tintinnarono sulla moquette color crema macchiata in più punti. Una volta atterrato e controllata l'area, le Katana nuovamente nelle mani, fece segno a Raph di seguirlo. Ma suo fratello era in effetti già dietro di lui, senza perdere nemmeno un secondo.

Sgattaiolarono guardinghi e silenti per la stanza e scrutarono nel corridoio per accertarsi che non fosse un'altra trappola. C'era un silenzio innaturale lì su, perfino il rumore dell'allarme era più lieve e lontano, come se fossero finiti in un piano di una dimensione parallela.
Camminarono cautamente per tutto il corridoio, gettando occhiate alle porte spalancate, che davano su stanze vuote, ponderando il da farsi.
Odorava tutto di trappola. Di nuovo.

Arrivarono alla porta massiccia nera e lucida, con una targhetta dorata al centro con su inciso il nome che cercavano.
Hun. Boss.
Patetico.
Ebbero la mezza intenzione di buttarla giù anche solo per vedere quella patetica targhetta dalla grafia elaborata crollare a terra, ma la porta si spalancò sotto il loro naso attonito.
L'interno della stanza era in una soffusa penombra, e all'inizio fecero fatica a mettere a fuoco per bene. Poi iniziarono a riconoscere i contorni delle sedie e della spessa scrivania di legno pesante e laccato e la vaga figura enorme e minacciosa che vi sedeva dietro.

Avanti” ordinò la voce di Hun, vagamente divertita.
Leo e Raph si scambiarono uno sguardo, comunicandosi le loro intenzioni solo con esso, e poi si incamminarono verso l'interno, dentro l'arena che poteva essere l'ultimo campo di battaglia della loro vita.
Ma se così fosse stato, avrebbero di certo trascinato anche il bastardo giù all'inferno con loro.



1: la situazione di cui si parla fa riferimento alla quarta stagione. Alla fine della terza, mentre cercano di impedire che Shredder torni nel mondo degli Utrom, i quattro hanno come una soluzione quella di farsi esplodere insieme all'astronave per impedirlo. Leo, che è stato battuto e trafitto a tradimento da Karai, vede tutta la situazione come un fallimento personale, perché avrebbe dovuto trovare un'altra soluzione (anche se si erano salvati comunque) e perde la brocca! Sclera completamente e diventa una via di mezzo tra un Raph e Batman, sempre più collerico e rabbioso e incontrollabile. Non so perché, ma in quella forma è anche più pericoloso e praticamente invincibile. Grazie al cielo poi torna normale.

Personalmente adoro Leo senza freni; è vero che ti fa venire voglia di prenderlo a schiaffi, ma anche di abbracciarlo stretto. C'è più oscurità e rabbia in lui di quanto non si creda.


2: gli shuko sono dei rampini per scalare pareti. In genere sono una sorta di placca di ferro con aculei da indossare sui palmi e usare per scalare, ma credo che ci siano anche di cuoio o tessuto. Quelli delle tmnt credo siano in stoffa.


Note:

Salve!
Sangue, violenza, vendetta!
Leo è diventato un secondo Raph e i due se ne vanno allegramente in giro a cercare Hun per fargli saltare qualche dente. Ah, li adoro.
Spero che il capitolo non risulti cruento. Sono ancora in alto mare con la storia del rating. Se fossero più specifici nel regolamento, è troppo generico.
Vi prego di dirmi se qualcuno l'ha trovato eccessivo, cambierò immediatamente il rating.
Anche perché il sangue non è di certo finito, né la violenza.
Che pessima che sono.

Molto fuori tema, ma volevo dirvi: sto provando a tradurre SITR in inglese per pubblicarlo in altri lidi, ma sono in alto mare. Sono capace di tradurre dall'inglese in italiano, ma ho tante limitazioni dall'italiano all'inglese. Poco vocabolario inglese, presumo. Quindi la vedo dura! Mah, vediamo.

Grazie come sempre per leggere la storia, grazie millissime alle fedelissime che commentano questo delirio con affetto! Vi adoro!
A presto!
Abbracciorso


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Capitolo 22
*** Vengeance is like a splinter... ***


Pochi passi dalla luce alla penombra, pochi passi dalla sicurezza al grembo del pericolo. Si fermarono entrambi dopo aver superato la soglia, sul tappetto finemente decorato e dall'aria costosa, con gli occhi fissi sulla loro preda.
Hun era proprio lì dove lo avevano individuato, seduto alla scrivania con aria svagata, come se la loro incursione nel suo edificio fosse una cosa di poco conto. In un completo giacca e cravatta piuttosto elegante che stonava pesantemente con i suoi rozzi tratti da delinquente.
Era calmo e disteso, con le braccia negligentemente poggiate ai braccioli e la schiena rilassata sul comodo schienale, per nulla turbato di vederli nel suo ufficio macchiati del sangue dei suoi uomini.

La porta alle loro spalle si richiuse con un tonfo sordo e si voltarono brevemente sul chi vive, per fronteggiare la minaccia, ma l'uomo che l'aveva chiusa fece un passo indietro e si rifuse con le ombre in cui era stato fino a quel momento. Era alto e snello, ma tutto il suo corpo sembrava essere fatto solo di muscoli, fasci e fasci di muscoli guizzanti e asciutti. Era pelato e un'enorme tatuaggio di un dragone violaceo gli marchiava la testa, scendendo giù fino al collo.
Aveva gli occhi neri eppure incredibilmente freddi, intelligenti e lucidi puntati su di loro, come se stesse cercando di valutarli o ipnotizzarli, come una tigre sul terreno di caccia.
Davanti c'era Hun, dietro lui. La loro concentrazione salì considerevolmente, se pure fosse possibile. Leo e Raph riportarono l'attenzione su quel grosso bue di Hun, stringendo entrambi le mani sulle armi con impazienza.

Non vi aspettavo così presto, lo devo ammettere. Pensavo foste a casetta a leccarvi le ferite. E tu pensavo fossi morto” esclamò quello con sguardo calcolatore, puntato su Raphael, che a sua volta lo osservava con furia.
Sembrava genuinamente sorpreso di trovarseli di fronte vivi e vegeti e sembrava stesse pensando con tutte le sue forze a come potesse essere possibile; erano passati solo dodici giorni da quando erano scappati dalle sue grinfie battuti e quasi morti, non era in effetti possibile che si fossero ripresi in così breve tempo, contando soprattutto l'entità delle ferite di Raphael. Non c'era da meravigliarsi della sua sorpresa: Hun non sapeva che Isabel li avesse guariti e non doveva saperlo.
Gli occhi grigi scivolavano su di loro da capo a piedi, freddi e viscidi, constatando che in effetti erano perfettamente sani.

Sei stato tu a mandare i tuoi saluti, noi siamo venuti a ricambiare la cortesia” fu la risposta a tono e gelida di Leonardo, che davvero si stava trattenendo per non saltare semplicemente sulla scrivania e staccare la testa di quel bastardo dal resto del corpo con un solo colpo deciso.
Ma sapeva che un gesto avventato non era consigliabile, con lui.

Già. Gentile la vostra amichetta a fare da messaggera. Siete solo in due... immagino che gli altri stiano cercando di salvarla” continuò l'omone, con un ghigno divertito alle loro espressioni furiose.
È un vero peccato. Una così bella donna, e così capace. Ma dovreste dirle di farsi i fatti suoi... e che farsela con i mutanti non è una buona idea.”

Hun stava giocando ancora con loro. Li stava stuzzicando, sapendo benissimo che il carattere di Raph era facilmente infiammabile quando lo si canzonava o lo si faceva con qualcuno a cui teneva, e aveva capito che anche Leo sembrava aver perso parte della sua compostezza.
Altrimenti non si sarebbe precipitato con quella furia dritto tra le sue mani.
Eppure entrambi non si decidevano a perdere la calma come lui voleva che facessero, perciò doveva calcare ancora un po' la mano.
Si alzò dalla scrivania con gesti calmi e studiati, avvicinandosi alla finestra e guardando di fuori, attirando la loro attenzione ed esasperando la loro pazienza con passi lenti, in un silenzio perfetto e intenso.

La prossima volta potrei decidere di non colpirla. Potrei farla rapire e divertirmi un po' con lei, prima di ucciderla” esalò, il riflesso nel vetro che sorrideva allusivo.

Si voltò per valutare le loro reazioni e non ne fu deluso. Entrambi saltarono per gettarsi contro di lui, resi ciechi dalla rabbia, ma il suo scagnozzo tatuato si parò loro di fronte, veloce tanto da non averlo nemmeno percepito, bloccando l'attacco.
Oh, non vi ho presentato” esclamò con finta sorpresa Hun, palesente allegro.
Secondo dopo secondo, la nottata stava decisamente migliorando, per lui, e non aveva intenzione di rinunciare così presto alla sua fonte di divertimento. Far soffrire quei mostri prima di ucciderli sembrava un buon risarcimento per tutti quegli anni di umiliazioni subite.

Lui è Marcus, mio braccio destro. Maestro di dieci diverse discipline di arti marziali, cresciuto in un'isola costantemente in guerra. Sa maneggiare qualsiasi tipo di arma e uccidere un intero plotone a mani nude in dieci minuti. E, per finire, ma non meno importante, è stato lui a colpire la vostra amica, senza pietà” rivelò compiaciuto, pregustandosi l'ennesimo scatto d'ira.

Leo non lo deluse e si slanciò in avanti per colpire l'uomo, ma la mano di Raph lo fermò.
Me la vedo io con lui. Tu pensa ad Hun. Questo tizio avrà anche eseguito l'ordine, ma è stato lui a darlo” gli disse con tono stranamente tranquillo, che ebbe l'effetto di riportare un po' di calma anche in lui.
La sua mano era ferma sul suo braccio, eppure sapeva che era arrabbiato quanto lui, riusciva a sentirlo. Come riusciva a non farsi dominare, mentre lui non voleva altro che distruggere ogni cosa in un vortice di furore?
Ma aveva ragione. C'era Hun dietro a tutto, perciò entrambi, mente e braccio, dovevano pagare. Annuì convinto e si voltò verso il suo avversario, che sentendo il loro discorso si era intanto tolto la giacca e l'aveva gettata sullo schienale della sedia, e si stava ormai arrotolando le maniche della camicia sulle braccia nerborute.

Una scazzottata vecchio stile prima di mandarvi al creatore... perché no?” soffiò fuori svagato, i grossi pugni chiusi già alti, a proteggere il viso.
Hun era stato un boxeur, da giovane, prima di entrare nel giro della delinquenza, e qualcosa in lui era rimasto, di quei tempi. Soprattutto dato che aveva usato i suoi pugni contro chiunque non si sottomettesse al volere dei Purple Dragons, negli anni, senza perdere perciò lo smalto da lottatore. Senza contare che era stato allenato dal finto Oroku Saki nelle arti marziali, una volta entrato nelle sue file, fino a diventare uno dei suoi più fedeli sottoposti.
Decisamente non era da prendere sottogamba.
Leo serrò la presa sull'elsa delle spade, pronto. Sentiva una sottile vena di adrenalina che gli pompava sottopelle, rendendo il battito del cuore più forte di quanto non volesse. Era amplificato in ogni cellula del corpo, mentre studiava il suo avversario.

Scivolò di lato per aggirare la scrivania e avvicinarsi, ma il pensiero che l'ufficio, per quanto grande, fosse decisamente un'arena di scontro sbagliata, lo sfiorò per un attimo. Poi un suono cupo lo distrasse e lo sguardo corse di lato, su Raphael che indietreggiava mezzo sofferente, tenendosi l'addome, dove quel Marcus aveva appena assestato un pugno che avrebbe spezzato in due una roccia.
Lo scontro col piastrone sembrava non avergli fatto il minimo danno, le labbra sottili erano piegate in un mezzo ghigno e il corpo di nuovo in posizione di difesa.

Raph!” chiamò preoccupato Leo, mentre l'altro riprendeva fiato con una smorfia in viso.
Non ti distrarre. Pensa solo a te. Lo butto giù da solo” fu la risposta secca del fratello, che non si girò nemmeno a guardarlo. Probabilmente per lui c'era solo quel Marcus, in quel momento, e la sanguinaria voglia di buttarlo giù.

Un sibilo e uno spostamento d'aria premettero sul suo viso e compì una capriola all'indietro appena in tempo, evitando il pugno di Hun per un soffio.
L'altro mostro ha ragione: faresti meglio a pensare per te” disse l'omone sferrando colpi veloci, costringendolo a scartare con foga. Si era avvicinato in un attimo, senza che lo avesse percepito.
Hun poteva anche essere nella cinquantina, ma di certo non aveva perso velocità o potenza, nemmeno un po'; anzi, l'età aveva aggiunto sicurezza ed esperienza al suo stile di lotta, rendendolo più pulito e meno dispersivo di un tempo: i suoi attacchi erano precisi, senza gesti inutili o eccessivamente faticosi. Riusciva a muoversi a suo agio con quella stazza perfino in quella stanza, rendendogli difficile contrattaccare o anche solo prendere fiato quel tanto che bastava per poter attaccare a sua volta.
C'era la penombra che non contribuiva a rendere le cose facili, lo spazio ristretto, due scontri che si sfioravano, così vicini e diversi.

Leo si piegò di lato, evitando un colpo di piatto della mano destra di Hun e si tuffò in avanti per scansare il pugno del sinistro, con un po' più forza del dovuto: riuscì a raggiungere la scrivania e a scavalcarla con una capriola. Si rialzò col fiatone, col spesso legno che finalmente gli consentiva la sicurezza necessaria per pensare, anche se per poco: Hun si era già voltato e lo occhieggiava dal di là, avvicinandosi a grandi passi.
Probabilmente avrebbe potuto spaccare la scrivania con un pugno, senza difficoltà, perciò era meglio agire prima, d'anticipo.

Saltò sulla superficie e si gettò contro di lui, le Katana scintillanti, in un perfetto attacco dall'alto, i muscoli tesi fino allo spasmo; una lama venne scartata con facilità con un'evasione a destra, mentre l'altra rimase intrappolata tra la presa ferrea delle mani dell'avversario. Prima che potesse anche solo sorprendersi, Hun ruotò le braccia e la spada, strappandogliela di mano con un gesto secco: rimasero entrambi a guardarla volteggiare nella penombra della stanza, perfetto circolo d'acciaio che risplendeva quando le luci dell'ufficio la colpivano, i riflessi delle loro espressioni in fugaci frammenti. Un ghigno per Hun, sorpresa nella sua.

La manona del suo nemico la afferrò nel suo volo leggiadro, puntando la punta acuminata contro il suo proprietario, con un ghigno famelico.
Leo tirò il busto indietro, deglutendo a vuoto qualsiasi cosa fosse quel magone che gli serrava la gola. Paura? No, giusta rabbia, che cresceva secondo dopo secondo. Hun non poteva passarla liscia, non poteva vincere, non questa volta.
Doveva pagare e doveva farlo col sangue. Tanto quanto ne aveva versato Isabel.

La Katana era piccola nelle enormi mani del suo avversario, eppure sapeva che non aveva nessun problema a maneggiarla con facilità e precisione; quel dannato bastardo era capace perfino di combattere con le armi, non lo aveva dimenticato.
A riprova gli bastò un solo fendente, forse mentre era ancora sorpreso, forse troppo rapido e repentino, per strappargli via di mano anche l'altra lama, che volò fino a scontrarsi contro il muro per poi cadere con un tonfo sordo sul parquet perfettamente lucidato.
L'aveva seguita con orrore nella sua traiettoria, sentendosi completamente indifeso.

La sua stessa spada gli corse incontro, fendendo l'aria con voracità diretta contro il suo collo, perciò si abbassò e cercò di scartare a terra, per avvicinarsi all'altra, così da avere perlomeno una situazione di parità; la lama calò di nuovo e velocemente sulla sua strada, costringendolo a gettarsi di lato per evitarla, allontanandosi così dalla sua meta.
Il ghigno di Hun gli disse che era proprio quello che lui voleva, non era stato solo un caso.

Rimase accucciato qualche istante, riprendendo fiato e un po' di lucidità, pensando alla mossa successiva, in sottofondo i rumori dell'altra lotta, così vicina eppure tanto estranea alla loro da essere quasi su un altro pianeta.
Rimanere in vita abbastanza per poter attaccare. Ecco tutto ciò che gli premeva in quel momento.


Raphael poteva dirsi uno dei migliori incassatori, probabilmente di tutta New York, senza essere modesto; tralasciando il fatto che il piastrone assorbiva la maggior parte dell'impatto di un attacco, si era allenato costantemente, giorno dopo giorno, goccia dopo goccia di sudore, crampo dopo crampo, per forgiare il suo corpo in una massa di muscoli impenetrabile e compatta, per essere pronto a tutto. Eppure ogni colpo di quel dannato gli spezzava il fiato come se fosse un novellino, costringendolo ad indietreggiare tra i rantoli per cercare di respirare. Come diamine riuscisse a colpire il plesso solare con tutta quella foga senza farsi male contro il piastrone era un mistero. E pregò fortemente che il suo fidato, caro guscio non si stesse scheggiando sotto quella gragnuola di colpi violenti e netti.

Serrò la mandibola, respirando a denti stretti, mentre invece il suo rivale sembrava fresco e impassibile, come appena uscito da una passeggiata corroborante.
Era veloce e inafferrabile, diverso da qualsiasi avversario mai affrontato prima: il suo stile di combattimento variava nel bel mezzo della lotta, un momento prima era un attacco di jeet kune do, un secondo dopo uno di karate; se provava ad attaccarlo gli ritorceva la sua forza contro con il jujitsu, per poi passare ad un'evasione di capoeira, immancabilmente seguita da un attacco.1
Era poliedrico e camaleontico, difficile da prevedere e leggere, troppo abile, troppo esperto.

I Sai erano rimasti fermi nelle sue mani, ma non aveva avuto modo di usarli, nemmeno per difendersi. Anzi, gli impedivano quasi i movimenti, perciò, incurvato in avanti in un angolo mentre respirava a fondo, decise per la prima volta in vita sua di abbandonare le sue amate armi di sua spontanea volontà: aprì le mani e le lasciò cadere al suolo, con due identici tonfi sordi sul parquet dell'ufficio, mentre lo sguardo rimaneva incollato sul suo avversario.
Quello osservò i Sai cadere, quasi al rallentatore, poi riportò lo sguardo su Raphael, con un sorriso colpito sulle labbra.

Pensi che sia una buona idea? Di aver sollevato le tue chance solo per aver lasciato andare le armi? O hai deciso di arrenderti?” gracchiò l'uomo, con un accento graffiante e duro, fastidioso da sentire quanto lo erano i suoi attacchi da incassare.
Raph sollevò l'angolo della bocca, senza rispondere. Una mano si chiuse a pugno, l'altra mandò un segno di sfida, un invito a farsi avanti, morbido e provocatorio.

Marcus sollevò un sopracciglio castano con incredulità, ma quell'esortazione era troppo ghiotta da lasciar scappare.
Si gettò all'assalto con un gesto fluido, portando il braccio destro in avanti per colpire il viso, ma Raph cercò di sbilanciarlo con un calcio secco alle ginocchia, che l'altro evitò facilmente con un salto; il pugno però andò a vuoto, sfiorando appena la mandibola del mutante.

Raphael non ebbe che un millesimo di secondo per gioirne, che Marcus ruotò il piede verso l'esterno, caricando il gomito con velocità, colpendo la sua tempia di punta con tutto il peso del corpo.
La semioscurità esplose in miliardi di puntini gialli, mentre un dolore acuto invadeva la testa come se si stesse spaccando, i punti di riferimento che si perdevano in un vortice confuso e doloroso.
Respirò brusco cercando di riprendere contatto con la realtà il prima possibile, sforzandosi per rimanere vigile anche in mezzo alla sofferenza, per non cadere vittima di un nuovo attacco: se gli avesse permesso di stringerlo in una morsa continua di colpi, non sarebbe più riuscito ad uscirne, lo sapeva.

Sentì una lieve risata compiaciuta stridere da qualche parte a pochi passi da sé. Un colpo, era tutto quello che chiedeva. Un colpo ben assestato per ribilanciare lo scontro. I passi dell'uomo si allontanarono di poco e la cosa lo mandò per un momento in confusione... che stesse prendendo una rincorsa per attaccarlo?
Poi sentì il raschiare di una punta metallica contro il legno e capì immediatamente: quel suono gli era estremamente familiare. Marcus aveva afferrato uno dei suoi Sai dal pavimento e di certo non lo aveva fatto per restituirglielo.


Leo scartava la sequela di fendenti con sempre maggiore difficoltà, costretto ancora a stare accucciato sul pavimento, usando solo i quadricipiti per scivolare da una parte all'altra, cercando un angolo cieco per potersi rialzare ed attaccare. Mai come in quel momento desiderava avere anche solo una delle sue fidate Katana.
Una era ancora troppo lontana, abbandonata vicino al ficus dell'angolo, e per quanto cercasse disperatamente di recuperarla, Hun anticipava ogni sua mossa costringendolo ad indietreggiare sempre di più.
La rabbia cresceva ad ogni secondo. A quella per ciò che era stato fatto ad Isabel si sommava via via quella per quello scontro così impari e mortale, in cui aveva gettato suo fratello, per desiderio di vendetta.

Gli ritornarono prepotentemente alla mente le parole che l'Antico aveva mormorato al maestro Yoshi quando era andato a cercare suo fratello Yukio per vendicarsi dell'assassinio di Tang Shen: “la vendetta è come una scheggia.”2
Quando l'Antico gli aveva raccontato la storia non lo aveva capito. Per la prima volta nella vita non era stato in sincrono col modo di agire del sensei del suo sensei, e forse un po' lo aveva giudicato per la sua furia, incapace di comprendere cosa lo avesse spinto verso quel gesto che aveva giudicato eccessivo. Non era mai stato divorato dal bruciante desiderio di far del male a qualcuno per punirlo, prima; era come un fuoco che consumava ogni altro sentimento e percezione, alimentato dall'odio e dal dolore inflitto ai suoi nemici, in una spirale senza fine.

In un altro momento si sarebbe fermato a riflettere per riprendere il senno di sé, dicendosi che era stupido e sbagliato quello che stava facendo... ma non era quella la notte giusta. Non con l'immagine di Isabel che si accasciava al suolo ferita e dolorante che pressava contro gli occhi, ad ogni battito di palpebra.
Nutrì il desiderio di vendetta che gli graffiava il torace con la promessa di un bagno di sangue. Il sangue di Hun.

La mano scivolò svelta verso la taschina sul petto e afferrò un paio di punte acuminate con sicurezza, scattando poi sciolta davanti a sé: due Shuriken volarono nella semioscurità verso l'omone, scindendo l'aria con i loro bordi affilati come rasoi.
Hun reagì prontamente, deviando le mortali stellette d'acciaio con una perfetta rotazione della Katana, il sibilo simile al vento che spazzava via il delicato tintinnio dello scontro tra lame.
Leo non era certo così stupido da pensare di poterlo colpire così facilmente: gli era servito solo come frettoloso intermezzo per spezzare la sequenza di attacchi e potersi finalmente tuffare verso l'angolo con uno scatto fulmineo nello stesso istante in cui il suo avversario dirottava le piccole armi.

Una capriola a terra sul tappetto e poi i piedi toccarono il serico e liscio pavimento in legno e qualcosa di duro e solcato da fili intrecciati. L'elsa della sua Katana. Hun si accorse della sua mossa e si affrettò ad attaccare, calando la spada nelle sue mani in un semicerchio deciso e letale.
Leo scattò dal pavimento con un colpo di reni e con le dita del piede afferrò l'elsa lanciandola verso l'alto, riguadagnando nel frattempo e finalmente la posizione eretta, dritto contro la sua stessa Katana che scivolava verso la sua testa, mentre l'altra ancora volteggiava nell'aria.

Il clangore tra le lame fu così intenso da produrre perfino scintille abbaglianti al contatto, che illuminarono per una frazione di secondo i due uomini che stringevano le else con tutta la loro forza, cercando di spingere via l'altro, le mascelle serrate per lo sforzo.
Hun sollevò suo malgrado un sopracciglio di compiacimento per la mossa del suo avversario, come se in effetti quella smania e quella brama di lottare e vincere gli rendessero le cose più piacevoli.

Una mano di Leo era sull'elsa, l'altra poggiata sul polso spingeva con tutta la forza per costringere quel nerboruto scimmione ad indietreggiare o perfino per provare a strappargli via la Katana dalle mani. La gamba sinistra scattò e il ginocchio colpì lo stomaco di Hun con violenza, che strappò un rantolo secco e sorpreso all'uomo.
Il contatto tra le spade si interruppe mentre quello indietreggiava, fino a colpire col fondo schiena il bordo della scrivania alle sue spalle, rischiando di perdere l'equilibrio.

Questa volta Hun sorrise apertamente, trattenendo una smorfia di dolore, una mano sull'addome.
C'è troppo poco spazio, qui. E io voglio che sia tutto perfetto questa notte, questa lotta. Seguimi, mostro, ti porto all'ultimo posto che vedrai in vita tua” esclamò, con un ghigno che non prometteva niente di buono, come se fosse l'invito della morte stessa.


Raph scosse la testa con violenza e batté le palpebre ritmicamente, cercando di scacciare via i puntini che gli affollavano la vista, mentre il suono dei passi del suo avversario si avvicinava, lento e cadenzato come se stesse sfilando sul parquet.
All'improvviso le orecchie furono assalite dal violento rumore di due spade che cozzavano l'una contro l'altra e si girò in apprensione verso l'altro lato della stanza per controllare suo fratello, ma mettere a fuoco era ancora troppo difficile: riuscì ad intravvedere due figure sfocate l'una di fronte all'altra nello sfondo luminoso e pulsante che ancora lo confondeva.

Un fruscio dietro di sé richiamò la sua attenzione e si voltò di colpo, ricordandosi del suo avversario: una punta acuminata gli solcò la guancia e scavò la carne fino al naso, strappandogli brani di pelle e un grido, presto soffocato dalla mascella contratta.
L'intenso dolore pompò una scarica di adrenalina fino alla testa che dissipò la bruma nei suoi occhi e, con una mano poggiata al volto bruciante, riuscì finalmente a mettere a fuoco il maledetto bastardo, che lo osservava tronfio col suo Sai nella mano, il sangue che colava giù dalla punta fino a raggiungere il manico.

Sei stato tu a voltarti di scatto e a ferirti con la tua stessa arma... dovresti stare più attento” soffiò serafico, ruotando il Sai e schizzando gocce scarlatte attorno con indifferenza.
Quasi mi aspettavo avessi anche il sangue verde... mostro” continuò divertito e sorpreso.

Raph allontanò la mano dal volto e la scoprì completamente rossa; aveva evitato l'occhio solo per un paio di centimetri, fortunatamente, ma lo squarcio pulsava e avvampava dolorosamente, senza smettere di sanguinare.
Respirò a fondo, dei grossi respiri arrabbiati, sempre più pesanti. La prossima cosa che il suo Sai avrebbe trafitto sarebbe stato quel maledetto bastardo, dritto nello stomaco. O il suo nome non era più Raphael.

Si gettò contro di lui con furia e il pugno teso, ma Marcus schivò con facilità a destra, alzando nel contempo il Sai contro di lui: piegò il busto in avanti giusto in tempo e la punta slittò sulla tuta e il guscio, provocando solo uno strappo nel tessuto. Le mani poggiarono a terra e con una capriola abbassò il piede a tagliola contro la testa del suo avversario, con tutto il peso del suo corpo e della gravità congiunte.
L'uomo scivolò all'ultimo momento a destra, mandandolo a sbattere schiena contro il pavimento, e con un balzo passò subito al contrattacco, lanciandosi contro di lui di ginocchia: Raph rotolò sul pavimento per evitarlo e si rialzò con un colpo di reni, i piedi diretti contro la faccia del suo avversario. Marcus se ne accorse in tempo e allungò le gambe, interrompendo la sua discesa verso il pavimento e riuscendo a scansare l'attacco.
Con un salto si allontanò prima che il mutante potesse pensare a qualche altra mossa, mettendo qualche metro di distanza tra loro.

Raph si rimise in piedi con uno sbuffo irato e sofferto, strizzando gli occhi per studiarlo meglio nella penombra: lo scintillio del suo Sai era il dettaglio che riusciva a focalizzare meglio. Aveva scelto di gettare le sue armi, ma non aveva pensato che il suo avversario ne avrebbe approfittato per impossessarsene. Era stata una mossa davvero sbagliata.
Marcus si accorse che il suo sguardo era posato sull'arma che teneva in mano e sorrise apertamente.

Rivuoi il tuo giocattolo? Tranquillo, lo riavrai presto... conficcato nel cuore. Sempre che un mostro come te abbia il cuore dove dovrebbe essere” ridacchiò tra sé, con quella voce che dava i brividi per il fastidio.

Fammi il favore: evita di parlare! Quella voce non giova al tuo personaggio” fu la replica ironica, giusto per distendere appena i nervi.
Era certo ormai di come sarebbe finito lo scontro. Perché preoccuparsi ancora? Aprì le braccia a croce, indifeso e con l'obiettivo per il suo nemico scoperto.

Fatti avanti, se sei così certo di riuscirci” mormorò, tranquillamente.
Il cuore è esattamente dove dovrebbe essere” gli indicò poi, abbassando le braccia lungo i fianchi; “Se credi di potermi finire con un attacco senza che sia io ad ucciderti, vieni pure.”

Marcus affilò lo sguardo, come se temesse ci fosse qualche trucco dietro, ma il mutante era perfettamente immobile e rilassato. Gli occhi scrutarono le gocce rosse che scendevano sulla guancia verde scuro fino a scendere in rivoli nel collo e sulla tuta nera, creando arabeschi di sangue; al centro del petto, lì dove avrebbe piantato il Sai, spiccava l'impronta insanguinata di una piccola mano sinistra, -troppo piccola per essere di uno dei loro uomini,- quasi come se fosse un bersaglio che gli indicava dove colpire.
Con un attacco avrebbe potuto trafiggergli il torace da parte a parte, anche se l'altro avesse provato a difendersi: era di certo più veloce ed esperto di lui, non c'era possibilità di sbagliare.

Rigirò l'arma nella mano, poi strinse il manico con forza e sicurezza. I muscoli delle gambe guizzarono e si mosse incontro al suo nemico con tutta la sua velocità e il suo peso, il Sai puntato dritto di fronte a sé: il mutante lo guardò avvicinarsi con impassibilità, come se nemmeno ci volesse provare.
L'arma scintillò una volta, colpita dalla luce della piantana all'angolo, ormai vicinissima.

Raphael ruotò su sé stesso verso l'esterno all'ultimo frammento di secondo, la punta scivolò sul guscio e continuò a fendere l'aria; la mano del mutante afferrò il polso di Marcus e dirottò la traiettoria del colpo, incurvando il braccio verso l'interno: il Sai si conficcò nello stomaco dell'uomo con un suono agghiacciante nel silenzio improvviso che si era creato attorno a loro.
Marcus rantolò, sofferente, sgranando gli occhi per la sorpresa e il dolore. Raph si avvicinò al suo orecchio, sorreggendo il corpo che stava cedendo di secondo in secondo.

Prima che tu muoia, lasciati dire dove hai sbagliato: hai voluto usare il mio Sai contro di me. Tu potrai anche essere bravo a maneggiare ogni arma, ma sono io il maestro dei Sai. Ricordatelo, se sopravvivi” sussurrò delicatamente.

Lasciò andare il suo braccio e Marcus cadde sulle ginocchia, con la mano ancora sul manico dell'arma; con un colpo secco e un grido trattenuto la strappò dal suo stomaco e un fiotto di sangue riempì la maglia nera, colando sul tappetto con un picchiettio macabro.
Le labbra tremarono almeno tanto quanto il suo corpo, forse mentre provava a trovare la forza per dire qualcosa, ma il corpo cedette e si accasciò al suolo pesantemente, mentre il Sai cadeva tintinnando lì vicino.
Raphael rimase per un istante ad ascoltare il silenzio, così spesso e totale, mentre gli occhi osservavano il corpo del suo nemico a terra. Non c'era rimorso o compassione. Era stato uno scontro alla pari e onorevole, non c'era niente altro da fare o su cui rimuginare.

Si accorse che il silenzio era un po' troppo perfetto.
Leo?” chiamò, anche se parlare gli faceva muovere i muscoli del viso e bruciare di più il taglio.
Si voltò per tutta la stanza, ma di suo fratello e di Hun non c'era segno. Ma non c'erano nemmeno tracce di sangue che potessero fargli pensare al peggio... dove diamine erano finiti? Era certo che fossero lì fino a qualche istante prima, li aveva sentiti combattere con foga.
Si inchinò e raccolse il Sai vicino al corpo di Marcus, poi recuperò anche l'altro, uscendo dalla stanza come un fulmine. Doveva trovare Leo, prima possibile.


Dovresti ridarmi la mia Katana!” tuonò Leonardo, forte abbastanza per sovrastare il rumore delle due spade che si scontravano.
Hun gli rimandò un ghigno incredulo per la sua richiesta e per tutta risposta forzò col peso del suo corpo sulle braccia per farlo indietreggiare.
Leo si scansò e le due lame scivolarono una contro l'altra, allontanandosi. Un paio di passetti indietro e grossi respiri per riprendere fiato, mentre studiava il suo opponente e i dintorni.

La notte oscura li avvolgeva con il suo abbraccio soffocante, dal calore estivo. Benché il cielo fosse scuro e denso di nuvole nere forse più della stessa notte, l'aria era stantia e afosa, spessa tanto da poterla quasi toccare.
Nemmeno lì sul tetto, dove Hun lo aveva portato con la promessa di un'arena spaziosa e adeguata, nemmeno lì c'era un filo d'aria che portasse refrigerio al corpo bruciante e accaldato, al sudore che gli imperlava la fronte per lo sforzo.

Aveva seguito la scia del suo nemico senza pensarci, desideroso di non perderlo di vista per evitare fughe, ma forse avrebbe dovuto rifletterci un po' meglio, prima. E aveva lasciato Raph da solo con quel Marcus, senza nemmeno chiedersi cosa gli sarebbe successo; non era proprio il genere di mossa saggia da leader.
Da quanto erano lì su a scambiarsi fendenti e colpi volanti? Gli sembravano ore, per il dolore ai muscoli, ma non poteva essere. Dovevano essere quindici, al massimo venti minuti, anche se in effetti il tempo non aveva molto senso nel bel mezzo della lotta; non passava con lo stesso flusso, non scorreva nello stesso modo.
Se solo fosse riuscito a riprendersi la Katana dalla mano di Hun, sarebbe passato in una posizione di vantaggio... ma non era semplice.

Il suo gigantesco nemico si riportò all'attacco, fendendo l'aria a destra e sinistra, costringendolo ad indietreggiare velocemente, anche se la spada nelle sue mani si scontrava con la sua gemella ad ogni colpo. Era ovvio che Hun volesse spingerlo in un punto cieco, ma non riusciva a contrastare l'attacco come avrebbe voluto; saltò e lo calciò sul petto, forzandolo a fermarsi e sbilanciandolo. Con una capriola fu dietro la sua schiena e si voltò repentinamente per colpirlo, ma il bestione fu veloce e parò il colpo.
Questo scontro è molto divertente, lo devo ammettere. Ma devo finirti prima che il mio passaggio arrivi qui” esclamò mentre scostava la lama della sua spada per allontanarlo da sé.

Tese lo sguardo verso l'alto, verso un minuscolo puntino luminoso nel cielo, lontano e veloce nella notte.
Anche Leo strizzò gli occhi per mettere a fuoco e l'ombra sfocata gli parve un elicottero nero.
Se Hun sperava di andarsene impunito e vivo da quel tetto, aveva decisamente sperato male.
Prese la rincorsa e si gettò contro di lui, aggrovigliandosi in una serie di parate e affondi perfette e sincronizzate, in cui nessuno dei due mancava un colpo, nessuno dei due sbagliava una mossa.

Raph li trovò così, immersi in un intreccio spietato di lame e lotta, sbattendo la porta che portava al tetto con urgenza. Aveva corso come un dannato per tutto il piano inferiore per cercarlo, prima di ricordarsi che i shellcell erano connessi tra loro da un dispositivo di tracciamento di quel geniaccio di Donnie; una volta trovato il segnale sul display, c'erano voluti solo tre minuti per raggiungere il tetto.
E suo fratello era lì che lottava ancora col maledetto Hun, mentre un rumore ritmato si avvicinava pian piano dal cielo.

Leo! Ti sembra il modo di sparire?” domandò a tono alto, per farsi sentire, respirando a fondo.
La sua voce congelò entrambi i contendenti, come se fosse entrata d'improvviso nel loro mondo spezzandone l'equilibrio. Lo sguardo di Leo si accese di gioia e insieme preoccupazione per la ferita sul viso, mentre quello di Hun lampeggiò di sospetto e terrore.

Tu! Dov'è Marcus? Tu non puoi... lui non può...” tentennò con voce irata e incredula, come se dicendo quelle parole potesse rendere il pensiero reale.
È rimasto di sotto... aveva un po' di mal di stomaco. Non digerisce il ferro” ribatté sarcastico Raph, ghignando della sua espressione spaesata.

Il corpo di Hun tremò di rabbia e un fendente costrinse Leo ad indietreggiare, mentre l'omone si lasciava andare ad un urlo furioso, un ruggito nella notte.
Perché non vi decidete a morire una buona volta?” ringhiò fuori di sé, completamente divorato dalla follia.
La mano sinistra si spostò dietro, fulminea, per poi tornare al suo posto, stringendo una pistola. Quel bastardo ne aveva tenuta una nascosta sulla schiena. E la puntò contro Raphael, in un decimo di secondo.

Ne faccio fuori almeno uno, prima di andare” esclamò tra sé, il dito che già correva sul grilletto.

Leo urlò, qualcosa che non si capì nella foga del momento, mentre saltava con tutta la sua forza e la sua velocità, la Katana pronta.
La lama tranciò di netto la carne e l'osso proprio sotto al polso, liscia e con un movimento fluido, e la mano che ancora impugnava la pistola volò grottesca nell'aria, tra spirali di sangue, fino a raggiungere il parapetto e poi cadere di sotto.

Il grido di dolore di Hun fu spaventoso e riuscì a far tremare le ossa, mentre lasciava andare la Katana e stringeva il moncherino insanguinato al petto, straziato dal dolore e spaventato dall'inaspettato sviluppo. Sulla camicia bianca si formò in un istante una macchia rossa, che si espandeva sin troppo rapidamente.
Nessuno tocca la mia famiglia” esalò Leo facendosi avanti, con la lama della spada che scintillava di scarlatto puntata contro l'uomo di fronte a sé.

Hun indietreggiò a passi malfermi e sofferti, ma prima che Leo potesse anche solo pensare di colpirlo, una mitragliata spezzò la quiete, dall'alto, mentre il battito delle pale di un elicottero si faceva più vicino.
Indietreggiò in tempo per evitare i proiettili, ma il mezzo continuò a scaricare il fuoco su di lui, seguendolo per il perimetro del tetto, mentre andava a zigzag.

Raph! Dentro! Via, via!” urlò al fratello, raggiungendolo. Si gettarono entrambi oltre la porta della casupola per le scale, mentre l'ultima sventagliata di proiettili colpiva il tetto in cemento, fortunatamente senza trapassarlo.
Rimasero a terra, tra respiri profondi e orecchie tese per sentire cosa stesse accadendo fuori. Il rumore delle pale dell'elicottero rimase per qualche secondo sopra le loro teste, finché non si allontanò lentamente, fino a scomparire del tutto.
Raph si rimise in piedi e tese una mano al fratello, per aiutarlo ad alzarsi. Poi si fece coraggio e uscì sul tetto, occhieggiando verso l'alto con sospetto e tensione, sul chi vive.

Non c'è più nessuno” esalò alla fine, abbassando la guardia.
Leo era già dietro di lui e osservava la scia di sangue che correva sul tetto, diventando sempre più sfrangiata e irregolare, indicando che Hun si doveva essere aggrappato all'elicottero mentre era ancora il volo, forse alla scaletta in corda, per sfuggire in fretta.

Andiamo a casa” esclamò atono, nel silenzio che li avvolgeva.




Il rifugio era completamente illuminato, ma vuoto. Entrarono, stanchi e provati, ma vittoriosi. Tirarono dritti oltre il laghetto, diretti al laboratorio, ma la porta dell'ascensore si aprì di colpo, attirando la loro attenzione.
Don si accorse di loro nello stesso istante e inorridì nel vederli. Il suo sguardo osservò con apprensione ogni lacerazione e schizzo di sangue che li ricopriva, fino all'orrendo squarcio sulla faccia di Raphael.

Dove eravate? Cosa... di chi è tutto quel sangue?” esalò sconvolto, avvicinandosi a grandi passi, con la borsa a tracolla che ballonzolava al fianco ad ogni movimento.

Come sta Isabel?” domandò rudemente Leo, senza rispondere.
Gli occhi di Don brillarono di comprensione, ma decise di rispondere prima di chiedere ciò che aveva pensato.

Leather Head è venuto per metterle i punti, perciò l'emorragia si è arrestata e la pomata magica ha permesso una sicurezza di guarigione accelerata. Ma ha perso molto sangue e non possiamo darle il nostro, perciò sono andato da Angel: hanno lo stesso gruppo sanguigno” spiegò loro, mentre riprendeva a camminare verso il laboratorio, di certo per poterle fare una trasfusione il prima possibile.

I due gli andarono dietro e lui si fermò di colpo.
Siete andati da Hun, vero?” domandò, senza voltarsi a guardarli. Il silenzio teso fu la risposta migliore che potesse sperare.
Vi conviene non farvi trovare dal sensei in quello stato. Vi stava cercando e capirà subito cosa avete fatto” continuò il genio, con un tono di voce apprensivo, come se temesse per loro.

Come se avesse sentito il suo nome, o se avesse percepito la loro presenza, la porta del laboratorio si aprì e il piccolo ratto ne uscì fuori, con gli occhi seri e scuri sui suoi figli.
Camminò lentamente verso di loro, superò Don che stava davanti e si fermò di fronte al maggiore, il leader che aveva designato per il gruppo, sollevando lo sguardo per guardarlo in viso.

Leather Head ti sta aspettando, Donatello. Isabel ha bisogno della trasfusione il prima possibile” lo informò pacato, come se fosse un'amorevole esortazione a sbrigarsi.
Donnie si voltò brevemente per mandare loro un'occhiata di comprensione e sostegno, poi scattò e raggiunse la porta in un secondo, sparendo dentro il laboratorio in un lampo.

Rimasero loro tre, a fissarsi nel silenzio, gli occhi di Splinter che lampeggiavano di severità e domande.
Siete andati dai Purple Dragons” attestò sicuro, con un tono neutro che faceva più male e più paura di un pugno nello stomaco.
A cercare vendetta” finì, incredulo di ciò che stava affermando.
Sì, sensei” fu la risposta secca e in sincrono di entrambi, senza nessuna esitazione.

La coda di Splinter spazzò il terreno con una scudisciata nervosa, benché il suo proprietario fosse calmo e immobile.
Avete dimenticato che cosa fa la vendetta ad un cuore? Che cosa significa per un'anima? La vendetta è come una scheggia...” iniziò a rimproverarli, prima che la voce di Leonardo lo interrompesse.
Ti penetra sotto pelle e può avvelenarti la vita”3 concluse per lui, con tono graffiante e stanco.

La vendetta non è la scelta che tu avresti fatto, sensei, ma in questo caso era necessaria, perché era una questione di onore, della nostra famiglia. Isabel ne fa parte” aggiunse dopo qualche istante di silenzio, provando a fargli capire cosa li avesse spinti ad agire. Anche se era solo una mezza verità.
Il maestro li osservò quieto, senza dire una parola, e non riuscirono a capire se fosse deluso o amareggiato o se stesse solo pensando a cosa dire loro.

E a cosa è valsa? Cosa avete ottenuto?” domandò d'improvviso, come se volesse ancora una risposta prima di decidere.

Leo fece un passo in avanti e lasciò andare il fagotto nero che teneva in mano, che cadde al suolo con un tonfo cupo.
I lembi neri del panno si sciolsero e aprirono nell'impatto, rivelando la grossa mano livida e insanguinata al suo interno.

Hun ci penserà decisamente due volte prima di alzare ancora un dito sulla nostra famiglia” fu la replica gelida di Leonardo, mentre camminando superava il sensei, diretto al laboratorio.



1: Jeet kune do, jujitsu e capoeira, sono discipline di arti marziali. Rispettivamente, dalla prima: jeet kune do, inventata da Bruce Lee unendo e perfezionando diverse tecniche di arti marziali; jujitsu, è un'arte che ritorce la forza di una persona contro sé stessa, a gradi linee; la capoeira è un'arte marziale brasiliana, tanto fluida e armonica da poter passare per una danza.
Marcus sapeva queste ed altre discipline, eppure contro Raph non ha avuto fortuna! Ah!


2: Yukio Mashimi e Yoshi Hamato erano entrambi innamorati di Tang Shen, ma lei ricambiava l'amore di quest'ultimo. Geloso per quello, e perché Yoshi era più bravo di lui nelle arti marziali, Yukio uccide Tang Shen e Yoshi va a cercarlo per vendicarne la morte. Stagione 4, episodio 22 “Tale of Master Yoshi”.


3: La frase, detta dall'Antico, è quella che poi dà il titolo al capitolo. “Vengeance is like a Splinter. It gets under your skin and can poison your life. Il nome di Splinter viene proprio da questa frase, per ricordare a Yoshi cosa avesse fatto.



Note:
Salve a tutti!

Perdono in ginocchio sui ceci per il mostruoso ritardo nell'aggiornare! Non mi sono affatto dimenticata di voi o della storia, ma internet mi ha abbandonato per un'intera settimana. E anche adesso, anche se la compagnia ha detto che è tutto a posto, va male e a rilento e io prego che il capitolo si carichi!
Spero che comunque il capitolo tutto azione e sangue abbia conquistato il vostro perdono. Diciassette pagine di violenza. Wow! Ammetto che mi ha creato qualche reflusso di brivido per giorni. Se non è da rosso questo, non so cosa altro lo sia.
Marcus è morto per mano di Raph, o almeno così pare, mentre Hun ha perso la mano a causa di Leo. Che cruenti! Gestire due Raph assatanati in un capitolo è tutt'altro che semplice, credetemi.

È molto controverso il tema della vendetta, perché io mi rifaccio sia alla serie 2003 che al fumetto. Solo che, nel fumetto le tartarughe sono state allenate da Splinter con il proposito di vendicarsi dell'assassino di Hamato Yoshi, Oroku Saki; nel cartone invece, ovviamente dato che era per un pubblico più giovane, la vendetta viene dipinta come sbagliata, eppure, in casi come quello di Yoshi su Yukio, inevitabile.
Nel capitolo sono rimasta nel mezzo. Splinter non li sta sgridando perché pensa che arrecare danno ad una persona per vendetta sia sbagliato, ma vuole che ci sia un giusto sentimento e ponderazione dietro, oltre che un buon motivo.
Isabel è in effetti parte della famiglia, ormai, e dato che è stato Hun a metterla in mezzo, la vendetta è, ai loro occhi, giusta e onorevole.

Dato che ho aggiornato in ritardo, sempre se internet e il pc che deve essere formattato me lo permettono, il prossimo capitolo arriverà prima!
Abbraccione a tutti, mi siete mancati!
A presto

p.s.: Sarajane92 mi ha mandato un'intera tavola questa volta! Ed è meravigliosa! Mi ha messo addosso un'adrenalina che non vi dico! Come vorrei essere capace di trasporre le storie in fumetti, bramerei per vedere a disegni!

Grazie Sara, sei un portento! Bravissima!

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Capitolo 23
*** Just a little kiss ***


No! Non potete entrare in quello stato!” sbottò categorico Mikey, seppure abbassando la voce per non essere sentito.
Raph e Leo lo squadrarono per un attimo, lì impalato davanti alla porta del laboratorio con le braccia aperte per impedire loro di entrare. Aveva la fronte corrugata per tutta la serietà che ci stava mettendo, ma i suoi occhi erano calamitati dallo squarcio sulla faccia di Raphael, dai lembi di carne visibili e sfrangiati che gli davano i brividi e la pelle d'oca.

Si era precipitato fuori dalla stanza quando Don, mentre attaccava la sacca per la trasfusione ad Isabel, gli aveva sussurrato che i loro fratelli erano tornati, ricoperti di sangue e ferite, da uno scontro con Hun.
La prima cosa che gli occhi di Michelangelo avevano visto era stata la grossa mano cinerea, poggiata sul pavimento in un panno nero, e un brivido gli era corso giù per la schiena. Avevano staccato una mano ad Hun. E non gli era nemmeno difficile capire come avessero fatto: quando si era voltato per cercare gli occhi dei suoi fratelli aveva visto, al di sotto, mentre si avvicinavano a grandi passi al laboratorio, una rabbia sottaciuta e un odio che non avevano trovato pace. Soprattutto in Leo.
Aveva indietreggiato fino a che non aveva sentito il tocco del guscio contro la spessa porta del laboratorio, e allora si era fermato, pronto a tutto.

Raphael e Leonardo si fecero ancora una volta avanti, confusi e seccati per il suo comportamento, ma lui non si mosse di un millimetro.
Ve lo ripeto: non potete entrare! Donnie è stato categorico!” insisté, alzandosi sulle punte dei piedi per sembrare più alto e quindi più minaccioso.
Perché Don vorrebbe tenerci fuori?” domandò brusco Leo, la cui mano si era già allungata verso il fratello per spostarlo.
Perché Isabel è molto debole. E voi non siete esattamente un esempio di igiene, in questo momento; se prendesse un'infezione da voi o dal sangue che vi portate addosso, potrebbe anche morire” rispose pacatamente la voce del sensei, alle loro spalle.

Entrambi si fermarono, sorpresi. Poi i loro sguardi si abbassarono sulle tute impolverate e ricoperte di schizzi di sangue, così come le mani, e infine corsero ognuno sull'altro, osservando il proprio compagno di battaglia, che condivideva le stesse medaglie. Si guardarono negli occhi e strinsero entrambi le labbra, in imbarazzo.
Il sensei non si era perso un dettaglio delle loro azioni e li osservava ancora in silenzio, aspettando una loro reazione.

Se ci ripuliamo, dopo potremo entrare?” chiese esasperato Leo, stanco oltre ogni dire e incapace di lasciare andare il nervosismo, finché non l'avesse vista coi suoi occhi e avesse appurato che stesse bene.
Splinter abbassò il capo e annuì, in silenzio.
Con un basso ringhio di Raph, che evidentemente reputava il tutto una seccatura, i due si allontanarono, diretti uno verso il bagno al piano terra e l'altro in quello al primo piano. Splinter intanto, si era avvicinato al trofeo di guerra e aveva piegato i lembi del panno nero per ricoprirlo, prendendolo poi con sé.

Leo si liberò della tuta con frenesia e una buona dose di noncuranza, gettandola alle spalle una volta sfilata, smanioso di fare in fretta; la bandana azzurra chiazzata di rosso sangue fece la stessa fine. Entrò nella doccia che già la mano girava la manopola dell'acqua e il primo getto fu completamente gelato, come una cascata nordica dritta sulla testa.
Trattenne perfino il respiro, dalla sorpresa e per lo shock termico.
Eppure, gli bastarono pochi secondi per abituarsi alla temperatura, e dopo il disappunto iniziale, una strana calma si impossessò del suo corpo, scendendo da testa a piedi, inondandolo di una rinvigorente serenità. La doccia fredda stava lavando via gli ultimi residui di adrenalina e rabbia che ancora conservava in corpo, portandoli giù, oltre lo scarico e la terra, lontano da lui.

Aveva fatto davvero una pazzia. Era indubbio. Gettarsi con quella furia contro un intero squadrone di nemici, senza un piano, senza una retroguardia o una via di fuga certa... a mente fredda, era stato pazzo e sconsiderato.
Ma il dolore e il furore nel sapere Isabel ferita avevano cancellato ogni altra cosa: la prudenza, il buon senso, perfino l'amor proprio o l'onore.
Solo quando aveva visto quel maledetto tremante e sanguinante al suolo si era sentito bene, si era sentito vittorioso e potente, soddisfatto. Anche se in quel momento non lo era più così tanto.

Era impalato sotto il getto gelido, perso in pensieri e ponderazioni.
E benché una parte di sé recriminasse per la sua azione, e gli desse dello stupido e dell'incosciente, sapeva che quello che aveva fatto quella notte era stato necessario, anche per il futuro. Hun forse non era morto, ma ci avrebbe pensato di certo per bene prima di provare ancora a mettere piede in città e a toccare uno della loro famiglia.
A meno che non desiderasse morire per davvero, una volta per tutte.

Si diede dello sciocco, perché stava decisamente perdendo tempo. Afferrò la spugna e il bagnoschiuma e si lavò velocemente, senza però regolare l'acqua su una temperatura più consona, gioendo del freddo che spegneva un po' i suoi bollori e il suo cattivo temperamento, così pressante e dominante in quell'ultimo periodo. Così poco Leonardesco.
Così troppo da Raphael.

Ma se lui era corso nella notte e incontro alla morte per vendicare la donna che amava, suo fratello per quale motivo era corso insieme a lui? Se era vero che non era più innamorato di lei, perché si era gettato con quel furore contro i Purple Dragons e l'uomo che l'aveva ferita, Marcus, rischiando tutto?
Voleva chiederglielo, ma aveva una paura folle di cosa avrebbe potuto scoprire. Se Raph gli avesse detto che ciò che più temeva era vero, lui che avrebbe potuto fare? Se si fosse di nuovo innamorato di lei o avesse scoperto che in realtà non aveva mai smesso di amarla?
Lui si sarebbe dovuto semplicemente tirare indietro e lasciare che si mettessero assieme?

Uscì dalla doccia in fretta, strofinandosi con l'asciugamano con così tanto vigore che la pelle verde foresta si arrossò, e corse al piano di sopra a vestirsi, divorato da dubbi e domande.
Quando uscì dalla sua stanza, dall'altro lato del pianerottolo circolare, Raphael stava uscendo dalla sua.
Si osservarono per un secondo, forse per la sorpresa per l'inusuale sincronizzazione.
Si gettarono al di sotto a volo d'angelo, atterrando ai due lati del laghetto, poi, dopo essersi rialzati, si incamminarono verso il laboratorio.

Mikey non era più alla porta e del sensei non c'era traccia, lì fuori.
Leo rallentò il passo per permettere a Raph di raggiungerlo, perché improvvisamente si era fatta strada in lui la voglia pressante di fare una domanda. Piccola. Innocua. Perlomeno sperava. Ma che, anche se la risposta fosse stata orribile e temuta e avesse scoperchiato qualcosa di profondo, lui doveva semplicemente fare.

