Rock lessons

di Il Saggio Trentstiel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I've got the sun to see your blue eyes ***
Capitolo 2: *** Your head is humming and it won't go ***
Capitolo 3: *** Trading thoughts across from the room ***
Capitolo 4: *** Let me be your guide through this life ***
Capitolo 5: *** I know in time we'll find this was no surprise ***
Capitolo 6: *** The music plays and you display your heart for me to see ***



Capitolo 1
*** I've got the sun to see your blue eyes ***


Titolo: Rock lessons
Titolo capitolo: I've got the sun to see your blue eyes
Fandom: Supernatural
Pairing: Dean/Castiel, più altri a sorpresa
Conteggio parole: 2921 
Genere: Commedia, Romantico
Rating: Arancione
Avvertimenti: Highschool!AU; Lime









 Dean Winchester poteva senza alcuna ombra di dubbio ritenersi una persona normale e soddisfatta della propria vita.
Aveva suo fratello, una media scolastica decente, un'automobile – la sua piccola, la sua Chevy Impala del 1967 – da urlo e frotte di ragazze che avrebbero venduto l'anima al diavolo pur di passare una notte con lui.
Sì, Dean aveva decisamente una vita soddisfacente o, almeno, perfettamente nella norma. A questo pensava mentre la campanella della Lawrence High School comunicava a tutti l'inizio del nuovo anno scolastico. Nello specifico, l'ultimo anno per Dean Winchester.
Salutò con una pacca sulla spalla suo fratello Sam e si accodò alla fiumana di studenti che malvolentieri sciamavano all'interno dell'edificio, il trillo della campanella più simile ai ritmici tonfi di una grancassa che accompagna i condannati al patibolo.
Osservò distrattamente i volti spaesati delle matricole e ignorò spudoratamente – riservandosi comunque un sorrisetto soddisfatto – gli sguardi desiderosi di un paio di ragazze del secondo anno. Il suo sguardo, invece, era tutto per un ragazzo che avanzava verso di lui con fare sicuro, sfidando la corrente di studenti che procedeva in senso inverso.
«Benny!» lo salutò con un amichevole pugno sulla spalla una volta che lo ebbe raggiunto «Sei sparito dalla circolazione, brutto muso!».
Il ragazzo ghignò e scrollò le spalle.
«Sono stato impegnato» si giustificò laconicamente «E prima che ti faccia idee strane, no, Andrea non c'entra nulla».
Andrea era la ragazza storica di Benny. “Storica” nel senso che i due si morivano dietro dal primo anno e solo qualche mese prima si erano ufficialmente messi insieme. Dean era stato costretto a sganciare venti dollari a Charlie Bradbury quando i due si erano presentati mano nella mano ad annunciare la loro relazione, ma ovviamente Benny non sapeva – né avrebbe mai saputo – nulla di tutto ciò.
Dean roteò gli occhi e riprese a camminare mentre Benny consultava un orario tirato fuori da chissà dove.
«Biologia in prima ora!» annunciò contento, da grande fan delle attività come sezionare rane/esplorare il corpo umano qual'era «Tu che hai?».
L'espressione colpevole di Dean era più che eloquente e strappò uno sbuffo esasperato a Benny.
«Troppo impegnato a rimorchiare per passare in segreteria a ritirare l'orario?».
«Ehi!» protestò «Mi è solo sfuggito di mente, va bene?».
Qualcuno gli picchiettò sulla spalla e voltatosi Dean si trovò davanti quel gigante di suo fratello: sorrideva appena, sventolandogli sotto il naso un foglietto dall'aspetto inequivocabile.
«Il tuo orario» comunicò retoricamente mentre glielo consegnava «Ci vediamo a pranzo. Benny».
Salutò l'altro con un secco cenno del capo e si allontanò a passo pesante: non appena ebbe svoltato l'angolo, Benny ridacchiò con una punta di amarezza.
«È ancora geloso, eh?».
Dean emise un mugugno indistinto, troppo concentrato a leggere la prima, terrificante casella dell'orario per prestare attenzione ad altro.
«No. No, il lunedì non può cominciare in questo modo...».
Benny scrutò incuriosito l'orario che Dean stringeva con forza e rise sonoramente prima di poterselo impedire.
«Oh, la Maddon alla prima ora del lunedì! Buona fortuna, fratello!».
«Fanculo!».
Senza smettere di ridere, Benny schivò un pugno da parte dell'amico e lo abbandonò di fronte l'aula di storia che ovviamente era già chiusa. Maledetta stronza...
Come se avesse percepito la presenza di Dean o addirittura il suo insulto mentale – perché lei sapeva leggere nel pensiero, gli studenti lo sapevano bene – la Maddon in persona aprì la porta dell'aula e sorrise con fare mellifluo all'indirizzo del ragazzo.
«Winchester, quale onore averla qui, anche se in ritardo».
Tanto bella quanto perfida – stronza – Abigail Maddon meritava appieno il soprannome che le era stato appioppato dal preside anni prima durante una memorabile assemblea. L'aveva chiamata Abaddon dinanzi l'intera scuola, premurandosi anche di spiegare che la crasi tra nome e cognome della donna non era affatto casuale.
Fu questo pensiero a consentire a Dean di sorridere e di entrare in classe senza procurarsi la prima convocazione in presidenza dell'anno. Al terzo banco, Charlie tolse la borsa dalla sedia e Dean si fiondò al suo fianco.
«Quale onore, Winchester» borbottò lei a mo' di saluto, imitando la voce della professoressa.
«Mi odia. Mi ha sempre odiato, quella stronza».
Charlie non replicò: in tre anni aveva sentito Dean lamentarsi della Maddon chissà quante volte e l'unica cosa da fare in quei casi era tacere, lasciarlo sfogare e annuire di tanto in tanto.
«Se almeno la sua materia fosse interessante...».
Ecco, quello era il primo punto delle validissime argomentazioni di Dean.
«Sicuramente non scopa a sufficienza.».
Il punto numero due era banale, ma pur sempre attuale.
«Lo sanno tutti che la stronza vorrebbe diventare preside.».
Era il terzo punto che solitamente strappava Charlie dal suo torpore e le faceva mandare a monte tutti i buoni propositi di rimanere in silenzio. Quella volta non fece eccezione.
«Smettila con queste teorie complottiste».
«... Eh?».
La voce di Abaddon fece voltare entrambi, specialmente quando pronunciò i loro nomi.
«Se Bradbury e Winchester» al nome del ragazzo seguì una rapida smorfia «hanno finito di flirtare, potete aprire il libro a pagina dieci».
Charlie eseguì all'istante mentre Dean si concesse prima uno sbuffo annoiato.
«Già odio il lunedì».
«E il lunedì a quanto pare odia te» mormorò Charlie in risposta, un mezzo sorriso sulle labbra.
 
***

L'ora di storia si trascinò con una lentezza esasperante e al trillo della campanella fu Dean il primo a scattare in piedi, incurante dell'espressione tutt'altro che amichevole della Maddon, e a uscire dall'aula.
Charlie lo raggiunse qualche istante dopo aggiustandosi sulla spalla la borsa carica di libri e ingombra di spille variopinte. Infilò le cuffiette nelle orecchie e salutò l'amico con un rapido cenno, allontanandosi lungo il corridoio muovendo la testa da una parte all'altra, catturata dalla melodia animata che proveniva dal suo I-pod. Quasi sicuramente Walking on sunshine, Charlie aveva una passione malsana per quella canzone.
Dean scosse il capo e soffocando uno sbadiglio si diresse verso la classe successiva. Letteratura. Un'altra materia da suicidio dei neuroni e per giunta ne avrebbe avuto per due ore di seguito.
Varcò svogliatamente la soglia della classe e si lasciò cadere su una sedia in penultima fila: di lì a poco l'aula si riempì e non appena l'ultimo studente si fu seduto, la voce soporifera del professor Morrison cominciò a blaterare riguardo Willa Cather e la nostalgia che permeava tutte le sue opere.
Dean preferì impiegare il tempo scarabocchiando distrattamente su un foglio e, di tanto in tanto, fissando la chioma ramata di Anna Milton, la santarellina della scuola su cui fantasticava da tempo.
Sarebbe stato interessante vedere se anche sotto le lenzuola – e soprattutto sotto di lui – sarebbe riuscita a mantenere quel suo virginale contegno e quell'aria da ragazza perbene. Forse Anna si sentì osservata perché si voltò verso Dean e inarcò le sopracciglia con aria interrogativa: lui le sorrise e ammiccò, ottenendo unicamente di farla sbuffare e voltare nuovamente. Eppure avrebbe dovuto sapere che non la Milton l'approccio diretto, tanto efficace con le altre ragazze, non serviva a nulla se non a indisporla.
Quello non era il primo rifiuto ricevuto, in generale e da Anna, dunque Dean commentò l'accaduto con un teatrale sbadiglio e si predispose a ignorare per il tempo rimanente la barbosa lezione di letteratura. O almeno così avrebbe fatto – e anche con una certa qual soddisfazione – se qualcuno non avesse bussato alla porta, infrangendo quell'alone di sonnolenza che permeava le lezioni di Morrison.
L'uomo interruppe l'interpretazione piuttosto focosa di una delle citazioni cardine di Alexander's Bridge giusto per borbottare un rapido “Avanti”, esibendosi poi in un pittoresco quanto grottesco monologo.
«Nessuno può costruire la propria sicurezza sulla nobiltà di un'altra persona. Due persone, quando si amano, crescono assieme in gusti e abitudini e orgoglio, ma le loro nature morali (qualunque cosa possiamo desumere da questa espressione gergale) non vengono mai saldate. L'abietto continua a essere abbietto, e il nobile nobile, fino alla fine».
Terminò la lettura e si voltò verso il ragazzo che, ignorato dalla maggior parte della classe – i teatrini di Morrison valevano la pena di essere visti, d'altronde –, aveva fatto la sua comparsa.
Aveva un aspetto terribilmente ordinario, con quei capelli scuri, quegli abiti anonimi e quegli occhiali dalla montatura scura. Dean lo degnò appena di un'occhiata, tornando poi alla contemplazione di Anna Milton. A proposito... Aveva forse sorriso radiosa allo sconosciuto?
Le cose si facevano quantomeno interessanti. Anna sorrideva poco – di certo non a Dean – e sempre con educazione o in maniera contenuta. L'anonimo ragazzo, che tra l'altro aveva cominciato a parlare alla classe da qualche momento, era la prima persona in tutta la scuola a cui la Milton avesse dedicato un simile, luminoso sorriso.
«... Dunque troverete il foglio delle iscrizioni in bacheca» concluse, sorridendo agli studenti. I più non lo avevano ascoltato per nulla, alcuni ridacchiavano apertamente e solo Anna sembrava felice di quanto il ragazzo del mistero avesse appena detto. Dean, suo malgrado, era curioso. Non era ossessionato da Anna – anche se non avrebbe disdegnato un'occhiata sotto quegli abiti da brava ragazza – ma si era insinuato in lui il sospetto che potesse esserci qualcosa tra lei e quel tipo. La cosa più che irritarlo gli procurava un'ondata di indicibile curiosità, cosa strana perché di solito era Sam quello a volersi informare su tutto: curiosità che, forse, avrebbe soddisfatto facendo un salto alla bacheca dove il ragazzo avrebbe affisso un foglio iscrizioni per... Per? Aveva perso quella parte del discorso...
Intanto il giovane si era congedato dal professore e, prima di uscire dall'aula, aveva lanciato un'occhiata distratta agli studenti nuovamente insonnoliti. Dean notò per un istante i suoi occhi blu. Non erano di un blu normale, slavato, sembravano piuttosto fin troppo vividi e brillanti come se brillassero di luce propria.
Il tonfo morbido della porta che si chiudeva segnò la fine di quelle bizzarre riflessioni e il ritorno della voce monocorde di Morrison. Perlomeno mancavano solo dieci minuti alla fine della tortura.
«Vediamo... Winchester, vuoi continuare tu la lettura?».
Vaffanculo.
 
***

«I dieci minuti più lunghi della mia vita!» si lamentò a gran voce Dean, sbattendo di malagrazia il suo vassoio sul tavolo già occupato da Benny e Charlie. Alle sue spalle Sam alzò gli occhi al cielo.
«Non morirai per un po' di cultura in più».
«Fottiti» fu l'immediata replica di Dean «E fottiti anche tu, Benny» aggiunse notando che l'amico stava per dire la sua.
Charlie piluccò il suo arrosto e scosse il capo.
«Com'è che a me non dici mai di fottermi?».
Gli sguardi di Sam e Benny si fecero interessati: come avrebbe replicato Dean?
Il ragazzo parve soppesare un po' la domanda dell'amica, poi si sciolse in un sorriso esageratamente allusivo.
«Perché l'unica che potrà fotterti sarà Scarlett Johansson quando la incontrerai».
A Charlie parve andare a genio tale risposta tanto che sollevò la bottiglietta d'acqua e indirizzò un brindisi a Dean. Sam sbuffò e si lanciò all'attacco della sua insalata, osservato con aria critica dal fratello maggiore.
«Cibo da conigli» sentenziò questi «Non starai esagerando con la dieta, Samantha
Il ragazzone arrossì ma trovò la forza di rispondere.
«Si chiama cibo salutare, Dean. Dovresti provarlo ogni tanto».
Ciò detto si chiuse in un silenzio offeso – cosa che più che mai lo identificava come Samantha – costringendo Dean a intavolare una conversazione normale con gli altri due.
«Andrea non si unisce a noi?».
«No, ha da fare, roba da cheerleader».
Charlie mandò giù il boccone di arrosto e purè e tossicchiò.
«Peccato, almeno avrei avuto qualcosa di bello da guardare!».
Questo fece ridacchiare perfino Sam nonostante la sua pretesa di mostrarsi immusonito per tutta la durata del pranzo e in breve, com'era prevedibile, il discorso tornò a trasformarsi in una gara di insulti e prese in giro.
«Seriamente, Benny» fece Dean indicando la maglietta dell'amico «Team Delena? Cosa sei, una fottuta ragazzina?».
La passione morbosa del ragazzo per tutto ciò che aveva a che fare con i vampiri era nota a tutti, ma nessuno si aspettava che si sarebbe aggravata al punto da spingerlo all'acquisto di simili capi d'abbigliamento.
«Beh, i libri della Smith non sono malaccio» interloquì Charlie «E Nina Dobrev è sexy».
Dean emise un versetto sarcastico, soffocato dalla quantità di carne che occupava la sua bocca, e una volta che ebbe deglutito si lanciò nella sua tirata contro la passione di Benny.
«Bram Stoker? Va bene. Film trash sui vampiri? Ok. Ma non questa roba» lanciò un'altra occhiata disgustata alla maglietta incriminata «Non The Vampire Diaries! Qual'è il prossimo passo, Twilight?».
Sam, per motivi noti solo a lui, rise sommessamente. Osservato con aria interrogativa da Charlie si limitò a sussurrare un “Dopo” e tornò al suo pranzo.
In quella Anna Milton passò accanto al loro tavolo, lo sguardo fisso dinanzi a lei e il passo lento e misurato.
Non appena fu passata, Dean si alzò in piedi di scatto, colpito da un pensiero improvviso.
«Devo andare!» esclamò in risposta alle occhiate interdette degli amici «Ci vediamo all'uscita!».
Si allontanò rapidamente, lo zainetto nero con l'adesivo degli AC/DC che gli rimbalzava ritmicamente sulla schiena a ogni passo. Una volta che ebbe oltrepassato le porte antipanico della mensa, il terzetto rimasto al tavolo agì come un sol uomo.
«La Milton è andata dalla parte opposta».
«Qui c'è qualcosa di sospetto».
«Dean guarda The Vampire Diaries. È del Team Stelena.».
Alla frase di Sam i tre si guardarono negli occhi per qualche istante, finendo poi a ridere fino alle lacrime.
«Oddio...» esclamò Charlie tra le risate «Dean non la passerà liscia!»
 
***

Dean si strofinò vigorosamente un orecchio, infastidito dal fischio che gli pareva di aver udito.
Borbottò contrariato quando la campanella sancì la fine della pausa pranzo ma, ormai in vista della bacheca, proseguì: appagare la propria curiosità valeva bene qualche minuto di ritardo a lezione.
Allungò il passo e ai suoi occhi si presentò una scena per nulla gradevole: il tipo misterioso di quella mattina stava discutendo animatamente con un altro ragazzo la cui espressione la diceva lunga sul suo pessimo carattere. Raphael, un figlio di puttana di prima categoria.
Una volta giunto in prossimità dei due, Dean riuscì a cogliere uno stralcio della discussione.
«Il preside ha deciso così, Raphael, mi dispiace».
Incredibile come quel ragazzo sembrasse riuscire a mantenere la calma anche di fronte al cipiglio più che ostile del suo interlocutore: parlava con voce bassa e rassicurante, non mostrandosi né irritato né intimorito. Raphael dal canto suo sembrava volerlo mangiare vivo.
«Non durerà, Castiel».
Che cazzo di nome era? O forse era un soprannome?
«Non riuscirai a gestire la situazione, e io...» ghignò «Farò quanto è in mio potere per non facilitarti le cose».
Senza alcun preavviso diede uno spintone a Castiel, mandandolo a cozzare contro la parete e facendogli cadere di mano un plico di fogli che si sparsero sul pavimento.
Dean scattò in avanti e si frappose tra il ragazzo spintonato e Raphael, ma quest'ultimo stava già allontanandosi.
«Ehi! Torna qui, idiota!».
Inutile. Raphael non diede alcun segno di aver udito le urla di Dean – né tanto meno di interessarsene – e proseguì la sua tranquilla camminata. Un borbottio indistinto alle sue spalle fece voltare di Dean che parve ricordarsi solo in quel momento di Castiel.
Il ragazzo si era chinato e stava raccogliendo velocemente i fogli, apparentemente dei volantini di qualche genere, senza prestare alcuna attenzione alla presenza di Dean.
Questi lo osservò incerto per qualche istante per poi schiarirsi sonoramente la voce: una volta che ebbe ottenuto la sua attenzione incrociò le braccia e fece un brusco cenno del capo nella direzione verso cui se n'era andato Raphael.
«Tutto bene? Lo stronzo ti infastidiva?».
Castiel – di nuovo, che soprannome del cazzo – scosse il capo e si alzò lentamente, sorridendo affabile a Dean.
«Non esattamente. È una persona rancorosa, ma non credo mi creerà altri problemi» decretò con sicurezza. Di botto, come se avesse ricordato solo in quel preciso istante la buona educazione, tese la mano a Dean «Grazie comunque. Mi chiamo Castiel».
Porca miseria, quindi non era un soprannome! L'altro ostentò un'espressione che sperava fosse indifferente e strinse con vigore la mano offertagli.
«Dean. E non ringraziarmi».
Castiel sorrise ancora e si raddrizzò gli occhiali sul naso: incredibile come anche dietro le lenti i suoi occhi brillassero così intensamente. Più che di luce propria, parevano quasi sottrarla all'ambiente circostante.
Dean si mosse appena, a disagio, e indicò il corridoio alle sue spalle.
«Se va tutto bene, andrei a lezione».
«D'accordo. Oh, aspetta!».
Prima che potesse compiere qualsivoglia gesto, Dean si ritrovò in mano uno dei volantini di Castiel.
«Sinceramente non mi sembri il tipo interessato a questo genere di cose,» spiegò lui, raccogliendo nel contempo lo zainetto da terra «ma tentare non costa nulla».
Su queste enigmatiche – e vagamente inquietanti – note si congedò da lui con un cenno e un sorriso. Dean sorrise incerto e si allontanò in tutta fretta dalla bacheca, da quel corridoio e dagli occhi rubaluce di Castiel. Giunto a distanza di sicurezza aprì il volantino spiegazzato: gli bastò leggere le prime due parole stampate in eleganti caratteri in cima al foglio per sentire un brivido percorrergli tutta la spina dorsale.
Castiel aveva ragione, quella non era roba per lui. Neanche per scommessa, neanche sotto tortura.
Appallottolò il volantino e lo lanciò con precisione in un cestino della carta straccia. Tre punti, pensò mestamente dirigendosi a lezione. Avrebbe taciuto su quella storia, avrebbe taciuto su Castiel e soprattutto avrebbe taciuto sulla proposta implicita che gli era stata fatta. Dean Winchester non si sarebbe mai unito a un Glee Club.


















Angolo ottuso dell'autore
E con questo abbiamo appurato che i capitoli introduttivi non sono il mio forte. Pace.
Ma ciao, bellezze, pronte a salpare per questa nuova avventura?
Ci tengo a precisare che questa cosa è colpa – tanto per cambiare – della stimata e pucciosa ThePirateSDaughter, cui mando tutto il mio odio e tutto il mio amore :3
Sì, Castiel fa parte di un Glee Club e sì, ha sottilmente proposto a Dean di farne parte. Come evolverà la cosa? Il titolo dovrebbe lasciar intuire qualcosa...
Bon, con questo ho terminato la sana dose di baggianate quotidiane, ergo a ben risentirci (e recensite, dolcezze *puppy eyes*).

