La nuova vita di Anna

di Fable
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo incontro ***
Capitolo 2: *** Eventi strani ***
Capitolo 3: *** Risveglio ***
Capitolo 4: *** Memorie ***



Capitolo 1
*** Primo incontro ***


~~Salve, sono Anna, una normale liceale, di un normale liceo, di un normale mondo. Ma le cose non rimangono mai uguali nella vita, mai. La ruota gira, diceva sempre mia madre ed io non le credevo. Mi sbagliavo, gira, eccome se gira. La mia ha girato così velocemente che mi ritrovo con il mal di testa. Ma questo è un altro discorso, la storia è molto lunga, prestate attenzione, voi che leggete e che il racconto sia piacevole.

Svegliarsi di mattina dovrebbe essere ogni volta un trauma per un adolescente, lo capivo. Ma io ero talmente abituata da non aver neanche più il pensiero di cambiare abitudine o solamente sperare in qualche cambiamento orario.
-Che sonno, voglio tornare a letto- disse Lara sbadigliando.
-Già- conferma Elisa. Poi si gira verso di me.
-Tu sembri dormire in piedi-
La guardo e sorrido.
-Anna, ma tu ogni volta non scendi all'ultima fermata dell'autobus? - mi domanda.
-Si- rispondo-scendo al capolinea- dissi sorridendo.
-Quindi ti svegli ancor prima di noi...- puntualizzò.
-Già, ma non mi da fastidio, ormai sono abituata- risposi.
-Beata te- mi rispose sbadigliando ancora una volta.
Lara ed Elisa continuarono a parlare ma io uscii dalla conversazione, sfruttando il finestrino. Mi girai e guardai fuori. La pioggia rendeva sempre tutto più cupo ma non mi dispiaceva, personalmente mi piaceva l'odore della pioggia in città soprattutto, copriva i suoi orrendi odori di spazzatura e fumo. Dopo circa un'altra mezz'ora finalmente intravidi la scuola. Era formata da più edifici tutti disposti sullo stesso piano, tutti dello stesso colore. L'autobus entrò proprio in mezzo al gruppo degli edifici per facilitarci l'entrata, infatti siamo riusciti tutti a non bagnarci fino alle mutande.
-Allora ci vediamo all'uscita, per l'autobus?- chiesi, rivolgendomi alle ragazze.
-Certo- risposero.
 Le salutai e andai verso l'aula di filosofia, era la prima materia del lunedì. Entrando cercai il mio solito posto vicino al termosifone e mi sedetti preparandomi per la lezione.
-Ehi- mi sentii chiamare.
Mi girai verso la voce e guardai il ragazzo di fronte a me.
-Mi presteresti il libro?- mi chiede.
Lo guardai.
- Perché me lo domandi, Leo? Lo dimentichi sempre- gli risposi.
In cambio lui sfoggiò il suo sorriso “sono il più figo del mondo e non mi puoi dire di no”.
-Ti prometto che la prossima volta lo porto- mi disse facendosi il segno della croce sul cuore. Peccato che lo faceva ogni sacrosanto giorno.
-Anche questo dici sempre- gli risposi facendomi scappare un sorriso. Con lui era impossibile non farlo. Non che mi piacesse, era il solito ragazzo che  credeva che tutte erano ai suoi piedi e poteva farne ciò che voleva, ma era gentile e simpatico e...beh ovviamente bello, non potevo negarlo.
Nel frattempo arrivò il professore e ci alzammo tutti per il saluto.
-Buongiorno ragazzi, comodi, comodi.- disse salutandoci.
Mi sedetti e diedi il libro a Leo, tanto a me non serviva, avevo i miei appunti che erano meglio.
La lezione si concentrò principalmente sul pensiero e la vita di Kant, su come e il perché ha scritto le sue opere e altro. Mi piaceva la filosofia, era una delle materie che ti permettere di ragionare. Finita l'ora, toccava alla matematica. Il suo padiglione si trovava dall'altro lato rispetto alla mia posizione, quindi dovevo sbrigarmi, i professori soprattutto quelli di matematica non sopportano i ritardatari e io non volevo accattivarmi di certo il professore soprattutto all'ultimo anno. La lezione trascorse veloce come la prima e così tutte quelle successive, anche se quella d'inglese è stata piuttosto pesante. Così in un batter d'occhio, la giornata finì e potei finalmente tornare a casa. Uscii dalla scuola e mi diressi verso il parcheggio per incontrare Elisa e Lara ma ancora non erano arrivate. Guardai il cielo, sicuramente si sarebbe messo a piovere a dirotto.
“meno male che ho l'ombrello” mi dissi.
Poi sentii la suoneria del mio cellulare squillare e vidi che era Lara.
-Pronto?- dissi.
-Ehi,ciao. Anna scusami ma andiamo a casa con Andy e Josh- mi disse.
Andy e Josh erano i ragazzi di Lara ed Elisa.
-Uhm...si va bene, allora a domani, ciao- le risposi.
Chiusi il cellulare e mi diressi verso la fermata che si trovava dall'altra parte della strada. Lara ed Elisa stavano con i propri fidanzati da due anni, quindi capitava molto spesso che non facevamo la strada di ritorno insieme. Molte volte provarono a cercarmi un ragazzo, come se io non ne fossi capace, ma io avevo sempre rifiutato. Non era il mio stile di vita, non potevo proprio permettermi di avere un ragazzo. Certo ero stata con qualcuno, era ovvio, ma con queste esperienze mi resi conto che non ne avevo bisogno...almeno per ora. Cercai un posto dove sedermi e possibilmente ripararmi. Camminai lungo il marciapiede che affiancava una villetta circondata da un recinto in pietra. Questo poteva benissimo essere usato come sedile, infatti non ero l'unica a pensarla così. C'erano una serie di ragazzi e ragazze appollaiati sul recinto. Erano di tutti tipi, darck, punk, con felpe larghe e cappelli penzolanti, con pantaloni larghi o stretti. Ognuno di questi formava un gruppo e parlottavano tra di loro, schiamazzando, ridendo o mimando qualche personaggio. Il mio obbiettivo era quello di sedermi, aspettare l'autobus e andarmene a casa. Quindi non badai ai ragazzi e alle ragazze già seduti e mi sedetti dove c'era spazio...ovvero poco prima della fine del muretto. Posai lo zaino e appoggiai la schiena...cavoli che stanchezza, la sentivo tutta sulle spalle. Presi un grande respiro, per schiarirmi le idee, e lo lasciai uscire rumorosamente. Mentre mi godevo la pace che ero riuscita a ottenere, sentii un fruscio. Mi girai verso il rumore alla mia sinistra e vidi che non ero del tutto sola. Un gatto con il pelo di un grigio fumo e gli occhi gialli mi fissava. Camminò lungo il muretto fino ad arrivare vicino a me, poi mi guardò di nuovo e si sedette su due zampe. Rimase in quella posizione per diversi minuti  anche quando ho provato a spaventarlo. Adesso si che la cosa era strana. Mi guardai intorno e vidi che alcuni ragazzi mi guardavano. Certo una scena così non si vedeva tutti i giorni, una ragazza che fissa un gatto che sembrava una statua. Di solito gli animali scappavano e io non ero mai stata né brava né paziente con loro, figuriamoci. Tentai nuovamente di toccarlo ma lui non si smuoveva da lì, allora continuai ad avvicinare la mia mano fino a sfiorare il suo pelo. Lo accarezzai e lui con la sua piccola testa paffuta, seguì i miei movimenti.
-Ti sto simpatica eh?- gli dissi. Beh, non c'era altra spiegazione.
Il gatto continuò ad apprezzare le mie carezze finché non si allontanò per scendere e dirigersi verso la fine del marciapiede. Lo seguii con lo sguardo e vidi che si stava avvicinando ad una figura che era appoggiata al tabellone dei orari. All'improvviso si fermò davanti a quella persona e alzò nuovamente la testa come aveva fatto con me però sta volta scappò miagolando. Rimasi sbalordita da quel comportamento. Alzai lo sguardo per vedere chi era e mi ritrovai a fissare un tizio al quanto inquietante. Aveva il cappuccio calato sul volto, ma riuscii ad intravederne le fattezze giovanili dell'adolescenza quando puntò i suoi occhi su di me. Erano glaciali e molto scuri, due pozzi senza fondo. Mi accorsi di star fissando troppo a lungo un ragazzo, così feci finta di niente e mi voltai osservando con attenzione il mio abbonamento dell'autobus. Che scena patetica, speravo che nessuno mi avesse vista. Dopo alcuni minuti arrivò finalmente l'autobus e feci di tutto per non voltarmi dalla parte del ragazzo strano. Mi sedetti in uno dei ultimi posti, quello vicino al finestrino e misi le cuffie. Dopo mezz'ora di strada intravidi l'angolo che girava per la via in cui abitavo e mi alzai per prepararmi a scendere. La cosa che odiavo dell'autobus era che le persone sembrava far di tutto per non farti passare. Cercai un varco in mezzo alla gente per svignarmela ma inavvertitamente spinsi un ragazzo che non aveva sentito per quattro volte il mio “permesso”. Però non pensai che quel ragazzo era molto irascibile. Mentre stavo camminando per andare verso l'uscita mi prese per un braccio e mi tirò verso di se.
