Stay with me, Kate, I love you

di thatswhatfriendsarefor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Messa alle strette ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Segni Indelebili ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Losche trame paterne ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Sorrisi Inaspettati ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Stop and stare ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Una cosa preziosa ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - La magia di una notte di pioggia ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Innocente Risveglio ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - Indovina chi viene a cena? ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - Pagina 105 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 - Detective, tu mi vuoi morto! ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 - Ready to go! ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 - Segni inconfutabili: uno tsunami (in)atteso. Ovvero quando il mare si fonde con il sottobosco ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Messa alle strette ***






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Introduzione

Ciao a tutti!

A un anno esatto dalla pubblicazione del primo capitolo di “Dreams come true” siamo tornate con una nuova storia! Per chi non conoscesse ancora chi si cela dietro questo nickname, siamo Monica e Debora e questa è una ff scritta a 4 mani.

Il procedimento è sempre lo stesso, come nei nostri due precedenti esperimenti: si parte da un’idea comune che si sviluppa a grandi linee insieme e poi si scrive un capitolo a testa. Ma ogni capitolo viene revisionato più e più volte e tutte e due interveniamo in maniera profonda e radicale, togliendo, aggiungendo, modificando quello che ha scritto l’altra.

Speriamo che anche questa storia vi piaccia. Buona lettura

Debora e Monica

Capitolo 1 – Messa alle strette

Le parole del libro hanno i contorni sfocati. Non faccio in tempo a concentrami sulla pagina che nuovamente la mia mente vaga senza riuscire ad andare avanti nella lettura. Le fitte al petto mi lasciano ancora senza respiro ogni qual volta cambio posizione, senza parlare di quando provo a prendere qualcosa dai pensili più alti: sento le ferite pulsare dolorosamente. Quel dolore è l’unica cosa che mi riporta alla realtà, mi ricorda dove sono e mi rammenta che l’attività principale della giornata è tentare di leggere un romanzo. Guardo distrattamente l’orologio, quello che mi ha regalato mio padre tanti anni fa, in un periodo della mia vita altrettanto buio, e penso che lui rientrerà presto. Ormai sono sola nella baita da più di tre ore e questo è sintomo del fatto che lui pensa che io stia meglio. Visto che nella dispensa c’è praticamente l’eco, papà è sceso in paese per fare scorte. Devo essere migliorata tantissimo: la scorsa settimana è dovuto tornare in città per lavoro per una mezza giornata e ha chiesto alla signora Buchanan di venire a farmi da babysitter, come quando ero piccola.

A me.

Alla detective Kate Beckett della Polizia di New York sezione omicidi!!!

Ma per loro il distintivo non conta: sono solo Katie, lo stesso scricciolo magro e con le trecce che a sei anni è caduta e si è sbucciata le ginocchia.

Provo a tornare al mio romanzo e mi rendo conto che da quando mio padre è uscito ho letto appena un paio di pagine, di cui tra l’altro non ricordo assolutamente nulla.

Scosto il plaid che papà mi ha messo sulle gambe, mi alzo con grande lentezza per evitare di fare movimenti bruschi e mi metto ad osservare fuori dalla finestra. La temperatura è mite. E’ fine maggio e mi hanno dimesso dall’ospedale solo una ventina di giorni fa. Sono dimagrita molto e sto per lo più ferma, per questo ho sempre freddo. Da poco ho iniziato a fare passeggiate con mio padre nei luoghi della mia infanzia, ogni giorno sempre un po’ più lunghe e non vedo l’ora che arrivi il pomeriggio e il momento della nostra camminata. Forse oggi riuscirò ad arrivare fino alla pista di pattinaggio, quella dove mi portava mamma tantissimi anni fa.

Porto istintivamente la mano sul cuore per sentire il suo battito regolare. Josh mi ha fatto capire senza mezzi termini che mi sono salvata per un miracolo e perché lui mi ha operato senza aspettare il chirurgo che lo avrebbe dovuto sostituire, come sempre accade in questi casi. Davvero non so come abbia fatto Josh a rimanere lucido e ad iniziare ad intervenire. Mi ha confessato che il problema più grande all’inizio erano state le lacrime che gli avevano offuscato la vista poi, fortunatamente per me, ha recuperato la concentrazione e il distacco necessari per affrontare l’intervento ed è riuscito a fare quello che doveva fare. E mi ha restituito la vita.

Mi sento in colpa nei confronti di Josh.

Non l’ho mai amato veramente, ma ho passato dei bellissimi momenti con lui e per un po’ ho pensato davvero che fra noi potesse funzionare. Finché non ho iniziato a sentirmi sempre sola, le sue assenze si sono fatte sempre più frequenti, e mi sono ritrovata con una rivale che non avrei mai potuto sconfiggere: la vita delle persone cardiopatiche.

Ma dopo quello che è successo al funerale di Roy, dopo che Castle mi ha confessato di essere innamorato di me, non sono più stata la stessa con lui. Non sono più riuscita a fingere che mi potessero bastare le briciole del suo tempo. In più devo essere onesta: è una bravissima persona e si merita di meglio, qualcuna che possa amarlo senza remore e seguirlo anche in capo al mondo. E quella donna non sono certo io.

Il rumore della macchina di papà mi risveglia dal turbine dei pensieri nei quali sono nuovamente caduta.

Mi alzo con cautela dal divano e mi affaccio sulla porta. Vedo mio padre aprire il portabagagli e tirare fuori quattro grandi buste della spesa. Sorrido pensando che ha deciso di mettermi all’ingrasso e, tutto sommato, i primi frutti dei suoi tentativi si iniziano a vedere.

“Ciao, papà. Mi dai qualcosa?” provo a chiedere allungando una mano verso una delle buste ma ovviamente non è ancora il caso di portare i pesi e papà lo sa bene.

“Sì, un abbraccio. Appena le poso.” Mi fa l’occhiolino e mi sorpassa mentre io rimango interdetta. Per quanto ancora mi tratterà come una malata? Poi scuoto la testa e mi rassegno. Forse non ha tutti i torti. Ho ancora bisogno di recuperare.

Lo aiuto a riporre la spesa in dispensa per quanto il lavoro maggiore lo faccia lui. I miei movimenti e i riflessi sono ancora lenti e la fiacca che mi sento in corpo non aiuta di certo.

Cuciniamo insieme, o meglio, io gli faccio compagnia seduta su una sedia della cucina e mio padre approfitta di un mio momento di debolezza per farmi il terzo grado.

“Allora Kate, sei riuscita a leggere questa mattina?” mi chiede. Ha sicuramente notato il libro lasciato aperto sempre alla stessa pagina sul divano.

“No, non molto.” rispondo guardinga.

“Ti sei addormentata come ieri?”

“Più o meno” mento osservando con attenzione i suoi movimenti. Ha un tono strano e le mie antenne da detective mi tengono sulle spine. Almeno qualcosa in questo mio corpo sfregiato e malandato funziona ancora bene.

“Ha telefonato zia Theresa questa mattina presto. Quando puoi, richiamala. Ha chiamato ogni giorno e credo che le farebbe piacere sentirlo dalla tua voce che stai meglio”.

Annuisco.

Sono giorni che dovrei farlo ma non ho voglia di parlare con nessuno. Ho liquidato velocemente anche Lanie dicendo che mi stanco a stare al telefono e sono riuscita a convincerla che ancora non me la sento di ricevere visite. Il fatto che la baita di mio padre sia a qualche ora di macchina da New York non è di certo l’ideale per brevi visite di cortesia e il mio bisogno di solitudine è stato facilmente rispettato.

Dopo essere uscita dall’ospedale non ho più parlato con nessuno al di fuori di mio padre e di un paio di chiamate di Lanie, anche se speravo invano che papà non se ne fosse accorto.

“Kate!”

Mi riscuoto dai miei pensieri. Ormai sta diventando un’abitudine isolarmi anche in sua presenza. Gli sorrido. Un sorriso mesto, come sempre ultimamente.

“Kate, da quand’è che non senti Josh?”

Bingo!

Ha fatto centro.

Faccio un ultimo disperato tentativo di evasione da una conversazione che avrei voluto ancora rimandare.

Indico il cellulare buttato sul divano vicino al libro.

“Lo chiamo la mattina quando tu non ci sei. Perché?” Fingo di stupirmi della domanda e di rispondere adducendo improbabili motivi di privacy.

“Non credo proprio. Kate, che succede?”

“Come non credi proprio?” provo a ribattere, sentendomi sempre più vicino alla spiegazione che non mi va di dare.

“Kate, Josh è un medico ospedaliero e la mattina, la maggior parte delle volte, è in sala operatoria o in reparto a fare visite.” Mi guarda come quando avevo dieci anni e mi ero inventata l’ennesima balla. Riesce ancora a far leva sui miei sensi di colpa come quando ero una ragazzina. Certe cose non cambiano mai.

“Mi chiama lui, quando può” tento ancora, con lo sguardo fisso allo scaffale subito dietro mio padre. Non abbassare gli occhi è la prima regola! E’ incredibile come sia facile farlo contro i criminali mentre ancora non mi riesce bene quando sono di fronte all’autorità genitoriale.

“Mi stai dicendo che la sua fidanzata è qui, convalescente dopo un’operazione a cuore aperto in cui ha avuto anche un arresto cardiaco e lui non viene a trovarla per vedere come sta, neanche nella giornata di riposo?” Papà ha il brutto vizio di guardarmi sempre fisso e questo mi rende più difficile continuare ad omettere la verità.

“Lo sai che è molto impegnato!” provo a ribattere con enfasi.

“Kate. Basta!” Dice con un tono perentorio di cui sembra pentirsi subito dopo. “Non è normale che dopo quello che hai passato sei qui, sola, e non senti più nessuno. Dimmi cosa succede!”

“Guarda che Josh… e poi … ho sentito Lanie.” Mi sto palesemente arrampicando sugli specchi e mio padre è un uomo troppo intelligente e determinato per bersela.

“Kate ho detto… basta!” dice dolcemente; poi mi si avvicina, prende una sedia e si mette a sedere proprio davanti a me.

“Cosa sta succedendo Kate, perché ti isoli da tutti?”

“Non mi sto isolando, sono solo sempre stanca” provo ancora a sviare.

“Katie, non è così. Non sei più tu in questi giorni. Sei distratta. Sei assente. Sei pensierosa, molto pensierosa…”

“Certo che non sono più io. Non mi avevano mai sparato prima! Sono spaventata per quello che è successo. Ho visto la morte in faccia… molto da vicino” aggiungo con un filo di voce “mi sono attaccata alla vita, ad un pensiero fisso e sono ancora qui. Ma i mostri sono sempre dietro l’angolo!”

Papà sospira e mi abbraccia stando attento a non stringere troppo per non farmi male. Ma non molla la presa subito quando tento di svincolarmi.

“Kate, te lo richiedo un’altra volta. Perché Josh non è venuto a trovarti? Sono passati venti giorni dalla dimissione dall’ospedale… ”

Non so più cosa inventarmi e la stanchezza e la debolezza del mio corpo hanno anche intaccato la mia tenacia. Tanto, prima o poi, questo discorso avrei dovuto affrontarlo.

“Quando sono uscita dall’ospedale e Josh ci ha accompagnati qui… be’ l’ha fatto per cortesia, per essere sicuro, come medico, che il posto andava bene. Lo sai, avrebbe preferito che fossi rimasta a New York in modo che per ogni emergenza…”

Smetto di parlare, non sapendo bene come affrontare la cosa e se rimanere sul vago, ma ci pensa lui a togliermi d’impaccio con le sue domande pressanti.

“Continua…” fa un chiaro cenno con la mano per invitarmi a proseguire.

“Papà, ci siamo lasciati.” Ci guardiamo negli occhi per qualche istante, finché proseguo “Josh è un uomo sempre impegnato a salvare vite umane e io già da tempo sentivo di non poter competere con la sua missione. Mi sono sentita molto sola ultimamente. E’ vero, spesso l’ho fatto in passato e anche questa volta sono stata io a cercare una relazione in cui potessi tenere un piede fuori dalla porta ma ad un certo punto ho cominciato a capire quanto mi mancasse un uomo a cui affidarmi e su cui poter contare, sempre. Josh non potrà mai esserci in pieno in una storia. Lui è sposato con la medicina. Non si dedicherà mai completamente ad una donna.”

Mi guarda come se fossi un’altra persona, come se non mi riconoscesse.

“Katie, ascolta. Non mi sono mai impicciato nelle tue storie, almeno dopo la tua maggiore età”. Lo guardo sorridendo, pensando a Paul Fisher che era finito in strada mezzo nudo con a mala pena i suoi vestiti in mano, una sera che mio padre era rientrato a casa prima in seguito all’annullamento di un’udienza.

Mi accarezza il viso.

“Non è Josh! Cioè, sicuramente c’entra anche lui ma…” fa una pausa per sollevarmi il mento. Vuole essere sicuro che senta bene le parole successive “tu non hai più parlato con nessuno. Una? Forse due telefonate con Lanie e basta. Dove sono i tuoi amici del distretto? Dov’è Castle? Prima, ad ogni nostro incontro, mi parlavi sempre di lui e in questi venti giorni non lo hai nominato neanche una volta…” si ferma ma vedendo che non ho intenzione di parlare aggiunge “… e non venirmi a dire che hai sentito Lanie più spesso, perché ha chiamato me sul cellulare per sapere come stavi e così hanno fatto anche Ryan ed Esposito”.

Sono stata messa all’angolo.

Scacco matto.

“Ho bisogno di riflettere… da sola” esclamo in un flebile sussurro.

“Permettimi di dissentire, Katie. Credo invece che tu abbia bisogno di parlare e, al momento, ci sono solo io, quindi, mi dispiace ma ti devi accontentare di me. Parliamone… Sei viva! Cosa ti succede? Dov’è la mia piccola Katie, grintosa e determinata?”

Mio padre è rimasto l’unico punto fermo della mia vita, merita per lo meno una spiegazione per smettere di preoccuparsi.

“Ho paura. Non mi sono mai sentita così.”

“Di cosa hai paura? Lo prenderanno presto il cecchino…” Si interrompe vedendomi scuotere piano il capo.

“Quando ero a terra, dopo lo sparo, mi sono ritrovata addosso Castle che mi chiamava e … io non riuscivo a tenere gli occhi aperti e… papà, non solo Rick ha rischiato di prendere la pallottola la posto mio, ma mi ha anche detto che mi ama.” Vedendo mio padre rimanere a bocca aperta, gli prendo entrambe le mani fra le mie.

“Tu sai quanto Castle ed io siamo inseparabili sul lavoro. Lui ha reso le mie giornate meno dure portando sempre un po’ di leggerezza e allegria ma negli anni ecco… quello che ti ho detto prima su Josh, be’ mi sono resa conto di volere una relazione diversa da quando Castle … Lui c’è sempre papà e …”

“Lo ami? E’ per questo che hai lasciato Josh?” diretto come al solito, mio padre non conosce le mezze misure.

Colpita e affondata.

Mi prendo un bel po’ di tempo prima di rispondere tenendolo sulle spine. Ma quello che sto per dire ad alta voce è un’ammissione terribile anche per me stessa.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Segni Indelebili ***






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Capitolo 2  - Segni indelebili

 

Ormai sono in ballo, tanto vale vuotare il sacco. Prendo un bel respiro e provo a spiegare.

“Papà, ho fatto un casino. Ho detto a Castle che non ricordavo nulla di quello che è successo al funerale di Montgomery. E quando è venuto a trovarmi all’ospedale l’ho liquidato in pochi minuti dicendogli che avevo bisogno di tempo e lo avrei richiamato io…”

“E da allora non lo hai più cercato…” quella di papà non è una domanda, bensì una semplice constatazione. E’ la persona che mi conosce meglio e, evidentemente, questo mio comportamento non lo stupisce più di tanto.

Annuisco in maniera impercettibile. Dopo una pausa che a me sembra lunghissima, mi chiede: “Perché non lo hai più chiamato?”

“Avevo paura. Ho paura. Anzi, sono terrorizzata. Ho la sensazione che con lui sarebbe diverso da chiunque altro prima e questo mi blocca. Sono spaventata perché ha sempre avuto molte donne, anche se adesso è un po’ che non lo sento vantarsi delle sue conquiste… ma sarà un uomo affidabile? E poi allo stesso tempo ho il terrore di non essere abbastanza per lui e di non meritarmi un amore così incondizionato. Temo che se mi lasciassi amare da lui e poi lo perdessi non sopravvivrei…. Insomma, papà, è… complicato. E poi l’ho ferito e gli ho mentito.”

Il cuore mi batte all’impazzata nel petto e comincio a respirare con affanno. Papà se ne accorge e mi abbraccia, stringendomi a sé – sempre con cautela – per cercare di tranquillizzarmi. Non è il caso di proseguire con questa conversazione, è ancora troppo impegnativa per me. Mi rifugio fra le braccia di mio padre e sento le lacrime pungermi gli occhi, ma per orgoglio non voglio che mi veda piangere. Lui scioglie la presa, mi accarezza una guancia e mi dice: “Andiamo, Katie, aiuta il tuo vecchio a cucinare il pranzo, altrimenti qui non la finiamo più e tu invece devi mangiare”.

Gli sorrido riconoscente: ha una pazienza infinita con me.

 

L’indomani papà mi accompagna in ospedale per una visita di controllo. E’ la prima volta che scendo di nuovo a Manhattan da quando mi sono trasferita nella baita. O dovrei dire da quando sono scappata e mi sono rifugiata lì, a cercare di rimettere insieme i pezzi della mia vita e a recuperare le forze. Il rumore della città mi stordisce: motori, clacson, sirene, condizionatori, musica a tutto volume sparata dai negozi, fischietti dei poliziotti che regolano il traffico, persino dei colpi di arma da fuoco in lontananza. New York è sempre New York. Mi ero già abituata al suono della natura: gli uccelli che cantano, il ruscello che scorre, il legno della casa che scricchiola. Di notte sento persino gli insetti che passeggiano o strisciano lungo i muri della baita. Già, perché di notte faccio fatica a dormire. Anzi, ho paura di addormentarmi perché nel sonno rivivo ogni volta quel dolore, quella sconvolgente sensazione della vita che scorre via inesorabilmente. Sento continuamente il proiettile che squarcia i tessuti della mia carne, sfiora la parete esterna del mio cuore e si porta via una parte di me. Percepisco costantemente quella paura, quell’inquietante sensazione di perdita di controllo: i polmoni collassano, non riesco a respirare, sento le parole di Castle e vedo il dolore nei suoi occhi. Le lacrime scivolano lungo le mie tempie, poi la vista si offusca e tutto si fa nero.

Ogni notte mi convinco che questa volta non ce la farò, che la morte è davvero venuta a prendermi, senza possibilità di salvezza. Mi sveglio con il cuore in gola e con l’angoscia che mi attanaglia le vie respiratorie.

“Katie, non scendi?” la voce di papà mi fa sussultare. Non mi ero nemmeno resa conto di essere già nel parcheggio dell’ospedale.

“Sì, scusami. Mi sono distratta” gli rispondo con un mezzo sorriso.

Ci avviamo all’interno dell’edificio, prendiamo l’ascensore e saliamo al quarto piano. Mi consola il fatto che, dopo che ci siamo lasciati, Josh abbia deciso di partire subito per l’Amazzonia: anche se tutto sommato siamo rimasti in buoni rapporti, non ce la farei ad affrontare anche lui di persona, sia pure per caso.

Appena arrivati al reparto, l’infermiera dell’accettazione solleva lo sguardo dal monitor del computer e ci saluta: “Buongiorno, come posso aiutarvi?”

Il cartellino appuntato sul petto dice che si chiama Emma Stevenson. E’ una donna sulla quarantina, un po’ sovrappeso e con le borse sotto gli occhi. Ma ha lo sguardo buono e il sorriso che ci rivolge sembra sincero.

“Sono Kate Beckett, ho appuntamento con il dottor Culliford” dichiaro con voce ferma, cercando di rispolverare il mio tono professionale che ultimamente non ho più usato. Il dottor Culliford è il cardiochirurgo che mi ha preso in cura dopo la partenza di Josh. L’ho già incontrato prima delle dimissioni dall’ospedale e mi ha fatto un’ottima impressione. Sarà perché mi ricorda un po’ papà, con i capelli grigi e quell’aria distinta.

