Le ciliege di Shakespeare di Meahb (/viewuser.php?uid=19354)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** So Real ***
Capitolo 3: *** I shall not walk alone ***
Capitolo 4: *** Leave a light on ***
Capitolo 5: *** In the middle of the night ***
Capitolo 6: *** Question ***
Capitolo 7: *** Fast Forward ***
Capitolo 8: *** What a woderfull world ***
Capitolo 9: *** One day I'll fly away ***
Capitolo 10: *** I'll be seeing you ***
Capitolo 11: *** Falling or Flying ***
Capitolo 12: *** Pick up the phone ***
Capitolo 13: *** Come away with me ***
Capitolo 14: *** Walk away ***
Capitolo 15: *** Sono qui per l'amore ***
Capitolo 16: *** Con la tua immagine e con il tuo amore ***
Capitolo 17: *** Fisrt time ever I... ***
Capitolo 18: *** The promise ***
Capitolo 19: *** Everything in its right place ***
Capitolo 20: *** Time has told me ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
strow-prologo
DISCLAIMER
Author: Amaranta B.
Summary: Fino a che punto si spinge
l’amicizia? Qual è la linea di confine tra amicizia e amore? E cosa succede
quando il destino è convinto che due persone sono destinate a stare insieme,
costi quel che costi?
Notes: Non conosco Orlando Bloom né la sua
famiglia. Con questa storia non intendo offendere né lui né quanti lo
conoscono, anzi.
Lo so che
c’è ancora Accidentally in cantiere e vi assicuro che presto riprendo a
pubblicare. Il problema è che è di nuovo saltato il pc ma, stavolta, ho perso
TUTTO! Tutto.
Ma non
queste splendide ciliegie…queste no!
Voglio
ringraziare il mio personale suilè gorma,
alcuni fatti qui di seguito narrati, sono realmente accaduti grazie alla
straordinaria presenza nel mondo di questa persona. Grazie sul serio. Spero che
l’Irlanda ti culli il più a lungo possibile.
Per
esigenze di copione alcuni fatti sono stati adattati alla storia e
all’evoluzione dei personaggi ma ho cercato di essere il più attendibile
possibile.
E
infine…grazie ad Orlando Bloom…è incredibile come solo il suo nome, riesca a
scatenare mille voli pindarici che si trasformano semplicemente in storie. E
grazie ai suoi occhi…quelli sono la fonte dell’ispirazione!
Enjoy,
ragazze!
Vi
abbaraccio…
Amaranta B.
LE CILIEGIE DI SHAKESPEARE
-Così siamo cresciuti
tu ed io,
simili a due ciliegie,
nate in coppia,
che sembrano divise
ma nella divisione
sono unite-
Shakespeare, “A Midnight
Summer’s Dream”
“Incinta?”
“Incinta,
si”
“Incinta di
un bambino?”
Bee lo
guardò di traverso, “No, di un elefante”, scosse il capo, “Di un bambino,
ovvio!”
“Un
bambino, vero?”
Lei alzò un
sopracciglio, “Evidentemente è più vero del previsto”.
Orlando si
passò una mano sulla fronte.
Gli
sembrava di sudare, ma in realtà non stava sudando affatto.
“Bhè…è una
bella cosa, no?”
Bee
spalancò occhi e bocca in sincrono.
“Una bella
cosa??”, quasi lo gridò.
Orlando si
strinse nelle spalle, un sorriso che saliva dalla bocca agli occhi.
“Bhè si! Un
figlio mio e tuo sarà uno sballo!”
Lei scosse
la testa, incredula.
“Sei ebete,
per caso?”
“Perché?”
A questo
punto Bee decretò che il suo migliore amico, nonché amante, nonché amore di
tutta una vita, era completamente, totalmente fuori di testa.
Avevano
ragione quelli del gossip.
Era un
pazzo scapestrato.
“Orlando”,
lo disse pazientemente, accarezzando ogni lettera, “TI RENDI CONTO CHE SEI
FIDANZATO E TRA DUE MESI DOVRAI SPOSARTI??”.
L’ultima
parte la gridò. Giusto per assicurarsi che venisse recepita chiara e forte.
E venne
recepita. Oh si!
Guardare
l’espressione di Orlando passare dal
confuso-stupito-sconvolto-consapevole-affranto fu sbalorditiva.
Ogni stato
d’animo, colpì Bee come uno schiaffo.
“Ah…”,
disse lui.
“Ah?”,
ripeté lei.
Orlando
prese un gran respiro, “Ah…nel senso di ‘non ci avevo pensato’”
“Non avevi
pensato a cosa esattamente?”, domandò lei. E Orlando riconobbe quel tono in un
nanosecondo. Lo stesso tono che usava ogni volta che stava partendo con una
lunghissima paternale che, inevitabilmente, lo metteva alle strette costringendolo
a dire la verità.
Ma
d’altronde, con Bee le menzogne non erano mai servite granché.
Probabilmente
com’era stato sincero con Bee non lo era stato neanche con sua madre.
“Non avevo
pesato a lei. L’avevo resettata”, si sentì rispondere.
“Resettata?”,
la ragazza era sconvolta, “Cioè avevi resettato di avere una QM?”
“QM?”
“Quasi
moglie!”, spiegò lei.
“Bhè,
si…cioè non avevo pensato che questo avrebbe complicato le cose!”
“Flow un bambino complicherebbe le cose,
fidati!”, ridacchiò lei.
Orlando si
rilassò nel sentirle pronunciare quel nomignolo.
“Lo so
ma…possiamo provare a vederla da un’altra prospettiva, no?”
La ragazza
si appoggiò allo schienale della panca della caffetteria.
“Tipo?”
Lui abbassò
lo sguardo. Era l’ora dei conti.
“Devo
raccontarti una cosa importante, Bee”, mormorò.
E i conti,
Bee li faceva pagare.
Sempre.
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Capitolo 2 *** So Real ***
so real2
SO REAL
“Oh…that was so real…”
Jeff Buckley
“Sei
cocciuto”, sbuffò Bee gettando il giornale sulla scrivania della camera.
Orlando la
trafisse con lo sguardo.
“Cocciuto?”
Bee annuì
con enfasi, “Sei alla British American Drama Accademy, non dal fruttivendolo!
Se ti dicono di provare un ruolo, lo provi. Senza discutere!”
Lui le fece
il verso, “A te non dicono mai cosa scrivere”, puntualizzò.
Bee fece
spallucce, “Quindi quando ieri mi hai detto ‘scrivi una storia horror con le
palle’, era solo così per dire?”.
Orlando,
suo malgrado ridacchiò.
“Era un
consiglio”, precisò.
Bee rise,
“Allora vedila così, anche il tuo tutor ti sta dando un consiglio!”
“Io
Lisandro non lo faccio”, piagnucolò lui, “Mi è sempre stato sulle palle”.
Bee
spalancò gli occhi, “Oddea!”, sospirò, “L’unico essere del pianeta che detesta
Lisandro lo dovevo incontrare io?”
Orlando si
lasciò cadere sul letto, “Si”, disse poi.
“Senti Flow
puoi frignare per i prossimi venti giorni, ma il risultato è sempre quello: tu
farai Lisandro!”, frugò nella borsa, poi gli lanciò il libro.
“Sogno di
una notte di mezza estate”, lesse lui, quindi si esibì in un sorriso forzato,
“Sei premurosa!”
Lei gli
afferrò una mano, tentando di tirarlo in piedi.
“No, sono
stufa di starti a sentire borbottare. Usciamo!”
Orlando si
rizzò in piedi, ridacchiando.
“Per
andare…”
Bee
s’infilò la giacca.
“Al
Greenwich”, disse.
Si sistemò
il cappello nero di cotone e aprì la porta della camera da letto.
Ed era lo
stesso cappello di cotone nero che si stava sistemando ora, all’ingresso di
un’anonima caffetteria di Los Angeles.
Orlando
sorrise tra se e se.
Forse era
quella la ragione che gli aveva riportato alla mente quel ricordo così vecchio.
Il cappello nero di Bee. Se lo erano scambiato per anni e, tuttavia, quello non
aveva mai ceduto un momento. Ogni tanto lei sistemava le cuciture per
assicurarsi che non si rompesse ma, comunque, quel cappello era stato parte
delle loro vite.
Parte delle
loro vite. Come un figlio.
Cristo
Santo!
Bee incinta….
Quella si
che era una notizia che avrebbe tranquillamente potuto mandarlo fuori di testa.
Da quando
si conoscevano, loro due? Quattordici anni? Quindici?
Bee era
sempre stata con lui, almeno da che aveva memoria selettiva. Era stata la sua
migliore amica dall’inizio della sua carriera, non lo aveva mollato un attimo,
nemmeno nei momenti più difficili.
E lui, per
contro, aveva fatto lo stesso.
Abaigeal
Gallagher, irlandese dalla testa ai piedi, era diventata una scrittrice famosa.
Ma, prima di giungere alla vetta, aveva scalato pareti difficili. E lui l’aveva
tenuta per mano.
In realtà
si erano tenuti per mano a vicenda, da sempre.
Bee, per
lui, era sempre stata come una sorella. Quella a cui raccontare le uscite
disastrose con le ragazze, le figuracce fatte in teatro e le prove più dure.
Era anche
l’amica con cui ubriacarsi e strillare per tutta la notte. Oppure quella con
cui parlare fino a che le parole diventavano talmente sottili da perdere
significato.
Bee era
quella che aveva pazientemente sopportato le sue innumerevoli crisi d’identità
e che lo aveva preso a calci nel culo quando si andava ad impantanare in pippe
mentali, tutt’altro che facili da sbrigliare.
Era Bee.
Ed era la
stessa ragazza con cui, da due anni a quella parte, faceva l’amore.
Già….
Ed Orlando
non aveva il benché minimo dubbio a definire ‘amore’ quel rapporto.
Neanche
uno.
Fare sesso
con Bee era il completamento perfetto della loro relazione.
In realtà,
almeno all’inizio, nessuno dei due era rimasto stupito dalla piega che aveva
preso il loro rapporto. Per niente.
Ma poi quel
rapporto aveva avuto bisogno di conferme per andare avanti.
Erano due
mesi che litigavano continuamente e poi facevano la pace e poi litigavano e poi
facevano ancora la pace e poi litigavano di nuovo.
Erano
entrambi confusi, entrambi stanchi, entrambi bisognosi di definire quella
strana situazione.
Orlando
sospirò. Avrebbero dovuto fare i conti con quello che stava succedendo.
Il
cellulare prese a squillare, lui sbirciò lo schermo e vide il nome Miranda
lampeggiare ad intermittenza.
Mmhmmm…
“Pronto?”,
rispose mogio.
“Amore
ciao!”, gridò lei dall’altro capo, “Dimmi che Bee è con te!”
Ad Orlando
si strinse lo stomaco. Naturalmente Miranda e Bee si conoscevano. Naturalmente
Miranda l’adorava. Naturalmente Bee la trovava, per contro, completamente fuori
di testa. Naturalmente Miranda aveva coinvolto Bee nei preparativi del
matrimonio.
Naturalmente…
“No, è
appena uscita”, spiegò lui, alzandosi dalla sua sedia e avviandosi verso
l’uscita, “Ti serviva qualcosa?”
Miranda,
dall’altro capo, sbuffò, “Dovevamo andare a vedere i vestiti per la cerimonia”,
disse lei, “Ma Bee è reticente. Dice che non mi permetterà mai di scegliere un
vestito color melassa che la farà apparire come una bomboniera!”
Orlando
rise. Lo aveva detto anche a lui.
“Prova a
chiamarla, magari sta venendo da te”.
“Ottima
idea, tesoro!”, squittì Miranda, “Ti telefono dopo! Ciao Amore, ti amo!”
“Ciao Mir”,
disse lui, chiudendo la conversazione.
Camminò
verso il suo SUV parcheggiato all’altro lato della strada, poi improvvisamente
un pensiero potente, quanto inopportuno, gli invase la testa.
In quei due
mesi, la pancia di Bee sarebbe cresciuta?
“Abaigeal
Gallagher, ti ha per caso morso una dannata tarantola?”
Bee si
fermò di colpo, voltandosi indietro.
Samantha la
stava guardando con aria torva. Era immobile in mezzo al marciapiede, con le
mani appoggiate sui fianchi e i capelli davanti agli occhi.
Al suo
fianco, Allison la guardava con la stessa espressione incredula.
“Cos’ho
fatto?”, domandò Bee.
“Cammini a
passo di carica come il Comandante di un plotone”, spiegò Allie raggiungendola.
Samantha
scosse la testa, “Si può sapere che diavolo ti prende? E’ tutta la settimana
che sei strana”.
Bee si
grattò la tempia. Allie e Sam erano come sorelle per lei. Con loro era sempre
stata un libro aperto, e non metterle a parte di quello che le stava
succedendo, le sembrava incredibilmente ipocrita e sbagliato.
Ma Samantha
era la sorella di Orlando ed Allie…bhè, non poteva far cadere il peso di quella
confessione solo sulle spalle di Allie.
“Scusatemi…ho
un po’ di pensieri per la testa”, spiegò, camminando affianco a loro.
“Problemi
con il libro?”, domandò Samantha.
Il libro! A
Bee venne da ridere!
Aveva
problemi anche con il libro, a dire il vero.
La storia
stentava a prendere una direzione precisa e lei stava impazzendo dietro tutti
quei personaggi che sembravano fare a botte tra loro per prendersi la propria
parte di celebrità.
“Si…”,
mormorò, “Problemi d’ispirazione”.
“E’ per
questo che sei andata dalla Musa?”, ridacchiò Allie.
Suo
malgrado, Bee rise.
Orlando era
da sempre stato la sua Musa. Da sempre.
Ogni
personaggio maschile aveva sempre avuto qualcosa di lui, e in ogni libro,
puntuale come un orologio spuntava sempre una delle sue massime.
Ma non era
solo questo. Parlare con lui, inventare storie, raccontarsi leggende e favole
assurde, le aveva sempre fornito una miniera di idee per i suoi romanzi.
Adesso,
invece, quelle idee erano prosciugate.
Svanite.
Puff!
Bee strinse
i denti.
“Si,
anche!”, cercò di usare un tono leggero, “A dir la verità sono andata ad
implorarlo di impedire a Miranda di vestirmi da caramella!”
Samantha e
Allie scoppiarono a ridere.
“Dubito che
lui possa fare qualcosa”, sintetizzò Allie indicando la porta della boutique
dove Miranda le stava aspettando.
Bee si
morse la lingua per evitare di imprecare.
Cosa cazzo
aveva in mente quella pazza scatenata di Miranda?? Quella boutique sembrava una
torta di glassa piazzata esattamente al centro della città.
Samantha le
mise una mano sulla schiena, ridendo.
“Apri!”, la
incitò, una volta davanti all’ingresso del negozio.
Con una
faccia truce attraversò la hall e fu richiamata dal gridolino entusiasta di
Miranda.
“Ecco le
mie damigelle!”, squittì allegra, trascinando verso di loro un uomo sulla
cinquantina con un bel completo scuro.
“Mir”,
salutò Bee, tetra.
“Ragazze
lui è Fracois, il nostro stilista”, spiegò loro la ragazza, “Ci aiuterà nella
scelta dei modelli e dei colori”.
L’uomo fece
un perfetto inchino a mezza schiena. Bee per poco non si strozzò nello sforzo
di non ridere.
“Mesdames,
venite pure con me. Sono pronto a realizzare qualunque vostro desiderio”,
mentre parlava, sembrava cantasse.
Batté le
mani, sorridendo, “Ma prima di iniziare devo farvi una domanda indiscreta. Le
nozze sono fra tre mesi, prendendo le misure oggi e facendo i vari
aggiustamenti in un mese e mezzo al massimo i vestiti saranno pronti
perciò…vorrei chiedervi…c’è qualcuna di voi che potrebbe”, mimò la pancia di
una donna incinta, “Ingrassarsi?”
Bee si
appoggiò al muro.
Le veniva
da vomitare.
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Capitolo 3 *** I shall not walk alone ***
shallnot3
I SHALL NOT WALK
ALONE
“Friend of mine
what can't you spare
I know some times
it gets cold in there,
but you shall not walk alone, babe”*
Ben Harper
Londra.
Marzo 1993
“Era come riuscire a vedere esattamente ogni
colore. Come se la sostanza della Natura si stesse palesando ai suoi occhi,
rendendola parte di se.
X si sentiva finalmente bene. Si
sentiva in grado di vedere quella porzione di cielo che gli déi le avevano
assegnato il giorno che era venuta al mondo.
Aveva capito, non senza lottare, che
l’amore era il motore principale del mondo. Di ogni mondo. E di ogni vita.
Sia che fosse un amore finito,
negato, calpestato, nascosto, sia che si trattasse di un amore gioioso, palese, pieno.
Era pur sempre amore, anche se in
forme diverse.
Si sedette a terra, respirando
l’aria fresca del bosco.
Poteva andare avanti, adesso. Poteva
tirar fuori il dolore e restituirlo alla Terra in attesa che la Terra lo donasse nuovamente
a lei sotto forma di forza.
Chiuse gli occhi e…”
“Mmmh
Mmmh”.
Orlando
alzò la testa di scatto nel sentire qualcuno che tossicchiava davanti a lui.
Era una
ragazza.
Non troppo
alta, capelli neri fino alle spalle, occhi di un blu intenso e bocca carnosa.
Istintivamente
le sorrise.
La ragazza
ricambiò, quindi con un dito indicò il taccuino che lui teneva tra le mani.
“Hai
qualcosa di mio”, disse.
Imbarazzatissimo,
Orlando chiuse il taccuino nero e glielo porse.
“Perdonami”,
si scusò, “Pensavo che qualcuno l’avesse perso”.
Lei gli
sorrise, quindi prese il taccuino e se lo infilò in borsa.
“Grazie per
averlo tenuto”, mormorò, “Probabilmente se non fossi stato così curioso i
camerieri lo avrebbero buttato nella spazzatura!”
Lui le
sorrise, quindi allungò una mano verso di lei, “Piacere, sono Orlando!”
Lei gli
strinse la mano con vigore, “Orlando? Come il nome del mio compositore
preferito!”
Incredulo,
Orlando la guardò, “Sarebbe?”
“Orlando
Gibbons, non so se lo conosci”, si mise seduta accanto a lui, tirando indietro
i capelli, “E’ vissuto alla fine del ‘500. Era uno tosto!”, ridacchiò, “Silver
Swan è una vera opera d’arte!”
“Sono
ufficialmente sconcertato”, le confidò lui, “Non ci crederai ma mio padre mi ha
chiamato Orlando proprio per questo motivo. Gibbons era il preferito della
mamma!”
La ragazza
scoppiò a ridere, “Incredibile!”
“E tu
invece sei…?”, domandò Orlando.
“Oh scusami,
sono una maleducata”, gli strinse nuovamente la mano, “Abaigeal Gallagher”,
sorrise, “Il mio nome si pronuncia in gaelico”, spiegò.
“Irlandese?”
Lei annuì
soddisfatta, “Dalla testa ai piedi!”
“Di dove,
precisamente?”
“Gailimh…Galway”,
rispose Abaigeal, “Mai sentita?”
Orlando
ridacchiò, “Ovviamente si! E’ una delle città più belle d’Irlanda!”
Lei sorrise
compiaciuta, “Sono d’accordo. Ci sei mai stato?”
Lui scosse
la testa.
“Peccato!
Dovresti…”, chiamò la cameriera con un cenno e sillabò la parola caffè, “Tu
invece sei londinese?”
“No, sono
di Canterbury”.
“Adesso
capisco perché tua madre adora Gibbons!”, sorrise, “E comunque Canterbury è una
fantastica cittadina. E’ come se il tempo si fosse fermato, laggiù!”
Orlando
annuì, “Ci sei stata dunque?”
Abaigeal
sorrise, “Tesoro, a scuola ho studiato “The Canterbury Tales” fino alla nausea!
Era imperativo che capissi come mai questa cavolo di Canterbury era stata così
importante da invadere malignamente la mia vita!”
Orlando
scoppiò a ridere. Quella ragazza era incredibilmente intelligente e simpatica.
“Sono d’accordo!”,
sorseggiò quello che rimaneva del suo caffè, “Studi qui a Londra?”
Abaigeal
annuì, quindi sorrise alla cameriera che le aveva lasciato il caffè sul tavolo
e le allungò due sterline, “Sono diplomata alla UEL e adesso sto seguendo un
corso di due anni di scrittura creativa”, spiegò, “Anche se, diversamente da
quello che potresti pensare, credo che buttare i soldi in un corso del genere
sia un’enorme stronzata!”
Orlando
rise, “Perché mai?”, domandò, incuriosito.
“Perché
nessuno può insegnarti ad essere creativo”, disse lei, “O ce l’hai nel sangue o
non ce l’hai. E’ una cosa innata!”
“E allora
perché lo stai seguendo?”
Abaigeal si
strinse nelle spalle, “Perché io il dono ce l’ho, ma alcune volte devono
aiutarmi ad indirizzarlo”.
Orlando
annuì, “Io invece studio al NYT”
La ragazza
s’illuminò, “Un’aspirante attore??”
Lui sorrise
imbarazzato, “Bhè si…mi piacerebbe molto diventarlo”
“Sei sulla
strada buona, allora!”, lo incoraggiò lei, “Ho sentito dire che il NYT sforna
sempre ottimi talenti!”
“Me lo
auguro”, mormorò lui.
Abaigeal
sorseggiò il suo caffè in silenzio, poi puntò gli occhi blu in quelli di
Orlando.
“Perché lo
fai?”, domandò a bruciapelo.
Lui
inspirò, “Perché penso che sia la mia strada”, si girò le mani impacciato, “Hai
presente quando raggiungi un livello di consapevolezza di te che ti permette di
capire cosa fare?”
Abaigeal
annuì.
“Ecco, è
quello. Prima lo consideravo una specie di hobby ma poi, con il tempo ho capito
che era qualcosa di più. Mi piace riuscire a comunicare con le persone
attraverso le emozioni!”
La ragazza
rimase incantata da quelle parole.
“E’ una
questione di Passione, credo!”
“Tà sin ar fheabhas!”, esclamò lei.
Orlando la
guardò senza capire. “Gaelico?”, domandò.
Abaigeal
ridacchiò, “Si, scusami! A volte fatico a contenermi!”
“Tu parli
gaelico?”, domandò lui.
La ragazza
annuì solennemente, “Kevin e Leah Gallagher sono molto legati alla tradizione
della loro terra. In casa mia, in famiglia,
si parla solo gaelico”, spiegò.
“E’ una
bella cosa”, osservò lui, “L’ho sempre trovata una lingua magica”.
“Lo è”,
assentì Abaigeal, “Ma è dura! Quando sono arrivata a Londra ho avuto il mio bel
daffare per dare la precedenza all’inglese!”, rise, “All’inizio dicevo le frasi
in gaelico e poi le traducevo subito dopo! La gente pensava fossi pazza!”
Orlando
rise.
“Ma poi ho
imparato a contenermi, anche se a volte mi viene spontaneo”.
“Capisco”.
All’improvviso,
senza alcuna ragione, gli venne un’idea bizzarra.
“Me lo
insegneresti?”
“Il gaelico?”
Lui annuì.
“E perché
mai?”
“Potrebbe
essere divertente no?”
Abaigeal
ridacchiò. Quel ragazzo era stranissimo.
“Smaoineamh maith!”
“Vale a
dire?”
“Idea
geniale!”
Abaigeal si
mise seduta sulla poltrona, sbuffando.
“Andiamo!”,
lo incitò, “Non è poi così difficile! Io lo dico sempre!”
Orlando
socchiuse le palpebre cercando di concentrarsi.
Erano
passate tre settimane dal loro incontro e d’allora avevano cominciato le
lezioni di gaelico. In realtà stavano diventando piuttosto amici, soprattutto
dal momento in cui trascorrevano quasi ogni minuto libero a studiare quella
bizzarra lingua.
Abaigeal
era un’insegnante attenta e paziente, ma spesso dimenticava che per lui, il
gaelico, era più o meno come l’afrikaans… vale a dire, incomprensibile.
Adesso,
martedì ore ventidue e trentacinque, stavano cercando di fare conversazione.
Cercando era la parola chiave.
Orlando
aveva come l’impressione di aver completamente resettato tutte le informazioni
recepite fino a quel momento.
“Forza
ragazzo!”, lo incitò nuovamente Abaigeal, “Taim…”, suggerì.
Orlando
alzò la testa di scatto, “Taim go mhaith!”, esclamò.
“Foirfe!”,
ridacchiò Abaigeal.
Orlando la
guardò di traverso, “Questa non me l’hai insegnata!”
“E allora
memorizzala. Foirfe vuol dire perfetto! Ma dubito ti servirà mai come aggettivo
per descriverti!”
Lui le fece
la linguaccia e la ragazza scoppiò a ridere.
Si era
instaurato uno strano legame tra loro due. Entrambi avevano come la sensazione
di conoscersi da tempo e questo, senza dubbio, aveva permesso loro di saltare a
pié pari la parte dei convenevoli. Già dal terzo giorno, avevano cominciato a
sfottersi reciprocamente.
“Per oggi
basta”, decretò Abaigeal sospirando, “Non ne posso più!”
“Sono
d’accordo!”, assentì Orlando.
“Se tu
fossi uno studente più attento adesso saremmo molto più avanti col programma!”,
lo rimbeccò ridacchiando.
“Donna
maligna!”, sussurrò Orlando divertito, “Despota! Mi tieni chiuso qui, mi riempi
la testa di parole stranissime e ti lamenti pure!”
Abaigeal
gli tirò il cuscino, “Ingrato!”
“A proposito
di ingrato…”, disse lui con un sorrisino malizioso, “Che fine ha fatto il
famigerato Clive?”
Abaigeal si
coprì la faccia col cuscino, facendo uno strano verso, “Oh Dea! Non
parlarmene ti prego”, si mise composta, “Ieri sera mi ha chiamato dicendo di
amarmi. Peccato però che la fidanzata non la lascia!”
Orlando
alzò un sopracciglio, “E tu cosa gli hai detto?”
Lei fece
una faccia buffissima ed Orlando dovette controllarsi per non scoppiare a
ridere.
“Vuoi
davvero saperlo?”, gli domandò.
Lui annuì.
“Imigh sa
diabhal!”
“Fottiti?”,
indovinò Orlando.
“Qualcosa
del genere…”, ammise lei, “Vuol dire ‘vai all’inferno’”
“E lui?”.
Abaigeal si
alzò e andò verso il tavolo a prendere due lattine di Guinnes che aveva portato
Orlando.
“Non ha
detto niente!”, fece una smorfia, “Lui mica lo capisce il gaelico”.
Orlando
scoppiò a ridere, “Sei terribile!”
Lei gli
passò una lattina, “Ma smettila! Non vuoi forse imparare la lingua per non
farti capire dagli altri?”
“Touché!”,
disse lui allargando le braccia.
“Non fare
il poliglotta adesso, Monsieur!”
“Non dirmi
che conosci pure il francese!”
“Naturale!”
Orlando si
accasciò sul divano, “C’è qualcosa che non sai fare Bee?”
Lei rise,
“Cosa significa Bee?”
“Accorcio
il nome”, spiegò lui.
“Carino”,
le concesse lei, “Bee come ape! Mi piace! Ma adesso mi costringi a trovare un
abbreviazione anche per te!”
“Accomodati
pure!”, disse lui tracannando la sua birra, “E’ l’occupazione preferita di
amici e parenti!”
“E
sentiamo, allora. Cosa ne è uscito fuori?”
Orlando si
accomodò sul divano, “Qualcuno mi chiama Orli”
“Eeewww”,
inorridì lei.
Lui le fece
una smorfia, “Qualcun altro Gibbo”
“Da
Gibbons?”, domandò, “Questo mi piace di più!”
“Oppure il
classico OB”, finì lui.
“Questo è
scontato. E poi sembra che sto chiamando un’assorbente interno che cammina per
la strada!”
Si
fissarono in silenzio, visualizzando mentalmente un grosso assorbente interno
con la faccia di Orlando che camminava tranquillo per i marciapiedi di Londra.
Dopo due
secondi, scoppiarono a ridere senza riuscire a smettere.
“Immaginati
che scena…”, tentò di dire lei.
“Oh Dio ti
prego!”, disse lui accovacciandosi e tenendo una mano sulla pancia.
Continuarono
a ridere, cercando in tutti i modi di darsi un contegno.
“Penso che
se diventassi un assorbente interno non avresti problemi a farti scaricare da
Julls”, osservò lei.
Orlando
sbuffò, “Allora dovrei trasformarmi!”, osservò, “Non so più che fare per
levarmela dalle palle!”
“Ma che
fiorellino delicato!”, ridacchiò Abaigeal.
“Vorrei
vedere te!”, borbottò lui.
“Ignorala”,
consigliò la ragazza, “Se la ignori prima o poi demorde”.
“E’ quello
che sto facendo…”
“Si, da tre
giorni. Non puoi sperare che funzioni in così poco tempo! Devi perseverare!”
“Chissà,
magari hai ragione!”
Orlando si
alzò in piedi e prese a gironzolare per il salotto. Era una bella casa quella
di Abaigeal. Piccola, ma arredata con cura e estro. Il salotto era
rettangolare, nel lato destro c’era un piccolo camino con sopra due mensole
arancioni piene di libri e oggetti. Davanti Bee aveva sistemato due divani e un
tavolo basso. A destra del camino c’era un televisore con un videoregistratore
e uno stereo. Vicino, un numero inqualificabile di cd e videocassette.
Dietro alle
poltrone, vicino ad una grossa finestra c’era un tavolo da pranzo per sei
persone e, alla sinistra del tavolo, una piccola porta che conduceva in cucina.
La camera
da letto non l’aveva mai vista.
Si fermò
davanti al camino, guardando gli strani oggetti sopra la prima mensola. C’era
una candela bianca sempre accesa, un coltello dall’impugnatura nera, una specie
di calice, e due statuette, una di donna e una di uomo.
“Perché
questa candela è sempre accesa?”, le domandò.
Abaigeal
sorrise, “Rappresenta la Dea”,
spiegò.
“Chi?”
“Fiorellino”,
lo sbeffeggiò, “Sei davanti ad un altare wicca, hai presente?”
“Sei una
wicca?”, domandò lui.
Abaigeal
annuì, “Fin da bambina. Come ben sai in Irlanda la tradizione wicca, anche se
con altri nomi, è molto radicata. Dopotutto discendiamo dai Celti, no? E così
mamma Leah mi ha iniziato alla tradizione!”
“E cosa
faresti, di preciso?”, s’incuriosì lui.
Abaigeal si
strinse nelle spalle, “”Onoro la
Dea, apro il cerchio, medito, e cerco di essere sempre
sintonizzata con la Natura...niente di oscuro!”
“Sembra
bello!”
Abaigeal
annuì, “Mia madre sostiene che il mio nome in gaelico glielo ha suggerito la Dea in sogno”, sorrise.
“Cosa vuol
dire?”, domandò Orlando tornando verso la poltrona.
“Abaigeal
era la moglie di Re David. Penso abbia una tradizione ebraica, se non ricordo
male. Comunque, letteralmente in gaelico significa ‘amante degli stranieri’”,
ridacchiò, “E non è del tutto sbagliato!”
Orlando
rise, “Te la facevi con i marinai del porto, dì la verità”, la canzonò.
La ragazza
ridacchiò, “Mi hai beccata!”
“Se non
sbaglio anche i cognomi hanno un significato da voi, no?”
“Fiorellino,
hanno un significato in tutto il mondo!”, puntualizzò lei, facendogli una
smorfia, “Il mio significa ‘che dà gioia’, il tuo significa ‘che sboccia’. A
dir la verità anche il tuo nome ha un bel significato, lo sapevi?”
“In
gaelico?”, domandò lui.
“Non solo.
Orlando vuol dire ‘che ha fama di ardito’ e credo che ti descriva piuttosto
bene, non trovi?”, ridacchiò, “Sei un ardito che sboccia!”
“E tu sei
un’amante degli stranieri che dà gioia”, si rabbuiò, “Ma preferisco non
soffermarmi sull’interpretazione del ‘dare gioia agli stranieri’!”
Abaigeal
scoppiò a ridere di gusto.
“Lèim!”,
disse lei.
“Scemo…grazie!”, ridacchiò lui.
Lei scosse la testa ridendo.
“Ok,
vediamo quanto sei diventato bravo”, sbatté le mani sulle ginocchia rizzandosi
a sedere, “An rachaimid amach?”
Orlando si
alzò in piedi sorridendo, “Cén fàht nach rachadh!”
Abaigeal
batté le mani entusiasta, “Bravo fiorellino, andiamo!”
Ridendo
si infilarono le giacche e uscirono nella fredda aria londinese.
NDA
Allora,
siccome non ho la pretesa che voi conosciate il gaelico, vi posto qui la
traduzione delle frasi. La nota a piè di pagina ci sarà ogni volta che questi
due pazzi parleranno in gaelico. MA. (Ovviamente c’è un MA, sennò non c’è
gusto), se alcune cose non le trovate tradotte pazientate. Evidentemente hanno
un fine preciso e il loro significato vi verrà svelato nel corso della storia!
Comunque,
bando alle ciance:
Tà sin ar fheabhas: è una cosa fantastica!
Taim go mhaith: sto bene, grazie
An rachaimid amach?: usciamo a fare un giro?
Cén fàht nach rachadh: perché no? (in realtà sarebbe:
perché non dovremmo uscire a fare un giro!)
Altra
piccola precisazione. Nel testo originale non troverete l’ultima parte della
citazione di apertura poiché, questo tipo di versione, è stata cantata da Ben
ad un concerto live a Los Angeles!
Colgo anche l'occasione per ringraziarvi dei vostri meravigliosi commenti.
E'
una storia a cui tengo molto questa e sapere che vi sta intrigando
è una delle soddisfazioni più grandi che potessi avere. E
ricordatevi...VOI SIETE DIVINE. VOI TUTTE. Senza chi legge, noi che
scriviamo non avremmo neanche modo di esistere! Grazie davvero!
Un forte abbraccio
Amaranta
|
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Capitolo 4 *** Leave a light on ***
leavealight5
LEAVE A LIGHT ON
“Non temere la
mia partenza,
lascia solo una luce
accesa
ed io saprò trovarti
ancora”
Londra,
Settembre 1995
“Fuck you I’m drunk, fuck you I’m drunk, Pour my beer down the sink I've got more in the trunk. Fuck
you I’m drunk, fuck you I’m drunk, and I’m going to be drunk ‘till the next
time I’m drunk!”
Samantha
e Abaigeal ridacchiarono divertite.
Bee
ed Orlando erano tornati due giorni prima dall’Irlanda. I signori Gallagher
avevano invitato l’amico della figlia per un fine settimana da loro. Dopo
averne sentito parlare così tanto, si erano decisi a volerlo incontrare e
conoscere.
Fu
un weekend divertentissimo.
Bee
e Orlando avevano trascorso gran parte del tempo in giro per la campagna
irlandese mentre di notte, si spostavano nelle caotiche vie del centro. Kevin
Gallagher aveva spiegato ad Orlando che un irlandese che si rispetti, deve
necessariamente saper reggere l’alcool e lui aveva accettato di buon grado la
lezione.
Non
a caso, avevano trascorso tre sere su quattro, ubriachi fradici per le vie del
centro.
Rientrati
a Londra, tuttavia, li aspettava una bella sorpresa.
La British and American Drama
Academy aveva accordato una borsa di studio ad Orlando.
Naturalmente
erano tutti impazziti dalla gioia, tantoché quella sera, avevano deciso di
festeggiare in un pub del centro.
“Gibbo,
calma!”, l’ammonì Samantha ridendo, mentre il fratello ballava e cantava in
piedi sopra il tavolo, “Non ti vorrai sfracellare a terra proprio ora che hai
un futuro!”
Bee
scoppiò a ridere, “Andiamo Flow, scendi da quella sedia!”
Cindy,
l’attuale fidanzata di Orlando, lo prese per un braccio cercando di farlo
scendere, ma lui si divincolò e continuò a cantare, accompagnato da Steve,
attuale fidanzato di Sam, e Joshua.
“I walk in the bar and the fella's all cheer,
they order me up a whiskey and beer. You ask me why I'm writing this poem, some
call it a tavern but I call it home.”
Cindy
abbandonò l’impresa e si mise seduta al tavolo con le ragazze.
“L’Irlanda
ha finito di rovinarlo”, osservò Samantha, divertita.
“Non
l’Irlanda ma mio padre”, precisò Bee ridendo, “Credo che ormai sia ad un passo
dall’alcolismo”, sbuffò, “FLOW!”, gridò, “Scendi da quella dannata sedia! Stai
traballando!”
Lui
le fece la linguaccia senza spostarsi di un centimetro e Bee scosse la testa
sconsolata.
“Se
ti rompi la testa giuro che ti lascio lì!”
“I'll sit down and exercise my Irish pride. Fuck you I’m drunk!” cantò lui per tutta risposta.
“Ci
rinuncio!”, si voltò verso di lui, “Hai sentito Flow? CI RINUNCIO! Finisci pure
di ubriacarti!”
Cindy,
che aveva osservato la scena divertita, si rivolse a Abaigeal.
“Come
mai lo chiami Flow?”, le domandò.
Bee
sorseggiò lentamente la sua birra, quindi le sorrise, “Dovevo trovargli un
soprannome”, spiegò, “Stiamo parlando di una cosa che è avvenuta più o meno due
anni fa. Poco dopo che ci siamo conosciuti lui ha cominciato a chiamarmi Bee e
io non potevo essere da meno!”
“Figurarsi!”,
la sbeffeggiò Samantha.
Abaigeal
la guardò di traverso, “Comunque, in quel periodo diceva un sacco di parolacce,
così io lo chiamavo fiorellino. Una sera eravamo a cena a casa Bloom…”
“La
sera che io e te ci siamo conosciute!”, aggiunse Samantha.
Bee
sorrise, annuendo, “Esattamente! Quella sera Sonia disse qualcosa ad Orlando e
lui le rispose male così io gli dissi
qualcosa tipo…”
“Mmm…Flow
ti è caduto un petalo!”, citò a memoria Samantha.
Cindy
scoppiò a ridere di gusto.
Le
altre due la imitarono, “E così”, concluse Abaigeal, “Questa è la storia del
soprannome floreale di Orlando!”
“Pensavo
che lo chiamassi così per via del cognome”, disse Cindy.
“Quella
è stata una fortunata coincidenza”, sorrise la ragazza.
Cindy
guardò Orlando, poi l’orologio, quindi fece un’espressione affranta.
“Odio
rovinargli la festa ma devo andare”, mormorò, “Domani mattina ho un colloquio
di lavoro”.
Abaigeal
osservò l’orologio, “Concordo. E’ tardi e domani ho l’ultima lezione di corso”,
si alzò in piedi, “Flow! Josh! Steve!”, li chiamò, “Alziamo le tende ragazzi!
Si è fatto tardi!”
Un
mormorio di disapprovazione la convinse che avrebbe dovuto faticare non poco
per andarsene. Guardò Samantha, implorante.
“Steve,
amore, andiamo!”, disse suadente, “Ho una cosa per te!”
Abaigeal
scosse la testa, divertita.
Orlando
non apprezzò la battuta di spirito, “Fate sesso voi due?”
Samantha
si finse stupita, “Noi? Ovvio che no! Come ti viene in mente?”, lo sbeffeggiò.
“Preferisco
non indagare”, borbottò lui.
“Meglio per te!”, lo canzonò Steve
raggiungendo Samantha.
“Dobbiamo
proprio andare?”, domandò Orlando come un bambino costretto dalla mamma a
scendere dall’altalena.
“Mi
dispiace tesoro”, si scusò Cindy, “Ma domani devo alzarmi presto!”
Lui
si strinse nelle spalle, “Io no, però”, osservò, “Non possiamo rimanere noi
anche se lei deve andare?”, si rivolse speranzoso al resto del gruppo.
Bee
non apprezzò per niente quella mancanza di tatto. Ok, Cindy non era tra le sue
persone preferite, ma Orlando doveva andarci cauto. Anche perché lei sembrava
completamente cotta.
Lo
guardò di traverso, “Cad ghuige faoi Dhia an ndùirt tu sin?”
Cindy
la guardò vagamente preoccupata. Quando quei due cominciavano a parlare in
gaelico, di solito, non si metteva bene. O forse si. In realtà lei non capiva
una sola parola di quello che si dicevano.
Sbirciò
Orlando. Lui guardava Bee senza una particolare espressione.
“Ta
tuirse orm…”, rispose lui.
“Ina
diadh?”, ribatté lei.
“Tà”,
disse lui serio.
Abaigeal
sbuffò, gettando gli occhi al cielo.
“Mo
nàire thù!”, disse poi, “Avanti, andiamo”.
Camminò
spedita verso l’uscita, prendendo Cindy sottobraccio e cercando di sorriderle.
“Cosa
vi siete detti?”, domandò la ragazza voltandosi per guardare se Orlando le
stava seguendo.
Bee
si strinse nelle spalle, “Ci mettevamo d’accordo su chi mi avrebbe accompagnato
a casa”, mentì. Ok, Orlando era il suo migliore amico, ma queste questioni
avrebbe dovuto sbrigarsele da solo. Non era nei suoi doveri di amica scaricare
la fidanzata di turno, per Dio.
“Allora,
io prendo un taxi come d’accordo”, disse lei quando si accorse che Orlando le
aveva raggiunte. Lui abbassò lo sguardo e annuì.
“Ci
vediamo domani a pranzo?”, domandò Orlando, “Se Cindy verrà assunta possiamo
festeggiare insieme”.
Abaigeal
afferrò al volo il significato nascosto dell’espressione di Cindy.
