Aliters.

di Wholockedhead
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** "Di primo impatto"- Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


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PROLOGO
 
 
 
 
Nessuno, girava mai per le strade a quell’ora, forse era per questo che l’uomo incappucciato amava camminare per i vicoli bui e isolati, la notte. Era un uomo cupo e solitario, sulla trentina – forse, ormai, più vicino ai quaranta che ai trenta. Aveva appena finito di piovere e la vecchia strada di ciottoli sembrava un pezzo di formaggio bucherellato: pieno di buche e di pozzanghere di pioggia torbida. Gli stivali di pelle, ormai parecchio logori dell’ uomo, affondavano con non curanza nell’ acqua inquinata, producendo un rumore disgustoso, ma nessuno era nelle vicinanze per poter sentire il rintocco dei suoi passi regolari.
La testa china e le mani in tasca, chiunque l’ avrebbe scambiato per un adolescente in cerca di guai, se non avesse avuto la possibilità di guardarlo in faccia e di vedere le occhiaie buie che li contornavano, senza contare i lineamenti rigidi del viso ornato qua e la di piccole tracce di rughe emergenti e i suoi grandi occhi stanchi color ghiaccio. I primi segni di vecchiaia lo stavano raggiungendo prima del previsto, ma ciò non lo sorprendeva, aveva vissuto da sempre una vita intensa, aveva bruciato le tappe troppo in fretta.
Un ombra scura attraversò la sua strada, forse un gatto, e l’uomo si fermò di colpo, ma non era stato l’animale ad attirare la sua irraggiungibile attenzione, oh no. Qualcosa l’aveva pervaso, come un vento gelido che ti investe in piena estate quando sei sdraiato a prendere il sole sulla spiaggia, era una sensazione intensa e definita, e lui sapeva di cosa si trattava. Quell’emozione si fece più forte e sempre più insistente, una voce gli martellava nella mente, le tempie pulsavano imbestialite.  Le sue ginocchia cedettero, le sue gambe si fecero di gelatina, lui odiava quando succedevano queste cose, ma dopo tutto era il suo lavoro, il suo scopo, eppure mai era stato messo a terra da uno di quegli episodi, forse era davvero diventato troppo vecchio. Un dolore tagliente gli attraversò il cranio da parte a parte, come un sottilissimo ago affilato, e così cedette, sollevò la testa e chiuse gli occhi. Subito le immagini iniziarono a mostrarsi confuse all’interno delle sue palpebre, come i fotogrammi di un nastro che non scorre, si accavallavano tutte una sull’altra. Ci volle qualche secondo perché riuscisse a controllarle, dopo di che tutto si fece scuro.
 
 
Esperia chiuse gli occhi, era esausta, e sotto il tepore delle coperte, non le ci volle molto per addormentarsi, e sognare.
Era stata una giornata mediocre, forse era per questo che si aspettava un sonno tranquillo, eppure eccolo lì, quel fastidioso ,quanto familiare, formicolio alla bocca dello stomaco, che avvolgeva tutto il suo corpo con una lentezza straziante, trascinandola nelle viscere più profonde della sua mente per poi catapultarla in quella stanza. La conosceva bene, era il suo sogno ricorrente. In realtà era da tempo che non sognava più l’uomo, era sempre stato il suo incubo infantile, ma era anche uno dei sogni più belli che faceva.
Lui era lì, come sempre, di fronte a lei, nella stanza vuota mezza illuminata a giorno e mezza immersa in una profonda oscurità, era al centro, dove il chiaro si fermava e iniziavano le tenebre, metà alla luce metà al buio. Stava camminando eppure non si spostava di un centimetro. Nella parte in ombra era inquietante e tenebroso, come un assassino pronto a spezzarti le ossa una per una con le sue stesse mani, solo per il piacere di sentirne il rumore secco mentre si sgretolano sotto la pressione delle sue dita. La parte alla luce del suo corpo era chiaramente distinguibile, nitida e perfetta, aveva qualcosa di caldo e rassicurante, sembrava il cavaliere delle favole che leggeva da bambina, un impavido guerriero che l’avrebbe protetta a costo della vita. La ragazza notò che l’uomo sembrava più vecchio da quando l’aveva sognato l’ultima volta, le spalle si erano ingobbite e il suo passo era meno deciso, come se ogni volta che il piede poggiava a terra, questa avrebbe potuto franare sotto il suo peso, ed in fatti tutt’un tratto, l’uomo cadde.  Le sue ginocchia toccarono il pavimento con un tonfo profondo, che rimbombò per tutta la stanza. Mai era capitato che un rumore infrangesse il silenzio di quel luogo. L’eco del rumore era straziante, quando raggiunse le orecchie di Esperia un brivido gelido passò attraverso la sua spina dorsale. L’uomo aveva sempre portato un cappuccio, e aveva sempre tenuto la testa china, ma ora si contorceva dal dolore e la sua testa scattò verso l’alto, nella direzione della ragazza, che per una frazione di secondo prima che li chiudesse riuscì a vederli, per la prima volta, vide i suoi occhi, i suoi scintillanti, gelidi occhi color del ghiaccio.
 
Esperia gridò. Un grido acuto e fortissimo, che si dissolse subito, soffocato dalla pressione delle lacrime. La porta della sua camera si aprì di colpo:- Tesoro? Cos’hai?-
-MAMMA!Mamma… è tornato… ho sognato ancora…l’ho sognato di nuovo…l’uomo…la stanza a metà…-
Ma le sua parole si stavano gia spegnendo sotto le carezze morbide della madre. Le palpebre crollarono e la riportarono a dormire, ma questa volta fu un sonno irrequieto e senza sogni.



