La morte pensava di potermi togliere la vita, io le ho tolto il lavoro

di StelladelLeone
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di ladruncole, piccioni e rivelazioni scioccanti ***
Capitolo 2: *** La madre delle stronze è sempre incinta (Senza offesa Afrodite) ***
Capitolo 3: *** Ragazzi e ragazze: impossibile capirsi, ieri come oggi. ***



Capitolo 1
*** Di ladruncole, piccioni e rivelazioni scioccanti ***


 

Di ladruncole, piccioni e rivelazioni scioccanti

 

 

Il lungomare della settantaduesima spiaggia della Città degli Angeli era caotica e viva come al solito: i ragazzi abbronzati giravano in costume con la tavola da surf sotto braccio nel tentativo di ammaliare le ragazze in bikini che a gruppetti passeggiavano ridacchiando, mentre famigliole armate di ombrelloni, cestini da pic-nic e tutta l’attrezzatura da mare possibile e immaginabile si dirigevano alla ricerca di un angolo di sabbia dorata dove passare la giornata, sotto l’occhio attento degli anziani seduti sulle panchine che ricordavano i vecchi tempi.

Il campo da caccia perfetto. Caotico, colorato, sfuggente e popolato: nessuno avrebbe fatto caso a lei.

Una ragazza di, a occhio e croce, sedici anni si alzò dalla panchina su cui finora era rimasta seduta a scrutare il via vai di persone con fare attento; i lunghi capelli ramati, che le cadevano in boccoli morbidi sulle spalle fino alla vita, ondeggiarono nel vento caldo che sapeva d’estate e il suo volto dai tratti fini e leggermente infantili iniziò a voltarsi a destra e sinistra alla ricerca delle preda.

Poi li vide e sorrise, di un sorriso scaltro e divertito: a una ventina di metri da lei discutevano animatamente tre ragazzi che giudicò avessero più o meno la sua età; uno di loro, il più alto, aveva i capelli neri, leggermente lunghi e scompigliati che gli ricadevano sulla fronte, mascherando gli occhi neri che risaltavano a contrasto con la carnagione pallida, e lei lo giudicò subito come il più pericoloso dei tre: i suoi occhi erano profondi e indagatori, di quelli che sono abituati ad analizzare e svelare inganni. Il secondo invece stimò che fosse assolutamente innocuo, con quelle stampelle e l’aria un po’ persa; infine, alla vista del terzo, non riuscì a reprimere uno sbuffo irritato: il tipico playboy pervertito. Capelli scompigliati e del colore del grano maturo, occhi blu come l’oceano, il fisico abbronzato, slanciato e muscoloso e infine il sorriso malandrino. Ovviamente lui era il più innocuo di tutti: data la sua natura non avrebbe mai resistito alla sua arma segreta.

Con un ghignetto si sistemò la felpa, nera e sicuramente di due taglie in più, in modo che fosse leggermente slacciata davanti per lasciar intravedere il seno prosperoso fasciato dal costume e che coprisse quasi del tutto gli shorts di jeans bianchi come le sue All Stars. Sarebbe stato un gioco da ragazzi.

A passo svelto si incamminò verso di loro, pensando a quale obiettivo sarebbe stato il migliore, quando il biondo gesticolò e la luce del sole accarezzò un bracciale che aveva al polso facendolo scintillare; la ragazza sgranò gli occhi, nell’osservare quel gioiello di un materiale che mai aveva visto, intrecciato con maestria, e poi sorrise. Bersaglio trovato.

La sua andatura decisa si trasformò in una dal passo più dolce ma affrettato, la sua bocca si strinse in una linea di preoccupazione e gli occhi scintillarono di lacrime trattenute.

Come se inseguita da qualcuno iniziò a voltarsi per osservare dietro di sé, con il respiro che si faceva accelerato.

Poi si scontrò.

Il ragazzo biondo sentì solo una forte botta contro la spalla prima che nel suo campo visivo entrasse una ragazza dai capelli ramati, inciampando nei suoi piedi, e d’istinto l’afferrò a pochi centimetri da terra per evitare che diventasse una frittella.

L’ombra di un sorriso sulle labbra della ramata venne sostituita da una smorfia spaurita e imbarazzata, con tanto di gote arrossate, e aggrappandosi al braccio del suo salvatore iniziò a scusarsi.

“Mi spiace, mi spiace…” mugolò con la voce trillante incrinata e piena d’ansia, la mano che veloce faceva scattare silenziosa l’apertura del bracciale del ragazzo e se lo fece scivolare nella manica, tenendo d’occhio di sfuggita gli altri due ragazzi.

“Non ti preoccupare…” tentò di rassicurarla la voce calda del ragazzo mentre l’aiutava a rimettersi in piedi. Con disgusto lei pensò che probabilmente le stava già guardando nella scollatura.

“Grazie…” gli rispose, aggrappandosi a lui e rimettendosi in piedi, e poi usò la sua arma segreta: con lentezza calcolata alzò gli occhi su di lui fino a incontrare i suoi, sbattendo le lunghe ciglia nere e vide il ragazzo guardare sorpreso quelle enormi pozze bicolore incastonate nel suo viso, una di un viola intenso da mozzare il fiato e l’altra nera, come se volesse risucchiarlo, intense e elettriche. Lei accennò un timido sorriso di scuse e fece per allontanarsi soddisfatta, ma la mano del ragazzo l’afferrò per il polso.

“Aspetta!” le ordinò perentorio e leggermente irritato, tanto che per un attimo la maschera della ragazza di incrinò mentre si voltava nuovamente a guardarlo. Di solito non andava così. Di solito la guardavano andarsene con la faccia da beoti e la bava alla bocca, non la trafiggevano con lo sguardo e le labbra sottili tese in una smorfia.

“Cosa?” chiese guardandosi intorno con aria sperduta, ma il ragazzo sogghignò e l’avvicinò a sé di scatto, mentre l’amico moro alzava gli occhi al cielo.

“Il bracciale.” Pronunciò guardandola dall’alto e tenendola ferma per il braccio con forza; la ragazza sbuffò, ma ormai non aveva più bisogno di tenere la sua maschera d’angioletto, che fu sostituita da uno sguardo tagliente e un ghigno freddo. Piano B: massacrare e scappare con il bottino.

Veloce libero il braccio dalla presa e caricò un pugno dritto contro la faccia del ragazzo; solitamente aveva tutto il tempo di scappare mentre il malcapitato giaceva stordito per strada, ma evidentemente quella non era la sua giornata fortunata. E neanche la sua giornata in generale.

Il biondo bloccò il pugno e con una mossa repentina la sbilanciò facendola cadere all’indietro per poi bloccarla per le spalle con la schiena a terra, sogghignando; la ragazza lo guardò ringhiando e fulminandolo con gli occhi.

La terra sotto di lei tremò.

Il ragazzo con le stampelle inspirò l’aria e spalancò gli occhi muschio, prima di gettarsi sul biondo sotto lo sguardo stranito del moro.

“Fermo Gray!” urlò come spiritato, mentre la ragazza si divincolava per liberarsi e scappare con quel bellissimo bracciale. Anzi no, prima lo voleva prendere adeguatamente a calci nel fondoschiena…

“È una di noi.” Aggiunse il ragazzo abbassando la voce e guardandosi intorno con preoccupazione, “E anche bella forte…” continuò mentre gli occhi di tutti e tre si puntavano sulla ramata, che decise di incrociare le braccia e sbuffare fulminandoli. Noi chi?! Lei lavorava in solitario, niente gang, gentaglia o altro…Forse l’avevano scambiata per qualcun altro…oppure avevano fatto uso di strane sostanze…

“Sei sicuro Chris?” chiese il moro con voce calma guardandola sospettoso e mettendola a disagio coi suoi occhi d’ossidiana.

Il ragazzo sembrò…annusarla?! Ora sì che aveva paura…

“Sicuro. L’odore è mascherato con un forte profumo e per questo non l’ho sentito subito, ma non deve averlo messo oggi e quando si è arrabbiata mi è arrivata una folata.” Spiegò serio accovacciandosi con gli altri due intorno a lei. La situazione le stava sfuggendo decisamente di mano…

“Non vorrei sembrare scortese…” tentò di richiamare la loro attenzione ironica, ma Gray la interruppe subito con voce tagliente.

“Chi dei tuoi genitori manca, ti ha abbandonato o è morto?” chiese scrutandola e inclinando leggermente la testa, come per leggerle dentro.

Domanda sbagliata.

“E a te cosa importa?” ringhiò irritata lei riiniziando a dimenarsi per liberarsi, “Lasciatemi subito andare razza di maniaci psicotici!” iniziò ad urlare nella speranza di attirare l’attenzione della gente intorno a loro, ma nessuno sembrò dar loro nemmeno un’occhiata.

“Maniaci a noi? Hai un bel coraggio ladruncola…” sbuffò il biondo per poi alzarsi da terra e trascinarla con sé, “Senti, o ci porti dai tuoi oppure ti portiamo dalla polizia.” La minacciò tenendola sempre ferma per entrambe le braccia e dallo sguardo serio lei capì che non bleffava. Era in trappola.

“Gray non ce n’è bisogno…” cercò di calmarlo il moro mettendogli una mano sulla spalla, ma Gray gli lanciò un’occhiata scettica.

“Lo sai che non è vero Jace.” gli rispose con un sorrisetto a cui avrebbe voluto dare fuoco. Cosa poteva fare?! Non voleva vedessero sua madre, ma non voleva nemmeno che sua madre scoprisse quello che faceva….

Con un sospiro smise di dimenarsi e richiamò la loro attenzione.

“Va bene, seguitemi.”  Disse loro infastidita, mentre cercava di nascondere l’agitazione, ma il ragazzo non la lasciò andare.

“Che c’è?” sbotto lei aggressiva, ma a un’occhiata a metà tra il divertito e l’irritato di lui, gli riallacciò il bracciale al polso con uno sbuffo.

“Ora va meglio ladruncola!” le disse ghignando e liberandola.

“Andiamo.” La richiamò Jace iniziando a camminare mentre Chris si guardava intorno agitato.

“Muoviamoci…” mormorò soltanto il ragazzo prima di seguirla.

“Come ti chiami? I nostri nomi li sai già e mi sembra inutile ripeterli.” Le chiese il biondo mentre attraversavano di corsa la strada trafficata, verso il centro.

“Rebecca.” Rispose lei guardandosi intorno e cercando di orientarsi in quel labirinto di palazzi e quella folla di persone.

“Non hai risposto alla domanda di prima.” Le fece notare Jace afferrandola al volo prima che si schiantasse per essere inciampata nei suoi stessi piedi.

“Non capisco perché dovrei.” Rispose lei tagliente allontanandosi da lui e riprendendo a camminare mentre osservava stranita come i tre l’avessero circondata, quasi a proteggerla. Si sentiva un puffo tra i giganti data la scarsa altezza…

“È importante.” La supplicò Chris con gli occhi da cucciolo e lei non ebbe cuore di dirgli di no; era il più simpatico tra i tre e le faceva quasi tenerezza mentre arrancava dietro di loro con quelle stampelle malandate.

“Mio padre. Ci ha abbandonate.” Gli rispose alzando gli occhi verso i cartelli e cercando di decifrare i nomi delle vie. Maledetta dislessia!

“Voi cosa volete da lei?” chiese di rimando mentre schivava con abilità una scolaresca in gita.

“Non è il posto giusto per parlarne…” le rispose lui tremante guardandosi alle spalle, mentre Jace e Gray si stringevano intorno a lei, non riuscendo a rimanere fermi nemmeno al semaforo rosso. Erano anche loro iperattivi?

“Perché hai rubato il mio bracciale?” chiese nuovamente Gray con leggerezza, facendole saltare i nervi. Era un quiz a premi o un interrogatorio?!

“Perché lo volevo.” Rispose con un sorriso amaro e guardandolo dritto negli occhi come a sfidarlo a risponderle, ma lui vide troppo emozioni diverse vorticare nei suoi occhi per decidere cosa dire e alla fine si limitò a picchiettarle un dito sulla fronte.

“Non si può avere tutto quello che si vuole ladruncola…” mormorò e lei non rispose, accelerando e inoltrandosi in una via squallida e dall’aspetto poco raccomandabile; dopo alcuni minuti in cui camminavano fra edifici fatiscenti e cassonetti dell’immondizia giunsero a piccolo condominio in cemento grigio. O forse una volta era giallo, ma non era possibile stabilirlo con chiarezza.

I ragazzi osservarono un cambiamento naturale e graduale nella ragazza man mano che salivano di piano in piano, finché non giunsero all’ultimo davanti a una porta in legno marcio; per un attimo gli occhi le diventarono lucidi mentre inseriva la chiave nella toppa e apriva la porta di casa sua, ma fatto un passo all’interno la tristezza sul suo volto venne sostituita da una gioia forzata.

“Mamma sono a casa!” trillò mentre aspettava che tutti entrassero per poi chiudere la porta dietro di loro. Era un vecchio appartamento, con un arredamento povero e malconcio: il piccolo salotto aveva solo una piccola libreria, un divano verde smorto e una tele degli anni ’80; proseguendo dietro di lei passarono di fianco a una piccola cucina, con solo un vaso di fiori al centro del piccolo tavolo rotondo a rallegrare l’atmosfera, e infine giunsero alla  fine del corridoio, con una porta per lato; quella centrale era leggermente aperta e si intravedeva un piccolo ma pulito bagno bianco, quella a destra era chiusa ma aveva una “R.” incisa al centro e infine quella a sinistra dava su una stanzetta inondata della luce calda del sole pomeridiano.

“Becky? ”chiamò una voce dolce e melodica dalla stanzetta e Becky entrò seguita dai ragazzi; era una camera da letto umile, con la carta da parati a fiori, un armadio in legno, un cassettone con sopra uno specchio e vicino alla finestra un grosso letto, ma non un letto da camera, uno da ospedale;  sopra, adagiata a vari cuscini così da poter star semi-seduta, c’era una delle donne più belle che i ragazzi avessero mai visto; aveva dei lunghissimi capelli del colore del tramonto che in onde ordinate scivolavano sui cuscini come un aureola, la pelle era del colore del latte e i lineamenti erano di un’eleganza e di una finezza senza pari, mentre gli occhi….gli occhi erano di un viola intenso, elettrico e vivo, che ammaliava.

Fu questa la loro prima impressione della donna, mentre la ragazza si avvicinava a lei per inginocchiarsi accanto al letto con un sorriso, ma pian piano i loro occhi videro tutti i dettagli che l’abbaglio iniziale aveva oscurato: la pelle sottile e fragile delle braccia, le dita magre tra le pagine del libro che stava leggendo, le piccole occhiaie sotto gli occhi e alcuni capelli bianchi nella cascata rossa.

“Sono i tuoi amici Becky?” le chiese con gioia bambina guardando i tre ragazzi e rivolgendo loro un sorriso da accecare il sole.

“N-non proprio mamma…” mormorò lei agitata, non sapendo cosa dire e muovendosi fremente sul posto.

“Signora…” iniziò Jace, per poi interrompersi rendendosi conto di non essersi e non esser stato presentato.

“Lily, mio caro, chiamami Lily.” Completò lei la frase cercando di raddrizzarsi un po’, curiosa, ma il suo corpo non reagì bene e Becky si affrettò a prenderla per le spalle fragili e riappoggiarla con delicatezza ai cuscini.

“Non fare sforzi…” l’ammonì con voce piena di tenerezza rimboccandole le coperte, mentre la madre rideva come una bambina.

“Scusate, ma la mia malattia mi impedisce di muovermi come vorrei e mia figlia è costretta ad accudirmi.” Si scusò imbarazzata ma tutti e tre le dissero precipitosamente di non preoccuparsi in alcun modo.

“Lily…” riiniziò Jace prendendo un respiro profondo, chiedendosi perché dovesse essere così difficile, “Siamo Jace, Gray e Chris... semidei del campo Mezzosangue.” Spiegò diretto guardandola negli occhi; subito il sorriso di Lily si spense e la donna tremò leggermente, mentre piccole lacrime si raccoglievano nei suoi occhi profondi.

“Sapevo sarebbe arrivato questo giorno…” sospirò infine con un sorriso mesto guardando la sua amata bambina.

“Cosa stai dicendo mamma? E cosa stanno dicendo loro?” le chiese preoccupata facendo danzare gli occhi da lei ai tre strani ragazzi.

“Piccola, è ora che tu sappia: ti ho mentito. Tuo padre non è un uomo, è un dio. Un dio dell’Olimpo.” Le spiegò seria come mai prima d’ora e mentre la ragazza a bocca aperta si lasciava cadere in ginocchio sul pavimento, iniziò a raccontarle la realtà di quel mondo.

 

Dopo dieci minuti Lily finalmente tacque, mentre guardava Rebecca che tremante immagazzinava tutte quelle nozioni sugli dei, i miti greci, la civiltà occidentale e i semidei; poi finalmente prese un grosso respiro e sotto lo sguardo carico di attesa dei quattro intorno a lei si alzò in piedi.

“Credendo anche che tutto questo sia vero, non vedo il problema o in che modo mi riguardi.” Disse volgendo il capo per guardare fuori dalla finestra.

“Dobbiamo portarti al campo con noi.” Le spiegò sintetico Jace perforandola, ma lei lo ignorò.

“Per favore…!” iniziò cercando di darsi un tono scocciato e spolverandosi le ginocchia, “In sedici anni non mi è mai successo niente di strano, né un fantomatico mostro mi ha attaccato…non ne vedo la necessità.” Terminò con sguardo di sfida verso i tre, incrociando le braccia, i quali non osarono rispondere, guardandosi incerti: effettivamente era strano che fosse ancora viva e illesa, soprattutto se era potente come diceva Chris.