Si
ripromise mentalmente che, appena ne avrebbe avuta l’occasione, avrebbe preso a
calci nel culo Orlando per l’evidente mancanza di tatto. Cristo! Possibile non
capisse che, nel caso fosse stata assunta, quella ragazza avrebbe voluto
festeggiare con lui e non con tutta la corte al seguito? Sospirò. Orlando era
un ragazzo intelligente ma per certe cose era completamente negato.
“Non
credo Flow, ho lezione fino a tardi”, lo fulminò con lo sguardo, “Casomai ci
sentiamo per telefono”.
Lui
la guardò senza capire ma quando Abaigeal fece per parlare Samantha l’abbracciò
per salutarla.
“Vacci
piano con lui”, le sussurrò all’orecchio.
“Tranquilla”,
sussurrò lei con un sorriso.
Samantha
non capiva perfettamente il gaelico ma, a forza di stare con loro due, riusciva
ad individuare il senso del discorso.
“Feicfid
mè nois moille thù”, disse Bee rivolta ad Orlando.
“Ok,
buonanotte!”, la salutò.
Bee
abbracciò Cindy, provando un insensato istinto di compassione per lei.
“Ciao
Cin, ci vediamo presto!”
Lei
le sorrise, e mentre si allontanava la salutò con la mano.
Samantha
si versò del te, quindi offrì la teiera ad Abaigeal che la rifiutò con un cenno
della mano.
Erano
nel salotto di Bee da più o meno due ore, in attesa che il professor Smith le
inviasse per fax i risultati dell’esame.
Bee
era tesissima. Si rigirava le maniche della felpa con fare nervoso, sbirciando
l’orologio almeno una volta ogni tre minuti. Samantha le sorrise. Sapeva che l’esito di quel test
significava tantissimo per la sua amica ed era contenta di essere lì con lei, a
condividere quelle ore di attesa. Diversamente da Orlando che, invece, era
smarrito chissà dove a Downtown.
“Hai
sentito Gibbo?”, domandò.
Abaigeal
si strinse nelle spalle. No.
Erano
otto giorni che non lo sentiva e che non lo vedeva.
Precisamente,
dalla sera in cui avevano festeggiato l’ingresso alla BADA. E doveva ammettere
che le mancava. Le mancava infinitamente. Non poter condividere con lui gli
stati d’animo del momento le sembrava assurdo. E la sua assenza non faceva
altro che amplificare quegli stati d’animo negativi che Orlando placava con
quattro parole ben indirizzate.
“Si
può sapere cos’è successo l’altra sera?”, domandò Sam, spazientita.
Bee
sospirò. Naturale che Sam voleva notizie.
“Abbiamo
avuto una grossa discussione sul senso delle sue relazioni amorose”, buttò lì.
Samantha
si fece più attenta.
Non
che avesse più speranze, ormai. All’inizio, doveva ammetterlo, ci aveva sperato
che tra quei due succedesse qualcosa. Che la famosa scintilla scoccasse. Poi,
però, aveva docilmente abbandonato l’idea. Il legame che si indovinava tra Bee
ed Orlando era molto più profondo, nascosto, con radici ben solide. Erano più
che amanti, più che fratelli, più che amici. Andavano semplicemente oltre le
classiche definizioni di ‘rapporto interpersonale’. Erano loro due. Uno strano
caso dove pregi ed idiosincrasie s’incastravano alla perfezione senza aver
bisogno del sesso per fare da legante. Loro avevano il sentimento.
Ed
era abbastanza.
Si
riscosse dai suoi pensieri e guardò Bee.
Era
affranta.
Ecco,
si, la parola giusta era proprio quella.
Affranta.
“Da
quando in qua le relazioni di mio fratello hanno un senso?”, domandò cercando
di dare alla conversazione un tono leggero.
Dall’espressione
di Abaigeal però, intuì che quello che era accaduto tra loro, fosse tutt’altro
che leggero.
“Appunto”,
confermò Bee mettendosi i capelli dietro le orecchie, “Non è mai accaduto che
le relazioni di tuo fratello avessero un senso, ed è per questo che l’altra
sera mi sono incazzata a morte. Odio vederlo sprecare così il suo tempo con
queste biondine scialbe e senza cervello”.
Wow!
Sam
era senza parole. Da che la conosceva, era la prima volta che sentiva Bee
parlare in quel modo.
“E
quindi?”, indagò.
“Quindi
gli ho detto di non prendere in giro le persone se non è veramente interessato
a loro”, guardò Sam negli occhi, “Non ha senso, capisci? Adesso gli va bene così,
adesso si diverte come un pazzo ma qualcuno deve pagare il prezzo per il suo divertimento e questo non va affatto
bene. L’Orlando che conosco io, l’Orlando vero,
non ferirebbe nessuno consapevolmente e non capisco perché da un anno a questa
parte si è messo a fare il cretino”.
Samantha
annuì. Anche lei, dal canto suo, aveva provato a far capire al fratello che le
relazioni da una settimana e via non gli avrebbero portato niente di buono.
“Lui
pensa di arricchirsi frequentando tre ragazze diverse al mese e invece non fa
altro che inaridirsi”, mormorò Bee.
Appunto.
“Comunque,
la discussione è terminata con una sua invettiva contro la sottoscritta che è
durata più o meno mezz’ora, dopodiché è uscito da quella porta dicendomi di non
interferire mai più con le sue scelte. ‘Se mi voglio scopare tutta Londra non è
affar tuo’ mi ha detto”, Bee si accese una sigaretta, “Va bene, vuole la
guerra? Che si accomodi pure. Di sicuro non sarò io a cercarlo”.
“Non
per essere indiscreta”, attaccò Samantha titubante, “Ma cos’è che ti ha detto
esattamente nella sua invettiva di mezz’ora?”
Inaspettatamente
Abaigeal rise.
“Sei
sicura di volerlo sapere?”
A
quella domanda, Sam dubitò. Sapeva con certezza che Orlando ci era andato giù
pesante.
Interpretando
il suo silenzio come un segno di assenso, Bee continuò, “Mi ha detto che non
sono sua madre, che ultimamente lo soffoco e che non posso sempre pretendere di
avere il consiglio giusto a portata di mano. Mi ha detto che sono l’ultima
persona a poterlo giudicare visto il mio comportamento con Thomas e che non
avrebbe ascoltato nemmeno una parola che avesse avuto a che fare con la sua
‘sfera privata’”, ridacchiò, “Ha detto proprio ‘sfera privata’, ti rendi
conto?”, lo sguardo di Bee s’indurì, “Io sono
la sua sfera privata, dannazione! Da che lo conosco non siamo stati più di un
giorno senza sentirci o vederci. Ci basta un secondo per intuire i pensieri
dell’altro e lui se ne esce con queste boiate da telefilm di terza categoria?”
“Magari
era solo…”, Sam tentennò, “Ubriaco?”
Abaigeal
la guardò in tralice, “E ti sembra una giustificazione?”
“No,
assolutamente”, si affrettò ad aggiungere, “Però magari…si è sentito sotto
accusa”, sospirò, “Lo sai com’è Gibbo, non riesce ad accettare che qualcuno
pensi male di lui”.
“Come
vuoi, ma resta il fatto che è andato oltre il consentito”, sentenziò decisa
Bee.
Prima
che Samantha potesse rispondere il telefono dell’amica squillò.
Bee
si precipitò a rispondere.
“Pronto?”
La
sua smorfia fece intuire a Samantha che era qualcuno di poco gradito.
“No,
Tom, non parliamo. Ti ho detto di non cercarmi, quindi per cortesia, cerca di
rispettare il mio volere”.
Ah-ah.
Thomas.
Samantha
mascherò un sorriso.
Orlando
lo chiamava il Santo, come San Tommaso perché lui, come l’omonimo, non riusciva
a credere a niente che non gli passasse sotto il muso.
Si
erano chiesti spesso come facesse Bee a stare con un tipo del genere, ma
proprio quando si erano rassegnati all’idea di vederli insieme, lei, senza
alcun preavviso, lo aveva mollato dicendo che non si sintonizzava col suo lato
spirituale.
Detta
da Bee suonava mortalmente valida, come spiegazione. L’avesse detta chiunque
altro, ci avrebbero riso sopra per mezz’ora.
“Ciao
Tom”, la sentì dire.
“Non
molla è?”, domandò Sam, versandosi dell’altro caffè.
Abaigeal
scosse la testa, “E’ come una maledetta cozza su uno scoglio. Non riesco a
staccarlo nemmeno con la cattiveria”, fece un verso gutturale, simile al verso
del leone, “Lo odio!”
Samantha
rise, poi la sua attenzione fu catturata dalla spia del fax che lampeggiava.
“Ci
siamo”, mormorò.
Abaigeal
scattò verso il dispositivo, muovendosi agitata come se in quel modo potesse
velocizzare il procedimento.
Quando
la macchina sputò il foglio, Bee lo prese al volo e lo lesse.
Sul
viso un’espressione immobile. Sembrava di pietra.
Dopo
secondi che parvero ad entrambe interminabili, Bee esultò, corse verso di lei e
le si buttò addosso, sdraiandola sul divano.
“Presaaaaa!”,
gridò, “E’ fatta!!!”
“Congratulazioni
tesoro!”, le fece eco Sam.
La
ragazza scattò in piedi, “Vado a vestirmi. Ho necessità di bagnare
alcolicamente questa vittoria!”
Senza
smettere di ridere Sam la guardò sparire nel breve corridoio che la portava
alla camera.
Per
un secondo, si domandò come avrebbe preso Orlando la notizia.
Sapeva
che l’avrebbe trovata lì.
Abaigeal
Gallagher era probabilmente la più assidua frequentatrice del Greenwich Park,
soprattutto nell’ora del tramonto.
Non
di rado, quando la sua Religione celebrava feste particolarmente importanti, si
nascondeva fino all’ora di chiusura, per poi uscire fuori e compiere i suoi
rituali.
Lui
non aveva mai assistito, nonostante le insistenze.
Bee
diceva che per prendere parte a queste cose dovevi crederci davvero, e che la
sua missione non era quella di reclutare nuovi accoliti e meno che mai curiosi.
In quei momenti voleva starsene in pace a contatto con la Natura e con la sua mente
ed Orlando aveva sempre desistito.
La
capiva, dopotutto.
Per
questo non aveva avuto alcun dubbio a scavalcare il cancello del parco per
avventurarsi tra i sentieri. Dopo una benedizione come il diploma alla scuola
di scrittura creativa, era ovvio che Bee volesse ringraziare i suoi déi.
Intuì
dalla sua posizione che non stava meditando. Probabilmente, questo era il
momento che lei gli aveva descritto tante volte, prima di chiudere il cerchio,
rimaneva sintonizzata con la
Natura, per trarne forza.
Attese
pazientemente che lei compisse i gesti necessari per terminare il rito, quindi
si avvicinò con cautela. Non voleva spaventarla.
“Go
malté tù”, mormorò una volta vicino a lei.
“Go
raibh maith agat”, rispose lei senza voltarsi.
Orlando
sorrise. Probabilmente aveva percepito la sua presenza già da prima. Non
credeva avesse a che fare con qualcosa di magico, piuttosto era sempre stato
convinto che avesse a che fare con loro due, specialmente perché anche lui
riusciva sempre a sentirla.
“Hai
intenzione di tirarmi la statuina in testa?”
Lei
si voltò, “Perché fare più danni?”,
scherzò, “La tua testa è già messa male
senza che intervenga io!”
Orlando
le prese una mano, la trasse a se e l’abbracciò forte.
“Mi
dispiace sùile gorma!”, mormorò al
suo orecchio.
Abaigeal
sorrise, “Dispiace anche a me!”
Si
slacciarono dall’abbraccio e Bee prese a raccogliere i ninnoli che le erano
serviti per aprire il cerchio.
“Sono
contento che ti diplomerai”, buttò lì Orlando. In realtà avrebbe voluto parlare
d’altro ma comunque quell’evento andava, in qualche modo, celebrato.
“Lo
so”, disse lei, “Sono contenta anche io. Mi sento carica come una presa da
muro!”
Lui
ridacchiò, “Bee mi dispiace veramente per quello che è successo la settimana
scorsa. Non volevo rivolgermi a te in quel modo”.
“Volevi
eccome, invece”, obbiettò lei. Ma non era arrabbiata, “Volevi dire tutto quello
che hai detto e devo ammettere che hai ragione, Flow. Non posso stare qui e
tentare ogni volta di salvarti dalle sciagure e neanche tu puoi fare lo
stesso”, deglutì, “Ma posso avvertirti se mi rendo conto che la marea si sta
alzando e mi sento in dovere di farlo”.
“Lo
so”, assentì lui, “E non sai come ti sono riconoscente per questo!”
“Non
è vero, ma fingerò di crederci!”, ridacchiò lei.
“Fidati
Bee…alle volte, quando non posso consigliarmi con te, mi sembra di avere un
Pixie come guida!”
Abaigeal
scoppiò a ridere, “Mio padre ti ha decisamente influenzato, ammettilo!”
Orlando
ridacchiò, “Lo confesso! In quattro giorni mi ha dato degli ottimi
insegnamenti, e poi…”, accennò con la testa alla borsa di Bee, “Lui mi avrebbe
permesso di assistere al rito di Mambo!”
Lei
gli diede un buffetto sul braccio, “Non siamo mica ad una scuola di ballo, si
dice Mabon, e comunque non mi
sembrava proprio il caso. Tu non sei wicca!”
“Non
lo so neanche io che sono!”, mormorò lui, mogio.
“Flow
che capita?”, domandò Abaigeal interessata.
Lui
si strinse nelle spalle, “Capita che hai ragione te Bee. Che ho fatto il
cretino per un anno perdendo di vista le cose più importanti.”
Lei
sospirò, sedendosi a terra sopra il plaid e invitandolo a fare lo stesso.
“Magari
avevi bisogno di farti guidare da un Pixie per un po’!”, scherzò lei, “Non
possiamo mica stare sempre sulla strada giusta. Sono i deragliamenti che ci
rendono reali”.
Lui
annuì, “Si, è vero, ma è anche vero che ti ho trattata veramente male e non lo
meritavi!”
“Opperpiacere!!
Sono saltata dalla parte del grillo come la peggiore bigotta del mondo senza
nemmeno darti la possibilità di spiegare. Noi non siamo mica così, Flow. Noi ci
prendiamo a male parole anche per un’ora, se necessario, ma poi cerchiamo di
capirci. L’altra sera mi è andato il sangue al cervello per una stronzata e ti
ho aggredito, ma in realtà non ce l’avevo con te. Ce l’avevo con quello che in
quel momento stavi rappresentando”.
“Uno
stronzo della peggior specie?”
“Appunto!”,
rise lei.
“L’ho
capito Bee, è solo che ho fatto passare un po’ di giorni per capire meglio
anche me stesso, per metabolizzare”.
“Hai
fatto bene”, concluse lei.
Lui
le passò un braccio attorno alle spalle.
Stare
con Bee era rilassante. Poteva essere sempre se stesso senza paura di deluderla
perché, in realtà, comprese che sarebbe semplicemente bastato parlare.
Condividere.
E
quindi evitare malintesi.
“Te
la ricordi quella canzone che sentivamo sempre a Galway?”, le domandò, assorto
a guardare la luna.
“Ne
ho una migliore…”, disse lei, comprendendo a quale canzone alludeva.
“Sarebbe?”,
domandò lui.
“Magari,
se fai il bravo, un giorno te la faccio ascoltare!!”
Orlando
rise, spingendola di lato.
“Mi
sei mancata, sùile gorma!”
“Anche
tu a muirnìn!”
NDA.
Capitolo
decisamente in gaelic style, questo! But don’t worry girls, ecco a voi la
traduzione di ogni frase…più o meno! Se alla fine vi rendete conto che ne ho
lasciata qualcuna…bhè, sono quelle frasi che vi dicevo avranno un senso più
profondo alla fine della storia!
Serene…sono
belle sorprese! ;)
Cad ghuige faoi Dhia an
ndùirt tu sin?: cosa diavolo vai blaterando?
Ta tuirse orm: sono solo stanco.
Ina diadh: di lei?
Tà: si
Mo nàire thù: vergognati!
Feicfid mè nois moille
thù: ci
vediamo dopo io e te.
Go malté tù: Congratulazioni
Go raibh maith agat: mille volte grazie.
E
grazie per i commenti e per le letture...intuisco dall'impennata che la
storia vi sta piacendo! Non sapete come sono contenta, di questo!
Alla prossima!
Un abbraccio
Amaranta
|
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Capitolo 5 *** In the middle of the night ***
inthemiddl5
IN THE MIDDLE OF
THE NIGHT
“I know I’m searching for something
Something so undefined
That it can only be seen
By the eyes of the blind
In the middle of the night”
Billy Joel, ‘In the Midlle of the night”
Galway,
Marzo 1997
Respirò
profondamente un paio di volte, quindi lentamente riaprì gli occhi.
La costa si
stagliava meravigliosa di fronte a lei che, improvvisamente, si sentì piccola e
sperduta.
Era questo
l’effetto che la sua terra le faceva da sempre. La riempiva di energia e, nello
stesso tempo, le faceva capire di essere un piccolo granello in mezzo ad
un’immensa spiaggia. Poco male…anche se piccola, aveva l’audacia di un leone.
Ridacchiò.
Orlando,
poco prima che partisse per tornare a casa dai suoi, le aveva detto che in una
vita passata doveva essere stata una pantera o qualcosa del genere.
“Sul serio Bee”, aveva detto, “Fatti crescere le unghie di un paio di
centimetri e potresti tranquillamente passare per un animale della foresta!”.
A quella
battuta, lo aveva sbattuto con poca gentilezza sul divano, gli era saltata
sopra e lo aveva preso a cuscinate per almeno dieci minuti.
Lui si
muoveva, si girava, rideva e tentava di ripararsi con le mani.
Avevano
riso come pazzi, quel giorno.
O meglio,
loro due ridevano quasi sempre come pazzi. Ogni scusa era buona per pungolarsi,
sfottersi e finire inevitabilmente a battibeccare per ore ed ore.
Com’era
cresciuto quel rapporto…
Si erano
incontrati a sedici anni, poco più che bambini. Avevano attraversato insieme
l’adolescenza, passando oltre ad amori difficili, storie impossibili e sogni
ambiziosi.
Avevano
lottato per arrivare dov’erano e avrebbero continuato a lottare per arrivare
ancora più in alto, imparando giorno dopo giorno a volare senza aver paura di
cadere a terra.
E dire che
di ferite ne avevano collezionate a sufficienza, ma in ogni caso, erano
entrambi consci di doverne collezionare ancora altre.
E in quegli
anni, passo dopo passo, giorno dopo giorno, Abaigeal aveva imparato ad amare
quel buffo ragazzo con tutta l’anima.
Era come il
punto fermo che fissi quando cominci a ruotare vorticosamente su se stessa. Una
certezza.
Una
costante.
Era sicura
al cento per cento che non avrebbe mai amato nessuno come amava lui.
Semplicemente perché quello non era un amore convenzionale. Non era l’amore
normale di cui tutti, in giro, si riempivano la bocca. Il loro era l’amore
affettuoso di un fratello e una sorella, l’amore divertente di due amici che
crescono insieme, l’amore solido di due persone che con il tempo avevano
imparato a conoscersi profondamente. L’amore consapevole di due ragazzi che
litigavano di continuo, che avevano ricorrenti divergenze ma che, nella loro
infantilità, riuscivano anche ad appianarle parlando e parlando e parlando
ancora.
Abaigeal
considerò che non aveva mai parlato con nessuno come parlava con Orlando. Fin
dall’inizio della loro amicizia, era stato naturale intavolare conversazioni
sugli argomenti più astrusi. Già da quella mattina al bar.
La mattina
in cui Orlando aveva letto un pezzo di se stessa senza essere autorizzato. In
seguito non era mai più accaduto. Ogni volta che lui trovava in giro qualche
foglio scritto, le chiedeva sempre il permesso di leggerlo. Bee trovava tenero
quel pudore. In ogni caso, Orlando conosceva a memoria i suoi pensieri, perciò
non ci vedeva nulla di strano se a leggere le sue parole era lui. Era un po’
come se a leggere fosse un’altra parte di se stessa.
Con una
punta d’ansia si chiese se, con il tempo, quell’amicizia così fraterna potesse
essere incrinata dalla classica elettricità che si scatena tra uomo e donna.
Non erano più bambini, adesso. Erano adulti.
Avevano
ventuno e venti anni e, si sa, a quest’età certi malintesi possono crearsi.
Corrugò la
fronte, cercando di scacciare quel pensiero così scomodo.
Balle!
Aveva
sempre detto che lei ed Orlando erano fuori dal mondo, che non potevano essere
classificati in nessuna delle etichette che la società moderna aveva inventato
perciò non c’era da preoccuparsi. No davvero!
“Aingeal!” , la chiamò suo padre,
facendosi strada per raggiungerla.
“Athair!”, rispose lei sorridendo.
Kevin si
guardò intorno, quindi scelse una parte dello scoglio più levigata delle altre
per sedersi.
“Cosa fai,
bambina?”, le domandò.
Bee si
strinse nelle spalle, “Guardavo il panorama e riflettevo un po’ sulla mia
vita”.
Kevin annuì
con un sorriso, “E’ stato sempre il tuo posto preferito questo”, osservò in
basso, “C’è ancora la tua barchetta rossa attaccata agli scogli laggiù. Il
nonno la controlla quasi tutti i giorni quando porta le pecore al pascolo!”
Abaigeal
sorrise teneramente. Aveva viaggiato in lungo e largo per le coste della baia
con quella piccola barca. Le ricordava la sua infanzia. Fugacemente, pensò che
una volta avrebbe dovuto portarci anche Orlando, la sopra.
“E’ proprio
un peccato che Blàt non sia potuto
venire per il compleanno della mamma”, disse Kevin, facendo eco ai suoi
pensieri.
Abaigeal
ridacchiò. Suo padre e il vizio di tradurre in gaelico qualsiasi cosa. Blàt,
altro non era che la traduzione di Flow. Orlando, la prima volta che suo padre
lo aveva chiamato così, era impazzito dall’entusiasmo.
“Già è un
peccato”, assentì lei, “Ma lo sai come funziona. Alla BADA non può permettersi
cazzate!”
“Ha un
talento innato nell’esprimere le emozioni di un personaggio”, disse Kevin,
“Potrebbe commettere cazzate a più non posso e nessuno gli toglierebbe mai
quello che ha”.
Abaigeal
alzò un sopracciglio, “Non gli toglieranno il talento ma gli toglierebbero la
carriera!”
Kevin
sorrise. Conosceva la sua piccola meglio di qualunque altra persona.
“E’ questa
la cosa più importante? La carriera?”, le domandò.
“No…non la
più importante”, Bee sorrise, “Ma è tra le cose importanti”.
“Così
giovani e già così decisi!”
“Reputati
fortunato!”, lo canzonò Bee, “Preferiresti una figlia che se la spassa tutte le
notti nei pub di Temple Bar?”
Kevin fece
spallucce, “Almeno saresti conforme alla tradizione alcolica irlandese”,
osservò.
Lei scosse
la testa divertita, “My whiskey is the Devil!”
“Oh, puoi
giurarci!”, commentò l’uomo ridendo.
“Athair, ti
ricordi qual’era la canzone che hai cantato ad Orlando la prima volta che siamo
venuti?”
“Tu non la
ricordi?”, domandò lui sorpreso.
Lei si
strinse nelle spalle, “Ricordo la melodia, ma non ricordo le parole esatte”,
spiegò.
Kevin la
trasse a se abbracciandola, quindi con lo sguardo perso verso il mare, cominciò
a cantare per quella giovane figlia che aveva spiccato il volo.
Londra,
Marzo 1997
Orlando si
verso una tazza di caffè quindi ciondolò verso il salotto e si lasciò cadere
sul divano blu. Gli faceva strano starsene tutto solo in casa. Di solito, a
quest’ora, era già con Bee in giro per la città o magari a casa di lei a
guadarsi un film.
Ridacchiò
al pensiero dell’ultima sera che erano stati insieme prima che lei partisse per
Galway. Lui avrebbe voluto vedere per l’ennesima volta Stand By Me, lei si era
intestardita e gli aveva comunicato che se avesse visto quel film un’altra
volta, sarebbe stata costretta ad ignorarlo per almeno quindici anni.
“Potrei avere un colpo da rigetto!”, gli
aveva spiegato.
Tuttavia,
dopo un’estenuante lotta che aveva previsto anche una mezza fuga da parte di
lei con i cavi del videoregistratore era riuscito a calmarla e a fargli vedere
il film. Ma Abaigeal Gallagher era tutt’altro che una ragazza che cedeva.
Anzi.
Per tutta
la durata del film aveva anticipato ogni battuta ed ogni sospiro,
costringendolo ad una visione piuttosto movimentata.
Cocciuta
donna!
Eppure,
adesso che era partita, le mancava.
Ok, sarebbe
stata via solo una settimana ma comunque per lui era un tempo infinito. Alle
volte gli sembrava di non riuscire a prendere una decisione senza aver
consultato anche lei. Da non credere….
Ma sapeva
che il bello del loro rapporto era proprio questo. L’esserci senza aver bisogno
di cercarsi, l’esserci senza per questo invadere gli spazi dell’altro.
Riuscivano
tranquillamente a coniugare tutti i tasselli delle loro vite senza interferire
minimamente. Si davano consigli, avvertimenti, litigavano come una coppia
sposata da vent’anni ma non per questo si sentivano in diritto di mettersi i
bastoni tra le ruote.
Spesso,
molto spesso, Orlando pensava a come sarebbe stato meraviglioso se il loro
rapporto fosse evoluto in qualcosa di più esclusivo, salvo poi ricordare a se
stesso che loro due di esclusività ne erano ben sazi.
A quanto ne
sapeva lui, non esistevano nel mondo ragazzi di vent’anni in grado di mantenere
quel rapporto senza commettere cazzate fisiche.
Non che ci
fosse stato niente di male, beninteso.
Probabilmente
andare a letto con Abaigeal sarebbe stata la cosa più naturale del mondo ma,
stranamente, non ne sentiva il bisogno. Quello che avevano costruito in quei
quattro anni di amicizia vera, era sufficiente a sopperire quei pensieri così
inadeguati.
Bee era
come una sorella per lui. Un’amica fidata e sempre presente. Un amore
inspiegabile che andava protetto e cullato.
Era Bee,
punto e basta.
Non aveva
certo bisogno di spiegazioni per capire il loro rapporto.
Senza
badarci troppo spinse play dal telecomando del videoregistratore.
Stand By Me
era quasi alla fine. Ridacchiò al pensiero di Bee che, come minimo, avrebbe
lanciato un bicchiere contro la televisione accesa.
Si accomodò
sul divano e guardò la scena. Una delle scene più belle che avesse mai visto in
un film. River Phoenix era spettacolare in quel ruolo. Gli sarebbe piaciuto
avere anche solo un quarto del suo talento.
E quella
scena….
“Ti rivedrò
ancora?”, domanda Gordie.
E
Chris/River risponde, “Basta volerlo…”
Orlando
sospirò.
Basta volerlo….
Il telefono
prese a squillare facendolo quasi sobbalzare tant’era assorto nei suoi
pensieri. Acciuffò il cordless dal pavimento, quindi rispose. Magari era Bee…
“Si?”
Qualcuno
dall’altro lato disse qualcosa concitatamente. Orlando spalancò gli occhi,
ridacchiò, rise ed infine esclamò un, “Porca puttana non ci posso credere!”,
che sintetizzava perfettamente lo stato d’animo del momento.
“Quando
devo venire?”
Annuì un
paio di volte, ascoltò attentamente quindi salutò e chiuse la conversazione.
Rimase un
secondo immobile, quindi schizzò in piedi e prese a saltellare per la stanza
come un pazzo in preda ad una crisi a livello cinque.
Con le mani
tremanti compose il numero di casa di Bee e aspettò che qualcuno rispondesse.
“Dia
daoibh”, rispose Leah Gallagher.
“Hòigh
Signora Gallagher, sono Orlando. Come sta?”
“Blàt!”,
esclamò la donna felice, “Caro ragazzo! Taim go mhaith! E tu? Conas a ta tù?”
Orlando
rise. Adorava sentire parlare il gaelico da quella signora. Sembrava cantasse!
“Sto
benissimo la ringrazio. Mi dispiace di non essere potuto venire con Abaigeal
per festeggiare il suo compleanno!”
“Non
preoccuparti, caro, avremo occasione per stare insieme! Presto verremo a Londra
con Kevin”, confessò.
Orlando
esultò, “Iontach!”, ridacchiò, “Questa si che è una notizia!”
Leah rise,
“Vuoi parlare con Abe?”
“Si, per
piacere. E’ in casa?”
“Te la
chiamo subito, caro. Bheith faichilleacht tù!”, si raccomandò la donna.
“Si, non si
preoccupi! Saluti Kevin da parte mia! Arrivederci!”
“Ciao
caro!”
La sentì
chiamare Bee, e poco dopo la voce dell’amica gli riempì le orecchie.
“Flow! Que
pasa?”
“Non
dovresti essere in Irlanda?”
“Si,
quindi?”
“Quindi
perché parli spagnolo?”
Bee
ridacchiò, “Per dare un tocco di originalità alla mia persona. Non suonava
bene?”
“Suonava
bene, si!”, rise Orlando.
“Allora
Flow, cosa c’è? So riconoscere il tono di voce che hai…”
“Che tono
di voce avrei?”, indagò lui, suo malgrado affascinato dall’idea di tenerla
sulle spine.
“Quello che
usi ogni volta che stai per dirmi qualcosa di incredibilmente meraviglioso o di
incredibilmente disastroso. Sono svantaggiata, non posso vedere i tuoi occhi da
qui, altrimenti sarei già più tranquilla”.
“Ok…mi hai
beccato. Devo dirti una cosa importante”.
“Sputa il
rospo Flow!”, lo incitò lei.
“Sei
seduta?”
“Sputa!”,
gli ordinò.
“Domani
mattina ho il provino definitivo per Wilde!”, prese fiato, “Mi hanno preso!!”
L’urlo di
Abaigeal lo convinse in un secondo che sarebbe stato il primo caso umano di
attore sordo.
Altro che
Beethowen!
NDA
Eccoci qua
con un nuovo aggiornamento! Continuiamo sulla strada dei ricordi, che è sempre
quella più dolorosa ma è anche l’unica che ci permette di capirci qualcosa di
più.
Vi
ringrazio donne…vi ringrazio con le mani giunte e con una vaga sensazione di
commozione. Almeno voi, in questo periodo del cavolo, mi strappate sempre un
sorriso! Grazie!
A chi lo
chiedeva… bhè, il gaelico è un po’ la lingua dei miei sogni. L’ho imparata anni
fa in maniera sommaria e tutt’oggi ogni tanto la tiro fuori. Prendetela com’è…di
sicuro c’è qualche errore in mezzo, ma dovevo necessariamente infilarcela. L’Irlanda,
Bee, Flow…sono un sogno e meritavano di avere la lingua dei sogni per parlare!
Ecco le
traduzioni delle frasi in gaelico:
Aingeal: angelo
Athair: papà
Dia daoibh: pronto? (in realtà è il gaelico
per ‘hello’, che in inglese si usa anche per rispondere al telefono)
Hòigh: salve!
Taim go mhaith: io sto bene.
Conas a ta tù: tu come stai?
Iontach: fantastico!
Bheith faichilleacht tù: prenditi cura di te!
I
|
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Capitolo 6 *** Question ***
question6
QUESTION
“Someday, somebody’s gonna ask you
A question
That you should say
yes to
Once in your life
Maybe tonight
I’ve got a question
for you”
Rhett Miller;
‘Question’
Londra,
Settembre 1997
“Ok, adesso
fate silenzio”, disse Bee passando una ciotola di pop corn a Samantha.
Erano tutti
a casa sua, Kevin, Leah, Samantha, Orlando, Sonia ed Harry, per vedere insieme
il film a cui aveva partecipato Orlando: “Wilde”. Lui se ne stava immobile sul
divano, in faccia un’espressione tesa e preoccupata. Bee conosceva
quell’espressione, era la stessa che si dipingeva sul suo volto quando dava a
qualcuno uno dei suoi racconti da leggere.
Era
l’espressione dell’artista in attesa di giudizio.
Si accomodò
accanto a lui, sorridendogli incoraggiante.
Naturalmente
lei aveva già visto il film ed aveva trovato l’interpretazione di Orlando
ottima. A suo parere, era pronto per compiere il grande salto. Certo, avrebbe
sicuramente dovuto migliorare qualcosa, ma in fondo, essere attori significava
crescere continuamente come artisti e lei, per quanto la riguardava, era
assolutamente sicura delle capacità di Orlando.
I titoli di
testa partirono e la stanza si fece immediatamente silenziosa.
Orlando si
guardò intorno con discrezione.
Sam e Kevin
stavano mangiando pop corn, lo sguardo assorto verso il televisore e le mani
infilate nella ciotola. Per contro, dall’altro lato, c’erano sua madre, Leah e
suo padre che avevano un’espressione carica di aspettativa.
Accanto a
lui, Bee, non aveva smesso un secondo di giocherellare con i suoi capelli da
che si era seduta. La ringraziò mentalmente.
“I
cerchietti”, come li chiamava lei, erano una delle poche cose che riuscivano
veramente a calmarlo.
Assurdamente,
si chiese se fosse davvero portato per quel lavoro. In fin dei conti, in quella
stanza erano solo sette persone che, tra l’altro, lo adoravano. Cosa sarebbe
successo quando avrebbe dovuto prendere parte ad una prima?
Sarebbe
impazzito, ecco.
Come minimo
avrebbe avuto una crisi isterica al minuto… e pensare poi che a teatro non era
quasi mai così agitato. Nervoso si, preoccupato pure, ma agitato a tal punto da
avere quasi una crisi isterica no. Mai.
Si accomodò
contro il petto di Bee, quindi si girò per parlarle nell’orecchio.
“Dici che a
loro piacerà?”
Lei
inghiottì il boccone di pop corn, senza smettere di carezzargli i capelli,
“Ovvio che si. Sei tu. Piaci a
tutti!”
Orlando
soffocò una risatina.
Incredibile
come alle volte, anche una semplice menzogna possa aiutarci a trovare un po’ di
coraggio.
“Bee,
ricordami di farti un regalo…”, sussurrò.
“Perché?”
“Perché
anche quando mi riempi di cazzate mi fai stare meglio!”, confessò.
Il petto di
Bee venne scosso da una risatina soffocata, “Io non dico cazzate Flow. O almeno
non le dico a te”.
Lui alzò un
sopracciglio, “Piaci a tutti”, citò, “Come no, Bee…”
“Ne
riparliamo tra dieci anni, quando avrai uno stuolo di fans adoranti che apriranno
fan clubs in tuo nome!”
“Come no,
Bee…”
“Abbi
fiducia in questa sobria irlandese, cocciuto di un ragazzo!”
Orlando
scosse la testa, quindi guardò verso lo schermo del televisore.
Le scene
andavano avanti piano, gli sembrò che quel dannato film fosse ogni volta più
lento della precedente. Sospirò, quindi si voltò, intercettando lo sguardo di
Sam.
Lei lo
guardò e gli sorrise, facendogli l’occhiolino.
Anche lui sorrise,
poi con lo sguardo fece una rapida carrellata delle persone che aveva intorno.
Tra sé e
sé, si ripromise di ringraziarle una ad una se mai avesse veramente vinto un
Oscar, come sosteneva Bee.
Perché
erano loro, tutte loro, la vera forza alla quale attingere ogni volta che si
sentiva sperduto.
Ogni volta
che aveva l’impressione che a guidarlo era un Pixie e non la sua coscienza.
“Sei sicura
che è qui?”, domandò Leah a sua figlia mentre camminava piano per il Greenwich Park.
Dopo la
proiezione, Leah aveva chiesto a Abaigeal di portarla nel suo luogo di potere
per poter ringraziare la Dea
del talento che aveva donato ad Orlando.
Inutile
dire che erano rimasti tutti enormemente soddisfatti dal suo ruolo. Sua madre
aveva pianto come una fontana per mezz’ora ripetendo, “Mio figlio è un attore”.
Suo padre, invece, gli aveva assestato un paio di potenti pacche sulle spalle e
si era congratulato. “Sono fiero di te, figliolo”, gli aveva detto.
Sam, dal
canto suo, aveva passato l’ora seguente alla fine del film a chiamarlo
“attoruncolo mio”, e chiedendogli uno sforzo più duro del previsto per evitare
di lanciarla dalla finestra.
Ora lui e
la famiglia Gallagher, si stavano recando nel luogo di potere di Bee.
Samantha,
invece, aveva accompagnato i loro genitori a casa.
“Siamo
sicuri che questa sia una cosa legale?”, domandò Kevin seguendo la sagoma della
figlia e avvicinandosi ad Orlando.
“No athair, non è legale perciò evita di
sgolarti”, l’ammonì lei.
Kevin
scosse la testa guardando Orlando, “Donne!”, mormorò, “Aingeal, ti ricordi
quando ti dicevo di conformarti alla media nazionale irlandese?”
“Si,
quindi?”
“Quindi
intendevo bere ettolitri di birra, leanbh,
non farsi arrestare dai bobbies per essersi introdotti abusivamente in un
parco”.
“Oh
smettila Kev”, lo zittì Leah, “Facciamo un’offerta alla Dea e torniamo. Ci
metteremo al massimo mezz’ora e cercheremo di fare il più piano possibile!”
“Posso
assistere anche io?”, domandò Orlando, speranzoso.
“No”, disse
Bee severa, “Tu e mio padre ci aspetterete qui. Noi torniamo presto”.
I due
uomini si arrestarono, rimanendo a fissare le schiene delle due donne che si
allontanavano.
“Blàt, hai notato che ogni volta che ci
sei tu estromettono anche me?”, osservò Kevin sedendosi a terra.
Orlando lo
imitò quindi si mise a ridere, “Mi dispiace. Magari prima o poi cambia idea”,
azzardò.
“Chi? Mia
figlia?”, Kevin scoppiò a ridere, “Non sperarci. E’ testarda come un mulo”.
“Oh se non
lo so!”, assentì l’altro.
Rimasero un
po’ in silenzio, ascoltando i rumori della natura. Orlando lo trovò un momento
molto mistico…gli sembrava di poter sentire quell’energia di cui tanto parlava
Bee.
“Sai Blàt?”, mormorò Kevin, “Sono veramente
contento della vostra amicizia”.
Orlando
sorrise senza parlare. Intuiva che il discorso non era finito lì.
“Un giorno,
parlando con Leah, ci chiedevamo cosa sarebbe successo una volta che foste
cresciuti e che gli ormoni si sarebbero impossessati del tuo cervello”,
ridacchiò, “ma questi voli mentali me li faccio solo quando rimango troppo
tempo senza vedervi. Perché ti assicuro che basta una veloce occhiata per
capire che voi due siete completamente fuori dai canoni, ha ragione Aingeal”.
“Bee dice
che siamo fuori dai canoni?”. Era inutile domandarlo, lo sapeva anche lui, ma
l’incuriosiva sapere quello che lei diceva agli altri di loro.
Kevin
annuì, “Sua madre una volta gli chiese se per caso c’era del tenero tra voi due
e lei sai cosa gli ha risposto? ‘Definisci il tuo concetto di tenero ma non te
la prendere se non è concorde con il nostro’”, rise.
Anche
Orlando rise. Quella era la tattica di Bee che preferiva. Ogni volta che
qualcuno le domandava qualcosa di insidioso lei se la cavava sempre con quella
battuta.
“Ci hai mai
pensato?”, proseguì Kevin.
“A cosa?”,
domandò lui.
“A voi due
insieme. Insieme come le persone normali…”
Orlando
sospirò. Non si sentiva per niente in imbarazzo a parlare con Kevin di quelle
cose, ma lo spaventava l’evenienza che lui potesse dire qualcosa a Bee.
“Non le
dirò nulla”, promise l’uomo, intuendo il corso dei suoi pensieri.
Orlando ridacchiò.
Un’altra particolarità dei Gallagher che adorava. Capivano al volo ogni
pensiero.
“Ci ho
pensato, qualche volta”, ammise, “Ma non credo che sarebbe possibile. Con Bee
siamo andati oltre il concetto di normalità alla fine del secondo anno di
amicizia. Non credo che molti ragazzi della nostra età riuscirebbero a
mantenere un legame come il nostro”.
Kevin annuì
solennemente, “Vero. Devo darvene atto. Ma rispondi sinceramente anche a
quest’altra domanda: hai mai pensato che prima o poi potrebbe succedere?”
Orlando
scosse la testa, “Sinceramente no”, sorrise, “Credo che il periodo di
elettricità sia passato ormai!”
Kevin gli
diede una pacca sulla spalla, “Fidati figliolo, l’elettricità si sopisce ma non passa mai. Io e Leah siamo insieme da trent’anni e non è mai passata.
Neanche per una settimana!”
Imbarazzato
Orlando abbassò la testa.
“Non
arrossire Blàt! Siamo tra uomini, possiamo parlarne serenamente…”
Il ragazzo
scoppiò a ridere.
Rimasero un
po’ in silenzio, riflettendo, finché non fu di nuovo Kevin a spezzare il
silenzio.
“Come ti
comporterai quando succederà?”.
“Lo dici
come se fossi sicuro che accadrà…”
“Non mi hai
risposto…”
“Non
accadrà!”
Kevin fece
spallucce, “Convinti voi…”
Orlando,
suo malgrado, scoppiò a ridere.
Kevin
Gallagher era un uomo incredibilmente assurdo!
Adesso
capiva da chi aveva effettivamente preso Bee.
“Perché
questa domanda?”
“Prenditela
con tuo padre”, si giustificò lui, “Prima mi ha fatto un discorso assurdo
sull’evenienza che io e te potremmo finire a letto!”
Bee scoppiò
a ridere come se le avesse appena confidato di aver visto un asino volare.
