Le ciliege di Shakespeare

di Meahb
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** So Real ***
Capitolo 3: *** I shall not walk alone ***
Capitolo 4: *** Leave a light on ***
Capitolo 5: *** In the middle of the night ***
Capitolo 6: *** Question ***
Capitolo 7: *** Fast Forward ***
Capitolo 8: *** What a woderfull world ***
Capitolo 9: *** One day I'll fly away ***
Capitolo 10: *** I'll be seeing you ***
Capitolo 11: *** Falling or Flying ***
Capitolo 12: *** Pick up the phone ***
Capitolo 13: *** Come away with me ***
Capitolo 14: *** Walk away ***
Capitolo 15: *** Sono qui per l'amore ***
Capitolo 16: *** Con la tua immagine e con il tuo amore ***
Capitolo 17: *** Fisrt time ever I... ***
Capitolo 18: *** The promise ***
Capitolo 19: *** Everything in its right place ***
Capitolo 20: *** Time has told me ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


strow-prologo

DISCLAIMER

 

Author: Amaranta B.

Summary: Fino a che punto si spinge l’amicizia? Qual è la linea di confine tra amicizia e amore? E cosa succede quando il destino è convinto che due persone sono destinate a stare insieme, costi quel che costi?

Notes: Non conosco Orlando Bloom né la sua famiglia. Con questa storia non intendo offendere né lui né quanti lo conoscono, anzi.

Lo so che c’è ancora Accidentally in cantiere e vi assicuro che presto riprendo a pubblicare. Il problema è che è di nuovo saltato il pc ma, stavolta, ho perso TUTTO! Tutto.

Ma non queste splendide ciliegie…queste no!

Voglio ringraziare il mio personale suilè gorma, alcuni fatti qui di seguito narrati, sono realmente accaduti grazie alla straordinaria presenza nel mondo di questa persona. Grazie sul serio. Spero che l’Irlanda ti culli il più a lungo possibile.

Per esigenze di copione alcuni fatti sono stati adattati alla storia e all’evoluzione dei personaggi ma ho cercato di essere il più attendibile possibile.

E infine…grazie ad Orlando Bloom…è incredibile come solo il suo nome, riesca a scatenare mille voli pindarici che si trasformano semplicemente in storie. E grazie ai suoi occhi…quelli sono la fonte dell’ispirazione!

 

Enjoy, ragazze!

Vi abbaraccio…

Amaranta B.

 

 

 

 

 

 

LE CILIEGIE DI SHAKESPEARE

 

 

 

 

-Così siamo cresciuti tu ed io,

simili a due ciliegie,

nate in coppia,

che sembrano divise

ma nella divisione sono unite-

Shakespeare, “A Midnight Summer’s Dream”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Incinta?”

“Incinta, si”

“Incinta di un bambino?”

Bee lo guardò di traverso, “No, di un elefante”, scosse il capo, “Di un bambino, ovvio!”

“Un bambino, vero?”

Lei alzò un sopracciglio, “Evidentemente è più vero del previsto”.

Orlando si passò una mano sulla fronte.

Gli sembrava di sudare, ma in realtà non stava sudando affatto.

“Bhè…è una bella cosa, no?”

Bee spalancò occhi e bocca in sincrono.

“Una bella cosa??”, quasi lo gridò.

Orlando si strinse nelle spalle, un sorriso che saliva dalla bocca agli occhi.

“Bhè si! Un figlio mio e tuo sarà uno sballo!”

Lei scosse la testa, incredula.

“Sei ebete, per caso?”

“Perché?”

A questo punto Bee decretò che il suo migliore amico, nonché amante, nonché amore di tutta una vita, era completamente, totalmente fuori di testa.

Avevano ragione quelli del gossip.

Era un pazzo scapestrato.

“Orlando”, lo disse pazientemente, accarezzando ogni lettera, “TI RENDI CONTO CHE SEI FIDANZATO E TRA DUE MESI DOVRAI SPOSARTI??”.

L’ultima parte la gridò. Giusto per assicurarsi che venisse recepita chiara e forte.

E venne recepita. Oh si!

Guardare l’espressione di Orlando passare dal confuso-stupito-sconvolto-consapevole-affranto fu sbalorditiva.

Ogni stato d’animo, colpì Bee come uno schiaffo.

“Ah…”, disse lui.

“Ah?”, ripeté lei.

Orlando prese un gran respiro, “Ah…nel senso di ‘non ci avevo pensato’”

“Non avevi pensato a cosa esattamente?”, domandò lei. E Orlando riconobbe quel tono in un nanosecondo. Lo stesso tono che usava ogni volta che stava partendo con una lunghissima paternale che, inevitabilmente, lo metteva alle strette costringendolo a dire la verità.

Ma d’altronde, con Bee le menzogne non erano mai servite granché.

Probabilmente com’era stato sincero con Bee non lo era stato neanche con sua madre.

“Non avevo pesato a lei. L’avevo resettata”, si sentì rispondere.

“Resettata?”, la ragazza era sconvolta, “Cioè avevi resettato di avere una QM?”

“QM?”

“Quasi moglie!”, spiegò lei.

“Bhè, si…cioè non avevo pensato che questo avrebbe complicato le cose!”

Flow un bambino complicherebbe le cose, fidati!”, ridacchiò lei.

Orlando si rilassò nel sentirle pronunciare quel nomignolo.

“Lo so ma…possiamo provare a vederla da un’altra prospettiva, no?”

La ragazza si appoggiò allo schienale della panca della caffetteria.

“Tipo?”

Lui abbassò lo sguardo. Era l’ora dei conti.

“Devo raccontarti una cosa importante, Bee”, mormorò.

E i conti, Bee li faceva pagare.

Sempre.

 

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Capitolo 2
*** So Real ***


so real2

SO REAL




“Oh…that was so real…”

Jeff Buckley

 

 

 

“Sei cocciuto”, sbuffò Bee gettando il giornale sulla scrivania della camera.

Orlando la trafisse con lo sguardo.

Cocciuto?”

Bee annuì con enfasi, “Sei alla British American Drama Accademy, non dal fruttivendolo! Se ti dicono di provare un ruolo, lo provi. Senza discutere!”

Lui le fece il verso, “A te non dicono mai cosa scrivere”, puntualizzò.

Bee fece spallucce, “Quindi quando ieri mi hai detto ‘scrivi una storia horror con le palle’, era solo così per dire?”.

Orlando, suo malgrado ridacchiò.

“Era un consiglio”, precisò.

Bee rise, “Allora vedila così, anche il tuo tutor ti sta dando un consiglio!”

“Io Lisandro non lo faccio”, piagnucolò lui, “Mi è sempre stato sulle palle”.

Bee spalancò gli occhi, “Oddea!”, sospirò, “L’unico essere del pianeta che detesta Lisandro lo dovevo incontrare io?”

Orlando si lasciò cadere sul letto, “Si”, disse poi.

“Senti Flow puoi frignare per i prossimi venti giorni, ma il risultato è sempre quello: tu farai Lisandro!”, frugò nella borsa, poi gli lanciò il libro.

“Sogno di una notte di mezza estate”, lesse lui, quindi si esibì in un sorriso forzato, “Sei premurosa!”

Lei gli afferrò una mano, tentando di tirarlo in piedi.

“No, sono stufa di starti a sentire borbottare. Usciamo!”

Orlando si rizzò in piedi, ridacchiando.

“Per andare…”

Bee s’infilò la giacca.

“Al Greenwich”, disse.

Si sistemò il cappello nero di cotone e aprì la porta della camera da letto.

 

 

 

Ed era lo stesso cappello di cotone nero che si stava sistemando ora, all’ingresso di un’anonima caffetteria di Los Angeles.

Orlando sorrise tra se e se.

Forse era quella la ragione che gli aveva riportato alla mente quel ricordo così vecchio. Il cappello nero di Bee. Se lo erano scambiato per anni e, tuttavia, quello non aveva mai ceduto un momento. Ogni tanto lei sistemava le cuciture per assicurarsi che non si rompesse ma, comunque, quel cappello era stato parte delle loro vite.

Parte delle loro vite. Come un figlio.

Cristo Santo!

Bee incinta….

Quella si che era una notizia che avrebbe tranquillamente potuto mandarlo fuori di testa.

Da quando si conoscevano, loro due? Quattordici anni? Quindici?

Bee era sempre stata con lui, almeno da che aveva memoria selettiva. Era stata la sua migliore amica dall’inizio della sua carriera, non lo aveva mollato un attimo, nemmeno nei momenti più difficili.

E lui, per contro, aveva fatto lo stesso.

Abaigeal Gallagher, irlandese dalla testa ai piedi, era diventata una scrittrice famosa. Ma, prima di giungere alla vetta, aveva scalato pareti difficili. E lui l’aveva tenuta per mano.

In realtà si erano tenuti per mano a vicenda, da sempre.

Bee, per lui, era sempre stata come una sorella. Quella a cui raccontare le uscite disastrose con le ragazze, le figuracce fatte in teatro e le prove più dure.
Era anche l’amica con cui ubriacarsi e strillare per tutta la notte. Oppure quella con cui parlare fino a che le parole diventavano talmente sottili da perdere significato.
Bee era quella che aveva pazientemente sopportato le sue innumerevoli crisi d’identità e che lo aveva preso a calci nel culo quando si andava ad impantanare in pippe mentali, tutt’altro che facili da sbrigliare.

Era Bee.

Ed era la stessa ragazza con cui, da due anni a quella parte, faceva l’amore.

Già….

Ed Orlando non aveva il benché minimo dubbio a definire ‘amore’ quel rapporto.

Neanche uno.

Fare sesso con Bee era il completamento perfetto della loro relazione.

In realtà, almeno all’inizio, nessuno dei due era rimasto stupito dalla piega che aveva preso il loro rapporto. Per niente.

Ma poi quel rapporto aveva avuto bisogno di conferme per andare avanti.

Erano due mesi che litigavano continuamente e poi facevano la pace e poi litigavano e poi facevano ancora la pace e poi litigavano di nuovo.

Erano entrambi confusi, entrambi stanchi, entrambi bisognosi di definire quella strana situazione.

Orlando sospirò. Avrebbero dovuto fare i conti con quello che stava succedendo.

Il cellulare prese a squillare, lui sbirciò lo schermo e vide il nome Miranda lampeggiare ad intermittenza.

Mmhmmm…

“Pronto?”, rispose mogio.

“Amore ciao!”, gridò lei dall’altro capo, “Dimmi che Bee è con te!”

Ad Orlando si strinse lo stomaco. Naturalmente Miranda e Bee si conoscevano. Naturalmente Miranda l’adorava. Naturalmente Bee la trovava, per contro, completamente fuori di testa. Naturalmente Miranda aveva coinvolto Bee nei preparativi del matrimonio.

Naturalmente

“No, è appena uscita”, spiegò lui, alzandosi dalla sua sedia e avviandosi verso l’uscita, “Ti serviva qualcosa?”

Miranda, dall’altro capo, sbuffò, “Dovevamo andare a vedere i vestiti per la cerimonia”, disse lei, “Ma Bee è reticente. Dice che non mi permetterà mai di scegliere un vestito color melassa che la farà apparire come una bomboniera!”

Orlando rise. Lo aveva detto anche a lui.

“Prova a chiamarla, magari sta venendo da te”.

“Ottima idea, tesoro!”, squittì Miranda, “Ti telefono dopo! Ciao Amore, ti amo!”

“Ciao Mir”, disse lui, chiudendo la conversazione.

Camminò verso il suo SUV parcheggiato all’altro lato della strada, poi improvvisamente un pensiero potente, quanto inopportuno, gli invase la testa.

In quei due mesi, la pancia di Bee sarebbe cresciuta?

 

 

“Abaigeal Gallagher, ti ha per caso morso una dannata tarantola?”

Bee si fermò di colpo, voltandosi indietro.

Samantha la stava guardando con aria torva. Era immobile in mezzo al marciapiede, con le mani appoggiate sui fianchi e i capelli davanti agli occhi.

Al suo fianco, Allison la guardava con la stessa espressione incredula.

“Cos’ho fatto?”, domandò Bee.

“Cammini a passo di carica come il Comandante di un plotone”, spiegò Allie raggiungendola.

Samantha scosse la testa, “Si può sapere che diavolo ti prende? E’ tutta la settimana che sei strana”.

Bee si grattò la tempia. Allie e Sam erano come sorelle per lei. Con loro era sempre stata un libro aperto, e non metterle a parte di quello che le stava succedendo, le sembrava incredibilmente ipocrita e sbagliato.

Ma Samantha era la sorella di Orlando ed Allie…bhè, non poteva far cadere il peso di quella confessione solo sulle spalle di Allie.

“Scusatemi…ho un po’ di pensieri per la testa”, spiegò, camminando affianco a loro.

“Problemi con il libro?”, domandò Samantha.

Il libro! A Bee venne da ridere!

Aveva problemi anche con il libro, a dire il vero.

La storia stentava a prendere una direzione precisa e lei stava impazzendo dietro tutti quei personaggi che sembravano fare a botte tra loro per prendersi la propria parte di celebrità.

“Si…”, mormorò, “Problemi d’ispirazione”.

“E’ per questo che sei andata dalla Musa?”, ridacchiò Allie.

Suo malgrado, Bee rise.

Orlando era da sempre stato la sua Musa. Da sempre.

Ogni personaggio maschile aveva sempre avuto qualcosa di lui, e in ogni libro, puntuale come un orologio spuntava sempre una delle sue massime.

Ma non era solo questo. Parlare con lui, inventare storie, raccontarsi leggende e favole assurde, le aveva sempre fornito una miniera di idee per i suoi romanzi.

Adesso, invece, quelle idee erano prosciugate.

Svanite.

Puff!

Bee strinse i denti.

“Si, anche!”, cercò di usare un tono leggero, “A dir la verità sono andata ad implorarlo di impedire a Miranda di vestirmi da caramella!”

Samantha e Allie scoppiarono a ridere.

“Dubito che lui possa fare qualcosa”, sintetizzò Allie indicando la porta della boutique dove Miranda le stava aspettando.

Bee si morse la lingua per evitare di imprecare.

Cosa cazzo aveva in mente quella pazza scatenata di Miranda?? Quella boutique sembrava una torta di glassa piazzata esattamente al centro della città.

Samantha le mise una mano sulla schiena, ridendo.

“Apri!”, la incitò, una volta davanti all’ingresso del negozio.

Con una faccia truce attraversò la hall e fu richiamata dal gridolino entusiasta di Miranda.

“Ecco le mie damigelle!”, squittì allegra, trascinando verso di loro un uomo sulla cinquantina con un bel completo scuro.

“Mir”, salutò Bee, tetra.

“Ragazze lui è Fracois, il nostro stilista”, spiegò loro la ragazza, “Ci aiuterà nella scelta dei modelli e dei colori”.

L’uomo fece un perfetto inchino a mezza schiena. Bee per poco non si strozzò nello sforzo di non ridere.

“Mesdames, venite pure con me. Sono pronto a realizzare qualunque vostro desiderio”, mentre parlava, sembrava cantasse.

Batté le mani, sorridendo, “Ma prima di iniziare devo farvi una domanda indiscreta. Le nozze sono fra tre mesi, prendendo le misure oggi e facendo i vari aggiustamenti in un mese e mezzo al massimo i vestiti saranno pronti perciò…vorrei chiedervi…c’è qualcuna di voi che potrebbe”, mimò la pancia di una donna incinta, “Ingrassarsi?”

Bee si appoggiò al muro.

Le veniva da vomitare.

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Capitolo 3
*** I shall not walk alone ***


shallnot3

I SHALL NOT WALK ALONE




“Friend of mine
what can't you spare
I know some times
it gets cold in there,
but you shall not walk alone, babe”*

 

Ben Harper

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Londra. Marzo 1993

 

Era come riuscire a vedere esattamente ogni colore. Come se la sostanza della Natura si stesse palesando ai suoi occhi, rendendola parte di se.
X si sentiva finalmente bene. Si sentiva in grado di vedere quella porzione di cielo che gli déi le avevano assegnato il giorno che era venuta al mondo.
Aveva capito, non senza lottare, che l’amore era il motore principale del mondo. Di ogni mondo. E di ogni vita.
Sia che fosse un amore finito, negato, calpestato, nascosto, sia che si trattasse di un amore  gioioso, palese, pieno.
Era pur sempre amore, anche se in forme diverse.
Si sedette a terra, respirando l’aria fresca del bosco.
Poteva andare avanti, adesso. Poteva tirar fuori il dolore e restituirlo alla Terra in attesa che la Terra lo donasse nuovamente a lei sotto forma di forza.
Chiuse gli occhi e…”

 

“Mmmh Mmmh”.
Orlando alzò la testa di scatto nel sentire qualcuno che tossicchiava davanti a lui.

Era una ragazza.

Non troppo alta, capelli neri fino alle spalle, occhi di un blu intenso e bocca carnosa.
Istintivamente le sorrise.
La ragazza ricambiò, quindi con un dito indicò il taccuino che lui teneva tra le mani.

“Hai qualcosa di mio”, disse.

Imbarazzatissimo, Orlando chiuse il taccuino nero e glielo porse.

“Perdonami”, si scusò, “Pensavo che qualcuno l’avesse perso”.

Lei gli sorrise, quindi prese il taccuino e se lo infilò in borsa.

“Grazie per averlo tenuto”, mormorò, “Probabilmente se non fossi stato così curioso i camerieri lo avrebbero buttato nella spazzatura!”

Lui le sorrise, quindi allungò una mano verso di lei, “Piacere, sono Orlando!”

Lei gli strinse la mano con vigore, “Orlando? Come il nome del mio compositore preferito!”

Incredulo, Orlando la guardò, “Sarebbe?”

“Orlando Gibbons, non so se lo conosci”, si mise seduta accanto a lui, tirando indietro i capelli, “E’ vissuto alla fine del ‘500. Era uno tosto!”, ridacchiò, “Silver Swan è una vera opera d’arte!”

“Sono ufficialmente sconcertato”, le confidò lui, “Non ci crederai ma mio padre mi ha chiamato Orlando proprio per questo motivo. Gibbons era il preferito della mamma!”

La ragazza scoppiò a ridere, “Incredibile!”

“E tu invece sei…?”, domandò Orlando.

“Oh scusami, sono una maleducata”, gli strinse nuovamente la mano, “Abaigeal Gallagher”, sorrise, “Il mio nome si pronuncia in gaelico”, spiegò.

“Irlandese?”

Lei annuì soddisfatta, “Dalla testa ai piedi!”

“Di dove, precisamente?”

“Gailimh…Galway”, rispose Abaigeal, “Mai sentita?”

Orlando ridacchiò, “Ovviamente si! E’ una delle città più belle d’Irlanda!”

Lei sorrise compiaciuta, “Sono d’accordo. Ci sei mai stato?”

Lui scosse la testa.

“Peccato! Dovresti…”, chiamò la cameriera con un cenno e sillabò la parola caffè, “Tu invece sei londinese?”

“No, sono di Canterbury”.

“Adesso capisco perché tua madre adora Gibbons!”, sorrise, “E comunque Canterbury è una fantastica cittadina. E’ come se il tempo si fosse fermato, laggiù!”
Orlando annuì, “Ci sei stata dunque?”

Abaigeal sorrise, “Tesoro, a scuola ho studiato “The Canterbury Tales” fino alla nausea! Era imperativo che capissi come mai questa cavolo di Canterbury era stata così importante da invadere malignamente la mia vita!”

Orlando scoppiò a ridere. Quella ragazza era incredibilmente intelligente e simpatica.
“Sono d’accordo!”, sorseggiò quello che rimaneva del suo caffè, “Studi qui a Londra?”

Abaigeal annuì, quindi sorrise alla cameriera che le aveva lasciato il caffè sul tavolo e le allungò due sterline, “Sono diplomata alla UEL e adesso sto seguendo un corso di due anni di scrittura creativa”, spiegò, “Anche se, diversamente da quello che potresti pensare, credo che buttare i soldi in un corso del genere sia un’enorme stronzata!”

Orlando rise, “Perché mai?”, domandò, incuriosito.

“Perché nessuno può insegnarti ad essere creativo”, disse lei, “O ce l’hai nel sangue o non ce l’hai. E’ una cosa innata!”

“E allora perché lo stai seguendo?”

Abaigeal si strinse nelle spalle, “Perché io il dono ce l’ho, ma alcune volte devono aiutarmi ad indirizzarlo”.

Orlando annuì, “Io invece studio al NYT”

La ragazza s’illuminò, “Un’aspirante attore??”

Lui sorrise imbarazzato, “Bhè si…mi piacerebbe molto diventarlo”

“Sei sulla strada buona, allora!”, lo incoraggiò lei, “Ho sentito dire che il NYT sforna sempre ottimi talenti!”

“Me lo auguro”, mormorò lui.

Abaigeal sorseggiò il suo caffè in silenzio, poi puntò gli occhi blu in quelli di Orlando.

“Perché lo fai?”, domandò a bruciapelo.

Lui inspirò, “Perché penso che sia la mia strada”, si girò le mani impacciato, “Hai presente quando raggiungi un livello di consapevolezza di te che ti permette di capire cosa fare?”

Abaigeal annuì.

“Ecco, è quello. Prima lo consideravo una specie di hobby ma poi, con il tempo ho capito che era qualcosa di più. Mi piace riuscire a comunicare con le persone attraverso le emozioni!”

La ragazza rimase incantata da quelle parole.

“E’ una questione di Passione, credo!”

Tà sin ar fheabhas!”, esclamò lei.

Orlando la guardò senza capire. “Gaelico?”, domandò.

Abaigeal ridacchiò, “Si, scusami! A volte fatico a contenermi!”

“Tu parli gaelico?”, domandò lui.

La ragazza annuì solennemente, “Kevin e Leah Gallagher sono molto legati alla tradizione della loro terra. In casa mia, in famiglia,  si parla solo gaelico”, spiegò.

“E’ una bella cosa”, osservò lui, “L’ho sempre trovata una lingua magica”.

“Lo è”, assentì Abaigeal, “Ma è dura! Quando sono arrivata a Londra ho avuto il mio bel daffare per dare la precedenza all’inglese!”, rise, “All’inizio dicevo le frasi in gaelico e poi le traducevo subito dopo! La gente pensava fossi pazza!”

Orlando rise.

“Ma poi ho imparato a contenermi, anche se a volte mi viene spontaneo”.

“Capisco”.

All’improvviso, senza alcuna ragione, gli venne un’idea bizzarra.

“Me lo insegneresti?”

“Il gaelico?”

Lui annuì.

“E perché mai?”

“Potrebbe essere divertente no?”

Abaigeal ridacchiò. Quel ragazzo era stranissimo.

Smaoineamh maith!”

“Vale a dire?”

“Idea geniale!”

 

 

 

Abaigeal si mise seduta sulla poltrona, sbuffando.
“Andiamo!”, lo incitò, “Non è poi così difficile! Io lo dico sempre!”
Orlando socchiuse le palpebre cercando di concentrarsi.

Erano passate tre settimane dal loro incontro e d’allora avevano cominciato le lezioni di gaelico. In realtà stavano diventando piuttosto amici, soprattutto dal momento in cui trascorrevano quasi ogni minuto libero a studiare quella bizzarra lingua.
Abaigeal era un’insegnante attenta e paziente, ma spesso dimenticava che per lui, il gaelico, era più o meno come l’afrikaans… vale a dire, incomprensibile.
Adesso, martedì ore ventidue e trentacinque, stavano cercando di fare conversazione.

Cercando era la parola chiave.

Orlando aveva come l’impressione di aver completamente resettato tutte le informazioni recepite fino a quel momento.
“Forza ragazzo!”, lo incitò nuovamente Abaigeal, “Taim…”, suggerì.
Orlando alzò la testa di scatto, “Taim go mhaith!”, esclamò.

“Foirfe!”, ridacchiò Abaigeal.

Orlando la guardò di traverso, “Questa non me l’hai insegnata!”
“E allora memorizzala. Foirfe vuol dire perfetto! Ma dubito ti servirà mai come aggettivo per descriverti!”
Lui le fece la linguaccia e la ragazza scoppiò a ridere.

Si era instaurato uno strano legame tra loro due. Entrambi avevano come la sensazione di conoscersi da tempo e questo, senza dubbio, aveva permesso loro di saltare a pié pari la parte dei convenevoli. Già dal terzo giorno, avevano cominciato a sfottersi reciprocamente.

“Per oggi basta”, decretò Abaigeal sospirando, “Non ne posso più!”
“Sono d’accordo!”, assentì Orlando.

“Se tu fossi uno studente più attento adesso saremmo molto più avanti col programma!”, lo rimbeccò ridacchiando.

“Donna maligna!”, sussurrò Orlando divertito, “Despota! Mi tieni chiuso qui, mi riempi la testa di parole stranissime e ti lamenti pure!”

Abaigeal gli tirò il cuscino, “Ingrato!”

“A proposito di ingrato…”, disse lui con un sorrisino malizioso, “Che fine ha fatto il famigerato Clive?”

Abaigeal si coprì la faccia col cuscino, facendo uno strano verso, “Oh Dea! Non parlarmene ti prego”, si mise composta, “Ieri sera mi ha chiamato dicendo di amarmi. Peccato però che la fidanzata non la lascia!”

Orlando alzò un sopracciglio, “E tu cosa gli hai detto?”

Lei fece una faccia buffissima ed Orlando dovette controllarsi per non scoppiare a ridere.

“Vuoi davvero saperlo?”, gli domandò.

Lui annuì.

“Imigh sa diabhal!”

“Fottiti?”, indovinò Orlando.

“Qualcosa del genere…”, ammise lei, “Vuol dire ‘vai all’inferno’”

“E lui?”.

Abaigeal si alzò e andò verso il tavolo a prendere due lattine di Guinnes che aveva portato Orlando.

“Non ha detto niente!”, fece una smorfia, “Lui mica lo capisce il gaelico”.

Orlando scoppiò a ridere, “Sei terribile!”

Lei gli passò una lattina, “Ma smettila! Non vuoi forse imparare la lingua per non farti capire dagli altri?”

“Touché!”, disse lui allargando le braccia.

“Non fare il poliglotta adesso, Monsieur!”

“Non dirmi che conosci pure il francese!”

“Naturale!”

Orlando si accasciò sul divano, “C’è qualcosa che non sai fare Bee?”

Lei rise, “Cosa significa Bee?”

“Accorcio il nome”, spiegò lui.

“Carino”, le concesse lei, “Bee come ape! Mi piace! Ma adesso mi costringi a trovare un abbreviazione anche per te!”

“Accomodati pure!”, disse lui tracannando la sua birra, “E’ l’occupazione preferita di amici e parenti!”

“E sentiamo, allora. Cosa ne è uscito fuori?”

Orlando si accomodò sul divano, “Qualcuno mi chiama Orli”

“Eeewww”, inorridì lei.

Lui le fece una smorfia, “Qualcun altro Gibbo”

“Da Gibbons?”, domandò, “Questo mi piace di più!”

“Oppure il classico OB”, finì lui.

“Questo è scontato. E poi sembra che sto chiamando un’assorbente interno che cammina per la strada!”

Si fissarono in silenzio, visualizzando mentalmente un grosso assorbente interno con la faccia di Orlando che camminava tranquillo per i marciapiedi di Londra.
Dopo due secondi, scoppiarono a ridere senza riuscire a smettere.

“Immaginati che scena…”, tentò di dire lei.

“Oh Dio ti prego!”, disse lui accovacciandosi e tenendo una mano sulla pancia.

Continuarono a ridere, cercando in tutti i modi di darsi un contegno.

“Penso che se diventassi un assorbente interno non avresti problemi a farti scaricare da Julls”, osservò lei.

Orlando sbuffò, “Allora dovrei trasformarmi!”, osservò, “Non so più che fare per levarmela dalle palle!”

“Ma che fiorellino delicato!”, ridacchiò Abaigeal.