“Un attimo… sì, il dottore è ancora impegnato con la visita precedente, appena si libera sarà il suo turno. Potete accomodarvi nella sala d’attesa alle vostre spalle.” Risponde con professionalità e cortesia l’infermiera Stevenson.

Pochi minuti dopo, il dottor Culliford congeda il suo precedente paziente e tocca davvero a me.

Papà mi stringe affettuosamente un braccio e rimane seduto: sono abbastanza grande per affrontare la visita da sola, senza considerare che per pudore non mi va di avere troppa gente intorno. Gli lascio la borsa in modo da non avere impicci e mi avvio verso lo studio del dottore.

Il medico mi fa accomodare nel suo ambulatorio e, dopo aver dato una rapida occhiata alla mia cartella clinica, mi chiede: “Kate, come si sente?”

“Stanca. E debole” rispondo.

“E’ normale dopo aver subito un trauma come il suo” Mi osserva con attenzione e poi continua: “Riesce a riposare la notte?”

Bingo. Mi legge come un libro aperto.

“A dire la verità non molto…” replico sinceramente.

“Può far ricorso a dei tranquillanti. Le preparo una richiesta così può andare a ritirarli alla farmacia qui sotto. La aiuteranno a dormire e questo le permetterà di recuperare meglio le forze. E non si preoccupi” aggiunge vedendo la mia espressione perplessa “sono medicinali creati apposta per situazioni come la sua. Il cuore è ancora debole e non le potrei mai prescrivere dei sonniferi tradizionali. Adesso si spogli e si stenda sul lettino, così vediamo se è il caso di togliere i punti.”

Obbedisco ai suoi ordini, muovendomi con estrema lentezza e cautela. Le cicatrici tirano e si fanno sentire.

Per tutto il tempo in cui il dottore armeggia con pinzette, cotone, garze e bende giro la testa dall’altra parte e tengo gli occhi chiusi. Non sono ancora pronta a osservare il disastro sul mio corpo.

Nessun uomo mi vorrà più toccare.

Nessun uomo mi troverà più attraente.

Ho paura che quei segni indelebili mi abbiano trasformato in un mostro.

Il medico termina la visita e dichiara: “Ecco fatto, Kate. Le ferite stanno rimarginando perfettamente, dal punto di vista fisico tutto rientra nella norma. Possiamo rivederci fra due settimane. Nel frattempo continui a evitare sforzi e stress di ogni genere e cerchi di mettere su un po’ di peso, d’accordo?”

Annuisco.

“Un’ultima cosa: da domani deve iniziare a mettere una pomata. Il dottor Davidson ha fatto un ottimo lavoro e vedrà che con il tempo le cicatrici si attenueranno ma è importante che inizi a fare le medicazioni.” stabilisce il dottore.

Non ce la posso fare.

Vedere il mio seno devastato dalle incisioni dell’intervento è ancora troppo per me. E’ troppo presto.

“Deve ripetere questa procedura due volte al giorno. Ha qualcuno che la può aiutare?”

Scuoto la testa escludendo la possibilità che se ne occupi mio padre.

“Non si preoccupi, Kate. Le mostro come deve pulire la ferita e poi applicare la pomata” mi si avvicina con alcune garze imbevute di connettivina e inizia a farmi vedere quello che avrei dovuto fare da sola. Due volte al giorno. Davanti al dottor Culliford non faccio trapelare nulla ma non sono ancora pronta a guardare e mi impongo di farlo stringendo la mascella e i pugni allo stesso modo. Sento le mie unghie conficcarsi nei palmi ed è un dolore che mi tiene vigile e mi impedisce di voltare altrove lo sguardo codardamente.

“Ora si può rivestire. E continui a non portare il reggiseno almeno fino alla prossima visita. Anche con biancheria comoda, l’elastico potrebbe bloccare la circolazione capillare che è ancora fragile”. Faccio un cenno di assenso, indosso velocemente la maglietta e mi congedo da lui, stringendogli la mano.

Sono stordita.

Prendo la ricetta che mi ha dato e la osservo.

Sono perplessa all’idea dei tranquillanti. Da una parte mi alletta l’idea di sprofondare in un sonno senza sogni che mi permetta finalmente di riposare, di mettere a tacere la memoria e la mia coscienza che mi ricorda di aver mentito. Dall’altra sono terrorizzata dall’ipotesi che io possa sviluppare una dipendenza da queste sostanze, proprio come è successo a papà con l’alcool dopo la morte di mamma. Non voglio riportare me e lui in quel vortice dal quale siamo riemersi solo con grande fatica.

Per il momento, ripiego la richiesta del medico e la metto in tasca, poi mi avvio verso la sala d’attesa in cerca di mio padre.

Non è più seduto sulla poltroncina dove lo avevo lasciato. Lo cerco con lo sguardo e vedo che è in fondo al corridoio e sta parlando al cellulare. Sembra impegnato in una conversazione piuttosto seria e animata… deve essere una questione di lavoro.

Appena si accorge della mia presenza mi fa un cenno con la mano e lo sento dire: “Allora a domani. E… grazie, è davvero importante per me”

Poi conclude la chiamata, si rivolge a me e mi chiede: “Com’è andata, Katie?”

“Tutto ok. Il dottor Culliford ha detto che mi vuole rivedere fra due settimane ma tutto procede nella norma” lo tranquillizzo. “Tu, piuttosto? Cosa devi fare domani?”

“Ah, ho appuntamento con un cliente per una causa un po’ delicata. Devo tornare a Manhattan. Mi dispiace ma dovrò lasciarti sola anche domattina.” Dichiara convinto. Forse troppo, ma non gli do peso.

“Non ti preoccupare. Ho i miei libri che mi faranno compagnia”

“Hai anche i suoi libri? Ti hanno aiutato tanto in passato…”

Inutile specificare di chi stiamo parlando.

“Era tutta un’altra situazione. Comunque sto leggendo cose diverse adesso, di certo non gialli” ribadisco con tono un po’ acido.

Papà mi osserva di sottecchi mentre ci stiamo avviando verso l’ascensore. “Vedi di chiamare anche zia Theresa…”

“Sì, papà”

“E magari potresti chiamare anche Lanie…”

“PAPA’….” Sbuffo.

“Ok, ok, volevo solo darti qualche suggerimento” si difende, alzando persino le mani.

“Torniamo alla baita, ok? Ci vuole un po’ per arrivarci e io comincio ad essere stanca”

“Certo, Katie. Andiamo”

 

Angolo delle autrici

Kate confida a suo padre i profondi sentimenti che nutre per Castle e poi viene a confronto per la prima volta con il suo corpo martoriato.

La strada per la guarigione è ancora in salita… meglio tornare alla baita.

Grazie di cuore per l’affetto con cui avete accolto questa nostra nuova avventura insieme.

Debora e Monica

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Losche trame paterne ***






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Capitolo 3 - Losche trame paterne

 

Mio padre entra in camera e mi viene a svegliare. Mi sembra di essere tornata bambina. Mi sento anche un po’ a disagio ad averlo nella mia stanza mentre sono ancora a letto. Sono troppi anni che non abbiamo più questo tipo di intimità e, nonostante in questi giorni di convalescenza qui alla baita abbia passato moltissimo tempo con lui, patisco più che mai la mancanza di mia madre. Avrei bisogno di parlare con qualcuno e non posso farlo neanche con Lanie. Non me la sento: è troppo coinvolta e non sarebbe obiettiva. L’altra sera la conversazione con papà ha preso una piega fin troppo confidenziale ma non potevo più mentirgli e soprattutto non posso più farlo con me stessa.

“Kate, sono le sette e mezza e io sto per andare via. Tornerò in serata. Rimani un po’ ancora a letto se vuoi, ma mettiti la sveglia sul cellulare altrimenti va a finire che neanche ti alzi questa mattina. E ricordati di non uscire di casa che quando verrà a bussare alla porta devi aprire tu: non ha le chiavi”. Mi saluta dandomi un bacio sulla fronte e mi porge il cellulare che, insonnolita, imposto perché suoni fra mezz’ora.

Provo a ribattere che non è necessaria la presenza della signora Buchanan, me la posso tranquillamente cavare da sola ma non serve a niente: lui è già uscito dalla stanza. Infine, tutto sommato passare del tempo con un’anziana signora che mi ha cresciuto tanti anni prima è il minore dei mali. Considero per un attimo la possibilità di confidarmi con lei ma escludo subito questa opzione. L’unica verità è che io non voglio parlare con nessuno, voglio solo stare con me stessa e cercare di mettere ordine nei miei pensieri.

La suoneria del cellulare mi riporta alla realtà ricordandomi la dura sessione in bagno che da lì a poco avrei dovuto affrontare. Faccio velocemente la doccia, seguendo scrupolosamente gli accorgimenti del dottor Culliford, avvolgo i capelli in un asciugamano e, facendo un grande respiro, lascio cadere l’accappatoio per terra. Mi sbendo lentamente concentrandomi sui movimenti, fino a quando anche l’ultimo lembo di garza viene via. Senza alzare gli occhi sullo specchio davanti a me, afferro l’occorrente per fare la medicazione e seguire le indicazioni del dottore. Se c’è una cosa che il cecchino non è riuscito a cambiare in me è il mio senso del dovere. Se fossi stata a New York forse avrei chiesto a Lanie di aiutarmi. O forse no. Se devo fare una cosa, la faccio. Inutile rimandare. Anche se vorrei tanto evitare tutto ciò. Inspiro profondamente e alzo lo sguardo sulla figura nuda riflessa davanti a me. Non posso trattenermi dal corrugare la fronte e stringere gli occhi poi mi avvicino ed eseguo con meticolosità tutto quello che devo fare. Non voglio sbagliare, voglio solo svolgere tutto correttamente senza dover passare un minuto di più a vedere il mio seno martoriato dalla violacea cicatrice circolare, grande come una moneta, e da quel taglio che ha rovinato per sempre la mia femminilità.

Ho altri segni sul corpo, sparsi un po’ ovunque ma nessuno mi ha mai prodotto quell’effetto.

Nessuno sfregio ha mai leso parte del mio essere donna, fino ad ora.

Una lacrima senza controllo scende veloce giù su una guancia, seguita dalla gemella dall’altra parte. Passo lentamente un dito su quelle vermiglie linee in rilievo e penso che non riuscirò più a farmi vedere, né tanto meno a toccare, da un uomo.

Non riesco più a controllare il mio pianto e la tristezza che mi attanaglia e sento subito una grande fitta nel petto.

Devo calmarmi.

Il mio cuore non può reggere allo stress, ancora per un po’.

Josh prima e Culliford poi, sono stati perentori in questo: poche emozioni, nessun affaticamento.

Il mio è un organo ferito che poco tempo fa ha smesso di battere e, come tale, lo devo trattare, almeno fino ad altri due mesi quando gli accertamenti mi diranno se potrò riprendere la mia vita normale di sempre.

 

Dopo aver fatto colazione e sistemato la mia camera, afferro il mio amico libro e mi siedo sul divano. Guardo il plaid che papà ha lasciato piegato sul bracciolo della poltrona e sto per prenderlo.

Mi fermo.

Non sono una malata.

Lo userò solo nel caso dovessi sentire freddo. Devo iniziare a reagire e a riprendermi almeno questi aspetti semplici della mia vita, poi per il resto ci sarà tempo.

Il suono di un tweet mi fa rialzare. Prendo il cellulare e sorrido. E’ Josh che vuole sapere come mi sento e come sto. Penso a come l’ho trattato e credo che averlo lasciato sia stata la cosa migliore che ho fatto per me e per lui. Non l’ho mai amato veramente ma abbiamo passato dei bellissimi momenti insieme, non posso negarlo. In un flash, ripercorro le scorribande in moto e quelle poche giornate libere per entrambi che siamo riusciti a trascorrere insieme. Ripenso alle sue mani sul mio corpo mentre mi accarezzano e un brivido mi riscuote.

Chissà fra quando potrò tornare a farmi amare.

Chissà se un giorno riuscirò a farmi toccare di nuovo da qualcuno senza sentirmi inadeguata, brutta.

Gli rispondo, digitando velocemente il messaggio e sono contenta che mi ha scritto che sta salvando vite umane. Quella è la sua missione, non la mia. Io ne ho un’altra ed è per questo che lasciarci è stata la scelta giusta. Non è vero che ho insistito perché ero sotto shock per aver rischiato la vita, le nostre strade non erano destinate ad incrociarsi e ne ero consapevole ormai già da un po’.

Sorseggio la tisana, lasciandomi cullare dal caldo, aromatico, vapore che mi avvolge e provo a immergermi inutilmente nella lettura in attesa che arrivi la signora Buchanan.

Anche oggi, ogni riga mi appare sfocata e dopo una mezz’ora mi accorgo di aver letto solo una pagina. Il tempo è passato senza che me ne accorgessi, mi impongo di spilluzzicare qualcosa e poi riaffondo annoiata sul divano. Per fortuna, dopo un po’, sento il campanello squillare. Alla fine sono contenta che mio padre abbia chiesto alla mia vecchia babysitter di venirmi a fare compagnia: papà non tornerà prima di stasera e sinceramente ancora non me la sento di uscire per la mia passeggiata da sola, non sono ancora sicura.

Apro la porta e rimango senza fiato.

Il battito del mio cuore sembra impazzito e non riesco a dire niente.

“Ciao Kate” la sua voce, il suo sorriso e quegli occhi.

Come ho fatto a privarmi di tutto ciò?

Lo smarrimento dura solo un momento e dentro di me sale una forte rabbia. Mio padre questa volta l’ha combinata grossa.

Non avendo ancora detto niente, sento chiedermi “posso entrare?”

“Sì, certo. Scusami… Sono solo un po’ sorpresa di vederti. Come….” chiedo, conoscendo già la risposta.

“Tuo padre mi ha chiamato ieri. Mi ha detto che ha preso il numero dal tuo cellulare e che doveva andare urgentemente a New York e mi ha chiesto se potevo farti un po’ compagnia.” Il suo tono è calmo, scandisce lentamente ogni parola perché cerca di capire dalla mia espressione se accetterò di farlo rimanere.

“Mi ha anche riferito di non averti avvisata. Quindi Kate, se non te la senti, io posso…”  la sua voce è poco più di un sussurro.

Una parte di me vorrebbe abbracciarlo, mi è mancato più di quanto io stessa voglia ammettere. L’altra parte di me è spaventata e non sa cosa fare.

“Entra, siediti. Posso offrirti un caffè?” chiedo più per prendere tempo e tenermi occupata.

“Caffè? Non dirmi che prendi il caffè? Puoi?” chiede preoccupato.

“No, io no” rispondo sconsolata. “Il caffè è ancora nei miei sogni e per un po’ mi devo accontentare della brodaglia” e indico la tazza ancora fumante che ho lasciato sul tavolino.

“E allora brodaglia, sia! Una anche per me”. Mi sorride e io mi sento morire, sciolta come neve al sole. Sarà la debolezza della convalescenza a rendermi così fragile emotivamente? Non lo so, ma sento che questo stato di cose è pericoloso. Provo a richiamare tutta la mia determinazione per non fare passi falsi.
Eppure sorrido, non riesco a non farlo, mentre riempio il bollitore elettrico. Non so proprio come comportarmi. In questo momento sono una contraddizione vivente di emozioni contrastanti.

“Kate, come stai? Speravo tanto di ricevere un sms, una telefonata ma mi sono dovuto accontentare di quella di tuo padre.”

Verso l’acqua nella teiera dove ho messo la bustina della tisana calmante che papà ha scelto per me: un mix letale di camomilla e valeriana. Castle dovrà davvero accontentarsi di questa brodaglia, ma chissà, forse è nervoso pure lui, una bevanda calda e rilassante può tornargli utile.

Gli porgo la tazza e mi siedo vicino a lui.

“Sto bene, insomma, fisicamente sto meglio e ogni giorno riesco a fare qualcosa in più”.

“Hai dolore?” mi domanda senza staccare mai gli occhi dai miei.

I nostri sguardi stanno conducendo una conversazione parallela a quella delle nostre labbra.

Ci stiamo studiando.

Le nostre anime si scrutano intensamente, sviscerando argomenti proibiti, mentre le nostre voci si mantengono su terreni neutri e argomenti banali.

“Sempre di meno. Ogni tanto qualche fitta che mi lascia senza fiato, ecco perché papà vuole che stia sempre con qualcuno. Mi dispiace che ti abbia fatto scomodare”.

La mia bocca gli sta dicendo questo.

I miei occhi gli stanno dicendo, invece, che sono tanto contenta di vederlo.

Lui va dritto al punto e capisco che tra noi è tutto cambiato e non potrà mai più essere come prima.

“Kate, te lo devo dire. Ho avuto tanta paura di perderti quando ti hanno colpito e mi sono reso conto di quanto l’idea di non averti più al mio fianco… “  fa un pausa e io spalanco gli occhi. Non avrà il coraggio di tirare fuori  proprio adesso fuori quello che mi ha detto al funerale di Montgomery? Trattengo il fiato e continuo ad ascoltarlo “…come partner. Insomma Kate io… io… sono tanto felice che tu sia viva, qui davanti a me, in carne e ossa. Più ossa che carne devo dire, sei dimagrita tanto.” Riprendo a respirare.

“Me la sono vista brutta, Castle! Mio padre però mi ha messo all’ingrasso” provo a usare il nostro tono usuale e a buttarla sullo scherzo.

Non mi risponde.

Ci guardiamo.

Le nostre anime continuano a duellare e non so quanto ancora posso tenere tutto dentro di me.

Sono debole in questo momento.

E’ per questo che non volevo vederti, Castle.

E’ per questo che non ti ho mai chiamato al telefono.

Perché sapevo che una volta che ti avrei avuto davanti, emotivamente fragile, non sarei riuscita a tenere a lungo la mia maschera di ferro.

Perché papà mi hai fatto questo?

Rick mi prende la mano e non parla.

Aspetta una mia reazione.

Sa che sto lottando con me stessa e mi sta lasciando tempo.

E’  un maestro in questo. Sa che non posso essere pressata altrimenti mi chiudo in me stessa definitivamente.

“Castle, devo fare la mia passeggiata quotidiana, mi accompagneresti?”

Sono riuscita a dire qualcosa ma sono consapevole che non potrò far finta di niente.

Ora che l’ho davanti a me, come faccio a negare che lo amo? 

 

Angolo delle autrici

Le losche trame paterne portano un inatteso ospite alla baita. Cosa succederà a Rick e Kate, che si ritrovano a condividere uno spazio ristretto, lontano da tutto e da tutti?

Mi sa che siamo diventate prevedibili a giudicare da quante di voi hanno capito che Jim Beckett stava telefonando a Castle!

Grazie per l’affetto con cui continuate a seguire questa storia! 

A martedì,

Debora e Monica

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Sorrisi Inaspettati ***






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Capitolo 4 – Sorrisi inaspettati

 

No, non ce la faccio ad affrontarlo adesso. Devo trovare il modo di sopravvivere a questa giornata. E possibilmente di tenere il battito del mio cuore sotto il livello di guardia, ché qui ne va della mia salute fisica e mentale. Il dottor Culliford ha detto niente stress e io sono qui da sola con Castle. Con l’uomo che ha detto di amarmi e per cui io nutro un sentimento profondo mai provato prima.  

Su Kate, niente giri di parole, sii sincera almeno con te stessa. Tu ami Rick, giusto? Oddio, sì… Ma ora non ci posso pensare. Usciamo dalla baita e, voltandomi, vedo che c’è l’auto di papà parcheggiata fuori. La osservo perplessa. Castle deve avermi letto nel pensiero – come spesso succede – e dichiara: “Tuo padre ha insistito affinché prendessi la sua macchina. Ripensandoci, credo che avesse ragione. Le strade per arrivare quassù non sono esattamente adatte alla mia Mercedes.”

“Nemmeno alla tua Ferrari, mi sembra…” gli rispondo, cercando di mantenere la conversazione su argomenti neutrali. Mamma mia, che fatica…

“Vero! Come hai avuto già modo di sperimentare, la Ferrari scivola meglio sulle strade di città. A proposito, ricordami di non fartela guidare mai più. Mi è bastata l’esperienza di qualche mese fa… Sei una forza della natura al volante, detective Beckett, lo sai? Anche se devo ammettere che ne è valsa la pena: eri uno schianto con quel vestito. Allora, dove mi porti?” chiede lui con il suo solito entusiasmo contagioso.