-Ehi, ragazzina- mi disse- tu mi hai spinto- constatò.
Lo guardai prima in faccia, poi guardai la sua mano che teneva il mio braccio, e poi di nuovo in faccia. Sorrisi quando gli risposi:
-Oh, scusami ma vedi è questo quello che succede se per la quarta volta una persona ti dice permesso e tu non la fai comunque passare, facendo per giunta finta di essere sordo....o lo sei per davvero?- gli chiesi.
Il ragazzo mi guardò con occhi che facevano capire le sue intenzioni, e sapevo che non erano buone.
-Hai la lingua lunga- mi disse sputandomi quasi in faccia, talmente era vicino al mio viso.
Cercai di sottrarmi alla sua presa ma niente da fare, non voleva mollarmi.
-Scusami, ma dovrei scendere adesso, la mia fermata è questa- dissi strattonando ancora il braccio.
-Tu non vai da nessuna parte- mi rispose e rafforzò la presa fino a farmi scappare un gemito.
La gente cominciò a girarsi verso la nostra direzione, indicandoci e squadrandoci.
-Lasciami!- gridai per attirare l'attenzione.
-Alza la voce di nuovo e...- mentre diceva queste parole nel mio campo visivo entrò una mano che afferrò il collo del ragazzo. Quest'ultimo sgranò gli occhi per la sorpresa e immediatamente lasciò il mio braccio.
-Erik...- disse il ragazzo puntando lo sguardo alle mie spalle.
Sapevo chi era, sentivo la stessa sensazione di disagio che provai alla fermata. Il suo respiro mi solleticava l'orecchio e il suo petto aderiva alla mia schiena. Era piuttosto muscoloso il giovanotto, dovevo ammetterlo.
-Stai dando fastidio- rispose Eick con  voce bassa e minacciosa. Mi girai verso la sua direzioni e vidi il suo volto. Cavoli...non c'era da stupirsi se il deficiente-arrogante che avevo davanti era nervoso. Aveva un volto che intimoriva e metteva in soggezione, soprattutto gli occhi, neri come l'inchiostro e minacciosi come quelli di un predatore. Riuscii a spostarmi e a guadagnare l'uscita dall'autobus. Finalmente ero a terra, non ne potevo più. Ma che era preso a tutti? Soltanto quando l'autobus riprese a muoversi che mi accorsi che ero scesa un bel po' di fermate dopo rispetto a quella in cui dovevo scendere. Casa mia si trovava dove l'autobus faceva capolinea, ma quel ragazzo facendomi perdere tempo aveva fatto ricominciare il giro. Fantastico, adesso devo aspettare che l'autobus ritorni. Optai per ritornare a casa a piedi, avrei impiegato sicuramente meno tempo dell'autobus. Iniziai a camminare sempre con le cuffie alle orecchie e andando a tempo di musica, riuscii di nuovo a trovare tranquillità. Se la scuola fosse stata più vicina avrei volentieri fatto a meno dell'autobus. Mi piaceva camminare e godermi il tepore del sole sulla pelle e il dolce vento tra i capelli. Questo però si poteva fare sono in prossimità della città, nella periferia, in città con automobili, semafori, urla e gente che cammina freneticamente non si riesce mai a stare tranquilli, almeno per me era così. Continuai a camminare spensierata fino a quando non sentii una leggera pressione sulla spalla destra. Mi fermai e tolsi una delle due cuffie dall'orecchio per capire cosa stava succedendo. Voltandomi mi ritrovai il ragazzo misterioso che mi ha difesa sull'autobus.
-Scusami- mi disse-Non volevo spaventarti-
Ero sorpresa, chi avrebbe immaginato che sarebbe sceso con me, non l'avevo neanche visto.
-No, figurati- gli risposi con un sorriso.
-Grazie per poco fa, quel ragazzo doveva avere problemi...- dissi tanto per sdebitarmi.
-No avevi ragione, ho solo fatto quel che si doveva fare- mi disse.
Ah...va be.
-Beh, grazie di nuovo, ci si vede- dissi salutandolo.
Non volevo essere sgarbata ma ero in ritardo e di questo passo non sarei mai arrivata a casa.
-Ehi..- mi sentii chiamare.
Mi voltai riluttante, cos'altro voleva da me?
Lo guardai aspettando cosa volesse dirmi.
-Aspetta ti accompagno- disse.
Che? Per quale motivo?
-Non c'è ne bisogno...-dissi ma lui si oppose fermamente.
-Se sarei intervenuto prima tu saresti riuscita a scendere prima...quindi fai la brava e fatti accompagnare- disse.
Ooooook, ragazzo strano. Ci siamo capiti.
Lo guardai incredula e lui mi rispose facendomi l'occhiolino. Ignorandolo lo oltrepassai senza dagli troppa soddisfazione, mancavano si e ne un quarto d'ora a piedi da casa mia a dove mi trovavo. Quindici minuti...potevo farcela. Camminammo in silenzio, senza spiccicare una sola parola. Ogni tanto vedevo che si fermava, rimaneva immobile per alcuni minuti e poi riprendeva a camminare. Perché lo faceva? Per vedere se lo aspettavo? Assurdo, non era il tipo...credo. Dopo un'eternità finalmente vidi il portico di casa mia e mi fermai.
-Ok...ehm, sono arrivata , ancora grazie di tutto- gli dissi.
-Prego, Anna- rispose lui- ci vediamo-.
Con queste parole se ne andò e attraversato la strada, scomparse non appena svoltò l'angolo. Che tipo...ma tutti io li dovevo incontrare? Con le idee ancora confuse feci le scale e presi la chiave di scorta. Mia madre ancora non era arrivata, quindi toccava a me preparare la cena sta sera. Posai zaino e cappotto sul divano, accesi la TV per compagnia e andai in cucina. Aprendo il frigorifero vidi che mia madre sta mattina aveva preparato l'insalata e qualche panino. Misi a riscaldare quelli e a tavola misi l'insalata, dopo di che presi una padella per friggere qualche patatina e due hamburger. Coprii il tutto per non farlo raffreddare e andai a rilassarmi nel salotto, aspettando mia madre. Di solito non guardo la TV, ma sta sera c'era un vecchio film che guardavo da bambina, quindi prestai attenzione. Solo quando vidi i titoli di coda mi accorsi di una cosa...Erik come faceva a sapere il mio nome?