“Quello…quello è colpa mia.” Intervenne Lily, stropicciando imbarazzata le coperte con le dita affusolate, “Quando tuo padre mi spiegò del campo ero davvero spaventata all’idea di doverti mandare via così presto e…gli chiesi un regalo: un modo per proteggerti fino all’ultimo. Lui era generoso e mi amava moltissimo, così mi accontentò: mi diede un profumo speciale che permetteva di nascondere alla perfezione i semidei e un indirizzo per poterlo ordinare, dato che andava messo ogni giorno.” Spiegò senza alzare gli occhi e ignorando lo sbuffo di Rebecca alle parole “Mi amava moltissimo”.

Rebecca strinse i denti pensando ai danni di quello stupido profumo e maledisse suo padre, ma al momento aveva problemi più urgenti.

“E che problema c’è?” riprese forzando un sorriso e alleggerendo il tono “Continuerò a metterlo e rimarrò con te…Amo la nostra vita insieme, le mie amiche, la scuola, le uscite al sabato e le chiacchierate con te; i giorni poi in cui facciamo i biscotti sono i migliori.” Aggiunse con una risata, che subito gli si smorzò in gola quando la mano della madre le accarezzò la guancia e incontrando i suoi occhi la vide piangere lacrime cristalline.

“Mi spiace Becky…per tutto quello che hai sopportato per me; avrei voluto darti una vita migliore…ti voglio così bene bimba mia, che ora sono pronta: è il momento che tu viva la tua vita, quella per cui sei nata.” Le disse con un sorriso così dolce da far distogliere lo sguardo ai tre, che si sentivano quasi degli intrusi.

Becky sgranò gli occhi e poi se li coprì con una mano, sorridendo amara: ovviamente lei sapeva e aveva sempre saputo.

“Non andrò.” Disse decisa ricacciando indietro le lacrime.

“Devi. Io chiamerò i nonni. Starò bene.” Rispose la madre scostandosi da lei e asciugandosi le lacrime, ma prima che Rebecca potesse ribattere un grido straziante lacerò l’aria, facendola rabbrividire. Era a metà tra l’urlo delle donne nei film horror e il verso di un aquila.

“Cos’è stato?” urlò la ragazza guardandosi intorno spaventata, mentre sentiva il suo autocontrollo sbriciolarsi.

“Dannazione, dannazione, dannazione!” iniziò a mugolare Chris guardandosi intorno con il puro terrore negli occhi.

“L’hanno trovata?” chiese Jace precipitandosi alla finestra per guardare fuori.

“Becky hai messo il profumo stamattina?” le chiese la madre guardandola con rimprovero e paura, non era difficile immaginare che forte aurea dovessero mandare i tre più sua figlia. Una calamita per mostri.

“NO CHE NON L’HO MESSO, QUELLO STUPIDO PROFUMO!” urlò lei allora perdendo completamente il briciolo di calma che le era rimasta, “SMETTETELA CON QUESTA STUPIDA STORIA!”

“Arpie!” mugolò Chris mettendosi le mani tra i capelli.

“Dovete andare!” li incitò la madre, ignorando la figlia e voltandosi a parlare con gli altri semidei.

“MAMMA NON MI IGNORARE!” urlò ancora Becky indietreggiando fino a trovarsi con le spalle al muro e avvolgendosi le braccia intorno alla vita, ferita.

“Chris in camera di Rebecca, c’è uno zaino di emergenza preparato apposta per quest’occasione dietro la porta appeso all’appendiabiti” lo istruì mentre il ragazzo annuendo si precipitava fuori; Jace intanto aveva estratto quello che sembrava un coltellino svizzero nero e continuava a osservare fuori dalla finestra, in fremente attesa.

“IO NON VADO DA NESSUNA PARTE!” cercò ancora di opporsi la ragazza, ma Lily guardò supplicante Gray che con un sospiro le si avvicinò.

“Mi spiace.” Le disse guardandola con serietà, prima di afferrarla per i fianchi ignorando i suoi tentativi di divincolarsi e gettandosela in spalla.

“Mettimi giù maniaco!” gli urlò lei prendendolo a pugni sulla schiena, ma lui si rivolse a Lily.

“Starà bene lei?” le chiese come se indeciso se prendere in spalla anche lei o meno.

“Andate!” gli rispose lei trattenendo le lacrime e sorridendo con forza.

Chris, che stava rientrando, venne spinto fuori da Gray con la furia urlante in spalla, e Jace li avrebbe seguiti se Lily non lo avesse richiamato.

“Jace? Per favore… guardami.” Gli chiese la donna e il ragazzo si avvicinò perplesso, concentrandosi solo su di lei…e vide. Vide la verità così abilmente celata a chiunque altro.

“Ma lei…!” tentò di dire sgranando gli occhi, ma la donna si pose un indice sulle labbra e sorrise tra le lacrime.

“Hai i suoi stessi occhi.” Gli disse prima di accasciarsi esausta sul cuscino, cadendo in un sonno profondo.

 

 

Becky aveva smesso di dimenarsi appena uscita dall’edificio e si era aggrappata alla felpa del suo rapitore singhiozzando. Non capiva perché, non capiva cosa stava succedendo…aveva abbandonato sua madre che avrebbe dovuto umiliarsi a chiedere aiuto ai suoi insopportabili genitori, tre ragazzi sconosciuti la stavano portando chissà dove e, l’unica cosa che sapeva con certezza, era che la colpa era di suo padre. Dio o no, lo avrebbe fatto a pezzi.

“Mi spiace Becky che sia accaduto così…” si scusava intanto a ripetizione Chris, belando di tanto in tanto, ma era troppo stordita per farci caso; Jace li aveva raggiunti subito dopo e Gray si era accorto subito che l’amico era scosso, ma non aveva detto nulla e avevano continuato a correre per le strade di Los Angeles, coperti dalla Foschia che abilmente manipolava.

Stavano giusto svoltando in alcuni vicoletti deserti, quando l’ennesimo urlo disumano torturò i loro timpani.

“Ci hanno raggiunto!” sbottò Gray fermandosi all’improvviso e guardandosi intorno scocciato, seguito da Jace e Chris, terrorizzato.

“Non ci resta che affrontarle.” Mormorò il moro mettendosi di fianco a lui e, sotto gli occhi increduli di Becky, il coltellino svizzero si trasformò in una grossa spada a due mani nera come la notte.

“Ma che…?” gemette prima che Gray la scaricasse di mala grazia a terra e Chris le posasse accanto lo zainetto viola, “Se ci tieni alla vita, non fare scherzi ladruncola e sta ferma.” Le disse il biondo causandole uno scompenso di nervi e un forte istinto omicida.

Prima che però potesse ribattere, dal cielo scesero in picchiata la conferma dei suoi peggiori incubi: due donne grasse e bitorzolute dagli occhi cattivi e il sorriso sdentato; ma la cosa peggiore erano le ali grigio sporco che spuntavano dalla loro schiena e la parte inferiore del corpo come quella di un piccione.

Jace e Gray si misero davanti a lei per proteggerla e quest’ultimo accarezzò il braccialetto, che con uno luccichio dorato si fuse in un elegante arco intarsiato, grosso la metà di Becky.

“Guarda chi si rivede…i vecchi polli!” le schernì prima di afferrare la corda dorata a e tenderla, mentre nelle sue mani si formava da un globo luminoso una freccia piumata che sembrava fatta di luce pura.

“Semidei! Morirete qui e oggi per mano nostra.” ringhiarono le due sgranchendo gli artigli con grande terrore di Becky, prima di slanciarsi contro i loro avversari.

Jace si lanciò contro la sua avversaria tentando di tranciarla di netto con un fendente allo stomaco, ma quella aprì le ali e lo evitò saltando verso l’alto, per poi ricadere verso di lui con gli artigli pronti a ghermirlo; il moro allora si gettò si lato e rotolò sul fianco, facendo poi perno sul piede e lanciandosi nuovamente su di lei. Intanto Gray bersagliava di frecce con precisione letale l’arpia, ma quella volava senza sosta nel tentativo di evitarle e allo stesso tempo di avvicinarsi, rimediando così pochi graffi; sfortunatamente per lei non appena arrivò a un metro da lui, il ragazzo afferrò con entrambi le mani l’arco al centro e lo girò orizzontalmente, per poi tirare verso le due parti opposte: con un'altra luce dorata l’arco si divise in due corte daghe con cui ingaggiò un combattimento a corpo a corpo.

Fu proprio mentre Rebecca li guardava allucinata sfregandosi gli occhi e chiedendosi che tipo di strategia di fuga adottare, che un fruscio dietro di lei le fece saltare il cuore in gola e, solo grazie a Chris che la spinse via, non finì sotto gli artigli dell’arpia.

“Attenta Becky!” le urlò prima di scalciare via il mostro; già, scalciare: le stampelle erano a terra e le scarpe gli erano scivolate via lasciando in bella vista due amabili zoccoli caprini. Zoccoli caprini.

“È mezzo capra…mezzo capra…” ripeté scioccata guardando l’arpia rincorrere il povero Chris terrorizzato; da qualche parte le si accese una luce con scritto dentro “Satiro”, forse grazie ai racconti mitologici che la madre le leggeva da piccola, ma non ci fece caso. Era troppo.

“Io vi odio tutti…vi odio proprio…” iniziò a mormorare con il corpo che le tremava dalla rabbia mentre cercava di rimettersi in piedi, “Voi pazzi sconosciuti…la capra…mia madre…voi stupidi piccioni e…mio padre. Lui lo odio proprio!” continuò alzando la voce leggermente isterica, mettendosi finalmente dritta e guardando con uno scintillio folle negli occhi l’arpia, che improvvisamente aveva smesso di inseguire il satiro e si avvicinava a lei. Con calma assassina si girò di lato e sorrise sadica, per poi afferrare da terra il grosso coperchio di un bidone della spazzatura.

“Ehi ladruncola cosa…?” le urlò Gray voltandosi un attimo per controllarla, la sua attenzione richiamata dai deliri di lei, e per poco non inciampò dallo shock nel vedere la ragazza avvolta da un aura assassina correre incontro all’arpia urlando come un invasata e sbatterle sul muso il coperchio a ripetizione.

“STUPIDO PICCIONE!” Urlò menandole un colpo dritto sul naso,” RIDAMMI LA MIA VITA! LA ESIGO!” continuò mentre quella cercava di colpirla, ma a parte qualche graffio non riuscì a sconfiggere la belva che la stava trasformando in un ammasso di lividi. Infine una freccia dorata si conficco nel suo petto e la creatura si dissolse in sabbia, quasi sollevata che avessero presto posto fine alle sue sofferenze.

La ragazza si voltò ansimante brandendo la sua fedele arma, ma a guardarla trovò solo Jace che ghignava, Chris spaventato e Gray che si rotolava dalle risate.

Rebecca li guardò in silenzio fremente e per un attimo il tempo parve cristallizzarsi. Poi scattò.

 

 

Dieci minuti dopo Jace, Chris e Gray con in spalla Becky raggiunsero una grossa jeep nera parcheggiata in una via deserta.

“Non voglio venire.” ripeté per la trecentesima volta Becky, a braccia incrociate e scura in volto, oltre che a testa in giù.

“L’abbiamo capito da quando hai cercato di scappare dopo l’incontro con le arpie; tra l’altro: bello scatto, sei già piuttosto allenata o sbaglio?” le chiese Gray con ironia scaricandola direttamente sul sedile posteriore e legandola con la cintura di sicurezza prima che potesse fuggire di nuovo; non che ci avrebbe riprovato dato la velocità con cui l’avevano ripresa, umiliarsi una volta bastava e avanzava.

“Non potete obbligarmi.” ripeté fulminandoli e masticando insulti a mezza voce.

“Sì che possiamo!” rispose con un ghigno il biondo mentre Chris belava cercando di calmarli, dopo essersi seduto di fianco a lei mentre quello si sedeva davanti con Jace alla guida, che a quanto pare era diciottenne e quella macchina era un regalo di suo padre.

“Sei inseguita dai mostri, non puoi tornare da tua madre perché ti rispedirebbe da noi e hai solo uno zainetto…credo che ti convenga venire con noi.” Le fece notare pratico Jace, ma lei sbuffò.

“Me la caverei…me la sono sempre cavata.” mormorò guardando fuori dal finestrino mentre si allontanava dalla sua caotica città e Gray metteva una stazione radio inascoltabile, tanto che cominciò a lamentarsi e a tentare di imporsi finché non mise quella che voleva lei.

Passò il viaggio ad alternare minuti interminabili di silenzio ostile verso i suoi aguzzini a minuti ancora più lunghi (per gli altri) in cui li tempestava di domande sul campo, lamentele e battute sarcastiche; fortunatamente era talmente stanca e provata psicologicamente che dopo un’oretta si addormentò appallottolandosi contro il finestrino e Gray poté rimettere la sua amata stazione.

 

Era ormai il tramonto quando Becky si risvegliò con Gray che la scuoteva per la spalla; per un attimo si guardò intorno persa, ma subito dopo iniziarono a tornarle in mente gli avvenimenti di quel giorno e il suo sguardo smarrito lasciò lo spazio ad uno freddo e circospetto. Con un salto balzò giù dalla jeep e guardò la collina davanti a cui si erano fermati: a prima vista non aveva niente di speciale ma concentrandosi ad un certo punto lo vide…un grosso e maestoso pino, che i ragazzi gli avevano spiegato esser stato una figlia di Zeus della precedente generazione, la grande eroina Talia Grace, attorno a cui si avvolgeva in spire un grosso dragone dormiente. Il segno del confine del Campo Mezzosangue.

 Dopo aver preso un profondo respiro ed essersi sistemata la felpa in modo non si vedesse che era ancora in costume, si stampò in faccia la migliore maschera di ostentata sicurezza che aveva e si incamminò al fianco di Jace e Chris dietro Gray; più avanzava, più ammirava il campo davanti a lei e più era difficile non sgranare gli occhi e saltellare eccitata e spaventata al tempo stesso: le mostrarono l’arena, le Case e il punto di ritrovo per il banchetto, vide altri satiri, ammirò le ninfe ballare tra i boschi e le sirene salutarli dal lago. Venne presentata a Chirone, davanti al cui posteriore equino non poté non trattenere un commento scioccato, nonostante fin da subito sentisse una profonda ammirazione e rispetto per quel centauro, e al signor D che la chiamò Rachele tutto il tempo irritandola in maniera impressionante e che l’assegnò alla Casa di Ermes in attesa che fosse determinata, come già le avevano spiegato gli altri.

“La casa dei ladri…ti si addice ladruncola!” ghignò Gray mentre l’accompagnavano alla sua casa e lei lo colpì con un pugno sulla spalla, inviperita.

“Ti conviene tacere…” gli sibilò prima di accelerare per lasciarlo indietro, ma quello la raggiunse subito, salutando intanto ragazzi in armi che correvano e chiacchieravano da tutte le parti, mentre Chris sbuffava esasperato e Jace rimaneva chiuso in un silenzio che Gray non aveva problemi a identificare come preoccupato e teso.

“Non ti piace l’idea che possa essere lui tuo padre?” gli chiese cercando di sbrogliare la mente di quella ragazza, ma lei si girò a guardarlo e sorrise falsa e fredda.

“Non me ne frega di chi sia…lo voglio sapere solo per prenderlo a calci in culo.” Proferì scrocchiandosi le nocche, come pregustandosi il momento, e per un attimo intorno a lei si diffuse un’intensa aura omicida, ma Jace le mise una mano sulla testa, facendola calmare all’istante e voltare stupita.

“Devi stare attenta a come parli Becky, è pur sempre un dio e non sai perché abbia fatto quel che ha fatto.” Le disse scrutandola con gli occhi neri come la notte, ma lei distolse lo sguardo.

“Non mi interessa…” mormorò chiudendosi in se stessa.

“E poi è raro che i padri incontrino i figli, avresti poche occasioni per farlo.” Aggiunse Gray alzando le spalle e lei sbuffò frustrata.

“Non devi andare nella Casa di Apollo a fare qualcosa o a infastidire qualcun’altro?” gli chiese riprendendo a camminare al fianco di Jace, ma lui rise e la guardò curioso.

“Come sai che sono figlio d’Apollo?” le chiese divertito, prendendola al volo prima che si schiantasse a terra per essere inciampata in una maledetta radice.

“L’arco.” Rispose lei sicura scostandolo orgogliosa, “Da come lo usi devi essere per forza un figlio di Apollo, dato che Artemide non ha figli.” Spiegò scrollando le spalle.

“L’hai studiato a scuola?” le chiese Chris colpito, ma le guance di Becky si tinsero di rosso e lei si voltò dall’altra parte.

“No, mia madre mi raccontava i miti greci quando ero piccola...ho smesso di andare a scuola al primo anno di liceo.” Rispose guardando per terra e accelerando la sua andatura.

“Perché? E cosa facevi?” chiese subito Gray mentre Jace mormorava qualcosa riguardo al “riserbo” e al “tatto”, cose a lui completamente sconosciute.

“Perché non ti fai gli affari tuoi?” ribatté infatti lei piccata e i due avrebbero ingaggiato un’altra schermaglia verbale se Chris, esasperato, non fosse intervenuto per distrarli.