Perché vuoi vedere Isabel?” domandò sottovoce, mentre entrambi arrivavano davanti alla spessa porta scura del laboratorio.

Raph non si voltò, e anche così, voltato di tre quarti, poteva vedere l'inizio del taglio sulla sua faccia. Se la sua pelle era gelata e gelida, dal corpo del fratello si alzavano invece spirali di vapore tanto intense che poteva perfino sentirle da quella distanza; ci si doveva essere cotto, sotto il getto di acqua bollente.
Ho le mie ragioni” fu la laconica risposta di Raph, mentre apriva l'uscio verso l'innaturale silenzio della stanza.

C'era Mikey, seduto su una sedia vicino alla barella che usavano in casi di infortuni, Don che trafficava con la piantana che teneva la sacca del sangue ormai quasi vuota e Isabel sdraiata e pallida, con una vistosa fasciatura che copriva la spalla destra e il braccio.
I due mutanti si erano voltati al loro ingresso, con due sorrisi identici di sollievo. Lo sguardo di Don si adombrò nello scrutare la ferita di Raphael e gli si fece incontro.

Dovremo darti dei punti” sentenziò pratico occhieggiandolo, senza però osare toccare la ferita, così aperta da essere a rischio di infezione.
Leather Head è andato a prendere la sua valigetta. Non aveva abbastanza materiale, sarà qui tra poco.”

Raphael fece spallucce e lo ignorò, tirando dritto fino alla barella poggiata contro il muro in fondo. Leo ci era già arrivato e scrutava Isabel con un'intensità tale che probabilmente lo avrebbero capito anche i sassi cosa provasse.
Sollievo. Un sollievo totale e rasserenante, nel vederla dormire serena, anche se troppo pallida, nel sentirla respirare, nel sapere che era viva. Forse stava tremando, nello sforzo di non mettersi semplicemente ad urlare e lasciare andare quella paura che aveva attanagliato il suo cuore fino a quel momento.
I suoi occhi si sbarrarono di sorpresa, quando Raphael si avvicinò e si chinò su Isabel, scuotendola per la spalla sana senza riguardo.

Fermo! Cosa stai...” urlò Don sconvolto, lanciandosi verso di lui, la voce persa in mezzo alle altre.
Ehy! Lasciala!” strillò Mikey alzandosi di scatto dalla sedia, furioso come non mai.
Raph!” sentì la sua stessa voce gridare, mentre la rabbia cresceva nel suo petto.

Raphael li ignorò e li tenne a distanza, con la sua enorme mole, continuando a scuotere il piccolo corpo provato, finché Isabel non spalancò gli occhi e si tirò su di colpo, confusa e dolorante, con un respiro brusco e spaventato.
Lo sguardo corse per la stanza mentre respirava pesantemente, in allarme, su loro che si erano bloccati per la sorpresa, poi su sé stessa e la fasciatura. Infine si posarono su Raphael che ancora la teneva per la spalla e sul suo viso ferito. Trattenne il respiro, inorridita.

Sei... siete stati dai Purple Dragons?” domandò nel silenzio, con la voce debole per lo sforzo.

Don si divincolò dal blocco di Raphael e la raggiunse, aiutandola a mettersi semi sdraiata, staccando la mano del fratello, dalla presa ferrea.
Mikey le indicò Leo e Raph.

Loro sono stati da Hun! Dovevano chiedergli una mano” rivelò con un mezzo ghigno per la battuta, che lei ovviamente non capì.

E tutto per causa tua! Non avresti attirato la sua attenzione se ti fossi tenuta alla larga e ti fossi fatta i fatti tuoi! Ma no! Dovevi giocare a fare la Kunoichi, la vigilante notturna! E adesso hai capito che non è un gioco!” la investì arrabbiato Raph, a voce alta, facendo trasalire tutti nella stanza.
Raph! Smettila!” lo assalì Leo, che proprio non capiva il suo comportamento. Ma non avrebbe permesso a nessun costo che lui l'aggredisse in quel modo.
Eri tu il misterioso eroe della città?” esalò Donnie, dandosi dello stupido per non esserci arrivato da solo.

Certo che era lei. Come non sospettarlo? Le piace così tanto dare problemi alla gente! Tanto ci sono gli altri che le salvano le chiappe e rischiano le loro, perché preoccuparsi?” incalzò Raphael, facendosi avanti, fino ad arrivare vicino alla sua testa, sovrastandola.
Don e Leo si lanciarono in avanti, per mettere freno a quella pazzia, preoccupati.

Ti piace fare la parte dell'eroina tragica, vero? La povera piccola Isabel che fa tanto per gli altri e si sacrifica? Beh, guarda un po' dove ha portato il tuo gioco, stanotte. E guarda come comunque continui imperterrita nella tua sceneggiata! Se ti fregasse qualcosa delle persone che si preoccupano per te, ti faresti curare e poi te ne andresti da qui, lontano, nel tuo regno, senza rompere ancora!”

Raph prese un grosso respiro alla fine della sua sfuriata, con le mani strette a pugno così forte che tutti temettero che si stesse trattenendo per non colpirla.
Isabel lo fissava, semi sdraiata, coi suoi occhioni scuri sbarrati di sorpresa e risentimento, morsicandosi le labbra come se si stesse trattenendo dal dirgli qualcosa.
Poi sorrise brevemente. Come se la verità l'avesse colpita, sorrise accondiscendente.

Hai ragione. Sono stata una vera stupida, lo ammetto. È meglio che... mi puoi curare” disse con un filo di voce, atono, quasi pieno di rimorso.

Raphael sospirò, gettando fuori quella rabbia che gli era rimasta, sinceramente sorpreso dall'inatteso sviluppo. Non credeva sarebbe stato capace di convincerla così velocemente, ma in effetti sembrava molto provata e debole, incapace di ribattere a lungo. Si inchinò su di lei per prendere il bacio che gli avrebbe permesso di curarla.
Leo osservò il viso del fratello scendere secondo dopo secondo verso Isabel, che immobile lo attendeva.
Avrebbe urlato. Oh sì. Ancora un secondo e avrebbe urlato, saltando al collo di Raphael con tutta la sua furia, aggredendolo per tenerlo lontano da lei. Nella sua mente lo stava già facendo. Mille e più volte aveva già colpito Raph per allontanarlo.

Ma nella realtà suo fratello era ad un soffio dalle labbra di Isabel e il suo cuore palpitava di rabbia e dolore con angoscia, pressando sul torace quasi fisicamente, accorciando il suo respiro.
Poi Isabel allungò una mano e afferrò il colletto della maglia di Raph, tirandolo verso di sé con uno strattone: la traiettoria del bacio deviò e le labbra di lei si poggiarono sulla guancia, sullo squarcio nel viso, diretto.

Raphael urlò di sorpresa e provò a divincolarsi, ma la mano di Isabel lo teneva implacabilmente fermo mentre i poteri di guarigione rimpicciolivano la ferita, velocemente, che si richiuse su sé stessa e cicatrizzò sotto i loro sguardi attoniti.
Solo quando fu certa che il taglio si fosse rimarginato, Isabel lasciò andare Raph, liberando la mano dal suo colletto. Lui si alzò repentinamente e con stizza, arrabbiato come non mai; si toccò la guancia cercando traccia della ferita sotto le dita, ma la pelle era liscia e intonsa. Il dolore era scomparso del tutto, ma preso dalla rabbia non se n'era accorto.

Cosa... perché non la smetti? Smettila coi tuoi giochetti e lasciati curare! Così puoi finirla di rompere e te ne puoi andare!” le urlò seccato, imbarazzato e furioso per essere caduto nel suo tranello come un idiota.
Si sporse in avanti, velocemente e con forza, per prendere il bacio per guarirla volente o nolente, ma incontrò la mano di Isabel, puntata decisa sul suo petto, impenetrabile come un muro.

Stava usando i suoi poteri per tenerlo alla larga, nonostante il dolore che la ferita le provocasse, nonostante non fosse al massimo della forma. Poi, lo spintonò via, allontanandolo da sé. Con un gesto secco scostò le coperte e si portò al bordo del letto, barcollando solo appena, e la sua mano afferrò il filo della flebo, staccandolo con forza dal braccio: uno zampillo di sangue uscì dal foro nel braccio e lei si affrettò a premerci contro con l'altra mano, cercando di fermarlo.

Erano rimasti pietrificati, sconvolti dal veloce dispiegamento della situazione, così repentina; si riscossero solo quando lei si tirò su e si diresse verso la porta con un'andatura malferma, decisa ad andarsene.
Donatello si gettò in una corsa frettolosa, fermandola giusto in tempo.

Cosa stai facendo?” chiese, parandosi di fronte a lei con le braccia spalancate, frenando la sua fuga.

Isabel sollevò lo sguardo su di lui.
Torno a casa. Grazie per le cure, sto bene adesso” rispose atona, continuando a premere sul braccio, macchiato da un rivolo di sangue che scendeva verso il suolo.
Non stai bene. Devi riposare! Rimani qui finché non ti sarai ripresa” la sgridò piuttosto alterato, uno strano stato d'animo se proveniva da Donatello. Era il più calmo, solitamente.
Sto bene, Don. Sul serio” rispose stanca lei, che voleva solo essere lasciata in pace. Voleva starsene da sola, a prendersi mentalmente a calci per la sua stupidità, per aver creato tutto quel casino, per aver scatenato una lotta che aveva portato due persone che amava a battersi per vendetta e per la fredda ira di Raphael, che non la voleva lì, lo sapeva bene.

La mano del genio si poggiò sulla spalla sana, in un muto gesto di affetto e comprensione.
Sarei più tranquillo se stessi con noi per qualche giorno. E Leather Head anche, sapendo quanto ci ha messo per darti i punti. Rimani con noi, per un po'” le disse con voce dolce, cercando di metterla sul piano dei sensi di colpa, come se andandosene avesse fatto un torto a loro.
Lo sguardo di Don si sollevò sui fratelli, alle spalle della ragazza.

Siamo tutti d'accordo che Isabel debba restare, vero?” esclamò cono tono asciutto, come se stesse minacciandoli a dire il contrario.
Faceva uno strano effetto essere minacciati da Donnie, come se improvvisamente il proprio orsacchiotto preferito avesse preso vita e li stesse tenendo in scacco con un coltello dritto alla gola. Agghiacciante sotto tutti i punti di vista.

Certo che deve restare!” rispose prontamente Mikey, che ne era convinto anche senza nessuna minaccia da parte sua.
Leo rispose affermativamente, come ovvio, mentre Raph non disse nulla, torvo e cupo vicino al letto, schiacciato dall'occhiata intimidatoria di Don, che lo stava sfidando ad azzardasi a dire il contrario.

Un po', solo per un po'” soffiò fuori Isabel, sorridendo timidamente a Donnie, che invece sorrise contento.

Venne forzata a tornarsene buona e tranquilla nel letto, da un genio dalla benda viola piuttosto convincente, che nessuno nella stanza voleva davvero fare arrabbiare.
Passò chiunque per il laboratorio, quella giornata: la famiglia Jones, con un'apprensiva April che per poco non la strozzò dalla gioia di vederla intera; Angel con un meraviglioso cesto di muffin alla frutta e che Isabel non ringraziò mai abbastanza per la trasfusione di sangue; Steve, imbarazzato e a disagio, come se si sentisse in colpa per non aver scoperto prima che era lei il misterioso vigilante, evitando così che si cacciasse in quel guaio.
La fecero sentire amata e al sicuro, come mai si era sentita prima, ma il rimorso per ciò che aveva fatto e per il caos in cui li aveva messi, non si attenuò in nessun modo, assieme all'orribile disagio che provava nel sapere che Raphael odiava averla lì.



La mattina dopo la svegliò con la luce artificiale del laboratorio, così diversa dai tenui raggi di sole che entravano dalle finestre magiche, e da un lieve scalpiccio fuori dalla porta.
Era riuscita a convincere Donnie a dormire nella sua stanza, la sera prima, dato che l'amico aveva proposto di rimanere lì per controllare che non avesse problemi, perciò era quasi certa che fosse lui, in piedi così presto che l'alba non era ancora sorta, che correva per controllare che stesse bene, con la sua solita eccessiva apprensione.

Isabel si alzò dolorante, coi punti che tiravano la pelle provocandole un fastidioso bruciore. Tenendo il braccio ferito premuto contro il corpo, si incamminò verso la porta, con passo un po' più sicuro del giorno prima.
C'erano Leo e Steve fuori dalla stanza, che si incamminavano verso il dojo: il ragazzino era emozionato e fuori di sé, tanto che quasi saltellava dalla gioia, mentre il mutante gli parlava con tono calmo.

Prima lezione di ninjitsu? Attento, Leo è piuttosto intransigente” esclamò a voce alta, catturando la loro attenzione.

Il leader si bloccò nel sentire la sua voce e quasi si fiondò nella sua direzione, in un lampo.
Cosa ci fai in piedi? Devi riposare!” fu la prima cosa che disse, preoccupato.
Anche se in effetti, c'erano ben altre cose che avrebbe davvero voluto dirle. Come che era felice di sapere che era viva, che la amava da morire e che non doveva prendersela per quello che Raph diceva o faceva, perché non contava, perché se gli avesse dato una chance, lui l'avrebbe resa così felice da fargli dimenticare per sempre quell'idiota.
Ma ovviamente, non poteva dirglielo. Non ne aveva il coraggio. Forse non l'avrebbe mai avuto. Soprattutto dopo aver visto come lei reagisse in presenza del fratello, come si sacrificasse sempre troppo, anche mentre era ferita, per curarlo, per farlo stare bene. Raphael era sempre la priorità, per lei.

Isabel sorrise tranquilla a lui e Steve, dissimulando il dolore che provava.
Sto davvero bene! Non c'è bisogno di tutte queste premure! Posso alzarmi già in piedi e muovermi per conto mio. Anzi, potrei perfino allenarmi” replicò con leggerezza, staccandosi dall'uscio contro il quale si era poggiata, incamminandosi verso il dojo.
Steve trattenne anche il fiato mentre Leo si faceva avanti per bloccarla. E si sentiva stranamente di troppo, come se sentisse che era meglio lasciarli da soli, come se sentisse che Leo voleva stare da solo con lei.

Sei impazzita? Ovvio che non te lo lascerò fare” esalò il mutante, esasperato da quella donna che amava e non riusciva a gestire nella stessa misura.
Rimarrò buona in un angolo a guardare la prima lezione dello scricciolo spione” ridacchiò Isabel, mandando un'occhiata divertita a Steve, che arrossì per la vergogna.
Posso, vero, senpai?” finì la ragazza verso il leader, palesemente prendendolo in giro.

Leo sbuffò, piuttosto irritato eppure arrendevole, davanti a quel sorriso.
Puoi venire con noi. Ma non ti allenerai, scordatelo proprio! E se ti senti male o senti la ferita pizzicare o riaprirsi o qualsiasi altra cosa che ti causa dolore, ce lo dirai immediatamente! Sono stato chiaro?”
Alla risposta affermativa di Isabel, il gruppetto si diresse verso il dojo, dove Splinter già li attendeva, seduto in meditazione, che interruppe quando si accorse della ragazza. Dopo che lei l'ebbe rassicurato sul perché fosse lì e che si mise seduta in un angolo per non disturbare, i tre iniziarono la loro lezione.

Isabel osservò il piccolo Steve inchinarsi con riguardo al sensei, piuttosto impettito, e sempre con una certa rigidità sedersi sulle ginocchia per meditare. Era buffo guardare i suoi tentativi di rimanere fermo, mentre provava palesemente a liberare la mente come gli indicava il maestro: dondolava appena di qua e di là, le spalle tremolavano per lo sforzo di rimanere immobile e di tanto in tanto apriva un occhio per controllare i suoi compagni di meditazione, che richiudeva immediatamente quando il respiro di Splinter si faceva più pesante, come se sentisse che si era distratto e desiderasse riportarlo nel mondo psichico.

Forse non era il genere di allenamento che Steve si era aspettato, probabilmente pensava di imparare già qualche mossa, come nei film di arti marziali che passavano in tv, ma dovette ammettere che il ragazzo si impegnava con tutta la sua concentrazione in tutto quello che Leo e il maestro gli dicevano.
Come premio, alla fine delle ore di meditazione, Leo gli insegnò una presa per difendersi, una torsione del polso da effettuare in caso di attacco con un pugno. Steve ci si gettò, letteralmente, in quel mini allenamento, finché non riuscì a imparare a replicare la mossa, anche se con ancora un po' di titubanza.
Era così felice che corse verso di lei, esultante, per ricevere i giusti complimenti che sentiva di aver meritato.

Isabel gli sorrise, alzandosi con un po' di sforzo, puntellando la mano buona contro il rivestimento in legno del dojo; non lasciò andare nemmeno un lamento, anche se in realtà la spalla le bruciava da morire.
Forse non era stata una buona idea restare alzata così a lungo, forse si era sforzata più del dovuto e troppo presto; ma proprio non se l'era sentita di rimanere immobile a farsi coccolare e servire, facendo crescere la loro preoccupazione e le loro premure. Non era il genere di cosa a cui era abituata, e anche se il loro affetto le faceva piacere, o forse proprio per quello, non avrebbe approfittato della situazione, imponendo la sua presenza più del dovuto.

Hai visto il mio allenamento? Come ti è sembrato?” chiese Steve, entusiasta. Sembrava quasi che non toccasse il pavimento da quanto era euforico.
Stupendo! Prometti bene, scricciolo” si complimentò con un grosso sorriso, scompigliandogli i capelli con la mano sana.

A Leo non sfuggì la rigidità con cui si era mossa.
Steve, il maestro sarebbe felice di mostrarti la sala da meditazione e offrirti una tazza di tè e una buona massima per la tua prima giornata. E sarebbe molto più felice se fossi tu a domandargli l'onore e a ringraziarlo per questa lezione” propose sottovoce perché il sensei non sentisse.
Il ragazzo sorrise da orecchio a orecchio e si lanciò per il dojo, raggiungendo l'anziano ratto mutante, e con un grosso inchino gli ripeté la richiesta suggeritagli da Leonardo. Rimasero entrambi a guardare il saggio maestro sorridere felice al nuovo discepolo e poi fargli strada verso la porticina in fondo, nella stanza da meditazione.

Isabel si mosse per prima, staccandosi dalla parete e pronta a tornare nel laboratorio, più velocemente possibile; la ferita bruciava e pungeva così forte che seppe, senza nemmeno togliere la benda, che si era riaperta. Doveva ritornare e mettere la crema magica e rifasciarla, prima che qualcuno se ne accorgesse.

Perché ti sforzi così tanto?”
La voce di Leo la fece sobbalzare e fermare. Si girò, incontrando il suo sguardo di rimprovero; si era tolto la maschera e la teneva nella mano, così che lei potesse leggere perfettamente la luce di disappunto che attraversava il suo sguardo.

Non mi sono affatto stancata, sto ben..”
Strillò di dolore quando lui l'afferrò d'improvviso per il braccio, stringendo le dita appena sotto la fine della benda, facendo tirare la sua pelle che già pizzicava .

Non stai bene. Pensi che non mi sia accorto della sofferenza che c'è nei tuoi occhi?”

Leo iniziò a srotolare la benda, arrabbiandosi sempre di più ad ogni giro che svolgeva: il sangue apparve sul candore delle garze, dando corpo al suo timore. Nel silenzio teso si sentiva solo il fruscio della fascia che si srotolava, centimetro per centimetro.
Sciolse gli ultimi giri, serrando la mascella dalla rabbia, finché la benda non finì e si staccò cadendo al suolo, vicino alla sua bandana azzurra lasciata cadere secondi prima, mostrando la spalla: la ferita si era riaperta vicino alla scapola e sanguinava copiosamente.
Gli occhi scivolarono dalla goccia di sangue che cadde e scese lenta sulla sua pelle, al viso di Isabel, che fece una smorfia pentita, presa in flagrante.

Adesso metterò di nuovo la crema e starò ferma, lo prometto” anticipò ogni sfuriata lei, con una voce piccola e deferente, perché sapeva di aver agito male. E sapeva che Leo era furioso e ricordava ancora la rabbia con cui l'aveva aggredita l'ultima volta in cui l'aveva ripresa.

Perché non lasci che Raphael ti curi?” le domandò lui, serio, mentre le dita stringevano ancora il braccio, impedendole di scappare.
Il cielo solo sapeva quanto non volesse che quell'idiota di suo fratello la toccasse ancora, che la baciasse addirittura, -la sera prima lo avrebbe ucciso quando aveva provato a farlo,- ma anche quanto desiderasse che lei guarisse. Perché vederla soffrire in silenzio per non farli star male era così dannatamente duro e doloroso; perché il guscio che lei si era eretta attorno la rendeva così sola, anche quando stava con loro, e lui provava rabbia per non poterla avvicinare quanto avrebbe voluto, spazzando via quella corazza fino ad arrivare alla vera Isabel e allora stringerla e non lasciarla andare più.

Lei sussultò alla domanda. Forse non si era aspettata che lui menzionasse Raphael, non lo faceva mai con lei, o forse si era sorpresa per quello che le aveva chiesto.
Sai come funzionano i miei poteri, sai che ci vuole un bacio. Un bacio è qualcosa che solo qualcuno che ti ama dovrebbe darti, un gesto così intimo e stretto, che viene dal cuore. Non posso. Non posso costringerlo a farlo solo perché sono ferita. Ha detto che non è più interessato a me. Non deve sentirsi in dovere di baciarmi per potermi curare” sussurrò dopo qualche secondo, abbassando il viso per l'imbarazzo di dover confessare una cosa del genere.

Si sentì d'improvviso tirare e afferrare da Leo, una mano le cinse la vita, artigliandole letteralmente la carne, stringendola con possesso contro il suo corpo, l'altra si agganciò alla sua nuca, con impulsività, infilandosi tra le ciocche dei capelli e sollevando il suo viso.
E accadde: la baciò, con un'irruenza che la sconvolse, lasciandola attonita, mentre sentiva il tremore del suo corpo e il battito furioso del suo cuore riecheggiarle dentro la testa e i propri polmoni richiedere ossigeno, risucchiato via dalle sue labbra e dai toraci compressi uno contro l'altro, che non lasciavano spazio per niente.
Tutto ciò che riuscì a pensare, in quel fugace eppure anche troppo intenso momento, fu che il sapore e l'odore di Leo erano diversi da quelli di Raffaello. Di limone e legno.

Quando lui la lasciò andare, -con uno schiocco secco nel silenzio del dojo, seguito dal rumore sin troppo violento dei respiri affamati d'aria,- si portò la mano alle labbra tumide dal bacio ardente, turbata: dal suo gesto, dalla sua aggressività e dalla passionalità latente nei suoi gesti. Era troppo sconvolta per riuscire a muoversi, per articolare un suono, per reagire propriamente a ciò che era appena successo. Riusciva solo a fissarlo, respirando pesantemente nel silenzio.

Leo aprì gli occhi, ma non la guardò: si chinò sulla sua spalla, poggiando le labbra sulla ferita con foga, quasi desideroso di lasciarci un marchio; le sentì scendere in piccoli baci dalla clavicola fin sul braccio, calde e delicate, così diverse dalla bramosia di poco prima.
Al bruciore della ferita seguì il sollievo della guarigione. Ma al turbamento del suo cuore non seguì alcuna consolazione: rimase appollaiato nel suo petto, come un oscuro vortice di angoscia, che le rendeva il respiro corto e le faceva tremare le mani.

Leo si tirò su, guardandola infine negli occhi. Ed erano torbidi e più profondi di come lei li ricordasse. Con la mano teneva fermamente il suo polso, come se non volesse lasciarla scappare via.
Devi avere più cura di te stessa. Una donna non dovrebbe lasciare che una cicatrice rovini la sua bellezza” disse con voce roca, passando un dito sulle labbra per togliere una goccia di sangue rimasta impigliata sul bordo. Isabel sussultò, abbassando lentamente la mano dalla bocca.

Leo... tu...”
Scrutò un secondo nei suoi occhi scuri, poi divincolò il braccio e scappò via, senza aggiungere altro.

Leo abbassò il capo, senza voltarsi per fermarla, riprendendo fiato come se avesse appena corso intorno al mondo. Gli sembrava di non avere mai respirato davvero prima di quel momento. E il suo cuore martellava nel petto così forte che di lì a poco avrebbe trapassato gabbia toracica e guscio, lasciandolo a sanguinare fino a morire. Perché un po' si sentiva morire.

Aveva baciato Isabel. La ex di suo fratello. Che lei amava ancora disperatamente.
L'aveva baciata con passione e disperazione, sovrastato da tutto ciò che sentiva, e il suo corpo era ancora scosso dal piacere e l'eccitazione repressa che aveva provato. Il calore e la morbidezza del suo corpo, il suo odore di lavanda che gli aveva riempito la testa mentre la stringeva, il sapore delle sue labbra, avevano scatenato un sottile godimento e un violento desiderio che lo straziava, facendogli bruciare il petto e il basso ventre.

Aveva baciato Isabel, contro la sua volontà. E gli era piaciuto. Dannazione se gli era piaciuto.
Esisteva di sicuro un girone dell'inferno, per uno come lui.




Note:
Buon giorno a tutti!
La vendetta si è consumata, con conseguenti problemi per Hun. E adesso si deve andare avanti.
Duuunque: gli sviluppi ci sono, eccome. Per lo meno, qualcuno ha fatto una mossa azzardata, preso dal momento, come evolverà si saprà in futuro.
Ringrazio tutti i lettori, chi recensisce con affetto, i nuovi seguiti!
Abbraccione
A presto

p.s: un nuovo meraviglioso disegno di Sarajane! Adoro il piccolo Steve cospiratore, chissà che sta spifferando a Donnie! Grazie, cara, sei un tesoro! Bravissima!

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Capitolo 24
*** Fight me, Forgive me, Forget me ***


Raphael e il sensei sedevano sul divano, nella zona video, con gli occhi calamitati sul telegiornale, mentre Leo, seduto in un angolo vicino alla porta della cucina, affilava le Katana con la pietra, con gesti secchi e stizzosi, apparentemente assorto in un suo mondo. Mikey stava canticchiando sommessamente dalla cucina, da dove provenivano rumori di spadellamenti.

...incredibili novità, in diretta dal centro di New York!” disse la voce entusiasta del mezzo busto che leggeva le notizie, mentre dava il collegamento alla sua collega per un pezzo dalla strada.
Le immagini slittarono dallo studio asettico e artificiale ad una esterna in una strada trafficata, sulla giornalista con la maglia gialla e un grosso sorriso cortese e professionale alla camera.

Grazie, James! Sono qui per la Main street, capitata dopo un'operazione delle forze dell'ordine per parlare con il colonnello Morgan. Ci è stato riportato che la spirale di delinquenza in città si è improvvisamente esaurita nel giro di una notte e che l'indice di criminalità è calato addirittura dell'80%! I cittadini tirano grossi sospiri di sollievo, ma vogliamo chiedere conferma a chi di competenza” narrò la donna incamminandosi verso una barricata di macchine alle sue spalle, tra cui spiccavano le divise degli uomini di polizia e altri enti governativi.

Si avvicinò con urgenza ad un uomo in divisa e giubbotto antiproiettili che, preso dal dare ordini a qualcuno fuori campo, era perfettamente ignaro del suo arrivo.
Colonnello Morgan! Per favore, una domanda! Cosa ha da dire a chi sostiene che gli episodi di inspiegata criminalità siano ormai un ricordo?”
L'uomo sollevò un sopracciglio alla domanda, poi si voltò alla camera.

Gli episodi di violenza organizzata stanno scomparendo pian piano, sotto i nostri occhi. Ci stiamo mobilitando per prendere alcuni residui di una banda, che sembrano confusi, come se avessero di colpo perso la loro guida e stessero provando a riorganizzarsi in bande più piccole, fortunatamente senza molta fortuna. Forse la strage di qualche notte fa nell'officina da Pete's nel Bronx ha un collegamento, ma le indagini proseguono...”

Qualcuno di voi ha sentito o visto Isabel?”
La domanda di Don risuonò nel rifugio, piuttosto urgente, interrompendo l'ascolto del telegiornale.
Il sensei si voltò verso di lui che si rialzava dopo essersi gettato dal primo piano, con un'espressione concentrata e tesa.

Non è nel laboratorio?” domandò Mikey sorpreso, sbucando con la testa dalla cucina.

Donnie scosse la testa, velocemente.
E nemmeno in camera sua o nei bagni o in nessun'altra stanza. È sparita! Sto provando a chiamarla da almeno mezz'ora, ma non mi risponde” disse lui con voce grave, trattenendo un po' di preoccupazione dentro, per non dipingere la scena peggiore di come fosse, anche se in realtà era davvero preoccupato. La sua ferita era tutt'altro che leggera.

Un trillo echeggiò nel silenzio che seguì e Don prese il shellcell dalla taschina della tuta, con insolita foga, leggendo il messaggio che gli era arrivato.
È di Isabel, dice che è tornata a casa e che sta bene, di non preoccuparci” spiegò al resto di loro, sospirando angosciosamente.
Ha deciso di stare da sola e di non imporci la sua presenza... è sempre tesa a non essere di peso per gli altri” replicò Mikey con insolita saggezza.
Lo so, ma sono in apprensione per la sua ferita. Non dovrebbe stare da sola, non so nemmeno se stia meglio o peggio di ieri!” incalzò Don, piuttosto alterato. La vena medica che c'era in lui, che era spuntata fuori alla proposta di lei di frequentare l'Università di medicina, tremava all'idea di lasciare una paziente con una ferita del genere da sola, a sé stessa.

Stamattina è venuta a vedere gli allenamenti di Steven e sembrava essere decisamente più in forma di ieri. Ma Leonardo ci ha parlato di più, magari lui ne sa qualcosa” imbeccò Splinter, attirando l'attenzione del figlio con la sua voce profonda.
Il leader fermò il lavoro di affilatura che aveva continuato imperterrito fino a quel momento, nonostante la tensione che c'era nella stanza, e sollevò la testa, torcendo appena il busto per posare lo sguardo su suo fratello che atteneva una sua risposta in silenzio.

Ti è sembrata strana, Leo? Ti ha detto qualcosa? La ferita sembrava peggiorata?” lo pressò Donnie, impensierito.

Il fratello si alzò lentamente, rinfoderando le armi affilate e lucidate.
No” fu la sua secca e concisa risposta, che attirò ogni sguardo sorpreso su di lui.
Si allontanò verso la sua stanza, senza aggiungere altro, gettando ancora più scompiglio nelle menti.

Don aggiunse lo strano comportamento di Leo alle cose da tenere d'occhio, con un sospiro rassegnato. Come se non avesse già abbastanza cose da controllare.
Provò a richiamare Isabel, ma il telefono squillò a vuoto, anche alla prova successiva, perciò mise fine alle ricerche con un messaggio veloce.

Spero che tu stia bene. Non sforzarti troppo e fatti viva domani, controlleremo i punti. Se vuoi tornare qua e farmi smettere di preoccuparmi te ne sarei davvero grato” inviò con il magone, in attesa di una risposta.
Tutto ciò che ottenne, ben due ore dopo, era un'emoticon che sorrideva, che però non gli mise addosso nessuna allegria.

Isabel non chiamò nemmeno il giorno seguente, né si presentò al rifugio per il controllo, come gli aveva chiesto Don. Era inutile che chiamassero o che mandassero messaggi, perché la risposta era sempre quella: “Sto bene, non preoccupatevi” con mille odiosissimi smile e immagini varie che non placavano l'ansia crescente che provavano.
Mikey lo spalleggiava, come dubitarne, e si era incaponito quanto lui per riavere la sua sorellina a casa. Ma nonostante avessero provato innumerevoli volte a cercarla al suo appartamento, le luci spente gli avevano fatto dubitare che fosse lì e il fatto che non avesse mai risposto, nemmeno se bussavano dalla porta col rischio di farsi scoprire, gli faceva pensare che non fosse proprio in casa.


Aah, basta!” urlò frustrato Mikey, due giorni dopo la sua misteriosa sparizione. “Dobbiamo trovare Isabel a tutti i costi! Sono preoccupato da morire!”
Era così serio nella sua affermazione che stava seduto davanti alla televisione spenta, senza trovare la voglia o la motivazione per accenderla.

Anche io. Non è da lei sparire così senza lasciare traccia. Cioè sì, la vecchia lei lo avrebbe fatto se fossimo stati in pericolo, ma la nuova Isabel non ne ha motivo!” replicò Don, che passeggiava avanti indietro per il rifugio, con le mani conserte dietro alla schiena, concentrato come non mai.

Non credi che il suo nemico si sia ritrasformato e sia tornato a cercarla?” esclamò spaventato Mikey, rabbrividendo al pensiero.
Come diamine può essersi ritrasformato da lombrico a uomo?” ribatté scettico il fratello, come se reputasse la sua idea piuttosto stupida.
Non lo so! Come diamine si fa a trasformare un uomo in lombrico, innanzitutto?”
No, no, stiamo sbagliando approccio. Isabel ha qualcosa e dobbiamo scoprire cosa. Ma prima di tutto dobbiamo scoprire dove si trova.”
Donnie si fermò di colpo, vicino al laghetto, e un grosso sorriso gli incurvò le labbra, d'improvviso.

Ti è appena venuto in mente dove possa essere, giusto?”



Don e Mikey atterrarono sul tetto con leggerezza, silenziosi.
Il sole era ormai quasi tramontato, mischiando l'oscurità agli ultimi sprazzi di luce. Si erano recati da soli al luogo prestabilito, Raph non avrebbe voluto essere immischiato comunque, visto come si comportava nei confronti di Isabel, e Leo era davvero strano e sfuggente negli ultimi giorni, preferendo starsene da solo nel dojo a meditare in un malanimo silenzio, come se fosse tormentato.
Avevano solo avvisato il sensei per tranquillizzarlo e nel caso avessero avuto bisogno di qualcosa.

Si avvicinarono al cornicione a grandi passi felpati, ma si interruppero di colpo, al percepire una terza persona, lassù, sul tetto del palazzo di otto piani, nascosto nelle ombre.
Leo! Cosa... cosa fai qui?” domandò sorpreso Mikey, osservando la figura in penombra del fratello.
Non l'avevano scorto all'inizio, immobile col viso rivolto verso la stradina sottostante, tanto fermo da poter essere scambiato per una statua.

Eri preoccupato per Isabel, giusto?” indovinò Don, con un sorrisino soddisfatto, nel sapere che Leo era il solito di sempre, alla fin fine.
Lui e Mikey si avvicinarono, gettando lo sguardo oltre il cornicione: la strada al di sotto brulicava di vita, coi passanti indaffarati nel correre verso casa o verso un appuntamento e quelli che invece intasavano i negozietti con le loro compere. Si respirava davvero un'aria di calma che New York non aveva da tempo, tenuta sotto il giogo della banda di Hun; ancora qualche faccia tesa e impensierita spiccava tra la folla, ma in generale la città e i suoi cittadini stavano tornando alla loro consueta normalità, ai loro soliti ritmi.

Voglio solo vederla” mormorò Leo accorato, assorto, come se lo stesse dicendo a sé stesso più che a loro.
Don gettò un'occhiata dubbiosa verso il fratello, in silenzio. Era da un po' di tempo che lo sospettava, ma si era sempre detto che lavorava troppo di fantasia... in quel momento, il pensiero che Leo provasse qualcosa di più del semplice affetto per Isabel non gli sembrò tanto inverosimile. C'erano stati segnali, c'erano stati gesti che forse lui aveva frainteso e sui quali ci aveva ricamato un po' troppo sopra con l'immaginazione, ma quel suo inusuale comportamento, quella sua rabbia, quel suo cambiare costantemente umore, quel suo cercarla con lo sguardo, spesso, potevano essere interpretati facilmente in quel modo. Se Leo era innamorato di Isabel, tutto acquistava un senso e ogni azione o parola detta dal loro leader negli ultimi tempi aveva un perché.
Ma se fosse stato davvero così... era di sicuro un grosso problema.

Un rumore felpato attirò la loro attenzione, tutti e tre pronti e sul chi vive, le mani già poggiate sulle armi. Raph si risollevò dopo essere atterrato, squadrandoli a turno.
Ma ci siamo tutti. Che bella famiglia unita” sussurrò sarcastico, mentre loro si rilassavano, tutti meno Leo.
Tu sei l'unico che non ci fa nulla, in effetti” gli rispose quello, cinico, senza degnarlo di uno sguardo, calamitato in basso.
Silenzio voi due. Arriva Isabel” li interruppe Don, guardando giù con un sorriso contento nel vederla.

L'amica stava camminando a piccoli passetti frettolosi per il marciapiede, con le braccia cariche di buste della spesa. Si dirigeva verso il piccolo negozietto ad angolo, con la scritta “Second Time Around”, dalla vetrina ingombra di oggetti vintage e di seconda mano.
Aveva indovinato, nel pensare che Isabel fosse andata a stare da April, dato che non era al suo appartamento, probabilmente nel frattempo in cui la sua ferita guarisse, anche se non sapeva perché non fosse rimasta semplicemente da loro.

L'occhio gli cadde proprio sulla spalla, come se capisse che c'era qualcosa di strano.
La sua ferita... è guarita” esclamò sorpreso, notando il modo naturale in cui Isabel camminava e il manico della borsa poggiato sulla spalla senza problema.
Guarita? Ma non può essere! Non senza...” esclamò Mikey, stupito quanto lui, sporgendosi più che poté senza essere visto per controllare per bene anche lui
La magia” sibilò Raph, atono.
Qualcuno l'ha curata? Qualcuno l'ha... baciata? Ma... chi?” continuò Mikey con una vocina piccola piccola, un po' imbarazzata.

Io” rispose una bassa voce che fino a quel momento non era intervenuta.
Tre paia di occhi si posarono pieni di sorpresa sul leader, in un secondo.

Co-come?” scattò il più piccolo, così sorpreso che pensò di aver semplicemente capito male.
Io l'ho curata. Io l'ho baciata” ripeté Leo, voltandosi finalmente a guardarli. Il suo sguardo scivolò duro e guardingo su di loro, ma fu solo su Raph che si fermò, come se volesse valutare la sua reazione.

Ma non poteva sapere minimamente cosa si agitasse dentro suo fratello, in quel momento.
Un ronzio fastidioso si era diffuso per la testa di Raphael, insieme alle parole del fratello, come se fossero state spine velenose che gli intossicavano la mente, crescendo di intensità, confondendolo sempre di più.
Iniziò a respirare sempre più pesantemente, in preda alla rabbia.

E lei non era contraria?” chiese Don, ignaro come gli altri, che non voleva insinuare nulla, ma che trovava assurdo che Isabel si fosse lasciata convincere.
Non ho avuto il tempo di chiederglielo” fu la anche troppo spavalda risposta di Leo, ormai lanciato in una confessione che sentiva non sarebbe stata presa bene in nessun caso.
È per quello che se n'è andata? L'hai baciata contro la sua volontà? L'hai costretta?” sbottò incredulo Donatello, guardandolo in cagnesco, come se quello non fosse nemmeno suo fratello. Di certo non il suo solito fratello.

Uno spostamento d'aria lo investì e prima che Leo potesse rispondere, Raph gli era arrivato davanti e lo strattonò, afferrandolo per il colletto e tirandolo verso di sé.
Maledetto bastardo!” ruggì imbestialito, caricando un braccio all'indietro per colpirlo, con tutta la sua forza.
Leo lo spintonò via con impeto, facendogli perdere la presa sulla sua tuta, mentre compiva una capriola all'indietro per evitare il pugno.

Che c'è? Non sei stato tu a dire che non ti importa più nulla? Lei non sta con te, Raph. Lei non è più niente per te” rispose a tono, accucciato qualche metro più in là, sul chi vive, studiando le sue mosse.

Raphael ringhiò alle sue parole, che lo resero solo più furioso.
Questo non significa che tu possa infilarle la lingua in gola a tuo piacere!” urlò nella notte correndogli incontro, con uno sguardo omicida.
Leo saltò di lato per evitarlo, ma il fratello non si fece trovare impreparato e lo seguì ad un palmo, provando a colpirlo senza tregua, perdendo la ragione sempre più ogni volta che l'attacco andava a vuoto.

Smettetela! Raph, calmati! Leo, che diamine ti è preso?” gridò Don disperato, provando a farli ragionare.
Litigavano sempre, lo avevano sempre fatto. Ma non li aveva mai visti con quella furia omicida negli occhi.

Perché? Solo Raphael può fare scemenze? Solo a lui è concesso farsi trascinare dai sentimenti? Solo lui è sempre scusato per la sua ira perché vuole di più dal mondo?”
Leonardo aveva gridato, fuori di sé, tanto che la gola gli bruciava, di rabbia repressa. Respirò pesantemente cercando di riprendere fiato, con l'ansia e l'angoscia che pressavano sul cuore, osservando solo con la coda dell'occhio suo fratello che ancora gli dava la caccia.
Cosa si era aspettato nel confessare ciò che aveva fatto? Perché lo aveva detto? Per placare quella scintilla di rimorso che provava? Per pulirsi la coscienza?
Il loro sdegno e la furia di Raphael erano state le giuste reazioni per quello che aveva fatto, lo sapeva, eppure, anche se in quei giorni si era maledetto per quel bacio, -per averla spaventata, per averla indotta a scappare e per il dolore che provava nel cuore,- non poteva non serbarne il ricordo come il più bello mai provato.
Perciò morire per quello, non sembrava così male.

Sfilò le Katana giusto in tempo, per parare l'attacco fulmineo di Raph: le lame bloccarono la punta dei Sai un attimo prima che gli infilzassero il petto, per un soffio. Il fratello continuava a fare forza, cercando di spezzare le sue spade, digrignando i denti per lo sforzo; lo colpì con il piede sullo stomaco, allontanandolo da sé, prima che potesse riuscire nel suo intento.
Aveva ancora bene in mente il loro ultimo scontro sul tetto di un palazzo e ricordava perfettamente come si era concluso; ma se allora Raphael aveva fermato i Sai in tempo ed era ritornato alla ragione prima di fare una sciocchezza, non era certo che questa volta lo avrebbe risparmiato, se avesse avuto l'occasione.1

Raph strisciò all'indietro per qualche metro, provando a tenersi in equilibrio, con una mano sull'addome.
Era furioso. Sentiva il sangue pompare nelle vene, trasmettendogli adrenalina e furia omicida in ogni cellula, che lo trasformava in un animale selvaggio.
Voleva colpire Leo, voleva fargli male. Voleva vederlo a terra chiedere perdono.

Don e Mikey approfittarono della distanza tra loro per mettersi in mezzo alla lotta, cercando di riportare i fratelli alla ragione, con ogni mezzo possibile.
Fermatevi! Possiamo discuterne” esclamò Donnie, rivolto verso Raphael, che tra i due era di certo quello più fuori di sé, anche se Leo non era da meno.
Di sicuro c'è una ragione! Lo hai fatto solo per curarla, vero?” disse Mikey, in direzione di Leo.

Il fratello con la benda rossa non li ascoltò nemmeno e si lanciò in una corsa contro di loro, che stavano in mezzo alla sua traiettoria verso Leo. Donnie afferrò in fretta il Bō e vibrò un colpo contro di lui, dritto contro lo stomaco, per frenare la sua furia, ma Raph saltò all'ultimo secondo in alto, passando oltre il bastone in planata, che lo sfiorò solo appena, di striscio. Atterrò indenne ai loro piedi, senza un rumore.
Poi, con due calci assestati sul loro guscio li calciò via, lontano dalla sua arena da combattimento, dirigendo così la sua furia sul leader.

Si ammazzeranno! Cosa facciamo?” strillò Mikey, rimettendosi in piedi illeso, senza staccare lo sguardo dallo scambio di attacchi tra i suoi due fratelli.
Tienili d'occhio! Fai in modo che non si ammazzino! Torno subito!” urlò Don, ormai in piedi, correndo via sul tetto e poi gettandosi giù dal palazzo.
E come faccio, genio? Mi immolo in mezzo a loro?”

La Katana di Leo strisciò lievemente sul braccio di Raph, lacerando il tessuto: suo fratello si era spostato giusto in tempo, evitando di essere ferito in maniera più grave. Non che volesse davvero ferirlo, la sua era pura disperazione nel difendersi da quegli attacchi implacabili, eppure almeno un graffietto doveva averglielo fatto; ma l'altro non dava segno di sofferenza, solo furia totale e cieca. Lo stava osservando, senza curarsi del taglio al braccio, con lo sguardo incollato al suo, cercando un suo punto debole per attaccare.
Raph stava davvero cercando di ucciderlo.
Ed era maledettamente bravo con quel suo gioco di gambe, che usava nei momenti meno attesi per cercare di mandarlo al suolo; si muoveva velocemente e quasi scivolava, tra le sue gambe, provando a fargli perdere l'equilibrio, a spezzare il suo ritmo e mandarlo in confusione, per fiaccarlo sempre più.

Non c'era tempo per tergiversare, non con lui. Era tutto o niente, lo sapeva bene. Ma lui non avrebbe mai potuto far del male a Raph, nemmeno per salvarsi la vita. Oppure sì?
Si lanciò contro di lui nello stesso momento in cui veniva attaccato.
Katana contro Sai, lama contro lama, fratello contro fratello.
Michelangelo era impietrito, bloccato nell'angolo in cui si era rifugiato, con gli occhioni sbarrati pieni di paura e orrore, a guardare il loro inevitabile scontro come se fosse al rallentatore.
Un respiro ancora e ci sarebbe stato lo scontro. Ma lui non respirava nemmeno, aveva smesso di farlo nel momento in cui si erano lanciati uno contro l'altro, senza essersene neanche accorto.

La punta di una Katana di Leo incontrò la punta di un Sai di Raph, ma prima che la fine avesse luogo, sbatterono entrambi contro uno scudo e balzarono all'indietro: caddero al suolo con due tonfi sordi, ingabbiati in due bolle identiche.
Fatela finita!”
La voce furiosa di Isabel li sorprese entrambi, riportandoli alla ragione: stava riprendendo fiato, di fianco a Don e Mikey, con le braccia sollevate verso loro, le mani aperte dalle quali fluiva la magia. Il suo volto era una maschera di rabbia e lo sguardo incredulo correva da uno all'altro, ferito e confuso.

Voi siete due maledetti idioti!”

Leo si alzò di fretta, rivolgendosi verso di lei, che li teneva intrappolati.
Isabel, io...”
Mi dispiace, Leo. Non volevo che...”
Perché ti stai scusando? Sono io a dovermi scusare! Sono stato io a baciarti all'improvviso, spaventandoti!” mormorò contrito, poggiando le mani sulla bolla, sporgendosi più che poté.
Lei abbassò le braccia, mantenendo i loro scudi con la mente e si avvicinò a quella di Leo, con l'espressione così afflitta che lui capì già cosa l'aspettava.

Non mi hai spaventata. Mi hai sorpresa. Non credevo che tu... non credevo possibile che tu... mi dispiace, Leo. Vorrei poter ricambiare, ma non posso scegliere chi amare. Mi dispiace, mi dispiace così tanto.”

Leo piegò la testa, poggiando la fronte contro la bolla, in segno di resa. Chiuse gli occhi, perché guardare i suoi così colmi di pena per lui gli facevano male quanto e più del suo rifiuto.
Non devi scusarti, Isabel. Nemmeno io posso scegliere. È successo e basta, senza averlo previsto. Solo che non riesco più a far finta di nulla” soffiò fuori sconfitto, in un sussurro che forse udì solo lei.
Gli occhi di lei brillavano di lacrime trattenute e si incupirono di più nel sentire le sue parole e fu una fortuna che lui non la stesse guardando o si sarebbe sentito morire ancora di più.

Io... vorrei che le cose fossero andate diversamente. Sono tornata per stare con voi, con la sciocca illusione di poter essere felice, di poter vivere tranquilla nella vostra stramba ma stupenda famiglia, senza pensare a tutto il caos che mi sarei portata dietro, senza pensare di poter rompere i delicati equilibri nei quali vi districate, vinta dalla mia egoistica aspettativa.
So che voi due avete alti e bassi, che faticate ad essere sinceri tra voi, che vi sfidate, che siete due idioti che fanno parlare il testosterone invece del cuore; sì, perfino io so che avete un passato di scontri e incomprensioni, troppo uguali per capirvi, troppo testardi per risolvere tutto una volta per tutte. Ma questo è diverso. Avete alzato le armi uno contro l'altro, stasera: che siate arrivati perfino a battervi, per colpa mia... io non posso accettarlo. Mi fa star così male che preferirei aveste diretto contro di me, quelle armi. Sarebbe stato meglio non avervi mai incontrati, piuttosto che vedervi così!”

Li guardò tutti, per un secondo, riprendendo fiato nel silenzio; una lacrima cadde solitaria, poi Isabel sparì, lanciandosi verso il tetto vicino, lasciandoli lì attoniti.
Mikey provò ad andarle dietro, scosso dalla piega che avevano preso gli eventi, ma la mano di Don lo bloccò, e quando si voltò per guardarlo, il suo fratello genio gli faceva segno di diniego con la testa, invitandolo a lasciarla andare.
Donnie sentiva che non l'avrebbe raggiunta in nessun caso, nemmeno con la conosciuta straordinaria velocità di Mikey. Stava correndo nella notte usando i suoi poteri, lo sapeva. Era già così lontana da loro da non poterla trovare, se lei non avesse voluto.

Convinto a desistere, Mikey si era lasciato trascinare fin davanti alle bolle, che non erano sparite quando lei era andata via.
I quattro fratelli, due liberi e due ingabbiati, si guardarono nel silenzio, valutando il da farsi.

Dovremo provare a romperle” sentenziò Donatello, puntando il bastone contro la superficie dura e quasi vetrosa al tatto.

La colpì, ci premette sopra, e così fece Michelangelo con colpi di Nunchaku e Leo con le Katana che scivolavano senza lasciare un graffio o le punte dei Sai di Raphael che slittavano senza appiglio. Sbuffavano, digrignavano i denti e ringhiavano, dalla fatica e dall'intensità dei colpi, ma le bolle non cedettero, come se non le stessero nemmeno sfiorando.
Per un'ora intera, in una tesa e innaturalmente quieta atmosfera, provarono a spaccare quelle gabbie trasparenti, con ogni mezzo possibile e attuabile in quella circostanza, senza attirare nello stesso tempo attenzioni indesiderate nei palazzi vicini.
Alla fine, uno ad uno si arresero, rassegnandosi alla implacabile verità: solo Isabel avrebbe potuto toglierle e con un solo gesto, per aggiungere beffa al danno.

Beh, ragazzi, noi andiamo. Fate da bravi! Cercheremo di farvi liberare entro domani!” strillò Don prima di andare via con Mikey, a notte fonda.
Era ormai inutile che rimanessero lì ed entrambi sentivano che era meglio lasciar modo a quei due testoni di stare da soli, sperando che la forzata vicinanza li costringesse a parlare, con però la sicurezza che non potessero aggredirsi di nuovo. In effetti sembrava la cosa migliore e Don si chiese se Isabel non lo avesse fatto apposta, a lasciarli ingabbiati.

Leo e Raph si erano seduti al suolo, l'uno con le spalle all'altro, ognuno dentro la propria bolla e risposero solo con un grugnito impercettibile al saluto, senza guardarli mentre saltavano sul tetto del palazzo vicino. Poi niente, solo il silenzio.
Rumori fievoli salivano da sotto, dalle stradine che li circondavano, mentre oramai la notte oscura che era calata in quelle assurde ore, da quando loro avevano iniziato a battersi, li avvolgeva con la sua serena coltre nera, celandoli agli sguardi.
Ognuno era deciso a far finta che l'altro non ci fosse, a quanto pareva. Forse per paura che al minimo cenno o parola, la guerra sottaciuta e solo rimandata sarebbe scoppiata ancora e con più violenza.

Un lampo squarciò improvviso il cielo, tanto vicino da sorprenderli. Subito dopo un tuono arrivò alle loro orecchie e nuvoloni grigi si addensarono sulla città. Le prime gocce caddero dopo pochi minuti, prima lievi e morbide, poi furiose e fitte. Sbatterono contro le loro bolle protettive, producendo un ticchettio ritmato e assordante.
Raph sbuffò, sollevando lo sguardo al cielo.

Quella stupida. Piove sempre quando si arrabbia o è sconvolta” sussurrò tra sé spezzando il silenzio, gli occhi fissi in alto, sulle nuvole nere e tristi.
Leo osservò le gocce scivolare sulla superficie dello scudo, unendosi in rivoli, che sembravano lacrime. Le lacrime di Isabel? L'aveva fatta piangere, ancora, anche se aveva giurato di non farlo mai?

Avanti, dillo!” ordinò Raph dopo qualche secondo, in cui si erano persi ad ascoltare il suono della pioggia.
Cosa?” domandò Leo confuso.
Lo sai. A voce alta! Dillo!” ripeté più forte l'altro, implacabile.
Voltò appena la testa e incontrò lo sguardo del fratello, affilato e serio, in attesa.
Lo stava sfidando. Prese un paio di grossi respiri.

Sono innamorato di Isabel!” strillò infine, con tutto il suo fiato. Ansimò un poco, passandosi le mani in faccia, incredulo di averlo fatto.

Ti senti meglio adesso, no?”
Era vero. Si sentiva finalmente bene ad averlo ammesso, a sé stesso, a Raph. Parte di quel senso di colpa che provava costantemente nel petto si era finalmente sciolta.

Non l'ho voluto, Raph. Non l'ho premeditato per farti dispetto. Se avessi potuto scegliere non sarei di certo andato a scegliere la tua ex. È solo... successo” provò a spiegarsi, anche se non era per niente facile. Quando mai aveva parlato di questioni di cuore con qualcuno?
Ne avevo il sospetto, l'ho pensato dopo la nostra incursione da Hun, ma non volevo crederci. Eppure avrei dovuto prevederlo. Avrei dovuto evitare che succedesse” mormorò Raph, frustrato, sbattendo con forza i pugni chiusi sulle ginocchia, dato che non poteva prendersela con lui.
Come diamine avresti potuto?” fu la domanda scioccata che seguì quell'affermazione.

Cos'altro poteva accadere? Avendola ogni giorno attorno a te? Guardando costantemente nei suoi occhi scuri, così profondi e caldi, che hanno il potere di farti sentire l'uomo migliore del mondo? Gioendo di quel suo sorriso dolce e luminoso, che riesce a entrarti dentro, a scacciare via la più piccola ombra della tua anima? Come avresti potuto evitare di innamorarti, quando il solo averla nella stessa stanza riesce a sconvolgerti fino alla più piccola cellula? Quando la sua risata ha il suono più splendido che esista, e ti spinge a desiderare di diventare sordo, piuttosto che sentire qualcos'altro che non sia quello? Come ho potuto pensare che non te ne saresti innamorato, sapendo che la sua esistenza è come un sole abbagliante, capitato per miracolo nella nostra squallida vita?”