 

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Capitolo 2
*** Eventi strani ***


Quando sentii la porta aprirsi, accantonai quel pensiero e pensai a mangiare. Mia madre aveva avuto una giornata davvero pesante, si capiva da come a mala pena riusciva ad alzare la forchetta. Mi raccontò che oggi all'ospedale erano arrivati due uomini ridotti veramente male. Hanno dovuto operarli e osservarli per tutto il tempo. L'incidente non era stato ancora ricostruito e non avevano trovato nessun colpevole, sul luogo, la polizia a trovato soltanto tracce di cenere e asfalto bruciato. -E a te, come è andata oggi?- mi domandò, sforzandosi di sorridere. La guardai e pensai che era davvero una persona forte, si vede che non ho preso da lei. -Benissimo, solita giornata- le risposi. So che non era bello mentire ma era molto peggio vedere la sua faccia preoccupata. Ogni volta facevo così, se avevo un problema lo risolvevo da sola, non dovevo assolutamente essere un peso per lei. -Bene- mi disse. La cucina fu immersa di nuovo nel silenzio. Quando finimmo, mamma andò a cambiarsi per andare a letto, io finii di lavare i piatti e sistemare la cucina. Passai per il salotto prendendo lo zaino e salii in camera. Dovevo tradurre solamente un estratto dal libro di Frankenstein per finire i compiti di domani. Chiudendo il libro d'inglese, ritornai a pensare ad Erik. Mi aveva chiamato con il mio nome ma io non ricordo di averglielo detto. Ma sarà...non volevo pensarci, sarà una coincidenza o lo avrà sentito da qualche parte, comunque sapevo che probabilmente non ci saremmo più scambiati una parola. Andai in bagno per lavarmi e cambiarmi, ci voleva una lunga doccia. Quando finii mi asciugai in fretta e lasciai i capelli umidi, non volevo svegliare mia madre. Aprii il cassetto dove c'erano le spazzole per prenderne una e sciogliere i miei impossibili nodi, se non li pettinavo domani non avrei avuto speranze con loro e dovevo filare dal parrucchiere e rasarmeli, come minimo. Era mia abitudine spazzolarmi allo specchio, non so il perché, non che ne avevo bisogno ma non riuscivo a farne a meno. Quindi mi portai davanti allo specchio e cominciai con infinita pazienza ad occuparmi dei miei capelli. Da piccola li odiavo, o meglio dire, me li facevano odiare. Dicevano che erano troppi e sembravo così una specie di pazza uscita appena dal manicomio. Adesso crescendo li ho tagliati e mi arrivavano un po' oltre alle spalle e avevo fatto togliere un po' di massa così non sembravano gonfi. Mentre li lisciavo notai una cosa strana. Il mio pigiama era sbottonato fino al terzo bottone e si intravedeva un po' della mia pelle pallidissima alla luce. Dalla scollatura intravedevo una macchia piuttosto scura, se non proprio nera. Vi passai sopra la mano ma non andava via, allargai maggiormente la scollatura per vedere meglio e … O mio Dio … Che cosa avevo? Sembrava un grosso e gigantesco neo. Era enorme rispetto a quelli che avevo già. Potevano esistere nei di quelle dimensioni? E poi era proprio al centro del mio petto. Ma quando mi sarà spuntato, non c'era prima. Speravo con tutto il cuore che fosse l'unico e che non cominciassi a diventare tutta piena. Che orrore... Abbottonai la scollatura lasciai perdere. Non che fossi una di quelle fissate con la bellezza e tutto il resto, ma non per questo volevo tutta la mia pelle ricoperta da quelle grosse macchie scure. Uscendo dal bagno, passai lentamente davanti alla camera di mia madre che dormiva profondamente e filai per raggiungere la mia. Non vedevo l'ora di andare a letto e non pensare più a niente, che giornata ragazzi avevo proprio bisogno di una dormita … Il mattino aprii gli occhi e fui accecata dalla luce, mia madre aveva alzato la serranda. Vorrei poter dire ho fatto una bella dormita e ho recuperato tutte le mie energie...e invece no. Come se l'ho avesse fatto a posta, quel ragazzo è riuscito a non farmi chiudere occhio, non prendetemi per stupida vi prego, ma è andata davvero così. Non ho fatto chissà quale sogno, aveva solo impressa nella mia mente quei occhi. Non riuscivo a togliermeli dalla testa. Adesso avevo due scelte: ritornare a letto o andare a scuola. No, non lo farò vincere, pensai. Assolutamente no. Quindi come uno zombie ambulante in cerca della sua preda, presi dei vestiti e andai a prepararmi. Ci stetti più del dovuto, dannazione. Finito scesi le scale e vidi che mia madre se n'era già andata e mi aveva lasciato tazza, latte e cereali sul tavolo. Sorrisi, anche se era impegnata pensava sempre a me. MI preparai la colazione e finendo di mangiare non mi rimaneva altro che prendere le chiavi ed uscire di casa. Chiusi attentamente, controllai ogni sicura per due volte, non volevo dimenticarmi qualcosa che potesse incentivare un ladro. Lasciai il portico di casa mia e andai alla fermata e mi sedetti al solito posto, ovvero sopra un contatore dell'elettricità. Può non sembrare comodo ma era l'unico sempre libero quindi dovevo arrangiarmi. L'autobus era inaspettatamente meno pieno delle solite volte, infatti riuscii immediatamente a trovare posto. Presi le mie adorabili e immancabili cuffie e ascoltai la meravigliosa voce dei Seether. Con quella musica alla orecchie e il paesaggio che mi scorreva davanti agli occhi, riuscii ad riposarmi mentalmente e recuperai un po' di ottimismo, mi sarebbe sicuramente servito durante la giornata. Aspettai altri dieci minuti e vidi salire Lara ed Elisa, mi feci vedere facendogli un cenno dal posto. Quando mi videro mi raggiunsero e si sedettero accanto a me. -Oggi è praticamente vuoto- disse Lara. -Già, insolito. Sarà successo qualcosa?- domando Elisa. -Forse e solo nostra impressione- dissi guardandomi intorno. Ma avevo la sensazione che non fosse affatto un impressione. Comunque dimenticammo il perché l'autobus fosse vuoto e parlammo delle materie che ci aspettavano oggi. -Io ho matematica- disse Elisa. -Io storia moderna- disse Lara -E tu?- domando rivolgendosi a me. -Biologia- dissi con più entusiasmo di loro due. Almeno la prima materia di oggi mi sarebbe piaciuta. Continuammo a parlare, degli esami, dei troppi compiti, degli esercizi complicati e intanto io ascoltavo un gruppo di ragazzi alle mie spalle. -Ehi avete sentito?- domando uno dei tre ragazzi. -Cosa?- domando quello di fronte a lui. -Dell'incidente di ieri, no?- -Ah, si quello in cui sono stati coinvolti i due uomini...- -Già, non ti pare strano? Non sono state trovate traccie- constatò il ragazzo che aveva preso il discorso. -Perché vogliamo parlare dello stato in cui sono stati trovati?- domandò il secondo. -Non ne so molto ma dicono che non era possibile neanche riconoscerli di come era ridotti- disse quest'ultimo. -Sono stati completamente carbonizzati- disse il terzo ragazzo, quello che ancora non aveva aperto bocca. -Mia madre era presente durante l'autopsia- riprese- Mi disse, che anche il primario del reparto non sapeva di cosa si trattava- disse concludendo. Conoscevo quel ragazzo,era il figlio della collega di mia madre. Come mia madre anche la sua era una delle infermiere che aiutavano il primario in sala operatoria. Questa situazione era davvero spaventosa, com'era possibile, che in una città così tranquilla succedessero queste cose? Scesi dall'autobus ancora con le parole di quei ragazzi che mi ronzavano i testa. Possibile che oggi sull'autobus c'erano poche persone proprio per questo motivo? Andai direttamente in classe, senza passare dagli armadietti, tanto avevo già i libri che mi servivano per la prima ora, gli altri li avrei presi dopo. Arrivai in classe proprio durante lo squillo della campana, per fortuna la prof ancora non c'era. Presi un respiro e mi sedetti al mio solito posto e cercai di distrarmi un po'. -Ehi..- mi sentii chiamare. Oh, no. Ti prego, basta. -Che c'è?- chiesi svogliata, non avevo assolutamente voglia di vedere quel sorriso, di nuovo. -Che hai? Non voglio chiederti il libro, tranquilla...-disse Leo intuendo cosa avevo pensato. -Allora cosa vuoi?- gli dissi, chissà perché non ero dell'umore giusto oggi. -Sai cosa chiederà la prof di Bio?