“La Casa di Ermes!” urlò con il dito teso a indicarla e subito lo sguardo della ragazza si catalizzò sulla sua casa temporanea e i suoi abitanti: occhi malandrini, visi dai tratti sfuggenti, mani affusolate…Becky strinse le cinghie dello zaino viola che portava in spalla e assottigliò gli occhi. Era vero che era andata a scuola al liceo solo tre mesi, ma non era difficile immaginare che l’atmosfera al campo non fosse molto diversa: sistema gerarchico in ordine d’età, popolarità e forza; la prima impressione era fondamentale e la sopravvivenza veniva prima di tutto. Doveva attuare una strategia efficace per non farsi fregare e allo stesso tempo per non farsi etichettare come bersaglio, debole o frigna e contemporaneamente non doveva scoprire le sue carte. Altrimenti era finita.

Con un respiro profondo rilassò tutti i muscoli e si stampò un sorriso gentile ma sicuro in viso e camminando salutava timidamente con la mano i ragazzi di Ermes, che contraccambiavano felini, mentre i suoi accompagnatori osservavano la metamorfosi diffidenti.

“Lui è Atlas, il capogruppo.” Presentò Jace un ragazzo alto e magro venuto loro incontro, che ricordava un’aquila, dai capelli biondo cenere, “E lei è Becky.” I due si strinsero la mano cordiali, ma Gray sorrise beffardo nel vedere il lampo di diffidenza e allo stesso tempo di divertimento negli occhi della ragazza: non sapeva cos’aveva in mente, ma di sicuro si sarebbe fatta presto rispettare…oltre che molti nemici.

 

 

Gray e Jace rividero Becky solo a cena e subito sospirarono scambiandosi un’occhiata leggermente esasperata e divertita: camminava dietro ad Atlas a passo felino, con il suo sorrisetto stampato in volto, le mani nascoste nelle grosse tasche della felpa nera da uomo che portava con i leggins dello stesso colore, la maglietta del campo che neanche si vedeva, e i ragazzi della casa intorno a lei che o la guardavano irritati o ammirati, segno che aveva già combinato qualcosa. E a vedere dal numero di quelli irritati, qualcosa di grosso.

“Ancora non mi hai ancora detto cosa stai rimuginando…” fece notare Gray a Jace mentre tenevano la ladruncola sott’occhio, ma il ragazzo sospirò scompigliandosi i capelli.

“Lo saprai presto temo.” Rispose prima di andare a sedersi al suo tavolo in solitaria, lasciando un Gray innervosito a ipotizzare sul segreto del ragazzo. Se c’era qualcosa che non sopportava erano i segreti, soprattutto se glieli tenevano i suoi amici. E la musica house, ma quello era un altro discorso.

Becky nel guardarli si diede della stupida per non aver chiesto in che casa fosse Jace, ma a giudicare dal tavolo dove sedeva da solo doveva essere per forza figlio di un dio minore raro o di uno dei Tre Pezzi Grossi…interessante, chissà quali grandi poteri aveva! Dopo cena glielo avrebbe chiesto, sempre che fosse sopravvissuta alla cena… la metà della casa di Ermes la odiava, l’altra la trovava divertente…era probabile un tiro mancino nell’immediato. E dire che si era solo difesa…O almeno così reputava rubare un pugnale, fare finta di dormire per poi balzare addosso agli incauti che cercavano di avvicinarsi ai suoi averi e minacciarli di morte e dolore …evidentemente non gli piaceva trovare qualcuno furbo quanto loro.

Non fece neanche in tempo a pensarlo che la ragazza che le camminava accanto, la prima vittima dal pessimo carattere, la spintonò e le fece lo sgambetto con il piede facendola cadere a terra, ma Becky era pronta a tutto in quel momento e atterrando sulle mani si rialzò con una capriola in avanti.

“Oh scusa Rebecca!” le disse la ragazza dai capelli corvini ostentando un sorriso falso, ma lei si limitò a rispondere con un ghigno di sfida.

“Non ti scusare, non mi hai fatto proprio niente.” Pronunciò soffermandosi sulla parola niente, per sottolineare come fosse molto più difficile metterla in difficoltà, e sistemandosi i capelli dietro un orecchio, degnandola solo di un’occhiata di sfuggita. E tutto sarebbe finito lì, con i ragazzi che andavano al tavolo a mangiare e le ragazze che borbottavano inviperite, se Becky nel voltarsi non avesse notato uno luccichio nella mano della ragazza. Sgranando gli occhi si tastò il polso e poi ringhiò verso di lei, mettendosi in posizione di guardia.

“Ridammelo!” le sibilò perdendo ogni atteggiamento di composta superiorità.

“Che cosa?” le chiese quella fingendo innocenza, mentre l’attenzione di tutto il campo, in attesa dell’arrivo di Chirone e il Signor D, si concentrava su di loro nella speranza di una bella lotta tra ragazze.

“Il bracciale!” ringhiò in risposta Becky stringendo le nocche fino a farle sbiancare.

“Ti riferisci a questo?” le chiese facendole dondolare davanti agli occhi un semplice braccialetto a catenella, in argento, con al centro un ciondolo a goccia di ossidiana, “Mi spiace, principessina, ma se non stai attenta alle tue cose non è colpa mia di certo!” le disse facendo ridacchiare alcuni compagni di casa.

“Ridammelo.” Ringhiò nuovamente Becky mentre tutta la rabbia che provava le ribolliva nelle vene.

“Vieni a prenderlo!” la sfidò l’altra prima di lanciarlo in aria per poi prenderlo al volo e metterselo nella tasca dei jeans sdruciti, e Becky le scattò contro all’istante; ma per quanto fosse abituata a cavarsela da sola e conoscesse le basi del combattimento, non aveva speranze contro una che si allenava giornalmente e in un battibaleno finì con la schiena a terra e il piede della ragazza che le premeva sulla gola.

“Tutto qui? Ti senti umiliata? Da come ti comportavi pensavo potessi fare di meglio.” La sbeffeggiò l’avversaria mentre riprendeva a farle dondolare il prezioso braccialetto davanti agli occhi pieni di rancore.

“Deve valere molto per fare quella faccia…” la schernì ghignando.

 

Lily era riuscita ad uscire di casa quel giorno, proprio per il compleanno di Becky, che non riusciva a smettere di sorridere mentre camminavano lentamente sul lungomare chiacchierando e ridendo. Avevano mangiato un gelato insieme, avevano fatto un giro allo zoo e ora stavano decidendo dove mangiare la sera…Era una giornata perfetta. E lo fu ancora di più quando passando di fianco a una bancarella sua madre si fermò a occhi sgranati.

“Quello!” le disse indicando con gli occhi che le brillavano un piccolo braccialetto con una catenella d’argento e un ciondolo in ossidiana a goccia, “È perfetto per te!” le disse orgogliosa.

“Non ce n’è bisogno…” cercò di dissuaderla Becky, sapendo che non avevano molti soldi e avrebbe comunque potuto rubarlo, ma sua madre non ne voleva sapere e finì per comprarglielo.

“È il mio regalo per te, un ricordo che ci terrà sempre insieme!” le disse sorridendo mentre glielo allacciava al polso.

“Ridammelo! È mio!” le urlò ancora divincolandosi, ma quella la ignorò.

“È argento? Dici che si spezza facilmente?” chiese invece la mora estraendo un pugnale e passandolo nel bracciale, per fare poi pressione contro la catena con la lama e osservare sadica l’espressione di terrore che per un attimo balenò sul suo viso.

“Basta Malika!” la voce di Gray che si faceva largo a spintoni tra i ragazzi curiosi che li avevano accerchiati, divisi fra tifosi di una e dell’altra ragazza, per un attimo fece sobbalzare la figlia di Ermes, che vedendo Jace seguirlo con sguardo cupo per un attimo tremò, ma poi li ignorò e la sua presa si fece più forte.

“Così impari a sfidarci!” le mormorò prima di tirare con forza, ma non fece in tempo a spezzarlo che un rombo squarciò il cielo.

Il terreno prese a tremare con forza e improvvisamente si aprirono grosse crepe intorno a loro.

“Non osare.” Sibilò Becky seria e fredda come la morte prima di afferrare la caviglia di Malika e spingerla all’indietro facendola cadere sul fondoschiena, con una forza che neanche lontanamente pensava di avere.

La ragazza la guardò a occhi sgranati, incapace di proferire parola.

“Dammelo.” Ringhiò poi alzandosi e tendendo la mano, un forza oscura che sembrava arderle nelle vene, l’oscurità bruciarle fredda negli occhi.

Contro le sue aspettative la ragazza glielo lanciò e lei poté riallacciarselo al polso con un sospiro di sollievo, mentre già tutta la ferocia andava spegnendosi in lei; fu quando, alzando gli occhi, scorse tutti guardarla scioccati che capì che qualcosa non andava e a disagio si guardò intorno, ma non riuscì a trovare nulla di strano. Dai, non potevano fare tutta quella scena per una rissa…o forse era perché aveva battuto Malika?

“Sei stata riconosciuta.” la voce di Jace, calma e per nulla stupita, ruppe il silenzio creatosi e il flusso di pensieri della ramata, “Alza gli occhi.” Le suggerì e seguendo il consiglio i suoi occhi incontrarono un grosso stemma nero che volteggiava brillante sulla sua testa.

“Benvenuta al Campo Rebecca Black, figlia di Ade.” La voce di Chirone rimbombò chiara tra i ragazzi che si inginocchiarono davanti a lei, imbarazzata e scioccata. Tutti tranne Jace, che la raggiunse a passo felpato e le pose una mano sul capo.

“Benvenuta sorellina.” Le ripeté accennando un sorriso mentre lei rimaneva a bocca aperta.

Non sarebbe stato più così facile prendere a calci suo padre.

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** La madre delle stronze è sempre incinta (Senza offesa Afrodite) ***


 

La madre delle stronze è sempre incinta (Senza offesa Afrodite)

 

 

Becky si sedette scioccata al suo vero tavolo, accanto a Jace: in un solo giorno aveva scoperto che suo padre era un dio, Ade il dio degli Inferi, aveva perso sua madre e trovato un fratello. Ne aveva di pensieri per la testa.

“Lo sapevi…” mormorò dopo alcuni attimi di riflessioni in cui ripercorreva la giornata, lanciando un’occhiataccia al moro a fianco a lei, che non riuscì a trattenere un ghigno, mentre tutto il campo continuava a lanciar loro occhiatine di soppiatto.

“Lo sapevo.” Rispose enigmatico, mentre le ninfe cominciavano a riempire i cibi di pietanze gustose e i ragazzi ad abbuffarsi.

“Potevi dirmelo.” Lo incalzò lei frustrata mentre perplessa osservava i ragazzi che cominciavano ad alzarsi per buttare delle pietanze nel braciere che ardeva al centro, da cui proveniva un profumo buonissimo.

“Non ne ero sicurissimo e preferivo che fosse nostro padre a svelartelo…La vita dei figli di Ade non è mai facile: apparteniamo per metà a questo mondo e metà a quello dei morti…spesso finiamo per vivere in solitudine. Magari saresti riuscita a integrarti…” Le spiegò melanconico bevendo un sorso di tè al limone, comparso nel suo bicchiere. Becky lo guardò stupita, iniziando a comprendere le sue parole: sapeva cosa significava non appartenere mai a qualcosa di definito…essere soli…Scuotendo i capelli scacciò via i suoi tristi pensieri.

“E come sei finito amico del biondo?” chiese lei perplessa, facendolo scoppiare a ridere. Erano come la luna e il sole…

“Gray è l’esatto opposto di me” rispose lui infatti, “Ipersociale, figlio del sole, sempre allegro e circondato da persone…La verità è che non poteva sopportare che io stessi da solo: siamo arrivati circa nello stesso periodo al campo e lui si è fissato che fosse una cavolata la paura dei figli di Ade e ha fatto di tutto per essere mio amico. Riuscendoci, ovviamente. Mentre Chris è un satiro nostro amico alle primissime armi che aiutiamo di tanto in tanto.” Le spiegò dando un’occhiata all’amico biondo, che di tanto in tanto lo fulminava per avergli tenuto nascosta una rivelazione così grande.

Becky li osservò senza commentare: non aveva mai avuto amici, non sapeva cosa dire a parte che…li invidiava.

“Ti dà fastidio?” chiese poi di punto in bianco mentre Jace iniziava ad alzarsi con un piatto di sugose braciole in mano.

“Cosa?” le chiese inclinando la testa e fermandosi per guardarla dall’alto.

“Avere…” iniziò la ramata a disagio, “...una sorella.” Concluse distogliendo lo sguardo, cosciente che le sue gote si fossero arrossate.

“Non mi hai ascoltato?” le chiese lui con un sorriso comprensivo mettendole una mano sul capo, “Di solito noi figli di Ade siamo isolati, è un sollievo avere una sorella.” Le disse, facendole alzare la testa con gli occhi sgranati e luminosi, mentre le labbra si piegavano finalmente in un sorriso spontaneo.

“Anche a me non dispiace.” gli confessò con un risatina liberatoria e Jace sorrise.

“Ora alzati ladruncola, che è ora di fare l’offerta.” Le disse poi mettendole tra le mani un piatto con del cibo e facendola alzare in piedi.

“L’offerta?” chiese lei perplessa alzandosi e osservando il piatto con della pizza fumante.

“L’offerta a nostro padre; il rito prevede che si faccia loro un sacrificio propiziatorio, perché è dei suoi fumi che gli dei si nutrono.” Gli spiegò con chiarezza, dimenticando le decise idee della sorellina riguardo loro padre.

“No.” La voce di Becky risuonò limpida mentre lei si risedeva a braccia incrociate sulla panca.

Jace sospirò.

“È considerata una mancanza di rispetto Becky, potresti fare una brutta fine.” Cercò di persuaderla, mentre alcuni curiosi, tra cui Gray, cominciavano a osservare lo strano teatrino.

“Non se ne parla neanche che io faccia qualcosa per quel bastardo di mio padre.” Ringhiò lei voltandosi dall’altra parte, con gli occhi che le ardevano.

La terra tremò.

“Trema quanto vuoi, da me non avrai niente.” Sibilò fredda guardando il terreno con astio.

“Becky non sai niente dei motivi per cui hanno spinto nostro padre ad agire così, evita di farti ammazzare per cose stupide!” la rimproverò spazientendosi Jace, cosciente dei limiti della pazienza del dio della morte.

Becky continuò a tenere il muso per alcuni altri secondi mentre il suo cervello ragionava rapido sulle possibilità di morire davvero, e infine, mentre ripensava alle informazioni che sua madre le aveva dato nei suoi racconti sul padre, le venne in mente un’idea decisamente più malefica, facendola sorridere sadica.

“Va bene.” Disse a Jace alzandosi con un sorriso zuccherino in volto, prima di correre a brancare una ninfa, con cui parlottò animatamente.

Dei brividi freddi corsero lungo la schiena del povero giovane mezzosangue, già conscio che quel sorriso non significava niente di buono, mentre tutto il campo li spiava.

Dopo alcuni secondi la ninfa tornò con una ciotola ripiena di gelatina rossa e frammenti solidi beige, che porse gentile alla ramata.

Con passo baldanzoso la ragazza si avvicinò al braciere e la versò tutta dentro, con un sorriso sadico e soddisfatto.

“Grazie tante, papà!” commentò con tono acido e ricevendo una scossa di terremoto in risposta, prima di tornare al suo tavolo praticamente saltellando per la soddisfazione.

Intanto Gray si era avvicinato a Jace, che l’aveva seguita al braciere esasperato, e lo guardava perplesso.

“Che ha fatto per avere quella faccia?” gli chiese guardando l’amico che sospirava a metà tra il divertito e il disperato, lanciando nel fuoco una braciola.

“Ha offerto un’intera ciotola di marmellata di fragole e cereali,” gli rispose guardando prima lui e poi Becky rassegnato ma con un sorrisino in volto, “Nostro padre odia più di qualsiasi altra cosa le fragole e i cereali per colpa della suocera Demetra, ne è quasi allergico.”

La risata di Gray risuonò spensierata in tutto campo.

 

La mattina dopo Becky dormiva pacifica avvolta nel lenzuolo del suo letto nella Casa di Ade, la tredicesima casa, con pareti di ossidiana massiccia, un teschio sulla porta e torce che ardevano di fuoco verde, il letto suo vicino alla finestra e che prima era di Jace, ma si era lamentata talmente tanto che alla fine glielo aveva ceduto; lo zainetto appeso alla testiera e la sua “Scatola dei Tesori” nascosta sotto alcune assi del pavimento. Le piaceva quel posto.

“Svegliati ladruncola! E’ ora di colazione e dopo abbiamo alcune lezioni!” la voce di Jace interruppe il suo sonnecchiare idilliaco, ma lei si girò caparbia dall’altro lato.

“No.” Mugugnò tirandosi la coperta sopra le orecchie.

“Anche se siamo in due, sono il Capo casa; quindi vedi di alzarti e prepararti.” Le disse severo incrociando le braccia, già vestito di tutto punto nei suoi jeans e magliette nera con teschio bianco.

“Portami la colazione quando torni.” gli rispose lei soltanto per poi tornare nel beato mondo dei sogni.

Jace alzò un sopracciglio scioccato e al contempo divertito: perché mai faceva così? L’aveva vista con la madre, non era davvero così fredda e indifferente, e data la condizione in cui vivevano e quello che poteva indovinare della sua vita, non doveva neanche essere viziata per davvero…eppure persisteva nella recita. Era curioso di vedere se…

“Come vuoi.” Si arrese uscendo dalla casa a passo lento e già Becky si stava crogiolando soddisfatta, quando un urlo di dolore squarciò il silenzio della camera, facendola balzare in piedi.

“JACE!” chiamò balzando giù dal letto e afferrando la lampada da comodino come arma, per poi lanciarsi fuori dalla porta, pronta a tutto, e…trovare Jace placidamente appoggiato a braccia incrociate alle colonne nere del portico.