Leo aveva ascoltato ogni parola accorata e sentita, anche i respiri esitanti nelle pause concesse, meravigliato dall'inflessione nella voce di suo fratello, sinceramene emozionato per ciò che aveva sentito.
Raph, sei... sei ancora innamorato di lei!”
Era stata un'affermazione, la sua, perché non c'era alcun dubbio.

Raphael nascose la testa tra le ginocchia, le braccia che circondavano le gambe, rinchiudendosi in un suo mondo, schermandosi dopo quella confessione così sentita e non prevista, che lo aveva esposto troppo.
Pensi che sia possibile smettere di farlo? Beh, ti tolgo ogni illusione: non ci riesci. È come una droga: sai che ne devi fare a meno, ma non puoi. La sua assenza ti intossica, ti avvelena ogni senso e tutto ciò che vuoi è averne ancora: ancora sorrisi, ancora sguardi, ancora abbracci, ancora baci. Sono tre stramaledetti anni che non faccio che pensare a lei, secondo dopo secondo!”
Ma allora perché? Perché l'hai allontanata? Perché la tratti male? Lei non ha occhi che per te! Ti ama sempre e comunque!” urlò il leader, voltandosi infine e premendo le mani contro la bolla, sconvolto.
Anche se dirgli quelle cose gli faceva male, perché avrebbe voluto lei le provasse per lui.

Raphael non si mosse e per qualche istante non parlò. Sembrava stesse pensando con tutta la sua concentrazione, indeciso se dire tutto o meno, ormai che aveva scoperchiato il vaso di Pandora. Confessare tutto, cercando di far capire a suo fratello cosa lo aveva tormentato in quei mesi?
Che cosa le posso dare io? Una vita da reclusa adesso che è libera? A nascondersi con me nelle fogne per sempre? Lei merita di stare alla luce del sole, merita la libertà, merita più di tutto ciò che io o tu possiamo mai darle: una vita normale, al fianco di una persona normale, in una casa normale.”

Leo si lasciò andare al suolo, con le braccia spalancate e lo sguardo sulle nuvole e la cortina di pioggia che si schiantava sulla cima della bolla.
Ma stare con te è quello che vuole. È quello che desidera” confessò strizzando le palpebre, per trattenere il dolore nell'ammettere ciò che sapeva già, che non voleva semplicemente accettare.

Raph gli gettò un'occhiata da sopra la spalla, poi si sdraiò anche lui sul tetto, a pancia in su.
Lei pensa che quello che abbiamo passato sia la normalità, perché non ha mai avuto altro. Ha vissuto un momento felice e si è convinta che sia assoluto e totale, che sia il meglio che può ottenere dalla vita. Ma non è così. Lei può avere così tanto, da poter essere felice ogni singolo istante senza provare mai più dolore o dubbio o paura. Solo che non posso essere io a darglielo. Perciò ho cercato di mandarla via, per spingerla a cercare una felicità normale, lontano da me, da noi.”

E se ci fossi riuscito, io non mi sarei nemmeno innamorato di lei” esalò Leo, dando voce ad un altro dei suoi pensieri.
Il ticchettio della pioggia rispose leggero, al suo posto.

Non avrei mai creduto di vivere abbastanza a lungo per sentirti dire qualcosa di così profondo. È come se non ti conoscessi affatto!” concesse il leader colpito, che proprio non aveva idea di tutto quello che il fratello aveva pensato e passato in quei mesi.
Era convinto che semplicemente non l'amasse più, invece in tutto quel tempo, in cui lei era lì sotto i suoi occhi, non aveva fatto altro che amarla e rifiutarla con la stessa intensità, per il suo bene. O almeno quello che Raph pensava fosse il suo bene.

Ma se io fossi te... se avessi la maledetta, dannata fortuna di essere te, so che non ci penserei due volte a prendere Isabel e a portarla via con me, lontano. In una giungla sperduta, io e lei da soli, per sempre” continuò sognante, chiudendo gli occhi, lasciandosi andare all'immaginazione.

Smettila di immaginare cose per cui potrei ucciderti! Non te la lascerò mai, Leo. Scordatelo! Né tu né io siamo alla sua altezza, mettitelo in testa” lo rimproverò arrabbiato Raphael.

Leo ridacchiò, ancora con gli occhi chiusi, come se non credesse alla sua minaccia, come se lo stesse sbeffeggiando.
Lui non aveva alcuna intenzione di stare ad ascoltare i suoi rimproveri, le sue idee folli.

Non puoi impedirmi nulla. Entra nella bolla e provaci” lo sfidò, sapendo di farlo solo più arrabbiare. Era un buon modo di vendicarsi, quello.
Iniziò un tira e molla di battute, con Leo che rideva nella sua gabbia trasparente alla sempre più evidente rabbia e frustrazione di Raphael, ormai scoperto, ormai sincero nella sua sfuriata.
Si addormentarono molte ore dopo, mentre ancora parlavano, sotto una cupa e piovosa notte Newyorkese.



La mattina li sorprese, con la sua luce abbagliante. Si risvegliarono sul tetto del grattacielo, confusi, scambiandosi delle occhiate perplesse. La testa pesante e la lingua incollata al palato, con in fondo un sapore terroso; gli occhi appannati dal sonno profondo controllarono i dintorni, con apprensione, sul tetto illuminato dalle prime luci dell'alba, esponendoli alla vista di chiunque.
I telefonini suonarono contemporaneamente, spaventandoli.

Don... sì, sto bene. Sì, arrivo!”
Mikey, chiudi la bocca, mi sono appena svegliato. Arrivo subito.”
Chiusero le chiamate nello stesso istante e dopo aver preso le loro armi, abbandonate al suolo, e aver dato un'occhiata distratta intorno, si incamminarono verso casa.

I loro fratelli li assalirono non appena misero piede nel rifugio.
Che cosa è successo? È da ore che vi cerchiamo! E quei tagli, quelle ferite... cosa è successo?” domandò Mikey preoccupato, studiando il loro aspetto lacero e trasandato.

Leo e Raph si scambiarono uno sguardo veloce.
Non lo sappiamo!” dissero all'unisono.
Mi fa male la testa, ma più di questo non so dirvi.”
Ci siamo risvegliati su un grattacielo, da soli. Posso presumere che abbiamo combattuto contro qualcuno, ma è tutto molto confuso” spiegò Leo, passando la mano sugli occhi stanchi.

Andate a farvi una doccia. Dopo controllerò le vostre ferite” disse Don, scuotendo la testa.
Leo iniziò ad incamminarsi, ma si fermò con uno strattone: Raph aveva afferrato le estremità della sua maschera, tirandolo indietro. Poi lo superò con un balzo, correndo verso il bagno e chiudendocisi dentro velocemente. La sua risata oltrepassò la porta, riempiendo ogni ambiente.

È un idiota” sbuffò Mikey, con un ghigno sorpreso.

La risata si spense, sostituita da un urlo terribile. La porta del bagno si aprì con forza e Raph ne venne fuori, la tuta sfilata a metà.
Bleah! Rivestiti, Raph, non voglio vederti nudo!”
Guardate qui!” sibilò spaventato il fratello, indicando il petto. Una macchia scura spiccava sulla sua pelle verde.
Cos'è, Donnie? Una malattia? Un veleno? Cos'è?” strillò fuori di sé, evitando di toccarla.

Il genio chinò leggermente la testa, studiando le linee con attenzione.
Una bruciatura” rivelò con tranquillità.
Una... bruciatura? Ma...”
Ed è piuttosto vecchia. Risale ad almeno tre anni fa” continuò il fratello, come se lui non l'avesse interrotto.
Tre anni fa? Stai scherzando? E io non l'avrei mai vista?”
E dalla forma è stata una donna a lasciartela. Quelle sono le impronte delle sue mani” finì Don con fare pratico, con un tono tranquillo, in completo contrasto con la voce isterica del fratello.
Una donna?” boccheggiò Raph, sempre più confuso.

Mikey allungò un dito per provare a toccare la bruciatura, ma lui lo pestò, scocciato.
Non ti azzardare nemmeno a pensarlo!” lo sgridò, poggiando la propria mano sul petto per difendersi.
Boccheggiò, sorpreso, mentre un brivido lo percorreva da capo a piedi. Li squadrò frettolosamente poi, con un veloce dietro front, ritornò nel bagno, chiudendosi la porta alle spalle. Si poggiò contro la superficie legnosa, confuso e tremante.

Mosse lentamente la mano, avvicinandola al petto, e sfiorò la bruciatura: venne investito da una sensazione di piacere puro, ben diversa da un qualsiasi sogno erotico che avesse mai fatto, era totale, era reale; la sua testa si riempì di un sussurro dolce e sensuale, che lo eccitò.
Staccò le dita dal petto, ansimando, col cuore che batteva contro il pomo d'Adamo. Passò lo sguardo per il bagno, per riprendere contatto con la realtà.
Quelle immagini che aveva visto nella sua mente, non potevano essere vere... ma allora come diamine faceva ad essere assolutamente certo di aver già provato quelle sensazioni? Come diamine poteva sapere cosa volesse dire andare a letto con una donna, stringerla, morderla, baciarla, passare le dita sulla sua pelle morbida e affondare nel suo corpo, in un'estasi di piacere?

Stava diventando pazzo. Quella sul suo petto non era una bruciatura, ma una qualche maledizione che portava alla pazzia.
Si tuffò sotto la doccia ancora vestito a metà e aprì il rubinetto dell'acqua fredda. Il getto lo investì, mordendogli la pelle accaldata, scivolando sul suo corpo eccitato e tremante.
Non avrebbe lasciato che quelle fantasie si prendessero la sua mente. Non erano reali, non potevano esserlo.

Si decise ad andare dai suoi fratelli solo all'ora di cena. Il resto della giornata era rimasto rintanato nella sua camera, a fare flessioni, piegamenti ed ogni genere di esercizio fisico che lo tenesse impegnato. Aveva paura a toccare la cicatrice che gli sfigurava il petto, ma era anche attratto dall'idea di farlo. Quello che aveva provato... era stato coinvolgente e proibito, come una droga.

Oh, ehy. Come stai?” lo accolse Don, anche lui appena uscito dal suo laboratorio. Si limitò a fare spallucce.
Dopo passa da me. Controlliamo la bruciatura, ok?” continuò il fratello, precedendolo verso la cucina.
No, grazie. Va tutto bene. Scoprirò cosa l'ha fatta, da solo” rispose frettolosamente, allungando il passo per distanziarlo.

Mikey stava finendo di apparecchiare mentre Leo era ai fornelli. Il maestro era già seduto al suo posto, con un'aria un po' assorta.
Oh, ecco qui lo sfregiato. Come va, sfregiato?” lo pungolò Mikey, poggiando i piatti sul tavolo. Raph si limitò ad alzare un pugno contro di lui, in silenzio.
Non vuole che gli dia un'occhiata. Posso sapere perché ti sconvolge tanto?”
Ho detto che sto bene! Smettetela di darmi addosso!” esclamò stizzito, portandosi una mano al petto, ma fermandola appena prima di sfiorarsi. Aveva paura che il suo misterioso potere si potesse scatenare anche attraverso la tuta.

Se a lui sta bene, lasciatelo in pace. Non gli farete cambiare idea, lo sapete. Ed è pronto!” si intromise Leo, portando il pasto in tavola.
Presero tutti posto, affamati.

Mikey... perché hai apparecchiato per una persona in più?” domandò d'un tratto il leader, mentre serviva la cena.
Gli occhi di tutti si fissarono sul posto vuoto tra lui e Mikey, apparecchiato di tutto punto.

Non avete l'impressione di aver scordato qualcosa di importante?” soffiò Don, perplesso.



1: la situazione di cui fa menzione Leo è quello scontro spettacolare tra lui e Nightwatcher-Raph nel film del 2007. Raph spezza le sue Katana tra la morsa dei Sai e lo getta a terra, ma prima di fare davvero del male a Leo ritorna in sé, capendo cosa stava per fare.
Adoro la strafottenza di Leo in quel contesto, l'ho usata molto in questa storia, e adoro Raph Nightwatcher e senza freno nella lotta, con quel gioco di gambe fenomenale.
Grrrrr, sono fantastici!



Note:
salve a tutti!
Ecco il momento che moltissimi aspettavano da... beh, dall'inizio della storia. Il momento in cui i veri pensieri di Raph si manifestano e in cui praticamente tutti potrete gridare: “Lo sapevoooo!”
Sì, Raph non ha mai smesso di amare Isabel. Come avrebbe potuto? Quello che è successo in SITR non è roba da poco, non era una storiella senza senso. Ma nonostante ciò che prova l'ha voluta allontanare, perché ha capito cosa significhi davvero per un essere normale il dover stare con un mutante.

C'è lo scontro tra i due che molti hanno previsto, anche se è solo un miniscontro, c'è una parvenza di spiegazione.
Ma poi, c'è il nulla. Perché, come dice Don, si sono dimenticati di qualcosa di importante. O meglio di qualcuno.
E chissà cosa accadrà adesso.

Per il titolo: Fight me (Raph), Forgive me (Leo) e Forget me (Isabel), ci sono i tre angoli di questo triangolo. Mi sembrava doveroso.

Ringrazio di cuore i fedeli lettori, chi recensisce, i nuovi seguiti e preferiti. Illuminate le mie giornate!

Un nuovo disegno di SaraJane, che non finisce mai di stupirmi. È bravissima e velocissima.
Grazie di cuore.

E io ne approfitto per un'idea che Piwy mi aveva dato tempo fa: scegliete una scena, di SITR e JTWYA e disegnatela. Non importa se non vi reputate bravi, dimenticate queste sciocchezze: non è un concorso! Voglio solo avere un vostro ricordo da tenere stretto e anche sapere quale scena sceglierete!
È rivolta a tutti, senza paura! Io le pubblicherò solo se voi acconsentite!

Un grosso grandissimo caldo abbraccio
vi adoro.

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Capitolo 25
*** Who the shell are you? ***


La testa era piena solo del rumore assordante del suo cuore, che pompava nelle orecchie dolorosamente, e dei respiri accelerati, soffiati con rapidità attraverso il naso. Poi il bisogno di ossigeno si fece prepotente ed entrambi si staccarono con forza, mentre il disappunto prendeva posto nel suo corpo. Le labbra della ragazza erano rosse e gonfie, ancora umide, tirate sul sorriso più bello che avesse mai visto; stava ansimando, con le guance in fiamme e gli occhi luminosi che lo guardavano con desiderio.
Lui ricambiava lo sguardo, rapito e incredulo.

Dovremmo fermarci” le disse con reticenza, mentre era ancora in grado di pensare.

Lei si mordicchiò il labbro con quei denti bianchi e perfetti, piegando appena il capo. Le sue dita si strinsero sul perno della zip della sua tuta e la aprì con calma, tirandola giù con languida lentezza, mentre un dito passava sulla sua pelle verde scuro tormentandolo, fino ad arrivare al centro del piastrone. Le mani si poggiarono sul suo torace, poi lei si avvicinò, chinandosi sul suo collo, solleticandogli il mento con i capelli castani, resi più scuri dalla pioggia, che parevano freddi al contatto con la sua pelle rovente.
Il primo bacio gli mandò un brivido delicato giù per il petto, fino allo stomaco, che bruciava di desiderio. Poi ne seguirono altri, sempre più intensi, mentre si spostava lungo la clavicola fino alla spalla: i denti della ragazza lo morsero con passione, d'un tratto, strappandogli un gemito di piacere. Chiuse gli occhi, in preda all'eccitazione.

Non credo proprio” gli rispose contro la sua pelle, leccando piano e baciando il morso che gli aveva dato, spingendolo quasi sull'orlo della pazzia. La sua voce era puro miele, che scivolava su di lui, facendogli venire la pelle d'oca.
Sentiva il petto ardere di desiderio e il bassoventre pulsare, dalla voglia che aveva di stringerla e farla sua. Ma ancora, una briciola di buon senso temeva a freno quella pazzia, anche se stava tremando, per l'impeto nel trattenersi.
Lei si spostò, mordicchiandolo giù sul petto, fino ad arrivare all'incavo della gola. Il suo cuore batteva furiosamente sul pomo d'Adamo, come un tamburo tribale, dove lei continuava a mordere e baciare.

Sei... sei sicura?” ansimò, totalmente annebbiato dal suo profumo, dalla sua bellezza, dal suo calore, dalla consistenza della sua pelle vellutata sotto le mani.
La ragazza costellò il profilo della sua mandibola con piccoli baci, fino ad arrivare alle labbra: lì la sua lingua si insinuò dapprima con leggerezza, trascinandolo poi in un bacio passionale, famelico, da spezzare il fiato. Lo lasciò andare, per poterlo guardare negli occhi con i suoi, torbidi e profondi.

Voglio fare l'amore con te, Raffaello” soffiò sulle sue labbra, prima di passarci la lingua sopra, lentamente, seguendone i contorni.
L'ultimo muro di resistenza nella sua mente crollò e si sbriciolò in polvere, spazzato via da quella voce passionale e amorevole, e le sue braccia la afferrarono con ardore, stringendola a sé, mentre le sue labbra cercavano quelle dolci e brucianti di lei e non per l'ultima volta...


Si svegliò di colpo, ansimando, con la sensazione di quella pelle morbida e soda sotto le dita. Si mise a sedere, col respiro ancora corto, premendosi le mani contro gli occhi, il corpo scosso dall'eccitazione, che andava a fuoco.
Dannazione. L'ennesimo, maledetto sogno erotico. Se così lo si poteva chiamare. Dopo due settimane di quella tortura, notte dopo notte, perfino lui aveva capito che non si poteva parlare di un semplice sogno. Era di più. Ma non sapeva cosa.

Quando si svegliava ricordava solo frammenti, stralci confusi, ma inequivocabili, che lui componeva pezzo dopo pezzo, come un puzzle peccaminoso che non faceva che torturarlo. Prima c'erano stati quegli occhi scuri, profondi come l'entrata dell'inferno e altrettanto pericolosi; poi le sue labbra, piccole e carnose, rosse e morbide, che riuscivano a infiammare la pelle solo con un tocco; e il suo corpo, oh santo cielo il suo corpo: sodo, atletico e caldo, premuto contro il suo fino a fargli perdere il raziocinio, con quel seno prosperoso che non chiedeva altro che di mordere e baciare fino alla pazzia.

E quella notte un altro piccolo tassello si era aggiunto: la sua voce, dolce e nello stesso tempo roca di passione, che gli chiedeva di fare l'amore, dando il colpo finale ad ogni reticenza.
Raffaello, lo aveva chiamato. Raffaello. Non Raphael o Raph. Raffaello. Solo pensarlo, con la stessa intonazione che quella voce gli dava, gli mandò i brividi, accelerando il battito del suo cuore.

Si lasciò andare sui cuscini con un ringhio frustrato, a braccia spalancate, percependo il contatto delle lenzuola ormai fredde contro la pelle accaldata e sudata.
Era tutto iniziato con quella dannata cicatrice. Da quando aveva toccato la bruciatura sul suo petto aveva scatenato una maledizione, che stava seriamente rischiando di farlo diventare pazzo; non aveva fatto altro che sognare ogni notte la stessa cosa, in momenti differenti: a volte era il momento dei preliminari, quello dei baci e delle carezze, delle mani che correvano bramose per esplorare, stuzzicare, eccitare; altre invece riviveva fin nel più piccolo dettaglio la fusione tra i loro corpi, con quei gemiti che gli riempivano completamente la testa, insieme al piacere più totale e spiazzante mai provato. Il risultato era sempre lo stesso: si svegliava d'improvviso, sudato ed eccitato, chiedendosi cosa diamine gli stesse accadendo.

Non ne aveva parlato con i suoi fratelli o col maestro. Cosa avrebbe dovuto dirgli? Che veniva ogni notte nel letto in preda al sogno erotico più vero e reale mai avuto in vita sua? Che le sensazioni provate non erano mere e fittizie, ma tangibili, tanto concrete che avrebbe potuto giurare che tutto ciò che vedeva e sentiva e provava era di certo più che una fantasia, anche se sembrava una pazzia?
Non poteva. L'avrebbero preso per matto. Gli avrebbero riso in faccia.

E poi c'era lei. La ragazza del sogno. Bellissima, dolce, sensuale. Con quel sorriso malizioso e allo stesso tempo innocente, che avrebbe convertito il più dannato degli uomini, solo per poterlo rivedere ancora una volta.
Non voleva, non poteva condividere la sua esistenza con nessuno. Era sua. Era lui che voleva ogni notte.
Si era innamorato di un sogno. E non avrebbe potuto ammetterlo, mai.

Si trascinò fino al bagno e si gettò sotto alla doccia, aprendo per primo il rubinetto dell'acqua fredda, come ogni mattina ormai da quando era iniziato quel tormento: arrivò prima il rumore delle tubature che cigolavano, poi le gocce gelide caddero sulla sua pelle, portandosi via gli ultimi barlumi di eccitazione dal suo corpo, insieme alle prove di ciò che era successo nel letto.
Si appoggiò con la fronte alle mattonelle e si accorse solo in quel momento di come scottasse: probabilmente si stava ammalando e non se ne sorprese nemmeno troppo, in effetti. Una febbre celebrale, ecco cosa aveva. Un dannato problema al cervello.

Rimase immobile sotto il getto d'acqua per un tempo incalcolato, forse minuti, forse ore, con quella voce che continuava a chiamarlo con tono mieloso, dentro la sua testa. Raffaello, lo chiamava, e a lui non restava altro da fare che seguirne il suono melodioso fino alla pazzia.



Cosa?” gli domandò Don, interrompendo per un secondo il suo lavoro di avvitatura. O avvitamento? Si confondeva sempre.
Era andato nell'officina per domandargli un dettaglio che lo stava facendo ammattire, che si ripeteva incessantemente nella sua testa da quando si era svegliato e non lo abbandonava per nessun motivo. Forse se avesse chiesto al genio, si era detto, avrebbe smesso di pensaci in quella maniera ossessiva e deleteria, dando finalmente riposo al cervello prima che impazzisse definitivamente.

Ho detto: conosci la parola Raffaello?” ripeté, con lo stesso accento della ragazza del sogno, dissimulando il brivido che sentì con un'alzata di spalle.
È il tuo nome. In italiano” spiegò il fratello, poggiando la chiave inglese sul ripiano di ciò che stava costruendo, che aveva l'aria di essere una piattaforma, lanciandogli un'occhiata interessata per quell'inusuale argomento.
Questo lo so! Ma perché...”
Come fai a saperlo?” lo interruppe Don, corrugando le sopracciglia per la sorpresa.
Già, come diamine faceva a saperlo? L'unica parola che conosceva di italiano era pizza, e non era nemmeno sicuro di pronunciarla correttamente.

Non è questo il punto. Perché si dovrebbe usare quella versione del nome invece di Raphael?” domandò invece di rispondere, mangiandosi le parole per la fretta di parlare.
Una persona italiana potrebbe farlo. Perché il suono le è più familiare o lo preferisce. O perché, nel tuo caso, potrebbe pensare di darti fastidio e farlo apposta.”
No, la ragazza del sogno non lo aveva usato per schernirlo o farlo arrabbiare, lo aveva pronunciato con un tono così caldo e pieno di sentimento, quasi amore. E a lui non dava affatto fastidio, anzi tutt'altro; forse, se l'avesse pronunciato qualcun altro gli avrebbe dato sui nervi o lo avrebbe trovato strano, ma detto da lei era balsamo per il suo ego.
Tremò al solo ricordarlo.

Come mai questa domanda? Dove hai sentito quel nome?”
La voce di Don lo riportò alla realtà, nel rifugio, vicino alla sua piattaforma costruita a metà e ingombra di pezzi e arnesi.

Io... l'ho sentito in un programma, ieri sera alla TV” mentì, mascherando il nervosismo con un sorriso palesemente troppo entusiasta per essere vero.
Don lo guardò sempre più con curiosità e sospetto.

Che cosa... cosa stai costruendo?” si ritrovò a chiedere, nell'urgenza di cambiare argomento.
Donnie, se possibile, fu ancora più sorpreso dal suo insolito interesse per una delle sue invenzioni. Sollevò cautamente un sopracciglio, volutamente cinico, mentre lo squadrava. Poi un grosso sorriso apparve sul suo viso, un sorriso quasi perverso. Ma forse lo stava solo immaginando.

Sono contento che tu me l'abbia chiesto. Perché questa è un'invenzione che servirà a tutta la famiglia. È un progetto molto complicato, che stimola le sinapsi tra la corteccia prefrontale e il lobo temporale, mischiato a...”
Basta! Ti prego! Scusa se te l'ho chiesto, non torturarmi così!” tagliò corto Raphael, interrompendo la lunga sequela di strane parole che uscivano dalla bocca di suo fratello, delle quali non ne aveva capita mezza.
Dimmi solo questo: mi farà del male?” chiese spiccio, arrivando al punto che gli interessava.
No.”
Ne ricaverò beneficio?”
Sì!”

Perfetto! Allora continua a lavorarci. È già da parecchio che ci traffichi attorno!” constatò Raph, studiando le componenti metalliche assemblate e quelle che ancora attendevano di essere unite, abbandonate contro il muro dell'officina.
Dieci giorni, e ne ho impiegato altri quattro solo per creare il progetto” rivelò Don, riprendendo in mano i suoi attrezzi e avvicinandosi alla base per riprendere i lavori, riassorbito in fretta nella sua costruzione, quasi come se lui non fosse più lì.
Wow. Deve essere davvero complesso. Mi pare di ricordare che non ti sia dedicato ad altro da quando hai iniziato. Non sei uscito nemmeno una volta!”
Sì, io... devo finirlo. Al più presto” fu il sussurro assorto e teso di Donnie, come se lo stesse dicendo a sé stesso, per motivarsi.

Sapeva che suo fratello era un fanatico delle invenzioni e che quando si immergeva in un nuovo progetto difficilmente si riusciva a farlo staccare, arrivando perfino a doverlo prendere di peso per portarlo a mangiare, ma c'era qualcosa di strano in lui. Aveva uno sguardo spiritato, quasi come se fosse posseduto. Era completamente ossessionato da quell'invenzione, non ricordava un secondo delle ultime due settimane in cui non fosse stato appiccicato al suo progetto o all'invenzione, dormendo pochissimo e interagendo con loro anche meno.

E, purtroppo, non era l'unico ad essere strano, nell'ultimo periodo. Tralasciando sé stesso e i suoi sogni-non sogni erotici, nemmeno il resto della famiglia sembrava molto in sé.

A cominciare dal maestro, che la mattina rimaneva nel dojo, seduto per terra con lo sguardo assente per un paio d'ore. Avevano provato a capire cosa non andasse, chiedendogli come mai se ne stesse così assorto, ma non in meditazione, ma il maestro continuava a rispondere con frasi sconnesse, in giapponese. Tutto ciò che erano riusciti a capire era che aveva perso qualcosa, ma quando gli chiedevano cosa avesse perso, tutto ciò che rispondeva erano parole che non riuscivano ad afferrare. Dopo qualche ora, tuttavia, ritornava normale e non faceva minimamente accenno alla cosa, tanto che avevano iniziato a chiedersi se il loro padre non stesse semplicemente invecchiando e andando incontro alla senilità. Leather Head lo aveva visitato e aveva detto loro di non preoccuparsi, che era perfettamente sano. Donnie pensava che non dovessero impensierirsi, che fosse solo un po' di stanchezza e che presto sarebbe tornato esattamente come prima.

Poi c'era Mikey, che sembrava meno allegro del solito, meno vitale. A colazione si guardava spaesato attorno, come se fosse in attesa di qualcosa o qualcuno: più passava il tempo, più la sua faccia diventava ansiosa. Infine si alzava strascicando i piedi, si buttava di malagrazia sul divano e passava ore a fissare il soffitto, in stato catatonico. Se qualcuno di loro gli chiedeva di giocare, rifiutava, contro ogni aspettativa. Non voleva giocare ai videogiochi, non leggeva fumetti, non guardava la TV. E quando gli avevano chiesto cosa gli stesse accedendo, lui aveva risposto solo con un “Non lo so. Mi manca qualcosa”.
Don li aveva rassicurati: solo un po' di tristezza, dovuta a qualche fatto accorso di recente che lo aveva colpito, magari a livello subconscio; entro breve tempo, aveva detto, Mikey sarebbe ritornato come prima.

Quello che lo preoccupava più di tutti, comunque, era Leo. I suoi stati d'animo andavano dalla calma più zen che potesse esistere alla furia cieca e distruttrice che aveva caratterizzato la sua adolescenza. Sembrava quasi essere una bomba costantemente carica, ma in stato di stand by: non c'era modo di sapere quando sarebbe esploso. A volte scattava nel bel mezzo di un film, la sera dopo cena, e allora si rinchiudeva nel dojo, dal quale sentivano sempre provenire rumori di lotta e grugniti frustrati. Quando invece succedeva nel bel mezzo di una ronda erano dolori, perché toccava a loro ogni volta cercare di contenere la sua rabbia, che aveva rischiato più di una volta di far finire i suoi scontri in veri massacri.

Chi si beccava le sfuriate maggiori in quei casi era proprio lui, Raph, perché Leo sembrava avercela particolarmente con lui, senza un apparente motivo. Non era più il loro vecchio Leo, saggio, controllato e affidabile leader, ma un collerico, scontroso e instabile fratello maggiore.
Salvo poi scoprirlo depresso e triste mentre guardava le stelle, seduto su un cornicione con le spalle incurvate, il ritratto della pena e del dolore. Leo stesso non sapeva cosa avesse. “Sono solo... vuoto. Mi sembra di aver perso qualcosa di importante e la rabbia ha preso il suo posto”, aveva detto cercando di spiegarsi, prima di prendere a pugni il muro, confuso.

Anche per quello Don aveva avuto delle parole di conforto.
È come se stesse vivendo un'adolescenza a scoppio ritardato” lo aveva messo al corrente, con una buffa alzata di spalle. “Appena avrà capito cosa gli accade ritornerà come prima. Assicurato!”
Adolescenza ritardata? A ventitré anni? Quella era senza dubbio la cosa più ridicola che avesse sentito.

E nonostante tutte le belle rassicurazioni del fratello, Raph sentiva che c'era qualcosa di sbagliato. Una forza misteriosa che stava agendo su tutti loro, forzando le loro azioni e i loro pensieri, facendoli comportare in maniera strana. E forse la sua bruciatura e quello che faceva al suo corpo e alla sua mente aveva una parte in tutto quello, anche se non sapeva in che modo potessero essere connessi.

Va tutto bene, Raph? C'è qualcosa di cui vorresti parlare?”
La domanda di Don lo riscosse, attirando la sua attenzione. Lo osservò come in trance per qualche secondo, valutando come rispondere.

No. È tutto a posto.”

Donnie avrebbe certamente cercato una spiegazione scientifica anche a ciò che stava accadendo a lui, se lo avesse messo al corrente. E lui non voleva nessuna maledetta scusa scientifica, perché non c'era nulla di sensato e razionale in tutto quello che gli succedeva. Niente di razionale nel modo in cui quella ragazza faceva vibrare ogni più piccola parte del suo corpo e della sua anima, pur non esistendo.
Ne sono contento” sorrise il fratello, prima di tornare al suo progetto.


Quella sera, dopo cena, Raph insisté con tutte le sue forze per farlo uscire dall'officina.
Andiamo! Un giro di ronda tutti assieme!” supplicò, togliendogli da mano ogni attrezzo che lui stringeva.
No! Ho da fare!” rispose secco il fratello, prendendo una chiave a brugola, dato che Raph gli aveva tolto la chiave inglese da mano.
Ma sei chiuso qui da giorni! Ti fa male alla salute!” replicò, sequestrandogli anche quell'attrezzo.
Sto benissimo! È della vostra che mi preoccupo, ultimamente” sibilò l'altro, afferrando un set di chiavi a pappagallo e indietreggiando, con la faccia stizzita.
Allora, per la nostra salute: vieni a fare un giro con noi? Chi impedirà a Leo di ammazzarmi quando darà di matto, anche oggi? Mikey? Pfff, non credo proprio!”
Don occhieggiò con sospetto la faccia del fratello, con le braccia ancora cariche di arnesi.

Va bene! Ma solo per un'oretta” concesse alla fine, con un sospiro rassegnato.


Non è bello una volta ogni tanto uscire all'aria fresca?” gli domandò Raph un'ora dopo, sul tetto del palazzo nel quale si trovavano, con lo sguardo perso verso l'orizzonte.
Fresca? Siamo a New York! È già troppo chiamarla aria!” ribatté Don, arricciando il naso.
Sempre meglio di quella che c'è nelle fogne. Su, non stare con la faccia imbronciata! Andiamo a prendere a calci qualche delinquente!”
Tutti e quattro corsero nella notte, nell'aria calda di quell'ultima settimana di Luglio, dall'afa incontenibile. Le tute ormai erano da un pezzo nella versione estiva, senza maniche, ma nonostante tutto c'era sempre troppo caldo.

Neutralizzarono senza fatica un paio di bande di ladruncoli, un taccheggiatore e un topo d'appartamento, oltre ad una piccola gang di delinquenti che aveva infastidito una coppia gay vicino al parco.
Vi piace prendervela con chi non è come voi? Beh, anche a noi piace prendercela con quelli come voi” disse Mikey arrabbiato, calciando via uno dei ragazzi che si avvicinava alla coppia facendo roteare con violenza una catena in ferro.

Il gruppo spalancò gli occhi al vedere cosa fossero i misteriosi ospiti e alcuni provarono a darsela a gambe con urla sconvolte, ma il quartetto si era diviso per tagliare ogni via di fuga.
Era meglio incidere bene il concetto in quelle testacce vuote, con qualche pugno ben assestato.

Uno dei ragazzi, quello che a giudicare dalla spavalderia e dalla stazza sembrava il capo, sputò per terra e poi ghignò, ricacciando giù in gola la paura che la vista di quei quattro energumeni verdi gli suscitava.
Non ci piace guardare schifosi anormali e mostri” ringhiò sollevando la mazza in ferro che teneva tra le mani, per dimostrare che si sarebbe battuto.
Strano. Eppure dalla orrida cresta ben pettinata sulla tua testa da culo si direbbe che tu passi molto tempo davanti allo specchio” replicò Raph con lo stesso tono ringhiante, strappando una risatina a Mikey, che però non fu invece gradita dalla gang.

Il capo urlò e si lanciò contro di lui, mentre i suoi degni compari se la vedevano con i suoi tre fratelli, che non chiedevano davvero altro.
Non erano forti, ma di certo erano molto tenaci e sin troppo spavaldi, che per certi versi era peggio di qualunque tecnica o forza potessero avere. Si gettavano in disperati e violenti attacchi tentando il tutto per tutto, per tagliarsi una via di fuga da loro.

Non persero molto tempo nel batterli, giusto una decina di minuti per smontare la loro irruenza con schivate sciolte e minime, che servirono a farli stancare quel tanto che bastava per mandarli giù con un pugno.
Dovreste proprio aprire le vostre menti e imparare ad accettare realtà diverse, prima che vi apriamo la testa a pugni noi per farvelo capire!” fu la minaccia di Mikey al tizio con cui si batteva, prima di buttarlo giù con un colpo solo.

Raph guardò con uno sguardo di disapprovazione quelli che aveva battuto, poi una voce decisamente alta arrivò alle sue orecchie, scuotendolo: Leo stava urlando contro i suoi avversari a terra, infierendo su loro nonostante fossero già battuti.1
Spiccò una corsa urgente nella sua direzione, saltando gli uomini svenuti a terra di volata.

Leo! Fermati!” urlò con tutta la sua voce una volta arrivato, afferrandogli il braccio per bloccare il suo scatto d'ira.
Suo fratello si girò come una furia, con ancora la Katana nella mano, agitandogliela contro: sentì una lieve pressione contro la fronte e vide la lama scintillare in mezzo agli occhi, mentre la maschera rossa carezzava piano il suo viso, scivolando lieve a suolo, lacerata a metà.
Con un colpo secco fece cadere le spade dalle mani del leader, stringendoselo poi contro, in un abbraccio spezza-ossa, per tenere le sue braccia ferme contro il petto; Leonardo cercò di divincolarsi, sempre più arrabbiato, con le vene del collo che pulsavano dallo sforzo.

Calmati, Leo! Respira a fondo e lentamente!” gli disse, provando lui stesso a restare calmo, anche se cercare di contenere la foga con cui il fratello si contorceva per liberarsi era quasi impossibile.
Perché? È tutta colpa tua! Ti odio!” gli strillò quello contro, sorprendendolo, facendogli quasi perdere la presa.
Rimase un attimo in silenzio, attonito dal tono velenoso che aveva percepito in quelle frasi. Mikey e Don erano arrivati alle sue spalle, osservando la scena, indecisi se intervenire o meno, turbati.

Cosa è colpa mia? Perché mi odi?” chiese infine Raph, dissimulando il dolore che gli procuravano quelle parole.
Leo si fermò di colpo, sconvolto, al sentire la voce del fratello ripetere ciò che gli aveva detto, come se fosse sorpreso dal suo stesso comportamento. Osservò attonito il graffio che aveva procurato sulla sua fronte poi, lentamente, abbassò il capo, poggiandolo sulla sua spalla, sconfitto e afflitto.

Non lo so... perdonami. Non lo so. È solo che mi sento... perso” sussurrò con un tono penoso, smarrito e doloroso da sentire.
È tutto a posto, Leo. È solo un brutto periodo” lo consolò Don, facendosi avanti per dargli un incoraggiamento. Mikey gli batté una pacca sul guscio, con un sorriso fiducioso.

Raph lo lasciò andare e gli poggiò le mani sulle spalle, affettuosamente.
Non avrebbe lasciato che la sua famiglia si spaccasse, costretta a soffrire in quel modo. Doveva scoprire cosa non andava in ognuno di loro e poi combattere con tutte le sue forze per rimettere le cose a posto, riportare tutto come prima.
Una volta calmato Leo, si prepararono per andare via. La coppia era già scappata da tempo, forse perfino pochi secondi dopo che loro erano apparsi; non ci avevano fatto caso e non erano perciò sicuri. Sperarono solo che fossero salvi e che stessero attenti a idioti come la banda che giaceva al suolo in quel momento.

Raph raccolse la bandana lacerata dal pavimento, valutando il taglio netto nella stoffa, che se fosse stato portato con più forza gli avrebbe aperto il cranio in due. Accidenti, Leo era davvero più pericoloso di quanto pensasse; se non fosse stato attento, lo avrebbe ucciso nel prossimo scatto d'ira. O in quello dopo. O in quello dopo ancora.

Un fulmine improvviso illuminò la notte, seguito da un tuono fragoroso, non molto distante da loro.
Tremò, completamente, da capo a piedi, col cuore in tumulto, che batteva così forte da ferirgli le orecchie. Non si era nemmeno accorto di aver stretto la bandana nel pugno con disperazione, scosso da ondate di tensione che irrigidivano i suoi muscoli, come se si fosse pietrificato.
Iniziò a cadere una pioggerellina leggera, fredda, ma non la percepì nemmeno sulla pelle.

Sarà meglio andare! Rischiamo di ammalar...”
La voce di Don si spezzò sorpresa, nel guardarlo.

Raph... perché piangi? Sei ferito?” domandò con un mormorio flebile, spaventato.
Mikey e Leo sentirono il suo tono e anche loro si voltarono, sbarrando gli occhi in apprensione, come se temessero che stesse male.

Raph si portò la mano sul viso, passandola come in trance sugli occhi, poi la guardò: sulle sue dita splendevano gocce, che non erano affatto di pioggia come aveva creduto, ma lacrime. I suoi occhi erano colmi di lacrime, il suo viso ne era completamente bagnato. E il cuore gli faceva così male che credeva si stesse avvizzendo in quello stesso istante, portandolo alla morte.
Non lo so. Quando quel fulmine è caduto e ha iniziato a piovere, mi sono sentito... strano. Rabbiosamente vuoto. Come se all'improvviso mi fossi accorto che tutto ciò che ho dentro è sparito, andato, svanito. E mi sento così male che non riesco nemmeno a spiegarlo” sussurrò lentamente, con una voce che non pareva nemmeno la sua.
Stava tremando, con ogni parte di sé, sconvolto e devastato come mai si era sentito prima. E sapeva che le lacrime stavano ancora scendendo, ma non sapeva come arrestarle: volevano uscire, cadere giù e provare a lavare via quello che stava provando, anche se non lo capiva.

Leo gli si fece incontro, poi lo strinse in un abbraccio.
È tutto ok, siamo tutti qui, uno per l'altro” gli mormorò, stringendolo con affetto.
Mikey gli sorrise incoraggiante e Don invece lo guardava con un sorriso assurdamente compiaciuto. Raph annuì, senza sapere che dire, grato della loro presenza.
La pioggia continuò a cadere, insieme alle sue lacrime, quella notte.



Entrò nella sua camera in penombra, senza preoccuparsi di accendere la luce, strofinandosi ancora con forza con l'asciugamano. Tirò giù la zip della tuta, liberandosi con gioia dell'indumento bagnato, calciandola dall'altra parte della stanza. Si asciugò per bene, gioendo della sensazione di ruvidità contro la pelle, che sembrava portarsi via anche il senso di inadeguatezza che sentiva addosso.

Aveva pianto. Aveva dannatamente pianto, davanti ai suoi fratelli, senza una ragione. Quel maledetto fulmine e la pioggia avevano scatenato in lui una sensazione orribile, di dolore misto ad ansia selvaggia, come una morsa soffocante nel petto che pressava e gli impediva di respirare, gettandolo nel panico.
E le lacrime erano state solo la naturale conseguenza.

Che cosa diamine gli stava accadendo? Perché... per chi si era sentito così? Perché era certo di averla sentita, per un solo istante, quella voce che lo chiamava, nel momento stesso in cui il fulmine era caduto.
Raffaello.”
Come se il fulmine e la pioggia e quella ragazza fossero collegati. Ma a differenza delle estasianti sensazioni che provava nei sogni, lì si era sentito dilaniato, sbagliato, rifiutato, costretto a sopportare lo strazio e la sofferenza più totali e sconvolgenti mai provati prima.
Il dolore che avrebbe potuto sentire se avesse mai perso la persona che amava, se ne avesse avuto una.
Si era davvero innamorato della ragazza del sogno?

Scagliò l'asciugamano nel buio, centrando la lampada e buttandola giù, a giudicare dal rumore che ne seguì; scostò le lenzuola cambiate di fresco quella mattina e si infilò dentro, con un sospiro sollevato. Piegò le braccia dietro la testa, osservando l'oscurità attorno a sé.
Chi diamine sei?” domandò al nulla senza voce.
Raffaello” lo chiamò di nuovo la ragazza nella sua testa, facendogli chiudere gli occhi dal piacere che gli trasmise.

Se quella era la tortura che doveva sopportare, ci si sarebbe fiondato contro con tutta la velocità possibile, mettendo infine da parte quel senso di peccato che aveva sentito fino a quel momento. E anche se quelle sensazioni dei sogni e quelle della pioggia fossero state connesse, era certamente meglio dell'orrida fitta di sofferenza che aveva sentito. E voleva liberarsi al più presto anche solo del ricordo di quelle lacrime.

Anche quella notte l'avrebbe ritrovata nei suoi sogni, stretta, baciata, amata.
Arrivo” mormorò con un sorriso, provando a calmare i battiti furiosi del suo cuore.



1: prima che possiate gridare all'OOC di un Leo così aggressivo e fuori controllo, ho preso il suo comportamento dalla scena dell'episodio 2 della quarta stagione “The people's choice”: un robot cade dal cielo, prendendoli quasi in pieno e credendolo nemico lo abbattono. Leo infierisce anche quando è ormai palese che abbiano vinto, tanto che Raph e Don sono costretti a fermarlo. Sì, so che quello è un robot e può sembrare diverso da un umano, ma stava per uccidere l'aliena dentro il robot nella sua furia cieca.
Insomma, non sta bene con la testa il ragazzone al momento. Non è esattamente in sé.
Poi si vedrà perché.



Note:
Tadaaan!
Buon giorno!
Ecco a voi la peggior autrice del mondo di suspense! Non ho ingannato nessuno, sono pessima assai! Uno, dico, ci fosse cascato uno! Mi devo dare ai cruciverba e smetterla di scrivere, mi sa, non sono buona a fare scene ad effetto!

Evvabbè, Raph ama Isabel è ormai assodato. Anche Leo ama Isabel. Ma nessuno dei due se lo ricorda... ehhhh, pazienza. Dov'è lei al momento? Eheh, segreto! Si vede che non dormo da ieri? Sì, sto vaneggiando alla grande!
Isabel non la ricorda nessuno, ma chissà perché nessuno sta davvero bene, e povero Raph tormentato da quel sogno ( mica tanto, ci prende pure gusto.)
ma poi piange, la cosa mi fa sempre un certo effetto!

Come ho già detto, a chi ha dato Leo già per spacciato: C'è ancora taaaanto da vedere! Fino alla fine nessuno dorma sugli allori! Mwahahaa!
Ok, la deprivazione da sonno si fa sentire, ma non posso dormire, perciò vado a spaventare la gente con la mia lieve schizofrenia per il resto della giornata!
Bacioni enormi, vi adoro tantissimo! *______________*  Vi terrei sulla mensola dei miei libri preferiti, con tanto amore!



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Capitolo 26
*** Flames in the memory ***


Le cose non migliorarono nei giorni a seguire, per quanto tutti si sforzassero.

Don continuava a passare tutte le sue giornate seppellito dentro all'officina e a malapena riuscivano a vederlo, figurarsi a parlarci.
E anche se ci avessero provato, entrando nella sua tana con sprezzo del pericolo, avrebbero ricevuto non più di un'occhiata di sfuggita e delle risposte a monosillabi, fuori sincro tra l'altro, perché il genio non ascoltava affatto nessuna parola.
Mikey si sforzava di essere più allegro, di seppellire quella orribile sensazione di abbandono che sentiva e di scherzare come faceva sempre, per alleggerire la tensione in famiglia, ma i suoi sorrisi non erano aperti e sinceri come il solito, erano forzati e non trasmettevano affatto allegria, anzi tutt'altro; eppure con la sua solita energia da Michelangelo, non c'era giorno che non provasse a cambiare la sua condizione di apatia, anche se dopo un po' si sentiva troppo stanco e sfinito e si lasciava andare sul divano, a guardare in silenzio il soffitto.

Leo si era chiuso in un mutismo assoluto e aveva preso ad evitarli, rintanato nel dojo praticamente per tutto il giorno; la notte usciva da solo, quando usciva, e non si faceva trovare da nessuno di loro, in special modo da lui, Raph. Forse aveva paura di perdere il senno ancora e di attaccarlo come l'ultima volta, ferendolo magari in maniera più grave.
La ferita sulla sua fronte si era quasi rimarginata del tutto ormai, era stata una stupidaggine in fin dei conti, eppure erano stati il gesto e le sue parole, più del taglio in sé, a colpirlo.
Il sensei li teneva tutti d'occhio, preoccupato dallo loro strano comportamento, dal suo stesso anche se non riusciva a spiegarselo, e intanto meditava, cercando risposte che non sembravano arrivare, in nessun modo.

Lui, Raph, ormai non ci provava nemmeno più a combattere quei sogni erotici, spiazzanti e totali, come aveva fatto prima: si lasciava trasportare ovunque dalle sensazioni e ne godeva senza rimorso, provando a capire quel senso di nostalgia che sentiva quando si risvegliava, come se gli mancasse qualcosa. Qualcuno.
Alle sue strambe abitudini, si era aggiunto il controllo maniacale delle previsioni del tempo, quasi come se la sua vita dipendesse da quello: se il tempo prevedeva pioggia, anche solo in via ipotetica, si chiudeva nella sua camera e si rannicchiava in un angolo, al buio, rifiutando di uscire per qualsiasi motivo.
Non aveva dimenticato quel dolore e quell'ansia feroce che aveva percepito sotto la pioggia, non avrebbe potuto nemmeno provandoci, e non voleva risentirli mai più; era stato peggio di qualsiasi sensazione sbagliata che gli aveva attanagliato l'anima fin da quando era piccolo, perché era diverso, un mostro; ma questa non sapeva proprio da dove venisse.
Non voleva sentirsi mai più così solo e abbandonato.

Eppure, razionalmente, sapeva che quello che aveva sentito sotto la pioggia e quello che sentiva e vedeva nei suoi sogni, erano in qualche modo connessi. E che c'entrava anche la bruciatura sul suo petto.
Perciò, dopo vari ragionamenti e ripensamenti, si era deciso ad investigare.

Aveva studiato così ossessivamente le linee e i contorni, da poterla replicare ad occhi chiusi: erano davvero le impronte di due mani femminili, marchiate a fuoco sul suo petto, dalla vaga forma di un cuore; erano state lasciate da mani piccole, affusolate e delicate. E per quanto sapesse che era da pazzi pensarlo, erano della ragazza del sogno.
Se lo avesse detto a voce alta a qualcuno, lo avrebbe di certo preso per pazzo, ma ne era assolutamente certo. Aveva baciato quelle mani, aveva sentito le loro unghie graffiargli la pelle, la loro stretta nelle sue mani nel momento del dolore e del massimo piacere.
Quelle mani lo avevano sfiorato, accarezzato, afferrato e stretto, con imbarazzo, desiderio, passione e amore, ogni notte nei suoi sogni, e le conosceva come le proprie.

Eppure non erano reali, erano dentro un sogno. O forse no? Erano reali, potevano esserlo? Ma allora perché non ricordava chi e perché gli avesse lasciato quella bruciatura? Ammettendo per un secondo l'assurda ipotesi che quel sogno fosse il ricordo di una situazione reale, anche se l'idea di un'umana che faceva l'amore con lui era da pazzi, perché non avrebbe dovuto ricordarsi di lei?
Amnesia? Ma gli altri non avrebbero dovuto sapere una cosa del genere? E allora non sarebbe stato possibile che tutti avessero perso la memoria insieme.
Più ci pensava, cercando risposte, più confuso si sentiva.
L'unica cosa che sapeva, era che la bruciatura c'entrava qualcosa. Anche se non sapeva cosa.

Si era deciso infine a toccarla, per provare a capire, per vedere se una qualche risposta veniva fuori, da qualche parte.
Aveva avvicinato la mano al petto, lentamente, timoroso, deglutendo per il nervosismo, stringendo i denti mentre attendeva che qualcosa di doloroso e confuso lo avvolgesse.
Invece, non appena il dito l'aveva sfiorata, era divampato un enorme incendio, nella sua testa, così reale che il fumo e il calore lo avevano spaventato e soffocato, per un istante. Il suo respiro si era fatto pesante e aveva preso a tossire, assorbito dalla visione talmente a fondo da poter percepire il calore soffocante del fuoco sulla pelle, le fiamme aranciate che illuminavano la notte oscura lambirgli la carne, con furore.
E lei era apparsa, rannicchiata e piccola, in preda al dolore, stretta tra le sue braccia mentre piangeva con tutto il cuore. Il suo si era stretto in una morsa nel vederla così, disperata e fragile, spezzata e indifesa, ben diversa da come appariva nei suoi sogni notturni.
E se possibile se n'era innamorato con ancora più forza.



Scese per la colazione, di malavoglia. Una delle regole che si erano dati, per cercare di avere ancora una parvenza di famiglia normale, per quanto normale potesse definirsi la sua famiglia, era di fare colazione tutti assieme. Più che altro per combattere il malumore di Mikey, che colpiva sempre un po' tutti, quando era triste.
Anche se, dato il costante e spesso silenzio, il malumore regnava comunque sovrano.
C'erano già tutti, giù in cucina. Don tamburellava con le dita di una mano sul tavolo, mentre con l'altra portava la tazza di caffè alla bocca, rovesciandone dentro a litri; i suoi occhi stanchi erano fissi nel vuoto, cerchiati di occhiaie scure, e solo ogni tanto saettavano sui suoi fratelli, brevemente come se stesse facendo loro un veloce check up, prima di tornare a guardare il vuoto.

Mikey stava giocherellando con la sua tazza di cereali, ormai a mollo nel latte talmente da tanto che si erano inzuppati e sciolti, quasi una pappetta beige che fluttuava sulla superficie bianca; il cucchiaio si tuffava nella ciotola e raccoglieva un po' del pappone per poi lasciarlo ricadere giù, sollevando spruzzi. Era una scena consueta, ormai: Mikey non cucinava ormai più nulla per colazione da settimane, benché prima avesse sempre amato mettersi al fornello e preparare colazioni sontuose e mirabolanti, sorridendo alle facce contente di chi mangiava con gusto. Invece in quel momento sedeva svogliato al tavolo e osservava il suo rimestio senza molto interesse, come se fosse preso da altri ragionamenti.

Leo era nell'angolo più lontano del tavolo, la testa china sulla tazza di caffè nero che andava a raffreddarsi, ignorando tutti loro. Forse non voleva che leggessero quel vuoto dentro i suoi occhi, forse aveva paura di scattare e dare di matto se avesse incontrato il suo sguardo; forse aveva paura di attaccarlo ancora.
Gli occhi amorevoli e preoccupati del sensei scivolavano su tutti loro, come a voler cercare un segno, un motivo marchiato sulla loro pelle o sul loro viso, che gli dicesse cosa stava accadendo, ma non vedeva altro che stanchezza e preoccupazione. E confusione, tanta, troppa confusione.

Salutò il suo arrivo e lui chinò il capo all'anziano padre, camminando poi verso il bricco del caffè poggiato vicino al piano cottura, versando la bevanda ormai tiepida nella sua tazza, sbeccata sul bordo da cui beveva da non sapeva nemmeno più quanto.
Si poggiò contro il ripiano con il guscio e sorseggiò con lentezza, tenendo la tazza con la mano sinistra per bere dalla parte buona, lo sguardo che vagava per la cucina, nel silenzio avvolgente.

Anche volendo, anche provandoci, fare conversazione era impossibile. Non c'era nessuno che avesse davvero intenzione di parlare, tanto per cominciare, e non c'era nessun argomento che potesse essere tirato fuori. Forse avrebbero dovuto parlare di cosa gli stava accadendo, di come si sentissero, ma era difficile quando non riuscivano a capire nemmeno sé stessi.

Un tonfo arrivò alle loro orecchie, seguito da un tenue e veloce scalpiccio e prima che potessero anche solo muovere un muscolo, il faccino teso di Steve apparve dalla porta, con un fugace sorriso per loro.
Sembrava stanco, perfino più di loro.

Buon giorno” chiocciò, con un breve inchino verso il sensei prima di sedersi accanto a Leo, che sollevò miracolosamente lo sguardo per guardare il ragazzo.
Che faccia orribile. Hai dormito stanotte?” chiese il leader, in un sussurro roco che a malapena si udì.