“Bhé?”, la
incalzò.
“Cosa devo
dirti, Flow?”
“Non lo
so”, borbottò lui, “Potresti cominciare con quello che pensi”.
“A
proposito della possibilità che io e te potremmo finire a letto?”
Lui abbassò
lo sguardo, imbarazzato, “Si…”, mormorò.
“Credi che
potrebbe succedere?”
“Oh no Bee.
Non fare questo giochino con me. Sono io quello che fa le domande, qui!”
“Ok
allora”, si arrese lei, “Domanda”.
“Pensi che
potrebbe accadere?”, domandò lui a bruciapelo.
Bee lo
fissò negli occhi, “Penso di no, ma non ho la palla di vetro quindi non posso
dirti che non accadrà mai nell’arco di una vita”.
“Quindi ci
hai pensato!”, gridò lui stupito.
“Non fare
quella faccia!”, lo rimbrottò lei, “Ci hai pensato pure tu!”
“Vero”,
confessò Orlando, “Però conosco te e conosco me, quindi lo escludo”.
“E allora
di che ti preoccupi?”
“Di niente,
volevo solo sapere che ne pensavi tu”.
Abaigeal si
accoccolò contro il suo petto, tirandosi le coperte fino alla bocca.
“Penso che
prima di preoccuparsi di come medicarsi, bisogna ferirsi”, mormorò.
“Lo dici
come se fosse una cosa brutta”, borbottò lui giocando con una ciocca dei suoi
capelli.
“Lo dico
come va detto. Se e quando succederà ce ne preoccuperemo. Adesso trovo inutile
discutere della possibilità che accada”.
“Vaffanculo
Bee!”
Lei rise,
“Perché?”
“Perché
dici sempre le cose giuste!”
Per tutta
risposta Bee si voltò e lo baciò sulla fronte, “E’ per questo che mi ami no?”
“Puoi
giurarci!”, ridacchiò lui.
Rimasero un
po’ in silenzio a guardare la luna che entrava nella camera da letto di Bee.
“Oìche mhaith, sùile gorma…” sussurrò
lui.
“Oìche mhaith, a muirnìn…” rispose lei.
NDA
Ciao
giovani donne!!!
Strow,
fosse stato solo un giovedì fiacco sarebbe andato pure bene. Ma qui di fiacco
c’è un mese intero…per fortuna c’è l’ispirazione, Orlando e un paio di sogni
che ci tengono in piedi!
E
a voi, ragazze, GRAZIE!
Bebe,
calcola che mi hai fatta arrossire… *Amy ha gli occhi a cuoricino*!
Sono
contenta che la storia vi prenda e sono ancora più contenta di dirvi che dopo
questo capitolo spicchiamo il volo…come lucciole, che non è vero che sono gli
uccelli a vederci meglio. Da vicino le cose sono sempre più nitide!!
Ah…quasi
dimenticavo. Ecco le frasi tradotte (sta volta sono poche…ehehehe!)
Leanbh: bambina
Oìche mhaith: buonanotte
E
con questo è tutto, gioie!
Grazie….sul
serio!
Amaranta
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Capitolo 7 *** Fast Forward ***
fastforw7
FAST FORWARD
Forse oggi l’obiettivo principale
non è di scoprire che cosa siamo,
ma piuttosto di rifiutare quello che siamo.
Dobbiamo immaginare e costruire ciò
che potremmo diventare.
(M. Foucault)
Londra, Dicembre
2006
Lui era
rimasto sdraiato sul divano a guardare il soffitto.
Abaigeal
sbuffò, quindi marciò spedita verso il salotto bloccandosi proprio davanti a
lui.
Gli indicò
con un cenno della testa il piatto di pasta che teneva in mano ma, vedendo che
lui non accennava a prenderlo, lo appoggiò con veemenza sul tavolino basso,
facendolo sbattere.
Orlando non
si mosse.
Abaigeal si
mise seduta per terra, all’altezza del viso di lui, gli prese una mano e la
strinse.
Orlando non
si mosse.
Allora appoggiò
la schiena alla base del divano sospirando, senza smettere di stringergli la
mano.
“Mi sento
uno straccio”, mormorò lui con uno strano tono di voce.
Abaigeal
non si voltò e non rispose. Lasciò che il suo silenzio parlasse per lei.
“In fin dei
conti è un momento d’oro per la mia carriera, no? Dovrei essere contento, ti
pare? E poi, diciamoci la verità, con Kate le cose non andavano bene già da un
po’, lo sai anche tu”, sospirò, “Insomma, sono passati quattro mesi, giusto?
Dovrei averla superata, ti sembra? Non capisco bene cosa mi stia capitando… che
è una specie di effetto boomerang emozionale?”
Abaigeal
non disse ancora nulla. Voleva lasciarlo parlare. Voleva che lui si sfogasse.
“Però lei è
stata…tu lo sai, c’eri, mi vedevi. Ci
vedevi. Lei è stata il mio primo vero amore. La prima storia veramente
importante. Io mi vedevo con lei per il resto della vita. E lo so, tu lo dici
sempre che sono un dannato sognatore e hai ragione. Sono un sognatore. E mi
piace esserlo, ok? Mi piace incontrare una donna, innamorarmi e sognare che sia
quella giusta per me. Quella che non se ne andrà…” ridacchiò, “Sono un
maledetto patetico, ecco che sono. Chissà magari è questo cazzo di Natale che
arriva a buttarmi addosso tutta questa malinconia. Hai ragione tu, Bee. Le feste
Natalizie rendono le persone estremamente patetiche e ipocrite. Allora che
faccio? Aspetto qui che passino?”
Non aveva
ancora finito, Bee lo sapeva.
“Eppure
Cristo Santo non è che chiedevo chissà che…no? Voglio dire, lo so che ho una
vita incredibilmente fortunata ma io sono niente senza amore”, sbuffò, “E non
capisco perché se tu riesci a capirmi le altre donne non ci riescono. Ok, dalla
tua hai qualcosa come tredici anni di conoscenza e ci può stare che mi conosci
meglio di altre persone no? Però, Bee, tu mi hai conosciuto dopo quattro giorni
che ci siamo incontrati. Mi hai guardato un minuto e hai capito chi ero, cosa
sognavo e cosa sarei diventato. Lo so che sei speciale Bee, non fraintendermi
ma insomma…non puoi essere l’unico essere speciale del pianeta che entra in
collisione con la mia vita, no? Ci sarà pure qualcuna disposta ad amarmi come
fai tu”.
“Ne
dubito”, sussurrò lei.
Orlando
fece una smorfia, “Bee se non lo avessi capito sto vivendo una crisi da cuore
spezzato. Ti sarei grato se evitassi di dirmi che non troverò mai una donna
nella mia vita”.
“Non ti sto
dicendo questo, Flow”, Abaigeal si girò per guardarlo, “Troverai mille milioni
di donne e prima o poi troverai quella giusta per te. Ma non sperare di trovare
qualcuno che ti ami come ti amo io. Parti perdente”.
“Non. Dirlo.”, sillabò lui contrariato.
“Non dire
cosa?”
“Quello che
stai per dire”, Orlando si mise a sedere, abbassò la testa per guardarla in
faccia, “Non partire con quel discorso
perché ora non ho bisogno di sapere quanto tu sia perfettamente incastrata in
ogni angolo della mia vita. Già lo so”.
“Non stavo
dicendo niente”, puntualizzò lei.
“Si,
invece. Ogni volta che le cose si mettono male tu tiri fuori cinque ricordi,
quattro citazioni, due parole e mi mandi fuori strada”.
“Cinque
ricordi, quattro citazioni e due parole…quali sarebbero?”
“Che vuoi
dire?”
“Quali sono
i cinque ricordi, le quattro citazioni e le due parole che tiro fuori per farti
sentire una merda?”.
Orlando
scosse la testa, “Lascia perdere”.
Abaigeal si
innervosì, “No, non lascio perdere niente. Dimmeli”.
“Bee per
cortesia…”
“Dimmeli”.
Orlando
sbuffò, “Primo ricordo: incontro alla caffetteria. Ci aggiungi una frase del
tipo ‘incredibile come tu avessi già conosciuto la parte più profonda di me
senza aver conosciuto me’, ecco è vero Bee. Ho letto il tuo taccuino e sapevo
perfettamente di che colore era la tua anima. Hai vinto!”
“Di che
colore è?”
Orlando
ignorò la domanda, “Secondo ricordo: Irlanda, casa dei tuoi. Usciamo a notte
fonda dopo esserci scolati qualcosa come cinque pinte a testa, saliamo nella
tua barchetta rossa e mi fai circumnavigare la baia di smeraldo. Canticchiavi
anche quella canzone…. Poi ad un
certo punto ci siamo promessi sotto la luna che qualunque cosa ci sarebbe
successa, anche se le nostre strade si fossero separate, non avremmo mai
rinunciato a cercare il grande amore. A qualunque costo”.
Abaigeal
sorrise. La ricordava bene quella notte.
“Terzo
ricordo: casa mia a Londra, lo stesso giorno che mi avevano confermato il ruolo
di Legolas. Arrivi a casa mia con una busta piena di pasta, pomodori, basilico
e una bottiglia di champagne. Ci siamo ubriacati come due cretini e abbiamo
parlato per quattro ore di come volessimo un compagno che somigli a noi… è
stata una serata intensa quella, non a caso abbiamo fatto finta di niente
scherzandoci su, finchè il giorno dopo tu mi hai detto ‘anche se non la trovi
perfettamente uguale saresti felice lo stesso’”
“Quarto
ricordo, tu che incontri Kate. Due giorni dopo vieni da me con un sorriso a
mille denti e mi dici, ‘ci stanno bene quegli occhi vicino ai tuoi’, mi
abbracci e mi canticchi quella
canzone. In quel momento ho capito che saresti sempre stata un pezzo di questo
cuore qui”, si indicò il petto.
“Quinto
ricordo…”
“Credo di
sapere qual è…”, lo interruppe Bee.
“No, adesso
me lo fai dire, porca puttana!”, imprecò lui alzandosi in piedi e
scavalcandola, “Voglio che questi ricordi li veda anche dalla mia prospettiva.
“Sera tardi. Eravamo sul terrazzo di casa dei tuoi a Galway. Avevo conosciuto
Kate da due settimane e mi sentivo su di giri. Tu avevi qualcosa di strano
invece, eri incredibilmente giù di corda. Lì per lì pensai che fosse per via di
Mike, in fin dei conti vi eravate lasciati solo un mese prima dopo una storia
di due anni…era ragionevole come spiegazione. Poi quando hai cominciato a
parlare, su quel portico, ho capito al volo qual’era il punto. Lì ti ho odiato Bee, questo devi saperlo. Mi hai
sbattuto in faccia una verità troppo grossa e in quel momento non ero in grado
di gestirla. In quel momento non volevo pensarci. E invece tu te ne sei
sbattuta alla grande e hai continuato imperterrita a parlare come se io non
fossi lì”, la fermò con la mano quando vide che stava per parlare, “E lo so che
lo fai spesso. Lo so che parli con me anche quando non ci sono, lo faccio anche
io. Ma non ti avevo chiesto di dirmi perché lo facessi. E non volevo chiederlo
nemmeno a me stesso. Volevo che rimanesse tutto com’era. Ti ricordi quella sera
che eravamo al Greenwich dopo che avevamo visto con la famiglia ‘Wilde’? Ecco,
quella sera mi pareva avessimo stabilito che tra me e te certi equilibri non
sarebbero mai mutati, no?”
“No”, disse
Bee.
“No?”
“No”, disse
di nuovo, “Quella sera tu mi avevi chiesto se avevo mai pensato all’evenienza
di venire a letto con te. Io ti risposi che non avrei potuto dire se sarebbe
successo o meno nell’arco di una vita, ma che lo escludevo perché eravamo io e
te i soggetti del discorso”.
“Appunto”,
sospirò lui.
“Appunto
che? La convinzione che avevo e che ho nasce proprio da quello che tu non riesci
a metabolizzare”.
“Non dire
cazzate Bee…la convinzione ce l’hai perché non hai mai provato attrazione
sessuale nei miei confronti, altrimenti non avrebbe senso quello che dici.
Come…dici che mi ami, dici che sono la parte migliore di te e poi non vieni a
letto con me? E’ un nonsense!”
Abaigeal si
alzò in piedi. Orlando intuì dalla sua espressione che si stava arrabbiando.
Poco male, aveva bisogno di scaricarsi.
“Il
problema è non aver fatto sesso con te quando avevo vent’anni?”
“Il
problema è che tu non puoi dire di amare in assoluto una persona se poi non ti
viene neanche lontanamente l’istinto di farci l’amore. Fare l’amore Bee…ti è
chiara come frase? Fare. L’Amore.”, sillabò.
“Io faccio
l’amore con te ogni volta che ti guardo negli occhi”, si difese lei, “Ogni
volta che stiamo a parlare per tutta la notte. Faccio l’amore con te quando
restiamo abbracciati a fantasticare sulle nostre vite. Quando mi sparo cinque
ore di volo solo per venire da te e farti parlare. Perché lo so che spesso hai
bisogno di mettere la tua anima a nudo e non mi tiro indietro quando serve.
Faccio l’amore con te quando mi chiami in preda a stati d’ansia assurdi solo
perché ti rendi conto che la gente ti ama e ti stima. Faccio l’amore con te
quando passiamo insieme Samhain e quando tu ti chiudi in camera mia aspettando
che finisca il rituale. Faccio l’amore con te in mille modi che la gente
normale non può neanche lontanamente immaginare, e lo faccio mettendoci il
cuore, la testa, gli occhi, le orecchie, la bocca e l’anima. Faccio l’amore con
te continuamente”, terminò indispettita. Aveva le guance rosse. Orlando trovò
quel particolare assurdamente delizioso.
“Non sto
parlando del nostro piano astrale, Bee…”, l’accusò lui, “Sto parlando di
sentirsi veramente. Tu quella sera mi
hai detto di amarmi. Mi hai guardato negli occhi e mi hai detto, ‘io ti amo,
Flow. Lo sai’, e aspettavi che io dicessi qualcosa che non sapevo dire. Non
riuscivo a dirti ‘ti amo anche io’, e non ci riuscivo perché avevo messo una
diga su quel ruscello lì. Non potevo buttarla giù solo perché tu avevi una
crisi d’abbandono”.
“Non ti ho
detto quelle cose perché ero in crisi d’abbandono, stronzo. Questo lo sai anche
tu”.
Orlando
strinse i pugni, “Mi hai detto ‘ti amo’ sapendo che avevo conosciuto una
ragazza Bee. Tu e Mike vi eravate lasciati da poco. Sam era tornata in pianta stabile
a Canterbury, e tu era in preda ad un attacco di panico”.
Abaigeal lo
guardò disgustata.
“Come puoi
dirmi una cosa del genere? Come cazzo fai a rivolgerti a me così?”
“Così come
Bee? Dico solo quello che penso…”
Bee scosse
la testa e marciò verso di lui.
“Orlando Jonathan
Blanchard Bloom”, sibilò, “Esci da questa casa e non tornarci più”.
Detto
questo camminò verso la camera.
Orlando
sentì solo il tonfo della porta che si chiudeva.
Rimase per
un momento immobile, quindi andò verso la cucina. Aprì il frigo e prese una
lattina di Guinness.
Stavolta,
l’aveva combinata decisamente grossa.
Sentì un
live bussare alla porta.
Sbuffò
indispettita. Era veramente incazzata.
“Ti ho
detto di andartene”, gridò alla porta chiusa.
Per tutta
risposta, Orlando la spalancò ed entrò.
“Non fare
la bambina Bee”, l’ammonì, “Finiamo il discorso”.
“Io non ci
parlo con uno che si crede un adone del cazzo e che pensa che la sottoscritta
gli stia vicino solo perché ha paura di essere abbandonata”.
“Non ho
detto questo”, precisò lui.
Lei alzò un
sopracciglio.
“Bee provi
a leggere fra le righe?”, fece un paio di passi e la raggiunse, “Ti ho detto
che non ero pronto ad ammettere quello che sentivo, ok? Tu non puoi lanciare
una bomba e aspettarti che gli altri se ne rimangano lì a saltare per aria. Si
chiama istinto di sopravvivenza, sai?”
“Sei un
maledetto stronzo!”, lo colpi con entrambi i pugni sul petto. Aveva gli occhi
rossi, “Sei un bastardo del cazzo.”, lo colpì ancora, “Ti detesto con tutta
l’anima”, e ancora, “Mi hai ferita incredibilmente e non ti aspettare che ci
passi sopra come se niente fosse”, e ancora, “Pezzo di merda insensibile”, e
ancora.
Orlando la
guardò. Gridava. Le lacrime le scendevano dagli occhi e aveva le nocche
arrossate per la forza con cui stringeva i pugni. E lo spingeva e lo insultava
e piangeva.
I capelli
neri gli coprivano la faccia, le labbra si erano gonfiate perché adesso le
mordeva per non gridare.
All’improvviso
le bloccò le mani, evitandosi l’ennesima spinta.
La guardò
negli occhi e senza pensarci un secondo lo fece.
Lo fece e
basta.
E fu
dolcissimo.
Fu
violento.
Fu
delicato.
Erano più
di dieci anni di emozioni, di ricordi, di promesse, di parole e di risate.
Erano i sapori degli umori delle loro stagioni.
Erano le
mani di Bee la prima volta che si era messa lo smalto bordeaux, ed era il primo
pizzetto di Orlando. Erano le gite in barca sulla Baia di Smeraldo e le
passeggiate al Greenwich. Era il giorno che avevano portato Sidi a casa per la
prima volta. Era il compleanno di Orlando dopo l’operazione alla schiena e il
ricovero di Bee per quelle maledette emicranie. Era quel bacio che si erano
quasi dati durante il capodanno a Canterbury e le loro mani strette quando
dovevano farsi forza. Era la prima di ‘Trojan Women’, quando lei gli aveva
comperato dei fiori salvo poi accorgersi che era allergica. Erano anni e anni
di ricordi.
Ed erano le
mani di lei che, adesso, gli circondavano la schiena mentre si alzava sulle
punte per baciarlo meglio.
Ed era il
sorriso di Orlando mentre le stringeva le braccia intorno alla vita per
trattenerla.
Occhi
chiusi che si aprono e si fissano.
Terra e
cielo che si mescolano in un unico sguardo carico di aspettativa.
Mani che
scivolano sui vestiti e risatine imbarazzate.
Orlando la
prese in braccio e Bee gli avvolse le gambe intorno alla vita.
Senza
smettere di baciarsi.
Non
smettevano di baciarsi.
Non
respiravano.
Non
guardavano.
Sentivano.
Lui camminò
lentamente verso il letto, quindi l’adagiò sopra il piumone che avevano
comprato insieme in centro.
Lei teneva
gli occhi chiusi. Non aveva bisogno di guardarlo. Lo conosceva a memoria.
Sapeva ogni minimo dettaglio del suo viso, ogni significato delle sue
espressioni.
Orlando
prese nuovamente a baciarla, con urgenza, stavolta.
E con
urgenza si tolsero i vestiti, affamati di assaggiarsi, affamati del reciproco
respiro. Affamati del reciproco amore, affamati di emozioni.
E quando
finalmente i loro corpi si fusero insieme, un brivido passò contemporaneamente
da lui a lei. Un brivido che li spinse a chiedere di più, a consumare
quell’attesa con audacia, con ardore con voracità.
E la stanza
si riempì del profumo del loro amore che finalmente si mischiava completamente,
e dei loro sospiri, e dei loro sorrisi.
Si stavano
scambiando tutto. Gli amori più belli, quelli più difficili, quelli finiti male
e quelli che li avevano fatti soffrire. Si stavano scambiando le diverse
emozioni che avevano provato nei medesimi momenti.
E quando
Orlando la chiamò piano per nome, si scambiarono tutto l’amore che provavano
l’uno per l’altra. Un amore che li colpì come un onda di suono lasciandoli
storditi e stupiti. Lasciandoli finalmente sazi.
Lui rimase
sopra di lei, senza muoversi di un centimetro.
Rimasero a
fissarsi.
A respirare
dei loro respiri.
Rimasero
lì, senza muoversi, a sorridersi.
“Di che
colore è la mia anima?”, domandò piano, Bee.
“Blu…lo
stesso blu del cielo d’Irlanda”.
Abaigeal
alzò la testa e lo baciò lentamente.
“Tà mè
chomh mòr”, le sussurrò Orlando sulle labbra.
“Ti amo
anche io”, ripose lei, socchiudendo gli occhi.
NDA.
Ed
ecco come Mr Bloom e Mrs Gallagher si gettarono di testa, in un casino
incontrollabile!!!
E’
stato molto difficile scrivere questo capitolo, un po’ perché attinge ad una
situazione accaduta realmente, un po’ perché far tirar fuori a Bee quello che
sentiva veramente è stato più difficile che sturare il lavandino del mio
dannato bagno!
Spero
che comunque vi sia arrivato…arrivato tutto, come volevo che arrivasse!
Un
ringraziamento speciale a quelle meravigliose donne che mi seguono con
costanza. Se nn riesco a smettere di scrivere è anche per merito vostro!
E
adesso, allacciate le cinture… siamo ufficialmente partite!!
Un
abbraccio forte forte
Amaranta
|
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Capitolo 8 *** What a woderfull world ***
whatawond8
WHAT A WONDERFULL
WORLD
“I see friends shakin’
hands
Sayin’ ‘how do you do’
They’re really sayin’
‘I love you’”
Louis Armostrong
Galway,
Maggio 1999
“Cammina
Flow, sei lento come un dannato formichiere!”
Orlando
alzò un sopracciglio, “Che razza di paragone è?”
Abaigeal
saltello sopra gli scogli, quindi imboccò un sentiero che portava alla
spiaggia, “E’ un paragone che calza”, gli urlò dietro per coprire il vento che
soffiava forte, portando in giro un gregge di nuvole, “Cazzo, Flow! Vuoi
muoverti?”
“Bee dici
troppe parolacce”, scherzò lui.
“Si papà,
hai ragione, però sbrigati!”.
Orlando
puntò meglio la torcia verso il sentiero, quindi avanzò lentamente cercando di
mettere a fuoco quello che calpestava con la suola delle scarpe. Si augurò non
ci fossero scarafaggi o animali del genere. Gli facevano impressione.
Bee, da
basso, ridacchiava come una pazza. Probabilmente era già arrivata alla spiaggia
e si era messa a giocare con le onde. E sicuramente, ubriaca com’era, si era
bagnata le scarpe.
Con un
ultimo salto fu in spiaggia anche lui, e nello stesso momento in cui puntò i
piedi a terra, il vento soffiò via tutte le nuvole scoprendo una meravigliosa
luna piena.
Bee lo
guardò a bocca aperta.
“Wow”,
sussurrò, “Sei…sei…una visione, ecco!”
La luna gli
aveva illuminato il viso, sembrava l’unica cosa nitida in quella strana notte
irlandese.
“E tu sei
ubriaca”, scherzò lui per stemperare l’imbarazzo.
Lei rise,
quindi aprì la borsa e gli lanciò l’ennesima lattina di Guinnes da tre quarti.
“Ottima
presa, Flow!”, si complimentò lei facendo un accentuato ok con le mani,
“Se ti va male con la recitazione ti può
dare al football”, inclinò la testa a sinistra, “Si chiama così no? Quel gioco
dove uno tira la palla e quegli altri gli corrono dietro”, sorseggiò la birra,
“Alla palla non a lui”.
Orlando
scoppiò a ridere, “Bee erano mesi che non ti vedevo così”.
Lei gli si
avvicinò scrutandolo attentamente, “Ubriaco. Ecco cosa sei. E dai dell’ubriaca
a me per distogliere l’attenzione dai tuoi occhi ubriachi!”
“I miei
occhi non sono ubriachi”, protestò.
“See come
no, e io sono la fatina di Peter Pan!”, si voltò, quindi corse verso la
spiaggia fino al confine con l’acqua. Quando il mare si gonfiò e l’onda si
avvicinò al bagnasciuga prese a correre per non bagnarsi, ridendo come una
pazza.
Orlando
scosse la testa ridendo a sua volta.
“Vieni qua
Flow. Vieni a provare!”, lo incitò saltellando e battendo le mani.
Lui si
avvicinò con cautela, ma Bee gli prese la mano, trainandolo più vicino
all’acqua. Quando l’ennesima onda si infranse, lo trascinò al sicuro verso la
spiaggia, ridendo forte.
“Non è una
figata?”, gli chiese ansimando, “Da piccola passavo le giornate intere a fare
questo benedetto gioco!”
Lui
appoggiò le mani sulle ginocchia, cercando di riprendere fiato. Bee gli aveva
fatto correre quattrocento metri in dieci secondi.
“Cazzo Bee!
Ma sei parente con flash?”
Lei gli
diede una pacca bene assestata sulla schiena, “E’ il fisico che ti manca,
Bloom. Come pensi di sfuggire alle orde di fan scalmanate se non riesci a fare
un metro senza farti venire una crisi polmonare?”
Lui la
guardò di traverso, senza smettere di respirare affannosamente.
“Ho
capito”, sbuffò lei prendendolo per mano, “Vieni qua nonnetto, ti porto a fare
un giro su Mrs. Sunrise”.
“Chi?”,
domandò Orlando senza capire.
Bee gli
indicò la barchetta rossa attraccata ad uno scoglio, “Mrs. Sunrise, la mia
nave!”
Lui alzò un
sopracciglio, “Bhè nave mi sembra un po’ pretenzioso…”, scherzò.
“Non
offendere la mia barchetta!”, lo rimbrottò lei, colpendolo ad un braccio.
Appoggiò entrambe le mani sul bordo, quindi saltò dentro con uno slancio agile,
“Salta su, nonnetto!”
Orlando si
guardò intorno preoccupato, “Bee ma il mare è mosso”, considerò.
Lei scrollò
le spalle, “Macchè mosso e mosso. Siamo in Irlanda”, spiegò, “Qui il mare è
quasi sempre così”, lo guardò implorante, con il broncio, “Sali?”
Lui
ridacchiò. Impossibile resistere al broncio di Bee.
Appoggiò un
piede sul bordo e rotolò letteralmente dentro, facendola scoppiare a ridere.
“Bee non
ridere altrimenti ti buttò in mare!”, la minacciò.
Lei cercò
di darsi un contegno, quindi si mise seduta.
“Remi in
mareeeeee!”, gridò, facendo scivolare la barca in acqua.
“Questa
piace anche a te”, sorrise lei, passandogli una cuffia del lettore cd.
Orlando la
infilò e si mise ad ascoltare.
“Waiting on
an angel”, di Ben Harper.
Sorrise,
chiuse gli occhi e si beò di quella meravigliosa sensazione che gli dava il vento
leggero, l’odore del mare e la luna che faceva a botte con le nuvole per
illuminare la loro barca. Assurdamente pensò che tutte quelle cose erano lì per
loro. Per loro e basta. Ed il mattino dopo sarebbero sparite per non far
provare a nessun altro quello che provava lui in quel momento.
Bee lo
guardò, quindi soffocò una risatina.
Sembrava un
bambino in un negozio di caramelle. Tenne a bada l’istinto di sfiorargli una
mano…non voleva tirarlo fuori da quella sensazione che anche lei conosceva così
bene.
Ma Orlando
aprì gli occhi, piantandoli dentro i suoi.
“Come cazzo
ci riesci, Bee?”
“A far
cosa?”, domandò senza capire.
Lui allargò
un braccio ad indicare quello che li circondava. Mare, sabbia, cielo e stelle.
“Come
riesci a creare queste situazioni perfette?”
Lei
sorrise, “Non le creo mica io. Ci sono da prima che io e te mettessimo piede
sulla terra. Ma la cosa che le rende speciali siamo proprio noi, qua sopra, a
riempirle di emozioni”.
Lui annuì,
senza smettere di sorridere.
“Secondo te
chi è l’angelo della canzone?”, domandò indicando la cuffia che teneva
nell’orecchio.
Abaigeal
fissò l’acqua sotto di loro, guardando la sua immagine riflessa, “Qualcuno da
amare, Flow. Qualcuno che si aspetta per tutta la vita…qualcuno che esiste.
Deve esistere per forza”.
Lui bevve
dell’altra birra, “Dici che esiste anche per noi due?”
“Ovvio che
esiste per noi due. Di chi pensi che scriva io? Scrivo di lui…’one day he’ll
come along the man I love’” canticchiò.
“Mi tiri
fuori addirittura Billie Holiday?”,
scherzò lui.
“Hai mai
sentito quella canzone?”, domandò lei seria, “Ascoltata, anzi. Ascoltata
davvero”.
Lui scosse
la testa sconsolato.
“Parla di
un’idea. Una bella idea meravigliosa che lei crede possibile. E’ un po’ come te
quando fantastichi sulla donna della tua vita”,bevve la birra ridendo, “Ma tu
fantastichi in astratto. Devi essere concreto anche nel fantasticare. Devi
ammettere che quel sogno è una cosa che conta davvero tanto per te”, gli mise
una mano sul cuore, “Che lo culli proprio qui e che non vedi l’ora di poterlo
veramente sentire qui”, gli mise il palmo sullo stomaco, “Anche per sognare ci
vuole coraggio, Flow!”
Lui le
prese una mano, “E tu,allora? Tu non sogni mai un uomo che ti ami per tutta la
vita, quindi saresti una vigliacca?”, fece una smorfia, “Non direi proprio!”
Lei
ridacchiò, erano nella fase profonda dell’ebbrezza. Quella in cui avrebbero
potuto parlare anche del significato metafisico di un capello che cade.
Erano i
momenti che preferiva.
“Tu sei il
sognatore”, sorrise lei, “Io sono quella che fabbrica i sogni per gli altri. Io
sogno i sogni che scrivo”.
“E scrivi
un sogno tuo allora…una volta scrivi un bel sogno d’amore. Anzi una bella
storia d’amore con le contro palle. Non una di quelle che si leggono tutti i
giorni, ma una storia reale, che possa capitare a tutti”, sorrise, “E mettici
dentro i tuoi, di sogni”.
“Chissà…magari
un giorno lo farò davvero!”
Le nuvole
si erano spostate ancora, scoprendo la luna e istintivamente alzarono tutti e
due lo sguardo.
Fu Orlando
a spezzare il silenzio.
“Bee mi
prometti una cosa?”, le chiese senza distogliere lo sguardo.
Anche lei
annuì, con il naso all’insù verso la luna.
“Io non lo
so mica se rimarremo per sempre così. Magari le nostre strade un giorno
potrebbero separarsi e rimarrà solo l’ombra di quelli che eravamo oggi, però
voglio che mi prometti una cosa, Bee. Voglio che mi prometti che combatterai
per trovare l’amore vero, senza arrenderti di fronte a niente”, incamerò aria,
“Anche se dovessi lottare per anni interi, anche se per arrivare fino a lui
dovessi fare il giro del mondo, mi prometti che te lo andrai a prendere?”
Bee abbassò
la testa e lo guardò negli occhi, “E tu mi prometti che farai lo stesso? Che
non smetterai mai di sognare così come sogni adesso?”.
Lui le fece
l’occhiolino, quindi la tirò verso di se per abbracciarla.
La sua
migliore amica.
L’unica
persona di cui si fidava completamente.
“Promesso
Bee”, le sussurrò all’orecchio.
“Promesso
Flow”, sussurrò lei di rimando.
Rimasero
abbracciati ancora, finché Bee non prese a mormorare una canzone.
Orlando
istintivamente sorrise.
“I just want to feel you, When the night puts on its
cloak…”
“I just want to catch you if I can, I just want to be
there…”, canticchiò lui di rimando.
Bee rise piano, stringendosi ancora di più a lui.
“Ci siamo fatti una grossa promessa uhm?”, gli domandò
sorridendo.
Orlando si
strinse nelle spalle, “Ci facciamo grosse promesse ogni giorno”, precisò
sistemandosela contro il petto.
Lei sospirò senza dire nulla.
Senza fargli notare che, per la prima volta
da che si conoscevano, lui aveva considerato l’idea che un giorno avrebbero
potuto dividersi. Dividersi definitivamente.
Girò la testa di lato per vederlo meglio mentre guardava
assorto la luna. E proprio mentre l’astro gli illuminava gli occhi fece
un’altra promessa. A se stessa ma soprattutto a lui.
“Sarai sempre il mio migliore amico, Flow. Costi quel che
costi”, pensò.
Orlando la
vide sorridere, quindi sorrise a sua volta.
“Sei la migliore amica che abbia mai avuto”, mormorò.
Abaigeal sorrise, “Idem”, rispose.
Eccoci qua….
Ragazze sto andando avanti con difficoltà,
cercando di tenervi il meglio per la fine e, soprattutto, cercando di non
deludere le vostre aspettative.
Spero solo di riuscirci…
E voglio ringraziarvi tutte…davvero.
Strow, se tu sapessi come una frase sola
che mi hai detto l’altra sera ha fatto si che nascesse uno dei capitoli di cui
vado più fiera, dovresti capire che razza di talento hai!
Vi adoro….
Anche a quelle che leggono e non commentano…siete
tutte importanti per me!
Grazie ancora.
Amaranta
|
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Capitolo 9 *** One day I'll fly away ***
Onedayi'LL9
ONE DAY I’LL FLY
AWAY
“What more could your
love do for me
When will love be through with me
Why live life from dream to dream
And dread the day when dreaming ends”
Nicole Kidman, “One
day I’ll fly away”
Canterbury,
Capodanno 2000
Casa Bloom
era accogliente come se la ricordava. Il caminetto acceso, le candele in tavola
e l’odore di cucinato che avvolgeva dolcemente tutto il primo piano.
Abaigeal
rimase incantata a guardare la tavola apparecchiata. Quella sera, Sonia aveva
creato un’opera meravigliosa.
Sorrise,
quindi camminò lentamente verso la cucina, lasciando i suoi con Orlando,
Samantha ed Harry a parlare di musica.
Sonia si
affaccendava davanti ai fornelli, con un guanto rosso infilato nella mano destra.
Canticchiava “Perfect Day” di Lou Reed e Abaigeal sorrise divertita.
“Che
profumino…”, sussurrò per palesare la sua presenza.
Sonia si
voltò, sorridendole felice, “Oh tesoro, sei qui!”.
La ragazza
camminò verso l’isolotto al centro della cucina. C’erano piatti pieni di
succulenti pietanze. Acciuffò un fagiolo e se lo mise in bocca.
“Bee!”, la
richiamò Sonia, “Non smangiucchiare! Ti rovinerai l’appetito!”
Bee
inghiottì velocemente, ridacchiando, “Erano troppo invitanti!”
Sonia si
pulì sbrigativamente le mani sul grembiule, “Siete tutti e due uguali!”,
borbottò.
“Posso
aiutarti?”, domandò.
La donna
indicò un vassoio, “Mi passi quello per favore?”
Bee si
allungò, lo prese con la punta delle dita e lo passò a Sonia che scosse la
testa divertita.
“Allora tesoro,
come te la passi? Orli mi ha detto che stai iniziando la tua opera prima”.
Abaigeal
sorrise, “Si è così. Sono un po’ indecisa però sul genere da adottare, voglio
vedere dove mi portano i personaggi, poi deciderò…”
“Sono
sicura che sarà un ottimo lavoro, tesoro. Conosco bene il tuo talento”.
Bee abbassò
lo sguardo imbarazzata. Le faceva sempre piacere ricevere i complimenti di
Sonia, che per lei era diventata come una seconda madre. Quella da cui correre
quando i problemi erano troppo grandi e sua madre era troppo distante per
offrirgli le sue braccia aperte.
Sonia la
adorava. Letteralmente.
In quegli
anni era diventata come una figlia per lei. Non mancava mai di chiamarla
personalmente una paio di volte alla settimana, salvo poi parlare con lei quasi
tutti i giorni quando chiamava Orlando.
“Son, pensi
che sto camminando sulla strada giusta?”, si voltò verso il salotto
intercettando lo sguardo felice di Orlando.
“Cosa
intendi?”
Abaigeal
rimase a guardare verso il salotto, “Intendo in generale. Pensi che stia
facendo la cosa giusta?”.
Sonia
si
fermò davanti all’isolotto, guardandola con interesse,
“Proprio oggi Leah mi
diceva che stai avendo un po’ di dubbi sul tuo futuro. Siamo
preoccupate
entrambe perché non sappiamo cos’è che ti passa per
la mente…”, spiegò, “C’è
qualcosa che ti turba, questo è chiaro.
Cos’è?”
Abaigeal si
voltò verso la donna, senza parlare.
Rimase a
guardarla, finchè i passi di qualcuno che entrava in cucina non la fecero
voltare.
Era sua
madre.
“Finalmente
riusciamo a bloccarla”, disse facendo l’occhiolino a Sonia che le sorrise.
Bee le
guardò entrambe, “Cos’è? Un agguato?”
Leah
l’abbracciò ridendo, “Qualcosa del genere, si!”
“Allora?”,
la incalzò Sonia, “Ce lo dici o no quello che ti turba?”
La ragazza
sospirò scoraggiata, “Non riesco più a parlare di emozioni”, buttò lì poco
convinta.
Le due
donne spalancarono gli occhi, “Tu?”,
dissero all’unisono.
“Io si”,
rispose lei brusca.
“Probabilmente
ne sei a digiuno da un po’”, azzardò Sonia.
“E
probabilmente dovresti cominciare a respirare l’aria buona. Non quella
stagnante delle delusioni del passato”, propose sua madre.
La ragazza
le guardò entrambe e rise. Avevano ragione tutte e due. Avrebbe semplicemente
dovuto aprire il cuore alle novità, senza paura di ferirsi.
Funziona
così la vita, no?
“Sapete una
cosa voi due?”, disse lei prendendole entrambe per mano e inscenando uno
sguardo brusco perfetto, “Avere due mammine premurose è sfiancante!”
Le due
donne si guardarono e scoppiarono a ridere, mentre lei si allontanava scuotendo
la testa.
“Dici che
avrà capito?”, domandò Sonia.
Leah prese
una carota e cominciò a sbucciarla, “Ne dubito”.
L’altra
donna annuì, “Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere”, citò.
“Oh si”,
rise Leah, “E qui ce ne sono due di
ciechi, mica uno!”
Complottando,
continuarono a preparare l’antipasto insieme.
“Orlando
pulisciti la bocca. Sembri un bambino di tre anni!”, lo rimbrottò Sonia.
Lui aprì la
bocca facendo una risata horror e mostrando a tutti i commensali quello che
stava masticando. Abaigeal scoppiò a ridere.
“Fai
schifo”, inorridì Samantha.
“Pure tu!”,
rispose lui, masticando a bocca aperta.
“Orlando!”,
lo richiamò Leah, “Non rispondere così a tua sorella!”
“Ma
mamma…”, intervenne Abaigeal.
“Zitta
tu!”, l’ammonì Sonia, “Nessuno ti ha interpellata.
“Ma non stava
facendo niente!”, continuò Abaigeal.
“Abe
rispondi bene a Sonia!”, l’ammonì Kevin, aggiungendo il puré al suo piatto.
“Mica le ha
risposto male”, osservò Orlando.
“L’avvocato
del diavolo”, ridacchiò Harry.
“Dico solo
le cose come stanno!”, precisò lui bevendo dell’acqua.
“Visione
distorta della realtà”, disse Samantha, “Lo sai che è una malattia mentale?”
“Sam, ti
sembra il caso di dare del pazzo a tuo fratello?”, domandò Sonia con uno
sguardo severo.
“Lo è!”
“Sam
rimarresti certamente sconvolta se conoscessi un vero pazzo”, disse Kevin.
“Lo
conosco, è lui!”, disse indicando il fratello.
“Sembrate
tre bambini irrequieti, stasera”, sospirò Leah.
“Hai
ragione”, l’assecondò Sonia, “Pensavo che l’infanzia l’avessimo passata da
tempo!”
“Mica siamo
infantili!”, sorrise Abaigeal.
“Definisci
infantile”, la incitò Harry.
“Infantile
uguale Orlando Bloom”, ridacchiò Sam, seguita da Bee.
“Ragazze!”,
le richiamarono in perfetto sincrono i quattro genitori, scatenando un attacco
di risa tutt’altro che controllabile.
“Sceme!”,
buttò lì Orlando.
“Orlando!”,
tuonò Sonia.
“Ok, la
smetto”, borbottò lui, facendo il broncio.
“Anche voi
due”, continuò Leah rivolta alle ragazze.
Kevin li
guardò tutti e scoppiò a ridere. Poco dopo, Leah, Sonia e Harry lo imitarono.
“Che vi
ridete, voi?”, domandò Bee senza capire.
“Cose da
grandi”, la liquidò Sonia, “Finisci gli spinaci Abe, ti fanno bene!”
La ragazza
guardò Orlando con una smorfia.
Lui le
sorrise complice, quindi rubò una patata dal piatto di Sam che lo colpì
lanciandogli un fagiolo.
“E pensare
che quando mi avete detto che sareste stati con noi fino alla mezzanotte non
ero in me dalla gioia”, sospirò Sonia buttando gli occhi al cielo.
“Non ci
vuoi più bene?”, domandò Abaigeal mettendo il broncio.
“Come se
fosse possibile”, la rassicurò la donna.
Harry batté
la forchetta sul bicchiere, alzandosi in piedi. Era il momento del discorso.
“Silenzio!”,
tuonò divertito, “Allora, la farò breve. Non sapete che gioia è per me vedere
tutta la famiglia riunita. Avervi tutti intorno a questa tavola a festeggiare
una data così importante tutti insieme è sicuramente un dono da non
sottovalutare. L’augurio che faccio a tutti in questo giorno è che riusciate e
trovare la vostra vera strada, senza abbandonare sogni e speranze e senza
dimenticare qual è il sentiero che
dovrete percorrere. I nostri ragazzi sono cresciuti e sono diventati quello che
volevamo fossero quindi dobbiamo solo rallegrarci”, sorrise, “E voi tre…vi dico
una frase che in questi anni Kevin vi ha ripetuto fino allo stremo”, l’uomo in
questione alzò il suo bicchiere e gli altri lo imitarono, “Aprite le vostre fottute ali e volate!”, disse.