“Vorrei vedere te!”, borbottò lui.

“Ignorala”, consigliò la ragazza, “Se la ignori prima o poi demorde”.

“E’ quello che sto facendo…”

“Si, da tre giorni. Non puoi sperare che funzioni in così poco tempo! Devi perseverare!”

“Chissà, magari hai ragione!”

Orlando si alzò in piedi e prese a gironzolare per il salotto. Era una bella casa quella di Abaigeal. Piccola, ma arredata con cura e estro. Il salotto era rettangolare, nel lato destro c’era un piccolo camino con sopra due mensole arancioni piene di libri e oggetti. Davanti Bee aveva sistemato due divani e un tavolo basso. A destra del camino c’era un televisore con un videoregistratore e uno stereo. Vicino, un numero inqualificabile di cd e videocassette.
Dietro alle poltrone, vicino ad una grossa finestra c’era un tavolo da pranzo per sei persone e, alla sinistra del tavolo, una piccola porta che conduceva in cucina.
La camera da letto non l’aveva mai vista.
Si fermò davanti al camino, guardando gli strani oggetti sopra la prima mensola. C’era una candela bianca sempre accesa, un coltello dall’impugnatura nera, una specie di calice, e due statuette, una di donna e una di uomo.

“Perché questa candela è sempre accesa?”, le domandò.

Abaigeal sorrise, “Rappresenta la Dea”, spiegò.

“Chi?”

“Fiorellino”, lo sbeffeggiò, “Sei davanti ad un altare wicca, hai presente?”

“Sei una wicca?”, domandò lui.

Abaigeal annuì, “Fin da bambina. Come ben sai in Irlanda la tradizione wicca, anche se con altri nomi, è molto radicata. Dopotutto discendiamo dai Celti, no? E così mamma Leah mi ha iniziato alla tradizione!”

“E cosa faresti, di preciso?”, s’incuriosì lui.

Abaigeal si strinse nelle spalle, “”Onoro la Dea, apro il cerchio, medito, e cerco di essere sempre sintonizzata con la Natura...niente di oscuro!”

“Sembra bello!”

Abaigeal annuì, “Mia madre sostiene che il mio nome in gaelico glielo ha suggerito la Dea in sogno”, sorrise.

“Cosa vuol dire?”, domandò Orlando tornando verso la poltrona.

“Abaigeal era la moglie di Re David. Penso abbia una tradizione ebraica, se non ricordo male. Comunque, letteralmente in gaelico significa ‘amante degli stranieri’”, ridacchiò, “E non è del tutto sbagliato!”

Orlando rise, “Te la facevi con i marinai del porto, dì la verità”, la canzonò.

La ragazza ridacchiò, “Mi hai beccata!”

“Se non sbaglio anche i cognomi hanno un significato da voi, no?”

“Fiorellino, hanno un significato in tutto il mondo!”, puntualizzò lei, facendogli una smorfia, “Il mio significa ‘che dà gioia’, il tuo significa ‘che sboccia’. A dir la verità anche il tuo nome ha un bel significato, lo sapevi?”

“In gaelico?”, domandò lui.

“Non solo. Orlando vuol dire ‘che ha fama di ardito’ e credo che ti descriva piuttosto bene, non trovi?”, ridacchiò, “Sei un ardito che sboccia!”

“E tu sei un’amante degli stranieri che dà gioia”, si rabbuiò, “Ma preferisco non soffermarmi sull’interpretazione del ‘dare gioia agli stranieri’!”

Abaigeal scoppiò a ridere di gusto.

“Lèim!”, disse lei.

“Scemo…grazie!”, ridacchiò lui.

Lei scosse la testa ridendo.

“Ok, vediamo quanto sei diventato bravo”, sbatté le mani sulle ginocchia rizzandosi a sedere, “An rachaimid amach?”

Orlando si alzò in piedi sorridendo, “Cén fàht nach rachadh!”

Abaigeal batté le mani entusiasta, “Bravo fiorellino, andiamo!”

Ridendo si infilarono le giacche e uscirono nella fredda aria londinese.

 

 

 




NDA

 

Allora, siccome non ho la pretesa che voi conosciate il gaelico, vi posto qui la traduzione delle frasi. La nota a piè di pagina ci sarà ogni volta che questi due pazzi parleranno in gaelico. MA. (Ovviamente c’è un MA, sennò non c’è gusto), se alcune cose non le trovate tradotte pazientate. Evidentemente hanno un fine preciso e il loro significato vi verrà svelato nel corso della storia!

 

Comunque, bando alle ciance:

 

Tà sin ar fheabhas: è una cosa fantastica!

Taim go mhaith: sto bene, grazie

An rachaimid amach?: usciamo a fare un giro?

Cén fàht nach rachadh: perché no? (in realtà sarebbe: perché non dovremmo uscire a fare un giro!)

Altra piccola precisazione. Nel testo originale non troverete l’ultima parte della citazione di apertura poiché, questo tipo di versione, è stata cantata da Ben ad un concerto live a Los Angeles!

 Colgo anche l'occasione per ringraziarvi dei vostri meravigliosi commenti.

E' una storia a cui tengo molto questa e sapere che vi sta intrigando è una delle soddisfazioni più grandi che potessi avere. E ricordatevi...VOI SIETE DIVINE. VOI TUTTE. Senza chi legge, noi che scriviamo non avremmo neanche modo di esistere! Grazie davvero!

Un forte abbraccio

Amaranta

 

 

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Capitolo 4
*** Leave a light on ***


leavealight5

LEAVE A LIGHT ON


Non temere la mia partenza,

lascia solo una luce accesa

ed io saprò trovarti ancora

 

 

 





Londra, Settembre 1995

 

 

Fuck you I’m drunk, fuck you I’m drunk, Pour my beer down the sink I've got more in the trunk. Fuck you I’m drunk, fuck you I’m drunk, and I’m going to be drunk ‘till the next time I’m drunk!”

Samantha e Abaigeal ridacchiarono divertite.

Bee ed Orlando erano tornati due giorni prima dall’Irlanda. I signori Gallagher avevano invitato l’amico della figlia per un fine settimana da loro. Dopo averne sentito parlare così tanto, si erano decisi a volerlo incontrare e conoscere.

Fu un weekend divertentissimo.

Bee e Orlando avevano trascorso gran parte del tempo in giro per la campagna irlandese mentre di notte, si spostavano nelle caotiche vie del centro. Kevin Gallagher aveva spiegato ad Orlando che un irlandese che si rispetti, deve necessariamente saper reggere l’alcool e lui aveva accettato di buon grado la lezione.

Non a caso, avevano trascorso tre sere su quattro, ubriachi fradici per le vie del centro.

Rientrati a Londra, tuttavia, li aspettava una bella sorpresa.

La British and American Drama Academy aveva accordato una borsa di studio ad Orlando.

Naturalmente erano tutti impazziti dalla gioia, tantoché quella sera, avevano deciso di festeggiare in un pub del centro.

“Gibbo, calma!”, l’ammonì Samantha ridendo, mentre il fratello ballava e cantava in piedi sopra il tavolo, “Non ti vorrai sfracellare a terra proprio ora che hai un futuro!”

Bee scoppiò a ridere, “Andiamo Flow, scendi da quella sedia!”

Cindy, l’attuale fidanzata di Orlando, lo prese per un braccio cercando di farlo scendere, ma lui si divincolò e continuò a cantare, accompagnato da Steve, attuale fidanzato di Sam,  e Joshua.

I walk in the bar and the fella's all cheer, they order me up a whiskey and beer. You ask me why I'm writing this poem, some call it a tavern but I call it home.”

Cindy abbandonò l’impresa e si mise seduta al tavolo con le ragazze.

“L’Irlanda ha finito di rovinarlo”, osservò Samantha, divertita.

“Non l’Irlanda ma mio padre”, precisò Bee ridendo, “Credo che ormai sia ad un passo dall’alcolismo”, sbuffò, “FLOW!”, gridò, “Scendi da quella dannata sedia! Stai traballando!”

Lui le fece la linguaccia senza spostarsi di un centimetro e Bee scosse la testa sconsolata.

“Se ti rompi la testa giuro che ti lascio lì!”

I'll sit down and exercise my Irish pride. Fuck you I’m drunk!” cantò lui per tutta risposta.

“Ci rinuncio!”, si voltò verso di lui, “Hai sentito Flow? CI RINUNCIO! Finisci pure di ubriacarti!”

Cindy, che aveva osservato la scena divertita, si rivolse a Abaigeal.

“Come mai lo chiami Flow?”, le domandò.

Bee sorseggiò lentamente la sua birra, quindi le sorrise, “Dovevo trovargli un soprannome”, spiegò, “Stiamo parlando di una cosa che è avvenuta più o meno due anni fa. Poco dopo che ci siamo conosciuti lui ha cominciato a chiamarmi Bee e io non potevo essere da meno!”

“Figurarsi!”, la sbeffeggiò Samantha.

Abaigeal la guardò di traverso, “Comunque, in quel periodo diceva un sacco di parolacce, così io lo chiamavo fiorellino. Una sera eravamo a cena a casa Bloom…”

“La sera che io e te ci siamo conosciute!”, aggiunse Samantha.

Bee sorrise, annuendo, “Esattamente! Quella sera Sonia disse qualcosa ad Orlando e lui le rispose  male così io gli dissi qualcosa tipo…”

“Mmm…Flow ti è caduto un petalo!”, citò a memoria Samantha.

Cindy scoppiò a ridere di gusto.

Le altre due la imitarono, “E così”, concluse Abaigeal, “Questa è la storia del soprannome floreale di Orlando!”

“Pensavo che lo chiamassi così per via del cognome”, disse Cindy.

“Quella è stata una fortunata coincidenza”, sorrise la ragazza.

Cindy guardò Orlando, poi l’orologio, quindi fece un’espressione affranta.

“Odio rovinargli la festa ma devo andare”, mormorò, “Domani mattina ho un colloquio di lavoro”.

Abaigeal osservò l’orologio, “Concordo. E’ tardi e domani ho l’ultima lezione di corso”, si alzò in piedi, “Flow! Josh! Steve!”, li chiamò, “Alziamo le tende ragazzi! Si è fatto tardi!”

Un mormorio di disapprovazione la convinse che avrebbe dovuto faticare non poco per andarsene. Guardò Samantha, implorante.

“Steve, amore, andiamo!”, disse suadente, “Ho una cosa per te!”

Abaigeal scosse la testa, divertita.

Orlando non apprezzò la battuta di spirito, “Fate sesso voi due?”

Samantha si finse stupita, “Noi? Ovvio che no! Come ti viene in mente?”, lo sbeffeggiò.

“Preferisco non indagare”, borbottò lui.

Meglio per te!”, lo canzonò Steve raggiungendo Samantha.

“Dobbiamo proprio andare?”, domandò Orlando come un bambino costretto dalla mamma a scendere dall’altalena.

“Mi dispiace tesoro”, si scusò Cindy, “Ma domani devo alzarmi presto!”

Lui si strinse nelle spalle, “Io no, però”, osservò, “Non possiamo rimanere noi anche se lei deve andare?”, si rivolse speranzoso al resto del gruppo.

Bee non apprezzò per niente quella mancanza di tatto. Ok, Cindy non era tra le sue persone preferite, ma Orlando doveva andarci cauto. Anche perché lei sembrava completamente cotta.

Lo guardò di traverso, “Cad ghuige faoi Dhia an ndùirt tu sin?”

Cindy la guardò vagamente preoccupata. Quando quei due cominciavano a parlare in gaelico, di solito, non si metteva bene. O forse si. In realtà lei non capiva una sola parola di quello che si dicevano.

Sbirciò Orlando. Lui guardava Bee senza una particolare espressione.

“Ta tuirse orm…”, rispose lui.

“Ina diadh?”, ribatté lei.

“Tà”, disse lui serio.

Abaigeal sbuffò, gettando gli occhi al cielo.

“Mo nàire thù!”, disse poi, “Avanti, andiamo”.

Camminò spedita verso l’uscita, prendendo Cindy sottobraccio e cercando di sorriderle.

“Cosa vi siete detti?”, domandò la ragazza voltandosi per guardare se Orlando le stava seguendo.

Bee si strinse nelle spalle, “Ci mettevamo d’accordo su chi mi avrebbe accompagnato a casa”, mentì. Ok, Orlando era il suo migliore amico, ma queste questioni avrebbe dovuto sbrigarsele da solo. Non era nei suoi doveri di amica scaricare la fidanzata di turno, per Dio.

“Allora, io prendo un taxi come d’accordo”, disse lei quando si accorse che Orlando le aveva raggiunte. Lui abbassò lo sguardo e annuì.

“Ci vediamo domani a pranzo?”, domandò Orlando, “Se Cindy verrà assunta possiamo festeggiare insieme”.

Abaigeal afferrò al volo il significato nascosto dell’espressione di Cindy.

Si ripromise mentalmente che, appena ne avrebbe avuta l’occasione, avrebbe preso a calci nel culo Orlando per l’evidente mancanza di tatto. Cristo! Possibile non capisse che, nel caso fosse stata assunta, quella ragazza avrebbe voluto festeggiare con lui e non con tutta la corte al seguito? Sospirò. Orlando era un ragazzo intelligente ma per certe cose era completamente negato.

“Non credo Flow, ho lezione fino a tardi”, lo fulminò con lo sguardo, “Casomai ci sentiamo per telefono”.

Lui la guardò senza capire ma quando Abaigeal fece per parlare Samantha l’abbracciò per salutarla.

“Vacci piano con lui”, le sussurrò all’orecchio.

“Tranquilla”, sussurrò lei con un sorriso.

Samantha non capiva perfettamente il gaelico ma, a forza di stare con loro due, riusciva ad individuare il senso del discorso.

“Feicfid mè nois moille thù”, disse Bee rivolta ad Orlando.

“Ok, buonanotte!”, la salutò.

Bee abbracciò Cindy, provando un insensato istinto di compassione per lei.

“Ciao Cin, ci vediamo presto!”

Lei le sorrise, e mentre si allontanava la salutò con la mano.

 

 

Samantha si versò del te, quindi offrì la teiera ad Abaigeal che la rifiutò con un cenno della mano.

Erano nel salotto di Bee da più o meno due ore, in attesa che il professor Smith le inviasse per fax i risultati dell’esame.

Bee era tesissima. Si rigirava le maniche della felpa con fare nervoso, sbirciando l’orologio almeno una volta ogni tre minuti. Samantha  le sorrise. Sapeva che l’esito di quel test significava tantissimo per la sua amica ed era contenta di essere lì con lei, a condividere quelle ore di attesa. Diversamente da Orlando che, invece, era smarrito chissà dove a Downtown.

“Hai sentito Gibbo?”, domandò.

Abaigeal si strinse nelle spalle. No.

Erano otto giorni che non lo sentiva e che non lo vedeva.

Precisamente, dalla sera in cui avevano festeggiato l’ingresso alla BADA. E doveva ammettere che le mancava. Le mancava infinitamente. Non poter condividere con lui gli stati d’animo del momento le sembrava assurdo. E la sua assenza non faceva altro che amplificare quegli stati d’animo negativi che Orlando placava con quattro parole ben indirizzate.

“Si può sapere cos’è successo l’altra sera?”, domandò Sam, spazientita.

Bee sospirò. Naturale che Sam voleva notizie.

“Abbiamo avuto una grossa discussione sul senso delle sue relazioni amorose”, buttò lì.

Samantha si fece più attenta.

Non che avesse più speranze, ormai. All’inizio, doveva ammetterlo, ci aveva sperato che tra quei due succedesse qualcosa. Che la famosa scintilla scoccasse. Poi, però, aveva docilmente abbandonato l’idea. Il legame che si indovinava tra Bee ed Orlando era molto più profondo, nascosto, con radici ben solide. Erano più che amanti, più che fratelli, più che amici. Andavano semplicemente oltre le classiche definizioni di ‘rapporto interpersonale’. Erano loro due. Uno strano caso dove pregi ed idiosincrasie s’incastravano alla perfezione senza aver bisogno del sesso per fare da legante. Loro avevano il sentimento.

Ed era abbastanza.

Si riscosse dai suoi pensieri e guardò Bee.

Era affranta.

Ecco, si, la parola giusta era proprio quella.

Affranta.

“Da quando in qua le relazioni di mio fratello hanno un senso?”, domandò cercando di dare alla conversazione un tono leggero.

Dall’espressione di Abaigeal però, intuì che quello che era accaduto tra loro, fosse tutt’altro che leggero.

“Appunto”, confermò Bee mettendosi i capelli dietro le orecchie, “Non è mai accaduto che le relazioni di tuo fratello avessero un senso, ed è per questo che l’altra sera mi sono incazzata a morte. Odio vederlo sprecare così il suo tempo con queste biondine scialbe e senza cervello”.

Wow!

Sam era senza parole. Da che la conosceva, era la prima volta che sentiva Bee parlare in quel modo.

“E quindi?”, indagò.

“Quindi gli ho detto di non prendere in giro le persone se non è veramente interessato a loro”, guardò Sam negli occhi, “Non ha senso, capisci? Adesso gli va bene così, adesso si diverte come un pazzo ma qualcuno deve pagare il prezzo per il suo divertimento e questo non va affatto bene. L’Orlando che conosco io, l’Orlando vero, non ferirebbe nessuno consapevolmente e non capisco perché da un anno a questa parte si è messo a fare il cretino”.

Samantha annuì. Anche lei, dal canto suo, aveva provato a far capire al fratello che le relazioni da una settimana e via non gli avrebbero portato niente di buono.

“Lui pensa di arricchirsi frequentando tre ragazze diverse al mese e invece non fa altro che inaridirsi”,  mormorò Bee.

Appunto.

“Comunque, la discussione è terminata con una sua invettiva contro la sottoscritta che è durata più o meno mezz’ora, dopodiché è uscito da quella porta dicendomi di non interferire mai più con le sue scelte. ‘Se mi voglio scopare tutta Londra non è affar tuo’ mi ha detto”, Bee si accese una sigaretta, “Va bene, vuole la guerra? Che si accomodi pure. Di sicuro non sarò io a cercarlo”.

“Non per essere indiscreta”, attaccò Samantha titubante, “Ma cos’è che ti ha detto esattamente nella sua invettiva di mezz’ora?”

Inaspettatamente Abaigeal rise.

“Sei sicura di volerlo sapere?”

A quella domanda, Sam dubitò. Sapeva con certezza che Orlando ci era andato giù pesante.

Interpretando il suo silenzio come un segno di assenso, Bee continuò, “Mi ha detto che non sono sua madre, che ultimamente lo soffoco e che non posso sempre pretendere di avere il consiglio giusto a portata di mano. Mi ha detto che sono l’ultima persona a poterlo giudicare visto il mio comportamento con Thomas e che non avrebbe ascoltato nemmeno una parola che avesse avuto a che fare con la sua ‘sfera privata’”, ridacchiò, “Ha detto proprio ‘sfera privata’, ti rendi conto?”, lo sguardo di Bee s’indurì, “Io sono la sua sfera privata, dannazione! Da che lo conosco non siamo stati più di un giorno senza sentirci o vederci. Ci basta un secondo per intuire i pensieri dell’altro e lui se ne esce con queste boiate da telefilm di terza categoria?”

“Magari era solo…”, Sam tentennò, “Ubriaco?”

Abaigeal la guardò in tralice, “E ti sembra una giustificazione?”

“No, assolutamente”, si affrettò ad aggiungere, “Però magari…si è sentito sotto accusa”, sospirò, “Lo sai com’è Gibbo, non riesce ad accettare che qualcuno pensi male di lui”.

“Come vuoi, ma resta il fatto che è andato oltre il consentito”, sentenziò decisa Bee.

Prima che Samantha potesse rispondere il telefono dell’amica squillò.

Bee si precipitò a rispondere.

“Pronto?”

La sua smorfia fece intuire a Samantha che era qualcuno di poco gradito.

“No, Tom, non parliamo. Ti ho detto di non cercarmi, quindi per cortesia, cerca di rispettare il mio volere”.

Ah-ah.

Thomas.

Samantha mascherò un sorriso.

Orlando lo chiamava il Santo, come San Tommaso perché lui, come l’omonimo, non riusciva a credere a niente che non gli passasse sotto il muso.
Si erano chiesti spesso come facesse Bee a stare con un tipo del genere, ma proprio quando si erano rassegnati all’idea di vederli insieme, lei, senza alcun preavviso, lo aveva mollato dicendo che non si sintonizzava col suo lato spirituale.

Detta da Bee suonava mortalmente valida, come spiegazione. L’avesse detta chiunque altro, ci avrebbero riso sopra per mezz’ora.

“Ciao Tom”, la sentì dire.

“Non molla è?”, domandò Sam, versandosi dell’altro caffè.

Abaigeal scosse la testa, “E’ come una maledetta cozza su uno scoglio. Non riesco a staccarlo nemmeno con la cattiveria”, fece un verso gutturale, simile al verso del leone, “Lo odio!”

Samantha rise, poi la sua attenzione fu catturata dalla spia del fax che lampeggiava.

“Ci siamo”, mormorò.

Abaigeal scattò verso il dispositivo, muovendosi agitata come se in quel modo potesse velocizzare il procedimento.
Quando la macchina sputò il foglio, Bee lo prese al volo e lo lesse.

Sul viso un’espressione immobile. Sembrava di pietra.

Dopo secondi che parvero ad entrambe interminabili, Bee esultò, corse verso di lei e le si buttò addosso, sdraiandola sul divano.

“Presaaaaa!”, gridò, “E’ fatta!!!”

“Congratulazioni tesoro!”, le fece eco Sam.

La ragazza scattò in piedi, “Vado a vestirmi. Ho necessità di bagnare alcolicamente questa vittoria!”
Senza smettere di ridere Sam la guardò sparire nel breve corridoio che la portava alla camera.

Per un secondo, si domandò come avrebbe preso Orlando la notizia.

 

 

 

Sapeva che l’avrebbe trovata lì.

Abaigeal Gallagher era probabilmente la più assidua frequentatrice del Greenwich Park, soprattutto nell’ora del tramonto.
Non di rado, quando la sua Religione celebrava feste particolarmente importanti, si nascondeva fino all’ora di chiusura, per poi uscire fuori e compiere i suoi rituali.
Lui non aveva mai assistito, nonostante le insistenze.
Bee diceva che per prendere parte a queste cose dovevi crederci davvero, e che la sua missione non era quella di reclutare nuovi accoliti e meno che mai curiosi. In quei momenti voleva starsene in pace a contatto con la Natura e con la sua mente ed Orlando aveva sempre desistito.

La capiva, dopotutto.

Per questo non aveva avuto alcun dubbio a scavalcare il cancello del parco per avventurarsi tra i sentieri. Dopo una benedizione come il diploma alla scuola di scrittura creativa, era ovvio che Bee volesse ringraziare i suoi déi.
Intuì dalla sua posizione che non stava meditando. Probabilmente, questo era il momento che lei gli aveva descritto tante volte, prima di chiudere il cerchio, rimaneva sintonizzata con la Natura, per trarne forza.
Attese pazientemente che lei compisse i gesti necessari per terminare il rito, quindi si avvicinò con cautela. Non voleva spaventarla.

Go malté tù”, mormorò una volta vicino a lei.

Go raibh maith agat”, rispose lei senza voltarsi.

Orlando sorrise. Probabilmente aveva percepito la sua presenza già da prima. Non credeva avesse a che fare con qualcosa di magico, piuttosto era sempre stato convinto che avesse a che fare con loro due, specialmente perché anche lui riusciva sempre a sentirla.

“Hai intenzione di tirarmi la statuina in testa?”

Lei si voltò, “Perché fare più danni?”, scherzò, “La tua testa è già messa male senza che intervenga io!”

Orlando le prese una mano, la trasse a se e l’abbracciò forte.

“Mi dispiace sùile gorma!”, mormorò al suo orecchio.

Abaigeal sorrise, “Dispiace anche a me!”

Si slacciarono dall’abbraccio e Bee prese a raccogliere i ninnoli che le erano serviti per aprire il cerchio.

“Sono contento che ti diplomerai”, buttò lì Orlando. In realtà avrebbe voluto parlare d’altro ma comunque quell’evento andava, in qualche modo, celebrato.

“Lo so”, disse lei, “Sono contenta anche io. Mi sento carica come una presa da muro!”

Lui ridacchiò, “Bee mi dispiace veramente per quello che è successo la settimana scorsa. Non volevo rivolgermi a te in quel modo”.

“Volevi eccome, invece”, obbiettò lei. Ma non era arrabbiata, “Volevi dire tutto quello che hai detto e devo ammettere che hai ragione, Flow. Non posso stare qui e tentare ogni volta di salvarti dalle sciagure e neanche tu puoi fare lo stesso”, deglutì, “Ma posso avvertirti se mi rendo conto che la marea si sta alzando e mi sento in dovere di farlo”.

“Lo so”, assentì lui, “E non sai come ti sono riconoscente per questo!”

“Non è vero, ma fingerò di crederci!”, ridacchiò lei.

“Fidati Bee…alle volte, quando non posso consigliarmi con te, mi sembra di avere un Pixie come guida!”

Abaigeal scoppiò a ridere, “Mio padre ti ha decisamente influenzato, ammettilo!”

Orlando ridacchiò, “Lo confesso! In quattro giorni mi ha dato degli ottimi insegnamenti, e poi…”, accennò con la testa alla borsa di Bee, “Lui mi avrebbe permesso di assistere al rito di Mambo!”

Lei gli diede un buffetto sul braccio, “Non siamo mica ad una scuola di ballo, si dice Mabon, e comunque non mi sembrava proprio il caso. Tu non sei wicca!”

“Non lo so neanche io che sono!”, mormorò lui, mogio.

“Flow che capita?”, domandò Abaigeal interessata.

Lui si strinse nelle spalle, “Capita che hai ragione te Bee. Che ho fatto il cretino per un anno perdendo di vista le cose più importanti.”

Lei sospirò, sedendosi a terra sopra il plaid e invitandolo a fare lo stesso.

“Magari avevi bisogno di farti guidare da un Pixie per un po’!”, scherzò lei, “Non possiamo mica stare sempre sulla strada giusta. Sono i deragliamenti che ci rendono reali”.

Lui annuì, “Si, è vero, ma è anche vero che ti ho trattata veramente male e non lo meritavi!”

“Opperpiacere!! Sono saltata dalla parte del grillo come la peggiore bigotta del mondo senza nemmeno darti la possibilità di spiegare. Noi non siamo mica così, Flow. Noi ci prendiamo a male parole anche per un’ora, se necessario, ma poi cerchiamo di capirci. L’altra sera mi è andato il sangue al cervello per una stronzata e ti ho aggredito, ma in realtà non ce l’avevo con te. Ce l’avevo con quello che in quel momento stavi rappresentando”.

“Uno stronzo della peggior specie?”

“Appunto!”, rise lei.

“L’ho capito Bee, è solo che ho fatto passare un po’ di giorni per capire meglio anche me stesso, per metabolizzare”.

“Hai fatto bene”, concluse lei.

Lui le passò un braccio attorno alle spalle.

Stare con Bee era rilassante. Poteva essere sempre se stesso senza paura di deluderla perché, in realtà, comprese che sarebbe semplicemente bastato parlare.

Condividere.

E quindi evitare malintesi.

“Te la ricordi quella canzone che sentivamo sempre a Galway?”, le domandò, assorto a guardare la luna.

“Ne ho una migliore…”, disse lei, comprendendo a quale canzone alludeva.

“Sarebbe?”, domandò lui.

“Magari, se fai il bravo, un giorno te la faccio ascoltare!!”

Orlando rise, spingendola di lato.

“Mi sei mancata, sùile gorma!”

“Anche tu a muirnìn!”

 

 

 

 

 

NDA.

 

Capitolo decisamente in gaelic style, questo! But don’t worry girls, ecco a voi la traduzione di ogni frase…più o meno! Se alla fine vi rendete conto che ne ho lasciata qualcuna…bhè, sono quelle frasi che vi dicevo avranno un senso più profondo alla fine della storia!