“Che cosa…?” chiese lei stralunata con i capelli a balla di fieno, addosso un pigiama nero con un gattino bianco sulla maglietta e in mano la sua arma improvvisata.

“Ben alzata Becky! Ti vesti o vieni così?” le chiese serafico Jace drizzandosi e stiracchiandosi.

“Tu!” lo apostrofò quella fulminandolo e minacciandolo con la lampada, “Sei terribile!” gli sibilò furibonda prima di rientrare in casa a passo di marcia e sbattendo contro ogni cosa osasse intralciare il suo cammino.

Jace scosse la testa mentre il sorriso si trasformava in una smorfia preoccupata.

 

Dieci minuti dopo procedevano verso la mensa, entrambi affamati e Becky inviperita; non appena entrarono nel padiglione si levò un alto mormorio, che lei ignorò scocciata, e, dopo aver gettato malefica altra marmellata e cereali nel braciere, iniziò a fare a brandelli delle croccanti brioche e a puciare biscotti con gocce di cioccolato nel suo amato thè come una furia.

E avrebbe continuato a martoriare la sua colazione se non fosse intervenuto Chirone a chiamarla gentilmente; Becky alzò la testa con sguardo omicida, ma di fronte al sorriso paterno del centauro non poté non sospirare e accennare un sorriso.

“Buongiorno Chirone.” lo salutò con un cenno della testa.

“Buongiorno Becky, sono venuto a portarti un dono da tuo padre.” le disse con tono calmo e osservando le reazioni della ragazza, che si alternavano fra stupore, desiderio e rabbia.

“Cosa?” chiese infine con curiosità e diffidenza, smettendo di ingozzarsi di biscotti, e Chirone, sotto lo sguardo attento di Jace, poggiò con delicatezza sul tavolo un paio di orecchini neri a goccia, come il ciondolo della sua collana; lo sguardo di Becky si indurì ancora di più e rimase ferma per alcuni attimi, la mente che lavorava a velocità folle. Poi li prese e li indossò. Jace e Chirone si scambiarono un’occhiata perplessa e stupita, che lei intercettò.

“Se posso sfruttarlo, lo farò senza rimpianti.” Spiegò lei con un sogghigno prima di andare a rovesciare altra marmellata di fragole e creali nel braciere. Tornata al tavolo trovò solo il fratello ad attenderla, che fece un cenno agli orecchini che indossava.

“Concentrati sulla tua forza latente e sfiorali.” le suggerì curioso di sapere che arma fosse destinata alla sorella e lei eseguì perplessa; non appena le sue dita li sfiorarono sentì un forte freddo invaderla e gli orecchini si fusero nelle sue mani per poi condensarsi nuovamente in due corte daghe completamente nere e arcuate, con due gocce sull’elsa.

“Ferro dello Stige, ha le stesse capacità di uccidere un mostro del bronzo celeste, che è il materiale ad esempio del bracciale di Gray.” le spiegò mentre lei se le rigirava ammirata fra le mani, saggiandone la leggerezza e sinuosità; bastò sfiorare la lama con un dito perché si disegnasse una sottile striscia di sangue sul suo indice.

“Straordinarie…” mormorò con gli occhi che luccicavano, ritrasformandoli in orecchini con un solo pensiero, “Andiamo ad allenarci!” impose entusiasta afferrandolo per un braccio e strappandolo dal tavolo con ancora un pezzo di brioche in bocca, ma Jace si risedette e sorrise sornione.

“Hai bisogno di imparare da un esperto di combattimento a corpo a corpo con doppia lama, non da me.” Le disse sogghignando e pulendosi le labbra con un tovagliolo. “È una fortuna che io sia amico del migliore al campo…” alluse guardandola divertito, mentre lei sbiancava.

“Tutti ma non lui!” gemette incredula della propria sfortuna.

Jace scoppiò a ridere.

“Gray Lux, figlio di Apollo.”

 

 

 

Becky cadde ansimante nella polvere per l’ennesima volta, la fronte che gocciolava di sudore.

“Forza ladruncola, di nuovo.”

Tre ore.

Tre maledettissime e interminabili ore a combattere senza sosta con Gray. E lei finiva sempre a terra.

Non ne poteva più.

“No.” Il rifiuto di Becky venne sottolineato dal suo permanere sdraiata a terra, con un broncio sfinito e un po’ infantile in volto; era umiliante essere continuamente battuta, nonostante sapesse che era ovvio dato che lei era alle prime armi e che era solo allenamento.

Si aspettava come minimo che Gray iniziasse a prenderla in giro o che la alzasse con la forza, invece vide solo spuntare una mano nel suo campo visivo oscurato dai capelli ramati scarmigliati.

“Facciamo un minuto di pausa ladruncola, se eri stanca bastava chiedere.” Le disse con un sorriso divertito prima di prenderle delicatamente la mano e aiutarla ad alzarsi, mentre le guance le andavano in fiamme e lo guardava ad occhi sgranati. Ieri non aveva notato come la mano di Gray fosse così grande rispetto alla sua…

Il biondo la trascinò per mano a sedere al lato dell’arena senza alcun’imbarazzo e le porse una bottiglietta d’acqua fresca, che lei, distogliendo lo sguardo imbarazzata, accolse con un grazie a malapena udibile, facendolo ridacchiare.

“GRAAAAAAYYYYY” Delle urla dal tono mieloso ed estremamente acute perforarono il timpano di Becky, che si girò scocciata per veder arrivare sugli spalti dell’arena cinque o sei figlie di Afrodite; le riconobbe subito come quelle che Jace le aveva indicato come le VIP (Vipere Inacidite Primedonne) della loro casa: bellissime, affamate di uomini e spezza cuori.

Gray le salutò tranquillo con un cenno della mano, per poi avvicinarsi a loro spinto dai continui richiami languidi delle barbie, sotto lo sguardo piccato della ramata; Gray stava insegnando a lei, cosa andava a fare con quelle?! Lo sapeva che era un maniaco seduttore…

Per pura ripicca, si alzò e lo seguì, stampandosi in volto il miglior sorriso innocente e cordiale che aveva; non l’avrebbero avuta vinta. Né lui, né loro.

“Ciao ragazze!” le salutò con la voce limpida e leggera, mentre quelle la guardavano con lo stesso affetto con cui una casalinga osserva uno scarafaggio che zampetta allegro sul ripiano della cucina.

“Ciao Black…” la salutarono nascondendo la loro irritazione dietro false moine e sorrisi a trentadue denti, incredule che la loro preda più ambita si stesse allenando con una come lei.

Gray osservò quel teatrino con un brivido freddo lungo la schiena: le ragazze quando facevano così lo spaventavano a morte, pronte a saltarsi alla gola alla prima parola sbagliata nonostante i sorrisi e le moine.

“Vi spiace se vi rubo Gray?” chiese loro aggrappandosi con fare noncurante al manica della felpa del ragazzo, che la guardò scioccato, “Ma sono appena arrivata ed è l’unico che può aiutarmi a imparare ad usare queste armi!” continuò sfoggiando un’espressione da cucciolo ferito che avrebbe addolcito i morti.

“Certo, nessun problema.” rispose la ragazza al centro, formosa e dai capelli neri e boccolosi, Cecil, la Capo Casa, “Lo aspettiamo fuori…” aggiunse con un sorrisetto prima di incamminarsi fuori dall’arena con passo sinuoso, seguita da tutte le altre; solo una ragazzina che sembrava avere la sua età, dalla bellezza fresca e innocente, che la ramata etichettò subito come non appartenente al gruppo ma come vittima, la guardò per un attimo imbarazzata, come se volesse dirle qualcosa, ma poi scappò dietro le altre.

Becky le seguì con lo sguardo fino a che non scomparirono, poi lasciò di botto Gray riacquistando un’espressione irritata e disgustata.

“Stupide oche!” borbottò, “Tutte lì come delle gatte morte…” continuò senza degnare di uno sguardo il biondo, che invano cercava di seguire la sua logica: possibile che fosse gelosa? Si chiese con un sorrisetto malizioso.

“Ti muovi?” gli chiese poi Becky rievocando le due daghe e portandosi al centro dell’arena, uno sguardo determinato in volto.

“Certo ladruncola, arrivo.” Le rispose divertito evocando le sue, pronto a riprendere l’allenamento.

 

 

Becky era stata entusiasta quando a pranzo Jace le aveva detto che nel pomeriggio l’avrebbe aiutata a sviluppare i suoi poteri riguardo il controllo dei morti, il passaggio nell’ombra e varie cose interessanti da dio della morte. Lo aveva praticamente soffocato in un abbraccio dalla gioia, soprattutto perché dopo la mattinata passata tra estenuanti combattimenti con Gray e confusionarie riflessioni per capire se stessa, dato che non si perdonava di aver perso la pazienza perché delle oche flirtavano con Gray, l’idea di passare del tempo con Jace era davvero rilassante oltre che emozionante; la novità di avere un fratello che fin da subito si era preso cura di lei, spazzando via la sua diffidenza con pochi gesti, era estremamente piacevole e voleva approfondire il legame, nella speranza di non rimanere delusa, mentre il suo cuore gioiva come quello di una bambina.

Ovviamente non avrebbe mai potuto prevedere che appena si fosse sparsa la voce che i due figli di Ade si sarebbero allenati, metà campo si sarebbe presentato nell’arena, lasciata vuota appositamente per loro due, cosa che rendeva il tutto più imbarazzante.

“Allora,” iniziò Jace ignorando completamente il pubblico, abituato ad essere una specie d’attrazione a metà tra l’intrigante e il temibile, “Iniziamo?” le chiese continuando a tenere le mani nei jeans neri, a giocherellare con il coltellino svizzero.

“Si.” rispose lei ridotta a un fascio di nervi: lei voleva passare un po’ di tempo con Jace! Non essere il fenomeno di baraccone di un campo di impiccioni! Maledetti, li avrebbe presi tutti a calci.

“Allora inizia coll’ascoltare...immagino che le senta anche tu.” Le spiegò lui con un sorriso amaro, mentre vedeva gli occhi di Becky riempirsi di disagio e imbarazzo.

“No, non le sento più. Non sento niente. Sono guarita.” Rispose agitata guardando per terra e strisciando avanti e indietro il piede per l’iperattività: possibile che fossero tutti così curiosi da far cadere quel silenzio innaturale?!

“In che senso?” le chiese Jace curioso, sollevando un sopracciglio.

“Ho smesso di sentirle in prima superiore, quando in un momento particolarmente caotico ho urlato loro si stare zitte…” spiegò in un mormorio la ragazza, sotto gli occhi neri di Jace, stupito; era riuscita a zittirle? Doveva aver già sviluppato inconsciamente i suoi poteri, almeno nelle basi…

“Non sei pazza, sono le voci dei morti quelle che sentivi” le spiegò con calma nel tentativo di rassicurarla, “Ora devi permettere loro di parlarti di nuovo per evocarli.” Le spiegò avvicinandosi a lei e mettendole una mano sulla spalla; per un attimo lei lo guardò spaventata, poi un mormorio dagli spalti le ricordò che era in pubblico e si allontanò con espressione spavalda.

“Okay.” Rispose prima di chiudere gli occhi e concentrarsi. Andava tutto bene, Jace aveva detto che era normale; non doveva aver paura, altrimenti si sarebbe ridicolizzata di fronte a tutto il campo.

Per alcuni attimi temette che non sarebbero tornate, ma poi, come lo sciabordio delle onde che si infrangono sul bagnasciuga, nella sua testa cominciò a scrosciare un mormorio di voci, tutte diverse, di bambini, vecchi, donne, uomini; tutti che chiedevano cose diverse, piangevano, si lamentavano, la chiamavano. Istintivamente si mise le mani sulle orecchie e strizzò gli occhi, ma un campanello nella sua mente le ricordò il suo scopo e tremante prese fiato.

“Venite.” Una parole, detta con decisione, sgorgata grazie a quell’improvviso sorgere in lei del fuoco nero e freddo che aveva provato la sera prima, e la terra iniziò a tremare; poi si aprì in profonde spaccature e da esse si riversarono fuori schiere di spettri senza ordine, di ogni tipo ed epoca, perfino bambini.

Lei li guardò sciamare incredula, non sapendo bene cosa fare, mentre tra gli spalti i ragazzi cominciavano a essere inquieti e ad agitarsi sul posto.

“Fermi.” la voce fredda di Jace intervenne e ogni spirito si fermò all’istante, continuando a mormorare, in attesa.

“Okay Becky, fin qui sei stata brava.” si complimentò il ragazzo con la sorella, facendola sorridere e convincendosi della sua deduzione precedente, “Ma devi imparare a non lasciarti sopraffare, altrimenti approfitteranno di te per scappare dagli Inferi; devi richiamare solo quelli di cui hai bisogno per combattere e congedarli subito dopo.” Aggiunse però prima di fare un cenno della mano, di fronte a cui tutti gli spettri ritornarono da dov’erano venuti.

Becky annuì concentrata, iniziando a dimenticarsi del pubblico, poi chiuse nuovamente gli occhi pensando a chi volesse evocare.

“Ascoltale, distinguile.” Le suggerì abbassando ancora la voce Jace, “Sono morti, non ti faranno niente…sono ai tuoi ordini.”

E lei iniziò ad ascoltare…sentì il pianto di una madre morta prematura per non aver conosciuto suo figlio, sentì i lamenti di un anziano morto abbandonando la moglie in vita, i vagiti di un neonato morto in fasce, il pianto di un uomo morto in guerra…

Le lacrime iniziarono a scenderle lungo le guance, ma non si fermò e continuò a cercare, si stava avvicinando. Doveva scavare più a fondo, più indietro.

L’ultimo urlo di un generale francese colpito da una baionetta, la dichiarazione d’amore mai pronunciata di un pirata inglese, le invettive rabbiose di un rivoltoso tedesco, le preghiere pagane dei barbari Galli…ed eccole, le parole d’incoraggiamento di un generale greco, il lamento di un oplita morto senza onore, la rabbia di un ateniese ucciso dai persiani…

“Presentatevi al mio cospetto.” Comandò con lo stesso tono freddo che aveva usato Jace poco prima.

Dalle spaccature del terreno cominciarono a uscire nuovamente i morti, in forma di scheletri e spettri, ma stavolta erano distinguibili le armi e le armature greche, gli scudi spartani, i pennacchi ateniesi…

Becky stava nuovamente per lasciarsi prendere dallo stupore e lasciarli vagare, ma poi si ricordò delle parole del fratello: era lei a comandare. Eppure i fantasmi non sembravano intenzionati ad ascoltarla, troppo rabbiosi, troppo presi da se stessi…

Con decisione prese un bel respiro, cancellò ogni traccia di lacrime dalle sue guance e sfiorò un orecchino, trasformandolo subito in daga che allungò orizzontalmente davanti a sè, come un segno.

“Sono Rebecca Black, figlia di Ade e vostra signora.” Pronunciò ostentando una sicurezza che non aveva, nella speranza non si notasse il tremolio della mano nascosta nella felpa; i morti, alle sue parole, dapprima sciamarono ancora più furiosi, ma dopo continue occhiate alla sua spada iniziarono ad ammutolire e a inginocchiarsi al suo cospetto.

Non rise soddisfatta solo per cercare di mantenere quell’aria potente e temibile di cui si era circondata, aveva pur sempre una dignità.

“Ora potete andare, siete congedati.” Aggiunse infine abbassando la spada mentre il fuoco nero cominciava a spegnersi dentro di lei e i morti tornavano da dove erano venuti.

Non appena l’ultimo soldato ridiscese agli Inferi, Becky cadde in ginocchio, sfinita e con il respiro affannato.

“Complimenti Becky!” le disse sinceramente stupito Jace, affrettandosi a metterle un braccio intorno alle spalle per aiutarla a rimettersi in piedi, “Ti sei guadagnata il loro riconoscimento, ti serviranno con onore.” La rassicurò facendola sorridere soddisfatta.

“Grazie Jace.” gli disse sincera, contagiandolo con la sua felicità e facendogli nascere anche a lui un sorriso sul volto.

“Ottima scelta ladruncola!” la voce di Gray, che dopo esser sceso nell’arena con un salto li stava raggiungendo a passo svelto, la distrasse dal fratello, “Jace nella sua evocazione aveva scelto i soldati francesi della Prima Guerra Mondiale, ma penso che i tuoi greci abbiano riscosso più successo.” Commentò divertito, mentre per la prima volta lei si accorgeva che da quando li aveva congedati, tutto il campo aveva innalzato applausi e fischi d’apprezzamento, creando un caos incredibile; era stata così presa dai morti…i figli di Ade: più coi morti che coi vivi, ricordò a se stessa amara.

“I miei soldati erano eccezionali!” replicò Jace guardandolo storto ma non riuscendo a non ridere, “Avevo sempre desiderato vedere le baionette francesi…” aggiunse con tono nostalgico, facendo ridere Becky.

“Jace!” la voce di Chirone richiamò l’attenzione del figlio di Ade che, a un cenno del centauro si scusò con i suoi amici e chiese a Gray di aiutare la sorella, prima di andargli incontro.

“Ce la fai a camminare?” le chiese Gray osservando divertito come, lasciata da Jace, si fosse istintivamente appoggiata a lui.

“Certo!” rispose lei arrossendo e staccandosi, ma le gambe erano della stessa consistenza di una gelatina e non volevano collaborare.

“Come no!” scoppiò a ridere il biondo prendendola al volo per poi, prima che potesse protestare, sollevarla tra le braccia, stile principessa.