I bicchieri
tintinnarono, alcuni occhi si riempirono di lacrime, i ragazzi ridacchiarono, e
tutti, nessuno escluso, si sentirono nel luogo giusto al posto giusto.
In famiglia.
Abaigeal
acciuffò un bicchiere di spumante e uscì sul terrazzo di casa di Sebastian.
Dopo la
cena e i brindisi di rito, loro tre erano usciti per raggiungere la festa che
il cugino di Sam e Flow aveva organizzato con gli amici.
Ora, alle
quattro del mattino, Bee si sentiva decisamente stanca e spossata. Aveva
ballato, aveva bevuto, aveva fatto conoscere una tizia decisamente appariscente
ad Orlando e adesso si sentiva assolutamente pronta ad andare a casa a dormire.
Sospirò, gettando
un’occhiata verso il panorama che si stagliava ai suoi piedi.
Canterbury
quella notte era meravigliosamente bella.
Socchiuse
gli occhi, respirando il vento gelido che le schiaffeggiava la faccia.
Sentiva
aria di cambiamento, tutt’intorno e la cosa la elettrizzava. Si sentiva come
una molla pronta a scattare, pronta a mordere le occasioni che la vita stava
preparando per lei.
Senza
aprire gli occhi, cominciò a mormorare una canzone e, istintivamente sorrise.
Le piaceva
proprio quel pezzo. Sembrava scritto su misura per lei.
E fu così
che Orlando la vide.
Le mani
appoggiate alla ringhiera, la faccia rivolta alla luna e i capelli neri che si
sparpagliavano liberi nell’aria. Aveva gli occhi chiusi e mormorava una
canzone.
Sorrise.
Sapeva
esattamente di che canzone si trattava e sapeva perfettamente perché Bee la
stesse mormorando in quel momento. Si domandò da quanto tempo conosceva quella
ragazza meglio di se stesso.
Vagamente
turbato dalla verità di quell’intuizione, si avvicinò cautamente a Bee, fermandosi
al suo fianco. Lei non lo notò o, se lo fece, decise volutamente di ignorarlo.
Rimase ad
occhi chiusi a canticchiare la sua canzone, indifferente a quella presenza.
Orlando
decise di mettere le parole a quella melodia, “I want to know have you ever seen
the rain, coming down on a sunny day…”.
Abaigeal si
voltò e gli sorrise, “Eccoti qua”, mormorò.
Lui si
strinse nelle spalle, “Non ti trovavo più”, spiegò.
La ragazza
annuì, “C’era un vento così bello qua fuori”.
Orlando non
disse nulla. C’era un barlume di pensiero nella sua mente che lo spaventava, lo
rendeva inquieto. Lo rendeva insicuro.
Un pensiero
che la visione di Bee, con quell’aria serena e rilassata, non faceva che
alimentare. Si sfiorò la fronte, cercando di non pensare.
“Have you
ever seen the rain, uhm?”, domandò, cercando di cambiare discorso.
“Ci stava
bene”, disse lei voltandosi verso di lui e appoggiando un fianco alla
ringhiera.
“Direi di
si”, sorrise lui.
“Sam?”
“Con
Jordan”, ma lo disse con tono infastidito.
“Cos’è che
non ti piace di quel ragazzo, Flow?”, indagò Bee, “Eppure Sam è così felice”.
Lui scrollò
le spalle senza risponderle. Adesso aveva altri pensieri per la testa.
Almeno uno,
doveva toglierselo.
“Ti è
dispiaciuto…cioè, mi dispiace averti lasciata sola per tutto quel tempo…”
Abaigeal
scoppiò a ridere, “Sola??”, domandò, “Ero con altre venti persone, Flow!”
“Si ma…”, ‘non eri con me’. E dannazione a lui,
avrebbe voluto dirlo. Lo voleva davvero. Ma non lo disse. Lasciò la frase a
metà, senza neanche tentare di giustificarsi.
Abaigeal
gli prese una mano, senza chiedergli di proseguire.
“Flow, è il
nostro Capodanno di fine millennio, dobbiamo fare una promessa”, sentenziò
decisa.
Lui
sorrise, “Ne serve una grande”, osservò.
“Grandissima!”,
lo assecondò lei.
“Anzi,
nessuna promessa Bee. Questa è l’occasione giusta per esprimere un desiderio!”
Bee batté
le mani soddisfatta, “Ci sto!”
Chiusero
gli occhi nello stesso istante per esprimere un desiderio abbastanza grande da
fare il paio a quel secolo grande che stava arrivando.
Poco dopo
aprirono entrambi gli occhi, sorridendo.
Istintivamente
Orlando l’abbracciò e lei ricambiò con affetto.
“Ti voglio
un gran bene, Bee”, le sussurrò all’orecchio.
“Anche io,
Flow. Un bene grande grande come il desiderio che ho espresso”, scherzò.
Si scostarono
e per una frazione di secondo, i loro nasi si scontrarono. Si trovarono vicini.
Troppo vicini.
Imbarazzati,
si sorrisero e Bee colse l’occasione per dargli un bacio sulla guancia.
Un bacio
con lo schiocco. Di quelli che piacevano ad Orlando.
E lui ricambiò
con lo stesso entusiasmo.
“Siamo
proprio forti Flow!”, disse lei ridendo.
“Puoi
giurarci!”, rise lui.
Si
voltarono verso la porta a vetri, sospirando.
Era ora di
rientrare.
“Andiamo a
casa?”, domandò lui accennando al salotto con un cenno del capo.
Bee annuì,
“E la tua amica?”, aggiunse poi.
Lui fece
una smorfia, “C’ho sonno Bee”, disse. Sperando che fosse una giustificazione
più che ragionevole.
Lei scosse
la testa divertita e lo trascinò verso l’interno della casa.
Camminarono
con passi lenti, in testa la stessa domanda.
La stessa
sensazione.
La stessa
bizzarra e incontrollabile emozione nello stomaco.
Ignari di
aver espresso lo stesso identico desiderio.
Ignari che
se si fosse davvero realizzato, sarebbero stati gli unici veri protagonisti…
Gioie grazie grazie e ancora grazie!
Grazie
a Bebe e Strow per i commenti e per il loro immenso talento che, per
fortuna, ho la possibilità di godere! Strow grazie anche per la
citazione che mi hai prestato l'altra sera... ;)
E
grazie anche alle ragazze che mi hanno scritto in privato...sono
contenta che la storia vi stia piacendo davvero. Ci tengo
particolarmente.
Ed
è con immensa gioia che vi comunico che il tempo dei ricordi
è finito... sta per giungere l'ora della resa dei conti!
Vi abbraccio e vi ringrazio!
Grazie grazie grazie
Amaranta
|
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Capitolo 10 *** I'll be seeing you ***
I'llbeseeingyou10
I’LL BE SEEING YOU
“I'll be seeing you
In every lovely summer's day;
In every thing that's light and gay.
I'll always think of you that way.
I'll find you
In the morning sun
And when the night is new.
I'll be looking at the moon,
But I'll be seeing you.”
Billie Holiday
Londra,
Giugno 2001
Il
campanello suonò come impazzito.
Orlando
schizzò in piedi dal divano, correndo verso la porta e cercando di evitare gli
ostacoli che gli si presentavano lungo la strada.
Sapeva chi
c’era al di là di quella porta.
Spalancò
l’uscio e si ritrovò davanti Bee con un sorriso entusiasta e una busta in mano
zeppa di roba da mangiare.
Busta che
lasciò cadere a terra, dopo aver gridato uno “yahouuu” eccitato per saltargli
letteralmente in braccio.
Orlando
l’afferrò per la vita ridendo, mentre lei gli agganciò le gambe intorno al
busto.
“Cristo
Santo sto per scoppiare dalla gioia!!”
Lui rise,
senza lasciarla, “Non dirlo a me, Bee. Non
dirlo a me!”
Lei gli
riempì la faccia di baci, “Diventerò la migliore amica di una star!”, gridò,
“Di una star!!”
Orlando
acciuffò la busta con un piede, senza smettere di ridere e la trascinò dentro
l’appartamento, chiudendo la porta con un calcio.
Bee rimase
comodamente attaccata a lui, senza aver alcuna intenzione di scendere.
“Flow
questo sarà un successo. Me lo sento. Diventerai una divinità!”
“Mi basta
diventare un attore vero!”, ridacchiò
lui.
Abaigeal lo
guardò di traverso, “Quello lo sei già da anni, Flow”, precisò.
Lui scosse
la testa ridendo, prese la busta e camminò verso la cucina, con Bee sempre
agganciata alla sua vita.
Sembrava un
koala!
“Cosa c’è
qui dentro?”, le domandò.
Bee si girò
a guardare la busta, “Ingredienti perfetti per celebrare un momento speciale”,
spiegò, “Consideralo un regalo anticipato!”, gli sorrise, “Ma non aspettarti
niente di eccezionale. Quello lo avrai domani a casa!”
“Non
pensate di esagerare un po’?”, domandò Orlando sorridendo, “Magari esce fuori
una schifezza e non sarà il film di consacrazione che vi aspettate voi!”
Bee mollò
la presa di gambe e braccia e cadde in piedi di fronte a lui con un tonfo
sordo.
Sul viso un
espressione indispettita.
“Non
t’azzardare nemmeno a pensarlo. Questa è la porta dell’inizio Flow, fidati! Io lo so. E non mi smontare altrimenti
ti prendo a calci in culo!”
Lui poggiò
la busta sopra al tavolo della cucina, sorridendo, “E’ solo che non lo so se…”
“CREDICI!”, gridò lei pizzicandogli il
mento, “Apri le tue fottute ali e vola”, citò, “E’ la tua grande occasione. Sai
perfettamente che un film del genere sarà da sballo e sai anche che la gente lo
verrà a vedere”, alzò un sopracciglio, “E che una quantità tutt’altro che
esigua di donne avrà uno sbalzo ormonale quando ti vedrà apparire sullo
schermo!”
Lui la
spinse lontano, ridendo, “Ma smettila!”
Abaigeal
scosse la testa, tornò accanto al tavolo e tirò fuori il contenuto della busta.
Pasta,
pomodori e basilico fresco, una confezione da sei di Guinnes e una bottiglia di
champagne.
“Champagne?”,
domandò Orlando, stupito.
Lei
sorrise, “Star!”, disse. Come se
quella parola potesse spiegare l’acquisto.
Orlando si
rigirò la bottiglia nelle mani, e la guardò mentre si affaccendava per
preparare la pasta. Si muoveva sicura in quello spazio, fischiettando
“Wonderfull Word”, con aria felice.
Si lasciò
penetrare da quel buonumore, quindi lasciò la bottiglia e si mise a darle una
mano.
Bee gli
fece l’occhiolino.
“Bee tu sei
sicura al cento per cento che…”
“Sicurissima.
Convinta. Certissima”, lo interruppe.
Lui scosse
la testa. Quando Bee si metteva in testa una cosa c’era poco da fare.
“Magari se
va come deve andare, potresti scriverla tu una sceneggiatura per me”.
Lei
ridacchiò, “Scordatelo!”
“Eddai
Bee!”
“Manco
morta!”
“Ma il tuo
romanzo sta andando alla grande. Ho letto su Billboard che sei nella top ten!”
“Al decimo
posto”, precisò lei.
“Però sempre
nella top ten degli artisti emergenti”, puntualizzò lui.
“Ok, sta
andando alla grande. Non sono più in me dalla gioia. Mi sembra che il mio corpo
sia troppo piccolo per contenere tutte queste emozioni”, sorrise felice, “Ma la
sceneggiatura non te la scrivo!”, concluse con un sorrisino finto.
Orlando
inscenò un broncio perfetto.
“Non
m’incanti”, rise lei, buttando i pomodori spezzettati nella pentola.
“Ok non
insisto!”, cedette lui, alla fine, “Però Bee che colpo! Io confermato per un
ruolo di tutto rispetto e tu nella top ten con il tuo libro”, le sorrise,
“Sembra che la ruota abbia preso a girare, finalmente”.
“Non ha mai smesso”, mormorò lei
sorridendo.
Orlando le
sorrise, quindi prese la bottiglia di champagne e cominciò ad aprirla.
“E’ ora di
festeggiare, donna”, scherzò.
“Mi pare
giusto!”, l’assecondò lei.
Avevano
mangiato fino a scoppiare e bevuto senza contegno.
A fine
cena, Orlando aveva tirato fuori una bottiglia di whiskey e si erano scolati
anche quella.
Adesso se ne
stavano stravaccati sul tappeto, mezzi ubriachi a fantasticare sul futuro delle
loro vite.
“Bee non
ridere, lo sai che potrebbe succedere”, borbottò lui sorseggiando l’ultima
birra.
“Ma
figurati”, rise lei.
Lui si
girò, sdraiandosi sulla pancia e appoggiando la testa sulle mani, “Come fai ad
esserne sicura?”
“Flow non
ti accadrà niente di male, te lo prometto. Ti compro un esercito di guardie del
corpo, se serve!”, tentò di rassicurarlo lei.
Lui fece
una smorfia, “E se m’innamoro di una collega?”
“Bhè?”,
disse lei.
“E’ patetico!”, obbiettò lui, con una
smorfia.
Abaigeal
finse di sbattere la testa a terra, “Oh Dea!”, sospirò.
“Dai Bee,
assecondami!”, la pregò lui.
“Non è
patetico, è normale. Può succedere e nessuno avrà niente da ridire”.
Orlando si
morse un labbro, “Forse hai ragione…”
“Flow ma
tu…”, attaccò Bee sistemandosi su un fianco, “Come la vorresti?”
“Che?”
Bee fece
una smorfia d’impazienza, “La donna, Flow. La
donna”.
Lui rise,
“E tu?”
“Io la
donna non la voglio”, borbottò lei.
“Infatti mi
riferivo all’uomo”, sorrise lui malizioso, “Magari quel Mike potrebbe andare
bene!”
Lei gli
tirò l’accendino, “Lo conosco da quattro giorni”, precisò.
“Ok…dai,
come lo vuoi, allora?”
“Te l’ho
chiesto prima io”, obbiettò lei.
Orlando si
sdraio sulla schiena, sospirando, “La
voglio che ti somigli Bee”.
La ragazza
spalancò gli occhi, non sicura di aver capito bene.
“La voglio
un po’ folle come te”, si spiegò meglio Orlando, “Che sappia perfettamente che
la pazzia altro non è che un segno di saggezza”.
Abaigeal
sorrise, “Mi pare sensato”, scherzò, “Un pazzo richiede una pazza!”
Lui
ridacchiò, “E poi voglio che sappia capirmi anche solo con un’occhiata veloce”.
“Questo
piacerebbe anche a me”, interloquì Abaigeal, “E mi piacerebbe anche che avesse
il dono di capire quand’è il momento per esprimere un desiderio”.
“Con gli
occhi chiusi e tenendosi per mano, così funziona sicuro”, concluse lui
annuendo.
“E poi mi
piacerebbe che fosse in grado di mettersi in ascolto con il suo cuore. Che non
abbia paura di dirmi quello che sente”, proseguì Bee.
“E magari
che sappia quand’è il momento di stringermi la mano”, continuò Orlando, “Anche
se intorno ci sono mille persone. Deve sapere che in alcuni momenti ho bisogno
di sentire che c’è fisicamente”
“E che
sappia capire che spesso ho bisogno di sentirmi dire che mi vuole bene…”
“Anche se
in quel momento non è richiesto e non c’entra niente”, finì Orlando.
“E voglio
che ci creda…”, disse lei.
“Che non mi
metta su una barchetta da solo dandomi i remi e chiedendomi di navigare per
tutti e due”, seguitò lui.
“Esatto”,
assentì Bee, “Perché si rema sempre in due”.
“Già”,
mormorò Orlando, “E poi voglio che canticchi sempre. Che abbia una canzone
preferita che la metà del mondo non considera nemmeno e che conosca le
citazioni meno conosciute degli scrittori più famosi”.
“E voglio
che conosca “Have you ever seen the rain” e che sappia perfettamente di cosa
parla quella canzone”, disse Bee.
“Che non si
fermi all’apparenza di una frase ma che si sforzi di vedere cosa c’è dietro”,
sostenne lui.
“E che
capisca che le parole fanno sempre il paio con gli occhi”, concluse Bee.
Orlando si
girò con un movimento brusco,” Bee questi due siamo io e te”, considerò.
Lei rise,
“Mi sa di si!”.
Lui la
guardò con sospetto, “Credi che ci sia da interpretare qualcosa, qui?”,
domandò.
Abaigeal si
strinse nelle spalle, “C’è sempre qualcosa da interpretare Flow. Ma non è così
strano cercare qualcuno che somigli ad una persona alla quale teniamo molto,
no?”
Orlando
sentì una strana inflessione nella voce di Bee.
Non era
sicura che quella fosse una spiegazione valida alla domanda che lui gli aveva
posto. Questo, assurdamente, lo fece preoccupare.
“Forse hai
ragione”, buttò lì.
Non voleva
affrontare la questione, adesso. Non mentre stavano festeggiando mezzi ubriachi
l’inizio di una nuova vita.
“Non
pensarci, Flow”, mormorò lei girandosi verso di lui e appoggiandogli la testa
sul petto, “Non è il caso”.
Lui
cominciò a giocare con una ciocca dei suoi capelli. E avrebbe voluto dirle che
era più o meno un anno che ci pensava. Che erano mesi che si faceva delle
domande alle quali non sapeva rispondere per paura che le risposte, gettassero
luce su qualcosa che stava tentando di tenere in ombra.
“Sì…”,
disse solo.
Un’affermazione
che non c’entrava niente, adesso. Ma un’affermazione che Bee capì al volo e che
la fece ridacchiare.
“Facciamo
così Flow, senti se ti piace come soluzione”.
“Spara!”,
la incitò lui.
“Camminiamo
come abbiamo sempre fatto, vuoi? Siamo Flow e Bee, il resto non conta”, sorrise
impercettibilmente, “Rimaniamo con i nostri obbiettivi di sempre, senza starci
sempre a psicanalizzare dalla mattina alla sera. Se poi anche solo uno di
quegli obbiettivi coincide, sono sicura che ci incontreremo a metà strada!”
Orlando
rise, “Sei proprio assurda Bee”.
“Pure tu!”,
rise lei.
Lui
l’abbracciò con tutte e due le braccia, “Siamo proprio forti, Bee!”
“Oh se lo
siamo!”, mormorò lei.
Orlando
aprì un occhio.
La schiena
gli doleva maledettamente e aveva un braccio bloccato intorno alla vita di Bee.
Sospirò,
quindi fece leva su quel braccio per girarla verso di lui.
Bee mugolò
qualcosa di indistinto nel sonno, quindi accomodò sul suo petto, mettendogli
una mano sul cuore e una sulla guancia.
Bee adorava
dormire in quel modo. Adorava sentire la persona accanto a lei, sotto la sua
epidermide. Istintivamente Orlando sorrise.
Sembrava
sempre così fragile e piccola mentre dormiva…
“Bee”, la
chiamò piano.
E al suono
di quel nome gli tornò alla mente la conversazione della sera prima. Quella che
avevano deciso di non analizzare. Imbarazzato, si morse la lingua.
“Flow”,
mormorò lei con la voce roca, “Fammi dormire altri dieci secondi, ti prego”.
Lui alzò la
testa per guardare l’orologio appeso alla parete, “E’ mezzogiorno Bee, dobbiamo
partire per Canterbury”.
Lei mugolò
ancora, quindi si accoccolò come un gattino, mettendo il naso tra il collo e
l’orecchio di lui. Orlando sorrise. Quello era il gesto preciso che faceva
quando stava per svegliarsi.
“Sei un
guastafeste”, borbottò Bee.
“Perché?” ,
domandò curioso.
“Sognavo il
mare della baia”, spiegò.
Lui le
baciò la fronte e Bee ebbe un sussulto.
Orlando
capì che anche per lei, la serata trascorsa, aveva lasciato un sapore strano in
bocca.
Si grattò
la tempia, mentre Abaigeal si stiracchiava.
Dopo un
secondo, saltò in piedi e gli tese la mano sorridendo, “Forza!”, lo incitò.
Lui afferrò
la mano e si alzò in piedi controvoglia.
“Dobbiamo
smetterla di dormire per terra”, considerò Orlando, seguendola in cucina, “Tra
due anni avremo i reumatismi!”.
Bee gli
sorrise conciliante.
Sapeva
perfettamente che lui stava parlando di altro per non affrontare il discorso
della sera precedente. Non che la cosa la innervosisse, beninteso.
Era stata
una serata intensa per entrambi.
Versò del
latte in due tazze, quindi accese il bollitore del caffè.
Lui era
seduto al tavolo della cucina, si girava le mani imbarazzato.
Un moto di
tenerezza spinse Bee verso di lui. Gli mise una mano sotto il mento, per far si
che la guardasse negli occhi.
“Anche se
non la trovi uguale, saresti felice lo stesso Flow”, mormorò.
Lui le
sorrise, “Anche tu!”
La tensione
si stemperò e, finalmente, scoppiarono a ridere più sereni.
All’apparenza,
almeno.
Perché
entrambi sapevano che, per la prima volta da che si conoscevano, avevano
mentito a se stessi e all’altro.
NDA
Eccoci qua…pronte per
la resa dei conti?
Ci siamo vicinissime.
Appiccicate. In pratica, se non stiamo attente, ci schianteremo allegramente
contro il muro. Della resa. Dei conti.
E non è un
bell’incidente. Fidatevi.
Cmq, ci sarà da
divertirsi.
Io, scrivendo, mi sto
divertendo.
Spero che anche voi,
leggendo, vi divertiate alla stessa maniera.
Strow: “Definisci
amore”
Amaranta: “Eccolo!”
Capitolo
nostalgicamente dedicato al mio Passerotto. Che legge e non commenta.
Come tanti altri.
Ma c’èst la vie.
C’è chi è nato per
parlare e chi per ascoltare. E va bene così!
Un bacio grande a
tutte
Amaranta
|
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Capitolo 11 *** Falling or Flying ***
fallingflyng11
FALLING OR FLYING
‘Sometimes it's hard
to tell
If there's a life behind a song
But i know tomorrow
Today won't feel so long
Cause on the 42nd night
The room was dark but the stage was bright
Are we falling or flying
Are we falling or flying
Are we living or dying
Cause my friend this too shall pass
So play every show like it's your last’
Grace Potter and the
Nocturnal
Los
Angeles, 2008
Orlando
appoggiò la fronte sulla superficie fresca della vetrata del finestrone, in
salotto.
Si sentiva
esplodere.
Teso fino
allo spasmo, aveva l’impressione che anche il tocco più delicato avrebbe potuto
farlo scattare come una molla.
Aveva
provato a chiamare Abaigeal, invano. Lei aveva staccato il cellulare. Da tre
giorni.
Gli
sembrava di impazzire se non parlava subito con qualcuno.
E con chi
parlava di solito quando si sentiva confuso? Quando si sentiva insicuro,
sconvolto, indeciso, stupito? O quando si sentiva felice, divertito, sereno?
Parlava con
lei. Parlava con Bee.
E gli
sembrava un nonsense non poter parlare con lei adesso. Gli sembrava
dannatamente incomprensibile che lei avesse tagliato ogni ponte con lui. Lui
che era il padre di quel bambino che cullava nel grembo.
Istintivamente
sorrise.
Un
bambino….
Aveva
sempre desiderato un figlio. Un piccolo frugoletto che corresse per casa e
riempisse la sua vita di risate e domande e pianti e sorrisi.
Diversamente
da quello che si potesse immaginare, non gli sembrava poi una tragedia. Ok,
c’era Miranda, c’era il matrimonio e una vita programmata fino all’ultimo
dettaglio. Ma c’era anche Bee.
Si rese
conto, che il suo rapporto con lei, aveva sempre camminato in binari separati e
paralleli a quelli della vita che aveva scelto per lui.
Loro due
non avevano niente a che fare con la vita reale, eppure era proprio quello il
rapporto più reale di cui si sentiva parte.
Era la loro
relazione quella che aveva sempre pesato di più sul piatto della bilancia e si
chiese, dannazione a lui, per quale cavolo di motivo non avesse preso in mano
le redini di quella situazione prima che degenerasse definitivamente.
Sbuffò,
sbattendo la testa sul vetro.
Cazzo-cazzo-cazzissimo.
Doveva
parlare con qualcuno. Con qualcuno che non l’avrebbe giudicato, con qualcuno
che avrebbe capito e che non fosse stato troppo coinvolto.
Scartò
subito Samantha e sua madre. Scartò Kevin e scartò Allison.
Fece una
smorfia di disappunto, finché un barlume di idea gli passò per la testa.
Prese il
cellulare dalla tasca e compose il numero di Dominic.
L’amico gli
rispose nel giro di un paio di squilli.
“Ciao Dom”,
mormorò tetro.
“OB che
hai?”, si preoccupò l’altro,”Ti sei rotto qualcos’altro?”, ridacchiò, “Spero
non sia niente che possa tornare utile durante il matrimonio!”.
Orlando, a
sentire quella parola, ebbe un crampo allo stomaco.
Il
matrimonio, già.
“Dom, hai
da fare?”
“Cosa
diavolo sta succedendo OB? Mi fai preoccupare”.
E fai bene
a preoccuparti, amico mio, pensò Orlando.
“Puoi
venire da me subito?”
“Se me lo
dici così arrivo di volata, ragazzo. Sono ufficialmente angosciato”, borbottò,
“Dammi un quarto d’ora e sono da te!”, promise, chiudendo la comunicazione.
Orlando
rimase a fissare il display del telefono.
E
improvviso, come una sferzata di vento gelido, gli arrivò un ricordo vecchio di
anni.
Abaigeal era seduta sul dondolo del
patio.
Orlando, istintivamente, incrociò le
braccia sul petto. Nello sguardo, un sottile velo di preoccupazione.
Aveva sperato che quella settimana di vacanza
a Galway le avrebbe fatto bene, ma invece lei sembrava sempre più assorta nei
suoi pensieri, tanto da escludere anche lui.
Sospirò, quindi aprì la porta di
casa Gallagher e uscì fuori.
Bee non si voltò nemmeno, rimase a
contemplare la luna lucente che illuminava il boschetto al lato di casa.
Fece un paio di passi, quindi si
sedette nel dondolo accanto a quello di lei, senza dire nulla.
Aveva imparato che alcuni pensieri
non vanno disturbati.
Finalmente lei si voltò ed Orlando
riconobbe i suoi occhi vagamente bagnati di pianto.
“Tutto ok, Bee?”, si decise a dire.
Lei gli sorrise tristemente.
“Io ti amo, Flow. Lo sai, vero?”,
gli domandò.
Lui spalancò gli occhi, sorpreso.
Cos’è che aveva appena detto?
Abaigeal sorrise ancora, “Ci sto
pensando da un po’ a dir la verità e pensavo fosse giusto dirtelo”.
Lui ammutolì. Non sapeva davvero
cosa rispondere.
“Capisco che ti amo perché non
conosco nessuno meglio di te, Flow. Ti conosco a memoria. So l’espressione che
fai quando c’è troppa luce in giro e non porti gli occhiali da sole. Strizzi di
più l’occhio sinistro e fai una buffa smorfia con la bocca. So che quando dormi
ti piace che chi ti è accanto ti tenga le dita. Non la mano. A te basta avere
un dito intrecciato alla persona che dorme con te. So che se fai un brutto
sogno hai la tendenza a nascondere la faccia nell’incavo del mio collo, come a
volerti proteggere da quello che vedi. So che quando sei veramente felice,
scoppi a ridere e ti tieni una mano sullo stomaco. So che quando parli con
qualcuno hai bisogno di toccarlo, di sfiorargli anche solo una spalla, come a
volergli ricordare che tu sei davvero lì, che stai partecipando completamente
alla conversazione. So che quando devi dire qualcosa a cui tieni
particolarmente, guardi il tuo interlocutore dritto negli occhi e non distogli
mai lo sguardo, neanche per un secondo. So che sei terrorizzato all’idea di
deludere che ti ama, ma so anche che sei cosciente che amare
incondizionatamente qualcuno significa anche perdonargli qualche errore. So che
ti piace stare a sentire la musica fino a che non crolli addormentato sul
divano. So che adori passeggiare in mezzo alla natura e so anche che quando
mediti ti visualizzi seduto in mezzo al St. James perché è lì e in nessun altro
posto di Londra che senti davvero il profumo della vita. So quello che
significa il sole che ti sei tatuato vicino l’ombelico e so perché ti ostini a
portare i capelli lunghi.
So che detesti i tuoi ricci, che
vorresti i tuoi capelli più ordinati ma so anche che non li avrai mai troppo
precisi perché sono esattamente come sei te. Liberi di essere come
preferiscono. So che alle volte hai dei vuoti nell’anima perché ti senti
inadatto ad affrontare quello che ti capita e so che è in quei momenti che ti
devo abbracciare sul serio. Con tutte due le braccia ad avvolgerti le spalle e
con una mano devo accarezzarti la testa lentamente, e ti devo promettere che
andrà tutto alla meraviglia perché un essere come te merita di avere ogni sogno
realizzato. So che quando ridi davvero e non per dovere, socchiudi un po’ gli
occhi e ti metti una mano vicino alla bocca. So che sei fragile come un fiore
ma so anche che non hai paura che la tempesta ti spezzi perché sai assecondare
perfettamente il movimento del vento, checché tu ne dica. E so che se sono a
conoscenza di tutte queste cose… è perché ti amo, Flow”.
Lui continuò a non parlare, la
guardava e basta, come se non la riconoscesse davvero.
Abaigeal proseguì senza paura, “So
che ti ho amato da quella sera in cui mi hai detto che non dovevo mai smettere
di cercare il grande amore ed eravamo proprio qui, mentre navigavamo sulle
acque di questa meravigliosa terra. E posso assicurarti che non sono mai venuta
meno alla promessa che ti feci quella notte, Flow. Non ho dovuto cercarlo il
grande amore, mi è semplicemente capitato tra le mani come una goccia di
pioggia. La stessa pioggia di cui parla quella canzone che amo tanto e che tu
sai perfettamente perché la amo in quel modo così sconsiderato. Perché io
conosco a memoria te come tu conosci a memoria me, Flow. E questo è sufficiente
per me. Per non chiedere niente di più dalla vita”.
“Io…”, balbettò lui, imbarazzato.
Abaigeal allungò una mano fino a
sfiorare la sua, “Flow volevo solo dirtelo, non c’è bisogno che tu dica
qualcosa”.
“Tu stai…cioè, sei triste…insomma,
sei così triste a causa mia?”, le domandò.
“Oh Dea, certo che no! Io stavo così
perché ti mentivo Flow e tu sai perfettamente quanto detesti mentirti”.
Orlando annuì, sforzandosi di
sorridere.
Abaigeal intuì dalla sua espressione
che stava reprimendo qualcosa dentro di lui. Che stava cercando di non ferirla.
Sospirò, quindi si alzò in piedi, si sedette sulle sue gambe e lo abbracciò.
Forte. Quasi a stritolarlo.
Orlando ridacchiò.
“Flow mi prometti che questa cosa
che ti ho detto non cambierà il nostro rapporto neanche di una virgola?”, rise,
“Cioè, lo so che ho appena detto di amarti, ma anche tu sai che l’amore ha
mille facce e mille modi di manifestarsi, quindi…”
“Bee non rinuncerei a te neanche se
mi dicessi che stai per sposare il giardiniere di tua nonna!”, la rassicurò
carezzandole la schiena.
Abaigeal si rilassò ed Orlando la
strinse impercettibilmente.
No, il loro rapporto non sarebbe
cambiato.
Neanche di una virgola.
A
ripensarci adesso, gli veniva quasi da ridere. E da maledirsi.
Naturale
che il loro rapporto era cambiato, dopo quella dichiarazione così intensa.
Naturale anche che lui aveva cominciato a pensare spesso – troppo spesso- alle
parole di Bee e a quello che gli suscitavano nello stomaco. Perché come diceva
lei, le emozioni nascono nel cuore ma le senti nello stomaco. Sempre nello
stomaco. Se non le senti lì, allora non sono vere emozioni e quindi non c’era
da preoccuparsi.
E lui non
aveva mai avuto alcun dubbio sulle emozioni che gli provocava quella
dichiarazione.
Già, provocava.
Dopo quasi
cinque anni, ancora sentiva una morsa nello stomaco se ci ripensava. Perché
indubbiamente quella era stata la dichiarazione d’amore più bella e
appassionata che qualcuno gli avesse mai fatto.
E che fosse
stata proprio Bee a fargliela, non lo stupiva neanche un po’, a dire il vero.
Il
campanello lo riscosse dai suoi pensieri, così come la voce di Dominic che
gridava, “Bloom apri la porta prima che la sfondi!”.
Scosse la
testa, suo malgrado divertito dall’impeto di quello che considerava il suo
miglior amico. Lui e Bee erano più simili di quello che credevano.
Girò la
chiave e con un colpo di polso aprì la porta.
Dom lo
guardò con aria sconvolta, quindi prese a toccarlo in vari punti del corpo.
“Che fai?”,
domandò lui senza capire.
“Controllo
che non ci sia niente di rotto”, lo zittì Dom con uno sguardo torvo.
“Secondo te
se mi ero rotto qualcosa sarei venuto ad aprirti?”
“Giusto”,
gli concesse l’altro spingendolo dentro e chiudendo la porta.
“Siamo
soli?”
“Chi ci dovrebbe
essere?”, domandò Orlando stranito.
“Che ne
so!”, borbottò l’altro lasciandosi cadere sul divano.
“Ovviamente
se ti chiamo dicendoti che ho una crisi in corso, invito altre sedici persone
ad assistere”, ironizzò Orlando, sedendosi a sua volta sulla poltrona.
“Hai una
crisi?”, domandò Dom.
“Si”
“Bene”,
disse l’altro con sarcasmo, “Ci voleva proprio una bella crisi! Mi mancavano”.
“Sei
simpatico”, borbottò l’altro.
“Avanti OB,
sputa il rospo”, si guardò intorno, “Ma prima rispondi a questa: dov’è Bee?”
Orlando
sbiancò di colpo e Dominic mangiò la foglia in meno di un secondo.
“Oh merda”,
sibilò.
L’altro
affondò la testa nelle mani.
“OB non
dirmi che ci sei andato a letto”.
Orlando
annuì senza alzare il viso.
“Da quanto
va avanti?”
“Da un
po’”, mormorò l’altro.
Dominic si
agitò sul divano, “Un po’ quanto OB?”
“Un po’…anni, Dom!”
“Oh Cristo
Benedetto! Anni? Anni??? Tu e Bee andate al letto insieme da anni??”
Orlando
soffocò una risatina. Dominic era assolutamente sconvolto.
“Dom lo so
che può suonarti strano ma…”
“No,
invece”, disse l’altro più tranquillo, “Si capiva che poteva esserci qualcosa.
Ma Sam ha sempre detto che siete così praticamente da una vita e mezza, quindi non ci ho
smaliziato sopra”, fece una smorfia, “Ma a guardarvi bene uno può pensarci”.
Orlando
sorrise.
“Che vuoi
fare, dunque? La ami? Lasci Miranda? Sposi lei? Lasci tutte e due e te ne vai
in Patagonia?
“Che amo
Bee è talmente scontato che neanche dovrei risponderti”, puntualizzò Orlando,
“Ma il problema non è solo questo”
“Come
sarebbe a dire?”
Orlando
sospirò. Doveva raccontare a Dom la storia dall’inizio.
E così
prese a parlare della loro amicizia, di come Bee fosse stata sempre presente.
Gli raccontò delle promesse che si erano fatti durante quegli anni e della
dichiarazioni di Bee sotto il cielo stellato di Galway. Gli raccontò della loro
prima volta e di tutte quelle che seguirono. Gli disse che aveva sempre saputo
che era lei la donna per lui, ma che non aveva mai voluto crederci veramente.
Gli disse di amare Miranda, anche. Che non avevano mai pensato, lui e Bee, di
poter veramente unire le loro strade.
Dominic lo
ascoltava con interesse, interrompendolo di tanto in tanto per avere maggiori
spiegazioni.
Quando
Orlando terminò, Dom lasciò andare un lunghissimo sospiro.
“Ok,
capisco OB, mi è chiara tutta la situazione. Ma non mi è chiaro perché hai una
crisi ora”, si accese una sigaretta, “Hai cambiato idea?”
Orlando si
grattò la tempia, “Si. Cioè, ci stavo pensando già da un po’ a dir la verità.
Da quando questa storia del matrimonio ha cominciato a diventare seria…però non è solo per questo”.
“OB, ti
prego, parla!”, lo implorò.
“Bee è
incinta, Dom. Incinta di me”.
Dominic
Monaghan aprì la bocca sconvolto, la sigaretta cadde sul parquet del salotto e
riuscì a dire una sola parola.
“Oh cazzo!”
NDA
Ebbene
si… pensavate di esservi liberate di me e invece TADAN! Sono tornata.
Perdonatemi
per il maledettissimo ritardo ma purtroppo ho avuto mezzo mese decisamente
pesantissimo. Lasciamo stare va….
Con
questo capitolo torniamo ai giorni nostri, come avete visto. Giorni difficili
per questi due scemi che non hanno ancora capito cosa fare.
E
giorni a cui seguiranno altri giorni pieni zeppi di colpi si scena.
Siete
pronte??
Io
si… *Amaranta ride come una cretina*
Vi
ringrazio tutte, ragazze.
Strow
(che ti adoro e venero come Cerridwen), Bebe (che deve necessariamente
continuare la sua storia che sono curiosissima) e Star Petal che mi ha fatto
arrossire quando ho letto la sua recensione.
Un
grande GRAZIE anche a tutte le ragazze che mi hanno scritto in privato
facendomi i complimenti. Siete state carinissime e vi ringrazio davvero di
cuore.
E
un grazie anche ai lettori silenti…anche se, gente, potete anche mandarmi
affanculo, ma se lasciate un segno del vostro passaggio ve ne sono grata!!
Vi
bacio tutte, splendide donne!
A
prestissimo!
Amaranta
|
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Capitolo 12 *** Pick up the phone ***
pickup12
PICK UP THE PHONE
You know this place,
you know this gloom?
We've been here before.
When life is a loop,
you're in a room without a door.
Pick up the phone and answer me at last.
Today I will step out of your past.
"Trouble that we've come to know will stay with us",
with every step it slowly grows.
Rub off the rust.
Pick up the phone and answer me at last.
Today I will step out of your past.
“Pick up the phone”,
Notwist
Spirava una brezza
decisamente fredda per un marzo losangelino.
Abaigeal si tirò su il
bavero della giacca di velluto, cercando di coprirsi come meglio poteva.
E pensare che aveva sempre
creduto di essere temperata al freddo. Sbuffò. Evidentemente aveva cominciato
ad essere più californiana di quello che aveva messo in conto.
Svoltò l’incrocio di Merlose
e s’infilò nella via più popolare di Los Angeles.
Camminava lenta, guardandosi
intorno, soffermandosi sulle vetrine degli stilisti più famosi imponendosi di
non pensare.
Imponendosi di non
riflettere sul significato di quella busta gialla che le pesava nella borsa
come un macigno.
Si bloccò all’altezza della
vetrina di Gucci, appoggiando entrambe le mani sul vetro.
In esposizione, c’erano
abiti premaman…
Sconsideratamente pensò di
entrare a dare un’occhiata per vedere se trovava qualcosa che facesse al caso
suo, ma proprio mentre prendeva in considerazione l’idea, doloroso come uno
schiaffò gli passò per la mente un pensiero.
Stava per avere un figlio.
Aveva appena trent’anni.
Il padre del bambino era il
suo miglior amico.
Il padre del bambino si
stava per sposare con un’altra donna.
La stessa donna che
campeggiava sulla vetrina dell’opposta Victoria’s Secret con un bikini che ne
esaltava le forme perfette.
Le venne da vomitare.
Riprese un po’ fiato, quindi
senza perdere ulteriore tempo fermò un taxi e si fece accompagnare a casa e
forse, una volta lì, avrebbe anche potuto….
No….
Non era ancora pronta a
pensarci. Erano quasi dieci giorni che si negava ad Orlando, ma non riusciva
ancora ad affrontare il discorso con lui.
Aveva paura, ecco.
Era spaventata a morte da
quello che le stava accadendo, terrorizzata dalla presenza di quella vita di
appena due mesi che cresceva lentamente nel suo grembo.
Istintivamente si sfiorò la
pancia.
Povero amore, pensò, così
piccolo e con già così tante complicazioni.
Sospirando appoggiò la testa
al finestrino dell’abitacolo, guardando fuori con noia e vaga inquietudine.
Le sembrava così sconosciuta
quella città, adesso.
Come se fosse arrivata da
poco più di due ore e non da almeno due anni.
E le sembrava così di poco
valore la vita che aveva costruito. Come se non ci fosse niente di veramente
reale. Come se ogni certezza affondasse le basi sulla sabbia e non sulla
roccia.
Guardò i palazzi scorrere
velocemente alla sua sinistra, finché il taxi non imboccò il viale familiare della
sua villetta.
Frugò nella borsa e ne
estrasse venti dollari da offrire al tassista. La tratta costava meno della
metà, ma non le andava di rimanere in giro neanche un minuto di più.
Neanche per aspettare che il
conducente contasse il resto.
Pagò, quindi scese
cautamente dall’auto e si avviò per il vialetto d’ingresso finché una figura
non catturò la sua attenzione.
Dominic, seduto sui gradini
del patio, che la guardava con una strana espressione.
“Pensi di avere ancora molto da fare con quel
centrotavola?”, ironizzò Dom, alzando un sopracciglio.