Steve si passò le mani sugli occhi, provando a cancellare i segni di stanchezza che li segnavano.
S-sì... no... non lo so” balbettò confuso, stropicciandosi ancora la faccia.
Si accorse di un paio di occhiate sorprese dalla sua mezza risposta, per cui si affrettò a spiegarsi.

Non lo so. Sono... disorientato e incasinato. Mi sembra di dimenticare qualcosa e se provo a focalizzarmi per ricordare mi scoppia un violento mal di testa. Dimentico le cose, intere ore, e mi ritrovo in posti diversi dall'ultimo posto in cui mi ricordo di essere stato. Di quest'ultima settimana ho dei buchi enormi di vuoto. E non solo io. Mio padre e i miei fratelli sono confusi come me, e per assurdo, la salute di mio padre è migliorata inspiegabilmente... come per magia!”

Trattennero tutti il fiato, insieme, senza accorgersene. Come se alle parole di Steve qualcosa avesse solleticato un angolo remoto delle loro menti, per poi svanire in fretta, così com'era apparso.
Probabilmente sei solo stanco. Hai lavorato molto, ultimamente?” chiese cautamente Don, che lo osservava con sospetto nello sguardo, come se stesse valutando le sue reazioni inconsce alla domanda.
Il ragazzino si grattò la testa con fare pensieroso, come se stesse cercando di ricordare.

No, no, anzi... ormai faccio solo il turno serale, quindi ho molto tempo libero. Certo, a casa ancora devo aiutare molto, ma non è così stancante. E la notte sto dormendo, per quel che mi ricordo. Non lo so.... davvero, mi sento solo frastornato.”

Donnie sorrise fugacemente, come se la confusione di Steve gli facesse tenerezza.
Hai solo bisogno di staccare un po' la spina. Che ne dici di venire a cena da April, questa sera?” propose il genio, alzandosi per riporre la sua tazza nel lavello.
Dai signori Jones? Oh no, non voglio disturbare” si affrettò a rispondere Steve, anche se lusingato dall'idea.
Ma quale disturbo, mi ha detto lei di invitarti. Ormai vi siete conosciuti, sappi che April non ti farà mai più allontanare da noi, se può evitarlo. E domani, se ti può far sentire più tranquillo, posso passare a controllare la situazione in casa tua, senza farmi vedere” continuò Don, iniziando a dirigersi verso la porta per poter tornare al laboratorio.

Steve sorrise grato e acconsentì ad entrambe le proposte, con entusiasmo.
Certo che se sei riuscito a convincerlo ad uscire dalla sua officina anche solo per un'ora per farti un favore, hai del portento! Facci un favore: domani trova una scusa e tienilo a casa tua. Legalo alla sedia se devi” fu l'intrusione di Mikey, allegra come solo il vecchio Mikey avrebbe potuto pronunciare, portando per un secondo il buon umore in cucina.

Con un'occhiataccia e una buffa smorfia insofferente di Don nella sua direzione, tutti si congedarono infine, ognuno diretto alle sue faccende: il sensei, Leo e Steve si diressero verso il dojo per l'allenamento mattutino, Mikey decise di andare da April per aiutarla a tenere Carl, insolitamente di malumore in quell'ultimo periodo, e Raph uscì con l'intento di girare per la città, anche se era giorno pieno, perché c'era qualcosa che doveva scovare e non avrebbe desistito finché non l'avesse trovato.
O avesse appurato che semplicemente non esisteva.



Si sporse oltre il cornicione, occhieggiando verso il basso.
I suoi occhi scrutarono con insistenza il vecchio palazzo abbandonato, soffermandosi sulle striature nere che contornavano le cornici delle finestre e della porta, come se fossero state lambite dal fuoco. Quel palazzo diroccato non aveva nulla a che fare con l'immagine del villino preda dell'incendio che aveva visto nella visione alle spalle della ragazza, ma sapeva che era connesso a quello. Doveva solo scoprire in che modo.
Lo aveva trovato dopo ore e ore di ricerche per la città, ci aveva messo tutto il giorno, con il solo riferimento del suo ricordo, scrutando nascosto tra le ombre dei palazzi, con la paura di essere scorto: ogni centimetro, da Long Island a Manhattan, senza tralasciare nemmeno un angolo. Era quasi deciso a lasciar perdere, -la notte lo aveva infine raggiunto e non era certo di poter continuare a cercare al buio,- quando era arrivato a quel vicolo e un tuffo al cuore lo aveva vinto.
Niente, niente di quel palazzo assomigliava alla sua visione, eppure lo sentiva nel fondo dell'anima, che c'era qualcosa che aveva lasciato lì dentro. Come un pezzo di cuore.

Stava per buttarsi giù, per investigare, quando qualcuno atterrò accanto a lui, attirando la sua attenzione e distogliendolo dal suo proposito.
Ehy” mormorò a mo' di saluto, mezzo infastidito.
Ciao, Raph” rispose Leo, avvicinandosi con passo felpato. Suo fratello osservò perplesso ciò che lui stava guardando, forse chiedendosi cosa stesse facendo.
Come mai sei qui, Leo? Ti credevo alla cena di April” gli domandò dopo qualche minuto di silenzio, accortosi dello strano nervosismo dell'altro.
Si era anche reso conto che qualunque cosa avesse Leo, era di certo una cosa seria e che avrebbe richiesto tempo, a giudicare dal modo in cui la vena pulsava sulla fronte del leader, come se il suo cervello stesse fumando per la troppa concentrazione.
Con un sospiro rassegnato si sedette sul cornicione e suo fratello prese posto al suo fianco, assorto, come se stesse cercando le parole giuste.

Volevo... parlare, di quello che è successo l'altro giorno” mormorò dopo qualche secondo di silenzio, in cui il suo sguardo non si era mai staccato dalla casa, scrutando dentro le finestre scure e rotte con così tanta intensità che probabilmente avrebbe appiccato lui un incendio, se avesse continuato a guardarla.
La scorsa settimana” precisò, pignolo, giusto per rigirare un po' il coltello nella piaga. Era giusto ogni tanto far sentire il leader in difetto, quando sbagliava.
La scorsa settimana” concesse Leo, con un altro sospiro. “Non ne abbiamo più parlato. Ma entrambi sappiamo che qualcosa non va.”

Raph si voltò a guardarlo, incredulo. Gli sfuggì una breve risata cinica, preso dalla sorpresa.
Qualcosa non va, Leo? Qualcosa non va? Hai provato a tagliarmi la testa in due! E hai detto che è colpa mia e che mi odi. Noi non siamo mai andati molto d'accordo, ma non mi hai mai detestato. E io davvero non riesco a spiegarmi perché tu mi odi. È un po' più di qualcosa non va!

Leonardo abbassò il capo, in preda al rimorso, tormentandosi le mani una con l'altra. Si vergognava di ciò che aveva fatto, della rabbia che gli aveva fatto vedere il fratello come un nemico, ma non sapeva proprio come scusarsene, come potersi spiegare.
Mi dispiace, Raph. Come leader e come fratello non ho scuse per ciò che ho fatto e per come mi sono comportato. Per quello che ho detto. Come uomo... so solo che nel profondo, in una parte della mia anima che non riesco a capire, tu sei un rivale. E quella parte preme ogni maledetto giorno per uscire fuori e prenderti a pugni.”

Raph era stupito dal tono soffocato di livore che aveva percepito nella sua voce. C'era astio in ogni parola, in ogni gesto inconscio, in ogni pausa e respiro. Leo lo odiava sul serio.
L'altro non sollevò la testa o lo sguardo, sembrava mortificato per quello che aveva detto, per quello che provava.

Un tuo rivale? Perché? Per cosa? Tu ti sei preso sempre tutto! Sei sempre stato il fratello maggiore, il leader, il più amato, il migliore, quello mandato ad allenarsi dall'Antico o in Amazzonia. Tu sei sempre stato il mio rivale, non il contrario!” sbottò Raphael, che stava perdendo la pazienza.
Tutto quello era stupido. Per cosa poteva mai odiarlo o invidiarlo, Leo?

Quello piegò il capo di lato, pensieroso, forse persino più confuso di lui.
Non lo so. Non chiedermi di spiegartelo, perché non so davvero farlo. Ma so che tu hai qualcosa che io voglio e che non posso avere perché non sono te. Qualcosa di importante e totale, per la quale sarei disposto a rinunciare a tutto.”
Cosa? Cosa vuoi da me?”
Non lo so. Non riesco a ricordarlo e questo mi rende solo più rabbioso e depresso.”

Rimasero in silenzio. Leo era finalmente grato di essersi tolto quel peso dal cuore, di essersi in un certo senso scusato, mentre Raph continuava a pensare con tutte le sue forze di cosa diamine stesse parlando suo fratello. Qualcosa che lui aveva? Qualcosa di importante, che Leo voleva con tutto sé stesso? Era assurdo e inconcepibile. Lui non aveva niente. Non aveva mai avuto niente.
Raffaello.”
La voce della ragazza esplose improvvisa nella sua mente, scatenandogli i brividi. Tremò leggermente, sperando che Leo non se ne accorgesse. In effetti lui aveva qualcosa che Leo non aveva, solo che non esisteva per davvero.

Ci sono così tante cose che nessuno di noi riesce a spiegare ultimamente... eppure, paradossalmente, nella nostra confusione riusciamo a capirci benissimo. Mi dispiace per come ti senti, Leo, e ti capisco. Per anni ho desiderato di essere te e so cosa si prova.”
Vuol dire che adesso non lo desideri più?” domandò innocentemente Leo, facendogli prendere coscienza del suo pensiero appena espresso.
Raph spalancò gli occhi, sorpreso. Quando aveva smesso di desiderare di essere come Leo? Di essere il leader, la guida, quello forte e affidabile dal quale tutti dipendevano? Quando aveva infine accettato di essere Raphael, solo Raphael? Quando era successo, come, a causa di cosa?
O di chi?

Già. Mi sta bene essere solo me stesso, adesso. E se scoprirai cosa vuoi da me, chiedimelo. Se posso dartelo, lo farò. Adesso però andiamo a fare un giro, ok? Tutti questi discorsi non fanno proprio per me, mi sento... legato.”
Imbarazzato sarebbe stato il termine più esatto, ma non avrebbe mai pronunciato quella parola.

Si alzò, stiracchiando le ossa indolenzite dalla postura rigida, dando un cenno di testa al fratello perché lo seguisse. Si calò dal tetto, scendendo prima sulla grondaia e poi lasciandosi cadere a volo d'angelo, atterrando nel vicolo in penombra, sporco e solitario. Leo arrivò al suo fianco, mentre era già intento a studiare con minuziosità la superficie del palazzo.

Cosa ci facciamo qua, esattamente?” domandò suo fratello, scrutando il rudere con occhio clinico.
Seguo una pista. Sto cercando qualcosa” replicò mezzo assorto, tutta la sua concentrazione sulla casa, su quello che sentiva al solo starci di fronte.
Era come un forte senso di nostalgia.
Allungò una mano, con una lentezza esasperante, verso la maniglia arrugginita attaccata a ciò che restava della porta, semi mangiata dal fuoco. Tremò appena quando la raggiunse, poi la afferrò, deciso.

*
Non è un gioco, Raphael. È la mia guerra e la combatto a modo mio.”
Vuoi scappare per sempre? Vuoi davvero continuare a fuggire fino che non verrai catturata o morirai?””

*

Lascia che ti aiuti. Lascia che ti insegni a combattere per il tuo diritto di vivere” urlò, tirando la porta con tutta la sua forza. Sapeva che non avrebbe ottenuto niente, che probabilmente si sarebbe solo staccata e gli avrebbe sbattuto in faccia, ma, dannazione, voleva spaccare qualcosa.
Insegnarmi a combattere?” ripeté lei incredula, come se mai prima di allora avesse pensato a quella eventualità.
Sì, insegnarti a difenderti. Forse la tua magia non può ferirlo, ma se imparassi a combattere potresti finalmente avere vendetta. O pace” mormorò lui, accorato.
Vorrei, ma non posso! Se adesso ti facessi entrare, nella villa e nella mia vita, so che me ne pentirei. Tu ti ritroveresti ingarbugliato nei miei problemi e io finirei per affezionarmi a te. Non posso permettere nessuna delle due opzioni!”

*
Va' via, Raphael. Fai finta di non avermi mai incontrata.”
Non ci riesco! Mi fai... non lo so, arrabbiare, spazientire, persino preoccupare! E non è che possa far finta di non averti mai incontrata: ho la bruciatura di quando mi hai riportato in vita. Una cosa piuttosto difficile da ignorare!”

*
Mi stai minacciando?”
Vai via, Raphael. Non scherzo. Le nostre strade non devono mai più incrociarsi, torna alla tua vita. Lasciami in pace, dannazione!”
Di quale pace stai parlando? Non fai altro che fuggire e nasconderti come una vigliacca, temendo la tua stessa ombra! Di quale dannatissima pace parli?” gridò, sovrastato dalla rabbia e un sentimento che riuscì a definire come angoscia.
D'un tratto si ritrovò a stringere una mano invece della maniglia, mentre il palazzo spariva lasciando posto al villino dall'aria magica, immerso nella notte, ma senza una nuvola, né una goccia di pioggia. Riuscì a vedere le stelle, lì, a New York, e brillavano con un'intensità da far male agli occhi, quasi ritmicamente.
Lei stava di fronte a lui, gli occhi rossi che trattenevano un pianto solitario e silenzioso e i capelli bagnati che lasciavano cadere gocce sul viso, quasi come lacrime.
Stringeva ancora la sua mano.

Tra poco capirai cos'è la vera pace” sussurrò, avvicinandosi sempre più.

*
Sai, posso andare via in questo momento... ma sembra che siamo destinati ad imbatterci uno nell'altra, senza preavviso, senza che in effetti lo vogliamo” la informò, urlando al di sopra dello scrosciare sempre più forte della pioggia.
Mi ricorda un film che ho visto una volta. Mi pare che si chiami serendipità: trovare qualcosa di inusuale sulla propria strada mentre se ne sta cercando un'altra” rispose lei ridacchiando tenuemente.
Allora non è meglio farla finita e collaborare? O vuoi aspettare che ci reincontriamo in circostanze assurde? Che ti salvi nuovamente?”
Perché no? Se ci incontriamo ancora una volta, allora lascerò che tu mi aiuti. Ma non barare: senza cercarmi! Se veramente ci imbatteremo l'uno nell'altra, Raphael... io smetterò di scappare da te. Promesso!”

*
Non è divertente! Fammi rientrare! Non puoi volerlo davvero!” gridò rabbioso, battendo sopra la porta, facendo cadere polvere e frammenti di legno.
Nessuna risposta e nessun rumore provenivano dall'interno, come se la magia fosse rotta e quello fosse per davvero un lurido palazzo vuoto e cadente.
Strinse le mani a pugno, colpendo con forza la porta, scardinandola completamente. Quella cadde con un tonfo sordo, che si propagò per il viottolo, amplificato.

Diamine, smettila di fuggire! Non c'è nulla di male nel voler bene alle persone! Non hai bisogno di punirti per niente del genere! Lo so che mi senti! Smettila di scappare!”1

Quelle immagini e voci ed emozioni erano esplose tutte insieme e contemporaneamente nella sua mente e nel suo cuore, sconvolgendolo. E forse aveva gridato, non lo seppe mai davvero. La ragazza era indubbiamente lei, anche se allora lo chiamava Raphael, se il suo aspetto era denutrito e spaventato, e fuggiva da lui per proteggerlo.

La bruciatura stava letteralmente andando a fuoco mentre i suoi sensi si affievolivano. La mano perse la presa e il corpo cadde al rallentatore, all'indietro: prima di svenire e cancellare tutto ancora, un nome si affacciò alla sua mente, rimbalzando dentro di sé, con una strana eco che si affievoliva.
Isabel.
Lei era Isabel, la donna che aveva amato. Che amava ancora. Che non doveva amare.

Leo lo afferrò un attimo prima che cadesse al suolo, spaventato, completamente ignaro di ciò che era successo.



1: tutti i frammenti di ricordi sono presi dai primi capitoli di September in the rain, tranne l'ultimo che viene dal capitolo 12, quando Isabel allontanava Raph.


Note:
Buona sera!
Scusate il ritardo nell'aggiornare, ho avuto l'influenza! Stare al computer era davvero impossibile, e mentre mi contorcevo per la febbre pensavo che dovevo aggiornare, senza pace, stancandomi solo di più!
Mi siete mancati!

Non ho molto da dire sul capitolo! L'assenza di Isabel si fa sentire, anche se nessuno sa cosa davvero stia succedendo, tranne forse quel testone di Raph, che arriva alla verità a modo suo.
Aww, si è innamorato della ragazza del sogno. Ma quanto è idiota? Ah, piace anche per quello!

Abbraccio e benvenuto ai nuovi lettori, grazie ai nuovi preferiti e i seguiti!
A presto
p.s: questa volta il disegno viene da Cat, che ha aderito alla mia richiesta e mi ha mandato un bel disegno! Grazie tesoro, sono commossa, lo terrò caro, c'è così tanto affetto da farmi sorridere per giorni!
Vi adoro tutti, grazie di cuore!


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Capitolo 27
*** Our missing part ***


Aiuto! Sensei, Donnie, Mikey!” urlò Leo, con tutte le sue forze.
Si trascinava a fatica il corpo svenuto di Raph, completamente a peso morto. Con un braccio sotto il suo, aveva percorso chilometri di fogne, per portarlo a casa, in cerca di aiuto.

Aiuto! Non c'è nessuno?” continuò a chiamare, ormai senza fiato.
Si ricordò che erano andati tutti a casa di April e Casey per cena, e un po' andò nel panico. Raph respirava un po' più rapidamente del normale, ma non sembrava avere niente di grave, almeno per quello che lui ne poteva capire. Ma di certo il modo e il perché fosse svenuto gli erano estranei, non riusciva a capirli, e in un certo senso gli dava l'ansia, senza sapere il motivo.

La porta dell'officina si spalancò d'improvviso e Don ne uscì fuori in un fascio di luce, nemmeno fosse una visione.
Li occhieggiò con spavento e urgenza, sollevando la mascherina protettiva, in una mano la cannula della saldatrice. Gettò a terra tutto, in fretta, e si lanciò loro incontro senza esitazione

Cos'è successo?” domandò, passando il braccio sotto l'altra spalla di Raph, aiutando Leo a trasportarlo.
Non lo so. Ha toccato la maniglia di un palazzo e ha iniziato a urlare, fino a che non è svenuto, come in preda alle convulsioni” spiegò Leo con fatica, mentre i due sollevavano il corpo di Raph su per la scaletta antincendio, verso il primo piano.
Il laboratorio sarebbe stata la scelta più logica e vicina in cui portare Raph, ma Don lo escluse a priori, perché non c'era più così tanto spazio, anche lì i pezzi della sua invenzione si erano accumulati fino al soffitto.
Il genio spalancò leggermente gli occhi a sentire la frettolosa e incompleta spiegazione di Leo.

Una volta adagiato nel suo letto, prese a controllare il fratello, dal battito cardiaco alla respirazione, assorto.
Come mai sei a casa?” domandò Leo, nel frattempo, impalato di fianco al letto senza sapere che fare.

Sono andato via prima. Avevo del lavoro da fare” fu la risposta vaga e indifferente, come se non fosse importante.
Leo sapeva perfettamente qual era il lavoro da fare di Don, e iniziò a chiedersi se quel progetto non stesse facendo uscire di testa suo fratello; non era strano che si chiedessero che diamine fosse quella piattaforma che cresceva via via di dimensione nell'officina, sulla quale il loro fratello sputava sangue e sudore senza riposo. Non era strano ed era accaduto spesso, ma nessuno di loro era comunque riuscito a darsi una spiegazione.

Hai parlato di una maniglia e di un palazzo. Dov'era? Raccontami per bene cos'è successo” ordinò Don, sollevando le palpebre di Raph per controllare le pupille. Riuscì a vedere solo la sclera1 , gli occhi erano completamente rovesciati.
Eravamo a Noho e Raph era strano. Continuava a guardare con ossessione un palazzo mezzo bruciato e ha afferrato la maniglia, come se si aspettasse che accadesse qualcosa: ma ha iniziato a urlare e tremare, con le convulsioni. Poi è svenuto, il corpo si è contorto ancora qualche istante e infine è rimasto immobile” raccontò Leonardo ansioso, ancora un po' scioccato.

Don stava muovendo le braccia di Raph, spalla, gomito, polso, per controllare le articolazioni.
Un palazzo bruciato?” chiese assorto, piegando cautamente il braccio senza forza verso l'interno.
Sì. Una palazzina di tre piani. Le pareti erano annerite, c'erano segni di fuoco e fiamme anche nei contorni delle finestre spaccate e la porta era consumata per metà. Non so davvero cosa stesse cercando o sperasse di trovare, ma sembrava essere importante.”

Lo sguardo di Don si illuminò per un secondo, o perlomeno a Leo parve così. Forse era solo il modo in cui si era voltato per continuare a visitare Raph.
Sta bene. Nessun danno celebrale o a qualche organo. È solo svenuto” disse alla fine, sollevato.
Ma perché? Per quale motivo è svenuto?”
Non lo so. Ma non è in pericolo, perciò ce lo dirà quando si sveglierà. Lasciamolo riposare per adesso; tu rimani pure se vuoi, io ho da fare” disse Don, avvicinandosi verso l'uscita.

Leo lanciò un'occhiata verso Raph, poi con un sospiro si incamminò dietro Donnie, ancora con una lieve punta di apprensione.
Uscirono dalla stanza, facendo meno rumore possibile.




Lei era bella e i suoi occhi brillavano mentre lo guardava, i capelli sparsi sul cuscino che incorniciavano il viso accaldato. Affondò ancora una volta nel suo corpo, trattenendo un gemito mentre lei chiudeva gli occhi e inarcava la schiena, mordendosi un labbro per non urlare. Sentì le sue mani passare sulle spalle e le unghie graffiargli la pelle, percorrendo tutta la schiena e tremò, sottilmente.
Era straordinario come si completassero a vicenda, in quell'atto perfetto, riempivano l'uno i vuoti dell'altra e viceversa. Il mondo era composto solo da loro due, pelle avorio e verde scuro a contatto e fuse, in contrasto e sintonia come lo yin e lo yang, in un vortice infinito di completezza e piacere e benessere.

All'inizio era stato strano, pieno di imbarazzo e paura. Un conto era sapere come tecnicamente fare sesso, l'atto crudo e fisico, -senza vergognarsi ad ammetterlo, aveva visto un paio di porno nella sua vita e possedeva dei volumetti piuttosto spinti,- un altro era stato compiere il balzo, prendere il coraggio e farlo sul serio, unire il suo corpo ad un altro; il terrore dello sguardo di lei, del suo giudizio inconscio depositato nel fondo dei suoi occhi, lo avevano tenuto con fiato sospeso per tutti gli interminabili attimi mentre i vestiti sparivano tra le loro mani impacciate e titubanti, eppure bramose, eppure timorose.

Ma negli occhi scuri di lei, mentre lo guardava nella sua indifesa nudità, col batticuore e un nodo in gola, non c'era stato altro che amore, nient'altro che caldo, rassicurante, tenero e avvolgente amore, perché lei per davvero lo accettava per quello che era.
E tutto era stato semplice, tutto era stato giusto. Le differenze tra loro, la paura di sbagliare, la paura di non essere all'altezza, il dubbio che fosse sbagliato, il dubbio che non fosse nemmeno possibile, tutto si era dissolto nel bacio successivo e nelle loro mani che si cercavano, nei loro corpi che si toccavano.
E avevano scoperto entrambi che era perfetto, che era naturale. Persino quando lei aveva gridato per il dolore iniziale e lui si era ritratto, spaventato, rassicurato poi dal suo sorriso fiducioso e le sue braccia che lo richiamarono a sé.

Si poggiò sui gomiti e avvicinò il viso al suo, baciandola con passione. Lei rispose con ardore ed entrambi quasi soffocarono, desiderosi che quel contatto non finisse; poi lei si staccò ridacchiando, riprendendo fiato e mordendogli un labbro, dandogli se possibile solo più eccitazione. Le sue mani piccole scesero come una carezza dalle spalle, sfiorando la sua pelle fino a raggiungere le sue mani e le afferrarono, stringendo con forza e impeto.
Gli piaceva quando sotto gli occhi gli capitava di vedere la differenza cromatica tra loro, quando vedeva il verde scuro spiccare sull'avorio o viceversa: era come fondersi, era come un marchio tangibile che rimaneva impresso nella retina, insieme a quegli occhi torbidi, alle sue espressioni maliziose, che però lei nascondeva per l'imbarazzo.

Iniziò a spingere più forte, con un ritmo sempre più veloce, ogni spinta un gemito e un tremore, estasi e il desiderio che sembrava al limite; ma lei continuava a mordersi il labbro, tormentandolo con i denti per non lasciarsi sfuggire nemmeno un suono, come se avesse paura di far troppo rumore.
Lasciati andare” le disse avvicinandosi all'orecchio, tra un ansito e l'altro, mordicchiandolo piano tra i denti.
Lei spalancò gli occhi, arrossendo con un sorriso di imbarazzo, e quando incontrò i suoi, ridacchiò col viso arrossato, con uno scintillio malizioso.

Le grida e i gemiti e gli ansimi si mischiarono, finché entrambi non raggiunsero il culmine, stringendosi così forte e tremando allo stesso tempo, colmati da un piacere totale, mai provato prima, la pelle che bruciava, i cuori che palpitavano senza freno, i respiri accelerati che riempivano il silenzio, come due melodie che si armonizzavano in musica.
L'impulso fu di accasciarsi contro il suo corpo, sentendosi ormai svuotato di ogni forza o pensiero razionale, ma non voleva, perché sapeva di essere pesante. E soprattutto perché, passato il momento di piacere dell'orgasmo, era ritornato in sé e quello che era appena successo gli era finalmente piombato addosso, con tutti i suoi significati e implicazioni.
Sembrava tutto diverso, da quella parte della barricata. Sembrava tutto diverso, dopo.

Aveva fatto l'amore, per la prima volta in vita sua. Con la donna che amava più di ogni altra cosa al mondo. Ma che era un'umana. E probabilmente anche lei stava pensando a ciò che aveva appena fatto, magari ripensandoci. Come doveva comportarsi? Cosa doveva fare? Aveva il terrore anche solo di guardarla.

Due mani afferrarono il suo viso, sollevandolo dal riparo in cui si era rifugiato, nell'incavo del suo collo. Lei lo baciò, con dolcezza e amore, piccoli baci teneri e morbidi, così diversi dai baci passionali e famelici di poco prima, poi lo trascinò verso il basso, contro il suo corpo che ancora bruciava e tremava, stringendolo a sé. Sentì il cuore di lei, che ancora batteva impazzito, rimbombare nel suo corpo e unirsi al suo, che batteva allo stesso ritmo.
Infilò le mani sotto al suo corpo, toccando con le dita la cicatrice che le solcava la schiena, attirandola contro di sé con tutta la sua forza e nascondendo il viso tra i suoi capelli, sollevato, rincuorato. Amato.
Come diamine riusciva, lei, a stravolgere tutto il suo mondo, con semplici gesti, con quella dolcezza profonda che non sapeva se meritasse davvero?

Voglio tenerti con me per sempre, Isabel” sospirò, baciandole l'incavo del collo vicino alla cicatrice.
Lei fece per aprire bocca, per rispondergli, ma lanciò un gridolino sorpreso quando i suoi baci si trasformarono in un piccolo morso a risucchio, preludio di un succhiotto.

Ti proteggerò da qualsiasi cosa. Non lascerò che nessuno ti faccia del male, mai più” continuò lui dopo qualche secondo, ammirando il segno violaceo che aveva lasciato sulla sua pelle diafana, come un gesto di possesso, come un marchio che suggellava quella notte d'amore.
Lei sospirò e, se possibile, il suo cuore iniziò a battere perfino più forte.

Sarò sempre con te, Raffaello” pronunciò enigmatica, accoccolandosi contro il suo petto e passando le dita sulla bruciatura che lei stessa aveva lasciato, chiudendo gli occhi.



Aprì gli occhi, lentamente. Mise a fuoco il soffitto con difficoltà, cercando di capire. Vorticava un po' e gli dava la nausea e quel che era peggio, era che non sapeva perché stesse guardando il soffitto della sua camera, riconosciuto all'istante per via della familiare crepa che correva dalla terza mattonella in alto fino alla quinta da sinistra.
Ormai la conosceva perfettamente.

Ben svegliato” mormorò una voce nota, catturando la sua attenzione.
Piegò la testa fino ad incontrare lo sguardo di Mikey, seduto vicino al suo letto, su una sedia. Il fratello gli sorrideva, un po' impacciato, come se fosse teso.
Si chiese da quanto tempo fosse lì seduto in quella posizione scomoda, a guardare lui che dormiva. E perché poi Mikey lo guardava dormire, era forse diventato uno stalker?

Cosa fai...”
Sei svenuto. E Don e Leo mi hanno chiesto di controllarti, per sapere quando ti fossi ripreso. Ma sono qui solo da una mezz'ora” rispose prontamente Mikey, che aveva intuito i pensieri del fratello solo dallo sguardo parzialmente sospetto che gli aveva lanciato.

Raph si alzò, tenendosi la testa con la mano, che gli faceva male da morire. Cielo, sembrava che si stesse spaccando.
Sono svenuto?” ripeté, come a voler confermare di aver capito bene.
Non ricordi nulla?”
Sforzò la mente, cercando di ricordare qualcosa delle ultime ore, ma era il vuoto assoluto. Dove era stato? Cosa aveva fatto? Con chi aveva parlato? C'era un buco enorme nella sua memoria, non riusciva nemmeno a ricordare cosa aveva fatto quella sera. O forse era passato del tempo e non era già più quella sera? Che diamine di giorno era? E che ora? Quanto diamine era rimasto svenuto? E perché gli sembrava che qualunque cosa avesse sognato fosse estremamente importante, pur non ricordandone nemmeno un frammento?

Sbuffò, frustrato, e portando le mani al viso le schiacciò contro gli occhi con forza, nonostante facesse male, cercando di recuperare la memoria, come se volesse affondare dentro la sua testa per cercare cosa mancasse dai suoi ricordi, con le sue stesse mani.
Un miliardo di luci esplosero dietro le palpebre, costellazioni intere e galassie e vortici di bagliori, mentre i bulbi oculari pulsavano per lo sforzo con cui premeva.

Ehy, ehy! Cosa stai facendo?” lo sgridò Mikey, prendendolo per i polsi e allontanando le mani dal viso.
Cerco risposte. So che sono da qualche parte dentro di me! Sono disposto anche a trapassarmi con i Sai per trovarle, perché sono così stanco e arrabbiato e al limite della pazzia che tu non puoi nemmeno immaginarlo!” urlò alzandosi in piedi, facendo perdere la presa al fratello, che cadde malamente al suolo, dopo un buffo tentativo di recuperare l'equilibrio.
Sono stanco, Mikey” confessò, passandosi le mani sulla faccia, più gentilmente questa volta, come se stesse cercando solo di schermarsi da lui per non fargli vedere la sua debolezza.

Un debole miagolio arrivò dal pavimento e Raph si interruppe, sorpreso. Da quando Mikey miagolava?
Attraverso lo spiraglio tra le dita, vide il gattone arancione poggiato sullo stomaco del fratello, che lo guardava saettando la coda ciuffosa su e giù.

Da quando è qua, Klunk?” chiese, giusto per essere certo di non starselo immaginando.
Mikey ridacchiò e passò una man dietro un orecchio del felino.

Da quando sono arrivato. Mi ha seguito fin qui e si è acciambellato ai tuoi piedi, fino a quando non ti sei svegliato. Anche Klunk era preoccupato per te.”

Come se volesse confermare l'esclamazione di Mikey, il gattone scese dal suo stomaco e camminò fino alla gamba di Raph, e con una sferzata decisa gli graffiò il polpaccio, bucherellando la tuta coi suoi artigli affilati.
Ahia! Ehy, mi ha graffiato!” sbottò quello, ritraendosi indignato, forse più per non reagire che davvero per il dolore.
Il micio, completamente indifferente, fece ondeggiare la codona con arroganza, poi si incamminò elegantemente verso la porta. Davanti all'uscio si voltò e li guardò, con sguardo penetrante.

Mikey si alzò da terra e andò ad aprirgli la porta per farlo uscire, perché era palesemente quello che voleva. O forse no.
Klunk voltò il capino in alto e guardò Michelangelo. Miagolò. Poi si girò verso Raph e diede un altro miagolio, e sembrava stupido pensarlo, ma entrambi pensarono che pareva quasi che il micio li stesse squadrando con sufficienza.
Come se si stesse lagnando della loro stupidità.

Con quattro balzi ben calcolati si riavvicinò a Raph e gli artigliò l'altra gamba, senza fare una piega.
Cosa diavolo vuole? È impazzito anche lui?” sbraitò arrabbiato Raphael, rannicchiando le gambe sul letto e mandando un'occhiataccia a Klunk, il graffiatore pazzo.
Vuole che tu lo segua” sussurrò Mikey spalancando gli occhioni, come se un'illuminazione divina lo avesse preso.
Vuole che lo segua?” ripeté, stupidamente e stupito, mentre il fratello annuiva solenne.
Oh, il gatto guida decisamente gli mancava. Se c'era anche un solo dubbio che fosse impazzito, quello era per certo il colpo di grazia, il dettaglio finale che confermava le sue paure.

Ma sì, tanto ormai... portami anche nel paese delle meraviglie, se ti va, micio! Non mi frega più di nulla!” esclamò balzando giù dal letto, seguendo il felino fuori dalla sua camera.

Klunk faceva da apripista, col codino in aria come un pennacchio, a mo' di segnale, Raph lo seguiva con evidente disinteresse, mentre Mikey chiudeva la fila, titubante e pieno di domande.
Percorsero l'anello che fungeva da corridoio per le stanze del primo piano, poi il gatto si fermò di colpo davanti ad una porta, quella tra la stanza di Mikey e quella di Leo. Klunk poggiò morbidamente una zampa sul legno, poi li guardò.
Nuovo miagolio. E poi delle fusa ronzanti.

Quindi? Ci hai portato davanti ad una stanza vuota? Bel colpo, micio, davvero!” sbottò Raph, che si era aspettato chissà cosa.
Magari dentro c'è qualcosa che vuole mostrarci” disse il fratello, inchinandosi per coccolare la testa del suo gatto.
Magari ci troviamo il tuo cervello, Mikey.”
Magari c'è il tuo senso dell'umorismo, Raph.”
Il tuo gatto è scaltro come te, Mikey, non c'è da dubitarne! Perché diamine...” si interruppe a metà frase e la mano corse istintivamente verso la maniglia.
Con la coda dell'occhio riuscì a vedere lo sguardo stupido e curioso di Mikey, che lo guardava senza spiegarsi cosa stesse facendo.

Non senti odore di... lavanda?” domandò, con l'impulso di abbassare la maniglia ed entrare. Eppure sapeva che non c'era assolutamente nulla al di là della porta. Ne era certo.

Ehy, cosa state combinando?” chiese la voce di Don, dal di sotto.
Trasalirono entrambi come se fossero stati scoperti a fare qualcosa che non avrebbero dovuto, e allontanandosi dalla porta si portarono velocemente al bordo del pianerottolo, guardando verso il basso.
C'erano Leo e Don che li guardavano col capo verso l'alto, vicini al laghetto.

Abbiamo seguito Klunk fino alla stanza vuota” rispose Raph, con un'alzata di spalle.
E cosa ci vorrebbe fare Klunk in quella camera?” domandò scettico Leo, guardando alternativamente lui e Mikey, cercando di capire se non fosse tutto uno scherzo.
Magari vuole che diventi la sua stanza! Perché no?” si intromise Mikey, provando ad insistere al vedere l'alzata di sopracciglia incredula dei suoi fratelli.

Come ti senti, Raph?” chiese Leo, deciso ad ignorare quell'argomento, per quello che gli premeva di più. Quando avevano sentito la sua voce, lui e Don si erano precipitati fuori dall'officina per controllare.
Bene... grazie” tentennò il fratello, sul chi vive. Perché Leo era così affabile nei suoi confronti.
Ma cosa mi è successo?” non riuscì proprio a non chiedere.
Leo e Don si scambiarono una veloce occhiata, sorpresa.

Non te lo ricordi?” si informò il leader, piuttosto cautamente.
No” negò Raph, constatando l'ovvio.

Qual è l'ultima cosa che ricordi?” intervenne allora Don, che fino a quel momento era stato zitto, con una chiave inglese nella mano, come se nella fretta di uscire per controllare, si fosse dimenticato di poggiarla.
Raph si passò una mano sul collo, sforzando la mente a ricordare.

Mi ricordo di essere uscito questa mattina dopo colazione, stavo cercando qualcosa... ma non ricordo cosa. Poi è tutto piuttosto confuso” disse, smozzicando le parole, mentre vaghi e caotici ricordi si susseguivano, sfocati come attraverso una nebbia.
Non ricordi nemmeno che abbiamo parlato?” sentì dire a Leo, con una voce che sembrava accusarlo di grave tradimento.
Spalancò gli occhi, stupito. Lui e Leo avevano parlato e lui non lo ricordava? Che aveva fatto? Leo lo aveva picchiato fino a fargli perdere i sensi?

No, ricorderei una cosa del genere. Cosa ci siamo detti?” ribatté prontamente, e se ne fregò altamente delle occhiate avide di Mikey e Don, che non aspettavano altro di sapere cosa fosse successo.

Leo si grattò il collo con imbarazzo. Non desiderava affatto ripetere quello che si erano detti su quel tetto.
Abbiamo chiarito per quella notte... in cui ti ho aggredito. Poi siamo scesi per contr...”
Fu impercettibile. Un sussulto lieve del braccio di Don, che lo sfiorò appena, ma Leo sapeva che non era un gesto senza senso. Incrociò per un millesimo di secondo il suo sguardo e lesse il muto consiglio nel fondo.
Don gli stava ordinando di non dire nulla del palazzo, della maniglia e dello svenimento senza spiegazione.

...fare un giro di ronda, ma sei scivolato giù da un tetto e hai battuto la testa” finì di dire Leo, con solo una lieve titubanza. Non sapeva nemmeno perché avesse cambiato la sua versione nel bel mezzo della frase, per seguire quel consiglio di Don che forse si era solo immaginato.

Raph sembrò credere alle sue parole, lo vide che si passava una mano sulla testa, e un po' si sentì in colpa.
Non fare troppi sforzi per adesso, ok? Meglio se riposi ancora un po'” attestò il genio con premura, anche se piuttosto velocemente.
Don fece per tornare all'officina e Leo gli trotterellò dietro, cercando di raggiungerlo.

Perché mi hai fatto mentire? Perché non volevi che Raph sapesse della maniglia e del palazzo che stava ispezionando?” domandò sottovoce, con un mormorio cospiratorio per non farsi udire, mentre Raph e Mikey lasciavano indietro un indignato Klunk e si dirigevano verso le camere.
Perché non lo ricorderebbe comunque, anche se tu glielo dicessi” rispose con più foga del dovuto il genio, sul chi vive. Respirò a fondo e cercò di calmarsi, con un gesto che voleva essere una manifestazione inconscia di una frustrazione interiore che cercava di scacciare via.

Otterresti solo di fargli venire una gran curiosità che lo spingerebbe a ritornare là e rifare ciò che ha fatto stasera e probabilmente a risvenire ancora. E probabilmente a dimenticare ancora” aggiunse, dando una buona motivazione del perché lo avesse fermato dal raccontare la verità.
È meglio che Raph non si avvicini più a quella casa, se possiamo evitarlo. Dobbiamo prima capire di più.”
Leo pensò che le sue parole non erano poi così sbagliate, erano sensate e logiche, come ci si sarebbe aspettato da Donnie. Allora perché aveva la vaga sensazione che ci fosse di più, che suo fratello non fosse poi così sincero?



La condizione di caos nella testa di Raph non accennò a diminuire, nei giorni a seguire. Era perennemente stordito e confuso; se provava a fermarsi e concentrarsi, tutto scivolava via, lasciandolo con un vuoto dentro che lo dilaniava.
Gli sembrava di aver perso qualcosa, un ricordo, un pezzo di sé, un'immagine.

Le notti erano infinite, costellate di incubi, spezzate da risvegli bruschi e una paura che non capiva. Per qualche strana ragione, sapeva che quegli incubi erano iniziati da quando era svenuto e che prima, le sue notti non erano affatto così. Gli sembrava di ricordare una voce, un calore avvolgente, ma se provava ad afferrarli e definirli, scomparivano nei suoi pensieri come una nube di fumo.
Le occhiaie sotto i suoi occhi crescevano di notte in notte e per fortuna la maschera le copriva al meglio che poteva, anche se non poteva coprire la stanchezza che di giorno in giorno accumulava, ormai al limite.
Una settimana di inferno. Sette giorni di confusione e domande, a rincorrere un'ombra, un fantasma.

C'era poi, e la cosa lo stava facendo uscire ancor di più di testa, lo sguardo di Leo che lo seguiva ovunque, qualunque cosa facesse, ogni istante che passava dentro al rifugio.
Non ricordava affatto di aver chiarito in alcun modo il loro diverbio, ma si fidava di ciò che Leo gli aveva detto; ma non si giustificava in nessun modo quello sguardo apprensivo che il fratello gli riservava, di soppiatto, come se temesse che da un momento all'altro potesse svenire ancora.
Forse il suo svenimento lo aveva colpito più del dovuto.

Ehy, come stai?” domandò la voce del leader al vederlo entrare in cucina. Lui e Mikey stavano già facendo colazione, una tazza di caffè per uno e cereali molli nel latte per l'altro.
Come di consueto, pensò Raph.

Bene” mentì con molta nonchalance, avvicinandosi al bricco del caffè, ovviamente sotto lo sguardo attento di Leo.
Aveva quasi la mezza intenzione di dare di matto all'improvviso solo per poterlo vedere sobbalzare dalla sorpresa.
Ma Don entrò di corsa nella stanza, frenando qualsiasi sconsiderata idea gli fosse balenata in mente. Il genio era così euforico e raggiante che sembrava una caricatura del vecchio Mikey, tanto da fargli considerare l'ipotesi che si fossero scambiati in qualche modo il carattere.

Raph, Mikey, Leo, seguitemi” ordinò esagitato, uscendo in fretta, con una frenesia insolita. I tre si guardarono perplessi, lievemente preoccupati.
Donnie era impazzito completamente?

Lo raggiunsero in fretta nell'officina, al cui interno troneggiava una costruzione a forma piramidale, alta quanto il soffitto, completamente bianca. Splinter era seduto ad uno dei suoi angoli, sul seggiolino posto per tale scopo, e Donnie si trovava al centro della stessa, con le braccia spalancate e un grosso sorriso entusiasta, come se stesse presentando loro il suo figlio prediletto.
Cosa sta succedendo?” chiese Leo, preoccupato, andando verso il maestro, che ricambiò il suo saluto con leggerezza, assolutamente tranquillo.
Sedetevi, ognuno in un angolo” disse Don, iniziando a trafficare su una plancia nel pilone al centro della piattaforma, assorto nel suo digitare e programmare.
Col cavolo! Non farò da cavia ad un tuo esperimento, pazzoide!” rispose Raph, ormai assolutamente certo che suo fratello fosse completamente impazzito. Mikey e Leo sembrarono dello stesso avviso, a giudicare dalle loro facce.
Doveva succedere prima o poi, quella sua ossessione nell'ultimo periodo era stato un sintomo più che evidente.

Oh, sì che salirete! Perché non ci ho lavorato mattina e sera per un mese, senza uscire, quasi senza dormire o mangiare, per sentirmi dire un no! Alzate i vostri culi e poi poggiateli sulle seggioline, adesso!”
I tre fratelli spalancarono le bocche e sgranarono gli occhi, sorpresi dal tono e le parole usate da Don, da sempre il più calmo di tutti, ma in quel momento il ritratto della rabbia.

Leo, vuoi sapere cosa hai perso? Mikey, vuoi sapere cosa ti manca? Raph, vuoi scoprire perché è tutto confuso, perché non hai dimenticato solo qualcosa, ma di aver persino dimenticato di aver dimenticato? Allora salite tutti sulla piattaforma! Adesso!” incalzò Don furioso, puntando col dito nervoso verso il suo macchinario, al limite della pazienza.

Raph annaspò, confuso. Aveva dimenticato di aver dimenticato?
Raffaello” esplose una voce dolce nella sua testa, dando l'ultimo colpo di grazia alla sua reticenza.
Non ricordava di aver dato al suo corpo l'impulso a muoversi, ma vide la piattaforma avvicinarsi sempre più.

Salirono tutti sul congegno, prendendo posto negli angoli, in silenzio.
Don passò da uno all'altro smanioso, facendo poggiare loro le mani sui braccioli ai loro lati, ben aperte; poi ritornò al centro della piattaforma e abbassò leggermente la zip del colletto, staccando qualcosa dal suo collo e poggiandolo nell'incavo quadrato lasciato in cima alla plancia.
Sospirò, facendosi coraggio e gli auguri, poi premette il pulsante bianco sotto l'incavo.

Il piccolo oggetto si illuminò di una tenue luce azzurrina, lieve e quasi fiabesca, che corse giù per la plancia e poi si divise in diramazioni sottili, dirigendosi ai quattro lati della piattaforma, come serpenti di luci: risalirono lungo gli altrettanti pilastri fino alla cima, poi ricaddero su di loro, investendoli completamente.
Una meravigliosa pioggia di luce, delicata.
Immagini, a migliaia, si riversarono nelle loro menti: differenti per ognuno di loro, ma con lo stesso soggetto. Lei sorrideva o parlava o era concentrata o con un'espressione dolce, sorpresa, attenta, complice, commossa, felice, in ogni momento che avevano vissuto con lei. Fino all'ultimo, sul tetto del palazzo, mentre arrabbiata separava Leo e Raph con la magia.

Sarebbe stato meglio non avervi mai incontrati, piuttosto che vedervi così!” ripeté nella loro mente, guardandoli con occhi feriti, prima di sparire alla vista.
Il flusso di energia finì e tutti e quattro riaprirono gli occhi, spaventati e sconvolti, guardandosi attorno, fino ad incontrare gli sguardi degli altri.

Isabel!” esclamarono tutti assieme.

Don li osservò, sorridendo, lasciandosi andare ad un sospiro di sollievo.
Grazie al cielo avete recuperato la memoria. Non so cosa avrei fatto se non avesse funzionato!” esclamò, portandosi le mani tremanti alla testa, lasciando andare le sue inquietudini.
Isabel vi ha cancellato la memoria. Anzi, sarebbe meglio dire che si è cancellata dalla vostra memoria. Ma qualcosa non ha funzionato, perché in un modo o nell'altro sentivate quella mancanza” spiegò alle loro espressioni ancora frastornate.
Pensavo di impazzire, al vedervi vagare come dannati senza memoria, così diversi, così incompleti e rabbiosi” esalò, lasciandosi cadere al suolo.

La consapevolezza di ciò che era successo li colse, in pieno; non solo la completezza dei loro ricordi e pensieri, dei loro sentimenti, ma anche qualcosa che nessuno di loro poteva sapere e capire.
Don era rimasto normale, per tutto quel tempo. Don aveva cercato un modo di portare anche loro alla normalità, senza concedersi riposo, consapevole di poter essere il solo a poter fare qualcosa.
Solo, nella sua conoscenza.

Perché non ha cancellato anche la tua memoria?” domandò Mikey, con un sussurro flebile.
Lo ha fatto. O almeno ci ha provato. Ma io l'ho preceduta” rivelò Don, sollevando il dito verso il piccolo oggetto che aveva poggiato sulla plancia: l'amuleto del padre di Isabel, che aveva il potere di neutralizzare ogni genere di magia, splendeva piccolo ed esotico coi suoi ghirigori ricercati, in contrasto con il bianco asettico della piattaforma.

Quando Isabel è scappata quella sera, ho pensato che avesse in mente qualcosa. Era così strana, era così ferita e arrabbiata. E mi sono ricordato della minaccia che ci fece l'anno scorso, come una rivelazione. Allora sono andato dal sensei e mi sono fatto dare l'amuleto; se mi fossi sbagliato l'avrei semplicemente restituito. Ma quando il giorno dopo Mikey mi ha detto che non sapeva dove foste e voi siete tornati insieme e tranquillamente, per essere due che la sera prima avevano cercato di ammazzarsi, ho capito che forse avevo indovinato. E quando Raph ha detto di non ricordare nulla della bruciatura ho capito che quello che temevo si era avverato: Isabel aveva fatto un incantesimo per cancellare i suoi ricordi, credendo di farci del bene.”
Tu... tu mi hai fatto il suo nome quella mattina” ricordò Mikey. “Ma io l'ho dimenticato immediatamente!”

Donnie annuì, rincuorato, un po' più sereno. Era così bello riavere indietro la sua famiglia così come doveva essere.
Non importava quante volte io la nominassi o vi spiegassi chi fosse, continuavate a dimenticarla l'istante dopo. L'unica cosa che sentivate era la sua mancanza, anche senza ricordarla.”
Perché?” domandò Leo, accorato.
Perché è inutile cancellarsi dalla mente, se il cuore ancora ricorda” si intromise Splinter, con uno scintillio profondo nello sguardo, che saettava sui suoi figli.
Si era solo immaginato che l'anziano padre guardasse lui e Raph con particolare intensità?

Perfetto! Adesso andrò a prenderla a calci! E le farò capire che non può fare quello che le pare e quando le pare con la mente degli altri, solo perché crede che sia giusto!” urlò Raph fuori di sé, alzandosi come una furia.
Era sconvolto. Ricordare ogni cosa di Isabel lo aveva di certo fatto sentire meglio, si era risentito completo e perfetto, ma in quel mese in cui non si ricordava di lei si era, se possibile, innamorato ancora di più. Ad ogni sogno, ad ogni rinnovata sensazione.
E in quel momento aveva ricordato che non avrebbe dovuto, che era sbagliato.

Leo si alzò per contrastare la sua rabbia, contro la donna della quale anche lui era innamorato. Aveva ricordato ogni cosa, aveva ricordato cosa gli mancasse, cosa bramava, cosa Raphael aveva che lui voleva.
E la sua furia nei confronti del fratello aveva finalmente acquistato un senso.

Non ti permetterò di toccare Isabel!”
Fatti da parte, traditore.”
Ragazzi” si intromise Don, urlando per sovrastare le loro grida. I due lo ignorarono e continuarono a riempirsi di ingiurie e minacce.
Ehy!” urlò più forte il genio, tanto che nel laboratorio rimbombò solo la sua voce, zittendo all'istante i due.
Si voltarono verso di lui, turbati.

Isabel non c'è più. Ha lasciato il suo appartamento la notte stessa in cui vi ha fatto l'incantesimo. Se n'è andata per sempre” rivelò stancamente Don, nel silenzio spesso.


1: la sclera è la parte bianca dell'occhio. Un termine più ricercato.



Note:
Buon giorno!

Scusate il ritardo. Ho avuto problemi col capitolo. Mi sono lambiccata il cervello se lasciare o no quella parte lassù, quella un po'... spinta. Sono una persona pudica, perciò ecco, non leggo e scrivo mai cose del genere. Lo giuro! È così facile cadere nel volgare, in descrizioni crude che spezzano l'atmosfera delicata, che me ne tengo alla larga. Però non volevo toglierla, era una fase del percorso di Raph, e non mi sono soffermata in descrizioni tecniche e senza poesia. Preferisco spiegare certe cose per sensazioni e dettagli delicati.
Spero quindi che risulti adatta. E voi non mi potete vedere ma io sono qui che aggiorno col volto paonazzo, imbarazzata come pochi. Se a qualcuno dà fastidio lo dica pure.

Piccolo dettaglio che ormai avrete capito: avete pensato tutti che Raph avesse recuperato la memoria, nello scorso capitolo. Ma in realtà c'era una frase che diceva il contrario:
prima di svenire e cancellare tutto ancora, un nome si affacciò alla sua...
Sì, c'era andato vicino e aveva ricordato, ma non solo non aveva serbato il ricordo di quella scoperta, aveva anche perso tutti i ricordi conquistati nei sogni notturni.

Se non foste stato per Donnie, quindi, tutto sarebbe punto a capo. Sia lode a Donnie il magnifico!
Adesso sì che hanno recuperato la memoria, ma Isabel è andata via.

Vi ringrazio per stare dietro a questo delirio, vi prometto che non durerà ancora a lungo. Grazie a chi legge, a chi recensisce, ai preferiti e seguiti!
Un grandissimo abbraccio alla zucca!



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Capitolo 28
*** Challenge ***


Non mi interessa! Per me può stare benissimo dove sta” sbottò Raph esasperato, per la centesima volta.

La sua famiglia lo stava decisamente assillando, con la ricerca di Isabel. E non era il meno peggio.
Il peggio era che anche tutti gli altri, riportati alla normalità da Don, avevano iniziato a fare le ricerche per trovarla, senza risparmiarsi. Casey, April, Angel, Steve, si erano sottoposti all'influsso della macchina per la memoria e ne erano venuti fuori scombussolati, ma di certo molto sollevati per aver finalmente ricordato.
C'erano stati dei discorsi, dei chiarimenti, delle prese di posizione.

Il clou era stato lo scappellotto indignato che April aveva allungato a Leo, in un silenzio attonito e generale.
Perché non mi hai detto che era Isabel?” lo aveva sgridato con sguardo fiammeggiante, con la mano in alto in una silenziosa minaccia per un altro schiaffo a seconda di cosa avrebbe risposto.
Il leader era arrossito, mentre si strofinava il collo leso e osservava teso gli occhi di tutti puntati su di lui, imbarazzato per essere così scoperto.
C'era qualcuno che ormai non lo sapesse?

Non... non sapevo come dirtelo. Temevo che ti saresti arrabbiata, che mi avresti dissuaso, che ti avrei delusa” aveva mormorato alla fine, con impaccio.

La mano di April si era sollevata un po' più in alto e Leo aveva strizzato appena le palpebre, aspettandosi un nuovo scappellotto.
Per chi mi hai presa? Non ti avrei mai giudicato o... adesso dobbiamo solo trovarla, ma prima o poi riprenderemo questo discorso” aveva risposto dolce, carezzando la guancia dell'amico, con quella stessa mano.
Ma non importava quanto provassero a cercare Isabel: era scomparsa senza lasciare traccia. Avevano preso in ipotesi l'idea che potesse essere tornata nel suo regno e che in quel caso non avrebbero potuto trovarla, mai più, ma si erano incaponiti nel lasciare quella possibilità per ultima, solo dopo aver cercato in ogni angolo, solo per quando non avessero più avuto altra scelta.