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Capitolo 2
*** Your head is humming and it won't go ***


Titolo: Rock lessons
Titolo capitolo: Your head is humming and it won't go
Fandom: Supernatural
Pairing: Dean/Castiel, più altri a sorpresa
Conteggio parole: 5092
GenereCommedia, Romantico
Rating: Arancione
AvvertimentiHighschool!AU; Lime









 La campanella di fine lezioni era il momento migliore per tirare le somme di una proficua giornata di scuola, per lasciarsi andare a un'infinita serie di sospiri di sollievo e per cominciare a definire i propri obiettivi scolastici annuali.
«Birra?».
Appunto. Sam alzò gli occhi al cielo e tentò per l'ennesima volta di spiegare un paio di cosette al fratello.
«Sei minorenne, Dean. Nessuno venderebbe una birra a un diciassettenne alle due del pomeriggio!».
«Questo lo dici tu» lo rimbeccò lui con un sorriso sicuro: si voltò poi verso una ragazza dai lunghi capelli biondi che stava avvicinandosi in quel momento.
«Ehi Jo, tua madre è al lavoro oggi?».
Jo si avvicinò ai Winchester e incrociò le braccia, scrutando il maggiore con aria scaltra.
«Intendi per passare a salutarla o a farti vendere illegalmente» calcò con cura l'ultima parola «della birra?».
Il balbettio confuso di Dean non fece che confermare quanto la ragazza già sapeva. Jo ridacchiò e scosse il capo, allungando poi una mano per pizzicargli una guancia.
«Niente alcolici, ma se volessi passare per un saluto la mamma sarà contenta. Ciao Sam, tienilo a bada!».
«Ci proverò» le rispose lui ridendo e salutandola con la mano mentre si allontanava. Dean non ebbe il tempo di replicare in alcun modo. Era furba, Jo Harvelle, e nemmeno la cotta che – secondo Sam, e Sam capiva sempre queste cose – aveva per lui l'aveva smossa.
Sbuffò e, fatto un cenno al fratello, si incamminò verso l'uscita. Per quel giorno se ne sarebbe tornato a casa con le pive nel sacco ma, ehi, aveva un anno intero per convincere Jo – e soprattutto sua madre Ellen – a infrangere una stupida regola! Al momento aveva cose più urgenti su cui concentrarsi e no, nessuna di queste riguardava lo studio.
Il suo occhio allenato individuò Anna che chiacchierava con un paio di amiche, i capelli rossi baciati dal sole e un sorriso sereno sul volto pallido. Eccola lì, la causa principale dei suoi borbottii mentali. Sì, borbottii al plurale perché all'ormai atavico “Come posso portarmela a letto?” si era affiancato un fastidioso “Chi cazzo era quel tipo con gli occhi inquietanti che osava farla sorridere?”. Almeno quel Castiel non era accanto a lei, al momento.
Aggrottò le sopracciglia e decise che neanche in punto di morte avrebbe confessato questi suoi pensieri a chicchessia, men che meno a suo fratello. O a Benny. O a Charlie. O...
Qualcuno impattò contro la sua spalla destra facendolo barcollare e strappandolo bruscamente dalle sue poco profonde riflessioni. Dietro di lui Sam si era arrestato di colpo, lo sguardo che saettava da Dean al suo aggressore: sperò intensamente di non dover intervenire per sedare una rissa com'era capitato l'anno precedente con quel coglione di Ephraim Ritzen...
Le speranze di Sam, a giudicare dall'espressione infastidita del fratello e dalla sua postura, stavano però per essere bellamente disattese. Il ragazzo si preparò a mettersi fisicamente in mezzo a Dean e al malcapitato, se questo avesse detto una parola di troppo, ma l'unica parola che venne pronunciata fu alquanto inaspettata.
«Dean!».
Sam si rilassò: se si conoscevano, Dean non avrebbe fatto scenate né alzato le mani. Si sarebbe solo limitato a qualche battuta, la cui pesantezza sarebbe variata in base al grado di confidenza, e se ne sarebbe andato.
«Castiel?».
… O forse la cosa sarebbe andata in maniera ancora diversa. Osservò con aria stupita suo fratello – quello che, giova ricordarlo, piuttosto che raccogliere un oggetto appartenente ad altri preferiva girarci attorno – chinarsi e porgere a quel Castiel lo zaino scivolatogli via dalla spalla dopo l'urto.
Quel nuovo anno scolastico stava cominciando sotto degli auspici decisamente imprevisti.
«Grazie» fece Castiel recuperando lo zainetto e sistemandoselo in spalla: Dean agitò una mano come a voler scacciare un insetto.
«Te l'ho già detto, non ringraziarmi».
Già detto? Le sopracciglia di Sam quasi sparirono sotto la frangia che gli copriva la fronte per quanto le aveva inarcate. Suo fratello intratteneva rapporti con un ragazzo così fuori dai suoi canoni?
Nel frattempo Castiel si era voltato e gli aveva teso una mano che lui si affrettò a stringere.
«Scusa la maleducazione, Castiel Novak».
«Sam Winchester» gli fece eco, accorgendosi di non riuscire a fissarlo negli occhi per più di qualche istante: alla menzione del cognome, Castiel assunse un'espressione sorpresa.
«Oh, siete fratelli?».
«Siamo fratelli e siamo di fretta» si intromise Dean, afferrando Sam per un braccio e trascinandolo via, per quanto possibile viste le sue dimensioni, di peso.
Sam imbastì un sorrisetto di scusa ma il ragazzo parve non essersela presa a male: salutò entrambi con un cenno e si allontanò a sua volta mentre loro imboccavano rapidamente il viottolo che portava al parcheggio della scuola.
Salirono in macchina in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri: Sam avrebbe voluto esternare i propri ma l'espressione corrucciata del fratello lo dissuase dal farlo.
Dean mise in moto e uscì dal parcheggio di gran carriera armeggiando con i tasti dell'antiquato autoradio.
«Faccio io, tu...».
«No» fece Dean, categorico «Chi guida sceglie la musica, conosci le regole».
Di lì a poco l'abitacolo si riempì delle note morbide di una canzone che, esattamente come Castiel, esulava di molto dai canoni di Dean.
«Gli Air Supply?» domandò Sam mentre la voce di Russell Hitchcock si levava vibrante e piena di emozioni «Sul serio?».
Dean non rispose subito. Parve soppesare per qualche istante l'idea di continuare ad ascoltare “All out of love” ma infine pigiò il tasto di avanzamento e si bloccò in corrispondenza di una canzone più animata e rockeggiante.
«Il CD non è mio, dev'essere di Lisa».
Oh. Sam annuì piano, voltandosi poi a guardare Lawrence scorrere davanti ai suoi occhi fuori dal finestrino. Lisa Braeden, diplomatasi pochi mesi prima, era stata la prima – e forse unica – storia seria di Dean. Non sapeva come e perché fosse finita tra loro, specie considerando l'affiatamento e la complicità che c'erano, ma suo fratello era molto restio a parlarne. L'unica idea che si era fatto era che in qualche modo c'entrasse Ephraim e per questo lui e Dean avevano messo su una rissa in piena regola.
Lo guardò di sottecchi mentre era intento a guidare, muovendo il capo a ritmo con la canzone e affatto intenzionato a togliersi quell'espressione cupa dalla faccia.
«Sembra simpatico» butto lì «Quel Castiel, intendo».
Dean borbottò qualcosa di inudibile. Lanciò un'occhiata di sbieco al fratello e, schiaritosi la voce, ripeté il concetto mormorato poco prima.
«Ha gli occhi inquietanti».
Nonostante la singolarità dell'affermazione, Sam dovette dirsi d'accordo. Gli occhi di Castiel erano troppo blu, troppo penetranti... Troppo e basta!
«Come lo hai conosciuto?».
Di nuovo Dean si prese tutto il tempo che gli parve necessario per rispondere.
«Quello stronzo di Raphael lo stava infastidendo. Sai che non lo sopporto».
Sam mugugnò un qualcosa che suonava come “Sindrome dell'eroe” ma si trattenne dal fare ulteriori commenti, che fossero sul salvataggio di Castiel o su Raphael.
Ci vollero altri dieci minuti e altre due canzoni rock – perlomeno quando i Survivor attaccarono con la loro hit più celebre Dean sembrò dimenticarsi delle sue preoccupazioni – perché i due giungessero a casa.
Casa. Forse una parola esagerata. Si trattava di una modesta abitazione annessa a una altrettanto modesta officina meccanica: l'ampio e incolto cortile antistante la struttura era ingombro di automobili da riparare e vecchie carcasse, bollando il luogo come inospitale.
Per i due Winchester, comunque, non vi era posto più familiare e accogliente in tutta la città. Dean parcheggiò la sua Impala nel luogo da lui eletto come perfetto – niente alberi, niente volatili, riparata dal sole – e si stropicciò gli occhi.
«Quanti giorni mancano alla fine della scuola?».
Sam cominciò a ragionare prima che una risata incredula da parte del fratello lo riscuotesse.
«Stavo scherzando, Sammy! Non prendere tutto così dannatamente sul serio!».
I due scesero borbottando dalla vettura e fecero il loro ingresso in casa spintonandosi come due ragazzini.
«Volete smetterla, idioti?».
Bobby Singer li osservava con cipiglio ostile dalla sua poltrona, un bicchiere di whiskey tra le mani e un quotidiano spiegazzato abbandonato sul bracciolo: i ragazzi sorrisero a quella vista che, al pari della casa, era allo stesso tempo inospitale e familiare.
L'uomo sbuffò e senza preamboli indicò due sedie ai ragazzi.
«Sedetevi. Dobbiamo parlare».
Dean e Sam si scambiarono una rapida occhiata allarmata. Bobby non era una persona allegra ma quella serietà nella sua voce era inusuale anche per lui. I due si sedettero subito, abbandonando gli zainetti sul pavimento e fissando Bobby. L'uomo bevve l'ultimo sorso di whiskey e si schiarì la voce con un grugnito.
«Ho ricevuto una telefonata, stamattina».
«Se è da parte di quella stronza della Maddon...» lo interruppe Dean, ma Bobby lo fulminò con lo sguardo.
«No, la scuola non c'entra!» esclamò, sorvolando sul fatto che Dean potesse avere problemi disciplinari o scolastici già dal primo giorno «Si tratta di un'altra persona».
Sam si sporse in avanti, curioso oltre ogni limite, e anche il fratello si preparò a ricevere chissà quale scottante rivelazione.
«Mi ha telefonato vostro nonno».
Ci fu un singolo istante di sconvolto silenzio prima che i due fratelli parlassero in contemporanea.
«Samuel?».
«Il vecchio stronzo?».
Ovviamente la seconda domanda proveniva da Dean e fu a lui che Bobby dedicò la sua occhiata più raggelante.
«Stronzo o non stronzo, se si è rifatto vivo non c'è da stare allegri».
Lanciò un'occhiata insolitamente grave ai due che erano ancora in attesa. Dean sembrava quasi rilassato – il suo odio per Samuel era roba vecchia, ormai – mentre Sam era tutta un'altra storia. Appariva teso e guardingo ma in fondo ai suoi occhi era possibile scorgere una minuscola scintilla di speranza. Nonostante tutto e nonostante Dean, era ancora affezionato al vecchio.
«Ha chiesto se voi due viveste ancora qui,» riprese poi in risposta alle mute domande dei due fratelli «se andaste a scuola eccetera».
Dean fece una risatina sarcastica.
«E tu cos'hai risposto?».
«Che l'unico Winchester che conosco è il mio fucile» saltò su Bobby «e che se avesse richiamato sarei andato fino a Topeka per ficcarglielo su per il culo».
Il maggiore dei Winchester rise sonoramente ma Sam si rabbuiò. Se fosse per la rispostaccia di Bobby o per altri motivi era difficile dirlo. Senza alcun preavviso spinse la sedia all'indietro, facendo sobbalzare gli altri due per il rumore stridente delle gambe di legno sul pavimento, si alzò e si diresse al piano superiore. Lo sbattere di una porta comunicò che Sam aveva appena raggiunto la sua camera.
Dean sospirò e scosse il capo.
«Bella risposta, Bobby».
L'uomo si rabbuiò e gli puntò un dito contro.
«Sei un idiota, Dean!» sibilò «Non è stata la risposta a far incazzare Sam!».
Di fronte allo sguardo interrogativo del ragazzo roteò gli occhi e si alzò grugnendo dalla poltrona, afferrando un mazzo di chiavi dal tavolo e la giacca appesa accanto alla porta.
«Devo andare in paese per un paio d'ore. Parla con tuo fratello» aggiunse in un tono che non ammetteva repliche. Dopodiché uscì sbattendo la porta e poco dopo Dean udì il rombo del motore di un'automobile che partiva e si allontanava.
Rimase seduto dove si trovava, incerto su cosa fare. Non era abituato a mostrarsi troppo affettuoso ed emotivo con Sam, anche se si trattava dello stesso Sam che da piccolo voleva che fosse lui a leggergli una fiaba prima di addormentarsi, che raccontava orgogliosamente ai suoi amichetti di avere un padre-fratello (che lui chiamava padrello) e che nonostante la sua avversione per Benny non aveva mai detto nulla né a lui né ad altri.
Di lì a poco uno sbuffante Dean stava bussando alla porta della camera del fratello.
«Sammy?».
Nessuna risposta. Sospirò e batté le nocche con più energia contro il legno sbeccato dell'uscio.
«Per caso è quel periodo del mese?».
Neanche la battuta più squallida che avesse potuto concepire sortì alcun effetto. Dean si morse un labbro con fare pensoso e, decisosi, entrò nella stanza pur senza essere stato invitato.
Trovò Sam seduto sotto la finestra, la schiena poggiata al muro e le gambe incrociate: non riuscì a trattenere un sorriso al pensiero che, nonostante i sei anni e i quaranta centimetri in più, Sam continuava a essere il suo fratellino ipersensibile ed emotivo.
Si avvicinò cautamente e lanciò un'occhiata alla copertina del librone che stava leggendo – o fingendo di leggere –, un qualcosa che aveva a che fare con draghi, orchi e tutte quelle cose fantasy che entrambi adoravano.
Tossicchiò e si sedette sul pavimento accanto a lui, fissandolo e accorgendosi che, seppure lo stesse spudoratamente ignorando, Sam non stava leggendo. I suoi occhi erano fissi in un punto della pagina e non si scostavano di lì. Dean non celò un sorriso vagamente divertito e schioccò le dita davanti al naso del fratello, facendolo sobbalzare.
«Allora? Cosa c'è?».
Finalmente Sam alzò lo sguardo e fissò il fratello negli occhi. Dean contava di leggervi un po' di sana rabbia ma quello che vide nelle iridi verdi fu delusione, nuda e cruda.
«Quaranta chilometri».
Aveva parlato a voce bassa e stanca, la stessa voce che – Dean rabbrividì – aveva loro padre quando tornava esausto da quel luogo di torture che chiamava “ufficio”. Dischiuse appena le labbra in una muta richiesta di spiegazioni che non tardarono a giungere.
«Topeka e Lawrence distano solo quaranta, fottuti chilometri» proseguì Sam «Samuel ha continuato a vivere a così poca distanza e si fa vivo per telefono dopo sei anni?».
Bobby aveva ragione, pensò Dean. Non era stata la colorita risposta data a loro nonno a infastidire Sam, era stato il completo menefreghismo dimostrato da Samuel nei loro confronti.
Strinse i denti e focalizzò la sua attenzione sul volto del fratello, gli occhi spenti per la sgradevole rivelazione appena ricevuta, il naso arricciato come disturbato da qualche odore fastidioso, l'accenno leggero di peluria che gli scuriva la mandibola e le gote. Niente da fare, nonostante tutto Dean continuava a vedere in quel volto sempre meno adolescenziale il suo fratellino.
L'odio per il vecchio ribollì bruciante nel suo petto e prima di finire per dire qualcosa di pesantemente offensivo, strinse con forza la spalla di Sam.
«Samuel» si costrinse a chiamare quell'essere per nome «non merita la tua rabbia. Non merita niente di tuo o di mio».
Fece una pausa e tentò di scacciare l'idea che gli era nata in mente, troppo folle per essere vera ma troppo adatta a rincuorare il fratello.
«Un giorno,» esitò appena ma ormai il dado era tratto «quando ci sentiremo in vena di follie, andremo a Topeka a digliene quattro».
E a prendere a calci quel suo culo rinsecchito, aggiunse mentalmente.
«Valar morgaris».
Questo strappò un sorriso a Sam che annuì con scarsa convinzione ma con la sensazione che il peso sul suo cuore si fosse un po' alleggerito.
«Hai ragione. Comunque sarebbe valar morghulis».
Dean roteò gli occhi e sbuffò, intimamente soddisfatto di aver comunque sollevato l'umore del fratello. Si alzò in piedi e diede un buffetto sulla testa a Sam.
«Torno di sotto. Se racconti di questo colloquio a Bobby o a chiunque altro... Draconis!».
La sonora risata di Sam lo accompagnò fuori dalla stanza.
«Si dice dracarys
 
***


Una buona notte di sonno e la prospettiva di un'altra giornata scolastica sembrarono giovare a Sam che già al mattino sembrava aver ritrovato la serenità. Solo il suo sguardo a volte tradiva un certo malessere interiore ma l'unico ad accorgersene era Dean che, comunque, non era intenzionato a toccare ancora quell'argomento.
I fratelli si separarono all'ingresso, ognuno diretto alle proprie lezioni, per poi rincontrarsi come sempre all'ora di pranzo.
Sam raggiunse Dean e Charlie al solito tavolo e di lì a poco ai tre si unì Benny, eccezionalmente accompagnato dalla bella Andrea. La ragazza fece un sorriso luminoso e salutò tutti con un cenno mentre Charlie, come da copione, scattò in piedi e la strinse in un abbraccio mozzafiato.
«Mi sei mancata, bellezza!» quasi gridò «Non abbandonarmi mai più con questi rozzi cavernicoli!».
Andrea arrossì appena ma rise e le restituì l'abbraccio: Dean, mandando giù un boccone di carne incredibilmente grosso, le puntò la forchetta contro.
«Taci, strega, sei più rozza di tutti noi messi assieme!».
Sam e Benny annuirono in contemporanea, incrociando lo sguardo e distogliendolo subito dopo. Intanto Dean e Charlie continuarono il loro battibecco osservati con moderato interesse da Andrea.
«Fanno sempre così?» domandò a bassa voce al fidanzato che ridacchiò.
«Sei fortunata, oggi stanno evitando i toni troppo accesi».
Come a voler confutare quella frase, Dean si lasciò scappare un sonoro “Porca puttana, Charlie, avevi l'alito che sapeva di merda” che fece venire a Sam la voglia di sotterrarsi.
Nel tentativo di preservare la loro salute mentale e, nel caso di Benny, la sua neonata relazione con Andrea – ma perché si era scelto degli amici simili? – il discorso venne provvidenzialmente deviato verso argomenti affatto compromettenti.
«Avete visto in bacheca?» si intromise Benny «Hanno affisso i moduli di iscrizione alle attività pomeridiane».
Sam si fece interessato e perfino Charlie e Dean – lui con un'espressione imperscrutabile – interruppero il loro pittoresco litigio per ascoltarlo. Benny sorrise soddisfatto.
«Non ci sono molte novità, a parte il Glee Club che non credevo avrebbero riaperto dopo l'anno scorso».
«Perché?» domandò subito Dean «Cos'è successo?».
Benny si voltò verso la fidanzata che annuì e sospirò.
«Non ne so molto,» esordì cautamente «visto che ho abbandonato il club prima che scoppiasse il finimondo. Comunque il “capo”» mimò delle virgolette con le dita «del Glee Club era Raphael Barnes. Dispotico, competitivo e fin troppo esigente».
Dean non faticava a crederlo, per quanto mai avrebbe immaginato Raphael alla testa di un gruppo di ragazzi canterini. Doveva essere quello il motivo del suo astio nei confronti di Castiel...
Non richiesta la visione degli occhi blu del ragazzo si fece spazio nella sua mente, procurandogli una serie di brividi fastidiosi e irragionevoli. Avanti, non poteva esserne inquietato a tal punto!
Si costrinse a tornare alla realtà e ad ascoltare Andrea, impresa non facile visto che Castiel era appena passato a poca distanza dal loro tavolo. Si concentrò sugli occhi nocciola della ragazza, così poco magnetici in confronto a quelli di Castiel ma infinitamente più sicuri.
«In tanti ce ne siamo andati prima della metà dell'anno, e abbiamo fatto bene: si vocifera» Andrea abbassò la voce e costrinse tutti ad avvicinarsi a lei per udirla «che Raphael abbia picchiato Alfie Johnston, ve lo ricordate?».
Tutti annuirono. Aveva fatto scalpore, mesi prima, la notizia del ragazzo trovato tramortito e sanguinante negli spogliatoi maschili della palestra. Alfie aveva rimediato una costola rotta e diverse contusioni che gli erano costate un mese di ospedale: a tutti, dai professori alla polizia, raccontò di essere stato aggredito da un ragazzo con un passamontagna e di non averlo dunque potuto riconoscere.
«Perché Raphael avrebbe dovuto quasi ammazzare quel ragazzo?» domandò Sam, ragionevole come sempre.
«Invidia» fu la risposta pronta di Andrea «Alfie era un ottimo cantante e benvoluto da tutti, tanto che in molti avevano deciso di proporlo al preside come nuova guida del Glee Club».
A quelle parole Dean trattenne il fiato. I suoi occhi saettarono da una parte all'altra della sala mensa, fermandosi solo quando individuarono Castiel che mangiava, vivo e vegeto – e solo – a qualche tavolo di distanza. Si sentì subito più tranquillo senza sapersene spiegare il perché. Forse soffriva davvero della sindrome del supereroe.
Charlie bevve un sorso d'acqua e sospirò teatralmente.
«Dovrò dire addio al Glee Club, allora. Non voglio essere malmenata da Raphael,» le sue labbra tremolarono «né da chiunque diventerà sordo a causa mia».
Scoppiò a ridere, accompagnata dagli sbuffi esasperati degli amici e dall'occhiata di rimprovero di Andrea.
«Charlie, il povero Alfie ha cambiato scuola dopo quell'episodio. Non mi sembra carino riderne».
La ragazza appena redarguita mise su un'espressione contrita.
«Va bene. Ma solo perché me lo dici tu. Sai che ho un debole per le tipe mediterranee».
Andrea arrossì di nuovo mentre le risate dei ragazzi si levavano alte e fragorose. Charlie era fin troppo rilassata con la sua sessualità a volte e Andrea non era abituata a tutta quella schiettezza.
A cavarla d'impaccio giunse la salvifica domanda di Sam.
«A quali attività volete iscrivervi?».
Le voci dei ragazzi e delle ragazze si accavallarono mentre ognuno esprimeva a gran voce le proprie preferenze. Dean non si unì a loro, nuovamente immerso nei propri pensieri.
Non aveva senso preoccuparsi per un ragazzo incontrato il giorno prima e con cui aveva scambiato due parole in croce. Si sarebbe dovuto preoccupare di cose più normali, come il compito in classe che la Maddon – quella stronza – aveva programmato per la settimana successiva, quale ragazza portarsi a letto o, per rimanere in tema con la discussione in atto, quale attività pomeridiana scegliere. Di certo non avrebbe dovuto lasciare che Castiel invadesse prepotentemente la sua mente e gli facesse desiderare di rompere preventivamente il muso a Raphael.
«Dean?».
Alzò lo sguardo e scoprì che tutti gli occupanti del tavolo lo stavano fissando. Merda.
«Ti ho chiesto se pensi di entrare nella squadra di basket quest'anno» fece Benny osservandolo con curiosità «Va tutto bene?».
Si costrinse ad annuire e a sorridere, cosa che di solito funzionava.
«Sì, va tutto bene».
Lanciò un'occhiata a Sam e incontrò il suo sorriso comprensivo. Si odiò per essersi scoperto più preoccupato per uno sconosciuto piuttosto che per suo fratello e relegò il pensiero di quel dannato Castiel – e dei suoi dannatissimi occhi – in un angolo remoto della mente, sperando che non si sarebbe mai più riproposto.
Non poté tuttavia impedirsi di lanciare un'altra rapida occhiata al tavolo del ragazzo, trovandolo desolatamente vuoto. Inspirò e si rivolse agli amici.
«Non sarebbe male rientrare nella squadra di basket: violenza e pollastre!».
Charlie alzò gli occhi al cielo.
«Sei un vero uomo, tu» sentenziò lapidaria, alzandosi e recuperando la borsa non appena la campanella trillò «Vado a fingere di essere un uomo in palestra, ci vediamo lì, Andrea?».
La ragazza annuì e dopo un rapido bacio a Benny – Dean ghignò ostentatamente – si affrettò a raggiungere la compagna. Sam si alzò poco dopo, facendo un cenno col capo al fratello.
«Faccio un salto alla bacheca, vieni anche tu?»
Dean annuì e dopo aver salutato Benny, che aveva sospirato divertito dall'essere stato ignorato da Sam, seguì il fratello.
Usciti dalla mensa, Sam lanciò un'occhiata inquisitoria a Dean.
«Sei preoccupato» affermò con certezza «C'entra qualcosa il discorso di ieri?»
Il fratello sbuffò.
«Sam...»
«No, Dean, ascoltami» lo interruppe «Starò bene. Sono stato bene per sei anni senza Samuel e ho te al mio fianco» sorrise «Ora chiamami pure Samantha».
Entrambi si lasciarono andare a una risata liberatoria e smisero solo quando giunsero davanti alla bacheca ingombra di fogli e volantini. Sam osservò con interesse un depliant del Club di Scienze mentre Dean si auto insultava mentalmente. Era suo fratello che aveva bisogno di lui, non... Anna Milton?
Il nome della santarellina era apparso nel suo campo visivo, vergato con precisione sotto quello di Castiel Novak sul depliant del Glee Club.
Ecco. Come mandare a puttane i suoi buoni propositi.
Si avvicinò con discrezione al volantino ma prima che potesse raggiungerlo Sam gli mise una mano sulla spalla.
«Cosa guardi?».
Dean fu costretto a improvvisare e per sua fortuna il foglio delle iscrizioni per la squadra di basket era affisso proprio lì accanto. Lo indicò e sghignazzò.
«Dorothy Baum ha provato a iscriversi alla squadra maschile di basket anche quest'anno!».
Sam lesse il nome della ragazza e scosse il capo, divertito ed esasperato allo stesso tempo.
«Dovremmo farla incontrare a Charlie,» rimuginò «potrebbe essere interessante e la smetterebbe di mettere Andrea in imbarazzo. Sì,» aggiunse poi «credo che mi iscriverò».
Frugò nello zainetto e ne trasse una penna con cui appose il proprio nome su due volantini, quello per il Club di Scienze e quello per la squadra di basket. Porse poi la biro a Dean e accennò col capo alla bacheca.
«Forza, scegli e poi andiamo a lezione».
Dean esitò per un secondo ma la parte più ragionevole di lui prese il sopravvento: aggiunse il suo nome alla lunga lista per la squadra di basket e restituì la penna a Sam.
«Uno è più che sufficiente» annunciò soddisfatto. Controllò poi l'ora sull'orologio da polso e imprecò sonoramente.
«Cazzo, sono in ritardo! Ci vediamo all'uscita!».
Si allontanò di corsa e Sam lo imitò solo dopo essersi concesso una plateale manata sulla fronte.
Poco lontano, un ragazzo dai vividi occhi blu aveva seguito con attenzione ogni loro mossa. Una volta che il corridoio si fu svuotato, si avvicinò alla bacheca e controllò il volantino del Glee Club.
Anna Milton, Kevin Tran, Meg Masters... Ma nessun Dean Winchester scritto con quella grafia frettolosa e spigolosa. Sospirò e si strinse nelle spalle, affrettandosi verso la sua classe.
Non poteva negare, almeno a se stesso, di aver sperato che Dean si iscrivesse al suo club. Gli sembrava un ragazzo a posto, un po' burbero ma lo aveva aiutato piuttosto che ignorarlo, non era forse quello un segno di buon cuore? E poi c'era qualcosa nel suo sguardo che gli piaceva. Dean aveva uno sguardo limpido e sincero, come pochi se ne incontravano in giro.
Sorrise pensoso tra sé e allungò il passo. Qualcosa gli diceva che quella non sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe avuto a che fare con Dean Winchester.
 