- mi chiese. Lo guardai di traverso, possibile che non era capace neanche di prendere appunti? Mi girai verso il mio banco, cercai tra le pagine del libro e trovai il foglio in cui mi ero segnata gli argomenti. -Tieni- dissi schietta. -Sei Queen, Anna- mi disse. Quando faceva così … Non mi rimaneva che ridere, non volevo ma davvero non potevo trattenermi. Poi notai che si sporse verso il suo compagno di banco e disse: -Guarda che sexy Anna quando agita la coda- e volgendosi di nuovo a me mi fece il segno Ok con le mani. -Finiscila- gli risposi intimandolo. Già oggi mi sono svegliata con la voglia di andare in giro con la coda, era raro che lo facevo perché avevo i capelli piuttosto corti, ma ogni tanto un cambiamento d'immagine ci voleva. Finita l'ora scappai letteralmente dall'aula e andai agli armadietti per prendere il resto dei libri. Meno male che c'era poca gente e arrivai subito. Aprii usando la combinazione e tirai fuori il libro di latino e quello di storia dell'arte, quello d'inglese l'avevo già per l'ultima ora. Chiusi l'armadietto di fretta e non mi accorsi della presenza vicino a me. Feci un passo indietro e rimasi spiazzata. Erik era proprio di fronte a me con le sopracciglia aggrottate e mezzo sorriso sulle labbra. -Tutto bene?- mi chiese. Forse dovevo finirla di essere così emotiva. -Si si, va benissimo- dissi con la disinvoltura che riuscii a manifestare. Mi voltai e nel mentre dissi un ciao di sfuggita per levarmi di torno. Perché dovevo farmi tanti problemi? Lui raggiunse il mio fianco e mi trattenne per una cinghia dello zaino. -Ti aspetto, non ritardare- disse solamente e se ne andò con la stessa facilità di come era apparso. Gli buttai solamente un'altra occhiata e poi filai dritto per l'aula. Sedendomi mi rivolsi verso la finestra che dava al cortile e vidi come l'inverno stava prendendo il sopravvento sull'autunno. Cercai di memorizzare ogni singolo particolare di quel paesaggio, pur di non pensare ai particolari di quel ragazzo, e sopratutto di non avevo intenzione di soffermarmi e comprendere le ultime parole che mi aveva detto prima di scomparire di nuovo. Quando le lezioni finirono avevo un leggero mal di testa, non so per quale motivo ma probabilmente era per colpa della mancanza di sonno. Sta notte avevo assolutamente intenzione di dormire, quindi Erik mi spiace ma sarò io che la spunterò sta notte. E' incredibile quanti problemi possa crearti un ragazzo, o meglio dire quanti complessi una ragazza si può fare su un ragazzo … ma la colpa è sempre e comunque sua. Mi diressi verso il cortile dove incontro di solito Lare ed Elisa e infatti le trovai lì a chiacchierare con … Andy e Josh. -Ehiiii- mi saluto Lara avvinghiata al suo ragazzo. -Ciao- dissi sorridendo. -Stai andando a prendere l'autobus?- chiese Elisa. -Si, voi che fate?- gli domandai. -Usciamo, sai ci saranno compiti e verifiche e non avremmo sicuramente tempo la prossima settimana, quindi ci organizziamo per questa- disse Lara. -Perché non vieni anche tu? Così ti distrai un po', sei sempre a casa da sola...-mi chiese Elisa. -Vero. Perché non vieni? Andy e con la macchina può lasciarti lui a casa- propose Lara guardando nella direzione di Andy. La richiesta era allettante, volevo davvero uscire con loro ma non volevo essere di troppo ed era vero che era l'ultima settimana che avevano per rimanere da sole con i propri ragazzi. Io che avrei fatto? Li avrei guardati tutto il tempo? Preferivo andare a casa. -Dai ragazzi … spassatela voi quattro, io andrò a vedere qualche film sul mio comodo e invitante divano- dissi convinta, lo ero per davvero. -Sicura?- chiese Elisa. -Non preoccupatevi per me ...- risposi sincera. Avevo una strana sensazione però, la stessa che provo quando ho a che fare con un certo ragazzo... Girai leggermente la testa, tanto quanto basta per riuscire a vedere la fermata dell'autobus. C'erano i soliti gruppi di ragazzi, forse meno numerosi, seduti negli stessi posti di ogni giorno e alla fine del muretto era sempre vuoto come ieri... e come ieri c'era Erik appoggiato al tabellone degli orari. Mi stava fissando ne ero certa. Anche se poteva essere una mia impressione...la sua testa sembrava rivolta verso di me. Ti aspetto, non ritardare... Finalmente realizzai il vero significato di quelle parole... La mia faccia doveva essere proprio strana, perché tutti si accorsero che c'era qualcosa che non andava. -Qualcosa non va?- disse Lara. Riportai l'attenzione su di loro e mi concentrai, riuscendo a collegare il cervello con la bocca. -No,no niente- dissi sorridendo-Allora ci vediamo ragazzi- Mi voltai e andai verso la fermata. Percorsi tutto il marciapiede, con tutti gli sguardi puntati a dosso, raggiungendo Erik. Mi fermai proprio davanti a lui. Lui alzò la testa e mi guardò con un sopracciglio alzato e il solito mezzo sorriso. -Ehi...-dissi salutandolo-scusa per il ritardo-

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Capitolo 3
*** Risveglio ***


~Ci continuammo a fissare per un paio di secondi finché per la tensione fui costretta a deviare lo sguardo. Dato che Mister Statua non si smuoveva o non accennava ad un solo movimento, sospirando mi appoggiai al padiglione nella sua stessa posizione.
-Com'è andata?- chiese.
Mi girai verso la sua direzione aggrottando le ciglia.
-Cosa?- gli domandai, in che senso "com'è andata?".
-Con i tuoi amichetti- rispose, facendo un accenno verso i miei "amichetti" che ancora si trovavano a parlare nel parcheggio.
-Non capisco- dissi. Cosa c'entravano loro?
Mi guardò come se stesse parlando con una ritardata.
-Non dovevi uscire con loro?- mi chiese.
-No...- risposi. Ma aspetta un momento...
-E tu come fai a saperlo?- gli domandai frastornata. Questa è la seconda volta, cavoli.
Pensavo di averlo messo in difficoltà, mi sarei aspettata un risposta del tipo "Ti spio e tu non lo sai". Invece lui...spallucce. Tutto qui.
-Tutto qui?- gli chiesi infatti.
Lui si girò dalla mia parte e mi sorrise.
-E già- rispose.
Continuai a guardarlo ma non perché volevo una risposta, anzi dal momento in cui ho visto la sua bocca che si allargava e mostrava quei denti perfettamente bianchi...il mio cervello doveva aver subito un danno. Non riuscivo a smettere. Lui non sembrava né imbarazzato né infastidito dal mio comportamento e ricambiava il mio sguardo.
-Ok- dissi per calare un sipario tra di noi. La tensione era tornata di nuovo...sia ringraziata la tensione.
Lui sorrise. Era una risata così innocente...non sembrava neanche di un ragazzo che il giorno prima aveva afferrato il collo di un'altro.
Tra di noi calò il silenzio. Era come quella volta, quando mi accompagnò a casa. Non sapevamo di che parlare. Quando la situazione si stava facendo davvero imbarazzante, almeno per me, arrivò finalmente l'autobus. Salii per prima e una volta dentro cominciai a cercare posto... ma chiedevo troppo. Quindi mi diressi verso la fine del mezzo sperando di trovarmi qualche angolo in cui appoggiarmi. All'improvviso mi sentii tirare da dietro e mi trovai tra la parete ed Erik.
-Qui non ti va bene?- chiese.
Che spiritoso...
Lo guardai in faccia mostrandogli che i suoi giochetti con me non attaccavano. Ma me ne pentii immediatamente. Adesso che eravamo così vicini, riuscii a vederlo nella sua completezza. Non era male...anzi. Era alto, il suo mento arrivava all'altezza della mia fronte. I suoi capelli neri erano lisci e arruffati per colpa del cappuccio e alla luce erano splendenti e i suoi occhi, adesso così caldi e non più gelidi o scontrosi. Vedevo con la coda dell'occhio le sue mani, grandi e magre, appoggiate alla parete che ringraziando il cielo mi sosteneva. Stranamente mi accorsi di non essere a disagio, come le prime volte che lo incontravo ma anzi se proprio dovevo esserlo era perché riusciva a mettermi in situazioni imbarazzanti...come questa. Dovevo assolutamente togliermi da lì e alla svelta.
-No- gli risposi -Preferisco lì- dissi indicandogli uno spazietto piccolo e striminzito di fronte a noi.
-A si?- disse inarcando un sopracciglio. Dio lo faceva sempre ma che aveva, degli spasmi irregolari?
-Si, si- risposi convinta.
 E così mi ritrovai a percorrere la strada di casa per la prima volta in una situazione scomodissima....in tutti i sensi.
Quando finalmente l'autobus si fermò per il capolinea, feci un sospiro di sollievo. Finalmente a casa...Quasi. Dovevo solo liberarmi di Erik.
-Ok, ti saluto io scendo qui- gli dissi per congedarmi.
Lui mi guardò con un enorme punto interrogativo stampato in faccia.
-Anch'io scendo qui, te ne sei dimenticata?- mi chiese ironicamente.
Certo che non avevo dimenticato. Solo che speravo fosse stata una coincidenza, colpa dei fatti accaduti. A quanto pare no.
Gli sorrisi solo per non fare la figura della scema.
Percorremmo la strada verso casa mia e come ieri neanche una parola. Quando intravidi il portico di casa mia mi fermai.