Serene…sono belle sorprese! ;)

 

 

Cad ghuige faoi Dhia an ndùirt tu sin?: cosa diavolo vai blaterando?

Ta tuirse orm: sono solo stanco.

Ina diadh: di lei?

: si

Mo nàire thù: vergognati!

Feicfid mè nois moille thù: ci vediamo dopo io e te.

Go malté tù: Congratulazioni

Go raibh maith agat: mille volte grazie.

 

 E grazie per i commenti e per le letture...intuisco dall'impennata che la storia vi sta piacendo! Non sapete come sono contenta, di questo!

Alla prossima!

Un abbraccio

Amaranta

 

 

 

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Capitolo 5
*** In the middle of the night ***


inthemiddl5

IN THE MIDDLE OF THE NIGHT




I know I’m searching for something
Something so undefined
That it can only be seen
By the eyes of the blind
In the middle of the night”

 

Billy Joel, ‘In the Midlle of the night”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Galway, Marzo 1997

 

 

Respirò profondamente un paio di volte, quindi lentamente riaprì gli occhi.

La costa si stagliava meravigliosa di fronte a lei che, improvvisamente, si sentì piccola e sperduta.

Era questo l’effetto che la sua terra le faceva da sempre. La riempiva di energia e, nello stesso tempo, le faceva capire di essere un piccolo granello in mezzo ad un’immensa spiaggia. Poco male…anche se piccola, aveva l’audacia di un leone.

Ridacchiò.

Orlando, poco prima che partisse per tornare a casa dai suoi, le aveva detto che in una vita passata doveva essere stata una pantera o qualcosa del genere.

Sul serio Bee”, aveva detto, “Fatti crescere le unghie di un paio di centimetri e potresti tranquillamente passare per un animale della foresta!”.

A quella battuta, lo aveva sbattuto con poca gentilezza sul divano, gli era saltata sopra e lo aveva preso a cuscinate per almeno dieci minuti.

Lui si muoveva, si girava, rideva e tentava di ripararsi con le mani.

Avevano riso come pazzi, quel giorno.

O meglio, loro due ridevano quasi sempre come pazzi. Ogni scusa era buona per pungolarsi, sfottersi e finire inevitabilmente a battibeccare per ore ed ore.

Com’era cresciuto quel rapporto…

Si erano incontrati a sedici anni, poco più che bambini. Avevano attraversato insieme l’adolescenza, passando oltre ad amori difficili, storie impossibili e sogni ambiziosi.

Avevano lottato per arrivare dov’erano e avrebbero continuato a lottare per arrivare ancora più in alto, imparando giorno dopo giorno a volare senza aver paura di cadere a terra.

E dire che di ferite ne avevano collezionate a sufficienza, ma in ogni caso, erano entrambi consci di doverne collezionare ancora altre.

E in quegli anni, passo dopo passo, giorno dopo giorno, Abaigeal aveva imparato ad amare quel buffo ragazzo con tutta l’anima.

Era come il punto fermo che fissi quando cominci a ruotare vorticosamente su se stessa. Una certezza.

Una costante.

Era sicura al cento per cento che non avrebbe mai amato nessuno come amava lui. Semplicemente perché quello non era un amore convenzionale. Non era l’amore normale di cui tutti, in giro, si riempivano la bocca. Il loro era l’amore affettuoso di un fratello e una sorella, l’amore divertente di due amici che crescono insieme, l’amore solido di due persone che con il tempo avevano imparato a conoscersi profondamente. L’amore consapevole di due ragazzi che litigavano di continuo, che avevano ricorrenti divergenze ma che, nella loro infantilità, riuscivano anche ad appianarle parlando e parlando e parlando ancora.

Abaigeal considerò che non aveva mai parlato con nessuno come parlava con Orlando. Fin dall’inizio della loro amicizia, era stato naturale intavolare conversazioni sugli argomenti più astrusi. Già da quella mattina al bar.

La mattina in cui Orlando aveva letto un pezzo di se stessa senza essere autorizzato. In seguito non era mai più accaduto. Ogni volta che lui trovava in giro qualche foglio scritto, le chiedeva sempre il permesso di leggerlo. Bee trovava tenero quel pudore. In ogni caso, Orlando conosceva a memoria i suoi pensieri, perciò non ci vedeva nulla di strano se a leggere le sue parole era lui. Era un po’ come se a leggere fosse un’altra parte di se stessa.

Con una punta d’ansia si chiese se, con il tempo, quell’amicizia così fraterna potesse essere incrinata dalla classica elettricità che si scatena tra uomo e donna. Non erano più bambini, adesso. Erano adulti.

Avevano ventuno e venti anni e, si sa, a quest’età certi malintesi possono crearsi.

Corrugò la fronte, cercando di scacciare quel pensiero così scomodo.

Balle!

Aveva sempre detto che lei ed Orlando erano fuori dal mondo, che non potevano essere classificati in nessuna delle etichette che la società moderna aveva inventato perciò non c’era da preoccuparsi. No davvero!

Aingeal!” , la chiamò suo padre, facendosi strada per raggiungerla.

Athair!”, rispose lei sorridendo.

Kevin si guardò intorno, quindi scelse una parte dello scoglio più levigata delle altre per sedersi.

“Cosa fai, bambina?”, le domandò.

Bee si strinse nelle spalle, “Guardavo il panorama e riflettevo un po’ sulla mia vita”.

Kevin annuì con un sorriso, “E’ stato sempre il tuo posto preferito questo”, osservò in basso, “C’è ancora la tua barchetta rossa attaccata agli scogli laggiù. Il nonno la controlla quasi tutti i giorni quando porta le pecore al pascolo!”

Abaigeal sorrise teneramente. Aveva viaggiato in lungo e largo per le coste della baia con quella piccola barca. Le ricordava la sua infanzia. Fugacemente, pensò che una volta avrebbe dovuto portarci anche Orlando, la sopra.

“E’ proprio un peccato che Blàt non sia potuto venire per il compleanno della mamma”, disse Kevin, facendo eco ai suoi pensieri.

Abaigeal ridacchiò. Suo padre e il vizio di tradurre in gaelico qualsiasi cosa. Blàt, altro non era che la traduzione di Flow. Orlando, la prima volta che suo padre lo aveva chiamato così, era impazzito dall’entusiasmo.

“Già è un peccato”, assentì lei, “Ma lo sai come funziona. Alla BADA non può permettersi cazzate!”

“Ha un talento innato nell’esprimere le emozioni di un personaggio”, disse Kevin, “Potrebbe commettere cazzate a più non posso e nessuno gli toglierebbe mai quello che ha”.

Abaigeal alzò un sopracciglio, “Non gli toglieranno il talento ma gli toglierebbero la carriera!”

Kevin sorrise. Conosceva la sua piccola meglio di qualunque altra persona.

“E’ questa la cosa più importante? La carriera?”, le domandò.

“No…non la più importante”, Bee sorrise, “Ma è tra le cose importanti”.

“Così giovani e già così decisi!”

“Reputati fortunato!”, lo canzonò Bee, “Preferiresti una figlia che se la spassa tutte le notti nei pub di Temple Bar?”

Kevin fece spallucce, “Almeno saresti conforme alla tradizione alcolica irlandese”, osservò.

Lei scosse la testa divertita, “My whiskey is the Devil!”

“Oh, puoi giurarci!”, commentò l’uomo ridendo.

“Athair, ti ricordi qual’era la canzone che hai cantato ad Orlando la prima volta che siamo venuti?”

“Tu non la ricordi?”, domandò lui sorpreso.

Lei si strinse nelle spalle, “Ricordo la melodia, ma non ricordo le parole esatte”, spiegò.

Kevin la trasse a se abbracciandola, quindi con lo sguardo perso verso il mare, cominciò a cantare per quella giovane figlia che aveva spiccato il volo.

 

 

 

Londra, Marzo 1997

 

Orlando si verso una tazza di caffè quindi ciondolò verso il salotto e si lasciò cadere sul divano blu. Gli faceva strano starsene tutto solo in casa. Di solito, a quest’ora, era già con Bee in giro per la città o magari a casa di lei a guadarsi un film.

Ridacchiò al pensiero dell’ultima sera che erano stati insieme prima che lei partisse per Galway. Lui avrebbe voluto vedere per l’ennesima volta Stand By Me, lei si era intestardita e gli aveva comunicato che se avesse visto quel film un’altra volta, sarebbe stata costretta ad ignorarlo per almeno quindici anni.

Potrei avere un colpo da rigetto!”, gli aveva spiegato.

Tuttavia, dopo un’estenuante lotta che aveva previsto anche una mezza fuga da parte di lei con i cavi del videoregistratore era riuscito a calmarla e a fargli vedere il film. Ma Abaigeal Gallagher era tutt’altro che una ragazza che cedeva.

Anzi.

Per tutta la durata del film aveva anticipato ogni battuta ed ogni sospiro, costringendolo ad una visione piuttosto movimentata.

Cocciuta donna!

Eppure, adesso che era partita, le mancava.

Ok, sarebbe stata via solo una settimana ma comunque per lui era un tempo infinito. Alle volte gli sembrava di non riuscire a prendere una decisione senza aver consultato anche lei. Da non credere….

Ma sapeva che il bello del loro rapporto era proprio questo. L’esserci senza aver bisogno di cercarsi, l’esserci senza per questo invadere gli spazi dell’altro.

Riuscivano tranquillamente a coniugare tutti i tasselli delle loro vite senza interferire minimamente. Si davano consigli, avvertimenti, litigavano come una coppia sposata da vent’anni ma non per questo si sentivano in diritto di mettersi i bastoni tra le ruote.

Spesso, molto spesso, Orlando pensava a come sarebbe stato meraviglioso se il loro rapporto fosse evoluto in qualcosa di più esclusivo, salvo poi ricordare a se stesso che loro due di esclusività ne erano ben sazi.

A quanto ne sapeva lui, non esistevano nel mondo ragazzi di vent’anni in grado di mantenere quel rapporto senza commettere cazzate fisiche.

Non che ci fosse stato niente di male, beninteso.

Probabilmente andare a letto con Abaigeal sarebbe stata la cosa più naturale del mondo ma, stranamente, non ne sentiva il bisogno. Quello che avevano costruito in quei quattro anni di amicizia vera, era sufficiente a sopperire quei pensieri così inadeguati.

Bee era come una sorella per lui. Un’amica fidata e sempre presente. Un amore inspiegabile che andava protetto e cullato.

Era Bee, punto e basta.

Non aveva certo bisogno di spiegazioni per capire il loro rapporto.

Senza badarci troppo spinse play dal telecomando del videoregistratore.

Stand By Me era quasi alla fine. Ridacchiò al pensiero di Bee che, come minimo, avrebbe lanciato un bicchiere contro la televisione accesa.

Si accomodò sul divano e guardò la scena. Una delle scene più belle che avesse mai visto in un film. River Phoenix era spettacolare in quel ruolo. Gli sarebbe piaciuto avere anche solo un quarto del suo talento.

E quella scena….

“Ti rivedrò ancora?”, domanda Gordie.

E Chris/River risponde, “Basta volerlo…”

Orlando sospirò.

Basta volerlo….

Il telefono prese a squillare facendolo quasi sobbalzare tant’era assorto nei suoi pensieri. Acciuffò il cordless dal pavimento, quindi rispose. Magari era Bee…

“Si?”

Qualcuno dall’altro lato disse qualcosa concitatamente. Orlando spalancò gli occhi, ridacchiò, rise ed infine esclamò un, “Porca puttana non ci posso credere!”, che sintetizzava perfettamente lo stato d’animo del momento.

“Quando devo venire?”

Annuì un paio di volte, ascoltò attentamente quindi salutò e chiuse la conversazione.

Rimase un secondo immobile, quindi schizzò in piedi e prese a saltellare per la stanza come un pazzo in preda ad una crisi a livello cinque.

Con le mani tremanti compose il numero di casa di Bee e aspettò che qualcuno rispondesse.

“Dia daoibh”, rispose Leah Gallagher.

“Hòigh Signora Gallagher, sono Orlando. Come sta?”

“Blàt!”, esclamò la donna felice, “Caro ragazzo! Taim go mhaith! E tu? Conas a ta tù?”

Orlando rise. Adorava sentire parlare il gaelico da quella signora. Sembrava cantasse!

“Sto benissimo la ringrazio. Mi dispiace di non essere potuto venire con Abaigeal per festeggiare il suo compleanno!”

“Non preoccuparti, caro, avremo occasione per stare insieme! Presto verremo a Londra con Kevin”, confessò.

Orlando esultò, “Iontach!”, ridacchiò, “Questa si che è una notizia!”

Leah rise, “Vuoi parlare con Abe?”

“Si, per piacere. E’ in casa?”

“Te la chiamo subito, caro. Bheith faichilleacht tù!”, si raccomandò la donna.

“Si, non si preoccupi! Saluti Kevin da parte mia! Arrivederci!”

“Ciao caro!”

La sentì chiamare Bee, e poco dopo la voce dell’amica gli riempì le orecchie.

“Flow! Que pasa?”

“Non dovresti essere in Irlanda?”

“Si, quindi?”

“Quindi perché parli spagnolo?”

Bee ridacchiò, “Per dare un tocco di originalità alla mia persona. Non suonava bene?”

“Suonava bene, si!”, rise Orlando.

“Allora Flow, cosa c’è? So riconoscere il tono di voce che hai…”

“Che tono di voce avrei?”, indagò lui, suo malgrado affascinato dall’idea di tenerla sulle spine.

“Quello che usi ogni volta che stai per dirmi qualcosa di incredibilmente meraviglioso o di incredibilmente disastroso. Sono svantaggiata, non posso vedere i tuoi occhi da qui, altrimenti sarei già più tranquilla”.

“Ok…mi hai beccato. Devo dirti una cosa importante”.

“Sputa il rospo Flow!”, lo incitò lei.

“Sei seduta?”

“Sputa!”, gli ordinò.

“Domani mattina ho il provino definitivo per Wilde!”, prese fiato, “Mi hanno preso!!”

L’urlo di Abaigeal lo convinse in un secondo che sarebbe stato il primo caso umano di attore sordo.

Altro che Beethowen!

 

 

NDA

 

Eccoci qua con un nuovo aggiornamento! Continuiamo sulla strada dei ricordi, che è sempre quella più dolorosa ma è anche l’unica che ci permette di capirci qualcosa di più.

Vi ringrazio donne…vi ringrazio con le mani giunte e con una vaga sensazione di commozione. Almeno voi, in questo periodo del cavolo, mi strappate sempre un sorriso! Grazie!

 

A chi lo chiedeva… bhè, il gaelico è un po’ la lingua dei miei sogni. L’ho imparata anni fa in maniera sommaria e tutt’oggi ogni tanto la tiro fuori. Prendetela com’è…di sicuro c’è qualche errore in mezzo, ma dovevo necessariamente infilarcela. L’Irlanda, Bee, Flow…sono un sogno e meritavano di avere la lingua dei sogni per parlare!

 

Ecco le traduzioni delle frasi in gaelico:

 

 

Aingeal: angelo

Athair: papà

Dia daoibh: pronto? (in realtà è il gaelico per ‘hello’, che in inglese si usa anche per rispondere al telefono)

Hòigh: salve!

Taim go mhaith: io sto bene.

Conas a ta tù: tu come stai?

Iontach: fantastico!

Bheith faichilleacht tù: prenditi cura di te!

I

 

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Capitolo 6
*** Question ***


question6

QUESTION

 

 

Someday, somebody’s gonna ask you

A question

That you should say yes to

Once in your life

Maybe tonight

I’ve got a question for you”

 

Rhett Miller; ‘Question’

 

 

 

 

 

Londra, Settembre 1997

 

 

“Ok, adesso fate silenzio”, disse Bee passando una ciotola di pop corn a Samantha.

Erano tutti a casa sua, Kevin, Leah, Samantha, Orlando, Sonia ed Harry, per vedere insieme il film a cui aveva partecipato Orlando: “Wilde”. Lui se ne stava immobile sul divano, in faccia un’espressione tesa e preoccupata. Bee conosceva quell’espressione, era la stessa che si dipingeva sul suo volto quando dava a qualcuno uno dei suoi racconti da leggere.

Era l’espressione dell’artista in attesa di giudizio.

Si accomodò accanto a lui, sorridendogli incoraggiante.

Naturalmente lei aveva già visto il film ed aveva trovato l’interpretazione di Orlando ottima. A suo parere, era pronto per compiere il grande salto. Certo, avrebbe sicuramente dovuto migliorare qualcosa, ma in fondo, essere attori significava crescere continuamente come artisti e lei, per quanto la riguardava, era assolutamente sicura delle capacità di Orlando.

I titoli di testa partirono e la stanza si fece immediatamente silenziosa.

Orlando si guardò intorno con discrezione.

Sam e Kevin stavano mangiando pop corn, lo sguardo assorto verso il televisore e le mani infilate nella ciotola. Per contro, dall’altro lato, c’erano sua madre, Leah e suo padre che avevano un’espressione carica di aspettativa.

Accanto a lui, Bee, non aveva smesso un secondo di giocherellare con i suoi capelli da che si era seduta. La ringraziò mentalmente.

“I cerchietti”, come li chiamava lei, erano una delle poche cose che riuscivano veramente a calmarlo.

Assurdamente, si chiese se fosse davvero portato per quel lavoro. In fin dei conti, in quella stanza erano solo sette persone che, tra l’altro, lo adoravano. Cosa sarebbe successo quando avrebbe dovuto prendere parte ad una prima?

Sarebbe impazzito, ecco.

Come minimo avrebbe avuto una crisi isterica al minuto… e pensare poi che a teatro non era quasi mai così agitato. Nervoso si, preoccupato pure, ma agitato a tal punto da avere quasi una crisi isterica no. Mai.

Si accomodò contro il petto di Bee, quindi si girò per parlarle nell’orecchio.

“Dici che a loro piacerà?”

Lei inghiottì il boccone di pop corn, senza smettere di carezzargli i capelli, “Ovvio che si. Sei tu. Piaci a tutti!”

Orlando soffocò una risatina.

Incredibile come alle volte, anche una semplice menzogna possa aiutarci a trovare un po’ di coraggio.

“Bee, ricordami di farti un regalo…”, sussurrò.

“Perché?”

“Perché anche quando mi riempi di cazzate mi fai stare meglio!”, confessò.

Il petto di Bee venne scosso da una risatina soffocata, “Io non dico cazzate Flow. O almeno non le dico a te”.

Lui alzò un sopracciglio, “Piaci a tutti”, citò, “Come no, Bee…”

“Ne riparliamo tra dieci anni, quando avrai uno stuolo di fans adoranti che apriranno fan clubs in tuo nome!”

“Come no, Bee…”

“Abbi fiducia in questa sobria irlandese, cocciuto di un ragazzo!”

Orlando scosse la testa, quindi guardò verso lo schermo del televisore.

Le scene andavano avanti piano, gli sembrò che quel dannato film fosse ogni volta più lento della precedente. Sospirò, quindi si voltò, intercettando lo sguardo di Sam.

Lei lo guardò e gli sorrise, facendogli l’occhiolino.

Anche lui sorrise, poi con lo sguardo fece una rapida carrellata delle persone che aveva intorno.

Tra sé e sé, si ripromise di ringraziarle una ad una se mai avesse veramente vinto un Oscar, come sosteneva Bee.

Perché erano loro, tutte loro, la vera forza alla quale attingere ogni volta che si sentiva sperduto.

Ogni volta che aveva l’impressione che a guidarlo era un Pixie e non la sua coscienza.

 

 

 

“Sei sicura che è qui?”, domandò Leah a sua figlia mentre camminava piano per il Greenwich Park.

Dopo la proiezione, Leah aveva chiesto a Abaigeal di portarla nel suo luogo di potere per poter ringraziare la Dea del talento che aveva donato ad Orlando.

Inutile dire che erano rimasti tutti enormemente soddisfatti dal suo ruolo. Sua madre aveva pianto come una fontana per mezz’ora ripetendo, “Mio figlio è un attore”. Suo padre, invece, gli aveva assestato un paio di potenti pacche sulle spalle e si era congratulato. “Sono fiero di te, figliolo”, gli aveva detto.

Sam, dal canto suo, aveva passato l’ora seguente alla fine del film a chiamarlo “attoruncolo mio”, e chiedendogli uno sforzo più duro del previsto per evitare di lanciarla dalla finestra.

Ora lui e la famiglia Gallagher, si stavano recando nel luogo di potere di Bee.

Samantha, invece, aveva accompagnato i loro genitori a casa.

“Siamo sicuri che questa sia una cosa legale?”, domandò Kevin seguendo la sagoma della figlia e avvicinandosi ad Orlando.

“No athair, non è legale perciò evita di sgolarti”, l’ammonì lei.

Kevin scosse la testa guardando Orlando, “Donne!”, mormorò, “Aingeal, ti ricordi quando ti dicevo di conformarti alla media nazionale irlandese?”

“Si, quindi?”

“Quindi intendevo bere ettolitri di birra, leanbh, non farsi arrestare dai bobbies per essersi introdotti abusivamente in un parco”.

“Oh smettila Kev”, lo zittì Leah, “Facciamo un’offerta alla Dea e torniamo. Ci metteremo al massimo mezz’ora e cercheremo di fare il più piano possibile!”

“Posso assistere anche io?”, domandò Orlando, speranzoso.

“No”, disse Bee severa, “Tu e mio padre ci aspetterete qui. Noi torniamo presto”.

I due uomini si arrestarono, rimanendo a fissare le schiene delle due donne che si allontanavano.

Blàt, hai notato che ogni volta che ci sei tu estromettono anche me?”, osservò Kevin sedendosi a terra.

Orlando lo imitò quindi si mise a ridere, “Mi dispiace. Magari prima o poi cambia idea”, azzardò.

“Chi? Mia figlia?”, Kevin scoppiò a ridere, “Non sperarci. E’ testarda come un mulo”.

“Oh se non lo so!”, assentì l’altro.

Rimasero un po’ in silenzio, ascoltando i rumori della natura. Orlando lo trovò un momento molto mistico…gli sembrava di poter sentire quell’energia di cui tanto parlava Bee.

“Sai Blàt?”, mormorò Kevin, “Sono veramente contento della vostra amicizia”.

Orlando sorrise senza parlare. Intuiva che il discorso non era finito lì.

“Un giorno, parlando con Leah, ci chiedevamo cosa sarebbe successo una volta che foste cresciuti e che gli ormoni si sarebbero impossessati del tuo cervello”, ridacchiò, “ma questi voli mentali me li faccio solo quando rimango troppo tempo senza vedervi. Perché ti assicuro che basta una veloce occhiata per capire che voi due siete completamente fuori dai canoni, ha ragione Aingeal”.

“Bee dice che siamo fuori dai canoni?”. Era inutile domandarlo, lo sapeva anche lui, ma l’incuriosiva sapere quello che lei diceva agli altri di loro.

Kevin annuì, “Sua madre una volta gli chiese se per caso c’era del tenero tra voi due e lei sai cosa gli ha risposto? ‘Definisci il tuo concetto di tenero ma non te la prendere se non è concorde con il nostro’”, rise.

Anche Orlando rise. Quella era la tattica di Bee che preferiva. Ogni volta che qualcuno le domandava qualcosa di insidioso lei se la cavava sempre con quella battuta.

“Ci hai mai pensato?”, proseguì Kevin.

“A cosa?”, domandò lui.

“A voi due insieme. Insieme come le persone normali…”

Orlando sospirò. Non si sentiva per niente in imbarazzo a parlare con Kevin di quelle cose, ma lo spaventava l’evenienza che lui potesse dire qualcosa a Bee.

“Non le dirò nulla”, promise l’uomo, intuendo il corso dei suoi pensieri.

Orlando ridacchiò. Un’altra particolarità dei Gallagher che adorava. Capivano al volo ogni pensiero.

“Ci ho pensato, qualche volta”, ammise, “Ma non credo che sarebbe possibile. Con Bee siamo andati oltre il concetto di normalità alla fine del secondo anno di amicizia. Non credo che molti ragazzi della nostra età riuscirebbero a mantenere un legame come il nostro”.

Kevin annuì solennemente, “Vero. Devo darvene atto. Ma rispondi sinceramente anche a quest’altra domanda: hai mai pensato che prima o poi potrebbe succedere?”

Orlando scosse la testa, “Sinceramente no”, sorrise, “Credo che il periodo di elettricità sia passato ormai!”

Kevin gli diede una pacca sulla spalla, “Fidati figliolo, l’elettricità si sopisce ma non passa mai. Io e Leah siamo insieme da trent’anni e non è mai passata. Neanche per una settimana!”

Imbarazzato Orlando abbassò la testa.

“Non arrossire Blàt! Siamo tra uomini, possiamo parlarne serenamente…”

Il ragazzo scoppiò a ridere.

Rimasero un po’ in silenzio, riflettendo, finché non fu di nuovo Kevin a spezzare il silenzio.

“Come ti comporterai quando succederà?”.

“Lo dici come se fossi sicuro che accadrà…”

“Non mi hai risposto…”

“Non accadrà!”

Kevin fece spallucce, “Convinti voi…”

Orlando, suo malgrado, scoppiò a ridere.

Kevin Gallagher era un uomo incredibilmente assurdo!

Adesso capiva da chi aveva effettivamente preso Bee.

 

 

“Perché questa domanda?”

“Prenditela con tuo padre”, si giustificò lui, “Prima mi ha fatto un discorso assurdo sull’evenienza che io e te potremmo finire a letto!”

Bee scoppiò a ridere come se le avesse appena confidato di aver visto un asino volare.

“Bhé?”, la incalzò.

“Cosa devo dirti, Flow?”

“Non lo so”, borbottò lui, “Potresti cominciare con quello che pensi”.

“A proposito della possibilità che io e te potremmo finire a letto?”

Lui abbassò lo sguardo, imbarazzato, “Si…”, mormorò.

“Credi che potrebbe succedere?”

“Oh no Bee. Non fare questo giochino con me. Sono io quello che fa le domande, qui!”

“Ok allora”, si arrese lei, “Domanda”.

“Pensi che potrebbe accadere?”, domandò lui a bruciapelo.

Bee lo fissò negli occhi, “Penso di no, ma non ho la palla di vetro quindi non posso dirti che non accadrà mai nell’arco di una vita”.

“Quindi ci hai pensato!”, gridò lui stupito.

“Non fare quella faccia!”, lo rimbrottò lei, “Ci hai pensato pure tu!”

“Vero”, confessò Orlando, “Però conosco te e conosco me, quindi lo escludo”.

“E allora di che ti preoccupi?”

“Di niente, volevo solo sapere che ne pensavi tu”.

Abaigeal si accoccolò contro il suo petto, tirandosi le coperte fino alla bocca.

“Penso che prima di preoccuparsi di come medicarsi, bisogna ferirsi”, mormorò.

“Lo dici come se fosse una cosa brutta”, borbottò lui giocando con una ciocca dei suoi capelli.

“Lo dico come va detto. Se e quando succederà ce ne preoccuperemo. Adesso trovo inutile discutere della possibilità che accada”.

“Vaffanculo Bee!”

Lei rise, “Perché?”

“Perché dici sempre le cose giuste!”

Per tutta risposta Bee si voltò e lo baciò sulla fronte, “E’ per questo che mi ami no?”

“Puoi giurarci!”, ridacchiò lui.

Rimasero un po’ in silenzio a guardare la luna che entrava nella camera da letto di Bee.

Oìche mhaith, sùile gorma…” sussurrò lui.

“Oìche mhaith, a muirnìn…” rispose lei.

 

 

NDA

 

Ciao giovani donne!!!

Strow, fosse stato solo un giovedì fiacco sarebbe andato pure bene. Ma qui di fiacco c’è un mese intero…per fortuna c’è l’ispirazione, Orlando e un paio di sogni che ci tengono in piedi!

