Hey, daddy...

di Starishadow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A modo tuo ***
Capitolo 2: *** First concert ***
Capitolo 3: *** Stay together for the kids ***
Capitolo 4: *** Heart Failure ***
Capitolo 5: *** hey bully ***
Capitolo 6: *** Anyone but him ***
Capitolo 7: *** Hard to say sorry ***
Capitolo 8: *** Fever ***
Capitolo 9: *** Never kiss on first dates ***



Capitolo 1
*** A modo tuo ***


Nota dell’autrice: Ok, non uccidetemi ahahaha ho sentito questa canzone e me ne sono innamorata… allora ho iniziato a pensare a come usarla, e… e… e non so bene come è venuta fuori questa! XD
So che la canta Elisa, ma in fondo l’ha scritta Ligabue e… e quindi potrebbe anche essere cantata da un papà alla sua cucciolina/suo piccolo, no? *sì sto cercando di convincervi xD*
E siccome morivo dalla voglia di vedere gli Starish in versione papà… non ho resistito! *si nasconde dietro Kira* spero che non vi faccia schifo!!
Ho usato una strofa per ognuno, e nel ritornello un po’ tutti.
Ultimissima cosa! Non ho specificato con chi sono fatti i vari bambini perché, sebbene io abbia le mie ship *coff coff* non me la sentivo di “imporle” sui lettori, quindi, immaginate che abbiano fatto questi bambini con chi volete (voi, Nanami, Tomo-chan, Ringo-sensei… chiunque! XD) e… niente, buona lettura!!! ^.^
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Sarà difficile diventar grande 
prima che lo diventi anche tu 
 
Otoya osservò il fagottino che le infermiere gli porgevano, mentre le sue braccia si rifiutavano di reagire agli stimoli che la sua mente tentava confusamente di mandar loro.
Era… suo figlio… quell’esserino fragile e delicato avvolto in quella copertina celeste?
«Otoyan» lo richiamò dolcemente Reiji, sorridendo, mentre Tokiya lo spingeva delicatamente verso la donna che sorrideva comprensiva e gli porgeva il bambino.
«I-io» balbettò il ragazzo, battendo le palpebre e facendo un passetto esitante, mentre finalmente le sue braccia si sollevavano e accoglievano il fagottino tiepido in un abbraccio che aveva qualcosa di esitante, ma anche di protettivo.
Aveva pensato che, come l’avesse preso, avrebbe fatto cadere il bambino, o l’avrebbe spaventato tanto che quello avrebbe iniziato a piangere come un disperato, invece le sue braccia sembravano fatte apposta per tenere stretto quel neonato, le sue mani avevano trovato immediatamente dove posizionarsi, e il bambino lo guardava tranquillo, curioso… e dopo pochi secondi in cui padre e figlio erano rimasti  a fissarsi, entrambi si erano aperti in un sorriso luminoso e - nel caso di Otoya - accompagnato da due grosse lacrime di felicità.
«Ciao, Hikaru» sussurrò, sfiorando il viso del piccolo con le labbra, mentre altre lacrime gli restavano impigliate fra le ciglia.
E in quel momento, quello che un tempo era stato il più rumoroso, disordinato ed infantile degli Starish aveva capito che era il momento di cercare di crescere un po’… per lo meno prima di trovarsi davanti a suo figlio che gli dava dell’immaturo.
 
tu che farai tutte quelle domande 
io fingerò di saperne di più 
 
«Papà, ma perché il sole è caldo?»
«Perché… è fatto di fuoco» Tokiya si trattenne a stento dal fare una smorfia a quella sua risposta mentre suo figlio, comodamente sdraiato sull’erba con la testa sulle sue gambe, indicava l’astro sopra di loro. Effettivamente, non era la migliore delle sue risposte, ma non era esattamente preparato a quella domanda.
«E… di cosa sono fatte le nuvole?»
Una parte dell’adulto voleva dire “nebbia”, però c’era qualcosa negli occhi grigioblu del bambino, nel modo in cui fissavano il cielo pieni di domande e meraviglia, che gli fece comparire un sorrisino intenerito sulle labbra:
«Secondo te di cosa sono fatte?» chiese, il bambino voltò lo sguardo verso di lui con un’espressione scettica.
«Qui le domando le faccio io» disse, prendendo un’espressione di superiorità, mentre si sollevava a sedere e rideva leggermente. Tokiya lo afferrò e cominciò a fargli il solletico:
«Ah sì? E come mai?» il piccolo continuò a ridere «Allora, commissario Hayato?» ghignò il più grande.
«P-P-perché t-tu sei un adulto» rise Hayato, divincolandosi e sfuggendo alla presa del padre «e io un bambino. Quindi io faccio domande e tu mi dai risposte. Semplice no?»
Il sorriso di Tokiya prese una sfumatura quasi triste, mentre la fiducia che suo figlio aveva in lui lo commuoveva… davvero pensava che lui avesse le risposte ad ogni sua piccola domanda?
«Non so proprio tutto» ammise, anche se il bambino non sembrava credergli «però una cosa la so per certo».
A quel punto Hayato si accigliò ed inclinò la testa da un lato, incuriosito, prima di venire catturato di nuovo dal padre, ma stavolta in un raro abbraccio gentile ed affettuoso.
«So che sei la persona a cui voglio più bene in tutto il mondo» sussurrò Tokiya, nascondendo il leggero rossore che aveva sulle guance nei capelli scuri del figlio, che dal canto suo sorrideva soddisfatto e ricambiava la stretta.
 
metterò via i giochi 
proverò a crescere 

«Papà, ti prego basta!!! Non voglio il peluche di Piyo-chan!» sbraitò una versione in miniatura di Natsuki mentre correva per tutta casa «Posso dormire anche senza!!»
«Ma Piyo-chan ti aiuterà a fare bei sogni!!» protestò l’uomo, inseguendo il bambino di sette anni brandendo due peluche a forma di pollo “adorabile” secondo lui, decisamente inquietante nell’opinione di tutti gli altri.
«Incubi semmai!!» sbraitò il ragazzo «Continua così e vado a vivere a casa di zio Syo, anche se non posso sopportare Aoi e Nie, preferisco loro!!!» e, per chi fosse al corrente dell’odio che era nato fra i due gemelli figli di Syo, e il piccolo Satsuki, l’affermazione conteneva in sé tutto il ribrezzo che il bambino provava per quei peluche.
«M-Ma Satsu-chan! Ti ho pure preso il completino da notte di Piyo-chan»
«Lasciami stare!!!!!»
Alla fine, Satsuki si nascose dietro un divano, e il padre continuò a cercarlo invano a lungo, per poi fermarsi e prendere un’espressione inaspettatamente seria… quasi amara.
Lasciò cadere i pupazzi e sorrise:
«Hai ragione, Satsu-chan… in effetti sono inquietanti» il bambino non si mosse, confuso… era forse una trappola? «Credo che… sarebbe ora che io smetta di giocare e costringerti ad essere più adulto di me… Ne?»
Colpito da quelle parole, Satsuki si decise a fare capolino:
«Papà…?»
«Oh, eccoti!» l’uomo non gli balzò addosso, ma sorrise come suo solito, anche se aveva gli occhi lucidi «Dai, andiamo a nanna… niente Piyo-chan, prometto»
Il bambino uscì dal nascondiglio, ancora confuso, ma quando il padre gli diede le spalle per salire verso le camere da letto, si fermò e raccolse i due Piyo-chan. Poi cominciò a correre e lo superò, fiondandosi nel suo lettino e stringendo a sé i peluche.
Quando Natsuki entrò a rimboccargli le coperte, gli occhi scintillarono deliziati:
«Oooh Satsu-chan! Sapevo che alla fine ti sarebbero piaciuti!!!»
E mentre veniva soffocato in un abbraccio micidiale, il povero Satsuki capì di essere stato ingannato dal suo stesso padre… ma la cosa non gli dispiaceva poi così molto.
«Sempre meglio di dividere la camera con Aoi e Nie» bofonchiò, soffocato nel petto di Natsuki.
Sarà difficile chiederti scusa 
per un mondo che è quel che è 
io nel mio piccolo tento qualcosa 
ma cambiarlo è difficile 

Rientrare a casa e trovare tuo figlio di cinque anni nascosto sotto un tavolo potrebbe essere una cosa che non ti aspetti, ma Masato riuscì a gestire abbastanza diplomaticamente la questione.
Lasciata cadere la borsa che conteneva infiniti grafici di aziende fallite, si inginocchiò davanti al tavolo, fino ad incontrare gli occhioni blu del bambino.
«Kaito-kun?» chiese, alzando un sopracciglio, l’altro abbassò gli occhi «Che succede? Vieni fuori, dai…»
Il bambino scosse la testa ed indietreggiò ancora, con allarme del padre che controllò che non colpisse nulla con la nuca o il collo.
«Ho paura» ammise Kaito, battendo le palpebre.
«Paura di cosa, Kai-kun?» il figlio era l’unico a cui Masato avesse mai dato un soprannome… se non si contava Ren all’età di otto anni. E non contava.
«F-fuori… insomma, prima nonno ascoltava la radio… parlavano di guerre, morti…»
Masato fece una smorfia. Avrebbe preferito che suo figlio non sapesse quello che succedeva fuori almeno per un altro po’, almeno fino a quando non avesse capito meglio…
Gli sorrise e tese una mano verso di lui:
«Vieni fuori, piccolo… ci sono io»
Kaito lo guardò, poi allungò una manina e lasciò che il padre lo aiutasse ad uscire dal suo nascondiglio, prima di fiondarglisi fra le braccia ed iniziare a singhiozzare spaventato.
Masato sorrise dolcemente:
«So che non posso cambiare il mondo, anche se lo farei per te… ma farò tutto quello che posso per renderlo un pochino migliore… va bene?»
Kaito soffocò un paio di singhiozzi e si asciugò gli occhi, prima di guardarlo seriamente:
«A me basta che non mi lasci da solo» ammise, spiazzando per l’ennesima volta il padre con la sua schiettezza.
«Mai» promise Masato, sollevando il bambino e lasciando che nascondesse il visino umido nella sua spalla.
Lanciò uno sguardo alla borsa per terra… forse qualcosa poteva iniziare a farla…
 
sarà difficile 
dire tanti auguri a te 
a ogni compleanno 
vai un po' più via da me 

Syo rimase in disparte ad osservare i gemelli che giocavano e ridevano alla festa del loro dodicesimo compleanno, mentre non riusciva ad impedirsi di stare leggermente imbronciato.
«Seriamente? È un compleanno, Syo, dovresti almeno tentare di sorridere!» lo riprese Ai, sbucandogli vicino e porgendogli un piattino con una fetta di torta, il biondo la prese, sospirando:
«Lo so ma… non riesco a smettere di pensare ad una cosa» ammise, arricciando il naso.
«Che crescono troppo in fretta?» se c’era una cosa che Ai non aveva mai perso, quella era la schiettezza e il suo andare dritto al punto. Se quello fosse un pregio o un difetto, i suoi amici dovevano ancora deciderlo.
«Sì… ad ogni compleanno, li sento andare un po’ più lontano da me. E so che in realtà è giusto che sia così, perché onestamente se Nei dichiarasse di voler vivere a casa fino ai quarant’anni lo caccerei via io per primo…»
«Se fosse Nei, perché voi due siete peggio di cane e gatto, ma se fosse Aoi, sono quasi sicuro che non rifiuteresti» ridacchiò Ren, sedendosi accanto a lui «sì, Chibi, ho origliato… la mangi quella fetta?»
«Ren, continua così e ingrassi» sbuffò Syo, passandogli il piatto «e non chiamarmi Chibi, sono più di dodici anni che te lo dico!!»
Il biondo non si scompose:
«Una volta di più non guasta»
«Comunque no, caccerei pure Aoi» tornò al discorso Syo, ignorando Ren come sempre «però… cavolo, hanno dodici anni e a me sembra passato un mese da quando si svegliavano nel cuore della notte a turno
Ai rise:
«Non ti mancherà anche quel periodo»
«Fingi pure di non capire, ma anche a te manca il tempo in cui cambiavi i pannolini a tua figlia!»
Ai tossicchiò e si guardò attorno, innocentemente.
«Nemmeno io voglio che la mia principessa cresca ma… cosa ci puoi fare?»
Syo si incupì:
«Niente. È questo che mi scoccia»
Fu in quel momento che Nei arrivò zoppicando e trattenendo le lacrime, mentre si stringeva una mano ai jeans scuri:
«Papà» mugolò, guardandolo implorante, Syo fu al suo fianco in un attimo.
«È caduto… e gli fa male il ginocchio» spiegò Aoi, correndo accanto al gemello e posandogli una mano sulla spalla, preoccupato.
Ren e Ai sorrisero, prima di guardarsi con aria complice.
Syo poteva sentirli crescere in fretta quanto voleva, ma i due gemelli non sembravano essere poi così disposti ad andare avanti per conto loro… non a dodici anni e, probabilmente, non a diciotto.
Il legame fra quei tre era semplicemente troppo forte.
 
A modo tuo 
andrai 
a modo tuo 

Satsuki Shinomiya, Hayato Ichinose, Harumi Aijima, Maiyumi Jinguji, Hikaru Ittoki, Aoi e Nei Kurusu, e Kaito Hijirikawa ben presto diventarono i bebè, e poi i bambini, e poi gli adolescenti più seguiti dalle fangirl che un tempo avevano adorato i loro genitori… o forse dalle figlie di quelle fangirl?
L’ammirazione per quel gruppo di ragazzini crebbe quando fondarono a loro volta una band, scegliendo il nome di Starkids, e cominciarono a far musica a modo loro, senza seguire le orme dei loro genitori, ma senza nemmeno prendere strade completamente diverse. Perché sì, Maiyumi era il flirt al femminile del gruppo, in costante litigio (e tensione sessuale, ammettiamolo) con Kaito, e Hikaru non perdeva occasione di far saltare i nervi ad Hayato, ma allo stesso tempo, Satsuki non voleva avere nulla a che fare con le cose piccole e carine, preferiva azione e cose “da uomo”, e un impensabile infantilità era emersa proprio in Nei, che però riusciva a dosarla con la giusta dose di ironia…
Ognuno di loro aveva preso il meglio dai loro genitori, e poi l’aveva trasformato a modo suo.
Sarà difficile vederti da dietro 
sulla strada che imboccherai 
tutti i semafori 
tutti i divieti 
e le code che eviterai 


Quando Hayato chiese a Tokiya di aiutarlo a prendere la patente, l’ex idol aveva iniziato a sudare freddo.
Un po’ perché la macchina era nuova.
Un po’ perché far guidare Hayato voleva dire mettersi completamente nelle sue mani.
Un po’ perché si sarebbe dovuto abituare a vedere quello che fino a poco tempo prima era il suo bambino andare avanti per la sua strada, raggiungere le sue destinazioni senza più bisogno di lui… e avrebbe iniziato ad aspettarlo sveglio la sera, anche se avrebbe costantemente negato quest'ultimo fatto…
«Allora papà? Guidi con me?» ripetè il ragazzo, sorridendogli malizioso «O hai troppa paura?»
«La paura l’avrai tu se mi fai anche solo mezzo graffio sulla macchina, ragazzino» rispose Tokiya, lanciandogli le chiavi dell’auto, Hayato le prese al volo e, con un bagliore negli occhi, corse verso il parcheggio, seguito dal padre che, ormai, stava lentamente accettando l’unica verità che c’era: doveva lasciarlo andare. Fine della storia.
Era stato il bagliore negli occhi di suo figlio che gli aveva fatto capire che, in qualche modo, Hayato avrebbe sempre trovato il modo di tornare da lui.
 
sarà difficile 
mentre piano ti allontanerai 
a cercar da sola 
quella che sarai 
 
Cecil si avvicinò lentamente alla porta socchiusa, da cui riusciva a scorgere vagamente la figura della sua bambina esibirsi davanti a giudici dall’aria severa. Sapeva che Harumi amava ballare, e che se quella compagnia di ballo l’avesse presa, lei sarebbe stata al settimo cielo… però vederla lì, a metà fra il suo destino e il suo presente, fra la realtà e i sogni, più bella, appassionata e fragile che mai, gli fece contorcere lo stomaco… lei sarebbe andata incontro al suo futuro, e lui doveva solo appoggiarla, sostenerla e continuare ad amarla come aveva sempre fatto.
Peccato che per quella audizione però non avesse scelto di esibirsi nell’Agnadance… sarebbe stata più d’impatto.
Sarà difficile 
lasciarti al mondo 
e tenere un pezzetto per me 
e nel bel mezzo del 
tuo girotondo 
non poterti proteggere 


L’esperienza più traumatica che a Ren potesse succedere fu quella di avere una figlia femmina.
Si era sempre immaginato di avere un maschio a cui insegnare a far cadere le donne ai suoi piedi, con cui parlare di “cose da maschi”… e poi invece si era trovato fra le braccia un involucro di coperte rosa, dove dormiva beatamente la creatura più piccola e delicata che avesse mai visto… e il suo mondo non era stato solo stravolto, ma completamente smontato e ricostruito in maniera del tutto diversa.
Masato naturalmente l’aveva trovato più che giusto, Tokiya aveva borbottato “Karma” con fare sardonico, Syo e Otoya si erano rotolati a terra dalle risate.
Ma Ren non era riuscito a togliere gli occhi di dosso dalla figlia, sebbene non riuscisse a veder bene per via di qualcosa che gli era calato davanti ad essi, come una patina liquida che gli gocciava giù dalle guance.
E nel corso degli anni aveva visto la sua Maiyumi crescere e diventare sempre più bella e sempre più simile a lui… come lui si era divertito a giocare con le ragazze, a lei non dispiaceva stuzzicare i ragazzi… ma non c’era cosa che lo preoccupasse di più. Quando la vedeva mano nella mano con uno di quelli, iniziava a sudare freddo, e la sua mente cominciava ad architettare modi per uccidere quell’essere se avesse fatto male alla sua little princess.
E la prima volta in cui la vide piangere sul pavimento della sua camera, dopo l’unica volta in cui aveva amato invece di giocare, circondata di ricordi distrutti e sogni infranti, poco mancò che anche il suo cuore si spezzasse. Si inginocchiò vicino a lei e lasciò che lei si aggrappasse a lui come un naufrago ad un salvagente, mentre le baciava via le lacrime dalle guance.
Non era riuscito a proteggerla nel mezzo del suo giocare, crescere, sperimentare… non avrebbe potuto farlo nemmeno volendo, non aveva potuto farlo, e ora Maiyumi era a pezzi, e lui non sapeva cosa fare.
Per la prima volta si pentì di aver fatto soffrire quelle ragazze.
«Papà» singhiozzò la ragazza, mentre le sue lacrime si tingevano di nero grazie al mascara «non voglio più innamorarmi»
«No, princess… non puoi non innamorarti. Per quanto a me non dispiacerebbe, sia chiaro… succederà ancora»  la sentì irrigidirsi, pronta a protestare, e le posò due dita sulle labbra, zittendola «ma non farà sempre male… quando ti innamorerai di quello giusto - alias il mio peggior nemico» Maiyumi ridacchiò, e il suo sorriso roseo tornò a trionfare su tutte quelle lacrime nere «non farà così male»
«Però… finchè non trovo quello giusto…» iniziò lei, sistemandosi meglio nell’abbraccio del padre «posso limitarmi a voler bene solo a te?»
Ren le baciò la fronte:
«Non potrei chiedere altro»
 
sarà difficile 
ma sarà fin troppo semplice 
mentre tu ti giri 
e continui a ridere
 



**********************
Nota dell’autrice: et voilà! L’ho detto che sono in vena di fluff… xD
Ho festeggiato la patente con questa FF insomma ahahaha! *si sente potente* xD
Spero che vi sia piaciuta! Fatemi sapere e…. non so, vi piacerebbero altri capitoli centrati ognuno su uno Starish con il figlio? Perché io un paio di idee le avrei, ma non mi va di “imporvele” se non vi piacciono ahaha
A presto!!
Bacioni!
- Starishadow

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Capitolo 2
*** First concert ***


 
Nota dell’autrice… alias “Specchietto personaggi!”
Visto che ho deciso di allungare la storia (grazie per il sostegno alle mie fantastiche recensitrici!!! *.*), ho pensato che sarebbe meglio darvi un piccolo riepilogo, anche perché qualche personaggio non ho avuto modo di presentarlo nel primo capitolo perché parlavo solo dei primogeniti… e solo degli Starish, ma prima o poi potrei inserire anche i QN… con calma, non voglio affogarvi di OC ahaha xD
 
Personaggi, età e ruolo nella band
Shinomiya Satsuki 15 (basso) - Reiko 14 (batteria)
Ichinose Hayato 17 (voce)  Rui 16 (voce)
Aijima Harumi 14 (tastiera)
Jinguji Maiyumi 16 (voce/piano)
Ittoki Hikaru 15 (chitarra/ chitarra elettrica) - Aya 5
Kurusu Aoi e Nei 17 (violini/violini elettrici) -  Yuu  10 -  Kimi  5
Hijirikawa Kaito 17 (voce/sax)
Le età possono cambiare nelle varie parti della storia, ma almeno così potete rendervi conto delle differenze fra un personaggio e l’altro ^^

P.S. Riguardo al banner qui sotto, qualcuno può avvisarmi nel caso si accorga che supera i 500 pixel? Perchè ho controllato e dovrebbe essere di meno, ma non mi fido troppo delle mie capacità ç.ç quindi se qualcuno più esperto notasse che è troppo grande, mi avvisi e rimedierò/lo toglierò!! ^^  
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First concert
«Io sono ancora contrario a tutto questo»
«Sì, Toki, l’hai già detto almeno ottantatre volte, rilassati!» rise Otoya, dando una pacca sulla schiena all’amico.
«E se li chiamassero “raccomandati”? “Figli di papà”? Cose simili?» intervenne Natsuki, preoccupato, mentre afferrava Syo e lo stritolava «Satsu-chan regge bene le offese, ma Reiko-chan…»
«NATSUKI LASCIAMI!!!!» sbraitò Syo tentando di divincolarsi… possibile che tuttora Natsuki tentasse ancora di ucciderlo?
«Non lo faranno… appena li sentiranno cantare. Ah, Na-chan, stai uccidendo il chibi comunque»
Natsuki lasciò andare il biondo, che si alzò e andò verso i camerini, senza nemmeno stare a rispondere a Ren.
 
«Allora, pronti?» chiese Otoya sorridendo, mentre Hikaru si nascondeva fra le sue braccia.
«Prontissimi!» replicarono Hayato e Aoi, dandosi il cinque, Tokiya osservò il figlio… pregando che non avesse ereditato il suo iniziale panico da palcoscenico che gli aveva rovinato il primo concerto sotto falso nome.
«Pronta! Rui, ricordati di non rubarmi le parti» fece Maiyumi, spostandosi dietro la schiena la massa di capelli dorati acconciati in onde.
«Come se ci tenessi» replicò l’altra ragazza, raccogliendosi i lunghi capelli scuri, quasi violetti, in una treccia laterale «piuttosto tu, cerca di tenere il tempo, anticipi sempre troppo!»
L’altra ragazza stava per replicare quando Kaito fece il suo ingresso, i capelli blu piastrati che gli finivano davanti agli occhi e un broncio sulla faccia:
«Perché devo avere i capelli assurdi?» chiese, con una smorfia, Hayato gli scoppiò a ridere in faccia, mentre con un cenno del capo si spostava i suoi dal viso:
«Non stai male» ridacchiò.
Kaito sbuffò e si scompigliò i capelli con le mani.
«Beh… in scena fra un minuto… buona fortuna» sorrise Syo, dando un buffetto sulla guancia a Nei e ammiccando ad Aoi.
«Ok forse non sono poi così pronta» mormorò Reiko, giocherellando con le bacchette della batteria.
«Andrà tutto bene, ragazzi! Abbiamo provato per anni, le fan là fuori ci conoscono già grazie ai nostri video e poi… siamo insieme, no? Sarà come quando cantavamo nel salone di casa di Ma-chan, solo che stavolta non rischiamo di rompere nessun bicchiere di cristallo» disse Hayato, cercando di rassicurare in primis se stesso.
Aoi e Nei presero i loro violini elettrici e sorrisero:
«Alla peggio ci tireranno dei pomodori… e si sa, i fan se la prendono con i cantanti, quindi solo Maiyumi, Rui, Hayato e Kaito sono in pericolo. Hikaru, ti si sono scaldate le mani?» disse Aoi, guardando poi il più piccolo, che si soffiava sulle dita, agitato:
«Non proprio… ma se ho le mani fredde, suono male la chitarra» ammise, provando un paio di accordi sullo strumento, Satsuki si avvicinò:
«Anche io ce le ho gelate… ma stai tranquillo, ci penserà l’adrenalina una volta sul palco»
«trenta secondi e in scena!»
«ODDIO AIUTO NON SO PIÙ L’INGLESE!!» urlò Maiyumi prendendosi i capelli mentre camminava con Rui verso il loro ingresso.
Avevano deciso di debuttare cantando direttamente sia in giapponese che in inglese, dato che erano anni che lavoravano ad avere una pronuncia più simile a quella occidentale, e soprattutto con un genere decisamente diverso da quello dei loro padri… molto più aggressivo.
«Maiyumi, datti una calmata o canto tutte le tue parti» la minacciò svogliatamente Rui, girandosi il microfono fra le mani coperte da guanti che le lasciavano fuori le dita «e tu l’inglese lo sai, fine»
«Forse dovevamo iniziare con un genere meno aggressivo»
«Ormai è troppo tardi… entra in questa cavolo di botola»
«Sono claustrofobica!»
Rui spinse la “cugina” dentro e poco dopo erano entrambe in piedi sul palco, di fronte ad un pubblico che ruggiva e sventolava luci colorate. Rimasero entrambe sorprese, poi sorrisero e Maiyumi trovò abbastanza coraggio da urlare un saluto, a cui il pubblico rispose con un boato di gioia che i ragazzi non si sarebbero mai immaginati.
«Grazie per essere venuti qui stasera… e così numerosi, wow!» esclamò Kaito, dall’altro lato del palco, e una serie di ragazze parve isterica nello strillare il suo nome.
«Speriamo di non dovervi rimborsare i biglietti» scherzò Hayato, mentre scendeva le scale e raggiungeva Rui e Maiyumi, abbracciando entrambe, le fan ridevano e urlavano… la serata prometteva bene.
«Per chi di voi non ci conoscesse, siamo gli Starkids, finora ci trovavate solo su Youtube, ma ora…» mentre Hayato parlava, Hikaru e Satsuki si lanciarono uno sguardo, poi iniziarono a suonare, seguiti dai gemelli e Reiko, Rui scoppiò a ridere:
«Smetti di parlare, onii-chan» disse, prima di ringraziare ancora le fan. Hayato alzò gli occhi al cielo e sussurrò nel microfono:
«Are you ready?»
Il che mandò quasi tutte in delirio, ma quello fu l’ultimo riferimento agli Starish, perché poi la musica divenne forte, coinvolgente e disperata grazie ai violini, a cui si aggiunsero chitarra e batteria.
Kaito fu il primo a cominciare, con voce ai limiti fra il graffiante e l’urlato.
 
Death surrounds
My heartbeat's slowing down
I won't take this world's abuse
I won't give up, I refuse!


Hayato si unì a lui in voce simile, leggermente meno grave, ma più veloce, e le grida delle fan che chiamavano il suo nome quasi lo sovrastavano.

This is how it feels when you're bent and broken
This is how it feels when your dignity's stolen
When everything you love is leaving
You hold on to what you believe in


La musica rallentò, e appena Maiyumi sentì la tastiera di Harumi scandire il ritmo prese fiato e chiuse gli occhi, prima di cantare con voce forte e chiara.

The last thing I heard was you whispering goodbye


Rui attaccò subito dopo di lei, aumentando la disperazione del brano ed incendiando il pubblico che iniziò a cantare con tutti loro.
 
And then I heard you flat line!


Kaito e Hayato ripresero il controllo della canzone, mentre le due ragazze li seguivano e gli facevano da controcanto. Rui fu la prima a vincere la timidezza e ad avvicinarsi al bordo del palco, da cui tutti i fan più vicini si protesero tendendo le mani verso di lei, che le strinse tutte continuando a cantare e sorridendo estasiata; Hayato la raggiunse, mentre Maiyumi e Kaito facevano lo stesso con i lati.
Aoi e Nei si lanciarono uno sguardo luminoso mentre continuavano a suonare, e durante il  loro assolo riuscirono a sentire abbastanza distintamente una ragazza urlare “Sposami Aoi-sama”, che fece avvampare il biondino, nascosto dal fedora.
Quando la terza canzone e i conseguenti applausi finirono, Harumi e Nei continuarono a suonare una musica più tranquilla per fare da sottofondo alle presentazioni.
«Buona sera, minna!» esclamò Hayato, salutando con la mano che non teneva il microfono «Che dite… facciamo un breve giro di presentazioni?» chiese, divertito, e le fan urlarono “sì” praticamente all’unisono.
Il ragazzo allora indicò Satsuki «Partiamo da lui, allora!»
Un riflettore si puntò sul bassista che, dopo un breve attimo di confusione, prese il microfono che Hayato gli porgeva e sorrise:
«Io sono Satsuki e sono il bassista degli Starkids, felice di essere qui stasera!!»
Lanciò il microfono ad Hikaru, che per poco non lo fece cadere per l’ilarità generale, e dovette lottare un po’ per non balbettare:
«I-Io sono Hikaru… ehm… il c-chitarrista e ogni tanto seconda voce del gruppo» passò il microfono ad Aoi, che probabilmente non aspettava altro:
«Buonasera a tutti!» urlò, in un  modo esuberante che per alcune era familiare «Io sono Aoi, violinista e ideatore dei costumi degli Starkids… dai, non sono stupendi?»
Mentre il pubblico rideva, Nei prese il microfono dalle mani del fratello e glielo diede in testa, fra le risate del pubblico:
«E io sono il suo gemello, Nei, che preferirebbe essere figlio unico. Anche io violinista e ogni tanto do una mano ad Hikaru con la chitarra, e anche io sono felice di essere qui con voi stasera!»
«Ne  ̴ otouto-chan, mi hai fatto male» protestò Aoi, strofinandosi la testa, mentre Reiko si impossessava del microfono.
«Oh sopravvivrai» sbuffò Nei, sistemando la presa del violino.
«Buonasera a tutti!» iniziò Reiko, e con sua enorme sorpresa moltissimi urlarono il suo nome come se fosse la più popolare del gruppo «Io sono Reiko e suono la batteria negli Starkids, ma all’occorrenza sono anche io seconda voce femminile… spero che vi stiate divertendo!» tirò il microfono ad Harumi, che avvampò:
«Io sono Harumi… p-pianista e c-compositrice degli Starkids… c-che le muse siano con tutti noi stasera!» riconsegnò il microfono ad Hayato e si nascose dietro la sua tastiera, mentre le fan continuavano a ruggire entusiaste.
Quando Hayato si presentò, lo stadio fu messo duramente alla prova, ma quando fu il turno di Kaito…
«Hey, ma quante principesse stasera» iniziò, con il suo miglior tono ammaliante, che fece sciogliere anche Rui e Maiyumi, che pure conoscevano bene i suoi trucchi «è un piacere cantare per tutte voi» alcune in prima fila rischiavano di svenire, e Maiyumi lo notò, alzò gli occhi al cielo e si avvicinò allo “pseudo playboy”, prima di tirarlo via da un orecchio e prendergli il microfono:
«Basta così, tesoro, o divento gelosa» ridacchiò, ammiccando «e per chi non lo sapesse, io sono Maiyumi, prima voce femminile degli Starkids, e lui è Kaito, prima voce maschile… spero che la serata sia di vostro gradimento!»
Per qualche motivo, i fan adoravano quando si creava una certa tensione - sessuale ma non solo - fra loro due, e infatti subito altre grida isteriche si alzarono dal pubblico quando lei mise un braccio attorno alle spalle di lui.
«Ma per favore» sbuffò Kaito, liberandosi e sorridendole «sai che rimani sempre la mia regina preferita, no?» le fece l’occhiolino e poi tornò al pubblico, estasiato da quello scambio fra di loro «Allora… volete che continuiamo a cantare per voi, dolcezze? Possiamo andare avanti per tutta la notte»
Hayato, che intanto stava bevendo, tossì mentre l’acqua gli andava di traverso… insomma, proprio tutta tutta la notte, non era sicuro che la sua gola avrebbe retto.
Rui se ne accorse e rise:
«Temo che Hayato non ce la farà»
«Ma pensa per te!»
«Prima che continuiamo così per tutta la notte, io sono Rui, e non potrei chiedere altro che cantare per voi tutto il tempo che volete, ma mio fratello Hayato è troppo vecchio per riuscirci, quindi probabilmente a fine concerto vi saluterà con il linguaggio dei segni!!!»
Mentre il pubblico rideva e applaudiva, Hayato iniziò a torturare di solletico la sorella, che fu salvata dall’inizio della nuova canzone.
A fine concerto erano tutti sudati, sorridenti, affannati e - nel caso di Hayato e Kaito - rauchi. Avevano fatto due bis e, su grandissima richiesta del pubblico, avevano accettato di fare una cover di Maji love 1000% dove avevano cantato tutti e dieci, e quando tornarono dietro le quinte erano a pezzi.
Riuscirono a malapena a ringraziare tutti per i complimenti e per il lavoro che avevano fatto dietro le quinte, lasciarsi coccolare un po’ dai loro genitori (persino Aoi e Satsuki erano troppo stanchi per ribellarsi) e salire nella limousine, prima di crollare uno dopo l’altro.
Gli Starish li osservarono con dei sorrisini orgogliosi.
«Wow, non pensavo che avessero tutto questo dentro di loro» ammise Cecil, accarezzando i capelli ad Harumi.
«Già… io credevo che Rui si sarebbe vergognata, e invece ha interagito con il pubblico come se lo facesse da sempre» mormorò Tokiya «e Hayato era peggio di un clown»
Ren ridacchiò:
«Buon sangue non mente… Ohayapuuu»
Tokiya fulminò il collega con un’occhiataccia, prima di tornare a guardare i suoi due cuccioli che gli si erano addormentati una con la testa sulle sue gambe e l’altro sulla sua spalla.
«E io speravo che Kaito non diventasse un playboy incallito» aggiunse Masato, guardando Ren che ridacchiò:
«Beh, scusa… un flirt nel gruppo ci vuole! E un giorno mi ringrazierai!!»
I sette adulti continuarono a parlare piano mentre i dieci ragazzi dormivano profondamente, ognuno nel suo mondo dei sogni che, per quella notte, era colmo di note musicali e colori.
 