Abaigeal si riscosse, quindi
tornò a guardarlo.
Era abbastanza convinta che
Dom sapesse tutto, ma lui non aveva ancora fatto menzione di quanto stava
accadendo. Le aveva semplicemente detto di essere lì per una semplice visita.
“Dom”, sospirò lei, “Veniamo
al dunque, vuoi?”
Lui sorseggiò il suo caffè,
“Quale sarebbe il dunque?”
Bee sbuffò, “Perché sei
qui?”, alzò un sopracciglio, “E non rifilarmi la favola della visita a sorpresa
per favore”, lo ammonì.
Lui ridacchiò, “Sono due
settimane che non ti vedo, ragazza dell’Eire. Volevo solo assicurarmi che sia
tutto ok”.
Abaigeal non la bevve, “Sei
stato da Flow ultimamente?”
“Ovvio. Vengo direttamente
da casa sua”, sorrise.
Bee sbiancò e Dominic, per
contro, ridacchiò.
“Siete due strani esemplari,
te e OB”, sospirò, “E devo ammettere con me stesso che strani non rende ancora bene l’idea”.
Abaigeal sorseggiò la sua
tisana alle erbe, guardandolo da sotto le ciglia.
“Come mai Bee, tu ed Orlando non vi
sentite più?”
Lei si strinse nelle spalle,
“Nessun motivo particolare. Ho avuto da fare”.
“Tu hai avuto da fare?”, Dom
scoppiò a ridere, “Abe, ti conosco ormai. Non vuoi che io ti racconti le
favole, quindi ricambiami il favore e non raccontarle tu a me”.
Lei lo guardò stranita,
“Abbiamo avuto una divergenza, contento?”
Lui fece una smorfia, “Non
direi. OB sembra la riedizione di uno zombie e tu sembri appena uscita da una
centrifuga”, la soppesò con lo sguardo, “E bisognosa di parlare con qualcuno liberamente”.
Lei si sforzò di
sorridergli, ma dalle labbra gli uscì uno strano mugolio, seguito da uno
scoppio di pianto, tutt’altro che controllabile.
Dom la guardò interdetto,
quindi allungò una mano e sfiorò la sua.
“Cristo Dom, non so proprio
come gestirla ‘sta volta”, singhiozzò.
Lui le sorrise, “Tu cerca di
stare tranquilla, vedrai che le cose si sistemeranno. Orlando non ti lascerebbe
mai in una situazione del genere senza assumersi le sue responsabilità”.
“Questo lo so!”, borbottò
lei mettendosi le mani nei capelli, “Ma è giusto? Io sono la sua migliore amica
Dom. Dovrei semplificargli la vita, non aggrovigliargliela così!”
Dominic scosse la testa
sconsolato. Quei due erano più cocciuti di un assemblaggio di muli testardi.
“Io proprio non vi capisco”,
buttò lì, “C’è gente che passa la vita a cercarsi senza mai trovarsi, e voi
due”, ridacchiò, “Voi due vi siete trovati più di dieci anni fa e ciononostante
non avete mai smesso di cercarvi. Vi sembra normale?”
Lei tirò su col naso, “No”.
Dominic annuì, “No Bee,
infatti. Non è normale per niente. Adesso aspettate
un bambino e lo aspettate insieme. Quindi vedete di sistemare la situazione”,la
guardò con aria grave, “E in fretta”.
“E Miranda?”
“Miranda non è un problema
tuo, Bee”
“I problemi di Flow sono anche
i miei problemi”, puntualizzò lei.
“Orlando parlerà con Miranda
e tenterà di spiegarsi. Vivaddio almeno lui il cervello lo ha rimesso in moto.
Tu, invece, chiamerai Sam e cercherai di spiegarle la situazione”.
Lei annuì poco convinta.
“E la stampa?”
“La stampa alzerà un
polverone degno dello scandalo Clinton, ma la cosa non dovrà riguardarvi”.
“Non dovrà riguardarci?”,
Bee ridacchiò, “Come se fosse possibile”.
Dom le prese entrambe le
mani, “Donna dell’Eire!”, la richiamò affettuosamente, “Siete tu ed Orlando”,
le sorrise, “E quel cucciolo di uomo che porti in grembo. Se non perdi di vista
questo, non cadrai mai. Parola di Dom!”
La fece ridere, e gliene fu
immensamente grata.
“Ci metteranno alla brace,
vero?”, le domandò con una vaga punta di apprensione nella voce.
Lui annuì con solennità, “Vi
arrostiranno e vi butteranno in pasto alle malelingue, ma sono sicuro che con
un paio di manovre sistemeremo la situazione”.
“Me lo prometti?”
Fu in quel preciso istante
che Dom si rese conto di quanto, in realtà, fosse fragile quella giovane donna.
Le fece tenerezza. Perché davanti non aveva più Bee la burbera, la ragazza
battagliera senza peli sulla lingua e carica di sarcasmo. Aveva una donna
indifesa, esposta… e incredibilmente spaventata.
La rimproverò mentalmente per aver tagliato fuori Orlando dalla sua vita, ma
non le disse nulla. Preferì sorriderle.
Lei, che probabilmente aveva
intuito il corso dei suoi pensieri, gli sorrise a sua volta, quindi gli fece
l’occhiolino.
“Allora dimmi, elfo
bastardo! Sei contento di diventare zio?”
Lui scoppiò a ridere di
gusto.
“Non vedo l’ora!”, ridacchiò
ancora, “Mi sento tutto elettrico!”
Bee scoppiò a ridere. Se
sarebbero riusciti davvero a superare la tempesta, quel bambino che cresceva
lentamente dentro di lei, sarebbe stato il bambino più fortunato del mondo.
Fece il giro del divano
un’altra volta, soppesando il cordless in mano e sbuffando ritmicamente.
Doveva farlo.
Doveva farlo per forza.
Ormai i muri erano caduti, e
ne rimaneva poco più che un cumulo di macerie e polvere. Macerie e polvere che
non potevano e non dovevano essere la base su cui costruire quella vita che
doveva necessariamente aggiustare.
E per aggiustarla, aveva
bisogno dell’altra metà.
Del suo complice.
Del suo migliore amico.
Del suo unico, grande amore.
Aveva bisogno di Orlando e
ne aveva bisogno subito.
Doveva capire se lui era
ancora rimasto su quella barca, sopra l’oceano d’Irlanda a guardare le stelle e
a promettergli che avrebbe lottato per il grande amore. Sempre e ancora. E
ancora. E ancora.
Compose il numero di getto,
sentendo il cuore rotolarle in gola e tamburellargli nelle orecchie.
Quando poi la voce di lui,
le riempì il campo uditivo, le sembrò scoppiare.
“Bee”, gridò lui, “Bee,
dannazione a te. Dove sei? Stai bene? Come ti senti? E il bambino?”, inspirò,
“Bee ti prego dimmi dove sei, ti raggiungo”.
Abaigeal istintivamente
sorrise. Povero amore, com’era preoccupato.
“Flow, respira”, gli
consigliò dolcemente, “Sto bene. Stiamo bene. Ti ho chiamato per chiederti
scusa. Non volevo…”
“Bee non voglio sentire
niente. Ho solo un disperato bisogno di vederti. Dimmi dove sei”.
“Sono a casa”
“Arrivo”.
Non le diede neanche il
tempo materiale di rispondere, che già aveva attaccato.
Bee se lo immaginò correre
per le scale, verso il garage a prendere la macchina.
Un moto di tenerezza si
spanse nel suo stomaco, pervadendole ossa e cuore e anima.
Si sfiorò la pancia e
sorrise.
“Sta arrivando papà”, sussurrò.
NDA
Come prima cosa… BUON NATALE A TUTTE!!
Anche se in ritardo…ma è tipico di me, quindi non ve la prendete.
Spero che le feste siano andate
sufficientemente bene e spero anche che Babbo Natale sia stato clemente con
voi. Con me non lo è stato tanto, ma non temete. Ho provveduto ad ubriacargli
le renne, così impara!!
Per prima cosa: GRAZIE. Sono scontata e
ridondante, ma nn so davvero cosa dire per rendervi edotte di quello che sento
quando leggo i vostri commenti. Siete fantastiche. TUTTE!
Grazie alle mie affezionatissime Bebe e
Strow…che se non ci fossero dovrei inventarle. E per quel che riguarda Strow,
dubito che riuscirei a farla uguale uguale!!
Siete veramente parte integrante di
questa storia ormai…e anche di quelle venture!!!
Grazie a Klood che mi ha entusiasmato
più di Ih-Oh che alza le orecchie quando batti le mani che mi hanno regalato
per natale. (Voi credevate di aver a che fare con una donna adulta uhm????)
Grazie A StarPetal per gli auguri e per
la dolcezza…spero che questo capitolo non abbia deluso le tue aspettative!!
Diciamo che questo è il mio augurio di
Buon Anno.
Per quel che mi riguarda ne lascio uno
decisamente pesante e deleterio, quindi mi auguro che questo sia migliore per
me e per voi.
E mi auguro anche che il sogno più
grande che vi portate dentro possa essere realizzato nell’anno che viene. Siete
splendide e ve lo meritate!
Un abbraccio forte forte
Amaranta.
Stroooowwww??? Tesoro, ti ricordi il
viaggio di cui ti parlavo un po’ di tempo fa??
Si???
Bhè…allaccia le cinture baby! Si
parte!!!!!!!
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Capitolo 13 *** Come away with me ***
comeaway14
COME AWAY WITH ME
“Come away with me
and we'll kiss
On a mountaintop
Come away with me
And I'll never stop loving you”
Norah Jones, ‘Come
away with me’
Claire Colburn.
Ecco cosa aveva pensato,
appena chiusa la comunicazione con Bee.
Claire Colburn.
Ed aveva combattuto contro
l’esigenza di correre per le scale, infilarsi in macchina e guidare fino a casa
sua.
Si era seduto per terra a
gambe incrociate ed aveva respirato.
‘Respira’, gli aveva detto
lei. E lui aveva respirato. Si era rilassato finché non aveva sentito il cuore
rallentare i battiti.
Poi, era schizzato in
camera da letto ed aveva spalancato le ante dell’armadio. Si era arrampicato
fino alla mensola più alta e aveva preso tutte le scatole con le foto del
passato. Quindi era tornato di nuovo in soggiorno, aveva acceso il computer e raccattato un cd vuoto dal tavolino.
Aveva agguantato una bella
pila di fogli della stampante e li aveva gettati accanto alle scatole con le
foto.
Era tornato di nuovo verso
il computer e si era messo alla ricerca delle canzoni che voleva per quel
momento. Una ricerca attenta, minuziosa, passando mentalmente in rassegna tutti
i testi, tutte le parole più importanti, le frasi più significative.
Dopo aver selezionato
almeno cento brani, aveva messo il disco a masterizzare e si era rivolto
all’altra parte del piano.
Aveva aperto con cautela
le scatole e si era messo a cercare tra quelle vecchie foto.
Sorridendo, commuovendosi,
ridendo, digrignando i denti.
Aveva frugato con estatica
riverenza tra quei ricordi fermati nel tempo, scegliendone alcuni, quelli più
significativi.
Quelli che sentiva nello stomaco.
E aveva acciuffato un
pennarello blu e si era messo a scrivere.
Sul primo foglio, aveva
scritto per tutta la grandezza una frase.
Bee avrebbe sorriso, nel
leggerla.
E quindi aveva preso a
tagliare, incollare, scrivere ancora, e incollare ancora.
E poi aveva rilegato tutto
con un nastro rosso, uno di quelli dei regali del matrimonio.
Non si soffermò troppo su
quel pensiero.
Stava finalmente facendo
qualcosa di grandioso per la sua vita.
Stava finalmente seguendo
i suoi sogni impossibili.
Sorrise.
Chissà come l’avrebbe
presa Bee…
Crogiolandosi nel
pensiero, prese una penna nera e un foglio bianco.
E cominciò di nuovo a
scrivere.
Così, senza una traccia da
seguire, gettando su quel foglio ogni pensiero, ogni illusione, ogni sogno,
ogni paura, ogni cosa che sentiva.
Quelle che sentiva nello
stomaco.
Neanche giunto a cinque
pagine fitte di parole si sentiva soddisfatto. Doveva ancora dire molto. Tanto.
Troppo.
Tornò verso il computer e
fece una veloce ricerca su internet.
Gettò un’occhiata
all’orologio. Era passata un’ora e mezza.
Cercò di non badarci.
Avrebbe avuto tempo. Avrebbero avuto tempo. Ci doveva essere
tempo per forza. Per loro due.
Inspirò ed espirò, quindi
cominciò a leggere e a scrivere ancora.
Senza fretta, ma con
urgenza.
L’urgenza di chi per
troppo tempo ha tenuto i suoi veri sentimenti nella mente e non nel cuore.
L’urgenza di chi ha
bisogno di condividere.
Bee si versò dell’altra
tisana al finocchio.
Erano passate due ore e di
Orlando neanche l’ombra.
Che ci avesse ripensato?
Sospirando si lasciò
cadere sul divano. Il portatile acceso, le rimandò l’ultima parte del capitolo
che stava scrivendo.
Lo lesse con una smorfia,
non del tutto soddisfatta del risultato.
Non riusciva a sentire quella storia.
Non davvero.
Si sfiorò la pancia
sospirando.
“La mamma non ha fatto un
buon lavoro”, mormorò traendo a se il computer.
“La mamma dovrebbe
semplicemente prendere le emozioni e trasformarle in parole”, con un gesto
deciso cancellò tutto il lavoro, “Dovrebbe avere il coraggio di guardare in
faccia i suoi sogni e scriverli e regalarli al mondo”, aprì un nuovo documento,
“Tu meriti una mamma che non abbia paura di essere ciò che vuole essere e di
desiderare ciò che vuole desiderare”, scrisse la prima frase in latino, “Una
mamma che ha il coraggio di consegnare a tutti quelli che la amano, la stimano
e la seguono, i suoi veri sogni. Non quelli che loro vorrebbero sognare”,
sorrise, senza smettere di scrivere, “La mamma dovrebbe ammettere di aver una
fottuta paura di questa tua vita che le cresce dentro, ma dovrebbe anche avere
il coraggio di sussurrarti che non c’è niente nella sua esistenza, che abbia il
tuo stesso valore”, bevve un po’ della tisana, “E dovrebbe anche dire al
ginecologo che questa dannata tisana fa schifo, e che le nausee preferirebbe
tenersele piuttosto che bere questo veleno”, fece una smorfia, “Quando sarai
grande te lo racconterò questo momento. Il
momento delle ciliegie”, ridacchiò, “Te lo racconterò proprio così, come il
momento delle ciliegie. Erano anni che aspettavo un’epifania del genere e se ci
sono riuscita è solo grazie al tuo arrivo”, si carezzò la pancia, “Non eri
previsto ma eri sognato. Da sempre. Sei il frutto dell’amore più perfetto ed
assoluto, ed il solo esserlo dovrebbe farti capire che sei speciale. Speciale
come nessun altro”, cancellò una riga, quindi la riscrisse come se la sentiva.
Alla faccia della grammatica. In fin dei conti era una scrittrice, poteva pur
prendersela qualche libertà, no?, “Sai piccolino, non so mica come andrà a
finire….Mi auguro che tu lì dentro sia abbastanza protetto dalla tempesta che
presto si abbatterà su di noi”, sospirò.
E lei?
Lei sarebbe riuscita a
proteggersi da quella tempesta?
Avrebbe avuto abbastanza
forza?
Con un gesto nervoso
guardò l’orologio.
Due ore e mezza.
Forse ci aveva ripensato
sul serio. Magari si era reso conto che non poteva condividere con lei quello
che stava accadendo. Magari non voleva essere parte di quel nuovo percorso.
Poteva biasimarlo, per
questo?
Sbuffò, indispettita.
“E sai cosa vorrebbe la
mamma, adesso?”, gettò un’occhiata alla finestra, “Vorrebbe che papà
schiacciasse quel maledetto piede sull’acceleratore e si sbrigasse a venire”,
mise il broncio, “Perché adesso la mamma
ha un disperato bisogno di lui”.
A quelle parole, mormorate
come una preghiera o un desiderio, il campanello squillò.
Il destino, l’attendeva
sulla soglia.
Quando Orlando la vide,
lasciò cadere per terra la sacca e una busta di carta rossa e l’abbracciò.
A Bee sembrò assurdamente
di essere tornata a casa. Lì, in quelle braccia, con l’orecchio appoggiato su
quel cuore che adesso batteva furioso, si sentiva in perfetta sintonia con il
Tutto.
Lui le baciò una tempia e
lei sorrise.
“Bee…”, sussurrò.
Lei lo guardò divertita,
“Ti aspettavamo da più di due ore,
Flow!”
Lui annuì, “Lo so, ma
avevo delle cose da fare”, entrò nell’appartamento e prese a guardarsi intorno,
“Hai impegni per i prossimi tre giorni?”
Bee fece una smorfia.
“Che intendi?”
Lui si voltò,
sorridendole, “Dobbiamo parlare”, spiegò.
Lei ridacchiò, “Si, lo
so…”
Orlando camminò verso di
lei, quindi le prese le mani, “Bee dobbiamo parlare molto. Devo raccontarti
delle cose. Devo spiegarti il discorso che ti ho fatto in caffetteria qualche
settimana fa”, inclinò la testa da un lato, “E ho bisogno di tempo”.
“Tre giorni, Flow?”
Lui annuì, “Forza, non
fare la difficile”, con una mano indicò la sacca, “Ti ho preso delle cose.
Niente di che, lo stretto necessario”.
Bee lo guardò sconvolta,
“Flow, cos’hai in mente?”
Lui ridacchiò, “Ti ricordi
la navigata di condivisione?”
“Quindi?”
“Quindi noi, dato che la
barca non ce l’abbiamo, ci facciamo un bel viaggio di condivisione in macchina”
spiegò soddisfatto.
“Tu devi essere matto!”,
rise lei, “Un viaggio di tre giorni per andare dove?”
“Non importa il dove, Bee.
Importa come ci si arriva”, le fece l’occhiolino, “Non me lo hai insegnato tu?”
Abaigeal fece una smorfia,
“A’ muirnìn comincio seriamente a
pensare che tu prenda un po’ troppo alla lettera i miei insegnamenti”.
Orlando l’abbracciò di
slancio, “Bee per favore. Vieni via con me tre giorni”.
Come resistere?, si
domandò lei.
Sospirò, “Devo prendere
alcune cose”, mormorò senza staccarsi da lui.
“Ci ho già pensato io”,
disse lui indicando la sacca con un cenno del capo.
“Sono una donna incinta,
devo osservare delle regole”, precisò.
Lui rise, con gli occhi
chiusi, “Seguirò tutte le regole che vuoi se tu segui me, sùile gorma”.
Bee si slacciò
dall’abbraccio, facendo un passo indietro per permettersi di guardarlo.
Aveva una strana luce
negli occhi.
Una sfumatura che non gli
aveva mai visto prima.
Ed era bello. Bello come
non ricordava che fosse.
Succedeva così, dunque?
Era questo quello che accadeva quando finalmente ammettevi con te stessa di
essere innamorata? Non di amare, ma di essere innamorata. Di avere dentro quell’euforica
emozione che accelera i battiti del cuore e spinge il sangue nelle vene.
“A cosa pensi?”, le
domandò.
Bee sorrise, “Questa è una
cosa da irresponsabili”, borbottò.
“Possiamo prenderci tre
giorni di vacanza dalle responsabilità”, disse lui sorridendo.
Abaigeal guardò la busta
rossa, “Cosa c’è lì?”
Orlando scosse la testa,
“Vieni con me e lo scoprirai”.
Lei rise, “Non ti ho mai
visto così intraprendente, Flow”, fece una smorfia, “E neanche così
insistente”.
“Bee…è arrivato il momento
dei conti”.
Lei non rispose, si limitò
a guardarlo, cercando di intuire la sua espressione.
E per la prima volta da
che lo conosceva, non riuscì a capire.
Ma non smise di guardarlo.
Finchè, all’improvviso, sorrise.
Orlando sorrise a sua
volta.
“Perché sorridi?”
Lei si avvicinò e lo baciò
su una guancia, “Pensavo ad una cosa”, spiegò.
“Cosa?”
“Sono contenta di non
essere morta prima di averti conosciuto!”, ridacchiò, “Mi sarei persa qualcosa
di veramente incredibile!”
Lui l’abbracciò forte,
sollevandola da terra, “Pronti?”, domandò.
“Partenza”, disse lei staccandosi
e camminando verso la porta. Lo guardò con aria maliziosa, cosicché Orlando
prese sacca e busta e la seguì. Abaigeal gli sorrise, quindi aprì la porta,
“Via!”, disse poi.
Lui rise, e la trascinò
letteralmente per le scale.
NDA
Donne!!!
Buon Anno e Buona Epifania!!
Come
regalino di fine feste e –spero- come consolazione per l’inizio della scuola,
università, lavoro e quant’altro, vi lascio il nuovo capitolo!
Questa volta
facciamo sul serio.
Ci stiamo
lentamente avvicinando ad una svolta quasi epocale *amaranta si sfrega le mani
alla Mr Burns*.
E
naturalmente GRAZIE!!!
Grazie a
Doddola per la recensione: sono contenta che la curiosità ti abbia spinto verso
la mia storia e sono ancora più contenta che ti sia piaciuta. Spero che questo
capitolo sia all’altezza delle tue aspettative.
Grazie alla
mia dolcissima Bebe, continua a sfregarti le mani tesoro, il meglio sta per arrivare.
Grazie a
Star per aver lasciato la sua storia in favore della lettura del capitolo
precedente. Si Gioia, mi sono sentita onorata…e adesso non vedo l’ora di
leggere quello che stai scrivendo. Sono curiosa anche io!!!
Grazie alle
ragazze che mi hanno scritto in privato per i complimenti. Siete meravigliose,
donne. E per rispondere a T. ‘…et nos cedamus amori’.
Detto
questo, dato che sono sveglia come un pipistrello, continuo la correzione del
capitolo successivo a questo.
Magari
riesco a postarlo prima del fine settimana!
Un
abbraccione a tutte!
Amaranta
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Capitolo 14 *** Walk away ***
walkaway14
WALK AWAY
“With so many people
To love in my life
Why do I worry
About one
But you put the happy
In my ness
You put the good times
Into my fun
And it’s so hard to do
And so easy to say
But sometimes
Sometimes you just have to walk away
Walk away
And head for the door”
Ben Harper ‘Walk Away’
A
Strow,
perché
se lo conosco così è anche merito suo.
E
perché se guardate bene, nei sedili dietro,
ci
vedrete sghignazzare come pazze!
Ti
voglio bene, tesoro!
“Dom
dice sempre: se devi fare qualcosa, qualsiasi cosa, falla alla grande. E
permettiti di metterci dentro tutto quello che sei”, disse Orlando in tono
solenne.
Bee
lo guardò senza capire dove volesse andare a parare.
Stavano
viaggiando sulla San Bernardino verso la 71. Si domandò perché lui avesse
deciso di andare verso est.
Ma
non glielo chiese. La sensazione di non sapere cosa stava realmente succedendo,
la faceva stare molto meglio di quello che aveva previsto.
“Allora
mi sono detto, fallo alla grande OB. Buttati dentro e fregatene di tutto”, la
sbirciò con la coda dell’occhio, “Ma per farlo alla grande avevo bisogno anche
di te”,confessò.
Bee
si girò di sbieco, “Cos’è esattamente, che stiamo facendo alla grande?”
Lui
sorrise, “Apri la busta, Bee”.
Lei
obbedì, quindi estrasse una grossa pila di fogli rilegata con un nastrino
rosso.
Sul
primo foglio, in blu, c’era una grande scritta.
‘Cui datum id habere quod optat id esse quod
velit”.*
Si
voltò di scatto verso di lui.
Orlando
sorrise, “Sfoglia”, mormorò.
Senza
dire una parola, Bee voltò pagina. C’era un porta cd in plastica attaccato al
foglio bianco. Tolse il disco e lo inserì, quindi, mentre le prima traccia
cominciò a suonare, lesse quello che Orlando aveva scritto di seguito.
‘Non darmi del patetico Bee. Lo so che ho
preso spunto dal mio lavoro per fare questa cosa, ma t’assicuro che è solo uno
spunto. Adesso mentre leggi è partita la prima traccia.
La riconosci questa
canzone, Bee?”
Abaigeal
guardò Orlando sorridendo.
“La prima volta che l’ho
sentita ho pensato a te. Eri appena uscita da casa mia per andare dall’editore.
Avevamo passato tutta la notte del tuo compleanno a fare l’amore, ricordi?
Come fa questa canzone
Bee? CANTICCHIALA!”
Bee
scoppiò a ridere. Quel ‘canticchiala’ scritto tutto maiuscolo, sembrava proprio
un ordine.
Così
prese a canticchiarla, sovrapponendo la sua voce a quella del cantante.
“Cause
you and I both loved, what you and I spoke of, and other just read of, others
only read of the love, the love that I love”.
Orlando
annuì, sorridendo, quindi cominciò a canticchiare insieme a lei.
“You and I, you and I, not so little you and I anymore, and
with this silence brings a moral story more importantly evolving is the glory
of a boy”.
Abaigeal si voltò, scuotendo la testa, “Tu sei pazzo”, rise,
quindi proseguì nella lettura.
“Tieni in mente questa
frase, Bee. Non te la scordare nemmeno tra cinquant’anni, quando saremo vecchi
e i nostri figli ci lasceranno i nipoti perché avranno da fare. Ricordati
questa frase: this is just another day to sing about the magic that was you
and me. Non smettere mai, chiaro? Canticchia sempre di me e di te!”
Abaigeal scoppiò di nuovo a ridere. Le sembrava di essere finita
in un sogno.
Un sogno dove finalmente erano in due.
Proseguì a leggere, “Questa
è una bella citazione da mettere in questo libro di viaggio. Ma prima aspetta
la fine della canzone”.
Bee aspettò che la canzone finisse, quindi attese l’attacco della
traccia successiva. Quando la riconobbe, si mise a ridacchiare, “Ottima scelta,
capitano!”, si complimentò, “Questa ci voleva proprio!”
Lui si girò verso di lei sorridendo, “Wouldn’t it be nice if we
were older and we wouldn’t have to wait so loong!”
“And wouldn’t it be nice to live together in the kind of world
where we belong”, seguitò lei.
Scosse la testa, quindi tornò a leggere. C’era una citazione che
l’attendeva.
“L’amore troverà la
strada in terre in cui i lupi non cacciano. Lo sai chi l’ha detta Bee? Lord
Byron. Adesso, non so mica se l’ho veramente capita, ma penso che quello che
unisce me e te viva proprio lì, dove i lupi non cacciano. E’ per questo che è
riuscito a crescere indisturbato, diventando grande e forte, pronto a
combattere e a farsi scudo dalle insidie del mondo, non credi?”
Abaigeal annuì lentamente, “Credo di si, Flow. Credo che quello
che noi chiamavamo negazione, fosse invece solo protezione”, inspirò, “Invece
di ucciderlo, lo abbiamo alimentato silenziosamente”.
Lui allungò una mano fino a prendere la sua, “Negato, Bee?”
Lei ridacchiò, “Ok, magari negato no, però abbiamo cercato sempre
di dargli le spalle”.
“Questo è vero”, assentì lui.
“Dici che è arrivato il momento di guardarlo sul serio?”
Orlando fece una smorfia, “Non correre Bee”, l’ammonì, “Siamo solo
all’inizio. Continua a leggere”.
Abaigeal voltò pagina e si trovò due fogli zeppi di scritte e foto.
C’erano loro due a Galway, di notte vicino al porto. C’era Bee che
faceva le smorfie vicino ad una pinta di birra. C’erano gli occhi rossi di
Orlando, probabilmente dopo una sbornia irlandese. C’erano ritagliate le loro
bocche che ridevano. E c’erano stralci di discorsi che avevano fatto anni addietro,
c’era raccontata la notte in barca, quando si erano promessi sotto la luna di
non rinunciare mai al grande amore.
C’era il ritornello della canzone che lo stereo adesso, mandava a
tutto volume.
“Should I go, if she
calls out my name? And if she bleeds, should I wipe up the stain?
And if I'm low, can I drown in this rain?I guess I'm no good, I guess I'm
insane”, vicino c’era una
freccia e di lato Orlando aveva scritto, “Quante
volte mi sono domandato queste cose. Quante volte mi sono detto che
probabilmente eravamo pazzi a sprecare un rapporto come il nostro. E sono state
tante le volte in cui ti ho odiato perché non volevi mischiare quello che
leggevo nei tuoi occhi, con quello che tu leggevi nei miei. Quei tuoi sguardi
di rimprovero Bee…me li ricordo tutti. Era come se mi dicessi senza parlare che
non stavo lottando per te. Ho perso tante battaglie Bee, ma da oggi comincio a
combattere la guerra. E la vincerò solo se ci sarai anche tu” Gli occhi di
Abaigeal si riempirono di lacrime. Respirò profondamente, quindi tornò a
leggere, “Ci sarai, si?”
Lei
sorrise, “Ci sarò, Flow”, mormorò, “Saremo in tre contro il mondo!”
Lui
si sporse per baciarla, e lei non attese neanche un secondo per ricambiare quel
bacio.
“Tre
è il numero perfetto, no?”, mormorò lui, guardando la strada con un occhio
solo.
“Tre
è l’inizio del numero perfetto”, precisò lei, schioccandogli un altro bacio
sulle labbra.
Orlando
ridacchiò. Uno di quei risolini veri, che faceva così di rado, ultimamente.
“Cominciamo
da tre allora”, assentì lui.
Lei
sorrise, “Ci sto!”.
L’autostrada
non era molto trafficata.
Bee
appoggiò la testa al finestrino socchiuso, sbirciando fuori.
Continuavano
ad andare verso sud. Orlando sembrava tranquillissimo nella sua posa da
conducente preparato. Per un momento lo invidiò di sapare quali strade stavano percorrendo.
Avrebbe
voluto andare avanti veloce per capire dove l’avrebbe portata quello strano,
insensato, meraviglioso viaggio.
La
musica adesso era più lenta, rispetto alle prime ore di viaggio.
Quante
ore erano?
Aveva
perso il conto. Forse due, più probabilmente tre.
Non
ne aveva idea.
Sbirciò
ancora il diario. Orlando aveva scritto la storia del loro capodanno a
Canterbury.
E
le aveva anche svelato il segreto del desiderio che aveva espresso quella notte,
spiegando che si era avverato molto prima che lo pronunciasse quella sera. Non
c’era più bisogno di tenerlo nascosto. Bee aveva sorriso nel leggerlo, perché
era esattamente lo stesso desiderio che aveva espresso lei.
Adesso
la colonna sonora di quelle due pagine era ‘Ring of Fire’ di Johnny Cash.
Orlando aveva scritto un piccolo aneddoto su quella canzone, lo aveva letto
nella biografia di Cash. In pratica quella canzone non l’aveva scritta lui,
bensì June, sua moglie, quando lui non era esattamente nel pieno delle sue
facoltà. Bee aveva letto affascinata le dichiarazioni di quella donna,
trovandole perfettamente in sintonia con le sue. ‘Quando si ama, si ama sempre’
scriveva June, ‘Si ama anche quando le cose si mettono male. Soprattutto quando
si mettono male. E’ questo il vero amore’.
Abaigeal
sorrise.
“Dove
siamo Flow?”, domandò stiracchiandosi.
Lui,
preoccupato, la guardò con la coda dell’occhio, “Stai bene? Vuoi fermarti?”
Lei
si allungò, appoggiandogli la testa sulla spalla, “Sto bene, si, non preoccuparti.
Volevo solo sapere dov’eravamo di preciso”.
Orlando
si guardò in torno, “Vicino Riverside, credo”.
“Riverside?”,
domandò lei, “Ma non andiamo verso l’Oceano?”, domandò dispiaciuta.
“No”,
ridacchiò lui, “Perché?”
“Perché
l’Oceano è romantico!”, protestò.
“Bee
una buona volta, vuoi fidarti di me?”.
Lei
sospirò, “Ok, mi fido. Sto zitta. Ci fermiamo a Riverside?”
“Certo
che ci fermiamo. Sono tre ore che non mangi. Hai bisogno di energia, adesso!”
Lei
sorrise, “Flow, ho bisogno di energia da sempre”.
“Si
ma adesso hai bisogno di energia per due, quindi ci fermiamo per mangiare
qualcosa. Uno spuntino breve, prima dell’arrivo”, spiegò.
“Siamo
già arrivati?”
Lui
scosse la testa, “Siamo vicini alla prima tappa”.
“Manca
molto?”, domandò.
“All’incirca
cinque ore!”
Bee
alzò la testa, guardandolo in tralice, “Cinque ore??”
Lui
si strinse nelle spalle, sorridendo.
“Non
sono molte, dopotutto”, considerò.
Abaigeal
tornò sul suo sedile, “Flow, stai tenendo in conto la possibilità che io ti
creda impazzito?”
Lui
rise, “Bee, mi credi impazzito da almeno dieci anni”, puntualizzò.
“No,
Flow”, obbiettò Bee, “Prima ti credevo pazzo. Era una sorta di costante nella
mia vita. Tu pazzo. Io pazza. E andava bene così. Adesso invece penso che sei
completamente impazzito. E un pazzo che impazzisce non so fino a che punto
possa essere una buona cosa!”
Lui
le scompigliò i capelli con una mano, “Prometto che non ti annoierai”, disse.
“Non
ne dubito”, borbottò lei guardando il diario di viaggio.
L’insegna
che campeggiava di fronte a loro diceva che erano arrivati a Riverside.
Bee
sorrise, “Gonna lay down my sword and shield, down by the riverside”, attaccò a
canticchiare. E nello stesso momento, la nuova traccia del cd, le consegnò la
medesima canzone.
Si
voltò verso Orlando stupita, “Cazzo Flow, questa non potevi averla
programmata!”
Lui
rise, “In realtà ci avevo provato!”, le fece l’occhiolino, “Ma la fortuna ci ha
messo del suo!”
Bee
gli stampò un bacio entusiasta sulla guancia, “Questa non si chiama fortuna,
Flow. Questo è un grande, gigantesco, immenso, culo!!”
Ridendo,
Orlando svoltò verso il centro della cittadina.
Tre
ore più tardi, Bee si era addormentata cullandosi al dolce movimento della
macchina che avanzava nel tramonto.
Avevano
passato il confine con l’Arizona da un po’ di miglia, ed Orlando cominciava ad
avvertire una leggera stanchezza alle spalle.
Era
teso, si.
Non
sapeva esattamente cosa pensasse lei di quella follia, ma non voleva rovinare
tutto giungendo subito alle conclusioni.
Quelle
sarebbero arrivate a tempo debito. Adesso, c’era un viaggio da fare. Ricordi da
riportare a galla e promesse da mantenere.
Non
tanto le promesse che aveva fatto a lei, quanto quelle che aveva fatto a se
stesso.
Si
maledisse per ciò che avrebbe trovato al suo ritorno, ma sapeva anche di non
poter fare altrimenti.
Non
poteva, anzi, non doveva lasciare che qualcun altro lo trascinasse in qualcosa
che non voleva davvero.
Spense
la radio.
Quando
Bee si sarebbe svegliata, doveva trovare quella canzone ad attenderla.
La
guardò con la coda dell’occhio.
Dormiva
serenamente, rivolta verso di lui, con una mano posata sulla pancia.
La
stessa pancia che ospitava un figlio.
Il
loro.
Un
brivido gli passò lungo la schiena ed un flash di un futuro neanche troppo
lontano, gli riempì gli occhi di immagini.
Lui
Bee e quel bambino, che se ne stavano tranquilli in macchina a viaggiare. Lei
che canticchiava, rivolta verso i sedili posteriori, e che faceva buffe facce
per quella piccola creatura. Lui che li sbirciava dallo specchietto
retrovisore, sorridendo.
Stava
guardando la sua famiglia.
L’assurdità
affogata nella realtà di quell’affermazione, gli colpì lo stomaco.
L’aveva
cercata tanto, una famiglia, e invece ce l’aveva sempre avuta davanti.
Sospirò.
E
che cazzo di famiglia!
Una
famiglia perfetta!
Bee
si stiracchiò leggermente, quindi mugolò qualcosa di incomprensibile,
allungando una mano verso Orlando.
Lui
si sporse a baciarle la testa.
“Mmmh…”,
gemette lei.
“Buongiorno”,
mormorò lui.
Abaigeal
aprì i suoi occhi blu, puntandoli sul viso di Orlando.
“Mi
sono addormentata…”, considerò guardando fuori dal finestrino, “E’ notte e
siamo in mezzo al nulla”, fece una smorfia, “Mi svegli, Flow?”, domandò.
Lui
rise, “Tranquilla, siamo vicini alla prima tappa”, spiegò riaccendendo la
musica.
Le
casse soffiarono una canzone che Bee riconobbe all’istante.
Acciuffò
il diario e lo sfogliò fino alla pagina che riguardava quel preciso momento del
viaggio. Orlando ridacchiò, notando la sua curiosità.
“Galway. Irlanda. C’è un
uomo che comincia a pizzicare dolcemente le corde della sua chitarra acustica,
regalo atteso di compleanno. Accanto, c’è una ragazza che annuisce, intuendo il
brano. Vicino a lei, un ragazzo sorride senza capire. Ma la ragazza non ci bada
e inizia a cantare la sua canzone, guardandolo.
E quella canzone era
esattamente come la promessa che si erano fatti anni addietro, mentre
guardavano la luna da una barca.
Bee…hai idea di quanto
ami quella canzone?!”
Abaigeal
sorrise. Guardò con dolcezza le foto che Orlando aveva attaccato alla pagina.
C’erano loro due e Kevin, sul patio, che cantavano una canzone, probabilmente
‘Wiskey in the Jar’, c’era la foto di Bee che sceglieva la chitarra per suo
padre in un negozio di musica a Londra. E in alto, sulla sinistra, c’era
attaccata la foto di una luna e, sotto, una barca colorata con un pennarello
rosso.
“Sai Bee, credo che nel mondo non esista
nessuno che abbia dedicato ad un’altra persona tante canzoni quante tu ne hai
dedicate a me. So deep in love I am, and I will love thee still, my dear,
till all the seas gang dry. Non è incredibilmente bella?”
“Non
credevo ti piacesse sul serio, questa canzone”, commentò lei.
Orlando
annuì, “Mi piace”, asserì.
“Di
chi è questa versione?”
“Eva
Cassidy”, spiegò lui, “Mi sembrava molto simile a quella che avevate suonato
quella notte”.
Lei
si sporse per baciarlo, arrampicandosi letteralmente sul sedile.
Orlando
rise, spostandosi, cercando –invano- di guardare la strada.
“Bee
ci schianteremo!”
“Oh,
dopo questa Flow, morirei contenta!”, ridacchiò.
“Possiamo
aspettare almeno il viaggio di ritorno?”, domandò lui, ridendo.
Bee
gli fece la linguaccia, quindi tornò composta al suo posto.
“Guastafeste!”,
lo apostrofò.
Lui
si sporse verso il parabrezza, “Ci siamo”, mormorò strizzando gli occhi.
“Ci
siamo?”, domandò lei.
“Siamo
arrivati”, le sorrise lui.
“Dov’è
che siamo, di preciso Flow?” domandò lei, “Così, giusto per farmi un’idea!”
Lui
le fece l’occhiolino, “Phoenix, Bee”.
“Arizona?”,
domandò lei esterrefatta.
“Brava,
tesoro! Hai studiato geografia!”, la sbeffeggiò, imboccando l’uscita dell’autostrada.
“Che
ci facciamo a Phoenix?”
“Adesso
vedrai…”
Bee
si rigirò la busta tra le mani, socchiudendo gli occhi e lasciando che la
brezza calda della notte le carezzasse la pelle.
Era
stanca.
Ma
felice.
Come
non lo era da molto, molto tempo.
Orlando
era rimasto in camera, spiegandole che il contenuto della busta, avrebbe dovuto
leggerlo da sola.
Assurdamente
si sentiva intimorita da quello che le stava accadendo, forse perché
consapevole che dopo quel viaggio, la sua vita non sarebbe mai più stata la
stessa.
Con
mani tremanti aprì la busta, spiegazzò il foglio e cominciò a leggere.
“La scrittrice di casa
sei tu, quindi neanche ci provo a buttare giù qualcosa che somigli vagamente ad
un testo. Ti regalo i primi pensieri. Quelli che mi vengono, così come mi
vengono, senza limarli né sistemarli né renderli grammaticalmente perfetti.
Prendili per quello che
sono.
Allora…adesso se non
sbaglio siamo a Phoenix, e sempre se non sbaglio hai trovato questa busta
attaccata alla porta della nostra stanza.
Provo ad indovinare.
Come minimo ti sei voltata verso me e hai detto qualcosa tipo, ‘Flow, posso
sapere cosa cavolo stai facendo?’. Ci ho preso?”
Bee
rise. Ci aveva preso.
“Phoenix sorge
perfettamente in mezzo alla valle del Sole. Non è un riferimento, casuale Bee.
In mezzo alla valle del sole non c’è solo qualcosa che viene costantemente
illuminato e che cresce rigoglioso. Per stare in mezzo al sole servono palle. E
fisico. Noi siamo esattamente qui. Ci siamo sempre stati, probabilmente. La
notte non è mai stata parte della nostra storia. E non perché non ci piacesse,
sia chiaro, ma perché quello che abbiamo fatto, quello che ci siamo scambiati
in questi anni, è stato fatto sempre alla luce. Alla luce di consapevolezze più
o meno serie e di sentimenti che, invece di mutare, si sono semplicemente
allargati, avvolgendoci” C’era una parte cancellata, “Te
l’ho detto Bee che non so scrivere come scrivi tu, ma spero che il concetto sia
chiaro anche a te.