“Mmmm, vediamo. Potremmo andare al laghetto. Ci andavamo sempre quando ero bambina. E’ lì che papà mi ha insegnato a pescare.” Gli sorrido. Un sorriso spontaneo che mi esce inaspettato. Mi rendo conto che è sincero, come non mi accadeva da tempo.

“Kate Beckett sa persino pescare?!” Mi guarda con lo stupore dipinto sul volto. “Ma tu sei una continua fonte di sorprese! Aspetta che questa me la devo segnare da qualche parte… Ah, comunque non preoccuparti troppo per la mia presenza. Sai, dovrò lavorare un po’… devo portare a termine il romanzo. Quindi, appena rientriamo in casa, me ne starò buono buono in un angolino con il mio computer. Non ti accorgerai nemmeno che sono qui!”

“Non ti angustiare, Castle, non sono in grado di fare lunghe passeggiate…” Sospiro. “Avrai tutto il tempo di scrivere. Piuttosto, sai quando torna mio padre?” E’ assurdo che sia io a chiederlo a lui, ma mi sembra di essere l’ultima a sapere le cose in questo momento. A proposito, più tardi voglio chiamare l’irreprensibile avvocato Beckett e farmi dare una spiegazione per questo bello scherzetto.

“Credo debba rimanere in città almeno un paio di giorni… mi ha chiesto di portarmi un cambio… davvero, Beckett, se ti senti a disagio ad avermi intorno mi cerco un’altra sistemazione” punta i suoi fari dentro i miei occhi e credo che potrei sciogliermi qui seduta stante.

Accidenti, perché sono così fragile?

Non posso nemmeno dare la colpa ai medicinali, oggi non ne ho presi. Ci deve essere qualcosa in quella pomata, questa è l’unica spiegazione. Devo essermi persa per qualche secondo nel suo mare perché lui mi stringe delicatamente un braccio e mi chiama: “Kate, tutto bene?”

Mi riscuoto dal torpore nel quale ero caduta e gli dico: “No, figurati, puoi stare alla baita. Puoi dormire nella stanza di papà. Allora, andiamo?”

Lo vedo che si guarda intorno, pronto a cogliere qualsiasi variazione sia nella natura che ci circonda sia nel mio modo di muovermi. Passeggiamo in silenzio finché non arriviamo alla pista di pattinaggio.

“E’ qui che è stata scattata quella tua foto con i pattini?” Diamine, si ricorda tutto…

Scuoto la testa e rispondo: “No, eravamo a Brooklyn”

“Hai più pattinato, Kate?” mi chiede Castle.

“No, da ragazzina lo facevo spesso ed ero anche piuttosto brava. Ma non ho più rimesso i pattini ai piedi dopo la morte di mia madre. E tu? Sai pattinare?” Altro argomento di conversazione neutrale, ce la posso fare.

“Quando Alexis era piccola per un po’ abbiamo avuto una tata canadese che ha insegnato a entrambi a pattinare sul ghiaccio e a giocare a hockey. Tata Susan era grande come un armadio e più forte di me, ma con la mia zucca era un angelo. Dovevi vedere quante risate si faceva Alexis ogni volta che finivo con il sedere per terra!” come sempre, quando parla di sua figlia gli si illuminano gli occhi. Dio, come si fa a non amare un uomo così? Poi mi viene in mente quello che mi ha raccontato papà di quel giorno.

“Come sta Alexis?” gli chiedo.

“Adesso bene. Si è spaventata, sai… insomma… per quello che è successo al funerale di Roy” dichiara, quasi sussurrando.

“Mi… mi dispiace per come ti… vi ha trattato Josh” non so perché ma sento il bisogno di scusarmi per il suo comportamento, come se ne fossi in qualche modo responsabile.

“Non devi dispiacerti. Aveva ragione, è colpa…” Risponde rabbioso.

“NO” lo interrompo quasi gridando. Mi fermo e mi piazzo davanti a lui. Almeno questo glielo devo. Di sensi di colpa ne ho già io a sufficienza per tutti. “Lui non aveva nessun diritto di aggredirti. E comunque non sei stato tu a premere quel grilletto, Rick. Se sono arrivata a questo punto nell’indagine per scovare chi c’è dietro l’omicidio di mia madre è anche per merito tuo, non certo per colpa tua. Chiaro?”

“Uh… un po’ dello spirito della vecchia Beckett sta tornando a galla!” esclama lui, piacevolmente sorpreso da questa mia sfuriata.

In effetti io stessa sono colpita dalla mia reazione. Nell’ultimo periodo sono stata apatica e sicuramente molto diversa dalla mia vera essenza.

“Sono stata ferita ma non mi hanno eliminato, Richard Castle, ricordatelo bene” gli rispondo a tono.

Sì, la vicinanza di quest’uomo è un vero toccasana per me.

E, inaspettatamente, sorrido di nuovo.

Riprendiamo a passeggiare e in breve tempo raggiungiamo il lago.

“E’ meraviglioso, Beckett!”

“Vero. Hai visto quanti colori? Sembra di stare in un quadro.” Ho sempre adorato questo posto, in qualsiasi momento della giornata e in tutte le stagioni. Mi ricorda vagamente il paesaggio del Canada. Ci sono andata qualche volta in vacanza con i miei.

Comincio ad essere un po’ stanca.

Non ho mai camminato così tanto con mio padre ma oggi, parlando con Castle, il tempo è volato e non ho sentito nessun affaticamento. Solo ora mi rendo conto di quanta energia mi doni quest’uomo semplicemente con la sua presenza.

“Ci stanno bene anche i tuoi colori in questo dipinto. I tuoi occhi, per esempio, hanno gli stessi toni del sottobosco” afferma con naturalezza, spiazzandomi totalmente. Come fa a usare sempre le parole giuste al momento giusto? Ah, già, dimenticavo il piccolo particolare che lui è uno scrittore. Ma così facendo mi manda ancora più in crisi. Come se non lo fossi già a sufficienza.

Deve essersi accorto che ho cambiato espressione, così mi propone di rientrare a casa, anche perché fra poco farà più fresco.

Infilo le mani nelle tasche della giacca che ho indossato e riprendiamo la via della baita. Camminiamo l’uno accanto all’altra in silenzio. Nella mia mente si rincorrono centomila pensieri. Dovrò condividere pochi metri quadri con l’uomo che ha dichiarato di amarmi e del quale ho scoperto di essere innamorata, ma a cui ho detto che non ricordavo nulla.

Una bugia enorme, colossale.

Non posso continuare a mentirgli. Sto per aprire bocca quando il mio cellulare squilla. Il display mi informa che è mio padre.

Quel Giuda traditore.

O forse lo dovrei ringraziare?

Credo di aver sorriso di più da quando è arrivato Castle che nelle ultime due settimane.

Mi scuso con Rick e mi allontano di qualche passo per rispondere alla chiamata.

“Katie, tutto bene?” mi chiede lui guardingo.

“Papà… ma cosa ti è venuto in mente?” gli dico abbassando il tono della voce.

“Tesoro, quella che si nasconde nella baita a leccarsi le ferite non è la mia bambina. Ho giocato il tutto per tutto per riaverla indietro e ho scommesso su Rick. Sono sicuro che la sua compagnia ti farà bene. Me lo hai detto tu stessa, no? Ha portato la leggerezza nella tua vita in passato. Vedrai che lo farà di nuovo.”

“Papà…” cerco di interromperlo ma lui riparte: “E poi ho verificato che non ci sono armi in casa, per cui lui non corre rischi!” Sollevo gli occhi al cielo. Ora ci si mette anche mio padre a fare battute di spirito.

“Quando ritorni qui?” gli chiedo. Non so nemmeno io cosa sperare: da una parte questa intimità improvvisa con Rick mi spaventa, dall’altra mi attrae terribilmente.

“Probabilmente domani. Goditi la sua presenza, Katie. E… sii sincera con lui. E’ una brava persona, abbiamo parlato un po’ stamani e mi è piaciuto. E poi glielo devi. E vi meritate entrambi un po’ di serenità. Da quanto mi è sembrato di capire, non è stato facile nemmeno per lui…”

Papà chiude la telefonata e io sposto lo sguardo su Rick. Ero talmente concentrata su me stessa che non ho pensato a quale impatto potesse avere avuto su di lui tutta questa vicenda. Se prova davvero quello che ha detto di provare per me al cimitero, deve essersi sentito morire. Io, al posto suo, sarei stata malissimo nel vedere spegnersi davanti ai miei occhi qualcuno che amo.

Mi avvicino a lui e, di impulso, lo abbraccio.

Lì per lì si irrigidisce, poi sento che si rilassa e le sue braccia mi avvolgono. Nascondendomi nel suo maglione, gli sussurro: “Perdonami…”

“Perdonami? Per cosa?” mi chiede lui con un tono di voce dolce, non allentando minimamente la presa.

“Ti ho mentito”

 

Angolo delle autrici

La vicinanza di Rick porta immediati effetti benefici a Kate che realizza di amarlo e decide di raccontargli finalmente la verità. Riuscirà a dirla fino in fondo?

Come reagirà Castle?

Come sempre dobbiamo ringraziarvi per l’affetto con cui ci seguite. Le vostre recensioni ci riempiono il cuore di gioia e ci fanno venire la voglia di scrivere ancora ;-)

A venerdì

Debora e Monica

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Stop and stare ***






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Capitolo 5 – Stop and stare

 

Si irrigidisce di nuovo e questa volta si allontana da me quanto basta per rivolgermi uno sguardo interrogativo.

Il battito del mio cuore mi spaventa.

Pulsa forte dentro il mio petto e ho paura che possa esplodere da un momento all’altro.

Non riesco nemmeno più a distinguere il dolore e l’oppressione che sento all’interno dal bruciore delle ferite.

Respiro affannosamente tenendo gli occhi puntati su una macchia di olio che ha scurito l’asfalto, come se concentrami su qualcosa di concretamente futile potesse allontanarmi dalla realtà. Come se fosse la mia unica ancora di salvezza.

Rick ha capito subito che sto male e mi accarezza i capelli per poi tirarmi a sé abbracciandomi di nuovo. Percepisco le sue labbra incollate sulla mia testa e la sua stretta mi infonde tranquillità.

Mi sento protetta in questo momento di fragilità estrema.

“Shhh” mi sussurra “shhh. Non c’è bisogno che tu dica nulla adesso. Ci sarà tempo, Kate. Pensa a guarire, non ti agitare per me. Andrà tutto bene. Stai tranquilla”.

La sua vicinanza fisica e le sue parole hanno un effetto calmante sul mio cuore ballerino e questa nuova intimità mi sta scuotendo dal torpore.

Sono troppo debole per ergere un nuovo muro tra noi. L’ho fatto per tanto tempo e adesso questa alta barriera sembra fatta di argilla modellabile a suo piacimento. E poi non posso resistere: io devo sapere. Ho timore della verità ma so bene che non posso vivere con lui per due giorni facendo finta di niente.

Ha il diritto di sapere.

Entrambi abbiamo diritto di sapere come stanno veramente le cose fra noi.

Mi allontano un po’ da lui e gli faccio cenno verso una panchina.

“Sediamoci un momento, Rick. Sono stanca e devo dirti una cosa…importante”.

“Kate, andiamo a casa. Ti potrai riposare mentre preparo qualcosa da mangiare.”

Sembra preoccupato ma io non voglio più aspettare. Insisto lanciandogli uno sguardo implorante e alla fine cede e si siede accanto a me.

Probabilmente papà gli avrà raccomandato di non farmi agitare.

Con le mani gli stringo la sua appoggiata sul ginocchio. Faccio un profondo respiro e mi impongo di non distogliere lo sguardo dal suo mare blu. Certe cose hanno bisogno di essere raccontate con gli occhi ancora più che con la voce.

“Ho… ho avuto paura. Mi avevano appena sparato e poi ti ho sentito ed è stato davvero troppo per me. Io… non sapevo cosa fare. E poi avevo bisogno di tempo per rimettere insieme i pezzi della mia vita. Anche adesso non sono ancora io. Tremo come una foglia prima di addormentarmi perché ogni notte rivivo quell’incubo. Mi perseguita il rumore dello sparo, la sensazione del sangue che scorre via da me, il dolore lancinante in mezzo al petto. Ogni respiro è come una stilettata. Sento persino l’odore dell’erba del cimitero. Non sono più la detective risoluta che hai scelto come musa. Non sono più la donna che hai conosciuto. Sono un disastro, Rick. Prima ero quella forte, brillante e iperattiva, adesso sono debole e incerta sulle gambe. Non c’è niente di Nikki Heat in me, non le assomiglio nemmeno lontanamente. Guardami! Sono un groviglio di difetti e di debolezze. Sono rotta, danneggiata… sono un casino, Rick. E poi non sapevo se mi hai detto quello che hai detto…”

“Ti ho detto che ti amo, Kate, non ci girare intorno…” mi interrompe, ma io continuo imperterrita: “solo perché stavo per morire o perché era quello che sentivi veramente...”

Sono rimasta letteralmente senza fiato.

Questa confessione ha prosciugato ogni mia energia, tanto che mi gira la testa e tutto intorno a me si fa buio.

 

Sento una delle mie canzoni preferite risuonare nell’aria e mentalmente canticchio muovendo appena le labbra. Sono ancora intorpidita e stordita ma queste parole le conosco bene e la mia mente segue il ritmo.

Stop and stare 
I think I'm moving but I go nowhere 
Yeah I know that everyone gets scared 
But I've become what I can't be, oh 
Stop and stare 
You start to wonder why you're 'here' not there 
And you'd give anything to get what's fair 
But fair ain't what you really need 
Oh, can u see what I see 

Mentre il mio cervello si è attivato con il significato di questi versi che risuonano nella mia mente, sento il battito del cuore regolare e costante. Spero che questa sensazione di riuscire a percepire sempre le pulsazioni smetta presto. Mi spavento, anche quando sono normali, come adesso. Anche il naso inizia a darmi degli stimoli olfattivi piacevoli: un buon odore di cucinato riempie l’aria. Apro gli occhi e mi accorgo che sono sdraiata sul divano coperta dal mio solito plaid. Vedo Castle in cucina che armeggia tra i fornelli, canticchiando anche lui. Sorrido: è adorabile.

Poi all’improvviso ricordo.

Devo essere svenuta.

Mi porto una mano sulla fronte e provo ad alzarmi ma faccio molta fatica, come se i miei riflessi fossero ancora più lenti del solito.

“Castle” chiamo, ma mi esce appena un filo di voce.

“Ehy, bella addormentata!” Mi si avvicina con un sorriso meraviglioso e una tazza in mano.

Una sensazione di intimità, di calore e di casa mi invade il corpo lasciandomi un benessere diffuso.

“Ehy” gli sorrido di rimando.

Ci guardiamo in silenzio e ho l’impressione, come altre volte già successo, che i nostri occhi riescano a parlarsi molto meglio di quanto facciamo noi stessi.

“Sono svenuta, vero?”

Annuisce.

“Come mi hai riportato a casa e che ore sono?” chiedo allarmata rendendomi conto che devo essere rimasta incosciente per un bel po’.

“Stai tranquilla. Ti ho portato qui in macchina. Il gestore del chiosco sul laghetto mi ha dato una mano. Dice che eri amica di sua figlia. E’ stato lui ad accompagnarci alla baita con la sua auto”

Questa volta sono io a fare un cenno di assenso col capo.

Rick prosegue a raccontare dicendomi che mio padre gli aveva lasciato il numero della signora Buchanan e del medico che mi è venuto a visitare in questi giorni. Per ogni emergenza, aveva detto. Profetico.

“Il dottor Clarke è venuto, ti ha visitato e mi ha tranquillizzato” mi spiega come se quello malato fosse lui.

“Eri preoccupato?” chiedo e mi guarda come se fossi matta a porgli questa domanda

“Kate, non so se ti ricordi che hai avuto una cosa seria un mesetto fa, non una banale influenza. Sei in convalescenza e sì, mi sono angustiato e pure tanto.” l’apprensione gliela leggo negli occhi, lo avrei capito anche se avesse negato.

“Ma come ho fatto a rimanere per così tanto tempo senza sensi, non è strano? Non sarà pericoloso?” mi informo, voglio sapere che è successo. Qui sembra che nessuno voglia dirmi la verità. Ah no, quello è mio padre che si dimentica di dirmi le cose.

“Il dottor Clarke ha detto che sarebbe stato meglio se il tuo corpo si fosse ripreso con calma in modo da dar tempo al tuo apparato cardiocircolatorio – testuali parole – di riassestarsi dopo lo shock. Ti ha fatto un’iniezione per farti riposare. Dice che ti ha somministrato lo stesso medicinale anche i giorni scorsi quando non avevi dormito per notti intere”

Mi osserva e rimane in silenzio.

Lo shock? Quale shock?

Sembra che mi abbia letto nel pensiero perché subito si appresta a darmi spiegazioni.

“Ti ricordi quando sei svenuta?” la domanda stessa mi riporta tutto alla mente. Gli ho confessato che ricordavo tutto e che gli avevo chiesto se i suoi sentimenti erano reali o dettati dalla paura di perdermi. Faccio una smorfia. Ormai non potrò più nascondermi. E accidenti che tempismo: congratulazioni, Kate. Sono svenuta prima di ascoltare ciò che aveva da dirmi e ora avrà avuto tutto il tempo di inventarsi una plausibile risposta, d’altronde è il suo lavoro fare il cantastorie.

Mi limito ad annuire e lui, come se avesse riavvolto le lancette dell’orologio, mi risponde alla domanda che gli ho posto ore prima su una panchina del laghetto sotto l’ombra di un acero maestoso.

“Kate, ti amo e te l’ho detto non perché stavo per perderti. Te l’ho detto perché avevo bisogno di fartelo sapere. Perché in quel momento non sapevo se ti avrei mai rivista cosciente e perché…” distoglie per un momento lo sguardo indeciso se proseguire ulteriormente.

“Dimmelo Castle! Ti prego, ho bisogno di sapere”. Non ho mai supplicato un uomo in vita mia. Non mi riconosco più, ma so con certezza che, convalescenza o no, non sarò più la stessa donna d’ora in avanti.

“Perché… Kate, lo so, è stupido ma… in cuor mio … ecco speravo che questo ti desse la forza per combattere, per sapere …” Sono completamente esterrefatta. Mi sono aggrappata all’idea dell’amore di Rick e ho lottato con tutta me stessa per resistere, quando il cuore ferito sembrava non voler collaborare.

Mi alzo a sedere e lo abbraccio.

Quello è il mio posto: tra le sue braccia mi sento bene.

Non ho parole e non riuscirei ad esprimermi adesso, senza piangere.

Le lacrime facili di questo periodo mi offuscano la vista e il mio cuore decide di fare un doppio giro sulle montagne russe, in barba a tutti i consigli che mi ha dato il medico.

 

Angolo delle Autrici

Siamo arrivati alla resa dei conti. Nulla sarà più come prima e Kate lo sa bene. Lo sa bene soprattutto il suo cuore che sta reggendo a tutte le emozioni e al forte stress che a detta del medico avrebbe proprio dovuto evitare…

Riuscirà a liberarsi completamente e ad aprirsi al suo scrittore?

Nel frattempo ci sembra che siate tutte d'accordo a ergere una statua a Jim Beckett. Lo adoriamo e mai come in questa nostra stramba storia ha un ruolo FONDAMENTALE!

Grazie per come ci seguite attivamente e per le numerose e splendide ipotesi che buttate là con naturalezza. La cosa ci diverte e ci lusinga. Vi aspettiamo martedì prossimo per vedere se i due tontoloni riescono a gestire questa nuova fase di cose dette.

Debora e Monica

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Una cosa preziosa ***






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Capitolo 6 – Una cosa preziosa

 

Rick continua a cullarmi fra le sue braccia, con la stessa tenerezza che deve aver usato con sua figlia quando era piccola. Mi sarebbe piaciuto averlo visto all’opera con Alexis… insieme dovevano essere spettacolari. D’altronde il suo lato paterno è una delle cose che più mi ha affascinato di lui nei primi tempi della nostra collaborazione, quando credevo ancora che Castle fosse un uomo molto superficiale.

“Non ti ho ancora ringraziato” comincio a parlare con la voce incrinata dalla commozione.