-Ok, sono arrivata allora io vado...- dissi girandomi verso la sua direzione.
Ma lui non era rivolto verso la mia ma guardava un punto che si perdeva nei meandri del bosco che c'era dietro casa mia. Vidi che era concentrato, in certi momenti aggrottava la fronte, in altri girava la testa a destra una volta e a sinistra un'altra, come se volesse ascoltare meglio un suono lievissimo.
-Ehi?- dissi, per richiamare la sua attenzione.
Ma niente da fare rimaneva in quella posizione. Allora mi girai anch'io da quella parte, per scoprire l'oggetto del suo interesse, se c'è ne fosse stato uno. Ma io vedevo solo alberi e nient'altro.
-Va bene...allora io vado- dissi ripetendomi. Magari gli piacevano gli alberi.
Mi girai verso casa mia ma mi sentii afferrare da un braccio.
-Ferma- mi ordinò Erik, con voce molto seria.
Adesso era troppo, la stranezza di questo tipo potevo sopportarla fino ad un certo punto.
-Senti se a te piacciono gli alberi sei liberissimo di guardarli tutto il tempo che vuoi, ma io ho altro da fare, magari un'altra volta...-
-Zitta- disse con lo stesso atteggiamento di prima.
E così feci, ma solo per la sorpresa di quel tono. Zitta? A me?
-Senti io..- stavo per cominciare a dire ma all'improvviso la faccia di Erik cambiò. Girò nuovamente la testa verso la direzione in cui stava guardando prima.
Una raffica di vento piegò gli alberi e li fece agitare come se fossero solamente dei ramoscelli. Vidi che le correnti si concentravano maggiormente verso la nostra direzione. Mi riparai dalle raffiche il volto con il braccio. Foglie e rami minacciavano di accecarmi, ma riuscirono comunque a provocarmi del dolore a causa del loro impatto sul mio corpo. Mi voltai verso la direzione di Erik e vidi una cosa sconvolgente. Erik come me tentava di proteggersi dalle raffiche, a differenza che lui era circondato interamente da un vortice di vento, foglie e rami. All'improvviso le raffiche si concentrarono tutte in un punto e colpirono Erik proprio al centro del petto, scaraventandolo a terra dall'altra parte della strada. Rimasi scioccata.
-Erik!- urlai di riflesso. Sicuramente con quella caduta avrà riportavo gravi danni. Dovevo raggiungerlo. Mi mossi verso la sua direzione ma non un passo riuscii a compiere. Ero bloccata. Tentai ogni sorta di movimento ma niente, nulla. Comincia a farmi prendere da panico. Cosa diavolo stava succedendo?
-Non puoi muoverti- disse una voce che proveniva proprio dal punto in cui provenivano le raffiche che adesso erano cessate.
Puntai lo sguardo verso quella voce e vidi qualcosa di strabiliante.
Una donna era uscita dalle viscere di quel bosco. Era austera e solo da come camminava si  intuiva la sua potenza. Era circondata dalle stesse raffiche che un momento prima circondavano il corpo di Erik. Il suo corpo pareva fluttuare piuttosto che camminare e le sue movenze mi ipnotizzavano.
-Anna..è giunto il momento- disse la donna.
Io continuavo solo a guardarla, incapace di formulare un pensiero. Non potevo crederci, era reale? Tutto questo era reale?
La donna continuava a guardarmi con uno sguardo materno e pieno di calore, aspettando una reazione da parte mia, ma io non riuscivo ancora a riprendermi. Potevo solo ancora guardarla nella sua completa bellezza. Perché era davvero bella come una dea, i capelli ramati fluttuavano nell'aria, il suo viso ovale e pallido ma imporporato nelle goti era perfetto, illuminato da occhi verdi e splendenti come smeraldi.
-Mi rammarico per la tua confusione, sorella ma presto tutto sarà spiegato- disse ad un certo punto.
-Ti prego solamente di iniziare il tuo cammino, poiché non è rimasto molto tempo che scorre senza potersi fermare. Adempisci ai tuo doveri e onora la nostra stirpe, progenie della grande Madre- detto questo la donna fissò i miei occhi e con un gesto della mano, come se volesse scacciare una mosca, ruppe le catene invisibili che mi tenevano ferma, per la sorpresa le mie gambe cedettero e finii a terra.
-Al solstizio d'inverno, presentati di fronte al cuore di questo bosco per la tua iniziazione sorella, ma prima...- disse interrompendosi solo un momento per fissarmi di nuovo negli occhi. Alzò di nuovo la mano, sta volta come se volesse fermare qualcosa e da quella uscì un fascio di luce azzurra accecante. Essa in un primo momento si disperse nell'aria per poi ruotare se stessa e prendere sempre più velocità. Alzai il capo per seguire quella scena spaventata ma allo stesso tempo sbalordita. Non avevo mai visto niente del genere e ancora dovevo metabolizzare quello che era successo prima. D'un tratto la sfera che la fascia aveva formato si fermò e si scaraventò su di me. Chiusi gli occhi all'inevitabile impatto. Sentii quell'energia colpirmi e scuotermi dentro ma per il resto niente. Immaginai che doveva fare male o almeno sentirmi un po' diversa ma niente.
Guardai la donna confusa e spaventata. Ma che cosa stava succedendo? Mi guardavo intorno ma vedevo le solite case, le solite strade e le solite cose. Niente di nuovo, ma allora se non ero finita in chissà quale posto, perché se tutto era uguale, stavano accadendo queste cose strane? Stavo sognando... era così. Dovevo svegliarmi. Ma sapevo che stavo solo prendendo in giro me stessa. Il terreno sotto di me era vero, il cielo con le sue nuvole sopra di me era vero e la donna fatiscente e misteriosa anche. Adesso non potevo negarlo.
-Cosa sta succedendo?- chiesi. Non sapevo cosa dire e neanche da dove incominciare.
-Ciò che doveva succedere già da tempo, sorella- rispose la donna.
-Ma io continuo a non capire...- dissi in preda al panico. Non sapevo nulla, non avevo fatto niente e questa risposta non ha fatto altro che peggiorare la situazione.
-Peonia!- urlo la voce di qualcuno alle mie spalle.
Mi volsi verso quella direzione. Sapevo di chi era quella voce, era l'unica cosa che adesso era sicura in mezzo a tutte queste incertezze e assurdità.
Erik stava correndo verso la mia direzione ad una velocità...inumana. Sapevo che era lui ma i miei occhi vedevano solo una figura indistinta che si avvicinava. Poi un ramo alle spalle della donna si contorse e si allungò per colpirla ma lei pronta senza scomporsi né mostrare sorpresa sul suo viso, con un semplice sguardo, lo fermò. Il ramo fallito il suo compito, ritornò allo stato normale, al suo posto. Erik, indenne,  intanto si era fermato proprio in mezzo a me a quella donna.
Come poteva essere sopravvissuto ad un tale schianto e ad una tale caduta? Lo guardavo, felice che stesse bene, che non si fosse fatto nulla. Ma la mia mente faticava ad accettare quella visione.
-Peonia...che hai fatto?- disse Erik con voce da sconfitto e tradito.
Lo  osservai...lui centrava con questa storia?
-Cercatore stai al tuo posto, non sei nessuno per parlare in questo modo, soprattutto davanti a me e cos'era quel comportamento insolente? Potevi colpire Anna- disse riprendendolo.
-Perché?- chiese Erik insistendo, ignorando le sue domande.
Peonia lo guardò. Se i suoi occhi potevano incenerire, sicuramente Erik sarebbe stato bruciato vivo.
-Non era ancora pronta...non ha neanche conosciuto la sua Magister...non ha neanche raccolto le memorie!- disse urlando.
-Basta!- urlò  di rimando anche Peonia.
E appena quell'ordine giunse alle orecchie di Erik lui non potè far altro che zittirsi e inchinarsi. Lui era un cercatore, lei aveva il pieno controllo su di lui.
-Non fare di me il nemico, Erik. Sai perfettamente che loro hanno cominciato a muoversi prima del previsto. Di conseguenza Anna deve prendere atto delle sue responsabilità prima del dovuto. Gli alberi parlano Erik, sono ogni giorno più nervosi.Stento a credere che non te ne sia accorto- disse guardandolo come un esserino che le dava un enorme fastidio.
-Sono stata costretta. Ho dovuto risvegliarla- disse riprendendo il discorso.
Erik a quel punto era davvero nervoso, lo vedevo da come tremava dalla rabbia.
-Anche andando contro le tesse leggi della Madre?- domandò irato.