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Buongiorno a tutti, questa è la mia seconda storia che scrivo, so che sarà un po' più difficile per certi aspetti dato che è un originale, ma io mi butto e ci provo lo stesso. Spero davvero molto che questa storia venga apprezzata quanto la precedente che tra parentesi, non aggiorno da un po' perchè mi sono dedicata maggiormente a questa,e  che è possibile non andrà avanti per un po'. In ogni caso non so ancora con quale coraggio ho pubblicato questa storia, spero solo che non sia tanto terribile. Vorrei davvero che mi informaste dei problemi che potrebbero esserci in futuro o già nel prologo, che so non essere una gran cosa, ma il primo capitolo è gia pronto e lo pubblicherò se non domani mercoledì. Grazie ancora se state leggendo, spero vi possa piacere almeno un pocchino. Ah per chi avesse letto anche l'altra storia noterà che la protagonista è circa la stesso e vorrei giustificarmi dicendo che Esperia è un nome che amo anzi vorrei che fosse il mio, e che questa ragazza è diciamo, la ragazza che vorrei essere io ecco, per questo la rendo protagonista di tutte le mie storie, perchè sentirmi dentro la storia mi coinvolge un sacco e mi aiuta a scrivere, spero questa cosa non vi turbi.E ora.. 3...2...1 SI PUBBLICA!

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Capitolo 2
*** "Di primo impatto"- Capitolo I ***


CAPITOLO  I  

"Di primo impatto."
 
I raggi del sole filtrarono nella stanza creando dei graziosi giochi di luce sul viso di Esperia, disteso e apparentemente rilassato. Non stava più dormendo ormai, ma si stava rigirando nel suo letto godendosi pigramente i suoi ultimi minuti sotto le lenzuola. Qualcuno bussò alla porta, e la ragazza fu mestamente riportata alla crudele realtà delle 8.53 del mattino. Una voce passò attraverso la parete dove la testata del letto era appoggiata, ma all’orecchio di Esperia non giunse nessuna parola definita, ancora troppo stordita dal risveglio. Una volta tolte di dosso le coperte fu facile alzarsi, il frescolino della stanza la fece rabbrividire un po’, cosa che la incoraggiò a farsi una doccia calda. Al tavolo della colazione non aprì bocca, era ancora scossa per il sogno di quella notte, e non le andava di parlarne, per fortuna sua madre era troppo occupata a cucinare e a rimproverare il marito che aveva la bocca troppo piena di muffin ai mirtilli per proferire alcun suono che non fosse un mugolio di approvazione.
Nemmeno si accorsero di lei quando uscì sbattendosi violentemente la porta alle spalle come per segnalare una cosa tipo “lo so, non vi importa ma io sto uscendo, non so quando torno, dato che è domenica illudetevi pure che stia andando a messa, ciao.”. Scaraventò la porta con una forza che non si attribuirebbe a una ragazza dall’aspetto tanto aggraziato, ma tutti hanno delle giornate no, di quelle che si riconoscono fin dal risveglio.
Fuori pioveva ed Esperia non amava gli ombrelli. Si limitò a tirarsi su il cappuccio nero della felpa. Il colore del tessuto attirava a sé la poca luce, che si riversava dal cielo in piccoli spiragli attraverso le fessure tra le nuvole, riscaldando debolmente la nuca della ragazza. La sua valanga di capelli color rame non entrava tutta nel cappuccio e i ciuffi che erano rimasti fuori si stavano già inumidendo. Era uscita senza nemmeno curarsi di pensare ad una destinazione o ad uno scopo, aveva portato con se solo se stessa e il suo cellulare, più degli spiccioli che ormai risiedevano da mesi nelle tasche dei jeans, e che probabilmente avevano visto più lavatrici di un negozio di elettrodomestici, almeno sarebbero stati profumati. Il telefono vibrò, sullo schermo lampeggiava la scritta ‘Mamma’, che probabilmente si era giusto appena accorta di avere una figlia in meno e dei muffin in più. Probabilmente voleva solo sapere dove stava andando e assicurarsi che avrebbe mangiato qualcosa per colazione, ma dato che nemmeno lei sapeva rispondere a queste domande, spense il telefono e lo ricacciò nella tasca bordeaux della sua giacca.
Dopo aver girato in lungo e in largo per il suo quartiere, ormai fradicia, si decise ad andare in un posto coperto e magari un po’ caldo, giusto per cercare di abbassare le probabilità di prendersi una polmonite. Si diresse verso la biblioteca.
Esperia coltivava un sogno, voleva da sempre diventare scrittrice, e sosteneva che leggere di altri autori l’ avrebbe incoraggiata e ispirata, per cui adorava passare i momenti liberi lì a leggere, col passare del tempo aveva fatto amicizia anche con il ragazzo al bancone, Duncan. Amava quel luogo, era un'unica stanza infinita, forse un po’ buia, ma molto accogliente. Non molte persone ci entravano, ormai le persone preferivano guardare film o la TV e non “perdevano tempo” in cose come i libri, e i pochi che ancora amavano la lettura, usavano anch’essi i computer gli iPad o cose simili. Sua mamma diceva che sarebbe stato un risparmio di soldi se anche lei si fosse comprata uno di quegli affari ma a lei piaceva leggere i libri veri, sentire il rumore delle pagine sottili che scorrevano
 sotto le sue lunghe dita e il profumo di carta che emanavano. Quindi per accontentare entrambe, aveva deciso di prenderli in prestito in biblioteca, ma in realtà ne approfittava sempre e invece di prenderli e portarli a casa si fermava lì per leggerli, nella quiete rilassante e conciliante di quel posto. Le piaceva così tanto che a volte aiutava il bel bibliotecario a mettere a posto gli scaffali o a controllare le date di scadenza dei pochi prestiti, cose così. In cambio Duncan a volte la lasciava stare lì oltre gli orari di chiusura per farla leggere, diceva che quando si immergeva in un libro era così presa e concentrata che gli dispiaceva troppo risvegliarla.
Quando entrò nella biblioteca la porta batté sul campanello che emise un suono stridulo e risonante. Duncan era lì, dietro al bancone e stava catalogando alcuni nuovi libri che erano arrivati in donazione, quando sentì il campanello alzò la testa e sorrise, i suoi occhi blu scintillarono per un breve secondo, poi il luccichio sparì, come se l’avesse soppresso:- Buongiorno!- aveva un delicato e adorabile accento inglese. Il ragazzo aveva un groviglio di capelli neri tirati su con del gel in un fallito tentativo di cresta e alcuni ciuffi gli ricadevano sugli occhi blu. Era alto e magro con gli zigomi sporgenti e il viso allungato. Sull’orecchio destro portava un orecchino con un brillantino rosso rubino, Esperia non aveva mai approvato i buchi alle orecchie dei ragazzi, ma su di lui stava davvero bene, lo rendeva aggraziato in un certo senso e distoglieva un po’ l’attenzione dalle spalle larghe, non che questo fosse un difetto per lei:- Ciao- disse infine ricambiando il sorriso. Duncan abbassò lo sguardo sulla pila di libri che stava maneggiando e allungò una mano verso un volume messo in disparte, lo prese e lo porse alla ragazza:- Ecco tieni, ieri ti sei fermata all’ultimo capitolo, ti conviene leggerlo, le ultime  pagine sono più intense del resto del libro- Esperia scorse un ghigno divertito nel suo sguardo indaffarato a catalogare i libri:- Grazie, ma ti diverte così tanto il fatto di sapere sempre qualcosa più di me?-