***


Era scemo o cosa? Terminate le lezioni aveva abbandonato l'aula in tutta fretta e solo arrivato all'uscita si era accorto di aver dimenticato le chiavi della macchina sotto il banco.
Si era immediatamente attivato per risolvere quell'incresciosa situazione, spedendo in primis Sam a difendere – a costo della vita, Sammy – la sua piccola e lanciandosi poi in una corsa sfrenata verso l'aula di biologia.
La Dea Bendata doveva avere una cotta per lui, e come darle torto pensò compiaciuto, perché entrato come una furia nella classe e raggiunta la sua postazione ritrovò le chiavi intonse ed esattamente dove le aveva lasciate. Uscì nel corridoio e le lanciò per aria, la chiave di avviamento che cozzava tintinnando contro il portachiavi a forma di pentacolo inscritto in un cerchio, riafferrandole al volo, quando qualcosa lo costrinse a bloccarsi. Due voci. Per la precisione una voce maschile e una voce femminile. La proprietaria della seconda stava cantando senza timore di essere udita in un'aula poco più avanti e Dean, spinto dalla curiosità – o da un'improvvisa quanto inopportuna consapevolezza? – si avvicinò cautamente.
La porta della stanza era socchiusa e il ragazzo avvicinò silenziosamente il volto allo spiraglio: riconobbe nell'immediato la chioma ramata di Anna non appena la ragazza apparve nel suo campo visivo, sorridendo estasiata e cantando a gran voce, bella come una fata.
«... And if it turns out it's over too fast... I'll make every last moment last, as long as you're mine...».
Dean non poté non dirsi impressionato. La voce di Anna era davvero incantevole, delicata ed emozionante e sebbene lui fosse più incline a ben altri generi musicali sapeva riconoscere una brava cantante quando la sentiva.
Poi la voce maschile cominciò a cantare e Dean sentì qualcosa dentro di lui muoversi e dibattersi come impazzito.
«Maybe I'm brainless, maybe I'm wise, but you've got me seeing through different eyes...».
Se Anna era brava – e lo era davvero – il suo compagno di esibizione era... Perfetto. Chiunque fosse cantava come se non avesse fatto altro nella sua vita, tessendo emozioni con la sua voce ed elevandole al loro grado più alto. Dean si sentì come se ogni parola di quella canzone gli appartenesse, ogni sua cellula vibrava al tempo decretato dalla voce. Fu solo quando riaprì gli occhi – quando li aveva chiusi? – che dal suo spiraglio riconobbe Castiel.
Si era tolto gli occhiali, arrotolato le maniche della camicia fin sopra i gomiti e sembrava così a suo agio in quello che stava facendo da essere quasi irriconoscibile. Dov'era finito il ragazzo all'apparenza goffo e timido che parlava a voce troppo bassa e pranzava in completa solitudine? Perché al suo posto c'era un leone che invece di ruggire cantava come un usignolo?
Solo gli occhi, sempre quei maledettissimi occhi, erano rimasti immutati. Blu come il cielo d'estate e luminosi come acqua di sorgente. Fissavano Anna che si muoveva con grazia e appariva più bella del solito, ma Dean non riusciva ad allontanare lo sguardo da Castiel.
«Somehow I've fallen under your spell, and somehow I'm feeling it's “up” that I fell...».
La voce di Castiel salì di un'ottava dopo l'altra, controllata come il suo proprietario e subito dopo Anna ricominciò a cantare, intrecciando la propria voce delicata con quella più forte del ragazzo.
Dean rimase immobile fino alla fine dell'esibizione, impossibilitato a muoversi. Qualcosa in lui sembrava essersi infranto e ricomposto almeno una dozzina di volte, qualcosa in lui era terribilmente affascinato e spaventato dalla scena a cui stava assistendo.
Dopo l'ultima vibrante nota, Anna batté le mani un paio di volte e abbracciò Castiel: il ragazzo la strinse e posò la fronte sulla sua, socchiudendo gli occhi.
«Ti ringrazio, Castiel. Avevo davvero bisogno di tutto questo».
Lui sorrise e scosse impercettibilmente il capo.
«Non ringraziarmi» e qui Dean ebbe come una sensazione di déjà vu «Per me è un onore e un piacere».
Anna gli accarezzò dolcemente il volto e con un ultimo sorriso si separò da lui, sparendo dal campo visivo di Dean.
Castiel prese un profondo respiro e passò distrattamente lo sguardo sulla porta socchiusa. Dovette vedere qualcosa di strano perché aggrottò le sopracciglia e si avvicinò all'uscio, la mano tesa verso la maniglia e un nome sulle labbra.
«Dean?» sussurrò. Quando aprì la porta non vide però nessuno.
 
***


A un corridoio di distanza, Dean smise di correre. Aveva rischiato di farsi scoprire a origliare e spiare due persone che, forse, dopo la canzone sarebbero passate a ben altre attività ricreative: in fondo quel duetto doveva preludere a un qualcosa di intimo, altrimenti non si sarebbe spiegato quel contatto eccessivo tra Castiel e Anna.
Cercò di rilassarsi mentre si avvicinava all'uscita e individuava la sagoma gigantesca di suo fratello, riaprendo le mani che chissà quando aveva stretto a pugno e facendo tintinnare con forza le chiavi.
«Credevo ti fossi perso» lo accolse beffardamente Sam, cambiando di colpo atteggiamento non appena intravide l'espressione sul volto di Dean.
«Va tutto...?».
«Benissimo, sì!» lo aggredì lui «Veloce, alla macchina. La musica la scelgo io. Led Zeppelin. Whitesnake. Rock duro e cattivo».
A Sam non rimase altro che seguire interdetto quell'invasato che in teoria era suo fratello.









Angolo ottuso dell'autore
Ciao, pennuti (?)!
Stavolta ho scritto a manetta, l'ispirazione mi ha preso a randellate. Letteralmente.
Un po' di tutto in questo capitolo, dal fluff fraterno ai patemi mentali di Dean fino al primo “numero musicale”: per i meno esperti, la canzone sulle cui note duettano Castiel e Anna è “As long as you're mine” dal musical Wicked (amo Idina Menzel <3).
Ne approfitto per ringraziare chi recensisce, chi preferisce e chi segue questa storia: spero di non deludervi mai, miei adorati :3

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Capitolo 3
*** Trading thoughts across from the room ***


Titolo: Rock lessons
Titolo capitolo: Trading thoughts across from the room
Fandom: Supernatural
Pairing: Dean/Castiel, più altri a sorpresa
Conteggio parole4790
GenereCommedia, Romantico
Rating: Arancione
AvvertimentiHighschool!AU; Lime









 Succede spesso, molto più spesso di quanto non si creda, di imbattersi costantemente nella persona che si vuole a tutti i costi evitare. La cosa ha un che di perverso ma logico, un ennesimo corollario non scritto alla Legge di Murphy.
Dean aveva passato il resto della settimana a evitare in tutti i modi Castiel ma, ovviamente, il ragazzo dagli occhi blu sembrava essere ovunque. In palestra, nei bagni, nelle aule – perché Dean aveva scoperto di condividere anche due corsi con lui –, lui c'era sempre.
Trovarselo inaspettatamente davanti in continuazione aveva spinto Dean a diverse e disonorevoli fughe oltre a elevare il suo livello di irritazione, con grande scorno dei suoi amici.
«Si può sapere cos'hai?» sbottò infine Sam quel venerdì.
Il fratello si era infatti lanciato in una sequela di improperi che avrebbero annichilito perfino Bobby – beh, forse no, magari l'avrebbero reso orgoglioso – perché l'antina del suo armadietto cigolava. Per la cronaca, il giorno precedente aveva abbandonato la mensa di gran carriera – non ho fame, va bene? – lasciando di stucco tutti i loro amici. Certo, nessuno di loro si era accorto di Castiel che, seduto come sempre da solo, aveva lanciato un'occhiata al loro tavolo e incrociato lo sguardo di Dean.
Sam aveva tentato di trovare una spiegazione logica ma, strano a dirsi, non gliene era venuta alcuna in mente. Alla fine dunque aveva optato per un approccio meno logico e più dialogico.
«Sei irritabile, pronto a scattare e ti comporti in maniera assurda,» enumerò «se fossi un bastardo ti domanderei se hai il ciclo, Deanna».
«Fino a prova contraria sei tu la donna, Samantha» sibilò Dean, sbattendo l'antina dell'armadietto con molta più forza del necessario e attirando diversi sguardi su di loro. Prima che Sam potesse bloccarlo o dire alcunché, levò una mano e inspirò profondamente.
«Ho solo bisogno di tranquillità. Il rientro a scuola è sempre traumatico» mentì di getto. Sam non si lasciò però convincere così facilmente.
«No, Dean, sei troppo turbato».
Il fratello roteò gli occhi e ostentò un sorriso tanto ampio quanto falso.
«Contento? Ora, se non ti dispiace, me ne vado in bagno».
Ciò detto voltò le spalle al fratello e si allontanò lungo il corridoio continuando a sorridere come un invasato.
Sam rimase immobile per diversi istanti prima di lasciarsi andare a uno sbuffo irritato. Lo faceva imbestialire la tendenza di Dean a tenersi tutto dentro, dalle stupidaggini alle cose più serie, ma soprattutto detestava l'idea di non poterlo aiutare come lui invece aveva fatto da sei anni a quella parte.
Si passò una mano tra i capelli e si morse un labbro con fare pensoso: forse la telefonata da parte del nonno – di Samuel, per l'amor di Dio – aveva turbato tanto lui quanto Dean, solo che suo fratello aveva un modo sbagliato di affrontare la cosa.
Riscossosi, Sam promise solennemente a se stesso che avrebbe fatto di tutto per aiutare il fratello maggiore, anche a costo di cavargli fuori le parole con la forza. No, forse la forza non era la scelta migliore, ma magari una lieve opera di convincimento non proprio ortodossa...
Con questi pensieri turbinanti in mente, Sam abbandonò il corridoio proprio nell'istante in cui Dean faceva il suo ingresso in uno dei bagni della scuola.
Il ragazzo storse il naso per l'odore sgradevole che regnava costantemente in quel luogo e si avvicinò a uno dei lavabi.
Si guardò nello specchio e tentò di sorridere in maniera convincente al proprio riflesso, con risultati pessimi. Sembrava diventato incapace di incurvare le labbra all'insù in maniera spontanea e sincera, e di questo doveva ringraziare... Chi, esattamente?
Non richiesti gli occhi magnetici di Castiel fecero capolino tra i suoi pensieri, scatenandogli un'ennesima ondata di irritazione e costringendolo a sbollirla sciacquandosi energicamente il volto con l'acqua fredda.
Odiava il fatto che Castiel comparisse nella sua mente a scadenze regolari, odiava i comportamenti idioti che aveva messo in atto durante l'ultima settimana e, più di tutto, odiava la sensazione fastidiosa che lo pervadeva ogniqualvolta incontrava Castiel. Non era paura – Dean Winchester non aveva paura di nulla! – eppure tutte le volte fuggiva con la coda tra le gambe.
Chi era quel Castiel, uno stregone? Una creatura soprannaturale? Questo avrebbe perlomeno spiegato quegli occhi inquietanti e quella voce innaturalmente perfetta.
Ah, la voce di Castiel. Altro tasto dolente. Da quando aveva ascoltato – origliato – il suo duetto con Anna, Dean non riusciva a togliersela dalla testa. Cantava divinamente ma cantava canzoni che avrebbero dovuto procurargli l'orticaria. E l'utilizzo del condizionale passato non gli piaceva affatto.
Una delle porte dei cubicoli alle sue spalle si aprì e Dean lo sapeva, lo sapeva cazzo, che lui era arrivato.
«Dean».
Per l'appunto. Dean rimase a capo chino sul lavabo, l'acqua scrosciante a pochi centimetri dal suo naso e le palpebre socchiuse. Non c'era stata alcuna intonazione particolare nella voce di Castiel: non suonava sorpresa o irritata o felice. Sembrava piuttosto voler dire “ho preso atto della tua presenza”. Una cosa simile non avrebbe dovuto creare – di nuovo il maledetto condizionale passato – problemi a Dean.
«Dean?».
Ecco, quello era un tono interrogativo. Una cosa da cui non sarebbe potuto scappare come le volte precedenti.
Richiuse il rubinetto con deliberata lentezza e si raddrizzò, l'orribile e falso sorriso di nuovo sul suo volto.
«Castiel! Ero un po' distratto!».
«Ti capita spesso, ultimamente».
Se l'udito non lo ingannava, Dean aveva sentito distintamente il rumore lontano di qualcosa che si infrangeva al suolo con violenza.
Eppure Castiel non sembrava arrabbiato. Era il ritratto della serenità mentre si lavava con cura le mani, mentre si raddrizzava il colletto della camicia e mentre porgeva un fazzolettino a Dean con un sorriso.
Aveva capito che lo stava evitando da giorni? Nascondeva dietro quella facciata tutta pacatezza e sorriso la sua irritazione o il suo dispiacere? E soprattutto, domanda da un milione di dollari, cosa gliene importava?
Dean accettò il fazzoletto e si tamponò il volto premurandosi di coprirsi gli occhi più volte. Sentiva su di sé lo sguardo di Castiel e non voleva essere costretto a perdere la ragione a causa dei suoi occhi.
Neanche quando lo ringraziò con un cenno lo guardò in volto, preferendo concentrarsi sul cestino della spazzatura in cui lanciò con precisione il fazzoletto appallottolato.
«Bel tiro,» si complimentò Castiel «hai intenzione di entrare nella squadra di basket?».
«Cosa? Oh, sì, certo» replicò in fretta Dean, non aspettandosi che l'altro potesse tentare di mettere in piedi una conversazione «Ho i provini oggi pomeriggio» aggiunse poi senza un motivo apparente.
Castiel annuì appena e si passò una mano tra i capelli. Brutto segno. Quando era Sam a compiere quel gesto, la maggior parte delle volte stava a indicare il suo nervosismo o il suo disagio, ma magari per Castiel aveva tutt'altro significato...
«Senti...» esordì Castiel con fare esitante, cosa che confermò le supposizioni di Dean su nervosismo e disagio «Vorrei farti una domanda, se per te non è un problema».
Dean osservò l'altro con attenzione, complice il fatto che questi stesse guardando da un'altra parte: in quel momento gli sembrava molto più fragile e umano di quanto non fosse apparso nei giorni precedenti, sempre con quella cortina di imperscrutabilità cucita addosso. Però col cavolo che gli avrebbe permesso di fargli chissà quale domanda imbarazzante, era fuori discussione!
«Spara».

Ok, si era fottuto con le sue mani. Ottima mossa, Dean Winchester.
Castiel tornò a dedicare la sua completa attenzione al suo interlocutore il quale, non appena gli occhi blu dell'altro ebbero incrociato i suoi, avvertì come una scossa elettrica lungo la spina dorsale. Roba da manicomio.
«Non voglio essere indiscreto,» cominciò cautamente Castiel «dunque sentiti libero di non rispondermi».
Dean annuì appena, suo malgrado incuriosito e gli fece cenno di proseguire.
«Come mai non ti sei iscritto al Glee Club?».
Il silenzio tombale che seguì quella domanda fu quanto di più logico la mente di Dean potesse concepire.
Ricapitolando, si trovavano in un maleodorante bagno scolastico, non si conoscevano quasi per nulla, sembravano essere agli antipodi per più di un motivo e stavano parlando di un Glee Club. Se si era ritrovato in situazioni più assurde prima di quel momento Dean non lo rammentava, ma ne dubitava fortemente.
Nulla, se non forse un briciolo di civiltà, gli impediva di invitare Castiel a farsi gli affaracci suoi e allontanarsi in fretta da quel luogo – e da quella situazione – così fastidioso.
Dischiuse appena le labbra e fu allora che scoprì di non avere una risposta soddisfacente per quella domanda. Né una scusa plausibile. Neanche un modo accettabile di mandare l'altro a quel paese.
Castiel sorrise e scosse impercettibilmente il capo.
«Scusami, sono stato troppo invadente».
«No...» Dean parve ritrovare l'uso della parola «È solo che... Quelle cose non sono nelle mie corde...».
Banale e insincero, ma in fondo neanche lui sapeva cosa avrebbe voluto effettivamente rispondere. L'espressione di Castiel però piuttosto che sancire la fine di quell'imbarazzante scambio di frasi sembrava invitarlo a proseguire. Dean si schiarì la voce.
«Insomma... Credo che la musica che farete non sarà esattamente il mio genere».
Un lampo di divertimento attraversò gli occhi di Castiel che, incrociate le braccia e inclinato il capo da un lato, replicò con fare provocatorio.
«Come puoi saperlo?».
Oh, semplicemente ho spiato te e Anna Milton mentre cantavate una nenia sdolcinata e strappalacrime, ma complimenti per la voce.
Non avrebbe mai espresso ad alta voce quel pensiero, per quanto l'idea lo stuzzicò per un singolo, terribile istante: scrollò le spalle e sbuffò.
«Da che mondo è mondo nei Glee Club è impossibile ascoltare la musica che piace a me. Il rock» aggiunse poi in risposta allo sguardo interrogativo di Castiel.
Questi annuì solennemente come se avesse detto chissà quale profonda verità. Dean rimase silenzioso, in attesa di una qualunque reazione: irritazione, scoramento o magari rassegnazione.
Tanto per trarsi d'impaccio e ciao ciao al Glee Club e a quei dannatissimi occhi blu.
«Oggi pomeriggio alle cinque ci sarà il primo incontro del club. In caso ti andasse di fare un salto» replicò a sorpresa Castiel «Non ti prometto rock and roll, ma magari potresti trovarti ad ascoltare qualcosa che sia più nelle tue corde».
Più di quanto appena enunciato dal ragazzo era stato il non detto a colpire Dean. Sospeso tra loro era infatti rimasto un muto “E cambiare idea” che poco gli piaceva, così come l'interesse quasi morboso che Castiel sembrava avere nei suoi confronti.
Non ebbe però il tempo di replicare in alcun modo perché Castiel gli sorrise e si allontanò verso la porta che dava sul corridoio.
«Ci vediamo, Dean».
La camminata lenta e misurata, il tono leggero e quel sorriso che gli illuminava ancor di più gli occhi indicavano che Castiel sapeva che si sarebbero rivisti, in un modo o nell'altro. E la cosa peggiore, rimuginò Dean, era che aveva ragione.
 