“Per cosa? Non hai nemmeno assaggiato la straordinaria creazione culinaria che ho preparato per te” risponde ciarliero, cercando di riportare la conversazione su argomenti meno impegnativi per me e il mio povero cuore.

Gli sono intimamente grata per l’impegno che ci sta mettendo, ma ho deciso di essere onesta con lui. “Dal profumino che emana non ho dubbi che sarà buonissima, ma non mi riferivo alle tue abilità in cucina.” E senza troppi giri di parole decido di andare subito al dunque. “Quel giorno… sì, insomma, ti sei gettato su di me senza esitazioni. Saresti potuto rimanere ferito o ucciso. Ecco… grazie.”

Lui si fa serio e dichiara: “Sono come minimo il tuo partner, Beckett. E questo è ciò che fanno i partner, no? Si proteggono le spalle a vicenda. Lo abbiamo già fatto entrambi in passato, l’uno con l’altra. Per quanto riguarda il resto, ne parleremo in un altro momento. Ora, se te la senti di alzarti e raggiungere il tavolino, potrai ammirare anche le mie stratosferiche capacità di trasformare delle semplici verdure in un capolavoro da chef stellato” mi porge una mano e mi aiuta a sollevarmi. Dio, odio essere così legata nei miei movimenti!

La cena trascorre tranquillamente, conversiamo amabilmente di tantissime cose e il tempo vola in un attimo. Mi ritrovo a sorridere spensierata, senza nubi scure nella mia mente, come non mi succedeva da tempo, finché mi rendo conto che si avvicina il momento di applicare di nuovo la medicazione. Sospiro al pensiero e questo naturalmente non passa inosservato.

“Kate, senti dolore? Posso fare qualcosa per te?” mi chiede preoccupato.

“No… devo fare una cosa ma è un po’ delicata e… no, prima che tu lo chieda, decisamente non mi puoi aiutare.” Faccio finta di essere sciolta e di non aver nessun problema ma dentro di me già arde il fuoco dell’angoscia.

“Sicura? Perché sai, io sono un infermiere provetto!” esclama con il suo solito sguardo divertito e fin troppo furbo “Quando Alexis si faceva male le curavo sempre io le ferite e non si è mai lamentata!”

Sorrido mestamente. Forse non ricorda dove sono stata ferita. O forse lo ricorda fin troppo bene! Abbasso gli occhi e gli rispondo sinceramente “Credimi, no. Non sarebbe un bello spettacolo. Dammi qualche minuto, ok?”

“Come preferisci. Intanto sistemo la cucina. Se non mi vuoi come infermiere, almeno potrò rendermi utile come colf. Sono un uomo dalle mille risorse” detto questo, si alza e afferra un grembiulino che era appoggiato su uno sgabello e comincia a sventolarlo nella mia direzione. Vuole alleggerire la tensione, facendo lo sbruffone. Ce la sta mettendo davvero tutta. E il bello è che ci riesce pure!

Mentre sono in bagno, Castle ha riacceso la radio e si è messo nuovamente a canticchiare, così la musica e la sua voce che reinterpreta le canzoni mi distraggono dallo strazio che il riflesso sullo specchio rimanda ai miei occhi. Seguo con attenzione la procedura che mi ha mostrato il medico, applicando la medicazione sulle cicatrici. Improvvisamente realizzo che Castle ha confermato di amarmi. Una gioia improvvisa si impadronisce di me. Non ci avevo mai pensato prima ma, forse, è solo quello che voglio da tempo. Forse è proprio per lui che ho lasciato Josh così improvvisamente. Ma cosa accadrà appena vedrà in che stato è ridotto il mio corpo?

Ha sempre sostenuto che sono una donna sexy.

Continuerà a pensarla allo stesso modo?

Anche adesso che la mia femminilità è stata deturpata?

Come potrà amarmi lo stesso?

Per compassione?

Non è certo questo ciò che voglio!

Provo a cacciare questo pensiero, scuotendo persino la testa, ma le lacrime inondano i miei occhi e cominciano a scorrere sulle mie guance, offuscandomi la vista e rendendo questo lavoro ancora più penoso. Mi asciugo il volto con il dorso di una mano e cerco di portare a termine la procedura il prima possibile.

Quando ritorno in cucina, la prima sensazione che provo è il tepore. Rick ha acceso il fuoco nel caminetto e le fiamme emanano una luce calda e avvolgente. Lui è seduto sul divano con il portatile sulle gambe e batte furiosamente sui tasti. Deve essere stato colto da un improvviso raptus di ispirazione perché pare totalmente concentrato su ciò che sta facendo, tanto da non rendersi conto che sono a pochi passi da lui. Chissà come funziona nella sua mente, chissà da dove gli viene un’idea e come la sviluppa… Non gliel’ho mai chiesto, forse per pudore. Appena si accorge della mia presenza solleva lo sguardo e pianta i suoi fari dentro i miei occhi. Mi scruta con attenzione e, dalla sua espressione corrucciata, deduco che abbia capito che ho pianto. Penso che mi sottoporrà al terzo grado invece si limita a farmi cenno di sedermi accanto a lui.

Gli sorrido riconoscente e, con la mia solita folle velocità, raggiungo il divano.

“Come procede?” gli chiedo, indicando con la testa il suo laptop.

“Direi bene… questo posto ha un che di speciale e mi ha fatto venire delle buone idee. Meglio così, perché Gina è sul piede di guerra! Dovrò ringraziare tuo padre” aggiunge sorridendo.

“Credo che dovrò ringraziarlo anche io… Sai, lì per lì, quando ti ho trovato sulla porta, avrei voluto strozzarlo, però… sono stata bene, oggi” gli confesso, abbassando lo sguardo.

Castle afferra il portatile e lo poggia sul tavolinetto di fronte al divano, poi mi prende una mano e dice: “Sai, Kate, quando stamani l’ho incontrato non sapevo se sarebbe stata una buona idea venire qui. La sua telefonata di ieri mattina mi aveva spiazzato.”

“Allora è con te che parlava ieri all’ospedale, altro che caso delicato…” lo interrompo. Tutti i pezzi cominciano a incastrarsi nella mia mente e mi sento vittima di un complotto ordito dal mio stesso genitore. Rick mi guarda confuso, poi prosegue.

“Comunque, mi sentivo responsabile per quello che ti era successo e non lo avrei biasimato se avesse deciso di spaccarmi la faccia. E invece è venuto da me per chiedermi di aiutarlo, anzi, di restituirgli sua figlia. Ho provato a suggerirgli di rivolgersi a Josh, ma mi ha detto che… insomma, che non stavate più insieme, anche se non mi ha spiegato cosa è successo. E poi ha aggiunto una frase che mi ha letteralmente conquistato e che io, come scrittore, non avrei saputo dire meglio. Cito testualmente: “ti affido una cosa preziosa, Rick. E’ tutto ciò che mi è rimasto e vale più della mia stessa vita”. Ti rendi conto? Ti ha affidato a me! Ha riposto in me la sua completa fiducia. A quel punto non potevo rifiutare! Anche perché lo capisco: per Alexis farei di tutto. Però fino a quando non ti ho vista ho continuato a chiedermi se avessi fatto la scelta giusta. Eri stata molto chiara all’ospedale, ti saresti fatta sentire tu perché avevi bisogno di tempo e il fatto che la durata di questa pausa fosse stata decisa da tuo padre e non da te… ecco, non sapevo proprio cosa fare. Mi sembrava di non rispettare una tua precisa volontà.”

Mi porto la sua mano al volto, ne avvicino il dorso alla mia guancia e chiudo gli occhi, godendomi il calore e la serenità che emanano da quest’uomo straordinario seduto vicino a me. Voglio per un momento beneficiare della sua presenza e degli indubbi effetti salutari che mi ha inconsapevolmente regalato in queste ore. Ma nonostante questo, forse mi sono rilassata troppo o semplicemente è stata comunque una giornata fin troppo intensa e il mio fisico mi manda un segnale inequivocabile: non riesco a trattenere uno sbadiglio.

“Oh, Rick, scusami…” arrossisco.

“Beckett, se questo è un modo per dirmi che la mia compagnia ti annoia…” la butta sullo scherzo ma lo interrompo subito, non voglio che ci siano equivoci. “No, davvero. Anzi, non stavo così bene da prima che… insomma… da tanto tempo. Però credo di aver bisogno di riposare. Ancora non sto al meglio, Rick”

“Stai serena, detective. Io rimango ancora un po’ a scrivere, altrimenti domattina verrò svegliato da una telefonata minatoria di Gina” rabbrividisce al pensiero. “Più tardi mi sistemo nella camera di tuo padre, per ora rimango qui a tamburellare sui tasti ma se hai bisogno che venga a rimboccarti le coperte fammi un fischio, ok?”

L’idea di Rick che mi rincalza le coperte non è esattamente quello che ho immaginato tante volte pensando a me e lui in una camera da letto. Mi viene da sorridere. Di nuovo.

“Ok. Buonanotte, Rick” dico con un filo di voce.

Rimaniamo a guardarci imbarazzati.

Sembra di rivivere la scena dell’hotel a Los Angeles, anche se pare sia trascorso un secolo da allora, sebbene in realtà siano passati solo pochi mesi. Da una parte vorrei tanto baciarlo e sono convinta che anche per lui sia la stessa cosa, dopo tutto quello che ci siamo detti in queste ore. Dall’altra… insomma, è complicato. Non so se sono ancora pronta per gettarmi in questa storia. Anche perché con Richard Castle non riuscirei certo a tenere un piedi fuori della porta.

Con lui è diverso.

Con lui sarebbe tutto o nulla.

E il tutto al momento mi spaventa da morire.

Certo è che il nulla mi terrorizza ancora di più…

Castle prende in mano la situazione, si avvicina a me, mi accarezza una guancia e mi lascia un bacio sulla fronte.

“Buonanotte, Kate, ti auguro di dormire bene” mi dice dolcemente.

Accompagnata dalle sue parole mi avvio lentamente verso la mia stanza. Dopo pochi passi, mi sento chiamare: “Ah, Kate, per la cronaca: Non ti cambierei mai con Nikki Heat. Lei è la finzione e tu sei vera. Sei viva e sei qui. Sogni d’oro, detective.”

 

Angolo delle autrici:

Poche ore insieme ed ecco che Kate ritorna a sorridere, come non succedeva da tempo, dimostrando dunque che Jim Beckett aveva ragione. In una giornata il rapporto fra Castle e Beckett è giunto a una nuova fase. E adesso?

Con piacere abbiamo notato che sono stati apprezzati i riferimenti velati al Canada, un modo come un altro per rendere omaggio a Stana e Nathan che ci hanno fatto innamorare dei loro personaggi.

Grazie di essere giunti fin qui e arrivederci a venerdì prossimo.

Debora e Monica

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - La magia di una notte di pioggia ***






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Capitolo 7 – La magia di una notte di pioggia

 

Fatico a prendere sonno.

Mi giro e rigiro nel letto da ore e mi convinco che il problema è che non riesco a trovare una posizione comoda che mi faccia rilassare. In petto sento il cuore in subbuglio che batte in maniera irregolare. Il dottor Culliford mi ha detto di stare tranquilla e di evitare stress, affaticamento e grandi emozioni e mio padre mi porta a casa Castle! Come fa il mio muscolo cardiaco a non risentire della situazione?

Diciamo la verità Kate, altro che posizione e posizione, sei agitata e non poco!

Quello che è successo oggi mi ha travolto con una valanga di emozioni che mi hanno trascinato in un vortice da cui non riesco a riemergere. Ripenso all’imbarazzo dell’incontro, alla sensazione di benessere e tranquillità che ho avuto tutto il giorno, alla passeggiata che avrei voluto non finisse mai e rifletto su quello che ci siamo detti, sulle nostre confessioni. Mi sono liberata di un peso e questo ha alleggerito il mio cuore. Ho ammesso di avergli mentito e di averlo allontanato di proposito e mi rendo conto solo ora dell’enorme portata dei nostri discorsi. 

Sospiro passandomi le mani nei capelli.

La mia mente va al momento in cui ci siamo dati la buonanotte.

Ho percepito la stessa identica tensione che c’era stata in quell’albergo a Los Angeles, anzi più forte ancora per le tante parole dette. Solo io so quanto sono stata indecisa quella sera. Sono letteralmente scappata in camera perché le cose tra noi non erano mai state così evidenti fino a quel momento. Ma il rispetto che ho per Josh mi ha indotto a fuggire e, per fortuna, il destino ha evitato che facessi un errore con il ripensamento che ho avuto subito dopo, riaprendo la porta. Sarebbe stato uno sbaglio? Chissà, forse no… e oggi magari non sarei in questo letto nella baita di mio padre a rimuginare da ore su quello che sarebbe potuto essere e non è stato. Penso che sarebbe stato più facile per me lasciarmi andare allora alle avance di Castle che non adesso che abito un corpo che non riconosco più come mio.

La pioggia fuori scende sempre più forte e deve essersi alzata la tramontana, a giudicare dal sibilo che giunge dalle fronde degli abeti davanti la baita.

Il maltempo acuisce il dolore delle ferite, rendendo il mio riposo ancora più difficile.

Uno squarcio di luce illumina la stanza a giorno, seguito dal fragore di un tuono che rimbomba nel mio petto facendomi trasalire.

Accendo la luce e provo a sistemarmi un po’ i cuscini.

Guardo l’orologio.

Sono le tre e mezza.

Sono davvero tante ore che mi sto rigirando nel letto.

La pioggia continua a scrosciare imperiosa.

Rimango un po’ pensierosa e mi concentro sul mio battito cardiaco.

Lo ascolto: irregolare, nervoso, tumultuoso.

Più ci penso e più la frequenza si altera prendendo un ritmo che non capisco. Ma è pur vero che prima dell’incidente non mi ero mai concentrata su questo.

Una grande arsura mi attanaglia la gola. Guardo sul comodino e osservo la bottiglietta intatta di gocce che mi ha prescritto Culliford. Ho sempre dormito poco nella mia vita, perché dovrei farlo adesso che sonnecchio tutto il giorno sul divano invece di stancarmi al distretto con ritmi a volte disumani?

Il farmaco può rimanere ancora lì in bella vista sul ripiano. Vederlo chiuso e sigillato mi dà soddisfazione. Resistere a questa tentazione mi fa sentire ancora viva, ancora forte e determinata almeno in qualche cosa, perché la Kate delle ultime settimane è stata tutt’altro.

Acqua, devo assolutamente bere dell’acqua. Mi alzo dal letto, scendo piano le scale a piedi nudi e il legno scricchiola sotto il mio peso.

Ho notato che la porta della camera di mio padre è aperta. Chissà, forse Castle l’ha lasciata così nel caso avessi avuto bisogno di lui. Forse aveva paura di non sentirmi.

Sorrido rimuginando sul pensiero gentile di quell’uomo che mi sta sorprendendo con piccole e grandi cose, oramai da tempo. Si è creata una strana situazione con lui. Non potremo più essere solo partner ma, ora come ora, non mi sento di avventurarmi in una relazione. Sarà difficile incontrarlo domattina. Cosa potrei dirgli dopo avergli praticamente confessato che lo amo anche io? Sì, vero, non gliel’ho detto apertamente, ma credo non abbia dubbi in merito a ciò che provo per lui. Penso subito a come è trascorsa la giornata passata e mi rendo conto che tutto è stato estremamente naturale… e bello. E così sarà anche domani. Spero tanto che Castle possa capire che non sono pronta a lasciarmi andare, che ho bisogno di tempo e che…

Una fioca luce proviene dal soggiorno. Il camino è acceso. Rick è ancora sul divano con il pc sulle ginocchia e si è addormentato. Mi avvicino piano per guardarlo. Un senso di gioia e benessere inspiegabile mi avvolge cacciando via i fantasmi che mi assilavano lassù in camera.

Mi chino su di lui per mettere in salvo il computer da quella instabile posizione in cui è finito. Non posso fare a meno di sorridere alla scritta che scorre nello screen saver: Keep calm and write your novel! L’ha cambiata… ricordo ancora che quella precedente diceva “you should be writing”. Evidentemente non era abbastanza perentoria. La schermata in word che appare subito dopo mi incuriosisce. Sbircio qualche riga e arrossisco scorrendo con gli occhi le imprese di Nikki sotto le lenzuola. Ormai non è la prima volta che le leggo, a partire da quella famosa pagina 105 che Castle mi sorprese a divorare nascosta in bagno al distretto. Eppure mi fa sempre effetto. Mi sono sempre chiesta se quando scrive le scene sensuali pensi davvero a me o a qualcuna delle tante donne che hanno allietato le sue serate da single. Devo ammettere che concentrarsi su quei passi che hanno come protagonista un personaggio a me ispirato, mi ha sempre creato un certo disagio, anzi no, un mix di disagio ed eccitazione. Non sono mai stata un’ipocrita, né lo sono diventata adesso, ma ho dovuto accettare gli effetti che quelle righe hanno su di me. Leggere di Nikki e di Rook mi ha sempre teletrasportato in una dimensione fantastica e irreale in cui gli interpreti della scena siamo io e Castle, con ovvie conseguenze sulla mia salute mentale.

Mi siedo vicino a lui, incerta se svegliarlo o no.

Lo osservo come non ho mai potuto fare. Sono indisturbata e posso studiare ogni centimetro del suo volto che mai mi è apparso bello come questa notte. So che può sembrare inquietante ma non posso farne a meno. Mi concentro su quei versi che fa con la bocca mentre dorme e le sue labbra mi appaiono invitanti come non mai. Sono sicura che siano morbide e calde. Le ho già assaporate una volta, quella volta in cui Espo e Ryan erano in pericolo e me lo ricordo benissimo: molto morbide e molto calde… Ho la forte tentazione di baciarlo lievemente sperando che non si svegli, solo per vedere che effetto mi fa. Poggio una mano sulla sua e ne accarezzo il dorso.

Gli ultimi spasmi del fuoco si consumano in un battibaleno e la brace crepitante non riesce a mantenere la temperatura della stanza che si raffredda velocemente.

Castle dorme pesantemente perché le mie delicate carezze sulla mano non lo hanno distolto dal suo sonno ristoratore, quindi decido di lasciarlo riposare. Prendo il mio plaid, lo annuso per un momento per assaporare da domani la diversità del suo odore, e lo ricopro come farei con un bambino.

Piano, per non svegliarlo, mi avvicino alla cucina per prendere il mio bicchiere d’acqua e mentre apro il frigo sento un urlo provenire dal divano.

“AHHHHH….. mi hai spaventato!” una voce assonata interrompe il mormorio della pioggia.

“Ehy!” Mi giro e gli sorrido. Ha solo voltato il capo senza alzarlo dalla testata del divano e ha gli occhi arrossati ridotti a poco più di una fessura.

“Scusa, non volevo svegliarti. Volevo prendere solo un bicchiere d’acqua.” Provo a giustificare la mia presenza lì.

Castle tira su la testa e si accorge della coperta. Allarmato si guarda intorno in cerca del pc che non è più sulle sue gambe e si rassicura quando lo sguardo lo individua sul tavolo.

“Stava per cadere, l’ho spostato” affermo, continuando a giustificarmi, in casa mia.

“Grazie” si mette a sedere, cercando una posizione più comoda e soffocando uno sbadiglio. “Da quanto tempo sei qui?” mi chiede con la voce ancora impastata dal sonno.

Guardo l’orologio.

Le quattro.

L’ho osservato per mezz’ora di seguito! Avrei giurato sotto tortura che al massimo fossero trascorsi cinque minuti.

“Un po’” rispondo vaga.

“Non hai freddo?” mi chiede osservando le gambe nude che escono dalla mia camiciona.

“Sì, infatti stavo risalendo. Il fuoco prima era acceso e si stava meglio. Vuoi un bicchiere d’acqua?” chiedo.

“Sì, grazie” Si alza e si avvicina al pc. Vedo che meccanicamente salva il file e lo spegne.

“Non pensavo che avessi intenzione di scrivere fino a tardi. Mi dispiace, ieri ti ho fatto perdere tempo e tu dovevi lavorare.” Continuo a scusarmi senza motivo.

“Perché non mi hai chiamato? Ti avrei portato l’acqua su in camera, senza che prendessi freddo.” il suo tono assistenziale quasi mi infastidisce.

“Non sono riuscita a prendere sonno, tanto vale alzarsi un po’… ma non ti ha svegliato neanche la pioggia e quel tuono terribile che è rimbombato in tutta la casa?”