-In effetti , in campo lettura, sì, mi piace essere al di sopra degli altri.- ora il ghigno era chiaramente dipinto sul suo volto:- Bene saputello, fatti sfuggire un altro spoiler grosso come quello della settimana scorsa e non mi vedrai mai più mettere piede qua dentro o in qualunque altro posto ci sia anche tu.-  disse con malizia:- Ah sì, cavolo se era così facile liberarmi di te potevi dirmelo prima, mi sarei risparmiato mesi di sofferenze!- Duncan stava ancora guardando in basso, ma la ragazza vide il suo torace vibrare: stava ridendo sommessamente, il che era un vero peccato perchè Esperia adorava la risata di Duncan, la trovava buffa e divertente, un ottima scusa per poterlo prendere un po’ in giro:- Ah-ah ma che hai mangiato per colazione, pane e simpatia?-

-Certo come tutti gli altri giorni.-

-Mi sa che oggi hai esagerato con la simpatia..-

Questa volta la sua risata si sentì fragorosamente, ed Esperia si lasciò sfuggire un sorriso. Prese il libro da sopra il bancone, dove lui l’aveva appoggiato e si diresse verso l’angolo dell’ atrio dove era stato allestito un grosso ripiano di legno, a più o meno mezzo metro da terra, che era poi stato rivestito di materassi e cuscini. Prima che iniziasse a leggere scambiò qualche altra parola con Duncan: -Come stai, Esp? Sei arrivata presto oggi.-

-Si, beh…ecco io non ho dormito molto stanotte ed ero un po’ di cattivo umore, quindi sono uscita presto

-Ah, capisco, hai litigato ancora con i tuoi?-

-Non proprio.-

-Hai già fatto colazione?-

-Mh, no…-

-Hai voglia di andare al bar?-

-Emh, no. Mi dispiace vorrei finire questo ultimo capitolo-

- Capisco allora posso almeno portarti un caffè e una brioche? Sono in debito ricordi? Lo spoiler.-

-E va bene, un cappuccino e una treccia al cioccolato, e che ti sia di lezione.-

Il ragazzo rise solleticando l’orecchio di Esperia che anche questa volta non riuscì a trattenersi dal sorridere:- Ah e il cappuccino lo prendo con due bustine di zucchero, è chiaro?-
     - Certo my Lady!- esclamò lui chiudendo la porta della biblioteca e lasciando sola Esperia nel silenzio di quel luogo, spezzato dall’eco tintinnante della campanella sull’entrata.
Il tempo tra un libro e l’altro passò veloce  e presto fu ora di pranzo. Esperia si trovava in un deserto in compagnia di un paio i cammelli e alcuni uomini rozzi che tenevano in ostaggio Jhon, il protagonista, quando fu riportata alla realtà dalla voce di Duncan: -Esp? Esperia? Yuhuu…-

-Oh emh sì, cosa c’è?- Rispose la ragazza staccando a fatica gli occhi dal libro:- Volevo solo informarti che sul pianeta terra è l’una e mezza ed è ora di pranzo, e quindi io chiudo, oggi è domenica ho il pomeriggio libero.-

-Oh si certo…-

-Tranquilla puoi restare qui quanto vuoi.-

-Grazie Duncan, buon apetito…- stava già per rituffarsi nel deserto ma il ragazzo persisteva nel voler fare conversazione:- Certo, se tu vuoi, potresti…che so…venire a pranzo con me.- i suoi occhi blu erano fissi su quelli color smeraldo di Esperia che sembravano voler uscire dalle orbite per la sorpresa:- Oh. Cioè. Ecco.- non riuscì a formulare una frase di senso compiuto che Duncan la interruppe ancora:- No senti, non fraintendermi era solo un’idea niente di serio, solo pensavo che ti farebbe piacere uscire a prendere un po’ d’aria invece di stare ad ammuffire con questi libri, ma non fa niente se non vuoi lo capisco davvero, ci vediamo domani, fa lo stesso.-

Esperia era ancora sbigottita:- No cioè, senti.- fece un respiro profondo:- Non è che non voglia uscire…cioè, pranzare con te ma è che, ecco tu, cioè io…oh cielo. Diciamo solo che non è la giornata più adatta per un appuntamento…oh insomma quello che è. Mi dispiace Duncan, per favore cerca di non odiarmi per questo.- mentre parlava gesticolava imbarazzata.
Finalmente il ragazzo staccò gli occhi dai suoi e il cuore di Esperia riprese a battere:- Tranquilla non è successo niente. Ci vediamo domani o dopo o quando potrai passare.-  sorrise, era un sorriso piuttosto sincero per uno che aveva appena subito un rifiuto, ma la cosa sollevò la ragazza. Prima di uscire Duncan ricordò ad Esperia di chiudere la porta della biblioteca e di nascondere le chiavi nella cassetta della posta, ma lei era gia tornata nel suo piccolo, grande mondo.
 