Il giorno dopo, su quasi tutti i giornali, apparvero articoli sul loro concerto, che i dieci divorarono avidamente e increduli.
«Leggete qua!!» esclamò Harumi, spalancando gli occhi indicando un articolo nella sua rivista preferita:
Il concerto degli Starkids di ieri sera è stato un successone, il sold out di biglietti aveva già promesso bene, ma questi dieci ragazzi e ragazze hanno veramente incantato il pubblico come non succedeva dai tempi d’oro dei loro genitori.
E nonostante i loro illustri cognomi, nessuno di loro vi ha fatto riferimento durante il concerto - a parte l’obbligatorio “Are you ready?” iniziale, e il loro genere non ha nulla a che fare con quello dei genitori, questa è stata una delle cose più apprezzate.
L’umorismo dei ragazzi e la loro ottima musica hanno fatto il resto.
Un nuovo astro si è affacciato nel mondo dello spettacolo, e noi non possiamo che augurargli buona fortuna!
 
 *****************************
Nota dell'autrice: heilaaa! Come sono andati i festeggiamenti? Avete mangiato tanto, ricevuto regali, cantato canzoni natalizie e guardato tanti film?? ^^
Spero vi siate divertiti e.... ecco il nuovo capitolo ahahah non mi soddisfa al 1000% (;D), quindi potrei modificarlo se mi vengono idee migliori... intanto, fatemi sapere cosa ne pensate, e se avete idee, dite pure!
Buona serata a tutti!!!
Baci,
Starishadow

P.S. il gruppo "prestavoce" degli Starkids sono gli Skillet, e la canzone che ho usato è not gonna die tonight. Forse è un po' azzardata come scelta, ma... mi piacciono troppo!! Ahahah se conoscete altri gruppi dove cantano sia ragazzi che ragazze, fatemelo sapere!! :*

 

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Capitolo 3
*** Stay together for the kids ***


Nota dell'autrice:
e rieccomi! ^^ finalmente posto il nuovo capitolo ahahah un ringraziamento particolare a tutte coloro che hanno recensito!
Spero che anche questo capitolo vi piaccia- è un po' lunghetto forse, ma... ^^"
La canzone guida è "Stay together for the kids" dei Blink182... la consiglio a chiunque non la conosca già! ^^
A presto!
Starishadow

A richiesta, questo continuerà ad accompagnarvi per un po’! ^^

Personaggi, età e ruolo nella band
Shinomiya Satsuki 15 (basso) - Reiko 14 (batteria)
Ichinose Hayato 17 (voce)  Rui 16 (voce)
Aijima Harumi 14 (tastiera)
Jinguji Maiyumi 16 (voce/piano)
Ittoki Hikaru 15 (chitarra/ chitarra elettrica) - Aya 5
Kurusu Aoi e Nei 17 (violini/violini elettrici) -  Yuu  10 -  Kimi  5
Hijirikawa Kaito 17 (voce/sax)
 

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La stanza era buia, le serrande abbassate a tener fuori i raggi della luna, che comunque si infiltravano timidamente tra le fessure.
“23…24…”
Dal piano di sotto arrivava il rumore di una donna che urlava a squarciagola, la sua voce arrabbiata, il tono di chi non vuole ascoltare altri, e ogni tanto una voce maschile si alzava a sua volta e cercava di sovrastarla, senza riuscirci.
“27…28…”
In quella camera buia, un ragazzo stava steso sotto le coperte, il cuscino tirato su ai lati per premergli contro le orecchie, gli occhi socchiusi mentre le sue iridi blu si spostavano lungo i puntini di luce proiettati dalla luna sulla parete, contandoli uno ad uno.
“Adesso smettono” si disse, serrando gli occhi. Ma le grida aumentarono solo, e lui sbuffò, sollevandosi a sedere di scatto e scagliando via il cuscino con un gesto irritato.
Ma davvero lo ritenevano così scemo?!
Pensavano seriamente che non li avrebbe sentiti, se si fossero scannati al piano di sotto mentre lui, in teoria, dormiva?
«GUARDA CHE LA COLPA È SOLO TUA!» sbraitò la voce femminile, e il ragazzo sospirò.
“Ci risiamo. È colpa tua… nooo, è tua… no, è tua!” pensò a metà fra il sarcastico e l’esasperato “Tuo figlio è un debosciato che prima o poi si prenderà una malattia venerea, la colpa è sicuramente tua!”
«FORSE AVERE UNA COME TE COME MADRE NON AIUTA, NO?»
Kaito si tuffò sotto le coperte e se le tirò fin sopra la testa. Poteva fare lo spavaldo quanto voleva, poteva essere disinvolto sul palco e sfacciato con le ragazze.
Ma non sopportava di sentire i suoi genitori litigare in quel modo, e loro lo sapevano, per questo si ignoravano tutto il giorno per poi assalirsi appena lui usciva di casa o andava a dormire.
E lui era così stupido da indossare una bella maschera di innocenza quando la mattina li salutava, come se non avesse sentito nulla.
«MA PERCHÉ NON TE NE VAI ALLORA?» urlò sua madre.
“Se mandi via papà, mamma, io vado con lui” pensò il ragazzo, temendo la risposta del padre, che però non sentì.
Di rado Masato sprecava la voce urlando, di solito anche quando litigava si limitava a rispondere in maniera più brusca del solito, o a non rispondere direttamente, per questo Kaito era terrorizzato quando lo sentiva alzare il tono, aveva paura che quello fosse il momento decisivo che avrebbe segnato la fine di ogni tregua che poteva esserci fra quei due.
«BEH HAI RAGIONE, LA CASA È TUA, MA L’HIJIRIKAWA GROUP A METÀ È MIO!»
C’era un tono trionfante nella voce di sua madre?
Di sicuro aveva toccato un nervo scoperto per Masato, e Kaito si preparò al colpo.
«PRENDITI L’ALTRA METÀ E SPARISCI! TANTO È QUESTO CHE VUOI, NO? NON È PER QUESTO CHE MI HAI SPOSATO?»
Ma come ci erano finiti quei due insieme?
Kaito ricordava che a casa di Cecil c’erano foto del matrimonio di lui e Haruka, o di lei incinta e lui che la abbracciava, i loro occhi brillavano di felicità, e in quelle foto si guardavano con affetto e amore; a casa sua c’era solo una foto del matrimonio, quella con entrambe le famiglie: le uniche persone con sorrisi autentici in quella foto erano i genitori dei due sposi, che dal canto loro guardavano la telecamera con il migliore dei sorrisi che erano riusciti a fingere.
Perché stava li quella foto, Kaito non se lo sarebbe mai spiegato.
Le grida continuarono, e mentre anche la voce di Masato iniziava lentamente a sentirsi sempre più spesso, Kaito si nascondeva sempre di più.
Certo, se ne vergognava, ma nascondersi era il suo primo istinto da sempre: aveva un vago ricordo di essersi messo sotto un tavolo quando aveva cinque anni, per paura di qualcosa, e di esserne uscito solo quando suo padre gli aveva teso la mano, promettendogli qualcosa che non riusciva a ricordare precisamente, ma che gli aveva provocato un profondo senso di sicurezza.
Voleva riavere quella sicurezza, voleva tornare a quando aveva cinque anni, quando ancora i suoi genitori si limitavano a parlarsi nei limiti del necessario, e sua madre stava quasi sempre via.
Tirò fuori una mano dalle coperte e prese il cellulare, cercando la chat di gruppo con gli altri Starkids.
 
KAITO- qualcuno è ancora sveglio?
 
Passarono diversi minuti, ma nessuno rispondeva, stava per abbandonare la speranza quando…
 
NEI- io ^^ che ci fai ancora in piedi?
HIKARU- anche io! :D
KAITO- non è un po’ tardi per te, Hika?
HIKARU- avete solo 2 anni più di me, non tiratevela -.-
NEI- tienimi fuori, io non ho fiatato. Allora, Kai?
KAITO- indovina, Ne-ne
NEI- di nuovo i tuoi? :<
KAITO- si
HAYATO- ci sono anche io. Kai, chiedi di venire da me, no?
NEI- Così si becca la polmonite come me e Aoi l’anno scorso >.>
HAYATO- non è stata colpa mia!
NEI- ah no?! Chi ha dormito con la finestra aperta tutta la notte?
HAYATO- mi scocciavo a richiuderla.
HIKARU- e tu saresti il più grande del gruppo?
 
Kaito sorrise nel leggere quei messaggi, che avevano tutto in comune con i battibecchi che nascevano comunemente fra di loro, poi sentì una porta sbattere al piano di sotto e si bloccò. Che cosa era successo?
Dei passi sulle scale.
 
KAITO- vi saluto, torno fra un secondo!
NEI- tranquillo, Kai
HAYATO- qualsiasi cosa, scrivici o chiamaci, alla peggio svegli Rui, ma tanto quella si riaddormenta subito
HIKARU- magari fosse così con Aya .-. a dopo Kai-nii!
 
Nonostante la situazione, un sorrisino attraversò il viso di Kaito nel leggere il messaggio di Hikaru: probabilmente perché era il ragazzo più giovane del gruppo (Satsuki era nato a Febbraio e lui a Novembre, quindi era più piccolo anche di lui), Hikaru aveva la tendenza a chiamare “Onii-chan” lui, Hayato e i gemelli, e “Onee-chan” Rui e Maiyumi. Tutti loro non facevano che dirgli di smetterla, ma sapevano tutti che - se davvero l’avesse fatto - l’avrebbero implorato di ricominciare.
I passi erano più vicini, e sembravano più lenti ed esitanti, il ragazzo rimise il telefono sul comodino e si raggomitolò, fingendo di dormire.
Ormai era diventato esperto in quello, riusciva a regolare il respiro rendendolo più profondo, e aveva imparato ad impedire ai suoi occhi di tremare.
Tutto pur di scappare dai singhiozzi (che lui riteneva ipocriti) di sua madre, e le scuse sussurrate di suo padre.
Sentì la porta aprirsi, e nonostante il suo cuore avesse perso un battito nel suo petto, il suo viso rimase impassibile.
«Lo so che fingi di dormire, Kai… è impossibile non aver sentito», sussurrò piano Masato, dalla soglia della porta, il figlio continuò a far finta. «Va bene. Io… mi dispiace che tu debba subire le conseguenze dei miei errori»
Un altro respiro profondo, ma stavolta era un sospiro.
“Continua a tenere gli occhi chiusi, Kaito” si disse. Non che non volesse parlare con suo padre o cosa, semplicemente non ce la faceva a vedere quello che era il suo idolo, il suo esempio di vita, il suo eroe, ridotto ad un volto cinereo e occhi arrossati per via di una donna che non amava.
Si era chiesto spesso come sarebbero state le cose se fra i suoi genitori ci fosse stato un vero sentimento, come c’era stato fra i genitori di Harumi, o quelli di Hayato agli inizi, ma non era mai riuscito ad immaginarsi una scena in cui erano loro tre, tranquilli e felici come in teoria doveva essere.
Nei suoi ricordi c’erano sempre lui e suo padre, con l’ombra di sua madre sullo sfondo.
Un brivido lo percorse, e sentì anche il materasso muoversi leggermente.
«C’è solo un motivo per cui non posso odiarla come vorrei», mormorò Masato, spostandogli una ciocca di capelli - troppo lunghi per i suoi gusti, troppo corti per quelli del figlio - dal viso, «se non ci fosse stata lei, non ci saresti nemmeno tu»
“Continua a dormire, idiota, continua a dormire… non sbagliare ora”
L’impulso di sollevarsi e abbracciarlo era forte, ma Kaito sapeva anche che, se l’avesse fatto, si sarebbe messo a piangere come un bambino, e sapeva che vederlo piangere faceva star male suo padre quasi quanto a lui faceva male vederlo dopo una di quelle liti.
“Gomenasai, otosan”
Masato sospirò e si allontanò.
«Ti voglio bene» l’aveva appena sussurrato, ma Kaito aveva sentito benissimo, e deglutire il nodo che gli si era formato in gola fu difficile.
Appena fu sicuro che il padre si fosse allontanato, recuperò il telefono, leggendo la conversazione che era avvenuta fino ad allora.
 
NEI- non me ne parlare, Hika, quando di notte Kimi si sveglia, è un incubo
SATSUKI- ‘alve. Nei ma sta zitto che se non ci va tuo padre mandi Aoi
NEI- sì ma mi svegliano lo stesso. Specie se va Aoi, che non si toglie le coperte, le calcia tutte fuori dal letto
SATSUKI- e tu dormi da solo, idiota
NEI- quanto sarai deficiente?! Abbiamo un letto insieme -.-“
SATSUKI- cavoli vostri. Dormi con l’altro fratello, Yuu è un angelo. Va bene, devo andare, notte!
NEI- angelo? Quello è uno schizofrenico iperattivo, altro che! Siamo io e Kimi gli angeli di casa
HARUMI- povero zio Syo. Ero solo di passaggio. Notte ragazzi! (Kai, spero si sia risolto tutto :S) <3
NEI- notte Haru-chan! ;) E fidati, se papà avesse solo Yuu e Aoi si suiciderebbe
HAYATO- grazie per il tuo intervento edificante, Haru-chan
HARUMI- la strada per quel paese la sai già? ^v^
HAYATO- no ma dicevo con amore!! :*
HARUMI- Anche io! Cerca di perderti mentre vai <3
HIKARU- poovero Hay-nii!
HAYATO- Hikaru, smetti di chiamarci tutti onii-chan! >.<
HIKARU- perché? T.T ti da fastidio, Hayato-kun?
NEI- fa solo finta -.-“
HAYATO- solo perché sei l’esserino più adorabile che esista, Hikaru -.-“
NEI- ti male star sveglio a certe ore, diventi addirittura dolce!
HAYATO- se tu non fossi il gemello di Aoi, ti avrei già ammazzato.
NEI- la verità è che non mi ammazzi perché hai paura di sbagliare e uccidere lui
 
L’idea era così ridicola, ma anche plausibile, che Kaito non poté fare a meno di ridacchiare mentre rispondeva:
 
KAITO- Nei, ma tu ora ti sei fatto le punte dei capelli ciano, vi si riconosce
HAYATO- tutto bene Kai??
NEI- faccio tingere pure Aoi e siamo a posto. Welcome back, Kai!
KAITO- sì, Hay-kun, tutto bene ^^ le solite cose. Ho finto di dormire. Nei come mai ci sei solo tu?
 
NEI- Aoi non si sentiva molto bene, è dalle 21 che dorme
HAYATO- Che ha?!
NEI- ufficialmente “solo stanco”
 KAITO- ecco che emerge Hayato Chioccia ;D (tienici aggiornati su Aoi)
HAYATO- Non ti ruberei mai il ruolo di mammina, tranquillo :* (quoto mamma Starkids)
KAITO- Aww che amore! :*:* (mamma Starkids non si può sentire o.o)
NEI- siete disgustosi -.-“
HAYATO- Spiacente Kai, sei il mio migliore amico da quando sono nato, ma… non sei il mio tipo.
KAITO- Già, tu non sei il mio genere ^^
NEI- eppure qualche fan continua a shipparvi insieme
 
Leggendo mentre soffocava uno sbadiglio, Kaito rischiò di scoppiare a urlare dallo shock, prima di calmarsi. Ma come cavolo facevano a immaginarsi lui e Hayato… insieme?
Per lui, era come se fosse il fratello che non aveva mai avuto, e lui era lo stesso per l’amico, non avrebbero mai pensato di poter essere qualcosa di più che amici.
 
HAYATO- se è per questo shippano pure te e Aoi in un po’ di sano twincest
NEI- immagino che tu sia il primo di questi shippers
KAITO- li ha creati lui, guarda ;)
HAYATO- che spiritosi -.-
MAIYUMI- hey ma che ci fate tutti svegli? Una riunione di cui non sapevo nulla?!
KAITO- ciao, my queen <3
MAIYUMI- risparmiami la sviolinata, tesoro. Che succede?
NEI- solite cose…
KAITO- colpa mia ^^”
HAYATO- “Tua”… adesso…
KAITO- vabbè, tecnicamente
MAIYUMI- ah ok ho capito… domani papà parlerà con il tuo, Kai ;)
KAITO- sankyu
NEI- OOoohi! Solo noi possiamo usare il sankyu! è.è (cit. Aoi)
HAYATO- AMEREI continuare a parlare con voi, maaa si è appena svegliata mamma, e se mi becca ancora sveglio addio cellulare ^^” notteeee!! (Kai domani parliamo)
NEI- anche Aoi inizia ad agitarsi, meglio che spenga e gli dia un occhio. Good night, minna!
KAITO- ‘notte ^^ (mi fai paura Hayato)
MAIYUMI- zzzzzzzzzzz (zzzz) :*
 
Con un sorrisino sulle labbra, il ragazzo si risistemò sotto le coperte e posò il telefono. Stavolta, quando chiuse gli occhi, non fingeva più di dormire.
Si era appena addormentato quando un messaggio lampeggiò sullo schermo del suo telefonino, e non era nella chat di gruppo stavolta.
 
MAIYUMI- Ne  ̴ Kai-chan, lo sai che se hai bisogno puoi chiamarmi, vero? So cosa stai passando… papà e mamma litigavano in francese sperando che io non capissi. Comunque… sì insomma, per qualsiasi cosa, sai dove trovarmi! Bonne nuite! :*
 
«Bene! Vi vedo tutti svegli e pimpanti» commentò ironicamente Tokiya la mattina dopo, quando tutti si trascinarono in sala prove, battendo una volta le mani per attirare l’attenzione dei nove adolescenti - di cui almeno tre avevano l’aria da zombie «e soprattutto al completo» aggiunse, aggrottando le sopracciglia.
Nei si incupì:
«Aoi sta ancora male» spiegò, tornando poi a giocare con i lacci della felpa rubata al gemello.
«Io non ho voglia di fare lezione con te» rispose Hayato, sbuffando, e usando una voce quasi identica a quella del padre nei suoi umori più neri.
«Sì, anche per me è un piacere insegnarti, Hayato» commentò Tokiya scuotendo la testa.
Infine guardò il secondo più grande del gruppo, che era quello con la cera peggiore: viso pallidissimo, occhiaie profonde ed espressione abbattuta.
«Io non ho praticamente chiuso occhio» si giustificò Kaito, sedendosi vicino al pianoforte e posando la schiena contro gli zampi dello sgabello «voi iniziate pure» bofonchiò, posando un gomito sul ginocchio e affondandosi il viso sul palmo della mano.
«Mmm non vorrei farmi odiare ma… dovreste provare la tua nuova canzone» fece notare Otoya, alzandosi dalla sedia che fino a quel momento aveva occupato in silenzio; non era raro che gli Starish partecipassero alle prove dei ragazzi, aiutandoli come potevano e correggendo degli errori, ma di solito gli “insegnanti” erano Ren e Syo, o Natsuki, mentre Masato, Tokiya e Otoya erano sempre troppo impegnati fra CD e film vari. Cecil non aveva più voluto avere qualcosa a che fare con la musica e il mondo dello spettacolo da quando aveva perso Haruka, e non c’era stato verso di fargli cambiare idea, già solo per convincerlo a permettere ad Harumi di unirsi al gruppo erano servite tutte le tecniche di supplica dei ragazzi.
Con un sospiro, Kaito si costrinse a tenere gli occhi aperti e si alzò, con una smorfia. Raggiunse il centro della stanza e ben presto rimasero solo lui ed Hikaru, che lo guardò esitante mentre la musica partiva; Kaito sapeva che il minore non si sarebbe mai aspettato che chiedesse proprio a lui di fargli da seconda voce per quella canzone, ma Hikaru - oltre ad avere una voce più adatta per quella musica rispetto ad Hayato - era l’unico che potesse capire i sentimenti che aveva messo in quella canzone.
Avevano tutti (o quasi) sperimentato il dolore di vedere i proprio genitori litigare o separarsi, ma mentre Nei odiava candidamente sua madre per quello che aveva fatto a Syo e Aoi, e Maiyumi adorava troppo suo padre per chiedersi se un po’ di colpa l’ avesse anche lui, Hikaru non provava alcun risentimento per i suoi genitori (e bisognava anche ammettere che Otoya e sua moglie erano stati bravi a non fargli pesare i loro problemi), era semplicemente confuso dal loro atteggiamento.
«Pronto?» chiese sorridendo, Hikaru annuì e lui cominciò a cantare.
 
 
Its hard to wake up, when the shades have been pulled shut 
This house is haunted, its so pathetic, it makes no sense at all 
I’m ripe with things to say, the words rot and fall away 
A stupid poem could fix this home, I'd read it every day 



Chiudendo gli occhi, Kaito poteva ricordare perfettamente tutte le mattine in cui sarebbe rimasto volentieri a letto tutto il giorno, senza dover affrontare i suoi genitori dopo una lite notturna fra i due.
C’erano mille cose che avrebbe voluto dire loro, ma finiva sempre con il trattenersi e lasciare che queste svanissero lentamente.
La frase riguardo alla poesia l’aveva messa nel testo ricordando la sensazione che aveva provato quando, svariati anni prima, su consiglio dell’insegnante, si era rifugiato nella lettura, pensando che da lì avrebbe potuto trovare un modo per sistemare la faccenda, o un modo in cui la faccenda si sarebbe sistemata da sola. Aveva letto e riletto mille libri, mille poesie, ma casa sua era rimasta sempre il campo di battaglia di una guerra fredda che non sembrava voler finire.
Raggiunto il ritornello, lasciò che la sua rabbia contenuta per tutti quegli anni esplodesse, era quello dopotutto il segreto dietro la sua voce tanto graffiante quanto aggressiva nelle canzoni: se avesse dovuto cantare continuando ad essere “il solito Kaito”, il vigore che metteva nelle sue esibizioni sarebbe sparito.
Era ancora indeciso su quale delle due versioni fosse veramente lui, a dire il vero.
La musica rallentò ancora e, dopo un ultimo sguardo esitante, Hikaru cominciò a cantare, sentendo lo sguardo di suo padre e dello zio che più voleva impressionare fissi su di sé, cosa che non mancò di fargli infiammare le guance.

The anger hurts my ears, been running strong for seven years 
Rather then fix the problem, they never solve them, it makes no sense at all 
I see them everyday, we get along so why can't they? 
If this is what he wants, and its what she wants,then whys there so much pain? 



Hikaru ripensò a quelle parole: quelle rare volte in cui aveva sentito i suoi genitori scambiarsi parole piene di astio e irritazione, il loro tono sembrava ferirgli le orecchie, su cui era inutile premersi le mani, e negli ultimi anni il ragazzo aveva cominciato a chiedersi perché non si fossero ancora decisi a separarsi, che era l’opzione che gli sembrava la più plausibile.
Però poi vedeva Aya in braccio a sua madre che tendeva le manine paffute verso suo padre, un sorriso carico di aspettative in viso, e vedeva i loro genitori avvicinarsi per permetterle di abbracciarli e sorriderle entrambi; fra di loro non si guardavano, ma i loro sorrisi nel guardare la loro bambina erano identici. E quindi aveva capito: quei due soffrivano l’uno per la presenza dell’altra, e sarebbero andati ognuno per la sua strada più che volentieri, ma entrambi erano consapevoli delle conseguenze per Aya e - molto probabilmente - anche per lui, quindi facevano appello all’unica cosa che ancora li teneva uniti, che era proprio l’amore per i loro due bambini (per quanto Hikaru odiasse essere ritenuto tale), e continuavano a fingere.
Quello che il ragazzino non capiva, però, era perché dovevano farsi tutti così male per evitare dolore agli altri.

So here's your holiday, 
hope you enjoy it this time, you gave it all away. 
It was mine,so when your dead and gone, 
will you remember this night, twenty years now lost, 
it's not right. 



Tempo dopo, Kaito e Hikaru erano sul palco a cantare quella canzone, accompagnati in sottofondo dalla voce squillante e coinvolgente di Nei, con le fan che urlavano e seguivano il testo con le loro voci.
Kaito aspettò che la musica finisse, mentre con gli occhi scannerizzava le file di presenti, cercando due persone ben conosciute. Le trovò, infine, nel palchetto riservato a Shining Saotome e i suoi collaboratori.
Fu a quel punto che si portò il microfono alle labbra e - preso un respiro profondo - iniziò a parlare:
«My princesses, grazie!» aspettò che il frastuono diminuisse, regalando alla telecamera che lo stava inquadrando un sorrisino rapido ma gentile «Volevo… vorrei solo rubarvi un secondo di tempo, prima di lasciare il microfono a Rui-chan» ammiccò alla ragazza, che rispose con un sorriso e un cenno della mano rassicuranti, il pubblico tacque, incuriosito, mentre i suoi genitori reagivano in maniera diversa: Masato si era appoggiato alla balaustra del palchetto, gli occhi fissi sul figlio, sua madre stava leggendo un messaggio dal cellulare.
Tipico.
«Ho solo un messaggio per le due persone a cui questa canzone è dedicata. In teoria dovrebbero essere quattro, se Hikaru vuole unirsi a me, ma principalmente avevo solo quei due in mente quando scrivevo il testo» Kaito deglutì, e solo in quel momento realizzò che i suoi occhi stavano bruciando fastidiosamente, scosse la testa e cacciò via la sensazione battendo le palpebre «papà, mamma… basta. Vi prego, basta! Dateci un taglio, per favore. Fa più… fa più male così» si allontanò di fretta dalla luce del riflettore, indietreggiando verso gli altri compagni, e mentre il pubblico restava in silenzio, vide Maiyumi che gli si avvicinava con un sorriso gentile e la sua bottiglietta d’acqua in mano, lei glieli offrì entrambi.
«La canzone è stupenda, e tu hai cantato benissimo» cominciò la ragazza, abbassando gli occhi.
Quando non c’era un pubblico ad osservarli, i due ragazzi non si comportavano come tutti credevano, battibeccando e prendendosi in giro, flirtando costantemente fra di loro - insomma, facevano anche quello, ogni tanto - ma quando si trattava di supportarsi a vicenda attraverso la situazione che avevano attraversato entrambi, o di aiutarsi per qualsiasi motivo, era come se deponessero le armi: Maiyumi non cercava più di assalire Kaito e lui non la respingeva più, anzi… aveva cominciato a sviluppare una certa dipendenza da quella ragazzina che lo lasciava confuso, e ogni tanto lo preoccupava.
Non era abituato a dipendere dagli altri.
«Grazie» mormorò prendendo l’acqua.
«N-non c’è di che. Kai… senti, so che te l’ho già detto e ripetermi è da stupida, ma… davvero, se ogni tanto avessi bisogno di… anche sfogarti, va bene!»
Ma che le prendeva? Era Rui quella che balbettava e arrossiva, al massimo, Maiyumi era quella spigliata e con almeno una parola per ogni situazione.
«Ok» certo che pure lui poteva impegnarsi un po’ di più.
Lei fece una piccola smorfia, prima di ravvivarsi i capelli:
«Beh… non lasciamo che i vecchi ci rovinino il divertimento, ne  ̴?» chiese, ridendo.
Kaito alzò gli occhi al cielo:
«Sai che se tuo padre ti sente che lo chiami vecchio sei in punizione per un mese, vero?»
Con quello, tornarono entrambi sotto i riflettori, e lui le mise una mano attorno alla vita, tirandola a sé.
Almeno una cosa gliela doveva.
Aspettò il momento in cui lei girava la testa verso il pubblico alla sua destra per sfiorarle la tempia con le labbra, mandando in estasi il pubblico e in confusione completa lei, poi corse dalla parte opposta del palco, fingendo di sistemare il microfono.
Maiyumi si sfiorò la tempia con gli occhi sbarrati, prima di ricordarsi dove si trovava, quindi si calò nuovamente nella sua parte:
«So che non mi puoi resistere, Hijirikawa» ghignò, con aria maliziosa, lui la guardò alzando un sopracciglio:
«Continua a sognare, Jinguji» rispose, ammiccando.
Maiyumi rise, mentre dentro di sé però qualcosa le dava una sensazione di disagio: che significava quel gesto? Era per le fan? Per ringraziarla? O forse Kaito…
“Non ci pensare. Kaito non è tipo da innamorarsi di qualcuno. Sai come la pensa sull’amore”.
Autoconvincendosi, Maiyumi proseguì il concerto con nonchalance.
Quando fu a casa, però, non poté fare a meno di fissarsi allo specchio mentre si sfiorava con le dita il punto in cui le labbra del ragazzo l’avevano toccata.
Le arrivò un messaggio, e quando lo lesse fu sorpresa:
 
KAITO- scusa, lo so che sei a pezzi dal sonno, ma volevo dirtelo. Ho parlato con mio padre e… finalmente la molla!!
 
Sorrise leggermente. Certo, visto come si riducevano quei due, separarsi era la cosa migliore, ma lei aveva imparato a sue spese che, sebbene avesse desiderato per mesi che sua madre si decidesse ad andarsene, quando era successo non era riuscita a non starci male.
In fondo una parte di lei aveva sperato che riuscissero a fare pace.
 
MAIYUMI- Bene! Almeno non dovrai più sentirli litigare la notte. Comunque, grazie per avermi avvisata ^^
KAITO- grazie a te, Ma-chan. Vai a dormire, adesso! ;P Sogni d’oro :)
 
Maiyumi lesse e rilesse il messaggio. Kaito non aveva mai usato un tono così dolce con lei, nei messaggi, di solito si insultavano e basta.
Quel messaggio insolito le aveva scaldato qualcosa fra il petto e l’addome che non riusciva ad identificare.
Risollevò lo sguardo sullo specchio.
E adesso perché i suoi occhi stavano brillando in quel modo?!
 

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Capitolo 4
*** Heart Failure ***


Nota dell’autrice: intanto vi comunico la presenza di leggeriiiissimo shonen-ai in questo capitolo, spero non vi dispiaccia! ^^”
Poi… grazie a tutti per il supporto!! Davvero!
A presto, spero che vi piaccia il nuovo capitolo!
Baci,
Starishadow


Personaggi, età e ruolo nella band
Shinomiya Satsuki 15 (basso) - Reiko 14 (batteria)
Ichinose Hayato 17 (voce)  Rui 16 (voce)
Aijima Harumi 14 (tastiera)
Jinguji Maiyumi 16 (voce/piano)
Ittoki Hikaru 15 (chitarra/ chitarra elettrica) - Aya 5
Kurusu Aoi e Nei 17 (violini/violini elettrici) -  Yuu  10 -  Kimi  5
Hijirikawa Kaito 17 (voce/sax)

Nuovo personaggio
Mikaze Mikaeru 18 (ballerino di hip-hop a Londra)


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«Aoi, giù dal letto, dai» la voce di Syo era gentile, ma incalzante, mentre scrollava leggermente il maggiore dei gemelli per svegliarlo, un mugolio indignato fu la risposta «Aoi-chan… guarda che chiamo zio Natsuki, e tu sai come ti sveglia lui, poi»
Una risatina giunse dal posto vicino ad Aoi, che aprendo un occhio vide Nei ancora mezzo addormentato.
«Sveglia prima Nei» borbottò, nascondendosi sotto le coperte.
Syo alzò gli occhi al cielo: ma dovevano prendere proprio tutto da lui?! Finse di pensare a qualcosa:
«O forse dovrei chiamare zio… Ai?» chiese, con un ghigno furbetto in viso.
Un fulmine scattò via dal letto e si precipitò in bagno al grido di “no, zio Ai no!!”, scatenando le risate del quarto maschio di casa, Yuu, appena uscito dalla sua cameretta:
«Buongiorno, onii-chan!» esclamò allegramente entrando in camera «Dai alzati, Nei-nii l’ha fatto!» con quello, Yuu balzò sul letto e cominciò a fare il solletico ad Aoi, che si divincolò inutilmente.
«E va bene, va bene!!» sbraitò alla fine emergendo, con i capelli scarmigliati e gli occhi arrossati dal sonno, sia Yuu che Syo gli fecero un cenno di saluto con la mano e due ghigni vagamente sadici identici.
«Vi odio» bofonchiò il ragazzo, alzandosi e andando a bussare alla porta del bagno, intimando al gemello di uscire, ma l’unica risposta fu un - non molto gentile - invito ad usare l’altro.
«Dici che si ricordano che hanno un concerto stasera?» chiese Yuu, guardando il padre con aria scettica, Syo scoppiò a ridere:
«Glielo ricorderanno gli altri, non temere» replicò, alzandosi dal letto e aiutandolo a saltare giù.
«Posso tingermi anche io i capelli come ha fatto Nei-nii?»
Syo sbuffò e si rifiutò di rispondere a quella domanda, erano circa due mesi che il bambino cercava di assalirlo a tradimento con quella richiesta.
 