 

E a voi, ragazze, GRAZIE!

Bebe, calcola che mi hai fatta arrossire… *Amy ha gli occhi a cuoricino*!

Sono contenta che la storia vi prenda e sono ancora più contenta di dirvi che dopo questo capitolo spicchiamo il volo…come lucciole, che non è vero che sono gli uccelli a vederci meglio. Da vicino le cose sono sempre più nitide!!

 

Ah…quasi dimenticavo. Ecco le frasi tradotte (sta volta sono poche…ehehehe!)

 

Leanbh: bambina

Oìche mhaith: buonanotte

 

E con questo è tutto, gioie!

Grazie….sul serio!

Amaranta

 

 

 

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Capitolo 7
*** Fast Forward ***


fastforw7

FAST FORWARD



Forse oggi l’obiettivo principale non è di scoprire che cosa siamo,

 ma piuttosto di rifiutare quello che siamo.

Dobbiamo immaginare e costruire ciò che potremmo diventare.

(M. Foucault)

 

 

 

 

 

Londra, Dicembre 2006

 

Lui era rimasto sdraiato sul divano a guardare il soffitto.

Abaigeal sbuffò, quindi marciò spedita verso il salotto bloccandosi proprio davanti a lui.

Gli indicò con un cenno della testa il piatto di pasta che teneva in mano ma, vedendo che lui non accennava a prenderlo, lo appoggiò con veemenza sul tavolino basso, facendolo sbattere.

Orlando non si mosse.

Abaigeal si mise seduta per terra, all’altezza del viso di lui, gli prese una mano e la strinse.

Orlando non si mosse.

Allora appoggiò la schiena alla base del divano sospirando, senza smettere di stringergli la mano.

“Mi sento uno straccio”, mormorò lui con uno strano tono di voce.

Abaigeal non si voltò e non rispose. Lasciò che il suo silenzio parlasse per lei.

“In fin dei conti è un momento d’oro per la mia carriera, no? Dovrei essere contento, ti pare? E poi, diciamoci la verità, con Kate le cose non andavano bene già da un po’, lo sai anche tu”, sospirò, “Insomma, sono passati quattro mesi, giusto? Dovrei averla superata, ti sembra? Non capisco bene cosa mi stia capitando… che è una specie di effetto boomerang emozionale?”

Abaigeal non disse ancora nulla. Voleva lasciarlo parlare. Voleva che lui si sfogasse.

“Però lei è stata…tu lo sai, c’eri, mi vedevi. Ci vedevi. Lei è stata il mio primo vero amore. La prima storia veramente importante. Io mi vedevo con lei per il resto della vita. E lo so, tu lo dici sempre che sono un dannato sognatore e hai ragione. Sono un sognatore. E mi piace esserlo, ok? Mi piace incontrare una donna, innamorarmi e sognare che sia quella giusta per me. Quella che non se ne andrà…” ridacchiò, “Sono un maledetto patetico, ecco che sono. Chissà magari è questo cazzo di Natale che arriva a buttarmi addosso tutta questa malinconia. Hai ragione tu, Bee. Le feste Natalizie rendono le persone estremamente patetiche e ipocrite. Allora che faccio? Aspetto qui che passino?”

Non aveva ancora finito, Bee lo sapeva.

“Eppure Cristo Santo non è che chiedevo chissà che…no? Voglio dire, lo so che ho una vita incredibilmente fortunata ma io sono niente senza amore”, sbuffò, “E non capisco perché se tu riesci a capirmi le altre donne non ci riescono. Ok, dalla tua hai qualcosa come tredici anni di conoscenza e ci può stare che mi conosci meglio di altre persone no? Però, Bee, tu mi hai conosciuto dopo quattro giorni che ci siamo incontrati. Mi hai guardato un minuto e hai capito chi ero, cosa sognavo e cosa sarei diventato. Lo so che sei speciale Bee, non fraintendermi ma insomma…non puoi essere l’unico essere speciale del pianeta che entra in collisione con la mia vita, no? Ci sarà pure qualcuna disposta ad amarmi come fai tu”.

“Ne dubito”, sussurrò lei.

Orlando fece una smorfia, “Bee se non lo avessi capito sto vivendo una crisi da cuore spezzato. Ti sarei grato se evitassi di dirmi che non troverò mai una donna nella mia vita”.

“Non ti sto dicendo questo, Flow”, Abaigeal si girò per guardarlo, “Troverai mille milioni di donne e prima o poi troverai quella giusta per te. Ma non sperare di trovare qualcuno che ti ami come ti amo io. Parti perdente”.

Non. Dirlo.”, sillabò lui contrariato.

“Non dire cosa?”

“Quello che stai per dire”, Orlando si mise a sedere, abbassò la testa per guardarla in faccia, “Non partire con quel discorso perché ora non ho bisogno di sapere quanto tu sia perfettamente incastrata in ogni angolo della mia vita. Già lo so”.

“Non stavo dicendo niente”, puntualizzò lei.

“Si, invece. Ogni volta che le cose si mettono male tu tiri fuori cinque ricordi, quattro citazioni, due parole e mi mandi fuori strada”.

“Cinque ricordi, quattro citazioni e due parole…quali sarebbero?”

“Che vuoi dire?”

“Quali sono i cinque ricordi, le quattro citazioni e le due parole che tiro fuori per farti sentire una merda?”.

Orlando scosse la testa, “Lascia perdere”.

Abaigeal si innervosì, “No, non lascio perdere niente. Dimmeli”.

“Bee per cortesia…”
“Dimmeli”.

Orlando sbuffò, “Primo ricordo: incontro alla caffetteria. Ci aggiungi una frase del tipo ‘incredibile come tu avessi già conosciuto la parte più profonda di me senza aver conosciuto me’, ecco è vero Bee. Ho letto il tuo taccuino e sapevo perfettamente di che colore era la tua anima. Hai vinto!”

“Di che colore è?”

Orlando ignorò la domanda, “Secondo ricordo: Irlanda, casa dei tuoi. Usciamo a notte fonda dopo esserci scolati qualcosa come cinque pinte a testa, saliamo nella tua barchetta rossa e mi fai circumnavigare la baia di smeraldo. Canticchiavi anche quella canzone…. Poi ad un certo punto ci siamo promessi sotto la luna che qualunque cosa ci sarebbe successa, anche se le nostre strade si fossero separate, non avremmo mai rinunciato a cercare il grande amore. A qualunque costo”.

Abaigeal sorrise. La ricordava bene quella notte.

“Terzo ricordo: casa mia a Londra, lo stesso giorno che mi avevano confermato il ruolo di Legolas. Arrivi a casa mia con una busta piena di pasta, pomodori, basilico e una bottiglia di champagne. Ci siamo ubriacati come due cretini e abbiamo parlato per quattro ore di come volessimo un compagno che somigli a noi… è stata una serata intensa quella, non a caso abbiamo fatto finta di niente scherzandoci su, finchè il giorno dopo tu mi hai detto ‘anche se non la trovi perfettamente uguale saresti felice lo stesso’”

“Quarto ricordo, tu che incontri Kate. Due giorni dopo vieni da me con un sorriso a mille denti e mi dici, ‘ci stanno bene quegli occhi vicino ai tuoi’, mi abbracci e mi canticchi quella canzone. In quel momento ho capito che saresti sempre stata un pezzo di questo cuore qui”, si indicò il petto.

“Quinto ricordo…”

“Credo di sapere qual è…”, lo interruppe Bee.

“No, adesso me lo fai dire, porca puttana!”, imprecò lui alzandosi in piedi e scavalcandola, “Voglio che questi ricordi li veda anche dalla mia prospettiva. “Sera tardi. Eravamo sul terrazzo di casa dei tuoi a Galway. Avevo conosciuto Kate da due settimane e mi sentivo su di giri. Tu avevi qualcosa di strano invece, eri incredibilmente giù di corda. Lì per lì pensai che fosse per via di Mike, in fin dei conti vi eravate lasciati solo un mese prima dopo una storia di due anni…era ragionevole come spiegazione. Poi quando hai cominciato a parlare, su quel portico, ho capito al volo qual’era il punto. Lì ti ho odiato Bee, questo devi saperlo. Mi hai sbattuto in faccia una verità troppo grossa e in quel momento non ero in grado di gestirla. In quel momento non volevo pensarci. E invece tu te ne sei sbattuta alla grande e hai continuato imperterrita a parlare come se io non fossi lì”, la fermò con la mano quando vide che stava per parlare, “E lo so che lo fai spesso. Lo so che parli con me anche quando non ci sono, lo faccio anche io. Ma non ti avevo chiesto di dirmi perché lo facessi. E non volevo chiederlo nemmeno a me stesso. Volevo che rimanesse tutto com’era. Ti ricordi quella sera che eravamo al Greenwich dopo che avevamo visto con la famiglia ‘Wilde’? Ecco, quella sera mi pareva avessimo stabilito che tra me e te certi equilibri non sarebbero mai mutati, no?”

“No”, disse Bee.

“No?”

“No”, disse di nuovo, “Quella sera tu mi avevi chiesto se avevo mai pensato all’evenienza di venire a letto con te. Io ti risposi che non avrei potuto dire se sarebbe successo o meno nell’arco di una vita, ma che lo escludevo perché eravamo io e te i soggetti del discorso”.

“Appunto”, sospirò lui.

“Appunto che? La convinzione che avevo e che ho nasce proprio da quello che tu non riesci a metabolizzare”.

“Non dire cazzate Bee…la convinzione ce l’hai perché non hai mai provato attrazione sessuale nei miei confronti, altrimenti non avrebbe senso quello che dici. Come…dici che mi ami, dici che sono la parte migliore di te e poi non vieni a letto con me? E’ un nonsense!”

Abaigeal si alzò in piedi. Orlando intuì dalla sua espressione che si stava arrabbiando. Poco male, aveva bisogno di scaricarsi.

“Il problema è non aver fatto sesso con te quando avevo vent’anni?”

“Il problema è che tu non puoi dire di amare in assoluto una persona se poi non ti viene neanche lontanamente l’istinto di farci l’amore. Fare l’amore Bee…ti è chiara come frase? Fare. L’Amore.”, sillabò.

“Io faccio l’amore con te ogni volta che ti guardo negli occhi”, si difese lei, “Ogni volta che stiamo a parlare per tutta la notte. Faccio l’amore con te quando restiamo abbracciati a fantasticare sulle nostre vite. Quando mi sparo cinque ore di volo solo per venire da te e farti parlare. Perché lo so che spesso hai bisogno di mettere la tua anima a nudo e non mi tiro indietro quando serve. Faccio l’amore con te quando mi chiami in preda a stati d’ansia assurdi solo perché ti rendi conto che la gente ti ama e ti stima. Faccio l’amore con te quando passiamo insieme Samhain e quando tu ti chiudi in camera mia aspettando che finisca il rituale. Faccio l’amore con te in mille modi che la gente normale non può neanche lontanamente immaginare, e lo faccio mettendoci il cuore, la testa, gli occhi, le orecchie, la bocca e l’anima. Faccio l’amore con te continuamente”, terminò indispettita. Aveva le guance rosse. Orlando trovò quel particolare assurdamente delizioso.

“Non sto parlando del nostro piano astrale, Bee…”, l’accusò lui, “Sto parlando di sentirsi veramente. Tu quella sera mi hai detto di amarmi. Mi hai guardato negli occhi e mi hai detto, ‘io ti amo, Flow. Lo sai’, e aspettavi che io dicessi qualcosa che non sapevo dire. Non riuscivo a dirti ‘ti amo anche io’, e non ci riuscivo perché avevo messo una diga su quel ruscello lì. Non potevo buttarla giù solo perché tu avevi una crisi d’abbandono”.

“Non ti ho detto quelle cose perché ero in crisi d’abbandono, stronzo. Questo lo sai anche tu”.

Orlando strinse i pugni, “Mi hai detto ‘ti amo’ sapendo che avevo conosciuto una ragazza Bee. Tu e Mike vi eravate lasciati da poco. Sam era tornata in pianta stabile a Canterbury, e tu era in preda ad un attacco di panico”.

Abaigeal lo guardò disgustata.

“Come puoi dirmi una cosa del genere? Come cazzo fai a rivolgerti a me così?”

“Così come Bee? Dico solo quello che penso…”

Bee scosse la testa e marciò verso di lui.

“Orlando Jonathan Blanchard Bloom”, sibilò, “Esci da questa casa e non tornarci più”.

Detto questo camminò verso la camera.

Orlando sentì solo il tonfo della porta che si chiudeva.

Rimase per un momento immobile, quindi andò verso la cucina. Aprì il frigo e prese una lattina di Guinness.

Stavolta, l’aveva combinata decisamente grossa.

 

 

Sentì un live bussare alla porta.

Sbuffò indispettita. Era veramente incazzata.

“Ti ho detto di andartene”, gridò alla porta chiusa.

Per tutta risposta, Orlando la spalancò ed entrò.

“Non fare la bambina Bee”, l’ammonì, “Finiamo il discorso”.

“Io non ci parlo con uno che si crede un adone del cazzo e che pensa che la sottoscritta gli stia vicino solo perché ha paura di essere abbandonata”.

“Non ho detto questo”, precisò lui.

Lei alzò un sopracciglio.

“Bee provi a leggere fra le righe?”, fece un paio di passi e la raggiunse, “Ti ho detto che non ero pronto ad ammettere quello che sentivo, ok? Tu non puoi lanciare una bomba e aspettarti che gli altri se ne rimangano lì a saltare per aria. Si chiama istinto di sopravvivenza, sai?”

“Sei un maledetto stronzo!”, lo colpi con entrambi i pugni sul petto. Aveva gli occhi rossi, “Sei un bastardo del cazzo.”, lo colpì ancora, “Ti detesto con tutta l’anima”, e ancora, “Mi hai ferita incredibilmente e non ti aspettare che ci passi sopra come se niente fosse”, e ancora, “Pezzo di merda insensibile”, e ancora.

Orlando la guardò. Gridava. Le lacrime le scendevano dagli occhi e aveva le nocche arrossate per la forza con cui stringeva i pugni. E lo spingeva e lo insultava e piangeva.

I capelli neri gli coprivano la faccia, le labbra si erano gonfiate perché adesso le mordeva per non gridare.

All’improvviso le bloccò le mani, evitandosi l’ennesima spinta.

La guardò negli occhi e senza pensarci un secondo lo fece.

Lo fece e basta.

 

E fu dolcissimo.

Fu violento.

Fu delicato.

Erano più di dieci anni di emozioni, di ricordi, di promesse, di parole e di risate. Erano i sapori degli umori delle loro stagioni.

Erano le mani di Bee la prima volta che si era messa lo smalto bordeaux, ed era il primo pizzetto di Orlando. Erano le gite in barca sulla Baia di Smeraldo e le passeggiate al Greenwich. Era il giorno che avevano portato Sidi a casa per la prima volta. Era il compleanno di Orlando dopo l’operazione alla schiena e il ricovero di Bee per quelle maledette emicranie. Era quel bacio che si erano quasi dati durante il capodanno a Canterbury e le loro mani strette quando dovevano farsi forza. Era la prima di ‘Trojan Women’, quando lei gli aveva comperato dei fiori salvo poi accorgersi che era allergica. Erano anni e anni di ricordi.

Ed erano le mani di lei che, adesso, gli circondavano la schiena mentre si alzava sulle punte per baciarlo meglio.

Ed era il sorriso di Orlando mentre le stringeva le braccia intorno alla vita per trattenerla.

Occhi chiusi che si aprono e si fissano.

Terra e cielo che si mescolano in un unico sguardo carico di aspettativa.

Mani che scivolano sui vestiti e risatine imbarazzate.

Orlando la prese in braccio e Bee gli avvolse le gambe intorno alla vita.

Senza smettere di baciarsi.

Non smettevano di baciarsi.

Non respiravano.

Non guardavano.

Sentivano.

Lui camminò lentamente verso il letto, quindi l’adagiò sopra il piumone che avevano comprato insieme in centro.

Lei teneva gli occhi chiusi. Non aveva bisogno di guardarlo. Lo conosceva a memoria. Sapeva ogni minimo dettaglio del suo viso, ogni significato delle sue espressioni.

Orlando prese nuovamente a baciarla, con urgenza, stavolta.

E con urgenza si tolsero i vestiti, affamati di assaggiarsi, affamati del reciproco respiro. Affamati del reciproco amore, affamati di emozioni.

E quando finalmente i loro corpi si fusero insieme, un brivido passò contemporaneamente da lui a lei. Un brivido che li spinse a chiedere di più, a consumare quell’attesa con audacia, con ardore con voracità.

E la stanza si riempì del profumo del loro amore che finalmente si mischiava completamente, e dei loro sospiri, e dei loro sorrisi.

Si stavano scambiando tutto. Gli amori più belli, quelli più difficili, quelli finiti male e quelli che li avevano fatti soffrire. Si stavano scambiando le diverse emozioni che avevano provato nei medesimi momenti.

E quando Orlando la chiamò piano per nome, si scambiarono tutto l’amore che provavano l’uno per l’altra. Un amore che li colpì come un onda di suono lasciandoli storditi e stupiti. Lasciandoli finalmente sazi.

Lui rimase sopra di lei, senza muoversi di un centimetro.

Rimasero a fissarsi.

A respirare dei loro respiri.

Rimasero lì, senza muoversi, a sorridersi.

“Di che colore è la mia anima?”, domandò piano, Bee.

“Blu…lo stesso blu del cielo d’Irlanda”.

Abaigeal alzò la testa e lo baciò lentamente.

 Tà mè chomh mòr”, le sussurrò Orlando sulle labbra.

“Ti amo anche io”, ripose lei, socchiudendo gli occhi.

 

 

 

NDA.

Ed ecco come Mr Bloom e Mrs Gallagher si gettarono di testa, in un casino incontrollabile!!!

E’ stato molto difficile scrivere questo capitolo, un po’ perché attinge ad una situazione accaduta realmente, un po’ perché far tirar fuori a Bee quello che sentiva veramente è stato più difficile che sturare il lavandino del mio dannato bagno!

Spero che comunque vi sia arrivato…arrivato tutto, come volevo che arrivasse!

 

Un ringraziamento speciale a quelle meravigliose donne che mi seguono con costanza. Se nn riesco a smettere di scrivere è anche per merito vostro!

E adesso, allacciate le cinture… siamo ufficialmente partite!!

 

Un abbraccio forte forte

Amaranta

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Capitolo 8
*** What a woderfull world ***


whatawond8

WHAT A WONDERFULL WORLD


“I see friends shakin’ hands

Sayin’ ‘how do you do’

They’re really sayin’

‘I love you’”

Louis Armostrong

 

 

 

Galway, Maggio 1999

 

“Cammina Flow, sei lento come un dannato formichiere!”

Orlando alzò un sopracciglio, “Che razza di paragone è?”

Abaigeal saltello sopra gli scogli, quindi imboccò un sentiero che portava alla spiaggia, “E’ un paragone che calza”, gli urlò dietro per coprire il vento che soffiava forte, portando in giro un gregge di nuvole, “Cazzo, Flow! Vuoi muoverti?”

“Bee dici troppe parolacce”, scherzò lui.

“Si papà, hai ragione, però sbrigati!”.

Orlando puntò meglio la torcia verso il sentiero, quindi avanzò lentamente cercando di mettere a fuoco quello che calpestava con la suola delle scarpe. Si augurò non ci fossero scarafaggi o animali del genere. Gli facevano impressione.

Bee, da basso, ridacchiava come una pazza. Probabilmente era già arrivata alla spiaggia e si era messa a giocare con le onde. E sicuramente, ubriaca com’era, si era bagnata le scarpe.

Con un ultimo salto fu in spiaggia anche lui, e nello stesso momento in cui puntò i piedi a terra, il vento soffiò via tutte le nuvole scoprendo una meravigliosa luna piena.

Bee lo guardò a bocca aperta.

“Wow”, sussurrò, “Sei…sei…una visione, ecco!”

La luna gli aveva illuminato il viso, sembrava l’unica cosa nitida in quella strana notte irlandese.

“E tu sei ubriaca”, scherzò lui per stemperare l’imbarazzo.

Lei rise, quindi aprì la borsa e gli lanciò l’ennesima lattina di Guinnes da tre quarti.

“Ottima presa, Flow!”, si complimentò lei facendo un accentuato ok con le mani, “Se  ti va male con la recitazione ti può dare al football”, inclinò la testa a sinistra, “Si chiama così no? Quel gioco dove uno tira la palla e quegli altri gli corrono dietro”, sorseggiò la birra, “Alla palla non a lui”.

Orlando scoppiò a ridere, “Bee erano mesi che non ti vedevo così”.

Lei gli si avvicinò scrutandolo attentamente, “Ubriaco. Ecco cosa sei. E dai dell’ubriaca a me per distogliere l’attenzione dai tuoi occhi ubriachi!”

“I miei occhi non sono ubriachi”, protestò.

“See come no, e io sono la fatina di Peter Pan!”, si voltò, quindi corse verso la spiaggia fino al confine con l’acqua. Quando il mare si gonfiò e l’onda si avvicinò al bagnasciuga prese a correre per non bagnarsi, ridendo come una pazza.

Orlando scosse la testa ridendo a sua volta.

“Vieni qua Flow. Vieni a provare!”, lo incitò saltellando e battendo le mani.

Lui si avvicinò con cautela, ma Bee gli prese la mano, trainandolo più vicino all’acqua. Quando l’ennesima onda si infranse, lo trascinò al sicuro verso la spiaggia, ridendo forte.

“Non è una figata?”, gli chiese ansimando, “Da piccola passavo le giornate intere a fare questo benedetto gioco!”

Lui appoggiò le mani sulle ginocchia, cercando di riprendere fiato. Bee gli aveva fatto correre quattrocento metri in dieci secondi.

“Cazzo Bee! Ma sei parente con flash?”

Lei gli diede una pacca bene assestata sulla schiena, “E’ il fisico che ti manca, Bloom. Come pensi di sfuggire alle orde di fan scalmanate se non riesci a fare un metro senza farti venire una crisi polmonare?”

Lui la guardò di traverso, senza smettere di respirare affannosamente.

“Ho capito”, sbuffò lei prendendolo per mano, “Vieni qua nonnetto, ti porto a fare un giro su Mrs. Sunrise”.

“Chi?”, domandò Orlando senza capire.

Bee gli indicò la barchetta rossa attraccata ad uno scoglio, “Mrs. Sunrise, la mia nave!”

Lui alzò un sopracciglio, “Bhè nave mi sembra un po’ pretenzioso…”, scherzò.

“Non offendere la mia barchetta!”, lo rimbrottò lei, colpendolo ad un braccio. Appoggiò entrambe le mani sul bordo, quindi saltò dentro con uno slancio agile, “Salta su, nonnetto!”

Orlando si guardò intorno preoccupato, “Bee ma il mare è mosso”, considerò.

Lei scrollò le spalle, “Macchè mosso e mosso. Siamo in Irlanda”, spiegò, “Qui il mare è quasi sempre così”, lo guardò implorante, con il broncio, “Sali?”

Lui ridacchiò. Impossibile resistere al broncio di Bee.

Appoggiò un piede sul bordo e rotolò letteralmente dentro, facendola scoppiare a ridere.

“Bee non ridere altrimenti ti buttò in mare!”, la minacciò.

Lei cercò di darsi un contegno, quindi si mise seduta.

“Remi in mareeeeee!”, gridò, facendo scivolare la barca in acqua.

 

 

 

“Questa piace anche a te”, sorrise lei, passandogli una cuffia del lettore cd.

Orlando la infilò e si mise ad ascoltare.

“Waiting on an angel”, di Ben Harper.

Sorrise, chiuse gli occhi e si beò di quella meravigliosa sensazione che gli dava il vento leggero, l’odore del mare e la luna che faceva a botte con le nuvole per illuminare la loro barca. Assurdamente pensò che tutte quelle cose erano lì per loro. Per loro e basta. Ed il mattino dopo sarebbero sparite per non far provare a nessun altro quello che provava lui in quel momento.

Bee lo guardò, quindi soffocò una risatina.

Sembrava un bambino in un negozio di caramelle. Tenne a bada l’istinto di sfiorargli una mano…non voleva tirarlo fuori da quella sensazione che anche lei conosceva così bene.

Ma Orlando aprì gli occhi, piantandoli dentro i suoi.

“Come cazzo ci riesci, Bee?”

“A far cosa?”, domandò senza capire.

Lui allargò un braccio ad indicare quello che li circondava. Mare, sabbia, cielo e stelle.

“Come riesci a creare queste situazioni perfette?”

Lei sorrise, “Non le creo mica io. Ci sono da prima che io e te mettessimo piede sulla terra. Ma la cosa che le rende speciali siamo proprio noi, qua sopra, a riempirle di emozioni”.

Lui annuì, senza smettere di sorridere.

“Secondo te chi è l’angelo della canzone?”, domandò indicando la cuffia che teneva nell’orecchio.

Abaigeal fissò l’acqua sotto di loro, guardando la sua immagine riflessa, “Qualcuno da amare, Flow. Qualcuno che si aspetta per tutta la vita…qualcuno che esiste. Deve esistere per forza”.

Lui bevve dell’altra birra, “Dici che esiste anche per noi due?”

“Ovvio che esiste per noi due. Di chi pensi che scriva io? Scrivo di lui…’one day he’ll come along the man I love’” canticchiò.

“Mi tiri fuori addirittura Billie  Holiday?”, scherzò lui.

“Hai mai sentito quella canzone?”, domandò lei seria, “Ascoltata, anzi. Ascoltata davvero”.

Lui scosse la testa sconsolato.

“Parla di un’idea. Una bella idea meravigliosa che lei crede possibile. E’ un po’ come te quando fantastichi sulla donna della tua vita”,bevve la birra ridendo, “Ma tu fantastichi in astratto. Devi essere concreto anche nel fantasticare. Devi ammettere che quel sogno è una cosa che conta davvero tanto per te”, gli mise una mano sul cuore, “Che lo culli proprio qui e che non vedi l’ora di poterlo veramente sentire qui”, gli mise il palmo sullo stomaco, “Anche per sognare ci vuole coraggio, Flow!”

Lui le prese una mano, “E tu,allora? Tu non sogni mai un uomo che ti ami per tutta la vita, quindi saresti una vigliacca?”, fece una smorfia, “Non direi proprio!”

Lei ridacchiò, erano nella fase profonda dell’ebbrezza. Quella in cui avrebbero potuto parlare anche del significato metafisico di un capello che cade.

Erano i momenti che preferiva.

“Tu sei il sognatore”, sorrise lei, “Io sono quella che fabbrica i sogni per gli altri. Io sogno i sogni che scrivo”.

“E scrivi un sogno tuo allora…una volta scrivi un bel sogno d’amore. Anzi una bella storia d’amore con le contro palle. Non una di quelle che si leggono tutti i giorni, ma una storia reale, che possa capitare a tutti”, sorrise, “E mettici dentro i tuoi, di sogni”.

“Chissà…magari un giorno lo farò davvero!”

Le nuvole si erano spostate ancora, scoprendo la luna e istintivamente alzarono tutti e due lo sguardo.

Fu Orlando a spezzare il silenzio.

“Bee mi prometti una cosa?”, le chiese senza distogliere lo sguardo.

Anche lei annuì, con il naso all’insù verso la luna.

“Io non lo so mica se rimarremo per sempre così. Magari le nostre strade un giorno potrebbero separarsi e rimarrà solo l’ombra di quelli che eravamo oggi, però voglio che mi prometti una cosa, Bee. Voglio che mi prometti che combatterai per trovare l’amore vero, senza arrenderti di fronte a niente”, incamerò aria, “Anche se dovessi lottare per anni interi, anche se per arrivare fino a lui dovessi fare il giro del mondo, mi prometti che te lo andrai a prendere?”

Bee abbassò la testa e lo guardò negli occhi, “E tu mi prometti che farai lo stesso? Che non smetterai mai di sognare così come sogni adesso?”.