Quando finì il suo secondo libro della giornata erano più o meno le quattro, ma lei ancora non voleva tornare a casa. Era stata tutto il giorno accovacciata sul divanetto senza ingerire niente, e iniziava a sentirne le conseguenze: forse dopo tutto, non sarebbe stata una cattiva idea pranzare con il bibliotecario, qualunque fosse la sua idea per “andare a pranzo insieme ”. Dopotutto era un ragazzo dolce e anche molto carino, sua madre l’aveva incontrato solo un paio di volte ma era più cotta di lui di quanto non fosse la figlia, cioè, non che Esperia fosse cotta di lui. Allontanò quel pensiero facendo un smorfia di disapprovazione, se anche i suoi pensieri iniziavano a dire cose stupide non sarebbe più uscita da quel tunnel di follia in cui era entrata negli ultimi mesi, da quando suo fratello Mike era entrato in coma vegetativo, a seguito di un incidente stradale. Mike aveva 16 anni, lui ed Esperia erano fratelli gemelli, almeno per quel che riguardava il carattere e la data di nascita, ma di aspetto non si somigliavano un gran che. I capelli di Mike non erano color rame dorato come i suoi, erano più scuri come un bronzo ramato, però erano mossi e sempre arruffati come quelli della ragazza. Mike era un artista, sempre con i vestiti macchiati di chiazze di colore e i capelli pieni di truccioli di legno, come arrivassero fin là su non lo sapeva nessuno. Il ragazzo si divertiva spesso a creare mensole o piccoli mobili di forme stravaganti e pieni di colore, a volte ci guadagnava anche qualcosa, e se non riusciva a venderli li usava per addobbare casa.
Esperia si asciugò una lacrima, che zitta zitta era scesa quasi contro la sua volontà sulla sua guancia. Un rumore l’aveva risvegliata dai suoi ricordi, era il rumore di un libro che cadeva, e quando vide che il suo era ancora perfettamente in equilibrio sulle sue ginocchia, ci mise un po’ per realizzare che qualcuno era entrato in biblioteca e che, essendo che nessuno era passato dall’entrata principale e che la porta sul retro era chiusa, quel rumore non era una cosa normale. “probabilmente non mi sono accorta che qualcuno è entrato, mentre leggevo ” si disse per trovare un po’ di sicurezza. Si alzò sbattendo i piedi per terra per produrre un po’ di rumore che interrompesse l’inquietante silenzio che regnava:- C’è nessuno? La biblioteca è chiusa sono spiacente.- ma nessuno rispose. Ci furono dei lunghi attimi di silenzio e poi dei passi iniziarono a rintoccare secchi sul pavimento di marmo. Esperia raddrizzò la schiena come per cercare di darsi un tono autorevole. I passi si fecero sempre più forti, rimbombando sempre di più nelle pareti, erano ritmici e regolari anche se sembrava che chi stesse camminando facesse fatica e stesse trascinando i piedi. La ragazza riuscì a collocare il rumore dei passi nella terza corsia di libri, nel reparto romanzi horror, ottimo per una comparsa tetra e spaventosa, pensò. La sagoma che comparse da dietro gli scaffali era quella di un uomo, un po’ ingobbito e con le gambe instabili, aveva un grosso cappuccio che copriva il profilo del viso. Non si girò a guardare, non si fermò per parlare, tirò dritto senza voltarsi, diretto alla porta. La ragazza rimase un attimo sbigottita per quel comportamento ma poi si riscosse e con un impeto di sicurezza  lo richiamò:- Eih mi scusi, che ci fa qui? Com’ è entrato? La biblioteca è chiusa.-
L’ uomo si fermò di colpo, rimase immobile per una manciata di secondi prima di parlare. La sua voce era delicata e gelida, quasi un sussurro roco :- La porta era aperta.- disse, e la sua testa, con un breve movimento, si rivolse ad Esperia. La sicurezza che la ragazza aveva raccolto uscì tutta in un colpo insieme a  tutto l’ossigeno che aveva nei polmoni. Le sue spalle smisero di essere rigide e si afflosciarono. Per un attimo il suo cuore si fermò e non vide più nulla. sentì le sue corde vocali vibrare fin quasi a spezzarsi: aveva urlato, in modo agghiacciante e inconsapevole. Ancora con la vista offuscata senti i suoi muscoli annodarsi in dei crampi lancinanti, colti alla sprovvista, non pronti per uno scatto del genere.  Quando ricominciò a percepire i colori intorno a sé si trovava nel reparto fantasy, il corridoio di scaffali sembrava infinito, stava correndo e sentiva il rumore di passi pesanti e veloci dietro di lei, o forse erano i suoi, non riusciva a distinguerlo ma sapeva che non voleva guardarsi indietro. Tutti i suoi nervi erano a fior di pelle, cercando di percepire un odore, un rumore o un’ ombra che potesse indicargli se l’ uomo la stesse seguendo oppure no. Ad un tratto si senti afferrare il braccio da una mano fredda e ruvida, la presa la costrinse a girarsi, e si ritrovò faccia a faccia con l’uomo, il suo sguardo era rivolto per terra, e spinta un po’ dalla forte curiosità e un po’ da un improvviso coraggio,  lo sollevò verso il volto della persona che le teneva il polso serrato tra le gelide dita. Non avrebbe dovuto farlo. Non appena lo guardò in faccia ebbe un attacco di panico, il suo cuore iniziò ad impazzire e si sentì il ventre come sbudellato, come se qualcuno all’interno del suo stomaco stesse cercando di aprirsi un’ uscita con un coltello affilato. La vista gli si offuscò di nuovo  le ultime cose che percepì furono la sua voce che gridava :-TU NON ESISTI!- disse e dopo questo, un libro cadde dallo scaffale più alto e colpì l’uomo che, preso alla sprovvista attenuò la presa sul braccio di Esperia che con uno strattone si liberò e fece dei passi indietro prima che un ondata di volumi fantasy si scaraventassero sul corpo dell’uomo. Il dolore al ventre si fece più intenso, troppo insopportabile. Le sue ginocchia cedettero. Il dolore alle rotule si aggiunse alle sue sofferenze. Si accasciò a terra ancora guardando l’uomo che veniva sommerso di libri. E poi un ultima ondata di puro dolore le squarciò la pancia, lo scaffale ormai svuotato dai libri cadde anch’esso inspiegabilmente, sull’uomo, che rimase incastrato senza potersi muovere. Il suo sguardo si rivolse  ad Esperia, era un misto di rabbia, terrore e preoccupazione. Prima di perdere i sensi la ragazza fu colta da un’ondata di gelo, alla vista di quegli occhi di ghiaccio.
 