“Se hai bisogno puoi chiedere.” le ricordò con leggero rimprovero prima di iniziare a camminare senza sforzo alla ricerca di qualche cubetto di ambrosia, mentre Becky, con la faccia che si mimetizzava tra i capelli, si cercava di fare il più piccola possibile. In seguito le sarebbero venute in mente un sacco di risposte sarcastiche e scorbutiche, ma in quel momento pensava solo che avrebbe potuto farsi portare più spesso così.

 

Passò una settimana tranquilla, divisa fra lezioni con Jace e Gray, oltre che con Chirone di tanto in tanto, mentre Becky si ambientava sempre di più al campo, nonostante fosse difficile per lei integrarsi, come le aveva preannunciato Jace; ma non le interessava, dopotutto era finita in sole sei risse da cui Gray e Jace l’avevano dovuto portare via di peso prima che distruggesse gli assalitori: era più di quanto avesse mai avuto, si divertiva profondamente e per la prima volta sentiva il cuore continuamente scaldato e non freddo come la morte.

Poteva dire di essere felice, pensò mentre trotterellava fischiettando una canzone degli Skillet, diretta verso il bagno femminile.

Stava già per girare l’angolo della casetta, quando sentì delle voci discutere animatamente e istintivamente si fermò ad ascoltare, sospettosa; subito riconobbe la voce Cecil e delle altre VIP di Afrodite, che stavano evidentemente maltrattando qualcuno, e si sporse per dare un’occhiata: al centro del gruppo delle VIP, tutte sui loro tacchi alti e con le minigonne imbarazzanti, stava la piccola ragazza della loro casa che aveva visto il giorno del primo allenamento con Gray, gli occhi lucidi e il corpo avvolto in un vestitino bianco tremante mentre stringeva tra le mani qualcosa.

“E quindi vorresti farci credere che quello te lo ha mandato tuo padre?” chiese Cecil con voce mielosa e pericolosa al tempo stesso, attorcigliando una ciocca di capelli neri intorno al dito affusolato dall’unghia perfettamente smaltata e laccata, “Povera stupida! Come se a qualcuno potrebbe fregare qualcosa di te…” le disse fingendo pietà per lei prima di spingerla a terra. Becky si impose di rimanere ferma.

“Lo avrai rubato a una di noi! Dalla nostra posta!” intervenne una prosperosa ragazza dai capelli color del fuoco.

“È mio!” balbettò la ragazza senza neanche provare a rialzarsi, i capelli di un dolce castano miele che le cadevano lisci sulle spalle a contrasto coi grandi occhi ambra, dandogli un’aria ancora più indifesa, “Me lo ha mandato mio padre come regalo di compleanno…” mormorò portandoselo al petto con timore.

“Stupidaggini!” ringhiò una mora pesantemente truccata prima di prenderla per i capelli e sollevarla da terra.

“Tutti lo sanno che tuo padre a malapena sa della tua esistenza!” le sibilò sorridendo Cecil, prima di approfittare del dolore subito dalla ragazza per strapparle di mano una piccola boccetta di profumo, a forma di rosa rossa. Becky dovette fare ricorso a tutte le sue forze per rimanere ferma: se fosse intervenuta ora, si sarebbero vendicate il doppio mentre lei non c’era; doveva adottare una strategia più sottile.

“Ridammelo Cecil!” urlò la ragazzina, un lampo di rabbia e decisione negli occhi, tendendo le mani per riprendersi il suo tesoro. Che creature spregevoli.

“Zitta!” le ringhiò l’ultima delle bulle, una bionda tutta tette, prendendo un calice, evidentemente preparato per l’occasione, di coca cola e rovesciandoglielo addosso.

Poi la mora la lasciò cadere a terra e il gruppo se ne andò sghignazzando.

A quel punto Becky uscì e corse a inginocchiarsi accanto alla ragazza, che piangeva seduta a terra.

“Ehi, tutto bene?” le chiese preoccupata, ma quella appena la riconobbe sbiancò e cercò di rialzarsi.

“Tutto bene, sono solo inciampata e mi sono rovesciata la coca cola addosso…” si giustificò barcollando e cercando di scappare, ma Becky le mise un braccio dietro la schiena e l’aiutò a stare in piedi.

“Ho visto tutto.” Le disse trattenendo a stento il furore, “Scusa se non sono intervenuta ma pensavo che avrei peggiorato le cose.” Si scusò mortificata con un piccolo sorriso, mentre quella arrossiva imbarazzata e abbassava lo sguardo.

“Patetica eh?” chiese amara con un sorriso che non aveva nulla di tale.

“Per niente!” ringhiò con grinta Becky, facendola a sobbalzare, “Sono quelle stronze ad essere patetiche! Ma non preoccuparti, adesso vieni da me a sistemarti e poi pensiamo a una bella vendetta!” le disse con un sorriso convinto e gli occhi bicolori che ardevano.

“Cosa?” le chiese quella confusa mentre Becky, assicuratasi che stesse in piedi, la trascinava per mano verso la sua casa, “No, no! Non voglio trascinarti in questa cosa, sono delle nemiche terribili e a malapena mi conosci, non hai motivo di farlo!” cercò di fermarla, guardandola con gli occhi simili a quelli di un panda, il trucco leggero tutto sbavato.

Becky si fermò perplessa e la ragazza sorrise leggermente mesta, pensando che avesse capito, invece la ramata le tese una mano.

“Giusto, non mi sono presentata! Rebecca Black, piacere di conoscerti, e non ti preoccupare, non saranno certo quattro oche del genere a fermarmi, sono pur sempre figlia di Ade. Non permetterò che tu rimanga loro vittima.” Le disse con sogghigno felino.

La ragazza sgranò gli occhi e per poco non si mise a piangere dalla gioia.

“Lily Fleur, della Casa di Afrodite!” si presentò stringendole la mano e Becky, sorridendo, riprese a trascinarla; quando arrivarono alla Casa di Ade, Lily venne presa dal timore di non poter entrare, ma Becky la tranquillizzò con un gesto di mano.

“Hai il mio permesso!” le spiegò trascinandola dentro, “Stai tranquilla, Jace non c’è, ma anche se arrivasse non ci sarebbero problemi; è fantastico!” le spiegò ridendo orgogliosa di lui, mentre la ragazza si guardava intorno curiosa; poi la ramata la spinse nel piccolo bagno personale e le lanciò dentro dei suoi vestiti.

“Non so se ti vanno bene, sei più alta e magra di me, ma è meglio di niente.” Si scusò imbarazzata che avesse solo vestiti da maschiaccio, ma Lily li prese con gratitudine e le sorrise.

“Grazie Becky” la ringraziò stringendoseli al petto.

“Di niente!” rispose quella arrossendo, poi le venne in mente qualcosa e sogghignò scaltra, “Io esco un attimo a sistemare le cose, torno tra dieci minuti; se senti qualcuno entrare o sono io o è Jace, non preoccuparti!” le disse prima di spingerla in bagno mentre lei balbettava qualcosa.

Con un sorriso sadico uscì dalla casa…era ora di farla pagare a qualche stronza.

Poi, chiuse gli occhi ed entrò nell’ombra.

 

 

Quando, titubante, Lily uscì dal bagno, trovò ad aspettarla Becky, seduta sul suo letto a gambe incrociate e circondata di oggetti di ogni tipo.

“Pensavo fosse Jace…” mormorò con un sospiro di sollievo e ridacchiando, “Già stavo pensando a come spiegargli la mia presenza qui! Scusami per la crisi isterica di prima.” ammise con le gote arrossate, andando a sedersi accanto a lei.

“Stai tranquilla!” la rassicurò Becky osservandola ammirata, perfino nei suoi vestiti rimaneva bellissima; i capelli lisci e folti, gli occhi brillanti, il fisico sinuoso ed etereo…I suoi capelli quando usciva dalla doccia sembravano un gatto dopo esser stato infilato in un’asciugatrice.

“Cosa sono questi?” chiese sedendosi a gambe incrociate di fronte alla ramata e osservando quel mucchio di oggetti: rossetti, lucidalabbra, mascara, creme per il corpo, balsami…

“La nostra vendetta!” spiegò compiaciuta Becky mentre Lily sgranava gli occhi innocenti.

“Non saranno…?” chiese incredula.

“Esattamente! Occhio per occhio, dente per dente: sono alcuni dei loro trucchi più preziosi.” Continuò rigirandosi tra le mani con sguardo rapito quei prodotti dai costi mostruosi.

“Come hai fatto?” le chiese sbalordita mentre iniziava a ridere incredula.

“Jace mi ha insegnato a passare nell’ombra: stancante, ma ne vale la pena.” Rispose lei mentre Lily osservava preoccupata che effettivamente era un po’ pallida.

“Ma il meglio deve ancora venire!” riprese a parlare Becky con fare misterioso prima di infilarsi una mano in tasca, “Ta-daaan!” urlò estraendo il profumo a forma di rosa, mentre Lily si copriva con una mano la bocca, scioccata.

“L’hai ripreso…” mormorò guardandola con gli occhi che si inumidivano.

“Certo! Era in nascondiglio proprio idiota…fortuna che non brillano per intelligenza!” ribatté Becky orgogliosa prima che Lily le gettasse le braccia al collo.

“Grazie, grazie, grazie!” iniziò a ripetere stringendola con affetto, “Sei un’amica fantastica!” le uscì di getto con voce cristallina. Becky spalancò gli occhi stupita e Lily, staccandosi e vedendo il suo sguardo, rise imbarazzata.

“Cioè…se anche tu vuoi essere mia amica…non sei obbligata…io…” iniziò a balbettare imbarazzata e sentendosi stupida per essersi entusiasmata subito per così poco! Probabilmente l’aveva fatto solo perché era buona, dopotutto era una figlia di Ade e non aveva bisogno di una debole figlia di Afrodite…

“Si!” rispose Becky di getto arrossendo, “Certo che voglio essere tua amica!” ripete abbracciandola di slancio, tanto che caddero supine sul letto, per poi iniziare a ridere senza sosta per l’assurdità e la gioia del momento.

“Sei la mia prima amica…” ammise Becky guardando il soffitto dopo qualche minuto, sdraiata accanto a Lily, evidentemente a disagio.

“Anche tu per me.” Replicò la castana con un sorriso, “Mio padre è un importante avvocato, ho sempre vissuto chiusa nel suo attico a Manhattan, seguita da insegnanti privati e stupide guardie del corpo. Mi ha odiato per molto, molto tempo…ma da quando sono al campo ha detto di sentire la mia mancanza e stiamo riallacciando i rapporti, per questo quel profumo è un regalo importante.” Le spiegò sorridendo malinconica, mentre Becky la guardava incerta e ammirata: quella ragazza si stava aprendo sinceramente con lei, eppure lei non aveva il coraggio di fare lo stesso. Neanche a Jace aveva mai detto niente, né gli aveva chiesto di lui…era come un argomento taboo.

“Io...” iniziò insicura e accigliata, ma Lily la guardò allarmata.

“Non preoccuparti Becky! Siamo amiche, non ti devi forzare a dire qualcosa se non te la senti; l’importante è che siamo sincere l’una con l’altra, perché solo se è sincero un rapporto può resistere…” la rassicurò prendendole una mano tra le sue e guardandola seria, mentre la ramata annuiva grata. Si ripromise di dirle tutta la verità presto.

“Posso chiederti un favore?” aggiunse poi, titubante, ma all’assenso di Becky riprese a parlare, “Mi puoi promettere che non dirai a nessuno di oggi? Se qualcuno provasse a intervenire direttamente ho paura che le cose peggiorerebbero…” ammise leggermente spaventata, ma Becky annuì seria.

“Non lo dirò a nessuno, te lo prometto! Ma ti prometto anche che da ora e in poi non permetterò a nessuna di maltrattarti.” Giurò con sguardo serio e un sorriso spontaneo.

“A proposito…” riiniziò a parlare poi Lily tirandosi a sedere, “Cosa ne facciamo di questi? Inoltre non posso portare il profumo indietro con me o me lo riprenderanno ancora, oltre che a maltrattarmi.” Realizzò dispiaciuta, ma Becky si alzò con un sorrisetto sul volto.

“Ci penso io!” le disse alzandosi e raggiungendo il fondo del letto, per poi inginocchiarsi sul pavimento e con delicatezza sollevare le assi; sotto lo sguardo incuriosito di Lily ne estrasse un grosso cofanetto in ebano a tre piani, intarsiato in argento, e lo mise su letto.

“Il mio cofanetto segreto dei tesori!” spiegò con evidente orgoglio e gli occhi che le brillavano.

“E posso vederlo?” le chiese intimidita Lily, ammirandone la bellezza e sentendosi sciogliere per l’importante confidenza.

“Certo!” annuì Becky, felice di poter condividere qualcosa con lei e aprì il coperchio in alto: dentro vi era ogni sorta di piccolo accessorio: mollette, fermacapelli, pettini, anelli, collane, profumi, bracciali, orecchini…e anche negli altri cassetti si trovava riposto in ordine un assortimento di piccoli tesori, tutti belli e preziosi, brillanti e tenuti con cura.

“Sono magnifici…” mormorò Lily guardandoli estasiata, senza osare toccarli.

“Davvero ti piacciono?” gli chiese leggermente agitata Becky e la ragazza annuì.

“E se te lo dice una figlia di Afrodite, ci puoi credere!” aggiunse ridacchiando e contagiandola.

“Gli oggetti li metterò sotto le assi mentre il tuo profumo lo terremo qui! Così potrai venire a riprenderlo ogni volta che vuoi, ma nessuno te lo porterà via!” spiegò deponendo con cura la boccetta nel ripiano in alto.

“Grazie mille, sei fantastica!” la ringraziò sincera Lily, con il cuore colmo di felicità, “Ora però devo scappare, che tra poco abbiamo la cena e devo cenare con le mie compagne.” Si congedò con una smorfia prima di abbracciarla.

“Dopo cena ti riporto i vestiti!” aggiunse prima di correre via, mentre Becky la salutava con la mano tutta contenta.

Aveva appena finito di nascondere il tutto canticchiando quando Jace e Gray entrarono nella casa per accompagnarla a cena, stanchi e sudati per un allenamento intenso tra i due. Non si può descrivere la loro faccia alla vista di Becky che, sorridendo come mai, gli gettava ad entrambi le braccia la collo con gioia.

“Ho un’amica Jace! Ho un’amica!” iniziò a urlare poi, staccandosi e guardando il fratello pieno di aspettativa, come una bambina in cerca di approvazione.

Gray avrebbe voluto davvero tanto punzecchiarla, ma la sua faccia così genuinamente contenta e l’abbraccio appena ricevuto glielo impedirono. O forse fu la discreta gomitata di Jace nelle costole.

“È fantastico, Becky!” le rispose infatti il moro scompigliandole i capelli.

“Chi è?” chiese invece curioso e sorridente Gray.

“Lily Fleur, della Casa di Afrodite! È una ragazza fantastica, niente a che fare con quelle idiote delle sorelle!” iniziò a elogiarla evidentemente orgogliosa.

I due sembrarono pensarci un attimo ma poi annuirono.

“Quella molto carina ma timida, che segue sempre le VIP?” chiese il biondo cercando di richiamare alla memoria qualcosa su di lei, mentre Becky annuiva energica.

“E come vi siete conosciute?” le chiese Jace e Becky si trattenne a stento dal raccontargli tutto, infrangendo la promessa, ma memore anche delle parole sull’onestà di Lily decise di non mentire.

“Segreto!” si limitò a dire ridacchiando, poi li superò correndo fuori dalla casa e arrivata sulla stradina si voltò a guardarli con aria di sfida.

“Ancora lì? Chi arriva per ultimo domani mi cede la sua brioche!” urlò scattando a correre, mentre i due, pensando che le ragazze erano davvero delle creature complicate, le correvano dietro. Una brioche era pur sempre una brioche.

 

Per le tre settimane successive Becky pensò di essere la persona più felice del mondo: il rapporto con Jace diventava sempre più stretto, lei e Fleur passavano un sacco di tempo insieme a divertirsi, evitando anche così che le VIP la maltrattassero, ed era sempre più vicina a Gray, cosa che la confondeva e le faceva piacere al tempo stesso. E tutto sarebbe proseguito bene, se Jace non avesse trovato gli oggetti rubati, e con il caos che avevano scatenato le figlie di Afrodite sarebbe stato impossibile non collegare le cose.

Adesso erano l’uno di fronte all’altra, nella loro stanza; Jace aveva il volto scuro e la guardava a braccia incrociate con gli occhi che mandavano lampi, mentre Becky dall’altra parte lo guardava colpevole e incerta su cosa fare.

“Come li hai trovati?” gli chiese imbarazzata guardando per terra e sfregandosi il braccio con la mano.

“Devi aver rotto una boccetta inavvertitamente e sentivo un forte profumo di fiori….quindi ho sollevato le assi per capire da dove provenisse.” Spiegò duro, continuando a perforarla con le sue pozze nere; Becky rimase muta.

“Si può sapere perché l’hai fatto?” le chiese allora con tono freddo osservando gli oggetti riposti sul letto, ma Becky rimase ancora in silenzio senza guardarlo, “Tu non ti trucchi Becky, non ne hai bisogno; perché continui a rubare? Sono cose costose e anche preziose, non puoi fare come ti pare e piace!” iniziò a rimproverarla innervosendosi sempre di più per il suo silenzio, per il suo tradimento, perché in realtà non era cambiato nulla.

“Perché?” le chiese di nuovo raggiungendola, ma lei fece dei passi indietro; non poteva dirglielo, aveva promesso a Lily di mantenere il silenzio, e non poteva neanche dirgli che aveva promesso di non dirlo, perché glielo avrebbe estorto. Non aveva scelta.