Leo era quello che ci metteva più impeto, ma anche Mikey non era da meno; perfino Don era smanioso di trovarla, probabilmente per sgridarla per ciò che aveva dovuto passare in quel mese in cui era stato l'unico a ricordarla, con molto stress.
Raph invece, come aveva detto, non aveva alcuna intenzione di trovarla. Adesso che lei era finalmente uscita dalla sua vita, come aveva chiesto fin da quando era tornata, perché avrebbe dovuto riportarla indietro?
Certo che moriva dalla voglia di sapere dove fosse e come stesse, tanto da impazzire, ma se il prezzo per le sue sofferenze era il saperla lontana e al sicuro e probabilmente in procinto di farsi una nuova vita, allora avrebbe sopportato qualsiasi cosa.

Ma se...” disse Mikey, provando a farlo ragionare. Erano ormai due settimane che avevano recuperato la memoria e si erano messi a cercarla. Erano due settimane che provavano a coinvolgerlo per farsi dare una mano.
Niente se. Non voglio cercarla. Fate come vi pare, non mettetemi in mezzo” lo interruppe Raph, salendo verso la sua camera.

Sbatté la porta con forza, chiudendola metaforicamente in faccia alle loro richieste, poi, in preda ad una frenesia che gli impediva di calmarsi, prese a lanciare con foga le cose attorno.
Perché non volevano lasciarlo in pace? Perché lei non lo lasciava in pace? Perfino quando non aveva memoria di lei era stato assillato dai loro ricordi assieme, da ogni dettaglio di lei che aveva amato.
Che amava ancora, dannazione.

Con un colpo rovesciò la cassettiera, i cassetti fuoriuscirono dalle guide e il contenuto si sparpagliò per terra, nella sua indifferenza. Occhieggiò il cumulo di abiti e cianfrusaglie, mescolati tra loro, uno scintillio sotto il paio di guanti rosso che Isabel gli aveva regalato tre natali prima.
Sospirò, stringendo il setto nasale tra le dita.
Perché non poteva cancellarla davvero dalla sua vita e dal suo cuore?



Un clangore, un respiro frettoloso e urgente, nella foga di parare gli attacchi. La lama della Naginata sfiorò il suo braccio e strinse appena i denti per resistere al dolore.
Siete completamente impazziti?” ruggì Raphael, schivando a destra per evitare il colpo di falcetto dritto contro il collo.
Lame, lame affilate che miravano ai suoi organi vitali, alla sua giugulare scoperta. Non vedeva altro. Con una capriola all'indietro riuscì a prendere un po' di distanza e con un veloce dietro front si mise a correre, con tutta la sua foga.
Il sibilo di una catena esplose vicino alla sua testa. Troppo vicina.
Trattenne il fiato con terrore. Stava per morire e non si sarebbe mai aspettato che sarebbe successo in quel modo o per loro mano.


Il fruscio del vento nelle orecchie, nessun attrito contro il corpo. Non che fosse strano, stava correndo attraverso l'aria, fusa. Il cuore batteva all'impazzata e la luce rossastra sul suo petto pulsava allo stesso ritmo, barbagliando nella notte come un allarme.
Solo un pensiero nella mente, solo una preghiera.
Fa' che stia bene. Ti prego, fa' che stia bene.
New York era una bruma indistinta, così statica da scivolare via nella sua velocità. Niente rimaneva impresso nella retina, niente era così importante da essere assorbito.
Luci, colori, suoni, odori. Tutto scorreva via, come acqua tra le dita, come pugni di sabbia tra le trame di una rete.

Tetto. Corsa. Salto nel vuoto. Corsa sfrenata. Terrazza. Corsa a rotta di collo. Tuffo oltre una cisterna d'acqua.
Corsa.
Corsa disperata, corsa frenetica, corsa delirante.
Ti prego, ti prego, ti prego.
Un ti prego ad ogni falcata, un ti prego ad ogni respiro che faceva male ai polmoni.

E poi, davanti ai suoi occhi si profilò ciò che cercava, le ombre stagliate contro le luci dei palazzi, che lottavano senza tregua.
Non le ci volle niente per riconoscere la figura di Raphael che si difendeva dagli attacchi di due avversari e anche da quella distanza riuscì a vedere lo scintillio delle lame affilate che calavano e affondavano contro la sua persona, evitate per un soffio, all'ultimo secondo, sempre più difficilmente.
Il cuore le balzò in gola, i battiti che ferivano le orecchie per l'agitazione, rischiando di farle perdere i sensi.

Una mano si sollevò e si tese, poi si chiuse repentinamente a pugno, afferrando l'aria spasmodicamente.
Un paio di gridi esplosero nella notte, quando le due figure si scontrarono contro lo scudo apparso intorno a Raphael, dal nulla.
Non poteva vedere il suo sguardo da laggiù, ma poteva facilmente immaginare che fosse sorpreso. Meravigliato. Forse anche un po' spaventato da quell'evento che non sapeva di certo spiegare.
L'indomani lo scudo sarebbe caduto e lui avrebbe scordato tutto ciò che era successo, sepolto nel fondo della memoria, insieme ad ogni altro ricordo di cui lei era parte.
Sorrise, tristemente, abbassando lentamente la mano lungo il fianco.
Era così che doveva essere. Era giusto.

La luce rossa della sua collana si era finalmente spenta ed era tornata ad essere un'innocua pietra violacea, poggiata sul suo seno con negligenza, al fianco alla scheggia verde scuro lunga qualche centimetro.
Due braccia apparvero dal nulla e la strinsero con così tanta forza che la pietra sembrò quasi infilzarsi nella sua carne, tanto che forse qualche osso scricchiolò. Il suo avversario la teneva stretta contro il suo torace, compressa come in una morsa.

La sorpresa e l'agitazione distolsero la concentrazione e non seppe con certezza se lo scudo fosse ancora in piedi o meno.
Dopo il primo attimo di paura iniziale, perciò, tornò prepotente il desiderio di proteggere Raphael: un bagliore accecante l'avvolse e sentì il suo nemico lasciarla andare sorpreso, allontanato dalla lieve scarica elettrica che emanò.
Una torsione del busto e le mani afferrarono un braccio che si tendeva nel buio in cerca di punti fermi, un piede si poggiò sullo stomaco dello sconosciuto e con un tuffo all'indietro lo scagliò lontano.

Rimettersi in piedi e cercare di capire cosa fosse successo fu un tutt'uno. Trattenne il fiato con terrore: lo scudo era sparito e con esso Raphael e i suoi aggressori.
Si avvicinò all'uomo che aveva gettato a terra, per chiedergli spiegazioni, ma quando fu a portata, quello colpì le sue gambe con le proprie, sbilanciandola: barcollò e cadde in avanti, finendo dritta sopra il suo aggressore.
Le sue braccia la circondarono di nuovo, all'improvviso. Si irrigidì un secondo, pronta a fulminarlo ancora, ma si interruppe al riconoscere il tocco gentile e pieno di calore.

Dio, come mi sei mancata” mormorò l'uomo, stringendola a sé.
La sua voce rimbombò nel petto, insieme al batticuore sfrenato.

Leo?” soffiò fuori incredula Isabel, puntellando i gomiti per poter sollevare il busto.
Gli occhi del leader incontrarono i suoi, felici ed emozionati.

Come...” provò a chiedere la ragazza, prima che un paio di mani sbucate dal nulla l'afferrassero per la vita, sradicandola dalle sue braccia, sollevandola come se non pesasse nulla.
Non ci credo, l'abbiamo trovata!” sentì dire alla voce euforica di Mikey, vicinissima. Dovevano averlo sentito tutti nei dintorni.
Ma non era stato lui a prenderla.
Toccò terra con i piedi e poi venne stretta in un nuovo abbraccio, quasi rabbioso, quasi convulso. Si accorse solo dopo pochi istanti che era Don, dall'odore di olio e ferro che lo avvolgeva.

Mi hai fatto quasi impazzire” mormorò abbracciandola più forte, disorientandola da morire.

Come... cosa...” riuscì solo a balbettare, mentre Mikey si metteva in mezzo per prenderla come se fosse un pacco e abbracciarla a sua volta, mentre continuava ad esultare e parlarle nell'orecchio, accrescendo la sua confusione.
Cosa sta succedendo?” esplose alla fine, piantando le mani sul torace di Mikey per allontanarlo da sé.
Erano tutti lì, a guardarla, con occhi arrabbiati, occhi felici, occhi emozionati. Poi arrivò lui, e non seppe dire come fossero i suoi occhi, ma di certo non sembravano contenti.

Succede che sei in grossi guai. Enormi” soffiò fuori Raphael, fermandosi vicino ai suoi fratelli, un muro impenetrabile che la metteva alle strette.
Perché voi...”
Ci ricordiamo di te? Oh, è una storia molto interessante” la interruppe Don, desideroso di dirgliene quattro.
Le spiegò cosa era successo. Che lui si era protetto con l'amuleto di suo padre. Che nonostante lei si fosse cancellata dalla loro memoria, loro non l'avevano affatto scordata; che erano quasi impazziti per capire cosa non andasse in loro; che Leo aveva quasi fatto fuori Raphael; che niente era sembrato giusto in quel mese in cui non si ricordavano di lei.

Soprattutto io. Soprattutto io che ricordavo tutto e li vedevo vagare alla ricerca di un pezzo che mancava loro, mi sono sentito responsabile e più abbandonato, senza sapere davvero che fare” la accusò, deluso e arrabbiato come non l'aveva mai visto.
Don non era il tipo da fare piagnistei o far pesare agli altri suoi momenti difficili, era solito minimizzare tutto, per non dare fastidio; ma sembrava che il restare fermo a guardare la sua famiglia vagare nel buio, mentre lui sapeva, mentre lui era l'unico a ricordare, lo avesse pressato più di quanto avessero immaginato.

Isabel confrontò il suo sguardo amareggiato e accusatorio e si sentì morire. E voleva abbracciarlo, ma sentiva che lui si sarebbe scansato, troppo arrabbiato con lei.
Mi-mi dispiace” disse sinceramente; “Non avreste dovuto ricordare, non sarebbe dovuta andare in questo modo.”
Tu non puoi giocare con la mente delle persone come ti pare” si intromise Raphael, alzando il tono della voce.
Voi non avreste dovuto ricordarmi! Era così che doveva andare, l'ho fatto per voi!” si difese Isabel, senza indietreggiare di un passo.
Non le importava che il cuore le stesse quasi per uscire dal petto, doveva spiegarsi, doveva difendersi.

E invece siamo quasi impazziti, per colpa tua. Perché non pensi alle conseguenze delle tue azioni, mai, non ti importa di quanto male fai alle persone con le tue scelte, con le tue decisioni. Non te n'è mai importato!”
Cadde un silenzio pesante, tanto quanto il respiro di Raph, che riprendeva fiato dopo la sua sfuriata. Forse più aggressiva di quanto avesse dovuto, forse più sincera e rivelatrice di quanto avesse voluto. C'erano accuse del passato in quelle frasi, di tutte le volte che lei lo aveva abbandonato.

Isabel si mordeva il labbro con gli occhi lucidi, arrabbiata con sé stessa, perché sapeva che ogni parola era vera. Che quell'odio se lo meritava.
Allora perché mi avete cercato? Perché non avete lasciato che stessi lontana da voi, una volta ricordato? Perché non mi avete lasciata in pace?”
Raph alzò la mano e mostrò il cordino che teneva stretto nel pugno, mentre la pietra viola ciondolava freneticamente, in circolo, nel vuoto.

Io non ti ho cercata. Sono stati loro a provare ad ammazzarmi quando hanno scoperto che avevi nascosto la collana nella mia stanza. Un'altra delle tue decisioni arbitrarie, come al solito.”
Le allungò la collana e aprì la mano lasciandola cadere e Isabel l'afferrò al volo prima che toccasse il suolo. Aprì il pugno e guardò la pietra gemella della sua, scintillare innocentemente nel palmo.

Non doveva andare così” mormorò a sé stessa.

Una mano si posò sulla sua spalla, attirando la sua attenzione. Mikey la guardava con affetto, senza rimproverarle nulla.
Il suo era il solito, entusiasta, brioso sguardo da Michelangelo. Felice di riaverla lì con sé.

Non devi cancellarti dai ricordi delle persone solo perché puoi farlo. Non è giusto per loro, ma quel che è più importante, non è giusto per te” mormorò, con dolcezza. Poi allungò le braccia per stringerla, per rimarcare quanto fosse importante.
Ma...”
Ascolta, adesso è tardi. Promettici che domani verrai al rifugio. Prometti che verrai a parlare. Devi delle spiegazioni a tutti, devi delle scuse a tutti” tagliò corto le sue lamentele Don.

Isabel si scostò da Michelangelo e il suo sguardo scivolò su tutti loro, assorto. Poi annuì, semplicemente.
Perché la voce non avrebbe retto al senso di colpa che sentiva. Sapeva già che ciò che aveva fatto non era stato etico né giusto, tuttavia si era cullata nell'illusione che fosse per il loro bene e aveva seppellito il rimorso nel fondo dell'anima.
Ma sapere che invece non aveva fatto altro che causar loro più dolore, l'aveva fatta sentire un mostro, indegna del loro affetto.

Quante domande aveva, adesso che erano lì con lei. Che si era ripetuta giorno dopo giorno, convinta che non avrebbe mai potuto fare.
Era convinta che non avrebbe parlato con loro, mai più.

Una mano afferrò il suo polso e la strattonò, tirandola via. Leo la stava portando lontano dagli altri, con urgenza.
Leo, cosa...”
Il leader si fermò solo quando fu sicuro che i suoi fratelli non potessero sentire. Poi si voltò a guardarla e lasciò andare il suo braccio, come se quel contatto scottasse.

Io... devo parlarti. Ma non posso adesso, è un discorso troppo lungo e intimo. Domani mattina, possiamo vederci al dojo, prima dell'orario di lezione?”
Isabel assorbì la sua richiesta accorata in silenzio, mentre lui attendeva la sua risposta, teso come un fuso.
Sembrava che fosse una cosa importante, troppo importante per poter semplicemente ignorare il coraggio che doveva essergli costato per parlarle.

Sì, d'accordo. Ma devi promettermi che non vi batterete mai più tra di voi, per nessun motivo” mise come condizione.
Leo acconsentì senza riserve, come si era aspettata.

Isabel si voltò quindi verso gli altri, che li avevano osservati per tutto il tempo, chiedendosi di cosa stessero parlando.
A domani” esclamò piegando un po' il capo, come in un inchino, prima di correre via e lanciarsi nel vuoto.
Rimasero tutti a guardarla finché non si perse nelle ombre scure della città, inscindibile dall'oscurità della notte.
Mikey venne preso dalla paura improvvisa che lei stesse scappando ancora, che non sarebbe ritornata davvero da loro il giorno dopo. Che non l'avrebbero più rivista.
La sensazione dell'abbandono era difficile da scordare, una volta provata sulla pelle. E un po' capì meglio Raphael, che probabilmente aveva perso anche il conto di quante volte lei lo avesse abbandonato.
E ogni volta doveva aver fatto male come e peggio della precedente.

Devo parlare con Leo. Mikey, Don, per favore lasciateci soli.”
Doveva essere stato il tono gentile ma fermo, più che il per favore, ad aver scombussolato i suoi fratelli: le tre paia di occhi che si voltarono a guardarlo ne erano una chiara dimostrazione. Lo osservavano come se fosse un alieno, come se quella serata non fosse già strana di suo.
Leo annuì in direzione dei loro fratelli, come a voler dire che era tutto sotto controllo e che potevano andare con serenità, ma Don e Mikey fissarono entrambi con ansia, come se avessero paura che se le sarebbero date di santa ragione.
Mikey, soprattutto, non aveva scordato la loro furia omicida, quel suo senso d'impotenza mentre loro si battevano con rabbia.
Con un sospiro angoscioso si allontanarono dal tetto, con un ultimo sguardo verso di loro, confabulando sotto voce.

Che cosa le hai detto?” interrogò Raph, quando fu sicuro che fossero soli.
Soli, per la prima volta da quella volta in cui avevano parlato, ma coi pensieri e sentimenti di quella notte in cui si erano battuti con intenzioni omicide.
Le ricordavano benissimo entrambi quelle sensazioni di rabbia, quella lotta lasciata in sospeso.

Niente che ti debba interessare” rispose asciutto Leo, già sul chi vive.
Mi interessa eccome! Tutto quello che riguarda Isabel mi interessa! Stalle lontano!” lo minacciò, stringendo i pugni con forza.
Lei non è affar tuo. Quello che fa. Chi vede. L'hai lasciata, Raph. È libera di fare ciò che vuole. Non puoi lasciarla e poi continuare a starle dietro!”
L'ho fatto per lei! Te l'ho già detto!”
Sì e non capisco proprio le tue motivazioni, mi dispiace. Sono solo scuse” soffiò fuori Leo, con un'alzata di spalle nella sua direzione.

Solo scuse? Tempo fa pensavo che il 'se la ami, lasciala andare' fosse una stronzata colossale. Una frase insulsa e senza senso inventata da qualche coglione che stava solo cercando un modo carino di scaricare una, senza sentirti in colpa. Perché se ami qualcuno non puoi davvero desiderare che se ne vada, che ti lasci da solo, a combattere coi tuoi demoni. Ho sempre creduto che se mai avessi trovato qualcuna che ne valesse la pena, l'avrei tenuta stretta a me, talmente forte da spezzare il fiato, senza allontanarmi mai a più di un passo, per paura di perderla; che avrei lottato con le unghie e con i denti per far sì che stesse con me, fino alla fine.
Ma poi è arrivata lei. E ogni convinzione è andata a puttane. L'unica cosa che voglio è che sia felice. Non ha mai avuto nulla: affetto, famiglia, desideri, sogni; fin da piccola le è stato strappato via tutto. Vorrei essere un uomo normale, qualunque, per poterle dare quello che merita: serenità. Una vita banale, di cose semplici e normali, ma proprio per questo fantastiche. Ma non posso. E nemmeno tu.”

Riprese fiato, pesantemente, mentre Leo lo guardava, sorridendo. Un ghigno a metà, incredulo e scettico.
Stronzate! Tu hai solo paura! Hai la chiave della felicità in mano, ma fai finta di nulla, perché hai una fottutissima paura. Te la fai sotto all'idea che lei possa ripensarci e lasciarti, che un giorno venga a dirti che ha sbagliato tutto e tu non eri quello giusto... Stai scappando. Hai deciso di muoverti d'anticipo, per avere l'illusione di avere tutto sotto controllo, ma in realtà ti mancano solo le palle per affrontare qualcosa di così grande. Sei un vigliacco. Uno stronzo. Hai paura di non essere all'altezza e non riuscire a renderla felice. Sei un coglione!”

Raphael aveva ascoltato il fratello, sempre più sorpreso.
Dalla sua rabbia, dalla passionalità che metteva in ogni singola parola, dalle parolacce che si era lasciato scappare nella sua foga. Leo non diceva le parolacce. La prima e unica volta che lo aveva sentito dirne una era stato a sei anni, quando aveva ripetuto la parola 'culo', sentita in televisione, per far ridere Mikey. Allo sguardo di disapprovazione di Splinter, però, si era scusato, contrito, e da allora non aveva mai più usato niente di più offensivo di un cacchio. Fino a quel momento.
In cui l'aveva letteralmente coperto di insulti.

Leo ansimò un poco, ancora più arrabbiato, ancora desideroso di dirgliene tante.
Io non sono come te. Mi gioco il tutto per tutto, non torno indietro, non mi ritiro. Amo Isabel. Qualcosa che non provavo da tempo. Forse che non ho mai provato. E non ci rinuncio, non senza lottare. Continuerò a provare, ancora e ancora, finché non ricambierà ciò che provo!” attestò, con la mano premuta sul torace, appassionato e serio come non era mai stato.

Raphael avanzò di un passo, minaccioso e torvo, con l'impulso di spaccargli la faccia in quello stesso istante.
Non te lo permetterò. Tu non sei quello che voglio per lei!” urlò, digrignando i denti.
Sarà lei a scegliere quello che vuole, non tu. Smettila di controllarla, se non vuoi stare con lei e non vuoi guai.”
Mi stai minacciando?” disse Raph incredulo, mentre le mani correvano inconsciamente verso la cintura coi Sai.

Lo sguardo di Leo seguì la sua mossa e i muscoli si tesero per risposta.
Non lotterò con te. L'ho promesso ad Isabel.”
Allora lasciala in pace. Allontanati da lei!”
Scordatelo, vigliacco. Ti manderemo una cartolina dall'Amazzonia!”
Con un saluto e un ghigno beffardo, Leo si allontanò velocemente, scomparendo dalla vista in pochi secondi.

Rimase a guardare il nulla, col cuore mortalmente felice e nello stesso tempo angosciato.
Da quando lui era quello assennato e Leo il piantagrane testa calda?


Leo corse. Per molte ore, per molti chilometri. Finché ebbe fiato.
Perché l'adrenalina scorreva a mille per il suo corpo e non sapeva in quale altro modo buttarla fuori.
L'aveva rivista. L'aveva stretta.
Dopo un mese di angoscia e rabbia, -anche se allora non sapeva perché,- e dopo le settimane alla sua disperata ricerca, averla nuovamente davanti era stato sconvolgente. Sentire il suono della sua voce era stato emozionante.

Il cuore palpitava così forte che sembrava bruciare.
Si sentiva felice. Ribelle. Con una gran voglia di urlare e saltare e correre e ancora gridare.
Si fermò, ansimante, poggiandosi contro una casupola per le scale in cima ad un palazzo.
Scoppiò a ridere, fragorosamente.

Aveva sfidato suo fratello. Lui, Leonardo Hamato, il mutante più prevedibile e ligio e serio e compassato, aveva sfidato Raphael per il cuore di Isabel.
Rise più forte, incredulo.
Che diamine gli succedeva? Quella voglia di andare contro ogni buon senso e portarla via da Raph, che non la meritava affatto... non era da lui. Eppure lo investiva da capo a piedi, con prepotenza.
Era pronto perfino a lasciare la sua famiglia e portarla lontano. Era pronto a fare qualsiasi cosa.
Anche a mettere da parte l'affetto per suo fratello.




Note:
Buona sera!
Bello aggiornare. Non potete capire, avevo corretto il capitolo e ho chiuso senza salvare. Panico. Panico e angoscia! Dopo aver provato a recuperare, invano, ho dovuto ricominciare da capo! ç__ç Son cose che buttano giù.
Ma alla fine rieccomi!
Grazie per aver letto la OS di Halloween da SITR! Pensavo non sarebbe piaciuta, grazie per avermi dimostrato il contrario! Feliceee!

Dunque, ci ho messo molto ad aggiornare anche perché sono impegnata in altri due progetti che vedrete a breve, spero! Sono lanciatissima!
E poi, ho finito di suddividere in capitoli e vi informo che sono 34. Sì, avevo detto 30, ma fare una stima approssimativa in un file di più di 450 pagine è abbastanza complesso.
E infine, non avrò mai abbastanza abbracci per dimostrarvi il mio affetto!

A presto
*____*

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Capitolo 29
*** Matter of heart ***


Rientrò al rifugio solo molte, molte ore più tardi.
Scivolò guardingo nel silenzio ovattato, senza far rumore. Si fermò spaventato al percepire un debole fruscio provenire dall'angolo tv, come un movimento improvviso.
Pregò con ogni forza che non fosse Raphael. Non voleva parlare ancora con lui. Non era ancora il momento.

La testa di Michelangelo spuntò da dietro lo schienale del divano, con l'espressione mezzo addormentata e confusa.
Leo. Che ore sono?” domandò biascicando le parole, grattandosi pigramente il collo.
È quasi mattina. Che ci fai ancora in piedi, Mikey?”
Il fratello si guardò a disagio di qua e di là.

Stavo aspettando che tu e Raph tornaste a casa” confessò dopo qualche istante di silenzio.
Leo aggrottò le sopracciglia.

Perché?” domandò scettico.

Mikey non rinunciava mai a delle buone ore di sonno e di certo non l'aveva mai fatto per aspettare lui o il loro fratello. E indirettamente gli aveva detto che Raph non era ancora tornato.
Perché non vi ho mai visti così. Avete sempre litigato, ma quella luce omicida negli occhi che avevate quella notte... non è normale. Ho quasi paura che finiate davvero per uccidervi, se vi lasciamo da soli troppo a lungo.”
Rimase colpito dalla premura insolita di Mikey. Non che non fosse dolce, solitamente. Anche con i suoi scherzi, era sempre attento all'umore e agli stati d'animo dei suoi fratelli; ma in genere preferiva comunque combinare disastri senza farci troppo caso.
E invece in quel momento sembrava il maturo uomo che avrebbe dovuto essere.

Ma no, Mikey! Tranquillo, io e Raph...”
Sei davvero innamorato di lei?” lo interruppe l'altro, alzandosi dal divano per parlargli alla stessa altezza.
Stesso livello, occhi negli occhi, serietà a livelli considerevolmente alti. Tutte cose che non si sarebbe aspettato dal suo fratellino.
Trasse un profondo respiro.

Sì. Amo Isabel” ammise, seppur con grande imbarazzo. Occhieggiò preoccupato la sfumatura rossiccia sulla faccia di Mikey, per cui si affrettò a spiegarsi.
Non è una finzione per dare fastidio a Raph, se è questo che credi. E non l'ho voluto... è solo che lei...”
Ma lei avrebbe dovuto essere come una sorellina per te! Come lo è per me e Donnie. Era la ragazza di Raph... o una cosa simile, per lo meno” contestò Mikey confuso, che proprio non riusciva a capire.
E invece no! Me ne sono innamorato! È un crimine? Solo perché c'è stato qualcosa tra loro?”
È perché l'hai avuta sempre intorno! Ti sei innamorato di lei perché è l'unica donna a stare sempre con noi. E avete passato intere giornate assieme. È normale. Ma non è amore! È più... infatuazione o...”

No, Mikey. So cosa sento. So quello che voglio. Voglio stringerla, voglio baciarla, voglio... meglio che tu non sappia tutto quello che voglio. E non c'entra nulla la convivenza con lei. Né tu né Don ve ne siete innamorati, anche se eravate qui anche voi. E secondo questo principio, non so, avrei dovuto innamorarmi di Angel: è bella, è forte, è simpatica, è stata allenata anche lei per un periodo assieme a noi... ma non è successo nulla. È un'amica, quasi come una sorella, ma non ho mai desiderato niente di più che abbracciarla quando la rivedo dopo molto tempo. Invece Isabel... la sua presenza mi fa impazzire; il suono della sua voce mi fa salire un brivido lungo la schiena; il solo sfiorarla mi dà la pelle d'oca; i suoi occhi scavano nella mia anima, eliminando tutto ciò di sbagliato che nascondo e il suo sorriso mi uccide ogni dannata volta, una morte dolcissima. Se questo non è amore, non so cosa altro possa essere.”

Mikey era arrossito violentemente alla confessione del suo fratellone, così sentita e vera, così appassionata e sincera, che metteva a nudo tutto ciò che provava.
E in genere Leo non mostrava mai ciò che provava.

Io... io non...”
Non mi puoi capire se non l'hai mai provato! Ti sei mai innamorato di qualcuna, Mikey?” si sentì domandare, all'improvviso.
Nel loro passato, Don aveva avuto una cotta per April, Raph ci aveva provato con Joy e lui si era preso una sbandata per Karai... ma Mikey non aveva invece mai manifestato alcun interesse per nessuna ragazza. O forse lui era stato troppo assorto nel suo ruolo di leader per accorgersene.

Mikey era passato dal rossore allo stupore e si grattava la testa con fare nervoso.
No, le ragazze non sono proprio il mio campo” sospirò a disagio.
Gli occhi di Leo si spalancarono, enormemente.

Oh” esalò, sorpreso. Poi cadde un imbarazzante, pesante silenzio tra loro.
Io... io non sapevo... è ok, se ti piacciono... voglio dire non c'è nulla di male nell'essere... ciò che sei...” balbettò incerto e con impaccio.

I suoi gesti erano piuttosto rigidi, perché d'improvviso si era fatto teso, attento a non ferire in nessun modo, con nessuna parola o sguardo o gesto il suo fratellino.
Sono cosa?” chiese quest'ultimo, visibilmente confuso dalle sue parole.
Leo inghiottì a vuoto, non sapendo bene come comportarsi.

Non c'è nulla... non c'è nulla di male nell'essere gay!” esclamò alla fine, sicuro e convinto, con tutta la fierezza e il tatto possibile.

Mikey rimase attonito, muto, ad osservarlo. Secondo dopo secondo.
Sul serio! Sono sincero! Non cambia nulla di te ed è normale, perfettamente....” provò a rassicurarlo con foga Leo, che si agitava ogni secondo di più via via che gli occhioni di Mikey si spalancavano ad ogni sua parola.
Poi lo vide scoppiare a ridergli in faccia.

Rideva così forte che probabilmente avrebbe svegliato il sensei e Donnie, tenendosi la pancia, piegato in due e poggiato allo schienale del divano.
Era il ritratto dell'ilarità.
Leo aspettò pazientemente che finisse di ridere. Magari era una reazione difensiva, magari si era sentito attaccato.

Tu hai pensato...” cercò di dire Mikey, prima di un'altra risata. Inghiottì la saliva, rischiando di soffocare e iniziò a tossire come un pazzo.
Rise e tossì per qualche altro minuto, con le lacrime agli occhi. Poi prese dei grandi respiri, cercando di liberarsi la gola e smettere di ridere.

Io... non sono gay!” esclamò, tossicchiando ancora un po'.
Oh, Mikey, non c'è nulla di male nell'esser...”
Lo so anche io che non c'è nulla di male nell'essere gay! Ma non sono gay! Mi piacciono le donne, te lo assicuro. Ho miliardi di giornalini non proprio puliti nascosti in camera che lo dimostrano!” esplose, cercando di fare entrare in testa al fratello quel semplice concetto. Leo sembrava essere convinto del suo essere omosessuale e sembrava che credesse che si vergognasse di ammetterlo.

Il leader era in silenzio e teso, come se avesse paura di romperlo con qualche altra parola sbagliata. Aspettava che lui si spiegasse, perciò Mikey prese un grosso respiro, prima di parlare.
È solo... è solo che non mi sono mai innamorato. Se ho trovato mai qualche ragazza attraente? Sì, molte volte. So per certo che ho una fissa per le bionde, per esempio. Ma non ho mai conosciuto nessuna che mi prendesse, che mi facesse battere il cuore o venire i brividi giù per la schiena o che mi rincretinisse come sembra che Isabel abbia fatto con te e Raph. Non nego che mi piacerebbe, ma non è mai successo. Forse sono troppo pretenzioso.”

Era la prima volta che fratellone e fratellino parlavano di ragazze. Era la prima volta che si parlava di ragazze in generale, in quella casa. O in quella prima. O in quella prima ancora.
Incredibilmente, Leo sorrise. Staccò le Katana dalla schiena e le poggiò contro lo schienale del divano, poi lo scavalcò con un balzo e si sedette, tranquillamente. Quindi gli fece un gesto per invitarlo a raggiungerlo.

Mikey si avvicinò, perplesso, poi si lasciò cadere al suo fianco, nervoso, in attesa.
Dimmi, com'è il tuo tipo, Mikey?” gli domandò, a sorpresa. Lui si girò, guardando il fratello come se fosse un alieno e non il carismatico, severo leader che era sempre stato. Voleva davvero parlare di una cosa del genere.
Io... io non ho un tipo. Andiamo, chi ha davvero un tipo? Nessuno, credo. O vuoi dirmi che Isabel rientra nel tuo?” rispose Michelangelo, pensieroso.
Leo scosse la testa, dandogli ragione.

Ecco, infatti” annuì saggiamente, grato che si trovassero d'accordo.
Però... di certo, come ti ho detto, mi piacciono le bionde. Soprattutto se i capelli sono lunghi e boccolosi...”
Perché?”

Mikey sorrise imbarazzato.
Mi piace il colore. Il modo in cui si accendono alla luce del sole, così luminosi, come un'areola che contorna un viso d'angelo. E poi penso che stiano benissimo col verde, per quello vorrei una ragazza coi capelli lunghi... vorrei svegliarmi con lei al mio fianco e trovarmici ricoperto, come se fossero fili d'oro, mentre sfiorano la mia e la sua pelle con leggerezza e arrotolarli tra le dita” confessò sottovoce, sempre più rosso, senza guardarlo in viso.
Leo aveva un sorrisone incredulo. Emozionato.

In casa tendevano sempre a vedere Mikey come un bambino. Un bambinone grosso e cresciuto, ma sempre piuttosto infantile, in senso buono. Ma Michelangelo non era più un bambino, non era nemmeno più l'adolescente troppo entusiasta e fastidioso che non pensava ad altro che ai videogiochi. Era diventato un uomo, come ognuno di loro, e aveva desideri e sogni da adulto, come era giusto che fosse.
Anche se nessuno di loro si era mai fermato a prendere tempo per domandarglielo.
C'era un mondo dietro quella maschera arancio di cui nessuno di loro aveva la più vaga idea.

Una bionda, eh? Ma sì, ti ci vedo! Perché non ce lo hai mai detto?” gli disse incoraggiante, dandogli un pugno affettuoso contro la spalla.
Quando c'era la regola di non innamorarci delle umane mi avresti fatto la paternale per giorni se ti avessi mai detto una cosa del genere” bofonchiò l'altro, massaggiandosi con fare distratto la parte lesa.
Vero. Hai ragione. Non sono mai stato molto accondiscendente o comunicativo, mi dispiace. È stato grazie ad Isabel se stiamo avendo questa conversazione...”

Mikey sollevò la mano, per interromperlo, concentrato come se volesse dire qualcosa su cui aveva rimuginato a lungo e che in quel momento aveva trovato la forza di tirare fuori.
A me... a me sta bene che tu sia innamorato di lei. È successo, non l'hai voluto. E non mi importa di chi tra te e Raph stia con lei, fintanto che tutti siate felici e tu e lui non litighiate mai più. Siete entrambi delle persone fantastiche, i miei fratelloni forti e magnifici, che sanno fare qualsiasi cosa, che cerco in ogni modo di emulare. Siete entrambi dei perfetti candidati per lei... solo, davvero, fate in modo che la cosa non vi sfugga di mano. Voglio bene ad entrambi, voglio bene a tutti e tre, e vorrei che questa storia si concludesse con un bel lieto fine, se non è troppo infantile desiderarlo.”

No, che non lo è” sussurrò Leo, commosso, sporgendosi verso il fratello. Lo strinse in un abbraccio. Non era mai stato così fiero di lui, della splendida persona che era.
Cosa...?” mormorò confuso l'altro, sconcertato da quello slancio d'affetto.
La donna della quale ti innamorerai sarà davvero la più fortunata del mondo, Mikey” asserì, dandogli delle pacche affettuose sul guscio.
E pensare che fino a qualche istante fa pensavi che sarei stato la gioia di qualche uomo” ribatté l'altro, in imbarazzo, facendolo scoppiare a ridere.

Rimasero ancora un attimo stretti in quell'abbraccio fraterno. Quanto tempo era che non si dimostravano quanto si volessero bene? Poi si staccarono, entrambi sorridenti ed imbarazzati, e ripresero a parlare, sottovoce, di cose da uomini, di segreti da fratelli, per quel che rimaneva del tempo prima del sorgere del sole.



Mikey era crollato alla lunga chiacchierata proprio appena prima dell'alba. Si era congedato, ancora piuttosto sconcertato e teso per quell'insolita nottata, ed era salito verso la sua camera, lasciandolo lì da solo.
Lui non aveva assolutamente tempo per dormire, anche volendolo. Si diresse verso il bagno, a passi lenti, mentre rifletteva. Era quasi mattina, ma Raph non era ancora tornato al rifugio. Era sicuro che fosse in giro per i tetti, per cercare di sfogare la sua rabbia. O la sua tristezza.
Stupido. Era solo un maledetto stupido.

Aprì il rubinetto del lavandino e lasciò che si riempisse un po', poi si tolse la maschera e ci tuffò il viso dentro: la sensazione dell'acqua gelida contro la pelle gli diede una scarica di adrenalina, allontanando la stanchezza dalla mente. Riemerse con un grosso respiro e schizzi ovunque, scuotendo la testa lentamente, per snebbiare gli ultimi barlumi di sonno.
Sì, Raphael era proprio un dannatissimo stupido. Non avrebbe avuto riguardi nei suoi confronti. Nessun rispetto per le sue richieste. Non se erano così stupide.
Cercò a tentoni l'asciugamano e lo passò sulla faccia, godendo del contatto morbido, poi si specchiò: c'erano delle lievi occhiaie che contornavano gli occhi, ma quelli luccicavano così tanto di trepidazione e attesa che distoglievano l'attenzione da qualunque altra cosa.
Poggiò l'asciugamano con disattenzione e si incamminò verso il dojo, stiracchiando il collo con fare distratto.

La porta del dojo era socchiusa. Inghiottì a vuoto, poi prese un grosso respiro. E spinse l'uscio.
Isabel era lì. Era lì dove gli aveva promesso sarebbe stata. Sul serio. E si era voltata verso di lui, al sentire il debole cigolio della porta. E lo stava guardando, in silenzio, con il viso nervoso e concentrato, illuminata dai primi raggi di sole che entravano dalle finestre magiche. I suoi capelli avevano una bellissima luminescenza rossastra alla luce del sole, dei caldi riflessi del color del fuoco.
Altro che le bionde e le loro capigliature luminose. Mikey non aveva mai visto quello splendore.

Accostò e chiuse, lentamente, senza staccare il contatto con i suoi occhi. Poi si incamminò a grandi falcate verso di lei, fermandosi solo a pochi passi.
Isabel sembrava agitata, si torceva le mani e appena lui si fermò, sollevò il viso per poterlo guardare negli occhi.
Ma fu costretta ad abbassarlo di colpo, quando lui si gettò repentinamente al suolo, in ginocchio, con la fronte premuta contro il pavimento lucido del dojo.

Leo... cosa...?” provò a domandare, sconvolta dal suo gesto. Ogni muscolo era rigido e teso, in quella postura severa.
Ti chiedo formalmente scusa! Mi scuso per averti baciato contro il tuo volere!” gridò contrito lui, col viso che premeva sempre più verso il suolo.
Ma non devi...”
Ti ho disonorata col mio gesto impulsivo e meschino! E ho disonorato me stesso e la mia famiglia, disonorando te! Perdonami!” la interruppe, piegando se possibile ancor di più la schiena.
Leo! Per favore, tirati su!” replicò lei, col viso in fiamme e le mani che tremavano di imbarazzo, al vederlo umiliarsi in quel modo a causa sua.
No! Non finché non mi sarò scusato a sufficienza e non avrò il tuo incondizionato perdono per ciò...”
Hai il mio perdono” sussurrò lei urgente, accucciandosi al suo fianco.

Le sue mani lo presero per le spalle, tirandolo verso l'alto. Sollevò il busto, anche se lui stava facendo forza per non lasciarsi alzare. Isabel stava sicuramente usando la magia.
Incontrò il suo sguardo. E il suo sorriso. E se possibile si sentì perfino più in colpa.

Non devi perdonarmi così facilmente. Quello che ho fatto è stato davvero meschino. Al pari di... di una molestia sessuale!” asserì, abbassando gli occhi, perché guardare nei suoi lo faceva sentire sporco.
La mano di Isabel si tese e si poggiò sulla sua fronte, sul segno rosso che si andava formando, a causa del suo incontro col pavimento. Forse aveva dato una testata contro il parquet, nella foga di inchinarsi.
Isabel lo fece sparire, con un po' di concentrazione e il tocco delle dita.

Lo hai fatto per curarmi. Certo, non è stato carino il fatto di non avermi nemmeno chiesto il permesso. Ma so che eri davvero preoccupato per la mia ferita e che volevi solo aiutarmi a guarire” gli disse, riportando la mano sulle ginocchia, per tenersi in equilibrio.
No! No! Non farmi apparire come un altruista! Ti ho baciata perché morivo dalla voglia di farlo. Nessuna azione caritatevole. Volevo baciarti, solo il cielo sa quanto, e quella è stata l'occasione perfetta!” ribatté con veemenza, sollevando la testa, incontrando il suo sguardo di disapprovazione.
Leo, sai che non è vero. Tu non sei così...”
E invece sì! Incredibile, no? Chi avrebbe mai detto che divento un mostro di egoismo quando mi innamoro?”

Isabel piegò la testa in imbarazzo. Osservò ossessivamente le linee del parquet, per non doverlo guardare in viso.
Tu non sei innamorato di me. Ami crederlo. Sei innamorato dell'idea di innamorarti, ma non lo sei. È un'infatuazione. È perché sono sempre stata qui con te. E abbiamo convissuto per giorni, scherzando e allenandoci. È normale che...”

Leo ringhiò.
Di frustrazione e rabbia. Perché sembrava che tutti pensassero di sapere meglio di lui cosa provasse? Perché volevano a tutti i costi sminuire i suoi sentimenti, etichettandoli e razionalizzando il come e il perché? Lo avevano mai fatto per Raph? No!
Allungò una mano e afferrò quella di Isabel, tirandola verso di sé: lei barcollò, perse l'equilibrio e cadde col fondo schiena contro il pavimento, sconvolta e sorpresa, ad appena pochi centimetri da lui.

Leo si premette la sua mano sul petto.
Senti” le mormorò, assorto, chiudendo gli occhi.
Lei percepì contro il palmo il palpitare furioso del suo cuore. Ogni battito era come una percussione contro i suoi polpastrelli. Accelerata e fuori controllo, così veloce che quasi sentì dolore alla mano, a ricevere tutti quei picchiettii.
Era un vero e proprio concerto. Poi Leo parlò, con gli occhi ancora chiusi, e alle pulsazioni si unirono le vibrazioni della sua voce profonda, che rimbombavano nel petto, amplificandosi.

Non ha mai palpitato così veloce. Mai, nemmeno quando ho combattuto contro Shredder. Mai, nemmeno quando siamo stati trasportati in un altro pianeta. Mai, nemmeno quando siamo stati invasi dai Triceraton. O quando il mondo minacciava di finire. O siamo finiti nel futuro. O un altro Shredder è spuntato fuori. O sono stato rapito dai quattro generali. Mai. Ho sempre mantenuto la calma. Mi sono allenato tutta la vita per pensare con lucidità e non lasciarmi sopraffare dalle emozioni. Ma quando ti guardo” aprì gli occhi e la osservò e il battito accelerò esponenzialmente, “perdo ogni briciolo di razionalità.”

Isabel non stava respirando. O forse sì, ma ai suoi occhi sembrava impietrita, una scultura perfetta, immobile e pallida.
Ti amo, Isabel” ammise, sottovoce, tanto lieve che le corde vocali non vibrarono nemmeno.
Lei trasse un grosso sospiro, emozionata dalla dichiarazione. Fece per aprire bocca, ma Leo la interruppe.

Non ti sto chiedendo di ricambiare i miei sentimenti adesso, in questo istante. Non voglio nessuna risposta. So già che cosa vuoi dirmi. Solo... dammi una possibilità. Non dirmi di no a prescindere. Non scartarmi senza avermi almeno dato una chance” dichiarò, serio e impettito, mentre ancora tratteneva la sua mano.

Leo... io ti voglio bene. E proprio per questo non voglio darti false speranze. Sono lusingata dal tuo amore, ma non voglio farti soffrire, non voglio illuderti su qualche cosa che non posso provare.”
E io non voglio certo che tu lo faccia. Non ti sto chiedendo promesse o certezze. Solo di permettermi di starti accanto. Ancora, come prima. Non mi allontanare, non mi trattare diversamente. Voglio continuare a vederti, a parlarti, a corteggiarti...”
Corteggiarmi? È questo che mi stai chiedendo? Il permesso per corteggiarmi?” sbottò incredula.

Lui rise, della sua sorpresa.
Ma da che secolo vieni fuori?” continuò, facendolo solo ridere più forte.
Voleva abbracciarla. Forte, così tanto da non non poter più capire dove finisse lui e iniziasse lei, così forte che nessuno sarebbe mai più riuscito a portargliela via.

Lo sai che non sarebbe giusto. Sai che sono innamorata di...”
Leo le tappò la bocca prima che finisse, con una mano nervosa.

Non dirlo. Non dire quel nome!” la ammonì, ferito.
Isabel artigliò la sua mano, scostandola con delicatezza dal suo viso.

Leo, non posso permetterti di gettare le tue energie e speranze in qualcosa che potrebbe non accadere mai” gli sussurrò, intristita dal suo sguardo cupo.
Però potrebbe accadere. Cosa hai da perdere nel darmi una possibilità?” asserì Leo, persuasivo.

Non era da lui essere così insistente, non si era mai imposto a niente e nessuno. Ma per una volta voleva gettarsi a capofitto, senza remore e riserve, senza pensare a se e ma, senza rimorsi di alcun genere.
Isabel sospirò e sembrava quasi vinta. O almeno così gli parve. Nel fondo dei suoi occhi scuri gli sembrò di scorgere un principio di dubbio, di possibilità per lui, ma forse se lo stava solo immaginando. O forse lo stava solo sperando.
Ma in quel momento non ricevette una risposta concreta come sperava. Perché lei non ne ebbe la possibilità.

Un lieve tossire sorprese entrambi e si voltarono verso l'ingresso, stupiti. C'era il sensei, ritto nel vano della porta, che li guardava con serietà.
Isabel lasciò ogni cosa in sospeso, ogni parola, ogni questione e si alzò di scatto, lasciandolo lì. Corse verso Splinter come se avesse le ali ai piedi, con un frenetico scalpiccio sul legno del parquet, ma si fermò d'innanzi a lui con uno stop improvviso, come se d'un tratto si fosse accorta che non era opportuno. Non in quel momento.

Il maestro era rimasto composto e con gli occhi fermi su di lei, una mano poggiata sul bastone. Emanava un'aura tesa e nessuno dei due sembrava fare caso alle due tartarughe mutanti alle sue spalle, che osservavano la scena con silenzio e un forte senso di attesa.
Isabel voleva parlare, voleva aprire la bocca e chiedere scusa, ma non ci riuscì. La lingua sembrava essersi incollata al palato, deglutiva a vuoto il senso di disagio e rimorso e vergogna che provava sotto quello sguardo severo.
Abbassò solo il capo, strizzando le palpebre per la stizza di non sapersi spiegare, di non potersi giustificare in alcun modo, in fin dei conti.

Isabel, pensi di doverti scusare per quello che hai fatto?” chiese la voce di Splinter d'un tratto, calma.
Lei rimase immobile qualche istante, poi annuì con vigore.

Perché?” incalzò il sensei.
Isabel respirò a fondo un paio di volte, per prendere coraggio.

Perché vi ho creato dei problemi. Siete stati male, a causa mia” rispose quando fu sicura che la sua voce fosse abbastanza ferma, solo leggermente incerta.
Se è solo per questo, allora non sei ancora pronta a scusarti. Non se prima non capisci dove hai sbagliato.”

La ragazza sollevò la testa, confusa, e incontrò lo sguardo fermo e serio del maestro, profondo e saggio. Ma anche impenetrabile e misterioso.
Pensavi che fosse un tuo diritto cancellare i tuoi ricordi dalle nostre menti, che potessi farlo perché ti appartenevano. E che se noi non avessimo sofferto per la tua mancanza, tu non avresti dovuto scusarti. Ma tutto il concetto è errato. Tu non hai nessun diritto né potere, sui ricordi che altri hanno formato assieme a te. Non ti appartengono, non ne puoi disporre a tuo piacere. Quelle memorie fanno parte del gradino di crescita e conoscenza che ognuno di noi forma, ogni giorno, con ogni persona che incontra, incondizionatamente. Tu ci hai portato via una parte di noi, una porzione del nostro carattere, della nostra crescita, della nostra evoluzione e questo ci ha destabilizzato: è come una persona che si risveglia dopo un trauma e non ricorda più nemmeno come si scrive, anche se sa di averlo fatto, prima. Perdi le certezze, perdi il senso di te che hai costruito con fatica. Tutto, anche la più piccola e all'apparenza insignificante azione, parola, sensazione, contribuisce a creare ciò che siamo. E nessuno deve avere la pretesa su una parte di te, nessuno. Capisci ora, perché hai sbagliato?”

Il suo tono era calmo e pacato, ma proprio per quello le fece più male. Sembrava deluso dal suo comportamento.
Per quel motivo non ce la faceva a guardarlo negli occhi e aveva abbassato nuovamente la testa, piena di vergogna. Per quello e per nascondere gli occhi lucidi, il pizzicore agli angoli per le lacrime trattenute.
E le sue parole la trafissero, una per una, così vere, così sensate. Non aveva pensato affatto in quel modo, non aveva pensato affatto razionalmente. Così impaziente di cancellarsi, di lasciarli per quello che credeva il loro bene, non si era fermata a pensare alla verità, che spiegata da Splinter sembrava così ovvia.

Ci hai portato via noi stessi, Isabel. I noi che siamo diventati dopo averti conosciuta, i noi di adesso che hanno vissuto con te, che hanno iniziato ad aprirsi ancora di più agli umani, che hanno iniziato a sperare in un cambiamento, in un futuro. E tu ci hai portato via quella speranza, senza fermarti a chiederci un parere. È stato sbagliato e crudele quanto tradirci” concluse il maestro, con severità.
Lei scuoteva la testa su e giù, annuendo ad ogni parola, con le spalle curve e le mani sul viso; ormai le lacrime non poteva più trattenerle, la morsa della vergogna era così forte da mozzarle quasi il respiro.
Non aveva scuse e non avrebbe mai meritato il loro perdono, lo sapeva. Ma con un brusco respiro prese fiato, provando a parlare, per quanto la voce glielo permettesse.

M-mi dispia...” esalò straziata, prima che due braccia la cingessero con affetto, sorprendendola e sconvolgendola.
Sono felice di averti ricordato. Sono felice che tu sia tornata” mormorò Splinter, sentito.
Isabel scoppiò a piangere nel suo abbraccio, rumorosamente, apertamente, senza frenarsi, senza fermarsi, vinta dal suo severo affetto, dal suo rigoroso amore.
Il saggio maestro le carezzava la testa lentamente, sussurrandole parole gentili, ma ormai che lei si era lasciata andare, non riusciva più a smettere.
Non era stato semplice nemmeno per lei, vivere lontano da loro, sola, le uniche persone che considerava famiglia che non ricordavano più niente di lei.
Poi Splinter la lasciò andare, passandola nell'abbraccio cortese di qualcun altro, che riconobbe come Mikey dall'odore di legno e caramelle. L'amico la strinse e la consolò, con dolcezza.

Il sensei, invece, nel silenzio rotto solo dai singhiozzi di Isabel, parlò.
Leonardo, devo parlarti” esclamò, la voce amplificata nell'enorme dojo.
Il figlio spalancò gli occhi, lì dove era rimasto ad osservare il confronto tra lui e Isabel. Ma alla sua chiamata si sorprese e si chiese se non spettasse anche a lui una ramanzina, in fin dei conti.
Si sollevò da terra e seguì il maestro e padre che si era già incamminato verso la stanzetta da meditazione, con passo lento. Nessuno dei due fece caso agli occhi indiscreti che li seguirono nel tragitto, confusi e curiosi quanto lui.

Si chiusero la porta alle spalle. Splinter camminò fino al mobiletto all'angolo e con gesti calmi e abituali accese un bastoncino di incenso nell'incensiere di bronzo, dal quale scaturirono immediatamente pigre volute di fumo, dall'odore avvolgente.
L'alberello di gingko biloba al centro della stanza era rigoglioso, carico di meravigliose foglie verde intenso e il piccolo giardino zen al suo lato era stato perfettamente arato in spirali e linee perfette. Perfino la luce che filtrava dalle finestre magiche era soffusa e dolce, in sintonia con l'ambiente. Sembrava che tutto in quella stanza fosse creato appositamente per creare uno stato di benessere e calma, per indurre chi vi entrava a rilassarsi.
Ma Leonardo era tutto fuorché rilassato. Attendeva con ogni muscolo teso, senza staccare lo sguardo dal padre e dai suoi gesti, con mille domande e teorie nella mente, del perché fosse stato chiamato lì.

Splinter si voltò, infine.
Siediti, figliolo” lo invitò con voce gentile, eppure ferma. Leonardo non se lo fece ripetere due volte e si inginocchiò con rispetto, con le mani poggiate sulle ginocchia e le spalle tese.
Il suo anziano padre invece rimase in piedi e iniziò a camminare lentamente avanti e indietro.
Passo, tocco del bastone, passo. Passo, tocco del bastone, passo.

Sai perché sei qui,vero, Leonardo?” chiese retoricamente. Non voleva una risposta in realtà, lo sapevano entrambi che lui avrebbe risposto da sé.
Pensate tutti di aver fatto un buon lavoro nel nascondermi cosa stia accadendo in famiglia. E non posso dire che non vi siate impegnati, ve ne devo dare atto, ma dovreste saperlo ormai che non siete bravi a mentire” continuò, constatando l'ovvio carezzando il pizzetto lentamente.
Leo si sentì pressato dalle sue parole, pressato a dire infine la verità anche a lui.

Mi sono innamorato di Isabel” confessò, senza guardarlo in viso.
Oh, lo so, figliolo. Come so che hai baciato Isabel per curarla e che tu e Raphael vi siete battuti armi alle mani, con intenzioni quasi omicide. E che è per questo che lei si è sentita in dovere di sparire e cancellare la nostra memoria. So quasi tutto, di ciò che è successo. Alcune cose le sapevo prima ancora di voi” disse, con un'occhiata esplicita verso di lui.

Il sensei aveva capito prima di lui che...
Perché, se davvero avevi capito, non mi hai impedito di innamorarmi di lei? Non sarebbe successo nulla in quel caso, niente di tutto questo!”
Impedirti di... Non si può impedire l'amore, Leonardo! L'idea stessa è folle. Io non potevo impedirtelo, e Raphael non può impedirtelo, nessuno può. Quello che io non so, ancora, è cosa hai intenzione di fare: se cercherai di arrivare ad Isabel, probabilmente questa famiglia si spaccherà, ad un certo punto. Lo sai questo, vero?”
Il cuore di Leo si strinse a quelle parole, il suo più grande timore che gli veniva sbattuto in faccia a chiare lettere.

Sì, sensei” confidò con un sussurro addolorato, “però... non mi importa” finì con più convinzione, lanciato in una confessione intensa.
Io amo la mia famiglia, vi amo. Ma sono stanco di pensare sempre agli altri, sono stanco di mettermi da parte, sono stanco di soffocarmi. Forse non otterrò ciò che voglio, forse è solo una speranza vana, ma voglio arrivare alla fine senza nessun rimpianto, senza domande su se e ma che sarebbero potuti accadere se ci avessi provato. Non posso soffocare questo sentimento come ho fatto finora con tante altre cose. E se lei potesse ricambiare, allora prenderei in considerazione l'idea di andarcene dalla famiglia, per non creare malumori e fratture. So che è un pensiero egoista e meschino, ma non posso tirarmi indietro, ormai.”