 
Si svegliò di colpo, aveva la maglietta bagnata di sudore freddo, appiccicata alla schiena. Gli arrivavano vampate di caldo e di freddo quasi contemporaneamente. Era seduta sul divanetto all’angolo dell’atrio, il libro in equilibrio sulle ginocchia. Quasi automaticamente si strinse il ventre con le braccia ma, apparentemente, non avvertiva alcun dolore. Guardò l’ora sul suo telefono, erano le 6.30, i suoi genitori sarebbero stati in pensiero. Si alzò, prese le sue cose e uscì silenziosamente dalla biblioteca, ripetendosi di essersi addormentata dopo aver finito il libro, e rassicurandosi che l’accad
uto era stato solo un brutto sogno. Ma nel profondo, nemmeno lei ci credeva davvero.

 
 
 
 
 
 

Salve a tutti!, ecco il primo capitolo, com'era? Vi ha intrigato almeno un pochetto? Spero Davvero davvero davvero di sì. Era troppo lungo forse?Ci tengo molto a questa storia e vorrei che piacesse, e soprattuto non voglio che sia banale. MMh beh fatemi sapere cosa ne pensate e grazie mille se state leggendo! Baci <3

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


Capitolo II

Esperia era accasciata sul suo banco, reduce da un’altra notte insonne, con la testa china appoggiata sulle braccia incrociate e le gambe molli. Aveva gli occhi bui e incorniciati da scure occhiaie. La professoressa di scienze stava spiegando qualcosa di molto noioso mentre tutti i ragazzi la ignoravano spudoratamente chiacchierando tra loro e lanciandosi aereoplanini di carta fatti con le pagine del libro. Era circondata da un mucchio di adolescenti in fibrillazione, e con la mente spenta e silenziosa poteva udire ogni singolo rumore, ogni pagina che veniva strappata , ogni aereoplanino che sferzava l’aria con un fischio impercettibile e anche il fruscio dei capelli che ondeggiavano e lo strusciare delle stoffe dei vestiti, perfino lo stridio del gesso che passava sulla lavagna nera. Percepiva tutto questo, ma non la voce squillante dall’ amica Brithany che eccheggiava in una tonalità così acuta che poteva passare per la campanella dell’intervallo:- Esp! Esp!- si accorse di lei solo quando iniziò a scuoterla tenendola per il braccio:- Ummmh- fu l’unico suono che riuscì ad emettere:-Si esatto umh. Ma che hai? E’ tutto il  giorno che non mi dai retta! Hai sentito quello che ti ho detto?-
Esperia si ridestò dal suo sonnellino mentale:- Si, credo che tu mi stia ripetendo per l’ennesima volta che il tuo amato Trent ti abbia tradito…ancora.-
- No, Welsh! No! Cioè non esattamente! E’ diverso questa volta! L’ho beccato mentre era nel bagno delle ragazze con quella zozza di Jordan Frickman, all’inizio mi sono arrabbiata e l’ho mandato a quel paese, ma poi ho scoperto che la madre di Jordan è una fiorista e Trent stava solo chiedendole di ordinare un mazzo di rose rosse per me! Non è dolcissimo?!-
La ragazza fece un leggero movimento con la testa, che poteva essere un sì ma anche un no. Trent era un ragazzo  dell’ultimo anno, anzi, diciamo pure che era Il Ragazzo, per eccellenza, alto biondo abbronzatura perfetta, bicipiti gonfi e addominali scolpiti. Il classico ragazzo belloccio e perfetto consapevole di esserlo e che tutti vogliono conoscere. Brithany era la sua anima gemella: gambe lunghe capelli biondo platino, senza la minima impurità sul viso troppo sommerso dal trucco. Era tale e quale ad una Barbie, e Trent era un Ken favoloso. Peccato che lui la usasse solo per sbandierarla ai quattro venti come un trofeo, Brithany era perfetta, l’ideale per farsene un vanto, ma uno come Trent non si lascia sfuggire tutte le ragazze carine che gli ronzano attorno, eppure riusciva sempre a scamparla. Esperia non sapeva come fosse riuscita a diventare la migliore amica della ragazza più popolare della scuola, e a volte si chiedeva perché si ostinasse a riconoscerla come tale. Poi però succedevano quegli episodi in cui Brithany le ricordava quanto le volesse bene e tutto tornava a posto:-Verrai alla festa di venerdì sera?-
- Non credo proprio Brith, sono due notti che non chiudo praticamente occhio, non penso che mi farebbe bene.-
-Eh daii! Tesoro, sarà una delle feste più pazzesche dell’ anno! Tu-non-puoi-mancare! E infatti non mancherai!-
-Vogliamo scommettere!?-
Brith stava per replicare ma la campanella suonò le 11.10 e subito un trambusto di sedie e di passi pesanti iniziò ad esplodere al piano di sopra coprendo la sua voce. A quel punto anche Esperia si alzò e trascinandosi a fatica si diresse verso le macchinette alla ricerca di caffeina.
Passando per il corridoio salutò qualcuno di cui non vide nemmeno la faccia, prima una ragazza la cui testa era fuori dal suo campo visivo che si limitava alle piastrelle del pavimento verde. Anche un paio di ragazzi la avvicinarono ma lei li sentì a malapena. Quando arrivò in cima alle scale si rese conto che tra lei e il suo amato caffè c’erano circa tre metri di coda , e decise che quel desiderio sarebbe rimasto insoddisfatto, anche perché poco dopo suonò la campanella, possibile che ci avesse messo 10 minuti a fare i gradini? Forse era ora di comprarsi una di quelle carrozzine elettriche e concedersi il permesso di usare l’ascensore.
 