Scuote la testa imbarazzato. Un ciuffo di capelli dietro gli è rimasto dritto come una cresta di gallo e non posso fare a meno di allungare una mano e provare a sistemargliela. Quant’è buffo! Adorabile.

“Vieni andiamo su, qui prenderai freddo.” Forse ha ragione. In effetti mi sono infreddolita parecchio e non è il caso che mi buschi un raffreddore. Ma non ho nessuna voglia di tornare in camera.

“Vai, io rimango ancora un po’ qui, fra un po’ salgo. Mi tengo calda con il plaid”.

“Allora aspetta che riattizzo il fuoco” dice pronto, mettendosi subito all’opera.

Mi accomodo sul divano e mettendomi la coperta la annuso velocemente senza pensarci, in maniera istintiva. Quando me ne rendo conto, arrossisco. Per fortuna che Rick è di spalle.

“Rick, ma fai sempre così?” domando. Lui si gira con uno sguardo interrogativo così mi affretto ad aggiungere “quando scrivi. Sai quando inizi, ma non sai quando finisci?”

Ci pensa un po’ poi risponde “Uhmmm. Sì. O almeno quasi sempre”

“Raccontami! Come nasce una storia? Come ti vengono le idee e come nasce uno dei tuoi libri?” chiedo realmente incuriosita e affascinata dalla creatività dell’uomo che mi sta davanti.

Castle si siede accanto a me, io gli offro un po’ di coperta e davanti al fuoco inizia a raccontarmi nel dettaglio il suo lavoro. “A volte visualizzo una scena nella mia mente e basta solo sedermi al computer per trasferirla sulla carta. Così mi ritrovo a battere sui tasti in maniera forsennata per ore, finché non mi vengono i crampi alle dita. Altre volte il processo è più frustrante, specialmente quando ho una scadenza da rispettare e le parole semplicemente non arrivano e Gina mi dà il tormento.” comincia, per poi spiegarmi come nascono i suoi personaggi e le loro caratterizzazioni e come si affeziona ai suoi protagonisti che conosce nel profondo ancora meglio di se stesso. 

La pioggia continua incessante a battere sulle assi di legno della baita mentre il vento non accenna a diminuire.

Il suo tono di voce profondo mi culla, mentre una vocina nel mio cervello mi fa notare la scena: in una notte di maggio, in una baita sulle montagne, un uomo e una donna condividono una coperta e il tepore del fuoco. Lei pian piano si appoggia alla sua spalla mentre lui le racconta come scrive un libro. Ogni tanto si guardano e si sorridono senza nemmeno rendersi conto che si stanno innamorando perdutamente chiacchierando davanti al fuoco.

 

Angolo delle autrici

Rick e Kate si scambiano i ruoli: stavolta è lei a osservarlo attentamente, protetta dall’oscurità di una magica notte di pioggia. Una notte in cui i nostri Caskett si avvicinano sempre di più. E ora? Saranno consapevoli di quello che sta loro capitando o continueranno come al solito a far finta di nulla?

Grazie a tutti voi, criceti compresi, per l’affetto con cui continuate a seguire questa storia!

A martedì,

Debora e Monica

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Innocente Risveglio ***






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Capitolo 8  - Innocente risveglio

 

Un raggio di sole mi colpisce le palpebre e mi riporta alla coscienza. Pur tenendo gli occhi chiusi, mi rendo conto immediatamente di essere in una posizione inusuale, non particolarmente comoda, ma tutto sommato percepisco una sensazione di benessere diffusa.

Piano piano gli altri sensi si risvegliano.

L’udito mi racconta il canto dei merli che nidificano sugli abeti intorno alla baita e conferma che ha smesso di piovere, come già preannunciato dalla luce.

L’olfatto mi regala la consapevolezza di un odore di uomo che adoro e mi aiuta a ricordare dove sono e con chi sono.

Il tatto accarezza la felpa della persona con cui ho dormito e le mani riposano sul suo torace, sentendolo andare su e giù mentre respira regolarmente, ancora immerso nel sonno. Realizzo che una sua mano è scivolata dietro la mia schiena e si è appoggiata sul mio fianco, dalla parte in cui mi hanno aperto per bloccare l’emorragia. Se ne sta lì, non lontano da una delle mie orrende cicatrici, separata dalla mia pelle solo dalla leggera camiciona che indosso e dalla fasciatura. Ed ecco che giungo alla consapevolezza che – tutto considerato – non mi dà alcun fastidio averla proprio in quel punto, non distante dal mio sfregio. Il calore che emana mi rasserena.

Apro gli occhi e la vista mi rassicura ulteriormente mostrandomi il profilo dell’uomo con cui ho trascorso queste ultime meravigliose ore: la fronte distesa, la bocca un po’ imbronciata.

Il gusto è seriamente tentato di approfittare delle sue labbra ancora addormentate, di ritrovare il loro sapore e di godere della loro morbidezza ma… forse è ancora troppo presto.

Troppo presto per le implicazioni e le conseguenze che possono scaturire da un solo bacio, che questa volta non potrebbe essere spiegato da motivazioni di copertura.

Ed io non sono pronta perché devo accettare il mio nuovo corpo segnato prima di poterlo condividere con lui.

Cerco di liberarmi dalla sua presa senza svegliarlo ma è inutile. Al mio più piccolo movimento apre immediatamente gli occhi e quell’adorabile broncio si trasforma in un sorriso.

“Ciao Kate, hai dormito bene?” mi chiede con la voce ancora impastata.

“Sì” Mentre lo dico, mi rendo conto che è la prima volta da non so più quanto tempo che posso affermare sinceramente di aver riposato. E’ questo l’effetto che fa svegliarsi fra le braccia di Richard Castle? E’ decisamente meglio di quando ho perso i sensi in quel container frigorifero… sebbene già allora fossi consapevole di provare un sentimento davvero profondo nei suoi confronti.

“Tu come stai?” mi informo. Questo divano non è esattamente il massimo della comodità.

Ci pensa un po’, quasi a voler fare un inventario mentale del suo stato di salute, poi dichiara: “Beh… ho collo e spalle intorpidite, la schiena mi sta uccidendo, in compenso non mi sento più il sedere e mi si sono gelati i piedi perché ti sei presa tutto il plaid…”

Non posso fare a meno di mettermi a ridere e rispondergli: “Castle, sei troppo vecchio per queste cose! E hai freddo solo perché ti si è bucato un calzino!”  

Colpito nell’orgoglio, trattiene a stento una smorfia di dolore e si sposta per guardarmi dritto negli occhi: “Beckett, appena il dottore ti darà il permesso, ti mostrerò che per certe cose sono ancora un ragazzino. Promesso.”

Questa frase è così densa di aspettativa e di impegno che un brivido mi percorre la spina dorsale e subito dopo mi mordo il labbro inferiore per evitare di sorridere.

Com’è che quest’uomo sa sempre cosa dire per farmi stare meglio?

Com’è che questa affermazione mi ha stuzzicato invece di mandarmi nel panico più totale?

Non sono forse la stessa persona che pochi minuti fa ha pensato di non essere ancora pronta a condividere questo mio nuovo corpo con qualcun altro?

Sono un mistero che nemmeno io so risolvere. Proprio come mi ha detto lui quella sera nella suite a Los Angeles…

Poi mi alzo con calma – anch’io non è che sia messa tanto meglio a dolori e indolenzimenti vari, e non posso dare la colpa solo alle ferite – e mi avvio in bagno, per dare inizio alla mia routine mattutina.

Medicazione compresa.

Nel frattempo sento Rick che, nella sua ormai consolidata veste di cuoco e cameriere, sta preparando la colazione.

Realizzo che questa potrebbe essere la prima e ultima volta che ci svegliamo insieme. Oggi dovrebbe rientrare mio padre. Uso il condizionale perché a questo punto non so più cosa pensare. Però magari Rick potrebbe tornare alla baita nel fine settimana, se non ha altri impegni con la casa editrice. Già, non gli ho nemmeno chiesto se è più stato al Distretto… Ho saputo che Montgomery è stato sostituito da una certa Victoria Gates, che proviene dagli Affari Interni. Chissà che tipo è. E chissà a che punto stanno con la ricerca del cecchino che mi ha sparato. In queste settimane ho cercato di non pensarci per non farmi prendere dal panico di essere ancora sotto tiro. E mi sono imposta anche di non tuffarmi di nuovo nelle ricerche del mandante dell’omicidio di mamma, anche se lei è sempre nel mio cuore, anzi, ora più che mai.

Immersa in questi pensieri non mi rendo nemmeno conto di aver eseguito la medicazione con una serie di gesti meccanici e di aver portato a termine questo ingrato compito in poco tempo e senza piangere.

Forse le cose stanno davvero prendendo il verso giusto…

Forse il principe azzurro invece di arrivare su un cavallo bianco con la spada sguainata, è uno che si sveglia la mattina su un divano, odora di uomo, si lamenta per il mal di schiena, ha un calzino bucato e ha il viso tutto stropicciato per la mancanza di sonno.

Oddio, ma che mi ritrovo a pensare! Non faccio questi ragionamenti assurdi da almeno venti anni.

Mentre finisco di sistemare garze e pomate, sento squillare il mio cellulare. L’ho lasciato in cucina.

“Rick, puoi vedere chi è?” gli urlo dal bagno.

“E’ tuo padre”

“Puoi rispondere tu? Io scendo fra un secondo” quei due si sentono anche alle mie spalle, tanto vale che si salutino. Senza considerare che è stato mio padre a mandarlo qui, quindi non si stupirà nel sentire la sua voce.

“Pronto, signor Beckett?” risponde Rick, con un tono titubante. “OK, Jim… Kate è in bagno in questo momento… sì, sta abbastanza bene, non ha più avuto problemi dopo quell’episodio di ieri” Poi scoppia a ridere e dichiara “già, come può sentire sono sopravvissuto e sono anche tutto intero!” Nel frattempo esco dal bagno e arrivo in cucina. Rick continua a conversare amabilmente con mio padre, finché si rende conto che gli sono di fronte con un sopracciglio sollevato, così saluta il suo interlocutore al volo e mi passa il cellulare: “Ciao papà”

“Katie, tutto ok?” si informa.

“Sì, tutto bene”

“Lo sento anche dal tono della tua voce. Sapevo che ti avrebbe fatto bene, bambina mia. Il vero amore si incontra una volta sola nella vita, fidati di me. Io lo so bene. Non darlo per scontato e non rifiutarlo mai. E’ un dono del cielo!” dichiara entusiasta. Alzo gli occhi al cielo davanti a Castle per tenere il punto ma in realtà faccio fatica a trattenere una lacrima di commozione, perché papà anche a distanza ha capito benissimo quello che sta succedendo qui. E ha maledettamente ragione. Però non mi va di affrontare questa conversazione al telefono, anche perché nonostante l’intimità che abbiamo raggiunto all’improvviso è ancora tutto così confuso e poco chiaro tra noi. Così mi schiarisco la gola e gli chiedo: “Quando torni?”

“Senti, ho un problema di lavoro”

“Papà, non tirare fuori di nuovo quella scusa…” faccio finta di essere scocciata ma in realtà spero che non possa rientrare fino a domani, regalandomi ancora un giorno da sola con Castle.

“No, Katie, questa volta non è una balla. Si tratta di un caso importante e sarebbe impossibile seguirlo dalla baita. Temo che andrà parecchio per le lunghe, pertanto vengo a prenderti e ti riporto a casa. Non puoi stare lì da sola.”

“Papà, ma tu saresti occupato tutto il giorno e sarei comunque per conto mio la maggior parte del tempo” provo a ribattere delusa.

“Sì, ma la sera saremmo insieme e potrei prepararti i pasti, o comunque potrei raggiungerti in pochi minuti qualora tu avessi bisogno.”

Prendo un respiro profondo e con gli occhi cerco Castle che si è allontanato per lasciarmi un po’ di privacy. Non me la sento ancora di tornare in città, o forse non lo voglio: le ultime 24 ore sono state magnifiche e mi sembra che tutto sia stato possibile grazie a questo posto. Oltre al fatto che trovarmi a New York senza andare al distretto sarebbe per me così strano. Ma papà ha ragione, attualmente non sono in grado di rimanere da sola, visto anche ciò che è successo ieri.

“A meno che…”

“A meno che cosa, papà?” gli chiedo incuriosita.

“A meno che il tuo attuale ospite non possa fermarsi ancora un po’. Ripassamelo, così glielo chiedo.” Dichiara gongolante, come se gli fosse appena venuta un’idea geniale. Tutta questa faccenda ormai ha preso una china surreale e mi pare che questi due mi considerino totalmente incapace di intendere e di volere, ma è pur sempre di mio padre che stiamo parlando, pertanto ubbidisco e dico a Rick: “Hey, papà vorrebbe parlare di nuovo con te”.

Castle mi rivolge uno sguardo stupito e io alzo le spalle, come a volergli dire che non c’entro nulla con questa storia, anche se nel mio intimo spero fortemente che Rick accetti.

“Jim, mi dica… no, perché? …. Sì, certo, anzi, sa che questo posto mi ha già dato un paio di ottime idee per il romanzo? … però devo scendere in città a prendermi qualche vestito… così le riporto la macchina… ah, d’accordo, se non le serve… certo, non si preoccupi…. Ok, gliela saluto io.” Chiude la telefonata e mi dice: “Jim ti saluta.”

“Jim? Vedo che tu e mio padre siete diventati amici…” constato indossando una maschera di assoluta e imperturbabile serietà.

Castle sembra quasi in difficoltà, come se si sentisse in colpa: “No… sì…. Ecco… vedi… insomma…io… lui…” E’ a dir poco adorabile quando balbetta.

Poi gli sorrido e lo tranquillizzo: “Hey, stavo scherzando. Come vi siete messi d’accordo?”

Mi guarda sereno e confessa: “Mi ha incaricato di farti da babysitter per un po’, intanto che lui segue un caso importante.”

“E’ quello che fanno i partner?” gli chiedo felice.

“Always! E poi a me fa davvero piacere, lo sai. Però devo scendere a Manhattan a prendermi altri vestiti. Starò via poco, Kate, te lo prometto.”

“OK. Mi ritroverai qui, non vado da nessuna parte.”

“Vuoi che ti porti qualcosa dalla città? Magari una rivista? O uno dei miei libri? Guarda che me ne sono accorto che non ne hai nemmeno una copia qui…”  dichiara risentito.

Sollevo gli occhi al cielo: quando fa il melodrammatico è insopportabile. Gli rispondo: “Castle, li possiedo tutti, ne ho persino uno autografato nel 2005. Ho letto la serie completa di Storm, per non parlare di quella di Nikki Heat. E anche tutti gli altri.”

“Davvero? Autografato nel 2005?” chiede sinceramente stupito.

Gli prendo le mani.

E’ il momento di dirgli la verità anche su questo fronte: “Sono sempre stata una tua fan, Richard Castle. Quando mamma è morta, mi sono rifugiata nel modo fittizio creato dalla tua narrativa. Mi hai aiutato tantissimo in quel periodo, sai? Anzi, non ti ho mai ringraziato per quello…”

Rimaniamo a guardarci, occhi negli occhi, per un periodo di tempo che non saprei calcolare. Poi lui si scuote e mi dice: “Dai, facciamo colazione così poi parto per Manhattan. Prima mi avvio, prima sarò di ritorno.”

 

Angolo delle autrici

Il nostro amatissimo Jim Beckett è tornato!!! L’innocente risveglio dei Caskett, dopo aver trascorso una meravigliosa notte abbracciati sul divano, viene interrotto dalla telefonata del papà di Kate che chiede a Rick di continuare ad occuparsi di sua figlia. Che sacrificio….

Un altro segreto viene svelato: adesso Rick sa che Kate è una sua grande fan!

Ormai non sappiamo più come ringraziarvi per l'affetto che ci state dimostrando con le vostre recensioni, sempre "saette" e piene di contenuto.

Ci leggiamo venerdì!

Debora e Monica

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - Indovina chi viene a cena? ***






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Capitolo 9 – Indovina chi viene a cena

 

La giornata sembra non finire mai.

Sono stata a fare la mia passeggiata quotidiana in compagnia della signora Buchanan e sono molto soddisfatta delle mie condizioni. L’anziana donna ha boccheggiato ed arrancato un po’ e io, poco rispettosamente, ho gongolato dentro di me per questo, considerando che l’ultima volta che mi aveva accompagnato una settimana fa a fare la mia camminata terapeutica ero stata io ad avere un gran affanno a seguire il suo ritmo.

Bene.

Molto bene.

Andrò al prossimo controllo con la convinzione che la data del mio rientro al lavoro si sta avvicinando.

Merito di Castle?

O merito di papà che ha insistito a farmi camminare secondo la tabella di allenamento indicata dal dottor Culliford anche quando, esausta, lo pregavo di tornare indietro.

Il cardiofrequenzimetro dà indicazioni ottime e di gran lunga migliori a quelle dell’ultima misurazione di controllo sotto sforzo che ho fatto e questo davvero mi fa sperare di essere sulla strada giusta.

Rientro alla baita e liquido la mia anziana babysitter ringraziandola per avermi accompagnata e convincendola con non poca fatica che posso stare a casa da sola.

Dopo aver mangiato un pasto veloce mi metto a cucinare. Rick mi ha sempre viziato sia ieri a cena sia questa mattina a colazione con dei manicaretti niente male e anche salutari. Papà deve essersi sicuramente raccomandato. Non è da Castle non usare almeno mezzo panetto di burro per friggere le frittelle la mattina o non inondarle con una bottiglia di sciroppo d’acero!

Apro il frigo e poi la dispensa e, dopo aver fatto un check di tutti gli ingredienti che ho a disposizione, mi lego i capelli in una coda e inizio a darmi da fare.

Dopo aver infornato l’ultima teglia comincio ad apparecchiare. Non voglio mangiare in cucina stasera. Preparo il tavolo in soggiorno e magari più tardi accendo anche il camino. Mi rendo conto che i miei movimenti sono migliorati tantissimo: fino a pochi giorni fa persino prendere una tazza dall’armadietto sopra il lavello era un’impresa estenuante e dolorosa.

Mi ricordo di quando mamma tirava fuori un candelabro per le occasioni speciali in famiglia e mi dirigo verso la cassapanca dove credo sia stato riposto. Lo trovo perfettamente lucido - meno male che è in acciaio e non in argento altrimenti l’avrei trovato brunito dopo tutti questi anni - e lo osservo tenendo l’oggetto tra le mani e guardandolo come a studiarlo. In realtà sto soppesando l’idea se metterlo in tavola o no. Io e Rick non stiamo insieme e se creo un’ambientazione troppo romantica la situazione potrebbe sfuggirmi di mano e io…

Porto istintivamente la mano al petto.

Dio solo sa quanto vorrei che questa sera accadesse ciò che in cuor mio ho aspettato da tanto, ma la paura che possa provare repulsione nel vedermi le cicatrici mi blocca.

Dove è finita la Kate sicura di sé?

La rivoglio indietro.

Odio questa sensazione di non sentirmi all’altezza di qualche cosa.

Spero di riuscire a superare presto questa mia fragilità emotiva.

Sorrido, in fondo già il fatto che io faccia questi pensieri è un buon segno.

Mi riprenderò, non importa quanto ci vorrà.

Mi riprenderò.

Mi siedo sul divano con il candelabro in grembo. Guardo fisso davanti a me come se potessi trovare nella parete di fronte la pace per i miei tormenti o la soluzione per i miei dubbi.

Ma quali tormenti?

Ci siamo dichiarati.

O meglio. Lui si è dichiarato e ha confermato che mi ama e io … bè non sono stata così esplicita, ma non ci vuole un genio per interpretare i miei sentimenti. Non sono mai stata così aperta e sincera in tutta la mia vita.

Allora, Kate?

Qual è il problema?

Il problema sono io e le mie elucubrazioni mentali.

Lo amo? Sì.

Sono pronta a dirglielo? No.

E a farmi amare? Nì.

Come sono stata in questi due giorni? Terribilmente bene.  

Al solo ripensare ad alcuni dei momenti che abbiamo passato insieme, ad alcuni degli sguardi che ci siamo scambiati, al sonno ristoratore che ho avuto solo perché ero abbracciata a lui, mi pervade un senso di pace e benessere che si espande rapidamente in tutto il corpo.