-Lei stessa lo ha ordinato,Erik. Pensi che sarei ancora qui, indenne dopo aver trasgredito una delle sue sacre leggi?-  domandò di rimando Peonia, sta volta con tono meno austero e più basso. Quasi sconfortato.
-La sua Magister sa ogni cosa. Infatti tra tre giorni sarà qui per prepararla all'iniziazione. Per quanto riguarda le memorie le recupererà durante l'addestramento. Non c'è più tempo per fare le cose uno alla volta- disse sospirando.
Smise di guardare Erik e puntò i suoi occhi su di me, intimorendomi. Cos'altro voleva farmi. Ero stata zitta per tutto il tempo, anche perché non sapevo proprio cosa domandare. Tutto nel loro discorso mi era estraneo, non avevo comprese neanche una parola. La mia mente stanca e confusa non riusciva ad inseguire il discorso di quei due...cosa? Chi erano? Come dovevo chiamarli?
Peonia finalmente si mosse e venne verso di me. Si inchinò fino alla mia altezza e con una mano afferrò il bordo del colletto della mia maglietta e lo abbassò. Mi girò verso la direzione di Erik mostrandogli il centro del mio petto.
-Io non ho fatto nulla di ciò che comprometterà i fatti che saranno destinati a compiersi. Lei era già in procinto del risveglio- disse risoluta mostrandogli il mio petto.
Erik rimase sconvolto a quella vista, vidi come i suoi occhi stavano uscendo dalle orbite.
Per la curiosità abbassai anch'io, di riflesso, lo sguardo per vedere cosa avevo.
Ah già quel neo...pensai. Ma rischiai anch'io di farmi uscire gli occhi dalle orbite. Rimasi al quanto sorpresa nel vedere che il neo in effetti non c'era più ma al suo posto vidi qualcosa di ancor più strano. Rimasi a bocca aperta nel vedere cosa si era manifestato. Riuscii a staccare gli occhi solamente grazie al rumore che fece Erik calpestando un ramoscello secco. Lo guardai in viso non trovando più quell'espressione sbalordita di prima ma vedendo occhi che sembravano volersi chiudere per non sopportare ancora la vista orribile di ciò che aveva davanti.
-Non me ne sono accorto...non ho percepito il cambiamento...- disse con voce atona.
Peonia mi lasciò andare e con la stessa regalità che mostrò quando si presentò davanti a me si portò al confine del bosco.
-Siamo stati concentrati su di loro e abbiamo perso di vista la nostra priorità- gli rispose parlando di spalle.
-E colpa di entrambi, Erik- continuò-Se la Madre non mi avesse detto nulla, anch'io non me ne sarei accorta- disse concludendo.
Poi si rivolse a me.
-Tra tre giorni la tua vita di adesso sarà stravolta. La Anna che adesso sei, non ci sarà più. Ti concedo il tempo da ora all'incontro con la tua Magister per abituarti hai fatti accaduti e della nuova realtà-
Mi guardò e con voce materna mi disse- Affidati alla tua Magister, lei è l'unica che ti può aiutare. Addio sorella- mi salutò per poi voltarsi e scomparire nelle viscere del bosco.
Rimasi ancora a guardare il punto dove Peonia era scomparsa, e sarei rimasta lì non so per quanto tempo se Erik gentilmente non mi avrebbe sfiorato il braccio per indicarmi di alzarmi.
-Forza, andiamo a casa- mi disse guardandomi di nuovo con quegli occhi caldi e premurosi.
Riuscii a mettermi in piedi con una forza disumana. Non riuscivo neanche a trovare l'equilibrio per mettere un passo davanti l'altro. Ci provai ma ciò mi causò un forte giramento di testa che mi fece crollare sulle ginocchia.
-Anna!- sentii urlare ad Erik.
Ma già non lo vedevo più. Al suo posto prese sopravvento il buio che lo inghiottì completamente.
 

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Capitolo 4
*** Memorie ***


~C'era tranquillità. Era questo quello che percepivo.
Il vento, che con le sue carezze mi coccolava. Il calore che mi abbracciava.
La sensazione era gradevole.
Aprii gli occhi e il colore delle foglie e del cielo mi colpì, come un flash di una macchina fotografica.
I loro colori così tiepidi e confortanti, mi provocarono dei piccoli brividi.
Che calma...che tranquillità...
Ero io e il mondo. Nessun'altro.
Diedi del tempo agli occhi per abituarsi. Lo spettaccolo era magnifico.
Corolle e corolle di alberi mi sommergevano e percepivo i loro lineamenti e le loro forme grazie al colore azzurro del cielo, che faceva da sfondo.
Non mi mossi. Non ancora, volevo integrarmi con quel mondo.
Cominciai a percepire non più solamente ciò che si trovava sopra di me ma anche ciò che si trovava sotto di me.
Il profumo della terra all'improvviso mi destò, infondendomi una grossa scarica di energia. Riuscii a respirare a pieni polmoni e a muovermi. Le mani trovarono radici, foglie ed erba morbida e sinuosa. La feci attorcigliare tra le dita per poi accarezzarla e lasciarla andare via. Sapevo che dovevo muovermi, che dovevo fare...qualcosa...ma io avevo trovato il mio posto da tanto tempo cercato. Era tutto lì, nient'altro mi occorreva.
Ero intenta a guardare i raggi giocosi del sole che filtravano dalle fronde degli alberi quando cominciai a percepire il pericolo. Un segnale d'allarme scatto in me, il mio istinto diceva di fuggire, lontano, il più presto possibile. Con un colpo di reni riuscii a sedermi e così ebbi la visuale dell'immensa e fomidabile foresta che avevo davanti. Gli alberi alcuni erano alti , altri erano altissimi, i cespugli che crescevano alle loro pendici erano colmi di frutti di ogni genere e colore. Le radici erano così grandi da poter fungere da ponti o addirittura vi si poteva trovare riparo. La vita in quel posto scoppiava in tutta la sua maestosità. Rimasi incantata e affascinata, i miei occhi non avevano mai visto nulla che potesse essere messo a paragone. Fruscii e rumori di ogni genere attraversavano la foresta. Mi concentrai al massimo per riconoscerli e catalogarli.Dovevo trovare il pericolo. Riconobbi all'istante i movimenti sinuosi e lenti dei serpenti, il percuotere e incessante picchio dei colibrì, il camminare veloce e fulmineo dei roditori, scogliattoli e altri animali del genere. Poi finalmente lo sentii. Era un rumore che non apparteneva alla foresta e si trovava in un territorio in cui non doveva stare. Capii dove dovevo andare. Nella mia mente si dipanarono una serie di immagini che mi suggerivano il percorso da intraprendere. Lo avevo in pugno. Con uno scatto cominciai a correre e ad acquistare sempre più velocità. Stupendomi non cadevo né inciampavo, scoprii che conoscevo ogni singola cosa di quella foresta, ogni radice,ogni ramo erano scolpiti nella mia mente. La corsa terminò quando capii di essere arrivata, presto cercai un posto per nascondermi e analizzare la situazione in modo tranquillo. Individuai una barriera di cespugli e mi accucciai lì, in silenzio. Sbirciai, ma non vedevo nulla di strano o di anomalo. Forse era meglio avere più punti di vista. D'istinto cominciai a cercare un qualunque animale, trovando uno scogliattolo che stava correndo lungo la corteccia di un albero. Mi concentrai al massimo sul quel corpicino e poi riuscii ad impossessarmi della sua mente. Chiusi gli occhi per poi aprirli nuovamente...soltano che non erano più i miei ma quelli dello scogliattolo. Vidi come realmente vedeva un animale, percepii i suoi istinti e i suoi pensieri. Capii che ciò che stavo cercando era proprio pochi passi più avanti. Furtivamente camminai china, tra la barriera dei cespugli fino ad arrivare al punto esatto dove si trovava il mio obiettivo. Adesso mi trovavo in una raduna molto piccola. Era una zona spoglia di alberi e radici, vi era solo qualche fiore sporadico qua e là. Al centro di essa vi era un uomo. Era alto e imponente, dalle spalle che vedevo rivolte verso di me, capivo la sua immensa forza. Anche alla distanza in cui mi trovavo vedevo emergere dai suoi vestiti i muscoli possenti. Con gli occhi dello scogliattolo riuscii a vedere molto bene cosa stava facendo...una cosa orribile. Aveva le mani impregnate di sangue che gocciolava per terra . Ai suoi piedi c'era un cervo privato delle sue immense e austere corna che al momento erano gettate a terra accanto al povero animale. All'improvviso un'altra immagine mi attraversò la mente, ma non era mia ma dello scogliattolo. Vidi il cervo con ancora le sue corna in tutta la sua bellezza. In quella visione era intento ad osservare il suo regno da un promontorio, era lui il re della foresta. Ritornai alla realtà alla visione che avevo veramente di fronte a me. Quell'uomo era un assassino, non era un semplice animale qual cervo ma era lo spirito guardiano di questa foresta, dove adesso mi trovavo io. Sentii montare la rabbia, togliere la vita in quel modo, non era affatto accettabile. Percepii il dolore che provava la foresta nella perdita del suo protettore. Quell'omicidio era premeditato. Le corna erano il simbolo del potere di quel cervo, di quello spirito. La foresta sembrò lo specchio delle mie emozioni, come me era adirata con quel individuo che aveva osato così tanto. Doveva essere punito.