Il cancello di casa sua era spalancato quando la ragazza lo raggiunse, e prima di superarne il confine si soffermò un attimo per assaporare il tepore che il sole emanava sul suo viso pallido. Era da molto che non vedeva un sole così bello, un po’ perché ultimamente si richiudeva sempre in casa e un po’ perché la primavera faceva brutti scherzi. All’improvviso si accorse di quanto fosse stanca, e si ritrovò a pensare ai sogni che continuavano a perseguitarla. La notte precedente una volta tornata dalla biblioteca si era messa a letto e aveva acceso la televisione. Non aveva chiuso occhio, e adesso mentre stava lì a crogiolarsi al sole con le palpebre abbassate pensò all’uomo del suo sogno; rivide i suoi occhi di ghiaccio e sentì la presa gelida e ruvida sul suo braccio e rabbrividì.         Dopo una notte a pensarci su, aveva iniziato ad accettare il fatto che non era stato un sogno e che nonostante tutti i suoi sforzi per convincere sé stessa del contrario non ce l’avrebbe mai fatta perché  una parte di lei era incuriosita e attratta da quell’uomo. Aveva anche cercato di dare una spiegazione logica e razionale al tutto, come per esempio che l’uomo fosse stato un personaggio reale della sua infanzia, come un amico di famiglia che viveva all’estero e che era tornato a fare visita ai suoi. Si disse che quando si è piccoli spesso succede che se qualcosa ci impressiona ci rimane dentro inconsciamente e che è facile che possa tornare a gall. E poi chi aveva detto che quell’uomo volesse farle del male? Non gli aveva dato tempo di spiegare, era solo scappata via urlando. Ora la sua curiosità era salita ancora di più, e l’aveva spinta a decidere che se l’avesse incontrato di nuovo non l’avrebbe più respinto. Eppure un angolo della sua mente ancora urlava che era una cosa folle e che se l’avesse fatto avvicinare a lei non sarebbe successo nulla di buono. Riaprì gli occhi quando una folata di venticello gelido le entrò sotto la maglietta facendola rabbrividire e finalmente entrò nel vialetto di casa sua. Una volta varcata la porta si tolse la cartella dalla spalla e fu un sollievo immenso, da un dolore che nemmeno era consapevole di provare. Passando davanti alla cucina sua madre le propose il pranzo: un cartone di pizza con qualche fetta mancante, dall’aspetto invitante. Esperia la squadrò per un momento e pensò di mangiarla, m poi sentì la bile che ribolliva già al solo pensiero di ingurgitare qualcosa. Rifiutò la proposta con un una smorfia di disgusto e un gesto della mano e corse al piano di sopra prima che i conati diventassero troppo forti perché potesse trattenerli. Arrivata in camera spalancò tutte le finestre lasciando che il calore del sole entrasse e che il vento facesse svolazzare le tende di tessuto leggero. Si soffermo lì, davanti alle ante spalancate e fece dei respiri a pieni polmoni, prendendo lunghe boccate di aria fredda, per poi lasciarsi scivolare sul pavimento, accasciata su sè stessa e con lo spigolo del letto in un fianco. Aveva i muscoli tesi e si sentiva la testa pesante, la lasciò cadere sul bordo del letto e chiuse gli occhi. Finalmente si lasciò andare e non potendo più resistere si addormentò. Non sognò, non erano proprio sogni, ma più immagini, immagine confuse e sconnesse che si susseguivano; vide suo fratello sdraiato sul letto dell’ospedale, vide la biblioteca con Duncan e poi vide anche la biblioteca mentre l’uomo la inseguiva e vide lei, nel presente, accasciata sul letto mentre corrugava la fronte, e poi altre immagini senza senso come delle macchie di colore mal definite, senza bordi. Alcune le interpretò come delle persone, altre come luoghi. Quando si svegliò ricordava poco di quello che aveva visto, forse niente. Non si fermò a pensare, era come se avesse appena visto un film ricco di messaggi subliminali e adesso avesse solo voglia di uscire, e così fece. Si tolse i jeans che portava e ne mise un paio corti, si tolse il maglione bucherellato e lo sostituì con una felpa grigia e poi uscì senza esitazioni. Quando fu fuori si rese conto che non sapeva nemmeno perché fosse uscita, ma realizzò anche che non aveva intenzione di tornare indietro quindi prese e partì. Senza nemmeno accorgersene stava attraversando la strada principale della città, che portava al centro, nella piazza principale. Quando la raggiunse si guardò in torno: brulicava di gente, persone che ridevano e scherzavano con un gelato in mano. La piazza era circondata da vecchi edifici e si apriva i piccoli vicoli che si diramavano tra le case e i negozietti. Per la maggior parte le costruzioni che contornavano la piazza erano bar e ristoranti, ognuno con il suo spazio dove posizionare i tavolini all’aperto. Nel complesso era tutta un’esplosione di colori, ogni ristorante aveva il suo, chi con le tovaglie verdi chi con quelle rosse, chi con sedie di vimini un po’ antiquate e chi con sgabelli di plastica bianca molto moderni. Tutto le sembrava così nuovo, era da tanto che non andava lì, forse a natale era stata l’ultima volta, per fare compere con sua madre, da allora le cose si erano ribaltate, non era più tutto ricoperto da uno strato di neve candida, i lampioni non emanavano più il loro pallido bagliore, e adesso l’elegante fontana non era più spenta ed immobile, ora mandava allegri getti d’acqua con cui i bambini si mettevano a giocare al posto delle palle di neve e la luce del sole primaverile giocava tra le pieghe delle vesti delle muse rappresentate e filtrava tra gli spruzzi dell’acqua creando piccoli arcobaleni che si specchiavano sulla base di pietra levigata. 
Si guardò in giro ancora un po’, passando in rassegna tutti i tavolini colorati dei bar: giallo blu, nero e poi un rosa pallido, tendente all’arancione. Il suo sguardo si posò su una sagoma scura seduta ad un tavolino con un menù davanti. Per un attimo la ragazza si irrigidì, quando lo ebbe riconosciuto. Sapeva che l’avrebbe trovato lì, eppure fu comunque colta da un attimo di stupore. Ebbe anche un po’ di paura, non era convinta di quello che stava per fare, mise da parte il timore e si incamminò verso quel tavolino. Mentre attraversava la piazza  ebbe il tempo di cambiare idea una decina di volte, ma alla fine raggiunse quel maledetto tavolino, spostò una sedia e ci si appoggio sopra delicatamente cercando di non far rumore:- Ciao.- disse un po’ sotto voce. La persona davanti a lei abbassò il menù che nascondeva un sorriso malizioso:- Meglio tardi che mai?-
-Duncan, mi serve un favore.-
-Tutto quello che vuoi.-
-Devi procurarmi un libro.-
-Che libro?-
-Un libro sullo studio dei sogni.-
-Posso cercare, qualcosa troverò.-
-Grazie mille.-
La ragzza fece per andarsene, prima che il ragazzo terre farle richieste imbarazzanti o a cui non voleva rispondere, ma Duncan l’aveva già afferrata per un braccio:- Eih dove stai andando? Vieni qui, mi chiedi un libro e poi te ne vai? Perché non resti a mangiare con me? E’ il minimo che puoi fare per sdebitarti.- lo disse ridendo, ma la sua era una richiesta reale e anche piuttosto seria:- Così potrai spiegarmi a cosa ti serve un libro sui sogni.-
La ragazza lo guardò per dei lunghi secondi cercando un modo gentile quanto valido per rifiutare. Alla fine si rassegnò a quegli occhi verdi velati di preoccupazione e a quel sorriso raggiante e si sedette. 