Lui le fece l’occhiolino, quindi la tirò verso di se per abbracciarla.

La sua migliore amica.

L’unica persona di cui si fidava completamente.

“Promesso Bee”, le sussurrò all’orecchio.

“Promesso Flow”, sussurrò lei di rimando.

Rimasero abbracciati ancora, finché Bee non prese a mormorare una canzone.

Orlando istintivamente sorrise.

I just want to feel you, When the night puts on its cloak…

I just want to catch you if I can, I just want to be there…”, canticchiò lui di rimando.

Bee rise piano, stringendosi ancora di più a lui.

“Ci siamo fatti una grossa promessa uhm?”, gli domandò sorridendo.

Orlando si strinse nelle spalle, “Ci facciamo grosse promesse ogni giorno”, precisò sistemandosela contro il petto.

Lei sospirò senza dire nulla.

Senza fargli notare che, per la prima volta da che si conoscevano, lui aveva considerato l’idea che un giorno avrebbero potuto dividersi. Dividersi definitivamente.

Girò la testa di lato per vederlo meglio mentre guardava assorto la luna. E proprio mentre l’astro gli illuminava gli occhi fece un’altra promessa. A se stessa ma soprattutto a lui.

“Sarai sempre il mio migliore amico, Flow. Costi quel che costi”, pensò.

Orlando la vide sorridere, quindi sorrise a sua volta.

“Sei la migliore amica che abbia mai avuto”, mormorò.

Abaigeal sorrise, “Idem”, rispose.

 

 

 

 

Eccoci qua….

Ragazze sto andando avanti con difficoltà, cercando di tenervi il meglio per la fine e, soprattutto, cercando di non deludere le vostre aspettative.

Spero solo di riuscirci…

E voglio ringraziarvi tutte…davvero.

Strow, se tu sapessi come una frase sola che mi hai detto l’altra sera ha fatto si che nascesse uno dei capitoli di cui vado più fiera, dovresti capire che razza di talento hai!

 

Vi adoro….

Anche a quelle che leggono e non commentano…siete tutte importanti per me!

Grazie ancora.

 

Amaranta

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Capitolo 9
*** One day I'll fly away ***


Onedayi'LL9

ONE DAY I’LL FLY AWAY

 

 

“What more could your love do for me
When will love be through with me
Why live life from dream to dream
And dread the day when dreaming ends”

Nicole Kidman, “One day I’ll fly away”

 

 

 

 

 

 

 

 

Canterbury, Capodanno 2000

 

Casa Bloom era accogliente come se la ricordava. Il caminetto acceso, le candele in tavola e l’odore di cucinato che avvolgeva dolcemente tutto il primo piano.

Abaigeal rimase incantata a guardare la tavola apparecchiata. Quella sera, Sonia aveva creato un’opera meravigliosa.

Sorrise, quindi camminò lentamente verso la cucina, lasciando i suoi con Orlando, Samantha ed Harry a parlare di musica.

Sonia si affaccendava davanti ai fornelli, con un guanto rosso infilato nella mano destra. Canticchiava “Perfect Day” di Lou Reed e Abaigeal sorrise divertita.

“Che profumino…”, sussurrò per palesare la sua presenza.

Sonia si voltò, sorridendole felice, “Oh tesoro, sei qui!”.

La ragazza camminò verso l’isolotto al centro della cucina. C’erano piatti pieni di succulenti pietanze. Acciuffò un fagiolo e se lo mise in bocca.

“Bee!”, la richiamò Sonia, “Non smangiucchiare! Ti rovinerai l’appetito!”

Bee inghiottì velocemente, ridacchiando, “Erano troppo invitanti!”

Sonia si pulì sbrigativamente le mani sul grembiule, “Siete tutti e due uguali!”, borbottò.

“Posso aiutarti?”, domandò.

La donna indicò un vassoio, “Mi passi quello per favore?”

Bee si allungò, lo prese con la punta delle dita e lo passò a Sonia che scosse la testa divertita.

“Allora tesoro, come te la passi? Orli mi ha detto che stai iniziando la tua opera prima”.

Abaigeal sorrise, “Si è così. Sono un po’ indecisa però sul genere da adottare, voglio vedere dove mi portano i personaggi, poi deciderò…”

“Sono sicura che sarà un ottimo lavoro, tesoro. Conosco bene il tuo talento”.

Bee abbassò lo sguardo imbarazzata. Le faceva sempre piacere ricevere i complimenti di Sonia, che per lei era diventata come una seconda madre. Quella da cui correre quando i problemi erano troppo grandi e sua madre era troppo distante per offrirgli le sue braccia aperte.

Sonia la adorava. Letteralmente.

In quegli anni era diventata come una figlia per lei. Non mancava mai di chiamarla personalmente una paio di volte alla settimana, salvo poi parlare con lei quasi tutti i giorni quando chiamava Orlando.

“Son, pensi che sto camminando sulla strada giusta?”, si voltò verso il salotto intercettando lo sguardo felice di Orlando.

“Cosa intendi?”

Abaigeal rimase a guardare verso il salotto, “Intendo in generale. Pensi che stia facendo la cosa giusta?”.

Sonia si fermò davanti all’isolotto, guardandola con interesse, “Proprio oggi Leah mi diceva che stai avendo un po’ di dubbi sul tuo futuro. Siamo preoccupate entrambe perché non sappiamo cos’è che ti passa per la mente…”, spiegò, “C’è qualcosa che ti turba, questo è chiaro. Cos’è?”

Abaigeal si voltò verso la donna, senza parlare.

Rimase a guardarla, finchè i passi di qualcuno che entrava in cucina non la fecero voltare.

Era sua madre.

“Finalmente riusciamo a bloccarla”, disse facendo l’occhiolino a Sonia che le sorrise.

Bee le guardò entrambe, “Cos’è? Un agguato?”

Leah l’abbracciò ridendo, “Qualcosa del genere, si!”

“Allora?”, la incalzò Sonia, “Ce lo dici o no quello che ti turba?”

La ragazza sospirò scoraggiata, “Non riesco più a parlare di emozioni”, buttò lì poco convinta.

Le due donne spalancarono gli occhi, “Tu?”, dissero all’unisono.

“Io si”, rispose lei brusca.

“Probabilmente ne sei a digiuno da un po’”, azzardò Sonia.

“E probabilmente dovresti cominciare a respirare l’aria buona. Non quella stagnante delle delusioni del passato”, propose sua madre.

La ragazza le guardò entrambe e rise. Avevano ragione tutte e due. Avrebbe semplicemente dovuto aprire il cuore alle novità, senza paura di ferirsi.

Funziona così la vita, no?

“Sapete una cosa voi due?”, disse lei prendendole entrambe per mano e inscenando uno sguardo brusco perfetto, “Avere due mammine premurose è sfiancante!”

Le due donne si guardarono e scoppiarono a ridere, mentre lei si allontanava scuotendo la testa.

“Dici che avrà capito?”, domandò Sonia.

Leah prese una carota e cominciò a sbucciarla, “Ne dubito”.

L’altra donna annuì, “Non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere”, citò.

“Oh si”, rise Leah, “E qui ce ne sono due di ciechi, mica uno!”

Complottando, continuarono a preparare l’antipasto insieme.

 

 

 

“Orlando pulisciti la bocca. Sembri un bambino di tre anni!”, lo rimbrottò Sonia.

Lui aprì la bocca facendo una risata horror e mostrando a tutti i commensali quello che stava masticando. Abaigeal scoppiò a ridere.

“Fai schifo”, inorridì Samantha.

“Pure tu!”, rispose lui, masticando a bocca aperta.

“Orlando!”, lo richiamò Leah, “Non rispondere così a tua sorella!”

“Ma mamma…”, intervenne Abaigeal.

“Zitta tu!”, l’ammonì Sonia, “Nessuno ti ha interpellata.

“Ma non stava facendo niente!”, continuò Abaigeal.

“Abe rispondi bene a Sonia!”, l’ammonì Kevin, aggiungendo il puré al suo piatto.

“Mica le ha risposto male”, osservò Orlando.

“L’avvocato del diavolo”, ridacchiò Harry.

“Dico solo le cose come stanno!”, precisò lui bevendo dell’acqua.

“Visione distorta della realtà”, disse Samantha, “Lo sai che è una malattia mentale?”

“Sam, ti sembra il caso di dare del pazzo a tuo fratello?”, domandò Sonia con uno sguardo severo.

“Lo è!”

“Sam rimarresti certamente sconvolta se conoscessi un vero pazzo”, disse Kevin.

“Lo conosco, è lui!”, disse indicando il fratello.

“Sembrate tre bambini irrequieti, stasera”, sospirò Leah.

“Hai ragione”, l’assecondò Sonia, “Pensavo che l’infanzia l’avessimo passata da tempo!”

“Mica siamo infantili!”, sorrise Abaigeal.

“Definisci infantile”, la incitò Harry.

“Infantile uguale Orlando Bloom”, ridacchiò Sam, seguita da Bee.

“Ragazze!”, le richiamarono in perfetto sincrono i quattro genitori, scatenando un attacco di risa tutt’altro che controllabile.

“Sceme!”, buttò lì Orlando.

“Orlando!”, tuonò Sonia.

“Ok, la smetto”, borbottò lui, facendo il broncio.

“Anche voi due”, continuò Leah rivolta alle ragazze.

Kevin li guardò tutti e scoppiò a ridere. Poco dopo, Leah, Sonia e Harry lo imitarono.

“Che vi ridete, voi?”, domandò Bee senza capire.

“Cose da grandi”, la liquidò Sonia, “Finisci gli spinaci Abe, ti fanno bene!”

La ragazza guardò Orlando con una smorfia.

Lui le sorrise complice, quindi rubò una patata dal piatto di Sam che lo colpì lanciandogli un fagiolo.

“E pensare che quando mi avete detto che sareste stati con noi fino alla mezzanotte non ero in me dalla gioia”, sospirò Sonia buttando gli occhi al cielo.

“Non ci vuoi più bene?”, domandò Abaigeal mettendo il broncio.

“Come se fosse possibile”, la rassicurò la donna.

Harry batté la forchetta sul bicchiere, alzandosi in piedi. Era il momento del discorso.

“Silenzio!”, tuonò divertito, “Allora, la farò breve. Non sapete che gioia è per me vedere tutta la famiglia riunita. Avervi tutti intorno a questa tavola a festeggiare una data così importante tutti insieme è sicuramente un dono da non sottovalutare. L’augurio che faccio a tutti in questo giorno è che riusciate e trovare la vostra vera strada, senza abbandonare sogni e speranze e senza dimenticare qual è il sentiero  che dovrete percorrere. I nostri ragazzi sono cresciuti e sono diventati quello che volevamo fossero quindi dobbiamo solo rallegrarci”, sorrise, “E voi tre…vi dico una frase che in questi anni Kevin vi ha ripetuto fino allo stremo”, l’uomo in questione alzò il suo bicchiere e gli altri lo imitarono, “Aprite le vostre fottute ali e volate!”, disse.

I bicchieri tintinnarono, alcuni occhi si riempirono di lacrime, i ragazzi ridacchiarono, e tutti, nessuno escluso, si sentirono nel luogo giusto al posto giusto.

In famiglia.

 

 

Abaigeal acciuffò un bicchiere di spumante e uscì sul terrazzo di casa di Sebastian.

Dopo la cena e i brindisi di rito, loro tre erano usciti per raggiungere la festa che il cugino di Sam e Flow aveva organizzato con gli amici.

Ora, alle quattro del mattino, Bee si sentiva decisamente stanca e spossata. Aveva ballato, aveva bevuto, aveva fatto conoscere una tizia decisamente appariscente ad Orlando e adesso si sentiva assolutamente pronta ad andare a casa a dormire.

Sospirò, gettando un’occhiata verso il panorama che si stagliava ai suoi piedi.

Canterbury quella notte era meravigliosamente bella.

Socchiuse gli occhi, respirando il vento gelido che le schiaffeggiava la faccia.

Sentiva aria di cambiamento, tutt’intorno e la cosa la elettrizzava. Si sentiva come una molla pronta a scattare, pronta a mordere le occasioni che la vita stava preparando per lei.

Senza aprire gli occhi, cominciò a mormorare una canzone e, istintivamente sorrise.

Le piaceva proprio quel pezzo. Sembrava scritto su misura per lei.

E fu così che Orlando la vide.

Le mani appoggiate alla ringhiera, la faccia rivolta alla luna e i capelli neri che si sparpagliavano liberi nell’aria. Aveva gli occhi chiusi e mormorava una canzone.

Sorrise.

Sapeva esattamente di che canzone si trattava e sapeva perfettamente perché Bee la stesse mormorando in quel momento. Si domandò da quanto tempo conosceva quella ragazza meglio di se stesso.

Vagamente turbato dalla verità di quell’intuizione, si avvicinò cautamente a Bee, fermandosi al suo fianco. Lei non lo notò o, se lo fece, decise volutamente di ignorarlo.

Rimase ad occhi chiusi a canticchiare la sua canzone, indifferente a quella presenza.

Orlando decise di mettere le parole a quella melodia, “I want to know have you ever seen the rain, coming down on a sunny day…”.

Abaigeal si voltò e gli sorrise, “Eccoti qua”, mormorò.

Lui si strinse nelle spalle, “Non ti trovavo più”, spiegò.

La ragazza annuì, “C’era un vento così bello qua fuori”.

Orlando non disse nulla. C’era un barlume di pensiero nella sua mente che lo spaventava, lo rendeva inquieto. Lo rendeva insicuro.

Un pensiero che la visione di Bee, con quell’aria serena e rilassata, non faceva che alimentare. Si sfiorò la fronte, cercando di non pensare.

“Have you ever seen the rain, uhm?”, domandò, cercando di cambiare discorso.

“Ci stava bene”, disse lei voltandosi verso di lui e appoggiando un fianco alla ringhiera.

“Direi di si”, sorrise lui.

“Sam?”

“Con Jordan”, ma lo disse con tono infastidito.

“Cos’è che non ti piace di quel ragazzo, Flow?”, indagò Bee, “Eppure Sam è così felice”.

Lui scrollò le spalle senza risponderle. Adesso aveva altri pensieri per la testa.

Almeno uno, doveva toglierselo.

“Ti è dispiaciuto…cioè, mi dispiace averti lasciata sola per tutto quel tempo…”

Abaigeal scoppiò a ridere, “Sola??”, domandò, “Ero con altre venti persone, Flow!”

“Si ma…”, ‘non eri con me’. E dannazione a lui, avrebbe voluto dirlo. Lo voleva davvero. Ma non lo disse. Lasciò la frase a metà, senza neanche tentare di giustificarsi.

Abaigeal gli prese una mano, senza chiedergli di proseguire.

“Flow, è il nostro Capodanno di fine millennio, dobbiamo fare una promessa”, sentenziò decisa.

Lui sorrise, “Ne serve una grande”, osservò.

“Grandissima!”, lo assecondò lei.

“Anzi, nessuna promessa Bee. Questa è l’occasione giusta per esprimere un desiderio!”

Bee batté le mani soddisfatta, “Ci sto!”

Chiusero gli occhi nello stesso istante per esprimere un desiderio abbastanza grande da fare il paio a quel secolo grande che stava arrivando.

Poco dopo aprirono entrambi gli occhi, sorridendo.

Istintivamente Orlando l’abbracciò e lei ricambiò con affetto.

“Ti voglio un gran bene, Bee”, le sussurrò all’orecchio.

“Anche io, Flow. Un bene grande grande come il desiderio che ho espresso”, scherzò.

Si scostarono e per una frazione di secondo, i loro nasi si scontrarono. Si trovarono vicini.

Troppo vicini.

Imbarazzati, si sorrisero e Bee colse l’occasione per dargli un bacio sulla guancia.

Un bacio con lo schiocco. Di quelli che piacevano ad Orlando.

E lui ricambiò con lo stesso entusiasmo.

“Siamo proprio forti Flow!”, disse lei ridendo.

“Puoi giurarci!”, rise lui.

Si voltarono verso la porta a vetri, sospirando.

Era ora di rientrare.

“Andiamo a casa?”, domandò lui accennando al salotto con un cenno del capo.

Bee annuì, “E la tua amica?”, aggiunse poi.

Lui fece una smorfia, “C’ho sonno Bee”, disse. Sperando che fosse una giustificazione più che ragionevole.

Lei scosse la testa divertita e lo trascinò verso l’interno della casa.

Camminarono con passi lenti, in testa la stessa domanda.

La stessa sensazione.

La stessa bizzarra e incontrollabile emozione nello stomaco.

Ignari di aver espresso lo stesso identico desiderio.

Ignari che se si fosse davvero realizzato, sarebbero stati gli unici veri protagonisti

Gioie grazie grazie e ancora grazie!

Grazie a Bebe e Strow per i commenti e per il loro immenso talento che, per fortuna, ho la possibilità di godere! Strow grazie anche per la citazione che mi hai prestato l'altra sera... ;) 

E grazie anche alle ragazze che mi hanno scritto in privato...sono contenta che la storia vi stia piacendo davvero. Ci tengo particolarmente.

Ed è con immensa gioia che vi comunico che il tempo dei ricordi è finito... sta per giungere l'ora della resa dei conti!

Vi abbraccio e vi ringrazio!

Grazie grazie grazie

Amaranta

 



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Capitolo 10
*** I'll be seeing you ***


I'llbeseeingyou10

I’LL BE SEEING YOU

 

“I'll be seeing you
In every lovely summer's day;
In every thing that's light and gay.
I'll always think of you that way.

I'll find you
In the morning sun
And when the night is new.
I'll be looking at the moon,
But I'll be seeing you.”

Billie Holiday

 

 

 

 

 

 

 

Londra, Giugno 2001

 

Il campanello suonò come impazzito.

Orlando schizzò in piedi dal divano, correndo verso la porta e cercando di evitare gli ostacoli che gli si presentavano lungo la strada.

Sapeva chi c’era al di là di quella porta.

Spalancò l’uscio e si ritrovò davanti Bee con un sorriso entusiasta e una busta in mano zeppa di roba da mangiare.

Busta che lasciò cadere a terra, dopo aver gridato uno “yahouuu” eccitato per saltargli letteralmente in braccio.

Orlando l’afferrò per la vita ridendo, mentre lei gli agganciò le gambe intorno al busto.

“Cristo Santo sto per scoppiare dalla gioia!!”

Lui rise, senza lasciarla, “Non dirlo a me, Bee. Non dirlo a me!”

Lei gli riempì la faccia di baci, “Diventerò la migliore amica di una star!”, gridò, “Di una star!!”

Orlando acciuffò la busta con un piede, senza smettere di ridere e la trascinò dentro l’appartamento, chiudendo la porta con un calcio.

Bee rimase comodamente attaccata a lui, senza aver alcuna intenzione di scendere.

“Flow questo sarà un successo. Me lo sento. Diventerai una divinità!”

“Mi basta diventare un attore vero!”, ridacchiò lui.

Abaigeal lo guardò di traverso, “Quello lo sei già da anni, Flow”, precisò.

Lui scosse la testa ridendo, prese la busta e camminò verso la cucina, con Bee sempre agganciata alla sua vita.

Sembrava un koala!

“Cosa c’è qui dentro?”, le domandò.

Bee si girò a guardare la busta, “Ingredienti perfetti per celebrare un momento speciale”, spiegò, “Consideralo un regalo anticipato!”, gli sorrise, “Ma non aspettarti niente di eccezionale. Quello lo avrai domani a casa!”

“Non pensate di esagerare un po’?”, domandò Orlando sorridendo, “Magari esce fuori una schifezza e non sarà il film di consacrazione che vi aspettate voi!”

Bee mollò la presa di gambe e braccia e cadde in piedi di fronte a lui con un tonfo sordo.

Sul viso un espressione indispettita.

“Non t’azzardare nemmeno a pensarlo. Questa è la porta dell’inizio Flow, fidati! Io lo so. E non mi smontare altrimenti ti prendo a calci in culo!”

Lui poggiò la busta sopra al tavolo della cucina, sorridendo, “E’ solo che non lo so se…”

CREDICI!”, gridò lei pizzicandogli il mento, “Apri le tue fottute ali e vola”, citò, “E’ la tua grande occasione. Sai perfettamente che un film del genere sarà da sballo e sai anche che la gente lo verrà a vedere”, alzò un sopracciglio, “E che una quantità tutt’altro che esigua di donne avrà uno sbalzo ormonale quando ti vedrà apparire sullo schermo!”

Lui la spinse lontano, ridendo, “Ma smettila!”

Abaigeal scosse la testa, tornò accanto al tavolo e tirò fuori il contenuto della busta.

Pasta, pomodori e basilico fresco, una confezione da sei di Guinnes e una bottiglia di champagne.

“Champagne?”, domandò Orlando, stupito.

Lei sorrise, “Star!”, disse. Come se quella parola potesse spiegare l’acquisto.

Orlando si rigirò la bottiglia nelle mani, e la guardò mentre si affaccendava per preparare la pasta. Si muoveva sicura in quello spazio, fischiettando “Wonderfull Word”, con aria felice.

Si lasciò penetrare da quel buonumore, quindi lasciò la bottiglia e si mise a darle una mano.

Bee gli fece l’occhiolino.

“Bee tu sei sicura al cento per cento che…”

“Sicurissima. Convinta. Certissima”, lo interruppe.

Lui scosse la testa. Quando Bee si metteva in testa una cosa c’era poco da fare.

“Magari se va come deve andare, potresti scriverla tu una sceneggiatura per me”.

Lei ridacchiò, “Scordatelo!”

“Eddai Bee!”

“Manco morta!”

“Ma il tuo romanzo sta andando alla grande. Ho letto su Billboard che sei nella top ten!”

“Al decimo posto”, precisò lei.

“Però sempre nella top ten degli artisti emergenti”, puntualizzò lui.

“Ok, sta andando alla grande. Non sono più in me dalla gioia. Mi sembra che il mio corpo sia troppo piccolo per contenere tutte queste emozioni”, sorrise felice, “Ma la sceneggiatura non te la scrivo!”, concluse con un sorrisino finto.

Orlando inscenò un broncio perfetto.

“Non m’incanti”, rise lei, buttando i pomodori spezzettati nella pentola.

“Ok non insisto!”, cedette lui, alla fine, “Però Bee che colpo! Io confermato per un ruolo di tutto rispetto e tu nella top ten con il tuo libro”, le sorrise, “Sembra che la ruota abbia preso a girare, finalmente”.

Non ha mai smesso”, mormorò lei sorridendo.

Orlando le sorrise, quindi prese la bottiglia di champagne e cominciò ad aprirla.

“E’ ora di festeggiare, donna”, scherzò.

“Mi pare giusto!”, l’assecondò lei.

 

 

Avevano mangiato fino a scoppiare e bevuto senza contegno.

A fine cena, Orlando aveva tirato fuori una bottiglia di whiskey e si erano scolati anche quella.

Adesso se ne stavano stravaccati sul tappeto, mezzi ubriachi a fantasticare sul futuro delle loro vite.

“Bee non ridere, lo sai che potrebbe succedere”, borbottò lui sorseggiando l’ultima birra.

“Ma figurati”, rise lei.

Lui si girò, sdraiandosi sulla pancia e appoggiando la testa sulle mani, “Come fai ad esserne sicura?”

“Flow non ti accadrà niente di male, te lo prometto. Ti compro un esercito di guardie del corpo, se serve!”, tentò di rassicurarlo lei.

Lui fece una smorfia, “E se m’innamoro di una collega?”

“Bhè?”, disse lei.

“E’ patetico!”, obbiettò lui, con una smorfia.

Abaigeal finse di sbattere la testa a terra, “Oh Dea!”, sospirò.

“Dai Bee, assecondami!”, la pregò lui.

“Non è patetico, è normale. Può succedere e nessuno avrà niente da ridire”.

Orlando si morse un labbro, “Forse hai ragione…”

“Flow ma tu…”, attaccò Bee sistemandosi su un fianco, “Come la vorresti?”

“Che?”

Bee fece una smorfia d’impazienza, “La donna, Flow. La donna”.

Lui rise, “E tu?”

“Io la donna non la voglio”, borbottò lei.

“Infatti mi riferivo all’uomo”, sorrise lui malizioso, “Magari quel Mike potrebbe andare bene!”

Lei gli tirò l’accendino, “Lo conosco da quattro giorni”, precisò.

“Ok…dai, come lo vuoi, allora?”

“Te l’ho chiesto prima io”, obbiettò lei.

Orlando si sdraio sulla schiena, sospirando, “La voglio che ti somigli Bee”.

La ragazza spalancò gli occhi, non sicura di aver capito bene.

“La voglio un po’ folle come te”, si spiegò meglio Orlando, “Che sappia perfettamente che la pazzia altro non è che un segno di saggezza”.

Abaigeal sorrise, “Mi pare sensato”, scherzò, “Un pazzo richiede una pazza!”

Lui ridacchiò, “E poi voglio che sappia capirmi anche solo con un’occhiata veloce”.

“Questo piacerebbe anche a me”, interloquì Abaigeal, “E mi piacerebbe anche che avesse il dono di capire quand’è il momento per esprimere un desiderio”.

“Con gli occhi chiusi e tenendosi per mano, così funziona sicuro”, concluse lui annuendo.

“E poi mi piacerebbe che fosse in grado di mettersi in ascolto con il suo cuore. Che non abbia paura di dirmi quello che sente”, proseguì Bee.

“E magari che sappia quand’è il momento di stringermi la mano”, continuò Orlando, “Anche se intorno ci sono mille persone. Deve sapere che in alcuni momenti ho bisogno di sentire che c’è fisicamente”

“E che sappia capire che spesso ho bisogno di sentirmi dire che mi vuole bene…”

“Anche se in quel momento non è richiesto e non c’entra niente”, finì Orlando.

“E voglio che ci creda…”, disse lei.

“Che non mi metta su una barchetta da solo dandomi i remi e chiedendomi di navigare per tutti e due”, seguitò lui.

“Esatto”, assentì Bee, “Perché si rema sempre in due”.

“Già”, mormorò Orlando, “E poi voglio che canticchi sempre. Che abbia una canzone preferita che la metà del mondo non considera nemmeno e che conosca le citazioni meno conosciute degli scrittori più famosi”.

“E voglio che conosca “Have you ever seen the rain” e che sappia perfettamente di cosa parla quella canzone”, disse Bee.

“Che non si fermi all’apparenza di una frase ma che si sforzi di vedere cosa c’è dietro”, sostenne lui.

“E che capisca che le parole fanno sempre il paio con gli occhi”, concluse Bee.

Orlando si girò con un movimento brusco,” Bee questi due siamo io e te”, considerò.

Lei rise, “Mi sa di si!”.

Lui la guardò con sospetto, “Credi che ci sia da interpretare qualcosa, qui?”, domandò.

Abaigeal si strinse nelle spalle, “C’è sempre qualcosa da interpretare Flow. Ma non è così strano cercare qualcuno che somigli ad una persona alla quale teniamo molto, no?”

Orlando sentì una strana inflessione nella voce di Bee.

Non era sicura che quella fosse una spiegazione valida alla domanda che lui gli aveva posto. Questo, assurdamente, lo fece preoccupare.

“Forse hai ragione”, buttò lì.

Non voleva affrontare la questione, adesso. Non mentre stavano festeggiando mezzi ubriachi l’inizio di una nuova vita.

“Non pensarci, Flow”, mormorò lei girandosi verso di lui e appoggiandogli la testa sul petto, “Non è il caso”.

Lui cominciò a giocare con una ciocca dei suoi capelli. E avrebbe voluto dirle che era più o meno un anno che ci pensava. Che erano mesi che si faceva delle domande alle quali non sapeva rispondere per paura che le risposte, gettassero luce su qualcosa che stava tentando di tenere in ombra.

“Sì…”, disse solo.