“Perché le volevo.” Rispose con la voce che le tremava, non guardandolo. Per un attimo Jace la guardò muto, poi il terreno prese a tremare.

“Perché le volevi?! Non sei una bambina Becky! Smetti di essere così viziata e di pensare che tutto il mondo ti debba qualcosa, che puoi avere tutto! Non hai nessun rispetto per gli altri, per i ragazzi del campo che ti hanno accolto?! Immagino che anche il cofanetto sia pieno di cose rubate…Possibile che non sia cambiato nulla? Io mi fidavo di te, quando sono sorti dei dubbi che avessi rubato tu le cose, li ho spenti subito!” le urlò contro con gli occhi neri che bruciavano, la rabbia che ardeva in lui. Becky sgranò gli occhi ferita e si circondò la vita con le braccia, mentre la vergogna e il senso di colpa si trasformavano in rabbia.

“Cosa ne sai? COSA NE SAI TU?” gli urlò contro con gli occhi le diventavano lucidi, “Ho vissuto sedici anni da sola, con nessuno al mondo che aiutasse me e mia madre malata; ho sacrificato tutto per mantenerci: scuola, possibilità di amicizie, il mio futuro; ho fatto qualsiasi lavoro, perfino i più ingrati e abbiamo sempre rasentato la miseria…e nessuno, NESSUNO HA MAI FATTO NULLA PER ME, PER NOI! NEMMENO MIO PADRE CHE È UN DIO! NON DEVO NIENTE A NESSUNO, HO TUTTO IL DIRITTO DI PRENDERMI CIÒ CHE VOGLIO SE NESSUNO È DISPOSTO AD AIUTARMI!” urlò fino a sentire la gola che le doleva, per poi prendere la lampada del comodino e lanciargliela contro; Jace la schivò a malapena, colto di sorpresa.

“NON SAI NULLA DI QUELLO CHE HO DOVUTO PASSARE, NON HAI NESSUN DIRITTO DI GIUDICARMI; SEI UGUALE A TUTTI GLI ALTRI!” terminò in lacrime prima di scappare fuori dalla casa mentre Jace si lasciava cadere infuriato e confuso sul letto.

 

Becky correva, correva e piangeva a dirotto; anche lui, anche Jace l’aveva tradita. Per un attimo pensò a Lily, a cui aveva confessato tutto qualche giorno prima e che l’aveva accolta in un abbraccio, ma poi pensò che probabilmente la pensava anche lei come Jace ma era stata troppo dolce per dirglielo. E Gray…Gray l’avrebbe disprezzata.

Era sola. O forse lo era sempre stata.

Con il cuore spezzato saltò nell’ombra e abbandonò il Campo Mezzosangue.

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Ragazzi e ragazze: impossibile capirsi, ieri come oggi. ***


Ragazzi e ragazze: impossibile capirsi, ieri come oggi.

 

 

Jace correva per il campo da tre ore ormai, ma non c’era traccia di Becky; l’aveva sentita spostarsi nell’ombra ma non pensava potesse aver lasciato la Collina Mezzosangue. Era sudato, arrabbiato con se stesso e con lei e assolutamente impotente.

“Jace non sono riuscito a trovarla neanche io!” gli disse ansimando Gray raggiungendolo; grazie agli dei c’era anche lui ad aiutarlo o non avrebbe mai concluso niente, “Dannazione non potevi affrontarla meglio?!” gli rimproverò però esasperato, beccandosi un’occhiata inceneritrice dal moro, che ritirò i pensieri di ringraziamento.

“Non è colpa mia se lei…” iniziò a ribattere lui piccato, ma una voce cristallina li interruppe.

“Jace? Gray? Cosa state facendo?” i due si voltarono verso Lily, che camminava verso di loro a passo svelto ma leggiadro, lo sguardo che dardeggiava imbarazzato sul figlio di Ade “Io non trovo Becky, l’avete vista?” chiese preoccupata e i due si lanciarono un’occhiata complice prima che, con uno sbuffo, Jace si lasciasse cadere a terra e Gray aggiornasse la ragazza sulle ultime ore, con i dettagli e le parole precise come aveva obbligato Jace a riferirgliele.

Alla fine del riassunto Lily si voltò a guardare Jace con sguardo assassino.

“Ma sei un’idiota!” gli ringhiò contro facendo scoppiare a ridere Gray e scioccando il poveretto, “Come hai potuto dire quelle cose a Becky, dopo quello che ha passato?! E non è neanche colpa sua! Gli oggetti li ha presi per vendicare me, ma le avevo fatto promettere di non dire nulla.” Spiegò prima di lanciarsi anche lei nel racconto dei fatti di quel giorno, e più parlava, più Jace sbiancava e si dava dell’idiota. Come aveva potuto pensare che fosse viziata ed egoista? Certo se lei glielo avesse detto…

“Bene, e ora che facciamo?” chiese Gray, nascondendo lo strano sollievo che gli procurava sapere che Becky era davvero come aveva sempre sospettato essere e non come lei stessa si dipingeva.

“La andiamo a riprendere, è ovvio. E senza dirlo a Chirone o al Signor D, ci infileremmo solo nei guai e dovremmo dare un sacco di spiegazioni scomode. Hai una macchina tua, giusto Jace?” Rispose con sicurezza Lily; da quando era amica di Becky, la sua personalità e il suo carattere si erano rafforzati, salvandola dalla sua esagerata timidezza: ora era un fiore vivace e attraente, non un timido bocciolo.

“Sono con te!” le rispose Gray, impaziente di riprendersi una certa ladruncola, mentre Jace annuiva deciso. E che gli dei li aiutassero.

 

 

Pioveva. A dirotto.

E lei odiava la pioggia.

Becky sbuffò, calandosi ancora di più il cappuccio fradicio sul viso, e continuò a camminare per le strade di New York a passo frettoloso e distratto. Si chiese passivamente tra quanto sarebbero arrivati i primi mostri, a sentire Chris aveva un buon odore, e dato che non sapeva neanche dove stesse andando, quanto sarebbe sopravvissuta; in un primo momento le era passato per la mente di andare negli Inferi ad ammazzare suo padre, perché era tutta colpa sua alla fin fine, ma poi si era ricordata che gli dei non morivano e sarebbe stato uno spreco di tempo, oltre che di forze. Ne aveva già usate troppe per il passaggio nell’ombra…

Non sapeva chi odiare di più in quel momento: suo padre o se stessa. In realtà la risposta era ovvia, se stessa. Era una creatura patetica, un gazza ladra viziata e infantile che si nascondeva dietro mille scuse. Avrebbe potuto trovare altre soluzioni e invece no, a lei piaceva rubare, piaceva poter avere qualcosa! Probabilmente aveva ragione Jace, non voleva aiutare Lily, voleva aiutare se stessa. Jace, che ovviamente avrebbe picchiato a sangue comunque, che avesse torto o ragione; come si era permesso?! Come?! L’aveva ferita così a fondo che sentiva ancora il cuore sanguinare…

Con rabbia e disperazione tirò un calcio ad un lampione, con l’unico risultato di sentire un lancinante dolore alla caviglia, sicuramente slogata. Imprecando contro l’intimo di Demetra e la progenie di Crono in generale, riprese a zoppicare sotto l’acquazzone a caso, visto il suo pessimo orientamento, e senza nessuna meta. Non che le interessasse in quel momento.

“Odio tutti! Sono così stupida…” continuava a mugugnare con i capelli appiccicati al viso e i vestiti grondanti; vedere quel ponte in pietra che passava sopra un fiumiciattolo fu una specie di visione celestiale e cercò di accelerare il passo, con l’unico risultato di inciampare sulla caviglia martoriata e cadere nel fango.

“DANNAZIONE!” urlò prendendo a pugni il terreno, per poi rialzarsi a fatica e arrivare finalmente sotto il ponte, per accucciarsi in posizione fetale finalmente al riparo dalla pioggia.

A quell’ora avrebbe potuto essere al campo a cena, a ridere con quel cretino di Jace, e invece era sola, al buio e simile a un gatto semi affogato in una pozzanghera.

Ne aveva passate tante nella sua vita, ma non si era mai sentita tanto sola…forse era perché prima ci era abituata, non conosceva calore che non fosse quello di sua madre, che inoltre le sembrava sempre più lontana.

Grosse lacrime argentee incominciarono a cadere dai suoi occhi bicolore.

 

“Dove si sarà cacciata dannazione?!” imprecò Jace, perdendo la sua usuale calma glaciale e colpendo il volante della jeep, “Sta scendendo la notte e non l’abbiamo ancora trovata, non può non essere a New York, non coi poteri che sapeva controllare…” mormorò stringendo le nocche.

“Dobbiamo trovarla, andiamo avanti a cercare.” Lo incitò Gray altrettanto cupo; avrebbero voluto usare un messaggio Iride per scovarla, ma con l’acquazzone era stato impossibile e ora stavano vagando alla cieca; New York era troppo grande e troppo caotica perfino con la pioggia, che inoltre rendeva difficile distinguere le persone…non potevano riuscirci.

“Dove sei Becky?” chiese in un sussurro Lily stringendo con una mano la spalla di Jace e guardando fuori dal finestrino.

 

 

 

Un letto. Cosa avrebbe dato per un letto? Tutto, in quel momento. Stava seriamente pensando di andare a bussare in qualche casa, perfino alla polizia, ma poi spiegare le cose sarebbe diventato troppo complicato…doveva sopportare.

Con un movimento goffo e rigido cercò di mettersi comoda contro il cemento, raggomitolandosi per scaldarsi, mentre i vestiti bagnati le facevano penetrare il freddo nelle ossa; sopra di lei il cielo era nero, cupo…senza stelle.

Stava finalmente sentendo i primi cullanti sintomi del sonno quando un ruggito squarciò l’aria e Becky aprì gli occhi di scatto. Non c’erano zoo da quelle parti, ne era quasi sicura.

Con il corpo intorpidito si alzò a fatica in piedi, la caviglia che pulsava senza sosta, e si sporse fuori dal suo nascondiglio a guardare: la strada era deserta, fin troppo.

“Un ruggito…ruggito…pensa, pensa Becky!” iniziò a ripetersi tremante cercando di ricordare le lezioni di Chirone; una bestia che ruggiva… “Chimera!” esclamò infine in un rantolo iniziando a distinguere una grossa figura avanzare lungo la strada, sorgendo dall’oscurità. La parte anteriore e la testa erano di un leone dalla criniera incrostata di sangue, mentre la parte anteriore era da capra, con come coda un lungo serpente che sibilava sputando veleno.

Il sangue le si gelò nelle vene.

Cosa poteva fare? Se avesse evocato i morti, cosa che non era convinta di riuscire a fare in quelle condizioni, avrebbe accesso un cartello lampeggiante sulla sua testa, ma dopotutto dato il suo odore l’avrebbe trovata di sicuro comunque. Forse poteva…

Un altro ruggito e gli occhi sanguigni del mostro si piantarono nei suoi.

Con un singulto Becky indietreggiò ed evocò le daghe, per poi iniziare a correre zoppicando all’indietro per tenerla d’occhio, ma la bestia la incalzò con rapidi balzi fino a raggiungerla; le due si fronteggiarono per alcuni attimi, la ragazza ansimante e ferita, la belva affamata e feroce.

All’improvviso la testa di leone sputò una fiammata e solo grazie ai riflessi pronti Becky riuscì saltare di lato ed evitarla, per poi fare un tentativo disperato di evocazione. Per un attimo la terra tremò, ma nessuno rispose alla sua chiamata.

Disperata evitò goffamente una zampata della Chimera, la caviglia che urlava pietà e cercò di ferirla con un fendente, ma la piccola ferita provocatale servì solo a farla imbestialire di più; il serpente tentò di azzannarla ma Becky si gettò a terra ed evitò le sue fauci per un pelo, per poi rotolare di lato evitando gli zoccoli possenti che frantumarono il terreno. Non era un combattimento, era un gioco al massacro. Sarebbe morta.

Mentre cercava di rialzarsi e indietreggiare rivide il volto di sua madre, di Lily, di Jace e di Gray…

La Chimera la scaraventò a terrà con un zampa, aprendole una profonda ferita nel braccio e la sovrastò ruggendo con furia.

Becky iniziò a piangere.

“Padre…aiutami.” Mormorò prima di chiudere gli occhi, in attesa che le zanne del mostro si chiudessero su di lei.

Un sibilo.

Un’esplosione di luce dorata.

Becky aprì gli occhi giusto in tempo per vedere una freccia di luce conficcarsi al centro del muso della Chimera, mentre la terra tremava furiosa e un esercito di morti le si arrampicava sul corpo trascinandola lontano da lei.

“BECKY!” l’urlo congiunto di Gray e Jace la fece voltare di scatto e per poco non svenne dal sollievo nel vederli avanzare, armati, al fianco di Lily, pallida come un lenzuolo.

Sentì solo le labbra distendersi in un sorriso prima che tutto divenisse nero.

 

 

Quando aprì gli occhi la prima cosa che vide fu un soffitto in legno dorato, di sicuro non il soffitto della sua casa, in ossidiana nera; forse l’aveva già visto ma la testa le pulsava talmente tanto che avrebbe potuto scoppiarle e cercando di snebbiarsi tentò di portare il braccio alla fronte, ma un dolore lancinante la trafisse.

“Non sforzarti Becky…” una voce calda come un raggio di sole fu l’ultima cosa che sentì prima di cadere di nuovo nel buio.

 

La volta seguente che aprì gli occhi era il tramonto, a giudicare dalla luce, e il corpo le doleva almeno la metà dell’ultima volta; con uno sforzo immane tentò di mettersi a sedere rantolando e solo con l’aiuto di due mani che forti la presero per le spalle e l’aiutarono ce la fece.

“Gray? Jace?” chiese sbalordita mettendo a fuoco le figure dei due ragazzi, che le sorrisero con evidente sollievo.

“Ti sei svegliata ladruncola!” la salutò il biondo scompigliandole i capelli mentre Jace l’abbracciava protettivo e lei, ricordando ogni cosa, iniziava a piangere come una bambina.

“Mi spiace…” le disse a bassa voce Jace scostandosi e asciugandole le tracce di lacrime con le dite, “Non avrei dovuto dire quelle cose…anche se tu avresti potuto evitare di non raccontarmi mai nulla.” Aggiunse, incapace come ogni figlio di Ade di sotterrare completamente il risentimento, e Becky sbuffò fulminandolo.

“Hai rischiato davvero tanto questa volta, Lily ti ucciderà per averla fatta preoccupare!” aggiunse con un sogghigno indicando la ragazza sdraiata su due poltroncine poco lontane, al cui indirizzo Becky sorrise dolce con le guance arrossate per la vergogna.

“E va bene, e va bene! Vi racconterò tutto, ma non interrompetemi!” li minacciò con un dito e i due annuirono cercando di non ridere.

“Fino ai quattordici anni ho avuto una vita abbastanza normale: mio padre ci aveva abbandonate, i miei nonni avevano ripudiato mia madre e lei faceva mille lavori per mantenermi, ma ero troppo piccola per capire…Poi si ammalò gravemente e le cose precipitarono. Non riusciva ad andare al lavoro e aveva bisogno di cure sempre più costose ma i soldi che i nonni mandavano non bastavano, così a sua insaputa abbandonai la scuola e presi il comando della casa: lavoravo in pizzerie, bar, librerie e ovunque avessero bisogno di me; ma ancora non bastava, anche perché lei continuava a spendere la maggior parte dei soldi in quello che ritenevo inutile profumo, ma dato le crisi di nervi che le venivano se minacciavo di non metterlo, la assecondavo. Certo non sapevo a cosa servisse…Quindi iniziai a rubare, scoprii che rendeva molto di più di quel che pensassi e di aver un talento per l’inganno, che feci fruttare in poco tempo: ciò che era vendibile lo rivendevo, altre cose che mi piacevano le tenevano. Era l’unico modo per sopravvivere, nessuno che ci abbia mai teso una mano, e ho sempre creduto di averne il diritto.” Concluse breve e amara guardando le lenzuola con interesse.

“Mi spiace Becky…ma ora non ne hai più bisogno.” Le disse Gray mentre Jace si limitava a guardarla con affetto fraterno, “Hai una nuova casa e una nuova famiglia che si prenderanno cura di te.” Le disse per poi guardare male l’amico.

“Quasi sempre bene!” concluse tirandogli un pugno sulla testa, che fece ringhiare il moro indispettito.

Becky non poté trattenere una risatina e poi si rivolse a Gray, mostrandogli il più sincero sorriso che gli avessi mai rivolto.

“Grazie.” Gli disse semplicemente con le guance arrossate e gli occhi scintillanti.

Poi gli venne in mente una curiosità.

“Come mi avete trovata?” chiese perplessa e i due si guardarono confusi.

“Non ci crederai ma…ci eravamo fermati un attimo per riposarci quando all’improvvisamente ci siamo addormentati e abbiamo avuto tutti lo stesso sogno riguardo a te e a dove ti trovavi. Una visione…” Le spiegò Gray quasi incredulo.

“L’unico che potrebbe averlo fatto è nostro padre…” rifletté Jace ad alta voce e immediatamente lo sguardo di Becky si indurì.

“Non è possibile, non si scomoderebbe mai per una cosa del genere…” ringhiò aggressiva rifiutandosi di credere ciò che aveva creduto per una vita: che a suo padre non interessasse nulla di lei. “Sarà stato un altro o un caso…” aggiunse cercando di convincersi, mentre Gray e Jace decidevano saggiamente di non insistere per non scatenare nuovamente la belva.