Non so se sono pronta ad amarlo in maniera completa, ma so che tutto ciò che ho condiviso con lui in questi due giorni è stato naturale, spontaneo e fantastico, quindi perché dovrebbe cambiare proprio ora?

Mentre mi perdo in queste riflessioni sento suonare il campanello della porta.

Mi alzo e in fretta tolgo il grembiule che lancio su uno sgabello della cucina. Mi sento leggera come una libellula. Poggio sul tavolo il candelabro e con l’altra mano liscio una grinza della tovaglia. Do un’occhiata al tutto e mi sembra perfetto.

“Arrivo!” urlo impaziente al pensiero di rivederlo.

Passando davanti allo specchio del piccolo ingresso do una rapida scorsa al mio aspetto, tolgo l’elastico dai capelli, li ravvivo con le mani e con i denti mordicchio le labbra come mi raccontava che faceva mia madre quando la nonna non le permetteva di usare il rossetto perché era ancora troppo giovane. 

Apro la porta con il più smagliante dei sorrisi e con il cuore in fibrillazione e spalanco gli occhi per la sorpresa, travolta da quell’ondata di affetto che non mi aspettavo di ricevere.

Un ispanico, un irlandese e un’afroamericana mi sommergono di saluti, domande e fiori, mandandomi completamente nel panico. Che caspita ci fanno qui?!?!?

“Wow Kate! Sei uno splendore e noi che pensavamo di trovare una donna malaticcia, pallida e convalescente con vestaglietta e copertina sulle spalle…” mi prende in giro Lanie che ancora mi tiene prigioniera nel suo abbraccio.

“Ma che sorpresa! Espo, Ryan come state?” provo a riprendermi dallo shock fingendo noncuranza “ma non mi avete detto niente. Una telefonata?”

Lanie entra nella stanza tenendomi le mani e fa un giro intorno a me.

“Risponde la segreteria telefonica, sempre. Qui la rete cellulare deve essere proprio pessima. Il telefono risulta sempre irraggiungibile.”

Mi rendo all’improvviso conto che non ho tolto ancora la deviazione di chiamata  che ho impostato su tutti i numeri tranne che su quello di mio padre. Ero determinata a non sentire nessuno, d’altronde. Prendo il telefono e controllo che Castle non abbia chiamato. Sono indecisa: non so se avvisarlo dell’imprevisto anche se è  difficile farlo senza farsi vedere e peggiorare le cose. Meglio evitare.

“Ragazzi, come state?”

“Che lo chiedi tu a noi? Racconta come stai tu! Meglio di come ci immaginavamo, a giudicare dal tuo colorito” risponde un divertito Espo mentre con una mano sfiora la tavola apparecchiata.

“Da qualche giorno sto decisamente meglio, in effetti. Oggi sono riuscita ad avere meno affanno della signora Buchanan, la donna che mi accompagna quando papà non c’è, durante la mia speedwalking.” Racconto non sicura che i miei amici possano capire la rilevanza di quello che ho detto.

“Aspetti tuo padre?” chiede Ryan visibilmente incuriosito.

“Sì, oggi è dovuto tornare in tribunale a New York. Da quando stiamo qui è come se fosse agli arresti domiciliari: ha smesso praticamente di lavorare e ora che sto meglio sta riprendendo, almeno le cose urgenti” provo a spiegare mentre Lanie fa una smorfia evidente come a sottolineare che non crede nemmeno ad una parola. Effettivamente non ci vuole un genio per capire che non metterei le candele per una cena con mio padre!

“Dai, Kate! Mostrami la ferita e vediamo se le medicazioni che hai fatto vanno bene o se devo intervenire io.” afferma decisa Lanie “Andiamo. Dove è il bagno?”

So perfettamente che Lanie sta cercando una scusa per rimanere sola con me, ma io voglio provare ad evitare una scomoda conversazione a due.

“No, Lanie non ce n’è bisogno. Sono diventata brava e devo dire che la ferita si sta rimarginando bene, anche se mi devo ancora abituare a vederla”.

Lanie intuisce all’istante che c’è qualcosa nell’aria e per convincermi a salire al piano di sopra con lei esclama, come se fosse la cosa più naturale del mondo, “Ok, lo capisco: sono la tua squadra e non puoi escluderli” indica col capo prima Ryan e poi Esposito “Togliti la camicia, te la controllo qui.”

I due detective si sentono imbarazzati e si guardano non capendo cosa diamine stia succedendo. 

“Lanie, ma sei impazzita? Ho capito… ho capito, andiamo!” Sconfitta, faccio strada a Lanie che prima di salire non manca di fare l’occhiolino ad Esposito come a rassicurarlo che ci pensa lei a scoprire cosa stia accadendo di strano.

Una volta sole, mentre mi sbottono la candida camicia, Lanie si lava meticolosamente le mani prima di indossare i guanti in lattice che ha tirato fuori dalla sua inseparabile borsa da medico.

“Allora?” chiede.

“Allora cosa?” domando di rimando distogliendo lo sguardo dalla dottoressa, dalla mia ferita e dalla mia immagine riflessa nello specchio “Dimmelo tu com’è la ferita.”

“Questa sta bene e Kate, sinceramente, mi aspettavo di peggio, considerando che quando l’intervento è di urgenza si va veloci e l’estetica è l’ultima cosa a cui si pensa” risponde in modo professionale per poi continuare “cosa ti hanno dato da mettere?”

Indico una scatola sulla mensola con dentro boccette, pomate e garze.

“Vieni, oggi te la faccio io la medicazione, così stasera non ci devi pensare, ok?” mi dice dolcemente.

“Grazie Lanie”

“La puoi tenere sbendata, secondo me, prende aria e si velocizza il processo di cicatrizzazione”.

Ci penso un attimo, poi esclamo “No, non ancora. Copri.”

“Coprire? Bendare, Kate. E’ diverso. Qual è il tuo problema?”

“Non ce la faccio ancora a guardarmi e non so se riuscirò a farmi vedere e toccare da un uomo a breve.” dico sconsolata.

Lanie come donna mi capisce subito e immagina al volo quello che mi sta passando per la testa. Assolutamente comprensibile. Quindi cauta chiede “Josh? E’ lui che aspetti? Lo risenti?”

“No. Te l’ho detto, aspetto papà.”

L’occhiata che mi lancia Lanie è così eloquente che mi rendo conto che la mia risposta è poco plausibile. Ma lei non aggiunge niente e continua la medicazione in silenzio.

Una volta rivestita, sono pronta a riscendere giù ma vengo trattenuta per una mano. Lanie si è seduta sul bordo della vasca e mi fa cenno di mettermi accanto a lei.

“Chi è?” chiede.

“Chi è chi?” provo a far finta di non capire, ben sapendo che è inutile.

“E’ uno di qui?” insiste.

Sospiro non sapendo cosa dire, anche perché di fatto non c’è nulla da rivelare e non voglio ancora parlare di una cosa che non so nemmeno io bene cosa sia.

Qualcun altro suona alla porta della baita e penso di essermi risparmiata l’interrogatorio. Come dire, salvata dal campanello. Ma mentre scendo le scale gridando ai miei colleghi se possono intanto aprire loro, sento distintamente la voce di Ryan che chiede “Ehy Castle, cosa ci fai tu qui?”

 

Angolo delle autrici

In questo capitolo Kate ha capito che non si sa mai chi può suonare alla porta! L’affettuosa irruenza degli amici del Dodicesimo è palpabile, ma cosa risponderanno i Caskett alla domanda di Ryan? Continuate a seguirci e lo scoprirete!

L'accenno allo sciroppo d'acero è in onore di Virginia *____*

A martedì,

Debora e Monica

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 - Pagina 105 ***






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Capitolo 10 – Pagina 105

 

Cosa avevo detto?

Salvata dal campanello?

Qui siamo caduti dalla padella nella brace!

Confido nella fantasia di Castle, del resto di mestiere fa lo scrittore ed è grazie alla sua fervida immaginazione che può permettersi un favoloso loft a Manhattan, la Ferrari, la Mercedes e la villa negli Hamptons, oltre a tutti quegli aggeggi elettronici di ultimissima generazione. Spero che la userà anche per inventarsi su due piedi un motivo plausibile che giustifichi la sua presenza quassù, praticamente in mezzo al nulla, a centinaia di chilometri da Manhattan. Oppure ci vorrebbe una chiamata urgente per Ryan ed Espo. O magari un disastro naturale, come una scossa di terremoto, ne basterebbe anche una leggera. Qualsiasi cosa pur di togliermi da questa situazione.

Arrivo in fondo alle scale e lo vedo: ha la stessa espressione di stupore, misto a delusione per non avermi trovato sola, misto ad affetto nei confronti dei ragazzi che deve essere stata dipinta sul mio volto quando mi sono ritrovata davanti i miei amici invece del mio… Vabbe’, ora non è il momento di affibbiare etichette. Diciamo… invece di Rick.

Nello spazio di un battito di ciglia lui guarda me, io guardo lui, Lanie e i ragazzi guardano prima me e poi lui, come se fosse una partita a tennis, e poi Castle apre finalmente bocca: “Ehy ragazzi, anche voi qui? Che coincidenza… Io sono venuto a vedere come sta la mia musa… sapete, devo finire l’ultimo romanzo…”

Ryan, che è ancora vicino alla porta, getta una rapida occhiata fuori e gli chiede: “Hai cambiato auto?”

“No, me l’ha prestata un amico quando gli ho detto che sarei venuto in montagna” afferma Rick con sicurezza. Anche perché, a grandi linee, quello che dice corrisponde a verità. Il dettaglio trascurabile è che l’amico in questione sarebbe mio padre, ma al momento è irrilevante.

“Mmmhhh… e com’è che sai dove si trova la baita di Beckett?” incalza Esposito, con il chiaro intento di prenderlo in castagna. A questo punto non posso non intervenire: “Piuttosto, come avete fatto voi tre ad arrivare qui? Non vi avevo mai dato l’indirizzo”

Lanie alza le mani e dichiara: “Non chiederlo a me, ci hanno pensato loro. Io mi sono solo occupata di comprare i fiori.”

“Grazie, sono bellissimi” le dico sinceramente.

“Guarda che sono da parte di tutti e tre” risponde inacidito Esposito.

Ryan solleva gli occhi al cielo di fronte alla scenetta fra il suo partner e la dottoressa Parish – quei due non smetteranno mai di punzecchiarsi – e poi si rivolge a me, risentito: “Kate, davvero ci fai questa domanda? Ti ricordi che facciamo parte della tua squadra, che siamo detective, che il nostro lavoro è raccogliere dati e scovare informazioni, sì?”

“Veramente il vostro lavoro sarebbe quello di fare indagini su omicidi e, anche se ci sono andata tremendamente vicina, tenderei a escludere di essere morta! Inoltre, volete dire che avete utilizzato strumenti e archivi telematici del governo per un vostro mero interesse personale?” ribatto a tono, incrociando le braccia sotto il petto e sollevando un sopracciglio per sottolineare il rimprovero, mentre con la coda dell’occhio vedo Rick gongolare orgoglioso della mia reazione. In effetti, anche io sono fiera di me stessa, oggi non sembro proprio la Kate che fino a ieri era solo in grado di esprimersi a monosillabi e a crogiolarsi sui propri mali.

I ragazzi si sentono messi all’angolo e sono convinta di avere vinto la partita, ma non ho fatto i conti con la dottoressa Parish, che quando ci si mette è testarda come un mulo. “Castle, non hai ancora risposto alla domanda… TU come ci sei arrivato qui?”

“Beh… mentre facevo le ricerche per il libro… c’è una scena in montagna… servivano dettagli per l’ambientazione…”

“Bro, non senti un rumore strano?” lo interrompe Espo, rivolgendosi a Ryan con un’espressione fintamente seria, tanto che gli si è persino formata una ruga in mezzo alla fronte.

“Intendi quel fastidioso stridio delle unghie di chi si sta arrampicando su uno specchio?” risponde Kevin, capendo al volo dove vuole andare a parare il suo compare e trattenendo a stento un sorriso.

“Oh, andiamo, ragazzi, piantatela” interviene Lanie.

Sto quasi per ringraziarla per avermi tratto dall’impiccio quando lei riparte: “E’ del tutto inutile metterli sotto torchio… basta osservare l’ambiente” afferma serafica, facendo cenno con la testa all’apparecchiatura del tavolo, con tanto di candele. “Come se poi fosse un segreto il fatto che questi due” punta l’indice prima verso di me e poi verso Rick “ siano pazzi l’uno dell’altra” aggiunge alzando gli occhi al cielo per sottolineare l’evidenza.

No, non ci posso credere che l’abbia detto veramente ad alta voce e davanti agli altri!

Direi che a questo punto non è affatto necessario ringraziarla.

In tutto questo Rick non ha più aperto bocca. Lo vedo che mi osserva con sguardo interrogativo, lasciandomi decidere cosa rivelare agli altri ospiti.

“Sentite, ragazzi, non è come sembra” comincio, ma un’occhiata eloquente di Lanie mi fa capire che questa non se la berranno mai. “Oh, al diavolo. Castle è qui alla baita per prendersi cura di me ora che mio padre è impegnato in città.” Bah, alla fine non è così difficile dire la verità ma per evitare fraintendimenti aggiungo “Mi fa in pratica da balia”.

“Bravo, Castle. Questo ti fa onore” afferma Ryan con tono di sincera ammirazione, sottolineando la sua affermazione con una pacca sulla spalla a Rick. Vedi, avevo sottovalutato questi ragazzi e invece sono delle persone mature.

“Stando qui sarà più semplice per te portarle il caffè: ti basterà scendere in cucina” continua. OK, anche questa battuta ci sta, un po’ di presa in giro è accettabile.

“E sono sicuro che Beckett troverà il modo di sdebitarsi, magari fornendoti ispirazione per un’altra… pagina 105” aggiunge Javi ridacchiando.

Lo fulmino con lo sguardo.

Cosa avevo detto?

Persone mature?

Questi due sono irrecuperabili!

E io sono pure sempre il loro capo, un po’ di rispetto, diamine!

“Ahi ahi ahi, detective Esposito, ecco una delle tremende occhiate di Beckett. Di solito sono sempre indirizzate a me… e mi terrorizzano ogni volta!” commenta divertito Rick, facendo ridere tutti, me compresa. Averlo qui è come prendere una medicina per il buonumore.

“Sentite, posso offrirvi qualcosa? Vi fermate a cena?” domando loro soprattutto per cambiare argomento, poi mi rivolgo a Rick e gli propongo: “Se mi dai una mano possiamo integrare quello che avevo già preparato io”

“Beckett, spero per il tuo bene – e anche per il mio – che tu non ti sia affaticata troppo, altrimenti tuo padre mi incenerisce! Ora fila a riposare sul divano che qui ci penso io, forza, ubbidisci come fanno le brave bambine…” mi prende per le spalle e mi accompagna verso il sofà, aiutandomi a stendermi. I ragazzi e Lanie si scambiano uno sguardo esterrefatto: sicuramente si staranno chiedendo da quando in qua la detective Beckett accetta di essere comandata da Castle, che la tratta come se fosse una ragazzina! Poi Rick si rivolge agli altri ospiti e ordina, sventolando in aria le mani: “Anche voi ragazzi, su, fate spazio al re della cucina” il tutto sempre sotto lo sguardo attonito di Lanie e divertito di Ryan e Esposito, che dà una leggera gomitata al collega e commenta: “Bro, è meglio che guardare la tv!”

Mentre Castle armeggia dietro il banco da lavoro chiacchierando con i ragazzi e complimentandosi con Esposito per il suo ottimo gusto letterario, visto che ha citato “Heat Wave”, la dottoressa Parish si siede accanto a me e mi chiede, questa volta parlando sotto voce e indicando con la testa la scena che si sta svolgendo a pochi metri da noi: “Kate, hai niente da dire a proposito di questo quadretto?”

“Non lo so, Lanie, davvero. E’ arrivato qui improvvisamente ieri, mandato da mio padre, a mia insaputa, a restituirgli la sua bambina, cito le testuali parole. E… abbiamo parlato tanto… di quello che è successo al funerale di Roy… di quello che c’è fra noi…”

“Lui ti ama, Kate. Molto. E avresti dovuto vederlo quel giorno in ospedale… era distrutto”

“Lo so. E hai ragione, anche lui è importante per me, ne abbiamo passate tante insieme, mi è sempre stato vicino e ogni giorno il sentimento che provo per lui è cresciuto, ma… non so cosa fare, Lanie, non sono ancora pronta a… insomma… a…”

“A farti vedere nuda da lui?” mi viene in soccorso la mia amica capendo al volo le mie perplessità, come se quella fisica fosse la sola e unica mia insicurezza.

Annuisco impercettibilmente, abbassando lo sguardo.

Lanie mi prende una mano e dice: “Sono sicura che per lui sarai sempre la donna più bella e desiderabile di questo mondo. Hai visto quanto è cambiato da quando ti conosce? Da quanto tempo non lo vedi in giro con qualche sventolona bionda? Perché, secondo te? Perché ti sta aspettando. Ti aspetta da anni, Kate. E di sicuro non lo spaventeranno le tue cicatrici. Che peraltro stanno guarendo bene. Anzi, gli dimostreranno che donna forte sei e lo renderanno ancora più orgoglioso di averti al suo fianco.”

Stringo la mano di Lanie e la ringrazio. Avere una buona amica come lei è un dono inestimabile.

Nel frattempo il re della cucina ha improvvisato un paio di pietanze che faranno compagnia a ciò che avevo già messo nel forno. Mi alzo dal divano e impartisco gli ordini a Kevin, Espo e Lanie affinché trovino piatti, bicchieri e posate anche per loro. Ci sediamo tutti insieme al tavolo e, anche se non è esattamente ciò che mi aspettavo da questa serata, l’affetto sincero che ci lega tutti mi riempie il cuore.

 

Angolo delle autrici

Gli amici del distretto vengono a conoscenza del… segreto di Pulcinella e, dopo qualche inevitabile battuta, prevale l’affetto che lega tutti.

Cosa succederà a fine cena? Rimanete con noi e lo saprete presto!

 

Come sempre vi ringraziamo tutti per l'affetto e la costanza con ci state seguendo. Un altro ottimo motivo per continuare questa particolare collaborazione.

 

Un abbraccio

Debora e Monica

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 - Detective, tu mi vuoi morto! ***






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Capitolo 11 –Detective, tu mi vuoi morto!

 

Le ore scorrono veloci tra risate, derisioni e sincero affetto che lega i cinque commensali. Non posso però negare che sono stanca. La scorsa notte ho riposato in effetti un po’ sul divano abbracciata a Castle ma comunque non reggo ancora i ritmi delle lunghe ore di veglia che tenevo durante i periodi più intensi al distretto. Uno sbadiglio mi tradisce e dà l’occasione ai nostri ospiti…..o dovrei dire miei? Oddio, ma che faccio, già parlo al plurale? Dicevo … il mio evidente stato di sonno dà l’opportunità ai miei invitati di decidere di tornare a casa, anche perché li aspetta all’incirca tre ore di macchina prima di arrivare a New York.

Lanie mi saluta abbracciandomi e guardandomi intensamente negli occhi. Probabilmente avrebbe voluto dirmi parole d’incoraggiamento su quanto ci eravamo confidate qualche ora prima sul divano ma la presenza degli altri l’ha fatta desistere. Ma io so perfettamente cosa intende, così le faccio un piccolo cenno col capo per tranquillizzarla e farle sapere che il suo messaggio è arrivato.

Forte e chiaro.

Abbraccio anche Espo e Ryan, i miei valorosi collaboratori nonché amici. Tutti salutano Castle e la serata sembra proprio giungere al termine.

Vedendomi stanca, Rick si offre di sistemare tutto in modo da lasciarmi la possibilità di andare subito a riposare. In realtà io ho solo voglia di salutarlo come avrei voluto fare al suo rientro in baita.

Lo ammetto: lo avrei accolto in un abbraccio speciale di bentornato.

Lo ammetto: mi è mancato tantissimo durante tutta la giornata.

Tutto questo è preoccupante.

Decisamente molto preoccupante.

Non ho più voglia di nasconderlo nemmeno a me stessa perché la realtà dei fatti mi ha convinto che la situazione in cui mi trovo è assolutamente seria: ho raggiunto il punto del non ritorno.