Dentro il bagno, Aoi si aggrappò al lavandino, iniziando ad ansimare.
“Merda… non adesso, non oggi” pensò, tossendo nel vano tentativo di riprendere fiato, come se ormai non sapesse che non serviva a nulla.
Cercando di non fare rumore, iniziò a cercare febbrilmente fra gli scaffali le pillole che avrebbero potuto risolvere la situazione, prima di realizzare di averle lasciate nel bagno occupato da Nei.
Imprecò e uscì, quasi schiantandosi su suo padre.
«Aoi, stai bene?»
Un altro colpo di tosse e una stretta al petto.
Aveva bisogno di quelle pillole, e ne aveva bisogno subito.
«S-sì… Nei è uscito dal bagno?» cercò di aggirarlo, ma sebbene Syo non avesse certo una presenza imponente, Aoi non riuscì nel suo intento. «Perché stai ansimando?»
«N-non è vero!» ogni tentativo di camuffare il proprio tono di voce fu vano, e ben presto Aoi si trovò le dita del padre avvolte attorno al polso. Alzò gli occhi al cielo e smise di opporre resistenza.
«Nei esci dal bagno» ordinò Syo con voce ferma e stranamente matura per i suoi standard, era la voce che mandava nel panico i gemelli, che voleva dire “problema! Allarme!”.
La porta si spalancò e Nei si precipitò fuori, fissando stralunato il gemello, Syo però lo trascinò dentro e tirò fuori una scatola dall’armadietto dei medicinali.
«Ok, Aoi, da uno a dieci quanto è forte il dolore?»
Il ragazzo ci pensò un attimo, mentre Nei lo abbracciava delicatamente, sfiorandogli il petto nel tentativo di rilassare la muscolatura.
«Un sei?» azzardò, tossendo di nuovo. Effettivamente era più fastidioso e allarmante che effettivamente doloroso.
Con una smorfia, Syo gli passò delle pillole, che il ragazzo di affrettò a deglutire il più velocemente possibile, tentando di far passare il dolore.
«E tu hai intenzione di fare un concerto stasera?» chiese Nei, accigliandosi, il gemello lo fissò sbarrando gli occhi:
«Per stasera starò meglio!»
Ed effettivamente, nel corso della giornata, quel dolore sparì fino ad essere dimenticato: non era la prima volta che Aoi si svegliava stando male, ma poi passava tutto appena prendeva un paio di pillole, e il ragazzo sperava vivamente che si trattasse di uno di quei casi.

Nel mezzo delle prove, Aoi cominciò a sentire una sensazione di disagio all’altezza del petto, poco sopra dell’addome; deglutì e continuò a suonare, cercando di ignorarlo il più possibile.
«Ok! Ottimo lavoro!» esclamò Hayato, che come suo solito passava una parte delle prove seduto dove in teoria si sarebbe trovato il pubblico e controllava le posizioni del gruppo e l’effetto complessivo.
Era tanto pignolo, certe volte, che Kaito finiva con l’interrompere le prove, balzare giù dal palco e cominciare ad inseguirlo urlando come un dannato fino a quando uno degli adulti non interveniva.
«Grazie» rispose Hikaru, sarcastico, mentre si spostava i capelli ramati dal viso e si stiracchiava.
«Comoda la vita, vero?» gli rispose invece Kaito, asciugandosi la fronte con il polsino nero che gli copriva il polso destro.
«Ora arrivo!» rise l’altro ragazzo, saltando giù dalla balaustra su cui era appollaiato e salendo sul palco.
Aoi intanto, mentre cambiava violino, continuava a concentrarsi su quella sensazione, cercando di capire quanto effettivamente la situazione fosse grave: sembrava essere uno di quei dolori fastidiosi e continui, ma non acuti.
Forse per quella sera sarebbe passato.
«Hey, tutto bene, onii-chan?» chiese Nei, posandogli una mano sulla spalla, lui sussultò, ricevendo un’altra stretta al petto, e si scrollò di dosso la mano del fratello con fare brusco:
«Sì» rispose freddamente, Nei spalancò gli occhi, un’espressione ferita tinta in viso, e il fratello si sentì vagamente in colpa per averlo trattato in quel modo.
«Hey voi due! Avete finito di fare i piccioncini?» li richiamò Satsuki, facendogli notare che gli altri stavano riprendendo le loro posizioni.
Aoi gli fece un sorrisino irriverente e tornò di corsa verso il gruppo, Nei rimase un attimo indietro, preoccupato. La sua mano corse al cellulare, prima di ripensarci: non era il caso di allarmare suo padre, per il momento almeno.

Aoi era seduto sulla sedia del suo camerino a rigirarsi il suo portafortuna fra le lunghe dita affusolate dalle unghie smaltate di nero: era un bracciale di suo padre, che lui gli aveva sfilato una volta, quando aveva circa due anni e per la prima volta era stato accolto nel backstage.
Sebbene fosse uno dei suoi preferiti, Syo aveva lasciato che il bambino lo tenesse, e stranamente, quel piccolo oggetto aveva resistito per sedici anni, e ora compariva sempre al polso di Aoi ad ogni esibizione.
«Aoi.»
Si girò verso suo padre, fermo sulla soglia, con le spalle poggiate allo stipite della porta e le braccia incrociate sul petto.
«Papà?»
«Ti sta facendo ancora male?»
Il ragazzino non rispose, ma la sua presa attorno al bracciale si strinse, a disagio.
«No… non proprio».
Syo sospirò e gli lanciò un’occhiata strana, che il ragazzo non riuscì del tutto a decifrare:
«Non sono certo io che posso farti la predica, perché ho combinato i miei casini, ma… non fare le mie stesse idiozie, ok?» con quello se ne andò, mentre Aoi rimase fermo a mordersi le labbra.
Sapeva di cosa parlava suo padre: alludeva al concerto in cui, ignorando fitte e dolori per circa una settimana, era crollato davanti a tutti, rischiando seriamente di non uscirne vivo.
“A me non fa così tanto male, non c’è da preoccuparsi” si disse.
Syo, fuori dalla porta, bloccò Hikaru che passava di lì, sovrappensiero più del solito.
«Sì, zio?» chiese il ragazzino, guardandolo confuso con un sorriso disponibile identico a quello di suo padre a cui Syo era tanto abituato.
«Ti dispiacerebbe tenere d’occhio Aoi? Tu e gli altri, non mi piace l’aspetto che ha.»
Gli occhi cremisi di Hikaru si spalancarono subito, e la preoccupazione calò sul suo viso:
«Aoi-nii sta male? Dobbiamo annullare il concerto? Devo chiamare un med…»
Syo tappò la bocca al ragazzo, ridacchiando leggermente, e scosse la testa:
«Sei troppo uguale a tuo padre, sai? No, non annullare nulla e non chiamare nessuno, limitatevi a tenerlo d’occhio e - se lo vedete strano cercate di capire se inizia a star male sul serio. Ok?»
Hikaru annuì seriamente e corse via, verso il camerino di Kaito, a riferire gli ordini.

«Ok, mancano cinque minuti. Hika, passato il mal di pancia?» chiese Kaito, che come sempre, prima di un concerto, si assicurava che tutti i compagni stessero bene e a loro agio.
«S-Sì» mormorò il ragazzino, sebbene qualcosa nel modo in cui si stringeva un braccio attorno all’addome e teneva gli occhi bassi non convincesse del tutto i più grandi.
Sembrava anche essere di un umore insolito negli ultimi tempi.
«Haru-chan, tu? Tutto bene?» sorrise Hayato, la ragazza scattò sull’attenti, facendo ridere tutti gli altri.
Reiko lanciò in aria le bacchette della batteria, ma mentre una riuscì a riacciuffarla, l’altra cadde in testa a Rui, che la prese e fulminò con un’occhiataccia la più piccola.
«Scusa, Rui-chan!» esclamò quella, arrossendo, Rui la colpì con la bacchetta e gliela ridiede, fra le risate di Maiyumi che intanto, alle sue spalle, alzava entrambi i pollici verso Reiko con un ghigno divertito.
«Minna! Io mi sono scordato il bracciale in camerino, torno subito!» esclamò d’un tratto Aoi, prima di correre via.
Che il ragazzo si rifiutasse di salire sul palco senza il suo portafortuna era una cosa risaputa, così nessuno ci fece caso tranne Nei che aveva visto il fratello farsi scivolare il bracciale in tasca prima di uscire dal camerino.
“Ecco, lo sapevo!” si disse, allarmato.
«Torno subito!» esclamò a sua volta, prima di correre dietro al gemello.

Aoi entrò nella stanza e si chiuse la porta alle spalle, piegandosi in due con le mani sulle ginocchia e gli occhi serrati, il cuore che gli pulsava dolorosamente nel petto e il fiato corto mentre si afferrava la maglietta e la tirava, come se questo potesse allentare la morsa che sentiva attorno al petto.
Tremando, iniziò a frugare nel suo borsone, cercando le pillole.
Invece trovò una delle siringhe da usare “solo per le emergenze”, che lui non aveva certamente messo lì.
Era un’emergenza quella?
La osservò per qualche secondo, prima di scuotere la testa e ricominciare con le ricerche.
Quando finalmente trovò quello che gli serviva, fu scioccato nel vedere che ce n’erano rimaste la metà di quelle che gli servivano, ma sicuramente meglio di niente.
Aveva appena finito di ingoiarle tutte quando si accorse di Nei in piedi dietro di lui.
Lo spavento non aiutò molto la sua tachicardia, e ben presto si ritrovò a tremare come una foglia contro il petto del fratello, che più che stringerlo lo sorreggeva.
«E tu vorresti andare in scena così?» chiese tristemente Nei.
«D-Dammi un minuto» sussurrò lui, chiudendo gli occhi e raggomitolandosi meglio nell’abbraccio. Lentamente smise di tremare, e anche il suo cuore tornò ad un ritmo normale.
«Dobbiamo dirlo agli altri, non puoi esibirti in questo stato.»
Aoi si allontanò bruscamente e spinse via il fratello:
«Non provarci!» esclamò, confondendo l’altro ragazzo, «Non ti azzardare a dire niente a nessuno! Nei, se dici mezza parola ad Hayato, o agli altri, di quello che hai visto ora…»
Nei alzò gli occhi al cielo:
«Aoi! Non puoi continuare a giocare col fuoco! Capisco che a diciassette anni non si pensi proprio alla morte ma… ma accidenti! Tu ci giochi di continuo! La sfidi, la sfotti… Non ti rendi conto di quanto siamo terrorizzati io, papà, Yuu, Kimie… Hayato?!» gli occhi di Nei parvero inumidirsi, ma tornarono presto asciutti e carichi di rabbia «Ogni volta che stai male tu… fa male anche a me, sai? Pensi che non preferirei essere io al tuo posto?»
Aoi abbassò lo sguardo, a corto di risposte. Sapeva che suo fratello soffriva quanto lui per quella situazione, ma non aveva mai pensato di fargli così tanto male quando si impuntava in qualcosa.
Gli sorrise e allungò una mano verso la sua guancia, in un raro gesto di affetto che si concedeva con poche persone.
«Nei» lo chiamò, un mezzo sorrisetto strafottente in viso «non sono morto finora, non ho intenzione di farlo adesso» e con quello uscì dalla stanza, sentendo il verso esasperato del fratello che lo seguì borbottando insulti a mezza voce.
Raggiunsero di nuovo gli altri, ma mentre Nei, Kaito, Hikaru, Reiko e Rui dovettero passare dall’altro lato del palco, Aoi si fermò insieme ad Hayato e gli altri alla loro entrata.
Mentre Satsuki, Maiyumi e Harumi si preparavano ad entrare, Hayato afferrò il polso di Aoi e lo tirò leggermente verso di sé, la sua vicinanza non fu proprio benefica per il cuore del biondino, ma ormai era abituato a quel genere di tachicardia.
«Tutto bene?» sussurrò il ragazzo.
Aoi dovette fare appello a tutta la sua pazienza, che era ben poca:
«Sì, Hay-kun, tutto bene, perché non dovrei stare bene?!»
«Sei pallido…» Hayato non era mai stato bravo a dimostrare agli altri quanto si preoccupasse per loro, e Aoi era il primo a saperlo, e ad apprezzare i suoi sforzi, quella sera però non avrebbe tollerato altre osservazioni sul suo aspetto fisico:
«Sono solo nervoso. Pensa per te, che tendi al verde. Fingi di non essere ansioso, e poi te la fai sotto più di noi»
Hayato sussultò impercettibilmente, prima di scuotere la testa e avvicinare il viso al suo, riducendo la distanza fra le loro labbra a pochi millimetri:
«Voglio solo che tu non ti faccia male» mormorò, e con quello si allontanò e raggiunse Satsuki.
“Complimenti Aoi, hai fatto irritare il tuo gemello e il tuo… qualsiasi cosa sia per te Hayato, in un colpo solo. Un record” si disse acidamente il ragazzo, prima di avvicinarsi a sua volta.
Di quel concerto ebbe coscienza di tutto dall’ingresso fino alla quinta canzone, poi tutto diventò nero.

«AOI!» urlò Hayato, troncando bruscamente la canzone e correndo verso il ragazzo raggomitolato a terra, con una mano stretta al petto e gli occhi serrati.
Nei era già in ginocchio vicino al fratello, e presto le fan iniziarono ad urlare, preoccupate, Maiyumi rivelò una presenza di spirito nel cominciare subito a rassicurarle ed intrattenerle, subito seguita da Satsuki e Kaito.
Hayato in quel momento se ne infischiava altamente delle fan.
«Aoi, Aoi apri gli occhi… mi senti?» stava chiedendo Nei, scrollando il fratello, dalle cui labbra uscivano solo gemiti soffocati e grida di dolore trattenute.
«FAMMI PASSARE RAZZA DI RITARDATO MENTALE!»
Hayato si voltò verso le quinte, dove un bodyguard stava trattenendo Syo e Natsuki, stava per intervenire quando anche Ai comparve alle spalle dei due e, con un solo gesto, convinse l’uomo a farsi da parte.
Possibile che ancora non avesse capito che quelli erano i loro genitori?
Syo si scaraventò accanto ai due figli, e iniziò subito a prendere il polso ad Aoi, oltre che tastargli l’addome e controllare altre cose che Hayato non capiva minimamente, Ai intanto si era avvicinato a Nei e aveva lasciato che quello lo abbracciasse e piangesse contro di lui, nascosto da occhi indiscreti.
«S-Starà bene?» sussurrò Hayato.
«Non lo so, è Kaoru il medico! C’è un’ambulanza nei dintor… AOI!!» Syo impallidì tremendamente e strinse la presa sul polso del figlio, prima che nei suoi occhi apparisse il panico.
Hayato poteva immaginare cosa avesse sentito, lo vedeva dal modo in cui Aoi aveva smesso di lamentarsi e tremare.
Si alzò di scatto e urlò con tutta la voce che aveva, sovrastando il mormorio della folla, chiamando aiuto, attirando l’attenzione dei paramedici.
Vide Natsuki cominciare a fare il massaggio cardiaco ad Aoi, e si trovò a pregare che funzionasse. L’altra cosa di cui si rese conto fu la presenza di suo padre accanto a lui, e non era mai stato così felice di averlo lì.

«Grazie tante, eh» sbottò Nei appena gli occhi di Aoi si focalizzarono su di lui, senza dar tempo di dire nulla al gemello « “non sono morto finora…” allora, l’infarto volevi farlo venire a me?! Eh?? Ammettilo!»
Aoi battè le palpebre, confuso, e fu in quel momento che una mano calò sulla bocca di Nei e interruppe le sue proteste.
«Aoi-kun?» lo chiamò Syo, dolcemente, mentre lo sguardo di Nei prendeva una sfumatura di vago senso di colpa. «Come ti senti?»
Il ragazzo ci pensò un attimo: gli faceva male il petto, e la sua testa era annebbiata, probabilmente per il gran numero di antidolorifici, e le lenzuola erano fredde e ruvide contro la sua pelle nuda dalla vita in su.
«Una merda» dichiarò, con voce roca e impastata di sonno.
«Oh well, that’s what you get for being an idiot» commentò una voce calma e distaccata, il ragazzo spostò lo sguardo, ma vide solo Ai seduto in disparte con il cellulare in mano.
«No, onii-chan, non hai le visioni… zio, gira quel telefono» ridacchiò Nei, notando la sua confusione, Ai si avvicinò e voltò il telefono, rivelando una videochat con il più grande dei suoi due figli, che da circa due anni viveva in Inghilterra con la sua ragazza.
«Hey, Aoi-chan, you don’t look so well» notò il ragazzo, senza scomporsi più di tanto.
Se Ai era sempre stato definito come cinico e freddo, suo figlio Mikaeru lo batteva: aveva ereditato i suoi stessi occhi color ciano, glaciali quando guardavano chiunque non fosse parte della sua cerchia ristretta di amici e parenti, ma i suoi capelli erano neri come quelli di sua madre, e lui si ostinava a portarli lunghi fino alle spalle, nonostante i continui richiami del padre a tagliarli almeno fino al collo.
«Eru-chan, Aoi non sa nemmeno il giapponese in questo momento» rise Nei, intervenendo «traduci»
Mikaeru sospirò, come sempre quando gli chiedevano di non parlare in inglese:
«Hai una pessima cera, Aoi. E sei un grandissimo idiota».
Aoi arrossì:
«Mi dispiace?»
Nei sbuffò:
«Lo dici sempre, e poi rischi di nuovo la vita alla prima occasione! Ti costerebbe troppo avere un pizzico di istinto di sopravvivenza?» chiese, e nonostante avesse cercato di usare un tono a metà fra il neutro e lo scocciato, Aoi riuscì ad individuare la preoccupazione in esso.
Si limitò a chiudere gli occhi.
«Maybe we should let…» Mikaeru notò lo sguardo assassino di Nei, che con l’inglese proprio non riusciva ad andare d’accordo, al contrario del suo gemello e degli altri Starkids, «forse dovremmo lasciarlo riposare»
Aoi avrebbe voluto dir loro di restare, ma gli antidolorifici e il resto delle medicine stavano avendo la meglio su di lui, e presto finì con l’addormentarsi di nuovo.
Si svegliò tempo dopo, quando fuori era buio; era solo nella stanza, o almeno così credeva: in realtà c’era qualcuno seduto nella poltroncina vicino al letto, con la testa posata vicino al suo fianco.
Dapprima aveva pensato a Nei, poi aveva riconosciuto suo padre.
«Ti prego» stava sussurrando, la voce flebile «ti prego, non a lui»
Aoi aggrottò le sopracciglia e allungò una mano verso di lui, Syo sussultò e lo guardò:
«Aoi… scusa, ti ho svegliato?»
Aoi scosse la testa, poi si guardò intorno, arricciando il naso:
«Quando posso tornare a casa?» chiese, aspettandosi la solita risposta “al massimo un paio di giorni”
«Tesoro, stavolta è stato più serio del solito» rispose Syo con voce seria, e gli occhi di Aoi si sgranarono, non stava cercando davvero di dirgli che… «almeno altre due settimane»
«No!» Aoi iniziò a divincolarsi contro tutti i cavi che gli si infilavano nelle vene e nel petto, Syo lo bloccò, con i denti serrati:
«Aoi. Aoi ascoltami!» sbottò a mezzavoce «Tu ti rendi conto che hai avuto un arresto cardiaco l’altra sera?»
Il ragazzo si bloccò a quelle parole.
Arresto cardiaco.
L’aveva sentito dire mille alte volte, in televisione, nei film, parlando di persone anziane; non aveva mai pensato di sentirselo dire. Certo, sapeva che era quello il rischio che correva quasi ogni giorno, ma fino a quel momento era stato qualcosa che era successo ad altri.
Il suo cuore si era fermato, per chissà quanto tempo, lui era… morto.
«Papà» sussurrò, spaventato, Syo gli sfiorò i capelli, togliendoglieli dalla fronte:
«Si è indebolito ancora» confermò l’uomo, mordendosi le labbra «ti hanno cambiato un paio di medicine e, se non esagererai di nuovo, dovresti star bene» il suo tono diceva ad Aoi che le parole più adatte erano “non morire”.
La porta si spalancò.
«Lo sapevo! Lo sapevo che non dovevo lasciarteli!» sbraitò una voce, Syo chiuse gli occhi ed inspirò profondamente, prima di voltarsi verso una donna dai capelli scuri e gli occhi verdastri che aveva fatto irruzione nella stanza.
«L’orario delle visite è finito da un pezzo» mormorò l’uomo, incrociando le braccia.
«Una mamma ha orari di visite?» chiese sprezzante la donna, sistemandosi la borsetta sulla spalla «Ho finito ora di lavorare, sono venuta il prima possibile»
Aoi emise un piccolissimo gemito e si tirò le coperte fin sopra il viso: trovarsi nella stessa stanza di quei due era un incubo, specie se non c’era Nei con lui.
Che poi, ora che ci pensava, se entrambi i suoi genitori erano con lui, chi stava con Nei, Yuu e Kimie?
«E ti definiresti “mamma”, tu?» mormorò Syo, a denti stretti, mentre si sforzava di mantenere un atteggiamento civile.
La donna lo ignorò e si affrettò al fianco di Aoi:
«Tesoro, come ti senti?» chiese, con tono preoccupato.
Sarebbe stata quasi credibile, se il figlio non fosse stato al corrente del suo grandissimo talento come attrice, che l’aveva resa molto popolare in quasi tutto il Giappone.
«Starei meglio se te ne andassi» bofonchiò, la donna ridacchiò dolcemente, sfiorandogli la testa, poi si alzò e Aoi, sbirciando dalle coperte, la vide puntare un dito contro Syo:
«Come sempre me li metti contro, vero idiota?»
Il biondo alzò gli occhi al cielo e si astenne dal rispondere.
“Per favore, non anche qui” implorò fra sé e sé Aoi.
«Guarda che il mio avvocato farà in modo che siano affidati a me, sai? Sei un irresponsabile, Kurusu! Non solo è colpa tua se tuo figlio ha questa invalidità, ma gli permetti anche di fare il cretino con il suo cuore? Oh, vedrai se non te li porto via, vedrai!»
Aoi si nascose anche di più, mentre il suo cuore accelerava: se non fosse stato per i sedativi, probabilmente avrebbe avuto un altro attacco. E quella donna voleva che vivessero con lei?
La voce di Syo non era mai stata così fredda, distaccata e determinata come quando pronunciò le parole successive:
«Prova pure a fare quello che ti pare, ma Aoi e Nei possono decidere per loro, con chi stare e dove andare. E Yuu e Kimi non ricordano nemmeno la tua faccia. Stai facendo star male tuo figlio, ti sei accorta?»
Aoi chiuse gli occhi e si tappò le orecchie, se avesse potuto, sarebbe sparito.
Alla fine sentì la porta chiudersi e suo padre sospirare come se avesse trattenuto il fiato fino a quel momento.
«Non voglio andare con lei»
«Però ha ragione»
Tutta la determinazione era sparita dalla voce di Syo, e ad Aoi parve di essere tornato ai tempi dei primi litigi, quando ancora lei gli rinfacciava di tutto, e lui cercava di non perderla.
«Papà?» mormorò.
Gli occhi di Syo, illuminati dalla scarsa luce dei lampioni da fuori, erano lucidi, e la sua espressione disperata:
«Ho sbagliato, ti ho lasciato fare quello che volevi, perché era così che avevo voluto fare anche io, e tu ci sei quasi morto. E poi… è solo colpa mia se tu stai male!»
Aoi era in preda al panico, suo padre stava per scoppiare a piangere? E cosa avrebbe dovuto fare in quel momento?
«Non è vero! Non è colpa tua, nessuna delle due cose. La prima è colpa mia, la seconda è successa e basta, papà ti prego, guardami» Aoi tese le braccia verso il padre, maledicendo gli aghi e i tubi, l’uomo si avvicinò e lo strinse delicatamente.
«Mi dispiace» ripetè.
«Non è colpa tua, mettitelo in testa. Non hai scelto di passarmela!» sussurrò il ragazzo, chiudendo gli occhi.
Nonostante ciò, Syo continuava a pensare che avrebbe rinunciato volentieri al suo cuore per salvare suo figlio, sebbene sapesse che lui non sarebbe stato poi granché utile.
Era un senso di impotenza, quello che provava, una sensazione di non poter aiutare una delle persone che più amava al mondo, ed era qualcosa che lo distruggeva.
«Hayato smettila! Sta bene, starà bene» le parole di Tokiya andavano perse nel vuoto mentre, sdraiato sul bordo del letto del figlio, cercava invano di calmarlo.
«No, non starà bene! Aoi non starà mai bene finchè non riusciranno a trovare un cazzo di cuore per lui!» sbottò Hayato, nascondendo il viso fra le braccia del padre, soffocando lacrime e singhiozzi.
«Hayato»
Il ragazzo tentò di calmarsi, inutilmente.
Non voleva ammettere di essere terrorizzato per Aoi, eppure non riusciva nemmeno a nasconderlo, e tutto quello che voleva, in quel momento, erano sia le parole confortanti di suo padre, sia la presenza di Aoi.
«Gli darei il mio» mormorò dopo un po’, così piano che Tokiya stentò a sentirlo.
«Cosa?»
«Gli darei il mio, di cuore, se servisse a salvarlo» ripetè Hayato, chiudendo gli occhi e lasciando che la stanchezza avesse la meglio su di lui.
Tokiya lo strinse più forte, chiudendo gli occhi. Era successo, alla fine quello che più temeva era successo.
Sperava solo che - almeno per suo figlio - le cose andassero diversamente da come erano andate per lui.

Per due settimane gli Starkids rinunciarono ad ogni forma di comparsa in talkshow o concerti o altro, ma le passarono “invadendo” a turno, o tutti insieme, la stanza di Aoi.
Anche gli Starish e i Quartet Night, oltre ad Aine, Shining, Ringo e Hyuuga erano andati a controllare che stesse bene, ma gli Starkids sembravano essersi accampati lì, in maniera particolare Hayato e Nei.
Kaito, la prima volta, era entrato più infuriato che mai, preoccupando Aoi, e gli aveva urlato contro:
«Tu! Come ti è saltato in  mente di non dirci nulla? Se stai male devi parlarcene… devi parlarne con me almeno! Non avrei annullato il concerto, ma, che so, ti avrei fatto stare da parte, o altro. Ti rendi conto dello spavento che hai fatto venire a tutti? Hai fatto urlare le fan e … hai fatto piangere Hayato!!»
A quelle parole, il ragazzo in questione si era ribellato veementemente, ma era stato ignorato.
Aoi si era scusato, ma il malumore della “mammina” del gruppo non era passato per molto tempo.
Hikaru gli aveva chiesto scusa mille volte per non aver fatto quello che gli aveva detto Syo, Reiko l’aveva abbracciato e baciato piagnucolando, Harumi gli aveva chiesto come stava almeno un milione di volte.
Nei, approfittando di un momento in cui tutti gli altri erano impegnati a battibeccare, aveva sussurrato all’orecchio del gemello:
«Continuo a pensare che sia colpa mia. Avrei dovuto ereditarlo io, vorrei esserci io al posto tuo, e tu qui, al sicuro»
Aoi l’aveva fissato scioccato, poi aveva scosso la testa:
«Ne-ne. Io non vorrei niente di diverso: se uno di noi doveva star male, preferisco mille volte che sia io. Non sopporterei di vedere te, o Yuu, o Kimi stare così, preferisco essere io a rischiare l’infarto ogni volta, preferisco essere io a passare tutto questo, non dirlo mai più, per favore».
Il broncio di Nei non se ne era andato, ma era chiaro che le parole del gemello l’avevano colpito.
Il tempo passava, e solo uno dei ragazzi si comportava in maniera diversa dal solito: Hayato non aveva aperto bocca.
Solo quando tutti furono usciti, il ragazzo si avvicinò al lettino, Aoi faticava a tenere gli occhi aperti per i farmaci e la stanchezza.
«Sarò breve» disse il più grande, sfiorandogli una guancia con dita esitanti, che Aoi sentì a malapena «non voglio più rischiare di…» gli occhi del ragazzo si chiusero, ma si riaprirono subito dopo, Hayato capì che doveva sbrigarsi se non voleva perdere la sua occasione «non andartene di nuovo, ok?» mormorò infine, sorridendogli in una maniera incerta a cui non era abituato.
L’aria stanca di Aoi fu sostituita da una sorpresa, poi un piccolo sorrisino si fece strada sulle sue labbra:
«Solo se resti con me» replicò, chiudendo gli occhi.
Ma la sua mano aveva stretto quella dell’altro ragazzo, che non ebbe altra scelta che quella di sedersi accanto al letto e osservare il petto dell’amico alzarsi e abbassarsi lentamente, realizzando per la prima volta che quel semplice movimento, quel lento su e giù, era una delle cose a cui più teneva al mondo.
Non avrebbe mai più dato per scontato nulla, dopo quello che aveva rischiato a perdere nel giro di pochi minuti.