Un’affermazione che non c’entrava niente, adesso. Ma un’affermazione che Bee capì al volo e che la fece ridacchiare.

“Facciamo così Flow, senti se ti piace come soluzione”.

“Spara!”, la incitò lui.

“Camminiamo come abbiamo sempre fatto, vuoi? Siamo Flow e Bee, il resto non conta”, sorrise impercettibilmente, “Rimaniamo con i nostri obbiettivi di sempre, senza starci sempre a psicanalizzare dalla mattina alla sera. Se poi anche solo uno di quegli obbiettivi coincide, sono sicura che ci incontreremo a metà strada!”

Orlando rise, “Sei proprio assurda Bee”.

“Pure tu!”, rise lei.

Lui l’abbracciò con tutte e due le braccia, “Siamo proprio forti, Bee!”

“Oh se lo siamo!”, mormorò lei.

 

 

Orlando aprì un occhio.

La schiena gli doleva maledettamente e aveva un braccio bloccato intorno alla vita di Bee.

Sospirò, quindi fece leva su quel braccio per girarla verso di lui.

Bee mugolò qualcosa di indistinto nel sonno, quindi accomodò sul suo petto, mettendogli una mano sul cuore e una sulla guancia.

Bee adorava dormire in quel modo. Adorava sentire la persona accanto a lei, sotto la sua epidermide. Istintivamente Orlando sorrise.

Sembrava sempre così fragile e piccola mentre dormiva…

“Bee”, la chiamò piano.

E al suono di quel nome gli tornò alla mente la conversazione della sera prima. Quella che avevano deciso di non analizzare. Imbarazzato, si morse la lingua.

“Flow”, mormorò lei con la voce roca, “Fammi dormire altri dieci secondi, ti prego”.

Lui alzò la testa per guardare l’orologio appeso alla parete, “E’ mezzogiorno Bee, dobbiamo partire per Canterbury”.

Lei mugolò ancora, quindi si accoccolò come un gattino, mettendo il naso tra il collo e l’orecchio di lui. Orlando sorrise. Quello era il gesto preciso che faceva quando stava per svegliarsi.

“Sei un guastafeste”, borbottò Bee.

“Perché?” , domandò curioso.

“Sognavo il mare della baia”, spiegò.

Lui le baciò la fronte e Bee ebbe un sussulto.

Orlando capì che anche per lei, la serata trascorsa, aveva lasciato un sapore strano in bocca.

Si grattò la tempia, mentre Abaigeal si stiracchiava.

Dopo un secondo, saltò in piedi e gli tese la mano sorridendo, “Forza!”, lo incitò.

Lui afferrò la mano e si alzò in piedi controvoglia.

“Dobbiamo smetterla di dormire per terra”, considerò Orlando, seguendola in cucina, “Tra due anni avremo i reumatismi!”.

Bee gli sorrise conciliante.

Sapeva perfettamente che lui stava parlando di altro per non affrontare il discorso della sera precedente. Non che la cosa la innervosisse, beninteso.

Era stata una serata intensa per entrambi.

Versò del latte in due tazze, quindi accese il bollitore del caffè.

Lui era seduto al tavolo della cucina, si girava le mani imbarazzato.

Un moto di tenerezza spinse Bee verso di lui. Gli mise una mano sotto il mento, per far si che la guardasse negli occhi.

“Anche se non la trovi uguale, saresti felice lo stesso Flow”, mormorò.

Lui le sorrise, “Anche tu!”

La tensione si stemperò e, finalmente, scoppiarono a ridere più sereni.

All’apparenza, almeno.

Perché entrambi sapevano che, per la prima volta da che si conoscevano, avevano mentito a se stessi e all’altro.

 

 

 

NDA

 

Eccoci qua…pronte per la resa dei conti?

Ci siamo vicinissime. Appiccicate. In pratica, se non stiamo attente, ci schianteremo allegramente contro il muro. Della resa. Dei conti.

E non è un bell’incidente. Fidatevi.

 

Cmq, ci sarà da divertirsi.

Io, scrivendo, mi sto divertendo.

Spero che anche voi, leggendo, vi divertiate alla stessa maniera.

 

Strow: “Definisci amore”

Amaranta: “Eccolo!”

 

Capitolo nostalgicamente dedicato al mio Passerotto. Che legge e non commenta.

Come tanti altri.

Ma c’èst la vie.

C’è chi è nato per parlare e chi per ascoltare. E va bene così!

 

Un bacio grande a tutte

Amaranta

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Capitolo 11
*** Falling or Flying ***


fallingflyng11

FALLING OR FLYING



‘Sometimes it's hard to tell
If there's a life behind a song
But i know tomorrow
Today won't feel so long
Cause on the 42nd night
The room was dark but the stage was bright

Are we falling or flying
Are we falling or flying
Are we living or dying
Cause my friend this too shall pass
So play every show like it's your last’

 

Grace Potter and the Nocturnal

 


Los Angeles, 2008

 

 

Orlando appoggiò la fronte sulla superficie fresca della vetrata del finestrone, in salotto.

Si sentiva esplodere.

Teso fino allo spasmo, aveva l’impressione che anche il tocco più delicato avrebbe potuto farlo scattare come una molla.
Aveva provato a chiamare Abaigeal, invano. Lei aveva staccato il cellulare. Da tre giorni.
Gli sembrava di impazzire se non parlava subito con qualcuno.
E con chi parlava di solito quando si sentiva confuso? Quando si sentiva insicuro, sconvolto, indeciso, stupito? O quando si sentiva felice, divertito, sereno?
Parlava con lei. Parlava con Bee.
E gli sembrava un nonsense non poter parlare con lei adesso. Gli sembrava dannatamente incomprensibile che lei avesse tagliato ogni ponte con lui. Lui che era il padre di quel bambino che cullava nel grembo.
Istintivamente sorrise.

Un bambino….

Aveva sempre desiderato un figlio. Un piccolo frugoletto che corresse per casa e riempisse la sua vita di risate e domande e pianti e sorrisi.
Diversamente da quello che si potesse immaginare, non gli sembrava poi una tragedia. Ok, c’era Miranda, c’era il matrimonio e una vita programmata fino all’ultimo dettaglio. Ma c’era anche Bee.
Si rese conto, che il suo rapporto con lei, aveva sempre camminato in binari separati e paralleli a quelli della vita che aveva scelto per lui.
Loro due non avevano niente a che fare con la vita reale, eppure era proprio quello il rapporto più reale di cui si sentiva parte.
Era la loro relazione quella che aveva sempre pesato di più sul piatto della bilancia e si chiese, dannazione a lui, per quale cavolo di motivo non avesse preso in mano le redini di quella situazione prima che degenerasse definitivamente.
Sbuffò, sbattendo la testa sul vetro.

Cazzo-cazzo-cazzissimo.

Doveva parlare con qualcuno. Con qualcuno che non l’avrebbe giudicato, con qualcuno che avrebbe capito e che non fosse stato troppo coinvolto.
Scartò subito Samantha e sua madre. Scartò Kevin e scartò Allison.
Fece una smorfia di disappunto, finché un barlume di idea gli passò per la testa.
Prese il cellulare dalla tasca e compose il numero di Dominic.
L’amico gli rispose nel giro di un paio di squilli.
“Ciao Dom”, mormorò tetro.
“OB che hai?”, si preoccupò l’altro,”Ti sei rotto qualcos’altro?”, ridacchiò, “Spero non sia niente che possa tornare utile durante il matrimonio!”.
Orlando, a sentire quella parola, ebbe un crampo allo stomaco.
Il matrimonio, già.
“Dom, hai da fare?”
“Cosa diavolo sta succedendo OB? Mi fai preoccupare”.
E fai bene a preoccuparti, amico mio, pensò Orlando.
“Puoi venire da me subito?”
“Se me lo dici così arrivo di volata, ragazzo. Sono ufficialmente angosciato”, borbottò, “Dammi un quarto d’ora e sono da te!”, promise, chiudendo la comunicazione.
Orlando rimase a fissare il display del telefono.
E improvviso, come una sferzata di vento gelido, gli arrivò un ricordo vecchio di anni.

 

 
Abaigeal era seduta sul dondolo del patio.
Orlando, istintivamente, incrociò le braccia sul petto. Nello sguardo, un sottile velo di preoccupazione.
 Aveva sperato che quella settimana di vacanza a Galway le avrebbe fatto bene, ma invece lei sembrava sempre più assorta nei suoi pensieri, tanto da escludere anche lui.
Sospirò, quindi aprì la porta di casa Gallagher e uscì fuori.
Bee non si voltò nemmeno, rimase a contemplare la luna lucente che illuminava il boschetto al lato di casa.
Fece un paio di passi, quindi si sedette nel dondolo accanto a quello di lei, senza dire nulla.
Aveva imparato che alcuni pensieri non vanno disturbati.
Finalmente lei si voltò ed Orlando riconobbe i suoi occhi vagamente bagnati di pianto.
“Tutto ok, Bee?”, si decise a dire.
Lei gli sorrise tristemente.
“Io ti amo, Flow. Lo sai, vero?”, gli domandò.
Lui spalancò gli occhi, sorpreso. Cos’è che aveva appena detto?
Abaigeal sorrise ancora, “Ci sto pensando da un po’ a dir la verità e pensavo fosse giusto dirtelo”.
Lui ammutolì. Non sapeva davvero cosa rispondere.
“Capisco che ti amo perché non conosco nessuno meglio di te, Flow. Ti conosco a memoria. So l’espressione che fai quando c’è troppa luce in giro e non porti gli occhiali da sole. Strizzi di più l’occhio sinistro e fai una buffa smorfia con la bocca. So che quando dormi ti piace che chi ti è accanto ti tenga le dita. Non la mano. A te basta avere un dito intrecciato alla persona che dorme con te. So che se fai un brutto sogno hai la tendenza a nascondere la faccia nell’incavo del mio collo, come a volerti proteggere da quello che vedi. So che quando sei veramente felice, scoppi a ridere e ti tieni una mano sullo stomaco. So che quando parli con qualcuno hai bisogno di toccarlo, di sfiorargli anche solo una spalla, come a volergli ricordare che tu sei davvero lì, che stai partecipando completamente alla conversazione. So che quando devi dire qualcosa a cui tieni particolarmente, guardi il tuo interlocutore dritto negli occhi e non distogli mai lo sguardo, neanche per un secondo. So che sei terrorizzato all’idea di deludere che ti ama, ma so anche che sei cosciente che amare incondizionatamente qualcuno significa anche perdonargli qualche errore. So che ti piace stare a sentire la musica fino a che non crolli addormentato sul divano. So che adori passeggiare in mezzo alla natura e so anche che quando mediti ti visualizzi seduto in mezzo al St. James perché è lì e in nessun altro posto di Londra che senti davvero il profumo della vita. So quello che significa il sole che ti sei tatuato vicino l’ombelico e so perché ti ostini a portare i capelli lunghi.
So che detesti i tuoi ricci, che vorresti i tuoi capelli più ordinati ma so anche che non li avrai mai troppo precisi perché sono esattamente come sei te. Liberi di essere come preferiscono. So che alle volte hai dei vuoti nell’anima perché ti senti inadatto ad affrontare quello che ti capita e so che è in quei momenti che ti devo abbracciare sul serio. Con tutte due le braccia ad avvolgerti le spalle e con una mano devo accarezzarti la testa lentamente, e ti devo promettere che andrà tutto alla meraviglia perché un essere come te merita di avere ogni sogno realizzato. So che quando ridi davvero e non per dovere, socchiudi un po’ gli occhi e ti metti una mano vicino alla bocca. So che sei fragile come un fiore ma so anche che non hai paura che la tempesta ti spezzi perché sai assecondare perfettamente il movimento del vento, checché tu ne dica. E so che se sono a conoscenza di tutte queste cose… è perché ti amo, Flow”.

Lui continuò a non parlare, la guardava e basta, come se non la riconoscesse davvero.

Abaigeal proseguì senza paura, “So che ti ho amato da quella sera in cui mi hai detto che non dovevo mai smettere di cercare il grande amore ed eravamo proprio qui, mentre navigavamo sulle acque di questa meravigliosa terra. E posso assicurarti che non sono mai venuta meno alla promessa che ti feci quella notte, Flow. Non ho dovuto cercarlo il grande amore, mi è semplicemente capitato tra le mani come una goccia di pioggia. La stessa pioggia di cui parla quella canzone che amo tanto e che tu sai perfettamente perché la amo in quel modo così sconsiderato. Perché io conosco a memoria te come tu conosci a memoria me, Flow. E questo è sufficiente per me. Per non chiedere niente di più dalla vita”.

“Io…”, balbettò lui, imbarazzato.

Abaigeal allungò una mano fino a sfiorare la sua, “Flow volevo solo dirtelo, non c’è bisogno che tu dica qualcosa”.

“Tu stai…cioè, sei triste…insomma, sei così triste a causa mia?”, le domandò.

“Oh Dea, certo che no! Io stavo così perché ti mentivo Flow e tu sai perfettamente quanto detesti mentirti”.

Orlando annuì, sforzandosi di sorridere.

Abaigeal intuì dalla sua espressione che stava reprimendo qualcosa dentro di lui. Che stava cercando di non ferirla. Sospirò, quindi si alzò in piedi, si sedette sulle sue gambe e lo abbracciò. Forte. Quasi a stritolarlo.
Orlando ridacchiò.
“Flow mi prometti che questa cosa che ti ho detto non cambierà il nostro rapporto neanche di una virgola?”, rise, “Cioè, lo so che ho appena detto di amarti, ma anche tu sai che l’amore ha mille facce e mille modi di manifestarsi, quindi…”
“Bee non rinuncerei a te neanche se mi dicessi che stai per sposare il giardiniere di tua nonna!”, la rassicurò carezzandole la schiena.
Abaigeal si rilassò ed Orlando la strinse impercettibilmente.
No, il loro rapporto non sarebbe cambiato.
Neanche di una virgola.

 

 

A ripensarci adesso, gli veniva quasi da ridere. E da maledirsi.
Naturale che il loro rapporto era cambiato, dopo quella dichiarazione così intensa. Naturale anche che lui aveva cominciato a pensare spesso – troppo spesso- alle parole di Bee e a quello che gli suscitavano nello stomaco. Perché come diceva lei, le emozioni nascono nel cuore ma le senti nello stomaco. Sempre nello stomaco. Se non le senti lì, allora non sono vere emozioni e quindi non c’era da preoccuparsi.
E lui non aveva mai avuto alcun dubbio sulle emozioni che gli provocava quella dichiarazione.
Già, provocava.
Dopo quasi cinque anni, ancora sentiva una morsa nello stomaco se ci ripensava. Perché indubbiamente quella era stata la dichiarazione d’amore più bella e appassionata che qualcuno gli avesse mai fatto.
E che fosse stata proprio Bee a fargliela, non lo stupiva neanche un po’, a dire il vero.
Il campanello lo riscosse dai suoi pensieri, così come la voce di Dominic che gridava, “Bloom apri la porta prima che la sfondi!”.
Scosse la testa, suo malgrado divertito dall’impeto di quello che considerava il suo miglior amico. Lui e Bee erano più simili di quello che credevano.
Girò la chiave e con un colpo di polso aprì la porta.
Dom lo guardò con aria sconvolta, quindi prese a toccarlo in vari punti del corpo.
“Che fai?”, domandò lui senza capire.
“Controllo che non ci sia niente di rotto”, lo zittì Dom con uno sguardo torvo.
“Secondo te se mi ero rotto qualcosa sarei venuto ad aprirti?”
“Giusto”, gli concesse l’altro spingendolo dentro e chiudendo la porta.
“Siamo soli?”
“Chi ci dovrebbe essere?”, domandò Orlando stranito.
“Che ne so!”, borbottò l’altro lasciandosi cadere sul divano.
“Ovviamente se ti chiamo dicendoti che ho una crisi in corso, invito altre sedici persone ad assistere”, ironizzò Orlando, sedendosi a sua volta sulla poltrona.
“Hai una crisi?”, domandò Dom.
“Si”
“Bene”, disse l’altro con sarcasmo, “Ci voleva proprio una bella crisi! Mi mancavano”.
“Sei simpatico”, borbottò l’altro.
“Avanti OB, sputa il rospo”, si guardò intorno, “Ma prima rispondi a questa: dov’è Bee?”
Orlando sbiancò di colpo e Dominic mangiò la foglia in meno di un secondo.
“Oh merda”, sibilò.
L’altro affondò la testa nelle mani.
“OB non dirmi che ci sei andato a letto”.
Orlando annuì senza alzare il viso.
“Da quanto va avanti?”
“Da un po’”, mormorò l’altro.
Dominic si agitò sul divano, “Un po’ quanto OB?”
“Un po’…anni, Dom!”
“Oh Cristo Benedetto! Anni? Anni??? Tu e Bee andate al letto insieme da anni??”
Orlando soffocò una risatina. Dominic era assolutamente sconvolto.
“Dom lo so che può suonarti strano ma…”
“No, invece”, disse l’altro più tranquillo, “Si capiva che poteva esserci qualcosa. Ma Sam ha sempre detto che siete così praticamente da una vita e mezza, quindi non ci ho smaliziato sopra”, fece una smorfia, “Ma a guardarvi bene uno può pensarci”.
Orlando sorrise.
“Che vuoi fare, dunque? La ami? Lasci Miranda? Sposi lei? Lasci tutte e due e te ne vai in Patagonia?
“Che amo Bee è talmente scontato che neanche dovrei risponderti”, puntualizzò Orlando, “Ma il problema non è solo questo”
“Come sarebbe a dire?”
Orlando sospirò. Doveva raccontare a Dom la storia dall’inizio.
E così prese a parlare della loro amicizia, di come Bee fosse stata sempre presente. Gli raccontò delle promesse che si erano fatti durante quegli anni e della dichiarazioni di Bee sotto il cielo stellato di Galway. Gli raccontò della loro prima volta e di tutte quelle che seguirono. Gli disse che aveva sempre saputo che era lei la donna per lui, ma che non aveva mai voluto crederci veramente. Gli disse di amare Miranda, anche. Che non avevano mai pensato, lui e Bee, di poter veramente unire le loro strade.
Dominic lo ascoltava con interesse, interrompendolo di tanto in tanto per avere maggiori spiegazioni.
Quando Orlando terminò, Dom lasciò andare un lunghissimo sospiro.
“Ok, capisco OB, mi è chiara tutta la situazione. Ma non mi è chiaro perché hai una crisi ora”, si accese una sigaretta, “Hai cambiato idea?”
Orlando si grattò la tempia, “Si. Cioè, ci stavo pensando già da un po’ a dir la verità. Da quando questa storia del matrimonio ha cominciato a diventare seria…però non è solo per questo”.
“OB, ti prego, parla!”, lo implorò.
“Bee è incinta, Dom. Incinta di me”.
Dominic Monaghan aprì la bocca sconvolto, la sigaretta cadde sul parquet del salotto e riuscì a dire una sola parola.
Oh cazzo!”

 

 

 

 

NDA

 

Ebbene si… pensavate di esservi liberate di me e invece TADAN! Sono tornata.

Perdonatemi per il maledettissimo ritardo ma purtroppo ho avuto mezzo mese decisamente pesantissimo. Lasciamo stare va….

Con questo capitolo torniamo ai giorni nostri, come avete visto. Giorni difficili per questi due scemi che non hanno ancora capito cosa fare.

E giorni a cui seguiranno altri giorni pieni zeppi di colpi si scena.

Siete pronte??

Io si… *Amaranta ride come una cretina*

 

Vi ringrazio tutte, ragazze.

Strow (che ti adoro e venero come Cerridwen), Bebe (che deve necessariamente continuare la sua storia che sono curiosissima) e Star Petal che mi ha fatto arrossire quando ho letto la sua recensione.

Un grande GRAZIE anche a tutte le ragazze che mi hanno scritto in privato facendomi i complimenti. Siete state carinissime e vi ringrazio davvero di cuore.

E un grazie anche ai lettori silenti…anche se, gente, potete anche mandarmi affanculo, ma se lasciate un segno del vostro passaggio ve ne sono grata!!

 

Vi bacio tutte, splendide donne!

A prestissimo!

 

Amaranta

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Capitolo 12
*** Pick up the phone ***


pickup12

PICK UP THE PHONE



You know this place,
you know this gloom?
We've been here before.
When life is a loop,
you're in a room without a door.

Pick up the phone and answer me at last.
Today I will step out of your past.

"Trouble that we've come to know will stay with us",
with every step it slowly grows.
Rub off the rust.

Pick up the phone and answer me at last.
Today I will step out of your past.

 

“Pick up the phone”, Notwist

 

 

 

 

 

 

Spirava una brezza decisamente fredda per un marzo losangelino.
Abaigeal si tirò su il bavero della giacca di velluto, cercando di coprirsi come meglio poteva.
E pensare che aveva sempre creduto di essere temperata al freddo. Sbuffò. Evidentemente aveva cominciato ad essere più californiana di quello che aveva messo in conto.
Svoltò l’incrocio di Merlose e s’infilò nella via più popolare di Los Angeles.
Camminava lenta, guardandosi intorno, soffermandosi sulle vetrine degli stilisti più famosi imponendosi di non pensare.
Imponendosi di non riflettere sul significato di quella busta gialla che le pesava nella borsa come un macigno.
Si bloccò all’altezza della vetrina di Gucci, appoggiando entrambe le mani sul vetro.
In esposizione, c’erano abiti premaman…
Sconsideratamente pensò di entrare a dare un’occhiata per vedere se trovava qualcosa che facesse al caso suo, ma proprio mentre prendeva in considerazione l’idea, doloroso come uno schiaffò gli passò per la mente un pensiero.

Stava per avere un figlio.

Aveva appena trent’anni.

Il padre del bambino era il suo miglior amico.

Il padre del bambino si stava per sposare con un’altra donna.

La stessa donna che campeggiava sulla vetrina dell’opposta Victoria’s Secret con un bikini che ne esaltava le forme perfette.

Le venne da vomitare.

Riprese un po’ fiato, quindi senza perdere ulteriore tempo fermò un taxi e si fece accompagnare a casa e forse, una volta lì, avrebbe anche potuto….
No….
Non era ancora pronta a pensarci. Erano quasi dieci giorni che si negava ad Orlando, ma non riusciva ancora ad affrontare il discorso con lui.
Aveva paura, ecco.
Era spaventata a morte da quello che le stava accadendo, terrorizzata dalla presenza di quella vita di appena due mesi che cresceva lentamente nel suo grembo.
Istintivamente si sfiorò la pancia.
Povero amore, pensò, così piccolo e con già così tante complicazioni.
Sospirando appoggiò la testa al finestrino dell’abitacolo, guardando fuori con noia e vaga inquietudine.
Le sembrava così sconosciuta quella città, adesso.
Come se fosse arrivata da poco più di due ore e non da almeno due anni.
E le sembrava così di poco valore la vita che aveva costruito. Come se non ci fosse niente di veramente reale. Come se ogni certezza affondasse le basi sulla sabbia e non sulla roccia.
Guardò i palazzi scorrere velocemente alla sua sinistra, finché il taxi non imboccò il viale familiare della sua villetta.
Frugò nella borsa e ne estrasse venti dollari da offrire al tassista. La tratta costava meno della metà, ma non le andava di rimanere in giro neanche un minuto di più.
Neanche per aspettare che il conducente contasse il resto.
Pagò, quindi scese cautamente dall’auto e si avviò per il vialetto d’ingresso finché una figura non catturò la sua attenzione.
Dominic, seduto sui gradini del patio, che la guardava con una strana espressione.

 

 “Pensi di avere ancora molto da fare con quel centrotavola?”, ironizzò Dom, alzando un sopracciglio.
Abaigeal si riscosse, quindi tornò a guardarlo.
Era abbastanza convinta che Dom sapesse tutto, ma lui non aveva ancora fatto menzione di quanto stava accadendo. Le aveva semplicemente detto di essere lì per una semplice visita.
“Dom”, sospirò lei, “Veniamo al dunque, vuoi?”
Lui sorseggiò il suo caffè, “Quale sarebbe il dunque?”
Bee sbuffò, “Perché sei qui?”, alzò un sopracciglio, “E non rifilarmi la favola della visita a sorpresa per favore”, lo ammonì.
Lui ridacchiò, “Sono due settimane che non ti vedo, ragazza dell’Eire. Volevo solo assicurarmi che sia tutto ok”.
Abaigeal non la bevve, “Sei stato da Flow ultimamente?”
“Ovvio. Vengo direttamente da casa sua”, sorrise.
Bee sbiancò e Dominic, per contro, ridacchiò.
“Siete due strani esemplari, te e OB”, sospirò, “E devo ammettere con me stesso che strani non rende ancora bene l’idea”.
Abaigeal sorseggiò la sua tisana alle erbe, guardandolo da sotto le ciglia.
“Come mai Bee, tu ed Orlando non vi sentite più?”
Lei si strinse nelle spalle, “Nessun motivo particolare. Ho avuto da fare”.
“Tu hai avuto da fare?”, Dom scoppiò a ridere, “Abe, ti conosco ormai. Non vuoi che io ti racconti le favole, quindi ricambiami il favore e non raccontarle tu a me”.
Lei lo guardò stranita, “Abbiamo avuto una divergenza, contento?”
Lui fece una smorfia, “Non direi. OB sembra la riedizione di uno zombie e tu sembri appena uscita da una centrifuga”, la soppesò con lo sguardo, “E bisognosa di parlare con qualcuno liberamente”.
Lei si sforzò di sorridergli, ma dalle labbra gli uscì uno strano mugolio, seguito da uno scoppio di pianto, tutt’altro che controllabile.
Dom la guardò interdetto, quindi allungò una mano e sfiorò la sua.
“Cristo Dom, non so proprio come gestirla ‘sta volta”, singhiozzò.
Lui le sorrise, “Tu cerca di stare tranquilla, vedrai che le cose si sistemeranno. Orlando non ti lascerebbe mai in una situazione del genere senza assumersi le sue responsabilità”.
“Questo lo so!”, borbottò lei mettendosi le mani nei capelli, “Ma è giusto? Io sono la sua migliore amica Dom. Dovrei semplificargli la vita, non aggrovigliargliela così!”
Dominic scosse la testa sconsolato. Quei due erano più cocciuti di un assemblaggio di muli testardi.
“Io proprio non vi capisco”, buttò lì, “C’è gente che passa la vita a cercarsi senza mai trovarsi, e voi due”, ridacchiò, “Voi due vi siete trovati più di dieci anni fa e ciononostante non avete mai smesso di cercarvi. Vi sembra normale?”
Lei tirò su col naso, “No”.
Dominic annuì, “No Bee, infatti. Non è normale per niente. Adesso aspettate un bambino e lo aspettate insieme. Quindi vedete di sistemare la situazione”,la guardò con aria grave, “E in fretta”.
“E Miranda?”
“Miranda non è un problema tuo, Bee”
“I problemi di Flow sono anche i miei problemi”, puntualizzò lei.
“Orlando parlerà con Miranda e tenterà di spiegarsi. Vivaddio almeno lui il cervello lo ha rimesso in moto. Tu, invece, chiamerai Sam e cercherai di spiegarle la situazione”.
Lei annuì poco convinta.
“E la stampa?”
“La stampa alzerà un polverone degno dello scandalo Clinton, ma la cosa non dovrà riguardarvi”.
“Non dovrà riguardarci?”, Bee ridacchiò, “Come se fosse possibile”.
Dom le prese entrambe le mani, “Donna dell’Eire!”, la richiamò affettuosamente, “Siete tu ed Orlando”, le sorrise, “E quel cucciolo di uomo che porti in grembo. Se non perdi di vista questo, non cadrai mai. Parola di Dom!”
La fece ridere, e gliene fu immensamente grata.
“Ci metteranno alla brace, vero?”, le domandò con una vaga punta di apprensione nella voce.
Lui annuì con solennità, “Vi arrostiranno e vi butteranno in pasto alle malelingue, ma sono sicuro che con un paio di manovre sistemeremo la situazione”.
“Me lo prometti?”
Fu in quel preciso istante che Dom si rese conto di quanto, in realtà, fosse fragile quella giovane donna. Le fece tenerezza. Perché davanti non aveva più Bee la burbera, la ragazza battagliera senza peli sulla lingua e carica di sarcasmo. Aveva una donna indifesa, esposta… e incredibilmente spaventata. La rimproverò mentalmente per aver tagliato fuori Orlando dalla sua vita, ma non le disse nulla. Preferì sorriderle.
Lei, che probabilmente aveva intuito il corso dei suoi pensieri, gli sorrise a sua volta, quindi gli fece l’occhiolino.
“Allora dimmi, elfo bastardo! Sei contento di diventare zio?”
Lui scoppiò a ridere di gusto.
“Non vedo l’ora!”, ridacchiò ancora, “Mi sento tutto elettrico!”
Bee scoppiò a ridere. Se sarebbero riusciti davvero a superare la tempesta, quel bambino che cresceva lentamente dentro di lei, sarebbe stato il bambino più fortunato del mondo.