“Ora torna a dormire ladruncola, anche se hai dormito un giorno e mezzo hai ancora bisogno di riposare, parola di figlio di Apollo!” la rimproverò Gray cambiando argomento e spingendola contro i cuscini mentre si lamentava.

“Mi lasciate qui da sola? Non voglio…” mugugnò come una bambina viziata, facendolo ridere.

“Io no, ma tuo fratello deve riportare Lily alla sua casa…non può dormire ancora qui, quella povera ragazza…” le rispose il biondo con tono innocente e un ghigno malizioso mentre le guance pallide del fratello si tingevano di rosso e Becky sgranava gli occhi.

“Puoi farlo tu, Becky è mia sorella e…” iniziò a cercare scuse il moro, ma Becky intervenne aggrappandosi alla manica di Gray.

“No no, vai tu Jace; devo parlare a Gray in privato!” lo congedò con fare angelico e sbrigativo e Jace, dopo aver alternato lunghe occhiate sospettose ai due che lo osservavano sorridendo innocenti ma con gli occhi che brillavano maliziosi, si alzò con uno sbuffo e arrossendo prese tra le braccia Lily, bella come un angelo anche nel sonno, per poi uscire dal campo medico.

“Approvo.” Disse appena fu uscito con un sorrisetto Becky, “Approvo alla grande…” ribadì prima di voltarsi e trovarsi immersa nelle pozze blu di Gray.

“Anche io approvo…di cosa volevi parlarmi ladruncola?” le chiese sogghignando e avvicinandosi al suo volto, mentre la sua mano copriva quella di lei attaccata alla felpa.

“N-niente!” balbettò imbarazzata Becky, con le guance in fiamme, “Era solo una scusa!” aggiunse lasciandolo andare e nascondendosi sotto le coperte per reazione istintiva.

“Come vuoi…” ridacchiò Gray poggiandole una mano sulla testa, “Dormi ora ladruncola.” la invitò gentilmente, mentre il cuore della ragazza non smetteva di battere come un tamburo.

Certo, fosse facile con lui così vicino…

 

 

La mattina dopo, in seguito a una severa ramanzina di Lily e Chirone e un rimprovero da parte del Signor D. per esser tornata viva, la vita di Becky riprese il solito ritmo…più o meno; infatti dopo attente osservazioni lei e Gray erano arrivati alla conclusione che Jace e Lily erano perfetti l’uno per l’altra. La dolcezza e l’allegria di lei equilibravano la freddezza e l’isolamento di lui, e la sicurezza e la calma di lui bilanciavano la timidezza e l’insicurezza tendente alle crisi di pianto di lei.

 Questa decisione aveva portato all’organizzazione di una strategia per accoppiarli che prevedeva in breve che nei momenti adatti Gray e Becky si defilassero per lasciarli da soli ad approfondire il loro legame; ciò che la ramata non aveva calcolato era che Gray si difilasse per stare con lei e, più lei lo maltrattava imbarazzata, più lui la punzecchiava e le girava attorno, finendo col passare un sacco di tempo insieme. E la cosa a Becky non piaceva, per niente: più passava il tempo, più si rendeva conto che si stava innamorando di lui e non era una cosa buona, per niente. Lui era popolare, sempre circondato di oche starnazzanti, luminoso, allegro ed irritante; lei era solitaria, sarcastica, psicotica e ancora abbastanza sana di mente da capire che in realtà avrebbe dovuto volerlo strangolare non abbracciare. O almeno così la vedeva lei.

E per quanto Jace fosse piuttosto ingenuo in queste questioni, abbastanza da non accorgersi di essere praticamente finito in un programma di match-making, non era cieco e aveva imparato a capire la sorella. Per questo esatto motivo si stava inerpicando a passo svelto e silenzioso sopra i gradoni dell’arena per raggiungere Becky, accovacciata in posizione fetale con lo sguardo fisso sul campo d’allenamento.

“Cosa fai qui da sola?” le chiese sedendosi accanto a lei con calma, osservandola con gli occhi pece.

“Osservo gli allenamenti.” Rispose lei monocorde. Non era depressa e incazzata in quel momento…di più.

“Cosa è successo?” le chiese Jace mettendole un braccio intorno alle spalle e stringendola a sé, senza che quella avesse nessuna reazione.

“Dovevo allenarmi con Gray, ma quelle oche di Afrodite lo hanno rapito e Lily è a intrecciare fiori con le ninfe” spiegò con una smorfia, sia per il rapimento che per i fiori, proprio non capiva cosa ci andasse a fare quella ragazza…

Jace prese un profondo respiro: era suo dovere sostenere la sorella anche in quella circostanza e doveva perciò introdurre l’argomento, per quanto per lui fosse come parlare di alieni o simili, solo più imbarazzante.

“Becky…” tentò di dire con tatto ma un urletto a livello ultrasuoni gli forò il timpano.

“Graaaaaaaaaaaay, sei fantastico!” sotto lo sguardo duro di Becky e quello palesemente scioccato da tanta stupidità di Jace, Cecil fece finta di inciampare nel nulla e cadde tra le braccia di Gray a peso morto, tanto che lui venne schiacciato a terra mentre l’oca ne approfittava per far casualmente scontrare le sue labbra contro quelle del biondo che per afferrarla l’aveva abbracciati ai fianchi, finendo in una posa davvero promiscua.

Becky si alzò di scatto, lo sguardo basso e i pugni stretti.

“Avevi ragione Jace…” mormorò prima che il moro tentasse di dire qualcosa di confortante o come minimo che la facesse sbollire un attimo, “Non si può avere tutto ciò che si vuole.” Gli disse fingendo un sorriso, tanto triste che il cuore di Jace si strinse, prima di scappare via con le lacrime agli angoli degli occhi.

 

Lo sapeva lei che sarebbe finita male! Lo sapeva! Certo non così male ma…

“Becky?” la voce cristallina di Lily cercò di raggiungerla attraverso gli strati di coperte in cui si era avvolta per nascondere al mondo la sua vergogna, “Puoi uscire da lì?” le chiese per la decima volta paziente. Era da quando Jace, dopo averla strappata alla sua attività, l’aveva trascinata nella Casa di Ade, brontolando di “emergenze femminili” o “mi ha cacciato con la lampada” o cose simili, che tentava di smuovere l’amica dalla sua posizione. Ovviamente era già stata informata degli avvenimenti e da brava figlia di Afrodite voleva rassicurarla che non c’era la minima possibilità che Gray fosse innamorato di Cecil, ma prima doveva calmarla, farla uscire e ottenere la sua attenzione. Era come parlare con un animale selvatico.

“Becky so cosa stai pensando ed è assurdo, non catastrofico! Esci subito di lì che ti spiego bene perché. E non dire che sono pazza, mia madre è la dea dell’amore!” le ricordò picchiettando le dita curate su quella che deduceva essere la testa dell’amica.

Becky si immobilizzò immagazzinando il dato fondamentale: era vero...forse, forse poteva anche ascoltarla per qualche secondo.

Timidamente iniziò a far capolino, con gli occhi gonfi e rossi, dall’ammasso di morbidume e già Lily le sorrideva vittoriosa quando una voce fece piombare tutto nella catastrofe.

“Ehi Becky dove sei finita? Ti cercano alla Casa Grande!” urlò Gray allegro entrando sudato nella casa per poi gelarsi immediatamente davanti a quello che avrebbe ricordato come uno degli sguardi più spaventosi della sua intera vita, perfino rispetto a quello degli dei: lo sguardo inceneritore di Lily.

“Ma cosa…?” tentò di balbettare guardando lei e il cumolo di coperte tremante, prima che il dolce fiore di afrodite gli scaraventasse contro l’ormai famigerata lampada da comodino centrandolo in piena fronte.

“Meglio se sparisci per un po’ amico…” gli consigliò Jace afferrandolo per le spalle e trascinandolo fuori ancora accasciato, mentre con una mano faceva cenno a Lily di uscire con loro in fretta; cosa che la ragazza fece all’istante dato lo sguardo preoccupato del ragazzo. O forse semplicemente perché glielo aveva chiesto lui.

Ci volle qualche istante prima che Becky, che si macerava nell’imbarazzo e nella rabbia omicida, si rendesse conto di essere rimasta sola; piccata per l’abbandono (voleva essere coccolata lei!) sbirciò fuori dalla coperta.

“Arrivo in un momento sbagliato?” una voce maschile, adulta e fredda, la fece sobbalzare con un urletto e cadere dal materasso sul duro pavimento.

“Chi sei?! Cosa ci fai in casa nostra!?” urlò alzandosi nel tentativo di districarsi dalle coperte.

“Tecnicamente, è casa mia.” Le rispose un uomo dai capelli neri scompigliati, gli occhi come il carbone ma che ardevano brillanti e la pelle cadaverica, messa in risalto dai pantaloni e dalla camicia nera col colletto alzato.

Becky lo guardò per alcuni istanti senza capire, poi un fuoco nero divampò nei suoi occhi.

“Ade!” ringhiò evocando le daghe e guardandolo omicida. Quel bastardo! Come osava farsi vedere lì?!

“Ciao figlia mia.” La salutò lui guardandosi intorno quasi incuriosito.

“Figlia mia un corno, sono Black per te!” le rispose lei in un sibilò alzando le armi in posizione di difesa.

“Mi spiace, ma l’unica Black della mia vita è stata tua madre. Tu per me sei Becky.” Rispose con un sogghigno osservandola, mentre dentro di sé sorrideva soddisfatto. Assomigliava a sua madre, anche nel carattere…ma aveva i suoi lati peggiori, questo era certo.

Una vena iniziò a pulsare freneticamente sulla fronte della ragazza che strinse le armi convulsamente: era inutile parlargli, voleva solo sfogare la rabbia di sedici anni.

“Andiamo.” Le disse Ade all’improvviso, bloccandola a metà dello scatto, le daghe già a metà del loro arco.

“Dove?” chiese lei confusa, perdendo la sua maschera d’odio per un attimo.

“Da tua madre.” Rispose lui con un sorriso triste, prima di raggiungerla e prenderla per mano, prima che lei riuscisse a ritrarsi.

Poi le ombre li avvolsero.

 

Quando l’oscurità si dissolse di nuovo, Becky si ritrovò sull’uscio di casa sua; disgustata liberò la mano che Ade le aveva afferrato.

“Come osi presentarti qui?” gli chiese con un ringhio, ma lui la ignorò completamente mentre si guardava intorno, negli occhi una tristezza infinita.

“Non è cambiato poi molto…” mormorò con un sorriso nostalgico, “Tua madre odiava quel quadro. Immagino fosse più nel mio stile…” Disse indicando un piccolo dipinto appeso nel salotto, nero con dei globi luminescenti bianchi.

“Come lo sai?” gli chiese Becky guardinga, cercando di tener vivo dentro di sé l’odio per il padre, ma c’era qualcosa di magnetico in lui, che la confondeva…la rabbia cedeva alla curiosità, la voglia di ucciderlo alla tristezza e al dolore per l’abbandono.

“Gliel’ho regalato io, per farmi perdonare d’essere arrivato tardi ad uno dei primi appuntamenti.” Spiegò sospirando e scuotendo la testa, “Mi ha riso in faccia e me lo ha lanciato addosso scappando via, poi è scoppiata a piangere ed è tornata a prenderlo. Mi ha perdonato il giorno dopo, ci siamo dichiarati e lei lo ha appeso in casa, dicendo che era un ricordo prezioso.” Concluse sorridendo, perso tra i fantasmi del passato.

Becky non riuscì a non sorridere, era tipico di sua madre.

“C’è qualcuno?” la voce cristallina di Lily li riportò al presente ed entrambi volsero la testa verso il corridoio, il cuore che accelerava.

“Mamma!” urlò Becky con gli occhi lucidi e correndo si precipitò in camera, neanche pensando al fatto che fosse strano che non fosse dai nonni.

“Becky!” la salutò sua madre con gli occhi sgranati mentre la ragazza la guardava incredula, era come l’aveva lasciata, e poi le sorrise mentre la figlia le si gettava tra le braccia.

“Quanto mi sei mancata mamma!” le disse piangendo e stringendola a sé.

“Anche tu piccola mia…” le rispose accarezzandole dolcemente i capelli, “Come va al campo?” le chiese poi asciugandole le lacrime e osservandone il viso con affetto.

“Benissimo! Jace è mio fratello ed è fantastico, si prende sempre cura di me anche se lo faccio disperare; anche quel cretino di Gray mi sta accanto…e poi ho un’amica, anzi la mia migliore amica! Si chiama come te, Lily, una figlia di Afrodite straordinaria e…” iniziò a raccontare disordinatamente e entusiasta di poter condividere con lei la sua nuova vota, ma ad un certo punto dei passi felpati distrassero la madre.

Becky vide i suoi occhi spalancarsi e poi riempirsi di lacrime di gioia.

“Ade!” lo chiamò con il volto che le si illuminava, nel tentativo di mettersi leggermente più diritta.

Ade non si avvicinò ma le sorrise luminoso, come la luna che riflette i raggi del sole.

“Ciao Lily, sei bella come sempre…” la salutò accarezzando con gli occhi la figura della donna per intero, con quello che Becky non poté non etichettare, a malincuore, come amore.

“E tu sei in ritardo come sempre!” lo rimproverò lei ridacchiando mentre lui alzava gli occhi al cielo esasperato.

“Black, la gente di solito è felice quando sono in ritardo…” notò ridendo, “Ma tu non sei mai stata come gli altri.” Aggiunse addolcendo il tono. Becky sentì il cuore stringersi, mentre si sentiva un’intrusa in quel momento. Perché? Perché era lì anche lei?

“Ti aspetto da anni! Potevi essere puntuale…” ribadì Lily fingendosi offesa e incrociando le braccia.

“Sono un dio occupato, Black!” rispose alzando gli occhi al cielo.

“Tanto occupato da avere il tempo di scegliere di indossare gli stessi vestiti di quel giorno e venire di persona?” chiese lei allora sogghignando e, sotto lo sguardo incredulo della ragazza, le guance di Ade si tinsero di rosso.

“Te lo ricordi…” mormorò nascondendosi la bocca con una mano.

“Mi ricordo ogni cosa di quel giorno, compreso quell’orribile quadro…” rispose lei con un sorriso dolce.

I due si guardarono sorridendo per un attimo in silenzio, rivivendo un giorno di tanti anni fa, in cui si erano dichiarati il loro amore.

“È ora di andare Ade.” Disse poi Lily, una lacrima sola a scendere lungo la sua guancia.

“Andare dove?” chiese Becky recuperando la parola e guardando sua madre preoccupata, mentre Ade distoglieva gli occhi addolorato.

“Becky…guardami. Guardami davvero.” Le chiese la madre prendendola per mano.

Becky inizialmente la osservò senza capire e poi vide. Vide quello che aveva visto Jace e gli occhi le si colmarono di lacrime, che iniziarono a sgorgare come un fiume in piena.

“Mi spiace Becky…” mormorò triste mentre la ragazza cadeva a sedere sul pavimento, le mani a coprirsi il viso.

Sua madre era morta.

Era morta.

E lo era da tre anni.

“Ade mi ha concesso di rimanere in vita, posticipando la mia morte fino a che tu non fossi stata pronta…Sarei dovuta morire due giorni dopo aver contratto questa malattia…” le spiegò accarezzandola dolcemente.

“Ti è riservato un posto nei Campi Elisi…” mormorò Ade, ma Becky lo ignorò mentre tutto quello che aveva creduto le crollava attorno.

“Perché ora?” le chiese solamente con voce flebile.

“Perché ora sei pronta e hai una nuova famiglia a prendersi cura di te, Chirone mi ha tenuta informata e mi ha mostrato qualche sprazzo della tua vita attraverso i messaggi di Iride; hai una vita luminosa…devi perdonarmi per ciò che ti ho fatto passare in questi tre anni, sappi che ti amo come nessuno al mondo ma… devo lasciarti andare…e tu devi lasciar andare me. Ovviamente potrai evocarmi quando vuoi, mia piccola semidea…” le rispose la madre accarezzandola, mentre lei continuava a piangere silenziosa; poi si distese sul letto e incrociò le mani sull’addome.

“Procedi pure.” Disse ad Ade prendendo un bel respiro e guardandolo con amore.

Il dio della morte avanzò a passo lento; Becky avrebbe potuto fermarlo forse, o implorare perché la lasciasse in vita ma…rimase ferma. Con Jace aveva discusso degli enormi doveri e vincoli di Ade e di loro semidei della morte e si rendeva conto di quanto avesse rischiato per sua madre, quanto Ade la dovesse amare per concederle tale proroga. Inoltre ora molte cose si spiegavano: nessuno che era mai venuto a controllare casa loro, carabinieri, ministri della sanità o medici, le tasse da pagare sempre così basse e i soldi che riceveva per i suoi lavoretti così alti…doveva aver vegliato su di loro per tutto quel tempo, ma lei era stata troppo accecata dal suo odio per accorgersene.

 Si era sbagliata, Ade amava Lily. L’amava ancora.

Con lentezza Ade si chinò sul viso sorridente di Lily e la baciò.

Poi la prese per mano ma invece di trascinare lei, dal corpo si staccò uno spettro luminoso, l’anima di sua madre; bella e pura com’era prima che si ammalasse.

Fece un solo cennò con la testa a Becky, sorridendo così spontaneamente e felicemente che Becky non ebbe il coraggio di chiederle disperata di rimanere, e Ade le sillabò “Aspettami. Tornerò.”

Poi sparirono nella luce rosata del tramonto.