Le fronde degli alberi cominciarono a muoversi come smosse dal vento, ma non vi era alcun vento che soffiava. L'individuo volse il capo verso la foresta guardandola con uno sguardo disinteressato e apatico.
-Taci, insulsa Madre. I deboli muoiono e i forti vincono. Non è così?- gridò l'uomo.
-Le tue leggi non sono queste?- disse riprendendo.
Quell'uomo aveva il concetto di forte e debole davvero penoso. Il cervo non era affatto uno debole, era uno spirito guardiano, custode di questa foresta. Era una divinità, se solo avesse voluto avrebbe potuto spezzarlo in due solo con lo sguardo. Ma conosco gli spiriti, loro non sono complici dei sentimenti umani. Loro non uccidono ma puniscono salvo eccezione.
Mi alzai, stanca di vedere quell'uomo, stanca di dover ancora trattenermi. Liberai lo scogliattolo e mi sentii dire:
-La Madre ti ringrazia per i tuoi servigi, fratello-
Uscii fuori dal nascondiglio e mi mostrai all'uomo.
Egli mi notò all'istante e una grossa e acuta risata ruppe il silenzio.
-Guarda, guarda...Anita- disse posando il suo sguardo su di me.
Rimasi per un'attimo interdetta ma poi mi tranquillizzai. Si, io ero Anita.
-Ian...-pronunciò la mia bocca.
Ci guardammo, consapevoli della lotta imminente che si sarebbe scatenata da lì a poco.
-Non nominare mai più...- cominciai a dire- Non nominare mai più il suo nome, infame!- gli urlai.
-Tu non meriti di pronuciare quella parola, assassino!- dissi continuando.
Lui con tutta calma mi rispose con un sorriso sgembo.
-Quale nome? Ti riferisci alla "Madre"?- mi domandò ironicamente.
-Tu subirai la punizione che ti meriti- dissi indicandolo.
Mi rispose esplodendo in una fragorosa risata che attraversò l'intera foresta, che senza la sua guida pareva vuota...morta.
All'improvviso sentii uno spostamento nell'aria e mi ritrovai Ian dietro le spalle.
-Che cosa? Punirmi?- mi domandò sussurrando al mio orecchio.
Potevo sentire il suo alito e un moto di disgusto mi pervase.
-Stai lontano da me- dissi minacciosamente e dandogli il tempo di allontanarsi.
Un'altra risata.
-Il forte prevale sul debole, Anita- disse piano.
-Non è forse questo che ci insegna la Madre?- domandò continuando.
Guardai nuovamente quel cervo, simbolo di forza e possenza.
-No...- dissi.
Poi spostai il mio sguardo e mi concentrai su una radice molto grande.
-Tu non sei il forte...tu sei un assassino!- dissi allontanandomi da lui.
Intanto riuscii a far muovere la radice che in tutta la sua grandezza si abbattè dove un momento prima vi era Ian. Quando la polvere si posò, lo vidi accovacciato sulla radice.
-Perchè fai così?- mi disse con uno sguardo pauroso.
Dannazione, l'avevo mancato.
Non gli risposi, ero totalmente concentrata sta volta sui rami di un albero alle sue spalle.
-Questo non sarà il mio unico colpo, Anita- disse loquaciamente-Ce ne saranno molti altri. Abituati all'idea-
Io no lo ascoltavo più, dovevo assolutamente centrarlo sta volta.
Un fascio di rami si dipanò verso l'alto. Puntai una mano verso di loro e li mandai verso la direzione di Ian. Questi lo legarono, si avvolsero intorno a gambe, braccia e collo non lasciandogli alcuna via di uscita.
Ian mostrò, senza volerlo, un'espressione sorpresa.
-Due colpi di seguito...abbiamo fatto progressi allora- disse con tutta tranquillità, come se non fosse minimamente preoccupato dei rami che lo stavano stritolando. Strinsi la mano in un pugno e i rami, ripondendo al mio tacito ordine, aumentarono ancora di più la pressione.
-Taci, traditore- dissi appositamente per fargli ricordare che cosa realmente era.
Lui mi fissò. Non fece altro fino a quando non aprì di nuovo la bocca per parlare.
-Forse- ammise.
-Ma io combatto per una giusta causa, tu invece ti fai comandare a bacchetta dalla Madre facendo il lavoro sporco per lei- mi disse pronunciando ogni parola molto lentamente.
Lo guardai allibita.
-Giusta causa? Conquistare le foreste e sottometterle al vostro volere, con l'obiettivo di far mancare le condizioni necessarie alla vita su questo pianeta è una giusta causa? Mirare a milioni e milioni di vite di innocenti è una giusta causa?- gli domandai disgustata.
Sospirò come se stesse parlando ad una bambina che non capiva niente.
-Se lo meritano, no? E' per colpa degli umani che decine e decine di foreste sono state abbattute sono per soddifare i loro più meri desideri- disse risoluto.
-E' solo grazie a noi che vivono! Solo grazie...-disse senza riuscire a finire.
-Tu eri uno di noi!- dissi interropendolo e correndo nella sua direzione per poi afferrarlo per il collo. I nostri volti erano separati da pochi centimetri.
-Non osare pensare di far parte ancora del nostro popolo! Le ninfe stesse ti hanno cacciato, gli spiriti ti hanno ripudiato! Te e tutti quelli che ti hanno seguito!- dissi ormai in preda ad una rabbia accecante.
Lui non fece altro che fissarmi, con qugli occhi che pensavo di conoscere così bene.
-Noi comanderemo gli umani- sentenziò Ian- Gli faremo capire chi sono realmente i sovrani in questo mondo- disse finendo e chiudendosi in un silenzio che non ammetteva repliche.
Pensai a quelle ultime parole, di come stonavano sulla sua bocca. Se solo me ne fossi accorta prima...lui sarebbe ancora al mio fianco.
-Tu morirai- gli dissi ad un orecchio, come aveva fatto prima lui -E per mano mia-
Alzai il braccio verso l'alto e aprii il palmo per prendere nuovamente il controllo dei rami e scaraventai Ian verso una parete formata interamente di roccia.
Rimasi lì immobile. Non riusciuvo a fare altro.
Poi mi sopraggiunse un rumore alle orecchie e mi ritrovai con la faccia in mezzo al terreno e con Ian che mi schiacciava. Mi prese per i capelli e mi tirò la testa verso di lui per far si che ascoltassi.
-Stupida, Driade- mi disse.
Spalancai gli occhi, quello era l'onorifico che attribuivano gli spiriti guardiani a individui selezionati appositamente per mantenere l'equlibrio universale.
-Tu dovresti essere la guerriera forte e temeraria che protegge l'equilibrio del mondo? Quella che dovrebbe salvaguardare gli spiriti guardiani?- chiese.
Sbuffai per la fatica e per il dolore alla schiena.
-Stolta, hai fallito miseramente e io ho vinto- disse con un ghigno stampato in faccia.
Risi per quanto poteva permettermi il dolore.
Lui per tutta risposta mi affondò la faccia nuovamente nel terreno per poi rialzarla.
-Ridi, forza. Fallo ancora...se ci riesci- disse sghignazzando.
 Inchiodai Ian con uno sguardo fregandomene delle conseguenze.
-Io ho fallito- dissi ammettendo la mia colpa-Ma anche tu- conclusi.
Sono arrivata troppo tardi ma non del tutto.
Ian mi guardò con uno sguardo che face intuire che non sapeva nulla.
- Hai solo ucciso il suo corpo ma non lo spirito- dissi facendomi scappare una risata amara.