Buongiorno!! Come state? So che in questo capitolo non succede molto ma avevo paura che diventasse troppo lungo e pesante quindi l'ho tagliato. Ho voluto concluderlo prima di partire perchè andrò via 5 giorni e non so se riuscirò a scrivere. Spero di pubblicare il seguito prima della fine delle vacanze ma non vi garantisco niente. Spero che vi piaccia, e vorrei tanto che mi lasciaste una recensione, anche con solo due paroline per dirmi che ne pensate, se c'è qualcosa che non va o meno. Vi ringrazio se state leggendo e vi auguro un buonissima pasqua piena di cioccolato :3:3 io mi sono comprata l'uovo kinder ohohoh :3 *gongola*

Baci!Passate delle buone vacanze <3

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Capitolo 4
*** Capitolo III ***


Capitolo III
 
Era quasi sera, il sole fuori dalla finestra stava cominciando a scomparire dietro le montagne, lasciando dietro di se un’ ultima scia di luce rosea che illuminava appena la stanza. Un tavolo, un libro, una sedia ed una ragazza dai capelli color del rame. Esperia lesse per l’ennesima volta la frase in cima alla pagina, ma ancora non riusciva a capire. Era assente, sconnessa. La sua testa era altrove: al ristorante nella piazza con Duncan, nella biblioteca con l’uomo uscito dai sogni, e poi in ospedale con Mike. Possibile che la sua vita fosse diventata così assurda e povera?
Una folata di venticello fresco fece girare la pagina del libro che Esperia aveva davanti, riportandola alla realtà. Si massaggiò le tempie per alleviare il dolore alla testa, un gesto ormai involontario. Aveva letto si e no due pagine del libro che le aveva procurato Duncan ma non riusciva a proseguire. La casa era deserta, governata dal silenzio, ogni tanto si sentiva qualche scricchiolio probabilmente dovuto al vento che sbatteva contro le persiane, o a Purpurrì, il gatto di Esperia, che si aggirava per casa alla ricerca di coccole e cibo. I suoi genitori erano fuori casa per partecipare a qualche conferenza delle loro, e sarebbero stati via tutto il weekend. La settimana era passata veloce, tranquilla e silenziosa e quasi non se n’era accorta, anche se continuava a dormire male o a non dormire proprio, a causa sempre dei suoi strani sogni che la facevano sentire ogni giorno più pazza e smarrita. Adesso era venerdì, tutti i suoi amici sarebbero stati alla “festa del secolo”. Non aveva mai detto di no ad un party ma quella sera non aveva proprio voglia di festeggiare, non aveva proprio nulla per cui festeggiare. Si era finalmente decisa ad alzarsi per farsi una doccia quando il campanello di casa sua squillo, infrangendo la quiete. Fece finta di nulla e proseguì per la sua strada, decisa a non aprire a nessuno. Si trascinò fino alle scale, strascicando i piedi, con lo sguardo rivolto a terra. Sollevò il piede quanto bastava per raggiungere il primo gradino e… DRIIIN…il campanello suonò un’altra volta, e poi un’altra ancora. La ragazza, rassegnata, tornò sui suoi passi e  si diresse alla porta. La aprì poco, quanto bastava per guardare chi fosse il rompiscatole che la disturbava nella sua fortezza di solitudine. Aveva ancora lo sguardo basso e la prima cosa che vide furono un paio di tacchi a spillo neri e lucidi, su un paio di gambe perfettamente lisce e abbronzate coperte (per così dire) da un soffocante tubino in tinta con le scarpe.  Non le servì vedere la cascata di capelli biondi e il viso da barbie per capire di chi si trattasse: “Che ci fai qui, Brith?”- disse con l’entusiasmo di un morto. L’amica spalancò la porta ed entrò con lunghi passi eleganti nel suo salotto. Esperia la seguì, e la trovò al centro della stanza con le braccia incrociate e uno sguardo severo. I suoi occhi esaminarono la poveretta dall’alto in basso, con aria di rimprovero:- Hai intenzione di venire così alla festa?- chiese in fine senza distogliere occhi dal pijiamino rosa a pois che indossava l’altra. Esperia alzò gli occhi al cielo:- Buonanotte Brithany- disse girandosi per raggiungere le scale. L’amica però le era già apparsa davanti per sbarrarle la strada:- Buonanotte un corno, ora tu vieni su con me ti dai una sciacquata ti metti qualcosa di corto e sexy e vieni con me a quel party!-
Non fece in tempo a protestare che Brith l’aveva già presa per il braccio trascinandola -letteralmente- su per le scale.
Dopo una veloce doccia fredda Esperia si sentì un po’ più viva e iniziò a pensare che dopotutto un po’ di distrazione non le avrebbe fatto male. Alla fine si convinse, quando la sua insistente migliore amica ebbe concluso la sua “opera di restauro” e la piazzò davanti ad uno specchio. Per poco non si riconobbe, aveva gli occhi verdi grandi e splendenti, contornati da un filo di nero, tutte le impurità erano sparite, ma le sue lentigini erano ancora in vista, era pallida come suo solito, con le guance rosee. Il vestito che indossava richiamava il colore dei suoi occhi facendoli splendere ancora di più. Non era nulla di aderente, impegnativo o elaborato, solo un vestito leggero e senza maniche, con una scollatura di pizzo sulla schiena e dei ricami sul bordo della gonna. Quel vestito gliel’aveva regalato sua madre, qualche anno prima, ma non l’aveva mai messo. Prima era troppo lungo e la parte alta le cadeva, ora invece aveva abbastanza seno per portalo comodamente e la parte inferiore le arrivava poco sopra le ginocchia. Dovette combattere con le unghie e con i denti per potersi mettere un semplice paio di ballerine invece che i tacchi, e alla fine perse la battaglia. La sua migliore amica aveva buoni metodi di persuasione.
 