***


Dean odiava trattenersi a scuola più del dovuto, cosa accadutagli principalmente in seguito a punizioni ricevute gli anni precedenti – e quasi sempre per colpa di quella troia della Maddon –, ma quel venerdì aveva un'ottima ragione. Le selezioni per la squadra di basket erano state fissate per quel pomeriggio e un certo numero di aspiranti cestisti si era già radunato nella palestra.
Dean cercò di svuotare la mente e concentrarsi unicamente su quanto stava avvenendo, dall'ormai rituale discussione tra il coach Lindberg e Dorothy Baum fino all'esilarante scenetta di Chuck Shurley, l'anti-sport per eccellenza, che inciampava sul pallone e finiva lungo disteso per terra.
Poco più in là Sam – che già tutti consideravano parte della squadra, vista la sua altezza – mise a segno l'ultimo tiro libero e si affrettò ad aiutare Chuck a rialzarsi.
«Sto bene, sto bene...» borbottò quello accettando comunque l'aiuto dell'amico «Senza occhiali non vedo un accidente».
«Lenti a contatto, Chuck. Esistono, funzionano e non sono opera del demonio» scherzò Sam, lanciando un'occhiata divertita a Dean.
Lui rispose con un sorriso stentato e lanciò svogliatamente il pallone a canestro, colpendo l'anello di ferro. Maledizione. Se avesse continuato così si sarebbe giocato l'ingresso nel Glee Club...
Un momento.
No. Non poteva davvero aver pensato quella cosa. Era sbagliato, tremendamente e fottutamente sbagliato.
Tutt'a un tratto l'ampia palestra gli parve troppo affollata e soffocante. Il rumore dei palloni che impattavano col pavimento o col tabellone, le urla dei suoi compagni e i fischi sporadici del coach lo stavano assordando più del dovuto.
Abbandonò il pallone sul pavimento e si avvicinò a passo rapido al coach Lindberg, ancora intento a discutere con Dorothy e a urlare di tanto in tanto istruzioni agli aspiranti giocatori.
«Coach» esordì senza preamboli «Non mi sento bene. Credo di avere bisogno d'aria».
Dorothy, interrotta nel bel mezzo della sua tirata sul perché una donna potesse giocare in una squadra maschile, lo fulminò con un'occhiataccia: l'allenatore invece annuì con aria stanca.
«Vai pure, Winchester» borbottò, voltandosi poi verso Dorothy con l'aria di un condannato a morte.
Dean uscì in tutta fretta dalla palestra, i piedi che si muovevano come per inerzia verso chissà quale destinazione. Aveva solo voglia di tornare a casa, rubare un paio di birre dal frigorifero e chiudersi in camera sua senza alcun pensiero. Era però destino che ciò non accadesse.
Oltrepassò i bagni come in trance, dimentico dell'acqua fredda che voleva sentir scorrere sul suo volto e giù per la gola, dirigendosi verso un'aula libera. Quiete e solitudine, ecco ciò che contava di trovare.
Aprì la porta e stava già per tirare un sospiro di sollievo quando una voce lo fece quasi sobbalzare.
«Winchester? Che ci fai qui?».
Voltatosi si trovò di fronte Anna, un plico di fogli tra le mani e l'espressione sommamente stupita. Su alcune sedie alle sue spalle stavano una ragazza dal viso tondo e dai lunghi capelli castani che lo osservava con aria interessata, un ragazzino asiatico e un altro ragazzo che somigliava terribilmente all'Ichabod Crane della Disney. Fu proprio quest'ultimo a prendere la parola non appena ebbe udito il suo cognome.
«Winchester? Sei per caso il fratello di Sam?».
«Oh, quel Winchester!» esclamò beffarda la ragazza dai capelli castani «È vero quello che si dice sulle tue doti?».
Troppe domande, troppa confusione e l'orribile sensazione che qualcosa – tutto – non quadrasse affatto. Ignorò i due che gli avevano appena rivolto la parola e si appellò ad Anna, ancora basita.
«Milton... Credevo di trovare l'aula vuota».
Lei inarcò le sopracciglia e lanciò un'occhiata alle spalle di Dean, come se si aspettasse di veder sbucare qualcuno.
«Non vedo ragazze con te» osservò con una punta di freddezza, strappandogli uno sbuffo esasperato.
«Avevo bisogno di stare un po' da solo,» dichiarò con altrettanto distacco «non credevo di trovare una setta riunita in quest'aula».
Ciò detto si voltò e fece per uscire dalla stanza ma la porta venne aperta da qualcuno che si trovava all'esterno. Dean si sarebbe volentieri gettato dal tetto della scuola piuttosto che incontrare proprio lui.
Arretrò istintivamente biascicando un sommesso “Spazio personale” e si guardò attorno con fare guardingo mentre un orribile sospetto si faceva spazio nella sua mente.
Castiel fece un paio di passi in avanti, stando ben attento a non invadere il prezioso spazio personale di Dean e sorrise incredulo.
«Sei venuto».
Due parole, due semplicissime parole e Dean si sentì sprofondare. In un angolo, coperto da un telo di plastica liso e consumato, c'era una forma massiccia che ricordava un pianoforte. Appeso sopra la porta stava un semplice orologio. Le lancette segnavano le cinque in punto.
«Porca puttana...» sibilò. Si era fregato con le sue mani. Non gli restava altro che fingere un malore e uscire di lì in tutta fretta, così...
«Mi fa davvero piacere».
Il sorriso di Castiel, che sembrava donare nuova luce ai suoi occhi, lasciava intendere quanto quella frase corrispondesse al vero. Era felice che Dean si trovasse lì. Era convinto che avesse messo da parte i suoi sciocchi dubbi.
Dean deglutì e lanciò un'occhiata disperata alle sue spalle: Anna lo fissava con un sorrisetto divertito che mai le aveva visto sul volto, il resto del Glee Club – porca puttana in che guaio si era andato a cacciare – lo osservava con curiosità.
Un rumoroso sospiro, un secco cenno del capo e la sensazione di aver appena firmato la propria condanna alla morte sociale.
«Mi avevi incuriosito» si giustificò a bassa voce.
Il sorriso di Castiel divenne se possibile ancora più ampio mentre gli indicava le sedie rimaste libere. Rigido come un automa, Dean si avvicinò a esse e scelse quella più isolata e lontana dal resto dei ragazzi che lo guardavano chi con invadente curiosità, chi con moderato interesse.
Una volta che si fu accomodato, Castiel si affiancò ad Anna e sorrise a tutti i presenti, soffermandosi un paio di secondi in più su Dean.
«Dunque,» esordì con sicurezza «benvenuti a alla prima riunione ufficiale del Glee Club. Non potete immaginare quanto mi renda felice vedervi qui, non più firme su un foglio ma volti e, ovviamente, voci».
Ci sa fare, pensò Dean che non essendo tipo da discorsi profondi, considerava tali tutti quelli che oltrepassavano certi suoi standard. Era però innegabile, Castiel sapeva come parlare a un gruppo di persone.
«Spero che la vostra permanenza qui sia piacevole e vi permetta di esprimere al meglio la vostra passione e le vostre emozioni» fece una pausa e si scambiò un sorriso complice con Anna: vedendo questo, Dean inarcò le sopracciglia «Ho pensato che oggi potremmo conoscerci un po' meglio, non solo come persone ma anche come voci...»
«Aspetta,» lo interruppe il sosia di Ichabod «dobbiamo cantare adesso?».
La ragazza seduta al suo fianco roteò gli occhi.
«È un Glee Club, genio, ti aspettavi che ci saremmo raccontati barzellette?».
Castiel batté le mani un paio di volte per riportare i due all'ordine, ma non parve affatto irritato dalle interruzioni né dall'atteggiamento sgradevole della ragazza – che, per inciso, aveva cominciato a lanciargli occhiate sensuali –.
«Canterete solo quando ve la sentirete» dichiarò con fare rassicurante «Comunque, anche se dovreste averlo già letto sul foglio iscrizioni, io sono Castiel Novak».
«E io Anna Milton» gli fece eco la ragazza al suo fianco «Onorata di conoscervi».
«Meg Masters» si presentò l'unica altra ragazza «Da che secolo esci fuori, Milton?».
Dean dovette soffocare una risatina mentre il volto di Anna assumeva una tonalità affatto dissimile da quella della sua chioma.
«Garth Fitzgerald IV» annunciò fiero il vicino di posto di Meg. Dean si domandò se anche i tre precedenti fossero brutti come lui.
«Kevin Tran,» si presentò infine il ragazzo asiatico, parlando per la prima volta «e non credo che canterò, ma potrei accompagnarvi con la chitarra o il pianoforte».
Castiel lo ringraziò e poi calò il silenzio. Dean non ne comprese il motivo finché non realizzò che gli sguardi di tutti erano – di nuovo – puntati su di lui. Spalancò gli occhi e prima di poterselo impedire il suo sguardo guizzò verso Castiel che gli fece un sorriso incoraggiante. In altre circostanze si sarebbe rifiutato di sottostare a quello stupido giro di nomi, ma come si poteva dire di no agli occhi inquietanti di Castiel?
«Dean Winchester. E non sono iscritto al Glee Club» puntualizzò, attirandosi un'occhiataccia da parte di Anna. Castiel, dal canto suo, ridacchiò.
«Certo, Dean è... Mio ospite, potremmo dire, sperando che poi decida di unirsi a noi».
Su queste note affatto gradite al Winchester, il ragazzo fece un cenno del capo e Anna avanzò, consegnando un foglio a ciascuno e sistemandosi poi al centro dell'aula.
«In quei fogli troverete alcune proposte per l'esibizione di lunedì, quando ci presenteremo ufficialmente durante l'assemblea scolastica».
A quelle parole una certa agitazione serpeggiò tra gli altri membri del club ma la ragazza alzò le mani e, al pari di Castiel, sorrise con fare tranquillizzante.
«Non vi preoccupate, non è nostra intenzione mettere insieme un numero da musical o un'esibizione da opera lirica» rise con leggerezza «Dovremo semplicemente “farci sentire” dal resto degli studenti con un'esibizione piacevole e sbarazzina».
Prima che Meg potesse acidamente commentare le scelte lessicali di Anna, Castiel accese uno stereo impolverato sistemato accanto al pianoforte e, collegatovi un I-pod, fece partire una melodia lenta. Anna prese un profondo respiro e cominciò a cantare.
«I don't know how to love him... What to do, how to move him... I've been changed... Yes really changed...».
La voce di Anna, per quanto delicata, ridusse tutti al silenzio. La ragazza cantava con gli occhi chiusi, come persa in un sogno fatto di note e parole che sembrava coinvolgerla completamente. Dean l'aveva già sentita cantare e, nuovamente, dovette riconoscere la sua bravura: eppure, si ritrovò a pensare, se al suo posto ci fosse stato Castiel forse le singole note della canzone sarebbero divenute in qualche modo assurdo vere e tangibili. La voce del ragazzo riecheggiò nella sua mente e Dean si sentì come colpito con la forza di un maglio e con la freschezza della pioggia estiva...
Si riscosse giusto in tempo per assistere all'impennata vocale di Anna e per domandarsi cosa cazzo significassero quei pensieri. Non erano da lui, non lo erano mai stati!
«Should I speak of love? Let my feelings out? I never thought I'd come to this... What's it all about?».
Decise di concentrarsi unicamente sulla melensa esibizione di Anna in religioso – e, se aveva individuato la canzone, la parola era perfetta – silenzio. Poco più in là, Garth e Kevin fissavano la ragazza a bocca aperta mentre Meg ostentava una totale indifferenza.
«I wouldn't want to know, he scares me so... I want him so... I... Love... Him... So...».
Sull'eco dell'ultima nota tutti cominciarono ad applaudire, strappando un sorriso soddisfatto ad Anna che abbozzò anche un inchino.
«Meravigliosa» commentò Kevin: Garth si limitò ad annuire, gli occhi sospettosamente lucidi. Meg si strinse nelle spalle ma fu a Dean che si rivolse Castiel.
«Cosa te ne è sembrato?».
Il ragazzo avrebbe preferito rimanere in silenzio e limitarsi a un neutro cenno di approvazione ma a quanto pareva la sua opinione era importante. La cosa, almeno in parte, gli diede uno strano senso di soddisfazione.
«La Milton sa come si canta, non c'è dubbio. Il fatto è...» esitò un attimo, ma ormai era in ballo e tanto valeva ballare «Il fatto è che un'esibizione del genere manca di energia».
Anna fece un versetto sarcastico.
«Manca di energia?» ripeté sbalordita «Parla di un amore proibito, sacro e profano allo stesso tempo, della disperazione di una donna che sa che non potrà essere amata!».
Dean ghignò prima di poterselo impedire.
«Certo, vallo a spiegare a un'orda di studenti che ascoltano Katy Perry!».
Prima che la situazione potesse degenerare, Castiel si piazzò davanti a una Anna sempre più paonazza: le mise le mani sulle spalle e, posata la fronte sulla sua, tentò di tranquillizzarla.
«Sei stata splendida. Hai espresso alla perfezione le emozioni e i sentimenti della canzone».
Dean seguì l'opera di Castiel con vago cipiglio, domandandosi che senso avesse chiedere la sua opinione e poi doverla confutare pochi istanti dopo. Credeva forse che si sarebbe sciolto in lacrime davanti all'esibizione della Milton e l'avrebbe osannata?
Una volta che Anna parve essersi calmata, a sorpresa Meg si alzò in piedi: sorrise con fare svenevole a Castiel e gli porse un lettore mp3 rosso.
«Credo sia il mio turno di parlare di sacro e profano,» dichiarò lanciando un'occhiata divertita all'indirizzo di Anna che si incupì «o forse più di profano. Seleziona la terza canzone, Clarence».
Il ragazzo eseguì senza commentare la storpiatura del suo nome: non appena ebbe premuto il tasto “play” il suono distorto di una chitarra elettrica si diffuse nell'aula, accendendo l'interesse di Dean e facendolo raddrizzare sulla sedia.
Meg ammiccò a Castiel e si mise le mani sui fianchi.
«Let's go girls».
La ragazza cominciò ad ancheggiare a tempo con la musica, lanciando occhiate allusive a tutti i ragazzi nella stanza.
«I'm going out tonight, I'm feelin' alright, gonna let it all hang out! Wanna make some noise, really raise my voice, yeah I wanna scream and shout!».
Non era rock ma, dovette riconoscere Dean, era decisamente meglio della canzone proposta da Anna. Perlomeno c'era qualche chitarra elettrica e Meg, per quanto fin troppo provocatoria, dava un'idea dell'energia che Dean non aveva sentito prima.
«The best thing about being a woman, is the prerogative to have a little fun!».
Di colpo la ragazza si avvicinò a Castiel e, afferratolo per la cravatta, lo trasse più vicino a sé. Anna spalancò la bocca scandalizzata e Garth diede di gomito a Kevin.
«La prossima volta mi metto anch'io una cravatta!»
Kevin sbuffò e roteò gli occhi prima di riportarli su Meg.
«Certo, farai furore».
Intanto Castiel aveva il volto cremisi e non sapeva dove puntare lo sguardo, se sul resto del club o sugli occhi ammiccanti di Meg che continuava a cantare e a flirtare quasi violentemente con lui.
«Oh, oh, oh, I wanna be free yeah to feel the way I feel! Man! I feel like a woman!».
Finalmente Meg spinse via Castiel, che quasi cadde sul pavimento, e riguadagnò il centro dell'aula.
«I get totally crazy! Can you feel it? Come, come, come on baby! I feel like a woman!».
Il silenzio che seguì la scatenata esibizione della ragazza fu infranto dopo qualche istante dai lenti applausi di Dean, cui si unirono pian piano tutti gli altri, anche se Anna unì le mani solo un paio di volte. Meg si riavviò i capelli e con un ampio sorriso tornò al suo posto: Castiel, ancora un po' imbarazzato, si schiarì la voce.
«Wow, davvero... Brava, Meg!».
Lei gli dedicò un sorriso svenevole e Dean alzò gli occhi al cielo: così facendo sfiorò con lo sguardo l'orologio appeso alla parete e, tornato a guardarlo con più attenzione, si accorse che erano già le cinque e mezza.
Scattò in piedi sotto gli sguardi stupiti di tutti e indicò la porta.
«Ho un impegno urgente, devo scappare!».
Scappare. Parola perfetta. Di lì a poco sarebbero finite le selezioni per la squadra di basket e lui non voleva assolutamente che qualcuno lo vedesse in quell'aula e lo collegasse al Glee Club. Per quanto non fosse considerato un club da sfigati, non figurava neanche ai primi posti nella lista dei più popolari, quindi...
Castiel balbettò, preso in contropiede.
«Oh, ehm, ok. Ah, verrai domani...?».
Inutile. Dean era già uscito in fretta e furia dall'aula, lasciando quella domanda incompleta e sospesa nell'aria.
 
***


Riuscì a infilarsi negli spogliatoi della palestra poco prima che il resto dei suoi compagni facesse il suo ingresso: Sam non appena lo notò gli si avvicinò preoccupato.
«Ehi, tutto bene? Sei sparito e il coach ha detto che stavi poco bene!».
Dean sorrise e finì di infilarsi i jeans.
«Un po' di stanchezza, sono uscito a prendere una boccata d'aria».
Sam inarcò un sopracciglio e osservò con attenzione Dean che si costrinse a ostentare un'espressione tranquilla e rilassata. Gli occhi verdi del fratello, appena più scuri dei suoi, scivolavano senza fretta sul suo volto come se potessero cogliere chissà quale segnale di verità o menzogna, cosa in cui Sam pareva essere molto esperto.
«Non me la racconti giusta».
Ecco, come volevasi dimostrare. Dean non perse la sua faccia di bronzo e sogghignò dando un paio di buffetti sulla guancia del fratello.
«Stai perdendo colpi, Sam».
Sam sbuffò e incrociò le braccia, ben deciso a non lasciar perdere.
«Dean,» abbassò la voce mentre un paio di ragazzi passavano loro accanto «ti conosco. So che preferisci tenerti le cose dentro fino a esplodere, ma non funziona così! Puoi parlarne con me, lo sai».
La maschera di noncuranza di Dean si incrinò per un istante, lasciando intravedere a Sam un'espressione dubbiosa, preoccupata, smarrita. Fu solo un attimo, però, e Dean tornò a sorridere.
«Lo so, Sammy, ma non devi preoccuparti per me. Sto bene, va tutto bene».
Si odiò per aver mentito per l'ennesima volta al fratello, specie ora che stava mostrandosi così preoccupato e pronto ad aiutarlo, e desiderò potergli raccontare ogni cosa. Come poteva, però, se neanche lui sapeva cosa stesse accadendogli?
Aveva innanzitutto bisogno di mettere ordine nella sua testa: poi, si ripromise, avrebbe detto tutto a Sam, dal primo all'ultimo dettaglio.
Raccolse lo zaino da terra e uscì dallo spogliatoio seguito dal fratello. Si voltò di tre quarti senza smettere di camminare e lanciò un'occhiata al fratello al di sopra della propria spalla.
«Sammy?».
Quello alzò appena lo sguardo e Dean sorrise.
«Grazie».
Sam sorrise a sua volta e, affiancatosi al fratello, gli diede un leggero pugno sulla spalla.
«Prego, Deanna».
I due uscirono dalla scuola spintonandosi, momentaneamente dimentichi di ogni loro problema ma consci che la cosa non sarebbe durata. Per il momento, fu il loro comune pensiero, meglio godersela.
«Se ti senti stanco posso guidare io fino a casa».
«Non pensarci nemmeno».








Angolo ottuso dell'autore
Ciao piccoli cuccioli di foca (?!?).
Chiedo venia per l'attesa per il capitolo, ma tra una (meritata u.u) vacanza, l'ansia da tesi e la follia di revisionare (leggasi “sistemare in toto”) questo capitolo... Vabbè, l'importante è che infine è giunto! Non mi convince del tutto, ma mi serviva, ecco u_u”
Passiamo al musical corner!
Le canzoni presenti nel capitolo sono “I don't know how to love him” dallo spettacolare musical Jesus Christ Superstar e “Man! I feel like a woman” della meravigliosa Shania Twain.
Grazie come sempre a recensori, seguaci (?) eccetera, vi amo spassionatamente :3

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Capitolo 4
*** Let me be your guide through this life ***


Titolo: Rock lessons
Titolo capitolo: Let me be your guide through this life
Fandom: Supernatural
Pairing: Dean/Castiel, più altri a sorpresa
Conteggio parole3808
GenereCommedia, Romantico
Rating: Arancione
AvvertimentiHighschool!AU; Lime