Castle mi guarda mentre sono rimasta imbambolata ad osservarlo rassettare, immersa nei miei pensieri. Quando ha finito posa il canovaccio sul davanzale interno della finestra perché possa asciugarsi e io mi avvicino e lo abbraccio da dietro.

Finalmente.

Finalmente posso sentire di nuovo il suo odore affondando il viso nelle sue spalle.

E’ questione di un attimo.

Si gira e ricambia il mio abbraccio e con la mano aperta mi accarezza la schiena stringendomi a lui.

Si scosta e mi guarda stupito.

“Che c’è?” domando non capendo cosa sia successo.

“Detective, tu mi vuoi morto! Ogni uomo ha un suo limite!” esclama esterrefatto.

Giuro che continuo a non capire e il mio sguardo deve essere sufficientemente interrogativo perché lui si affretta a spiegarmi: “Non hai il reggiseno!”

Scoppio a ridere di cuore – ah, quanto mi sta facendo bene la sua vicinanza – e decido di stare al gioco.

“Ordine del dottore, Castle. Non puoi lamentarti.” dico seria, per poi aggiungere con malizia “e non ti fare strane idee per questo.”

Castle si avvicina al lavandino, apre il rubinetto dell’acqua fredda e, con un fare teatrale con cui mi dimostra di aver ereditato i geni di sua madre, si tampona la fronte per calmare i suoi bollenti spiriti. Qualunque sia il motivo di quella scenetta, sono divertita e anche un po’ lusingata. E mi accorgo, mentre saliamo le scale per andare al piano di sopra, che per la prima volta, flirtando con Castle, non ho pensato alle mie cicatrici.

Castle mi scorta fin davanti alla porta della mia camera da letto e nuovamente mi stringe a sé per augurarmi la buona notte. Lo sento sospirare. Questa situazione non deve essere facile per lui. Mi bacia i capelli e poi la fronte mentre io lo guardo come si osserva un’opera d’arte.

Non riesco a parlare.

Non riesco a distogliere lo sguardo dalla sue labbra.

Non riesco ad evitare di cogliere i chiari segnali che il mio corpo mi sta mandando.

Ho lo stomaco contratto in una splendida morsa di sensazioni di emozione pura.

Non posso resistere.

So che non dovrei ancora farlo e tutta la mia razionalità sta cercando di farsi strada in me con tanta fatica.  

Non dovrei farlo perché mi conosco e so che sarà poi una tortura non andare oltre. Ma il mio cuore si fa largo prepotentemente e mi ordina di allungarmi in punta dei piedi e posare delicatamente le mie labbra umide sulle sue.

E io ubbidisco immediatamente, senza nemmeno farmi pregare troppo.

Lo faccio e, in un attimo, non capisco più nulla.

Un calore improvviso mi sale dal petto e si diffonde sul collo.

Ci assaporiamo piano, solo con le nostre labbra.

Sembriamo due timidi ragazzini che si baciano per la prima volta nella loro vita. In realtà facciamo entrambi fatica a non approfondire quel bacio e quelle magnifiche sensazione che stiamo provando, ma la posta in gioco è alta: sappiamo entrambi che non possiamo rischiare di farci prendere la mano. Sono ancora convalescente e il mio corpo potrebbe non reggere ad emozioni così forti.

Il mio cuore non ha avuto ancora il beneplacito del dottor Culliford a lasciarsi andare a corse sfrenate.

Ci stacchiamo lentamente cercando ognuno di riprendere il controllo delle proprie azioni, nonostante i nostri respiri accelerati dimostrino che siamo ben lontani dalla meta. 

Ci diamo ancora un lieve bacio a fior di labbra.

“Buonanotte” mi dice senza distogliere un attimo i suoi fari dai miei occhi e senza aver mai allontanato la sua mano calda dalla mia schiena.

Non riesco a rispondere.

Non voglio che se ne vada.

Non voglio staccarmi da lui.

Un’idea sopraggiunge improvvisa. Più che un’idea un vero e proprio desiderio irrefrenabile.

“Ti prego non andare” lo imploro.

“Kate, Dio solo sa quanto non vorrei farlo ma…” è titubante.

“Dormi con me” lo rassicuro “come ieri notte. Non ho riposato così bene da quando sono arrivata qui in baita. Fallo per me.”

Vedendolo ancora dubbioso e incerto proseguo “Dormiremo e basta. Abbracciati, come ieri”

Scuote la testa: “Avevi ragione. Sono troppo vecchio per dormire due notti di seguito sul divano!”

E io che pensavo che temesse di non resistermi!!! Invece è quello il motivo della sua incertezza!

Apro la porta della stanza e osservo il letto singolo nella mia cameretta da bambina. Papà non l’ha mai cambiata e in effetti qui non ci vengo mai e mai ci sono venuta in compagnia. Perché avrebbe dovuto farlo?

Lo prendo per mano e lo trascino nell’altra stanza.

“Dormiamo qua. Vuoi?” in attesa di una sua risposta, lo guardo quasi implorandolo con gli occhi. Immagino che la sua resistenza a questo punto sia dovuta davvero al fatto che non vuole rischiare di non cadere in tentazione. Chissà se ha mai dormito con una donna senza farci niente. Dubito. Ma so che ce la farà.

“Ok” mi dice, facendomi spuntare un enorme sorriso in viso ”però mettiamoci qualcosa di comodo, il pigiama, una tuta, quello che vuoi” poi aggiunge ridendo guardandosi i piedi “non vorrai mica rischiare di beccarmi di nuovo in castagna con un calzino bucato?”

Scoppiamo entrambi a ridere defilandoci ognuno nella nostra stanza per cambiarci.

Indosso la stessa camiciona della notte scorsa e quando lo raggiungo in camera lo trovo già dentro al letto. Scosto le coperte per entrare e vedo la maglia del suo pigiama con su scritto YOU RUN, I FLY. Scoppio a ridere e gli chiedo “Castle, è una sfida?”

Dormiamo tutta la notte abbracciati. Io riesco a riposare senza gli infusi terapeutici di mio padre né tantomeno con i tranquillanti del dottor Culliford.

Ho dormito così bene che alle prime luci dell’alba mi sveglio, cullata dall’abbraccio del mio salvatore. Non posso definirlo diversamente. Da quando è rientrato nella mia vita mi sono tornate improvvisamente energie e voglia di vivere. Sono dispiaciuta di averlo allontanato anche se ritengo che un percorso personale e solitario fosse necessario per me.

Scosto le coperte perché ho caldo e perché voglio ammirarlo in questa penombra che ci avvolge. Comincio ad osservare gli sbuffi che fa con la bocca e i movimenti spontanei del naso. Mi soffermo sulla maglia e sulla scritta che tanto mi ha fatto ridere. E’ così da lui! Con gli occhi accarezzo le ampie spalle, il torace e l’addome non proprio in forma. Studio quella porzione di pancia in più e penso senza nostalgia alla tartaruga di Josh. Avrei voglia di accarezzare quello che di sicuro sarebbe un morbido e comodo cuscino. Mi ripropongo mentalmente di provarlo più tardi. E mentre il mio sguardo continua a scendere un sorriso mi si stampa in faccia: Castle sta avendo una formidabile, spontanea, meravigliosa e prorompente erezione mattutina che la stoffa del pigiama non riesce minimamente a nascondere. Mi sento un po’ in imbarazzo e a disagio a guardarlo così di straforo mentre il bell’addormentato è ignaro delle mie attenzioni visive. Saranno ormai due mesi che non faccio sesso e quella vista mi provoca subito una reazione istantanea nella mia intimità.

Soffoco un sospiro.

Avrei una voglia matta di toccarlo, di stringerlo. Sono ammirata da quel che vedo e mi sento in colpa per i miei pensieri lascivi che vorrebbero saggiare di persona all’istante la bontà della nomea da Moby Dick che aleggia sul suo conto. Da quel che vedo, sembra essere meritata!

Arrossisco.

Lo sto desiderando.

Sto desiderando ardentemente un uomo, a sua insaputa.

Mi sento viva come non mai!

Al diavolo la convalescenza e le attenzioni a non aver stress troppo forti. Se il dottor Culliford sapesse l’ondata di emozioni che mi ha travolto negli ultimi tre giorni, prescriverebbe immediatamente un ricovero coatto per monitorare costantemente il mio povero cuore malandato.

Sospiro pesantemente per cercare di cacciare i pensieri impuri dalla mia mente.

Castle si è dimostrato un gentiluomo ma non posso pretendere che resista a mie attenzioni più evidenti.

Ecco che si sveglia.

Con una rapida occhiata controllo a che punto siamo con l’innalzamento in superficie per prendere ossigeno della balena bianca e, con sollievo, mi accorgo che si è rimmersa in profondità.

Mi sarei sentita molto a disagio se si fosse accorto delle mie losche trame.

“Buongiorno” mi fa.

“Ehy” dico io, prendendo un bel respiro nell’intento evidente di calmare il mio cuore.

Così inizia la nostra nuova giornata: ci accarezziamo il volto e ci baciamo lievemente come la sera prima, senza fretta. Abbiamo tutto il tempo che vogliamo davanti a noi e qualche ora la dedichiamo a coccolarci, conoscerci, scherzare, immersi in questa nuova, particolare, intimità.

E continuiamo implacabilmente ad innamorarci sempre di più ma – ahimè – rigorosamente in modo platonico.

 

Angolo delle autrici

Finalmente il primo bacio… quasi vero ;-)

Kate sta così bene in compagnia di Rick che si dimentica persino delle sue cicatrici. Dopo un meraviglioso sonno ristoratore fra le sue braccia, il risveglio le regala un’inattesa anteprima!

Il desiderio è forte e Cupido  sta facendo a meraviglia il suo lavoro.

Cos’altro combineranno questi due in montagna? E quanto resisteranno a questo ritmo? Continuate a seguirci e lo scoprirete presto!

Un abbraccio

Debora e Monica

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 - Ready to go! ***






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Capitolo 12 – Ready to go!

 

Ormai Castle è alla baita da oltre una settimana. In questi giorni abbiamo assaporato la magia di una vita fianco a fianco fatta di piccoli gesti quotidiani: risvegliarsi l’uno accanto all’altra, cucinare insieme, fare passeggiate sempre più lunghe, raccontarsi tanti aneddoti legati alla nostra infanzia e adolescenza. A vederlo adesso non si direbbe, ma le cose per lui non sono state semplici. E sebbene Martha sia una donna straordinaria e abbia davvero fatto miracoli nel crescerlo da sola, Rick ha sentito e sente tuttora la mancanza di un padre. Ha passato un periodo in cui in ogni uomo che incontrava per strada cercava una somiglianza con i propri tratti somatici. Poi si è affidato alla sua fervida immaginazione e si è inventato un papà astronauta, supereroe, spia. Finché poi non è diventato genitore a sua volta e ha riversato su Alexis tutto l’affetto che gli era mancato. Forse è anche per questo che loro due hanno un rapporto tanto stretto. Mi chiedo infatti come resistano a stare lontani così a lungo anche se si sentono tutti i giorni al telefono. E quando entra in modalità papà affettuoso lo trovo ancora più irresistibile.

Un’altra che lo trova irresistibile è la mia vecchia tata. La signora Buchanan si è innamorata perdutamente di lui ed è andata in un brodo di giuggiole quando Rick, sfoderando tutto il suo armamentario da scrittore affascinante, le ha autografato la sua copia di “Heat wave” con tanto di dedica alla splendida tata della sua musa. Io invece sono arrossita fino alla punta dei capelli quando lei ha fatto due più due e ha riconosciuto me nella descrizione di quella pagina 105 che mi perseguiterà a vita. Mi sarei sotterrata da sola quando mi ha preso in disparte e con malizia mi ha apertamente chiesto se è bravo nella realtà come nel libro. Almeno lo sapessi, poi! Anche perché il pensiero di quella scena bollente e stare accanto a Rick, separati solo da qualche misero strato di stoffa, senza poter ancora andare oltre un bacio – e per di più casto – mi sta letteralmente facendo impazzire. Muoio dalla voglia di poterlo accarezzare, di sentire le sue mani su di me, di sentirlo dentro di me. Eh sì, la scoperta mattutina di qualche giorno fa ormai popola abbondantemente sia i miei sogni notturni sia le mie fantasie diurne e aumenta il mio desiderio ogni ora che passa. Per non parlare di quando sento lo scrosciare dell’acqua mentre lui fa la doccia e mi immagino di raggiungerlo… Non sono mai stata così ansiosa di andare alla visita di controllo con il dottor Culliford come in questo momento! Per fortuna, lassù qualcuno mi ama: l’altro ieri mi hanno telefonato dall’ospedale per anticipare l’appuntamento di qualche giorno, visto che poi il mio medico sarà impegnato in un importantissimo convegno in Europa sulla cardiochirurgia. Sto facendo il conto alla rovescia, sperando in cuor mio che il cardiologo mi dia finalmente il benestare per… dedicarmi anche ad altre attività.

Adesso sto preparando una tisana di camomilla e valeriana. Scuoto la testa al pensiero di quanto sia cambiata la mia vita in poco tempo. Fino a una settimana fa, questa brodaglia mi serviva per aiutarmi a dormire. Ora ne ho bisogno per calmare i miei bollenti spiriti! Altro che erbe rilassanti, qui mi ci vuole il bromuro… L’ignaro protagonista dei miei sogni erotici, invece, è sul divano che scrive il suo romanzo. Stamani siamo stati svegliati all’alba da una telefonata di Gina che gli ha educatamente ricordato che ha una scadenza da rispettare e che se non lo avesse fatto gli avrebbe altrettanto educatamente tagliato la testa. Il risultato è che sono ormai diverse ore che non si stacca dal suo portatile ed è così immerso nel suo lavoro che non si accorge nemmeno che lo sto osservando con attenzione, mentre sorseggio la mia bevanda calda. Ma non mi lamento, anzi, mi piace poterlo scrutare senza che lui se ne accorga! Una ruga di concentrazione gli attraversa la fronte. Guarda fisso lo schermo e le dita scorrono veloci sulla tastiera, completamente perso nel suo mondo fittizio. Mi soffermo sui suoi occhi e capisco che anche i suoi colori ci stanno bene in questo quadro, nel quadro della mia vita.

Finalmente solleva lo sguardo e il suo mare si incontra con il mio sottobosco.

Ci scambiamo un sorriso, l’ennesimo da quando l’ho lasciato finalmente entrare nella mia vita.

“Detective, sai che fissare le persone è inquietante?”

“Ho imparato dal migliore!” gli rispondo a tono. Poi guardo l’orologio di papà e mi rendo conto che è ora di partire. Ho appuntamento con il dottor Culliford nel primo pomeriggio e questa volta mi accompagnerà Rick.

“Dobbiamo andare, Kate?” mi chiede, comprendendo al volo.

Annuisco e lo precedo in camera dove vado a cambiarmi. Non so se lo fa per rispetto nei miei confronti o perché non sa se può fidarsi delle sue azioni, ma nonostante condividiamo lo stesso letto da diversi giorni, mi ha sempre lasciato da sola ogni volta che dovevo spogliarmi o vestirmi. E anche adesso non fa eccezione. Non avrei mai pensato di trovarmi nel mezzo del cammin di nostra vita a dormire insieme a un uomo per tanti giorni consecutivi senza ancora averlo visto nudo, né parzialmente spogliato. Stranissimo. Ma questa si chiama sopravvivenza. Credo che siamo entrambi una bomba ad orologeria pronta ad esplodere. E quando succederà… ma meglio non pensarci in questo momento altrimenti a New York neanche ci arriviamo.

In pochi minuti siamo pronti e saliamo in macchina. Sempre quella di papà, naturalmente. E lascio guidare Rick. Ok, forse avrei anche potuto farlo io, ma tutto sommato mi piace farmi coccolare. Durante il tragitto mi mordo nervosamente il labbro inferiore e cerco di concentrarmi sul paesaggio che scorre veloce fuori dal finestrino.

“Beckett, andrà tutto bene, vedrai” mi dice con il suo tono di voce profondo che di solito ha un effetto rilassante su di me.

Forse non ha capito quanto sia importante per me che il cardiologo mi dica che va davvero tutto bene e che possa ritornare ad essere una donna normale, in tutti i sensi.

“Sono sicuro che il dottor Culliford ti dirà che potrò dimostrarti quanto io non sia affatto un vecchio, cosa che tu hai messo in dubbio qualche giorno fa”

Quest’uomo mi legge nel pensiero e mi strappa una risata. Ha capito perfettamente, altro che! Forse Richard Castle andrebbe brevettato come antidepressivo e messo sul mercato… anzi no, lo tengo solo per me.

Da ora in poi voglio l’esclusiva.

Magari per tutta la vita.

Oddio, ma che mi viene in mente?

Meglio concentrarsi su altro.

Il viaggio in macchina scorre veloce, fra canzoni alla radio e chiacchiere, e in poche ore siamo all’ospedale. Quanto è cambiato il mio stato d’animo dall’ultima volta che sono venuta qui! Adesso non mi spaventano nemmeno più i rumori assordanti della città.

Rick parcheggia l’auto sul retro dell’edificio e, cavallerescamente, mi apre lo sportello aiutandomi a uscire. Ci avviamo uno accanto all’altra e avrei quasi la tentazione di prendergli la mano ma non voglio mostrarmi così debole. Sono pur sempre il detective Beckett della Squadra Omicidi del NYPD! Sorrido. Non riesco proprio a staccarmi dalla poliziotta dura che pensa sia segno di debolezza camminare mano nella mano con un uomo.

Saliamo al quarto piano e alla postazione delle infermiere ritrovo lei, la signora Stevenson. Appena si accorge della nostra presenza solleva lo sguardo dal monitor del computer e rimane a bocca aperta quando si rende conto che davanti a lei non c’è il mio solito accompagnatore. Lui le sorride educatamente e lei non riesce a smettere di fissarlo. Ci manca solo che si metta a sbavare.

“Buonasera signora Stevenson, sono Kate Beckett e ho appuntamento con il dottor Culliford” cerco di intromettermi in questa scenetta ma l’infermiera non pare aver registrato la mia esistenza all’interno del suo campo visivo, visto che è totalmente concentrata su Rick.

“Signora Stevenson?” provo a richiamarla e lei si riscuote dallo stato estatico in cui è caduta e riprende possesso delle sue facoltà.

“Ehm… sì… mi scusi, è che… io… sa… sono una fan del signor Castle e… non mi aspettavo di trovarmelo davanti…”

“Lo so, faccio sempre questo effetto!” risponde lui gongolante, e il suo ego riempie l’intera stanza. Anzi, l’intero padiglione dell’ospedale, facendomi alzare gli occhi al cielo per l’ennesima volta.

“Comunque, il dottore la sta aspettando, vada pure” si ferma, come a vedere se Rick mi avesse seguito o no, e, non appena resasi conto che ci andrò da sola, la sento alle mie spalle continuare civettuola “Lei invece, signor Castle, può aspettare nella sala d’attesa là dietro… oppure fermarsi qui a fare quattro chiacchiere con me. Mi chiami pure Emma. Che ne dice, ci facciamo anche un caffè? Posso chiamarla Rick? Sa, io ho letto tutti i suoi libri, così mi pare di conoscerla da sempre!”

Ancora non mi abituo alle sue numerose fans, eppure non è la prima volta che mi ritrovo davanti ad una scena del genere. Però finora le cose fra noi erano state diverse, mentre adesso… sì, insomma, lo ammetto: sono gelosa. Comunque, meglio non pensarci adesso. Prima di avviarmi definitivamente verso l’ambulatorio mi volto verso Rick che mi stringe una mano per rassicurarmi. Poi prendo un bel respiro e mi incammino in direzione dello studio del dottor Culliford.

Busso alla porta e una voce dall’interno mi invita ad accomodarmi.

Dopo una rapida occhiata, il cardiologo mi dice: “Kate, come sta? Mi sembra in condizioni decisamente migliori dell’ultima volta che ci siamo visti”

“E’ vero, va molto meglio. Ho molte più energie e mi sento meno stanca” confermo.

“Bene, si spogli e si stenda sul lettino, così vediamo se anche gli strumenti concordano con la nostra diagnosi”

Il dottor Culliford mi ausculta il cuore e osserva con attenzione le cicatrici, poi l’infermiera che lavora con lui posiziona gli elettrodi per eseguire un elettrocardiogramma. Cerco di stare tranquilla, ma il suono della macchina che registra le mie pulsazioni mi mette un po’ d’ansia. Anche se il mio cardiofrequenzimetro mi ha dato notizie confortanti durante le mie passeggiate, temo che la tecnologia più avanzata degli strumenti ospedalieri possa fornire informazioni diverse.