-Certo l'hai danneggiato...ma ci vuole ben altro per uccidere un guardiano- dissi concludendo.
All'improvviso, dopo che a recepito le mie parole, mi ritrovai le sue mani intorno al collo.
-Poco importa- disse stringendo sempre di più.
-Finirò dopo che avrò sentito  l'ultimo tuo respiro- disse con voce imperiosa.
L'aria cominciò a non bastarmi più, i polmoni cominciarono a bruciare e sentivo i battitti matterlanti alla testa.
Cercai con tutte le forze di alzarmi, di togliermi di dosso la mole di Ian ma era troppo pesante e le mie braccia incastrate sotto il suo corpo senza possiblità di movimento.
Quando pensavo che la fine era vicina all'improvviso non percepii più il suo peso e l'aria entrò fulminea nei miei polmoni facendoli espandere. Presi un grande respiro per recuperare l'ossigeno che mi era stato privato. Rotolai su me stessa e vidi che Ian era stato catturato da una rete di rami fitti. Era sospeso in aria che dondolava.
-Osi camminare su un territorio in cui ogni singola roccia, albero e radice ti è stata vietata di toccare?- domandò tranquillamente una voce.
Volsi lo sguardo verso la sua direzione e vidi le mie sorelle.
-Osi attaccare una della tua stessa specie, Cercatore?- domandò di nuovo la stessa voce.
Erano così belle, forti e potenti....erano ninfe dopo tutto. Spiriti che avrebbero dato la loro vita pur di salvaguardare le loro terre, il loro regno.
Ian le fissava e intanto cercava di liberarsi ma lui era troppo debole di fronte al potere delle ninfe.
Queste cominciaro a muoversi come se stessero nuotando nell'aria. Le loro fattezze evanescenti le rendevano personaggi di molti miti e di molte leggende.
-Sorella Anita- disse la ninfa che aveva attaccato Ian e che aveva parlato fino adesso. Le altre si limitavano a seguirla e a disporsi intorno a lei.
-Come state?- mi domandò.
-Bene sorella Aya - risposi-E' tutto a posto ora- aggiunsi per tranquillizzarle.
Aya si portò vicino ad Ian squadrandolo come se fosse un frutto marcio.
-Tu sei stato considerato un traditore e di conseguenza allontanato, per ordine del guardiano di questa foresta, dai territori ad esso posseduti. Le leggi stipulano che chi infrange, deve essere punito- disse cominciando subito dopo a cantare una litania. Presto anche le altre consorelle si unirono al suo cantico. Sbarrai gli occhi riconoscendola, era una richiesta alla somma Madre. Alla natura stessa veniva chiesto se le sue figlie potevano permettersi di porre fine ad una vita, per giunta appartenente alla sua specie prediletta. Noi popolo di ninfe, driadi e cercatori siamo stati creati da lei per il principale scopo di mantenere l'equilibrio universale che da sempre l'uomo ha minacciato di stravolgere. Le ninfe si occupavano di proteggere le foreste,i boschi, laghi e fiumi che assicuravano la vita sulla terra, le driadi si occupavano di proteggere questi luoghi dall'esterno, poichè le prime non potevano uscire dai loro confini,  trattandosi di luoghi troppo pericolosi per la loro incolumità. Inoltre le driadi erano per nascita molto più simili alla specie umana così da potersi integrare senza problemi . Infine vi erano i cercatori. Essi avevano il compito di trovare e successivamente proteggiere le future driadi. Quest'ultime quando nascono disconoscono il loro compito e il loro scopo. Il cercatore ha il compito di sovvegliarle fino al loro risveglio, fino a quando recuperate le memorie, ovvero i ricordi e l'esperienze delle sue antenate, prendono coscenza del loro ruolo nel mondo. Eliminare uno di loro era un sacrilegio, era andare contro le nostre stesse leggi.
Le ninfe continuorono a cantare alzando sempre di più la voce. Decisi di unirmi anch'io alla litania, perchè come loro era mia intenzione eliminare Ian.
Lui stava ancora cercando di liberarsi ma meno convinto di prima poichè capì che non poteva fare nulla. Da come guardava le ninfe dedussi che anche lui aveva capito le loro intenzioni e le mie.
-Non potete farlo!- urlò-Lei non acconsentirà mai- disse sicuro di sé.
Ad un tratto le ninfe smisero di cantare e anch'io tacqui . La richiesta era stata fatta.
-La Madre ha deciso- disse Aya.
-Per la tua morte- concluse lasciando che queste parole riempissero l'aria intorno a noi.
Ian a quel punto si bloccò, non un muscolo contraeva. Era immobile.
Rimasi stupita che la richiesta era stata accolta. Ian rappresentava una minaccia grande perfino per la natura.
Aya cominciò nuovamente ad avvicinarsi ad Ian e alzando il braccio con la mano aperta verso di lui. La posò sul suo viso.
-No, non pui farlo...-sentii dire ad Ian.
-Si invece- gli rispose di rimando Aya.
Così di Ian rimase solo il suo corpo e nient'altro. Neanche il volto era rimasto, completamente carbonizzato. Lo guardai inespressiva. Quello non era il mio Ian, pensai e ripensai per convincermi che era giusto così, era giusto che morisse.
-Anita...- mi chiamò Aya.
La guardai anche se non potevo vedela bene per le lacrime che cominciarono a posarsi e a riversarsi dagli occhi miei.
-Che tu possa dimenticare Anita, so che era lui il tuo cercatore- disse posando una mano semitrasparente sulla mia guancia.
-Si...-riuscii a rispondere solamente. Il dolore era troppo grande da chiudermi la gola.
Aya e il resto delle mie sorelle si dissolsero dopo avermi salutata. Io invece non riuscivo a muovermi. Tornai con lo sguardo su ciò che ne rimaneva di Ian concentrandomi sul colore nero e rossiccio del carbone. Quel colore mi sommerse e mi avvolse, fino a quando non riuscii a vedere soltanto che il  nero...
Coperte e lenzuola finirono sul pavimento quando mi svegliai e dopo pochi secondi ci finii anch'io. Immediatamente mi alzai e vidi che ero al sicuro, ero a casa nella mia stanza.
Qualcuno mi aveva adagiata sul letto e poi coperta.
Erik, mi venne in mente.
Si, probabilmete era stato lui. Del resto il mio ultimo ricordo era la sua faccia preoccupata, prima di finire svenuta a terra.
Mi guardai intorno ma non c'era nessuno, forse se n'era già andato.
Per quanto ero stata svenuta? Per quanto tempo avevo...sognato? Era un sogno quello che avevo fatto?
Con queste domande in testa uscii dalla camera per andare in cucina a bere un bicchiere d'acqua, la gola mi faceva parecchio male.
Lì ci trovai seduto a tavola Erik con le mani incrociate.Appena mi vide si alzò e mi venne incontro.
-Anna...-disse-Stai bene?- mi chiese.
Io non sapevo che rispondere, ero molto confusa e la testa pulsava forte.
-Credo di si...-risposi incerta.
Lui dovette percepire il mio disagio perchè subito dopo mi abbracciò.
-Tranquilla adesso ci sono io- disse passando la mano tra i miei capelli accarezzandomi.
Non potei far altro che lasciarmi andare contro il suo petto e sospirare, lui era l'unica sicurezza che avevo in quel momento. Le spiegazioni e le milioni di domande potevano aspettare un altro po'.
-Scusa- dissi scostandomi da lui-Ho bisogno di bere- spiegai.
Lui capì e mi lasciò andare. Raggiunsi il frigo, presi dell'acqua e la bevvi in un sorso. La gola bruciava e il contatto con l'acqua fredda diminuì il dolore.
Adesso dovevo sedermi.
Mi voltai verso il soggiorno, pronta per stravaccarmi su una poltrona. Era come se avevo accumulato molta stanchezza tutta in una volta. Possibile? Avevo appena dormito...ma le immagini di quel sogno o ciò che era mi ritornarono alla mente aumentando le pulsazioni alla testa.
-Anna devo dirti una cosa, aspetta- mi disse intanto Erik.
Ma io non mi fermai ero troppo stanca per rimanere ancora in piedi. Poteva parlarmi mentre ero seduta.
-Anna c'è una persona che devo present..- stava per dire ma quando si rese conto che le parole non servivano più a nulla, rimase in silenzio senza finire la frase.
Nel soggiorno, sulla poltrona dove avevo intenzione di andarmi a sedere vi era una donna. Questa non appena mi vide, sorrise gentilmente.
-Ciao Anna- disse salutandomi.
 

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