 Il primo fine settimana scolastico era passato in un lampo e in men che non si dica un nuovo lunedì aveva travolto tutti con il suo carico di stanchezza, noia e malumore.
«Odio la Maddon».
«Se ti fossi deciso a studiare...».
Il temuto primo compito in classe di storia aveva mietuto senza pietà le sue vittime, tra cui uno stordito Dean Winchester. Questi si voltò offeso verso Benny e gli puntò un dito contro.
«Non farmi la predica, tu! Ho avuto altri impegni!».
L'amico roteò gli occhi e sospirò affranto.
«Tipo una full immersion di Moondoor?» domandò con aria inquisitoria «Immagino fosse fondamentale».
Prima che Dean potesse rispondere, Charlie si avvicinò loro avendo ascoltato (o origliato, o dir si voglia) i loro discorsi.
«Benny, caro... Hai dinanzi a te la futura regina di Moondoor, e una futura regina ha bisogno di un aitante cavaliere al suo fianco».
Dean, piuttosto che essere sollevato dal supporto dell'amica, si incupì maggiormente.
«Fa' poco la spiritosa, ti ho vista in aula: hai scritto dall'inizio alla fine senza mai fermarti!»
Charlie scrollò le spalle come a dire che non era niente di che.
«Come hai fatto? Hai anche rimorchiato una fatina, perciò...»
Benny rise sonoramente a questa rivelazione e Charlie abbozzò un sorrisetto.
«Ho fatto una cosa stranissima, Dean» replicò lei con aria da cospiratrice «Ho studiato! Tutta la settimana scorsa! Così ho avuto tempo di combattere per il trono e rimorchiare creature magiche» concluse soddisfatta, scuotendo la chioma rossa con finta vanità.
La ragazza controllò poi l'orologio e soffocò uno sbadiglio.
«Vado a mettere i libri nell'armadietto. Oh, tanto per dovere di cronaca... La fatina ci sapeva fare anche senza bacchetta magica!».
Ciò detto si allontanò lasciando i due amici, ormai abituati a uscite del genere, più esasperati che sconvolti. Il primo a riprendersi fu Dean.
«Se non fosse coinvolta Charlie la cosa sarebbe anche piuttosto eccitante».
Questo fece sì che l'espressione di Benny divenisse sconvolta: dopo aver fissato l'amico, alzò le mani e scosse il capo.
«Non voglio sapere altro» dichiarò «Vorrei dormire sonni tranquilli, stanotte».
Dean sbuffò e sistemò lo spallaccio dello zaino che stava scivolandogli via dalla spalla. Come Charlie poco prima, controllò l'orologio e sbuffò per la seconda volta.
«Devo andare. Letteratura. Morrison».
L'ultima parola gli uscì più simile a un lamento che ad altro ma Benny lo bloccò prima ancora che potesse muoversi o dire altro.
«Frena, bello. Hai dimenticato che oggi c'è l'assemblea?».
L'espressione vacua di Dean indicava che sì, il ragazzo aveva tranquillamente rimosso dalla sua mente quella notizia meravigliosa. Assemblea voleva dire niente letteratura, uscita anticipata e l'intera giornata davanti per fare quel che si voleva.
Dean sorrise e si lasciò andare a un sospiro di sollievo, incurante della voce della sua coscienza – una voce molto simile a quella di Sam – che lo invitava a sfruttare in maniera produttiva quelle inaspettate ore di libertà. Accantonò in pochi secondi questo pensiero fin troppo responsabile e d'improvviso alla voce della coscienza se ne sostituì un'altra. Una voce femminile e delicata che andò a rievocare un episodio evidentemente rimosso da Dean.
«In quei fogli troverete alcune proposte per l'esibizione di lunedì, quando ci presenteremo ufficialmente durante l'assemblea scolastica».
Oh. Il Glee Club. L'esibizione del Glee Club.
Dean, complice la giornata dedicata a Moondoor e il fine settimana passato a oziare nei modi più disparati, si era completamente dimenticato anche di quel particolare. Annuì distrattamente all'indirizzo di Benny che, ignaro della momentanea alienazione dell'amico, stava continuando a parlare.
«Beh, andiamo?» domandò poi Dean improvvisamente curioso di vedere cosa si sarebbe inventato quel gruppetto così male in arnese per infiammare gli animi degli studenti. Benny gli diede una pacca sulla spalla e i due cominciarono a incamminarsi verso l'auditorium.
«Credo che mi siederò con Andrea» buttò lì Benny «La scuola è appena ricominciata e già abbiamo poche occasioni per stare insieme».
Dean emise uno sbuffo sarcastico e si voltò con un ghigno verso l'altro.
«Sei davvero cotto, amico! Vi vedete tutti i giorni a scuola!» replicò, ponderando con attenzione la sua frase successiva «Se però la tua idea è quella di sedervi in fondo e dar sfogo ai vostri istinti... Ehi, chi sono io per impedirtelo?».
Evitò con una risata il pugno che stava per ricevere da Benny, dandogli una leggera spallata per allontanarlo da sé.
«Non sprecare tutte le tue energie con me!».
«Cazzone...» borbottò l'altro a mezza voce, cominciando a guardarsi attorno non appena ebbero fatto il loro ingresso nell'affollato auditorium.
Dopo qualche istante vide Andrea sbracciarsi poco più in là e le sorrise: ignorò stoicamente le risatine di Dean – la ragazza era seduta piuttosto in fondo alla sala – e salutatolo con una smorfia e un rapido cenno la raggiunse.
Dean continuò a ridacchiare e nel contempo osservò i dintorni alla ricerca di Charlie o Sam. Individuò per primo il fratello, seduto tra Chuck e, con sua somma disperazione, Becky Rosen: l'appiccicosa biondina, che fin dal primo giorno aveva eletto Sam suo uomo ideale, era avvinghiata al braccio del ragazzo come una piovra. Una piovra logorroica e imbarazzante.
Intercettò lo sguardo disperato del fratello e, per nulla mosso a pietà, lo salutò da lontano ricevendo in risposta quello che, a giudicare dal movimento della labbra, era un “Vaffanculo”.
Alzò gli occhi al cielo e si allontanò ancora ma, non avendo trovato Charlie ed essendo l'assemblea in procinto di cominciare, si sedette sulla prima sedia libera accanto a dei chiassosi ragazzi del primo anno.
Di lì a poco fece la sua comparsa sul palco dell'auditorium il preside Crowley, un sorriso più simile a un ghigno stampato sul volto e gli occhi che saettavano da una parte all'altra della sala. Batté due colpetti sul microfono e il silenzio calò all'istante.
«Benvenuti, studenti e colleghi! Un nuovo anno scolastico è cominciato e sono lieto di...».
Bastarono quelle poche parole perché Dean – e dozzine di altri studenti – smettessero di prestare attenzione. Il solito barboso discorso di inizio anno, le solite stupide raccomandazioni e i soliti, banali avvisi: dopo quattro anni in quel liceo Dean conosceva quasi a memoria ogni parola enunciata dal preside, dunque preferì impiegare il proprio tempo sognando a occhi aperti.
Come avrebbe potuto impiegare quella giornata? Di certo non studiando, era fuori discussione. Magari avrebbe potuto dare una mano in officina a Bobby, perché no, oppure semplicemente rilassarsi ascoltando per l'ennesima volta la discografia dei Led Zeppelin...
Bastò il solo pensiero della musica per risvegliarlo dal torpore in cui stava cadendo. Musica. A breve avrebbe assistito all'esibizione del Glee Club e di Castiel. Non era certo di come sentirsi al riguardo.
Ci volle un altro quarto d'ora di ciarle inutili e ripetitive perché il preside, con un ampio sorriso, fece l'annuncio che almeno lui attendeva.
«Bene, dopo queste formalità sono lieto di dare il benvenuto sul palco al nostro Glee Club!».
Cominciò ad applaudire e qualcuno – ben poche persone – lo imitò subito dopo. Dean adocchiò Raphael seduto qualche fila più avanti: aveva un'espressione calcolatrice che poco piaceva a Dean e al suo fianco era seduto quel bastardo di Ephraim. Stette a osservarli per qualche altro istante ma quando il sipario cominciò ad aprirsi la sua attenzione fu distolta dai due.
L'esiguo gruppetto di cantanti in erba era già schierato sul palco e il ragazzo asiatico – Kevin, giusto? – imbracciava una chitarra. Attesero che le chiacchiere in sala si quietassero completamente, poi il giovane cominciò a suonare.
Le dita di Kevin si muovevano agili sulle corde dello strumento e una melodia lenta fu subito udibile: poi Anna si fece avanti, gli occhi chiusi e le mani giunte davanti al petto.
«Picture perfect memories, scattered all around the floor...».
Fu il turno di Meg di avanzare e il suo atteggiamento non poteva essere più diverso da quello di Anna: ammiccante, sicura di di sé e sorridente.
«I wanna leave my footprints on the sand of time...».
Dean inarcò le sopracciglia. Quella canzone non c'entrava nulla con quella abbozzata da Anna... Si trattava forse di un... Mash-up?
Ebbe solo il tempo di rammentare il termine esatto prima che Anna proseguisse con la strofa seguente.
«Reaching for the phone, cause I can't fight it anymore...».
Il sorriso di Meg si fece più ampio. Quell'atteggiamento stonava alla grande con le canzoni scelte, due lagne a detta di Dean.
«Know there was something that, and something that I left behind...».
Gli occhi di Dean individuarono infine Castiel, preciso ed elegante come al solito, in piedi appena dietro le due ragazze e affiancato da Garth.
«And I wonder if I ever cross your mind...».
«When I leave this world, I'll leave no regrets...».
Dopo una breve pausa e una rapida occhiata le due ragazze ripresero a cantare in contemporanea, creando un mix di voci e parole ben poco comprensibile. Dean occhieggiò nuovamente Castiel ma il ragazzo sembrava imperscrutabile: che fosse stato tutto studiato? L'espressione poco convinta di Kevin, però, non lasciava adito a dubbi. L'esibizione stava degenerando pian piano.
«And I wonder if I ever cross your mind... For me it happens all the time...» «Leave something to remember, so they won't forget...».
Finalmente (finalmente?) Castiel si sistemò in prima linea assieme a Garth: lui affiancò Anna mentre il secondo prese posto accanto a Meg che, senza alcuna vergogna, roteò infastidita gli occhi.
«It's a quarter after one, I'm all alone and I need you now...».
Brividi irragionevoli percorsero la spina dorsale di Dean non appena Castiel ebbe cominciato a cantare assieme ad Anna. La voce della ragazza, di nuovo, non reggeva il confronto con quella del compagno. Dean si ritrovò a fissare quasi ipnotizzato le labbra di Castiel che si muovevano lentamente, tessendo storie e sentimenti e facendogli dimenticare che quella canzone – e l'esibizione in sé – faceva veramente pena.
La seconda coppia fece loro eco con la strofa seguente.
«I was here... I lived, I loved, I was here... I did, I've done, everything that I wanted and it was more that I thought it would be...».
I ragazzi accanto a Dean furono presi da un attacco di risatine. Come dargli torto, dato che la voce di Garth sembrava lo stridere di unghie su una lavagna? Dean sbuffò mentre Meg, sul palco, non celava il proprio fastidio.
Poco più in là Anna tentennò appena ma si riprese appena in tempo per unirsi a Castiel in quella che, si sperava, doveva essere la conclusione della pietosa esibizione.
«Said I wouldn't call, but I lost all control, and I need you now...».
«I will leave my mark...».
Ora a ridere e a vociare non erano più solo i ragazzi lì accanto, ma molte altre persone nell'auditorium. A Dean parve di udire anche un paio di fischi di scherno.
«And I don't know how, I can do without...».
«So everyone will know...».
Ci fu una breve pausa, durante la quale il vocio degli studenti fu più chiaro che mai, poi il quartetto mise la parola “fine” allo spettacolo.
«I just need you now...» «I was here...».
Ecco, una degna conclusione di merda. Garth aveva cominciato a cantare prima di Meg, rendendo il finale una cacofonia confusa di voci.
Sulle ultime note della chitarra di Kevin i ragazzi del Glee Club fecero un breve inchino, ricevendo più risate e fischi che applausi. Dean non mosse un muscolo, troppo concentrato sull'espressione di Castiel, imperscrutabile come sempre.
Il preside Crowley risalì sul palco e batté le mani un paio di volte, prima di riappropriarsi del microfono e congedare gli abbattuti ragazzi.
«Grazie al Glee Club per questa, uhm... Singolare esibizione».
Era palese che quel “singolare” era solo un modo non compromettente di dire “schifosa” e in tal modo parvero pensarla anche gli studenti nell'auditorium a giudicare dalle risate.
Mentre l'uomo poneva fine all'assemblea, Dean scattò in piedi senza riflettere. Fendette la fiumana di studenti che già cominciavano a uscire dalla sala e a fatica raggiunse le quinte del palcoscenico.
Incrociò Anna che si allontanava in tutta fretta, così dispiaciuta e umiliata da non notarlo neppure; Meg, comparsa poco dopo, gli fece un sorrisetto noncurante.
«Gli autografi dopo, Winchester».
Il ragazzo non replicò, oltrepassandola e ritrovandosi dietro il sipario appena richiuso: strizzò gli occhi nella penombra e individuò Castiel, solo, seduto su una sedia abbandonata lì.
Fece per avvicinarglisi ma la parte razionale di lui lo costrinse a bloccarsi. Perché era lì? Cosa voleva fare, consolare un ragazzo che conosceva appena?
Un ragazzo che ti ossessiona, fece eco la vocetta fastidiosamente simile a quella di Sammy nella sua testa. Scosse bruscamente il capo e fu allora che Castiel lo notò.
Gli sorrise appena, gli occhi stranamente spenti. Non lo chiamò né lo salutò e Dean si sentì terribilmente in colpa, pur non avendo fatto nulla di male.
Fece un paio di passi esitanti in direzione di Castiel tentando di rispondere al suo sorriso.
«Ehi».
Questi scrollò appena le spalle e si alzò in piedi. Sollevò il capo e, fissandolo dritto negli occhi, esalò le ultime parole che Dean si sarebbe aspettato di sentire.
«Mi dispiace».
Quasi trasalì e aprì la bocca per replicare, ma non un suono ne venne fuori. Ci pensò Castiel a trarlo d'impaccio.
«Avevi ragione tu, Dean» e il suo nome, pronunciato da quella voce che poteva compiere magie, parve risuonare come una melodia «Abbiamo operato delle scelte sbagliate, e il risultato è stato quello che hai visto».
Sempre più stupito, Dean fece un altro paio di passi in avanti e sbuffò appena, a disagio.
«Non è andata così male...» mentì, e la bugia doveva essere evidente perché Castiel sorrise divertito e scosse il capo.
«No, apprezzo la tua gentilezza ma è stato un fiasco» dichiarò con semplicità «Avremmo dovuto ascoltarti, qualche giorno fa. Avevi ragione» ripeté.
E fu quello, assieme alla massiccia dose di avventatezza che lo contraddistingueva, a spingere Dean a pronunciare una frase che mai, mai avrebbe pensato di sentir dire con la sua voce in una situazione simile.
«Voglio aiutarvi».
Castiel sgranò gli occhi e, lentamente, un sorriso ben diverso da quello mesto di poco prima cominciò a farsi spazio sul suo volto.
«Dean, io...» balbettò «Grazie. Non so cosa dire...».
«E allora non dire nulla» lo interruppe lui, burbero «Non voglio dare soddisfazione a Raphael».
L'altro annuì e gli porse una mano che lui strinse senza esitare.
«Ti ringrazio, Dean».
Questi si schermì dall'ennesimo ringraziamento e lasciò andare la mano di Castiel.
«Figurati. Avete tutti talento, a parte Garth probabilmente... E te!» si affrettò ad aggiungere «Cioè, non che tu non abbia talento! Insomma non ti ho mai sentito cantare chiaramente, ma immagino che... Che tu sia bravo!».
Castiel abbassò lo sguardo e sorrise mentre Dean si insultava mentalmente con qualunque imprecazione gli passasse per la testa. Il repentino sollevarsi della testa di Castiel lo costrinse a interrompere l'elenco di insulti e il ragazzo tentò di metter su un'espressione per nulla colpevole. O almeno così sperava.
«Stavo pensando... Ti andrebbe di sentirmi cantare? Tanto per fugare i tuoi dubbi».
La situazione stava sfuggendo di mano a entrambi. Si trattava di una proposta innocente e dettata dal contesto, senza dubbio, eppure c'era qualcosa di sbagliato. Se Dean avesse assistito a una scena simile senza esserne coinvolto, l'avrebbe bollata come serenata. Ma in fondo era ancora in tempo per tirarsi indietro con onore, no?
«Va bene» fece stringendosi nelle spalle.
No.
Castiel sorrise – Dean notò come i suoi occhi avessero riacquistato tutta la luminosità che li contraddistingueva – e gli fece segno di seguirlo verso un pianoforte che prima Dean non aveva notato.
«Ma quanti pianoforti ci sono in questa scuola?» borbottò astioso strappando una risatina a Castiel.
«Credo solamente due: questo e quello che hai visto nella sala prove».
Dean batté un paio di volte le palpebre.
«Era una domanda retorica».
«Oh» fu la breve replica di Castiel «Le mie scuse».
Si sedette poi sul basso sgabello posto dinanzi allo strumento, sempre osservato con attenzione dall'altro. Castiel aveva un che di misterioso e di affascinante: carezzò quasi con reverenza la tastiera del pianoforte, pigiando delicatamente qualche tasto per valutare se fosse accordato o meno. Aveva lo sguardo concentrato e le labbra serrate come se tutto se stesso fosse teso a cogliere una qualunque imperfezione sonora; evidentemente non ve n'era alcuna perché il ragazzo lanciò un'occhiata soddisfatta a Dean e si schiarì la voce.
«Spero di non annoiarti, e... Mi piacerebbe sapere cosa te ne pare».
Senza ulteriori indugi, cominciò a far volare le dita sottili sui tasti del pianoforte, traendone una melodia lenta che strappò un basso sospiro rassegnato a Dean. Era mai possibile che quel ragazzo conoscesse solo nenie del genere?
Poi Castiel cominciò a cantare. Dean non poté evitare di sospirare di nuovo, stavolta con ammirazione.
«Can't get you out of my mind so I, try and get space and go outside, but then there you are... Never very far from me here...».
La mente di Dean era alla deriva. Il ragazzo aveva assunto una postura rigida con tanto di braccia strettamente incrociate, e solo la sua espressione vacua lasciava intendere che i suoi pensieri erano lontani mille miglia almeno.
Dean vedeva Castiel suonare, lo sentiva cantare, ma non si trovavano più su un palco polveroso e quasi immerso nel buio. Erano in un bosco, i raggi del sole che gli accarezzavano la pelle e il fruscio delle fronde che si confondeva con la voce carezzevole di Castiel.
Questi aveva gli occhi socchiusi ma la luce del sole giocava comunque con le sue iridi blu, traendone riflessi scintillanti e misteriosi.
«Try and discuss the simplicity and love of a, wood burning fire in front of me, think of other times... Ignore wishes that you were mine...».
Non era la prima volta che Dean si lasciasse inebriare da una canzone che stava ascoltando ma di solito avveniva con canzoni ben diverse e, soprattutto, non a tali livelli. Inspirò profondamente e quasi gli parve di percepire il profumo di alberi e fiori distanti chissà quanti chilometri.
«Bright, bright lights... Spotlight makes it hard to see the stars at night...».
Ora Dean “vedeva” un cielo profondo e immenso, punteggiato da milioni di stelle ammiccanti. Soffriva forse di allucinazioni?
«Everyday has become my stage and I... Feel I have made one, two, three, many mistakes... One, two, three, many mistakes...».
La voce di Castiel si era alzata, sferzante come vento freddo ma dolce come brezza estiva. Dean si costrinse a riaprire gli occhi, accorgendosi solo in quell'istante di averli chiusi.
«One, two, three, many mistakes...».
Vide Castiel rilassarsi e sfiorare appena il pianoforte, voltandosi con un sorriso verso di lui. Lo stomaco di Dean ebbe un lieve, inspiegabile sobbalzo.
«Bright, bright, lights...» quasi sussurrò Castiel, accarezzando un'ultima volta la tastiera e chiudendo poi li occhi. Il silenzio si dilatò tra i due, l'uno seduto e rilassato, l'altro in piedi e teso come una corda di violino.
«Beh...» tentò Dean «Beh, è stato... Interessante».
Non riusciva a trovare parole che rendessero giustizia a una performance di tale entità né, tanto meno, voleva esporsi e far sì che Castiel capisse quanto in realtà quella canzone – e quella sua fottutissima voce – lo avesse colpito.
Il moro riaprì gli occhi e si alzò lentamente, un ampio sorriso sul volto.
«Grazie. Mi fa davvero piacere» esordì, lasciando Dean a domandarsi perché mai la sua banale e borbottata opinione sembrava rallegrarlo così tanto «È una canzone che ho scritto io».
Stavolta Dean non fu pronto a mascherare le proprie emozioni e un'espressione di genuino stupore gli si dipinse in volto, facendo ridere Castiel.
«La cosa ti sconvolge tanto?».
«No, è solo che... Hai talento da vendere» ammise, sollevando appena gli angoli della bocca.
I due rimasero a fissarsi per diversi istanti come timorosi di dire altro o di fare qualcosa di sbagliato, le ultime note vibranti della canzone di Castiel sembravano ancora essere sospese nell'aria.
Dean spostò il peso da un piede all'altro, abbassando lo sguardo di fronte agli occhi dell'altro che davano l'impressione di leggergli dentro e di sapere cosa avesse pensato fino a qualche momento prima.
«Dunque...» infranse prudentemente il silenzio «Quando sarà la vostra prossima riunione?» domandò azzardando un'occhiata in tralice al compagno.
Se non fosse stato un ragazzo duro e tutto d'un pezzo, probabilmente si sarebbe sciolto come neve al sole davanti all'espressione di pura gioia comparsa sul volto di Castiel.
Questi gli si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla sinistra: Dean, che aveva sempre avuto il suo bel daffare a predicare in giro di “rispetto degli spazi personali”, non si sottrasse a quel vago, innocuo contatto.
«Domani pomeriggio alle cinque, se per te va bene» disse tutto d'un fiato «Dean, io...».
«Basta ringraziamenti!» lo bloccò lui in tono scherzoso «Non sai neanche se potrò esservi effettivamente utile».
Castiel scosse con veemenza il capo, rischiando di far scivolare a terra gli occhiali: se li sistemò con un gesto rapido e sorrise ancora.
«Sono sicuro che con il tuo aiuto le cose miglioreranno» dichiarò con semplicità.
Dean sentì una bolla d'orgoglio gonfiarsi nel suo petto e si domandò intimamente se la sindrome dell'eroe di cui parlava spesso Sam lo affliggesse davvero.
Infine Castiel allontanò la mano dalla spalla di Dean e si passò una mano tra i capelli.
«Non vorrei chiederti troppo, ma potresti preparare una breve esibizione? Solo per noi del Glee Club!» aggiunse in fretta notando l'espressione men che lieta dipintasi sul volto di Dean.
Il ragazzo deglutì e prese un bel respiro, trovandosi poi ad annuire come se una forza incontrastabile lo avesse spinto a farlo.
«D'accordo. Ho la canzone giusta per farvi conoscere il rock» acconsentì con un sorriso.
Castiel rise e i due si ritrovarono a stringersi la mano per la seconda volta prima di separarsi e dirigersi all'uscita, almeno nel caso di Dean.
«Devo recuperare degli spartiti» gli spiegò Castiel vedendolo fermarsi «Ci vediamo domani».
Dean annuì e continuò a camminare verso un lato del palco ma non aveva fatto in tempo ad abbandonare la scena – letteralmente – che la voce dell'altro lo richiamò.
«Dean?».
Lui si voltò ed ebbe la netta sensazione che qualcosa stesse per accadere. Ma cosa?
Castiel gli sorrise – un sorriso ampio, sincero, colmo di felicità – e continuò a raccogliere dei fogli sparsi qua e là.
«Non vedo l'ora».
Dean quasi boccheggiò e dovette far ricorso a tutto il suo autocontrollo per limitarsi a borbottare un laconico “Ok” e allontanarsi rapidamente senza dare l'impressione di stare fuggendo.
Uscito dall'auditorium strizzò gli occhi contro la luce del sole che entrava dalle finestre e riprese a respirare più liberamente. Quell'ultima frase di Castiel lo aveva fatto sentire come se una mano invisibile gli avesse improvvisamente stretto lo stomaco. Prima le allucinazioni, poi quello... Forse aveva l'influenza. Forse.
Borbottò qualcosa di indistinto e si allontanò a passo deciso verso l'uscita della scuola. La spalla su cui Castiel aveva posato la mano poco prima sembrava quasi ardere.


