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Capitolo 5
*** hey bully ***


Nota dell’autrice: possibili scene un po’ forti ma… niente di eccessivo ;D
La canzone guida qui è Hey bully di Morgan Fraizer, con qualche riferimento a You had to pick on me, di Matt Kennon. Spero che vi piaccia!! :D
 

Personaggi, età e ruolo nella band
Shinomiya Satsuki 15 (basso) - Reiko 14 (batteria)
Ichinose Hayato 17 (voce) - Rui 16 (voce)
Aijima Harumi 14 (tastiera)
Jinguji Maiyumi 16 (voce/piano)
Ittoki Hikaru 15 (chitarra/ chitarra elettrica) - Aya 5
Kurusu Aoi e Nei 17 (violini/violini elettrici) -  Yuu  10 -  Kimi  5
Hijirikawa Kaito 17 (voce/sax)
 
That playground was more like a battlefield, and he knew he’d get himself killed, if he didn’t back down
Un paio di lacrime gocciolarono sul foglio, macchiando le parole del testo che Hikaru aveva iniziato a scrivere tempo prima in preda al panico.
Aveva smesso di pranzare nella mensa quando Satsuki, o Reiko e Harumi, non erano con lui, aveva troppa paura di stare là, e in quei casi si ritirava in un angolo del tetto, nascosto dal resto del mondo, cercando di non attirare l’attenzione.
Si passò una mano sotto il naso, portando via altro sangue che pensava avesse ormai smesso di uscire. L’ora di educazione fisica era diventata il suo incubo peggiore negli ultimi tempi, il campo da gioco sembrava essere veramente un campo di battaglia.
Quando c’era Satsuki, almeno, Hikaru poteva nascondersi dietro di lui e lasciare che il suo migliore amico giocasse per lui, bloccando i colpi che certi avversari gli mandavano “casualmente” addosso.
Ma Satsuki si era beccato un qualche virus, e con lui Reiko, il che li metteva fuori gioco per almeno una settimana.
Hikaru aveva seriamente paura di non uscirne vivo.
Certo, suo padre gli aveva insegnato come reagire a dei colpi, a guadagnare tempo per fuggire, ma non aveva mai osato farlo: sarebbe sfuggito il lunedì solo per ritrovarseli addosso il martedì, e sarebbero stati più feroci di prima.
Meglio restare inerme e bloccare ogni istinto di reagire.
Il cellulare gli vibrò in tasca, con un messaggio di Harumi che gli chiedeva dove fosse. Dopo aver risposto si alzò e si spazzò via la polvere dai jeans neri, tanto larghi che gli scivolavano quasi dai fianchi, trattenuti appena dalla cinta.
Inspirò a fondo e sbuffò lentamente, gonfiando appena le guance mentre lanciava uno sguardo alla balaustra, con un pensiero che gli attraversava la mente.
Sarebbe bastato  un attimo e sarebbe finito tutto, sarebbe stato libero una volta per tutte.
“Soffri di vertigini, se devi farlo trova un altro modo” si disse svogliatamente, scuotendo la testa e spostandosi i capelli dal viso tirandoseli indietro con una mano. “E poi potresti pure inventarti qualcosa di più originale” aggiunse ironicamente.
Sospirando tornò verso le scale e le scese lentamente, controvoglia, fino di tornare nel corridoio affollato, dove cercò di mischiarsi alla folla e sparirvi fino a quando avesse raggiunto la sua classe.
«Hi  ̴karu-cha  ̴n!»
Sentì delle voci dietro di lui che lo chiamavano in falsetto, con risatine cattive, e affrettò il passo.
Entrato nella sua classe, si rifugiò al suo banco, da giorni coperto di scarabocchi, insulti e disegnini a cui era ormai abituato al punto di non vederli nemmeno più, e si nascose dietro uno dei suoi libri, fingendosi immerso nella lettura.
Perché dovevano avercela con lui? Che cosa gli aveva fatto?
«Ittoki-kun?»
Alzò il viso verso la ragazza che gli stava davanti, un bigliettino fra le mani e uno sguardo triste negli occhi.
La guardò confuso, e lei gli porse il foglietto:
«M-Mi hanno detto di darti questo» balbettò lei, prima di correre via.
Hikaru aprì il messaggio e sbiancò, mentre lo stomaco gli si torceva in una morsa dolorosa.
Più la fine delle lezioni si avvicinava, più lui voleva sparire.
«Hey, Hika, papà mi è venuto a prendere, vuoi un passaggio?» chiese Harumi, preoccupata dall’espressione agitata dell’amico.
«Huh?» chiese lui, sovrappensiero, la ragazza sospirò e gli bussò alla testa:
«Ho detto “vuoi un passaggio fino a casa?”» ripetè lei, alzando gli occhi al cielo; Hikaru parve illuminarsi per un secondo, poi scosse la testa e, salutandola, corse via.
Ad ogni passo, l’andatura del ragazzo rallentava: aveva paura di arrivare alla sua destinazione, e ogni momento gli si torceva lo stomaco in maniera sempre più dolorosa.
Raggiunse il cortile tremando come una foglia, mentre si rigirava in tasca il plettro che teneva sempre con lui.
Al contrario di Aoi, lui non l’aveva “rubato” a suo padre, Otoya aveva semplicemente tirato fuori una scatolina piena di plettri e, sorridendo, gli aveva detto di sceglierne uno, lui aveva chiuso gli occhi e aveva pescato a caso, così quel vecchio plettro (uno dei primi che Otoya avesse mai avuto) era diventato suo compagno inseparabile di vita.
Negli ultimi tempi si era sorpreso ad aggrapparsi a quel piccolo oggetto come se esso potesse veramente salvarlo.
Si fermò e si guardò attorno, i quattro ragazzi che più temeva apparvero davanti a lui, con dei ghigni sardonici degni di un gruppo di predatori che circonda la propria preda.
«Oh, Ittoki-kun! Gentile come sempre a presentarti qui per noi» ridacchiò uno, dando una gomitata all’altro vicino a lui.
«Cosa ci hai portato?» chiese quello che, forse, era il più pericoloso fra tutti, la vera “testa” del gruppo, piazzandosi davanti a lui e sovrastandolo.
Hikaru tirò fuori dalla tasca tutti i soldi che aveva con sé, e come al solito avvertì una fitta di rimorso, pensando alla scusa che aveva usato - per l’ennesima volta - per farseli dare da sua madre.
«Credi che questi bastino?»
«Ho solo questi.» mormorò timidamente Hikaru, e subito arrivò il primo colpo, dritto in mezzo allo stomaco, dove c’era l’ombelico.
Il dolore gli esplose dietro le palpebre che aveva abbassato, come se non vederlo rendesse il colpo meno reale.
«Fai pure il povero, stronzetto? Come se non sapessimo quanto guadagna il tuo paparino a fare la checca sul palco» altri colpi seguirono il primo, mentre Hikaru si imponeva di non reagire, di non colpire quel bastardo che aveva insultato suo padre. Non risparmiarono alcuna zona del corpo, pancia, petto, viso o gambe che fosse.
Solo quando Hikaru fu a terra, coperto di lividi e tagli e con le labbra insanguinate, i quattro si fermarono, ridendo del suo dolore.
«Oh povero Hikaryan» lo prese in giro uno, dandogli un altro calcio nell’addome «dammi l’orologio»
Hikaru lo fissò terrorizzato. Non l’orologio!
Quell’orologio era, praticamente, l’unico ricordo dell’unica giornata in cui la sua era sembrata veramente una famiglia, senza i suoi genitori che fingevano di tollerarsi, senza che uno dovesse correre a qualche talk show o a fare qualche respirazione bocca a bocca.
«No.» bisbigliò, ma il suo sembrava più un gemito.
«No?!»
Hikaru serrò gli occhi e si strinse il braccio con l’orologio al petto, preparandosi al dolore.
Che non tardò ad arrivare.
 
«Onii-chan?» una vocina infantile risuonò nel corridoio vuoto, mentre una bambina bussava alla porta della camera del fratello.
Da dentro giungeva un suono che lei non aveva mai sentito prima: sembravano dei singhiozzi simili a quelli che le scappavano quando iniziava a piangere, ma non riusciva a capire perché suo fratello dovesse piangere.
«Onii-tan  perché piangi?» chiese, mentre anche i suoi occhi diventavano lucidi, non sopportava di sentire qualcuno a cui voleva bene che stava male.
«N-non sto piangendo, Aya-chan» biascicò Hikaru, con un a vocina flebile e spezzata. La sorellina non rispose, ma lui riuscì a sentire dei passetti rapidi che si allontanavano lungo il corridoio.
Continuava a pulirsi il sangue dal naso, dalle labbra e dalla fronte, ma quello tornava ad uscire trionfante come riusciva a bloccarne uno, il suo stomaco urlava di dolore, e la sua schiena era a pezzi.
If you didn’t like, you could have just let me be, but no! You had to pick on me!
Non aveva mai fatto nulla a quei ragazzi, se ne era sempre tenuto alla larga, cercando di superare le sue giornate scolastiche senza attirare l’attenzione di qualcuno, tantomeno la loro.
Ma era bastato che quelli scoprissero il suo cognome per non avere più speranze di essere lasciato in pace.
I primi tempi erano stati dispetti, insulti, frecciatine, libri gettati a terra e cose simili, lui si era sempre limitato ad ignorare ciò che poteva e sopportare in silenzio ciò che non riusciva ad ignorare.
Poi erano arrivate le umiliazioni davanti a tutta la classe, gli sgambetti nella mensa, e mentre tutti ridevano di lui, lui chinava il capo e sopportava.
Gli avevano detto che, se non reagisci, prima o poi la smettono, e lui ci aveva creduto, ci aveva sperato.
E fu così che si era trovato schiacciato contro una parete, con un a mano premuta alla gola e l’altra che lo colpiva ripetutamente nello stomaco.
Perché poi se la prendevano sempre con lo stomaco?
Se ci fosse stato Nei al posto suo, avrebbe iniziato ad urlare contro tutti quei bastardi, usando parole affilate come lame, se ci fosse stato Aoi li avrebbe spediti tutti in infermeria; Kaito li avrebbe fulminati con un’occhiataccia e congelati con il suo contegno, e Hayato - infine - si sarebbe messo a ridere a sua volta, lasciandoli di stucco, ma nei suoi occhi si sarebbe accesa la rabbia, e qualche tempo dopo a quei ragazzi sarebbero successe misteriosamente cose come cadute dalle scale, armadietti bloccati, secchi d’acqua in faccia…
Ma lui era solo Hikaru, non aveva la rispostaccia pronta di Nei, le capacità nel combattimento di Aoi, il contegno di Kaito o l’astuzia di Hayato.
Lui sapeva solo soffrire e stare zitto, nascondere tutto dietro un sorriso e fingere che andasse tutto bene.
Poi però la notte, quando le ferite che si era appena fatto bruciavano ancora sulla sua pelle e lui piangeva fino ad addormentarsi, di quel bel sorriso non restava nemmeno l’ombra.
Fu riportato alla realtà da qualcuno che bussava alla porta, una volta sola, poi quel qualcuno si allontanò.
Si alzò e arrancò fino ad essa, soffocando gemiti di dolore e togliendosi il sangue ormai quasi secco dalla fronte.
Ad aspettarlo, fuori, c’era un vassoio su cui facevano bella mostra di sé un pacco dei biscotti preferiti di sua sorella, insieme al suo peluche inseparabile, il CD “supersegreto” (per citare Harumi) degli Starish, in cui ognuno aveva inciso una canzone per i propri figli - e altre tutti e sette insieme - e infine una tazza di cioccolata calda.
Si morse le labbra mentre i suoi occhi diventavano lucidi davanti a quel gesto da parte della sua famiglia, che ancora una volta gli stava provando che, pur nelle sue imperfezioni, era pur sempre il luogo in cui lui era al sicuro, amato, in cui nessuno l’avrebbe ferito.
Allungò una mano verso il vassoio, ma una fitta glielo fece riabbassare: non sarebbe riuscito a sollevare tutto.
«Serve una mano?»
Hikaru sussultò e fissò suo padre.
«C-Credevo che fossi fuori città» ammise, abbozzando un sorriso.
«Tua madre mi ha chiamato, dicendo che qualcosa non andava. Ho mollato Masa lì e sono tornato» spiegò l’altro, facendo spallucce, poi i suoi occhi gli si piantarono addosso e cominciarono ad ispezionare ogni angolo del corpo del figlio, che si mosse a disagio sotto di essi.
«Cosa ti hanno fatto?» chiese freddamente il padre, in un tono che raramente Hikaru gli aveva sentito.
Scosse la testa:
«N-Niente. Sono stato io. Sono caduto» ammise, distogliendo lo sguardo.
Otoya sospirò:
«Certo. Quando smetterai di mentirmi, Hika-chan?»
Il figlio continuò a rifiutare di guardarlo, e in quel momento sua madre apparve dall’altro lato del corridoio, con Aya in braccio.
Circondato. Un’altra volta.
E sebbene quello di adesso fosse uno d’amore e non di odio, gli risultava altrettanto angosciante.
Fu così che afferrò il peluche e il CD e si chiuse di nuovo dentro la sua stanza.
«Hikaru!» chiamarono in coro i suoi genitori, lui si fece scivolare lungo la porta, non era con loro che voleva parlare. Per qualche motivo, non era loro il conforto che voleva.
Vederli così preoccupati per lui - suo padre aveva addirittura abbandonato le riprese di un telefilm di cui era protagonista! - lo distruggeva. Aveva speso circa 10 anni a non dare fastidio, a lasciare che si dedicassero interamente ad Aya e a se stessi, senza doversi mai preoccupare di lui, e adesso?
Con la vista offuscata dalle lacrime, prese il cellulare e digitò un numero.
 
«Pronto?»
La voce calda e calma di Reiko fu come un balsamo per le orecchie di Hikaru, che chiuse gli occhi ed inspirò, mentre lei si ripeteva.
«R-Rei-chan» mormorò, tentando di controllare la voce.
«Hika! Sei tu?»
«Hai…» Hikaru si stava pentendo di averla chiamata, l’avrebbe solo fatta preoccupare inutilmente. E lei stava pure male!
«Che succede, Hikaru?» chiese la ragazza, fra un colpo di tosse e l’altro.
Una parte del ragazzo moriva dalla voglia di dirglielo, raccontarle tutto e far finire quell’incubo, ma un’altra era invece fermamente decisa a non farne parola con nessuno, per paura delle conseguenze.
Prese una decisione in meno di cinque secondi:
«Niente, volevo sapere come stavi!» lo sforzo per far tornare allegra la sua voce fu ripagato da un risultato più che soddisfacente.
La ragazza parve esitare, poi iniziò a parlare tranquillamente, e - senza che lei lo sapesse - quello era esattamente ciò di cui Hikaru aveva bisogno: la presenza di Reiko per lui era rassicurante, la sua voce lo calmava, e quando rideva, il sole tornava a brillare per lui.
Non che lui queste cose gliele avrebbe mai dette, naturalmente. Satsuki l’avrebbe trucidato se avesse saputo che pensava certe cose della sua sorellina.
Passò qualche minuto, in cui Reiko parlava e Hikaru, oltre ad ascoltare, si puliva il viso dalle lacrime e dal sangue, trattenendo piccoli gemiti o sibili di dolore.
Quando riattaccarono, l’effetto tranquillizzante della ragazza durò poco, perché il telefono di Hikaru era stato inondato di messaggi.
Gli bastò leggere i primi tre per scagliar via il cellulare e raggomitolarsi - nei limiti del possibile - cercando di sparire.
«Hikaru, per favore, posso entrare?» chiese Otoya, con voce gentile e preoccupata.
Una serie di singhiozzi fu la risposta.
 
«Cosa pensi che gli sia successo?»
Otoya alzò gli occhi su sua moglie, mordendosi le labbra; che qualcosa non andasse con il maggiore dei loro figli era qualcosa di evidente da qualche tempo, persino qualche fan degli Starkids aveva notato che Hikaru sembrava più spento del solito, ma allo stesso tempo, il ragazzino tornava ad essere se stesso in men che non si dica.
«Non ne sono sicuro.» ammise Otoya, sospirando: odiava vedere il suo bambino stare così male e non riuscire nemmeno a parlare con lui, o consolarlo «Ho provato a chiedere a Satsuki e Reiko, ma loro non ne sanno nulla.»
La donna si spostò una ciocca di capelli dorati dal viso e tornò a cercare di convincere Aya a mangiare, ma la piccola alzò il naso in aria, con sdegno, e puntò un dito verso Otoya.
«Se ti imbocca papà mangi?» sospirò la donna, abituata ai capricci della figlia, mentre il marito intanto sogghignava leggermente alle sue spalle.
«Forse» replicò la piccola.
La verità era che quel cibo le faceva schifo, ma almeno le piacevano i giochi che suo padre si inventava per convincerla ad aprire la bocca.
I due adulti alzarono gli occhi al cielo, poi la donna lasciò il posto ad Otoya:
«Io provo a parlare con Hika.»
«Buona fortuna.»
 
I tentativi di sua madre erano andati a vuoto, e Hikaru ormai si era messo le cuffie nelle orecchie e ignorava tutto il resto del mondo.
Risentiva le parole di quei ragazzi, rivedeva le loro facce mentre lo colpivano, le risate di chi assisteva e non interveniva.
Le sue braccia pizzicavano per i nuovi tagli su di esse, ma almeno quel dolore riusciva a sopportarlo.
Lentamente aveva cominciato ad odiarsi, non sapeva bene quando era successo, ma ad un certo punto aveva pensato che - se a lui per primo non fosse importato del suo corpo - i colpi ricevuti gli avrebbero fatto meno male; inoltre detestava il fatto che non sapeva reagire, e - per concludere - non vedeva più una via d’uscita.
Voleva smettere di andare a scuola, passare le sue giornate nascosto sotto le coperte ed emergere solo per gli eventi degli Starkids.
A proposito degli Starkids…
 
HARUMI- Hikaru, stai bene? Oggi sembravi strano a scuola!
 
Fra i tanti messaggi c’era quello di Harumi, che lui aveva ignorato, sulla chat di gruppo, il che aveva allarmato tutti.
 
KAITO- che succede?!
HAYATO- Hikaru??
AOI- Hikaru, che succede?
RUI- ???
MAIYUMI- Dobbiamo rompere il didietro a qualcuno, agnellino??
HAYATO- Agnellino? Pfff
 
Non aveva avuto la forza di rispondere, tutte le sue energie erano concentrate nel trovare un modo, il giorno successivo, per evitare quei quattro bulletti, sebbene sapesse che era impossibile.
I suoi amici però non sembravano voler desistere.
 
HAYATO- ITTOKI RISPONDICI!
KAITO- Hikaru, davvero, se possiamo fare qualcosa, diccelo
REIKO- Anche perché tuo padre ci ha chiesto se sapevamo qualcosa
RUI- Stai bene tu, Rei?
REIKO- meglio di Satsu-nii sicuro ^^
 
Con un sospiro, digitò poche parole:
 
HIKARU- tutto bene. Scusate, devo fare da babysitter ad Aya ;D
KAITO- ma tuo padre non è a casa?
HIKARU- si ma è a pezzi, quindi ci penso io ^^ e non chiamarmi agnellino, Maiyumi, è inquietante!
MAIYUMI- Uuuff come siamo suscettibili!! ;P
RUI- in effetti è inquietante
MAIYUMI- tu sei inquietante
HAYATO- Non ricominciate, I beg you
RUI- chi è la psicopatica che rinchiudeva le amiche nello stanzino per poter giocare da sola con Kaito?!
MAIYUMI- Ancora non l’hai digerita?
 
Sebbene un tempo quel battibecco l’avrebbe interessato e divertito, Hikaru scelse di spegnere il cellulare e lanciarlo da qualche parte nel mucchio di vestiti che affollavano la sua scrivania, poi si portò il braccio davanti agli occhi e tentò di addormentarsi.
Quei bulli naturalmente tornarono a trovarlo nei suoi incubi, e quando si svegliò urlando e piangendo, trovò suo padre seduto sul bordo del letto, che gli sfiorava dolcemente i capelli.
«Papà» mormorò, mentre il rimorso sembrava mangiarselo vivo: aveva visto le occhiaie sotto gli occhi dell’altro, così come aveva notato la sua espressione esausta, avrebbe dovuto essere nel suo letto a recuperare il sonno perduto, non lì a consolarlo.
Per questo si allontanò di scatto da lui e gli diede le spalle, tentando di tornare ad addormentarsi.
«Perché lo fai, Hikaru? Non vuoi che ti tocchi?» chiese Otoya con voce ferita, mentre si stringeva le mani sulle ginocchia, Hikaru scattò di nuovo a sedere.
«No, non è per quello.» bofonchiò, «È solo che mi dispiace che tu stia sveglio per colpa mia» mormorò.
Il padre ridacchiò e gli arruffò i capelli:
«Non sei tu che mi ha svegliato. A dire il vero è stata tua sorella che mi si è lanciata addosso nel tentativo di infilarsi nel lettone, poi però ti ho sentito lamentarti e sono venuto a controllare» spiegò, sorridendo. «E poi, smettila di comportarti come se non meritassi nessuna attenzione da parte mia e di tua madre, è da quando è nata Aya che lo fai. Sei nostro figlio anche tu, sai?»
Hikaru abbassò gli occhi e si imbronciò:
«Lo so… ma io sono il maggiore. Volevo che pensaste di più a voi due e ad Aya, che poi sta quasi sempre male, piuttosto che a me. Io posso cavarmela da solo»
Otoya lo guardò con aria indecifrabile, poi alzò le braccia al cielo e dichiarò, con tono teatrale:
«Cielo! Mi hanno rifilato il figlio di Tokiya e Syo!»
Hikaru non riuscì a non ridere a quello, sebbene dovesse trattenersi per non iniziare a sentire dolore.
Otoya alzò gli occhi al cielo:
«Mi vuoi dire quello che ti sta succedendo?»
Hikaru scosse la testa, poi lo fissò negli occhi.
Lo sguardo di suo padre sembrava strappargli la verità fuori dalle labbra, e in un attimo Hikaru si rivide davanti tutte le volte che qualcuno l’aveva fatto piangere, o tutte le volte in cui era triste, ogni momento in cui si era sentito tremendamente solo, e in tutte quelle situazioni, suo padre c’era stato per lui. Magari febbricitante, magari troppo stanco per parlare, ma mai abbastanza da rifiutargli un sorriso o un abbraccio.
E lui ora gli stava nascondendo quello, qualcosa che era anche più grande di lui.
 Si gettò fra le sue braccia e cacciò indietro i singhiozzi, ma si rifiutò di parlare, rimase semplicemente lì, al sicuro, mentre per un momento lo strazio che lo aspettava il giorno dopo passava in secondo piano.
Otoya era confuso da quel gesto, ma non esitò a ricambiare piano la stretta, attento a non far male al figlio, che in quel momento gli sembrava sul punto di andare in pezzi da un momento all’altro.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per capire cosa poteva fare per aiutarlo, non sopportava di vederlo in quello stato.
 
Qualche settimana dopo, in cui tutti avevano potuto notare che quello che un tempo era il più allegro del gruppo ora era sempre distratto e i suoi occhi restavano tristi anche mentre rideva, Hikaru arrivò alle prove degli Starkids ansimando e tremando, piegandosi in due appena la porta dello studio fu chiusa alle sue spalle.
«Hey! Stai bene?» chiese Rui, che passava di lì, spiazzata e incerta sul da farsi, non era mai stata brava ad interagire con gli altri, anche se erano amici di una vita, era Hayato quello che socializzava.
Hikaru tentò disperatamente di riprendere fiato, poi annuì:
«Sono arrivato di corsa» spiegò.
Ed era vero, quello che aveva omesso era che era corso fin lì inseguito da quel branco di bastardi.
«Non ce n’era bisogno, sei in anticipo» notò la ragazza, sollevando le cuffie che di solito aveva sempre attorno al collo e mettendosele sulle orecchie. «Ci siamo solo io, Hakkun e Haru-chan.»
Con quello si diresse verso la zona relax e si buttò su uno dei divani, chiudendo gli occhi.
Hikaru e Aoi, con gli anni, avevano concordato nello stabilire che Rui, in qualche vita precedente, era stata un gatto, perché ne conservava l’apparente menefreghismo, la pigrizia e la predilezione per posti comodi e caldi lontano dagli altri.
Riferire questa teoria ad Hayato era risultato in un accesso di risa del ragazzo che era finito solo quando Kaito gli aveva mollato un pugno.
Qualcun altro entrò alle sue spalle, e per un attimo il cuore di Hikaru parve fermarsi dallo spavento, poi riconobbe la sagoma di Satsuki e si rilassò.
«Oh, ciao Hika» fece quello, battendogli il pugno, Reiko apparve da dietro di lui e si chiuse la porta alle spalle, sorridendogli in quel modo che solo lei sapeva fare:
«’Sera!» ridacchiò. «Siamo tutti?»
«Mancano i gemelli, Kaito e Meimi» replicò il ragazzo, arrossendo e sorridendole a sua volta.
Negli ultimi tempi, ogni volta che stavano vicini, Hikaru avvertiva una strana sensazione nello stomaco, diversa da quella che aveva quando era nervoso: era qualcosa di più caldo, morbido, nemmeno lui riusciva ad identificarlo, sapeva solo che non gli dispiaceva sentirla, al contrario dei crampi che gli prendevano prima dei concerti, o quando aveva a che fare con i bulli.
«Mancano solo i gemelli…» lo corresse Maiyumi sorridendo, mentre lei e Kaito comparivano dalla porta, entrambi con le guance leggermente arrossate «…agnellino» ammiccò.
«Smettila Meimi-nee!!» esclamò Hikaru, recuperando le energie per tornare a giocare la sua solita parte, inquieto per la presenza di Kaito: un passo falso, e il ragazzo avrebbe capito cosa stava nascondendo.
Anche se ora come ora, lui sembrava vagamente distratto mentre cercava qualcuno con lo sguardo:
«Hayato?» chiese.
«Non so, ho visto solo Rui-nee» ammise Hikaru facendo spallucce. Se l’ “istinto da mammina” di Kaito era momentaneamente fuori uso, lui non poteva che gioirne, forse sarebbe riuscito a scampare da domande a cui non voleva rispondere.
Ma qualcosa, nel modo in cui Maiyumi lo squadrava, gli diceva che Kaito non era l’unico a cui doveva stare attento.
Quando anche Nei e Aoi fecero la loro comparsa, le prove cominciarono, e Hikaru riuscì a rifugiarsi nella loro musica come faceva sempre.
A volte si era chiesto se l’unico motivo per cui non si era ancora lasciato cadere dal tetto della scuola o fatto overdose dei sonniferi di sua madre fosse proprio quella musica, quella sensazione di ricevere l’energia di tutti gli altri, il divertimento di Hayato, la passione di Maiyumi, le emozioni di Kaito, la grinta di Reiko...
Si scambiò un’occhiata con Satsuki, che gli fece un sorrisino divertito come sempre.
Avrebbe voluto che le prove durassero per sempre, senza pause, senza interruzioni, senza nulla, solo un flusso continuo di musica.
Ma ovviamente i cantanti dovevano riprendere fiato, e le sue dita iniziavano a far male.
«Perfetto, minna, pausa» sbuffò Hayato, lasciandosi cadere per terra, sospirando, Kaito sogghignò e gli cadde addosso, imitato da Rui e Maiyumi, il più grande stava per soffocare sotto tutti e tre.
Aoi ridacchiò:
«Potreste non uccidermelo, per favore?» chiese, divertito, e Nei lo abbracciò:
«Dai onii-chan, se lui muore puoi sempre ripiegare su di me» commentò, tentando di usare un tono seducente ma fallendo miseramente.
Hikaru si allontanò lentamente dal palco, recuperando il suo cellulare.
 
Non serve che scappi, sfigato, tanto ti becchiamo!
Perché non muori e basta?
La scuola sarebbe un posto migliore senza di te
 
Ignorò gli altri messaggi, alzò il viso ed inspirò profondamente, lottando con le lacrime. Erano giorni che i messaggi seguivano quella piega, i bulli avevano iniziato a colpirlo meno frequentemente, e sembravano aver ripiegato su una forma più sottile di tortura.
«Hikaru?»
Rimise il cellulare sul tavolinetto da cui l’aveva preso e si voltò verso Satsuki.
«Che c’è?» chiese, con un sorrisino incerto.
«Dovrei essere io a farti questa domanda»
E fu in quel momento che successe.
Hikaru, che non aveva mai alzato la voce con nessuno, mai in tutta la sua vita, esplose:
«NON C’È NIENTE! PERCHÉ NON POTETE LASCIARMI IN PACE? STO BENE, VA TUTTO BENE! BASTA!» sbraitò, diventando rosso dalla rabbia, mentre lacrime uscivano dai suoi occhi e i muscoli doloranti si contraevano.
Satsuki parve sorpreso, al punto da fare un passo indietro, e alle sue spalle apparvero tutti gli altri Starkids.
“Perfetto” si disse Hikaru, evitando lo sguardo di Hayato e Kaito.
Aoi però sembrava quello che meglio capiva a cosa stava pensando.
«Lasciatelo respirare, ragazzi.» ordinò il biondo, allontanando gli altri che, seppur riluttanti, obbedirono, poi gli si avvicinò.
Hikaru scattò sulla difensiva appena furono soli.
Ma Aoi si limitò a prendere il suo telefono e controllare se qualcuno l’aveva cercato, poi si chinò verso il suo borsone e tirò fuori un paio di pillole.
Hikaru iniziava a sentirsi a disagio, pentendosi di aver sospettato dell’amico, e distolse lo sguardo mentre l’altro ingoiava le medicine.
Aoi continuò a frugare nella sua borsa con fare indifferente, recuperò un asciugamano per sé e ne lanciò un altro a Nei, seduto sul palco con la testa posata alla spalla di Harumi.
Hikaru era sempre più a disagio, e cominciava a muoversi nervosamente.
Poi d’un tratto Aoi si mosse di scatto e fece per colpire il più piccolo, che si ritrovò rannicchiato a terra, con la testa nascosta fra le braccia e il corpo scosso da tremiti.
A quel punto il maggiore si inginocchiò davanti a lui e, gentilmente, gli scoprì il viso, con un’espressione cupa dipinta sul suo.
Hikaru tentò di bloccare il suo labbro inferiore, che continuava a tremare.
«Quante volte ti hanno picchiato?» chiese Aoi, senza un filo di esitazione, mentre l’altro spalancava gli occhi e non rispondeva.
Sospirando, il ragazzo si slacciò gli ultimi bottoni della camicia che indossava e gli mostrò delle vecchie cicatrici sul fianco destro: le aveva già viste una volta e gliene aveva chiesto spiegazioni, lui si era messo a ridere e aveva dato la colpa ad Hayato.
«Hay-kun non c’entra nulla» spiegò Aoi, con tono grave. «Ce le ho più o meno da quando avevo tredici anni. Dei ragazzi più grandi di me»
Hikaru spalancò anche di più gli occhi. Aoi gli stava dicendo che aveva capito cosa gli stava succedendo perché ci era passato anche lui?
Non riuscì a rispondergli, né riuscì a ribellarsi quando le mani dell’altro ragazzo gli sollevarono la maglietta grigia che indossava, rivelando il suo addome e lo stomaco martoriati, coperti di lividi più o meno recenti.
«Oh fuck» sussurrò Aoi inorridito, alzando lo sguardo su Hikaru, spaventato.
Il più piccolo ormai piangeva senza fiatare, non riusciva più a mantenere la sua facciata.
«Hayato!»
«N-no» riuscì ad implorare, ma l’altro lo ignorò. Ben presto si ritrovò circondato da tutti gli altri ragazzi che lo fissavano preoccupati o spaventati.
Ma soprattutto, lui vide gli occhi verdi di Reiko carichi di sorpresa e orrore, le labbra dischiuse; la vide allontanarsi, e avrebbe voluto correrle dietro, ma era bloccato da tutti gli altri.
Il dolore allo stomaco tornò ad essere prepotente e fastidioso, e quel po’ di luce che lei aveva portato se ne andò con lei, per questo si lasciò andare fra le braccia di Kaito, stanco di fingere, di trattenersi, di star zitto.
I presenti avrebbero in seguito non aver mai ritenuto Hikaru capace di dire certe cose, non credevano nemmeno che il suo lessico contenesse tali parole.
 
Reiko avanzò per i corridoi della scuola furente, i pugni serrati lungo i fianchi e l’espressione indurita in una di rabbia e disgusto, ignorando i richiami di Harumi alle sue spalle.
Sapeva dove andare a cercare quel branco di idioti, e non aveva intenzione di sentir ragioni. Era quasi come se ci fosse un’altra parte di sé dentro di lei che la animasse, che la spingesse a vendicare Hikaru.
Non che lui gliel’avesse chiesto, anzi, a dire il vero non lo vedeva da due giorni: dopo le prove Nei l’aveva accompagnato a casa e aveva parlato con Otoya, e a loro aveva raccontato di non averlo mai visto tanto infuriato come in quel momento.
Ovviamente Hikaru era finito all’ospedale a fare i controlli del caso, e dato che erano emerse diverse costole incrinate e qualche lesione interna allo stomaco, era stato ricoverato e poi costretto all’assoluto riposo in casa.
Per questo Reiko si sentiva in dovere di vendicarlo; anche Satsuki avrebbe voluto farlo, ma era stato trattenuto quando il suo migliore amico l’aveva implorato di restare a tenergli compagnia, o si sarebbe annoiato a morte.
Stava per spalancare la porta che dava sul cortiletto dove quei quattro erano soliti incontrarsi quando Harumi riuscì a raggiungerla e bloccarla.
«Lasciami! Hanno fatto male ad Hikaru!!» sbraitò Reiko, divincolandosi, e Harumi fu la prima a sorprendersi del fatto che riuscisse a trattenerla mentre lei era in preda ad una rabbia cieca.
«Appunto! Non puoi ripagarli con la stessa moneta!» tentò di farla ragionare.
In molti si fermarono ad osservare la scena delle due ragazze, una alta e bionda che sembrava sul punto di fare una strage e l’altra minuta e mora avvinghiata a lei che tentava di tenerla a bada, ma le due ragazze non parvero farci caso.
La loro lotta durò ancora qualche minuto, prima che Harumi tirasse fuori tutta la sua voce e dicesse:
«Rei-chan basta! Non puoi abbassarti anche tu ai loro livelli! Diventeresti solo un altro anello della loro catena!!»
Quelle parole fecero scattare qualcosa, e Reiko smise di opporsi.
«Va bene… ci sono altri modi di fargli giustizia» mormorò, e si allontanò con Harumi alle calcagna che si chiedeva che diamine le fosse venuto in mente adesso.
Anche lei avrebbe voluto ridurre a pezzettini quei bastardi, ma sapeva anche che non era quella la soluzione.
 