La mano di Splinter si poggiò inaspettatamente sulla sua spalla, decisa, amorevole e lui alzò il viso, incontrando i suoi occhi scuri carichi di affetto e un sorriso che non si aspettava.
Sai, figliolo, ti ho sempre osservato da vicino, più degli altri, più di Raphael, perché tu più di tutti mi preoccupavi. Fin da piccolo hai sempre avuto la tendenza a fare la cosa giusta, piuttosto che quella che tu volevi; ti struggevi per compiacere gli altri ad ogni costo, anche a discapito della tua stessa felicità. Come il natale in cui Michelangelo aveva rotto il suo regalo tre secondi dopo averlo tolto dalla scatola e tu gli hai offerto il tuo, con un sorriso. Oh, eri felice della gioia di tuo fratello, lo so, ma c'era una piccola parte di te, che ignorasti, che si sentiva triste per essersi dovuta sacrificare in favore di altri. E negli anni hai continuato... hai creduto che fosse quello che io volevo, nonostante ti abbia ripetuto sempre che non dovevi farlo, e ti sei addestrato non a diventare un ninja, ma un uomo che nascondeva il vero sé stesso per il bene del prossimo, incessantemente.
Ma ora, finalmente, hai smesso di fingere, almeno a te stesso. Se andare via di qui con Isabel ti renderà felice, libero, io appoggerò la tua scelta, figliolo. Se questo è quello che ti dice il tuo cuore e tu sei pronto ad ascoltarlo e ad agire di conseguenza, io rispetto e approvo quella scelta.

Sii egoista, per una volta. Sii umano, finalmente. Vivi come desideri e non come credi che il mondo voglia che tu viva.”

Leonardo trasse un profondo respiro, come se un enorme macigno si fosse appena dissipato da sopra il suo cuore.
Ma ancora, niente era certo. Tutto ancora da giocare.



Note:

Buonasera!
Dunque, la scenetta di Mikey gay è una citazione alle voci che dicono che Michelangelo Buonarroti lo fosse, mai davvero dimostrate ovviamente. Insomma, la verità l'artista se l'è portata nella tomba, mentre il mutante mette in chiaro con suo fratello, confessandogli anche le sue preferenze! C'è una bionda nel futuro di Mikey? Eh, chissà!

Poi, amo Splinter e la sua saggezza palpabile, non c'è che dire. Leo sta sperimentando l'egoismo che l'amore può creare nel cuore e vuole pensare solo a sé, per una volta.
Ma chissà come evolverà la cosa!

Io vi mando un caldissimo abbraccio e ringrazio dal profondo del cuore! Vi adoro tutti, dal primo all'ultimo.

Ah, i progetti in lavorazione sono tre, tre raccolte di Os che non hanno nulla a che fare con la serie Heart's mutation e che sono scollegate anche tra loro. La prima sta per arrivare!
A presto

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Capitolo 30
*** To reach you... with all my might ***


I giorni che seguirono quella mattina furono, in un certo senso, normali. Sembrava essere tutto tornato quasi allo stesso punto in cui si era interrotto, seppure con piccole variazioni: Isabel aveva ripreso a frequentare le lezioni mattutine, per esempio, anche se adesso c'era anche Steve ad allenarsi con loro.
Dopo la meditazione di gruppo, il ragazzo si spostava da una parte per allenarsi con Leo, mentre Isabel e il sensei erano impegnati nelle lezioni avanzate coi Tessen.

Mi dispiace che tu stia qui con me. Potresti essere lì con lei e provarci spudoratamente” diceva Steve quasi ogni mattina, ripetendo le mosse che Leo gli mostrava.

Il leader sospirava e lasciava perdere, anche se era vero che i suoi occhi saettavano all'altro lato del dojo troppo spesso per i suoi gusti, spezzando la concentrazione. Ma non era possibile fare altrimenti: i gesti lenti e sinuosi di lei, gli affondi energici eppure eleganti, le parate aggraziate ed efficaci, le piroette che sferzavano l'aria con un sibilo morbido facendo mulinare la sua coda di cavallo, ogni cosa attirava la sua attenzione e lo teneva con lo sguardo incollato, col batticuore.
Certo che voleva passare del tempo con lei, certo che voleva allenarsi con lei e parlarle e farla ridere e toccarla e provarci e ancora e ancora, ma era già abbastanza insistente nel tempo che passava con lei fuori dal dojo, di certo non aveva bisogno di assillarla anche mentre si allenava.

Perché sì, aveva fatto fede al suo proposito. Aveva provato e riprovato a farsi notare, a stare con lei ogni istante concesso, a corteggiarla, a conquistarla. Non che sapesse davvero come fare, nessuno si era mai preso la briga di spiegare ad un mutante come dovesse comportarsi per conquistare una donna, c'era da ridere al solo pensarlo, perciò faceva solo quello che il cuore gli suggeriva di fare: parlava con lei, di ogni cosa, di cose di cui non aveva mai discusso prima, che prima aveva ritenuto persino insignificanti; e ascoltava, la ascoltava con tutta l'attenzione concessa, non solo quello che diceva, ma soprattutto quello non diceva: i suoi respiri, le sue pause, il linguaggio muto del suo corpo, le parole che rimanevano incastrate nel fondo dei suoi occhi.
C'era dolore, ancora, e dubbio nel cuore di Isabel. E lui non avrebbe desistito finché non avesse sciolto entrambi.

Lei sorrideva imbarazzata ogni volta che aveva a che fare con lui, le sue guance arrossivano vistosamente e i suoi occhi scintillavano più del solito, ma si ritraeva o si faceva fredda e pensierosa se lui andava più in là del consentito; se provava ad allungare una mano per afferrare la sua, per esempio, o se la distanza tra loro si faceva troppo intima, troppo vicina.
Isabel sembrava confusa da tutte quelle attenzioni e sembrava non sapere come gestire la cosa. Donnie gli aveva spiegato il perché, come al solito l'unico che c'era arrivato.

Certo che è confusa! Isabel non ha mai avuto uno spasimante, qualcuno che si interessasse a lei. Ha passato la vita a fuggire e quello che è successo tra lei e Raph, pur non sapendo esattamente cosa sia successo, non me la sento di definirlo un normale rapporto, con uscite e complimenti e cose del genere. Isabel non si è mai sentita desiderata e non sa come comportarsi” gli aveva spiegato il genio quando si era confidato con lui, mentre si puliva le mani sporche di grasso per via della riparazione ad un veicolo nell'officina.

E tutto aveva avuto senso, ma era anche diventato più complesso. Isabel era in un certo senso molto fragile e confusa, facilmente influenzabile, e saperlo e andare comunque avanti non sarebbe stato come approfittare delle sue incertezze, del suo desiderio di essere amata?
Continuava a chiederselo, in un'aggrovigliata altalena di emozioni contrastanti. Sì, era giusto provarci. No, non era il momento adatto. Sì, era la sua occasione e non avrebbe indietreggiato per nessun motivo al mondo. No, doveva rispettare i suoi tempi e i suoi spazi.
E via così, per giorni in cui solo il pensiero di lei affollava ogni secondo, e il cuore bruciava tra desiderio e dubbio.

Ma ogni cosa, alla fine, venne spazzata via, quella mattina in cui lei aveva sorriso e aveva acconsentito con un solo cenno del capo alla sua proposta. Un appuntamento. Una sera che avrebbe potuto passare con lei da solo. Già solo il fatto che lei avesse accettato, certo dopo settimane di sua insistenza, aveva cancellato ogni incertezza e se e ma, riempiendolo invece di euforia, tanta da desiderare quasi di urlare, tanta che avrebbe potuto percorrere otto volte il giro del mondo, se solo ci avesse provato.
Non gli importava sapere perché lei avesse acconsentito, se per pena o sfinimento, o perché volesse davvero passare del tempo da sola con lui; non importava, perché se fosse riuscito a conquistare il suo cuore, il momento in cui era accaduto non sarebbe mai stato importante.

Perciò, attese quel momento, con trepidazione palpabile, con ansia sottile, con la morsa del cuore.
E solo una piccola parte di sé pensò a Raphael, solo per un momento, forse per un leggero riguardo, forse per la sua stupidità. Suo fratello non gli aveva più rivolto la parola, dopo quella discussione; non l'aveva più rivolta a nessuno, in effetti, e vagava solitario per fatti suoi, cercando di non curarsi di loro. E anche se lui, Leo, riusciva a sentire la sua rabbia e la sua tristezza, per una volta fece finta di niente, anche se sì, faceva male.



Donnie! Donnie! Guarda qua!” tuonò la voce di Isabel nel rifugio, entrando come un'ossessa sventolando in alto di qua e di là dei fogli bianchi che teneva in mano.
Gli occhi le scintillavano e aveva un sorriso enorme in viso, il respiro affannato per la corsa che doveva aver fatto.
La porta del laboratorio si spalancò e Donatello uscì, con ancora la maschera da saldatore in viso. La sollevò e le mandò uno sguardo sorpreso e confuso, mentre lei si fermava a pochi passi, col fiatone, agitandogli i fogli sotto il naso. L'amico ne afferrò uno e lo lesse con attenzione, da cima a fondo, e più leggeva più diventava scuro per l'agitazione; Isabel avrebbe potuto giurare che era arrossito.

Le mani verde oliva tenevano stretto il foglio come se fosse la mappa per il più grande tesoro del mondo, e un po' tremavano, per l'emozione.
C'era il suo nome su quel foglio, nero su bianco, con altre parole pompose e ufficiose e sigilli e firme svolazzanti, ma il succo era ovvio già alla prima occhiata:
Donatello Hamato, accettato come studente di medicina. Con una nota di merito per aver passato il test di ingresso con il massimo dei voti.

Quando Isabel lo aveva convinto a compilare il modulo di iscrizione e il test che veniva fornito agli aspiranti iscritti, lui lo aveva fatto con un lieve cinismo, con una flebile punta di sfiducia, dicendosi che non era possibile alla fine dei conti che potesse davvero frequentare i corsi, seppure da casa.
E in tutto quel tempo, se n'era persino dimenticato, aveva relegato quel piccolo sogno in un angolo, perché era certo che tale sarebbe rimasto.
Rilesse ancora una volta il nome sul foglio, solo per essere sicuro che non se lo fosse immaginato.

Era tutto vero.
Scoppiò in una risata fragorosa, completamente ebbro di felicità, e allungando le mani abbracciò Isabel con trasporto.

Sono uno studente di medicina! Gli Stati Uniti mi hanno accettato come studente di medicina!” annunciò con un tono decisamente alto, sollevando l'amica dal terreno. Isabel rideva, contenta della sua gioia. Era raro vederlo così felice e quasi fuori controllo, era raro che esprimesse il suo affetto e la sua euforia in quel modo.
Siamo studenti di medicina!”

Don la rimise giù, tornando a guardare quel foglio che per lui rappresentava ben più del misero pezzo di carta che sembrava.
Non so se puoi capire... l'Università sa che esisto. Io come persona, non come mutante” mormorò assorto, incredulo di ciò che stava dicendo.
Donnie, ti capisco benissimo. Neanche io ho avuto un'identità, per troppi anni. Non ero nessuno, nessuno sapeva che esistevo anche io al mondo, che avevo un nome, una voce, dei sogni. Ma guardaci: esistiamo. E proveremo quanto siamo in gamba!”
Si abbracciarono ancora una volta, troppo emozionati per parlare.

Ehy, che succede qui? Abbracci clandestini? Anche io voglio un abbraccio clandestino!”

Si voltarono entrambi verso Mikey, in attesa a fianco a loro con le braccia spalancate e le mani che si aprivano e chiudevano come quelle di un bambino che smaniava per qualcosa. Dopo un fugace sguardo lo accolsero nell'abbraccio.
Oh, ehy! Beh, non mi posso proprio lamentare. Cosa si festeggia?” domandò con un lieve imbarazzo, ricambiando il loro affetto.
Frequenteremo Medicina, Mikey!” lo mise al corrente il fratello, lasciandoli andare.

Michelangelo sollevò un sopracciglio, perplesso.
Ah, tutto questo entusiasmo perché dovrete studiare come muli per i prossimi anni? Che tu fossi un po' tocco lo sapevo, fratello, ma Isabel è troppo carina per essere matta! Smetti di plagiarla! Smeeeetti!”
Trascinò via la ragazza dall'influenza celebrale di Don, con gli occhi a fessura, mentre loro due ridevano.
Il suono delle loro risate e il baccano delle loro voci evidentemente era molto alto, perché attirò l'attenzione di Leo e di Steve, che uscirono dal dojo con un po' di curiosità.

Che succede?” chiese il leader, avvicinandosi a loro a grandi passi.
Isabel divenne tesa all'istante, solo un lieve irrigidimento degli arti, ma nessuno se ne accorse davvero a parte lui. Che le sorrise brevemente, sperando di non essere visto dagli altri.

Don e Isabel li misero al corrente della novità, prendendosi poi i loro auguri contenti e soddisfatti, in un clima di euforia crescente.
Adesso sai che cosa desidero?” esplose d'un tratto Isabel, prendendo Don per un braccio con agitazione.
Il genio, forse per la prima volta in vita sua, non seppe cosa rispondere. E l'espressione di entusiasta attesa di lei lo mandava ancora più nel panico.

N-no” titubò, confuso.
Spiegazioni su tutto ciò che sai sulla vostra costituzione fisica e campioni di DNA da studiare!” trillò lei elettrizzata, come se stesse chiedendo caramelle e fiori e non pezzi di pelle e sangue. Il loro.

Don non fu il solo a sollevare le sopracciglia, sorpreso dalla richiesta. Poi però, con uno sbuffo del naso, ironico, fu quello che sorrise alla ragazza.
Non credo che ci sia bisogno di tagliuzzarci, dottoressa Frankenstein. Leather Head ha dei rapporti su nostre vecchie ferite e studi e alcuni vecchi campioni di sangue che puoi usare e studiare a tuo piacere. E da oggi in poi dormirò con un occhio aperto!” scherzò Don, canzonandola.
Lei rispose con una linguaccia e la pretesa che andassero immediatamente da Leather Head, per prendere possesso delle informazioni e dei campioni, ovviamente, ma facendo finta di volerlo solo informare della loro ammissione in Medicina.

Don sbuffò solo una volta, poi acconsentì, alzando gli occhi al cielo, incamminandosi verso il laboratorio per lasciare la maschera da saldatore.
Isabel gli stava andando dietro, quando una mano si chiuse sul suo polso, fermandola. Si voltò per incontrare lo sguardo di Leo, assorto e profondo, che non vedeva che lei.

Ti ricordi del nostro appuntamento, vero?” le chiese con un sussurro, il pollice che sfiorava la pelle delicata del suo braccio in lente spirali.
Isabel arrossì, forse per il contatto, forse per la menzione del loro appuntamento per quella sera; annuì lievemente con un timido sorriso poi, spezzando con delicatezza la sua presa, si allontanò velocemente, sparendo dal rifugio per prima.
Lui l'aveva seguita con lo sguardo, col batticuore.

Oh cielo. Cos'era quello?” esclamò la voce esasperata di Mikey, seguita da due identiche risate. Lui e Steve ridacchiavano tra loro, reggendosi uno all'altro.
Cosa?” soffiò sospettoso Leo, incerto se lo stessero prendendo in giro.
Il fratello e l'amico si schiarirono le gole, smettendo di ridere, e si misero l'uno di fronte all'altro, seri come non mai. Steve fece finta di andare via e la mano di Mikey si allungò per trattenerlo, di fretta.

Ti ricordi del nostro appuntamento, vero?” recitò a memoria, con tono enfaticamente accorato.
Steve fece finta di arrossire e si nascose il viso con la mano libera, annuendo civettuolo.
Poi entrambi scoppiarono a ridere spudoratamente, senza ritegno, davanti alla sua faccia.

E allora?” sbottò punto nel vivo Leo, cercando di sovrastare i loro schiamazzi.
E allora era pessimo!” rispose Mikey quando fu sicuro di poter parlare senza tossire.
Zero punti!” rincarò la dose Steve, dandogli man forte.
Patetico.”
Decisamente disperato.”
Oh, andate al diavolo!” esplose Leo, suscitando in loro un nuovo attacco di risa.

Quei due assieme non combinavano niente di buono. Mikey non faceva altro che insegnargli ad andare sullo skate o i trucchi che conosceva ai videogiochi o altre cose futili, come l'organizzare scherzi alle loro spalle.
Decisamente Mikey era fin troppo contento dell'amicizia con Steve. Sembrava quasi volesse adottarselo come fratello minore, d'altronde continuava ad adottare chiunque gli piacesse, che l'interessato volesse o meno.

Si voltò per andarsene e le risate si spensero all'istante. O forse semplicemente la sorpresa aveva escluso ogni suono che lo circondasse.
C'era Raphael, di fronte a lui, che si godeva la loro scenetta con volto imperscrutabile. A Leo parve quasi di sentire la voce di Mikey che con un tono sin troppo falso chiedeva a Steve di accompagnarlo in cucina per qualcosa che non capì davvero. Poi il veloce scalpiccio dei loro passi si allontanò e il silenzio ripiombò.

Leo respirò a fondo e si slanciò in avanti, sorpassando Raph senza una parola, diretto verso la scaletta per i piani superiori.
Voglio che tu la smetta” lo raggiunse la voce del fratello, come un ordine secco e deciso.
Si bloccò interdetto, ma non si voltò a guardarlo.

Smettila adesso, prima che sia troppo tardi.”
Tardi per cosa... per chi?” domandò, anche se aveva già capito da sé la risposta.
Non costringermi a farti desistere con la forza” minacciò Raphael, il tono della voce cupo e serio come mai prima. Non con un fratello, almeno.

Leo si voltò così velocemente che se lo trovò di fronte prima ancora che potesse davvero rendersene conto, a nemmeno un centimetro di distanza dalla sua faccia, una vena che pulsava nella tempia.
Sembra che tu abbia confuso la mia gentilezza con l'arrendevolezza, negli anni. Non indietreggio perché tu me lo comandi, non succederà mai. E se vuoi essere coerente con te stesso, dimmi di farmi da parte perché hai finalmente le palle per stare con lei. Altrimenti sparisci dalla sua vita definitivamente” esalò gelidamente ostile, sostenendo il suo sguardo assassino.

Rimasero immobili a confrontarsi, con palesi intenzioni violente l'uno verso l'altro, e chissà come sarebbe sfociata la situazione, se Don non fosse uscito dal laboratorio e li avesse sorpresi.
Cosa sta succedendo?” domandò anche se sapeva già la risposta, con un tono leggermente alterato.
I due si allontanarono all'istante uno dall'altro, senza una parola, ma con gli sguardi che bruciavano tanto erano intensi.
Leo se ne andò per primo, salendo la scaletta come un fulmine, nello spesso silenzio.

Lo sai che ha ragione, vero?”
La voce di Don lo trafisse come una pugnalata al cuore. Era l'effetto che gli faceva ogni verità pronunciata da lui. E come aveva anche solo potuto dubitare che suo fratello non avesse capito tutta la situazione, persino quello che lui nascondeva?
Raph voleva dirgli che non aveva ragione, che non capivano niente, che non sapevano davvero niente, ma non lo fece. Non spezzò quel perfetto silenzio di parole non dette e se ne andò anche lui verso la sua stanza, maledicendo tutto e tutti, soprattutto sé stesso.
Don rimase solo, a sospirare rumorosamente, un presagio di problemi imminenti nella mente.



L'appuntamento, che proprio tale non era, era infine arrivato. Leo si preparò mentalmente e fisicamente, anche se quello era stato il fattore più cruciale.
Perché, di tutte le cose che potevano mandarlo nel panico, lui aveva eletto la scelta d'abbigliamento. Gli era parso che andarci con la tuta fosse troppo abitudinario, ma con abiti normali gli sembrava di correre troppo, di spezzare la routine in maniera troppo diretta, come se sembrasse troppo ansioso di fare bella impressione; perciò alla fine, dopo essersi dato dell'idiota un'infinità di volte per assillarsi con una cosa del genere, aveva deciso che la tuta sarebbe andata benissimo, che era già un notevole passo avanti da quando se ne andavano in giro senza vestiti come se nulla fosse.
In fondo stava solo andando a cenare con lei e a guardare un film assieme. Perché mai doveva sentirsi agitato? O nervoso? E perché diamine sentiva di sudare come un dannato?

Incontrò una sorpresa una volta uscito dall'ascensore, ad attenderlo nel garage. Steve gli stava porgendo un mazzo di fiori con un grosso sorrisone, come se non ci fosse nulla di strano nel trovarsi lì con un bouquet colorato nelle mani, nella rimessa abbandonata di un gruppo di mutanti.
Come se fosse capitato lì per caso.

Grazie, ma non sei il mio tipo. Sei troppo giovane, sai, e c'è una che mi piace” disse Leo ironico, incamminandosi verso il furgone.
Ah, capito. Allora, Romeo, vai pure al tuo appuntamento a mani vuote, come il peggiore dei cafoni” ribatté Steve piccato, andandogli dietro.

Leo si fermò mentre saliva sul veicolo, poi allungò una mano e afferrò il bouquet, con un sorriso di ringraziamento per quel giovane monello che ne pensava decisamente troppe. Appoggiò delicatamente i fiori nel sedile del passeggero e si mise alla guida. Steve si sporse all'interno dal finestrino.
Mi raccomando, fai da bravo. E non fare niente che non farei io. Letteralmente” si raccomandò il ragazzo con tono solenne, prima che la mano di Leo lo risospingesse fuori, con uno sbuffo esasperato.

Il rombo del motore, la saracinesca del garage si sollevò e Leo sparì in pochi istanti, con un grazie urlato nella sua direzione.
Guidò con sicurezza nel traffico, con la mente assorta in tutt'altro: sarebbe entrato nell'appartamento, per la prima volta, dalla porta di ingresso. Certo, ad un occhio umano sarebbe parso decisamente meno emozionante dell'entrata dalla finestra, ma per un mutante... era un sogno.

Parcheggiò il furgone e respirò a fondo prima di scendere. Non perché avesse paura di essere visto, ma per calmare i nervi tesi. Lo sguardo saettò verso l'alto, verso il quadratino luminoso che sapeva essere l'appartamento di Isabel.
Non sapevano dove avesse vissuto nel periodo in cui avevano perso ogni memoria di lei e lei non lo aveva detto, ma una volta tornata da loro, aveva ripreso possesso dell'appartamento nel Village, benché avesse del miracoloso che nessuno lo avesse affittato nel frattempo. Magico, per certo.

Salì le scale di corsa, per essere certo di non incontrare nessuno, e si fermò davanti alla porta dell'appartamento quasi senza fiato, ma non era di certo solo per lo sforzo.
Prese dei profondi respiri e bussò.
Un lieve scalpiccio arrivò alle sue orecchie e poi la porta si aprì, rivelando il viso sorpreso di Isabel. Osservava il mazzo di fiori, che non si era aspettata, con un misto di imbarazzo e stupore, arrossendo tra le dalie e le genziane.
Leo ringraziò mentalmente Steve per avergli dato una mano; il sorriso impacciato di lei era quanto di più bello avesse visto.

Ciao” soffiarono entrambi, in contemporanea. Leo le tese i fiori con una risatina nervosa e lei ringraziò timidamente, invitandolo ad entrare.

Isabel si diresse in cucina mentre lui chiudeva la porta, per mettere i fiori in un vaso. Notò con piacere che anche lei aveva mantenuto un abbigliamento casual, pantalone e maglietta, e che, come sempre quando era in casa, girava scalza.
Si era preoccupato di cosa dire e come comportarsi durante la serata, ma alla fine risultò più semplice di quanto pensasse; sì, la tensione era palpabile, ma non fu così difficile come credeva sarebbe stato.
Mangiarono e chiacchierarono in un clima intimo seppure leggermente teso; a volte c'erano dei silenzi imbarazzati, ma la sera passò in maniera spontanea e gran parte del nervosismo che sentivano, entrambi, lasciò spazio ad una gradevole sensazione di serenità.

Lavarono i piatti assieme prima di passare in salotto a guardare il film, anche se Isabel aveva insistito perché non si scomodasse; ovviamente ogni parola con lui era stata sprecata, perché voleva dare una mano e l'avrebbe fatto.
Che film vuoi guardare?” le chiese passandole un piatto gocciolante, che lei asciugò con cura.
Non lo so. Ci ho pensato molto, ma non sapevo cosa scegliere. Non so se preferisco un film d'azione o un thriller o avventura o...” elencò ponendo il piatto a posto nella credenza.
E se guardassimo qualcosa di già visto, che sai che ti piace?” propose lui con un mezzo sorriso.
Lei lo guardò confusa per un secondo, poi si illuminò.

Il gigante di ferro? Oh sì, perché no?” acconsentì contenta, sbrigandosi ad asciugare le stoviglie per poterlo guardare.

Leo allungò la mano per prendere il sapone per piatti, ma afferrò invece per sbaglio il suo braccio, Isabel si scostò inconsciamente e accadde tutta una sequela velocissima di reazioni a catena: il piede nudo slittò sulle goccioline d'acqua cadute sul pavimento, il gomito urtò il bicchiere poggiato sul bordo del mobile, che piombò a terra frantumandosi in un pioggia di vetro cristallino e Isabel ci finì sopra proprio col piede, mentre cercava di frenare la perdita d'equilibrio.
Con un'imprecazione stretta tra i denti, cadde a terra, macchiando di piccole gocce di sangue il pavimento.

Leo si chinò velocemente e la prese in braccio, con mille domande su come stesse, portandola in bagno perché non camminasse sui vetri.
Fai vedere” le chiese una volta lì, prendendo il piede tra le sue mani e portandolo alla vasca per sciacquare via il sangue e vedere la ferita. Alcune piccole schegge di vetro caddero nel vortice d'acqua, facendo stillare altro rosso.
Con le dita ne tolse una più grossa, facendo attenzione a non farle male.

Mhm, credo che ci siano rimasti dei frammenti di vetro dentro” disse assorto, dopo aver dato un'occhiata scrupolosa.
Vado a prendere la pinzetta per poterli togliere” esclamò Isabel, saltellando con una gamba sola fuori dalla stanza da bagno, senza alcuna esitazione, senza nemmeno pensare di chiedere a lui di prenderla.

Leo la seguì immediatamente, con un'idea folle in mente, ma che doveva proprio dirle. Nel peggiore dei casi lei avrebbe rifiutato.
Posso curarti?” propose, tutto d'un fiato. Poi trattenne il fiato, senza accorgersene, mentre lei si voltava a guardarlo, fermando la sua corsa rimbalzante vicino al divano, al quale si appoggiò.
Isabel lo osservava nel silenzio, mentre gocce d'acqua e di sangue cadevano dal suo piede e si schiantavano al suolo.
La domanda poteva sembrare innocua, ma lo sapevano entrambi che in realtà, il vero significato era: “posso baciarti?”
Perché per curarla doveva necessariamente baciarla.

Solo... solo curarti” aggiunse Leo con premura, accortosi della sua reticenza. “Non potresti camminare per giorni, anche se mettessi la tua crema magica.”
Come era vero. Lei lo sapeva che aveva ragione, ma stava pensando se fosse giusto anche un semplice bacio a fior di labbra tra loro, perché le cose erano confuse e potevano incasinarsi ancora di più.
Ma lui aveva ragione.

Leo aveva parlato sinceramente preoccupato per la sua condizione, eppure quando lei si avvicinò a saltelli, e lui si mosse per andarle incontro, non poté evitare per un istante di pensare a come tutto sembrasse così conveniente per lui.
Isabel cercò un appiglio nelle sue braccia, sostenendosi ai suoi avambracci, e si sporse verso l'alto, solo con una lieve esitazione.
E stavolta il bacio fu diverso, completamente. C'erano le sue labbra che gli andavano incontro, in un fugace e perfetto e irreplicabile ed eterno momento, morbide e calde, che tremavano nel contatto.

Forse, anzi sicuramente, se tutta la sua concentrazione non fosse stata per Isabel, per quel bacio, per il batticuore e quell'emozione che nasceva nel suo cuore, si sarebbe accorto degli occhi che guardavano quel momento sin troppo intimo incorniciato dalla grande finestra a vetri, dal tetto del palazzo di fronte, con propositi tutt'altro che amichevoli.


Note:
Grazie di cuore per seguire, leggere, commentare, preferire, ricordare queste mie storie. Ve ne sono grata.
Abbraccio sincero


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Capitolo 31
*** ...It gets under your skin and can poison your life ***


Quel bacio gli era rimasto appiccicato addosso.
Impresso nella mente, senza possibilità di scordarlo.
Non era stato niente, lo sapeva, ma non poteva fare a meno di pensarci; soprattutto la notte, quando vagava per i tetti, era il pensiero che lo seguiva e accompagnava, da quasi una settimana.

Non era improvvisamente impazzito negando la realtà, era conscio del fatto che lei fosse ancora innamorata di suo fratello, ma non riusciva a non vedere l'accaduto sotto una flebile luce di speranza. Il bacio era stato lieve e casto, ma lei non si era ritratta spaventata o disgustata o inorridita; era arrossita, invece.
E aveva acconsentito a vedersi ancora, per replicare la serata; possibilmente senza incidenti di sorta, per la volta successiva.

Sorrise entusiasta, al solo ricordarlo.
Cos'è quel ghigno inquietante sulla tua faccia?” domandò la voce di Donatello, riportandolo sul pianeta terra, lì sul tetto del grattacielo nel giro di ronda.

Si erano divisi in due gruppi quella notte ed era toccato a Mikey stare con Raph: di mettere Leo in coppia con lui non se ne parlava nemmeno, se non volevano raccogliere pezzi di tartaruga mutante dalle strade, e Raph non gradiva le domande di Don, o meglio i suoi consigli veritieri, perciò non c'era stata una vera scelta.
Sperarono che Mikey non infastidisse troppo il loro fratello. Non era proprio una buona cosa, in quel momento.

Leo si grattò il collo in imbarazzo, deviando lo sguardo. In effetti Don ormai sapeva, non ci sarebbe stato niente di male nel confidarsi con lui... o forse sì?
Ah, no! Non voglio saperne nulla!” lo interruppe l'altro prima che potesse anche solo decidere se parlare. Aveva già capito tutto.
Sono neutrale, io. Tengo per entrambi e nessuno allo stesso tempo!” lo informò seriamente.

Leo lasciò andare le spalle, un po' deluso, un po' rincuorato.
Già, Donnie sapeva che sia lui che Raph erano innamorati di lei, a differenza degli altri; se l'avesse saputo Mikey, che il loro fratello era ancora innamorato di Isabel, avrebbe alzato un polverone, lo avrebbe sgridato per mettersi in mezzo a loro, avrebbe assillato Raph per il modo in cui si stava comportando e avrebbe messo al corrente lei della cosa, certo di fare la cosa giusta. D'altronde era un romantico che pensava alla felicità di tutti.
Ma Don non lo avrebbe mai fatto, lo sapeva.
Don si manteneva sopra le parti, Don rispettava le scelte e le prese di posizione che ognuno sceglieva di fare; certo, se non era d'accordo continuava sottilmente a fare domande per instillare il dubbio nel suo interlocutore, per spingerlo a ragionare con la sua testa, ma non avrebbe mai impedito a qualcuno di agire a proprio modo.

Tu sei sempre convinto di quello che stai facendo, vero?” chiese infatti dopo qualche secondo, dando conferma al suo pensiero.
Leo piegò appena la testa per incontrare il suo sguardo, illuminato dalle luci dei palazzi vicini.

Io... voglio solo...” gli disse, prima che un shellcell suonasse e interrompesse il suo discorso.

Si guardarono entrambi confusi e poi osservarono ognuno il proprio cellulare.

È mio” disse Leo premendo il pulsante di risposta. “Pronto?”
L-Leo... aiuto” esalò una voce stentata e spezzata dal dolore.
Steve? Steve! Dove sei, cos'è successo?” urlò allarmato, spaventando anche Don.

Il genio lo vide diventare sempre più livido e angosciato, man mano che ascoltava con attenzione e fatica al ricevitore, come se il suo interlocutore avesse difficoltà a parlare o lui a sentire.
Aspettami. Sto arrivando!” lo sentì dire alla fine, mettendo fine alla conversazione. Rimase un secondo con il telefono in mano e lo sguardo vacuo, come dilaniato da qualcosa.

Incontrò alla fine la sua espressione curiosa e preoccupata.
Steve è nei guai! È stato aggredito e ha parlato di Isabel...” lo mise al corrente, per quel poco che aveva capito. La paura e un'ansia pressante nel petto avevano cancellato la razionalità. La voce fragile di Steve gli aveva fatto male, ad ogni parola sofferta che l'amico aveva pronunciato.
Doveva correre a salvarlo, aiutarlo, capire cosa stesse succedendo.
Bastò un secondo, lo sguardo complice che si scambiarono, poi si gettarono contemporaneamente in una corsa precipitosa, saltando giù dal tetto.


Deve essere qui, da qualche parte!” strillò Leo con la voce rotta dal fiatone, girandosi tutt'intorno per scorgere la figura del piccolo amico.
Avevano corso come dei dannati, così veloci come poche altre volte erano stati; Leo guidava, dirigendosi verso Soho, il quartiere dove Steve viveva con la sua famiglia. E in quel momento lo cercavano per ogni viottolo o stradina secondaria, con paura.

Steve? Rispondi, Steve!” gridò ancora il leader, con una sottile angoscia sotto pelle, il sangue che correva veloce nelle vene.

Era tutto molto strano. Lo aveva sfiorato anche il pensiero che fosse in realtà uno scherzo o una trappola, ma Steve non gli avrebbe teso nessuna delle due, nemmeno se fosse stato costretto, lo sapeva.
Leo” esalò la voce familiare, esile, lontana. Proveniva dal vicolo vicino, ma sembrava così affaticata.

Lui e Don arrivarono di volata, e lì si bloccarono. Arrabbiati. Sconvolti.
Steve stava appoggiato al muretto, vicino al cassonetto dell'immondizia, ma sarebbe stato più giusto dire che era accasciato contro di esso: il volto era una maschera viola e pesta e il braccio sinistro giaceva inanimato contro il corpo; il respiro roco si spezzava in singulti se provava a prendere fiato più profondamente. I vestiti erano laceri e intrisi di macchie di sangue.
Sembrava una marionetta sporca e rotta che qualcuno aveva gettato senza cura.

Gli occhi, solo quelli erano vivi, luminosi e sofferenti. Incontrarono lo sguardo dei due mutanti e quasi splendettero di sollievo. I lacrimoni lo sommergevano. Provò quasi a sorridere, ma lo spacco nel labbro inferiore lo fece desistere.
Steve, come stai? Chi ti ha fatto questo?” domandò Leo con sofferenza, una volta che si fu avvicinato. Le sue mani si bloccarono a mezz'aria, con il desiderio di aiutarlo e la paura di fargli più male. Don, invece, premeva con garbo per valutare i danni, suscitando qualche smorfia e mugugno di dolore nel ragazzo.

La sua espressione seria non prometteva nulla di buono.
H-han-no...” provò a dire il ragazzino, con un suono rasposo ogni volta che prendeva fiato, la voce spezzata e sottile.
C'era un grosso livido viola sulla sua gola, delle dita impresse nella sua pelle bianca. Qualcuno doveva aver provato a strozzarlo e probabilmente gli aveva leso la trachea.

Non parlare, Steve!” lo ammonì Don, passando delicatamente le dita sul collo, controllando che non ci fossero altre ferite.

Ma lui non volle ascoltarlo. Scosse la testa, con un mugolio di dolore, e con lucciconi negli occhi di frustrazione. Doveva parlare, voleva parlare, perché era già tardi e loro dovevano sapere. Prese il respiro più grande che gli riuscì.
P-pre-so... Isa” singultò con enorme sforzo, lo sguardo poggiato solo su Leo, perché capisse.

Il leader sbiancò immediatamente, il sangue smise di correre nelle vene, il respiro si spezzò.
Chi? CHI?” urlò un istante dopo, le mani che tremavano, strette a pugno, per resistere all'impulso di scuoterlo per sapere.

Steve si mosse appena, la mano sana scivolò e raggiunse la tasca della camicia, le dita strinsero un foglietto di carta piegato con cura, troppo pulito e intonso perché potesse averlo messo lì Steve, con le mani piene di sangue e terra. Lo tese con tutta la forza che gli riuscì, tremolando il meno possibile.
Leo lo prese e lo aprì con foga, stropicciando la carta nel procedimento, e la sua più grande paura prese forma, vergata a mano, in inchiostro nero.

Occhio per occhio
Dente per dente,
Mano per...

Hun” esalò sconvolto, rileggendo più e più volte quelle frasi che promettevano un orrore senza fine.
No. Perché? Perché Isabel? Perché, se Hun voleva punirlo, aveva preso lei ma lasciato vivo Steve?

Perché l'ha presa? Perché non si è difesa? Dove l'ha portata?” domandò senza respirare.
Roh-rohypnol” riuscì a dire Steve, strizzando gli occhi. Sembrava che fosse sul punto di svenire, ma si stesse sforzando per rimanere cosciente, più che poteva.

Leo corrucciò lo sguardo, confuso; fu Don a trattenere il fiato, invece.
Il rohypnol è una droga con profondi effetti sedativi. È chiamata anche la droga dello stupro” rivelò con un sussurro agghiacciato, guardandolo con terrore.
Leonardo tremò. E la fastidiosa, pungente voce di Hun esplose nella sua mente, quella minaccia velata che nel loro ultimo scontro sembrava gettata lì casualmente:

La prossima volta potrei decidere di non colpirla. Potrei farla rapire e divertirmi un po' con lei, prima di ucciderla.”

No. No! NO!
Isabel era in pericolo. Isabel era stata presa per colpa sua. Isabel era nelle sue grinfie e chissà che cosa... no, doveva impedirlo.

Dov'è? Dove l'hanno portata?” gridò, incurante delle loro facce. Era in preda alla disperazione e l'angoscia e non gli importava niente se si vedeva.
Of-ficina.”
Leo capì. Gli bastò quella parola. L'officina abbandonata nel Bronx, dove lui e Raph avevano fatto una strage. Dove lui aveva mozzato la mano di Hun.

Si alzò di scatto, ma la mano di Steve si chiuse sulla sua caviglia, bloccando il suo passo.
Pro-vato... pro-tegger-la” gli disse con fatica, gli occhioni lucidi che chiedevano perdono.

Leo si inchinò e gli strinse la mano, con affetto e fierezza.
Lo so. Sei stato bravissimo, un vero guerriero” lo rassicurò, con un tenue sorriso.

Donnie, lo lascio nelle tue mani” aggiunse poi con fiducia, rialzandosi con uno scatto deciso e fiondandosi nella notte, senza uno sguardo indietro, divorato dalla fretta e l'agitazione.
Donatello fece come gli era stato chiesto. Tolse l'auricolare dal shell cell e lo posizionò sul foro auditivo, premendo il pulsante di chiamata, mentre cercava di capire se potesse muovere Steve per poterlo prendere in braccio.

April? Sono Don, ho bisogno del vostro aiuto...” disse quando la voce dall'altra parte del telefono rispose.
Non poteva di certo portare Steve all'ospedale per conto proprio, ma lo avrebbe affidato a due umani in gamba. Decisamente in gamba.



Che serata noiosa” esalò scontento Mikey, trotterellando dietro suo fratello con aria assorta, attento a non perdere un dettaglio di quello che stava succedendo sotto, nel caso ci fosse qualche emergenza.
Dovresti essere contento. Almeno tornerai a casa subito e potrai giocare ai videogiochi o mangiare o fare qualsiasi altra cosa che tu chiami passatempo” fu la risposta cinica di Raphael, che tirava dritto senza prestare davvero attenzione a niente.
Non era nell'umore giusto per niente. Se non quello di spaccare la faccia a qualcuno. Un certo qualcuno.

Camminarono ancora un po' sui tetti, vagando senza una meta precisa, finché un grido di donna squarciò il solito sottofondo di New York, composto da un imprecisato numero di rumori che si mescolavano l'uno con l'altro.
Mikey si gettò immediatamente, nemmeno l'avesse previsto, i Nunchaku che già roteavano impazziti nelle mani.
Raph si accodò alla scia, più per controllare che non fosse suo fratello a farsi male, magari pure da solo, quando il telefonino squillò.

Prese il Shell cell dalla tasca e osservò il display prima di rispondere. Se fosse stato Leo non si sarebbe preso nemmeno il disturbo.
Don? Cosa vuo...” rispose annoiato, zittendosi all'istante.
La corsa si fermò bruscamente e il cuore perse un battito. Strinse il telefonino nella mano così forte che scricchiolò appena, ma lui non ci fece caso.

Cosa? Quando? DOVE?” urlò fuori di sé, tanto che Michelangelo si bloccò spaventato, prima di potersi lanciare nel vuoto per aiutare la donna misteriosa che aveva urlato, e si voltò a guardarlo in apprensione.

Raphael ascoltò con attenzione la voce di Don nel ricevitore, poi chiuse con fretta.
Pensaci tu qui. Io devo andare!” strillò al fratello, correndo via senza aggiungere altro, come se stesse scappando dalla morte.
Raph! Aspetta! Cos'è succes...” provò a urlargli dietro, ma ormai l'altro era sparito veloce come un fulmine, impossibile da afferrare.
Cosa diamine sta succedendo?” esalò preoccupato, gettandosi poi di sotto per aiutare la donna in difficoltà.


Leonardo si catapultò su verso il successivo palazzo, saltando il divario con un solo salto pulito, nonostante fosse molto distante; gli bastarono un paio di capriole a mezz'aria e una a terra sul tetto, per frenare la velocità. Si rialzò deciso e osservò brevemente la familiare palazzina di fronte a sé, già teatro della sua furia.
E quella sera avrebbe replicato.

Aveva fatto più velocemente possibile, saltando sui tettucci delle macchine in corsa verso il Bronx, cambiando ogni volta che lo riteneva necessario, avanzando sulla vettura più veloce, per guadagnare tempo; Hun e i suoi avevano già un discreto vantaggio, non poteva lasciargliene ancora. E al diavolo se qualcuno lo avesse visto.
Il pensiero di cosa potessero farle lo faceva impazzire. Insieme a quella domanda, che lo faceva sentire in colpa: perché lei? Perché Isabel? Hun non poteva sapere che la amasse, no?
Ma allora perché colpire proprio lei, perché? Se le fosse successo qualcosa, non se lo sarebbe mai perdonato.

Entrò dalla porta divelta che lui e Raph avevano sfondato la volta precedente. Era ancora lì per terra, ricoperta di polvere.
Il palazzo era enorme, dove diamine potevano essere? Non poteva permettersi il lusso di cercare ovunque, avrebbe perso troppo tempo.
Poi lo sguardo cadde sulle flebili impronte nella polvere al suolo, difficili da vedere all'inizio, nella penombra.
Le seguì senza esitare un secondo. Se pure fosse stata una trappola, non avrebbe indietreggiato.
L'unica cosa che contava era salvare Isabel.


Raph correva. Dio, se correva. Forse non aveva mai corso così veloce; non lo sapeva, non gli importava.
C'era solo il suo nome nella testa.
Isabel. Isabel. Isabel.
Isabel nelle mani di Hun. Isabel drogata e incosciente. Isabel alla mercé sua e dei suoi uomini. Non si era dimenticato della sua minaccia, non avrebbe mai potuto.
Leo era già sulle loro tracce, era avvantaggiato, era già vicino, sicuramente; pregò che la trovasse, che la salvasse. Sì, Leo poteva farlo, era di certo più abile di lui, era più adatto. Era giusto.


Il leader stava scendendo le scale che portavano al sottopiano, saltandole a due a due, con le Katana sguainate di fronte a sé. Doveva essere guardingo e veloce allo stesso tempo e non era facile.
Di sotto trovò una piccola stanzetta ricolma di immondizia e bidoni di benzina arrugginiti, accatastati in un angolo; non c'era traccia di anima viva, ma una porticina si apriva dall'altro lato, su un lungo corridoio in penombra.

Ci si fiondò all'istante, tendendo le orecchie. Delle voci, fioche, arrivarono dal fondo.
Che schifo, sei sicuro?” chiese una voce in tono di ribrezzo.
A me non frega niente! Sbrigati, non resisto più!” disse una seconda voce, smaniosa.
Rilassati, non scappa mica! Sì, ti dico che si sono baciati. Lei e uno di quei schifosi mutanti” replicò una terza.

Leo spalancò gli occhi con paura e sorpresa, il batticuore così forte che gli feriva le orecchie. Li avevano visti. Quando l'aveva baciata per curarla, erano stati visti. Ecco perché Hun se l'era presa con lei. Lo aveva fatto spiare per cercare il suo punto debole, dove colpire per fargli più male e aveva scelto Isabel, ciò che bramava e che più temeva di perdere.
Era davvero tutta colpa sua.

Si scagliò con tutto il peso contro la porta e la abbatté con un colpo solo, mandandola a schiantarsi a terra con un gran tonfo: gli uomini all'interno si bloccarono in ciò che stavano facendo, voltandosi allarmati per cercare la fonte del caos.
E la sua rabbia che già montava a ondate nel petto crebbe, crebbe così tanto da soffocarlo.
C'erano almeno dieci uomini nella stanza: un paio dall'altra parte, la maggior parte invece vicino all'entrata, chini su lei che stava cercando, svenuta al suolo, poggiata in mezzo alla polvere e lo sporco: le loro mani viscide la toccavano, strappavano i suoi vestiti, la palpavano eccitati, pronti a gettarsi su di lei come bestie.

Vide rosso. Tutto rosso.
Per un istante fu solo nella sua testa, poi la stanza si riempì di grida e sangue, quando si gettò contro di loro con un urlo disumano, un ringhio atavico da animale primitivo.
Stramazzarono ai suoi piedi, come gli esseri insignificanti che erano, tra grida di dolore e paura, ma lui non li percepiva; cadevano come mosche, nella sua indifferenza.
Tutti quelli che avevano osato toccarla.
Si fermò col fiatone solo quando attorno a loro non ci fu più nessuno in piedi; corpi che si contorcevano a terra, urla e imprecazioni. Ma era sordo ad ogni suono.

Rinfoderò le spade insanguinate e si gettò letteralmente da lei, divorato dal terrore; ogni passo fu fin troppo lungo.
Era a terra, pallida, la pelle solcata dai graffi che quei luridi bastardi le avevano procurato mentre le strappavano via i vestiti, brandelli di intimo gli unici indumenti rimastile addosso. La sua mano corse al suo viso, carezzando una guancia tumefatta, scostando i capelli scarmigliati. Una piccola parte di sé era sollevato che lei non fosse cosciente; non avrebbe potuto sopportare il pensiero che avesse potuto vedere e vivere quel momento di orrore, che le si fosse inciso addosso come le torture subite in passato.

La sollevò appena dal suolo e se la strinse contro, sentendo il suo respiro flebile e corto, la freddezza del suo corpo.
Hun! Dove sei, maledetto bastardo?” urlò fuori di sé, spaventando i pochi uomini rimasti nella stanza.
E lo vide, quello che prima gli era sfuggito: uno di loro lo conosceva, lo aveva già visto, mentre lottava contro Raph, con tecniche senza pari.
Marcus lo stava osservando, un ghigno cinico e calcolato in volto, un po' più sciupato dell'ultima volta che lo aveva visto, ma indubbiamente vivo. Eppure gli era parso di capire che Raph lo avesse ucciso, allora come poteva essere lì?

Hun è qui, non preoccuparti. Si gode tutta la scena, al sicuro” lo informò l'uomo, con la sua voce gracchiante.
Sia io che lui abbiamo perso molto” rivelò Marcus sollevando la maglia, mostrandogli una grossa cicatrice che gli incideva l'addome, tagliando trasversalmente gli addominali scolpiti.
È difficile trovare un buon dottore, uno che non faccia domande. E a volte puoi rimetterci qualcosa, un pezzo di stomaco durante l'operazione, la mobilità di un arto... è normale venire a chiedere il giusto risarcimento a chi ha fatto questo.”

Leo era rimasto in ascolto, continuando a stringere Isabel a sé, sempre più inorridito, ma con una parte del cervello che cercava una via d'uscita, il più in fretta possibile: c'erano solo Marcus e altri due uomini nella stanza, ma non pensava che lo avrebbe lasciato andare facilmente, senza lottare; e se era sicuro che gli altri due non potessero fare poi molto contro di lui, sapeva per certo che Marcus non era uno da prendere alla leggera.

L'uomo, infatti, tolse con mano ferma una pistola assicurata dietro la schiena e gliela puntò contro.
Alzati e vieni verso di me. Lei lasciala pure lì, ci penseremo dopo” lo minacciò sottilmente, mentre tutto ciò che lui vedeva, ormai, era il foro della canna della pistola che diventava sempre più grande, come un buco nero che divorava ogni cosa.



Raphael si fermò ansimante, il sudore che colava giù senza freno, i muscoli che chiedevano pietà.
Era arrivato. Era alla fine arrivato.
Si guardò attorno, cercando una qualche traccia nella palazzina conosciuta, ma non c'era una luce a confermargli che fosse abitata, non un suono.

Tolse gli Shuko dalla taschina nascosta e li indossò sulle mani, artigliando poi il muro con forza e issandosi velocemente sulla sua superficie lurida e scrostata; superò facilmente il primo piano, il secondo, e arrivò all'ultimo, nella stessa finestra rotta da Leo, che dava sull'ufficio in disordine.
Entrò circospetto, ascoltando con concentrazione. Le schegge di vetro erano ancora lì sulla moquette consunta, sedie ancora rovesciate, uno spesso strato di polvere ad arredare meglio quel caos.

Si incamminò verso il corridoio e sguainò i Sai, per sicurezza, tendendo il collo a destra e sinistra per controllare fugacemente nelle stanze che si affacciavano su di esso, attento a possibili agguati.
I suoi passi non producevano alcun suono, il respiro non era altro che un breve inspirare ed espirare, per non produrre alcun rumore, mentre il cuore batteva così forte che avrebbe potuto giurare che quel battito tribale provenisse dalle pareti e non da lui.
Il corridoio sembrava non avere fine.

E invece, d'un tratto, arrivò davanti a quella porta e osservò quella targa dorata che disprezzava.
Lo sapeva, che lui era dietro la porta, poteva percepirlo, senza alcun dubbio. C'era solo da pensare come annunciarsi nel modo giusto.

Un tonfo si propagò nel corridoio vuoto, e poi un altro: al terzo la porta cedette e si schiantò a terra, con un forte boato, secco come un colpo di cannone; né lui né l'ospite dentro la stanza si spaventarono, comunque; si guardarono, mentre ancora il solido uscio vibrava a terra per il contraccolpo col suolo, sollevando vortici polverosi.
Hun si era voltato verso di lui, distogliendo lo sguardo dal grande schermo che adesso si trovava alle sue spalle, e sorrideva compiaciuto: il braccio sinistro era poggiato sulla scrivania, mettendo in bella mostra la protesi color acciaio al posto della mano tranciata da Leo. Era cesellata finemente, un gran lavoro di tecnica e pazienza, ma c'era qualcosa di innaturale nel modo in cui rimaneva poggiata contro il tavolo, come se qualcosa non funzionasse a dovere.

Dov'è Isabel?” domandò infine Raph, entrando nella stanza a passi lenti.
Il sorriso di Hun divenne ancora più grande, cinico, calcolatore, incredulo di così tanta fortuna.

Con una sola esca, abbiamo preso entrambi... anche tu te la fai con quella donna? Ve la passate tra voi, è la vostra puttanella?” insinuò l'omone, disgustato e sospettoso.

Raphael registrò quell'anche tu, come se Hun stesse alludendo che tra Leo e lei c'era stato qualcosa, ma scivolò via subito quando seguì con lo sguardo dove Hun gli indicava, focalizzando finalmente lo schermo dall'altra parte della stanza, che mostrava una camera logora e grigia, ripresa dall'alto: Leo stava scivolando in avanti con le mani alzate, verso quello che lui riconobbe come Marcus, coprendo col suo corpo la traiettoria di tiro verso lei, seminuda e incosciente, poggiata contro il muro come una bambola di pezza.
La risata volgare e cinica di Hun riempì la stanza e la sua testa e si sommò al suo orrore, con violenza.


Ti conviene non sbagliare il tiro. Perché se lo farai, non ti darò un'altra possibilità” minacciò Leonardo, con una sottile furia.
Marcus mantenne il suo ghigno e aggiustò la mira, per nulla colpito dalle sue parole: il rumore della detonazione riempì la stanza e, forse inconsciamente, Leo serrò la mandibola, attendendo il dolore.
Invece, sentì un pizzicore al collo e un diffuso bruciore, che scivolava nel suo corpo e invadeva la testa, pesantemente: portò la mano alla gola e afferrò la freccetta conficcata, portandola davanti al viso.
I colori esplosero improvvisamente, mischiandosi in un vortice infinito, mentre i contorni dell'oggetto si scioglievano come gelato al sole.

Cosa...” balbettò confuso e sempre più allarmato, provando a guardarsi intorno per cercare una risposta e un punto fermo: si sentì trascinare al di fuori del suo corpo, galleggiare pigramente senza peso.
E la voce ruvida di Marcus si fece strada tra il caos e il turbinare delle sue percezioni.

Salvia Divinorum, la droga psicoattiva più potente del mondo. Sperimenterai le allucinazioni più forti e reali mai provate prima. Goditela, finché dura!”

A Leo veniva da ridere. Stava galleggiando in una spirale di colori e riusciva a vedere fuori dal suo corpo, tutto quanto: c'era sé stesso che teneva la freccetta nella mano, rigirandola senza riuscire a sentire per davvero i confini fisici, come se non avesse più il tatto.
Poteva vedere il suo suono, invece, odorare il suo sapore.
Rise forte, strizzando le palpebre. C'era una confusione di tonalità anche lì dietro, alcuni non li aveva mai nemmeno visti.

Poi, lo sguardo del sé stesso che galleggiava, si posò sulla donna poggiata contro il muro.
Isabel. Isabel, sembrava splendere di luce propria, luminosa come una Dea.
Lui era lì per lei, gli disse una piccola parte del suo cervello. Doveva salvarla. Ma tutto era così strano, si sentiva nauseato. Di colpo tutto ritornò normale.
Era un continuo andare e venire della sua coscienza, come se qualcuno stesse premendo un interruttore che lo accendeva e lo spegneva, facendolo passare da uno stato cosciente ad un'allucinazione vivida; nei pochi istanti in cui tornava in sé, le allucinazioni sembravano ancora peggiori, dato che si rendeva perfettamente conto che sarebbero tornate, che non poteva combatterle.