Angolo ottuso dell'autore
Bu-bu-settete!
Lo so, sono un essere abbietto e imperdonabile, ma comprendetemi: la mia laurea è messa in discussione dagli ultimi esami, quindi sono stato (come si dice a Roma) “più de là che de qua”.
Ordunque, niù ciapter e niù ivents! Dean infine ha ceduto – chissà come mai... – e nel prossimo capitolo avremo il piacere di “sentirlo” cantare. Che cosa, chiederete voi? Potete indovinare, sono certo che le vostre mentoline sapranno darmi la risposta esatta :3
Passando al musical corner, qui abbiamo robetta interessante! Nelle esibizioni abbiamo un mash-up (abbozzato dal sottoscritto :3) tra “Need you now” dei Lady Antebellum e “I was here” di Beyoncé; la canzone che Castiel ha cantato *coffcoff* dedicato *coffcoff* a Dean è “Lights” di Nellie Veitenheimer (ex concorrente della seconda stagione del Glee Project, molto brava).
Al solito, millemila grazie a chi recensisce, segue, preferisce, ricorda e anche a chi silenziosamente legge questa storia: lovvovi <3

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Capitolo 5
*** I know in time we'll find this was no surprise ***


Titolo: Rock lessons
Titolo capitolo: I know in time we'll find this was no surprise
Fandom: Supernatural
Pairing: Dean/Castiel, più altri a sorpresa
Conteggio parole: 4662
GenereCommedia, Romantico
Rating: Arancione
AvvertimentiHighschool!AU; Lime
 













Dean passò il giorno seguente in un bizzarro stato di aspettativa, cosa che non passò inosservata a nessuno dei suoi amici.
Se però riuscire a eludere le insistenti domande di Benny e Charlie era stato relativamente facile, non lo fu altrettanto quando Sam lo prese da parte e si lanciò in uno dei discorsi cuore a cuore che da sempre gli valevano il soprannome di Samantha.
«... E se dovessi avere un problema – qualunque problema – sappi che io sono qui per aiutarti» concluse il più giovane con un tono così accorato che a Dean venne voglia di schiaffeggiarlo per farlo rinsavire. Non era depresso né in procinto di lasciarci le penne né appesantito da chissà quali problemi – a parte uno con gli occhi azzurri, sempre se di problema si poteva parlare – dunque la preoccupazione materna di Sam era fuori luogo.
«Sammy...» esordì con voce minacciosa che, pur corredata da uno sguardo ammonitore, non intimorì minimamente il fratello «Porta i tuoi blabla da un blablaologo o mi incazzo sul serio, io sto benissimo».
L'altro roteò gli occhi e con insopportabile tono condiscendente non solo ignorò gli avvertimenti del fratello ma anzi continuò a tormentarlo.
«Dean, non raccontarmi balle. Sei nervoso da una settimana e no,» lo interruppe prima che potesse replicare «la F rimediata in storia non c'entra nulla» «Quella troia mi odia...» borbottò astiosamente l'altro ma Sam lo ignorò e continuò il suo elenco «Non c'entra la scuola, non ti ho visto litigare con nessuno né essere respinto da qualche ragazza, dunque te lo chiederò di nuovo: cos'hai?».
Dean sbuffò e scosse il capo desiderando – forse per la prima volta in vita sua – che la campanella suonasse, sancendo la fine della ricreazione e consentendogli di allontanarsi dal fratello per andare a lezione.
Altrimenti come spiegargli che avrebbe dovuto cantare di fronte ad altre persone, che si era volontariamente impelagato in una promessa che già avrebbe voluto rimangiarsi e che neanche lui conosceva le esatte motivazioni che l'avevano spinto, come ciliegina sulla torta di merda che stava mettendo insieme, a passare una serata intera ad ascoltare fino allo sfinimento una sola, singola canzone?
Constatò con rabbia che la campanella proprio non voleva saperne di trarlo d'impaccio e anzi, una rapida occhiata al suo orologio gli rivelò che la fine della ricreazione era ancora distante. All'occhio attento di Sam non sfuggì nessuno dei gesti di Dean – né, tanto meno, i suoi disperati tentativi di svicolare – e il ragazzo sbuffò.
«Dean,» cominciò con quel tono che non sarebbe stato fuori luogo in presenza di un bambino capriccioso e che al fratello faceva venir voglia di prenderlo a testate «fuggire non serve a nulla».
Nonostante la voce pacata Dean sapeva che quella di Sam era una vera e propria minaccia. Il fratello minore, che stava diventando una signorina, ultimamente era più Samantha che mai e non avrebbe smesso di tartassarlo con domande premurose e veri e propri agguati nei corridoi della scuola.
In un gesto molto poco alla Dean Winchester, questi alzò le mani in segno di resa. Come a voler compensare quel comportamento così inusuale per lui, al gesto fece immediatamente seguire un'occhiata invelenita.
«Cristo, va bene!».
Senza perdere altro tempo afferrò il fratello per un braccio e lo trascinò qualche metro più in là, dove la fiumana di studenti che affollava i corridoi non li avrebbe disturbati: Sam inarcò le sopracciglia e ridacchiò nervosamente.
«Devo preoccuparmi? Hai ucciso qualcuno?» «Fottiti,» ringhiò Dean «e ascoltami perché ti dirò tutto una sola volta».
Sam tacque all'istante, in parte compiaciuto e in parte stupito dalla piega presa dalla conversazione. Se suo fratello aveva infine ceduto dopo “solo” tre giorni di insistenza voleva dire che in ballo c'era qualcosa di grosso: gli fece un cenno col capo per invitarlo a spiegarsi e si preparò a ricevere chissà quale scottante rivelazione.
Dean inspirò e meditò per qualche istante sulle parole giuste da utilizzare, cosa che non gli capitava poi tanto spesso, ma quei giorni erano un susseguirsi di cose che “non gli capitavano tanto spesso”. Escluse a priori la formula “Ti prego, non ridere”: anche se infarcita di minacce avrebbe scatenato a priori l'ilarità di Sam.
Neanche dire “Non è come sembra” gli parve un'idea azzeccata: in fondo, che lo volesse o no, tutto quel casino era esattamente come sembrava.
Già sentiva una sensazione di fastidio, come un accenno di cerchio alla testa, lui che a immergersi nelle riflessioni non era tanto abituato, quando Sam gli sventolò una mano davanti agli occhi.
«Dean...?» «Oggi pomeriggio devo cantare al Glee Club» disse tutto d'un fiato, sputando fuori le parole come se avessero un sapore disgustoso. Ansimava come se, invece che una chiacchierata col fratello, stesse facendo una serie infinita di giri di campo tra le urla del coach Linden.
Non era arrossito – almeno quella cosa gli era rimasta lontana anni luce! – ma avvertiva comunque un certo calore sul collo: deglutì discretamente e si preparò ad affrontare la reazione di Sam, qualunque essa fosse stata.
Il ragazzo era rimasto come impietrito, il che forse non era un buon segno, ma il movimento quasi nervoso di un muscolo della guancia destra preludeva alle reazioni che, a conti fatti, Dean si aspettava da quell'idiota di suo fratello: una sonora risata, una serie di “Stai scherzando?” e infine la poco virile accettazione di quella bizzarra decisione con frasi rubacchiate da riviste femminili.
Ci fu qualche secondo di silenzio, la classica quiete prima della tempesta, poi la risata di Sam riecheggiò nel corridoio solo per essere – fortunatamente – soffocata quasi nell'immediato dal vociare di altri studenti. Lacrime scorrevano dagli occhi chiari del ragazzo giù per le sue gote mentre lui, una mano premuta sulla pancia, continuava a dar sfogo a tutta la sua ilarità senza rimorsi. Dean, un rapido lampo di irritazione che gli attraversò gli occhi, lo osservava senza scomporsi.
E uno, pensò con vaga amarezza mentre Sam, pur a fatica, si ricomponeva. Il minore aveva ancora gli occhi lucidi e un sorriso ampio e genuino stampato sul volto.
«Stai scherzando, vero?».
E due.
Dean scosse lentamente il capo e non abbassò lo sguardo nonostante non si sentisse esattamente a suo agio in quel momento.
«Sam. Parlo sul serio».
Il divertimento sul volto di Sam svanì lentamente per lasciare spazio allo stupore più puro: il ragazzo sgranò gli occhi e dischiuse lentamente le labbra, boccheggiando per un paio di volte come un pesce fuor d'acqua. Dean, che avrebbe volentieri saltato a pie' pari la fase tre, fece per dire qualcosa ma l'altro fu più rapido.
«Cioè... Intendi proprio cantare-cantare?».
Dean roteò gli occhi.
«No, intendo cantare-ballare. Idiota».
Lo stupore di Sam era tale che non rispose neanche all'insulto – forse neanche lo sentì – ma anzi, tra un balbettio e l'altro si lanciò in un discorso infinito e prevedibile.
«Io... Ok, non me lo aspettavo, ma... Beh, se è una cosa che ti piace...».
Dean smise di ascoltarlo quasi nell'immediato. Mal tollerava quegli atteggiamenti da chioccia che Sam, nell'ultimo periodo, aveva assunto nei suoi confronti e solo altri pensieri gli avevano impedito di soffermarsi su quel cambiamento.
Avrebbe volentieri interrotto l'exploit di banalità che stava sfoggiando il fratello ma, finché non gli poneva domande scomode, poteva anche sopportarlo. Forse.
«Cristo, Sammy, chiudi la bocca!».
Dean Winchester, signore e signori, imbecille autodistruttivo!
Sam si interruppe e riprese fiato senza mai smettere di fissarlo in volto. Strinse poi le labbra e – ci siamo, pensò amaramente Dean – pose una di quelle domande che l'altro sperava non avrebbe udito.
«Cosa ti ha spinto a farlo?».
Se solo avesse potuto, Dean si sarebbe preso a pugni da solo prima di scuotere il capo e replicare con un asciutto “Non ne ho idea”. Dinanzi all'espressione scettica di Sam, però, l'irritazione che provava verso se stesso venne facilmente deviata nei confronti del suo interlocutore.
«Che c'è? Non c'è un motivo vero e proprio, è stato solo...» «Ho capito!» esclamò Sam, troncando di botto la sua pietosa apologia, l'espressione d'improvviso consapevole «Ho capito tutto, Dean, e... Beh, non devi vergognarti. Ne vengono fatte di follie in questi casi».
Sorrise compiaciuto e finalmente la maledetta campanella mise fine a uno dei confronti più squallidi a cui Dean avesse mai partecipato. Il fratello lo salutò senza smettere di sorridere e si affrettò verso la sua classe successiva, lasciandolo inebetito nel mezzo del corridoio che pian piano andava svuotandosi.
Dunque Sam aveva capito. Buon per lui. Sul serio, almeno avrebbe smesso di rompere. C'era però solo una domanda che, al momento, riecheggiava nella mente di Dean: cosa cazzo aveva capito?


**



Anna osservò Castiel che, per l'ennesima volta, ricontrollava lo stereo, testava l'accordatura del pianoforte e si raddrizzava gli occhiali sul naso con un'aria nervosa che mai gli aveva visto prima.
La ragazza sbuffò e scivolò giù con grazia dal banco su cui era seduta, avvicinandosi all'amico che adesso stava allentandosi il nodo alla cravatta.
«Castiel,» esordì in tono dolce, come a non volerlo spaventare «va tutto bene?».
Lui si voltò appena e imbastì un sorrisetto di scuse prima di ricominciare il suo giro di controlli.
«Certo, Anna» replicò frettolosamente accendendo e spegnendo lo stereo un paio di volte «Voglio solo che, sai,» pizzicò le corde della chitarra «dopo l'insuccesso di ieri non ci siano, come dire,» pigiò qualche tasto del pianoforte «altri problemi che...» «Castiel!».
Anna aveva alzato la voce e aveva afferrato un polso del ragazzo prima che questi potesse ricominciare quel circolo vizioso – e inquietante – di inutili controlli. Inarcò le sopracciglia e lasciò andare lentamente la mano dell'altro, non accennando comunque ad allontanarsi da lui.
«Anch'io voglio che vada tutto bene,» non specificò “dopo la figuraccia di ieri” perché la ferita era ancora aperta «ma non è necessario che tu perda il senno per questo».
Castiel sospirò e chinò il capo, rimanendo in silenzio per qualche istante.
«Perdonami, Anna. Voglio solo che oggi tutto sia perfetto e non voglio più deludervi».
Il ragazzo avvertì una fitta di rimorso di fronte a quella vergognosa bugia. Ad onor del vero, Castiel non stava mentendo: voleva davvero che i suoi compagni non dovessero affrontare altre delusioni, che l'incontro di quel pomeriggio procedesse nel migliore dei modi e che tutti, presto o tardi, potessero dimenticare quanto accaduto il giorno precedente. A renderlo così agitato, però, non erano solo quei pensieri. Quello non era mentire, era celare informazioni, ma la cosa lo faceva comunque sentire in colpa.
Anna sorrise comprensiva e gli diede un buffetto sulla spalla ma prima che potesse formulare una qualche frase gentile, i restanti tre membri del Glee Club fecero il loro ingresso alla spicciolata, come se non si conoscessero, delle espressioni cupe in volto.
Nonostante l'assenza di allegria che li permeava, Castiel fu lieto di vedere che nessuno di loro avesse deciso di abbandonarli: sorrise a tutti mentre prendevano posto, imitati nell'immediato da Anna, e si sistemò una volta di più gli occhiali sul naso.
«Ragazzi, ragazze,» cominciò, intercettando un sorriso svenevole da parte di Meg e distogliendo lo sguardo in tutta fretta «non so dirvi quanto sia felice di vedervi qui, nonostante tutto».
Al pari di Anna poco prima, non ritenne necessario specificare cosa intendesse con quel “nonostante tutto”, certo che ognuno di loro avesse compreso alla perfezione.
«Un incidente di percorso non può e non deve fermarci, se stiamo seguendo una passione» e di passione ardevano gli occhi blu di Castiel dietro le lenti degli occhiali, una passione tale da dissipare i dubbi che avevano invaso gli animi dei suoi compagni «Dobbiamo rialzarci più forti e determinati di prima, non avere vergogna di far sentire la nostra voce e far vedere a tutti quanto valiamo».
Sorrise e a imitarlo fu nuovamente Meg.
«Tutti... Compreso Raphael?» domandò maliziosa, lanciando un'occhiata rapida a Garth che sembrava annichilito «Perché, vedi, è stato piuttosto cattivo con il nostro Garth, ieri, e...» «Meg!» ringhiò Anna e quel suono, proveniente da una ragazza all'apparenza così eterea e angelica, fu doppiamente inquietante: o almeno così dovette pensarla Kevin che, discretamente, allontanò la sedia da lei. Meg d'altro canto sostenne lo sguardo della rossa con aria di sfida, il sorriso sardonico onnipresente sulle sue labbra.
«Anna» disse semplicemente, dileggiandola «Sto dicendo la verità, cara. E anche Raphael se è per questo» aggiunse a mezza voce mentre Garth tentava, senza successo, di ostentare un'aria indifferente.
Castiel intervenne prima che la situazione degenerasse e si ripromise di parlare in privato con Garth, una volta terminato l'incontro.
«Ragazze, calmatevi. Questo atteggiamento non giova all'unità del gruppo».
Anna avrebbe voluto replicare che lei non vedeva alcuna unità a causa della presenza di Meg e questa, pur con termini meno educati, avrebbe voluto esternare lo stesso concetto: tuttavia entrambe tacquero e Castiel poté proseguire con il suo discorso di incoraggiamento.
«Come stavo dicendo, rialzarci. E per rialzarsi spesso bisogna accettare la mano offerta da una persona inaspettata» disse sibillino, facendo saettare lo sguardo dall'orologio appeso alla parete fino alla porta, ancora chiusa.
Anna, a cui il comportamento bizzarro di Castiel cominciava a sembrare più chiaro, fece per intervenire ma a parlare incredibilmente fu Kevin.
«E chi si sarebbe offerto di aiutarci?» domandò non senza un certo scetticismo, dando voce al dubbio di tutti: chi mai avrebbe rischiato la propria reputazione per aiutare un gruppo così male assortito e così fallimentare?
Castiel sorrise, piuttosto nervosamente a dire il vero, ma non disse alcunché. Il misterioso buon samaritano sarebbe giunto a momenti, che senso aveva annunciarlo anzitempo e rischiare di scatenare una salva di domande a cui, magari, neanche avrebbe saputo rispondere?
Concentrato unicamente sulla porta, come se potesse far apparire Dean con la sola forza del pensiero, non notò lo sguardo indagatore di Anna fisso su di lui: la ragazza non riusciva a smettere di domandarsi chi mai potesse avere un ascendente tale su Castiel da renderlo così nervoso. Il rumore della maniglia che si abbassava e della porta che si apriva la fece voltare, non prima di aver notato come Castiel avesse bruscamente trattenuto il respiro.
Immobile sulla soglia, l'ospite misterioso era una delle ultime persone che Anna si sarebbe aspettata di vedere.
«Winchester?».
Dean fece un sorriso beffardo ed entrò nella stanza, facendo un cenno col capo ai presenti.
«Ehilà, gente».
Si voltò poi verso Castiel: il suo sorriso parve ammorbidirsi e i suoi occhi sembrarono cercare quelli dell'altro.
«Cas» «Dean» gli fece eco Castiel, gli occhi più luminosi che mai.
Anna ripeté silenziosamente il nomignolo utilizzato da Dean, muovendo incredula le labbra. Soprannomi? Sguardi intensi? Oh buon Dio, non voleva dire che quei due...?
«Bene,» si riscosse Castiel, rompendo quel momento di silenzio gravoso di mille pensieri «credo vi ricordiate tutti di Dean».
Meg annuì.
«Certo, quello che se l'è svignata prima di fare una figura di merda sul palco» «Cosa ci fa qui?» rincarò la dose Kevin, squadrando il ragazzo con aria sospettosa.
Ignorando l'accoglienza meno che calorosa riservata al ragazzo – che, invece, si sentiva ribollire per l'irritazione –, Castiel posò una mano sulla spalla di lui e si apprestò a spiegare quell'apparizione inattesa.
«Dean si è spontaneamente proposto per aiutarci, mettendo a nostra disposizione le sue competenze musicali» sorrise all'indirizzo del ragazzo che deglutì silenziosamente e non distolse lo sguardo dalla parete che aveva di fronte «Sono certo che il suo contributo sarà fondamentale».
Meg inarcò le sopracciglia e lanciò un'occhiata complice ad Anna che, pur essendo intimamente d'accordo con quanto l'altra stesse evidentemente pensando, la ignorò.
Nel frattempo Castiel si era allontanato da Dean e si era accomodato accanto allo stereo, lasciando all'altro dei metaforici riflettori.
«Beh...» cominciò lui, immerso fino al collo in una situazione del tutto nuova e poco gradita «Come ha detto Cas,» e il secondo utilizzo di quel soprannome fece quasi sobbalzare Anna «esagerando, sono qui per aiutarvi».
Si interruppe, inspirò per farsi forza e abbozzò un sorrisetto.
«Sono qui per insegnarvi il rock».
Il silenzio tombale che fece da eco a quella straordinaria rivelazione non era certo di buon auspicio, ma Dean proseguì imperterrito.
«Sapete cantare, tutti voi,» riprese, evitando di guardare Garth «ma una bella voce non è tutto se è da sola. Anzi, nel rock non è neanche necessaria!».
Stavolta fu il turno di Kevin di inarcare le sopracciglia.
«Il rock è passione, energia, rabbia repressa e amore doloroso. Un concentrato di emozioni che nessun altro genere musicale può eguagliare».
Dean parlava con una convinzione estrema e una sicurezza sempre maggiore: Castiel, dal suo angolo, lo osservava rapito.
Anna alzò una mano e Dean dovette trattenere una risatina – cosa credeva, che fosse un fottuto professore? – ma le fece un cenno per invitarla a parlare.
«Sono tutte belle parole,» esordì con freddezza «ma non credi che sia un genere eccessivo e troppo maschile?».
Stavolta Dean rise senza poterselo evitare. Eccessivo? Maschilista? Sperò che Anna stesse provocandolo volutamente ma l'espressione seria di lei dimostrava che credeva davvero in quanto aveva appena detto. Il ragazzo sospirò e scosse il capo.
«Evidentemente non hai mai sentito del vero rock. O forse non hai mai sentito nominare Blondie, le Hole, Pat Benatar... Non il mio genere,» ammise «ma sono tutte signore rockettare, dalla prima all'ultima».
Questo chiuse la bocca ad Anna ma permise a Meg di cavalcare l'onda dell'umiliazione della rossa e prenderne il posto.
«Senza soffermarci sulle stupidaggini della Milton,» e qui si guadagnò un'occhiataccia dall'altra «perché non la smetti di cianciare e ci dai una dimostrazione pratica?».
A quelle parole Castiel si rianimò mentre Dean si limitò ad annuire appena.
«Speravo in una richiesta del genere».
No, cazzo, speravi di risparmiarti un'umiliazione del genere!
Prima ancora che Dean gli facesse un cenno, Castiel aveva già inserito un cd nello stereo e lo stava facendo partire: subito le voci forti e vagamente aggressive di un basso e di una chitarra presero a rincorrersi, seguiti poco dopo da un'energica batteria.
Dean, il cuore che batteva a ritmo con la grancassa di Marc Droubay, chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi sull'adrenalina che cominciava a scorrergli dentro piuttosto che sulle cinque paia d'occhi – compresi un paio fin troppo blu – che l'avrebbero scrutato e giudicato.
Poco prima che giungesse il fatale momento di cominciare a cantare, sollevò le palpebre e si stampò sul volto un'espressione a metà tra il determinato e il minaccioso.
«Rising up, back on the street! Did my time, took my chances!».
Cristo, erano bastate poche parole di quella canzone che amava con tutto se stesso per far svanire ogni traccia di incertezza. Alzò il mento e osservò gli astanti con aria di sfida.
«Went the distance now I'm back on my feet! Just a man and his will to survive!».
Sollevò il colletto della giacca di pelle che indossava e puntò due dita verso i suoi occhi.
«It's the eye of the tiger, it's the thrill of the fight! Risin' up to the challenge of our rivals!».
Intercettò lo sguardo ammirato di Castiel e, ormai esaltato, non poté non sentirsi soddisfatto: si mosse verso un banco e vi balzò a sedere continuando a cantare.
«And the last known survivor stalks his pray in the night! And he's watching us all with the eye... Of the tiger!».
Dean si sfilò con gesto fluido la giacca e, sollevata la gamba destra, cominciò a “suonarla” come fosse una chitarra tra gli sguardi divertiti e stupiti degli astanti. Castiel si ritrovò a fissarlo con aria quasi inebetita, rapito da ogni singolo gesto che compieva e dalle labbra incurvate in un sorriso strafottente. Non sapeva molto di musica rock, ma se l'esibizione offerta da Dean vi si avvicinava anche solo alla lontana a lui andava bene così.
«The eye of the tiger!».
Castiel si riscosse, giusto in tempo per alzarsi in piedi e applaudire con entusiasmo: gli altri membri del Glee Club lo imitarono, alcuni più per educazione che per reale convincimento.
Dean si rialzò tra gli applausi che lentamente si spegnevano – l'ultimo a smettere, notò con una punta di compiacimento, fu Castiel – e recuperò la giacca, levando una mano come a volerli ringraziare tutti.
Nel silenzio che seguì, Dean e Castiel si scambiarono un'occhiata: ad un cenno di quest'ultimo fu Dean a prendere la parola per primo.
«Questo è quello che intendevo. Energia, emozioni e, uhm...» «Sensualità?» gli venne in aiuto Castiel, buttando lì quella parola come se gli fosse venuta in mente per caso e non come se ci avesse pensato per tutta la durata dell'esibizione.
Dean parve un po' interdetto ma, sorridendo incerto, annuì.
«Sì, anche. Il rock è la musica più sensuale che esista, anche senza sculettare e spogliarsi come delle puttane. In più è perfetto soprattutto...» ghignò «... Per occasioni come la ginnastica orizzontale».
Garth ridacchiò ma chi – come Meg – si aspettava una reazione piccata da parte di Anna, rimase deluso: la ragazza infatti era così intenta a fissare Castiel da non aver udito le parole di Dean e si riscosse solo quando la porta dell'aula si aprì con un cigolio sinistro. Dalla soglia aveva fatto capolino nientemeno che Raphael, alla cui vista tutti si incupirono e Garth abbassò di scatto lo sguardo.
«Mi spiace disturbarvi,» si scusò con voce falsa e con un'occhiata interessata all'indirizzo di Dean «ma volevo che foste i primi a saperlo» «A sapere cosa?» sbottò Dean facendosi avanti minacciosamente: forse temendo una rissa, Castiel gli si affiancò e lo bloccò mettendo un braccio dinanzi a lui.
«A sapere cosa?» ripeté a sua volta con un tono educato e ben diverso da quello di Dean: Raphael sorrise sornione.
«Il preside Crowley ha accordato a me e ad alcuni promettenti studenti il permesso di fondare un secondo Glee Club».
A quella notizia Anna sobbalzò e Meg, per nulla impressionata, incrociò le braccia e fece un sorrisetto.
«Quanto a lungo hai dovuto leccargli il culo, Raphael?».
Pur non trovandola particolarmente gradevole, Dean ghignò a quella domanda e la apprezzò intimamente. L'altro ragazzo sospirò e scosse il capo con fare teatrale.
«Volgarità, nient'altro che volgarità. E fallimento» soggiunse malignamente: assunse poi un tono pratico «Comunque, è mio dovere comunicarvi che dovremo dividere questa sala: tre giorni a noi, tre giorni a voi e no,» si affrettò ad aggiungere bloccando le proteste «la cosa non è trattabile. D'altronde non ci resterà che attendere il momento in cui il preside si accorgerà di quale Glee Club valga la pena tenere in vita».
Ciò detto, se ne andò richiudendo la porta e lasciando dietro di sé un silenzio attonito. Gli sguardi di tutti corsero a Castiel, rimasto immobile e ammutolito durante il discorso di Raphael, ma il ragazzo non parve neanche accorgersene. Le mani strette a pugno tremavano leggermente e sui suoi occhi pareva essere calata una patina opaca. Dean gli strinse cautamente una spalla.
«Cas?».
Nessuna reazione. Dean lo scosse appena e alzò la voce.
«Cas!».
Il ragazzo sospirò appena e abbozzò un sorriso voltandosi verso i compagni e sfiorando appena la mano ancora posata sulla sua spalla – mano che Dean, come se si fosse scottato, si affrettò a togliere.
«Non ho intenzione di chinare il capo davanti a Raphael,» decretò convinto «né a chiunque altro abbia coinvolto nella creazione di questo nuovo club».
Meg sospirò rumorosamente.
«Dio, quanto sei sexy quando fai il condottiero».
L'atmosfera si alleggerì di botto tra qualche risatina e qualche sguardo di disapprovazione: Castiel ridacchiò e si voltò verso Dean.
«Sarai ancora dei nostri?».
Il ragazzo annuì senza esitare.
«Fino alla fine. Gli faremo il culo».
Castiel rise più forte mentre poco più in là Anna scuoteva il capo con fare sconsolato.
«Che strani gusti, Cas...»