«Ciao Reiko!» salutò la madre di Hikaru quando aprì la porta e si trovò davanti la ragazza che le sorrideva affabile.
Non era un mistero che lei fosse quella che le andava più a genio fra tutte le ragazze degli Starkids: riteneva Maiyumi troppo disinibita, Harumi troppo poco intraprendente e Rui… in realtà con i ragazzi Ichinose aveva altri motivi per non trovarli di suo gusto, ma ad ogni modo considerava Rui troppo fredda e distaccata.
«Salve signora! Io… ehm… potrei parlare con Hikaru?» chiese lei, arrossendo e mordendosi le labbra.
La donna sorrise  e la fece entrare.
«Rei-nee!» esclamò Aya, correndole incontro, la ragazza si chinò e la prese in braccio, ridendo:
«Ciao A-chan!» proprio come suo padre, Reiko sembrava avere un debole per i bambini e - in generale - qualsiasi cosa le sembrasse piccola e carina.
Aya aveva entrambi i requisiti e, insieme alla sorellina di Aoi e Nei, si era conquistata tutta l’adorazione della ragazza.
«Sei qui per tenere compagnia a Hika-nii?» chiese la piccola, giocherellando con la collana che Reiko teneva sempre al collo, a forma di chiave di violino con dieci piccole pietre incastonate nel centro.
Reiko annuì, ma le promise anche che, se per Hikaru andava bene, anche lei sarebbe potuta restare con loro.
Aya sorrise entusiasta e annuì, facendosi mettere giù per poter correre in camera del fratello.
Reiko la seguì, e poco dopo si ritrovò nella stanza, ormai a lei familiare, con le pareti bianche coperte di poster, foto e biglietti di concerti.
La parte a cui Hikaru teneva di più era la bacheca di sughero sopra il suo letto, su cui aveva attaccato tutte le foto a cui era più affezionato: alcune di quando era piccolo, molte con Hayato, Reiko o gli altri Starkids, alcune dei loro concerti o di quelli degli Starish, ma la maggior parte erano i momenti più assurdi vissuti insieme ai suoi amici e che lui, o qualcun altro, era riuscito a catturare con la macchina fotografica, come la volta in cui Hayato aveva iniziato a fare angioletti di neve per terra e gli altri gli si erano lanciati addosso in una mischia giocosa, facendolo sprofondare, o quando i bodyguard degli Starish avevano sollevato Satsuki come se fosse un sacco di patate per portarlo via dal negozio di videogiochi, o la volta in cui tutti e dieci avevano fatto una sorta di cosplay dei loro genitori, finendo con l’essere rincorsi dagli originali indignati da come li avevano resi.
Erano tutti i loro ricordi più divertenti, e Reiko sarebbe stata capace di passare pomeriggi interi a fissare quelle foto, ridendo come una matta.
Ma quel giorno la sua attenzione era tutta per il ragazzo raggomitolato sotto le coperte, gli occhi chiusi e alcuni segni violacei ancora evidenti contro la pelle candida.
A vederlo così le tornava la furia che l’aveva mossa quella mattina a scuola.
«Hikaru-nii, Reiko-chan è qui.» lo informò Aya, punzecchiandolo goffamente con un dito, lui strinse di più gli occhi per un momento, poi li aprì e sorrise a Reiko, sebbene avesse l’aria ancora dolorante.
La ragazza non si era accorta di quanto le era mancato quel sorriso fino a quel momento: era un sorriso che, in qualsiasi situazione, era sempre caldo, gentile come Hikaru, e ne richiedeva prepotentemente un altro in cambio.
Reiko si ricordava di aver visto una vecchia registrazione dove Hikaru aveva circa quattro anni e rivolgeva un sorriso dei suoi alla telecamera, la voce di Ren si era sentita da dietro di essa mentre commentava “meno male che ha preso il sorriso di Ikki, e non quella smorfia sghemba di sua madre”, insieme ad un insulto sussurrato da Tokiya che gli intimava di tacere.
Beh per una volta era totalmente d’accordo con suo zio Ren, che pure non era proprio il suo preferito.
«Hey.» mormorò il ragazzo, sollevandosi a sedere con una piccolissima smorfia.
«Ciao, Hi-chan» sorrise lei, raggiungendolo sul letto, prima di osservarlo preoccupata «ti fa molto male?» chiese, lui fece spallucce e scosse la testa:
«Solo se cerco di muovermi troppo.»
Lei allungò una mano e prese quella del ragazzo, intrecciando le loro dita e osservando il contrasto fra la sua pelle quasi dorata e quella diafana di lui.
«Avrei dovuto accorgermene prima.» mormorò la ragazza, cupamente.
«Eh?»
«Se me ne fossi accorta, non sarebbero arrivati a tanto!» spiegò la ragazza, irritata, stringendo i pugni al punto che Hikaru fece una smorfia contrariata che la costrinse a lasciarlo subito e scusarsi.
«Non è colpa tua, non avresti potuto fare nulla.»
Reiko si imbronciò, poi si ricordò il motivo per cui era lì e si illuminò:
«Ho bisogno di aiuto con un testo!» dichiarò, sapendo che almeno quello avrebbe sollevato un po’ il morale al ragazzo.
Di poco, ma ci riuscì.
«Di cosa vuoi parlare?» le chiese lui, inclinando leggermente la testa da una parte.
Reiko esitò, pensando bene prima di parlare. Come l’avrebbe presa? In fondo, la sua era una ferita ancora aperta…
Si passò la lingua sul labbro superiore (perché Hikaru era arrossito tutto d’un tratto?) e rispose:
«Bullismo»
Si era aspettata un rifiuto, o magari che lui sussultasse violentemente e facesse una scenata, invece Hikaru si limitò a prendere un respiro profondo dal naso e chiudere gli occhi per un momento.
Quando li riaprì, erano carichi di una fredda determinazione:
«Facciamolo.»
 
«Rei-chan? Una canzone?» chiese Rui, alzando le sopracciglia sorpresa. Reiko la guardò freddamente:
«Perché, pensi che io non possa farlo?»
Naturalmente Hayato intervenne prima che quel disastro di sua sorella si mettesse nei guai da sola con le sue solite pessime scelte di parole:
«No, quello che intende è che è una novità, finora hai sempre preferito suonare e stare lontana dai riflettori. Ma saremo felici di sentirti cantare» le rivolse un sorriso incoraggiante, e Rui annuì dietro di lei, scusandosi per essere suonata scettica prima.
Maiyumi era entusiasta all’idea, mentre Satsuki preferiva non esprimersi, ma era chiaro che non era entusiasta dell’idea: almeno finchè stava nascosta dalla batteria, Reiko non si esponeva troppo.
«Posso vedere il testo?» chiese Kaito gentilmente, Reiko glielo porse, aggiungendo che però non era riuscita a pensare ad una musica adatta ad esso.
Harumi si alzò sulle punte e lesse il testo assieme a Kaito, poi la guardò con gli occhi illuminati di quando aveva un’ispirazione:
«Lascia fare a me!» dichiarò, correndo verso il pianoforte, dove Aoi le passò prontamente un foglio pentagrammato e una matita, ormai abituato come tutti alle sue ispirazioni fulminee.
Tempo qualche giorno, e il brano era pronto.
 
«Papà?» chiamò Hikaru, esitante, davanti alla porta della sala, osservando la sagoma del padre sdraiata sul divano, pregando che non si fosse addormentato.
Otoya alzò il braccio che aveva sugli occhi e lo guardò, prima di alzarsi a sedere e invitarlo a raggiungerlo.
Hikaru si torturava le labbra e le mani mentre si sedeva accanto a lui e cercava le parole.
Otoya lo precedette:
«Come stai?» chiese.
«Bene… meglio in realtà, molto meglio!» ammise il ragazzo, e per una volta non mentiva. «Certo, mi fa ancora un po’ male, ma…»
«Mi sento in colpa.»
Hikaru rimase imbambolato a fissarlo, sorpreso. Perché mai doveva sentirsi in colpa? Mica gliel’aveva fatto lui il bullismo.
Otoya arrossì appena e si portò una mano alla base del collo, in un tipico gesto d’imbarazzo che non aveva mai perso:
«Il fatto è che… Insomma, tu stavi male, e metà delle volte io non c’ero, oppure se c’ero ero completamente assente.» quelle parole fecero rabbrividire l’uomo, che strizzò gli occhi «Proprio io che avevo promesso di non lasciare mai soli i miei figli» aggiunse a voce bassa, mordendosi le labbra come aveva fatto Hikaru poco prima.
Il figlio, dal canto suo, era scioccato: come poteva pensarlo? Era sempre stato il padre migliore, a suo avviso, aveva giocato con lui quando era piccolo, l’aveva aiutato a studiare, gli aveva insegnato a suonare la chitarra, gli aveva letto migliaia di storie della buonanotte… sì, forse a volte stava via per settimane intere, ma Hikaru lo sapeva, e capiva bene che non era perché non voleva stare con lui o cosa.
«Non mi hai mai lasciato solo.» disse, infilandosi la mano in tasca, Otoya lo guardò quasi implorante, come se nei suoi occhi cercasse qualche forma di assoluzione, Hikaru gli sorrise rassicurante e tirò fuori la mano, aprendola lentamente.
Sul suo palmo era posato il plettro portafortuna che Otoya gli aveva fatto scegliere anni prima.
Il padre smise di lottare con le lacrime e strinse a sé il figlio, cercando di non fargli male, e lasciò che quelle gli scivolassero dagli occhi lungo il viso.
Hikaru sorrise nell’abbraccio, ricambiando la stretta con tutta la forza che aveva.
«Ero io che volevo scusarmi, per aver fatto preoccupare te e la mamma, per non avervelo detto» ammise, nascondendo il viso nel petto del padre, sentendo il cuore di quello che batteva rapidamente.
«Tu non hai nessun motivo per scusarti. Vorrei solo che non ti avessero fatto così male»
 
Reiko, per presentare la sua nuova canzone, scelse di approfittare di uno spettacolo della sua scuola a cui avrebbero assistito tutti. Radunati nella palestra alunni, professori e genitori, e arrangiato un palco, a fine spettacolo Reiko salì e presentò la canzone, dietro di lei - oltre agli Starkids - un gruppetto di ragazzi e ragazze dall’espressione triste e timida, alcuni col viso coperto di lividi, altri con arti ingessati, alcuni senza alcun graffio evidente ma le guance scavate e le braccia troppo sottili.
Reiko inspirò e cominciò a cantare mentre Hikaru, seduto nel gruppo citato prima, la accompagnava. La ragazza piantò gli occhi sul gruppetto di bulli seduto in fondo al pubblico, che sghignazzava, e la sua espressione passò da neutra a gelida, uno sguardo che diceva “se potessi ti ucciderei”.
Ma altre espressioni passarono sul suo viso: il dolore di chi soffriva in silenzio, la loro confusione, la paura, e anche la compassione, la speranza di uscirne…
 
You say I'm too fat
You say I'm too skinny
You say I'm not cool
You say I'm not pretty
Then yo
u spread it all around
And post it online
For the whole world to see
Why?!


La prima strofa era dedicata soprattutto ad un altro gruppetto di “bulli”, uno che in passato aveva dato fastidio a lei: le classiche ragazze dal fisico perfetto, il trucco perfetto, i capelli perfetti e gli occhi cattivi. Avevano riso del suo fisico, del suo modo di vestirsi da maschiaccio, del fatto che suonasse la batteria e stesse sempre con Hikaru.
Non avevano capito che lei non le stava nemmeno a sentire, anzi rideva di loro assieme agli altri Starkids (per i cui ragazzi ovviamente metà del gruppetto aveva una cotta), ma dato che iniziavano a diventare una seccatura, una volta Maiyumi si era presentata nella sua scuola e aveva dato quella che lei chiamava “una lezione di stile” a quelle ochette, che da quel momento non avevano più detto nulla su Reiko o Harumi. Avevano cambiato vittime, però, e ora Reiko cantava anche a nome loro.
Il gruppetto in questione la fissò sorpresa, ma il colpo di grazia glielo diede Nei quando prima le indicò sorridendo, beccandosi subito i loro sorrisi più accattivanti, poi fece loro una smorfia di biasimo e scosse la testa.
Reiko avrebbe giurato che un paio di loro avevano cominciato a piangere.
 
Why you wanna make me cry 
And laugh at me like that
Does it make you feel good
Making me feel so bad 


Le poche ragazze che avevano accettato di salire sul palco con loro si unirono a lei nel cantare questa parte, mentre tutte fissavano quelle che per anni erano state le loro aguzzine, mentre qualche ragazzo - Hikaru compreso - si rivolgeva ai maschi che non avevano fatto che rendergli la vita un inferno.
  
Hey bully, 
Did somebody hurt you 
Make you feel small 
And you take it out on me
Cause it makes you feel tall


Come aveva sospettato, a quella strofa molti dei bulli si irrigidirono, sorpresi, e lei non li risparmiò, regalando un’espressione penetrante e di sfida a tutti, mentre già molto genitori battevano le mani o si asciugavano le lacrime - nel caso di qualche mamma ipersensibile.
Hayato si avvicinò ad Hikaru e gli arruffò i capelli, con un sorriso rassicurante: sapeva che il ragazzino era spaventato dalle conseguenze, ma voleva anche mettere in chiaro che non avrebbero più permesso che nessuno gli facesse del male, Hikaru rispose al gesto con un occhiolino e un sorrisino di gratitudine.
 
Why you wanna make me cry
You dont even know who I am
If you gave me half a chance
We might just have been friends 


Reiko cantava con tutta la sua rabbia e tutto il dolore delle persone per cui cantava, e questo colpiva in faccia tutti gli spettatori peggio di uno schiaffo, persino gli altri Starkids erano impressionati, ma anche orgogliosi.
Harumi si ripromise di comporre più spesso della musica per lei, mentre Nei iniziava già ad avere la mente carica di possibili testi da farle cantare.
 
I bet you're scared and alone
If you looked in my eyes you'd see
Hey bully 
You're a lot like me


Reiko alzò il mento verso i bulli e fece un sorrisino quasi crudele, poi indicò con un cenno del capo tutti gli altri ragazzi, che ora osservavano quelli che un tempo erano il loro peggiore incubo.
I bulli stavano fissando Reiko nello stesso modo in cui loro li avevano fissati per anni, e lentamente dei sorrisini pieni di confidenza si aprirono sui visi delle vittime di bullismo che avevano iniziato a cantare insieme alla ragazza.
 
It would be so easy to hit back at you
Use my pain to hurt you too
Oh, but if I do nothing would change
I won’t be a link in your chain!

 
In quella frase era contenuta l’unica cosa che Reiko aveva veramente da dire per sè.
Certo, si stava prendendo una piccola rivincita, ma in realtà a quei bulli non stava facendo nulla se non smuovergli le coscienze, eppure era pienamente consapevole di quali parole le sarebbero bastate per ferire quei ragazzi, quali gesti… e voleva che anche loro ne fossero consapevoli.
Perché dopotutto, come aveva detto Harumi, se gli avesse fatto del male si sarebbe abbassata al loro livello, ma se si fosse limitata a ricordargli “gentilmente” che non l’aveva fatto, sarebbe stata migliore di loro. O almeno così le piaceva credere, la risatina degli Starkids ogni volta che cantava quella strofa le diceva che solo lei la pensava così.
If you'd look in my eyes you'd see
Hey bully
You're a lot like me

 
Quando scesero dal palco, Hikaru afferrò il braccio di Reiko e la fece girare verso di lui, le guance di entrambi erano tinte di rosso e i loro cuori battevano rapidamente.
«S-Sì, Hi-chan?» chiese lei.
Hikaru non lasciò la presa sul braccio, anzi le diede un altro leggero strattone e la attirò a sé, prima di portare entrambe le mani sui suoi fianchi, gli occhi di Reiko si spalancarono assieme alle sue labbra, e Hikaru ne approfittò per appropriarsi di quest’ultime, cominciando a provocarle con le sue finchè lei non ricambiò il bacio.
Se prima sentivano una sensazione quasi piacevole nello stomaco stando insieme, quel bacio li fece finire in una dimensione nota solo a loro, e quando si separarono dovettero costringersi a non ricominciare subito.
«Satsuki potrebbe ammazzarti.» disse Reiko, ancora con gli occhi spalancati e le pupille dilatate.
«Già, potrebbe» concordò Hikaru, senza però accennare a lasciarla andare.
«Forse dovresti lasciarmi andare.» notò lei, non che lo volesse.
«Dovrei.»
Entrambi cominciarono a ridacchiare, ma alla fine si separarono solo quando sentirono la voce di Satsuki che si avvicinava.
Inutile dire che, da quel giorno, Hikaru trovò un ottimo rimedio al suo mal di pancia pre-concerto.
Rimaneva solo la questione del tenerlo nascosto a Satsuki a tutti i costi.
 
I bulli furono sospesi, naturalmente, e al loro ritorno, nonostante tutti cercassero di tenersi alla larga da loro, sembravano essere riluttanti al ricominciare a colpire ragazzi innocenti.
Hikaru continuava ad avere il sospetto che anche a loro Maiyumi avesse dato  una delle sue “lezioni di stile”.
 
************************
Nota dell’autrice: ci ho messo secoli, ma alla fine ce l’ho fatta ahaha xD
(La canzone fingiate che sia cantata in giapponese, magari, perché almeno siamo sicuri che il testo l’ha capito tutto il pubblico ahaha). Fedele a me stessa, ho pubblicato mentre sto male, quindi se notate pezzi in cui scleravo, fatemelo sapere ahahah farò del mio meglio per correggerli!!
Il finale forse è un po’ surreale ma… siamo in Uta no prince-sama e, soprattutto, speriamo tutti in un lieto fine, no? ^^
A presto!!
Baci,
Starishadow
 
 

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Capitolo 6
*** Anyone but him ***


Nota dell’autrice: della serie chi non muore si rivede.
La scuola ci prova ad uccidermi, ma per ora vinco io, ed eccomi qui con il nuovo capitolo!
Imploro perdono anche per eventuali ritardi nel rispondere alle recensioni, ma sappiate che le leggo tutte, le apprezzo e, appena trovo un secondo, faccio del mio meglio per rispodere.
Detto questo, vi dico come sempre la canzone guida e sparisco! - proviamo a fare senza specchietto? Avete imparato i nomi ormai? ^^ - ;D
Anyone but him - mr Hudson ft Kanye West
 
Anyone but him
«Minna! Ho una notizia!» esclamò Harumi, sorridendo di gioia, mentre lei e gli altri Starkids erano radunati in camera di Kaito, alcuni sdraiati sul letto, altri impegnati con videogiochi e altri ancora sparsi per terra occupati nelle più svariate attività.
«Quale, Haru-chan?» chiese Hikaru sorridendo, distogliendo l’attenzione dalla sua sfida virtuale contro Nei, che ne approfittò per buttare la sua macchina fuori strada.
«Hey! Non vale!» protestò Hayato, che stava facendo da spettatore alla gara.
Aoi alzò gli occhi dallo schizzo a cui stava lavorando per osservare confuso il suo gemello e gli altri, poi scosse la testa e tornò a disegnare, mentre Rui osservava il suo lavoro da sopra la spalla.
«Puoi farmi una calza diversa dall’altra? Cioè non molto, ma ad esempio la sinistra tutta nera e la destra con un fiocco viola» chiese la ragazza con voce calma, indicandogli quello che intendeva, lui fece solo un piccolo verso di approvazione prima di modificare il suo lavoro.
«Uffa Aoi! Quanto ci metti a fare il costume di Rui? Io voglio il mio!» si lamentò Maiyumi, sdraiata sul futon di Kaito con la testa che toccava terra e i capelli sparsi sulla gamba destra del biondo, che per tutta risposta aveva poggiato su di essi il suo blocco pieno di schizzi e disegni - la maggior parte raffiguranti i vari costumi degli Starkids.
Harumi arrossì e abbassò lo sguardo, notando che gli altri - a parte Hikaru - non erano interessati, ma poi Satsuki smise di scrivere il suo testo e la guardò incuriosito:
«Ossia, Harumi?»
Arrossendo appena quando l’attenzione generale fu nuovamente su di lei (esclusa quella di Hikaru che prima restituì il favore a Nei spingendogli la macchina contro una curva e dritta su un palo), Harumi ammise timidamente:
«Ehm mi… mi hanno presa per la parte di Giulietta nel Musical di Romeo and Juliet!» nel dirlo però non riuscì a nascondere il luccichio nei suoi occhi.
Congratulazioni ed esclamazioni varie si alzarono da tutto il gruppo, che finirono con lo svegliare anche Kaito, sdraiato vicino a Maiyumi, sebbene dal verso opposto a quello della ragazza.
«Gomennasai, Kaito-kun» dissero in coro Maiyumi, Reiko e Nei, il ragazzo emise solo un debole verso gutturale prima di portarsi un braccio davanti agli occhi.
«Ti dà fastidio la luce?» chiese Hayato con voce preoccupata, alzandosi e sedendosi accanto all’amico, che bofonchiò qualcosa di incomprensibile. «Sacchan, potresti accostare un po’ le tende?»
Il minore obbedì, e presto la stanza fu avvolta in una penombra che rendeva tutto stranamente più rilassante.
«Sì e io così come li abbino i colori?» si lamentò Aoi. «Accendimi almeno l’abat-jour. Scusa Kai-kun.»
Satsuki obbedì anche a quello, con un sospiro. Intanto Hikaru continuava a perdere contro Nei e i suoi trucchetti sleali.
Erano giorni che Satsuki teneva d’occhio il suo migliore amico: non era passato molto tempo da quando Aoi gli aveva fatto confessare di essere vittima di bullismo, e sebbene il ragazzo stesse facendo di tutto per dimostrare al mondo di stare bene, c’era qualcosa che ancora non lo convinceva nel modo in cui certe volte si chiudeva in un silenzio ostinato e sembrava smaniare dalla voglia di restare solo.
A dire il vero nemmeno sua sorella lo convinceva poi così tanto, qualcosa gli diceva che anche lei gli stava nascondendo qualcosa, ed era una situazione che lo snervava e lo metteva a disagio: non era molto bravo a mostrare alle persone che si preoccupava per loro, ma non sapere che cosa le turbava gli impediva anche di poterli aiutare, e lo faceva sentire inutile.
 
 
«Nii-chan.» bisbigliò Reiko avvicinandosi a lui, «Aiutami a punire Nei» ghignò.
I piani per “punire” qualcuno di Reiko assicuravano divertimento pronto e facile, quindi non esitò un momento ad accettare.
Poco tempo dopo, grazie anche alla complicità di Hayato, Nei si trovò bloccato a terra mentre Reiko, sopra di lui, lo stuzzicava in tutti i punti in cui soffriva il solletico.
Maiyumi li osservò con aria di biasimo mentre si sdraiava a pancia in giù, stavolta con il capo vicino a quello di Kaito, osservandolo preoccupata: non le piaceva l’espressione dolorante che aveva in viso e il colorito pallido della sua pelle.
«Kai?» sussurrò.
«Mmmhm?»
Maiyumi sorrise leggermente, mentre gli chiedeva se avesse bisogno di qualche altro antidolorifico.
«Solo io posso riuscire a svenire mentre sono in moto, eh?» chiese ironicamente il ragazzo dopo aver scosso la testa.
Il motivo per cui erano raccolti tutti e dieci lì era proprio quello: dopo aver ignorato i sintomi dell’influenza, Kaito aveva raggiunto il suo massimo quando, tornando a casa in moto, era letteralmente collassato, cadendo e sbattendo la schiena contro l’asfalto, ottenendo - oltre ad una serie di graffi antipatici e dolorosi - una diagnosi di una settimana a letto senza muoversi, che per il ragazzo equivaleva ad una condanna a morte.
Hayato e Maiyumi erano intervenuti prontamente per salvarlo da tale destino di noia e isolamento, oltre che dalla scenata di Masato che, come gli avevano assicurato che suo figlio se la sarebbe cavata con un po’ di dolore e annebbiamento dovuto alle medicine, si era lanciato in una delle sue rarissime sfuriate, che Kaito detestava apertamente.
Maiyumi lo guardò con aria indecifrabile, poi gli spostò il braccio da sopra gli occhi:
«Solo tu puoi ostinarti a fingere di non stare male, ma come ti è saltato in mente?!» chiese, irritata e preoccupata.
Lui le rivolse un sorrisino impertinente:
«Non ti starai mica preoccupando, my queen»
Hayato si schiarì la voce, a disagio, e si alzò dal futon, andando a sedersi vicino ad Aoi a sbirciare in silenzio il suo lavoro, tirandosi le ginocchia al petto e poggiandovi sopra il mento, le mani del biondo ebbero un leggero fremito quando lui gli fu vicino, ma poi tornarono a muoversi abili sullo schizzo.
Maiyumi emise un verso sprezzante e alzò gli occhi al cielo, nascondendo un sorrisino e soffocando la risposta che le premeva contro le labbra: “sì”.
«Haru-chan, un momento!» esclamò d’un tratto Hikaru, spalancando gli occhi e fissando l’amica. «Ma se tu sei Giulietta, e io non sono stato preso per fare Romeo… chi è il tuo “partner”?!»
Harumi arrossì nuovamente e ridacchiò imbarazzata, prima di incrociare per errore gli occhi verdi e freddi di Satsuki e ritrovarsi completamente incapace di dire il nome del “suo” Romeo.
“Mmmh ok, è solo una recita” si disse il maggiore degli Shinomiya, mentre si accigliava, qualcosa lo infastidiva nel fatto che la loro Harumi, la loro pianista e compositrice, si dedicasse ad altro. In fondo temeva che recitare le sarebbe piaciuto al punto da mollarli.
Era un pensiero egoista, ma non riusciva ad evitarlo.
“Ma Harumi-chan non lo farebbe mai” si disse, guardando la migliore amica di sua sorella che ora battibeccava giocosamente con Hikaru e Reiko.
 
Qualche tempo dopo Satsuki, Reiko e Hikaru erano seduti al loro solito tavolo alla mensa aspettando che Harumi li raggiungesse: Reiko come suo solito stava usando le bacchette per mangiare come se fossero quelle della batteria, e qualsiasi cosa era diventata un pezzo del suo strumento immaginario, bicchieri, tavolo, libro di Satsuki, testa di Hikaru… Tutto insomma. Hikaru le lanciava qualche occhiata quando pensava che il fratello non stesse guardando, ma molto spesso veniva intercettato e quindi avvampava e si concentrava sul plettro che si rigirava fra le mani.
«Eccola» esclamò d’un tratto Reiko, e come Satsuki si voltò per cercare con lo sguardo la ragazza, lei si voltò fulminea verso Hikaru e gli sfiorò le labbra con le sue, prima di fare ampi cenni di saluto ad Harumi, che era appena entrata a fianco di…
«Kishiramu Ienobu» mormorò Hikaru, arricciando il naso.
Reiko lo guardò accigliata, da quando il più piccolo fra i ragazzi degli Starkids nutriva disprezzo per qualcuno?
Notando la sua espressione, il ragazzo sorrise e le spiegò che era lui che gli aveva fregato il posto da Romeo.
«E perché eri così fissato con il fare Romeo? Non ti piacerà mica Harumi!» lo sguardo di Reiko si fece affilato, e il povero Hikaru iniziò a balbettare delle scuse incerte e confusionarie, fino a quando lei non scoppiò a ridere e usò nuovamente la sua testa come batteria.
Finalmente Harumi li raggiunse, sedendosi accanto a Satsuki con le guance arrossate e un sorrisino sulle labbra.
«Tu non me la racconti giusta.» dichiarò la bionda sporgendosi verso la sua migliore amica con aria furbetta, mentre Harumi avvampava e si nascondeva dietro ai capelli color cioccolata «Avanti, te l’ha già chiesto?» ghignò.
Hikaru e Satsuki si guardarono, confusi come sempre quando le due ragazze interagivano.
Alla fine, dopo qualche abile domanda da parte di Reiko, Harumi fu costretta a confessare che, fra una prova e l’altra, Ienobu, uno dei ragazzi più “desiderati” della scuola (almeno secondo la cronaca generale), l’aveva invitata a provare le loro scene a casa sua.
«A casa che?!» saltò su Satsuki, senza nemmeno sapere bene perché. Hikaru lo guardava con un’aria strana, a metà fra il sorpreso e il divertito, Harumi era viola in viso, Reiko sghignazzava spudoratamente, tanto che fu costretto al ficcarle del cibo in bocca per farla smettere.
«Beh dobbiamo solo provare.» balbettò Harumi.
«La scena prima della partenza di Romeo, magari» ridacchiò Hikaru, e presto anche lui si trovò del cibo in bocca.
Satsuki era ancora sconcertato:
«Sei troppo piccola!»
Reiko stava per soffocare mentre rideva e masticava contemporaneamente, Hikaru stava già cercando un tovagliolo in cui poter sputare il cibo che minacciava di ucciderlo (le capacità culinarie di Natsuki non erano migliorate e, soprattutto, erano ereditarie, il che significava che quel pranzo era pericolosissimo).
Harumi emise un verso stridulo di sorpresa:
«Non faremo niente! Ripeteremo solo le parti!»
Inutile dire che nessuno le credette.
 
Qualche settimana dopo, gli Starkids erano di nuovo radunati nel garage di Maiyumi ad aspettare la loro compositrice.
«Ma che sta facendo?» chiese Hayato, abbandonato sul volante della macchina cabriolet di Ren, gli occhi semichiusi e i capelli davanti al viso.
«Basta che si muova.» bofonchiò Kaito, sdraiato su quelli posteriori, i piedi che penzolavano giù dalla fiancata «Maledetti antidolorifici, antinfiammatori e antilucidità! Peggio che avere I postumi della sbronza!»
Aoi, accucciato sul sedile accanto a quello di Hayato, scoppiò a ridere:
«Come se l’avessi avuta spesso!» disse, lanciandogli poi il disegno del suo nuovo costume di scena.
«Ha parlato l’astemio.» concluse Nei, accucciato a terra fra il sedile posteriore e quelli anteriori, allungando una mano alla cieca tentando di tirare i capelli al gemello.
Fuori dalla macchina, Maiyumi e Rui erano impegnate a smaltarsi le unghie di rosso una e nero l’altra, Hikaru stava accordando la chitarra con l’aiuto di Reiko e Satsuki controllava spasmodicamente l’orologio.
Era preoccupato, ormai doveva ammetterlo, negarlo sarebbe stato inutile, e alla fine dovette ammetterlo:
«Ma… solo io ho paura che smetta di comporre per noi e suonare con noi?» chiese, cercando di usare un tono neutro, Hayato suonò il clacson in risposta.
«Cretino! Se papà ti becca nella sua auto ti scortica!» sibilò Maiyumi, minacciandolo con il pennellino dello smalto.
«Zio Ren mi adora.» rispose distrattamente Hayato. «Comunque, non sono preoccupato, Haru-chan è libera di fare tutto quello che vuole, e ama gli Starkids quanto noi, non c’è da preoccuparsi.»
Solitamente non era lui quello che rassicurava tutti, eppure le sue parole ebbero un certo effetto.
«Wow. Mi hai rubato il lavoro.» ghignò Kaito, prima di colpire Nei. «Hai finito di arrotolare quella sigaretta? È un’ora che ci stai dietro»
Aoi fece una smorfia e strinse più forte la matita: sapeva quando e perché fumava suo fratello, e non riusciva a non sentirsi in colpa per quello. Dopo ogni suo attacco, Nei accumulava una dose di stress che non riusciva a sfogare in nessun altro modo, e non c’era nulla che lui potesse dire o fare per fargli cambiare idea.
Meno male che per lo meno si limitava ad un massimo di due sigarette ogni volta.
«Kaito! Sei sotto medicinali, non azzardarti a fumare!» scattò Maiyumi, fulminando il gruppetto dei maggiori con un’occhiataccia, Hayato scattò subito sulla difensiva chiedendo cosa avesse fatto lui, Aoi era impegnato nei suoi disegni.
«Infatti Kaito, niente sigarette per te.» concluse Nei «Ti rovini la voce, io per lo meno sono un musicista.»
Il secondo maggiore del gruppo sbuffò irritato; nemmeno lui era un gran fumatore, ma in quel momento era così irritato dal fatto che i medicinali continuavano a togliergli lucidità che non gli interessava poi molto.
«Facciamo una bella cosa, niente sigarette per nessuno!» esclamò Hikaru, che si era avvicinato quatto quatto alla macchina, e fregò tutte le sigarette che riuscì a prendere prima di spezzarle e buttarle via fra gli applausi di tutti gli altri tranne Kaito e Nei.
«Grazie tante Hika!» sbuffarono in coro, sarcastici.
«I vostri polmoni mi ringrazieranno, un giorno.» sorrise seraficamente Hikaru, e in quel momento Harumi fece la sua comparsa, scusandosi per il ritardo.
Quella fu la prima di una lunga serie di volte in cui tardava, e la pazienza di Satsuki si affievoliva man mano che la complicità della ragazza con  il suo Romeo si rafforzava.
 
Satsuki si aggirava per la sua camera, sospirando e torturandosi i capelli dorati. Era confuso, terribilmente confuso.
Harumi si era fidanzata con quello Ienobu, era felice con lui e continuava a far parte degli Starkids.
Avrebbe dovuto esserne felice, essere contento per lei, ma non ci riusciva.
Causa principale: il gran disprezzo che nutriva per quel ragazzo, che era un playboy peggiore di Kaito, Nei e Hayato messi assieme.
Immaginava lei che lo abbracciava, lui che le baciava le labbra, il collo, il petto… e un calore che non riusciva ad identificare lo avvolgeva mentre l’impulso di colpire qualcosa lo coglieva di sorpresa.
Decise di chiedere consiglio all’unico adulto affidabile che aveva a disposizione: suo zio Syo, col cavolo che chiedeva a suo padre che l’avrebbe abbracciato borbottando qualche assurdità sul suo essere carino.
Syo si mise a ridere appena lui finì di parlare, e gli ci vollero svariati minuti prima che si desse una calmata, alla fine riuscì a dire:
«Satsu-kun, hai mai pensato di poter essere… geloso
A quelle parole gli aveva voltato le spalle e se ne era andato. Lui, geloso! Che faccia tosta!
Convocò una riunione d’emergenza a casa di Hikaru, e fu così che si trovò seduto a terra di fianco ad un Kaito ancora non del tutto in sé e di fronte ad un Nei con tanto di carta e penna, mentre Hikaru era sdraiato sul letto a pancia in giù e lo guardava interessato.
Aoi e Hayato erano isolati, vicini, le fronti premute l’una all’altra, e parlottavano concitatamente fra loro.
“Sempre troppo utili loro” pensò ironicamente Satsuki, prima di iniziare a parlare.
«Ok, ricapitoliamo.» disse infine Kaito, sorridendo appena «Il fatto che Harumi abbia il ragazzo ti infastidisce. Ti trovi ad immaginarli insieme anche se non vorresti… e la cosa ti fa incazzare…»
Fu interrotto da Hayato:
«Harumi ha il ragazzo?!»
Hikaru sospirò rumorosamente:
«Ma dove vivi, scusa? Capisco Kai-nii che è rimbambito dai farmaci, ma tu?»
Fra le risate generali, Hayato arrossì e tornò alla sua discussione con Aoi, stavolta prendendo una delle sue mani fra le sue e giocherellando distrattamente con le dita sottili del ragazzo.
Kaito sospirò e scosse la testa:
«Torniamo a noi, abbiamo detto che ti dà fastidio e tutto… Sats, devo fartela io la diagnosi o ci arrivi?»
Hikaru intanto continuava a ridere, e Satsuki lo guardava, frustrato.
Quando il suo migliore amico smise di prenderlo in giro, il ragazzo iniziò a parlare a voce bassa di come avrebbe preferito chiunque altro a quella persona, non gli importava con chi stava Harumi, bastava che non fosse Ienobu, poi proseguì a descrivere la sua voglia di fare a pugni con quel viscido, che di sicuro avrebbe ferito la ragazza, e concluse con uno sconsolato “E ora non torna più nemmeno a casa con me perché si fa accompagnare da lui”.
Allora Nei, che fino a quel momento aveva scritto infervorato sul suo foglio, si bloccò e gli fece un sorrisone a trentadue denti:
«Ecco a te» disse tranquillamente, allungandogli il foglio; il ragazzo lo lesse sconcertato. «Il tuo testo!»
 