Camminare su quelle scarpe fino al locale fu una dolorosa impresa, almeno per Esperia che da povera mortale qual era non ci era affatto abituata. La sua perfetta amica invece aveva camminato con passo deciso e aggraziato per tutto il tragitto senza mai dare segno di affaticamento o di dolorose vesciche appena spuntate un po’ ovunque. Il posto era già pieno di gente che ballava o che parlava ( più che altro urlava) cercando di superare il volume della musica. Tra il bar e la pista da ballo c’era una piccola piscina piena di acqua dall’aspetto limpido e disinfettato che rifletteva i mille colori delle luci che lampeggiavano qua e la, tanto da dare il mal di testa.  Degli sgabelli alti erano ordinatamente infilati davanti al bancone del bar e altre sedie erano sparse attorno  ad un paio di tavolini già ricoperti di bottiglie e bicchieri vuoti abbandonati.Apparentemente nessuno aveva ancora avuto la brillante idea di buttarsi o di buttare qualcuno in acqua ma prima o poi sarebbe successo sicuramente, anche solo per colpa di qualcuno un po’ brillo inciampato sul nulla, si sarebbe creata una reazione a catena di tuffi e schizzi di acqua gelida. La povera ragazza si chiese se avrebbe mai potuto evitare quell’ imbarazzante momento di stupidità collettiva.
Brithany l’abbandonò quasi subito per andare a fare la reginetta del ballo con il suo dolce Trent e lei ne approfittò per andare a cercare un posto dove sedersi per dare una tregua ai suoi poveri piedi. Trovò spazio davanti al bancone accanto ad un ragazzo. Era un tipo alto un po’ mingherlino, senza troppi muscoli, solo pelle, ossa e un suggestivo ciuffo biondo. Indossava una camicia bianca e celeste troppo larga  e un paio di jeans strappati qua e la che lasciavano intravedere squarci di pelle lampadata. Dall’aspetto aveva qualche anno in meno di lei, ma appena arrivata le stava già offrendo da bere quindi poco male, pensò mentre il biondino cercava di iniziare una conversazione a senso unico, una di quelle in cui uno parlava e l’altro faceva finta di ascoltare annuendo ogni tanto per essere più credibile. Solo al  terzo drink la ragazza prese coscienza di quanto il ragazzo le fosse vicino . Sentiva il suo fiato sul collo ogni volta che apriva la bocca per dire qualche scemenza, era tiepido e  sapeva di alcool:- Senti emh…com’è che ti chiami?- disse esasperata cercando di chiudere quell’imbarazzante conversazione; girò la testa per guardarlo in faccia e se lo ritrovò troppo vicino, le punte dei loro nasi si toccavano già e il biondino non sembrava voler perdere tempo. Si spinse ancora di più verso di lei e posò le sue labbra su quelle di Esperia, nel giro di due secondi le sue mani stavano già vagando sul corpo della ragazza che ancora sotto shock , teneva le labbra serrate mentre quelle di lui si aprivano pertentare un approccio di lingua. Alla fine con uno strattone un po’ brusco lo allontanò. Dovette fare appello a tutte le sue forze per non ridere davanti all’espressione da cucciolo abbandonato del ragazzo:- Scusa, hai capito male- disse con una specie di sorriso prima di girarsi e camminare via velocemente. Quello scattò improvviso mise in evidenza gli effetti dell’alcoolArrivata dall’altro lato della piscina si sedette con la schiena appoggiata al muro, raccolse le ginocchia al petto e guardò in alto, rimase a contemplare il cielo inquinato dalle luci del locale per qualche secondo e poi scoppiò a ridere. Per la prima volta dopo tanto tempo si sentiva una ragazza normale, con una vita normale, ad una festa normale. Vide Brithany farsi largo tra la folla di gente accalcata a ballare, che veniva nella sua direzione. L’amica si sedetta di fianco a lei, aveva in mano un bicchiere mezzo pieno di roba dall’asetto colorato e appiccicoso, lo porse a Esperia:- Eih bella ragazza! Vieni a ballare!- purtroppo per la rossa non era affatto una domanda e in una frazione di secondo era già tornata a fare l’equilibrista sul paio di tacchi vertiginosi rifilatogli dall’amica.







 Eih buongiorno :D che dire? Le vacanze mi giovano, sia a me che alla mia voglia di scrivere! :D mi sono svegliata con l'ispirazione e ho pubblicato, e spero entro questa sera di pubblicare il nuovo capitolo della mia altra fanfic :D <3 Tra l'altro ho riletto tutta la storia e mi sono resa conto di alcune incongruenze temporali, ma le ho corrette e chiedo umilmente scusa. Prima di fare puff e sparire vi chiederei un unico enorme favore: RECENSITE. Vi scongiuro *in ginocchio* vi prego, ne ho bisogno, perche se state muti io non posso capire cosa ne pensate, purtroppo non ho la capacità di leggere nel pensiero (non ancora muahah) quindi aspetto ancora speranzosa *occhi da cucciolo*. Al prossimo capitolo miei amati <3 <3

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