E se ci fossero ancora problemi?

E se non fossi ancora in grado di stare con Rick?

Quanta pazienza potrebbe avere ancora lui?

Tolti tutti gli elettrodi, il dottore procede con l’ecografo mentre pensieri nefasti mi affollano la mente, ma mi volto verso il mio cardiologo e lo vedo che sorride. Il monitor restituisce solo colori rossi, blu e verdi, per me incomprensibili, ma Culliford mi regala un sorriso sincero, come se fosse soddisfatto del verdetto.

“Ha fatto progressi notevoli, Kate. Le pulsazioni sono forti e regolari. Il tono muscolare è nettamente migliorato e il processo di cicatrizzazione è completo. Vedrà che a breve si attenuerà anche questo colore rosato. Potrà anche ricominciare ad indossare il reggiseno.”

Ecco quello è l’ultimo dei miei pensieri, tanto che me ne ero dimenticata. Rilascio un respiro che non mi ero accorta di aver trattenuto e gli sorrido a mia volta. Ora però ho bisogno di sapere una cosa fondamentale e, anche se l’argomento è delicato e mi mette a disagio parlarne con altri, si tratta pur sempre di un medico. Che però mi ricorda mio padre. Insomma, è come se chiedessi a papà se posso fare sesso! Rabbrividisco al pensiero, ma d’altronde devo sapere: era stato così categorico all’inizio sulla questione! E io così depressa da tutta la situazione, da ritenerla una raccomandazione inutile.

“Bene, dottore. Adesso come devo procedere? Voglio dire… posso riprendere la mia vita normale? Insomma… che tipo di sforzi posso fare? … sì, ecco, io vorrei sapere se….”

“Kate, vuole sapere se può riprendere la sua attività sessuale? E’ questo che intendeva?”

Riesco appena ad annuire, terribilmente imbarazzata al pensiero che ovviamente sa che Josh è in Amazzonia e quindi non sarà lui il fortunato.

“Mi faccia proseguire col prossimo esame e vediamo come va” e mi fa cenno di salire sulla cyclette alle sue spalle. L’infermiera mi collega di nuovo agli elettrodi di un macchinario diverso e il dottore mi fa eseguire per la prima volta un elettrocardiogramma sotto sforzo al ciclo ergometro.

“Kate, come prevedevo tutto bene. Stia tranquilla! Può riprendere serenamente la sua vita sessuale. Certo, eviti affaticamenti eccessivi, ma le confermo che quel tipo di tachicardia non sarà affatto dannosa per il suo cuore. Anzi, dalla sua serenità dipende il benessere del suo muscolo cardiaco. Ogni cosa che fa stare bene lei, farà bene a tutto il suo corpo”

Sono così felice che gli occhi mi si riempiono di lacrime.

Il medico mi guarda con affetto e dopo aver concordato l’appuntamento per la prossima visita mi congedo da lui. La mia anima è decisamente più leggera rispetto all’ultima volta che sono uscita da questa stanza.

Appena varco la soglia, vedo Rick circondato da diverse infermiere. E’ accanto alla postazione della Stevenson ed è di profilo. Le sta intrattenendo tutte con il suo solito fare affabulatore, con il suo fascino e la sua innata simpatia. E tutte loro pendono letteralmente dalle sue labbra. Una punta di gelosia si fa strada nel mio cuore ma appena con la coda dell’occhio percepisce la mia presenza, seppure a diversi metri di distanza, si volta nella mia direzione e mi rivolge uno sguardo interrogativo.

Io gli sorrido apertamente e basta questo per fargli capire qual è stato il verdetto del medico e quali saranno le conseguenze. Non serve altro: saluta frettolosamente le sue ammiratrici, con grande delusione di Emma che gli dà appuntamento alla prossima visita, e si incammina verso di me.

Appena mi raggiunge, si abbassa verso di me e mi sussurra in un orecchio, con un tono di voce che è tutto un programma: “Andiamo, detective, torniamo alla baita. Abbiamo molto da festeggiare.”

Un brivido percorre la mia spina dorsale e ho l’impressione che sto per vivere la notte più bella della mia vita.

 

Angolo delle autrici

Il fascino di Rick continua a mietere vittime: sia la tata che l’infermiera sono capitolate davanti allo scrittore, mentre Beckett oscilla fra l'imbarazzo e la gelosia. Ma la cosa fondamentale è che Culliford ha dato il via libera a Kate! Venerdì sapremo come festeggeranno i Caskett.

Al prossimo,

Debora e Monica

 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 - Segni inconfutabili: uno tsunami (in)atteso. Ovvero quando il mare si fonde con il sottobosco ***






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Capitolo 13  - Segni inconfutabili: uno tsunami (in)atteso. Ovvero quando il mare si fonde con il sottobosco.

 

Il viaggio di rientro vola via veloce e neanche ce ne accorgiamo.

Siamo felici.

Abbiamo cantato quasi per tutto il tragitto e siamo alla baita giusto per l’ora di cena.

Castle prende dal portabagagli la spesa che abbiamo fatto in paese, chiude la macchina e mano nella mano ci avviamo verso casa.

Appena entrati ci dirigiamo in cucina e cominciamo diligentemente a sistemare le cibarie in dispensa e in frigo. Uno strano silenzio è sceso tra noi in contrasto con il continuo chiacchiericcio che ci ha accompagnato lungo tutta la strada.

Non parliamo e non osiamo nemmeno guardarci, come se avessimo paura, come se un’inspiegabile tensione ci rendesse impossibile comunicare, a voce o con lo sguardo.

Poi all’improvviso rimango con una scatola di cereali sospesa in aria e, questione di un secondo, la faccio cadere per terra. Castle si gira e mi guarda sorpreso.

La silenziosità adesso diventa piena di significato per noi mentre il mio cuore comincia ad accelerare.

Ci fissiamo per quella che mi sembra un’eternità finché, come mossi da fili invisibili che ci coordinano, ci buttiamo uno nelle braccia dell’altro. Le nostre mani fameliche iniziano a vagare senza meta sul corpo dell’altro mentre finalmente ci scambiamo il nostro primo, interminabile, meraviglioso, eccitante, passionale bacio. Un bacio vero, simile eppure totalmente diverso da quello dato sotto copertura, perché questa volta ne siamo pienamente consapevoli.

Questa volta siamo davvero noi due, senza finzioni, senza barriere, senza muri, senza una guardia da distrarre e senza la fretta di dover andare a salvare i nostri amici.

Le nostre lingue iniziano ad esplorarsi duellando una battaglia dove non ci sono vincitori né vinti. Come se ci fossimo messi d’accordo prima, iniziamo contemporaneamente a toglierci a vicenda quegli strati di vestiti che per giorni interi abbiamo volutamente indossato per mantenere separati i nostri corpi e pezzi di vestiario cominciano a volare qua e là. Le nostre gambe ci conducono invece verso lidi comodi. Ci dirigiamo verso il divano ma Castle si stacca da quel bacio travolgente solo quel tanto che gli serve per prendermi in braccio, scalciare i pantaloni, che gli sono scesi alle caviglie e gli impediscono i movimenti, e salire le scale senza mai staccare gli occhi dai miei.

Il battito del mio cuore è meravigliosamente accelerato e mi sento la donna più viva, felice e amata di questo mondo.

Arriviamo in camera da letto dove, dopo aver spostato il copriletto, iniziamo ad amarci come da tempo sognavamo. Siamo rimasti con pochi indumenti addosso. Castle afferra la mia camicia e non distoglie i suoi occhi dai miei, come a chiedermi il permesso di toglierla, sapendo che comunque non indosso il reggiseno per ordine del dottore. Annuisco lentamente continuando a scrutare il suo blu, intenso come non mai, e osservo estasiata le sue lente mosse che, con attenzione certosina, mi sfilano l’indumento scoprendo quella parte che vorrei ancora nascondergli e che tengo ancora ostinatamente coperta. I miei occhi sono fissi alla reazione di Rick alla mia nudità. Devo capire se gli piaccio, abituato com’è a decolté molto più generosi del mio. E di certo non sfregiati da un’orrenda cicatrice. Lo osservo mentre guarda il mio seno e sfiora con le dita il mio capezzolo facendomi venire un brivido che mi percorre più volte tutta la schiena. La sua premura è quasi maniacale, come se avesse fra le mani un oggetto fragile e prezioso da preservare. Lascia poi vagare lo sguardo su quell’enorme cerotto garzato con cui ho sapientemente celato tutto ciò che non sono ancora pronta a fargli vedere. Mi accarezza lentamente e mi cosparge di teneri baci sopra quel tessuto, dedicando alla parte ancora più attenzioni di quelle riservate al mio seno sano. Quando i nostri occhi si incrociano, capisco che quello che ho nascosto alla sua vista sarà invece un elemento che ci unirà per sempre. Passato il momento della dolcezza, le nostre bocche si incontrano di nuovo dando vita ad un bacio che sarà solo il preludio dell’esplorazione sensoriale che avremo uno dell’altro e finalmente lo ricevo nella mia oasi accogliente e fremente.

Facciamo l’amore con una naturalezza ed un trasporto tali che sembrerebbe che non abbiamo fatto altro per tutta la vita. In realtà credo che questi dieci giorni di intimità platonica ci abbiano avvicinato e unito più che mai. I nostri corpi hanno scoperto la stessa connessione che ha congiunto le nostre anime in queste giornate.

 

Poco dopo, il motore di una jeep romba fuori della baita, si sente uno sportello sbattere e il fuoristrada che riparte. Rick si alza su un gomito per guardarmi e mi chiede “Chi può essere?”

“Non ne ho la più pallida idea!”

“Forse qualcuno ha sbagliato strada ed è venuto nello spiazzo per girar…” Castle si interrompe all’improvviso sbarrando gli occhi.

“Kaaate, sono papà” si sente la voce di Jim chiamare dall’esterno.

“Cazzo, sono un uomo morto!” esclama Castle che è già saltato giù dal letto cercando invano i pantaloni che sono rimasti al pianterreno.

“Accidenti, accidenti, accidenti. Ma che ci fa qui!?!?” mi chiedo nervosa come non mai.

Ma sì, tranquilla Kate, nessuno stress forte ha detto Culliford.

Quel cardiologo non ci deve capire niente, sarei già dovuta essere morta dopo queste giornate!

“Kate mi sto preoccupando! Ohhhh….”  

La voce in lontananza si interrompe all’improvviso. Mi affaccio alla balaustra delle scale dopo aver recuperato velocemente in camera mia una vestaglia per coprirmi e vedo papà che è entrato in casa e sta osservando le buste della spesa ancora per terra e gli sportelli della dispensa aperti. Il suo sguardo vaga sulla distesa dei vestiti sparsi sul pavimento. Mi accorgo che per un momento rimane interdetto, come se non sapesse se ridere per la gioia o inscenare la parte che il suo ruolo genitoriale gli impone. Sono atterrita e dentro di me scende il gelo ma non posso volatilizzarmi quindi decido di fargli sapere che sono quassù e lo chiamo:

“Papà, che ci fai qui?”

Mio padre mi osserva per un tempo che mi sembra infinito, sicuramente sta squadrando i miei capelli sconvolti e la mia faccia da ho appena fatto sesso ed è stato da favola, finché finalmente si decide a dir qualcosa “Sono ore che vi chiamo Kate, sia a te sia a Rick. Ad un certo punto ho pensato che non rispondessi perché il controllo non fosse andato bene e mi sono precipitato qui ma … ho l’impressione che la visita sia andata benissimo!”

Sono imbarazzata come poche volte in vita mia e stento a dire qualcosa di coerente quando si intromette Castle che, con indosso una tuta che ha recuperato da qualche parte, mi cinge le spalle, forse per farmi coraggio, e inizia a impelagarsi in una conversazione che io non avrei nessuna voglia di fare.

“Jim, ecco non vorrei che lei pensasse… sì insomma… lei mi ha affidato sua figlia, un dono prezioso da accudire e proteggere ed ecco lei non penserà… sì insomma che io… mi sia approfittato della situazione. Ecco.” Rick è paonazzo. Io credo di essere della stessa tonalità e papà dal piano di sotto non proferisce parola, mantenendo una faccia da poker da far invidia ai giocatori più scafati.

“Scusa papà per non averti chiamato… io … sono imperdonabile ma il viaggio di ritorno è volato ed io ero contentissima perché la visita è andata benissimo, il dottor Culliford mi ha detto che posso riprendere una vita normale e mentre sistemavamo la spesa… papà scusaci, sono mortificata.”

“Ok Katie, richiamo Tom che mi ha dato un passaggio qui dalla stazione e me ne torno in città…” e si volta verso la porta senza dire altro.

“Papà, ti prego fermati. Parliamone. Rimani a mangiare con noi” provo a convincerlo anche se in cuor mio penso che sarebbe il pasto più imbarazzante della mia vita.

“No, Katie. Ma hai visto che ore sono? La cena mi sembra che abbiate deciso di saltarla e io stasera qui sono decisamente di troppo” così dicendo afferra il pomello della porta e proprio mentre sta per aprire aggiunge “Non sono arrabbiato, sono  forse un po’ a disagio, ragazzi. Un padre non vorrebbe mai vedere sua figlia in certe situazioni anche se è un’adulta.” Si gira lentamente e sorride loro “Kate, sei un’altra rispetto a quando ti ho lasciata. Sei radiosa e questo a me basta. Se tu stai bene, se tu hai voglia di vivere io sono solo… felice…. davvero. Quindi tolgo il disturbo. Buonanotte ragazzi, statemi bene” e, con queste parole esce.

Scendo le scale di corsa ed esco a mia volta dalla baita, seguita da Castle “Papà, ma dove vai con questo buio? Ti accompagniamo noi” provo a convincerlo ma la sua risposta mi lascia basita.

“Mi incammino a piedi e telefono a Tom. Non vi preoccupate e … su andate dentro. Non prendere freddo Kate!”

Castle mi mette un braccio dietro la spalla e mentre rientriamo in casa mi dice che non si è mai sentito così a in difficoltà con il padre di una sua ragazza dai tempi del liceo.

 

Raccogliamo i vestiti in terra e facciamo un po’ di ordine in cucina e, mentre commentiamo l’accaduto sghignazzando come due adolescenti che hanno combinato qualcosa da nascondere a tutti i costi, sbocconcelliamo qualcosa da mangiare. Qualche decina di minuti dopo siamo di nuovo a letto a baciarci lentamente come nei giorni scorsi.

Ad un tratto Castle mi fa una domanda che potrebbe rovinare tutto quanto.

“Per quanto devi portare ancora il cerottone?” mi chiede dolcemente.

Non rispondo subito.

Lui aspetta.

“In realtà potrei farne a meno senza implicazioni sulla cicatrizzazione” dico in un sussurro cercando di ricacciare giù l’angoscia che improvvisamente mi sta attanagliando la gola.

Castle si abbassa e con le labbra segue tutto il contorno della garza.

“Dovresti toglierlo, le ferite guariscono prima all’aria aperta”.

Ma com’è che dicono tutti la stessa cosa? Prima Lanie e ora Rick.

Avvicina le dita ad un lembo e mi chiede “Posso?” sottintendendo che me lo vuole staccare.

Faccio fatica a trattenere le lacrime che in un secondo mi offuscano gli occhi. Perché deve rovinare questo momento fantastico? Lo sapevo che era stato tutto troppo bello.

“No” la mia risposta secca lo spiazza e lo vedo aggrottare la fronte. Poi ricomincia a baciarmi piano dovunque. Sento le sue labbra sul viso e un attimo dopo sul seno e poi in pancia. Sta cercando di farmi rilassare e ci sta riuscendo alla grande.

Ma qualche minuto dopo i miei sensi sono di nuovo tutti all’erta gridando pericolo!

“Non dovresti coprire i tuoi segni di vita, Kate, fanno parte di te, di quello che sei e ci rammentano perché siamo qui”  la sua voce ha un tono molto serio.

Non rispondo.

“Posso?” mi chiede di nuovo riportando la mano sul cerotto nell’intento di togliermelo al primo cenno di cedimento.

“Rick no! Non rovinare tutto. Non me la sento di farmi vedere da te così…  non ancora. Insomma… credimi Rick, sono davvero brutte” dico riferendomi alle cicatrici.

Ma Castle non ha neanche un cenno di tentennamento.

“Fai giudicare me. Il tuo seno è bellissimo” dice accarezzandomi il seno scoperto “non può essere diverso questo, solo per qualche segno”.

Sembra proprio non intenzionato a mollare la presa e le mie difese si stanno sgretolando.

“Ogni cicatrice sul tuo corpo mi dice esattamente chi sei, qual è la tua storia e quali le esperienze che hai vissuto e ognuna di loro mi racconta una parte di te”.

Le lacrime mi velano gli occhi mentre lui continua “Io ti amo Kate e non sarà una piccola imperfezione a farmi cambiare idea su quanto tu sia bella e sexy”.

Non riesco a trattenermi e le mie guance si rigano di pianto.

“Ci credi a quello che dico?” mi chiede.

Faccio con fatica un cenno di assenso con la testa.

“Posso?” domanda ancora.

La commozione mi impedisce di parlare ma muovo impercettibilmente il capo dandogli implicitamente il mio consenso.

Castle mi allunga una mano sulla guancia e io mi ci appoggio come a cercare conforto. Ho il timore di scorgere anche solo per un secondo un lampo di ribrezzo nel suo sguardo.

Senza neanche darmi il tempo di poterci ripensare, strappa il cerotto e fissa il mio petto con uno sguardo pieno di dolcezza e orgoglio.

Sì, orgoglio.

Questo è quello che leggo nei suoi occhi quando tornano a incatenarsi ai miei.

Mi bacia tutte le cicatrici con attenzione, non tralasciando neanche uno dei punti che il chirurgo mi ha messo.

Dopo un lungo momento di stasi catatonica, mi risveglio dalla trance e comincio a restituire le attenzioni che mi sta regalando da ore.

Nel tempo di un battito di ciglia ci troviamo nuovamente avvinghiati a fare e rifare l’amore come se non esistesse niente altro al mondo, con una dolcezza travolgente, appassionata e molto appagante.

I sensi del corpo seguono i dettami dell’anima e del cuore.

E il mio è un cuore strapieno di serenità.

Sono una donna fortunata.

 

Angolo delle autrici:

E vissero felici e contenti… questo per sottolineare lo spirito con cui abbiamo scritto questa ff, un po’ come una favola. Voi lettrici ne avete inventate altre che sono racchiuse in questa. Come non citare la “storia del plaid” dei primi capitoli o la fiaba de “La balena e la tartaruga” di qualche capitolo fa, che sono uscite fuori dalle vostre recensioni? :-)

Siamo giunti alla fine di questa nuova avventura insieme e dobbiamo davvero ringraziare tutti per l’affetto con cui ci avete seguito. E’ d’obbligo però dire che questa volta alcune di voi ci hanno davvero commosso e lusingato con le loro recensioni: Virginia, Rebecca, la nostra EttaSaetta, Tatiana vi siete davvero superate e il vostro affetto e il vostro abbraccio virtuale sono arrivati dritti al nostro cuore. Grazie.

Ma non possiamo non citare Serena, Carmelina, Ally I Holmes, Valefive per la loro costanza. L’entusiasmo delle vostre emoticons, dei punti esclamativi e interrogativi non ha prezzo. E’ arrivato forte e chiaro.

E grazie anche a chi ha letto e recensito qualche capitolo e avrebbe voluto farlo più spesso. Sappiamo che il tempo è tiranno per tutti.

Grazie a chi ha inserito la nostra ff tra le preferite, le ricordate o le seguite.

E grazie anche ai tanti, tantissimi lettori silenti.

E grazie anche a Moby Dick e alla leggenda della balena bianca perché ci ha permesso di scrivere uno dei capitoli che ci ha più divertito. ;-)

E ovviamente grazie a Castle e Beckett che ci hanno ispirato e naturalmente a papà Jim, vero coprotagonista di questa ff.

Un abbraccio e un augurio di Buone Feste a tutti: con il vostro affetto ci avete fatto un prezioso regalo.

Al prossimo esperimento!

Debora e Monica

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