**



Sam era già a casa quando Dean rientrò: lo vide affacciarsi dal salotto, il telefono cordless stretto in mano e un'espressione indecifrabile stampata sul volto.
«Com'è andata, Pavarotti?» «Fottiti» lo rimbeccò il fratello maggiore, oltrepassandolo per andare in cucina, di certo alla ricerca di una birra o di qualcosa di dolce scampato al pranzo di Bobby.
Non appena fu certo che Dean fosse pienamente concentrato sulla ricerca di qualcosa di commestibile, Sam richiuse cautamente la porta del salotto e tornò ad accostare il telefono all'orecchio.
«Sei ancora lì?» domandò una voce dall'altro capo della cornetta: Sam inspirò e tentò di rispondere come avrebbe fatto suo fratello.
«Dove dovrei essere? Sono esattamente dove non mi hai mai cercato».
La voce dall'altra parte tacque per qualche istante e, quando riprese a parlare, il suo tono si era fatto più cauto e vagamente dispiaciuto.
«Cerca di capirmi, Sam. Tu e tuo fratello eravate così simili a vostra madre che...» «Oh, al diavolo!» sibilò il ragazzo «Non voglio ascoltare scuse false e piagnistei!».
Un nuovo silenzio si dilatò tra i due interlocutori e, di nuovo, a infrangerlo non fu Sam.
«Come vuoi,» decretò e stavolta a Sam parve di cogliere un pizzico di irritazione «se dovessi cambiare idea, se decidessi di volermi ascoltare o perdonare, hai il mio numero. Ciao, Sam».
Il ragazzo sospirò.
«Addio, Samuel».


**



Nella piccola cucina, all'oscuro della conversazione telefonica appena avvenuta, Dean sgranocchiava biscotti – quel bastardo di Bobby aveva mangiato l'ultima fetta di torta di mele, un'altra volta! – e leggeva con attenzione il contenuto dell'sms appena giunto sul suo telefonino.


Buonasera, Dean.
Ti chiedo scusa in anticipo ma oggi non ho avuto il tempo di chiederti il numero di telefono, dunque l'ho chiesto ad Anna.
Spero non sia un problema, perché ho un dubbio e solo tu puoi aiutarmi.
Castiel


Dean sorrise senza sapersene spiegare il motivo e passò a digitare rapidamente una risposta.


Ehi Cas, nessun problema!
Cosa ti serve?


Chissà perché il sapere di essere il solo a poter aiutare Castiel lo faceva sentire bene...
La risposta del ragazzo non si fece attendere e Dean la lesse con attenzione.


Ti ringrazio.
Oggi al club hai detto che il rock è la musica più sensuale che esista: la frase mi ha colpito e vorrei sapere se esistono canzoni rock particolarmente “sensuali” per un'esibizione.


Dean deglutì a vuoto ed esitò prima di mandare una risposta: non credeva che quella sua frase avrebbe avuto un effetto del genere, soprattutto su Castiel!
Sbuffò e digitò velocemente alcuni tasti. In fondo se voleva fare la rockstar seducente che gliene importava?


Uhm... “Talk dirty to me” è perfetta. Niente a che vedere con la “sensualità” della musica di oggi. Solo sano rock!


Stava per inviare quel messaggio quando, senza riflettere, decise di aggiungere un poscritto.


Vuoi per caso conquistare una ragazza cantando del sexy-rock?


Una volta pigiato il tasto di invio, Dean si maledisse ininterrottamente finché Castiel – in un tempo sempre sorprendentemente breve – non gli rispose.


Grazie ancora, Dean. E no, nessuna ragazza, solo la voglia di “fare il culo” a Raphael con stile :)
Un saluto, ci vediamo domani.


Dean ricambiò il saluto e si sentì la testa e il cuore più leggeri.
Nulla che una dose di biscotti al triplo cioccolato non potesse guarire.


**



Non appena aveva terminato lo scambio di messaggi con Dean, Castiel si era messo alla ricerca della canzone consigliatagli: digitò su Google il titolo che gli era stato suggerito e, come aveva previsto, il primo risultato fu un link direttamente al videoclip pubblicato su Youtube.
Cliccò sul collegamento, alzò il volume delle casse e ascoltò con attenzione quasi morbosa la canzone, sorridendo di tanto in tanto al pensiero di Dean e del suo penultimo messaggio.
Vuoi per caso conquistare una ragazza cantando del sexy-rock?
Castiel soffocò un risolino e proseguì con l'ascolto della canzone, finendo con l'accigliarsi sempre di più. Beh, non conosceva bene la musica rock, ma quella canzone era così diversa da quella con cui si era esibito Dean poche ore prima da fargli domandare se si trattasse effettivamente di rock!
La riascoltò un altro paio di volte, memorizzando il ritmo e le parole e ritrovandosi a muoversi in maniera che, forse, poteva essere vagamente considerata sensuale.
Sorrise tra sé e lanciò una rapida occhiata al cellulare posato sulla scrivania: di lì a due giorni avrebbe stupito tutti i ragazzi del club. Specialmente Dean.






































Uhm, salve...
*schiva sassi*
Non odiatemi, applepies, è stato un periodo assurdo D:
Non voglio tediarvi con i dettagli, dunque perché non (ri)leggete il capitolo e torniamo tutti amici, eh? “^^
O perché non notate e apprezzate il bellissimo banner, opera di Obsessionjall (qui la sua pagina di creazione banner su Facebook
)?
Ehm ehm, finalmente entra in scena il rock, rientrano in scena Raphael e Samuel e Cas sembra (lol, “sembra”) sviluppare una certa predilezione per Dean.

Music corner (brevissimo): dai, lo so che tutti conoscete “Eye of the tiger” dei Survivor (che invece qui potete rivedere in chiave Dean-iana :3)!
Nel prossimo capitolo, vi anticipo, grande ritorno di Charlie *spupazza* e tanta musica :D
As usual, tanti ringraziamenti a tutti/e, siete meravigliosi/e <3

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Capitolo 6
*** The music plays and you display your heart for me to see ***


Titolo: Rock lessons
Titolo capitolo: The music plays and you display your heart for me to see
Fandom: Supernatural
Pairing: Dean/Castiel, più altri a sorpresa
Conteggio parole: 5734
GenereCommedia, Romantico
Rating: Arancione
AvvertimentiHighschool!AU; Lime
 













Pare incredibile quante cose possano accadere in tre, miseri giorni.
Nel caso di Dean Winchester le “cose” specifiche erano state un viaggio nell'ufficio del preside (gentilmente offerto dalla Abaddon Airlines), una serie infinita di occhiate ammiccanti e divertite da parte di mezza scuola (volevano forse tutti che Dean gli cavasse gli occhi?), una rissa sfiorata con Ephraim Ritzen e, ultimo ma non ultimo, un carico tale di compiti che aveva costretto perfino lui a studiare. Non esattamente quello che si dice una settimana rilassante.
A coronare il tutto durante quei tre giorni non aveva avuto nulla che lo distraesse da quell'overdose di problemi e rotture di scatole: il Glee Club di Raphael si era letteralmente appropriato della sala prove e passando casualmente lì davanti, Dean aveva scoperto che chiunque fosse in quel club ci sapeva fare. Non ai livelli di Castiel ma sempre troppo per i suoi gusti. A proposito di Castiel...
Da quando tre giorni prima Raphael aveva comunicato loro la non-tanto-lieta novella, Castiel alternava momenti di assoluta serenità a momenti durante i quali si incupiva e parlava anche meno del solito perfino con Anna.
A Dean non era sfuggita questa lunaticità del ragazzo ma solo perché era un buon osservatore, ovviamente. E non era preoccupato – ok, forse un po' – ma bensì infastidito dagli atteggiamenti di Raphael e della sua combriccola nei confronti di Castiel e del resto del gruppetto.
«Ehi, uomo!».
Una voce gioviale strappò Dean dai suoi pensieri mentre Charlie, saltellante come un fringuello, gli si avvicinava con un sorriso fin troppo ampio.
«Ehi, “donna”!» le fece il verso lui, corredando il tutto con delle virgolette tracciate con le dita: la ragazza non perse il sorriso e gli diede un pugno giocoso sulla spalla.
«Fottiti» «Appunto, intendevo proprio questo» replicò Dean scompigliandole i capelli e strappandole un verso di protesta.
Una volta rassettatasi la chioma, Charlie guardò l'amico di sotto in su con lo stesso sorriso enigmatico di poco prima.
«Allora? Qualche novità?».
A Dean non piacque l'enfasi posta dalla ragazza sulla parola “novità”, enfasi che rivelava come Charlie sapesse ben più di quanto lasciasse intendere.
«Non saprei,» fu l'asciutta risposta di Dean «dimmelo tu».
Il sorriso di Charlie si allargò e lei allungò una mano per pizzicare una guancia dell'amico. Dean tentò di sottrarsi al gesto ma in quei casi Charlie era come un anaconda: più ci si agitava, più lei rafforzava la presa.
«Ma certo che te lo dico io, tenerone!» cinguettò con insopportabile tono materno «Con la storia del Glee Club sei sulla bocca di tutti, mentre sulla tua bocca non c'è esattamente...» «Charlie!» la bloccò lui, non tanto per la pessima battuta che stava per aggiungere quanto per la rivelazione precedente «Che vuol dire? Sam ha parlato, vero? Oddio lo ammazzo, quant'è vero Dio lo ammazzo!».
La ragazza tacque e lasciò che l'altro si sfogasse a briglia sciolta per un po': checché potesse dirne, spesso Dean somigliava a un'adolescente in crisi quanto e più di suo fratello ma forse non era il caso di farglielo notare.
Charlie soffocò una risatina e si voltò a salutare qualcuno che stava passando in quel momento.
«Ciao, splendore!».
La destinataria del saluto le dedicò un occhiolino e un sorriso.
«Ciao, bellezza!».
Quel breve scambio ebbe il potere di ridurre al silenzio un ancora lamentoso Dean: questi spostò lo sguardo da Charlie all'altra ragazza tentando invano di articolare un discorso sensato. Non appena l'amica di Charlie si fu allontanata però parve ritrovare l'uso della parola.
«Tu... E Dorothy? Sul serio?».
Charlie ammiccò e si spazzolò via della polvere inesistente dalle spalle.
«Che posso dire... Ho un debole per il Mago di Oz!».
Dean aprì e richiuse la bocca un paio di volte, strappandole un sospiro esasperato.
«Dorothy come la protagonista del libro! Sei incredibile a volte... Ma non cambiamo discorso!» esclamò poi, bloccando sul nascere la replica di Dean e facendo desiderare al ragazzo di trovarsi da tutt'altra parte piuttosto che in quel corridoio preda di un probabile terzo grado coi fiocchi.
«Sam non c'entra, pensa che io l'ho saputo da Pamela Barnes!».
Intercettò lo sguardo terrificato dell'amico e, di nuovo, dovette trattenere una risatina.
«La scuola è piccola e la gente mormora,» recitò «dovresti saperlo. Se può consolarti Becky Rosen non ne tirerà fuori un articolo per il suo giornale,» soggiunse infarcendo l'ultima parola di sarcasmo «al resto della scuola pare solo un gossip succoso ma se ne dimenticheranno presto».
Dean non pareva rincuorato dalle parole dell'amica. Cristo, aveva una certa reputazione da difendere, non voleva che il suo ultimo anno lì fosse costellato di prese in giro, conseguenti risse punitive e chissà che altro! Questi pensieri dovettero rifletterglisi in faccia perché Charlie sbuffò e alzò gli occhi al cielo.
«Da vero macho a tenero micio» sentenziò, guadagnandosi un'occhiataccia e un “'fanculo” a mezza voce.
«Senti... Esattamente perché ti sei unito al Glee Club? Insomma, Sam ha una sua teoria ma mi pare improbabile...»
Dean drizzò le orecchie e si mostrò subito interessato a quanto l'amica aveva da dire. Purtroppo per lui le qualità di Charlie non comprendevano solo le straordinarie abilità informatiche e il suo lesbian-radar interiore, ma anche uno spirito di osservazione fuori dal comune.
«Non hai idea di che teoria sia» constatò «Eppure Sam ti aveva accennato qualcosa, no?» «Smetti di fare lo sbirro della situazione e parla chiaro!» scattò Dean, ogni parvenza di cautela ormai gettata alle ortiche. Charlie scrollò le spalle e mise su un'espressione scettica.
«Sam crede che tu abbia abbracciato la tua parte più sensibile per far colpo su Anna Milton».
Il silenzio calò sui due mentre Dean sgranava gli occhi: cazzo, la giustificazione era così facile, così a portata di mano... Come aveva fatto a non pensarci prima?
Si passò una mano sul volto e tentò di mettere insieme una scusa plausibile.
«Beh, insomma... Sai com'è la Milton, no? Dovevo...».
Charlie alzò una mano e mise fine a quel pietoso tentativo di giustificarsi. Sorrise comprensiva e inclinò la testa da un lato – come faceva Castiel quando rifletteva su qualcosa, notò Dean, e chissà perché questa osservazione silenziosa non lo aiutò affatto.
«La Milton non c'entra,» decretò lei con incredibile sicurezza «C'è dell'altro in ballo e riuscirò a capirlo».
Cazzo, sì che ci riuscirà pensò amaramente Dean. Una mano che si posò inaspettatamente sulla sua spalla sinistra lo fece poi sobbalzare e voltare di scatto. Si ritrovò davanti – a distanza fin troppo esigua – un paio di occhi blu che avrebbe riconosciuto ovunque e, d'istinto, arretrò.
Castiel ridacchiò.
«Scusami, ti ho spaventato?».
Notò poi Charlie appena in disparte e, senza attendere risposte da parte di Dean, le porse la mano: la ragazza la strinse con entusiasmo e si presentò con un sorriso tutto denti.
«Charlie Bradbury, la migliore amica di Dean!» «Oh, mi ha parlato di te!» osservò Castiel sorridendole di rimando «Sono Castiel Novak, e...» «Aspetta... Novak?» lo interruppe lei, gli occhi fuori dalle orbite e l'espressione sconvolta.
Castiel annuì e la osservò con curiosità, inclinando appena il capo – cazzo, fu il pensiero di Dean.
«Hai per caso un fratello? Che frequentava questa scuola?» domandò poi la ragazza a bruciapelo, ricevendo un secondo cenno affermativo: parve bastarle perché emise una sorta di squittio estasiato che poco le si addiceva e riprese la mano di Castiel tra le sue.
«Oh mio Dio, tuo fratello Gabriel è sempre stato il mio compagno di scorribande preferito!».
Castiel inarcò le sopracciglia e si lasciò andare a una risatina mentre Charlie continuava a parlare a ruota libera.
«Eravamo iscritti al club dei giochi di ruolo, è sempre stato così pungente e divertente e bastardo, lo adoravo!».
Dean si coprì il volto con le mani e biascicò qualcosa di inconsulto: non poteva credere che Charlie stesse parlando a in quei termini a Castiel di suo fratello!
Il ragazzo però non pareva essersene risentito: aveva riso di cuore alla descrizione fatta da Charlie e stava ascoltando con interesse gli aneddoti che, a velocità supersonica, lei continuava a snocciolare.
Rossa in volto come se avesse corso, Charlie si bloccò per riprendere fiato e si voltò verso Dean.
«Perché non mi hai mai detto con chi fosse imparentato, oltre a essere un bel pezzo di ragazzo?».
Castiel avvampò e Dean desiderò una volta di più trovarsi da un'altra parte: l'Alaska sarebbe andata bene.
Tossicchiò e si strinse nelle spalle tentando di mostrarsi indifferente.
«Non sapevo che Cas avesse un fratello».
Charlie strinse gli occhi e mentre il nomignolo utilizzato da Dean le riecheggiava nelle orecchie, le si accese una lampadina. Qualcosa non quadrava, Castiel non gliela raccontava giusta e Dean meno che mai.
Nel frattempo Cas pareva essersi ripreso almeno in parte dall'imbarazzo e aveva spostato la sua attenzione su Dean: il che, a quanto pareva, consisteva nel fissarlo senza quasi sbattere le palpebre e parlargli come se al mondo esistesse solo lui.
«Il professor Morrison non c'è e visto che anche gli altri hanno un'ora libera pensavo che potremmo anticipare l'incontro di oggi».
Dean annuì rigidamente e lanciò un'occhiata in tralice a Charlie, apparentemente immersa in profonde riflessioni: brutto, bruttissimo segno...
«Ah, Dean,» lo richiamò Castiel «ci sarebbe un'altra cosa di cui volevo parlarti».
Charlie si mostrò immediatamente interessata e Dean tentò di ignorare lei e la sensazione di un disastro imminente.
«Due giorni fa hai preso le mie difese contro Ephraim, te lo ricordi?».
Come dimenticarselo? Ephraim era sempre stato un grandissimo stronzo ma in quel periodo, complice anche il suo ingresso nel Glee Club di Raphael, la situazione era peggiorata. Due giorni prima aveva insultato Castiel e per puro caso Dean si era trovato a passare di lì: in breve si era messo in mezzo e aveva quasi cominciato una rissa in piena regola con Ephraim, guadagnandosi una visita nell'ufficio del preside – ovviamente per colpa di quella strega della Maddon – e i rimproveri di suo fratello. Alla fine il preside Crowley aveva optato per una semplice ammonizione scritta ma lo aveva avvertito con un sorriso scaltro che un altro atto del genere si sarebbe tradotto immediatamente in una sospensione.
«Volevo ringraziarti di nuovo ma anche...» proseguì prima che Dean potesse schermirsi dai suoi ringraziamenti «... Anche dirti che non c'è bisogno che tu prenda sempre le mie difese: non sono una donzella in pericolo, posso cavarmela da solo*».
Se la situazione non fosse stata così imbarazzante, Charlie sarebbe scoppiata a ridere, avrebbe applaudito e avrebbe abbracciato Castiel: c'era comunque qualcosa che poteva fare senza esagerare...
«Sindrome del supereroe,» sentenziò «non riesci proprio a uscirne, eh?».
Dean la fulminò con lo sguardo.
«Basta con queste stronzate!» «Scusami, è che sono invidiosa: chissà quante belle donzelle salverai, ogni giorno!».
Intercettò poi lo sguardo di Castiel e gli sorrise con fare falsamente innocente.
«Sai, sono lesbica».
Se la reazione di Dean fu prevedibile (un plateale sbuffo esasperato seguito da un'occhiata del tipo “devi proprio dirlo a tutti?”) quella di Castiel fu invece inaspettata. Ok, Castiel era un tipo abbastanza strano, ma il limitarsi a sorridere come se Charlie si fosse limitata a commentare la bella giornata di sole era troppo anche per lui.
«Beh, ammiro la tua sincerità e la tua sicurezza!» commentò infine Castiel, voltandosi per sorridere a Dean «Andiamo?»: Dean sorrise incerto di risposta mentre Charlie, ormai in piena modalità spia, spalancava lentamente gli occhi e cominciava a capire.
«Castiel,» esordì con vaga incertezza «devo finire di discutere di una cosa con il caro Dean, ti spiace se ti raggiunge dopo?» «Oh, certo che no» replicò nell'immediato Castiel, lo sguardo che, nonostante il tono leggero ed educato, esprimeva una certa qual curiosità «Ti aspetto in sala, Dean. È stato un piacere conoscerti» aggiunse rivolto a Charlie prima di allontanarsi.
La ragazza sorrise con fare quasi maniacale finché Castiel non fu fuori vista, dopodiché si voltò come una furia verso Dean.
«Non per allarmarti, ma non hai notato nulla di strano in lui?».
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia e rifletté rapidamente: era forse una domanda a trabocchetto?
«Beh, mi pare tutto strano a dire il vero».
Charlie parve trattenersi con difficoltà dall'alzare gli occhi al cielo, inspirò un paio di volte per calmarsi – Dean, intanto, non cessava di preoccuparsi – e puntò lo sguardo sul volto di Dean, come a volerne analizzare ogni singola reazione.
«È palese, Dean...» fece una pausa a effetto e abbassò la voce come una cospiratrice «... Gli piaci!» «Che cosa?!».
Aveva gridato prima di poterselo impedire, colto di sorpresa dalla frase di Charlie. La ragazza gli fece cenno di tacere e, presolo per un braccio, cominciò a trascinarlo verso la sala del Glee Club. Sala in cui, improvvisamente, aveva timore di entrare.
«Potrei sbagliarmi,» riprese Charlie con l'aria di chi sa di non aver sbagliato «ma ti guarda esattamente come tu guardi un hamburger. O come io guardo Scarlett Johansson».
Lentamente i pezzi del mosaico sembravano ricomporsi e unirsi in maniera logica ma la cosa non era di alcuna consolazione per Dean. Certo, Castiel non gli aveva mai dato l'impressione di volerci provare con lui o addirittura insidiarlo, però non si sentiva a proprio agio.
«Stai dicendo che è gay?».
Charlie stavolta non poté impedirsi di alzare gli occhi al cielo.
«Dio, certe volte sembri davvero idiota... Gay, bisessuale, Deansessuale, chissà!».
Si bloccò dinanzi la porta della saletta – c'erano arrivati fin troppo presto per i gusti di Dean – dal cui interno provenivano voci e qualche risata. Dean inspirò e si voltò verso Charlie per salutarla ma lei lo anticipò.
«Non rovinare tutto come al solito» sentenziò, puntandogli un dito contro e salutandolo poi con un cenno e un sorrisetto.
Dean rimase immobile davanti la porta per diversi secondi prima di ricordarsi che sarebbe dovuto entrare: inspirò un'altra volta e fece il suo ingresso, salutando con un sorriso tirato Garth, entusiasta come sempre, e il resto del gruppo.
Castiel gli sorrise e al pensiero di quello che gli aveva detto Charlie pensò che non sarebbe riuscito più a guardare Cas nello stesso modo. Eppure il sorriso dell'altro era contagioso e Dean si ritrovò ben presto a sorridere con lui. A lui.
«Castiel dice che gli hai consigliato una canzone» disse Anna come cercando conferma a quella che, a giudicare dalla sua espressione, riteneva un'assurdità. Dean annuì e fece un cenno col capo a Castiel.
«È così. Sono curioso di vedere cosa ne tirerà fuori».
Il sorriso dell'altro si accentuò e fu pervaso da un genuino divertimento.
«Oh, vi stupirò senz'altro».
Mentre Dean si sedeva, già pregustando gli assoli di chitarra di Dall e DeVille, Castiel fece un cenno a Kevin che, seppur interdetto, abbassò le luci.
Garth ebbe giusto il tempo di borbottare un “Ma che diamine...” prima che cominciasse la musica. Una musica che, Dean constatò quasi con orrore, era lontana anni luce dal rock.
La cosa più sconvolgente non stava però accadendo nello stereo alle loro spalle, ma bensì dinanzi a tutti loro: Castiel – il silenzioso, quasi impacciato Castiel – si era sfilato la camicia, esibendo una discutibile canottiera rossa, una spessa collana dorata e... Era un borsalino, quello?
A coronare il tutto, il ragazzo dava loro le spalle e stava ballando. No, meglio, stava sculettando in maniera provocante.
Dean provò a deglutire ma aveva la bocca stranamente secca: secchezza che parve acuirsi quando Castiel si voltò di scatto e mormorò un “Get jazzy on it” con voce roca.
«I'm that flight that you get on, international. First class seat on my lap, girl, riding comfortable.».
Non stava succedendo davvero. Doveva trattarsi di un sogn- incubo.
La voce di Castiel riusciva a rendere ascoltabile perfino una canzone del genere, ma i suoi passi e le sue mosse mozzavano il fiato a tutti. E non per la loro bellezza.
«'Cause I know what the girl them need, New York to Haiti! I got lipstick stamp on my passport, you make it hard to leave.».
Fece un occhiolino malizioso agli spettatori attoniti – Dean tentò di convincersi che non era lui il destinatario – e attaccò con una specie di coreografia più sfrenata.
«Been around the world, don't speak the language! But your booty don't need explaining! All i really need to understand is, when, you, talk dirty to me!».
L'unica che pareva divertirsi un mondo era Meg che aveva cominciato a muoversi a ritmo. Nonostante la mente offuscata, Dean parve comprendere vagamente cosa fosse successo a Castiel: porca puttana che equivoco enorme...
Dallo stereo intanto fuoriusciva il suono di una tromba, in corrispondenza del quale Castiel aveva cominciato ad ancheggiare e ad abbassarsi fin quasi a toccare il pavimento.
«Talk dirty to me!».
La situazione pareva essere fortemente imbarazzante per Anna che aveva nascosto il volto dietro le mani: accanto a lei, Garth aveva la bocca spalancata dall'inizio della canzone e Kevin pareva pietrificato.
Dean si agitò sulla sedia, a disagio, non capendo come mai all'improvviso avesse cominciato a fare così caldo.
«Talk dirty to me!».
Anna si alzò di scatto e corse verso lo stereo: di lì a poco la musica era stata interrotta e le luci riaccese, rivelando un Castiel fermo a metà di quella che, con molta fantasia, poteva sembrare una mossa di breakdance.
Il silenzio che seguì l'interruzione si sarebbe protratto all'infinito se Meg non avesse deciso di infrangerlo a modo suo: con un lungo fischio di apprezzamento.
«Che movimento di fianchi, Clarence».
Parve bastare quello per far esplodere le proteste.
«Cos'era?» domandò Dean, a corto di fiato «Stavi facendo... Twanking, quella roba lì?» «Twerking» lo corresse Anna, così sconvolta da essersi dimenticata che apparentemente era stato Dean a suggerire quella canzone; fu però questione di pochi secondi, poi la ragazza parve ricordarselo e si voltò infuriata verso Dean.
«Come ti è venuto in mente di suggerire una robaccia simile?» «Abbassa i toni, Milton, io non c'entro nulla!» «Oh, certo, come se-» «Ha ragione».
Castiel. Aveva recuperato la sua solita compostezza – per quanto la collana e la canottiera la sminuissero un po' – e stava rivestendosi.
«Potrei, uhm, aver equivocato il titolo?».
Dean diede una mezza risata stupita.
«Potresti? Cas, io ti avevo suggerito “Talk dirty to me” dei Poison! Questa roba cos'era?» «Oh» fece a bassa voce l'altro, improvvisamente consapevole «Credo si chiami “Talk dirty”. Senza il “to me” finale. Di Jason Derulo» aggiunse poi.
Garth prese a sghignazzare senza ritegno.
«Non ci credo! Hip-hop della peggior specie!» «Volgare e inappropriato» rincarò la dose Anna.
Castiel abbassò lo sguardo, contrito, e a Dean venne voglia di far tacere tutti. Possibile che non capissero che si trattava di uno stupido equivoco? Un fraintendimento? Stava già per alzarsi in piedi, pronto a controbattere alle accuse, quando in mente gli riecheggiarono le parole di Castiel: non sono una donzella in pericolo.
Rimase seduto, l'irritazione e il senso di impotenza che crescevano sempre di più; doveva fare qualcosa, eppure Cas era stato chiaro: poteva cavarsela da solo.
Si ritrovò in piedi con gli occhi di tutti puntati addosso – ignorò spudoratamente quelli di Cas che, come sempre, sembravano radiografarlo – e alzò le mani come per mettere a tacere le proteste già esauritesi.
«Adesso basta! Cos'è tutto questo nervosismo?».
I ragazzi si scambiarono occhiate strane e Meg scrollò le spalle con noncuranza, rivolgendosi a Castiel.
«Diglielo, tanto non ha senso continuare così».
Cas sospirò e dopo essersi sfilato il cappello, si sedette a terra con un'aria affranta che Dean non gli aveva mai visto sul volto.
«Raphael ha parlato con il preside» mormorò, lo sguardo fisso sulle sue scarpe «Pare che nel suo Glee Club ci sia la figlia di Neil Boecher, il sovrintendente scolastico del nostro distretto» «Lasciami indovinare,» lo interruppe Dean, l'irritazione che cominciava a trasformarsi in rabbia vera e propria «grazie a questa tizia e al paparino stanno tenendo il preside per le palle, giusto?».
Castiel alzò lo sguardo e annuì, un sorriso triste che gli incurvava le labbra.
«Esatto. Boecher ha anche agganci importanti a livello politico ed essendo un vecchio amico del preside, a Crowley conviene che restino tali» «Questo è uno schifoso favoritismo!» sbottò Dean «Cosa ci impedisce di sputtanare Raphael e quella mandria di cazzoni che è con lui?».
Fu Anna a rispondere stavolta.
«Non abbiamo prove. E Neil Boecher non ha neanche mai parlato dell'argomento con il preside, ma evidentemente basta l'idea che qualcosa vada storto e che grazie a Lilith...» «Cosa? Lilith?» si intromise Meg, un'insolita espressione stupita sul volto «Non sapevo fosse lei la tizia nel club di Raphael!».
Kevin la osservò con attenzione, aggrottando poi le sopracciglia.
«La conosci, mi pare di capire».
Meg roteò gli occhi, nuovamente in possesso del suo atteggiamento sarcastico e arrogante.
«Per essere un cervellone fai delle domande idiote, Tran» soffiò, per poi sospirare e scrollare una volta di più le spalle «Eravamo amiche, un tempo, poi la vita ci cambia, si cresce, blabla e cazzate varie,» ghignò «ora ci odiamo a morte».
Anna pensò che avrebbe potuto apprezzare un'altra persona che detestava Meg ma era troppo corretta anche solo per esprimere questo pensiero ad alta voce: annuì rigidamente e lanciò un'occhiata preoccupata a Castiel, ripiombato in un silenzio triste. Fece un passo avanti per avvicinarglisi e tentare di tranquillizzarlo ma venne preceduta nientemeno che da Dean Winchester.
Inarcò le sottili sopracciglia ma non commentò, limitandosi a osservare che intenzioni avesse il ragazzo.
«Cas,» esordì questi «non lo negherò, la situazione è davvero di merda. Ma tu, voi, non potete darla vinta così a quello stronzo!» «E cosa possiamo fare?» interloquì Garth prima di cominciare a enumerare «Lì in mezzo tutti hanno talento, hanno il preside in pugno, hanno amicizie importanti...».
Il giovane aveva innegabilmente ragione. Dean però non era mai stato tipo da arrendersi alla prima difficoltà: aveva tirato su Sam praticamente da solo dopo il fattaccio, grazie anche alla presenza costante di Bobby, non avrebbe permesso a un gruppetto di cazzoni di abbattere lui e Castiel. E gli altri, ovviamente.
«Ascoltami,» riprese, ignorando l'elenco di Garth e stupendosi di quanto stava per proporre «ho un'idea ma dovete essere tutti d'accordo».
Gli sguardi di tutti si accesero di curiosità.
«Raphael avrà i pezzi grossi dalla sua, ma non ha quello che abbiamo noi: il rock» «Hm, si è visto il risultato...» borbottò sarcastica Meg, venendo una volta di più ignorata da Dean «Se dimostrassimo al preside quanto effettivamente valiamo, quanto crediamo in quello che facciamo, non potrà che tenere in vita anche il nostro Glee Club».
Anna avrebbe voluto con tutta se stessa che le parole di Dean fossero vere ma non voleva farsi illusioni.
«Sarebbe bello, Winchester, ma non credo che al preside importi qualcosa della musica, della bravura eccetera,» commentò mesta «vuole conservare la sua poltrona e noi non abbiamo le possibilità perché ciò avvenga. Raphael e Lilith, invece...» «No,» la interruppe Castiel «ha ragione. Boecher è un grande sostenitore delle arti in ambito scolastico e difficilmente tarperebbe le ali a un club come il nostro!».
Gli occhi gli si erano accesi di speranza e del fuoco di una nuova determinazione che sembrava premere per uscire. Dean sorrise prima di potersi fermare.
«Dobbiamo solo far vedere le nostre abilità e fare il culo a Raphael e ai suoi!» esclamò ripetendo, all'insaputa di tutti, una frase di Dean. Questi rise e porse una mano a Castiel, aiutandolo a rialzarsi: dietro di loro, Anna scosse la testa incredula. Non poteva essere, non poteva crederci!
Castiel, sorridente come se non fosse mai accaduto nulla di negativo, batté le mani un paio di volte e si rivolse a tutti loro.
«Faremo vedere a tutti di cosa siamo capaci! Gli faremo dimenticare l'insuccesso dell'assemblea, smuoveremo le loro coscienze e faremo tremare i loro cuori! Capiranno presto che per noi tutto questo non è un hobby, ma una pulsione vitale, qualcosa di essenziale**!».
L'entusiasmo quasi aggressivo di Castiel era ciò che serviva al gruppo per non buttarsi giù e cominciare a sperare che forse qualcosa di positivo poteva davvero succedere.
«Abbraccio di gruppo!» gridò Garth, correndo a gettare le braccia al collo a Dean e Castiel. Anna lo seguì ridendo assieme a un Kevin meno convinto, mentre Meg sbuffò e si limitò a una pacca sul capo di Garth.
Per effetto dell'abbraccio Dean e Castiel erano praticamente naso a naso. Castiel avrebbe potuto contare ogni singola lentiggine sul volto dell'altro e fu lieto che il suo rossore potesse essere imputabile alla stretta di Garth o all'eccitazione per il discorso di poco prima.
Dean, dal canto suo, si ritrovò stupidamente a pensare che il sorriso di Castiel era qualcosa che sarebbe dovuto essere dichiarato illegale.
Kevin fu il primo a districarsi dall'abbraccio e, guardato l'orologio alla parete, tossicchiò.
«Garth, abbiamo lezione di chimica».
Il ragazzo si separò dai compagni e sbuffò.
«Ma io odio la chimica!» «E io odio te,» lo rimbeccò Kevin «eppure continuo a sopportarti» «Questo non era affatto gentile!» protestò Garth.
I due salutarono rapidamente il gruppo e uscirono battibeccando dalla sala; Meg li seguì quasi nell'immediato, dopo un occhiolino a Castiel, un cenno del capo a Dean e un sorriso falsamente smielato ad Anna. La ragazza replicò allo stesso modo ma, resasi conto di essere rimasta sola ad eccezione degli altri due, si riscosse in fretta.
«Devo scappare,» disse mentre recuperava la borsa «ho appuntamento con la consulente scolastica per parlare del college!».
Si avvicinò nuovamente ai due e, dopo un abbraccio a Castiel, porse la mano a Dean: questi la strinse ridacchiando ma l'espressione ammonitrice di Anna fece scivolare via il ghigno dal suo volto.
«Ci vediamo, Winchester. Non rovinare tutto» aggiunse poi in un sussurro quasi inudibile.
Cos'era quello, il giorno delle citazioni non accreditate? La voce di Charlie nella mente di Dean gli ricordò che Anna era molto amica di Castiel e che, magari, lui le aveva confidato qualcosa.
«Dean».
La voce di Castiel lo riscosse e lui si accorse che anche la Milton se n'era andata. Deglutì discretamente e si voltò verso l'altro ragazzo.
«Una volta di più, grazie» proseguì questi «Sei davvero quello che serviva a questo gruppo, e...» aggiunse in fretta Castiel per evitare che Dean si schermisse come suo solito «... Ho apprezzato davvero che mentre parlavi di farci valere tu abbia utilizzato il “noi”».
Merda. Maledetti i geni Winchester che abbondavano nel suo DNA.
«Sono felice che ti senta parte del gruppo».
Dean ridacchiò e scosse il capo, non sapendo cosa dire. Si sentiva davvero parte di quel gruppetto così male assortito? Stava mettendosi in gioco in quel modo per aiutare tutti loro o solo per qualcuno?
«Stavo pensando...» riprese Castiel, stavolta con vago imbarazzo «Visto che domani abbiamo poche ore di lezione, ti andrebbe di venire a pranzo a casa mia? Insomma, potremmo studiare, scegliere le canzoni da proporre al club...».
Sorrise incerto in attesa della replica di Dean. Replica che sembrava fare fatica ad arrivare.
«D'accordo, perché no?».
O forse no. Un'altra maledizione mentale agli avventati geni Winchester e via, Dean si era lanciato senza paracadute.
Dovette però ammettere, remore a parte, che il sorriso radioso di Castiel al suo assenso lo aveva ripagato. Forse. Chissà perché, poi.
«Se è per ringraziarmi, sappi che non è necessario: non merito-» «Ringraziamenti,» completò Castiel per lui «lo so. Sai, con questo atteggiamento saresti un supereroe perfetto, Dean».
Recuperò il proprio zainetto e salutò Dean con un cenno e un sorriso.
«SuperDean» mormorò questi a se stesso «Suona bene!».