 
Anyone but him
I'd rather hear you have the whole football team
After watching these filthy lips on your skin
Anyone but him

Anyone but him
With schoolboy fists, we can take this outside
Knowing my luck that fuck could win
Anyone but him

Who's gonna take you home, who's gonna take you home
Who's gonna take you home, if it isn't me
If it isn't me, if it

 
“Accidenti” pensò Satsuki in camera sua, leggendolo.
Come al solito Nei aveva fatto centro. Non era un caso che fosse lui ad occuparsi della maggior parte dei testi degli Starkids, quando non li scrivevano per conto loro, era la sua maggiore abilità: prendere le parole degli altri e trasformarle in canzoni.
Solo che vedere lì i suoi sentimenti, nero su bianco, gli faceva uno stranissimo effetto.
Era quasi come se chiedessero di essere espressi.
E fu così che Satsuki si trovò a prendere il suo cellulare e chiamare la ragazza a cui quei versi erano dedicati.
Non sapeva bene cosa le avrebbe detto, probabilmente avrebbe improvvisato.
E con un po’ di fortuna sarebbe andato tutto bene.
 
[To be continued]
 
Nota dell’autrice: scusate la brusca interruzione! Ma continuerà tutto nel prossimo capitolo! ;D e si capirà un po’ meglio la situazione forse ^^
Spero che vi sia piaciuto questo capitolo, che ammetto che non mi convince!
Un grazie speciale a Lyel (ti prego non mi uccidere ho pubblicato!!) e Pinky (non mi uccidere nemmeno tuuuu!!!) per l’ispirazione e l’incitazione!
A presto!
Baci,
Starishadow

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Capitolo 7
*** Hard to say sorry ***


Nota dell’autrice:
Circa un anno fa aggiornavo “From the Bottom of the heart”, così ho pensato che sarebbe stato carino se… ok no, la verità è che c’è il temporale fuori e io mi ispiro con i temporali, e che iniziavo a sentirmi terribilmente in colpa per come vi avevo mollati.

Non tenterò di addurre esami di maturità, owari no seraph, Les Miserables e tumblr come scuse, la verità è che sono pigra come non mai e Harumi non mi ispirava nemmeno un po’ .-.
Ma bando alle ciance e cia.. no ok, comunque passiamo a ciò che aspettavate!
IL CAPITOLO!
Breve riassunto del precedente: Harumi entra nel musical della scuola e viene scelta per Giulietta, il ragazzo che farà Romeo si invaghisce di lei e lei di lui, Satsuki non è favorevole a tale unione e Nei gli apre gli occhi.
Sappiate che la telefonata di Satsuki nell’ultimo capitolo non è arrivata ad Harumi, che aveva il cellulare spento.

Rimetto lo specchietto, data la mia assenza scandalosa? ^^” 
Buona lettura, alors!
 
Shinomiya Satsuki 15 (basso) - Reiko 14 (batteria)
Ichinose Hayato 17 (voce) - Rui 16 (voce)
Aijima Harumi 14 (tastiera)
Jinguji Maiyumi 16 (voce/piano)
Ittoki Hikaru 15 (chitarra/ chitarra elettrica) - Aya 5
Kurusu Aoi e Nei 17 (violini/violini elettrici) -  Yuu  10 -  Kimi  5
Hijirikawa Kaito 17 (voce/sax)
 
Un mese dopo gli avvenimenti dell’ultimo capitolo
Con uno sbuffo, Harumi alzò gli occhi dal computer e si tolse le cuffie dalle orecchie, lasciandole poggiate attorno al collo.
Era in ritardo con i brani per gli Starkids, e ora non aveva idea di cosa fare. Aveva ascoltato per ore le canzoni di sua madre, che di solito la ispiravano, e quelle degli Starish e degli Starkids, aveva provato a mixare dei suoni insieme, a creare qualcosa, ma era bloccata.
E non poteva chiedere aiuto a nessuno: gli Starkids erano arrabbiati con lei. O meglio, non esplicitamente, ma da quando avevano iniziato a chiederle sempre più spesso quei nuovi brani, aveva notato che erano sempre più irritati con lei.
E non poteva biasimarli: le prove del musical le avevano portato via parecchio tempo, e Ienobu aveva reclamato il restante.
Era passato un mese dal giorno in cui si erano messi insieme, eppure qualcosa non andava, lo sentiva: lui faceva di tutto per renderla felice, ma allo stesso tempo aveva come l’impressione che tentasse di tenerla lontana dai suoi amici.
A pranzo si sedeva in un tavolo solo con lei, e nonostante i suoi tentativi di convincerlo a sedersi con Reiko e gli altri, lui le aveva risposto che preferiva passare ogni minuto possibile con lei e solo con lei, si sarebbero separati alla fine del pranzo e almeno quel periodo lo voleva condividere con lei.
Provavano insieme a casa sua, perché Harumi non aveva nemmeno detto a Cecil del musical o di lui, e ogni tanto lui la accompagnava alle prove degli Starkids, sedendosi nei sedili del pubblico per tutta la durata per poterla poi riaccompagnare a casa.
All’inizio la novità aveva emozionato Harumi e le altre ragazze - Rui esclusa, ma Rui era un mondo a parte - ora però iniziavano a sentirsi a disagio a provare sotto lo sguardo scuro del ragazzo.
Hikaru, poi, quando Ienobu era presente diventava insofferente quanto Hayato, si irritava appena qualcuno lo correggeva e usciva a grandi falcate dal palco per sparire per diversi minuti e ricomparire poi di umore leggermente migliore ma con qualche difficoltà a suonare.
Harumi aveva provato a dire al suo ragazzo che non poteva assistere alle prove, ma lui era stato irremovibile.
Il suo telefono vibrò per l’ennesima volta, e lei lesse il messaggio preoccupata, non voleva che fosse un’altra strigliata da parte di Hayato…
 
MAIYUMI- Hari! Allora tesoro, hai la mia canzone? :D
 
Appena lesse il messaggio, Harumi sospirò, felice che almeno la ragazza le avesse scritto in privato e non nel gruppo degli Starkids. Non voleva risponderle, ma alla fine lo fece:
 
HARUMI- mi dispiace, Maimi-chan… non ci riesco, non mi viene in mente nulla!
MAIYUMI- tranquilla, non è poi così urgente, ma ci servono i nuovi brani per Rui e Kaito, lo sai. Non hai composto nulla ultimamente, va tutto bene?
HARUMI- Si, tutto bene. Ho solo un blocco antipatico, ma ce la posso fare, fidati! Torno a comporre qualcosa ;)
 
E con quello spense il cellulare e tornò al computer, per poi spostarsi alla tastiera portatile.
Peccato che, poco dopo, una notifica su Skype la distolse dal suo intento e lei si ritrovò a dedicare a Ienobu tutte le attenzioni che il ragazzo reclamava.
Non sapeva che la tempesta sarebbe scoppiata l’indomani, appena si fosse riunita con gli Starkids a casa di Hayato e Rui.
 
«Chi manca?» chiese Hikaru, in quello che ormai era il solito rituale.
«Harumi», fu la svogliata risposta all’unisono dei gemelli, uno sdraiato a pancia in giù sul pavimento, gli occhi fissi sul cellulare, e l’altro spalmato senza troppe cerimonie sul divano, con i piedi appoggiati sulle gambe di Hayato.
«Se spunta col suo ragazzo è la volta buona che lo accoltello», commentò Rui innocentemente, allungando una mano verso l’alto per osservare un anello che Maiyumi le aveva portato per vedere se le piaceva. «Mi sa che mi tengo quello nero, questo sta meglio a te», concluse, restituendo l’oggetto all’amica.
«Quanto ci mette?» chiese Satsuki, tamburellando nervosamente le dita sul tavolinetto che divideva il divano su cui erano seduti lui e Kaito da quello dove si trovavano Aoi e Hayato.
Satsuki era quello più contrario alla novità: non solo quello Ienobu non l’aveva mai convinto, non solo aveva paura che Harumi li scaricasse… lui voleva Harumi per sé. E voleva quel verme lontano da lei.
E solo ora se ne rendeva conto.
Suonarono il campanello, e Hayato scattò in piedi per andare ad aprire prima che lo facesse Rui - sapevano tutti che se Ienobu fosse stato presente, la ragazza avrebbe finito davvero con il perdere la calma, ed era l’ultima cosa che volevano.
«Oh ciao, Harumi!» esclamò, quasi sarcastico, enfatizzando il suo nome per lasciare intendere agli altri che finalmente la ragazza era sola. «Benvenuta».
«Scusa, scusa, scusa! Lo so che sono in ritardo, ma… Ienobu-kun non voleva andar via. Ma ero qui in orario, quasi! Ho perso tempo a dirgli che poteva and…» Harumi fu brutalmente zittita quando Hayato le diede le spalle e si diresse a grandi falcate verso il resto del gruppo.
“Iniziamo bene”, si disse la ragazza salutando timidamente gli altri, felice quando Reiko la invitò a sedersi per terra davanti a lei e la abbracciò.
Almeno qualcuno era felice di vederla.
«Perché questa riunione?» chiese innocentemente: non era abituata a quell’ostilità, di solito non era mai lei quella che causava problemi, anzi era una di quelli a riportare la calma… Quella situazione era inquietante.
«Hai le canzoni?» chiese Rui senza troppe cerimonie. «O eri troppo impegnata a fare il cagnolino di Ienobu-kun?» aggiunse sprezzante, prima di venir ripresa da Reiko e da un’occhiata di Hayato. «O hai avuto da fare?» si corresse, controvoglia.
Harumi abbassò lo sguardo e arrossì.
«Non mi sono venute idee. Ci ho provato, ma sono bloccata», sussurrò, torturandosi le mani.
«Ah benissimo! È questo che diremo ai produttori! “La compositrice si è bloccata, scusateci. Non abbiamo le canzoni che ci chiedete da un mese!”».
Tutti sussultarono sorpresi quando si accorsero che a parlare era stato Nei, l’unico che per tutto quel tempo aveva sempre difeso Harumi, l’unico che non sembrava avere problemi con quella faccenda.
«Nei…», Kaito si decise a intervenire, ma un’occhiataccia del biondo lo lasciò interdetto.
«Zitto tu!» sbottò il ragazzo, alzandosi in piedi e avvicinandosi ad Harumi. «Lo sai che se tu non componi, tutto il mio lavoro va a farsi benedire? Hai idea delle notti insonni per buttare giù quei maledettissimi testi che tutti questi bastardi potrebbero pure provare a scriversi da soli, Harumi? Non ne posso più! Ho rinunciato a notti e notti di sonno per scrivere e avere tutto pronto in tempo! Ho fallito due test e non so nemmeno quando li potrò recuperare! E tu? Tu cosa fai? Pensi al musical e a quel cretino del tuo ragazzo che ti controlla peggio di uno stalker!»
Nella stanza calò il gelo, nessuno fiatava. Sentire Nei arrabbiato era raro, sentirlo lamentarsi di qualcosa lo era anche di più.
Era un periodo stressante per tutti: i maggiori erano pressati dalla scuola e alle attività dei loro club, i minori si sentivano in dovere di fare del loro meglio per non pesare su di loro, la concorrenza con gli altri gruppi si era fatta spietata, i produttori premevano per avere nuove canzoni e un nuovo album…
Esplosero. Tutti insieme, contemporaneamente, la sala si riempì di grida.
La prima fu Harumi, che scoppiò a piangere disperata, poi uno a uno gli altri scattarono in piedi e iniziarono a urlare prima contro Nei, poi l’uno contro l’altro.
«Io i testi me li scrivo da solo, imbecille!» sbraitò Kaito, scuotendo Nei dal colletto.
«Non permetterti di chiamarci bastardi!»
«Sei tu che vuoi far vedere che sei meglio di noi perché scrivi due stronzate in rima!» concordò Hayato.
«Non parlare così a mio fratello! Tu non ti sei mai scritto mezzo testo!»
«Aoi, non ti immischiare!»
«Un testo mi hai scritto, niente di più! Io nemmeno canto!»
Le ragazze, dapprima sconcertate, si erano alzate a loro volta: Rui sembrava sul punto di fare a pugni con Aoi, Maiyumi inveiva contro Nei, Reiko dava man forte a Hikaru nel fronteggiare Satsuki…
E Harumi era rannicchiata a terra, disperata, urlava contro i palmi delle sue mani e soffocava nelle lacrime.
Era tutta colpa sua, aveva causato lei tutto quello.
Persino Nei e Kaito erano arrabbiati adesso. Aoi e Hayato si stavano urlando contro, Reiko stava litigando con il suo stesso fratello…
Tutto per colpa sua.
Si alzò lentamente in piedi e tentò di farsi sentire per farli smettere, senza successo. Alzò la voce, ancora niente, la alzò di nuovo.
«Piantatela!» urlò con tutto il fiato che aveva, ottenendo finalmente la loro attenzione. «Vi prego, smettete di litigare! Prometto che comporrò le migliori canzoni di sempre in meno di una settimana, vi supplico, basta litigi!» singhiozzò, fissandoli uno a uno, spaventata come non mai.
«Scusate», mormorò Kaito, abbassando lo sguardo.
«Che cosa ci è preso?» mormorò Aoi, mordendosi le labbra e fissando Hayato.
«Ci siamo incasinati», rispose semplicemente Hikaru, facendo spallucce.
Erano più calmi, ma l’espressione burrascosa lui volti di Nei, Satsuki e Rui non promettevano nulla di buono.
«Sediamoci e cerchiamo di ricominciare a ragionare», sussurrò Maiyumi, sistemandosi la spallina della salopette che le era scivolata lungo il braccio; il suo suggerimento fu accolto volentieri e poco dopo tutti erano di nuovo seduti a terra, affannati e arruffati, ma ora leggermente più tranquilli.
«Mi dispiace, ragazzi, è stata tutta colpa mia. Dovevo avere pronti quei brani già un mese fa, ma le cose mi sono sfuggite di mano e… Mi dispiace, Nei, davvero!» la ragazza fissò il maggiore con gli occhi lucidi, sentendosi tremendamente in colpa perché quello che aveva detto era vero: Nei si era dedicato veramente e interamente agli Starkids, non era azzardato dire che era quello che credeva di più in ciò che stavano facendo, quello che ci si era dedicato di più, che aveva fatto più sacrifici per loro.
E soprattutto, loro due erano una squadra, la squadra che alimentava il resto del gruppo.
E lei come lo ringraziava?
«È vero, Harumi. È colpa tua».
«Sacchan! Non essere cattivo!» intervenne subito Reiko, preoccupata. «Ci siamo dimenticati quello che ci eravamo promessi? Gli Starkids contano perché siamo tutti noi, insieme, e perché facciamo qualcosa che ci piace, non per altro. Va bene se abbiamo successo, va bene se falliamo, va bene se le cose filano lisce, va bene se ci sono problemi. Non ve lo ricordate più?».
Tutti si fermarono a pensare a quelle parole. Era vero, era quello che si erano promessi, e che avevano promesso ai loro genitori quando gli avevano detto le loro intenzioni.
«Il fatto che tutto ci va bene non vuol dire che non dobbiamo metterci un minimo d’impegno, Reiko», sospirò Hayato, allungando le gambe davanti a sé e appoggiandosi allo schienale del divano.
«Nei, sbaglio o hai detto di aver fallito due test?».
«Io… Oh, dai, Kaito! Non vorrai parlare di questo adesso», balbettò Nei, allontanandosi impercettibilmente dall’amico, che ora lo osservava con una luce inquietante negli occhi.
Era un altro patto: se uno di loro falliva in qualche materia, Kaito gli avrebbe dato ripetizioni.
E nessuno voleva avere ripetizioni da Kaito.
La situazione divenne meno tesa, e lentamente l’atmosfera tornò quella di sempre.
«Aoi, per caso hai qualche nuovo costume di scena da proporci?» si informò Maiyumi, gattonando vicino al biondo, lui le sorrise:
«Ni. Stavo pensando più che altro a un paio di outfit per la prossima intervista, ma ancora non è niente di deciso, ho delle bozze però. Vuoi vedere?»
In tutto questo, Harumi era rimasta lontana, a osservare i suoi amici; sentendo il cellulare vibrare in tasca lo prese e sorrise leggermente nel vedere un messaggio di Ienobu, sorriso che si spense quando a quello ne seguì un altro:
Passo a prenderti fra venti minuti, piccola.
Sospirò, nemmeno suo padre era così appiccicoso!
Se una parte di lei tentava di dirle che qualcosa non andava, un’altra la metteva a tacere con tutti i ricordi di lui che le sorrideva, la trattava gentilmente, la faceva sentire speciale…
Aveva solo quattordici anni, e per quanto potesse essere più matura delle altre ragazze della sua età, era ancora ingenua, non del tutto conscia dei pericoli che la circondavano.
Cosa di cui invece era ben informato Satsuki, che iniziava a preoccuparsi seriamente.
«R-ragazzi, fra venti minuti devo andare» sussurrò la ragazza, ottenendo di nuovo l’attenzione generale. Brutto segno.
«Haru-chan, dobbiamo parlare», iniziò Maiyumi, con un tono più dolce di prima, e uno sguardo preoccupato.
«Già, ti sei accorta di che livello ossessivo ha raggiunto quello Inabo?» intervenne Nei, stringendo le labbra.
«Ienobu», lo corresse con voce sottile Harumi.
«Quello che ho detto».
Niente, se qualcuno riusciva a farsi disprezzare da Nei, non c’erano speranze di recuperare la sua stima, e Ienobu aveva fatto il possibile per ricevere tale trattamento.
«Vuole solo stare un po’ di tempo con me…» provò, ma era un argomento debole.
«No. Vuole stare solo con te, e non gliene frega se le prove sono off limits, se prima o poi io gli spacco la faccia o tutto quello che vuoi. Ti sta sempre appiccicato, ti controlla! E ho visto che ti manda messaggi in continuazione», specificò Hayato, mentre Hikaru sbuffava.
«Non…»
«E ti distrae, Haru! Parli sempre e solo con lui, zio Cecil ha detto che stai sempre al cellulare, o al computer...» concluse Satsuki, un po’ più bruscamente del solito.
Il che fece scattare i nervi della compositrice:
«Ah, ecco qual è il vostro problema. Che lui mi distrae. Mi distrae dal comporre per voi, huh? Ecco perché tanta preoccupazione! Alla fine è solo quello che vi interessa, non io».
«Ma che cosa…?».
«Hari-chan non è per questo!» esclamò Maiyumi, uno sguardo ferito negli occhi.
«Stiamo solo dicendo che…».
Non li fece finire. Era stanca di sentirli parlare in quel modo del suo ragazzo. Dell’unico ragazzo che le aveva rivolto una qualche attenzione.
Si alzò di scatto e recuperò la sua borsa e il suo cardigan, fece un piccolo inchino e uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
Dentro di sé sapeva perché aveva reagito così, perché aveva provato tanto fastidio a quelle loro affermazioni.
Era perché aveva il terrore che fossero vere.
Era perché aveva paura che, ascoltandoli ancora, avrebbe dato loro ragione.
Mandò un messaggio a Ienobu, dicendogli che era già uscita e organizzandosi per incontrarlo, sperando che la sua presenza cacciasse via le parole degli altri dalle sue orecchie.
Ma non funzionò, continuarono a riecheggiare per il resto della giornata, continuò a sentirle mentre lui le teneva la mano, mentre si baciavano, mentre si salutavano davanti alla porta di casa sua.
E all’interno la aspettava ancora qualcosa, nel caso tutto quello successo quella giornata non fosse sufficiente.
«Harumi, stai bene?», la voce di suo padre era bassa e triste mentre la guardava preoccupato. Era raro vederlo in piedi o da qualche parte che non fosse il divano, a dire il vero, dopo la morte della moglie era caduto in una depressione tale da non riuscire nemmeno a trovare la voglia di reagire, ed era raro che rivolgesse la parola alla figlia, tanto meno che riuscisse a guardarla negli occhi che erano identici a quelli di sua madre. Eppure ora lo stava facendo, e Harumi si sentiva tremendamente in colpa per averlo costretto a tanto.
«Certo che sì! Perché chiedi?», rispose, sforzandosi di sorridere.
Cecil le fece cenno di sedersi, e lei obbedì esitante, non sapeva come comportarsi, ma mentre lui la raggiungeva, la ragazza non riuscì ad impedirsi di notare tristemente quanto suo padre sembrasse tremendamente invecchiato: mentre tutti gli altri Starish non sembravano poi così cambiati, alcuni avevano semplicemente dei lineamenti più maturi, o erano cresciuti leggermente in altezza (o nel caso di Tokiya e Ren erano diventati anche più affascinanti di prima), Cecil sembrava avere quasi il doppio della loro età, proprio lui che era il più giovane.
«Mi ha telefonato Hayato-kun», Harumi si trattenne a stento dall’alzare gli occhi al cielo e sbuffare a quelle parole, i suoi “amici” avevano forse deciso di renderle la vita un inferno? «Ha detto che sono preoccupati per te».
«Sono preoccupati per le loro stupide canzoni», replicò lei imbronciata, sfilandosi le ballerine e tirandosi le gambe al petto per poggiarvi sopra il mento. «Perché ho iniziato ad avere una vita al di fuori di loro e adesso sono solo gelosi ed egoisti!».
Cecil alzò le sopracciglia a quel commento tanto inusuale per la figlia quanto improbabile: sebbene non frequentasse più di tanto i suoi vecchi compagni, era piuttosto sicuro che i loro figli non fossero quel genere di persone.
Gli occhi di Harumi intanto si erano riempiti di lacrime per ciò che aveva detto, si sentiva in colpa, ma era arrabbiata con loro, e in quel momento non era disposta a lasciarsi convincere che avevano ragione.
«A me sembrava veramente preoccupato quando mi ha chiesto se fossi già arrivata a casa», azzardò Cecil, sfiorandole i capelli. Quando aveva smesso di sapere come trattare la sua bambina?
«Certo, perché se mi succede qualcosa non trova un’altra compositrice!», a quelle parole la ragazzina si bloccò e fissò il padre, in tempo per vedere un lampo di dolore passare nei suoi occhi verdi. «S-scusa, non intendevo… non volevo…» ecco fatto, ora aveva fatto star male pure suo padre. Fantastico.
«Hari-chan…», Cecil esitò, chiedendosi se era davvero pronto per affrontare quel discorso dopo tutti quegli anni trascorsi a evitarlo accuratamente. «Tu sei molto più della loro semplice compositrice».
La ragazza gli rivolse uno sguardo intimidito, non era da lui parlare di quello, sapeva che gli faceva male, di conseguenza ora che lui aveva scelto di affrontare la discussione, era disposta ad ascoltarlo.
«Sei la loro amica, o per usare le parole di Maiyumi-chan, sei la loro cuginetta. Sono seriamente preoccupati per te, non so perché, non so più nulla di te a dire il vero», a quello l’uomo abbassò lo sguardo.
«Non c’è molto da sapere», lo rassicurò Harumi con un sospiro, prima di ripensare a un paio di cosette che non gli aveva detto. «E non volevo farli preoccupare, ma sono loro che esagerano».
«Che cos’è che li fa preoccupare? Non pensi che parlarne con tuo padre potrebbe essere meglio che tenergli nascosto qualcosa?»
Quello poteva essere un valido argomento, in effetti. Alla fine Harumi sospirò:
«Mi… vedo con un ragazzo. Che agli Starkids non piace».
Ci fu un momento di silenzio in cui la piccola compositrice non ebbe il coraggio di incontrare lo sguardo di suo padre, poi si sentì tirare più vicina a lui e, per la prima volta dopo anni, si accoccolò a lui, abbracciandolo e iniziando a piangere mentre raccontava tutto quello che le stava succedendo nell’ultimo mese.
Per Cecil fu l’equivalente di un pugno nello stomaco.
E i pericoli che Harumi continuava a non vedere, a non voler vedere, furono chiari anche a lui.
 
«Rei-chan?» mormorò la compositrice appena l’altra persona rispose al cellulare.
«Hami-chan! Finalmente! Eravamo preoccupati! Cos’è successo? Dove sei? Non dovevi andartene in quel modo!», il fiume di parole della sua migliore amica travolse Harumi che si ritrovò suo malgrado a ridacchiare, solo quando quella tacque riuscì finalmente a riferirle quanto era successo con Cecil, dalla telefonata di Hayato alla richiesta dell’uomo di presentarle Ienobu.
«Wow, zio Ceci vuole davvero conoscerlo?» chiese Reiko sgranando gli occhi. «A me papà non ha chiesto di fargli incontrare Hikaru».
A quello, Harumi fece facepalm e scoppiò a ridere:
«Ah ma davvero? Chissà mai perché!»
«Forse non vuole nemmeno lui che Satsu-nii lo sappia», il difficile con Reiko, talvolta, era capire se fosse seria o stesse scherzando, il che metà delle volte era anche più divertente.
«Mah forse perché lo conosce da quando ancora aveva il pannolino?», ridacchiò Harumi scuotendo la testa per poi tornare seria. «Ma Reiko, io non voglio farli conoscere, a papà non piacerà di sicuro».
«Non sarebbe una novità. Ienobu non piace a nessuno».
Giusto, la famosa schiettezza disarmante di Reiko, avrebbe dovuto aspettarselo.
«Ma non capisco perché!», protestò, sdraiandosi sul letto con uno sbuffo. Reiko sospirò:
«Non volevo essere io a dirtelo, Hami-chan, ma qualcuno deve aprirti gli occhi. Quel tipo è uno stalker! Non ti lascia in pace, non ti fa respirare! Ti controlla!»
«Non è vero», fu la flebile risposta, anche se nemmeno Harumi ci credeva più di tanto.
A fine telefonata il suo umore era più nero di prima, ma quando si avvicinò alla tastiera che teneva in camera per poter comporre quando voleva senza dover disturbare suo padre e si infilò le cuffie, le sue mani corsero veloci sui tasti e - finalmente - riuscì a comporre qualcosa.
 
«Allora, pronti a prov… non ci credo».
L’espressione di Kaito si fece scura quando dalla porta sul retro del teatro fecero il loro ingresso Harumi e Ienobu. Meno male che Reiko le aveva parlato.
Come sempre, l’atmosfera diventò gelida e ostile, ma stavolta non tutti avevano intenzione di starsene in silenzio a sopportare.
Hikaru, come sempre stranamente innervosito dalla presenza del ragazzo, si tolse la chitarra di dosso e la lasciò malamente su un tavolo lì vicino, uscendo di gran carriera, e Ienobu lo osservò con un sorrisino sardonico.
«Vedo che qualcuno non sa ancora accettare la sconfitta, eh, Ittoki?».
Ma aveva fatto la scelta sbagliata: nessuno poteva usare quel tono con Hikaru in presenza di Reiko e Hayato. La prima non aveva ancora fatto in tempo ad alzarsi dalla sua postazione alla batteria che il maggiore aveva afferrato il ragazzo dal colletto e l’aveva premuto contro la parete più vicina, ignorando le esclamazioni di sorpresa degli altri.
«Stammi bene a sentire, brutto bastardo. Primo, l’accesso alle prove è vietato ai non addetti e - indovina un po’ - tu sei  un non addetto, secondo, finora abbiamo sopportato perché vogliamo bene ad Harumi, ma ora non abbiamo più intenzione di farlo. Terzo, non osare parlare così ad Hikaru», e un pugno avrebbe chiarito il concetto se non fosse intervenuto Aoi a trattenere la mano del ragazzo.
«Oh cielo, e le tue fan lo sanno che hai un simile caratteraccio, Ichinose-sama?» ghignò quello, che finalmente stava ottenendo ciò che aveva voluto fin dall’inizio.
«Hayato, non colpirlo, non ne vale la pena», mormorò Aoi tirandolo via.
«Ma quindi state insieme o vi limitate a farvi lavoretti a vicenda? No, perché le fan vorrebbero saperlo. Sono anni che se lo chiedono!»
«Ienobu ma che cosa stai facendo?» chiese Harumi, scioccata, nel vederlo sorridere in quel modo sardonico, quasi godesse per qualsiasi reazione che avevano gli altri.
«Zitta bambola».
«Tu ad Harumi non ti rivolgi così».
Un pugno gli arrivò dritto sul viso, facendolo finire a terra, ai piedi di un Satsuki furente dalle nocche arrossate per il colpo, ma questo non lo fermò, continuò a lanciare battutine e commenti crudeli su tutti i ragazzi lì presenti. Uno a uno persero tutti la calma, iniziando a rispondere ai suoi insulti con grida e offese altrettanto pesanti, l’unica a restare distaccata era Rui, che li osservava appoggiata alla tastiera con aria illeggibile.
Attese qualche secondo, ma vedendo che non sembravano avere intenzione di smettere si incamminò tranquillamente verso il gruppetto, spostò Kaito da una parte, tirò via Maiyumi, si intrufolò fra Nei e Satsuki e, finalmente, arrivò di fronte a Ienobu.
«Ah ecco, mi sembrava mancasse la sociopatica del gruppo!» rise quello, e Aoi dovette usare tutte le sue forze per bloccare Hayato, imbestialito. Rui non fece una piega, si limitò ad allungare una mano verso la tasca del ragazzo e tirare fuori il suo cellulare, spegnendo la telecamera che era attiva e aveva registrato tutto quello che era successo fino a quel momento.
«Che cosa…?» mormorò Reiko, confusa, mentre Harumi chiamava il nome del ragazzo chiedendogli spiegazioni.
«Sei veramente uno schifoso bastardo, lo sai?» chiese Kaito, iniziando a ridere sorprendendo tutti. «Volevi registrare le nostre reazioni e poi postarle online con un titolo del tipo “la vera faccia degli Starkids”?», la sua risata continuò, e a quel punto gli altri riuscirono a capire che era il suo modo per trattenersi dal farsi montare la rabbia, e anche per irritare l’altro. «Pensavamo fossi uno psicopatico che voleva fare del male ad Harumi… invece sei solo un poveraccio in cerca di attenzioni».
Rui, dopo aver cancellato il video, si voltò di nuovo verso il ragazzo e gli rivolse il più dolce dei suoi sorrisi, zittendo tutti quanti.
«La sociopatica del gruppo ha qualcosa per te» disse con la sua solita voce calma e sottile, mentre prendeva un bicchiere di succo dal tavolo su cui si trovavano varie bevande a loro disposizione, e gli occhi del ragazzo si spalancarono. Continuando a sorridere, Rui immerse il cellulare nel liquido.
«Brutta tr…» Ienobu scattò in avanti, ma fu prontamente bloccato da Satsuki, intanto la minore dei fratelli Ichinose si era avvicinata di nuovo a lui. Tolse il cellulare, ormai inutilizzabile, lo buttò a terra e lo calpestò, infine rovesciò tutto il bicchiere sulla testa del ragazzo. «Ora vattene, prima che faccia anche qualcos’altro» sibilò, restituendogli i resti del telefono con un calcio.
Ienobu, che prima era sembrato tanto spavaldo e determinato a farli infuriare, corse via con la coda fra le gambe, fra le risate di Kaito, Nei e Hikaru.
«Rui», fece Hayato, troppo serio per i suoi standard.
«Sto bene, davvero! Volevo solo assicurarmi che quel video non finisse mai online», sorrise la ragazza.
Ma il cellulare non era l’unica cosa in frantumi in quella stanza ora.
«M-mi ha usata tutto questo tempo?», sussurrò Harumi, stringendosi le mani al petto e tenendo lo sguardo basso. «Mi ha fatta litigare con voi…», la voce già flebile le si spezzò, mentre un paio di lacrime le uscivano dagli occhi. «Ho fatto tutto quello che voleva lui, non ho composto in tempo le nostre canzoni, e lui… lui voleva solo questo?».
Tutti i ragazzi rimasero immobili a guardarla per qualche momento, poi Reiko e Hikaru corsero ad abbracciarla e rassicurarla, seguiti a ruota da Maiyumi e Aoi. Nei e Kaito si avvicinarono esitanti, sussurrandole parole incoraggianti oltre che insulti per quel verme.
Rui rimase in disparte, a disagio, non sapendo cosa dire o cosa fare per aiutarla, ma sperando che riuscisse a interpretare la sua vicinanza fisica come una anche morale. Hayato ribolliva di rabbia accanto a Satsuki, che dentro di sé stava urlando frasi come “con me non sarebbe mai successo” e “non permetterò a nessuno di farle una cosa simile di nuovo”.
Non provarono, quel giorno, rimasero tutti vicini ad Harumi tentando di consolarla, risollevarle il morale, usando ogni loro mezzo, ma poi fu proprio lei a prendere in mano la questione.
«Ho… ho una cosa per voi» sussurrò, infilando le mani nella sua borsa e tirando fuori dei fogli con qualche piega. Tutti i ragazzi sorrisero nel vedere degli spartiti musicali, e ben presto la ragazza si trovò stritolata in un abbraccio di gruppo che le scaldò il cuore, fece diminuire il dolore che provava e portò una piccola risata alle sue labbra.
«Mi… mi siete mancati», ammise, chiudendo gli occhi.
«Anche io ho qualcosa per te, Hami-chan», disse Nei dopo averle arruffato i capelli, e lei si illuminò riconoscendo quella frase. Era quello che le diceva sempre quando aveva un nuovo testo da farle vedere.
E difatti, ben presto si trovò un foglio davanti. Solo che, stavolta, non c’era solo la scrittura di Nei, ce n’erano nove. Nove grafie diverse…
Osservò i suoi compagni di band che ora erano tutti arrossiti, chi più e chi meno, e quasi rischiò di rimettersi a piangere.
«Ci serve un titolo», ammise Hikaru, strofinandosi una mano sul collo, imbarazzato.
«G-già, ehm… è l’unica cosa che non siamo riusciti a fare», aggiunse Aoi con una risatina nervosa.
«E poi sei tu quella brava con i titoli», concluse Reiko, dandole un pugno leggero su una spalla.
Harumi lesse tutto il brano, sentendo le voci dei suoi compagni alternarsi ad ogni strofa, e poi - ripescata una matita dalla borsa - scarabocchiò il titolo sopra quel testo.
Hard to say I’m sorry.
Quella sera, quando fu a casa, riferì a Cecil tutto quello che era successo, sfogandosi con lui e lasciandosi abbracciare.
Era bello ritrovare quel rapporto con lui, e per Cecil fu come ritrovare non solo la sua piccola Harumi, con la quale per troppo tempo aveva scambiato solo dialoghi silenziosi, ma anche Haruka, che continuava a mancargli nonostante fossero passati anni. Aveva pensato che guardare Harumi negli occhi sarebbe stato troppo doloroso per lui, che ricordare sarebbe stato troppo doloroso.
Ma si era sbagliato, era stato scappare quello che gli aveva fatto più male di tutto, e fu felice di essersene accorto, perché forse era ancora in tempo con Harumi.
Non che avesse fretta di tornare in quel mondo che alla figlia piaceva così tanto, e che era piaciuto anche a lui ovviamente, ma almeno poteva riavvicinarsi. Un passo alla volta, senza fretta, ma non avrebbe perso Harumi, non avrebbe lasciato che lei lo chiudesse fuori, non gliene avrebbe dato motivo.
«Hey papà», disse lei poco prima di ritirarsi in camera, attirando la sua attenzione. «Mi… mi fa piacere vedere che stai meglio» balbettò, arrossendo e poi correndo in camera sua.
Cecil sorrise osservandola mentre si allontanava. Non se ne era accorto, ma sì, dopo aver parlato con lei si era sentito meglio, più in pace.
“Sono stato un idiota tutto questo tempo”, si disse.
 