Una colata di colori e suoni lo investì di nuovo e una leggerezza senza pari lo sollevò, lasciando perdere ogni altra cosa lo avesse impensierito fino a qualche attimo prima; c'era musica attorno a lui, musica che poteva vedere e toccare e frammenti di ricordi che ci galleggiavano dentro.
Sentì ridere, ma forse era la sua stessa risata.

Quando ritornò di nuovo in sé, ripiombando letteralmente nel suo corpo, si chiese se quello fosse un effetto voluto della droga o se invece non stesse funzionando perfettamente a causa della sua natura mutata.
Non era importante, gli diceva il cervello, doveva cercare un modo per rimanere cosciente il più a lungo possibile e scappare via portandola con sé. Altrimenti avrebbe continuato a rimanere alla loro mercé, con chissà quali conseguenze.
Senza contare che Isabel aveva di certo bisogno di cure immediate.

Sentì la realtà vacillare, l'arrivo della successiva botta, i dettagli che iniziavano a sfumare.
Fece l'unica cosa che l'esperienza gli suggerì: prese una delle Katana e la portò alla mano, facendo scorrere il filo lucido sulla carne, separandola di netto.
Lui gridò, gli altri risero. Li osservò riprendere i contorni netti e decisi, che ridevano ilari per quello che pensavano come il gesto di un drogato; strinse forte la mano sanguinante, infilando le unghie nella carne viva per sentire ancora di più il dolore.
Il dolore lo ancorava alla realtà, gli faceva percepire il confini fisici del suo corpo, attenuava il senso di dissociazione.

Con la Katana ancora rossa, barcollò in avanti, strizzando le palpebre ritmicamente: Marcus non era troppo lontano, lì a sganasciarsi con gusto, senza prenderlo nemmeno sul serio.
Sperò che le gambe non vacillassero.
Si gettò come una furia contro di lui e colpì, prima ancora che lui o gli altri potessero reagire. La sua spada incontrò qualcosa, anche se non seppe dire con certezza cosa.
Rosso, ovunque. Rosso secco e marcato, che non sfumò in nient'altro, rosso vivido e brillante e un grido agghiacciante, fu tutto ciò che percepì per certo.

Non aveva tempo per controllare, non voleva rimanere ancora, con la paura che tutto digradasse in altri vortici, portandosi via la sua razionalità. Indietreggiò velocemente, tenendo la spada ritta davanti a sé, gli occhi che saettavano sui visi sconvolti degli uomini ancora in piedi e si fermò solo quando toccò il muro con il guscio.
Mise via la spada e si inchinò, allora, per prendere Isabel tra le braccia; il suo sangue la macchiò, che gesto imperdonabile macchiare quella pelle lattea, pensò nello stesso istante, e se la strinse al petto con amore.
Era così piccola e delicata.

Con uno scatto fu in un secondo alla porta, che vagava in un mondo di penombra e luci che sapeva non potessero esserci davvero, che cercava un'uscita con disperazione.
Mentre correva, una voce esplose attorno, ma non era certo che non la stesse solo immaginando.

Prendeteli! Uccidetelo! Torturateli, divertitevi! Voglio vederlo morto!” urlava fuori di sé Hun, coprendo ogni altro suono, persino quelli che lui riusciva a vedere.


Nell'ufficio dell'ultimo piano, un uomo ghignava e l'altro gridava.
Raphael, con le braccia conserte, si gustava la scena nello schermo e quella davanti a sé: Leo aveva ucciso Marcus, un gesto fluido verso la carotide, ed era scappato sotto il loro naso, il tutto mentre sembrava in preda ad una forte psicosi, a vivide allucinazioni.
Hun lo aveva lasciato guardare, sin da quando Marcus aveva drogato suo fratello, certo che le cose sarebbero andate in loro favore; invece si era trovato con il suo braccio destro morto in un lago di sangue, la sua esca portata via e il nemico sul quale voleva vendicarsi in fuga.

Era livido di rabbia. Sbraitava in un interfono sulla scrivania, rosso in volto, alcune ciocche bianche sfuggite alla pettinatura laccata all'indietro che cadevano sulla fronte, le rughe ben visibili nella smorfia furiosa.

Beh, non è stato un piacere” disse Raph, congedandosi con l'intenzione di andare a cercare Leo e Isabel. Non era certo che suo fratello potesse uscire da lì senza una mano.
Non fare un passo!” strillò imperioso Hun, la voce mortalmente seria.
Raph si voltò di tre quarti, lentamente: l'omone si era alzato e lo guardava in cagnesco dall'altra parte della scrivania, leggermente pendente a destra, stranamente.
Si tolse con cura la giacca scura, usando solo la mano destra.

Un arto scintillante si mostrò, lì dove avrebbe creduto di vedere della carne.
Il braccio è andato in cancrena, dopo l'operazione. È quello che succede quando ti affidi a dottori della malavita e ti fai operare di nascosto, in luridi tuguri” raccontò con calma sofferta.
Prima ho perso l'avambraccio, poi la cancrena si è diffusa fino alla spalla” continuò imperterrito, la mano sana che toccava il gelido acciaio con gesti lenti, come se stesse rivivendo qualcosa di doloroso.

Poi la mano argentata scattò in aria, con uno schiocco secco, serrandosi a pugno. Si abbatté di colpo sulla scrivania, mandandola in mille pezzi con un cigolio cupo, le piccole schegge che vorticavano nell'aria.
Nessuno dei due serrò le palpebre, incuranti del pulviscolo, sfidandosi con lo sguardo.

Ma questo è un vero gioiellino, no?”
Va bene, d'altronde Leo ha fatto fuori Marcus... mi toccherà ucciderti per essere pari” soffiò sarcastico Raph, mettendo mani alle armi.


Ci siamo, resisti” sussurrò Leo, anche se Isabel non poteva affatto sentirlo. Stava parlando più per farsi coraggio che per essere ascoltato. E per non cedere alla nauseante sensazione di incostanza che minacciava sempre più di assalirlo; non batteva nemmeno le palpebre, per paura che quando le avesse riaperte, tutto fosse stato di nuovo inconsistente ed etereo.
Le grida di Hun erano sparite, ma nuove esplodevano da lontano. Insieme a rumori di passi, sempre più vicini.
Li stavano cercando e tutto stava perdendo di nuovo la stabilità, quel tripudio di luminescenza stava di nuovo balenando davanti ai suoi occhi. Non poteva permettersi di cedere alle allucinazioni nel bel mezzo della fuga, con la responsabilità della sicurezza di Isabel.
Doveva cercare un riparo, un posto dove nascondersi finché non fosse ritornato in sé.
Una porta apparve nel suo campo visivo e pregò davvero che non fosse solo un'illusione.


Raph si scansò con una torsione all'indietro, appena in tempo per evitare il pugno: sentì lo spostamento d'aria premergli contro la faccia, con violenza. Hun caricò anche con l'altro braccio, tra sinistri cigolii metallici.
Lui lo colpì col Sai per pararsi, ma slittò contro la superficie d'acciaio, senza lasciare un graffio.
Indubbiamente non era alla protesi meccanica che doveva mirare, se contava di vincere.

Hun era vigoroso e furioso come sempre, solo appena più lento del solito. D'altronde aveva perso un braccio, era anche solo miracoloso che fosse lì di fronte a lui a menargli cazzotti.
Doveva avere un punto debole, no?

Di certo la sua boccaccia era uno e molto grosso.
Vi ucciderò con gusto! Avete rovinato la mia vita troppo a lungo. E dopo di te prenderò tuo fratello e la sua puttanella. E dopo gli altri che mancano e il vostro schifoso padre. Non risparmierò neanche quel bastardo di Casey Jones e sua moglie. Oh, e non hanno un delizioso bambino, adesso?” continuava a ciarlare tra un colpo e l'altro, tra un affondo e una parata, cercando di fargli perdere la concentrazione.
Oh, sapeva che il ciccione si stava divertendo: sapeva che lui era il più collerico e voleva farlo arrabbiare con le sue parole, toccando i suoi nervi più scoperti, ciò che aveva di più caro.

Era ora di darci un taglio. Una volta per tutte.
Scivolò a destra, con meticolosa precisione e attese che Hun lo colpisse, ovviamente con il braccio che gli era più congeniale in quella posizione: il sinistro. Doveva solo evitare che quell'ammasso di acciaio lo prendesse o gli avrebbe sfondato il piastrone.
All'ultimo secondo, quando ormai il pugno d'acciaio era a pochi centimetri, solo allora si spostò all'indietro con uno scatto, per poi rituffarsi immediatamente in avanti con tutto il suo peso, col Sai sguainato di fronte a sé.

Il nuovo braccio meccanico era sì potente, ma dato che era un corpo estraneo appena attaccato al suo corpo, Hun non si era ancora abituato al suo peso e ogni volta che lo muoveva, gli serviva qualche secondo più del normale per poterlo riportare indietro.
Quello era il suo punto debole. Quello era il momento in cui approfittarne.
Hun si rese conto della sua mossa e, ancora sbilanciato, alzò il braccio per colpirlo con l'altro pugno, tentando il tutto per tutto.

L'impatto fu devastante. Le nocche di Hun lo colpirono alla mandibola e un dolore penetrante si diffuse con violenza nella testa, disorientandolo per un secondo; ogni suono si spezzò in frammenti colorati dietro le palpebre strette con forza al momento dello scontro.
Un rantolo riecheggiò.
Il Sai era arrivato dritto alla sua meta, conficcato nel petto di Hun; lui lo stringeva ancora convulsamente. L'omone cedette con un lieve gemito di dolore e si lasciò andare ginocchioni; Raph si scansò appena in tempo per non essere trascinato giù con lui e lo osservò portarsi le mani al petto, incredulo.

Strappò il Sai dal petto e un fiotto di sangue zampillò, sopra le sue mani.
Col rosso, non importava più quale fosse umana e quale meccanica: erano identiche, vischiose e scarlatte.
Ci fu un bagliore di lucidità negli occhi chiari dell'umano, forse l'ultimo: si posarono con rabbia e orrore su di lui, come a volerlo maledire. Come se la sua vita potesse essere peggio di come già non fosse.

Hun tossì con disgusto un rivolo di sangue e vacillò.
Nessuno tocca la mia famiglia” gli ricordò Raphael, quieto, come ultimo monito.
Hun ghignò, ma prima che potesse dirgli ciò che voleva, esalò un rantolo e si schiantò al suolo, con un tonfo. Raphael rimase in silenzio ad ascoltare, ma non c'era un suono. Hun non si mosse.


Il vero Leo si infranse nella sua mente, riportandolo alla ragione.
Sentì freddo, un gelido, mordente freddo che lo avvolgeva, risalire per gli arti intirizziti e le dita congelate. Il fiato si condensava in nuvole bianche nella penombra.
Gli occhi misero a fuoco la stanza in cui si era rifugiato e rabbrividì, in ogni modo possibile.

Cella frigorifera” esalò sconvolto, stringendo più forte Isabel. La sua pelle era gelida, più della sua.

Si alzò e calciò la porta, così forte che lo stinco cigolò sinistramente, alla fine. Non c'erano manici nella parte interna, o leve che potessero aprire. Si voltò per controllare se ci fossero altre uscite, ma tutto ciò che percepì furono i quarti di carne che penzolavano nei ganci da macellaio dal soffitto.
Si strinse Isabel più forte addosso e passò la mano sulla sua pelle per scaldarla.

Resisti, ce la faremo” le sussurrò con dolcezza.

Fece le due cose più sensate che il cervello gli suggerì. Sfilò la tuta e la infilò con garbo alla donna e poi la strinse a sé, stando attento che nessuna parte di lei toccasse il suolo ghiacciato, chiudendosi su di lei a conchiglia.
Poco gli importava che il gelo gli stesse mordendo le membra, come fiamme glaciali.
Poi prese il Shellcell e digitò la chiamata rapida. Rimase in attesa, col telefono che tremava nella mano dal freddo.

Rispondi, Don, ti prego.”

Il suono nel ricevitore si interruppe e lui portò il display davanti al viso per controllare: le tacche del campo erano a zero, completamente vuote.
Gli venne il forte desiderio di imprecare.
Rimase in silenzio, ad ascoltare il sibilo della ventola dell'enorme cella, la mente confusa.
Le allucinazioni potevano tornare da un momento all'altro, erano chiusi in una cella frigorifera senza possibilità di scampo e Isabel era debole e incosciente, il suo respiro troppo breve e roco.

Ehy, perché non ti svegli? Non devi farmi preoccupare” le disse, strofinando la guancia contro la sua fronte.
Ovviamente non ci fu alcuna risposta.

Sai, Raphael ha ragione. L'ha sempre avuta. Tu meriti di meglio. Non una vita come questa, con pericoli e agguati, sempre sul filo del rasoio. Ti abbiamo messo in così tanti guai, te li sei presa solo perché stai con noi, solo perché sei importante per noi.
E non è giusto.
Meriti felicità, meriti di più. Eppure, lo confesso, ci ho sperato, l'ho sognato con tutte le mie forze. Tu sei la nostra speranza, Isabel, il nostro cambiamento, il nostro futuro.
Se solo quell'idiota lo capisse.”

Sospirò a fondo, per quanto le fitte gelide nei polmoni gli consentissero. L'aria rarefatta gli stava dando il capogiro o forse era ancora la droga.
Lo sai che è ancora innamorato di te, quel grosso idiota?” le confessò, dato che lei non poteva sentirlo.
La testa gli pesava e strizzò le palpebre per scacciare la sensazione di sonno. Non sentiva più nemmeno una parte del proprio corpo, il congelamento lo aveva vinto, desensibilizzando ogni cellula.

Se fosse sincero con sé stesso... se capisse cosa sta perdendo, io ci starei. Voglio dire, farebbe male da morire vederti tra le sue braccia, ma sono sicuro che ogni tuo sorriso di felicità mi farebbe felice, perché non voglio nient'altro, in realtà. Voglio che tu sia felice.
Amarti mi basta. Amarti mi ha insegnato che posso pensare a me, senza sentirmi in colpa, che posso essere egoista senza essere meschino, che volere di più per sé non toglie nulla ad un buon leader.”

Poggiò il capo sopra il suo e chiuse gli occhi, con un gran sospiro.
Perciò grazie. Grazie, Isabel” mormorò mentre la coscienza svaniva, inghiottito dal nulla.





Note:
Buona sera!
Dunque, io gongolo. Scusate, ma è più forte di me. Quando riesco a sorprendervi e stravolgere le vostre ponderazioni sono felice: io vivo per sorprendervi!
No, non era Raphael che ha visto il bacio, in effetti. Ma uno degli uomini di Hun!
È tornato in cerca di vendetta.

Le droghe descritte esistono sul serio: il Rohypnol è un forte sedativo, con effetti di perdita della memoria e dissociazione psichica, mentre la Salvia divinorum è una pianta, con la sostanza più psicoattiva del mondo, tra i cui effetti c'è la percezione di vedersi fuori dal corpo, manifestazioni della propria coscienza, perdita della propria identità o dell'identità del proprio corpo e vivide esperienze di flashback o addirittura chi dice di aver visto il futuro.

Grazie per aver letto la Os su Leatherhead, ne sono felice! Se posso chiedere un favore, potreste votare il suo nome nella lista dei personaggi da aggiungere? Così potrei metterlo nelle segnalazioni della OS; mancano solo due voti. Grazie.

E, parte la raccolta di OS, ispirata dai nuovi comics! Sono felice ed elettrizzata, spero vi piaccia!

Grazie infinite a tutti voi, siete la mia gioia! Grazie mille con vortici di abbracci!

A presto!


* il titolo riprende la frase del capitolo 22, dato che ne è il continuo e la conclusione.

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Capitolo 32
*** Humans and Mutants ***


Raphael si fiondò fuori dalla stanza subito dopo essersi assicurato che Hun fosse davvero morto; dopo l'errore che aveva fatto con Marcus, non voleva essere fregato una seconda volta. Il vecchio ciccione era andato, definitivamente, per sempre.
E le sue priorità ormai erano focalizzate tutte sulla sua ricerca.
Doveva trovare Leo e Isabel, il prima possibile. Suo fratello era scappato, ma dove? Quanto poteva essere lontano? Era riuscito a portarla in salvo fuori da lì?
Si ricordò dell'aria alienata che Leo aveva in viso, a causa della droga iniettatagli... stava bene, no? Quanto poteva essere forte quella sostanza e quanto a lungo potevano durare i suoi effetti?

Mentre correva nel corridoio silenzioso, tirò fuori il telefonino dalla tasca e provò a chiamare Leo, per farsi rassicurare e dire dove fosse in quel momento.
Ascoltò il suono della linea che provava a raggiungere il telefono di suo fratello, poi il suono cadde, di colpo.
Irraggiungibile. Il shellcell di Leo era irraggiungibile.
Dove diamine si era andato a cacciare?

Arrivò alla fine del corridoio, al vano che doveva portarlo al piano di sotto. Si portò al bordo dello strapiombo: osservò con insofferenza le scale crollate, i detriti ancora aggrappati al muro, le barre d'acciaio contorte e spezzate che fuoriuscivano dalle pareti sbrecciate, il cumulo di macerie depositato in fondo.
Si era dimenticato che le scale tra il terzo e il secondo piano erano crollate in seguito al bombardamento al plasma di uno scagnozzo di Hun; non poteva scendere da quella parte.
Non in maniera ortodossa, perlomeno.

Con una piccola rincorsa, prese la distanza che gli serviva e poi si lanciò nel vuoto, senza esitazione: sbatté contro il muro e ci rimbalzò sopra, ricavando la spinta per raggiungere quello di fronte, dove fece lo stesso; saltellò tra le due pareti, per frenare la velocità, scendendo a zig zag come la biglia impazzita di un flipper.
Atterrò illeso su una torre di macerie impolverate, stando ben attento ad evitare gli spuntoni arrugginiti, poi si diede un'occhiata attorno. Corse nel corridoio del secondo piano e controllò ogni stanza che si affacciava su esso, cercando una traccia della presenza di suo fratello e Isabel. Non aveva la più pallida idea di dove fossero quando la telecamera li aveva ripresi e non sapeva dove fossero finiti una volta scappati, ma non poteva escludere a prescindere che non fossero ancora nella palazzina.
Perciò doveva correre e sbrigarsi a trovarli, anche se avesse dovuto rivoltare l'edificio sottosopra per farlo.

Fu in quel momento, mentre correva verso le scale per scendere al primo piano, che un forte, penetrante odore di fumo gli investì le narici, e ne ingoiò un po' per la sorpresa, iniziando a tossire con forza.
Solo allora si accorse delle volute di fumo che salivano dal basso, solo allora vide il riverbero delle fiamme aranciate che illuminavano il vano della porta del primo piano.
Un incendio. Era scoppiato un incendio nel palazzo, doloso o naturale, anche se sospettava fosse più la prima opzione. Che gli scagnozzi di Hun avessero attuato un piano d'emergenza, per colpa della fuga di Leo? O per colpa sua che aveva ucciso il loro capo? Non potevano già averlo scoperto, no?

Sentì le urla concitate degli uomini salire assieme al fumo nero, ordini impartiti, strilli che incitavano a mettersi in salvo, un grido che esortava a cercare i fuggitivi.
Provò immediatamente un sollievo spiazzante e un'ansia pressante, insieme: Leo e Isabel non erano stati presi, ma erano ancora nel palazzo, che si stava consumando tra le fiamme; e anche se avessero trovato un nascondiglio, Leo era ancora preda della droga iniettatagli, perciò non c'era sicurezza che ne uscissero illesi. O che ne uscissero del tutto.

Si gettò letteralmente giù per le scale, saltando gli scalini a grandi balzi, senza prestare attenzione ad una qualche ripetizione matematica. Ogni balzo era più grande e frettoloso del precedente, tanta era la foga.
Quando arrivò alla porta che conduceva al pianerottolo del primo piano, allora percepì il gran calore che si stava sviluppando dentro il palazzo, che prima aveva avvertito solo flebilmente: era una soffocante cappa di aria incandescente e pesante, che non riusciva a respirare appieno, che arroventava la pelle tanto quanto i polmoni ad ogni boccata.

Tossì e cercò di respirare con la bocca per non inspirarne troppa, ma non era possibile. Avrebbe dovuto ricordare a Donnie di munire la tuta di una mascherina, per il futuro. Se mai ce ne fosse stato uno.
Con un calcio poderoso aprì la porta, e gli occhi iniziarono a lacrimare per il fumo e il calore delle fiamme che apparirono infine, in tutta la loro gloriosa e spaventosa bellezza.
Stavano consumando ogni cosa sul loro cammino, trasformando tutto in cenere e fumo, ma non era niente rispetto a ciò che stava succedendo giù, lo sapeva. Sembrava che l'incendio fosse nato dal piano terra e che stesse salendo velocemente, risalendo per le mura come un serpente di fuoco affamato.

L'intuizione gli suggeriva che forse Leo e Isabel erano in basso, magari in qualche stanza al primo piano, e che per quello avrebbe dovuto scendere immediatamente per cercarli lì, ma il buon senso gli ricordava che non era certo che non fossero a pochi passi da lui e che avrebbe dovuto guardare ovunque, per scrupolo.
Si gettò nell'infernale corridoio, coprendo le vie respiratorie con l'avambraccio, facendo attenzione alle lingue infuocate che uscivano dalle stanze. Chiamò, controllò per quanto poté, evitò vampate improvvise che cercarono di morderlo con le loro lingue bollenti.
Non erano sul quel piano, pensò con preoccupazione. Perciò o erano infine fuori o erano giù, nella bocca dell'inferno.

Stava per precipitarsi di sotto con ancora più urgenza e angoscia, quando il telefonino squillò, sorprendendolo e allarmandolo. Poi con una punta di euforia, con le mani tremanti che cercavano di afferrare il Shellcell dalla taschina, si augurò che fosse Leo a chiamarlo, che fosse di nuovo reperibile e al sicuro.
Quasi imprecò quando vide il nome di Mikey sul display.

Mikey, non è il m....” rispose secco, tra un colpo di tosse e l'altro, deciso a buttare giù non appena avesse finito la frase.
Sono qui” lo interruppe il fratello, con la voce affannata e squillante.
Qui dove?”
Qui da te” rispose semplicemente Mikey, come se fosse una cosa ovvia. Come se stesse mantenendo una promessa segreta, di esserci sempre.

Raph ritornò sui suoi passi e si fiondò alla finestra alla fine del corridoio, guardando poi giù, verso la strada, davanti all'entrata: c'era Michelangelo, che guardava in alto verso di lui, col telefonino in mano e un mezzo sorriso.
Mikey. Non sapeva come fosse arrivato fin lì, ma si sentì di colpo più sereno, come se quel macigno sul cuore si fosse alleggerito di poco.

Donnie mi ha chiamato e mi ha messo al corrente” lo informò l'altro, come se gli avesse letto nel pensiero.
Ah, Don. Ma come diamine avrebbero mai potuto andare avanti senza di lui? Tutta la loro vita sarebbe stata decisamente orribile senza quel geniaccio del loro fratello.

Dove sono?” fu la semplice domanda di Mikey, eppure seria come non mai. Anche da quella distanza, riuscivano a sentire la reciproca preoccupazione.
Non lo so. Dobbiamo trovarli, prima che il palazzo finisca divorato dalle fiamme. Sono stati drogati e forse sono entrambi incoscienti... aiutami, Mikey.”
Il più giovane annuì silenziosamente, chiudendo la chiamata. Poi si lanciò verso l'entrata del palazzo, veloce come solo lui sapeva essere.

Con una nuova energia, anche Raph si rigettò nelle ricerche, con più speranza. In due avevano molte più possibilità, in due potevano trovarli in tempo.
Dovevano trovarli in tempo.
Lui, doveva trovarli. Doveva parlarci. Doveva scusarsi, e poi abbracciarli. Perché c'erano troppe cose da dire, troppe cose di cui parlare, che non aveva avuto il coraggio di tirare fuori prima, che aveva nascosto nel fondo della mente perché era stato vigliacco. E in quel momento il pensiero che potesse averli persi, entrambi, lo terrorizzava a morte, gli faceva rimpiangere di essere stato così stupido e codardo, di non aver parlato con loro quando ce n'era stata l'occasione.

No, stava soccombendo alla sfiducia, al pensiero negativo che potesse essere successo il peggio.
Erano vivi, di certo. Pregò che lo fossero. Avrebbe fatto qualsiasi cosa, se fossero stati vivi. Avrebbe perdonato loro qualsiasi cosa, forse avrebbe dato loro anche la sua benedizione, per il sollievo. Anche se ne sarebbe morto dentro, lo sapeva.

L'urlo di Mikey lo raggiunse mentre scendeva verso il garage, sovrastando ogni altro rumore, lo scricchiolio del legno arso, gli schianti e il graffiare delle fiamme che masticavano ogni cosa.
Sono qui, li ho trovati! Ho bisogno del tuo aiuto, presto!” gridò, lontano e ovattato, da sotto i suoi piedi.
Un sottopiano, perché non ci aveva pensato?
Volò verso di loro, saltando pozzi di fiamme e scansando crolli di macerie.

Erano vivi. Lo erano davvero. Ogni altra cosa poteva aspettare, ogni pensiero rimandato al momento in cui avrebbe, inevitabilmente, parlato con loro.



C'era calma, attorno. Un pesante silenzio e tranquillità. Voleva aprire le palpebre, ma erano pesanti, come macigni; e tutto vorticava, anche lì dietro.
Riuscì ad aprire gli occhi infine e lo sguardo vagò disorientato per la stanza luminosissima, anche troppo; strizzando le palpebre per il fastidio, mise a fuoco Michelangelo, che le sorrideva dalla sedia al lato del letto. Era sdraiata, non se n'era nemmeno accorta.

Lui le sorrideva, lei lo guardava in silenzio, cercando di capire.
Ciao” sussurrò tenuemente l'amico, come se fosse al capezzale di un malato. C'era caldo, molto caldo nella stanza, soffiato da uno scaldino a ventola poggiato a terra vicino al letto.

Isabel cercò di rispondergli, ma non uscì un suono dalla sua gola, arida e gonfia; Mikey si accorse del suo tentativo e cercò di andarle incontro.
Non sforzarti” la rassicurò, versandole un bicchiere d'acqua dalla brocca sul comodino. Poi la aiutò a tirarsi un po' su, tenendola con una presa ferma, ma gentile.
Isabel bevve, avidamente, ingollando con fatica ogni sorsata che portava benessere e refrigerio.

Ehy, piano, piano” ridacchiò Mikey davanti alla sua spasmodica bevuta, con le mani che stringevano il bicchiere con foga.

Quando un po' dell'arsura fu placata, lui l'aiutò a mettersi seduta, sprimacciandole i cuscini dietro la schiena.
Cos'è successo?” gracchiò con la voce roca, cercando i suoi occhi. C'era confusione nella sua testa, un pesante buco di ignoranza che copriva ore e ore di vuoto.
L'ultima cosa che ricordava per certo era che stava passeggiando con Steve verso la casa del ragazzo, per controllare come stesse suo padre e se la magia di guarigione stesse funzionando.

Mikey sospirò e si sedette sul bordo del letto, tenendo la mano di lei tra le sue, con affetto. E le raccontò ogni cosa, del rapimento, della droga, persino del tentativo di stupro, anche se Donnie gli aveva ordinato di non dirglielo a nessun costo: lui sapeva che Isabel era una donna forte, che avrebbe potuto superare anche quello, se fosse stato sincero con lei e le avesse detto la verità; la mano di lei strinse più forte la presa, spaventata, inorridita, ma non vacillò, dimostrandogli che aveva ragione.
Quando il racconto finì, con il salvataggio da parte sua e di Raph, gli occhi scuri di lei erano sbarrati di apprensione e orrore, profondi, misteriosi.

Come sta Steve?” domandò, con la voce un po' meno incerta, ma con profondo rimorso. Era colpa sua se il piccolo amico si era fatto male, in fin dei conti.
Abbastanza bene, meglio di quanto abbiamo temuto all'inizio. Le costole sono solo incrinate e non rotte e la spalla era lussata, con solo una microfrattura, contusioni e lividi a condire il tutto; lo terranno in osservazione per qualche giorno, April e Casey sono con lui all'ospedale. Tutto sommato gli è andata bene, è stato molto coraggioso.”

Isabel si sentì morire, al sapere che Steve stesse così male; aveva cercato di proteggerla e lei non riusciva nemmeno a ricordarlo. Perché portava sempre dolore alle persone a cui voleva bene? Immediatamente, un'altra persona si fece strada nella sua mente.
Dov'è Leo?” chiese con urgenza, come sta avrebbe voluto chiedere, ma aveva paura.
Lo sguardo di Mikey si rabbuiò, di colpo. Lo vide tentennare, prendere tempo, sentì il battito del suo cuore accelerato nel contatto delle mani e il panico crebbe, secondo dopo secondo, in cui l'amico fece vagare lo sguardo per la stanza, senza il coraggio di poggiarlo su di lei.
Strinse più forte la presa, facendogli capire che non avrebbe lasciato perdere.

Mikey prese un grosso respiro, sofferto.
È nel laboratorio, Donnie è con lui. Il congelamento è stato peggiore su di lui, ti ha protetto col suo corpo” rivelò infine, ogni parola sputata fuori con forza. Perché sapeva che lei si sarebbe presa la colpa, che ne avrebbe sofferto.

Isabel prese un brusco respiro, strozzato, lasciando andare le sue mani come se fosse infetta, come se avesse paura di fare del male anche a lui. Scostò le coperte con foga e provò ad alzarsi, facendo quasi cadere lui giù dal letto per lo slancio.

Fammi passare! Devo andare a vederlo!” gli urlò contro quando le si mise davanti per impedirle di scendere.
Voleva sgridarla e dirle che non poteva muoversi, che anche se era fuori pericolo era appena uscita da un principio di ipotermia e da una dose di sedativo che avrebbe steso un cavallo, ma lo sapeva che sarebbe stato inutile. Non poteva vincere contro la sua testardaggine.
Se non l'avesse portata di sua spontanea volontà, si sarebbe probabilmente trascinata coi gomiti, fino al laboratorio.
La prese in braccio e la portò fuori dalla sua stanza, scendendo con un balzo vicino al laghetto.

Quando entrarono nel laboratorio, incontrarono gli occhi scuri e stanchi di Don, ad accoglierli. C'era molto caldo anche lì, più che nella sua stanza, e il genio stava sudando mentre controllava la flebo sorretta dalla piantana.
Cosa diamine ci fa lei qui!” strillò sottovoce, correndo loro incontro. Ovviamente se l'era presa con Mikey, dato che era lui a portarla.
Isabel lo interruppe con la mano, tendendo il collo per osservare Leo disteso sul lettino d'emergenza. Sembrava addormentato o in stato di incoscienza.

Gliel'ho chiesto io!”

Don la ignorò e prese invece a controllare i suoi arti, la mobilità delle sue dita. Isabel trattenne una smorfia quando piegò quelle dei piedi, un po' rigide e intirizzite, ma lo sguardo rilassato di Don la rassicurò.
Come sta lui?” riuscì a chiedere, facendo cenno a Mikey di metterla giù.
Don si adombrò, incupendosi. Fece loro strada verso il lettino, mentre Michelangelo la aiutava a camminare lentamente; sentiva delle fitte risalire dalle terminazioni nervose delle dita dei piedi e spandersi dolorosamente per le gambe e poi su, fin alla testa.

Donnie sollevò la coperta che copriva il corpo del fratello, scoprendo le gambe: il verde foresta della pelle di Leo era diventato scuro e livido, più cupo e intenso nelle dita, ormai quasi nere; la pigmentazione necrotica risaliva per i piedi e si fermava appena sotto le ginocchia.
Noi abbiamo una temperatura corporea appena inferiore a quella di un essere umano, perciò anche il congelamento avviene più lentamente e meno aggressivamente nel nostro corpo, ma Leo è rimasto a diretto contatto col ghiaccio per molto tempo, purtroppo.
Sto provando a scaldarlo dall'interno con una soluzione fisiologica riscaldata a 38 gradi, ma se non ci sarà risposta positiva, dovremo amputare, non so nemmeno quanto ancora” svelò con voce tetra, ricoprendo con cura le gambe del fratello. Si stava aggrappando a gesti meccanici, per non pensare all'inevitabile.

Leo non si era mosso per tutto il tempo, incosciente o sotto effetti di farmaci, col respiro solo lievemente accelerato. Isabel si aggrappò al bordo del lettino e lo usò come appoggio per raggiungere la testa e li rimase a guardarlo, per qualche istante. Allungò una mano per toccare il suo viso, ma era gelido, nonostante il caldo nella stanza.
Lasciateci soli” chiese, senza voltarsi a guardarli. Non gli interessava sapere delle loro espressioni, sapeva già che la sua richiesta li aveva sorpresi.
Vuoi...” provò a chiedere Mikey, in apprensione. Forse c'era una goccia di speranza nella sua voce, ma cercò di non darlo a vedere.
Ci voglio provare” fu la risposta di Isabel.
E non poté vedere lo sguardo che lui e Don si scambiarono, confuso, speranzoso, ma anche preoccupato.

Aspettò di sentire le porte chiudersi con un tonfo lieve, e ascoltò il silenzio per qualche istante.
Solo allora si chinò su Leo e poggiò le labbra sulle sue, lievemente, fredde anche quelle: spostandosi appena schioccò il successivo bacio sulla sua fronte.

Mi dispiace” sussurrò contro la sua pelle, quando si staccò. Le palpebre di Leo tremolarono e gli occhi si spalancarono, incontrando i suoi, così vicini.
Le parve anche che fosse arrossito all'istante, che era una buona cosa, indubbiamente. E provò a sorriderle, ma le labbra screpolate gli fecero fare una smorfia di dolore; la sua mano si sollevò con fatica da sotto le coperte e corse verso la sua guancia, carezzandola con sollievo.

Ciao” mormorò lei, afferrando la mano e stringendola tra le sue, scaldandola con affetto.



Rimase in quella stanza a lungo, a curarlo, a parlare, mentre la ressa fuori dalla stanza cresceva, in attesa, con curiosità e ansia.

Quando Isabel uscì dal laboratorio, dopo qualche ora, sembrava reggersi con più sicurezza di prima, anche se il suo colorito era invece impallidito; sorrise ai quattro mutanti che attendevano lì fuori e si scostò per permettere loro di entrare; il sensei le strinse la mano con calore, prima di andare a controllare suo figlio.

Solo Raphael era rimasto fuori. E la guardava in silenzio, combattuto con sé stesso.
Oh, lei non poteva sapere quanta voglia avesse di correre verso di lei e abbracciarla, e chiederle scusa e dirle quello che fino a quel momento non aveva avuto il coraggio di dirle, mai. Ma c'era un piccola parte di sé, anche se soffocata dal sollievo, che gli diceva che ciò che aveva fatto era stato giusto, era stato per il suo bene, che quello che era successo era stata la pratica dimostrazione di ciò che era andato sostenendo fino a quel momento: Isabel non poteva mischiare la sua vita con la loro, non era giusto.
E quella parte, seppure piccola, era quella più forte. La preoccupazione per la sua sicurezza era più forte di qualsiasi verità, di qualsiasi sogno che comprendesse loro due.

Si mossero all'unisono uno verso l'altra, nello spesso silenzio, come se si stessero attirando e si fermarono solo quando mancava un passo ad entrambi per toccarsi, gli occhi negli occhi, che al loro contrario si dicevano tante cose, cose che loro non sapevano nemmeno. Si toccavano con gli occhi, si amavano con ogni sguardo, si raccontavano verità che tenevano nel fondo dell'anima.
Grazie per avermi salvata” soffiò lei, in un sussurro emozionato.

Raph piegò la testa di lato, dilaniato dalla sua dolcezza e quello che stava per fare. Ma lo doveva fare.
Hun mi ha raccontato una cosa molto interessante successa tra te e Leo” mentì spudoratamente, mantenendo di proposito un tono sottile e allusivo.
Quindi ti va bene chiunque purché sia un mutante?” finì con cattiveria, seppellendo nel fondo del cuore quella stretta nel vedere i suoi occhi sbarrarsi di orrore e dolore.

Il rumore dello schiaffo si propagò nel rifugio con uno schiocco secco, e mentre la testa si piegava per la forza del colpo e stringeva la mascella per non lasciarsi scappare un suono, si disse che se lo era meritato tutto.
Isabel rimase a fronteggiarlo, la mano arrossata stretta nell'altra e gli occhi lucidi di furiosa indignazione.

Sono così stupida da essere ancora innamorata di te, purtroppo” confessò sentitamente, tremando per trattenersi, non sapeva se la sua rabbia o invece un pianto di delusione.

Raph allungò le mani e le chiuse sui suoi polsi, attirandola verso di sé.
Gli umani devono stare con gli umani, i mutanti coi mutanti! È qualcosa che non si può cambiare, che non doveva cambiare. Non si possono mischiare in nessun modo, non ci può essere un futuro assieme, lo vuoi capire?” urlò con rabbia e frustrazione, strattonandola più forte di come avrebbe voluto, ripetendolo più a sé stesso, per ricordarselo, ancora, che era giusto così, che non poteva cedere al desiderio di mandare tutto al diavolo e amarla, come il cuore gli suggeriva di fare.

Isabel trattenne il fiato, sconvolta, e con uno strappo si liberò dalla sua presa ferrea, indietreggiando immediatamente di un passo; erano rimasti i segni delle sue mani sulla pelle, dalla foga.
Ho capito. Adesso ho capito” mormorò come in trance, gli occhi scuri nei suoi, il respiro pesante e sofferto.

Scappò via, con pochi passi frettolosi fu all'ascensore e ne sparì all'interno, senza che lui avesse fatto un passo o un cenno per provare a fermarla. Era giusto così, alla fine.
Lei voleva qualcosa che lui non poteva concederle, che non poteva concedere a sé stesso.

La porta del laboratorio si spalancò e ne venne fuori l'ultima persona che pensava di vedere: Leo camminava incerto verso di lui, sostenuto da Mikey e Don; il colore delle sue gambe era diventato più chiaro e anche le dita stavano riacquistando un colorito sano. Zoppicava solo un po', quando doveva poggiare il peso sulle ginocchia per sollevare l'altra gamba nella camminata.
Leo resistette e si sforzò, con gocce di sudore che gli imperlavano la fronte, per raggiungerlo: si fermò ansante, di fronte a lui, e Mikey si scostò da sotto il suo braccio, pur mantenendolo con un tocco gentile per il fianco.

Il pugno di Leo non fu così forte, -barcollò anche e perse l'equilibrio rischiando di cadere in avanti, se Mikey non l'avesse ripreso al volo,- ma gli fece male comunque, per il gesto in sé e perché la guancia colpita era la stessa che ancora vibrava per lo schiaffo di Isabel.
Raph si toccò la faccia, imprecando silenziosamente, e se lo schiaffo di lei sentiva di esserselo meritato, ancora faticava a capire per quale motivo Leo lo avesse colpito.

Il leader si rimise ritto, appoggiandosi nuovamente a Michelangelo, ergendosi in tutta la sua altezza, con una espressione scura in viso.
Sei un fottutissimo idiota. Vuoi proteggerla? Va bene! Ma lascia che sappia la verità e che poi sia lei a scegliere! Non puoi decidere come dovrebbe essere il vostro futuro da solo, non è giusto! Isabel ha diritto di dire la sua, di fare parte della scelta!” gli gridò contro.
Ma tu...” provò a dire Raph, che non sapeva se essere più sconvolto dalla sua rabbia o dal suo discorso che lo incitava a mettersi con Isabel.
Abbiamo parlato. Io amo Isabel, ma non sono così cieco da non capire che lei non può ricambiarmi. E lei, non ci crederai, si è scusata, incessantemente, per non potermi ricambiare, come se fosse colpa sua. Perciò sì, mi faccio da parte, so riconoscere una sconfitta. Ma se continuerai con questa stupida presa di posizione, con questo stupido e inutile stoicismo, allora potrei cambiare idea e portatela via, con ogni mezzo concesso! Quanto a lungo hai ancora intenzione di continuare a negarti la felicità?”

Gli occhi di Donnie e Mikey si chiedevano lo stesso, riusciva a sentire il loro sguardo incandescente su di sé, ma mai così intenso come quello di Leo.
Sembrava desideroso di dargli qualche altro pugno.

Odiava quando Leo aveva ragione.
Non parlò, non si difese, non cercò di far valere la sua posizione, di far capire, perché sapeva riconoscere una battaglia persa; di vere argomentazioni non ne aveva, era chiaro ormai.

C'era solo la sua paura di rovinare la vita di Isabel, e non se ne sarebbe mai potuto liberare, ne era certo.
Con un sospiro indietreggiò e si allontanò da loro, verso la sua stanza, lontano dalla verità, perché quella non voleva affrontarla.



Leo si riprese bene, progressivamente: ogni giorno la mobilità degli arti aumentava e il colore della pelle sembrava sempre più normale; Leatherhead li aveva rassicurati sulla rigenerazione completa delle cellule morte e sulla scomparsa della necrosi. In poco tempo il loro leader sarebbe tornato perfettamente in forma, aveva assicurato.
Nella settimana che seguì riuscì ad alzarsi da solo, riprese a camminare con sempre più sicurezza, l'ultimo giorno gli fu concesso anche il rientro del dojo, per una leggera lezione di tai chi con il sensei.

E se erano tutto felici per lui, c'era un'altra questione per non esserlo.
Isabel.
Dopo essere sparita, quel giorno, non era più tornata al rifugio, si era negata al telefono, era rimasta lontana da loro in ogni modo possibile. Sapevano come stesse solo tramite April e il piccolo Steve, che era uscito dall'ospedale ed era stato rimesso in sesto dalla ragazza: stava bene, dicevano, ma passava le giornate a casa, nascondendosi da tutti. Solo Steve riusciva a vederla di tanto in tanto, con la scusa di questo o quel dolore che faceva finta di sentire, per non lasciarla da sola.

Ovviamente, sapevano tutti che la colpa era di Raphael. E non mancavano di rimproverarlo quando potevano, senza dargli tregua: a colazione, all'allenamento, di ronda, era una continua predica, da parte di tutti. Doveva sempre correre via o far finta di non sentirli, per non dare di matto.
Stranamente, però, non riusciva a lasciare perdere gli sguardi di Leo. Lo trafiggevano come pugnalate, dritto alla bocca dello stomaco, di contrizione e rimprovero.

Stava scendendo verso la cucina per la cena, pronto a mangiare in un clima di occhiate torve e Mikey che parlava con la bocca piena mandandogli frecciatine, quando il suono di un telefono trillò nell'aria.
Sentì Leo che rispondeva con sollecitudine, poi il silenzio. C'era però un buon profumo che arrivava dalla cucina e il rumore di qualcosa che sobbolliva nelle pentole; avrebbe sopportato Mikey per mangiare qualsiasi cosa stesse cucinando.

Con un tonfo urgente la porta del laboratorio si spalancò e Leo ne venne fuori, più velocemente di quanto pensasse fosse possibile, per uno che la settimana prima aveva rischiato l'amputazione di entrambi i piedi.
Incontrò il suo sguardo e non era cupo o di rimprovero, ma nervoso e allarmato: ne fu rapito e contagiato e sentì la sua angoscia in maniera palpabile.

Chiama Mikey! Emergenza! Adesso!” ordinò il leader con sussiego, mettendogli una strana ansia addosso.

Quando gli altri due li raggiunsero, Donnie con un borsone a tracolla, uscirono dal rifugio prima ancora di chiedere cosa fosse successo, seguendo il loro leader nella notte.


Conoscevano tutti quel posto, quell'appartamento.
Ma solo Leo sapeva perché fossero lì. Raph aveva quasi pensato di andarsene immediatamente quando aveva capito, ma il ricordo della paura nel suo sguardo lo bloccò: Leo non stava mentendo per portarlo fin lì, ne era sicuro.
Stranamente, invece di salire per le scale antincendio, si fiondarono all'interno il più velocemente possibile, rischiando di essere visti ad ogni rampa di scala che salirono. Uno dei condomini poteva uscire in qualunque istante e scorgerli, per quanto fossero veloci.

Gli occhi di Steve si spalancarono di sollievo nel vederli arrivare, lì poggiato contro la porta dell'appartamento con disperazione, nel pianerottolo fortunatamente vuoto. Temettero quasi che si stesse per gettare tra le loro braccia da quanto era felice di vederli.
Non risponde! Ho provato a chiamarla, a far finta di stare male, a bussare per ore, ma non mi risponde nemmeno per dirmi di andarmene!” raccontò quando lo ebbero raggiunto, sottovoce eppure con voce strozzata.

Magari sei riuscito a sfinire anche lei!” ribatté Raph scocciato, che stava per riprendere l'idea di andarsene.
Si beccò giusto un paio di occhiatacce per averlo detto.

Magari non c'è” disse più pratico Donnie, che però già si era avvicinato alla maniglia e ci trafficava attorno, togliendo un sacchetto di attrezzi dalla borsa.
Ho sentito un lamento, prima. Sono sicuro che sia in casa” replicò all'istante Steve.

La porta si aprì sotto le dita abili di Don, che con pochi strumenti e qualche mossa era riuscito a forzarne la serratura.
Noi dobbiamo davvero parlare di queste tue strane tendenze delinquenti” lo rimproverò Mikey mentre entravano nella stanza buia, in cui le loro ombre si proiettarono fugacemente, con la luce del pianerottolo.
Don richiuse la porta nell'esatto momento in cui la sua mano trovava l'interruttore, accendendo la luce: gli sguardi vagarono intorno per mettere a fuoco e lo videro, il corpo a terra, tra la zona cucina e il divano della zona salotto.

Mikey si lasciò scappare un grido, di sorpresa.
C'era una donna, a terra, riversa su un fianco: la pelle verde chiaro splendeva alla luce e dalla maglia a bretelle era ben visibile la parte scura della schiena; così come attirarono la loro attenzione le mani e i piedi a quattro dita.
Si avvicinarono con timore e Donnie si inchinò per esaminarla. Non era possibile che fosse...

Il viso era più sottile e regolare del loro, quasi ovale, e c'era un accenno di naso che loro non avevano; sulla testa, poi, aveva una striscia di capelli che correva al centro, una capigliatura alla moicana, dalla lunga chioma castana.
Non aveva esattamente il guscio come loro, ma la pelle della schiena era spessa e appena sporgente, dura al tatto e verde scuro, ma fu il disegno inciso, come un tatuaggio che si diramava dalle spalle fino a sparire sotto la maglietta, che gli diede la certezza: era l'immagine degli scuti di un carapace.

È una mutante. Ed è Isabel” rivelò nel silenzio angosciato, dando infine voce e certezza alla loro paura.



Note:

Buona notte!
Aaah, dovevo aggiornare prima, scusate! Ma mi trovo costretta a farlo a quest'ora o fino a martedì non mi sarà possibile, troppi impegni. Altro che ponte delle vacanze! E ho riletto meno di quanto avrei voluto, se trovate degli errori ditemelo, vi prego!
Comunque, siamo a meno due ormai. Oh, come sono triste. Ma non per questo è già tutto finito, anzi, proprio per nulla!

Isabel è mutata, sembra proprio in un ibrido tartaruga... perché? Tatataaaan.

Meno due! Oh cielo! Vado a piangere in un angolo!
Grazie di cuore a tutti voi! Ai lettori, i nuovi preferiti, ricordati, i recensori!

Vi abbraccio tutti con affetto!
A presto

edit: aaaah, mi ero quasi scordata! 202 recensioni! Già mi venne un infarto al superarne cento, ma adesso... grazie, non ho abbastanza grazie per dirvi quanto sia felice e vi adori!

Un megaabbraccio felice!

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Capitolo 33
*** The real you ***


Nel silenzio che seguì l'affermazione di Donatello, quelle due parole sembrarono riecheggiare senza freno.
Mutante. Isabel. Mutante. Isabel. Mutante... Isabel.

Si inchinarono anche loro attorno alla donna, come in trance, come se i loro corpi stessero agendo di propria volontà, e fu subito chiaro che Donnie aveva ragione: anche se i tratti somatici si erano un po' modificati nella mutazione, -il naso si era accorciato e il suo ponte allargato e gli zigomi ispessiti,- riconobbero facilmente nel viso verde i tratti familiari di Isabel.
Trattennero il fiato. Una valanga di teorie li investì in pieno, e paure e dubbi. C'era quella domanda che tutti stavano pensando, ma che nessuno aveva il coraggio di pronunciare ad alta voce, perché avrebbe reso tutto reale.

La mano di Raphael si tese, senza che potesse in qualche modo controllarla, e toccò una guancia di Isabel, dolcemente, per sentire la consistenza di quella pelle sotto le dita: era di un verde tenue, lo stesso colore di una tenera fogliolina appena germogliata, la stessa consistenza vellutata al contatto, la stessa paura di poterla rovinare anche solo con un tocco esitante.
Isabel era bella persino da mutante, dannazione. E una parte di lui lottava per scuoterla e prenderla a schiaffi per ciò che credeva avesse fatto, l'altra per stringerla e amarla finalmente, senza più nessuna scusa che potesse fermarlo.
Ma non era giusto che finisse così. Assolutamente.

Infine, fu Michelangelo a prendere il coraggio e chiedere.
Perché è mutata?” soffiò guardingo, appena un sussurro, a Donatello che nel frattempo si era premunito di controllarla e visitarla, per quanto possibile.
Il fratello sollevò il capo dal torace di lei, dove aveva cercato di auscultare battito e respirazione, e concentrò lo sguardo su di lui.

È riuscita a sintetizzare il mutageno dai nostri campioni di sangue e pelle. Non so ancora come... Isabel è intelligente, ma non so fino a che punto possa aver capito da sola come lavorarli” rispose assorto, tornando a rivolgersi verso lei, sollevando le sue palpebre per controllare le pupille.

Nessuno si accorse dell'aria nervosa di Steve, che si torceva le mani con gli occhi sbarrati che non si staccavano dalla donna, pieni di spavento e orrore, pieni di comprensione e rimorso.

E poi il mutageno non può avere fatto tutto il lavoro. Deve averlo mischiato con DNA di tartaruga, ma diverso dal nostro... vedete queste?” continuò il genio, indicando delle macchie color ruggine che creavano uno splendido mosaico sugli avambracci e le gambe. “E questo” incalzò Don prendendo la mano di Isabel e aprendola davanti ai loro occhi, mostrando loro la sottile membrana quasi trasparente tra le dita.
Ha usato DNA di tartaruga marina, penso la specie Caretta caretta. Credo per non avere legami nemmeno alla lontana con noi, a livello genetico” finì di spiegare, col viso sempre più teso, ormai solo parzialmente conscio di loro.
Sembrava che più visitasse Isabel, più qualcosa non gli tornasse.

Ma perché? Come?” sbottò Raphael, che stava impazzendo sempre più ad ogni verità che Don gli sbatteva in faccia.
Nel silenzio si sentì un brusco respiro, qualcuno che tratteneva il fiato, vinto dalla paura e l'orrore di ciò che aveva fatto.

È colpa mia” pigolò Steve, fermo lì dov'era rimasto quando era entrato, immobile, colpevole, inorridito.

Gli occhi di tutti furono su di lui un secondo dopo e il nervosismo crebbe ancora di più e la voce gli morì in gola; deglutì a vuoto, indietreggiando inconsciamente.
Io... io non sapevo che cosa volesse farci. Mi ha detto che le serviva una mano coi campioni per prepararsi alle lezioni di Medicina, che dato che la chimica era il mio campo le sarei stato utile. Che doveva isolare il mutageno per poter capire come agisse e come usarlo per curarvi. Le ho creduto. È tutta la settimana che ci lavoriamo assieme e io non avevo capito...” provò a scusarsi il ragazzo, incurvandosi ad ogni parola, sotto i loro sguardi accusatori, sotto la colpa che sentiva nel cuore.

Raph si alzò di scatto e gli si avventò addosso, furioso. Aveva trovato il perfetto capro espiatorio, con chi prendersela per quello che stava accadendo, anche se sapeva benissimo che non era colpa sua, che Isabel riusciva a fare ciò che voleva, sempre, anche se era stupido, anche se feriva chi le stava attorno.
Steve indietreggiò spaventato, la voce di Leonardo esplose, quasi in contemporanea all'urlo di Mikey.

Raph, lascialo in pace! Non ha nessuna col...” disse severo il leader, prima che lo strillo del fratello lo interrompesse e attirasse l'attenzione di tutti.

Il corpo di Isabel aveva preso a contorcersi, scosso da convulsioni che le facevano tremare gli arti, e rendevano il respiro difficoltoso.
Con un'espressione terrorizzata Mikey si gettò sulle sue gambe per cercare di tenerla ferma, mentre Leo faceva lo stesso con il busto e Don cercava di impedire che si mordesse la lingua.

Che cosa le succede?” urlò Raph, che lasciato il proposito di prendersela con Steve, assisteva alla scena con paura e angoscia.

E sotto i loro sguardi preoccupati e attoniti, le ultime due dita delle mani si fusero e da quattro divennero tre, il piastrone, -che prima era solo un ispessimento della pelle come la parte della schiena,- sporse di colpo in fuori e le macchie di ruggine iniziarono a spargersi per tutto il corpo, in un perfetto mosaico.
Sta continuando a mutare!” esclamò con fatica Don, mentre cercava di farle rilassare le mandibole serrate dalle contrazioni muscolari.
Isabel stava diventando sempre più simile ad una tartaruga e meno ad un'umana e loro non sapevano come poter fermare il procedimento.

D'un tratto sembrò scemare d'intensità, sembrò quasi che le convulsioni fossero finite, un momento di pausa in cui si udirono i respiri pesanti e accelerati, in cui gli sguardi si cercarono per comunicare, per chiedere, per capire.

Don fece per aprire bocca, ma con un urlo disumano Isabel ricominciò a sussultare, i muscoli persino più tesi di prima, le scosse del suo corpo violente e incontrollate che sbattevano contro il pavimento con brutalità: la linea delle dita si spaccò di netto e si divise in due, dapprima carne viva che pulsava sanguinante, poi la pelle le ricoprì, come edera che si abbarbicava sulle nuove dita; le ossa del viso sembravano sciogliersi e risolidificarsi di continuo, come fossero di cera, e si formavano e squagliavano, prima il naso tornò alla dimensione normale, poi si riaccorciò, il mento si allargò e si restrinse; la pelle della schiena ritornò normale e rosea, per qualche secondo, prima di ispessirsi ancora e tornare come un carapace formato dai muscoli della schiena.