 

 Fece il giro del divano un’altra volta, soppesando il cordless in mano e sbuffando ritmicamente.
Doveva farlo.
Doveva farlo per forza.
Ormai i muri erano caduti, e ne rimaneva poco più che un cumulo di macerie e polvere. Macerie e polvere che non potevano e non dovevano essere la base su cui costruire quella vita che doveva necessariamente aggiustare.
E per aggiustarla, aveva bisogno dell’altra metà.
Del suo complice.
Del suo migliore amico.
Del suo unico, grande amore.
Aveva bisogno di Orlando e ne aveva bisogno subito.
Doveva capire se lui era ancora rimasto su quella barca, sopra l’oceano d’Irlanda a guardare le stelle e a promettergli che avrebbe lottato per il grande amore. Sempre e ancora. E ancora. E ancora.
Compose il numero di getto, sentendo il cuore rotolarle in gola e tamburellargli nelle orecchie.
Quando poi la voce di lui, le riempì il campo uditivo, le sembrò scoppiare.
“Bee”, gridò lui, “Bee, dannazione a te. Dove sei? Stai bene? Come ti senti? E il bambino?”, inspirò, “Bee ti prego dimmi dove sei, ti raggiungo”.
Abaigeal istintivamente sorrise. Povero amore, com’era preoccupato.
“Flow, respira”, gli consigliò dolcemente, “Sto bene. Stiamo bene. Ti ho chiamato per chiederti scusa. Non volevo…”
“Bee non voglio sentire niente. Ho solo un disperato bisogno di vederti. Dimmi dove sei”.
“Sono a casa”
“Arrivo”.
Non le diede neanche il tempo materiale di rispondere, che già aveva attaccato.
Bee se lo immaginò correre per le scale, verso il garage a prendere la macchina.
Un moto di tenerezza si spanse nel suo stomaco, pervadendole ossa e cuore e anima.
Si sfiorò la pancia e sorrise.
“Sta arrivando papà”, sussurrò.

 

 


NDA

 

Come prima cosa… BUON NATALE A TUTTE!! Anche se in ritardo…ma è tipico di me, quindi non ve la prendete.

Spero che le feste siano andate sufficientemente bene e spero anche che Babbo Natale sia stato clemente con voi. Con me non lo è stato tanto, ma non temete. Ho provveduto ad ubriacargli le renne, così impara!!

 Per prima cosa: GRAZIE. Sono scontata e ridondante, ma nn so davvero cosa dire per rendervi edotte di quello che sento quando leggo i vostri commenti. Siete fantastiche. TUTTE!

 Grazie alle mie affezionatissime Bebe e Strow…che se non ci fossero dovrei inventarle. E per quel che riguarda Strow, dubito che riuscirei a farla uguale uguale!!
Siete veramente parte integrante di questa storia ormai…e anche di quelle venture!!!

 
Grazie a Klood che mi ha entusiasmato più di Ih-Oh che alza le orecchie quando batti le mani che mi hanno regalato per natale. (Voi credevate di aver a che fare con una donna adulta uhm????)

 Grazie A StarPetal per gli auguri e per la dolcezza…spero che questo capitolo non abbia deluso le tue aspettative!!

 Diciamo che questo è il mio augurio di Buon Anno.

Per quel che mi riguarda ne lascio uno decisamente pesante e deleterio, quindi mi auguro che questo sia migliore per me e per voi.

E mi auguro anche che il sogno più grande che vi portate dentro possa essere realizzato nell’anno che viene. Siete splendide e ve lo meritate!

 

Un abbraccio forte forte

Amaranta.

 
Stroooowwww??? Tesoro, ti ricordi il viaggio di cui ti parlavo un po’ di tempo fa??
Si???
Bhè…allaccia le cinture baby! Si parte!!!!!!!

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Capitolo 13
*** Come away with me ***


comeaway14

COME AWAY WITH ME


“Come away with me and we'll kiss
On a mountaintop
Come away with me
And I'll never stop loving you”
Norah Jones, ‘Come away with me’






Claire Colburn.
Ecco cosa aveva pensato, appena chiusa la comunicazione con Bee.
Claire Colburn.
Ed aveva combattuto contro l’esigenza di correre per le scale, infilarsi in macchina e guidare fino a casa sua.
Si era seduto per terra a gambe incrociate ed aveva respirato.
‘Respira’, gli aveva detto lei. E lui aveva respirato. Si era rilassato finché non aveva sentito il cuore rallentare i battiti.
Poi, era schizzato in camera da letto ed aveva spalancato le ante dell’armadio. Si era arrampicato fino alla mensola più alta e aveva preso tutte le scatole con le foto del passato. Quindi era tornato di nuovo in soggiorno, aveva acceso il computer e raccattato un cd vuoto dal tavolino.
Aveva agguantato una bella pila di fogli della stampante e li aveva gettati accanto alle scatole con le foto.
Era tornato di nuovo verso il computer e si era messo alla ricerca delle canzoni che voleva per quel momento. Una ricerca attenta, minuziosa, passando mentalmente in rassegna tutti i testi, tutte le parole più importanti, le frasi più significative.
Dopo aver selezionato almeno cento brani, aveva messo il disco a masterizzare e si era rivolto all’altra parte del piano.
Aveva aperto con cautela le scatole e si era messo a cercare tra quelle vecchie foto.
Sorridendo, commuovendosi, ridendo, digrignando i denti.
Aveva frugato con estatica riverenza tra quei ricordi fermati nel tempo, scegliendone alcuni, quelli più significativi.
Quelli che sentiva nello stomaco.
E aveva acciuffato un pennarello blu e si era messo a scrivere.
Sul primo foglio, aveva scritto per tutta la grandezza una frase.
Bee avrebbe sorriso, nel leggerla.
E quindi aveva preso a tagliare, incollare, scrivere ancora, e incollare ancora.
E poi aveva rilegato tutto con un nastro rosso, uno di quelli dei regali del matrimonio.
Non si soffermò troppo su quel pensiero.
Stava finalmente facendo qualcosa di grandioso per la sua vita.
Stava finalmente seguendo i suoi sogni impossibili.
Sorrise.
Chissà come l’avrebbe presa Bee…
Crogiolandosi nel pensiero, prese una penna nera e un foglio bianco.
E cominciò di nuovo a scrivere.
Così, senza una traccia da seguire, gettando su quel foglio ogni pensiero, ogni illusione, ogni sogno, ogni paura, ogni cosa che sentiva.
Quelle che sentiva nello stomaco.
Neanche giunto a cinque pagine fitte di parole si sentiva soddisfatto. Doveva ancora dire molto. Tanto. Troppo.
Tornò verso il computer e fece una veloce ricerca su internet.
Gettò un’occhiata all’orologio. Era passata un’ora e mezza.
Cercò di non badarci.
Avrebbe avuto tempo. Avrebbero avuto tempo. Ci doveva essere tempo per forza. Per loro due.
Inspirò ed espirò, quindi cominciò a leggere e a scrivere ancora.
Senza fretta, ma con urgenza.
L’urgenza di chi per troppo tempo ha tenuto i suoi veri sentimenti nella mente e non nel cuore.
L’urgenza di chi ha bisogno di condividere.

 

Bee si versò dell’altra tisana al finocchio.
Erano passate due ore e di Orlando neanche l’ombra.
Che ci avesse ripensato?
Sospirando si lasciò cadere sul divano. Il portatile acceso, le rimandò l’ultima parte del capitolo che stava scrivendo.
Lo lesse con una smorfia, non del tutto soddisfatta del risultato.
Non riusciva a sentire quella storia.
Non davvero.
Si sfiorò la pancia sospirando.
“La mamma non ha fatto un buon lavoro”, mormorò traendo a se il computer.
“La mamma dovrebbe semplicemente prendere le emozioni e trasformarle in parole”, con un gesto deciso cancellò tutto il lavoro, “Dovrebbe avere il coraggio di guardare in faccia i suoi sogni e scriverli e regalarli al mondo”, aprì un nuovo documento, “Tu meriti una mamma che non abbia paura di essere ciò che vuole essere e di desiderare ciò che vuole desiderare”, scrisse la prima frase in latino, “Una mamma che ha il coraggio di consegnare a tutti quelli che la amano, la stimano e la seguono, i suoi veri sogni. Non quelli che loro vorrebbero sognare”, sorrise, senza smettere di scrivere, “La mamma dovrebbe ammettere di aver una fottuta paura di questa tua vita che le cresce dentro, ma dovrebbe anche avere il coraggio di sussurrarti che non c’è niente nella sua esistenza, che abbia il tuo stesso valore”, bevve un po’ della tisana, “E dovrebbe anche dire al ginecologo che questa dannata tisana fa schifo, e che le nausee preferirebbe tenersele piuttosto che bere questo veleno”, fece una smorfia, “Quando sarai grande te lo racconterò questo momento. Il momento delle ciliegie”, ridacchiò, “Te lo racconterò proprio così, come il momento delle ciliegie. Erano anni che aspettavo un’epifania del genere e se ci sono riuscita è solo grazie al tuo arrivo”, si carezzò la pancia, “Non eri previsto ma eri sognato. Da sempre. Sei il frutto dell’amore più perfetto ed assoluto, ed il solo esserlo dovrebbe farti capire che sei speciale. Speciale come nessun altro”, cancellò una riga, quindi la riscrisse come se la sentiva. Alla faccia della grammatica. In fin dei conti era una scrittrice, poteva pur prendersela qualche libertà, no?, “Sai piccolino, non so mica come andrà a finire….Mi auguro che tu lì dentro sia abbastanza protetto dalla tempesta che presto si abbatterà su di noi”, sospirò.
E lei?
Lei sarebbe riuscita a proteggersi da quella tempesta?
Avrebbe avuto abbastanza forza?
Con un gesto nervoso guardò l’orologio.
Due ore e mezza.
Forse ci aveva ripensato sul serio. Magari si era reso conto che non poteva condividere con lei quello che stava accadendo. Magari non voleva essere parte di quel nuovo percorso.
Poteva biasimarlo, per questo?
Sbuffò, indispettita.
“E sai cosa vorrebbe la mamma, adesso?”, gettò un’occhiata alla finestra, “Vorrebbe che papà schiacciasse quel maledetto piede sull’acceleratore e si sbrigasse a venire”, mise il broncio, “Perché adesso la mamma ha un disperato bisogno di lui”.

 

A quelle parole, mormorate come una preghiera o un desiderio, il campanello squillò.
Il destino, l’attendeva sulla soglia.

 

Quando Orlando la vide, lasciò cadere per terra la sacca e una busta di carta rossa e l’abbracciò.
A Bee sembrò assurdamente di essere tornata a casa. Lì, in quelle braccia, con l’orecchio appoggiato su quel cuore che adesso batteva furioso, si sentiva in perfetta sintonia con il Tutto.
Lui le baciò una tempia e lei sorrise.
“Bee…”, sussurrò.
Lei lo guardò divertita, “Ti aspettavamo da più di due ore, Flow!”
Lui annuì, “Lo so, ma avevo delle cose da fare”, entrò nell’appartamento e prese a guardarsi intorno, “Hai impegni per i prossimi tre giorni?”
Bee fece una smorfia.
“Che intendi?”
Lui si voltò, sorridendole, “Dobbiamo parlare”, spiegò.
Lei ridacchiò, “Si, lo so…”
Orlando camminò verso di lei, quindi le prese le mani, “Bee dobbiamo parlare molto. Devo raccontarti delle cose. Devo spiegarti il discorso che ti ho fatto in caffetteria qualche settimana fa”, inclinò la testa da un lato, “E ho bisogno di tempo”.
“Tre giorni, Flow?”
Lui annuì, “Forza, non fare la difficile”, con una mano indicò la sacca, “Ti ho preso delle cose. Niente di che, lo stretto necessario”.
Bee lo guardò sconvolta, “Flow, cos’hai in mente?”
Lui ridacchiò, “Ti ricordi la navigata di condivisione?”
“Quindi?”
“Quindi noi, dato che la barca non ce l’abbiamo, ci facciamo un bel viaggio di condivisione in macchina” spiegò soddisfatto.
“Tu devi essere matto!”, rise lei, “Un viaggio di tre giorni per andare dove?”
“Non importa il dove, Bee. Importa come ci si arriva”, le fece l’occhiolino, “Non me lo hai insegnato tu?”
Abaigeal fece una smorfia, “A’ muirnìn comincio seriamente a pensare che tu prenda un po’ troppo alla lettera i miei insegnamenti”.
Orlando l’abbracciò di slancio, “Bee per favore. Vieni via con me tre giorni”.
Come resistere?, si domandò lei.
Sospirò, “Devo prendere alcune cose”, mormorò senza staccarsi da lui.
“Ci ho già pensato io”, disse lui indicando la sacca con un cenno del capo.
“Sono una donna incinta, devo osservare delle regole”, precisò.
Lui rise, con gli occhi chiusi, “Seguirò tutte le regole che vuoi se tu segui me, sùile gorma”.
Bee si slacciò dall’abbraccio, facendo un passo indietro per permettersi di guardarlo.
Aveva una strana luce negli occhi.
Una sfumatura che non gli aveva mai visto prima.
Ed era bello. Bello come non ricordava che fosse.
Succedeva così, dunque? Era questo quello che accadeva quando finalmente ammettevi con te stessa di essere innamorata? Non di amare, ma di essere innamorata. Di avere dentro quell’euforica emozione che accelera i battiti del cuore e spinge il sangue nelle vene.
“A cosa pensi?”, le domandò.
Bee sorrise, “Questa è una cosa da irresponsabili”, borbottò.
“Possiamo prenderci tre giorni di vacanza dalle responsabilità”, disse lui sorridendo.
Abaigeal guardò la busta rossa, “Cosa c’è lì?”
Orlando scosse la testa, “Vieni con me e lo scoprirai”.
Lei rise, “Non ti ho mai visto così intraprendente, Flow”, fece una smorfia, “E neanche così insistente”.
“Bee…è arrivato il momento dei conti”.
Lei non rispose, si limitò a guardarlo, cercando di intuire la sua espressione.
E per la prima volta da che lo conosceva, non riuscì a capire.
Ma non smise di guardarlo. Finchè, all’improvviso, sorrise.
Orlando sorrise a sua volta.
“Perché sorridi?”
Lei si avvicinò e lo baciò su una guancia, “Pensavo ad una cosa”, spiegò.
“Cosa?”
“Sono contenta di non essere morta prima di averti conosciuto!”, ridacchiò, “Mi sarei persa qualcosa di veramente incredibile!”
Lui l’abbracciò forte, sollevandola da terra, “Pronti?”, domandò.
“Partenza”, disse lei staccandosi e camminando verso la porta. Lo guardò con aria maliziosa, cosicché Orlando prese sacca e busta e la seguì. Abaigeal gli sorrise, quindi aprì la porta, “Via!”, disse poi.
Lui rise, e la trascinò letteralmente per le scale.




NDA

 
Donne!!! Buon Anno e Buona Epifania!!
Come regalino di fine feste e –spero- come consolazione per l’inizio della scuola, università, lavoro e quant’altro, vi lascio il nuovo capitolo!

Questa volta facciamo sul serio.

Ci stiamo lentamente avvicinando ad una svolta quasi epocale *amaranta si sfrega le mani alla Mr Burns*.

E naturalmente GRAZIE!!!

Grazie a Doddola per la recensione: sono contenta che la curiosità ti abbia spinto verso la mia storia e sono ancora più contenta che ti sia piaciuta. Spero che questo capitolo sia all’altezza delle tue aspettative.

Grazie alla mia dolcissima Bebe, continua a sfregarti le mani tesoro, il meglio sta per arrivare.

Grazie a Star per aver lasciato la sua storia in favore della lettura del capitolo precedente. Si Gioia, mi sono sentita onorata…e adesso non vedo l’ora di leggere quello che stai scrivendo. Sono curiosa anche io!!!

Grazie alle ragazze che mi hanno scritto in privato per i complimenti. Siete meravigliose, donne. E per rispondere a T. ‘…et nos cedamus amori’.

Detto questo, dato che sono sveglia come un pipistrello, continuo la correzione del capitolo successivo a questo.

Magari riesco a postarlo prima del fine settimana!

 

Un abbraccione a tutte!

Amaranta

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Capitolo 14
*** Walk away ***


walkaway14

WALK AWAY


“With so many people
To love in my life
Why do I worry
About one
But you put the happy
In my ness
You put the good times
Into my fun
And it’s so hard to do
And so easy to say
But sometimes
Sometimes you just have to walk away
Walk away
And head for the door”

 

Ben Harper ‘Walk Away’

 

 

 

 
A Strow,
perché se lo conosco così è anche merito suo.
E perché se guardate bene, nei sedili dietro,
ci vedrete sghignazzare come pazze!

Ti voglio bene, tesoro!

 

 






“Dom dice sempre: se devi fare qualcosa, qualsiasi cosa, falla alla grande. E permettiti di metterci dentro tutto quello che sei”, disse Orlando in tono solenne.
Bee lo guardò senza capire dove volesse andare a parare.
Stavano viaggiando sulla San Bernardino verso la 71. Si domandò perché lui avesse deciso di andare verso est.
Ma non glielo chiese. La sensazione di non sapere cosa stava realmente succedendo, la faceva stare molto meglio di quello che aveva previsto.
“Allora mi sono detto, fallo alla grande OB. Buttati dentro e fregatene di tutto”, la sbirciò con la coda dell’occhio, “Ma per farlo alla grande avevo bisogno anche di te”,confessò.
Bee si girò di sbieco, “Cos’è esattamente, che stiamo facendo alla grande?”
Lui sorrise, “Apri la busta, Bee”.
Lei obbedì, quindi estrasse una grossa pila di fogli rilegata con un nastrino rosso.
Sul primo foglio, in blu, c’era una grande scritta.
Cui datum id habere quod optat id esse quod velit”.*
Si voltò di scatto verso di lui.
Orlando sorrise, “Sfoglia”, mormorò.
Senza dire una parola, Bee voltò pagina. C’era un porta cd in plastica attaccato al foglio bianco. Tolse il disco e lo inserì, quindi, mentre le prima traccia cominciò a suonare, lesse quello che Orlando aveva scritto di seguito.

Non darmi del patetico Bee. Lo so che ho preso spunto dal mio lavoro per fare questa cosa, ma t’assicuro che è solo uno spunto. Adesso mentre leggi è partita la prima traccia.
La riconosci questa canzone, Bee?”

Abaigeal guardò Orlando sorridendo.

“La prima volta che l’ho sentita ho pensato a te. Eri appena uscita da casa mia per andare dall’editore. Avevamo passato tutta la notte del tuo compleanno a fare l’amore, ricordi?
Come fa questa canzone Bee? CANTICCHIALA!”

Bee scoppiò a ridere. Quel ‘canticchiala’ scritto tutto maiuscolo, sembrava proprio un ordine.
Così prese a canticchiarla, sovrapponendo la sua voce a quella del cantante.
“Cause you and I both loved, what you and I spoke of, and other just read of, others only read of the love, the love that I love”.
Orlando annuì, sorridendo, quindi cominciò a canticchiare insieme a lei.
You and I, you and I, not so little you and I anymore, and with this silence brings a moral story more importantly evolving is the glory of a boy”.

Abaigeal si voltò, scuotendo la testa, “Tu sei pazzo”, rise, quindi proseguì nella lettura.

Tieni in mente questa frase, Bee. Non te la scordare nemmeno tra cinquant’anni, quando saremo vecchi e i nostri figli ci lasceranno i nipoti perché avranno da fare. Ricordati questa frase: this is just another day to sing about the magic that was you and me. Non smettere mai, chiaro? Canticchia sempre di me e di te!”

Abaigeal scoppiò di nuovo a ridere. Le sembrava di essere finita in un sogno.
Un sogno dove finalmente erano in due.

Proseguì a leggere, “Questa è una bella citazione da mettere in questo libro di viaggio. Ma prima aspetta la fine della canzone”.

Bee aspettò che la canzone finisse, quindi attese l’attacco della traccia successiva. Quando la riconobbe, si mise a ridacchiare, “Ottima scelta, capitano!”, si complimentò, “Questa ci voleva proprio!”
Lui si girò verso di lei sorridendo, “Wouldn’t it be nice if we were older and we wouldn’t have to wait so loong!”
“And wouldn’t it be nice to live together in the kind of world where we belong”, seguitò lei.
Scosse la testa, quindi tornò a leggere. C’era una citazione che l’attendeva.

L’amore troverà la strada in terre in cui i lupi non cacciano. Lo sai chi l’ha detta Bee? Lord Byron. Adesso, non so mica se l’ho veramente capita, ma penso che quello che unisce me e te viva proprio lì, dove i lupi non cacciano. E’ per questo che è riuscito a crescere indisturbato, diventando grande e forte, pronto a combattere e a farsi scudo dalle insidie del mondo, non credi?”

Abaigeal annuì lentamente, “Credo di si, Flow. Credo che quello che noi chiamavamo negazione, fosse invece solo protezione”, inspirò, “Invece di ucciderlo, lo abbiamo alimentato silenziosamente”.
Lui allungò una mano fino a prendere la sua, “Negato, Bee?”
Lei ridacchiò, “Ok, magari negato no, però abbiamo cercato sempre di dargli le spalle”.
“Questo è vero”, assentì lui.
“Dici che è arrivato il momento di guardarlo sul serio?”
Orlando fece una smorfia, “Non correre Bee”, l’ammonì, “Siamo solo all’inizio. Continua a leggere”.
Abaigeal voltò pagina e si trovò due fogli zeppi di scritte e foto.
C’erano loro due a Galway, di notte vicino al porto. C’era Bee che faceva le smorfie vicino ad una pinta di birra. C’erano gli occhi rossi di Orlando, probabilmente dopo una sbornia irlandese. C’erano ritagliate le loro bocche che ridevano. E c’erano stralci di discorsi che avevano fatto anni addietro, c’era raccontata la notte in barca, quando si erano promessi sotto la luna di non rinunciare mai al grande amore.
C’era il ritornello della canzone che lo stereo adesso, mandava a tutto volume.

Should I go, if she calls out my name? And if she bleeds, should I wipe up the stain?
And if I'm low, can I drown in this rain?I guess I'm no good, I guess I'm insane
, vicino c’era una freccia e di lato Orlando aveva scritto, “Quante volte mi sono domandato queste cose. Quante volte mi sono detto che probabilmente eravamo pazzi a sprecare un rapporto come il nostro. E sono state tante le volte in cui ti ho odiato perché non volevi mischiare quello che leggevo nei tuoi occhi, con quello che tu leggevi nei miei. Quei tuoi sguardi di rimprovero Bee…me li ricordo tutti. Era come se mi dicessi senza parlare che non stavo lottando per te. Ho perso tante battaglie Bee, ma da oggi comincio a combattere la guerra. E la vincerò solo se ci sarai anche tu” Gli occhi di Abaigeal si riempirono di lacrime. Respirò profondamente, quindi tornò a leggere, “Ci sarai, si?”

Lei sorrise, “Ci sarò, Flow”, mormorò, “Saremo in tre contro il mondo!”
Lui si sporse per baciarla, e lei non attese neanche un secondo per ricambiare quel bacio.
“Tre è il numero perfetto, no?”, mormorò lui, guardando la strada con un occhio solo.
“Tre è l’inizio del numero perfetto”, precisò lei, schioccandogli un altro bacio sulle labbra.
Orlando ridacchiò. Uno di quei risolini veri, che faceva così di rado, ultimamente.
“Cominciamo da tre allora”, assentì lui.
Lei sorrise, “Ci sto!”.

 

L’autostrada non era molto trafficata.
Bee appoggiò la testa al finestrino socchiuso, sbirciando fuori.
Continuavano ad andare verso sud. Orlando sembrava tranquillissimo nella sua posa da conducente preparato. Per un momento lo invidiò di sapare quali strade stavano percorrendo.
Avrebbe voluto andare avanti veloce per capire dove l’avrebbe portata quello strano, insensato, meraviglioso viaggio.
La musica adesso era più lenta, rispetto alle prime ore di viaggio.
Quante ore erano?
Aveva perso il conto. Forse due, più probabilmente tre.
Non ne aveva idea.
Sbirciò ancora il diario. Orlando aveva scritto la storia del loro capodanno a Canterbury.
E le aveva anche svelato il segreto del desiderio che aveva espresso quella notte, spiegando che si era avverato molto prima che lo pronunciasse quella sera. Non c’era più bisogno di tenerlo nascosto. Bee aveva sorriso nel leggerlo, perché era esattamente lo stesso desiderio che aveva espresso lei.
Adesso la colonna sonora di quelle due pagine era ‘Ring of Fire’ di Johnny Cash. Orlando aveva scritto un piccolo aneddoto su quella canzone, lo aveva letto nella biografia di Cash. In pratica quella canzone non l’aveva scritta lui, bensì June, sua moglie, quando lui non era esattamente nel pieno delle sue facoltà. Bee aveva letto affascinata le dichiarazioni di quella donna, trovandole perfettamente in sintonia con le sue. ‘Quando si ama, si ama sempre’ scriveva June, ‘Si ama anche quando le cose si mettono male. Soprattutto quando si mettono male. E’ questo il vero amore’.
Abaigeal sorrise.
“Dove siamo Flow?”, domandò stiracchiandosi.
Lui, preoccupato, la guardò con la coda dell’occhio, “Stai bene? Vuoi fermarti?”
Lei si allungò, appoggiandogli la testa sulla spalla, “Sto bene, si, non preoccuparti. Volevo solo sapere dov’eravamo di preciso”.
Orlando si guardò in torno, “Vicino Riverside, credo”.
“Riverside?”, domandò lei, “Ma non andiamo verso l’Oceano?”, domandò dispiaciuta.
“No”, ridacchiò lui, “Perché?”
“Perché l’Oceano è romantico!”, protestò.
“Bee una buona volta, vuoi fidarti di me?”.
Lei sospirò, “Ok, mi fido. Sto zitta. Ci fermiamo a Riverside?”
“Certo che ci fermiamo. Sono tre ore che non mangi. Hai bisogno di energia, adesso!”
Lei sorrise, “Flow, ho bisogno di energia da sempre”.
“Si ma adesso hai bisogno di energia per due, quindi ci fermiamo per mangiare qualcosa. Uno spuntino breve, prima dell’arrivo”, spiegò.
“Siamo già arrivati?”
Lui scosse la testa, “Siamo vicini alla prima tappa”.
“Manca molto?”, domandò.
“All’incirca cinque ore!”
Bee alzò la testa, guardandolo in tralice, “Cinque ore??”
Lui si strinse nelle spalle, sorridendo.
“Non sono molte, dopotutto”, considerò.
Abaigeal tornò sul suo sedile, “Flow, stai tenendo in conto la possibilità che io ti creda impazzito?”
Lui rise, “Bee, mi credi impazzito da almeno dieci anni”, puntualizzò.
“No, Flow”, obbiettò Bee, “Prima ti credevo pazzo. Era una sorta di costante nella mia vita. Tu pazzo. Io pazza. E andava bene così. Adesso invece penso che sei completamente impazzito. E un pazzo che impazzisce non so fino a che punto possa essere una buona cosa!”
Lui le scompigliò i capelli con una mano, “Prometto che non ti annoierai”, disse.
“Non ne dubito”, borbottò lei guardando il diario di viaggio.
L’insegna che campeggiava di fronte a loro diceva che erano arrivati a Riverside.
Bee sorrise, “Gonna lay down my sword and shield, down by the riverside”, attaccò a canticchiare. E nello stesso momento, la nuova traccia del cd, le consegnò la medesima canzone.
Si voltò verso Orlando stupita, “Cazzo Flow, questa non potevi averla programmata!”
Lui rise, “In realtà ci avevo provato!”, le fece l’occhiolino, “Ma la fortuna ci ha messo del suo!”
Bee gli stampò un bacio entusiasta sulla guancia, “Questa non si chiama fortuna, Flow. Questo è un grande, gigantesco, immenso, culo!!”
Ridendo, Orlando svoltò verso il centro della cittadina.