 
**


Il venerdì sera era un momento speciale in casa Singer.
Bobby usciva e rientrava a tarda notte – ufficialmente per prendersi una birra con qualche amico, in realtà per condividerla con lo sceriffo Mills – dunque Sam e Dean avevano la casa tutta per loro.
Solitamente il maggiore ne approfittava per cercare la scorta alcolica di Bobby – ormai l'uomo aveva però trovato un nascondiglio a prova di Dean –, sordo alle proteste di Sam che invece voleva passare immediatamente alla seconda fase della serata.
Da anni i due infatti, su proposta del minore, perché queste erano sempre idee di Samantha, passavano il venerdì sera a rivedere film della loro infanzia. Di buono c'era che quando era il turno di Dean di decidere, il film era sempre un cult indimenticabile; di male c'era che quel venerdì la scelta toccava a Sam.
«Sam, è un fottuto cartone animato!» «E allora? Piace anche a te, non negarlo!».
Dean lanciò un'occhiata irritata alla videocassetta che il fratello stringeva in mano: sulla scatola spiccava un aitante giovane dall'inconfondibile profilo greco, una lunga spada tra le mani e svariati bizzarri personaggi tutt'attorno.
«Vuoi rivederlo solo perché c'è Megara,» riprese Dean «così quando andrai a letto avrai la sua immagine ben stampata in mente e potrai divertirti».
Sam alzò gli occhi al cielo e, senza un'altra parola, inserì la videocassetta nel registratore, accomodandosi poi sul divano: Dean lo seguì qualche istante dopo, sorridendo tra sé per quell'immancabile teatrino.
Non era un grande fan dei cartoni animati ma gli ricordavano la sua infanzia: in più se rendevano felice Sam, a lui andava bene così. Non che l'avrebbe mai detto al diretto interessato.
Sullo schermo dell'antiquato televisore di Bobby cinque giovani Muse cantavano la storia di Zeus e dei Titani: Sam ridacchiò senza staccare gli occhi dallo schermo.
«Potresti cantare questa al Glee Club» «Fottiti».
Il film proseguiva e, sebbene Dean non lo seguisse con molto interesse, non poté evitare di essere contagiato dalle risate del fratello davanti a ogni scena divertente e suo malgrado si ritrovò a canticchiare “Zero to hero”. Se Castiel l'avesse visto cosa avrebbe pensato?
Sgranò gli occhi e prese un lungo sorso dalla bottiglia di birra aperta poco prima. Che gliene importava? Che pensiero era quello?
Posò la bottiglia sul tavolino con troppa foga, facendo cadere qualche goccia di birra sulla superficie di legno: Sam, completamente assorbito dalle vicissitudini di Hercules, per fortuna non gli prestò attenzione.
Per la fine del film Sam era ancora sorridente e Dean appena corrucciato. Salutò in fretta il fratello e salì in camera ma aveva fatto i conti senza lo spirito di osservazione di Sam.
«Dean, va tutto bene?».
Cazzo.
«Ovvio, perché me lo chiedi?».
Sam si strinse nelle spalle.
«Mi sembri un po' alterato. In fondo abbiamo visto solo un cartone animato, non un documentario».
Dean roteò gli occhi e riprese a salire le scale.
«Un'ora e mezza di canzoncine e sentimentalismi come dovrebbe farmi sentire?» «Messa così sembra una riunione del Glee Club!».
La risata di Sam accompagnò Dean fino alla sua camera: dopo aver chiuso la porta dietro di sé si svestì, indossò una maglietta lisa in maniera inverosimile e si buttò a letto.
La sua mente era così stanca che si addormentò prima ancora che Sam giungesse sul pianerottolo.
 
**


I corridoi della Lawrence High School erano stranamente deserti ma d'altronde, essendo Dean in ritardo mostruoso per la prima ora, era comprensibile.
Correva rischiando di inciampare ogni tre passi finché, svoltato un angolo, non si ritrovò davanti una scena che definire “assurda” sarebbe stato un eufemismo bello e buono.
Sam, Charlie e Anna erano in piedi nel bel mezzo del corridoio e tutti e tre indossavano quella che sembravano delle tuniche bianche lunghe fino a terra e tenute su da alcune grosse spille dorate.
Dean sbatté le palpebre e fece un passo indietro.
«Wow, qualcuno ha esagerato per questo Casual Friday?».
Abbassò lo sguardo e notò con stupore che i suoi jeans e la sua felpa erano spariti: al loro posto indossava quello che sembrava un pettorale di bronzo, un ridicolo gonnellino e dei sandali al polpaccio. Drappeggiato sulle spalle un lungo mantello blu sventolava appena come mosso da un'impalpabile brezza e una fascetta cremisi era legata attorno alla sua fronte.
Prima di potersi stupire – già, perché diamine non era ancora stupito dal corso degli eventi? – dell'accaduto, udì una voce. Una voce calda, avvolgente e che avrebbe riconosciuto in mezzo a mille altre.
Trattenne il fiato quando i tre in tunica bianca si fecero da parte, rivelando poco più in là Castiel con indosso una lunga tunica viola.
«Cas...?».
Nessuno diede segno di averlo udito. Dal nulla, apparentemente, cominciò a udirsi la musica leggera di un pianoforte: poi Castiel cantò.
«If there's a prize for rotten judgement, I guess I've already won that. No man is worth the aggravation... That's ancient history, been there, done that!».
Come rispondendo a un preciso segnale, Sam, Charlie e Anna si appoggiarono agli armadietti e cominciarono a cantare a loro volta.
«Who'd ya think you're kiddin', he's the Earth and heaven to you, try to keep it hidden, honey we can see right through you, boy ya can't conceal it, we know how ya feel and who you're thinking of...».
Castiel puntò il suo sguardo cristallino su Dean che si sentiva come inchiodato al pavimento. Voleva correre via da quella follia – lo voleva davvero? – ma una qualche forza misteriosa lo teneva bloccato lì.
«No chance, no way, I won't say it, no no» «You swoon, you sigh, why deny it, oh oh!» «It's too cliche, I won't say I'm in love...».
Era tutto troppo folle per essere vero. Stava forse sognando? Era finito in qualche candid camera?
Intanto Castiel stava avanzando verso di lui, seguito a ruota dal bizzarro terzetto.
«No chance, no way, I won't say it, no no» «You're doin' flips, read our lips, you're in love!» «Get off my case I won't say it!».
Ormai Castiel era a pochi passi da lui. Poco oltre i tre improvvisati coristi si erano invece fermati, un sorriso allusivo sul volto e le ultime parole di quella canzone pronte per essere cantate.
«Boy don't be proud, it's ok, you're in love».
Dean avvertì un tocco leggero sul suo volto: Cas era lì, a pochi centimetri da lui e lo osservava quasi adorante, gli occhi blu che rilucevano più che mai.
«Oh ooooh, at least out loud... I won't say I'm in... Love...».
I loro volti erano troppo vicini, sempre più vicini, ormai praticamente a qualche millimetro...
 
**


Dean si risvegliò con un sobbalzo.
Aveva la fronte imperlata di sudore e il respiro affannoso. Si tirò su a sedere e si strofinò gli occhi cisposi, lanciando un'occhiata distratta alla finestra: non filtrava alcuna luce, dunque doveva essere ancora notte fonda.
Si lasciò ricadere sul cuscino con un gemito e richiuse gli occhi tentando di riaddormentarsi e di ignorare le immagini ancora vivide del sogno assurdo che l'aveva fatto destare di soprassalto.
E soprattutto, realizzò con un secondo gemito disperato, di ignorare la fastidiosa sensazione che avvertiva nei boxer improvvisamente troppo stretti.




































* Citazione tratta (e leggermente modificata) da "Hercules" della Disney.
** Citazione (come sopra, leggermente modificata) di The Edge, alias il chitarrista degli U2.

Angolo acuto dell'ottuso autore
Comincio subito con lo scusarmi sinceramente con tutti coloro che seguono/seguivano questa storia.
Pare inverosimile – e a qualcuno parrà una scusa o una bugia – ma in questo periodo ho avuto più problemi che in una vita intera. Problemi accademici, familiari e sentimentali: mancavano quelli di salute e avrei fatto l'en plein.
Purtroppo non posso promettervi aggiornamenti rapidi e/o costanti ma vi giuro che farò del mio meglio :)
Comunque vorrei ringraziare tutti coloro che leggono, seguono, recensiscono questa storia: a tal proposito mi scuso di non aver potuto rispondere alle vostre recensioni ma sappiate che le ho gradite tutte immensamente: Tiger_Lily90, Ciuffettina, MidoriChan, Dedde_Jester e niclue, tanti cuori per voi <3 <3 <3
Ci tengo però a rispondere brevemente a niclue: oltre a ringraziarla per la recensione folle (amo le recensioni così xD) devo dirle grazie anche per il suo appunto su Castiel. Niente insulti né Leviatani, apprezzo la tua osservazione ma ci terrei se mi specificassi come (o in che punti) ti pare OOC, così posso rendermene meglio conto e “sistemarlo” un po' :)
E per gli occhiali niente, un mio piccolo kink xD
Ok, terminata la (doverosissima) introduzione, passiamo al musical corner del capitolo!
La canzone sexy di Cas, come specificato nel capitolo stesso, è “Talk dirty” di Jason Derulo e 2Chainz (per chi volesse invece quella originariamente suggerita da Dean era “Talk dirty to me” dei Poison – Chuck solo sa quanto ami il rock di quegli anni!); la canzone conclusiva invece è, come spero tutti abbiate notato, “I won't say (I'm in love)” dal film Disney “Hercules”.
E dunque concludiamo così, con nuova determinazione, Charlie passione detective e imbarazzanti erezioni post-sogno: restate collegati (?) per il prossimo capitolo, applepies, a ben risentirci :3

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