In questa prima tappa,
porti con te i ricordi dei nostri primi anni di amicizia. Quelli in cui l’amore
non era espresso ma semplicemente cullato nel cuore. Anzi. Nello stomaco.
Questa parte del viaggio è stata la parte dell’innocenza del nostro rapporto.
Quella in cui ci sentivamo forti della
nostra forza e sicuri che le cose non sarebbero mai cambiate. Probabilmente
eravamo due illusi, chi lo sa, ma sono sicuro che senza queste basi, oggi non
saremo qui a compiere questo viaggio.
Il difficile deve ancora
venire, Bee, lo so io come lo sai anche tu.
Ci saranno spiegazioni
da dare, battaglie da combattere e persone che rimarranno deluse.
So che non sarà facile.
Né per te, né per me.
Ma so che siamo noi,
Bee. Io e te in mezzo alla tempesta non ci perdiamo, anzi, ci stringiamo di
più.
Non ho paura di quello
che succederà in futuro, come non ho avuto paura della svolta che prese il
nostro rapporto qualche anno fa.
So, semplicemente, che
le cose stanno andando come devono andare.
Questo mi rassicura”
Bee
sospirò profondamente, gettando un’occhiata alla skyline della città.
Era
in mezzo alla valle del sole. Già.
E
non aveva paura di bruciarsi.
Bizzarra
come sensazione, dopotutto.
Abbassò
di nuovo gli occhi sui fogli che teneva in mano.
“Se dovessi abbinare una canzone a questo
momento, ci abbinerei quella che piace tanto a te. ‘Waiting on an angel’.
Pensala nella tua testa e leggi quello che segue.
L’amore chiede tutto ed
ha il diritto di farlo.
Questa l’ha detta
Beethowen e io sono d’accordo. Il nostro amore ha sempre chiesto qualcosa, ma
noi non gli abbiamo mai prestato attenzione.
Adesso, è ora di farlo.
Questo è il tuo primo
bivio Bee.
Puoi decidere di
proseguire questo viaggio o puoi decidere di tornare indietro.
Nel primo caso, dovrai
camminare ancora, senza smettere mai, continuando a lottare. Nel secondo caso,
invece, potrai fermarti. Prendere decisioni più comode e meno rivoluzionarie.
A te la scelta”.
Bee,
sorrise, quindi ripose i fogli nella busta.
Aprì
la porta scorrevole della finestra ed entrò in camera.
Orlando
era stravaccato sul letto, una mano dietro la testa, l’altra a giocherellare
con il telecomando del televisore.
Sospirando,
Abaigeal si gettò sul letto, ranicchiandoglisi contro.
Lui,
istintivamente, l’abbracciò.
“A
che ora si parte domani?”, gli domandò.
Orlando
sorrise, quindi chinò la testa per baciarla sulle labbra.
“Ti
sveglio io”, la rassicurò, “Adesso riposati”.
Lei
gli posò la testa sul petto e si lasciò cullare dal ritmo lento del suo cuore.
* Al quale è dato avere ciò che desidera ed essere ciò che vuole.
E’ una citazione straordinariamente bella di Pico della Mirandola.
Come promesso…ECCOMI!!
Siamo partiti ufficialmente per questo bel viaggio. Una fatica
guidare per Orlà e una fatica scriverlo per Am!!
Non so com’è uscito ma spero che sia chiaro quello che avevo in
mente. Anche adesso, rileggendolo, avrei voluto cambiare quattrocento cose…ma
va bene così, accontentiamoci.
Grazie come sempre ad ognuna di voi…. Vi sembrerò scontata ma
l’affetto che mi dimostrate quando recensite è molto importante per me. E mi
lusinga sapere che alcune di voi ritaglino minuti dal proprio tempo per vedere
quello che la mia mente malata è riuscita a partorire stavolta. Vi adoro.
Bebe tesoro grazie…tu aspetti me, ma io aspetto te.
Ricordatelo!!!
Grazie grazie grazie Star…io che sono d’ispirazione mi suona
proprio strano, ma grazie per l’entusiasmo e la costanza!
Dod, no mazzate please…e spero di aver fatto il più in fretta
possibile! Sei un angelo!
Klood…grazie per le belle parole. Adesso spero che questo
capitolo invece di toglierti la curiosità te l’amplifichi!!!! (Am è sadica…mi
avete beccata!!!)
E adesso torno a scrivere…c’ho 234 storie in cantiere e vi
comunico ufficialmente che ho ripreso in mano ‘Accidentally’… ;)
Purtroppo causa ultimo esame prima della tesi le cose vanno un
po’ a rilento ma prometto di velocizzare. Parola del tesoriere degli scacchi.
Naturalmente un ringraziamento speciale anche per le affezionate
‘anonime’ che mi scrivono in privato e per quelle che leggono e basta!
Se le ciliegie continuano a penzolare dall’albero è anche merito
vostro…sappiatelo. Di tutte voi, nessuna esclusa.
Un bacio immenso
Am
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Capitolo 15 *** Sono qui per l'amore ***
sonoquiperl'am15
SONO QUI PER L’AMORE
Sono qui per l’amore
per riempire col secchio il tuo mare,
con la barca di carta,
che non vuole affondare.
‘Sono qui per l’amore’ L. Ligabue
Correvano
veloci per l’autostrada, lasciandosi dietro chilometri di strada. Strada zeppa
di ricordi ed emozioni, e lacrime e sorrisi. Una strada reale e metaforica.
Bee
sospirò, poggiando la testa al finestrino.
Non
si era fermata.
Probabilmente,
se si conosceva almeno un po’, non lo avrebbe mai fatto. Mai.
Nonostante
paventasse il ritorno da quel viaggio, era sicura che non avrebbe permesso alle
contingenze della vita di bloccarla nell’angolo.
Socchiuse
gli occhi e lasciò che la mente vagasse, intrecciandosi al paesaggio che le
scorreva imperioso di lato agli occhi.
Indispettita,
si sistemò meglio.
Vista
periferica, chi ne aveva davvero bisogno?
Si
rilassò appoggiando le spalle al sedile e lasciando che la mente la portasse
dove voleva.
Per
la prima volta in vita sua, si sentiva davvero libera.
Libera
di pensare.
Libera
di sentire.
Libera
di pesare le parole di quelle canzoni che Orlando aveva scelto per lei.
Per
loro.
Nella
fattispecie, adesso le casse mandavano a tutto volume ‘At last’ di Etta James.
Sorrise.
‘At laaaast, my love is come along’,
canticchiò sottovoce.
Bizzarra
proprio la vita.
Bizzarre
anche le esplosioni.
Una
volta Orlando le aveva detto che non poteva lanciare una bomba e aspettare che
la gente se ne rimanesse immobile a saltare per aria.
Niente
di più sbagliato.
La
gente adorava, saltare per aria.
Altro
che istinto di sopravvivenza!
La
gente anelava l’esplosione per mettersi davvero a nudo, per sentire il
ticchettio del tempo che passa e per avere la percezione seppur vaga che è
giunto il momento di slacciare le mani e cominciare a fare.
Ecco
a cosa servivano le esplosioni. Servivano a far si che anche le più piccole
cose nascoste uscissero allo scoperto.
Non
che fosse facile, beninteso.
Le
esplosioni portano con se anche tante macerie, ma la vera forza sta proprio nel
salvare qualcosa da quelle macerie. Le piccole cose che non si sono rotte del
tutto.
Quelle
che, volenti o nolenti, si sono salvate.
Ecco.
Loro
si era salvati. In un modo del tutto inappropriato alla situazione attuale, ma
si erano salvati.
Avevano
salvato quello che li univa.
In
mezzo all’inferno della deflagrazione l’unica cosa che si era veramente
mantenuta intatta, seppur bistrattata maltrattata e trascurata, era stato
quello strano amore che li univa.
‘Esistono
un milione di tipi d’amore…”, aveva detto ad Orlando un giorno.
Sbagliava.
Ne
esiste solo uno d’amore. Quello che ti si piazza nel bel mezzo delle viscere e
stringe. Stringe e chiede e anela ossigeno e acqua e nutrimento.
Quello
che è come la sensazione che ti chiude la gola nel bel mezzo di un bel sogno e
che ti fa svegliare. Chè non è vero che i bei sogni durano tutta la notte.
Proprio
perché sono belli, proprio perché sono vestiti delle pelli dei nostri desideri,
proprio per questo vengono interrotti.
Come
se il nostro subconscio volesse semplicemente aiutarci a risalire la china
prima di andare troppo a fondo nell’oblio.
Sbirciò
Orlando con la cosa dell’occhio.
Bello.
Con
il sole che gli carezzava delicatamente una parte del viso, la fronte corrugata
per lo sforzo di concentrazione, una mano sul volante e un’altra intrecciata
alla sua.
Il
suo amore.
L’unico.
Il
più probabile.
Sorrise.
‘At
last, my love is come along’….
Orlando
le lanciò un’occhiata veloce.
Era
stata silenziosa dall’inizio del viaggio.
Aveva
letto gli appunti del diario, canticchiato qualche canzone ma non aveva mai
parlato con lui. Era meravigliosamente persa nel groviglio dei suoi pensieri.
Quelli scomodi.
E
si stupì nel rendersi conto di come conoscesse davvero a memoria ogni sua più
piccola espressione. Ogni più leggero mutamento di sguardo.
E
lo sguardo che aveva ora, era quello dei conti.
Bee
stava sicuramente riflettendo su quanto le stava capitando e, conoscendola,
stava cercando la soluzione più adatta per far si che lui non si ferisse
troppo.
Che
non ne uscisse troppo malconcio.
“Non
proteggermi, Bee”, sussurrò.
Lei
si voltò, alzando un sopracciglio.
Orlando
le sorrise, intrecciando meglio le dita alle sue.
“Non
pensare a come potresti proteggere me, in questa situazione”, si spiegò,
tossicchiando, “Non ho bisogno di essere protetto. Ho bisogno che sia tu a
lasciarti proteggere”.
Bee
incamerò aria, “Proteggermi da cosa?”
“Dalla
paura che hai”, rispose lui a bruciapelo.
“Non
ho paura”, obbiettò lei incrociando le braccia sul petto.
“No?”,
azzardò lui con una strana espressione.
Bee
sbuffò, “Ok, si ho paura”, inspirò, “Ho paura che tutta questa cosa possa farti
del male Flow. Chiamami cretina ma non volevo che andasse così. Non volevo
incasinarti la vita, volevo semplicemente regalarti un’emozione qua e là per
farti dire, un giorno, che ne era valsa la pena”.
“Ne
è valsa la pena, Bee”, le sorrise lui
clemente, “E non mi stai incasinando la vita. La stai rendendo perfetta, è
diverso”.
Abaigeal
fece una smorfia.
“Come
faccio a rendere perfetta la tua vita se ti sto tenendo la mano mentre ti guido
verso una catastrofe?”.
Orlando
mise la freccia, sbirciò lo specchietto retrovisore e accostò sulla corsia di
emergenza.
“Cosa
fai?”, domandò Bee, voltandosi indietro.
Lui
la prese per le spalle e la guardò negli occhi.
“Ti
amo, Bee”, disse con la voce roca. Negli occhi una risolutezza che non gli
aveva mai visto prima, “E maledico ogni secondo passato a rinnegare quello che
sentivo. E lo sentivo da tempo. Da anni”, respirò profondamente, “Rimpiango di
aver tirato in mezzo un mondo che non c’entrava niente con noi due solo perché
avevo una fottuta paura di te”.
Abaigeal
alzò entrambe le sopracciglia.
“Di
te si”, lasciò la presa, ridacchiando, “Andiamo Bee, lo sai anche tu come sono
andate le cose. Il nostro è stato un meraviglioso, incredibile, incontrollabile
colpo di fulmine. Mi stupisco solo di essere riuscito a tenerlo a bada per così
tanto tempo”.
Bee
fece per parlare ma lui gli mise un dito sulle labbra, per farla tacere.
“Smettila
di pensarci, Bee. Siamo fatti per stare insieme, e questa è la mia ultima
parola. Non accetto rilanci”.
“Flow
però tu hai mai pensato che…cioè…se magari io non fossi rimasta incinta tu
saresti a Los Angeles a…”
“A
chiederti come fare per annullare il matrimonio, Bee. Questo lo sai”.
Lei
arricciò il naso.
“Ti
ricordi cosa ti ho detto alla caffetteria?”
Bee
sospirò, “Ti avevo appena informato di essere incinta”.
“Sono
stato io a chiamare te quella mattina per parlare, o sbaglio?”
“No”.
“No
che?”
“Non
sbagli”.
Lui
le scostò una ciocca dai capelli, “Anima
Bee”.
Lei
lo guardò senza capire.
“Sei
la mia anima Bee. E senza anima non si vive bene. Me lo hai insegnato tu”.
Lei
si afflosciò sul sedile, “Flow io mi sento come se ti stessi strappando dal tuo
destino”, piagnucolò.
Lui
scosse la testa. Cocciuta donna.
“Bee
è assurdo che proprio io debba fare questa parte con te”, ridacchiò, “Di solito
sei tu che rassicuri me, non il contrario”.
Lei
mise il broncio, quindi gli si raggomitolò contro. Seduta sulle ginocchia, si
sporse verso di lui e gli circondò il collo con le braccia.
“Me
la perdonerai mai, Flow?”, sussurrò.
“Bee
ti ho perdonato quando mi hai confessato di amarmi”.
Lei
lo strinse di più.
“E
ti perdoni anche tu?”
Lui
sospirò.
“Se
mi perdoni tu”.
Lei
sorrise, quindi si staccò e lo baciò a fior di labbra.
“Siamo
due cretini”
“Lo
siamo”, rise lui, “Ma stiamo recuperando”.
Lei
gli sorrise, quindi tornò a sedersi al suo posto.
Orlando
le fece l’occhiolino, quindi si immise nuovamente nella corsia più a destra.
Abaigeal
scese dalla macchina, adocchiando la casetta disastrata che le si parava
davanti.
Erano
a Las Cruces. New Mexico.
Tuttavia
le sembrava di essere precisamente nel bel mezzo del deserto, con un esemplare
di uomo che litigava con un trolley rosso cangiante.
“Flow”,
lo chiamò, “Cos’è questa cosa?”, domandò indicando la casa.
“Una
casa, appunto”, ridacchiò lui.
Bee
fece una smorfia, “Ho detto cosa non casa”, sottolineò.
Orlando
la raggiunse, trascinando il trolley e sorridendo, “E’ una casa!”.
“E
tu quest’ammasso di legna fradicia e rovinata me la chiami casa, Flow?
Preferivo una tenda!”
Orlando
scosse la testa.
“Donna
di poca fede!”, l’apostrofò.
“Pfiù!”,
gli fece il verso lei.
La
prese per mano, trascinandosi dietro lei e il trolley.
Salì
sul portico, estrasse una chiave dalla tasca dei jeans e la infilò nella toppa.
Dopo un paio di giri la porta si spalancò e, con essa, la bocca di Abaigeal.
All’interno,
la casa, era tutt’altro che malandata.
Arredata
in stile prevalentemente etnico, tutta sui colori del rosso e dell’arancio, si
estendeva in un unico, meraviglioso, piano. Sembrava un quadro di un pittore
contemporaneo.
“…zzo!”,
mormorò Bee.
“Le
apparenze ingannano”, buttò lì Orlando, con aria maliziosa.
Abaigeal
lo seguì all’interno dell’appartamento, guardandosi intorno con aria
sbalordita.
Notò
immediatamente una busta rossa, appoggiata sopra il camino.
Gettò
un’occhiata divertita ad Orlando, quindi volò letteralmente dall’altro lato
della stanza, acciuffando la busta ed estraendone il contenuto.
“Las Cruces.
Le croci.
Qualcuno dice che,
invece, l’origine latina del nome volesse significare più semplicemente, crocevia.
Adesso, mentre leggi
questa lettera, ti trovi esattamente al centro del salotto di Donna Dolores.
Donna Dolores era una bella ragazza, vissuta
esattamente in questa casa più o meno ottanta anni fa. Lottò contro la comunità
per difendere il suo amore, ma venne cacciata e si stabilì in questa vecchia
casa abbandonata dai minatori.
Visse qui, aspettando il suo amore.
Lo aspettò per almeno cinquant’anni, senza mai
andarsene.
Alle giovani della città che passavano a farle
visita, era solita dire: ‘amare significa anche avere la pazienza di
attendere. Avere la perseveranza di restare. Anche quando tutto sembra
convincerti del
contrario.”
Morì a sessantanove anni. Da sola. Mentre,
probabilmente, aspettava il suo amore.
In mano teneva la foto del suo uomo, che non era mai tornato, ed
una vecchia poesia di un poeta latinoamericano.
Non so che poesia fosse, non lo sa nessuno.
Ma so che poesia avrei tenuto tra le mani io.
Per fortuna, non dovrò aspettare invano. Grazie
agli Dèi io e te siamo stati molto più fortunati di Donna Dolores. E’ per
questo che siamo qui.
Siamo venuti a rendere omaggio ad una donna che ha
dovuto vivere la sua vita da sola, senza avere la possibilità di donare il suo
amore all’uomo che amava.
Io e te, per contro, le stiamo dicendo che, quando ci si trova, non importa quante difficoltà si debbano
affrontare, si rimane insieme. Nonostante tutto”.
Abaigel si voltò verso Orlando, sorridendogli e
tentando di controllare la commozione che le stringeva la gola.
Lui le stava regalando se
stesso.
Le stava regalando dieci
anni e più d’amore.
Le stava regalando la
promessa di non andarsene. Mai.
Lui strizzò l’occhio,
invitandola a proseguire con un cenno del
capo.
Bee abbassò lo sguardo
sul foglio.
“Questa è la poesia
che avrei tenuto io, se fossi stato nei panni di Donna Dolores.
Neruda.
“Non t'amo come se fossi rosa di sale, topazio
o freccia di garofani che propagano il fuoco:
t'amo come si amano certe cose oscure,
segretamente, tra l'ombra e l'anima.
T'amo come la pianta che non fiorisce e reca
dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori;
grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo
il concentrato aroma che ascese dalla terra.
T'amo senza sapere come, né quando, né da dove,
t'amo direttamente senza problemi né orgoglio:
così ti amo perché non so amare altrimenti
che così, in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.”
Senza
dire nulla, Abaigeal lasciò cadere a terra il foglio e la busta e si lanciò tra
le braccia di Orlando, che l’accolsero senza riserve.
“T’amo
senza sapere come, né quando, né da dove…” citò lei, in un sussurro.
Lui
le baciò i capelli, “Così ti amo perché non so amare altrimenti”, concluse lui.
Posso dirvelo?
Bhè ve lo dico. Ve lo devo dire.
SIETE INCREDIBILI…non so davvero da dove cominciare per
ringraziarvi tutte per l’entusiasmo e le belle parole e le emozioni che mi
regalate attraverso le vostre parole.
GRAZIE DAVVERO.
Alla mia Bebe…donna! Grazie! Sul serio. Spero di non deluderti
con questo nuovo capitolo! E Buon Anno anche a te!
A Summer…non preoccuparti, Gioia. Il fatto che tu l’abbia persa e
poi ritrovata vale molto più di quello che pensi. Sappilo.
A Star che ha fatto a botte con il sonno pur di leggere il nuovo
capitolo. Sei un angelo sul serio!
Dod tu invece…mi hai fatto passare un brivido. Non scherzo. Giuro
sulla mano destra del Magnifico che non sto scherzando. Ma il fatto che tu
l’abbia trovato perfetto significa immensamente tanto! Ma tanto tanto! E spero
che questo capitolo abbia sortito lo stesso effetto del primo.
Klood, sweetie… ‘e non finisce qui’! Grazie tesoro per essere
ritornata!
E last but not least…STROW!
Tesoro mio se avessi parole sufficienti per dirti tutto quello
che dovrei dirti non starei a grattarmi l’orecchio come un gattino con le
pulci.
Sei…bhè…sei Naihm. La mia Naimh per inciso e sai cosa vuol dire. Io
ti ringrazio somma donna per tutto quello che dici, fai, pensi e immagini. E ti
ringrazio per regalarmi un po’ di tutto questo.
E se ti può consolare anche io sono ano-rmale. Sarà mica per
questo che ci prendiamo così bene???? ;)
Love U, honey!!
PS. La storia di Donna Dolores non è un’emerita cazzata. O almeno
non del tutto. Donna Dolores è veramente esistita e ha veramente sofferto le
pene dell’inferno a causa del suo amore. (Lui era un forestiero e in paese non
era visto di buon occhio. Anche dopo il suo arruolamento i concittadini
continuarono a dirne di peste e corna confinando Dolores in una casettina
lontano dalla città!). Tuttavia Donna Dolores non viveva a Las Cruces. A dir la
verità non credo che sia mai vissuta neanche dov’è realmente vissuta. Penso che
Dolores sia vissuta nel suo amore. E dovevo per forza omaggiarla per questo.
Ci vediamo alla prossima puntata!
Vi voglio bene!
Bacio
Am
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Capitolo 16 *** Con la tua immagine e con il tuo amore ***
cnltimmecnitam16
CON LA
TUA IMMAGINE E CON IL TUO
AMORE
Si dice che la cosa più triste che un uomo debba affrontare
sia quello che avrebbe potuto essere.
Ma che ne è dell'uomo che affronta quello che è stato?
O quello che non sarà mai?
O quello che non potrà mai più essere?
Scegliere la strada giusta non è mai facile.
E questo è quando troviamo la nostra strada verso qualcosa
di migliore...
O quando qualcosa di migliore trova la strada per
raggiungerci.
(OTH)
Abaigeal strizzò gli occhi
per tentare di leggere il cartello stradale che intuiva essere a qualche miglia
da loro. Invano.
Sbuffò, tornando a
mettersi seduta sul sedile.
Neanche il diario di bordo
forniva indicazioni circa la nuova città d’arrivo. Nell’ultima pagina che
Orlando aveva scritto c’era solo una bizzarra citazione: ‘il viaggio finisce quando gli innamorati si incontrano…’ e vicino aveva incollato una foto in bianco e nero che
li ritraeva insieme. Avevano scattato quella foto ad un party di beneficenza e
Bee la trovava assolutamente perfetta. Una mano di Orlano tra le sue, due paia
d’occhi che si fissavano allegri e le bocche che sorridevano divertite. Aveva
sempre sostenuto che quel fotografo era riuscito a captare perfettamente la
loro essenza.
Sbirciò Orlando con la
coda dell’occhio. Aveva un sorriso ad ammorbidirgli i lineamenti e lo sguardo
concentrato sulla strada.
Qualcosa gli scaldò
immediatamente il cuore.
Si augurò, dentro di se,
ancora una volta, che quel viaggio non finisse mai. Che durasse in eterno
conservando quella strana magia che li aveva avvolti da quando erano saliti in
macchina.
“Siamo arrivati?”, domandò
di nuovo.
Orlando si voltò e le
sorrise. Un sorriso dei suoi, di quelli che gli illuminavano il viso. Ed erano
i sorrisi che Abaigeal amava sopra ogni cosa.
Alcune persone sorridono
solo con la bocca. Altre solo con gli occhi. Ma quando Orlando increspava le
labbra, il sorriso gli esplodeva in faccia illuminandogli lo sguardo e
addolcendogli l’espressione. Era uno spettacolo per cui valeva la pena di
vivere, quello.
“Quasi”, guardò il
cartellone stradale, “Dobbiamo uscire alla prossima”.
Bee corrugò le sopracciglia,
adocchiando il segnale a sua volta, “Il viaggio finisce a El Paso?”, gli
domandò.
Lui si strinse nelle
spalle, con fare misterioso.
“Eddai Flow, dimmelo! Sono
curiosa!”
Lui ridacchiò, “Non puoi
aspettare dieci minuti in più?”
Abaigeal sbuffò, “Ho
qualche speranza che tu ceda prima di dieci minuti?”
“No”, rispose lui,
divertito.
“Appunto”, borbottò lei
abbassando il finestrino.
“Stai bene?”, le domandò
Orlando, “Hai caldo? Vuoi dell’acqua?”
Lei gli sfiorò la mano con
la sua, “Sono in ottima strepitosa forma, Flow. Non preoccuparti!”
Orlando le sorrise, quindi
mise la freccia e svoltò all’uscita per El Paso.
“Ok, dunque”, attaccò,
improvvisamente nervoso, “Ti spiego il programma che ti aspetta”, la guardò,
“Hai bisogno di risposarti?”
Bee scosse la testa, “No,
sono più che riposata”, lo rassicurò.
Orlando annuì, “Bene.
Meglio”, ridacchiò, “Allora, c’è una stanza d’albergo che ti aspetta al centro
della città”.
“Che mi aspetta?”, domandò Abaigeal, “Perché? Tu dove andresti?”
“Ho da fare alcune cose”,
le spiegò.
“A El Paso?”, domandò lei
scettica, “Riesci ad avere delle cose da fare anche a El Paso?”
Lui scoppiò a ridere, “Ho
molto da fare a El Paso”, disse in tono allusivo, “Ma non preoccuparti, avrai
le spiegazioni che cerchi quando sarai arrivata in camera”.
“Flow sai una cosa?”,
interloquì lei alzando un sopracciglio, “Cominci a spaventarmi!”
Orlando si sporse e la
baciò a fior di labbra, quindi estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans e
compose un numero.
“A chi telefoni?”, gli
domandò lei.
Lui si mise un dito
davanti alle labbra, invitandola a fare silenzio, quindi cominciò a parlare con
un certo Mr Porter.
“Stiamo per arrivare”,
mormorò, “Tutto ok?”
Bee affinò l’udito per
sentire quello che rispondeva il tale, senza riuscirci. Sentì Orlando
ridacchiare e ringraziare, quindi lo vide chiudere la conversazione e lanciare
il cellulare sul cruscotto.
“Flow, posso chiederti una
cosa che potrebbe rovinare irrimediabilmente l’atmosfera?”
“Se proprio devi”,
borbottò lui.
“Ma…Miranda, no… cioè, non
ti ha mai chiamato in questi giorni?”
Lui non rispose e lei
proseguì, “Voglio dire, quando ero con te il tuo cellulare non ha mai squillato
e mi sembra strano. Cioè, quella non lascia passare un’ora senza inondarti di
chiamate e adesso, improvvisamente ha smesso?”, lo guardò torva, “Hai messo il
silenzioso, per caso?”
Inaspettatamente Orlando
scoppiò a ridere, “No, non ho messo il silenzioso Bee. Miranda ha chiamato ieri
notte mentre dormivi. Prima di partire le ho detto che avevo bisogno di qualche
giorno per fare una cosa e che preferivo non essere disturbato, così… si è limitata”.
“Non ti ha chiesto nulla?”
Orlando sospirò, “Naturale
che mi ha chiesto. Anzi, mi ha fatto un mezzo interrogatorio ma sono stato
abbastanza intransigente, quindi ha evitato di approfondire”, si grattò una
tempia, “Credo che stia cominciando a capire che le cose stanno scricchiolando,
così ha paura di chiedere per evitarsi di sentire risposte che non le piacerebbero”.
Abaigeal sospirò.
Avrebbero mandato il cuore di quella ragazza in mille di pezzi. Non che le
stesse particolarmente simpatica, questo no, ma comunque le dispiaceva un po’
per lei. Nonostante fosse sempre stata convinta che non amasse Orlando per
quello che era ma che lo amasse per quello che, invece, rappresentava, le
sembrava comunque di star commettendo qualcosa di truce contro di lei. E forse,
nonostante tutto, non se lo meritava.
“Flow”, lo chiamò, “Come
pensi che reagirà se…”
“Non se, Bee. Dì pure quando”, la corresse lui, “E penso che
ci rimarrà male. Molto male. Ma penso anche di non poter fare diversamente”.
“Mi dispiace”, mormorò
lei, abbassando lo sguardo.
“E di cosa?”, domandò lui
stupito, “Non è mica colpa tua, Bee”.
“No?”, chiese lei,
scettica.
“No”, rispose lui, “La
colpa è mia che ho trascinato questa cosa senza voler vedere la realtà dei
fatti. Miranda è stata una persona importante nella mia vita, e questa è una
cosa che non cambierà, ma non è la persona della mia vita, capisci?”, la
guardò, “E potevo evitare di portarla con me su questa strada se mi fossi
deciso a guardare le cose come stavano!”
Bee si fissò la pancia, da
lì ad un mese avrebbe cominciato ad ingrossarsi velocemente.
“Di sicuro adesso le cose
le vedrai eccome”.
Orlando ridacchiò, “Era
anche ora!”
“Bhè Flow”, rise lei, “Non
sei certo famoso per il tuo tempismo!”, lo prese in giro.
Lui le fece una smorfia,
quindi imboccò la via principale alla fine della quale c’era l’imponente
edificio dell’albergo, “Vedremo se sarai dello stesso parere tra qualche ora”.
Lei rise, “Vedremo…”
Orlando prese il vecchio
stereo dall’emporio e lo portò nel giardino della casa che aveva affittato per
quella sera.
Si sentiva stranamente
nervoso. Sapeva che Bee non avrebbe fatto un passo indietro non ora, ma si
sentiva come in bilico.
L’impotenza di non
riuscire a leggere tutti i pensieri di lei, lo frustrava più di quanto avesse
preventivato.
Sospirò, quindi camminò
verso la casa abbandonata.
Mr Porter aveva fatto una
scelta senza dubbio interessante. La casa sorgeva appena fuori El Paso ed era
stata una vecchia taverna frequentata dai delinquenti della città. Era piccola
ma solida ed aveva un giardino enorme a circondarla.
In questo posto molte vite
cambiarono radicalmente ed Orlando trovò quel particolare decisamente calzante.
La loro vita stava
cambiando per sempre. Ineluttabilmente.
Pensò a quello che li
avrebbe aspettati una volta rientrati in città.
Avrebbe dovuto parlare con
Miranda, subito. Non poteva lasciare trascorrere un solo giorno in più, sarebbe
stata un crudeltà gratuita che quella ragazza, comunque, non meritava. E sapeva
che quella rottura sarebbe stata più difficile del previsto. Miranda non lo
avrebbe lasciato andare senza lottare, la conosceva bene. Sapeva perfettamente quello
che avrebbe detto, a cosa avrebbe ricorso e la sola idea gli provocò un
brivido. Come avrebbe fatto? Avrebbe dovuto dirle che Bee era incinta? Oppure
era preferibile tenere quel particolare nascosto? Avrebbe dovuto dire che la
lasciava perché non l’amava più o che non la amava affatto perché aveva sempre
amato un’altra persona?
Sospirò, entrando nel
giardino del casolare.
Camminò verso il retro,
quindi appoggiò lo stereo sopra al tavolino, accanto al proiettore. Collegò i
fili, cercando di non sbagliare gli allacci.
E i loro genitori, poi,
come l’avrebbero presa? Sarebbero stati contenti?
Bhé, di sicuro non si
sarebbero opposti. Quell’unione sembrava fin troppo naturale, tuttavia non
riusciva a smettere di domandarsi come avrebbero reagito.
Ma il problema principale
non erano loro, non era la stampa e non era nemmeno l’opinione pubblica. Quello
che, in un certo senso, lo spaventava più di tutti era Miranda.
Cosa avrebbe dovuto dirle?
E chi poteva consigliarlo?
Senza pensarci prese il
cellulare e compose il numero di Samantha. Era sua sorella, avrebbe capito.
Avrebbe accettato. Sarebbe stata contenta di essere la prima a sapere quello
che stava succedendo.
Rispose al terzo squillo
con un tono tra il sollevato e il preoccupato. Uno strano mix.
“Orlando”, quasi lo gridò,
“Dove sei? Stai bene? Come stai?”
Orlando ridacchiò, “Ciao
Sam. Sto bene, si, non preoccuparti! Tu?”
“Bene”, rispose lei in
tono sbrigativo, “Cosa mi stai combinando?”
Lui sospirò. Doveva
dirglielo. Subito. Senza girarci troppo intorno.
“Sam, sei in grado di
mantenere un segreto?”, domandò, “Almeno fino a domani?”
“Naturale”
“Ok, sei seduta?”
“Sto iniziando a sudare,
Gib. Arriva al dunque prima che mi prenda un infarto!”
Orlando ridacchiò, “Ti
ricordi quel pomeriggio, al negozio di abbigliamento, quando mi hai chiesto se
ero onestamente convinto di sposare Miranda?”
“Lo sapevo”, brontolò lei,
“Si, me lo ricordo. Mi hai anche risposto che eri decisamente convinto”.
“Bhè…il punto è che non
sono poi così convinto, Sam. Ci sto pensando da un po’ e credo di non poterla
più sposare”, lo disse tutto d’un fiato, senza pensarci.
Samantha rimase qualche
secondo in silenzio, poi la udì sospirare, “Cosa dice Bee di tutta la
faccenda?”, s’informò.
“Bee è qui con me”, disse
lui con un tono basso.
“Non avevo dubbi. Però
voglio sapere che consigli ti sta dando. Avete già architettato qualcosa?”.
Orlando mascherò una
risatina. Sam non aveva capito l’allusione. Probabilmente finché lui non le
avesse raccontato le cose come stavano, non ci sarebbe arrivata neanche con i
sottotitoli.
“Il problema è che Bee non
mi sta dando consigli. Diciamo che sta cercando di capire qualcosa anche lei”.
Sam rise, “Bee senza
parole? Questa mi giunge nuova!”
“Si lo so, giunge nuova
anche a me”, scherzò lui, “Ma comunque il punto è questo: Bee non trova le
parole giuste perché…cioè…insomma il problema è lei”.
Sentì Samantha
tossicchiare, “Cosa vuol dire questo?”
“Sam, potresti anche fare
uno sforzo di immaginazione, ti pare?”, sbuffò Orlando, “Non mi rendi le cose
facili, così!”
“Gib, preferisco non fare
sforzi di immaginazione”, rispose lei, “Preferisco evitare di pensare quello a
cui sto pensando. Perché se quello a cui sto pensando è quello che sta
realmente accadendo, vengo lì e vi prendo a calci nel culo fino al prossimo
mese”.
Orlando rise, “Ok,
accomodati, siamo a El Paso”.
“El Paso??”, gridò lei, “E
cosa state facendo di grazia?”
“Quello a cui stai
pensando”, ribatté lui serenamente.
“Orlando”, tuonò, “Avete
fatto una fuga d’amore di quelle da romanzo rosa?”
“Abbiamo intenzione di
tornare domani”, spiegò lui.
Samantha sospirò ancora,
“Ok, sputa il rospo. Spiegami cosa diavolo sta succedendo”.
Orlando incamerò aria,
“Avrai notato che nelle ultime settimane io e Bee siamo stati un po’ distanti,
si?”
“Mmmh-mmmh”, rispose Sam.
“Ecco, il punto è che ci è
capitata una cosa che non avevamo previsto. Cioè…era prevedibile che potesse
accadere ma non credevamo che…cioè..”
“Orlando potresti tentare
di articolare una frase di senso compiuto, cortesemente?”
“Io e Bee ci frequentiamo
da un po’”.
“Almeno quattordici anni”,
precisò l’altra.
“Non hai capito che volevo
dire”, sbuffò lui.
“Prova a spiegarti,
allora”.
“Io e Bee abbiamo una
relazione sessuale da un po’ di tempo”, precisò lui stizzito.
Silenzio.
Samantha rimase in
silenzio per un minuto buono. Orlando pensò fosse morta.
“Sei viva?”
“Si”, soffiò l’altra, “Ma
per poco. Tu e Bee andate a letto insieme? Da quando? Perché non me l’avete
detto? E perché cazzo stai organizzando un matrimonio con un’altra?”
“Sam frena. E’ una cosa
complicata!”
“Puoi scommetterci”,
ironizzò l’altra.
“E’ successo due anni fa,
la prima volta!”
“DUE ANNI
FA????????????????”, gridò l’altra.
“Non te l’abbiamo detto
perché…non lo so perché Sam. Ci siamo tenuti questa cosa per noi e basta. Non
abbiamo fatto troppi conti. E’ capitato e basta”.
“E’ capitato e basta”,
ripeté Sam sconvolta, “Orlando. Capita che tu non riesca a centrare il water la
mattina, mezzo addormentato mentre fai pipì. Non capita che vai a letto con una
persona che, tra le altre cose, è la tua migliore amica”, puntualizzò Sam.
“Ok, comunque è successo.
E la cosa ha preso una piega inaspettata”, borbottò lui, grattandosi la testa.
“Inaspettata per chi?”,
ridacchiò Sam, “Andiamo fratellino, non dirmi che non avevi mai fatto i conti
con quello che ti lega a Bee. Anche i muri se ne sono accorti. Perché diavolo
credi che ti abbia fatto quella domanda al negozio di abbigliamento?”
Lui non disse nulla, si
limitò a sospirare forte.
“Gibs, devi essere sincero
con me, adesso. Voglio sapere che intenzioni hai”.
“Mi sono innamorato di
lei”, sputò lui, risoluto.
“Bene”, soffiò Sam con
tono soddisfatto.
“Bene. Si. Ok. Va proprio
bene. La amo da quattordici anni e me ne sono innamorato un mese e mezzo fa. Ti
pare normale? A me no”.
“Gib, voi due non avete
nulla di normale. Niente di niente. E se te ne sei innamorato, se sei
innamorato di lei come donna e non come amica, allora sai quello che devi
fare”.
“Lo so”, sbuffò lui, “Ed è
quello che ho tentato di fare tre settimane fa. Ti ricordi il giorno che siete
andate a provare i vestiti per la cerimonia?”
“Ovvio”
“Quella mattina avevo
chiamato Bee per metterla a parte di questa cosa. Ci siamo visti prima che lei
venisse da voi, ma la conversazione non è andata come mi aspettavo”.
“Che intendi?”
“Sam, Bee è…cioè…noi
aspettiamo un bambino”.
Si sentì un tonfo sordo,
seguito da un imprecazione e poi da un altro tonfo.
“Sam?”
“Si, eccomi. Ci sono”,
ansimò lei, “Oh Cristo Gib. Questa è una
cosa…”, sospirò, “Ok, non è una cosa
facile ma è la cosa più meravigliosa che potessi mai
dirmi. Tu e Bee avrete un
bambino? Io diventerò zia?”
Orlando fece una smorfia.
Possibile che tutti avessero quella reazione?
Anche Dom era andato in
brodo di giuggiole quando aveva capito che se Bee era incinta, lui sarebbe
diventato zio.
Incredibile. Lui e Bee
pensavano di doversi subire almeno un’ora di paternale e invece si trovavano a
fare i conti con persone felici di avere un nipote.
Roba da matti.
“Capisci le implicazioni
di tale novità, zia?”, domandò lui
con un tono strano.
“Certo che le capisco. Ma al
momento sono troppo felice di sapere che la mia migliore amica aspetta un
figlio dal mio fratellino che non sposerà la sorellastra di Cenerentola. Cerca
di capirmi!”
“Sam, a tal proposito,
devo chiederti un consiglio”.
“Spara!”
“Ecco, se stasera le cose
vanno come devono andare, domani torneremo a Los Angeles e io vorrei parlare
subito con Miranda”.
“Mi sembra sensato”,
approvò lei.
“Però sono indeciso su
cosa dirle”, ingurgitò aria, “Cioè, mi limito a dirle che non voglio più
sposarla perché non la amo come dovrei oppure le racconto l’intera faccenda,
bambino compreso?”
Samantha sbuffò, “Bee che
dice?”
“Preferirei non
coinvolgerla in questa parte”
“Giusto”, assentì lei,
“Dunque…vediamo…Gib, secondo me le puoi dire che non la ami perché hai scoperto
che c’è qualcuno che conta più di lei. Ti scusi. Chiedi ammenda. Ti cospargi il
capo di cenere e ti offri di pagare tutte le disdette della cerimonia, però del
bambino non glielo direi, fossi in te”
“Lo capirà”, osservò
Orlando, titubante.
“Lascia che lo capisca”,
disse lei in tono conciliante, “Non darle più informazioni di quante non le
servano. Quando sarà il tempo, metterà insieme i pezzi da sola”.
“Grazie Sam”, rispose
Orlando sollevato, “Ti voglio bene!”
“Te ne voglio anch’io Gib.
Però adesso dimmi”, il suo tono si fece più allegro, “Cosa stai combinando a El
Paso?”
Ridendo, Orlando prese a
raccontarle quello che aveva deciso di organizzare.
Per la prima volta in vita
sua, si sentì completamente felice.
Dall’altra parte della
città una ragazza, con un sorriso bagnato di lacrime, stava leggendo i pensieri
dell’unica persona avesse mai amato in vita sua.
Dall’altra parte della
città, in terra, sulla moquette di un albergo qualsiasi, una ragazza stava
sorridendo al mondo, pensando che i sogni sono l’unico vero motore della vita
di chiunque.
Dall’altra parte della
città, una ragazza si carezzava dolcemente la pancia pensando a come a volte,
l’amore, sia strano e inattaccabile.
Dall’altra parte della
città, una ragazza stava sospirando mentre nella mente circuitava una frase.
Un'unica frase.
“Con la tua immagine e
con il tuo amore, tu, benchè assente, mi sei ogni ora presente. Perchè non puoi
allontanarti oltre il confine dei miei pensieri; ed io sono ogni ora con essi,
ed essi con te."
Dall’altra
parte della città, Abaigeal Gallagher stava pensando che, nonostante le
avversità, nonostante i risvegli bruschi, i distacchi, le ferite e il dolore,
c’era qualcosa che si salvava sempre.
Qualcosa
che rimaneva aggrappato alle pareti del cuore come un naufrago alle pareti
della barca. E pensava che quella barca li avrebbe portati in salvo.
Non
solo lo pensava. Lo sapeva.
Perché
quella barca era il loro amore e perché loro non avevano mai mollato la presa.
Io, ragazze mie, non so più che dirvi per rendervi partecipi di
quanto quello che scrivete sia importante per me.