Seduta sul suo letto, Harumi rilesse il testo sorridendo, sfiorando le parole come se potesse toccare i visi dei ragazzi che l’avevano scritta.
Una strofa in particolare aveva attirato la sua attenzione, era quella scritta da Satsuki, ormai riconosceva la sua scrittura al primo colpo.
 
And after all that’s been said and done
you're just a part of me I can't let go
Couldn't stand to be kept away
Just for the day
From your body
Wouldn't want to be swept away
Far away from the one that I love
 
Perchè quelle parole le lasciavano una strana sensazione alla bocca dello stomaco?

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Capitolo 8
*** Fever ***


Nota dell’autrice:
E rieccomi qui! :D non metterò molte note perché non voglio spoilerare, quindi ci rivediamo alla fine del capitolo. Vorrei solo dire che sono una persona orribile e non avevo fatto nessun regalo di compleanno alla mia neesan, aka pinky_neko, quiiiindi per farmi perdonare (tipregoperdonami) le dedico questo capitolo sul suo personaggio preferito :3 e so già che intanto ci sarà una certa Lyel che sghignazza beatamente leggendo questo messaggio pfffffft
Canzone: Fever (by Adam Lambert)

 
Shinomiya Natsuki 15 (basso)- Reiko 14 (batteria)
Ichinose Hayato 17 (voce)- Rui 16 (voce)
Aijima Harumi 14 (tastiera)
Jinguji Maiyumi 16(voce/piano)
Ittoki Hikaru 15 (chitarra/chitarra elettrica)- Aya 5
Kurusu Aoi e Nei 17 (violini/violini elettrici)- Yuu 10- Kimi 5
Hijirikawa Kaito 17 (voce/sax)
***********
 
 
La palestra era quasi completamente buia, se non per la poca luce che entrava dalle serrande chiuse.
Le prove erano finite già da un più di mezzora, eppure non era il silenzio a regnare nell’edificio; parole smorzate. Sospiri carichi di desiderio, gemiti di dolore e piacere riecheggiavano tra una parete e l’altra.
«N-non dovremmo», ansimò una voce flebile, affannata e tremante, dopo la quale un’altra si mise a ridere leggermente.
«E chi ce lo impedisce?».
«È... la palestra dove proviamo».
«Appunto».
Per un po’ non parlarono più, trovando altri modi per tenere le bocche impegnate. Poi i sospiri aumentarono, così come il rumore di pelle che si strofina contro altra pelle. Delle due persone una restava in silenzio, solo il suo respiro affannato a tradire la sua presenza, l’altra invece tentava invano di soffocare i gemiti e i sospiri che uscivano involontariamente dalla sua gola.
«T-ti prego», mormorò con voce strozzata, ripetendolo più implorante.
«Non trattenerti».
Ben presto la palestra vuota si riempì di gemiti più forti, sospiri più vicini, lo strofinio più rapido…
«M-Mikaeru… Mik p-per favore».
«Ti faccio male?»
«No! T-Ti prego… di più…»
Un’altra risatina si sentì nella penombra della stanza, insieme al rumore di baci e labbra che succhiano la pelle.
«M-Mik…»
«Shhh, rilassati, va tutto bene… Nei-chan».
 
 «Nei, sveglia! Seriamente, c’è proprio bisogno di chiamare zio Ai per svegliarti?», sbuffò Aoi mentre scuoteva il fratello ancora disteso nel letto, leggermente preoccupato dal colorito vermiglio che avevano preso le guance dell’altro e dal respiro affannoso. «Nei!».
L’interpellato sussultò e scattò a sedere, spalancando gli occhi e facendo respiri profondi per recuperare la calma.
Erano già passati due anni, eppure quel ricordo era ancora così vivido nella sua memoria da tornare così forte nei suoi sogni.
«Stai bene?», gli chiese il gemello, preoccupato.
Nei alzò lo sguardo su di lui e sorrise, riprendendo il controllo di sé: «Benissimo», replicò divincolandosi per uscire dalle coperte e correndo in bagno: sognava quel ricordo ad ogni anniversario dell'accaduto, praticamente, e ogni volta era schifosamente reale.
 
Durante le prove il telefono di Nei continuò a squillare insistentemente, ma lui l’aveva lasciato in vibrazione nel borsone, e lì rimase anche nel pomeriggio quando il povero ragazzo fu sequestrato da Kaito e obbligato a due ore di ripetizioni.
Era sera quando finalmente riuscì a prendere il malefico oggetto.
Sullo schermo apparvero almeno una decina di chiamate perse da una persone che non pensava l’avrebbe mai più richiamato, e soprattutto non tutte quelle volte.
Mikaeru.
Possibile che solo il suo nome riuscisse ancora a fargli male?
«Nei, fra poco riprendiamo le prove», lo informò Maiyumi passando di fianco a lui e mettendogli una mano su una spalla. «Kai-kun ti ha traumatizzato così tanto con le ripetizioni?», scherzò, mentre i suoi occhi azzurri sembravano scannerizzare ogni singola microespressione del suo volto. «Sei strano».
Tipico di Maiyumi: sfottere l’altra persona quando in realtà.
«Sto bene, ma il tuo ragazzo è un pazzo psicopatico che bisognerebbe seriamente mettere sotto controllo clinico», rispose lui, sforzandosi di fare una risatina alla quale lei rispose con un sorrisetto.
«Peccato che non sia il mio ragazzo», commentò lei, tornando stranamente seria e sorridendo più dolcemente.
«Questione di tempo, credimi».
«Hah, certo. È di mister castità Hijirikawa che parliamo», sbuffò lei scuotendo la testa e stiracchiandosi.
«Tanto casto non è, dato che tuo padre l’ha addestrato», la incoraggiò lui, sospirando.
Aveva degli autentici imbecilli come compagni di band: gli unici che effettivamente avevano concluso qualcosa erano Hikaru e Reiko e in qualche modo Aoi e Hayato che non avevano dichiarato nulla ma ormai tutti sapevano.
«Mmhm, l’ha addestrato a flirtare e far cadere la gente ai suoi piedi, ma non a capire qualcosa dei suoi sentimenti, o di quelli degli altri. In quello è un disastro».
«Allora fai tu il primo pa-- Ah! Scusa, devo rispondere!», il telefono di Nei aveva ricominciato a squillare, e lui si allontanò di corsa raggiungendo un punto isolato dove finalmente poteva parlare.
«Mik!», sapeva che la sua voce suonava troppo felice ed entusiasta, ma non poteva farci nulla. «Perché mi chiami?».
La risposta non fu certo quella che si aspettava. Aveva sentito Mikaeru in mille modi: indifferente, triste, felice, anche che voce aveva nell’intimità. Ma mai, mai l’aveva sentito così agitato.
«Nei, Nei… Oh my God I messed it up. Nei, ho fatto un casino!»
Il ragazzo si pietrificò in mezzo al corridoio vuoto e deserto, con il telefono premuto all’orecchio.
«Che cosa…? Mikaeru? Che è successo?!».
«Fuck!».
Non aveva mai sentito il ragazzo imprecare o urlare o così vicino alle lacrime.
«Mikaeru!».
«È… è incinta! I knocked her up!»
Non aveva idea di cosa volesse dire quello che aveva detto in inglese, ma aveva capito abbastanza chiaramente cosa significasse dire la prima frase.
«Chi è incinta?!», ripeté Nei, guardandosi intorno per controllare che non ci fosse nessuno intorno.
«Lei… io… cioè Jeanne!».
Il nome non gli diceva nulla, ma la disperazione nella voce di Mikaeru lo stava colpendo come tanti pugni nello stomaco.
«Mikaeru, accidenti, calmati! Che cosa…».
La linea cadde. Credito esaurito.
«Merda!».
Le mani di Nei tremavano mentre si guardava intorno, sconvolto. Ovviamente una chiamata dall’Inghilterra era costosa per chi chiamava e riceveva, e lui non aveva mai il telefono eccessivamente carico di credito.
Corse più veloce che poteva in sala prove, arrivando ansimante e senza voce.
«Nei!», esclamò Aoi, scattando in piedi, seguito a ruota da Hayato.
«Dammi il cellulare!», urlò lui, fissando il gemello negli occhi, tentando di fargli capire l’urgenza.
«Che succede?».
Non andava bene così: stava facendo preoccupare Aoi e le occhiate di Hayato già lo mettevano in guardia.
«N-Niente di grave, ma è urgente! Dammi il telefono!».
«È spento».
Nei stava per avere una crisi isterica quando si trovò il telefonino nero di Kaito premuto in mano e il ragazzo lo spinse di nuovo via.
«Devo chiamare all’estero!», lo avvisò, con aria di scuse.
«Lo ricaricherò. Muoviti, poi si prova».
Tornò fuori di corsa e telefonò di nuovo a Mikaeru.
«Ti chiamo su Skype, così costa troppo!», fu la risposta rapida e allarmata del ragazzo appena gli rispose.
Per un momento Nei si chiese se il suo panico di quel momento potesse trasmettersi anche ad Aoi e aggravare la sua situazione, e fu sul punto di crollare.
Poi finalmente il suo telefono ricominciò a squillare e finalmente riuscì a rispondere, ringraziando il wifi gratis che gli era stato garantito.
«Ok. Jeanne è la mia partner in quasi tutte le nostre coreografie, e… siamo anche amici, o-ok?», Mikaeru sembrava aver ritrovato la capacità di parlare, ma al contrario Nei sentiva di averla persa totalmente.
«Ok», sussurrò, incerto.
«Q-qualche settimana fa… no, forse un mese, o… oddio nemmeno mi ricordo! O-ok c’è stata una festa e… eravamo ubriachi. Io non bevo quasi mai, non so nemmeno perché ero ubriaco! Ma… siamo finiti a letto insieme e… e lei adesso è incinta! Nei che cosa devo fare?!».
Nei non rispose. Fissava davanti a sé e non vedeva, sentiva la voce di Mikaeru ma non lo stava ascoltando del tutto.
La sua mente andò a due anni prima, ai tocchi di Mikaeru, alla sensazione di lui sopra e dentro di sé.
Qualcun altro aveva provato la stessa cosa. Quella ragazza aveva sentito quello che aveva sentito lui, forse anche in maniera più… giusta.
Il pensiero gli fece contorcere lo stomaco e lui si rannicchiò a terra, inorridito.
«N-Nei?».
«Avevi promesso», sussurrò Nei, mordendosi le labbra e poi passandovi la lingua sopra, la bocca improvvisamente secca. «Avevi promesso che…».
«Lo so. Lo so cosa ti avevo promesso, Nei. Ma avevo sedici anni».
«Io quindici».
«Gli errori capitano», sospirò l’altro, con abbastanza tristezza nella voce da confortare minimamente Mikaeru.
«Ero io l’errore? O è lei?», sussurrò, vulnerabile, senza accorgersi di aver iniziato a piangere.
«Non posso tornare indietro adesso».
«Lo so».
Conosceva Mikaeru e sapeva che il ragazzo riconosceva i propri errori e si prendeva le sue responsabilità, ma non si era mai cacciato in qualcosa di così grave.
«Cielo, Mik ma dove hai il cervello? L’hai detto a tuo padre?».
«Sei pazzo? No!».
Anche questo non era da lui. Nascondere qualcosa ad Ai? Era la stupidaggine più grande da fare.
«N-Non glielo nasconderò a lungo, p-promesso. Solo… non so che fare, Nei».
«Perché hai chiamato me?».
«Perché…», l’altro esitò. «Meritavi di saperlo?».
Nei cacciò fuori una risata che sembrò isterica anche a lui.
«Sapere che non tornerai mai da me? C’ero arrivato, Mikaeru. C’ero arrivato già quando te ne sei andato. E non preoccuparti, tecnicamente questo  non è nemmeno tradimento. Ci siamo lasciati poco prima che salissi su quell’aereo».
 
«Ti hanno preso?».
La domanda fu pronunciata all’unisono dai tre ragazzi seduti a terra vicino a un quarto ragazzo dai capelli color ciano e il sorriso carico d’emozione e impazienza.
«Sì!».
Aoi sorrise e abbracciò l’amico, seguito a ruota dall’unica ragazza del gruppo, Lux Kisaragi, che si impadronì del cugino e iniziò a saltare con lui urlando di felicità.
Solo Nei era accigliato nel guardarlo.
«La… Royal Ballet?», mormorò, inclinando il capo. «I-Inghilterra?».
Iniziava a girargli la testa.
Lui e Mikaeru ballavano insieme da anni e nonostante tutti i suoi tentativi di non cedere agli sguardi e i rari sorrisi dell’altro, una settimana prima del suo quattordicesimo compleanno, erano rimasti per ultimi nella palestra a provare, poi erano crollati entrambi a terra, affannati e sudati. Avevano iniziato a parlare, scherzare... poi era iniziato tutto quasi per gioco.
La loro storia era andata avanti in segreto per quasi un anno in quanto Nei non aveva mai detto nulla a nessuno, nemmeno ad Aoi, e così Mikaeru.
Forse Ai si era accorto di qualcosa, ma non gliene aveva mai parlato.
«Nei? Che c’è?», chiese Lux, inclinando il capo e subito I suoi capelli uguali a quelli di Mikaeru le scivolarono davanti al viso.
«Ehm io… non mi sento molto bene, credo», bofonchiò con un sorrisino tirato. «Credo di dover andare in bagno».
«Ti ac…», aveva iniziato Aoi, ma Mikaeru l’aveva bloccato sorridendogli e dicendogli che lui e Lux avrebbero fatto meglio a iniziare a provare il loro passo, visto che continuavano a non riuscire a farlo, e lui si sarebbe occupato di Nei.
Una volta in bagno, il minore era crollato.
«Inghilterra, Mik?».
«Lo so, ma…».
«Ma? Ma esiste Skype?», chiese miseramente, guardandolo negli occhi prima di serrare i pugni e colpirlo sul petto. Mikaeru replicò circondandolo con le braccia e stringendolo a sé.
«No, Nei. Scusami. Non so nemmeno io come fare, va bene? Ma non posso… non posso rinunciare, o forse sì? Non lo so!».
Non lo sapeva nemmeno lui. Aveva solo quindici anni e Mikaeru era stato l’unico che avesse mai amato fino a quel momento, se poteva parlare di amore lui, che magari non aveva idea di cosa fosse in realtà l’amore.
«Non rinunciare», sospirò alla fine. Mikaeru era sorpreso. «Siamo sinceri, ok? Io ho quindici anni e tu sedici, fra noi due è…» fece una smorfia, cercando le parole, ma alla fine il piccolo sorrisino che gli era cresciuto sulle labbra crollò, «una delle cose migliori che mi siano mai successe, ma non sappiamo se durerà. Io quasi non ci credo, quindi non rinunciare a questo, per me, ve bene?».
Mikaeru aveva risposto baciandolo e tenendolo stretto, e da quel giorno, fino al momento della partenza, i loro incontri erano diventati più numerosi e non sembravano volersi separare mai.
Poi però era arrivata l’ora per Mikaeru di andarsene.
All’aeroporto, in qualche modo, si erano ritrovati soli, impacciati e senza sapere cosa dirsi.
«Mik, io… mi dispiace, non voglio farti andare in Inghilterra restando legato a me. Non ci vedremo quasi mai e non è giusto che io ti trattenga».
Mikaeru aveva annuito:
«Non è giusto nemmeno per te».
A quello Nei non aveva pensato, dava per scontato che non gli sarebbe piaciuto più nessuno, così aveva solo fatto spallucce e continuato il suo discorso:
«Non sarebbe giusto, quindi… finiamola qui, così, va bene? Io…», “ti amo”, avrebbe voluto dire, ma si fermò e deglutì. «Ti voglio bene, ma fermiamoci qui».
«Va bene, e se quando tornerò tu sarai ancora libero…», il sorrisetto di Mikaeru fece arrossire Nei, che non riuscì più a resistere e lo abbracciò, tenendolo più stretto del dovuto, sorridendo appena quando il maggiore ricambiò il suo gesto.
«Prometti?».
«Se mi vorrai ancora, tornerò. Te lo prometto».
 
Mikaeru doveva aver detto qualcosa mentre Nei era perso nei suoi ricordi, perché la voce dell’altro ora lo chiamava con urgenza alla realtà.
«S-Scusa, non ho sentito».
«Ti ho solo chiesto scusa, Nei. Avrei voluto mantenere quella promessa, avrei voluto…».
«Ok, non importa. So che avresti voluto ma… adesso c’è un bambino o bambina di mezzo, e noi due siamo cresciuti. Finiamola qua, del tutto stavolta. Niente promesse».
Fra loro due, in fondo, non avrebbe potuto funzionare.
Nei non credeva nell’amore, si era illuso per un po’ di tempo al fianco di Mikaeru, ma ora era consapevole della realtà. C’erano solo persone innamorate dell’amore, che fingevano di essere innamorate. Ma l’amore non esisteva.
A tenere insieme due persone erano solo il rispetto, l’amicizia, l’affetto, a volte anche la convenienza, ma non l’amore. Non aveva mai avuto esempi concreti di quel sentimento, dopotutto.
Quando riattaccò il telefono si assicurò di asciugarsi le lacrime e far sparire il rossore dagli occhi prima di tornare dagli altri, ignorando le domande insistenti di Aoi o rigirandogliele contro quando ci riusciva, alla fine il gemello si arrese, riconoscendo quando era il momento di non superare il limite con lui.
Nessuno gli fece notare che rimase assente per tutte le prove, seguendo a malapena sia lo spartito che Aoi, od osò fargli domande.
Solo quella notte, quando finalmente fu al sicuro sotto le coperte, rotolò fino a scontrarsi con il corpo del gemello rannicchiandosi contro di lui e iniziando a piangere silenziosamente fra le sue braccia.
«Nei, mi puoi dire che succede?».
«Una stupidaggine, in realtà, solo che ci sono rimasto male. Mi conosci, no?», bofonchiò, e Aoi si fece bastare quella risposta a malincuore.
 
«Ho una canzone per te».
Hayato si voltò sorpreso verso Nei: mancavano due giorni al loro concerto, non era da lui presentargli una canzone senza un motivo preciso.
«Per me?».
«Più o meno… In realtà ho bisogno di un favore».
Hayato gli fece cenno di sedersi vicino a lui e si accigliò. Anche lui era preoccupato per l’amico, ma aveva imparato a non forzarlo a rispondere alle sue domande, sapendo che non avrebbe ottenuto nulla.
«Cosa devo fare?».
«Cantala a questo concerto».
Mancò poco che il leader del gruppo collassasse davanti a quella richiesta, ma di fronte allo sguardo serio e determinato di Nei si ritrovò ad annuire, prendendo il testo che l’altro gli porgeva.
«Mi aiuti tu a provarlo?».
 
La sera del concerto, Nei era più nervoso di ogni altra volta, continuava a camminare lungo il camerino e a prendere respiri profondi.
Non funzionò e suo malgrado si ritrovò in bagno insieme a Hikaru, vomitando quel po’ di cena che era riuscito a ingoiare, mentre l’altro se ne stava rannicchiato vicino alla porta mordicchiandosi le unghie.
«Non sei mai stato così agitato», notò nervosamente Hikaru, osservandolo mentre si ricomponeva davanti allo specchio. «Sicuro di non stare male?».
«Sicuro, Hika-chan, solo… a volte il nervosismo prende anche me». Nei gli sorrise a stento, mentre la gamba sinistra ricominciava a tremargli.
«Beh, dai, dopotutto è solo un concerto e abbiamo provato come non mai, quindi…».
«Stai rassicurando me o te stesso?», ghignò il maggiore. Hikaru fece una risatina nervosa, prima di ammettere di non essere certo della risposta. «Mmh, Hika?», lo richiamò Nei, riprendendo a tremare come una foglia, e il rosso gli fu accanto in un attimo, preoccupato. «Hai presente gli abbracci che ti dà Kaito quando sei nel panico pre-concerto? Credo che non me ne dispiacerebbe uno adesso», disse  sorridendo imbarazzato, ma il minore non si fece scrupoli: lo abbracciò prima ancora che potesse finire di parlare e non lo lasciò andare finché non lo sentì smettere di tremare.
Non ripeté “è solo un concerto”, perché aveva intuito che per Nei qualcosa quella sera lo rendeva diverso.
Quel qualcosa - anche se Hikaru non poteva saperlo - era una conversazione avuta per messaggio con un ragazzo che entrambi conoscevano bene.
Dopo giorni di caos per Nei, il quale aveva difficoltà anche solo a ricordarli, il ragazzo aveva realizzato che sì, doveva rinunciare a Mikaeru perché era la cosa giusta da fare, ma no, non l’avrebbe fatto senza avergli mai detto ciò che provava veramente.
Ecco perché aveva dato quella canzone ad Hayato, il quale aveva lavorato giorno e notte per impararla perfettamente in tempo per quel concerto, e poi aveva scritto a Mikaeru.
 
Abbiamo un concerto questo sabato. Fai in modo di vederlo.
 
L’altro aveva promesso di farlo ma, in tutta onestà, Nei iniziava a dubitare delle sue promesse.
«Hey, abbiamo ancora un po’ di tempo, vieni di là», sorrise Hikaru trascinandolo fuori dal bagno, fino al camerino di Hayato.
Gli altri erano tutti lì e presto gli furono tutti attorno a stringerlo, persino un riluttante Satsuki.
«R-Ragazzi», sussurrò sorpreso, sorridendo.
«Non sappiamo bene cosa sia successo la settimana scorsa, ma sappiamo che non ci piace vederti stare così male», iniziò Reiko, spostandogli i capelli dalla fronte.
«E ci siamo sentiti un po’ dei vermi per non aver insistito propriamente, anche se forse tu hai preferito così», proseguì Harumi, mentre Rui annuiva.
«Quindi, prima di andare in scena, volevamo darti questo», dichiarò solennemente Kaito, sollevando un imbarazzante orsacchiotto dall’aria consumata e dal pelo ormai a chiazze.
Nei spalancò gli occhi, scoppiò a ridere incredulo e lo prese tra le mani, stringendolo poi al petto.
«Oh mio Dio, come avete fatto a ritrovarlo?!», chiese fra le risate. Quell’orso di peluche aveva una vecchia storia alle spalle: nessuno ricordava più chi fosse stato il suo primo proprietario (forse Hayato ma non era da escludere che fosse Maiyumi), ma fin da quando erano piccoli quell’orsacchiotto era passato di casa in casa, passando una settimana con il proprietario che più aveva bisogno di lui.
Tutti loro si erano confidati con quell’orsacchiotto almeno una volta, era il custode di tutti i loro segreti, e per anni avevano creduto che fosse sparito poiché nessuno era stato in grado di ritrovarlo (e persino Ren, Natsuki e Masato erano stati mobilitati nelle sue ricerche grazie agli occhioni dolci dei rispettivi figli).
«Ti racconteremo di come l’abbiamo ritrovato», sorrise Hayato pizzicandogli una guancia. «Sappi che è una storia che parla di scantinati, soffitte, ricerche sotto il letto di Satsuki e molto altro».
Ormai Nei rideva e non tremava più, mentre stringeva forte quello stupido peluche.
Non aveva mai avuto un nome - o forse ne aveva avuto uno ma nessuno si era più curato di dargliene un altro.
«Santo cielo», ghignò.
«In scena fra quattro minuti», comunicò una voce dalla soglia, e i ragazzi sussultarono di sorpresa.
«Zio Ai?», chiese Aoi, inclinando il capo. «Che ci fai qui?».
Nei fece una smorfia e le sue dita si strinsero attorno al peluche: lui aveva una vaga idea del motivo.
«Augurarvi buona fortuna e rubarvi Nei per meno di due minuti», rispose l’uomo senza scomporsi. L’interpellato d’altra parte tornò ad avere l’aria di chi sta per svenire.
«Arrivo», mormorò, seguendolo fuori dal camerino come un condannato segue il proprio boia, o qualcosa del genere. «Mik ha chiamato anche te?», tentò, giocherellando col peluche.
«Sì».
«E sei tanto deluso da lui?», non sapeva bene perché glielo stesse chiedendo, ma ormai era fatta.
«Pensavo di avergli spiegato come si fa a evitare certe situazioni, ma ormai quello che è fatto è fatto e lui può solo prendersi le sue responsabilità».
«Perché sei venuto da me?».
A quel punto la risposta di Ai fu così chiara nei suoi occhi che Nei avvampò realizzando che anni e anni di bugie e segreti con lui non erano servite a nulla.
«Sto bene, non siamo mai stati nulla di serio, dopo tutto».
«A giudicare da come stai in questo momento, direi che non è vero».
Colpito e affondato.
Nei continuò a parlare con Ai, rilassandosi leggermente. Nel frattempo gli altri Starkids discutevano fra di loro, nonostante Aoi continuasse a lanciare occhiate nervose alla porta, aspettando con una certa ansia che il gemello tornasse.
«Vorrei sapere cosa c’è che non va», confessò quando Hayato gli fu accanto, con una mano sul suo braccio.
«Mhm forse… Aoi, Nei ha mai avuto qualche storia con qualcuno?».
La richiesta di Nei era stata tanto assurda che Hayato l’aveva accontentato immediatamente, ma per imparare la canzone aveva dovuto leggere il testo, ovviamente, e dentro di sé aveva iniziato a intuire qualcosa.
La prima parola del testo gli aveva rivelato il motivo per cui Nei aveva dato a lui il testo, invece che cantarlo lui stesso.
«No, mai nessuno. Me l’avrebbe detto, altrimenti. O almeno credo…», replicò l’altro, sospirando.
“Mi sa che stavolta ti sbagli, piccolo”, pensò Hayato accigliandosi.
«Ok, si va in scena», annunciò Kaito non appena Nei ricomparve sulla porta e sistemò l’orsacchiotto su una sedia.
Corsero sul palco uno dopo l’altro, salutati dalle grida e gli applausi delle fan, e tutti gli Starkids non poterono fare a meno di notare che Nei sembrava infinitamente più tranquillo di prima.
Quando finalmente fu l’ora per Hayato di prendere in mano il microfono e dichiarare di avere una piccola sorpresa non programmata, Nei alzò lo sguardo verso una telecamera e ammiccò, sorridendo divertito.
Ormai aveva scelto di ballare e Hayato l’avrebbe aiutato a far arrivare il suo messaggio fino a lui.
 
There he goes
My baby walks so slow
Sexual tic-tac-toe
Yeah, I know we both know
It isn't time, no
But could you be mine?
 
Le fan ruggivano esaltate mentre Hayato provocava palesemente Aoi che allo stesso tempo lanciava occhiate al gemello. Per una volta Nei scelse di ignorarlo, decidendo che gli avrebbe spiegato tutto una volta nascosti sotto le coperte, quando con il disperdersi dell’euforia del concerto le oro orecchie avessero smesso di fischiare  e le loro gambe di tremare.
Non aveva voluto cantare lui quella canzone perché non era ancora pronto ad annunciare a tutti i suoi sentimenti, li aveva da poco realizzati lui, ed era già troppo tardi.
Si stava dichiarando attraverso Hayato, ma solo Mikaeru l’avrebbe saputo.
Gli tornò in mente l’ultima domanda che Ai gli aveva posto.
“Hai intenzione di dirgli che in realtà non vuoi rinunciare a lui?”.
Sì, aveva intenzione di dirglielo. Glielo stava dicendo. Non sarebbe cambiato nulla, Mikaeru sarebbe rimasto con quella ragazza e avrebbe cresciuto suo figlio o sua figlia, ma almeno avrebbe saputo che Nei non aveva cambiato idea.
E quando Lux, che una volta era stata sua compagna di danza e ora era una dei ballerini che si esibivano durante i loro concerti aumentando la loro scenografia, gli si avvicinò e gli sorrise, reagire alle sue mosse come aveva già fatto in passato risultò meno difficile delle altre volte.
Poteva fingere per le fan, poteva giocare a provocare e lasciarsi provocare, ma Mikaeru avrebbe sempre saputo la verità.
 
Oh baby, light's on
But your mom's not home
I'm sick of laying down alone, hey
With this fever, fever, yeah
My one and own
I wanna get you alone
Give you fever, fever, yeah!