Ogni trasformazione era accompagnata da grida, grida agghiaccianti e sofferte, che Isabel si lasciava scappare anche in stato di incoscienza.
Don! Cos'ha?” urlarono anche loro, cercando di farsi sentire, preoccupati per il dolore che sapevano stesse provando, ma incapaci di fare alcunché per aiutarla.
Io... non sono sicuro!” strillò in risposta il genio, con fatica sempre maggiore. C'erano gocce che gli imperlavano la fronte, dallo sforzo di tenerla.
Credo che la sua magia stia combattendo il mutageno!” rivelò alla fine, allarmato.
Anzi, per essere più precisi, credo che la sua magia e il mutageno si stiano combattendo, per dominare nel suo corpo. E se continua di questo passo, Isabel morirà prima di poter raggiungere una forma definitiva.”

Un sottile gelo serpeggiò nella stanza, incredulità e paura si unirono, scuotendoli sin dal profondo.
Morirà? Perché...?” esalò Mikey, rafforzando inconsciamente la presa su di lei, per paura di perderla probabilmente.
Isabel strillava, strillava come se fosse divorata viva da un fuoco invisibile per loro, che la consumava dall'interno, e brividi di terrore corsero lungo la loro pelle, agghiacciati dal suo strazio.

Perché le mutazioni continue e senza sosta faranno collassare i suoi organi interni, a cominciare dall'apparato respiratorio” spiegò Don, con lo sguardo incollato su di lei, il cui viso, nonostante l'incarnato fosse ormai verde, era arrossito di dolore e fatica.

Cosa possiamo fare?” domandò Leo, in un sussurro teso, come se lo stesse chiedendo più a sé stesso, sconvolto da ciò che stava succedendo, a lei, che amava, amava e non poteva veder soffrire in quel modo.
Non possiamo fare molto dal di fuori: anche se riuscissimo a sintetizzare un antimutageno in una manciata di minuti, non so se il suo organismo non lo vedrebbe come un nuovo corpo estraneo da combattere e non so se interferirebbe o meno con la sua magia. Isabel è un po' come noi: non è esattamente normale, non so se la sua parte magica reagisca come farebbe un corpo umano al 100%. È dall'interno che dobbiamo agire!” spiegò Donnie, inchinandosi per prendere Isabel in braccio, mentre loro si guardavano confusi.

Le sue grida scemarono quando l'amico la strinse, come se trovasse momentaneo conforto in quel contatto; il genio fece strada verso la camera di Isabel e lì la poggiò sul letto, controllando immediatamente le sue condizioni.
Steve! La mia borsa, presto!” urlò spazientito, facendo trasalire il ragazzino.
Ci frugò freneticamente dentro, una volta che quello gliela porse, e ne tolse fuori un tubo trasparente, incurvato verso la fine.

Devo intubarla. La prossima trasformazione potrebbe compromettere il suo tratto respiratorio, irrimediabilmente” sussurrò assorto, preparandosi a fare una cosa che non aveva mai fatto prima e che sapeva essere pericolosa.

Il rischio di graffiare e lesionare la trachea era altissimo anche per una persona esperta, figurarsi per uno come lui.
Vuoi spiegarci cosa...” provò a domandare Mikey inorridito, prima che il fratello lo zittisse all'istante.
Silenzio! Mi serve assoluto silenzio!”
Doveva far presto e intubarla prima che potesse avere una nuova trasformazione o un attacco epilettico, ma le mani gli tremavano così tanto che non sapeva come avrebbe potuto riuscirci.

Ogni millimetro di tubo che cercava di infilare nella gola gli sembrava troppo ed eccessivo, un corpo estraneo che le avrebbe fatto male, lo sapeva.
Resisti, resisti!” le sussurrò, premendo ancora di più il tubo endotracheale, quando non trovò fortunatamente resistenza nella laringe.
Steve, passami la cannula sottile!” strillò poi, tenendo con una mano il tubo e allungando l'altra verso il ragazzino che teneva la sua borsa.
Con un gesto sicuro fece passare la cannula all'interno del tubo e poi sfilò quest'ultimo con un sospiro di sollievo.

Fatto!” annunciò, attaccando l'estremità della cannula alla sacca per la respirazione manuale. La passò a Steve, illustrandogli il ritmo da tenere per una corretta ossigenazione.

Adesso a voi. Dovete entrare nella mente di Isabel e aiutarla dall'interno. È una cosa lunga da spiegare, dovete solo sapere che quello che sta succedendo si sta ripercuotendo anche nella sua psiche ed è lì che agirete! Io rimango qua per controllare le sue condizioni, assieme a Steve. Muovetevi!”
Mikey fece per prendere parola, ma lo sguardo secco che Don gli mandò fece morire la sua voce in un balbettio indistinto, e anche lui si avvicinò ad Isabel, come i suoi fratelli.

Cosa dobbiamo aspettarci? E cosa dobbiamo fare?” si informò Leo, prendendo posto vicino alle gambe di lei, stabilendo un contatto fisico, poggiando la mano vicino alla caviglia.
Mikey era al suo fianco e Raph dall'altra parte.

Lo vedrete. Lo capirete” rispose il genio, assorto.

Ci fu un intenso scambio di sguardi, quello fiducioso di Donnie, quello spaventato di Steve, i loro tesi e confusi.
Poi chiusero gli occhi e respirarono a fondo, grossi respiri dapprima scoordinati, che poi pian piano si armonizzarono in un unico, calmo soffio ancestrale.
La mente si svuotò e si annullò, tanto da diventare solo una linea sottile per ricordare chi fossero, per indirizzarli verso la meta.
Entrare nella mente di Isabel fu diverso dalla volta precedente: se allora era stato quasi essere guidati per mano da lei, questa volta si sentirono come indesiderati, sentirono una spessa ostilità che cercava di tenerli lontani, di alzare barriere che impedisse loro di avvicinarsi; fu solo con un notevole sforzo che riuscirono infine ad arrivare al nucleo della sua mente.

E tra stupore e meraviglia, si accorsero immediatamente che non sarebbe stato facile, che niente sarebbe andato liscio come avevano pensato.
Non erano in un nulla grigio che potevano manipolare e immaginare come volevano, come la volta prima: con occhi stupiti si voltarono in ogni dove, scrutando con paura e un pizzico di riverenziale timore quella che sembrava la replica esatta della città di New York, in rovina e decadente, un cielo plumbeo che minacciava la fine del mondo; una tempesta di fulmini squarciava l'oscurità con folgori brillanti che facevano male agli occhi, seguiti da rombi che facevano tremare la terra.

Alcuni degli edifici erano crollati a terra in macerie polverose, trascinando giù con sé anche porzioni di quelli vicini, e quelli rimasti in piedi sembravano consumati e distrutti dal tempo, in rovina e ormai mangiati dalla vegetazione che cresceva ovunque, riappropriandosi dei suoi spazi. Le strade erano divelte da grosse voragini e radici di alberi che nella loro forza avevano spaccato ogni cosa sul loro cammino.
Non si sentiva un rumore. Quel mondo distopico creato nella mente di Isabel era disabitato. Le finestre oscure delle case mettevano soggezione e paura, come occhi che non li lasciavano un attimo, occhi vuoti e spettrali.

Nel silenzio riuscirono a sentire Mikey che deglutiva con apprensione.
E adesso?” chiese poco dopo, confuso come loro; “Dov'è Isabel?”
Era chiaro a tutti che non avrebbero potuto far comparire una strada che li conducesse da lei, perché sembrava che lei non volesse essere trovata, stavolta.

Una voce esplose dal cielo, facendoli trasalire, tutti sul chi vive.
Siete arrivati? Dovete trovare Isabel, anche se credo che ne troverete più di una” disse la voce di Don, chiara e limpida come se si trovasse lì al loro fianco.
Genio, dicci come diamine fare!” urlò Michelangelo con le mani ad imbuto attorno alla bocca, rivolto verso il cielo.

Dopo che il suo urlo si spense, ci fu solo silenzio. La cappa nera rimase ferma e stagnante, minacciando pioggia e fulmini. Mikey si voltò verso i suoi fratelli con un'espressione attonita, per la mancata risposta di Don.
Giusto perché so che tanto l'ha fatto: Mikey, io non posso rispondere alle vostre domande. Voi potete sentirmi perché i vostri corpi fisici sono qui e sentono quello che vi dico. Voi invece siete manifestazioni mentali, io non posso sentirvi!” esalò la voce del genio, leggermente spazientito.

Il fratello sorrise per l'imbarazzo, strofinandosi il collo a disagio.
Non so dove siate, né cosa vediate, ma se Isabel non è lì, di sicuro è da qualche parte non molto lontano. Quello che dicevo prima è che probabilmente non ce ne sarà una sola, ma una per ogni manifestazione della sua personalità che combatte contro le altre... è difficile da spiegare. Ma state attenti!” li mise in guardia Don, con tono spiccio.
Se ci sono novità vi contatterò!”

Non appena la voce di Donnie si spense, ritornò il nulla, solo il rumore dei tuoni in lontananza e un rombo ritmato che poteva essere il cuore di Isabel quanto il loro.
Senza una parola si incamminarono per le strade rovinate, con passo guardingo. Gli occhi scivolavano a destra e a sinistra, cercando un segno, attenti a scrutare nelle ombre più scure e nel silenzio, in cerca di qualcosa e con la paura di trovarcelo davvero.
I loro passi non facevano alcun rumore e la città deserta sembrava ancora più spettrale.

Non... non sentite qualcosa?” titubò Mikey con voce malferma, dalla fine della fila, cercando di non mostrare la paura che provava. Il suo sguardo saettava con frenesia, sbarrato.
Tesero le orecchie, in ascolto, e lo udirono anche loro: un tenue ronzio riecheggiava da qualche parte lì vicino, intensificandosi secondo dopo secondo, sempre più minaccioso.

Uno... sciame d'api?” domandò il più giovane, sempre più allarmato, cercando i loro sguardi.

Raph sembrava sul chi vive quanto lui, mentre Leo era in ascolto con gli occhi chiusi.
Io ho già sentito questo suono” rivelò in un sussurro, riaprendo gli occhi limpidi.
Si incamminò cautamente per la strada, trasversalmente, avvicinandosi ad un vicolo immerso nella tenebra più nera, quasi un buco nero nel nulla.
E poi videro i due occhi dorati scintillare come gemme in quel nulla, così luminosi in tutto quel buio, da fare quasi male a guardarli: era uno sguardo puro, uno di quelli che leggevano dentro, che trapassavano l'anima.

Attento!” esclamò d'un tratto Raphael, facendosi avanti mentre le mani correvano ai Sai, al vedere la figura scivolare in avanti e mostrarsi, anche se con passi lenti e titubanti: la leonessa dal manto ambrato quasi risplendette colpita dalla luce, fiera nella sua andatura elegante.
No, Raph!” urlò il leader per bloccarlo, muovendo dei passi incerti verso la belva, con un rinato sorriso in viso.
Io la conosco” disse, avvicinandosi a lei, sempre più velocemente.

La leonessa si bloccò e sollevò il muso e quando lui tese la mano verso di lei, allungò il collo per odorarlo; dopo qualche istante in cui Mikey trattenne il fiato e Raph non si era ancora deciso a lasciar andare i manici delle armi, la fiera si avvicinò al mutante e con un ronzio soddisfatto si strusciò contro la sua gamba. Leo si gettò in ginocchio all'istante e la strinse a sé, pieno di emozione, affondando il viso nella pelliccia ambrata del suo collo.
Come stai?” le domandò cortesemente, gioendo delle fusa di lei. Un lieve ruggito melodioso fu la sua risposta.

Ehm, Leo... bel momento, molto commovente, ma... ci vuoi spiegare?” si intromise Mikey, un po' imbarazzato dal comportamento del fratello con una bestia immaginaria.
Lei è Luce. È la manifestazione del Sè di Isabel” dichiarò Leo, lasciando andare la leonessa e rivolgendosi finalmente a loro. Gli bastò un'occhiata all'espressione stupida di Mikey per capire che non aveva capito.
È la parte più profonda della sua mente, che controlla e vigila su tutte le altre, tenendole in ordine” spiegò quindi, ripetendo la spiegazione che Isabel gli aveva dato mesi e mesi prima, quando nemmeno lui aveva capito cosa fosse Luce.

Lo sguardo di Raph scintillò, al capire che quella fiera altro non era che una manifestazione di Isabel, in fin dei conti, e al vedere come si strusciasse contro suo fratello con affetto: Leo era già stato nella mente di Isabel, lei aveva condiviso qualcosa di così profondo con lui.
Gli occhi dorati di Luce si accorsero del suo sguardo e lo fissarono, lucidi e brillanti, così puri, tanto che sentì di non essere degno di guardarli, tanto da voler abbassare il capo, quasi vergognandosi.

È ferita” affermò Michelangelo d'un tratto, puntando col dito verso gli arti posteriori della leonessa. C'era un lungo squarcio che dalla zampa sinistra saliva fin sulla coscia, sanguinante e dall'aria dolorosa.
Leo tolse la bandana dalla testa e la legò stretta attorno all'arto, stando attento a non farle male, mentre lei attendeva ferma e docile, con gratitudine.

È stata lei? Dov'è?” chiese poi, catturando l'attenzione di Luce.
La fiera abbassò il muso, come se annuisse, e staccandosi da lui iniziò ad incamminarsi verso Nord; fu subito chiaro che li stesse guidando e che dovessero seguirla.

Fu un viaggio silenzioso e cupo, molto strano: sfilarono in silenzio lungo le strade, la bestia ambrata ad aprire la fila, con la sua camminata elegante nonostante la ferita, e loro appresso con fiducia, anche se non tutti capivano, anche se di domande ce n'erano tante e senza risposta.
Non c'era tempo reale lì dentro, potevano essere passate ore come secondi, le gambe non dolevano, i metri sembravano manciate di centimetri e un'infinità di chilometri, contemporaneamente; arrivarono in fretta e nello stesso tempo dopo troppo, ma avevano già capito tutti dove erano diretti già da molto tempo: Central Park apparve in tutta la sua lussureggiante bellezza, eppure oscura e tenebrosa, come solo uno sterminato bosco immerso nel buio poteva essere; si incamminarono al suo interno seguendo Luce, che così come il suo nome suggeriva, emanava una lieve luminescenza, come se il suo manto ambrato riflettesse la luce di astri che loro non potevano nemmeno percepire.

Mikey sussultava ad ogni passo, occhieggiando con sospetto e tensione ogni albero oscuro, ogni tronco che poteva nascondere insidie e pericoli: la mano di Raph si schiaffò sulla sua nuca all'improvviso, facendolo trasalire.
La smetti? Sei nella mente di Isabel, non c'è niente tra quegli alberi, non sono nemmeno reali” lo sgridò sottovoce, superandolo poi con irritazione.
Lui sapeva dove stavano andando, sapeva perfettamente dove, in tutta quella replica di Central Park, lei si trovasse. Ci avrebbe scommesso la testa.

La vegetazione iniziò a diradarsi e i margini di uno grande spiazzo apparvero nel loro campo visivo, l'inizio della piazza per la Bethesda Fountain, nel silenzio e nella pace più assoluta. Lo scroscio dell'acqua si sentiva fin da lì, limpido e lieve.
Raph accelerò il passo automaticamente, superando Luce, guidando lui la fila verso il punto predefinito, verso di lei.
Sentirono i rumori di lotta prima ancora di vedere davvero, grida e tonfi possenti e imprecazioni e rombi di tuono, che riempivano l'aria con la loro violenza, che li allarmarono; un lampo scese dal cielo e cadde a pochi passi da loro, illuminando la notte e incendiando l'aria, ferendo le orecchie.

Corsero, più velocemente, e dopo aver superato un folto e basso gruppo di cespugli, riuscirono a vedere il lato della piazza che costeggiava la vegetazione, e lo scontro apparve in tutta la sua brutalità.
C'erano tre parti che si combattevano in una battaglia tutti contro tutti. Si fermarono con sorpresa, a poca distanza dal pioppo sotto il quale le tre donne si combattevano, con furia inaudita:
C'era una Isabel con gli occhi bianchi e splendenti, che si librava a mezz'aria e richiamava a sé folgori e campi di energia; una Isabel perfettamente normale, a poca distanza, che evitava gli attacchi con velocità, ma sembrava in difficoltà sempre crescente; e per finire, una Isabel mutante, la pelle verde tenue e la schiena ispessita simile ad un guscio incorporato, che combatteva con furore col ninjitsu, chiudendo il triangolo immaginario entro il quale tutte e tre si muovevano.

Cosa diamine...” esalò Mikey sconvolto, osservando le donne combattersi senza pietà con attacchi magici e fisici, tra scartate spettacolari e schivate all'ultimo istante, combo improvvisate tra due parti contro una, che poi si rivolgevano una contro l'altra, con alleanze che si stringevano e scioglievano in un battito di ciglia per conquistare la vittoria.

Dobbiamo fare qualcosa!” urlò Leo per sovrastare il rumore della battaglia, rivolto verso i fratelli.
La Isabel normale si accorse della sua voce e si voltò verso di loro, con un gran sorriso in volto, sereno, felice nella sua semplicità: durò solo un attimo, poi si congelò eternamente sul suo viso, mentre gli occhi si sbarravano di sorpresa e dolore; cadde in avanti, a terra, scomposta e immobile, colpita a morte da una delle altre due.

Isabel!” urlarono tutti e tre, sconvolti, gettandosi verso di lei, ma il corpo scomparve nel nulla, dissolvendosi sotto il loro sguardo smarrito.

La terra tremò e il cielo esplose, una tempesta di fulmini si abbatté con fragore nel parco, costringendoli ad accucciarsi e a cercare riparo, con le braccia sulla testa per proteggersi dai detriti che volavano nell'aria.
In mezzo al tornado che si andava formando, le due Isabel rimaste continuavano a combattere, ignare e incuranti.

Cosa sta succedendo? Qualcuno mi spieghi cosa sta accadendo, perché Isabel sta continuando a mutare, sempre più violentemente!” tuonò la voce di Don dall'esterno, sommandosi al caos e al rumore, piena di preoccupazione.
I tre mutanti si guardarono con apprensione da dietro il loro riparo, come se stessero decidendo con lo sguardo a chi toccasse, senza nemmeno battere le palpebre: gli occhioni di Mikey iniziarono a lacrimare per il fastidio e quando alla fine li strizzò, sbuffò di frustrazione, seccato.

Va bene, vado io! Ma state attenti!” sbottò, alzandosi in piedi.

Si concentrò intensamente, ma ripensandoci, prima di sparire corse verso Luce e la strinse in un abbraccio, una cosa che voleva fare da quando l'aveva incontrata.
La carezzò con gioia, passando la mano nel folto e morbido manto, con affetto.

Andrà tutto bene” le sussurrò, lui che solo aveva intuito la sua paura e il suo tremore, al vedere la guerra tra le altre parti di sé.
La lasciò andare con malincuore e si rialzò in piedi, per quanto il forte vento e la tempesta di folgori glielo permettesse.

Speriamo che il genio sappia dirci qualcosa!” esclamò, iniziando a concentrarsi.
I contorni del suo corpo iniziarono a sbiadire e diventare sempre più trasparenti, finché tutta la sua persona non scomparve nella pura aria, l'ultima parte a svanire il suo grosso sorrisone, come lo stregatto.

La loro attenzione si rifocalizzò sulle ultime due Isabel. Entrambe erano capaci, ognuna nel suo campo personale: quella magica stava letteralmente rivoltando la terra e il cielo, sconvolgendo le condizioni atmosferiche per attaccare la sua avversaria, mentre la mutante era un concentrato puro di ninjitsu e tecniche di lotta, con la stessa furia che mostrava Raphael quando si avventava contro un avversario.
Forse non ragionarono appieno, quando entrambi si gettarono in mezzo alla lotta, provando a separare le due donne, in attesa di sapere e capire cosa stesse accadendo.

Leo scattò a sinistra verso la Isabel magica, Raph a destra verso la Isabel mutante, parandosi di fronte a loro con uno stupido slancio di temerarietà, mentre un fulmine e un calcio volante caricavano.
Fu solo per pura fortuna che non furono colpiti: gli occhi delle due Isabel si aprirono di meraviglia nel scorgerli ed entrambe trattennero gli attacchi all'ultimo secondo: i sorrisi che si aprirono sui loro visi potevano sembrare felici e sinceri, ma non promettevano niente di buono.
La tempesta si placò lentamente e un gran silenzio scese attorno a loro.

Dovete calmarvi e ascoltarci!” esclamò Leo, alzando le mani , per mostrare loro che non avevano nessuna intenzione cattiva.
C'era uno scintillio poco promettente negli occhi brillanti della Isabel magica.

Leo” soffiò affabile, scendendo fino a toccare il terreno coi piedi, camminando poi verso di lui.

Isabel mutante era anche più inquietante: i suoi occhi castani creavano un gradevole contrasto con la pelle verde, risaltando ancor di più, e brillavano nel fissare Raphael, come una belva che fissa la sua preda. Poté quasi giurare di sentirsi in soggezione.

Ragazzi!” rombò la voce di Don, attirando l'attenzione delle due donne quanto la loro. Si agitarono e iniziarono a guardarsi con frenesia attorno, scrutando nelle ombre per capire chi fosse stato a parlare.
Mikey mi ha spiegato la situazione. Quelle che vedete sono manifestazioni delle due forze in lotta per il controllo del corpo: la magia e il mutageno. La Isabel che è morta era invece ciò che sarebbe rimasto se queste due forze si fossero annullate a vicenda: una normale umana.
Fatemi spiegare: quello che succede nella sua mente è una proiezione di ciò che succede nel suo corpo e viceversa; se una delle sue manifestazioni vince lì nella mente, automaticamente quella parte prenderà controllo del corpo.
E bisogna che ci sia una vincitrice al più presto, perché la vera Isabel non resisterà ancora a lungo alle mutazioni” li avvisò, con un tono che poterono quasi definire urgente.

IO! Io devo vincere!” strillarono contemporaneamente le due donne, sovrastando ogni altro suono.
Si fronteggiavano con occhiate malevole, pronte ad attaccarsi ancora.

Io sono la vera Isabel” disse quella magica, furiosa. “Io sola devo vincere!”
Era arrabbiata con l'altra sé stessa, che vedeva come un'intrusa, come un'usurpatrice che voleva eliminarla per prendere ciò che era e le apparteneva.

Ma quello che sei non va bene. Io vado bene. È questo che Raffaello vuole” affermò melliflua Isabel mutante, comprovando con le azioni le sue parole.
Si avvicinò a Raphael a grandi passi e gli si gettò praticamente addosso, e lui, preso alla sprovvista, forse, non si tirò indietro.

Io sono la risposta a tutti i problemi. Io sono perfetta. Solo io posso rendere tutti felici” soffiò, stringendo il mutante dalla benda rossa con passione, incurante di tutto il resto.

Raphael era come bloccato. Voleva prendere parola, ma in effetti non sapeva cosa avrebbe mai potuto dire. Lui amava Isabel per ciò che era, era perfetta così, ma non poteva evitare di pensare che anche la nuova lei mutante fosse stupenda.
E sarebbe stato tutto così semplice, senza remore e problemi, senza rimorso o ripensamenti. O no?
Cercò lo sguardo di Leo per chiedergli aiuto, ma l'espressione del fratello sembrava suggerirgli di cavarsela da solo e anche rimproverarlo per metterci così tanto.

Io non ti piaccio?” domandò la donna, accortasi della sua fredda immobilità, attirando la sua attenzione.
Sei bellissima” non poté evitare di confessare, davanti a quegli occhi feriti e in attesa, strappandole un sorriso felice.
L'abbraccio che ne seguì fu anche più sentito di prima, felice, euforico.

Hai capito? Non sei più necessaria” esalò spietata alla Isabel magica, sollevandosi sulle punte dei piedi per poterla guardare oltre la spalla di Raphael.
Sorrise davanti alla sua espressione ferita e sofferente, sorrise del suo strazio.

Addio, cara!”
Con una scivolata a destra e un gesto fluido, la mutante si scostò lievemente da Raphael e gli sfilò al contempo il Sai dal fianco, lanciandolo contro l'altra donna: sapeva che non avrebbe reagito per non colpire anche lui.
Rimasero tutti inerti, a seguire il volo dell'arma: Isabel non si scansò, non reagì; sorrise dolorosamente, quando il Sai la colpì al petto, e nemmeno per un secondo, il suo sguardo aveva lasciato lui.

NO!” urlò Raph, al vederla perdere la presa sul terreno, cadere ginocchioni e la sua magia scemare fino ad abbandonarla del tutto; i suoi occhi persero la sua luminescenza e l'ultima cose che vide, prima che lei si accasciasse al suolo, furono i suoi occhi scuri, che lo fissavano con amore.
No! Isabel!” strillò sconvolto, ma ormai il corpo stava svanendo nel nulla, come se non fosse importante, come se non contasse niente.

Io sono Isabel” lo corresse la mutante, correndo tra le sue braccia. E lo strinse, fin quasi a soffocarlo, ma l'orrore non lo abbandonò, né il dolore.
NO!” le rispose, fuori di sé, divincolandosi dalla sua stretta, con avversione e ferocia, mentre lei combatteva con tutta la sua forza il suo attacco di rabbia.

La terra rincominciò a tremare e scuotersi, mentre voragini si aprivano nel parco e il vento si sollevava il turbini violenti che schiaffeggiarono i loro visi con violenza. Il cielo divenne rosso sangue e si aprì in due, mostrando un nero senza fine, un buco nero che risucchiava ogni cosa: gli alberi si sradicarono dalla terra, e vorticarono nell'aria assieme ad ogni più piccola parte del parco, le sue panchine, i mattoni della piazza, la statua dell'angelo della Bethesda Fountain.

E nel caos, fu di nuovo la voce di Don a riecheggiare, con terrore.
Ragazzi, mi pare ovvio, ma voglio comunque ricordarvi una cosa: se moriranno tutte le manifestazioni, la vera Isabel morirà. State attenti!”

Isabel mutante si staccò da Raph, rivolgendogli uno sguardo tra il sorpreso e il ferito, il volto pallido: la mano corse verso lo stomaco, verso il Sai che lui aveva piantato nella sua carne; con incredulità e dolore lo strappò, con un gesto secco.
Lo guardò, con una domanda che premeva sulle labbra, ma che non trovò mai la forza di pronunciare: svanì a mezz'aria, congelata mentre cercava di alzare la mano per poterlo toccare un'ultima volta.

E il caos crebbe, crebbe a dismisura, inghiottendo ogni cosa e la verità.
Isabel era scomparsa, per sempre.




Note:
Buona sera a tutti!
Allora, qui scendiamo un po' nel metafisico, la lotta che accade nel corpo viene illustrata come una lotta nella sua mente, con più Isabel a combattersi.
Corpo e mente vanno a braccetto, per un guerriero.

E riecco Luce e la spiegazione del perché era stata introdotta... (va a guardare...) 25 capitoli fa! Certo che me la prendo comoda.
Ma c'è sempre un motivo per cui inserisco personaggi o situazioni, mai nulla è lasciato al caso. Addirittura c'è una cosa che ho messo velatamente nella prima storia che verrà spiegata solo a metà della quarta... sono malvagissima.

Anyway, Luce guida i nostri dalle Isabel, che si fanno spietatamente fuori una con l'altra, ma Raph, dopo un primo momento in cui era stato ammaliato da quella mutante, non ci sta che lei faccia fuori quella vera e la uccide a sua volta. E adesso?

Manca solo un capitolo! ç___ç
L'arrivederci è dietro l'angolo! Sì, c'è il continuo, ma la fine di una storia mi uccide, ogni volta!

Mi sono cresciute le braccia a furia di abbracciarvi tutte per il vostro affetto! Grazie da morire. Vi adoro!


P.s.: uno schizzo volante per farvi vedere come ho immaginato un ibrido umano mutante: i disegni di piastrone e carapace sono direttamente sulla pelle, che è solo un po' più spessa del normale e leggermente più dura.

Abbracciorso, ci vediamo alla fine!



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Capitolo 34
*** I love you... just the way you are ***


L'urlo di orrore di Leonardo si perse nel fragore del nulla che consumava e cancellava tutto, ogni porzione di New York che svaniva con un boato.
Lei era scomparsa definitivamente, sotto i suoi occhi. Prima quella semplice e normale, poi quella che aveva conosciuto e amato, -con la sua magia che esplodeva nei momenti meno opportuni,- e infine anche l'ultima, la mutante che aveva ucciso senza pietà la vera sé.
Morta a sua volta per mano di Raphael. Non ce n'era più nemmeno una, Isabel era svanita per sempre.

Che cosa hai fatto?” gridò fuori di sé, provando ad alzarsi.
Una raffica di vento violenta lo riportò ad accucciarsi, coprendosi la testa con le braccia per proteggersi. Una parte del parco si sgretolò in fine sabbia e venne risucchiata nel vortice, nel nulla e nell'oblio.
Sollevò con fatica lo sguardo e Raph era sempre lì, congelato nell'occhio del ciclone, immobile, forse nella gelida comprensione di ciò che aveva fatto.
Ma per pentirsi era troppo tardi.

CHE COSA HAI FATTO!” urlò Leo, spiccando una corsa verso di lui, piegato in due. Lo gettò a terra con uno spintone violento e quando furono entrambi giù, iniziò a colpirlo con furia e disperazione, come se ogni colpo potesse farlo poi sentire meglio o riportare indietro lei.
Hai ucciso Isabel!” lo investì, inorridito da quello che stava effettivamente dicendo, tempestandogli il viso di pugni, tenendolo al suolo con un ginocchio premuto contro il suo torace.
Anche se ciò che gli infliggeva era solo una percezione mentale del dolore, non di meno lo strazio che sentiva, il furore, doveva sfogarlo in qualche modo.

Quella non era Isabel!” si difese Raph, bloccando infine le sue mani e cercando di sospingerlo indietro.
Era l'unica che rimaneva! Era comunque una parte di lei. Invece adesso non... resta più... nulla” esalò il leader, spegnendosi ad ogni parola, cedendo alla consapevolezza e al dolore, che lo investirono in pieno.
Le sue spalle si incurvarono sotto quel peso, la testa si chinò verso il basso e sentì gli occhi bruciare; poteva sopportare l'idea di saperla con Raphael, poteva perché lei sarebbe stata felice e ogni suo sorriso gli avrebbe ricordato, ogni volta mentre moriva di un dolce dolore, che era stata la scelta giusta.
Ma non poteva sopportare che fosse morta, che il suo sorriso si fosse spento per sempre.

Sentì Raphael che lo spostava per potersi muovere, ma lui non reagì, lo lasciò fare; suo fratello si alzò deciso, come se il devastante tornado non fosse niente più che una brezza leggera per lui, un venticello primaverile sulla pelle. Eppure i detriti e le macerie gli volavano intorno con violenza, fischiando vicino a lui più di una volta.

Si incamminò a grandi passi verso la leonessa, rimasta sola, che si era accasciata a terra nel momento in cui tutte le manifestazioni erano scomparse, ormai spenta di ogni vitalità: il suo manto era diventato più scuro e lo squarcio che prima era solo sulla zampa, correva ora su tutta la schiena, doloroso a vedere; respirava a fatica e gli occhi dorati si stavano spegnendo.
Lo sguardo scintillò un secondo nell'osservare Raph che le si faceva vicino incredibilmente calmo, sicuro, fiducioso; alzò repentinamente il muso e snudò i denti affilati contro di lui, quando si fermò e si inchinò al suo fianco, allungando una mano verso di lei. Il respiro corto e sofferto fischiava attraverso le fauci.

Mi dispiace” sussurrò Raphael, tendendo la mano verso la sua testa, pronto anche a farsela mozzare. “Stai soffrendo per colpa mia, hai sempre sofferto per colpa mia.”
Luce sembrò quasi intenzionata ad azzannarlo per davvero; gli ringhiò contro, forse di dolore o di rimprovero, ma poi avvicinò il muso alla sua mano aperta e fiduciosa e la sfiorò con il naso, dolcemente, e smise di mostrargli i denti.

Raphael carezzò il suo muso e il collo, ma la mano si fermò quando raggiunse l'inizio della dolorosa ferita; Luce aveva riappoggiato il capo al suolo, sofferente, eppure in pace.
Mi dispiace, non volevo davvero farti soffrire” disse lui, sollevandola appena e stringendosela contro con amore e Luce chiuse gli occhi, forse pronta a svanire insieme a tutto il resto.

Però” continuò Raphael, carezzandole il collo, “lasciarti morire per punirmi... non credi che sia eccessivo, Isabel?”
Luce spalancò di colpo gli occhi dorati, più luminosi, più vivi.

Tu sei la vera Isabel” le mormorò convinto, chinandosi verso di lei, stampandole un bacio sulla fronte ambrata, che risplendeva sempre più ad ogni sua parola.
Così come il nome suggeriva, Luce divenne pura luce, brillante tanto da costringerlo a chiudere gli occhi, con forza, anche se continuò a stringerla, nonostante bruciasse, con l'intensità del sole.

Leo si accorse del bagliore che si spandeva crescendo attorno a lui, secondo dopo secondo, e combattendo il suo stato di apatia, sollevò lo sguardo verso di loro, sul nucleo luminoso che era Luce, e che stava cambiando in qualcos'altro, una forma che conosceva bene. Gli occhi gli facevano male tanto da lacrimare, o forse stava già piangendo da prima, ma non distolse lo sguardo nemmeno un secondo. Piantò le mani a terra e si sollevò lentamente, come in trance, per non perdere nemmeno un secondo di quel miracolo.

La luce fermò ogni cosa: il vortice distruttivo, il cielo nero e rosso che inghiottiva ogni cosa; la distruzione del parco si congelò e tutto scomparve, in un bianco assoluto e puro, un nulla luminoso e avvolgente.
Il tempo sembrava sospeso, un frammento di secondo fermo, che non scorreva, immobile.

Isabel smise di brillare, tra le braccia di Raph, e lì rimase, immobile e scoperta, riparando il viso nel suo petto, vergognandosi da morire.
Ormai, nel perfetto silenzio, si sentivano solo i loro lievi respiri, cadenzati, che sembravano musica.

Se non mi avessi riconosciuta, se non mi avessi trovata, sarei scomparsa... come lo sapevi?” chiese, quando si sentì di parlare.
Non lo sapevo” fu la sincera risposta di lui, che la stringeva con tutta la felicità concessagli, incurante di ogni altra cosa.
E allora come...?”
Non c'è una Isabel magica o una normale o una mutante... c'è solo Isabel. E lo sguardo di Luce è stato capace di farmi vergognare e contemporaneamente sentire speciale, come solo lo sguardo della vera te è sempre riuscito a fare” le confessò, con il viso nascosto tra i suoi capelli.

La sentì singhiozzare, commossa e imbarazzata, e poi allungare le braccia per stringerlo.
Torniamo indietro” le disse, carezzandole i capelli, un bacio sulla testa di sollievo, d'amore, di felicità.



Gli occhi di Isabel si spalancarono d'improvviso, mentre traeva un grosso respiro sofferto e liberatorio, come se stesse riemergendo da un'apnea di giorni, forse di anni, con la gola che bruciava.
Riconobbe il soffitto della sua camera da letto, il suo lampadario in carta di riso e bambù, giallo come il sole; ma era confusa, confusa sul perché fosse lì, sul come ci fosse arrivata. L'ultima cosa di cui era certa era di trovarsi in cucina e di aver preso la dose di mutageno lavorato... e poi l'oblio. Dolore forse, ma non ne era sicura.

Lo sguardo saettò vigile a destra e sinistra, frenetico e a scatti, finché non incontrò gli occhi di Raphael puntati su di lei e lì si fermò.
Si guardarono in silenzio. Lui era seduto su una sedia al fianco del suo letto, rigido e teso, con le braccia conserte, in una posa scomodissima da vedere, eppure immobile; aveva tolto la bandana e la osservava con gli occhi scuri pieni di serietà.
Per interi, silenziosi minuti continuarono solo a guardarsi, senza battere nemmeno le palpebre; Isabel aveva una dannata paura che se l'avesse fatto, qualcosa di orribile sarebbe accaduto.

Cosa sono?” chiese alla fine con voce roca, riferendosi al suo aspetto.
Sapeva che se lui era lì era solo per quello che aveva fatto, non sapeva ancora se per rimproverarla o altro, ma non era quello a cui pensava in quel momento.
Era ancora umana o si era trasformata? Non si sentiva diversa. Non si sentiva e basta. Il suo corpo sembrava intorpidito. Addormentato.

Una dannatissima idiota” rispose lui, alzando la voce e perdendo un po' della sua compostezza.

Isabel si sollevò lentamente per mettersi seduta, combattendo un violento senso di capogiro e nausea, poi, con un grosso respiro alzò le mani, presa dal timore di guardarle e le portò davanti al viso, rigirandole come pallidi ventagli, sorpresa.
Era rimasta umana.

Ti sei resa conto di quello che hai fatto? Rischiare la tua vita per diventare qualcosa che non sei, per piacere all'uomo che vuoi. È disgustoso! Sei la vergogna per ogni essere umano, per ogni donna” la aggredì lui, con un tono cattivo e velenoso.
Perché sì, lei si meritava un rimprovero, si meritava di essere ripresa, sgridata e Dio solo sapeva se non l'avrebbe anche voluta schiaffeggiare per la sua pazza decisione.

Isabel si bloccò, sconvolta. Abbassò le mani, mentre il respiro si faceva più corto.
Cosa diamine stai dicendo? Ma quale vergogna? Quale cambiamento per piacerti? Quale disgusto? Non hai capito nulla! L'ho fatto perché non mi importa nulla del mio aspetto, se è un ostacolo per stare con te. Questo corpo non ha senso, non ha valore, è solo l'involucro di ciò che sono. Questo volto, questa pelle, queste dita... niente di tutto ciò dice chi sono io. Niente di questo mi rende Isabel. Così come il tuo aspetto non ha nulla a che fare con ciò che sei. Io ti amo. Amo l'uomo che sei. Amo la tua dolcezza nascosta, amo la passionalità che metti in tutto ciò che fai, amo le tue paure, che ti rendono fragile, amo la tua testardaggine, le tue insicurezze, amo la tua impazienza. Non importa che aspetto hai, tu mi vai bene... semplicemente così come sei. E non mi importa di diventare una mutante, se potrò stare con te!”

Era arrossito, nonostante la rabbia che sentiva e la voglia di sgridarla per la paura che si era preso.
Perché quella era stata la cosa più bella che qualcuno gli avesse mai detto in tutta la sua vita. Ma era troppo. Isabel non poteva parlare sul serio. Non poteva davvero volere il pacchetto “mutante scorbutico”, non era giusto.

Lui doveva assolutamente farle capire che non potevano stare assieme, che non era possibile.
Ma allora non hai capito...” iniziò, seppellendo il calore che sentiva nel petto sotto una finta indignazione. Ma Isabel lo interruppe sollevando la voce, sporgendosi un po' in avanti.
Ho capito che mi ami. Ma che non vuoi stare con me, perché sei un mutante” dichiarò, interrompendo le sue bugie.
Non gli avrebbe dato tregua. Non l'avrebbe lasciato scappare, non ancora.

Raphael si sentì scoperto e il panico si trasformò in un secondo in rabbia, come suo solito, perché reagire con furore lo avrebbe distolto dalla verità che lei sapeva e che lui doveva assolutamente schivare, negare, rifiutare.
Si alzò in piedi, una scarica di nervosismo a percorrerlo per tutto il corpo, che non poteva farlo rilassare.

E cosa ti rende così maledettamente sicura? E se ti fossi sbagliata? Se ti fossi trasformata permanentemente e io non provassi nulla? Hai pensato che mi sarei sentito in colpa? Hai pensato che avresti messo sulle mie spalle la responsabilità e la colpa di ciò che saresti stata, costringendomi a prendermi cura di te, per sempre, anche contro la mia volontà?” sbottò fuori di sé, arrabbiato dalla sua testardaggine.
Non poteva fare sempre come le pareva.

La vide impallidire alle sue parole, nella presa di coscienza di una verità che non aveva pensato fosse possibile, che non aveva messo in conto. I suoi occhi erano lucidi, come se fosse in preda alla febbre.
Io... no, non ci avevo pensato. Ero così sicura. Così convinta che tu mi amassi, che non mi sono fermata a valutare la possibilità” balbettò incerta.
Non puoi fare cose del genere a cuor legg...” incalzò allora Raph, approfittando di quella debolezza, con solo un lieve rimorso.
Ma lei si riscosse sin troppo in fretta e con una espressione intensa e molto più convinta, lo inchiodò lì dove si trovava.

Dimmi che non mi ami. Guardami negli occhi e dillo. E io mi scuserò. E me ne andrò” esclamò con foga, stringendo il lenzuolo tra le dita, con nervosismo e paura.

Raph era paralizzato dal suo sguardo. Era vivido. Bruciante, di speranza e attesa. Sfolgorante. Non poteva guardare ancora in quegli occhi e mentire. Se lo avesse fatto, il rimorso di vedere quella luce spegnersi l'avrebbe tormentato in eterno.
Sto aspettando” soffiò lei, gli occhi fissi nei suoi.
Raph distolse appena lo sguardo, fissandolo nel piccolo triangolo di pelle tra le sue sopracciglia.

Non ti amo” disse poi, anche se un po' si sentì morire.

Bugiardo! Guardami negli occhi!” esplose con rabbia Isabel, le spalle scosse dall'ira per la sua continua presa in giro.
Raphael serrò la mascella e gli occhi, troppo esposto, troppo coinvolto. Il respiro era veloce e pesante, per sopperire al bisogno di ossigeno. Si fece forza. E riguardò in quegli occhi.
Ma non riuscì comunque a mentire.
Isabel sorrise, vittoriosa ed euforica, davanti alla sua espressione rassegnata e titubante.

E la rabbia lo invase.
Cosa accidenti vuoi da me? Vuoi che ti dica la verità? Ti amo. Ti amo così tanto che mi fa male il solo averti in una stessa stanza, perché ogni singola cellula del mio corpo lotta contro la voglia di stringerti e baciarti. Ti amo così tanto che il solo sentire il suono della tua voce mi fa battere il cuore dolorosamente contro le costole, ad una velocità allarmante. Ti amo così tanto che al solo pensiero di saperti con un altro mi sento così male, che mi trapasserei coi miei stessi Sai, per non dover soffrire ancora. Ti amo, Isabel. Ti ho amata per ogni istante, da quel Settembre sotto la pioggia.
Ma non posso stare con te.
Perché questa non è una favola, non c'è il lieto fine. Alla fine di questa storia la bestia non diventa uomo, il ranocchio non diventa principe... resta il mostro che è sempre stato. E i mostri non hanno il 'e tutti vissero felici e contenti'.
E perciò io non posso darti una vita normale. Non posso darti una famiglia. Una casa. Forse nemmeno figli. Non posso portarti a cena fuori. Non posso passeggiare con te per le vie, mano per la mano, sotto la luce del sole. Non posso portarti al cinema e abbracciarti mentre guardiamo un film strappalacrime. Non posso darti nulla. Non ho nulla da offrirti. Solo buio e umidità. Solo una vita da reclusi e reietti, per soffitto il pavimento del mondo!”

Ci fu silenzio, dopo la sua confessione, dopo che finalmente aveva estirpato la verità dal suo cuore e gliela aveva mostrata, con rabbia per la sua debolezza e il batticuore per aver rivelato alla fine quel sentimento, per ciò che avrebbe comportato.

Isabel tremava. Coi lucciconi agli occhi, incredula ed emozionata. Era la prima volta che Raphael le diceva di amarla; mai, mai le aveva detto prima quelle due parole, che si ripetevano nella sua mente con incredulità, con una dolcissima eco, scandendo i secondi.
Ti amo. Ti amo. Ti amo.
Scostò il lenzuolo e fece per scendere, ma barcollò per la foga con cui si era mossa, forse, o ancora per i residui della droga nel suo corpo, e lui si gettò all'istante in avanti, per sorreggerla.

Isabel si aggrappò alle sue braccia, con forza, tanto che le unghie stridevano contro il tessuto della tuta, con un rumore leggero.
Chi ha mai detto che io voglia qualcosa? Cosa mi importa di queste cose? A cosa mi servono? Pensi che mi renderebbero felice? Voglio solo stare con te, Raffaello! Ho già potuto scegliere e ho rinunciato ad una vita da regina, per starti accanto. Perché non mi interessa avere tutto, se non posso condividerlo con te!
Hai la famiglia migliore del mondo, una casa fantastica al sicuro da occhi indiscreti. E non importa se potremmo non avere figli, non sono una priorità. Possiamo cenare di notte, sul tetto di un grattacielo e passeggiare mano nella mano sui cornicioni, sotto la luce della luna. Guarderemo un film stretti sul divano, vicini tanto da sentire l'uno il respiro dell'altra. Quello che mi offri è più di quanto potessi desiderare e mi sta bene stare sotto i piedi del mondo, se sono con te. Non voglio niente di più!”

Fu il suo turno di tremare, per l'intensità di quella dichiarazione, per la forza di quell'amore che non sapeva se meritasse davvero, che voleva e non poteva concedersi.
No! Adesso parli così, ma un giorno... un giorno ti sveglierai e capirai che hai sbagliato, che io sono stato uno sbaglio. Capirai che puoi avere di meglio e te ne andrai!”
Eccola, la verità nascosta, eccola la paura che c'era dietro a tutto, che solo Leonardo aveva visto davvero e che alla fine, anche se indirettamente, aveva ammesso.

Tu sei il meglio, Raffaello! Ti amo e sono sicura di ciò che provo per te come per nessuna altra cosa nella mia vita. Non tenermi a distanza solo per la prospettiva di un futuro nato dalle tue paure. Stai facendo del male ad entrambi” fu l'accorata replica di Isabel, infervorata e decisa a smontare quelle sue paure e convincerlo a cedere, a darsi una chance.
Io voglio solo che tu sia felice” continuò imperterrito lui, sempre più incerto, sempre più flebilmente.
E allora amami! È tutto qui il segreto” insisté lei, che a livello di testardaggine forse era l'unica che poteva tenergli testa.

È uno sbaglio....”
Ti amo, Raffaello.”

No, non capisci, tu...”
Amami, Raffaello.”

Perché non vuoi vedere la verit...”
Ti amo Raffaello.”

Non poss...”
Amami, Raffaello.”

Smettila di ripeter...”

Isabel, che si era avvicinata sempre più ad ogni botta e risposta, si sporse e tese verso l'alto, e afferrandolo per il colletto, lo attirò verso di sé e lo baciò, zittendolo definitivamente.
E se per qualche misero secondo Raphael era rimasto immobile, sorpreso dal suo gesto, e se per qualche altro ebbe l'insana idea di staccarsi e allontanarla da sé, alla fine cedette e allungò le braccia, stringendola con tutto l'ardore possibile, ricambiando quel bacio dal profondo del cuore.
Se doveva pentirsene, lo avrebbe fatto per aver peccato fino in fondo.
E niente era stato più bello sapendo che non era giusto, nulla come averla tra le braccia, e assaporarla e sentirla e amarla.

Fu straziante quando lei si staccò, posando dei piccoli baci consolatori sulle sue labbra, come per rendere il distacco più dolce, forse anche per sé stessa.
Concedici una possibilità, Raffaello” sussurrò, poggiando un altro tenero bacio.

Era dilaniato, ma le sue convinzioni e le sue paure andavano via via sciogliendosi, sradicate cellula dopo cellula dalle sue labbra.
Promettimi che non andrai mai più via, che non mi sveglierò una mattina e scoprirò che tu non sei più al mio fianco. Promettimi che non ti pentirai mai di amarmi, promettimi che saremo felici, promettimi che questo non è tutto un enorme sbaglio” pretese, con tutta la sua insicurezza, desiderando ancora quei baci, che si portassero tutto via e gli lasciassero invece quell'estasi paradisiaca, quel benessere che solo lei sapeva donargli, per l'eternità.

Si specchiò negli occhi lucidi di lacrime di Isabel, così vicini da poter cadere in quelle profondità e non riemergerne mai più. Le sue piccole mani lasciarono andare il colletto e risalirono come una lieve carezza fino al suo viso e lo circondarono con amore.
Ti prometto che niente potrà mai più portarmi via da te, nemmeno la morte. Ti prometto che non lascerò mai il tuo fianco, nemmeno per un secondo, nemmeno per un respiro. Ti prometto che non mi pentirò mai di amarti, che saremo sfacciatamente felici, prometto che stare assieme non è uno sbaglio. Prometto, Raffaello. Prometto.”

Raph le circondò il viso con le mani e lo attirò verso il suo e fu lui a baciarla, in un tacito consenso, cedendo alla fine. E non importava se i baci erano salati per le lacrime di Isabel, sapevano solo più di vero, erano lacrime di felicità.
Dillo ancora un'altra volta, ti prego” chiese Isabel, tra un bacio e un altro, quando dovevano pur riprendere fiato.
Ti amo, Isabel” confessò Raphael, senza smettere di stringerla e depositare piccoli baci sul suo viso, ora che finalmente poteva tenerla e amarla, e nessuno gliel'avrebbe più portata via.
Il suo sorriso fu meraviglioso, splendido e il più luminoso, contornato da piccole lacrime lucide, così dolce, così pieno di amore.

Ti amo, Raffaello.”
Lo so”1 fu la risposta di lui, che la fece scoppiare a ridere, il suono presto soffocato dal bacio successivo e da quello dopo ancora e ancora e ancora.



Nel salotto, seduti sul divano e la poltrona color crema, in perfetto silenzio, tre mutanti e un ragazzino evitavano di guardarsi in volto, tutti troppo imbarazzati da quello che avevano perfettamente e chiaramente sentito, fino a pochi secondi prima. Stranamente però, nessuno di loro aveva lasciato l'appartamento durante il battibecco tra i due amanti, seguendo dal di fuori con discreto interesse.

Rimasero ancora un paio di secondi in silenzio, ma dalla camera non arrivava più nessun suono.
Ok, ora di sloggiare” sentenziò in imbarazzo Don, alzandosi dal divano. La sua mano si chiuse sull'orecchio di Steve, sollevandolo volente o nolente, costringendolo a seguirlo.

Avremmo dovuto dirgli che dal salotto si sente tutto quando parlano nella camera?” domandò Mikey con innocenza, accodandosi alla loro scia.
Donnie aprì la finestra e uscì nel piccolo terrazzino, seguito immediatamente da Steve e poi gli altri due, nella notte scura dell'equinozio d'autunno, primo giorno della nuova stagione.

No. E non avremmo nemmeno dovuto ascoltare” confessò il genio, solo lievemente risentito per ciò che avevano fatto.

Michelangelo sorrise, un grosso sorrisone poco pulito. Tirò fuori il Shellcell e premette un pulsante e la voce registrata di Raphael si diffuse d'un tratto attorno a loro.
...Vuoi che ti dica la verita? Ti amo. Ti amo così tanto che mi fa male il solo averti in una stessa stanza, perché...”

Mikey ripremette il pulsante e la voce scomparve, ma non il suo sorrisone maligno.
E perdermi questo? Lo ricatterò a vita con questa registrazione!”ghignò felice, davanti alle loro facce sorprese e forse un po' sconvolte.
Almeno sappiamo per quale motivo ti ritroveremo morto nel tuo letto” soffiò ironico Don, salendo nel cornicione e tirando su Steve, che barcollava per l'altezza, con lo sguardo incollato sulla strada di sotto, pieno di paura.

Poi, Donnie si voltò verso Leo, e si bloccò, con un sospiro affranto. Il leader chiudeva la loro fila, silenzioso e spento, cercando di nascondere la sua sofferenza. Scese dal muretto, -mentre Steve ci si aggrappava imprecando perché lo aveva lasciato lì sopra da solo,- e lo raggiunse; Leo non si accorse della sua presenza finché Donnie non gli poggiò una mano sulla spalla. Allora, e solo allora, alzò lo sguardo e incontrò il suo.

Sono fiero di te” gli disse, stringendo la presa. “Lo sono sempre stato, ma beh, adesso anche di più.”
Mikey si unì, circondando ognuno di loro con un braccio.

Anche io! Ho adorato soprattutto il pugno che hai dato a Raph!” ridacchiò allegro, contagiandoli con la sua risata.
E” incalzò quando ebbero smesso di ridere alle spalle del loro fratello, “sono sicuro che ti innamorerai ancora, O fearless leader. E che questa volta sarà quella giusta. Chi non vorrebbe uno perfetto come te come fidanzato?”

Leo sorrise commosso della sua premura, e l'abbraccio divenne per un secondo più forte, loro tre stretti nella notte.
Ma comunque sarò io il prossimo a trovare la ragazza, assicurato. Sono il più carino” aggiunse ancora Mikey, rompendo il momento.
Stavano ancora ridendo, quando la voce terrorizzata di Steve li raggiunse.

Qualcuno vuole per favore venire a salvarmi da questo cornicione?” esalò esasperato, aggrappato alla pietra come un'edera.
Con una risata ancora più grossa, i tre corsero in suo soccorso, poi, con un grande balzo si lanciarono nella notte, lasciando ai ritrovati innamorati tutta la privacy per parlare, amarsi, parlare, amarsi e parlare ancora, senza fretta, con tutto il tempo del mondo davanti a loro.



1: “Lo so” è la risposta che Han Solo da alla principessa Leia quando lei gli dice di amarlo, in Star Wars! Mascalzone! Ma sempre d'effetto.


Note:
Fine.

Ecco, anche questa avventura è finita.
Mi sento felice, triste, un gran calore nel petto per il vostro affetto, un grande vuoto per aver finito un'altra storia. Spero che vi sia piaciuta, con tutto il cuore.

Grazie infiniti, come l'universo in continua espansione, per aver letto, a chi ha commentato con affetto accompagnandomi nel viaggio, a chi ha messo questa e le altre storie tra i preferiti, i ricordati, a chi l'ha seguita in silenzio.
Vi ringrazio, con tutta la gratitudine che provo.

Ora, l'avventura continua, per chi vorrà continuare a seguire questa serie: la terza storia si intitola “Don't let me go” e inizierò a postarla subito dopo una miniraccolta di momenti dolciosi e buffi tra i nostri due piccioncini, storie che coprono l'arco di tempo che intercorre tra la fine di questa e l'inizio dell'altra, quasi un anno.
Certo, le storie come vedete sono fine a sé stesse, sono sempre conclusive e quindi non siete obbligati a leggere i sequel, ma più si va avanti più le cose crescono, evolvono, si fanno interessanti. Spero.

E poi continuerò le OS sui comics, ho una nuova storia in programmazione che non c'entra nulla assoluto con questa serie, e un'altra raccolta di OS ancora, più qualcuna singola, a sé.
Perciò, ecco, non vi libererete tanto in fretta di me, ma fino al prossimo incontro, arrivederci e un grandissimo, caldissimo e affettuosissimo abbraccio!

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