Non so neanche dirvi com’è bello leggere le vostre emozioni su
queste pagine.
Ma una cosa ve la posso dire.
Sono proprio quelle, le vostre emozioni, che rendono concrete le
parole che leggete. Quello che è scritto qui è mio tanto quanto è vostro.
Abaigeal siete voi, ognuna di voi.
E Orlando è di tutte quelle che lo guardano con lo sguardo di
Bee, che è il vostro sguardo. Che è il nostro sguardo.
Perché è così che funziona.
Perché noi funzioniamo così, alla faccia di chi non ci crede. O
di chi ci sbeffeggia. O di chi ci dice di si, salvo poi scuotere la testa
appena ci giriamo.
Vi amo.
E non scherzo.
Dod, tu sei un
urgano di dolcezza e follia. Non sai come sia felice di averti qui, approdata
alla sponda di queste ciliegie. Sei un fenomeno. Sul serio!
E la domanda retorica stavolta te la risparmio…anche se…mmmm…
piaciuto anche questo?
Bebe, grazie
grazie grazie! Spero che gli occhi a cuoricino siano diventati ancora più a
cuoricino (ok, l’ho detto in una lingua sconosciuta ma spero si sia capito!)
Strow, tante
volte penso che le nostre menti respirino all’unisono. E le tue parole…bhè
sorella, mi hai fatto commuovere. E non perché dici sempre quello che vorrei
sentire da qualcuno che stimo e amo, ma per come lo dici e per i momenti in cui
scegli di dirlo. Tu sei paranormale, lascia che te lo dica! E io ti adoro per
questo. E arriverà un giorno in cui, fumando mille sigarette, staremo in
macchina a viaggiare verso il nulla, con la musica in sottofondo e mille
citazioni da sparare alla nuvole. Comincia a diventare ‘necessità’. Sappilo.
PS. Libro acquistato. Appena ho finito, ti faccio sapere!
Klood, tu sei
troppo buona!! Ma sappi che mi fa piacere che la storia ti stia prendendo.
Anzi, ti dirò…mi fa piacere che tu riesca a fotografarla nella tua mente. Quasi
quasi mi piacerebbe vederla con i tuoi occhi! Grazie, Stella. Grazie sul serio.
LadyElizabeth,
il fatto che te la sia letta tutta d’un fiato mi fa saltellare
dalla gioia! E il fatto che tu abbia percepito l’amore di Bee come fosse il tuo
è una delle cose più belle che potessi dirmi! E a questo punto ti auguro che
qualcuno possa fare il viaggio con la playlist anche a te…tuttavia, se c’è
gente che non ha le palle per farlo ti do un consiglio. FALLO TU! E’ tra le
dieci cose che una persona dovrebbe fare nella vita. Parola di Scout.
E adesso, dopo questo, torno a scrivere.
Oggi sono carica…
GRAZIE ANCORA, DONNE!
Non ve lo dico più quanto siate importanti per me.
E grazie anche ai lettori silenti!
VI ADORO
Am
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Capitolo 17 *** Fisrt time ever I... ***
firsttimeever17
FIRST TIME EVER I
“L'amore è bensì una nebbia sollevata con il fumo dei
sospiri e se questa si dissipi è un fuoco che sfavilla negli occhi degli amanti
e se sia contrariato non è che un mare nutrito dalle lacrime di quegli stessi
amanti. E che cos'altro può mai esser l'amore se non una follia molto segreta,
un'amarezza soffocante e una salutare dolcezza”
W. Shakespeare. ‘Romeo & Juliet’
Era buio.
Non fosse stato per quelle
due bizzarre fiaccole poste alla fine del giardino, era completamente buio.
Buio pesto.
Abaigeal strizzò gli occhi
nel vano tentativo di mettere a fuoco quello che la circondava e facendo
attenzione a dove mettere i piedi.
“Flow?”, chiamò.
Nessuna risposta.
Possibile avesse sbagliato
strada? Magari non era quella la casa che Orlando aveva descritto nella sua
cartina.
In fin dei conti che ne
sapeva lei di come si orientavano lì a El Paso.
Sospirò, “Flow?”, chiamò
di nuovo.
Di nuovo silenzio. Un
silenzio pesante. Carico.
Uno di quei silenzi che ti
si piazzano al centro dello stomaco come ad annunciare l’attesa di qualcosa di
grande. Di importante.
Socchiuse gli occhi, e
quando li riaprì un fascio di luce la colpì in faccia.
“The first time ever I saw you face, I tought the sun rose in your eyes”
Abaigeal saltò per lo spavento.
Fissò lo schermo davanti a lei ed una morsa potente le strinse il cuore.
"And the moon and the stars were the gift you gave to the dark and
endless skies, my love. To the dark and the endless skies.”
Le immagini della festa di
compleanno di Orlando li ritraevano insieme. Erano fuori, in terrazza. Le teste
vicine, presi nella conversazione. Orlando le posava una mano sulla spalla,
sorridendole, e lei si tuffava tra il suo collo e la spalla, abbracciandolo.
Poi si voltavano quasi in
sincrono verso la telecamera che li stava riprendendo. Orlando faceva una
smorfia e lei scoppiava a ridere, scuotendo la testa e dicendo qualcosa a Sam
che stava riprendendo.
E poi Orlando l’afferrava
per la vita e se la metteva sulle spalle, trascinandola all’interno del salotto,
dove gli altri li stavano aspettando.
“And the first time ever I kissed you mouth, I felt the heart move in my
hands like the trembling heart of a captive birds, that was there at my
command, my love. That was there at my command, my love”
Adesso c’era un video
girato in Irlanda, probabilmente da Kevin. Loro due che saltellavano per il
giardino, ballando qualche canzone tradizionale Irlandese. Orlando ogni tanto
la prende per mano e la fa girare e lei, dal canto suo, ride e stenta a
rimanere in equilibrio. Finchè Orlando non la trae a se esibendosi in un
perfetto casquet e baciandola a fior di labbra.
Subito dopo c’è un’altra
ripresa. Bee che bacia Orlando sotto il vischio, a casa Bloom, sotto lo sguardo
divertito della famiglia. Poi una foto, scattata al mare, loro due vicinissimi,
con i nasi che si sfiorano e che sorridono. Il loro abbraccio alla premiére di
‘Haven’, in mezzo al red carpet. Un’altra foto ancora, che li ritrae mentre
camminano per strada, abbracciati. Rivolti l’uno verso l’altra, con le mani
piene di sacchetti.
“And the first time ever I lay with you, I felt your heart so close to
mine and I knew our joy would fill the earth and last ‘till the end of time, my
love. And it will last ‘till the end of time, my love”
Abaigeal sentì le lacrime
scenderle lungo le guance.
Ora sullo schermo, c’era
una foto. Grande, in bianco e nero. Una foto che aveva scattato lei dopo una
notte passata con Orlando. Una foto che ritraeva i loro piedi appena fuori le
lenzuola. E poi un video girato da Orlando con il cellulare. Lei che dorme e
lui che si abbassa per baciarle una spalla. Un altro video ancora, questa volta
girato probabilmente da Sam. E sono di nuovo insieme, sdraiati nel giardino di
casa Bloom a guardare il cielo. Finchè Orlando non si alza, l’afferra e la
trascina di corsa verso chissà dove.
Una nuova foto, stavolta
li ritrae abbracciati sulla poltrona del salotto di casa Gallagher. Si
sorridono.
Un video girato da Leah,
mentre veleggiavano nella baia di smeraldo con la barca rossa di Bee. Entrambi
salutano l’obbiettivo, ridendo. Poi Bee salta sulle spalle di Orlando, la barca
dondola pericolosamente e cadono entrambi in acqua.
Ancora foto. Una che li
vede insieme a Parigi, vicino l’arco di trionfo. Sono uno davanti all’altra e
si fanno la linguaccia. Un’altra scattata da Orlando, entrambi al letto che
ridono. Bee con la bocca sporca di cioccolata e Orlando che le mette il
cucchiaino sul naso.
Un’altra ancora, che
ritrae Bee mentre sussurra qualcosa all’orecchio di Orlando mentre lui le studia
con sguardo critico le unghie.
Un video, recente. Alla
cena di beneficenza. Camminano vicini, di spalle guardandosi di tanto in tanto.
Finchè Orlando non le prende la mano e la porta fuori dalla sala.
Abaigeal lasciò andare un
lunghissimo sospirò finché il respiro non le si mozzò in gola.
Orlando stava camminando
verso di lei, con un sorriso felice ad illuminargli il viso ed una mano
allungata nella sua direzione.
Sembrava incarnato nel
buio, uscito per miracolo da quelle foto che ritraevano i loro ricordi.
Istintivamente corse verso
di lui, abbracciandolo forte. Stringendolo. Come a volerlo fondere con se
stessa, come a volergli far capire, con un solo abbraccio, tutto l’amore che si
portava dentro.
Lui la strinse a sua
volta, senza dire nulla. Respirando l’odore dei suoi capelli, socchiudendo
impercettibilmente gli occhi.
“Questa è la più bella
cosa che qualcuno abbia mai fatto per me”, sussurrò Bee, stringendolo ancora.
Orlando ridacchiò, “In
qualche modo dovevo sdebitarmi”.
Abaigeal fece una risatina,
slacciandosi dall’abbraccio. Guardò Orlando, poi lo schermo, poi di nuovo
Orlando.
“Tu sei pazzo”, disse.
“Sono tre giorni che me lo
ripeti”, scherzò lui.
Bee ridacchiò, “Oh mio Dio
Flow! Tutto questo è…non so neanche come definirlo. E’…è…perfetto!”
“In realtà non avremmo
finito…”, mormorò lui, mascherando un sorriso.
Bee alzò un sopracciglio,
mentre lo guardava estrarre un biglietto dalla tasca posteriore dei pantaloni.
Lo afferrò improvvisamente
curiosa, quindi lo aprì per leggerlo.
C’era solo una frase.
“Ora siamo a El Paso”.
Con una smorfia, lo guardò
di traverso.
“Siamo a El Paso, si”,
confermò, senza capire.
“Sai cosa ci facciamo
qui?”, le domandò lui.
Bee scosse la testa, ormai
rassegnata a quel gioco che cominciava assurdamente a divertirla.
“Sai che El Paso era una
città di confine, no? Qui le persone venivano solo a trascorrere qualche giorno
e poi proseguivano verso ovest, alla ricerca della fortuna. O della felicità,
chi può dirlo”.
“La trovavano?”
Lui sorrise, “Chi lo sa.
Ma non è per questo che siamo qui, Bee. Tra tutte le città ho scelto El Paso
per un motivo ben preciso”.
“Sarebbe?”
Lui l’abbracciò, quindi
prese a camminare verso l’ingresso della casa.
“Non so se si tratti solo
di una leggenda o se invece c’è qualcosa di reale, fatto sta che a El Paso la
gente veniva a decidere cosa fare del proprio futuro. Magari erano semplici
cowboy che scendevano dal nord, si fermavano qui stanchi, sfiniti, con i sogni
a brandelli. Bevevano uno scotch e facevano i conti che dovevano fare. Alla
fine, alcuni decidevano di proseguire, altri meno coraggiosi, preferivano
tornare indietro”.
Abaigeal lo ascoltava
affascinata, senza badare troppo al fatto che la stava portando all’interno
dell’abitazione.
“Il fatto è che questo è
il nostro punto di svolta, Bee”, le spiegò, aprendo la porta.
Lei si guardò intorno e
notò un bancone all’interno di quello che, presumibilmente, doveva essere un
salotto. Intuì che, in passato, quello doveva essere stato un bar.
Orlando accese
un’applique, quindi si voltò verso di lei.
“Non starò qui a
prometterti chi sa cosa, Bee. Sai meglio di me quello che ci aspetta al nostro
ritorno”.
Lei annuì gravemente.
“Però posso dirti che per
quello che mi riguarda, sarò un cowboy che non tornerà indietro”, mormorò
serio.
“Sarai uno di quelli che
vanno alla ricerca della felicità, allora?”, domandò lei, con un sorriso.
“Bee, io devo chiederti
scusa”.
“Per cosa?”
Orlando fece un passo per
colmare la distanza che li separava. Le prese una mano e la fissò.
“Per quello che è stato.
Per quello che sarà”.
Abaigeal deglutì a fatica.
“Non capisco, Flow.
Spiegati”.
“Sono stato un coglione.
Ho lasciato trascorrere il tempo senza avere il coraggio di fermare gli eventi
e ti ho trascinata in questo strano vortice che non capisco dove ci porterà,
alla fine”.
“Ci ha portati qui”, disse
lei, conciliante.
“Bee, tu hai idea di
quello che ti ho fatto passare?”
Lei rise, annuendo, “L’ho
passato. Un’idea me la sono fatta anche io, si”.
“Mi hai sempre messo al
primo posto”, proseguì lui, cocciuto, “Anche quando io non facevo lo stesso con
te. Sei sempre rimasta dove sapresti che ti avrei cercata, sei stata la mia
migliore amica, sei stata la mia amante, la mia confidente, quella che mi dava
calci in culo quando ne combinavo una delle mie…eppure mi sembra di non aver
mai veramente capito, Bee. Mi sembra di aver lasciato troppe cose per strada”.
Abaigeal sospirò, senza
smettere di guardarlo negli occhi.
“Flow, ascoltami. Non
tutte le cose che viviamo riusciamo a sentirle completamente. Alcune ci
scoppiano in faccia subito, altre, diversamente, fanno cadere una goccia di
magia nel cuore che nel tempo si allarga, rischiando di avvolgerlo nella sua
marea. Non puoi fartene una colpa. Non per questo”.
“Avrei potuto assecondarla
prima, la marea”, borbottò lui.
“Non funziona mica così,
Flow. Non sei tu che decidi quando seguire la marea, ma è la marea che decide
quando è ora che tu la segua. Anche il destino ha la sua puntualità, non
credere”.
Lui fece una smorfia,
“Credo che noi un paio di fermate le abbiamo perse”.
“Non sono d’accordo”,
obbiettò lei, “Abbiamo preso quello che potevamo prendere, senza starci troppo
a pensare. Siamo stati incoscienti”, ridacchiò, “Ma l’abbiamo fatto alla nostra
maniera. Questo è sufficiente”.
Orlando le prese una mano,
sorridendo impercettibilmente.
“Vorrei poterti evitare
quello che è inevitabile”, sussurrò.
“Di cosa hai paura,
esattamente Flow?”, domandò lei, incuriosita.
Lui sbuffò, “Ho paura che
tu non regga la pressione. Che tutto
quello che devi affrontare un giorno ti sembrerà troppo pesante. Ho paura che
tu decida di mollare”, la guardò con un sorriso tirato, “Contenta?”
Istintivamente Bee si
sporse e lo baciò.
“Flow, se non ci fossi non
sarei neanche in grado di inventarti. Non così!”
Lui fece una smorfia che
la fece ridere.
“Come fai a dire di avere
paura dopo quello che hai organizzato in questi tre giorni?”, chiese lei
stupita, “E come puoi pretendere che io ti creda?”, allargò le braccia, “Tutto
questo, tutte le tappe, i biglietti, le canzoni…questo è frutto della follia,
del coraggio, della voglia di realizzare qualcosa che si vuole…”, lo fissò
negli occhi, “E dell’amore. Questo è anche frutto dell’amore”.
Lui l’abbracciò, “E’
frutto solo di quello Bee”, sussurrò.
Abaigeal si scostò per
guardarlo e vide qualcosa che non aveva mai visto prima. In quello sguardo
scorse qualcosa di così grande che la fece sentire assurdamente protetta.
"Draìochta..." sussurrò lei.
“Tà tù draiochta”, ripose lui, sorridendo.
“Agùs tu”.
Orlando ridacchiò, “Stiamo diventando melensi”
“Direi di si”, sorrise lei.
“Bee, ci siamo”
"Uhm?”
“Devo chiedertelo”, spiegò lui.
“Chiedermi cosa?”
Orlando le fece l’occhiolino, quindi camminò verso lo stereo.
“Mi ero preparato un gran
discorso. Uno di quelli da film che farebbero impallidire qualsiasi donna nel
raggio di settecento miglia”, si grattò il pizzetto, facendo una smorfia, “Però
sono…sopraffatto. Ecco, si.
Emozionato. Perciò non ricordo neanche mezza frase”, ridacchiò, “Lo prendi come
viene?”
Abaigeal si mise seduta
per terra, annuendo divertita.
“Io vorrei dirti che sarò
in grado di regalarti follie come queste ogni giorno”, attaccò lui, “E mi
piacerebbe prometterti che ogni sogno diventerà realtà”, sospirò, “Ma per
quanto potrò sforzarmi, qualche cosa non andrà come vorremmo noi, e dovremmo
comunque farci i conti”.
Bee gli sorrise,
invitandolo a proseguire con un cenno della mano.
“Non ti prometto troppo
Bee, quello che di grande potevo prometterti te l’ho promesso in questi anni”,
le spiegò, “Ma ti posso promettere le cose semplici. Quelle immediate. Tipo…che
so, che ti porterò la colazione a letto la domenica mattina. Che scriverò sul
muro dell’ingresso di casa ‘Have you ever seen the rain’ per non dimenticarti
mai delle lacrime che hai versato e per ricordarti che non ne verserai più.
Posso prometterti che ti porterò sempre al mare e che porteremo i bambini a
Disneyworld a giocare con Peter Pan. E posso prometterti che una cosa non
cambierà mai”, la guardò con intenzione, “E sai di cosa sto parlando”.
Lei si sforzò di
sorridere, combattendo contro l’istinto di piangere di gioia.
“Però tu, Bee, devi
promettere che sarai sempre la mia Bee”.
Abaigeal tossicchiò,
sorrise, quindi si toccò i capelli imbarazzata. Improvvisamente, aveva il cuore
che scoppiava e la mente gloriosamente vuota.
Sospirò ancora.
“Ne dubiti?”
Orlando non rispose,
invitandola a proseguire con il silenzio.
“Io ti amo”, disse lei con
la voce che tremava, “E questa è una delle cose che sai e che non cambierà mai.
Neanche se cambierò io, ricordalo. Diventerò grassa, isterica, andrò in
menopausa, mi tingerò i capelli, metterò la crema per le rughe ma continuerò ad
amarti. Nella stessa identica maniera in cui ti amavo dieci anni fa. Nella
maniera in cui ti amo adesso”, si alzò in piedi raggiungendolo, “E possiamo
rimanere qui, spaventati, a temere quello che ci aspetta domani, oppure
possiamo saltare in macchina e affrontare il nostro destino”, gli sorrise, “E
non me ne frega niente se la gente dirà quello che vuole dire. Non m’importa
delle critiche e delle accuse. E non mi importa perché quello che sento non
cambia. Neanche se qualcuno si sforzerà di farlo cambiare. Questo posso
promettertelo Flow”.
“Speravo lo dicessi”,
sorrise lui, più rilassato.
Abaigeal lo guardò
stupita, “Sto leggendo bene tra le righe?”
“Che leggi?”, s’informò
lui, divertito.
“Tu avevi paura che io
avrei ritrattato?”, chiese sconvolta.
Orlando si strinse nelle
spalle, “Un po’!”
Abaigeal scoppiò a ridere,
“Sei serio mentre pronunci tali, dissacranti parole?”
“Serissimo!”
“E da quando in qua, tu
hai dubbi sul mio amore?”
“Da quando mi sono
innamorato di te”, spiegò lui, senza fare una piega.
“Non ti seguo”.
Orlando sospirò, “Ti amavo
da amica, Bee”, cominciò, “E ti amavo molto. Poi ti ho amato da amante ma ti
amavo…cioè…era semplicemente un estensione dell’amore di prima, capisci? Poi
una mattina mi sono svegliato, ti ho vista che dormivi e mi sono detto ‘questo
è quello che vorrò vedere ogni mattina, fino alla fine’. Dom sostiene che il
formicolio allo stomaco accompagnato da un pensiero come questo sono sinonimo
di una sola cosa”, le sorrise, “E sono d’accordo. Ti amo da quattordici anni e
mi sono innamorato di te due mesi fa. Questo è quanto”.
Bee sorrise intenerita.
“Due mesi fa?”
Orlando annuì.
“Magari è stato proprio il
giorno che abbiamo concepito lui”.
“E’ molto probabile”,
pronunciò deciso.
“Io mi sono innamorata di
te molto prima”, disse lei, facendo due conti mentali, “Probabilmente la notte
della gita in barca”.
Orlando l’abbracciò, baciandole
la testa, “Alla fine sono arrivato anche io”
Lei rise, “Non sei famoso
per il tuo tempismo”, lo prese in giro.
Lui fece una smorfia,
“Trovi?”
“Trovo”.
Si mise in ginocchio,
prese l’elastico rosso con cui aveva legato i capelli e glielo infilò al dito,
“Che ne dici?”
Lei scoppiò a ridere,
“Dico che al momento avresti troppi matrimoni da organizzare!”
Orlando scosse la testa,
fulminandola con lo sguardo, “Che ne dici?”, insistette.
Bee si abbassò per
guardarlo in faccia, quindi lo bacio lentamente.
“Dico che si può fare”.
Orlando ricambiò il bacio,
“E’ quello che dico anche io”, sussurrò.
La baciò ancora, quindi si
alzò in piedi e accese lo stereo.
“Posso chiederle di
ballare con me?”, disse esibendosi in un perfetto inchino.
Abaigeal lo abbracciò e presero
a dondolare sulle note di una nuova canzone.
“Da oggi in poi, questa
sarà la tua canzone”, mormorò lui.
Bee si concentrò sulle
parole.
“This is the first day of my life, swear I was born right in the
doorway. I went out in the rain suddenly everything changed they're spreadin'
blankets on the beach. Yours is the first face that I saw, think I was blind
before I met you. I don't know where I am, I don't know where I've been but I
know where I want to go”
Lei sorrise, stringendolo
ancora un po’.
Stava conoscendo una parte
di lui che aveva sempre visto, ma che fino ad allora, non aveva mai conosciuto
in prima persona. E quello che stava guardando, quello che stava sentendo, la
convinse che la strada non era sbagliata. Che quando le emozioni sono così grandi,
così vive, così ben radicate alla base della vita, niente riesce a smuoverle.
Neanche i venti più forti.
“I remember the time you drove all night, just to meet me in the
morning. And I thought it was strange, You said everything changed, You felt as
if you'd just woke up. And you said,this is the first day of my life, glad I
didn't die before I met you. But now I don't care I could go anywhere with you,
and I'd probably be happy”
“L’hai fatta scrivere per
l’occasione?”, scherzò lei, strofinandosi contro il suo collo.
“Ho notato che sono molte
le canzoni che parlano di noi”, ripose lui, carezzandole i capelli.
“Perché siamo ordinari?”
Orlando scosse la testa,
“No. Perché siamo straordinari”.
Bee lo baciò di slancio
sulla guancia, “E vuoi sapere anche perché? Perché proviamo così tante cose che
in una canzone sola non ci starebbero!”
“So if you wanna be with me,with these things
there's no telling We'll just have to wait and see. But I'd rather be working
for a paycheck , than waiting to win the lottery. Besides maybe this time it's
different, I mean I really think you'll like me...”
E nonostante
tutto, quello che contava in quel momento era una cosa. Una sola cosa.
Esserci.
Con il cuore,
con l’anima e con la testa.
Fregarsene
della corrente contraria, delle intemperie, degli ostacoli e delle parole
superflue. Lasciare che il ritmo del mondo segua il suo corso e poi, con
caparbietà, regolarne uno tutto nostro, sull’onda delle nostre emozioni e dei
nostri sentimenti. Consapevoli che questo è l’unico modo consentito per
salvarsi davvero.
Bee guardò
Orlando, sorridendogli.
“Tà mè chomh mòr, à muìrnin”
“Tà
mè chomh mòr, sùile gorma”, ripose lui, baciandola.
ECCOCI!!!
Questo capitolo,
lasciate che ve lo dica, è stato un parto.
Vero e proprio.
Sarà che ho poco tempo a
disposizione, sarà che le idee sono tante ed è difficile scegliere ma… pfiù, ho
sputato sangue.
Spero apprezziate!
E come avete visto, è
tornato anche un po’ di gaelico! Ecco la traduzione:
Draíochta: è magico.
Tà tù draiochta: tu sei magica.
Agùs tu: anche tu!
Non sapete come sono
felice di vedere che la storia vi stia prendendo così tanto…avessi tempo,
saremmo arrivate a 60 capitoli, tanta è la voglia che mi date di raccontarvi di
loro due.
Siete…mha…non so se
esiste una parola per definire la meraviglia che vi portate dentro.
Dod, sto ringraziando un Santo a caso per aver fatto di te una persona a
modino…anche perché l’ano di una mucca non è un posto così accogliente,
suppongo!!! Comunque, Gioia, non ti chiedo più niente, ma ti ringrazio col
cuore in mano. Mi spiace di aver aggiornato in ritardo, ma spero di essermi
fatta perdonare. E per la cronaca, sto già lavorando al successivo!
Grazie…grazie davvero.
Klood, eccoti accontentata! Orlando è diventato il principe azzurro per un
capitolo. Che lo sia sempre, non glielo diciamo però, sennò si monta la testa!!
Grazie, bella!!
Bebe carissima! Qui sono stata meno scorretta, ammettilo!!! Anche
se…insomma, come direbbe Corrado (pace all’anima sua) ‘e non finisce qui…’ *Si, lo so, sono sadica. Picchiatemi!!!*
Roxy, un ringraziamento speciale a te!Non sai che gioia è stata questa
recensione! Mi lusinga che tu mi abbia seguito dall’inizio e sono ancora più
contenta di sapere che adori anche Bee. Ci tengo molto a quella pazza, quindi
sappi che adesso ti adoro!!! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto…e
cerco di rassicurarti: per la fine manca ancora un po’!!!!
Star, prenditi questo nuovo capitolo come un piccolo pensiero per dirti che
ti sono vicina…
Liz, qui sono io che ringrazio te per le belle parole che mi hai lasciato. E
non sai quanto mi fa piacere sapere che questa storia ti dia un po’ di
speranza. E’ il complimento più bello che mi potessi fare! Grazie, tesoro! Sul
serio!
Strow, sappi che tutte queste parole che scrivo, nascono anche da quello che
mi lega a te. Sei la mia stella, tesoro. E, per la cronaca, sto cercando un
posto dove si balli la giga irlandese!!!
Grazie di esistere!!!!
Summer!! Prima di tutto, com’è andato l’esame?? Spero che Bee e Orlando ti
abbiano portato un po’ di fortuna!!! Che dirti? GRAZIE. Perché saltelli, perché
le tue parole mi emozionano e imbarazzano e perché mi hai dato una chance!
Grazie veramente! Mi auguro che anche il nuovo ‘parto’ sia stato all’altezza!!
Donne!
Vi amo, lo sapete!
E ora mi metto a
lavorare al capitolo successivo!
GRAZIE!
Am
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Capitolo 18 *** The promise ***
thepromis18
THE PROMISE
If you
can make a promise If it's one that you can keep,
I vow to
come for you
If you wait for me and say you'll hold
A place for me in your heart.
T. Chapman ‘The promise’
L’attesa.
Che strano, stupefacente
animale.
Se ne sta lì, immobile a
fissarti, piantandoti quegli occhi scuri di non consapevolezza addosso, facendo
quasi paura.
Bee sospirò, socchiudendo
brevemente gli occhi.
Erano passate già due ore,
eppure le sembravano appena pochi minuti. Una manciata di attimi che non
potevano certamente, cambiare quel bizzarro stato d’animo.
Due ore, come dire, un
sospiro.
Un sospiro lungo e
sofferente, annegato nell’amore e nella paura di vedersi sfilare dalle mani
quel diamante che, dopo tanto lottare, aveva finalmente conquistato.
Poteva accadere?
Dopo tutto quello che era
successo, poteva davvero perderlo?
Perderlo per sempre?
Sbuffò, quindi si passò
una mano sugli occhi.
Eppure sapeva, dentro di
se, che niente avrebbe potuto spezzare quello che la univa ad Orlando. Non
c’erano riusciti quindici anni di negazione, poteva riuscirci una donna
qualsiasi, pescata nel marasma del mondo?
Ma sapeva che Miranda non
era una qualsiasi. Sapeva che lei, in un modo o nell’altro, aveva contato per
lui.
Sapeva, altresì, che lo
amava. Di un amore strano e incomprensibile, ma sempre amore era.
E allora, si disse, chi è
che decide qual è l’amore che deve vincere?
Qual è l’amore che deve
prevalere su un altro?
Si girò sul letto,
incapace di stare ferma.
Tutti si riempivano la
bocca di belle parole, quando si parlava d’amore, ma nessuno aveva mai spiegato
qual è l’amore che vince.
Omnia vincit amor, giusto?
E lei amava Orlando.
Quindi il suo amore doveva
essere salvo.
Ma anche Miranda amava
Orlando.
Dunque?
Era saggio credere nel
profondo dell’anima che il suo amore, e non un altro, avrebbe avuto la meglio?
Sospirando si mise seduta,
sbirciando fuori dalla finestra.
Il sole stava calando,
un’altra notte si stava facendo largo tra le pieghe di un mondo che,
inconsapevolmente, avrebbe potuto assumere mille colori e mille direzioni
diverse.
Un mondo sospeso, dove
qualunque cosa poteva succedere da un momento all’altro.
Lo stesso mondo che fino
alla notte prima, non le era mai sembrato così bello, così vivo, così pieno di
colori….
Si alzò dal letto,
camminando lentamente verso il salotto.
Rimase in silenzio a
fissare il telefono muto, finché una foto non catturò la sua attenzione.
Lei e Orlando.
Orlando e lei.
Due anime che si erano
incontrate e che avevano resistito alle intemperie del mondo. Due anime che avevano
resistito anche ai propri dubbi.
Sorrise, istintivamente.
Questo, in qualsiasi mondo
esistente o fantastico, doveva pur significare qualcosa.
Orlando guardò Miranda
sorseggiare lentamente dal bicchiere la sua acqua.
Non sembrava
particolarmente stupita da quanto le aveva detto, anzi, sembrava semplicemente
infastidita.
Quel particolare così
stonato, gli provocò un brivido lungo la schiena.
“Cosa conti di fare?”, gli
domandò lei, senza alzare gli occhi dal bicchiere.
“Lo sai cosa conto di
fare”, rispose lui, fissandola.
“Mi lasci, dunque”,
ridacchiò. E ad Orlando sembrò un suono decisamente inappropriato alla
situazione, “Mi lasci a venti giorni dal matrimonio”, alzò lo sguardo,
fissandolo in quello di lui, “Un matrimonio che volevi più te di me”.
“Mi dispiace”, soffiò,
“Non volevo arrivare a questo punto. Spero che tu lo capisca”.
Lei scosse la testa, “Non
te la cavi così a buon mercato”, sputò.
“Cioè?”
Miranda si alzò e prese a
camminare lentamente per la stanza, “Hai idea di quello che la gente riuscirà a
dire sul mio conto? Hai idea delle chiacchiere? Delle supposizioni? Sarò la
cornuta d’America”.
Lui si massaggiò una
tempia, improvvisamente esausto.
“Per quel che vale,
cercherò di evitarti pubblicità negativa”.
Lei rise ironica, “E come?
Come pensi di riuscirci?”
Repentinamente, l’umore di
Orlando mutò. Gli occhi si strinsero in due fessure, il sangue prese a girargli
vorticosamente nelle vene.
“Miranda, ascoltami bene.
Saranno momenti brutti per tutti, non lo metto in dubbio. E mi dispiace di aver
trascinato questa cosa fino ad oggi, mi spiace di non averlo capito prima. Ma
non posso preoccuparmi di tutti i pensieri che faranno i giornalisti o i
semplici fans. Posso solo assicurarti che, per quanto potrò, cercherò di
tutelarti”.
“Non dire stronzate,
Orlando. Appena varcherai quella soglia, ti dimenticherai di me all’istante”.
Lui sospirò profondamente,
“Questo non è vero e lo sai anche tu”.
“Dici?”, Miranda fece una
smorfia, “E dovrei crederti? Ti sei dimenticato di me mentre eravamo insieme,
come pensi che farai a ricordartene dopo avermi lasciata?”
“Preferisci che rimanga
qui pur sapendo che amo un’altra donna?”
Lei rise di nuovo,
“Chiamala col suo nome. Dì pure Abaigeal”, sillabò con odio quel nome, “La
stessa Abaigeal che avrebbe dovuto fare da damigella al nostro matrimonio”.
“Si la stessa”, confermò
lui, innervosito, “Esattamente quella”.
“Potresti continuare a
vederla”, mormorò lei.
“Cosa??”, domandò Orlando
allibito.
“Potremmo sposarci lo
stesso e tu potresti continuare a vederla. Manteniamo in piedi la storia del
matrimonio per un anno e poi potrai fare come meglio credi”.
“Stai scherzando?”,
domandò lui sconvolto.
Lei lo fissò con rancore,
“No”.
“Scordatelo”.
“Perché? Ne usciremmo
entrambi puliti”, osservò lei.
Orlando si alzò di scatto
dalla sedia, camminando verso di lei, “Che cosa cazzo stai dicendo Mir? Ti
ascolti quando parli? Vuoi sposarmi per non essere al centro delle chiacchiere?
Oppure proprio perché non vuoi rinunciare alla notorietà che deriverebbe da un
matrimonio con me?”
Improvvisamente, tutto gli
sembrò dolorosamente chiaro. Perché non l’aveva capito prima?
“Voglio solo evitarci un
tracollo”, spiegò lei, indietreggiando, “Questa storia non farà bene né a te né
a me”.
Lui scosse la testa
contrariato, “Questa storia mi fa bene,
Mir. Te lo assicuro. E sono disposto a gettarmi in una piscina piena di squali
pur di avere quello che voglio”.
Lei lo fissò con
disprezzo, “Anche io”.
“Cosa intendi?”
“Che non ti mollo”.
Lui la fissò senza capire,
“Ti sto mollando io, infatti. Non ti amo più, non posso trascorrere il mio
tempo con te pensando costantemente ad un’altra persona. Non posso farle
questo”.
“A lei?”
“Neanche a te”, incamerò
aria, “E neanche a me. Non sarebbe giusto nei confronti di nessuno”.
Miranda annuì decisa,
senza nemmeno un cedimento nell’espressione del volto. Orlando la osservò con
attenzione, domandandosi dove fosse finito quell’amore che tante volte gli
aveva dichiarato.
“Penso io a dare
l’annuncio stampa. Cercherò di tutelarti il più possibile”.
Lei non disse nulla, si
limitò a guardarsi la punta delle scarpe.
“Mi dispiace”, mormorò,
prendendo la giacca.
Lei annuì, quindi si
sforzò di sorridergli.
“Buona fortuna”.
Lui le sorrise, quindi,
dopo averle baciato una guancia s’incamminò verso la porta d’ingresso.
Miranda lo guardò uscire,
quindi scosse la testa pensando, tra sé e sé, che non sarebbe neanche riuscita
a piangere. Ma avrebbe potuto fare qualcos’altro.
Bee spense il televisore,
piombando nuovamente nel buio.
Un buio che, stranamente,
le sembrava quasi rassicurante. Silente. Fermo. Immoto.
Un buio nel quale si
sentiva protetta. Dove tutto quello che provava era al sicuro, chiuso negli
angoli e impossibilitato ad uscire.
Chi vince? Si domandò per
l’ennesima volta.
Quale amore vince?
Non aveva smesso di
chiederselo in quelle ore. Neanche per un momento.
Chi avrebbe vinto? Quale
amore sarebbe stato più forte?
Sentì la serratura
dell’appartamento scattare, quindi si voltò immediatamente.
Lo vide in piedi sulla
porta, la guardava sorridendo.
“Ehy”, sussurrò appena.
Senza neanche pensarci,
scattò in piedi, raggiungendolo con passi veloci. Orlando l’abbracciò,
baciandola sulla testa, stringendola forte, sorridendo tranquillo.
“Com’è andata?”, mormorò
lei, senza staccarsi di un millimetro. Mai, come in quel momento, aveva la
necessità di sentirlo tra le sue braccia. Di sentirlo suo.
“Sono qui”, disse lui,
semplicemente.
E Bee annuì, sorridendo
impercettibilmente.
Non servivano altre
parole, non servivano i dettagli né i racconti.
Serviva solo la sua
presenza. Serviva solo essere insieme. Di nuovo insieme. Ancora insieme. Sempre
insieme. A qualunque costo.
Alzò la testa per
permettersi di guardarlo in viso. E come un’esplosione violenta, la mente le
rimandò tutte le immagini degli ultimi giorni che avevano trascorso insieme. Le
canzoni, le parole, le lettere, le citazioni. Gli umori, i timori, i dubbi
e…l’amore.
Tutto quell’amore…che sembrava
davvero troppo per essere in grado di tenerlo tutto tra le mani.
Gli sorrise, quindi si
sporse a baciarlo.
Orlando ricambiò
lentamente, teneramente, guidandola con dolcezza verso la camera da letto.
Bisognoso di sentirla sua, bisognoso di navigare nelle acque calme di
quell’amore che adesso sembrava l’unica cosa reale in quel mondo bizzarro.
Inciamparono sullo stipite
della porta e Bee scoppiò a ridere.
Lui la guardò e pensò che
fosse la cosa più bella che aveva mai visto. Sentire qualcuno che ami mentre
ride, equivale a mettere la melodia ai pensieri che accompagnano la sua
immagine.
“Ti ho fatto male?”, le
domandò, parlandole sulle labbra.
Lei scosse la testa senza
rispondergli, spingendolo sul letto e saltandogli letteralmente sopra.
Orlando ridacchiò, “Calma,
gringo!”
Lei, per tutta risposta,
gli morse un labbro, sorridendo, “Ho voglia di te”, mugolò.
Con un agile scatto di
fianchi, Orlando la ribaltò sulla schiena, sovrastandola.
“Ti amo”, disse solo,
mentre le alzava il bordo della camicia da notte che indossava.
Bee socchiuse gli occhi,
sospirando a quel tocco che conosceva così bene e di cui non era mai sazia.
Orlando si tolse quello
che restava della sua biancheria, quindi entrò in lei lentamente, senza
smettere di fissarla negli occhi.
E ad ogni dolce spinta le
sussurrava un ‘ti amo’, baciandole gli occhi, le tempie, le mani, i
polpastrelli, i polsi, le guance, le labbra…esplorando quel corpo che conosceva
ormai così bene, centimetro dopo centimetro. Emozionandosi nel vederla
sorridere, sospirare, stringerlo forte tra le sue braccia.
La sua resistenza non durò
a lungo, ma non se ne preoccupò.
Per la prima volta da che
era con lei, si rese conto che avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per dimostrarle
quanto l’amava.
Erano stesi nel letto, la
finestra spalancata per permettere alla dolce brezza californiana di avvolgerli
tra le sue braccia.
Bee mise il viso
nell’incavo del suo collo, sospirando.
“Sono una stupida”,
mormorò.
Orlando si voltò a
guardarla, “Perché?”
Lei fece una buffa
smorfia, imbarazzata per quello che stava per dire, “Avevo paura di perderti”.
Lui le sorrise, quindi le
baciò la punta del naso, “Non è possibile”.
Finalmente anche Bee
sorrise, baciandolo a sua volta, “Adesso lo so”, mormorò.
“Bee mi fai una
promessa?”, domandò lui, d’un tratto.
Lei annuì, sistemandosi
per guardarlo meglio in viso.
“Prometti che ti
ricorderai sempre questa notte?”
Senza capire lei sbatté
gli occhi, “Perché?”
“Perché stanotte è
l’inizio di sempre. E’ la ricompensa per aver perseverato negli anni…per aver
sempre creduto in noi. Per aver dato all’amore la possibilità di farsi largo,
di farsi vero”.
Lei sorrise, “Prometti una
cosa anche tu?”
Orlando annuì.
“Prometti che considererai
questa notte come un patto che lega due anime, sciogliendo tutti i legami del
passato. Come se fosse una sorta di celebrazione di tutte le scelte che abbiamo
preso e di tutte le sfide che queste scelte comporteranno. Prometti che saremo
sempre in due, perché in due siamo più forti. Perché insieme siamo una squadra,
e solo insieme saremo in grado di resistere alle tempeste del mondo, là fuori.
Prometti che stasera è si, l’inizio di sempre, ma è solo una semplice formalità
per il mondo là fuori. Un annuncio nuovo per loro, ma antico per noi. Prometti
che stasera la ricorderai come il momento in cui entrambi, pur con tutti i
timori del mondo, abbiamo mantenuto le promesse che ci siamo fatti secoli fa,
nel segreto dei nostri cuori”.
Orlando la baciò a fior di
labbra, “Promesso”, sussurrò.
“Promesso”, sussurrò lei,
di rimando.
E in quel momento capì che
era stata una sciocca a domandarsi quale amore avrebbe vinto.
Perchè il loro non era un solo
amore.
Erano due tipi d’amore
perfetto che, perfettamente, s’incastravano nel puzzle del mondo.
E un amore così, non poteva non vincere.
RIECCOCI!!!!!
Ragà, io sono
scontata come i prodotti alla Coop, me ne rendo conto, ma voi siete ME RA VI
GLIO SE!!! E se potessi vi manderei un dat con la mia voce che continua a
ripetervi “grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie”.
Grazie per il
vostro entusiasmo, per esserci sempre, perché mi capite e perché amate quello
che scrivo! Posso solo regalarvi queste parole. Una per una. Tutte per voi…che
non c’è nessuno che se le merita tanto quanto voi!
BEBE: Eh si,
tesoro! Il vespaio c’è, si intravede ma… com’è che dice Bee all’inizio?? OMNIA
VINCIT AMOR!!
LIZ:
ehehe…per fortuna ho scampato il pestaggio!!! Comunque sono veramente
emozionata per quello che hai scritto…sono davvero davvero contenta! Grazie
tesoro! Di tutto!!