 
*****************
Note dell’autrice: ed eccoci qua ^^ ho alzato un po’ il rating della storia sia per questo capitolo ma anche per qualcos’altro che deve ancora venire … non raggiungerò il rosso, per quello ho già un’altra raccolta pffft.
Comunque sono qui per gli annunci ufficiali ahaha finalmente si sa qualcosa di più su Nei e sulla sua visione nei confronti dell’amore, quanto all’altro personaggio, vi suggerirei di tenerlo d’occhio, perché ho progetti futuri anche per lui :3 per farmi perdonare del mio mastodontico ritardo negli aggiornamenti, ho intenzione di presentarvi una piccola anteprima per una prossima raccolta su questo stile, mi limiterò a darvi i nomi dei protagonisti ^^
-Evelyn Kisaragi
-Ayame Kotobuki
-Takeshi Kurosaki
-Mikaeru Mikaze
-Eiji Onpa
Beeeene, ci vediamo al prossimo capitolo, ladies and gentlemen!
Baci,
Starishadow

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Capitolo 9
*** Never kiss on first dates ***


E rieccoci qui!! Lo so, stento a crederci anch’io .-. mi dispiace per l’attesa, università e altri problemi del genere si sono intromessi come al solito. Tenete conto che questo capitolo è ambientato qualche mese (quasi un anno) dopo gli avvenimenti dei capitoli precedenti, infatti potete notare nello specchietto che alcune età sono cambiate, considerando i compleanni nel corso degli anni. Come avevo predetto all’inizio della raccolta, le storie sono ambientate in momenti diversi della vita dei ragazzi, ma finora non l’avevo ancora fatto, e più o meno le storie erano abbastanza ravvicinate… quindi, stop agli indugi e iniziamo!
Vi lascio quindi al capitolo e al solito
 
Specchietto dei personaggi:
Shinomiya Satsuki 16 (basso) - Reiko 14 (batteria)
Ichinose Hayato 18 (voce) - Rui 16 (voce)
Aijima Harumi 14 (tastiera)
Jinguji Maiyumi 17 (voce/piano)
Ittoki Hikaru 16 (chitarra/ chitarra elettrica) - Aya 5
Kurusu Aoi e Nei 18 (violini/violini elettrici) -  Yuu  10 -  Kimi  5
Hijirikawa Kaito 18 (voce/sax)
Menzionati:
Evelyn Kisaragi (22) - Lux (16)
Ayame Kotobuki (22)

 
«Io ancora stento a crederci», dichiarò Hayato, gli occhi sgranati e le labbra arricciate in una smorfia a metà fra un sorriso e un broncio - come ci riuscisse rimaneva un mistero per gli altri.
Le sue parole non vennero nemmeno sentite dal gruppetto di ragazze che si affaccendava davanti allo specchio nella camera di Rui.
«Mmh, forse sarebbero meglio quelli neri… Rei-chan, andresti a prenderli? Sono nella busta là vicino alla porta».
«Io nemmeno pensavo che ti piacessero i ragazzi!», continuò il ragazzo, imperterrito nella sua incredulità, mentre Maiyumi e Harumi sistemavano reciprocamente il trucco e i capelli di Rui, in piedi in mezzo a loro con l’aria di chi si trova non poco a disagio, ma è disposto a sopportare.
«Mi piacciono anche i ragazzi», rispose poi, quando Maiyumi allontanò il pennellino dell’eye-liner dalla sua faccia.
«Aspetta… davvero?».
Il poveretto era sempre più scioccato dalle rivelazioni su sua sorella, ancora incapace di stare al passo con tutte le novità dell’ultimo mese.
«Che c’è, volevi il ruolo di “unico bisessuale di casa”?», ghignò Rui senza alcuna pietà, ignorando l’occhiataccia di Maiyumi che aspettava di potersi rimettere all’opera sull’altro occhio dell’amica. «Perché credo tu abbia già perso in partenza con papà».
«Anche papà è…??».
«Rui-chan, dagli una tregua», intervenne Aoi, con una risatina mentre compariva sulla porta con una serie di buste e vestiti fra le braccia. «L’unica cosa che Hayato non ha mai avuto è il gaydar».
«Il mio gaydar funziona benissimo!».
«Pensavi che Hikaru fosse gay».
«Non lo è?».
Il rumore di una scatola che cade e qualcosa che rotola fuori fu la risposta di Reiko a tale affermazione.
«Reiko! Attenta a quegli stivaletti, ti prego! Sono i miei preferiti… Vale anche per te, Rui: te li presto, ma devi trattarli meglio di come tratteresti i tuoi piedi».
«Scusate?? Io qui sto scoprendo che praticamente l’unica persona etero di questa casa è mia madre, e voi  vi comportate come se fosse la cosa più normale del mondo??», intervenne Hayato, drammaticamente, solo per poi trovarsi un reggiseno nero e di pizzo in faccia. «Che schifo, Maimi!!».
«Vedi di finirla, se lo stai scoprendo adesso è solo perché non sei capace di vedere più in là del tuo naso! Ora metti giù quel reggiseno, pervertito. E piantala di fare la reginetta, oggi la protagonista è Rui-chan!».
«Che non aveva chiesto niente di tutto questo», borbottò la diretta interessata, chiudendo gli occhi per permettere alla migliore amica di completare l’opera, sperando che quella tortura finisse presto.
Sapeva che far sapere a Maiyumi del suo appuntamento sarebbe stata una pessima idea, lo sapeva benissimo, ma allo stesso tempo le era stato impossibile non rivolgersi a lei per ricevere qualche aiuto: non era mai stata invitata a uscire, prima di allora, e non aveva la più pallida idea di come funzionasse un appuntamento.
Chiedere ad Hayato era fuori discussione, innanzitutto perché era un ragazzo, in secondo luogo perché avrebbe reso tutto quanto una questione ben più grossa di quello che realmente era… anche se, ripensandoci, avrebbe dovuto immaginare che anche Maiyumi avrebbe reagito così.
Tempo un giorno, e tutti gli Starkids erano stati mobilitati per “la sua grande serata”, che poi alla fine consisteva solo di una passeggiata e un film al cinema, ma non c’era stato verso di farglielo capire.
«Ecco fatto, tesoro! Il mio capolavoro è finito, Hari-chan, tu con i capelli hai fatto?».
«Ultimo ritocco, Maimi… Okay, perfetto! Ora puoi guardarti, Rui-chan!».
La ragazza l’avrebbe fatto volentieri, se un grosso telo nero non avesse coperto il suo specchio. Lanciò un’occhiataccia a Maiyumi, che scoppiò a ridere e si affrettò a scoprirlo, rivelandole il suo riflesso che - nonostante tutto - la lasciò a bocca aperta.
«Ma che…??».
Il vestitino di pelle nero che Aoi le aveva procurato dopo ore e ore di ricerca negli armadi di tutte le ragazze della famiglia - le loro “cugine” Evelyn, Ayame e Lux comprese - le cadeva addosso meglio di come facevano molti dei suoi vestiti, stringendo nel modo giusto sul petto e cadendo morbidamente sui fianchi, le calze velate nere non sembravano, come aveva temuto, quelle di una vedova anziana con le vene varicose, al contrario attribuivano un che di… sexy all’outfit. I beneamati stivaletti col tacco di Maiyumi, infine, completavano il tutto.
E Harumi aveva persino compiuto il miracolo di rendere ondulati i suoi capelli!
«W-Wow», sussurrò, ancora incredula, e dal riflesso vide l’espressione di Hayato identica alla sua.
«Che ti dicevo, stellina? Quando i sondaggi su chi è più attraente mettono me prima di te, è solo perché ti ostini a non darmi retta nel vestirti!», gongolò Maiyumi, che in quel momento le ricordava pericolosamente una mamma orgogliosa.
«Hey, io le scelgo i migliori outfit!», protestò Aoi, sedendosi accanto ad Hayato e facendogli richiudere la bocca con una mano sotto il mento. «Però sì, quando non siamo in concerto o altro, Rui-chan, sei un disastro nel vestirti».
«P-Perché mi piacciono i vestiti di Hayato», mormorò timidamente l’altra.
Non era abituata a sentirsi così scoperta quando non si trovava su un palco, e presto cominciò ad armeggiare con l’orlo del vestito, tentando di allungarlo almeno un pochino.
«Ah, ah! Non farlo, Rui-chan! Evelyn ha minacciato di usare lo scettro di zio Camus per picchiarti se glielo slabbri, io non la metterei alla prova!», scattò Reiko, che nutriva un non così segreto terrore per Camus e tutto il resto della sua famiglia.
«Va bene… manca mezzora, che faccio in mezzora?».
«Vieni di sotto con noi e ti fai insegnare tutti i trucchi del mestiere da me, Kaito e Nei!», replicò allegramente Maiyumi, con tono che non ammetteva repliche.
«Hey, anche io sono esperto di appuntamenti», protestò Hayato, alzandosi in piedi senza riuscire realmente a togliere gli occhi di dosso alla sorella.
“Non guardarmi così”, pensò lei, affrettandosi ad abbassare lo sguardo e coprirsi la scollatura a cuore come meglio poteva, affrettandosi verso la porta. “E non mi servono i tuoi consigli, conosco già i tuoi metodi…”.
«Hayato, tesoro, caro, fratellone preferito anche se non siamo fratelli… no. I tuoi consigli fanno schifo, e qui dentro tutti possono confermarlo. Stai zitto e limitati a sostenere tua sorella», Maiyumi fu rapida a rimetterlo al suo posto, impassibile e schietta, assottigliando subito dopo lo sguardo nel vedere Rui che barcollava verso la porta. «Letteralmente, dalle il braccio e reggila perché prevedo una bella caduta dalle scale che rovinerebbe tutto il fascino dell’outfit».
«Maiyumi, ti odio». Nonostante il tono cupo e minaccioso, Rui era perfettamente consapevole che le parole dell’amica erano più che vere. Forse avrebbe dovuto rinunciare ai tacchi, dopotutto stava molto bene anche con le sue converse nere e sbrindellate, no?
Un solo sguardo ai presenti nella stanza, che sembravano averle letto nel pensiero, bastò a farle passare la voglia.
Decise che quella sarebbe stata l’ultima volta che chiedeva aiuto per qualcosa.
 
«Wow!».
«Rui-nee! Sei bellissima!».
«Non è di Evelyn, quello?».
«Dove ti eri nascosta, fino ad ora?».
I quattro membri mancanti degli Starkids si alzarono in piedi contemporaneamente, tutti con le stesse espressioni sorprese e ammirate stampate sul viso - beh, forse quella di Satsuki era un pelo più disinteressata delle altre, ma comunque rientrava nella fascia dell’ “incuriosito”.
«Non è uno splendore?», gongolò Maiyumi, andando poi ad affiancare Kaito e appoggiandosi a lui con un sorrisino che effettivamente poteva rivaleggiare quello di una madre alla prima recita della figlia, o cose del genere.
«Assolutamente», concordò il ragazzo, sorridendo mentre abbassava lo sguardo verso di lei. «Ma continuo a preferire la sua make-up artist», aggiunse con naturalezza, ridacchiando quando la vide arrossire quasi impercettibilmente, bofonchiando “stai zitto” con ben poca convinzione.
«Ora manca solo la cosa più importante!», intervenne Reiko vivacemente, accomodandosi sul divano più vicino. «I consigli da appuntamento! Il mio è “non mangiare cipolla”».
Il silenzio che pervase il resto del gruppo parve metterla a disagio, al punto che si trovò a bofonchiare delle scuse a mezza voce.
«No, no, in effetti è un buon consiglio… non ti avrei baciata al primo appuntamento se avessi davvero ordinato quella schifezza piena di cipolle», intervenne Hikaru, andando a sedersi vicino a lei e mettendole un braccio attorno alle spalle, prendendola in giro affettuosamente. «Evita anche aglio o pesce, magari… E qualsiasi cosa a cui lui potrebbe essere allergico».
Rui in quel momento avrebbe tanto, tanto, voluto non essere lì. Era già stato abbastanza imbarazzante l’interesse dimostrato da tutti per il suo outfit e i dettagli del suo appuntamento, quello era troppo.
«Non serve che---».
«Ricordati di sorridere, ma non in maniera inquietante come se volessi accoltellarlo da un momento all’altro…».
«Grazie tante, Nei», Rui alzò gli occhi al cielo nel dirlo, ma in effetti non aveva tenuto conto del fatto che avrebbe dovuto sorridere realmente quella sera. O meglio, sperava che le venisse spontaneo, o avrebbe dovuto forzare la sua espressione e… beh, non era mai finita bene quando faceva così.
«Ascoltalo, annuisci, fagli domande, rivela poco di te, lascia che ti rimanga del mistero addosso--», iniziò Maiyumi, elencando le cose mentre teneva il conto sulle dita, ma fu interrotta bruscamente da un Hayato particolarmente cupo:
«E fai che ti rimangano anche dei vestiti addosso».
Gli altri ragazzi protestarono rumorosamente al suo commento, e Kaito si apprestò a mollargli una scoppola dietro la nuca, ma Rui si limitò a distogliere lo sguardo e fissare le punte lucide degli stivaletti che portava ai piedi.
“Forse non è un’idea così buona… dovrei annullare”, si disse, cominciando a mordicchiarsi l’interno di una guancia, nervosamente.
«Non far caso a questo scemo, ma sì, non è una buona idea finirci subito a letto… Se non è quello a cui miri prima ancora di uscirci».
Un brivido le corse lungo la schiena.
Andare a letto? Perché avevano cominciato a tirar fuori quell’argomento?
«Non lo farò», disse a voce bassa, lo sguardo ben piantato a terra e le guance pallide che si tingevano leggermente di rosa.
Sentì Maiyumi ridacchiare e rimproverare Satsuki per averla messa in imbarazzo per poi metterle una mano sul braccio, un gesto che - con sua sorpresa - si rivelò più rassicurante del solito:
«Non sforzarti troppo, Rui-chan, resta naturale e lasciati guidare da quello che provi sul momento, vedrai che sarà un successone», le disse, sorridendole incoraggiante.
Con un respiro profondo, Rui annuì e le restituì il sorriso, riconoscente per quella rassicurazione, forse era proprio quello che aveva bisogno di sentirsi dire.
Rimasero tutti in silenzio per qualche secondo, e lei cominciò a sperare che la valanga di consigli inopportuni e imbarazzanti fosse finita, ma a quanto pare non era il suo giorno fortunato.
«Non sederti vicino a lui sul tavolo, se non hai intenzione di baciarlo».
Il gruppetto si voltò verso Aoi, fino a quel momento appollaiato tranquillamente su uno degli scalini, e lui si affrettò a spiegare:
«Ho sentito che sedersi di fronte alla persona, oltre a facilitare la conversazione, rende più difficile far scattare il bacio, perché c’è un tavolo in mezzo, invece se siete seduti vicini… Beh, è più fattibile».
Kaito alzò un sopracciglio a quelle parole, mentre Hikaru fischiava ironicamente e Hayato scoppiava a ridere.
«Quindi alla nostra prima uscita mi stavi invitando a baciarti», ghignò, per poi avvicinarsi al ragazzo sporgendo le labbra come a richiedere rumorosamente un bacio.
Un coro di risate e sfottò si alzò dal gruppo dei ragazzi, e Rui ne approfittò per defilarsi, andandosi a rifugiare in cucina.
Era nervosa per l’appuntamento, ma soprattutto aveva paura delle aspettative che si erano fatti tutti gli altri al riguardo: lei aveva accettato l’invito a uscire senza pensar bene a ciò che questo avrebbe implicato, il ragazzo l’aveva colta alla sprovvista, avvicinandosi a lei quasi timidamente dopo averle tenuto aperta la porta della biblioteca, restando seduto al suo stesso tavolo mentre studiavano, e poi, quando lei si era alzata per scappare alle prove, lui le aveva chiesto se le sarebbe piaciuto vedersi nel weekend.
Rui non aveva mai avuto un corteggiatore - o almeno, non uno che effettivamente osasse rivolgerle la parola - o qualcuno che si comportava così gentilmente con lei, e rifiutare le era sembrato assolutamente poco carino, quindi si era trovata a dire sì, e ora era in quella situazione… Non era stata troppo preoccupata, a dire il vero, finchè non era venuto fuori il discorso “bacio”.
«Hey, come mai qui da sola?».
La ragazza si voltò di scatto verso la porta, sorridendo nel vedere suo padre che entrava e la chiudeva dietro di sé, garantendo a entrambi un po’ di privacy.
«Stavano diventando troppo rumorosi», ammise lei, giocherellando con l’orlo del vestito, per poi smettere ricordandosi le minacce della sua legittima proprietaria.
Tokiya fece un sorrisino eloquente, ben abituato a cosa significava avere degli amici dall’entusiasmo facile.
«Si sono fatti prendere un po’ la mano, eh? Scommetto che Maimi aspettava questo giorno da sempre», commentò ironicamente.
«Inizio a sospettarlo anch’io, ho fatto a malapena in tempo a dirglielo, che già aveva mobilitato tutti quanti, quasi avessero una parola d’ordine per far partire le operazioni…».
Restarono entrambi in silenzio, immaginandosi la scena, e infine concordarono tacitamente che , probabilmente era andata esattamente così.
«Sei nervosa?», chiese poi l’uomo, allontanando una sedia dal tavolo con un piede e accomodandosi, facendo cenno alla figlia di fare altrettanto, e osservandola con un piccolo sorriso sulle labbra.
«Confusa», ammise lei, accigliandosi un pochino. «Non mi aveva mai invitata nessuno prima, e non so cosa fare», si strinse nelle spalle e arricciò leggermente il naso, come faceva sempre quando cercava di concentrarsi su qualcosa. «Ho accettato perché non sapevo che altro fare, ma se non mi piacesse?».
«Non sei costretta a vederlo di nuovo», si affrettò a rassicurarla Tokiya, avvicinandosi di più a lei. «Puoi provare a conoscerlo meglio e vedere come ti senti insieme a lui, cosa provi… E non sei obbligata in nessun modo a ricambiare i suoi sentimenti. Succede di piacere a persone che non ti piacciono».
Rui ne era consapevole, aveva visto Hayato e Maiyumi rifiutare educatamente altre persone, ma ora che si trovava lei nell’ipotetica posizione di doverlo fare, non era poi così sicura.
«Se provasse a baciarmi e non volessi?», chiese poi, con una vocina piccola e insicura che raramente usava con altri fuori dalla sua famiglia.
Il viso di suo padre si fece più cupo e il suo sguardo più affilato:
«In tal caso chiamami. O mollagli un pugno».
«Papà».
«Va bene, scusa! Se si sta solo avvicinando…. Oh cielo, ma perché devo dirtelo io? Questa cosa è troppo imbarazzante!».
Entrambi avvamparono furiosamente, per poi scoppiare a ridere.
«Scusa, chiederò ad Hayato».
«Forse faresti bene. Più che altro perché ho il sospetto che tuo fratello si sia sentito parecchio escluso da tutta questa storia».
“E c’era un motivo”, si disse ironicamente la ragazza, prima di iniziare a giocherellare con le punte dei capelli che le scendevano fino ai fianchi, arricciandosi una ciocca attorno al dito.
«Se volessi tornare a casa prima, potresti venire a prendermi?», chiese poi, alzando di nuovo gli occhi su di lui, e a quel punto Tokiya la tirò a sé, stringendola forte come faceva sempre quando era impaurita, o insicura, fin da quando era piccola.
«Non devi nemmeno chiederlo, sarò lì in un batter d’occhio, ma non partire così, mh? Potresti divertirti, no?».
«Potrei», confermò lei, stringendosi di più a lui. «Però ho paura, è troppo strano per me, finora non ho mai parlato con molte persone che non fossero i miei amici… Non credevo nemmeno di piacere alle persone».
Il padre la allontanò un pochino, lasciandole le mani sulle spalle:
«Capisco che possa essere difficile aprirsi agli altri, e so che può fare paura, ma ricordi quando avevi paura delle montagne russe?», a quello, Rui annuì con un po’ di imbarazzo, ricordando gli anni passati a evitare quegli “aggeggi infernali” come la peste, restando a terra, intimamente felice che anche Aoi non potesse salirvi, anche se si sentiva un po’ in colpa per quel pensiero. «E Hayato ti ci ha trascinata a forza una volta, nonostante tu strillassi tanto da far preoccupare gli addetti alla sicurezza. Cos’è successo dopo?».
Rui fece una risatina a quello, ripensando al ricordo con una sensazione di calore nella pancia:
«Mi è piaciuto così tanto che ho fatto altri cinque giri, alla fine Haya-nii non riusciva più a reggersi in piedi e zio Ren ha dovuto portarlo in braccio fino alla macchina».
«Precisamente», Tokiya le sorrise eloquentemente a quello, lasciando che lei intendesse cosa voleva dire.
«Va bene. Anche per questo, aspetterò di vedere com’è, prima di decidere se mi fa paura o meno», decise infine la ragazza, alzandosi di nuovo in piedi. «Grazie, papà».
«Non ringraziarmi… Fra quanto passa a prenderti?».
«Mezzora, credo».
«Mh, hai ancora il tempo di farti tormentare dagli altri…».
«Ugh».
Tokiya si alzò a sua volta e la abbracciò di nuovo, prima di imbronciarsi leggermente:
«Sappi che comunque mi aspetto messaggi di aggiornamento appena arrivate, uno durante - fingi di andare in bagno - e uno quando state per partire, va bene?».
«Oh cielo, sei peggio di Maiyumi!», esclamò Rui, allontanandosi da lui per guardarlo male.
«Sono tuo padre! Non voglio sapere i dettagli, voglio solo degli aggiornamenti per sapere che stai bene!».
 
Raramente una mezzora era passata così lentamente per Rui, mentre se ne stava seduta sul divano con i suoi amici tutti schierati davanti a lei. A quanto sembrava, la sessione di consigli non era ancora conclusa.
«La cosa più importante», dichiarò Nei con voce assolutamente seria mentre le fissava gli occhi in viso al punto di metterla a disagio, «è che tu non lo baci al primo appuntamento».
«Cosa?», chiese, sconcertata, guardandosi intorno e notando con sua enorme sorpresa che tutti gli altri stavano annuendo con fare solenne. «Davvero non si bacia al primo appuntamento?».
«Santo cielo, Rui-chan, no!», esclamò Harumi, spalleggiata da Reiko e Satsuki, mentre Hayato sbuffava con fare sarcastico. «Non c’è mica fretta per quello!».
«Io Maimi l’ho baciata al primo appuntamento», notò distrattamente Kaito, giocherellando innocentemente con la mano della ragazza in questione, che trattenne una risatina.
«Non importa, Kaito, il tuo primo appuntamento con Maimi praticamente è stato quando zio Masa e zio Ren vi hanno lasciati nella stessa culla per una sera e vi siete stati appiccicati addosso tutto il tempo», sospirò Aoi, alzando gli occhi al cielo.
«Non è vero, non è stato quello!», si difesero i due incriminati, incapaci però di trattenere le risate.
«No, hanno ragione… il loro primo vero appuntamento è stato quando Kaito ha visto Maiyumi appena nata, l’ha indicata e ha dichiarato “mia”… Se chiedete a Reiji, ha ancora il filmino di quella scena», Tokiya non era solito prendere parte alle discussioni dei ragazzi, anzi, di norma si defilava dalla stanza in cui si trovavano tutti insieme il prima possibile, ma non avrebbe mai rinunciato all’occasione di stuzzicare un po’ Kaito e Maiyumi, che era ormai diventato il passatempo ufficiale di tutti gli adulti della famiglia tranne Ren e Masato, che ancora dovevano metabolizzare la cosa.
Soprattutto Ren, che ancora si sentiva sbeffeggiato dal fato e schiaffeggiato dal Karma.
«Ma davvero?», chiese Hikaru alzando lo sguardo sullo zio, che annuì nascondendo abilmente un sorrisino.
«Awwww che cosa romantica», ridacchiò Nei, conquistando un’occhiataccia dalla coppietta ora presa di mira.
«Zio, ricordi quando a circa 7 anni ho dovuto scrivere il tema su “il tuo adulto preferito”? Bene, sappi che questo è il motivo per cui non ti ho mai nemmeno preso in considerazione come possibile candidato», borbottò Kaito, incrociando le braccia al petto e tentando di nascondere il rossore sulle guance con i capelli.
Rui era grata per quel cambio di attenzione, ma quando in quel momento suonarono al campanello, e tutti rimasero immobili per qualche secondo, si ritrovò paralizzata, al contrario degli altri nove ragazzi che si fiondarono tutti contemporaneamente verso la porta.
«Ragazzi! No!», esclamò Harumi, nonostante le risate la rendessero poco credibile. «Non possiamo aprire tutti e nove insieme! Hayato, sei tu il padrone di casa, ma facciamo aprire a Kaito».
«Eh? Perché??».
“Questo inizia a sembrare un incubo”, si disse Rui, mentre si alzava dal divano con un’espressione accigliata e più adatta a un condannato a morte che ad un’adolescente al primo appuntamento.
«Devo restare qui a minacciarlo di morte?», si informò Tokiya, restandole accanto mentre finalmente Hayato conquistava la porta e la spalancava.
«N-no, anzi, se potessi andare di là…».
Nonostante la finta espressione ferita, Tokiya fu ben disposto ad accontentare la richiesta della figlia, accontentandosi di lanciare solo un’innocente occhiataccia al malcapitato - che ora era in piedi nell’ingresso, in imbarazzo mentre gli Starkids lo fissavano in silenzio - e soprattutto, consapevole che Hayato sarebbe stato più che sufficiente a intimidirlo, almeno a quello stadio della relazione.
«U-uhm…».
«Quindi, tu saresti quello che vuole portare fuori mia sorella, eh?», cominciò il leader del gruppo, avvicinandosi al poveretto con espressione seria e vagamente minacciosa, godendo dello sguardo di terrore che lampeggiò per qualche secondo negli occhi di quello. «Sicuro di sapere quello che fai?».
«Oh, insomma! Hayato, sparisci!», sbottò Rui, avvicinandosi rapidamente, o quanto più rapidamente i dannati stivaletti di Maiyumi le consentivano, e spingendo via Hayato dal povero ragazzo.
«I-Ichinose-chan», balbettò quello, arrossendo subito e aprendosi in un timido sorriso appena la vide, tirando fuori da dietro la schiena una rosa accuratamente incartata e decorata che strappò un piccolo “aww” a Maiyumi, prontamente soffocato dalla mano di Kaito, il quale iniziò a segnalare a tutti i presenti di allontanarsi e lasciare ai due un po’ di privacy. «Stai benissimo», aggiunse poi il ragazzo, quando Rui accettò, impacciata, il piccolo dono, e gli rivolse un sorriso intimidito che però riuscì a rendergli le gambe molli.
«Grazie… Anche tu stai molto bene», disse, facendo del suo meglio per sembrare gentile e meno nervosa di quanto fosse.
«Uhm, spero che t-tuo fratello non abbia problemi con…».
«Oh, ignora quell’imbecille! Talmente stupido da non essersi nemmeno accorto che siete compagni di classe», tagliò corto Rui, alzando gli occhi al cielo. «Possiamo andare?».
Il ragazzo si affrettò ad annuire e voltarsi nuovamente verso la porta, aprendola cavallerescamente per lei e aspettando che prendesse la borsa, salutasse tutti e uscisse, prima di fare lo stesso.
«Posso dire una cosa senza che mi picchiate?», chiese a quel punto Maiyumi, impegnata a fissare la porta con la stessa aria imbambolata degli altri.
«Dipende…».
«Mi sento come una mamma apprensiva», dichiarò poi la ragazza, mentre fingeva di avere il labbro tremulo  e di asciugarsi delle lacrime. «La nostra piccina è cresciuta, e ora è pronta a spiccare il volo, conoscere il mondo…».
«Sai chi altro spiccherà il volo fra poco? Tu, se non la pianti con queste idiozie», sbuffò Kaito, tirandole una ciocca di capelli come punizione per la sciocchezza appena detta.
 
«Ricordami perché siamo qui», implorò Kaito, appoggiando la fronte al volante della macchina con uno sbuffo spazientito, chiedendosi per l’ennesima volta perché permettesse a Maiyumi di avere tutto quell’ascendente su di lui.
La ragazza in questione era felicemente seduta sul sedile del passeggero, in quel momento impegnata ad armeggiare con un grosso paio di binocoli e un grosso giornale, nel tentativo di spiare e restare nascosta allo stesso tempo.
«Oh, non riesco a vedere nulla da qui!», si lamentò a voce alta, perdendo la pazienza e accartocciando malamente il giornale per poi lanciarlo sul sedile posteriore.
«Hey! Non l’avevo ancora letto!», protestò l’altro, lanciandole uno sguardo esasperato.
«Solo i vecchi leggono i giornali, ormai! Tira fuori lo smartphone e usa quello, se sei così interessato a cosa succede nel mondo… Io sono preoccupata per Rui-chan».
Per l’ennesima volta in meno di un’ora, Kaito alzò gli occhi al cielo e si chiese perché aveva accettato di seguire la ragazza in quella stupidaggine.
«Davvero hai fatto quella cosa, quando eravamo piccoli?», chiese poi lei, di punto in bianco, rinunciando a spiare l’amica e mettendo via il binocolo.
«Comunque lo stavi tenendo al contrario», la prese in giro Kaito, guadagnandosi una meritatissima occhiataccia e un “sono bionda, ma non stupida”, che lo costrinse a rispondere alla sua domanda. «Non ne sono sicuro, cioè io di sicuro non me lo ricordo, ma credo di aver visto quel filmino, tanti anni fa…», disse, facendo spallucce come se non gli desse molto peso.
Maiyumi si limitò a sorridergli e appoggiare il capo sulla sua spalla:
«Sarebbe bello, cioè, se tu avessi realmente inteso “mia” in quel senso».
«Sarebbe inquietante, a parer mio».
«Oh, ti ucciderebbe un po’ di romanticismo?!».
Kaito non replicò, limitandosi a sorridere fra sé e sé e rimettere in moto la macchina, ignorando lo sguardo confuso di Maiyumi, rifiutandosi di rispondere alle sue domande finchè non parcheggiò nuovamente la macchina, scese, le aprì la portiera e le porse un braccio.
«Cosa stiamo facendo?», chiese lei con fare divertito, accettando di buon grado.
«Beh, tutta questa concitazione generale mi ha fatto realizzare una cosa», disse lui, porgendole un elastico per capelli e degli occhiali da sole, tirando fuori un paio anche per sé e infilandoli. «Io e te non abbiamo mai avuto un primo appuntamento… Eravamo così abituati a passare del tempo insieme, che anche quando abbiamo iniziato a stare insieme, non c’è stato un vero e proprio “evento ufficiale”, non ti ho mai nemmeno invitata a cena fuori, o a bere qualcosa o altro. Quindi», nel dirlo le aprì la porta del ristorante che avevano raggiunto, «ho intenzione di rimediare, oggi».
Maiyumi rimase interdetta, aprendosi lentamente in un sorriso luminoso che fece perdere più di un battito al cuore del povero ragazzo al suo fianco:
«Stai forse dicendo che vorresti corteggiarmi, Hijirikawa-san?», chiese, battendo le palpebre e rivolgendogli uno sguardo di innocente sorpresa, lui rispose prendendole una mano e avvicinandosela alle labbra:
«Spero solo di potermi risparmiare la paura di un rifiuto, Jinguji-san», replicò, facendole l’occhiolino.
La ragazza scoppiò a ridere e si limitò a sistemarsi la coda che si era fatta poco prima, prima di dirigersi verso uno dei tavoli liberi:
«Lo scopriremo. Se saprai conquistarmi e invogliarmi ad uscire ancora con te».
Kaito non si fece pregare prima di prestarsi al gioco, raggiungendola rapidamente e aspettando che lei si accomodasse prima di sedersi al posto di fianco al suo.
«Mh? Non di fronte? Ha forse intenzione di baciarmi, signore?», chiese lei, alzando le sopracciglia e fingendosi sorpresa.
«Chi lo sa…», replicò l’altro, avvicinando il viso al suo, lentamente, solo per trovarsi una mano premuta sulla faccia.
«Spiacente, Hijirikawa-san. Io non bacio al primo appuntamento».

Più tardi, quella notte…
«Allora? Raccontami tutto!».
La voce di Maiyumi era bassa, ma era impossibile non notare il fremito di emozione e impazienza in essa, fremito che mancava del tutto in quella calma e assonnata di Rui:
«Maimi, veramente avrei sonno… non possiamo parlarne domani?».
«No, non puoi avere sonno dopo il tuo primo appuntamento! Senti ancora l’emozione e l’adrenalina che ti formicolano nel corpo, come se persino il tuo sangue fosse su di giri--».
«Si chiama ipertensione quella».
«Rui-chan, andiamo! Dimmi almeno se ti è piaciuto!», implorò la ragazza, mettendo il broncio anche se l’altra non potea vederlo.
«Buonanotte, Maiyumi».
«E  ̴  ̴ eh? Rui-chan! Ti ho sentita, stai per ridere! Lo so che stai sorridendo, ti conosco!», esclamò Maiyumi, tappandosi la bocca subito dopo e affrettandosi a riabbassare la voce. «Ti conosco, Rui Ichinose, quello è il tuo tono da “sono contenta ma non voglio parlarne troppo”!».
Stavolta una piccola, silenziosa risata le giunse all’orecchio, facendole allargare un grosso sorriso sul volto in risposta.
«Quindi, è andata bene  ̴».
«, molto bene, era questo che volevi sentirti dire? Ora possiamo andare a dormire, che sono quasi le tre di notte?».
«Dimmi solo una cosa! Pensi di uscirci di nuovo?».
Rui fece un lungo sospiro, prima di rispondere con voce più bassa di prima:
«Penso di sì… un’uscita non basta a conoscere una persona, no?».
«Hai perfettamente ragione. D’accordo, ‘notte ‘notte, tesoro!».
Rui non si preoccupò nemmeno di rispondere, si limitò a fare un piccolo verso e spense il cellulare. Sarebbe stata ben felice di lanciarsi sul suo letto e addormentarsi prima di subito, ma quando accese la luce della sua camera, per poco non strillò di terrore trovando il fratello ben sveglio e seduto sul suo letto, che la fissava con aria severa.
«Così tardi già al primo appuntamento? La cosa non mi piace per niente».
«Hayato, ti prego, voglio solo andare a dormire!».
 

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