 

Quando Ade tornò, osservò sua figlia sorpreso: era in piedi a braccia incrociate appoggiata al muro per guardare fuori dalla finestra, gli occhi arrossati ma asciutti, che bruciavano del fuoco nero che bruciava in lui e della luce radiosa che ardeva in sua madre. Erano loro due in una sola persona e allo stesso tempo una ragazza che con loro non centrava assolutamente nulla.

“Sei tornato davvero.” Gli disse perforandolo coi suoi occhi bicolore, uno lilla e uno nero.

“E tu non sei accasciata a disperarti.” Rispose lui alzando un sopracciglio.

“Non servirebbe a nulla…se non a renderla più triste.” Rispose con un sorriso malinconico, per poi guardarlo e sospirare.

“Se penso a quanti anni ho speso inutilmente odiandoti…” gli sbuffò contro facendolo sogghignare.

“Non mi posso lamentare, ti hanno reso una degna figlia di Ade.” Le rispose tendendole e una mano, mentre lei arrossendo si avvicinava. La considerava una figlia degna.

“Immagino che potrò smetterla di sacrificarti marmellata e cereali…” aggiunse con un ghigno, mentre lui a sorpresa l’abbracciava.

“Mi farebbe piacere.” Le rispose Ade con una smorfia infastidita e Becky ridacchiò.

Poi sparirono nelle ombre e riapparvero sotto il pino di Talia.

“Verrai a trovarci più spesso?” chiese Becky staccandosi da lui e guardandolo dritto in volto. Ade annuì con una smorfia.

“Non siete male, ma cerca di rendermi orgoglioso di te.” Le disse facendole storcere le labbra indispettita, “E salutami Jace, sta facendo un ottimo lavoro...” Aggiunse prima di appoggiarle una mano sul capo e sparire.

Becky sospirò sfinita e dopo aver salutato stancamente il drago iniziò a risalire la collina. Non era arrivata neanche a metà che si vide venire incontro Lily correndo, Jace e Gray a passo svelto, e dagli sguardi che avevano dedusse dovessero sapere già tutto.

Cercando ancora un po’ di forza nel suo cuore sorrise e agitò una mano, prima che Lily la travolgesse in un abbraccio.

“Becky io…!” iniziò piangendo, ma la ragazza scosse la testa.

“Sto bene, sono a casa.” disse malinconica zittendola affettuosamente mentre i ragazzi la raggiungevano; fu a quel punto che si ricordò degli avvenimenti precedenti e la rabbia la trascinò di nuovo nelle sue spire.

“Becky stai bene?” le chiese Gray preoccupato, prima che la ragazza lo schiantasse a terra con un pugno alla bocca dello stomaco.

“Non ti voglio vedere pervertito!” gli ringhiò prima di prendere per mano Jace, terrorizzato dalla sua furia, e trascinarlo lontano.

“Ho voglia di andare a casa, sono stanca.” gli disse, mentre dietro di sé Lily riprendeva a maledire e rimproverare Gray che rantolava a terra.

 

“Sei sicura di stare bene?” le chiese Jace mentre entrambi si preparavano per andare a letto, dopo esser stato muto a osservarla per tutto il tempo, cosa che Becky aveva immensamente apprezzato.

“Si tranquillo.” Gli rispose in automatico continuando a lanciare i vestiti sul fondo del letto e Jace sospirò, chiedendosi entro quanto sarebbe scoppiata o quando fosse tornata la solita lei.

“Come vuoi. Sono qui.” Le rispose infilandosi sotto le coperte mentre lei faceva lo stesso, spegnendo la luce. Jace dovette aspettare solo un quarto d’ora prima di sentire il primo singhiozzo soffocato, con il cuore che gli si stringeva; stava giusto pensando se fare il primo passo o lasciarla sfogare da sola, quando sentii le coperte frusciare e la sorella muoversi nell’ombra.

“Jace? Sei sveglio?” una voce flebile nell’oscurità accanto al suo letto, mentre una mano tremante tirava delicatamente le lenzuola.

“Certo.” Le rispose lui sollevandosi sul gomito lateralmente e sollevando le coperte.

“Posso?” chiese lei ancora con un singhiozzo.

“Devi.” La rassicurò con un sorriso, sapendo che lei l’avrebbe percepito anche senza vederlo, e Becky si infilò nel letto con il fratello, accoccolandosi al suo petto e scoppiando a piangere a dirotto, mentre Jace l’abbracciava stretta.

L’alba avrebbe colto fratello e sorella abbracciati l’uno all’altra stretti da un legame indissolubile.

 

 

Gray era stufo. Ed irritato. E probabilmente cominciava anche a cadere nella follia.

Erano due settimane! Due settimane che Becky lo evitava, scappava quando lo vedeva, non gli parlava, non lo insultava, cosa che invece faceva Lily in abbondanza al posto suo, dando mostra delle spine che proteggevano quello che poco tempo prima avrebbe definito il delicato fiore. E Jace, il suo migliore amico e fratello, ogni volta che chiedeva spiegazioni o aiuto sospirava scuotendo la testa e se ne andava! Cosa aveva fatto a quella ragazza?! Proprio ora che andavano d’accordo…proprio ora che riusciva ad avvicinarsi…la distanza lo stava uccidendo e purtroppo cominciava a intuire il perché. Doveva risolvere la situazione. Non ne poteva più.

“Gray va tutto bene?” chiese una sua timida sorella di Apollo, seduta accanto a lui al tavolo per la colazione, per poi tremare alla vista del suo ghigno mentre annuiva, gli occhi incollati su una piccola figura dai capelli ramati che entrava or ora per fare colazione.

“LADRUNCOLAAAAA!” urlò come un invasato mentre tutto il campo si girava a guardarlo con gli occhi fuori dalle orbite, compresi Chirone e il Signor D, “SONO STUFO!” continuò puntandola con una forchetta, gli occhi che bruciavano folli, prima di saltare in un colpo solo il tavolo della sua casa e iniziare a correre verso di lei assetato di sangue.

Se non fosse stato per i suoi riflessi pronti e il suo istinto di autoconservazione, Becky sarebbe rimasta paralizzata per lo shock; invece scattò a correre terrorizzata per tutto il campo, ringraziando di essere migliorata nella corsa, in fuga da quel folle che sembrava volerla uccidere con le sue mani. Quando finalmente riuscì a seminarlo, nascondendosi dietro le stalle dei pegasi, si accasciò senza fiato a terra.

 Ma che gli prendeva?! Era impazzito?!

“Dovrai affrontarlo prima o poi…” mormorò Jace uscendo dall’ombra, ma la ragazza nemmeno sobbalzò, avendolo percepito prima.

“No.” Rispose lei testarda incrociando le braccia.

“È stato un incidente…” tentò di persuaderla, come faceva da due settimane ormai, “Non prova niente per Cecil!”

“Non mi interessa…sarebbe inutile, non mi amerebbe mai.” Concluse triste ma decisa, facendo percepire alla perfezione che la questione per lei si chiudeva lì.

“Come vuoi…” sospirò esasperato, “Ma ti avviso: stasera hai la tua prima partita di Caccia alla Bandiera e siamo alleati di Apollo” le disse prima di andarsene.

“COSA?!” gli urlò mentre lui a passo felpato si allontanava per accertarsi della situazione mentale del suo amico. Non poteva averle fatto questo! A causa di vari mostri che si aggiravano per la foresta, non avevano mai potuto organizzare una partita e lei moriva dalla voglia di giocare e dimostrarsi all’altezza…e lui li aveva alleati con Apollo. Quel ragazzo voleva morire. E dolorosamente.

Poi sospirò e cercò di farsi forza: erano almeno una trentina in totale…non poteva certo rimanere sola con lui (anche se la scenata del mattino non la consolava), sarebbe stato tutto troppo sfigato perfino per lei…

 

 

Effettivamente la mattina si era sbagliata: non c’era limite alla sua sfiga. Il caro Jace, eletto capitano, aveva messo lei e Gray in squadra d’attacco sotto copertura insieme, da soli, e si era rifiutato di sentire ragioni, aiutato da Lily, la sua cara amica che quando parlava Jace spegneva il cervello! Anzi…sospettava si fossero perfino alleati! L’avrebbero pagata…

Ma la cosa peggiore era un’altra: lì, da soli nella foresta, acquattati in attesa del momento giusto, Gray non le parlava. Non la guardava. Non la calcolava proprio…Ma come si permetteva?! Era LEI quella arrabbiata con lui, non viceversa! Cos’era quel silenzio a metà tra la resa e la rabbia?! Avrebbe dovuto cercare di tornare da lei, di farsi perdonare come minimo, non ignorarla! Lei voleva, pretendeva che lui tornasse ad assillarla per essere perdonato, a costo perfino di vederlo impazzire di nuovo! Solo perché lo aveva evitato per due settimane, demordeva?! Che uomo era? Non riusciva neanche a capire una cosa così semplice di lei?! Lo sapeva che i maschi erano delle pessime creature, escluso Jace…

Becky lo guardò perforandolo con una smorfia arrabbiata, delusa e imbarazzata. In realtà sapeva di essere piuttosto stupida, ma non avrebbe mai ammesso di aver sbagliato, né di volere Gray accanto a se…perfino come amico.

Con uno sbuffo, incapace di reggere oltre, si alzò di scatto e iniziò a correre tra gli alberi, verso dove pensava fosse la bandiera.

 “FERMATI!” Le urlò dietro cercando di raggiungerla, ma quella scivolava come un ombra tra i pini nelle sue vesti nere e i capelli rossi come il fuoco.

Ah! Ora le parlava eh?!

“IDIOTA!” sbraitò lei in risposta, parlandogli per la prima volta da quello che sembravano loro secoli, e accelerò; si fosse concentrata su dove andava invece che sul suo cuore che gemeva, magari avrebbe ascoltato il ragazzo, ma era troppo testarda.

Come faceva quella ragazza a essere così orgogliosa?! Come?! Avesse almeno guardato avanti, Gray l’avrebbe perdonata, ma come faceva a non aver visto quel gigantesco Minotauro che si aggirava per la foresta nell’esatta direzione in cui si stava lanciando?! E per fortuna che il Signor D. aveva assicurato che la foresta fosse sicura…

Esasperato e sempre più vicino al mostro, tentò l’impossibile: con uno scatto disumano si avvicinò il più possibile alla ragazza e con una spinta le si lanciò letteralmente addosso travolgendola e facendola cadere a terra; lei emise un breve urletto terrorizzato, ma prima che potesse fare alcunché Gray la immobilizzo seduta tra le sue gambe e bloccandole le braccia con le sue, una mano a coprire la bocca. Poi, mentre lei lo guardava assassina con le gote in fiamme, le fece un cenno verso il Minotauro e lei sbiancò non appena lo vide.

Aveva appena rischiato di diventare carne trita!

“Mai che mi ascolti, eh ladruncola?” le sussurrò all’orecchio, le labbra pericolosamente vicine. Becky sentì il cuore iniziare a battere come un tamburo e sperò fortemente che il ragazzo lo attribuisse alla corsa…

“Che facciamo?” tentò di cambiare argomento balbettando e cercando di allontanarsi, ma il ragazzo aveva una presa ferrea.

“Per ora mi riprendo dalla corsa folle, poi faccio fuori il bestione…” le rispose con il respiro affannato, cercando di guardarla negli occhi.

“Gray…” tentò di dire lei agitata.

“Mi hai evitato per tutto questo tempo…” iniziò a dire lui piccato e amareggiato.

“Gray.” Lo cercò di interrompere irritata, oltre che agitata.

“Non mi hai nemmeno detto il perché! Non credi di aver esagerato?” continuò lui imperterrito, perforandola con le sue pozze blu.

“GRAY PER ZEUS IL MINOTAURO CI HA FIUTATO!” urlò Becky prima di spingerlo nell’ombra con lei, esattamente mentre l’ascia bipenne del mostro si abbatteva dove poco prima c’erano loro.

“Sei un idiota!” gli urlò la ragazza riemergendo poco lontano, mentre il ragazzo la lasciava andare ed evocava l’arco, lei le daghe.

“Ehi io ti stavo…” cercò di scusarsi enormemente irritato, ma la ragazza lo gelò con un’occhiata.

“Tu distrailo!” gli urlò prima di lanciarsi vero il bestione, che fiutatili li caricava mugghiando.

Con uno sbuffò Gray iniziò a scaricare una pioggia di frecce sul mostro, puntando ai punti più scoperti e vitali, ma quello avanzava imperterrito; Becky scacciò la paura e gli andò incontro di corsa, poi, giuntagli davanti, aspettò che caricasse l’ascia bipenne e che si sbilanciasse in avanti per andare in scivolata sotto di lui e infilzarlo nell’addome con le due daghe incrociate, nel momento esatto in cui una freccia dorata gli si conficcava nel cranio. Il mostro esplose in sabbia e si dissolse nel vento.

“Per un attimo ho temuto di non farcela…per fortuna abbiamo fatto tutti quegli allenamenti…” mormorò lei lasciandosi cadere all’indietro nell’erba, il cuore che iniziava a riprendere un ritmo regolare.

“Bella mossa ladruncola!” si congratulò Gray raggiungendola e sovrastandola con sguardo ferino; lei fece per sorridergli, ma poi vide i suoi occhi brillare e si ricordò della discussione interrotta poco prima. Con uno scatto felino balzò piedi e tentò di scappare ma Gray era pronto quella volta e veloce la placcò bloccandola tra le braccia.

“Devi dirmi perché!” le impose mentre lei si dimenava invano come una furia, senza poter nemmeno evocare le daghe o usare l’ombra senza portarsi dietro anche lui. Ma quanto era testardo?!

“No! È imbarazzante!” rispose lei rossa in viso, sperando che chiunque, chiunque l’aiutasse a scappare…

“Imbarazzante? Di cosa stai parlando? Io voglio sapere perché mi hai evitato queste settimane!” le ripeté Gray girandola in modo da guardarla negli occhi, nonostante il divario d’altezza evidente.

“PERCHÉ HAI BACIATO QUELL’OCA!” sbottò allora lei urlandogli contro ciò che voleva rinfacciargli dal primo momento, prendendolo a pugni sul petto e cercando di non far diventare gli occhi lucidi.

Gray la guardò allibito. Cosa?!

“Ma che…?” le chiese confuso mentre quella si calmava senza forze, guardando per terra.

“Perché hai baciato Cecil…” ripeté per essere più chiara in un sussurro, le lacrime che iniziavano a far capolino dagli angoli degli occhi. Ora che glielo aveva detto aveva distrutto ogni cosa…

Gray la guardò per qualche secondo in silenzio, cercando di capire seriamente a cosa si riferisse: lui non avrebbe mai baciato Cecil! Non poteva e…

“Non ti riferirai a quando mi è caduta sopra vero?!” le chiese scioccato e alienato, con gli occhi sgranati, mentre lei si imbarazzava di più e allo stesso tempo sentiva le mani pruderle.

“Quello non era un bacio ladruncola…” aggiunse con un sorrisetto mentre molti pezzi si sistemavano al posto giusto nella sua testa.

Poi Gray prese con una mano il mento di Becky e le alzò la testa per guardarla negli occhi, mentre il braccio attorno alla vita si faceva più delicato ma la avvicinava; rapido, prima che lei potesse dire o fare qualcosa, appoggiò le labbra sulle sue e le diede un dolce bacio.

“Questo è un bacio.” Le disse allontanandosi a un soffio dalle sue labbra, gli occhi che brillavano malandrini.

Lei lo guardò senza parole.

“Vuoi essere la mia ragazza?” aggiunse Gray, capendo che con una come Becky bisognava essere chiari in certe faccende…

“C-certo!” balbettò lei riprendendosi e nascondendo il volto nella sua maglietta.

“Ne sono felice…” ridacchiò lui accarezzandole i capelli, ma lei alzò la testa, improvvisamente decisa e gli sorrise furba.

“Ma sia chiaro…tu sei solo mio Gray.” gli soffiò prima di depositargli un altro bacio sulle labbra, leggero come un ombra.

 

 

 

Poco lontano una testa bruna e una mora si tornarono a nascondere dietro gli alberi.

“È andata bene direi.” Disse Lily appoggiata al tronco soddisfatta incrociando le gambe e portandole al petto, con un sorrisino gioioso sulle labbra rosee.

“Decisamente. Se non era per noi chissà cosa avrebbero fatto quei due…” le rispose Jace seduto accanto a lei rilassandosi, tra le mani lo stendardo rosso della squadra avversaria. Era stata una bella partita: avevano finto un diversivo e mandato avanti i due piccioncini, poi lui e Lily avevano usato le ombre per portarsi alla base nemica, stordire le guardie e prendere la bandiera; tutto ciò in tempo per tornare e vedere Gray che atterrava Becky e tutto ciò che ne era conseguito. Doppia vittoria quella sera.

“Non dovremmo andarlo a riportare?” chiese Lily, mentre l’adrenalina per la missione compiuta svaniva e lasciava il posto all’imbarazzo per essere da sola con il ragazzo di cui si era innamorata.

Jace parve pensarci un attimo, mentre la scrutava intensamente.

“Ancora qualche secondo…” le mormorò con un sorrisetto, prima di chinarsi e baciarla a sorpresa.

Poi si alzò in piedi e le tese la mano, mentre lei lo guardava incredula per ciò che era appena accaduto.

“Andiamo?” le chiese con falsa tranquillità, le gote a suo malincuore arrossate, e lei ridacchiando prese la sua mano e si alzò in piedi.

“Certo Jace.” Gli rispose camminando mano nella mano al suo fianco verso il raduno, pronti a riportare la vittoria.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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