DOD…tu non
hai parole per me, ma io non ho parole per te!! Sei qualcosa di assolutamente
eccezionale! Davvero! E non sai che gioia è stata per me, incontrarti in mezzo
a queste ciliegie! GRAZIE TESORO!
NIAHM: La tua
polpetta ha imparato tutti i virtuosismi di ‘Girls just wanna have fan’…adesso
manchi solo tu. Il karaoke è già pronto e il pubblico esultante!
Quella canzone…un giorno la canteremo. Però
non al karaoke. Parola di scout! Ti adoro tesoro mio!
NAR: Grazie!!
Sono contenta che tu mi abbia seguito e sono ancora più contenta che, alla
fine, abbia deciso di lasciare un impronta! Grazie! Spero che anche questo
capitolo ti sia piaciuto!!
SUMMER: Non
smetto. Promesso! Croce sul cuore! Anche solo per farti sorridere, prometto di
dare sempre il meglio!! Grazie, Gioia!
ROXY: Sono
tornata abbastanza presto??? Spero di si! E spero che questo nuovo capitolo sia
riuscito ad emozionarti come gli altri! Grazie per le tue parole, sono davvero
importanti per me!!!
KLOOD: che ne
dici?? Il fronte Miranda pare sistemato no?? Ti mando un bacio grande, Stella.
E grazie di passare sempre da qui! Sul serio!
E voglio
ringraziare anche
1 - Alessiuccia
2 - anemone333
3 - aya chan
4 - birri
5 - doddola93
6 - evol
7 - Ithil
8 - kiki91
9 - Lady_Eowyn
10 - miky 483
11 - sara chan 92
12 - Star Petal
13 - strowberry_sin
14 - summer89
Che mi hanno
messo tra le storie preferite.
E anche tutte
le ragazze che leggono e anche quelle che mi scrivono in privato!
GRAZIE GRAZIE
GRAZIE!!!
Adesso,
siccome sono stata ripetitiva come il pling-pling della goccia che cade
impertinente dal lavandino della cucina, vi lascio. E vi ringrazio un’altra
volta. E vi dico che vi voglio bene…siete strepitose, donne. Ricordatevelo.
Però…mmm…siccome
la laurea è imminente, il prossimo capitolo potrebbe tardare. Ci sto lavorando
adesso, cosicchè magari riesco a postarlo presto ma sono puntigliosa. Sta storia
va plasmata a dovere! Perciò vi prego di perdonarmi in anticipo!!
Vi abbraccio
tutte!!
Amederla sorridere,
sopspirare
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Capitolo 19 *** Everything in its right place ***
Everything 19
EVERYTHING IN ITS
RIGHT PLACE
I nostri sogni e desideri cambiano
il mondo.
(Karl Popper)
“Dov’è?”
Orlando si precipitò nella
sala d’attesa del reparto, saettando con lo sguardo a destra e sinistra.
“Gib calmati”, le
consigliò Sam, “E’ tutto sotto controllo”.
Un grido spezzò quel
silenzio carico di aspettativa ed Orlando si fiondò verso il corridoio alla sua
sinistra.
“Signore, dove crede di
andare?”, le domandò un’infermeria.
“Mio figlio sta partorendo
mia moglie”, buttò lì, agitatissimo.
L’infermiera ridacchiò,
“Davvero?”
Lui annuì, scrutando con
lo sguardo le porte chiuse intorno a lui.
L’infermiera sorrise,
“Qual è il nome di suo figlio che sta partorendo sua moglie?”
Orlando la guardò senza
capire, “Eh?”
La donna si strinse nelle
spalle, “Me lo ha detto lei”, ridacchiò ancora, “Qual è il nome di sua moglie?”
“Bee”, rispose lui senza
pensarci.
La donna si armò di
pazienza. Era chiaro che quel ragazzo stava vivendo una crisi di panico. Puro
panico. “Il cognome?”
“Bloom”, ci pensò, “No,
forse è Gallagher. Non siamo ancora sposati legalmente”, farfugliò.
“Ah si”, annuì la donna
con un sorrisone, “Abaigeal! La scrittrice! Venga, l’accompagno!”
Un nuovo grido. Stavolta
carico di sofferenza.
“Come sta?”, s’informò
incedendo lungo il corridoio.
“La stava attendendo”,
spiegò, “E nel frattempo sta cercando di convincere vostro figlio ad
aspettare”, sorrise, quindi abbassò la maniglia di una porta.
Ed Orlando la vide così.
Sdraiata sul lettino, le gambe divaricate, il viso sudato e i capelli che le
ricadevano davanti al viso.
Nonostante tutto, pensò di
non aver visto niente di più puro. E bello.
“Flow”, sospirò lei,
stringendo i denti.
Lui si avvicinò,
prendendole una mano.
“Sono qui. Scusa per il
ritardo”.
Una nuova fitta le provocò
una smorfia di dolore, “Non sei famoso per il tuo tempismo, dopotutto, no?”
Lui le sorrise, “Come va?”
“Dannatamente male. Sto
per morire. Tra un secondo girerò la testa a 360 gradi e comincerò a vomitare
bile verde, come nell’Esorcista”.
Suo malgrado, Orlando
ridacchiò, “Andrà tutto bene”, cercò di rassicurarla.
Lei lo guardò di traverso,
“Flow devo ricordarti quello che è successo quando hai detto così l’ultima
volta?”.
Lui nascose una smorfia di
fastidio. Sfortunatamente, lo ricordava anche troppo bene.
“Pronta?”
Bee si fissò l’enorme pancione avvolto dal lungo
abito prugna, quindi lasciò andare un lungo sospiro.
“Secondo me, hai avuto un’idea di merda”, borbottò,
visibilmente in apprensione.
Orlando ridacchiò, sistemandogli una ciocca di
capelli che le era ricaduta sugli occhi.
“Bee, prima o poi avremmo dovuto farlo comunque”.
Lei si voltò, guardandolo con una buffa smorfia,
“Non potevamo aspettare il poi? Dobbiamo per forza farlo prima?”
“Andrà tutto bene”, tentò di rassicurarla lui.
“Come no, ne sono sicura”.
“Dovresti esserlo”
“E tu dovresti cambiare religione. Questa calma zen
mi innervosisce”.
Orlando si sporse e la baciò sulla fronte, “Bee
tanto ormai è di dominio pubblico”.
“Come se non lo sapessi”, brontolò, “Ma sono stufa
di dovermi difendere dagli attacchi di quelli là. Sono stufa. E grassa. E
incinta”, si guardò nuovamente il pancione, “Molto incinta. Dovrei rimanermene
a casa, invece che andare in giro per le premiére”.
La limo rallentò, fermandosi a poche centinaia di
metri dal Mann Village Theater, il teatro dove si sarebbe svolta la prima del
nuovo film di Orlando. Bee sussultò, strappandogli una risatina.
“Bee calmati”, le consigliò ridacchiando.
“Flow agitati”, le consigliò lei di rimando.
Lui scosse la testa, suo malgrado divertito.
“Devo parlare con Sam”, disse lei, agitata, “Dammi
il cellulare. Devo parlarci. Sto iperventilando”.
Orlando fece una smorfia, “Non ce l’ho il
cellulare”.
“Come sarebbe a dire?”
Lui si strinse nelle mani, “Tu sei qui, chi dovrei
chiamare?”
Bee sbuffò, indispettita, “E se succedesse qualcosa?”,
domandò.
Orlando alzò un sopracciglio.
“Non fare quella faccia. Se mi si rompessero le
acque che facciamo? Ci mettiamo a strillare ‘ambulanzaaaa’ con la speranza che
ci sentano dal Cedars-Sinai?”
Orlando le afferrò entrambe le mani, guardandola con
dolcezza, “Bee, è tutto ok, va bene? Andrà tutto bene, fidati”.
La limo si fermò esattamente davanti al red carpet
e il cuore di Bee cominciò a battere impazzito.
“Non ce la faccio”.
Orlando attese che aprissero lo sportello da fuori
quindi sorrise, “Ce la fai. Ci sono io”.
Bee lo vide scendere e contemporaneamente sentì le
grida delle fan. Adocchiò la mano che lui le stava offrendo quindi, dopo un
lungo istante l’afferrò e si decise a scendere.
Ed una scarica di flash e voci la stordì.
“Flow, ti stai ancora
torturando per quella storia?”
Lui le carezzò la testa,
“Non doveva succedere”
“Ma è successo”, precisò
lei lasciandosi cadere tra i cuscini.
“Avrei dovuto fare
qualcosa”.
Malgrado il dolore sempre
più forte delle doglie, Bee scoppiò a ridere. Di gusto.
“Più di quanto tu non
abbia fatto?”
Lui sbirciò l’infermiera
che trafficava con qualcosa che somigliava vagamente ad un forcipe, rabbrividì
e tornò a guardare Bee.
“E che cosa ho fatto? Ti
ho lasciata sola quando avrei dovuto stare con te”.
Lei sbuffò, “Dannato
cocciuto”, borbottò. “Devo ricordarti quello che è successo? Le fantastiche
parole che hai detto?”
“ORLANDOOOO”
“ORLANDO DA QUESTA PARTE”
“ORLANDO UNA FOTO, PER FAVORE”.
Bee si girò da una parte all’altra cercando di
identificare da dove provenissero quelle voci. Invano. I flash l’accecavano.
“Ma questo è un delirio!”, borbottò stringendosi al
braccio di Orlando.
“Non è la tua prima premiére, dopotutto”, constatò
lui, “Dovresti saperlo”.
“ORLANDOOO, UNA FOTO DA QUESTA PARTE”.
Lei sospirò, “Probabilmente è perché alle tue
premiére ci venivo passando per l’ingresso secondario”.
Incedevano lenti, sorridendo di tanto in tanto ad i
fotografi che sembravano quasi impazziti. In realtà Orlando sorrideva. Bee si
limitava a socchiudere gli occhi per ripararsi dal fastidioso riverbero dei
flash.
“OB!”, una voce richiamò la loro attenzione. Si
voltarono entrambi e notarono Dominic e Leonardo camminare verso di loro.
“Terra!”, mormorò Bee, evidentemente più
tranquilla.
Dom e Orlando si scambiarono un paio di potenti
pacche sulle spalle, quindi il ragazzo venne catturato da Leonardo, che dopo
aver baciato Bee, lo trascinò verso un giornalista della CNN.
“Bee!”, la salutò Dominic abbracciandola, le prese
le mani sorridendole, “Sei una meraviglia!”
“Sono una mongolfiera, vorrai dire!”
Dom scoppiò a ridere, stampandogli un bacio sulla
guancia.
“Nervosetta?”, domandò.
“Vorrei vedere te”, borbottò adocchiando Orlando e
Leonardo parlare divertiti di fronte alle telecamere.
“E’ la prima uscita ufficiale?”, le domandò prendendola
sotto braccio e avanzando lungo il tappeto rosso.
“Se non entriamo in fretta, suppongo che sarà anche
l’ultima”.
“DOMINIC!”, gridò un’altra voce, “FATTI SCATTARE
UNA FOTO!”
Il ragazzo si voltò, quindi abbracciò Bee e sorrise
a beneficio dei fotografi.
“Dom, per cortesia. Non ti ci mettere anche tu!”
“Eddai Bee”, rise lui, “Devi abituarti. Fa come
Dom, sorridi!”
Lei lo colpì con un gomito e lui scoppiò a ridere.
“Che succede qui?”, domandò Orlando, abbracciando
Bee.
“La tua ragazza ha problemi con i fotografi”,
ridacchiò Dom.
“L’ho notato”, disse lui baciandole una tempia e
scatenando l’ennesima ondata di flash.
“Orlando!”, lo chiamò Robin, “Vieni qui,per favore.
C’è da fare un’intervista!”
“Te ne occupi tu?”, domandò a Dom.
Il ragazzo offrì il braccio a Bee che, solerte, lo
afferrò.
“Torna presto Flow”, sussurrò lei.
Lui la baciò a fior di labbra, “Neanche ti
accorgerai che me ne sono andato!”
Dominic la scortò verso l’ingresso del teatro,
salutando colleghi e amici che incontravano strada facendo.
Proprio quando ormai credeva di avercela fatta, Bee
venne intercettata da una giornalista di E!Entertainment.
“La signorina Gallagher”, le sorrise questa,
melliflua, “Come stai, Abaigeal?”
Bee cercò di contenere il fastidio.
Se c’era una cosa che le dava sui nervi era quel
falso cameratismo che caratterizzava quasi tutti i giornalisti. Quelli che, per
inciso, fino a quindici giorni prima, non avevano fatto altro che descriverla
come la peggior megera del pianeta. Quella che si era fatta mettere incinta da
Orlando Bloom per avere la strada spianata verso il successo.
Non l’avrebbe mai confessato, ma era questo il
motivo per cui non voleva far uscire il suo libro. Non voleva che il suo
talento venisse messo in discussione da quelle malelingue.
“Tutto bene, grazie”, si decise a rispondere.
Dom le lasciò la mano, allontanandosi di pochi
passi.
“Ci siamo quasi, uhm?”, domandò alludendo al
pancione.
“Si, manca poco”, si sforzò di essere gentile.
Doveva esserlo. Per Orlando.
“Maschietto o femminuccia?”
“Abbiamo preferito non saperlo”.
La giornalista sorrise deliziata, “Sarà una
sorpresa dunque! Come questa inaspettata gravidanza!”
Bee tenne botta, senza scomporsi, “Già”, mormorò.
“Come vanno le cose con Orlando? Ho saputo che
avete trascorso momenti difficili”.
“Splendidamente, grazie. I momenti difficili sono
stati meravigliosamente superati”.
La guardò con aria di sfida.
“Peccato che non si possa dire lo stesso per la
Kerr. Ho saputo che è stata da poco
ricoverata in una clinica”.
Bee inghiottì un fiotto di rabbia. Da che Orlando
l’aveva lasciata, Miranda non aveva fatto altro che raccontare a tutti i
tabloid del pianeta quanto stesse soffrendo. Era snervante. E patetico. Come
l’ultima trovata. Quella di farsi ricoverare in un clinica per rimettere
insieme i cocci della sua vita. Come no….
“Lo abbiamo
saputo anche noi. Mi dispiace molto per Miranda, ma si riprenderà senz’altro.
E’ una donna forte”.
“Credi che quello che è successo con Orlando abbia
influenzato?”
Bee mascherò una smorfia. Se rispondo ‘no’ che
succede? Mi linciano? Pensò.
“Non è stato facile per nessuno”, rispose cercando
di apparire calma.
“Lo credo”, proseguì la donna, con uno sguardo
malizioso, “Ma sono sicura che a te è andata meglio. Orlando è un fantastico
attore, un bellissimo ragazzo…sono certa che…”
“Non credo che tu possa essere certa di qualcosa”,
la interruppe Bee, innervosita, “Anzi. Non credo che qualcuno possa neanche
lontanamente immaginare quello che tutte le persone coinvolte hanno passato.
Quindi preferirei che evitassi di dare giudizi”.
La donna rimase per qualche secondo interdetta, poi
tornò alla carica.
“Siete personaggi pubblici”, spiegò, una nota dura
nella voce, “E’ normale che la gente parli di voi”.
“Non lo metto in dubbio. Ma un conto è parlare. Un
conto è giudicare. Dubito che tu sia pagata per questo”.
L’atmosfera si stava scaldando. Bee cercò con lo
sguardo Orlando. Invano. E anche di Dominic non c’era traccia.
“Capisci da te che questo scandalo ha destato
sicuramente interesse”.
Alla parola ‘scandalo’, Bee meditò di togliersi una
scarpa e infilargliela in bocca.
“Scandalo?”, ripeté, quasi divertita.
“C’era un matrimonio di mezzo”, proseguì l’altra,
“Che è saltato perché tu ti sei fatta mettere incinta”.
La donna si rese conto con un secondo di ritardo di
aver passato il limite.
“Senti un po’, bella. Pensi che io sia qui per
farmi prendere ad insulti da te?”, il tono di voce si alzò pericolosamente,
“Sono incinta, è vero. E sono incinta perché lui quanto me voleva questa cosa.
Quindi ti pregherei di conservare le tue stronzate per il prossimo aperitivo
con le amiche”.
“Non credo che…”
“Cosa diavolo succede?”
Orlando si fece largo tra le persone, raggiungendo
Bee e prendendole una mano.
“E’ tutto ok?”.
Nel vederlo, gli occhi le si riempirono di lacrime.
Un altro affronto. L’ennesimo.
Che avrebbe portato cattiva pubblicità a lui.
Orlando si voltò verso la giornalista, “Cosa sta
succedendo, qui?”
La donna sorrise, “Assolutamente nulla. Stavamo
semplicemente parlando”.
“No”, precisò Bee, “Stava semplicemente dandomi
dell’arrivista davanti a mezza nazione”.
Orlando la guardò dispiaciuto, quindi si voltò
verso la giornalista.
“Ok, è ora di piantarla”, pronunciò queste parole
con tono deciso, “Capisco che questo è il tuo lavoro e lo apprezzo. Apprezzo
anche l’interesse che mostrate verso di noi, ma per cortesia, smettiamola con
questa storia dell’arrivismo, ok? Io amo questa donna. L’ho sempre amata. Sono
l’uomo più felice del pianeta perché tra meno di un mese diventerò papà e
perché questo figlio è la cosa che più desideravamo al mondo. Mi rendo conto di
aver commesso degli errori, ma sono umano. E in quanto tale mi prendo il
diritto di sbagliare. Mi dispiace se qualcuno di voi è rimasto deluso, mi
spiace di aver arrecato dolore a chi era con me e mi dispiace anche di non
essere stato in grado di evitarlo”, prese fiato, “Ma questo è quello che
voglio. Giudicate il mio modo di recitare, giudicate pure le scelte che faccio
in merito alla mia carriera, ma non giudicate la mia donna. Né tantomeno quello
che provo per lei”.
Detto questo si voltò verso Bee e dopo averle
sussurrato un ‘andiamo’, la guidò all’interno del teatro.
“Ci siamo”, disse la
ginecologa entusiasta, interrompendo i loro pensieri.
Bee la fulminò con lo
sguardo, “Non dovrebbe essere un momento straordinariamente perfetto?”,
brontolò.
La donna ridacchiò, “Tempo
venti minuti e lo sarà”, la rassicurò.
“Venti minuti??”, domandò
lei sconvolta.
“Andiamo Bee, tieni duro”,
cercò di darle la carica Orlando, “Dopo nove mesi cosa vuoi che siano venti
minuti?”
Lei si voltò di scatto, “Hai
una vaga idea di cosa sta succedendo al mio basso ventre?”
“Mmm…no”, ammise lui.
“Appunto”.
“Abaigeal, ora ascoltami.
Alla prossima fitta spingi più che puoi, intesi?”
Lei annuì, poco convinta,
“Sempre se non muoio nel frattempo”.
“Non morirai”, la incoraggiò
la donna, “Stai andando benissimo”.
Bee fece per rispondere ma
la fitta la colpì di sorpresa. Spaventata e sofferente, tentò di fare quanto le
era stato detto.
Afferrò la mano di Orlando
e spinse. Spinse con tutta la forza che aveva.
Lui la guardò intenerito,
vagamente preoccupato, senza dubbio sopraffatto. Da lì a pochi minuti sarebbe
diventato padre. Il solo pensiero lo atterriva e galvanizzava al tempo stesso.
“Oddea!”, mormorò lei,
sofferente.
Orlando le baciò la
fronte, “Amore, stai andando alla grande”.
Bee fece appena in tempo a
registrare che lui l’aveva chiamata ‘amore’ per la prima volta, quando la
seconda fitta la colse.
E fu questioni di pochi
istanti. Sentì un dolore acutissimo, seguito da uno strano rumore fluido che
cristallizzò tempo e suoni, fino ad esplodere nel pianto meraviglioso di un
bambino. Il suo bambino.
Il loro bambino.
Scoppiò a piangere,
stringendo il viso di Orlando tra le mani, commuovendosi nel vedere che gli
occhi di lui si erano riempiti di lacrime, scoprendo un’espressione che mai gli
aveva visto in volto. Meraviglia. Stupore. Amore. Mille sensazione fuse insieme
in due paia d’occhi che non riuscivano a smettere di fissarsi e di sorridere
tra le lacrime.
Fu Orlando a muoversi per
primo. Le baciò le labbra e si voltò verso l’ostetrica che stava facendo il
primo bagnetto al bambino. Camminò lentamente, fino a riuscire a vedere i
lineamenti perfetti di quel piccolo frugoletto che sgambettava nell’acqua
gridando come un ossesso.
“E’ una femminuccia”, lo
informò l’ostetrica .
Lui sorrise, tendendo le
mani per prenderla in braccio. Chissà perché, ma non ne era per niente stupito.
La donna l’avvolse in una
spessa coperta di cotone blu e glielo offrì con riverenza.
Orlando la guardò e pensò
di non aver mai visto niente di più bello in tutta la sua vita. Niente che
valesse tanto. Niente che avesse addosso tutta quella luce.
Portò la piccola verso Bee
che pianse di nuovo, nel vederla.
“E’ una meraviglia”,
sussurrò.
“Ci somiglia”, osservò
Orlando, sfiorandole una guancia.
“Ha i tuoi occhi”, osservò
lei.
“E’ luminosa”, le fece eco
lui.
“Ciao Niahm, benvenuta”, mormorò Bee, sorridendo alla piccola.
“Niahm?”, domandò Orlando,
senza capire.
“Vuol dire ‘luminosa’” le
spiegò Bee, sporgendosi per baciarlo.
Ad Orlando tornò in mente
una delle loro prime conversazioni, quando Bee gli spiegò il significato dei
loro nomi.
“Una luce che sboccia?”,
azzardò con un sorriso.
Abaigeal guardò prima la
piccola, poi lui, poi di nuovo la piccola.
“Poteva essere
altrimenti?”
Orlando scosse la testa.
No.
Decisamente no.
Eccolo qua il
nuovo capitolo.
E finalmente
ecco qua il frutto di questa strana e meravigliosa relazione. Stiamo per
giungere al termine, ragazze.
Ma voglio
ringraziarvi. Non sapete quanto contino tutte le vostre parole, il vostro sostegno,
il vostro essere sempre presenti. Vi adoro. Letteralmente.
Vi lascio
questo capitolo oggi poiché sospetto che la prossima settimana non potrò
postare nulla dato che…ehm…lunedì mi laureo.
Ce…antropologia…roba
strana!!!!!
GRAZIE
VERAMENTE A TUTTE per gli in bocca al lupo…crepi!!!
E grazie per
esserci…!!!
Voi neanche
lo immaginate ma siete entrate nella mia vita in un momento che non
dimenticherò mai e spero ci rimarrete a lungo. Ancora a lungo!
Vi voglio
bene, ragazze!
A
prestissimo!!!!!!!
Vi abbraccio
Am
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Capitolo 20 *** Time has told me ***
timehastoldme20
PS. La qui presente cretina non aveva messo le traduzioni del gaelico. Umpf.
Comunque:
Mamaì: mamma
Céard, banphrionsa: cosa c’è, principessa?
Féach!: guarda!
Seanmhàthair: nonna
Bene!
Ora è tutto!
Bacio grande a tutte!
Am
TIME HAS TOLD ME
Time has told me
You came with the dawn
A soul with no footprint
A rose with no thorn.
And time has told me
Not to ask for more
For some day our ocean
Will find its shore.
(Nick Drake, ‘Time
has told me’)
Abaigeal guardò l’imponente
scogliera che sembrava proteggerli dal cielo tumultuoso irlandese.
Sentiva la risata
cristallina di Niamh, e la voce di Orlando incitarla a correre più veloce delle
onde che si infrangevano sulla sabbia.
Un gioco che anche lei, da
piccola, aveva fatto fino a non aver più fiato per parlare. Un gioco che, tempo
dopo, aveva condiviso con Orlando.
Un gioco che adesso faceva
ridere la loro bambina, accendendole qualcosa di caldo e rassicurante nello
stomaco.
Una sensazione bizzarra,
di paura e gioia mescolate insieme fino a creare qualcosa di informe eppure
bellissimo.
E ripensò al mito del
‘Circolo del Tempo’ che suo padre le raccontava quando era poco più di una
bambina. Si rese conto, non senza meravigliarsi, che solo da poco aveva
compreso a fondo quello che suo padre cercava di dirle.
“La luce arriva sempre dal
buio, leanbh”, le diceva, “I tuoi
antenati erano convinti che prima del caldo fosse necessario un periodo
piuttosto lungo di gelo. L’inverno non uccide, leanbh, l’inverno culla gli esseri che meritano di vivere in un
tempo migliore”.
Ed ora, mentre guardava
Orlando e Niamh giocare con le onde, si rese conto di quanto avesse atteso quel
perfetto momento di luce. Il momento caldo.
Il momento magico in cui
ogni pezzo della sua vita era andato esattamente al suo posto.
E comprese, assurdamente
stupita, che lei ed Orlando avevano meritato quel momento. Attimo dopo attimo.
Il tempo trascorso come
amici, quello trascorso come amanti, le discussioni, le incomprensioni, i musi
lunghi, le lacrime, erano stati passi necessari per arrivare esattamente
dov’erano.
In un luogo incantato, che
sembrava costruito per loro tre e per nessun altro. Come se anche la natura
avesse atteso quel giorno preciso per esplodere in tutta la sua maestosa
magnificenza e mostrar loro la fortuna che paga chi non smette mai di
combattere. Costi quel che costi.
“Mamaì”, gridò Niamh correndo verso di lei, con le mani a coppa. Bee
ed Orlando avevano sempre parlato con lei sia in inglese che in gaelico.
Abaigeal le sorrise,
quindi adocchiò Orlando che camminava pochi passi indietro alla bambina.
“Céard, Banphrionsa?”, le domandò, cercando di capire cosa stesse
tenendo tra le mani.
“Féach!”, ridacchiò lei, saltellandole davanti.
Bee le prese le manine,
quindi notò un fiore comodamente adagiato tra i suoi palmi.
“Cos’è?”, le chiese Niamh,
sedendosi accanto a lei.
Orlando le guardò
sorridendo.
“Un fiore”, le spiegò Bee,
sistemandole i capelli, “Come si dice fiore?”
Niamh guardò Orlando e
scoppiò a ridere, “Blàth!”.
Lui si finse offeso,
inscenando un broncio perfetto, “Cos’è, mi prendi in giro?”
Niamh per tutta risposta
scoppiò a ridere un’altra volta, gettando la testa all’indietro, quindi gli
lanciò un bacio scuotendo innocentemente la testa.
Bee li guardò affascinata.
Era ancora incredula di poter tenere tutto quell’amore tra le mani.
“Che fiore è quetto?”,
domandò Niahm, guardando prima lei, poi Orlando.
Bee si strinse nelle
spalle, “Pensi a quello che penso io?”, domandò ad Orlando, mentre si sedeva
accanto a loro.
“Direi di si”.
“Non è frequente trovare
questi fiori qui”, osservò lei, adocchiando i petali.
“Io no capisco. Voglio
anche io!!”, brontolò Niamh, stringendosi le braccia sul petto.
Orlando le scompigliò i
capelli e lei gli fece la linguaccia, “E’ un Iris”, spiegò.
“Iiis”, ripeté Niamh
affascinata dal suono di quella nuova parola.
Bee sbirciò Orlando e
ridacchiò.
“Nì”, chiamò Orlando,
“Chiedi alla mamma se sa qualche storia su questo fiore”.
Abaigeal si appoggiò al
petto di Orlando, rintracciando nella mente quello che sua nonna le aveva
raccontato a proposito dell’iris.
“Si mamma. Accontami una
storia su Iiis”, annuì, quindi si mise seduta davanti a loro, a gambe
incrociate e guardando rapita i petali di quel fiore così bizzarro.
Bee inspirò, quindi prese
a narrare una nuova favola per la loro principessa. Erano momenti che lei ed
Orlando confezionavano appositamente per la piccola, sperando di trasmetterle
curiosità e fantasia. Niamh, dal canto suo, non perdeva una sola parola di
quello che loro le dicevano, e quando non capiva, chiedeva spiegazioni precise
con milioni di domande.
Era una bambina speciale,
ma forse lo era perché, semplicemente, era la loro bambina.
“L’Iris è un fiore della
Dea Iride”, spiegò Bee.
Niamh la guardò senza
capire, “Seanmhàthair
no ha mai detta”
Bee sorrise. Leah aveva trascorso gli ultimi due anni della sua
vita a raccontare storie di Dee alla piccola Niamh, ma, evidentemente, la
Dea Iride non aveva avuto ancora posto tra
i suoi racconti.
“Iride è la Dea dell’Arcobaleno, e si
serviva di quell’onda colorata per portare i messaggi dal regno degli Dei fino
alla Terra. E sai perché questo fiore si chiama così?”
La piccola scosse la
testa, rannicchiandosi contro il petto di Bee.
“Guarda bene i suoi
petali. Non hanno un colore definito, vedi? Così le persone credevano che
fossero i fiori che cadevano dall’arcobaleno di Iride per testimoniare che
qualcuno aveva avuto la fortuna di parlare con gli dei”.
Orlando sbirciò la
piccola, che adesso aveva infilato il pollice in bocca e giocava con le dita di
Bee. Sorrise istintivamente, pensando al significato di quel fiore e
immaginando altre mani che si stringevano a quelle già presenti.
“Sai cosa significa
trovare un Iris?”, le domandò Orlando.
Niamh alzò la testa per
permettersi di guardarlo negli occhi, e come sempre, Orlando sentì un battito
di farfalla nello stomaco. Stentava a credere di aver creato insieme a Bee una
meraviglia così grande. Entrambi, tutt’ora, faticavano a convincersi di essere
davvero una famiglia solida, le cui basi non sarebbero mai state minate dalle
intemperie esterne.
“Significa buona novella!”
Bee si voltò e gli stampò
un baciò sulla guancia, “Papà ha fatto i compiti!”, lo prese in giro.
Niamh ridacchiò, “Ha fatto
i compiti”, ripeté divertita.
“E’ in arrivo una buona
novella, dunque”, pontificò Orlando, abbracciando Bee.
“Che è novella?”, chiese
Niamh senza capire.
“Novità”, risposero tutti
e due, in sincrono, facendola ridere.
“Novità!”, ripeté lei schizzando
in piedi e saltellando, “Novità! Mi compate il pony!”, gridò, quindi prese a
correre per la spiaggia, “Il pony”, gridò entusiasta, “Il pony!”.
Bee e Orlando si
guardarono perplessi, quindi scoppiarono a ridere.
“Non possiamo comprarle un
pony”, osservò Bee, accoccolandosi tra le braccia di Orlando.
“Non sapremmo neanche dove
tenerlo”, le fece eco lui, annuendo.
“Non possiamo mica tenere
un pony nel giardino a Londra. La gente penserà che siamo pazzi!”, continuò
lei.
“E poi quella povera
bestia ne soffrirebbe. Non è mica nato per stare nello smog di una metropoli”
Bee annuì, “Anche se, in
fin dei conti ci sono i maneggi”.
“E volendo potremmo
tenerlo nella fattoria di tuo nonno. Non gli darebbe di certo fastidio”.
Lei si voltò per guardarlo
negli occhi.
“Ma potrà cavalcarlo solo
quando siamo qui a Galway, però”, osservò.
“Giusto. Quindi forse
sarebbe meglio un maneggio a Londra. Così potremmo portarcela un paio di volte
a settimana”.
“Potrebbero prendersi cura
di lui”, annuì Bee.
Orlando si bloccò per un istante,
guardandola negli occhi, “Abbiamo appena deciso di comprare un pony a nostra
figlia?”.
Bee lo guardò impensierita
quindi scoppiò a ridere, “Temo di si”.
Lui scosse la testa,
fingendosi contrariato, “Siamo due pessimi genitori. Gliele diamo tutte vinte!”
Lei, per tutta risposta,
gli saltò sopra, facendolo cadere tra la sabbia, “Buona novella!”, ridacchiò
baciandolo.
Niamh, che aveva visto la
scena, corse verso di loro saltandogli sopra a sua volta.
“Novità!”, gridò
rotolandosi nella sabbia, “Arriva un pony pe Niamh!”
“Arriva un pony per
Niamh!”, ripeté Orlando facendo l’occhiolino a Bee.
“Arriva un pony per
Niamh!”, rise Bee facendo il solletico alla piccola.
“ E lo chiameò Sean”.
Orlando e Bee si
guardarono, quindi scoppiarono ancora a ridere.
Sean, in irlandese, voleva
dire ‘grazia di Dio’!
Orlando respirò a pieni
polmoni la fresca brezza irlandese che gli scompigliava timidamente i riccioli
scuri.
Guardò il cielo stellato
spora di lui e si rese conto di com’era cambiata la sua vita dalla prima volta
che aveva visto quello stesso cielo, in quello stesso posto.
Era entrato in quella casa
come amico di Bee, poi come fratello, come confidente, come amore di una vita e
adesso, era membro attivo della famiglia Gallagher, come marito.
Ripensò alla cerimonia di
matrimonio, celebrata proprio a Galway da un ministro Wicca, amico di Leah.
Era stata una funzione
emozionante, piena di stupore e incanto.
La piccola Niamh che
teneva i fili rossi in mano, Bee con le lacrime agli occhi, e sua madre e Leah
che non avevano smesso un attimo di piangere.
Kevin che con le mani
tremanti aveva legato il primo filo al polso di Bee e poi al suo, e lo stesso
avevano fatto Leah, Sam, suo padre e sua madre.
La famiglia, con quel
gesto, aveva benedetto quell’unione che sembrava così scontata eppure
incredibilmente meravigliosa.
Sorrise, ripensando alla
prima notte di nozze.
Invece del lussuoso hotel
a cui Bee aveva pensato, si erano ritrovati nella casa al mare del nonno di Bee
con la piccola Niamh che, a un anno e pochi mesi, non voleva saperne di dormire
senza i suoi genitori.
“Blàth”.
Orlando si girò e notò
Kevin avanzare verso il patio con due pinte di birra in mano.
“Ehi Kev”, lo salutò.
L’uomo gli passò una
pinta, facendogli l’occhiolino, “Ultimamente il tuo orgoglio irlandese non si
sta allenando a dovere!”, lo prese affettuosamente in giro.
Orlando ridacchiò, “Bee
non ne vuole sapere di sbronzarsi con me quando Niamh dorme. Non riesco proprio
a convincerla!”
Kevin resse il gioco,
“Metti un goccio di whiskey nel latte della piccola peste, poi uno nel vino di
tua moglie”, annuì soddisfatto, “Il resto è una passeggiata!”
Orlando scoppiò a ridere,
“La convincevi così Leah?”
L’uomo lo guardò con
scherzosa sufficienza, “Figliolo, mia moglie è sempre stata un’ottima
bevitrice. Non aveva bisogno di essere convinta. Figurati che ero io quello che
doveva insistere per rimanere sobrio almeno una sera a settimana!”
A quelle parole Orlando
scoppiò a ridere di gusto. Poteva credere a tutto, tranne che ad un Kevin che
rifiutava una ‘santa pinta’, come la chiamava lui.
Sorseggiarono la birra in
silenzio, beandosi della calda notte irlandese.
“Ricordo la prima volta
che sei venuto qui, sai?”. Kevin parlò, rompendo il silenzio.
“Ci stavo pensando anche
io, poco fa”, mormorò Orlando con un sorriso.
“Appena ti ho visto ho
capito subito che eri l’uomo adatto per mia figlia”, proseguì l’altro, “Certo,
ce ne avete messo di tempo, ma sono contento di non essermi sbagliato. Non
avrei sopportato un altro figlio maschio che non fossi tu”.
Orlando sorrise appena.
“E ricordo anche una
conversazione di qualche tempo fa al Greenwich, mentre Abe e Leah ringraziavano
gli dei per il tuo lavoro”.
Orlando annuì, “La ricordo
anche io”.
“Tuttavia non l’hai
ricordata per lungo tempo”, osservò Kevin, ingollando una generosa sorsata di
birra.
“Ce l’ho avuto sempre in
mente, invece”, obbiettò Orlando, “Ma non sapevo se era la cosa giusta da
fare”.
“Sono dell’opinione che
non sai mai se una cosa è giusta o sbagliata fintanto che non ti decidi a
farla”, buttò lì Kevin. Si voltò, guardando Orlando di sbieco, “Ma sono anche
convinto che tu e mia figlia siete gli esseri più strani del pianeta. Dico io,
si può essere amanti per tutto quel tempo senza pretendere l’esclusiva?”
Orlando strabuzzò gli
occhi, la birra gli andò per traverso e cominciò a tossire.
“E tu come lo sai?”,
riuscì a dire poi, con un filo di voce.
“Radio Sam. Lo so da prima
che nascesse Niamh”, spiegò Kevin con un sorriso, “Ma penso di averlo sempre
saputo. Prima che ci deste la notizia del fidanzamento eravate strani. Avevate
sempre qualche problema…”.
“Era davvero evidente?”
“Per chi voleva capirlo
si”, mormorò Kevin.
Orlando rimase in
silenzio, impensierito. Forse non erano mai stati bravi a nascondere il loro
rapporto. Forse non volevano nasconderlo. Forse speravano che qualcuno capisse
quello che stava accadendo, per renderlo effettivamente reale.
“Non ci pensare ragazzo!”,
ridacchiò Kevin, “Ormai è fatta. Hai una moglie e una figlia. Gli déi ne sono
sicuramente contenti!”
Orlando annuì sorridendo.
Se non gli dei, lui ne era
sicuramente contento. Assolutamente contento.
Indiscutibilmente
contento.
Quando rientrò in camera
trovò Bee addormentata e Niamh accanto a lei, con una manina in quella della
mamma.
Pensò, in quell’istante,
che un uomo non poteva chiedere di più.
La carriera, i film, le
prémier, i premi vinti, non valevano neanche un centesimo di quello che
vedevano ora i suoi occhi: le sue uniche ragioni di vita, addormentate nel
letto con i visi rilassati e sereni.
Chiunque, nell’arco di una
vita, avrebbe dovuto provare una sensazione come quella. La meraviglia del
sentirsi completi, soddisfatti, amati.
La gioia del vedere il
proprio riflesso negli occhi di un bambino che ti appartiene più di quanto tu
non appartenga a te stesso.
Sorridendo si tolse maglia
e scarpe e si sdraiò accanto a Bee.
Lei si mosse,
accomodandosi contro il suo petto e cercando la sua mano con quella libera.
Orlando intrecciò le sue dita a quelle di lei, carezzò la testa di Niamh e
promise ad entrambe, nel silenzio della notte, di vegliare per sempre sui loro
sogni.
VOI
CREDEVATE EH!!!!
Credevate di
esservi liberate di me!! E invece…rieccomi!
Vi chiedo
perdono per l’incredibile ritardo ma ho passato praticamente venti giorni a
festeggiare…oggi mi sono resa conto che siamo quasi all’8 Marzo, pensate voi!!!
E anzi, ne approfitto per ringraziare quante di voi mi hanno fatto in bocca al
lupo-auguri…siete state carinissime!!!!
Comunque,
questa schifezza che avete appena letto, è probabilmente il penultimo capitolo!
Le ciliege
tra un po’ saranno mature e quindi pronte per essere mangiate del tutto!
Però vi
ringrazio. Perché senza di voi non sarebbe nato né l’albero, né il ramo, né il
frutto!!
Bebe: sono stra felice che ti sia piaciuto
l’ultimo capitolo. E grazie per il supporto!! Ma forse, da dottoressa, questo
capitolo non mi è venuto così bene come il precedente!! Mi rifaccio…parola di
Scout!
Stellysisley: grazie a te per essere passata di
qua!! Grazie grazie grazie!
Liz, tu sei un angelo, davvero! Lo so che
non ho soddisfatto la tua curiosità, ma prometto che arriverà qualcosa di
meglio!
Ce, ma grazieeee!! Sono contentissima che
il capitolo ti sia piaciuto. Anzi. Sono contentissima che ti sia piaciuta tutta
la storia! Spero che anche stavolta qualcosa di buono sia riuscita a trovarlo!!
Ti mando un bacio!
Roxy, grazie grazie grazie! E in bocca al
lupo anche a te! Vedrai che dopo trascorrerai giorni assolutamente incredibili!
Non fosse che per quelli, ne vale proprio la pena! ;) E mi fa
assolutissimamente piacere che l’ultimo capitolo sia uno dei tuoi preferiti! Ci
tenevo particolarmente alla nascita di Naimh ;)
Klood, grazie!! Qui le emozioni sono meno
esplosive, ma spero si sentano comunque! Un bacio!
Vicky, Gioia, il fatto che nonostante il mal
di testa tu abbia avuto la voglia di leggere è il complimento migliore che
potessi farmi ;)
Spero che
adesso vada un po’ meglio!! Baciotto
Candidalametta, ammetto che la tua recensione mi ha
veramente fatto arrossire. Non sai che piacere è stato leggere quello che hai
scritto. Dico seriamente. E sono io che ringrazio te. Per aver messo un po’
delle tue emozioni nelle mie parole…grazie davvero!
Genio, adesso arrabbiati perché ti chiamo
così! Dai, no! :D
Comunque
grazie lo dico io a te. Per la chiacchierata di oggi e per tutte le cose che
dici, che scrivi e che fai! Sei speciale, sappilo! Un bacio!
Nì…eri tu. Sei tu. Lo sai. Tra me e te non servono troppe
parole. Spero almeno di essere stata in grado di descrivere la tua meraviglia.
Almeno un po’. Ci siamo capite va! Bacio tesoro. Ti amo!
E continuo a
ringraziarvi, ragazze.
E lo so che
sono ridondante, retorica etc etc…ma voi siete le migliori lettrici che uno
scrittore potrebbe desiderare!
E vi
adoro…ma questo già lo sapevate!
Un abbraccio
a tutte!
Am
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