 

Tre ore più tardi, Bee si era addormentata cullandosi al dolce movimento della macchina che avanzava nel tramonto.
Avevano passato il confine con l’Arizona da un po’ di miglia, ed Orlando cominciava ad avvertire una leggera stanchezza alle spalle.
Era teso, si.
Non sapeva esattamente cosa pensasse lei di quella follia, ma non voleva rovinare tutto giungendo subito alle conclusioni.
Quelle sarebbero arrivate a tempo debito. Adesso, c’era un viaggio da fare. Ricordi da riportare a galla e promesse da mantenere.
Non tanto le promesse che aveva fatto a lei, quanto quelle che aveva fatto a se stesso.
Si maledisse per ciò che avrebbe trovato al suo ritorno, ma sapeva anche di non poter fare altrimenti.
Non poteva, anzi, non doveva lasciare che qualcun altro lo trascinasse in qualcosa che non voleva davvero.
Spense la radio.
Quando Bee si sarebbe svegliata, doveva trovare quella canzone ad attenderla.
La guardò con la coda dell’occhio.
Dormiva serenamente, rivolta verso di lui, con una mano posata sulla pancia.
La stessa pancia che ospitava un figlio.
Il loro.
Un brivido gli passò lungo la schiena ed un flash di un futuro neanche troppo lontano, gli riempì gli occhi di immagini.
Lui Bee e quel bambino, che se ne stavano tranquilli in macchina a viaggiare. Lei che canticchiava, rivolta verso i sedili posteriori, e che faceva buffe facce per quella piccola creatura. Lui che li sbirciava dallo specchietto retrovisore, sorridendo.
Stava guardando la sua famiglia.
L’assurdità affogata nella realtà di quell’affermazione, gli colpì lo stomaco.
L’aveva cercata tanto, una famiglia, e invece ce l’aveva sempre avuta davanti.
Sospirò.
E che cazzo di famiglia!
Una famiglia perfetta!

 

 
Bee si stiracchiò leggermente, quindi mugolò qualcosa di incomprensibile, allungando una mano verso Orlando.
Lui si sporse a baciarle la testa.
“Mmmh…”, gemette lei.
“Buongiorno”, mormorò lui.
Abaigeal aprì i suoi occhi blu, puntandoli sul viso di Orlando.
“Mi sono addormentata…”, considerò guardando fuori dal finestrino, “E’ notte e siamo in mezzo al nulla”, fece una smorfia, “Mi svegli, Flow?”, domandò.
Lui rise, “Tranquilla, siamo vicini alla prima tappa”, spiegò riaccendendo la musica.
Le casse soffiarono una canzone che Bee riconobbe all’istante.
Acciuffò il diario e lo sfogliò fino alla pagina che riguardava quel preciso momento del viaggio. Orlando ridacchiò, notando la sua curiosità.

“Galway. Irlanda. C’è un uomo che comincia a pizzicare dolcemente le corde della sua chitarra acustica, regalo atteso di compleanno. Accanto, c’è una ragazza che annuisce, intuendo il brano. Vicino a lei, un ragazzo sorride senza capire. Ma la ragazza non ci bada e inizia a cantare la sua canzone, guardandolo.
E quella canzone era esattamente come la promessa che si erano fatti anni addietro, mentre guardavano la luna da una barca.
Bee…hai idea di quanto ami quella canzone?!”

Abaigeal sorrise. Guardò con dolcezza le foto che Orlando aveva attaccato alla pagina. C’erano loro due e Kevin, sul patio, che cantavano una canzone, probabilmente ‘Wiskey in the Jar’, c’era la foto di Bee che sceglieva la chitarra per suo padre in un negozio di musica a Londra. E in alto, sulla sinistra, c’era attaccata la foto di una luna e, sotto, una barca colorata con un pennarello rosso.

Sai Bee, credo che nel mondo non esista nessuno che abbia dedicato ad un’altra persona tante canzoni quante tu ne hai dedicate a me. So deep in love I am, and I will love thee still, my dear, till all the seas gang dry. Non è incredibilmente bella?”

“Non credevo ti piacesse sul serio, questa canzone”, commentò lei.
Orlando annuì, “Mi piace”, asserì.
“Di chi è questa versione?”
“Eva Cassidy”, spiegò lui, “Mi sembrava molto simile a quella che avevate suonato quella notte”.
Lei si sporse per baciarlo, arrampicandosi letteralmente sul sedile.
Orlando rise, spostandosi, cercando –invano- di guardare la strada.
“Bee ci schianteremo!”
“Oh, dopo questa Flow, morirei contenta!”, ridacchiò.
“Possiamo aspettare almeno il viaggio di ritorno?”, domandò lui, ridendo.
Bee gli fece la linguaccia, quindi tornò composta al suo posto.
“Guastafeste!”, lo apostrofò.
Lui si sporse verso il parabrezza, “Ci siamo”, mormorò strizzando gli occhi.
“Ci siamo?”, domandò lei.
“Siamo arrivati”, le sorrise lui.
“Dov’è che siamo, di preciso Flow?” domandò lei, “Così, giusto per farmi un’idea!”
Lui le fece l’occhiolino, “Phoenix, Bee”.
“Arizona?”, domandò lei esterrefatta.
“Brava, tesoro! Hai studiato geografia!”, la sbeffeggiò, imboccando l’uscita dell’autostrada.
“Che ci facciamo a Phoenix?”
“Adesso vedrai…”

 


Bee si rigirò la busta tra le mani, socchiudendo gli occhi e lasciando che la brezza calda della notte le carezzasse la pelle.
Era stanca.
Ma felice.
Come non lo era da molto, molto tempo.
Orlando era rimasto in camera, spiegandole che il contenuto della busta, avrebbe dovuto leggerlo da sola.
Assurdamente si sentiva intimorita da quello che le stava accadendo, forse perché consapevole che dopo quel viaggio, la sua vita non sarebbe mai più stata la stessa.
Con mani tremanti aprì la busta, spiegazzò il foglio e cominciò a leggere.

“La scrittrice di casa sei tu, quindi neanche ci provo a buttare giù qualcosa che somigli vagamente ad un testo. Ti regalo i primi pensieri. Quelli che mi vengono, così come mi vengono, senza limarli né sistemarli né renderli grammaticalmente perfetti.
Prendili per quello che sono.
Allora…adesso se non sbaglio siamo a Phoenix, e sempre se non sbaglio hai trovato questa busta attaccata alla porta della nostra stanza.
Provo ad indovinare. Come minimo ti sei voltata verso me e hai detto qualcosa tipo, ‘Flow, posso sapere cosa cavolo stai facendo?’. Ci ho preso?”

Bee rise. Ci aveva preso.

“Phoenix sorge perfettamente in mezzo alla valle del Sole. Non è un riferimento, casuale Bee. In mezzo alla valle del sole non c’è solo qualcosa che viene costantemente illuminato e che cresce rigoglioso. Per stare in mezzo al sole servono palle. E fisico. Noi siamo esattamente qui. Ci siamo sempre stati, probabilmente. La notte non è mai stata parte della nostra storia. E non perché non ci piacesse, sia chiaro, ma perché quello che abbiamo fatto, quello che ci siamo scambiati in questi anni, è stato fatto sempre alla luce. Alla luce di consapevolezze più o meno serie e di sentimenti che, invece di mutare, si sono semplicemente allargati, avvolgendoci” C’era una parte cancellata, “Te l’ho detto Bee che non so scrivere come scrivi tu, ma spero che il concetto sia chiaro anche a te.
In questa prima tappa, porti con te i ricordi dei nostri primi anni di amicizia. Quelli in cui l’amore non era espresso ma semplicemente cullato nel cuore. Anzi. Nello stomaco. Questa parte del viaggio è stata la parte dell’innocenza del nostro rapporto. Quella in cui  ci sentivamo forti della nostra forza e sicuri che le cose non sarebbero mai cambiate. Probabilmente eravamo due illusi, chi lo sa, ma sono sicuro che senza queste basi, oggi non saremo qui a compiere questo viaggio.
Il difficile deve ancora venire, Bee, lo so io come lo sai anche tu.
Ci saranno spiegazioni da dare, battaglie da combattere e persone che rimarranno deluse.
So che non sarà facile. Né per te, né per me.
Ma so che siamo noi, Bee. Io e te in mezzo alla tempesta non ci perdiamo, anzi, ci stringiamo di più.
Non ho paura di quello che succederà in futuro, come non ho avuto paura della svolta che prese il nostro rapporto qualche anno fa.
So, semplicemente, che le cose stanno andando come devono andare.
Questo mi rassicura”

Bee sospirò profondamente, gettando un’occhiata alla skyline della città.
Era in mezzo alla valle del sole. Già.
E non aveva paura di bruciarsi.
Bizzarra come sensazione, dopotutto.
Abbassò di nuovo gli occhi sui fogli che teneva in mano.

Se dovessi abbinare una canzone a questo momento, ci abbinerei quella che piace tanto a te. ‘Waiting on an angel’. Pensala nella tua testa e leggi quello che segue.
L’amore chiede tutto ed ha il diritto di farlo.
Questa l’ha detta Beethowen e io sono d’accordo. Il nostro amore ha sempre chiesto qualcosa, ma noi non gli abbiamo mai prestato attenzione.
Adesso, è ora di farlo.
Questo è il tuo primo bivio Bee.
Puoi decidere di proseguire questo viaggio o puoi decidere di tornare indietro.
Nel primo caso, dovrai camminare ancora, senza smettere mai, continuando a lottare. Nel secondo caso, invece, potrai fermarti. Prendere decisioni più comode e meno rivoluzionarie.
A te la scelta”.

 
Bee, sorrise, quindi ripose i fogli nella busta.
Aprì la porta scorrevole della finestra ed entrò in camera.
Orlando era stravaccato sul letto, una mano dietro la testa, l’altra a giocherellare con il telecomando del televisore.
Sospirando, Abaigeal si gettò sul letto, ranicchiandoglisi contro.
Lui, istintivamente, l’abbracciò.
“A che ora si parte domani?”, gli domandò.
Orlando sorrise, quindi chinò la testa per baciarla sulle labbra.
“Ti sveglio io”, la rassicurò, “Adesso riposati”.
Lei gli posò la testa sul petto e si lasciò cullare dal ritmo lento del suo cuore.
 

 

* Al quale è dato avere ciò che desidera ed essere ciò che vuole. E’ una citazione straordinariamente bella di Pico della Mirandola. 


Come promesso…ECCOMI!!

Siamo partiti ufficialmente per questo bel viaggio. Una fatica guidare per Orlà e una fatica scriverlo per Am!!
Non so com’è uscito ma spero che sia chiaro quello che avevo in mente. Anche adesso, rileggendolo, avrei voluto cambiare quattrocento cose…ma va bene così, accontentiamoci.
Grazie come sempre ad ognuna di voi…. Vi sembrerò scontata ma l’affetto che mi dimostrate quando recensite è molto importante per me. E mi lusinga sapere che alcune di voi ritaglino minuti dal proprio tempo per vedere quello che la mia mente malata è riuscita a partorire stavolta. Vi adoro.

Bebe tesoro grazie…tu aspetti me, ma io aspetto te. Ricordatelo!!!

Grazie grazie grazie Star…io che sono d’ispirazione mi suona proprio strano, ma grazie per l’entusiasmo e la costanza!

Dod, no mazzate please…e spero di aver fatto il più in fretta possibile! Sei un angelo!

Klood…grazie per le belle parole. Adesso spero che questo capitolo invece di toglierti la curiosità te l’amplifichi!!!! (Am è sadica…mi avete beccata!!!)

E adesso torno a scrivere…c’ho 234 storie in cantiere e vi comunico ufficialmente che ho ripreso in mano ‘Accidentally’… ;)

Purtroppo causa ultimo esame prima della tesi le cose vanno un po’ a rilento ma prometto di velocizzare. Parola del tesoriere degli scacchi.

Naturalmente un ringraziamento speciale anche per le affezionate ‘anonime’ che mi scrivono in privato e per quelle che leggono e basta!

Se le ciliegie continuano a penzolare dall’albero è anche merito vostro…sappiatelo. Di tutte voi, nessuna esclusa.

 

Un bacio immenso

Am

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Capitolo 15
*** Sono qui per l'amore ***


sonoquiperl'am15

SONO QUI PER L’AMORE


 

Sono qui per l’amore

per riempire col secchio il tuo mare,

con la barca di carta,

che non vuole affondare.

‘Sono qui per l’amore’ L. Ligabue

 

 




Correvano veloci per l’autostrada, lasciandosi dietro chilometri di strada. Strada zeppa di ricordi ed emozioni, e lacrime e sorrisi. Una strada reale e metaforica.
Bee sospirò, poggiando la testa al finestrino.
Non si era fermata.
Probabilmente, se si conosceva almeno un po’, non lo avrebbe mai fatto. Mai.
Nonostante paventasse il ritorno da quel viaggio, era sicura che non avrebbe permesso alle contingenze della vita di bloccarla nell’angolo.
Socchiuse gli occhi e lasciò che la mente vagasse, intrecciandosi al paesaggio che le scorreva imperioso di lato agli occhi.
Indispettita, si sistemò meglio.
Vista periferica, chi ne aveva davvero bisogno?
Si rilassò appoggiando le spalle al sedile e lasciando che la mente la portasse dove voleva.
Per la prima volta in vita sua, si sentiva davvero libera.
Libera di pensare.
Libera di sentire.
Libera di pesare le parole di quelle canzoni che Orlando aveva scelto per lei.
Per loro.
Nella fattispecie, adesso le casse mandavano a tutto volume ‘At last’ di Etta James.
Sorrise.
At laaaast, my love is come along’, canticchiò sottovoce.
Bizzarra proprio la vita.
Bizzarre anche le esplosioni.
Una volta Orlando le aveva detto che non poteva lanciare una bomba e aspettare che la gente se ne rimanesse immobile a saltare per aria.
Niente di più sbagliato.
La gente adorava, saltare per aria.
Altro che istinto di sopravvivenza!
La gente anelava l’esplosione per mettersi davvero a nudo, per sentire il ticchettio del tempo che passa e per avere la percezione seppur vaga che è giunto il momento di slacciare le mani e cominciare a fare.
Ecco a cosa servivano le esplosioni. Servivano a far si che anche le più piccole cose nascoste uscissero allo scoperto.
Non che fosse facile, beninteso.
Le esplosioni portano con se anche tante macerie, ma la vera forza sta proprio nel salvare qualcosa da quelle macerie. Le piccole cose che non si sono rotte del tutto.
Quelle che, volenti o nolenti, si sono salvate.
Ecco.
Loro si era salvati. In un modo del tutto inappropriato alla situazione attuale, ma si erano salvati.
Avevano salvato quello che li univa.
In mezzo all’inferno della deflagrazione l’unica cosa che si era veramente mantenuta intatta, seppur bistrattata maltrattata e trascurata, era stato quello strano amore che li univa.
‘Esistono un milione di tipi d’amore…”, aveva detto ad Orlando un giorno.
Sbagliava.
Ne esiste solo uno d’amore. Quello che ti si piazza nel bel mezzo delle viscere e stringe. Stringe e chiede e anela ossigeno e acqua e nutrimento.
Quello che è come la sensazione che ti chiude la gola nel bel mezzo di un bel sogno e che ti fa svegliare. Chè non è vero che i bei sogni durano tutta la notte.
Proprio perché sono belli, proprio perché sono vestiti delle pelli dei nostri desideri, proprio per questo vengono interrotti.
Come se il nostro subconscio volesse semplicemente aiutarci a risalire la china prima di andare troppo a fondo nell’oblio.
Sbirciò Orlando con la cosa dell’occhio.

Bello.
Con il sole che gli carezzava delicatamente una parte del viso, la fronte corrugata per lo sforzo di concentrazione, una mano sul volante e un’altra intrecciata alla sua.
Il suo amore.
L’unico.
Il più probabile.
Sorrise.
‘At last, my love is come along’….

 

Orlando le lanciò un’occhiata veloce.
Era stata silenziosa dall’inizio del viaggio.
Aveva letto gli appunti del diario, canticchiato qualche canzone ma non aveva mai parlato con lui. Era meravigliosamente persa nel groviglio dei suoi pensieri. Quelli scomodi.
E si stupì nel rendersi conto di come conoscesse davvero a memoria ogni sua più piccola espressione. Ogni più leggero mutamento di sguardo.
E lo sguardo che aveva ora, era quello dei conti.
Bee stava sicuramente riflettendo su quanto le stava capitando e, conoscendola, stava cercando la soluzione più adatta per far si che lui non si ferisse troppo.
Che non ne uscisse troppo malconcio.
“Non proteggermi, Bee”, sussurrò.
Lei si voltò, alzando un sopracciglio.
Orlando le sorrise, intrecciando meglio le dita alle sue.
“Non pensare a come potresti proteggere me, in questa situazione”, si spiegò, tossicchiando, “Non ho bisogno di essere protetto. Ho bisogno che sia tu a lasciarti proteggere”.
Bee incamerò aria, “Proteggermi da cosa?”
“Dalla paura che hai”, rispose lui a bruciapelo.
“Non ho paura”, obbiettò lei incrociando le braccia sul petto.
“No?”, azzardò lui con una strana espressione.
Bee sbuffò, “Ok, si ho paura”, inspirò, “Ho paura che tutta questa cosa possa farti del male Flow. Chiamami cretina ma non volevo che andasse così. Non volevo incasinarti la vita, volevo semplicemente regalarti un’emozione qua e là per farti dire, un giorno, che ne era valsa la pena”.
“Ne è valsa la pena, Bee”, le sorrise lui clemente, “E non mi stai incasinando la vita. La stai rendendo perfetta, è diverso”.
Abaigeal fece una smorfia.
“Come faccio a rendere perfetta la tua vita se ti sto tenendo la mano mentre ti guido verso una catastrofe?”.
Orlando mise la freccia, sbirciò lo specchietto retrovisore e accostò sulla corsia di emergenza.
“Cosa fai?”, domandò Bee, voltandosi indietro.
Lui la prese per le spalle e la guardò negli occhi.
“Ti amo, Bee”, disse con la voce roca. Negli occhi una risolutezza che non gli aveva mai visto prima, “E maledico ogni secondo passato a rinnegare quello che sentivo. E lo sentivo da tempo. Da anni”, respirò profondamente, “Rimpiango di aver tirato in mezzo un mondo che non c’entrava niente con noi due solo perché avevo una fottuta paura di te”.
Abaigeal alzò entrambe le sopracciglia.
“Di te si”, lasciò la presa, ridacchiando, “Andiamo Bee, lo sai anche tu come sono andate le cose. Il nostro è stato un meraviglioso, incredibile, incontrollabile colpo di fulmine. Mi stupisco solo di essere riuscito a tenerlo a bada per così tanto tempo”.
Bee fece per parlare ma lui gli mise un dito sulle labbra, per farla tacere.
“Smettila di pensarci, Bee. Siamo fatti per stare insieme, e questa è la mia ultima parola. Non accetto rilanci”.
“Flow però tu hai mai pensato che…cioè…se magari io non fossi rimasta incinta tu saresti a Los Angeles a…”
“A chiederti come fare per annullare il matrimonio, Bee. Questo lo sai”.
Lei arricciò il naso.
“Ti ricordi cosa ti ho detto alla caffetteria?”
Bee sospirò, “Ti avevo appena informato di essere incinta”.
“Sono stato io a chiamare te quella mattina per parlare, o sbaglio?”
“No”.
“No che?”
“Non sbagli”.
Lui le scostò una ciocca dai capelli, “Anima Bee”.
Lei lo guardò senza capire.
“Sei la mia anima Bee. E senza anima non si vive bene. Me lo hai insegnato tu”.
Lei si afflosciò sul sedile, “Flow io mi sento come se ti stessi strappando dal tuo destino”, piagnucolò.
Lui scosse la testa. Cocciuta donna.
“Bee è assurdo che proprio io debba fare questa parte con te”, ridacchiò, “Di solito sei tu che rassicuri me, non il contrario”.
Lei mise il broncio, quindi gli si raggomitolò contro. Seduta sulle ginocchia, si sporse verso di lui e gli circondò il collo con le braccia.
“Me la perdonerai mai, Flow?”, sussurrò.
“Bee ti ho perdonato quando mi hai confessato di amarmi”.
Lei lo strinse di più.
“E ti perdoni anche tu?”
Lui sospirò.
“Se mi perdoni tu”.
Lei sorrise, quindi si staccò e lo baciò a fior di labbra.
“Siamo due cretini”
“Lo siamo”, rise lui, “Ma stiamo recuperando”.
Lei gli sorrise, quindi tornò a sedersi al suo posto.
Orlando le fece l’occhiolino, quindi si immise nuovamente nella corsia più a destra.

 

Abaigeal scese dalla macchina, adocchiando la casetta disastrata che le si parava davanti.
Erano a Las Cruces. New Mexico.
Tuttavia le sembrava di essere precisamente nel bel mezzo del deserto, con un esemplare di uomo che litigava con un trolley rosso cangiante.
“Flow”, lo chiamò, “Cos’è questa cosa?”, domandò indicando la casa.
“Una casa, appunto”, ridacchiò lui.
Bee fece una smorfia, “Ho detto cosa non casa”, sottolineò.
Orlando la raggiunse, trascinando il trolley e sorridendo, “E’ una casa!”.
“E tu quest’ammasso di legna fradicia e rovinata me la chiami casa, Flow? Preferivo una tenda!”
Orlando scosse la testa.
“Donna di poca fede!”, l’apostrofò.
“Pfiù!”, gli fece il verso lei.
La prese per mano, trascinandosi dietro lei e il trolley.
Salì sul portico, estrasse una chiave dalla tasca dei jeans e la infilò nella toppa. Dopo un paio di giri la porta si spalancò e, con essa, la bocca di Abaigeal.
All’interno, la casa, era tutt’altro che malandata.
Arredata in stile prevalentemente etnico, tutta sui colori del rosso e dell’arancio, si estendeva in un unico, meraviglioso, piano. Sembrava un quadro di un pittore contemporaneo.
“…zzo!”, mormorò Bee.
“Le apparenze ingannano”, buttò lì Orlando, con aria maliziosa.
Abaigeal lo seguì all’interno dell’appartamento, guardandosi intorno con aria sbalordita.
Notò immediatamente una busta rossa, appoggiata sopra il camino.
Gettò un’occhiata divertita ad Orlando, quindi volò letteralmente dall’altro lato della stanza, acciuffando la busta ed estraendone il contenuto. 

Las Cruces.
Le croci.
Qualcuno dice che, invece, l’origine latina del nome volesse significare più semplicemente, crocevia.
Adesso, mentre leggi questa lettera, ti trovi esattamente al centro del salotto di
Donna Dolores.
Donna Dolores era una bella ragazza, vissuta esattamente in questa casa più o meno ottanta anni fa. Lottò contro la comunità per difendere il suo amore, ma venne cacciata e si stabilì in questa vecchia casa abbandonata dai minatori.
Visse qui, aspettando il suo amore.
Lo aspettò per almeno cinquant’anni, senza mai andarsene.
Alle giovani della città che passavano a farle visita, era solita dire: ‘amare significa anche avere la pazienza di attendere. Avere la perseveranza di restare. Anche quando tutto sembra convincerti del contrario.”
Morì a sessantanove anni. Da sola. Mentre, probabilmente, aspettava il suo amore.
In mano teneva la foto del suo uomo, che non era mai tornato, ed una vecchia poesia di un poeta latinoamericano.
Non so che poesia fosse, non lo sa nessuno.
Ma so che poesia avrei tenuto tra le mani io.
Per fortuna, non dovrò aspettare invano. Grazie agli Dèi io e te siamo stati molto più fortunati di Donna Dolores. E’ per questo che siamo qui.
Siamo venuti a rendere omaggio ad una donna che ha dovuto vivere la sua vita da sola, senza avere la possibilità di donare il suo amore all’uomo che amava.
Io e te, per contro, le stiamo
dicendo che, quando ci si trova, non importa quante difficoltà si debbano affrontare, si rimane insieme. Nonostante tutto”.

 
Abaigel si voltò verso Orlando, sorridendogli e tentando di controllare la commozione che le stringeva la gola.
Lui le stava regalando se stesso.
Le stava regalando dieci anni e più d’amore.
Le stava regalando la promessa di non andarsene. Mai.
Lui strizzò l’occhio, invitandola a proseguire con un cenno del capo.
Bee abbassò lo sguardo sul foglio.

 
Questa è la poesia che avrei tenuto io, se fossi stato nei panni di Donna Dolores.

Neruda.

Non t'amo come se fossi rosa di sale, topazio
o freccia di garofani che propagano il fuoco:
t'amo come si amano certe cose oscure,
segretamente, tra l'ombra e l'anima.

T'amo come la pianta che non fiorisce e reca
dentro di sé, nascosta, la luce di quei fiori;
grazie al tuo amore vive oscuro nel mio corpo
il concentrato aroma che ascese dalla terra.

T'amo senza sapere come, né quando, né da dove,
t'amo direttamente senza problemi né orgoglio:
così ti amo perché non so amare altrimenti

che così, in questo modo in cui non sono e non sei,
così vicino che la tua mano sul mio petto è mia,
così vicino che si chiudono i tuoi occhi col mio sonno.”

 

Senza dire nulla, Abaigeal lasciò cadere a terra il foglio e la busta e si lanciò tra le braccia di Orlando, che l’accolsero senza riserve.
“T’amo senza sapere come, né quando, né da dove…” citò lei, in un sussurro.
Lui le baciò i capelli, “Così ti amo perché non so amare altrimenti”, concluse lui.

 

 

 
Posso dirvelo?
Bhè ve lo dico. Ve lo devo dire.
SIETE INCREDIBILI…non so davvero da dove cominciare per ringraziarvi tutte per l’entusiasmo e le belle parole e le emozioni che mi regalate attraverso le vostre parole.

GRAZIE DAVVERO.

Alla mia Bebe…donna! Grazie! Sul serio. Spero di non deluderti con questo nuovo capitolo! E Buon Anno anche a te!

A Summer…non preoccuparti, Gioia. Il fatto che tu l’abbia persa e poi ritrovata vale molto più di quello che pensi. Sappilo.

A Star che ha fatto a botte con il sonno pur di leggere il nuovo capitolo. Sei un angelo sul serio!

Dod tu invece…mi hai fatto passare un brivido. Non scherzo. Giuro sulla mano destra del Magnifico che non sto scherzando. Ma il fatto che tu l’abbia trovato perfetto significa immensamente tanto! Ma tanto tanto! E spero che questo capitolo abbia sortito lo stesso effetto del primo.

Klood, sweetie… ‘e non finisce qui’! Grazie tesoro per essere ritornata!

E last but not least…STROW!

Tesoro mio se avessi parole sufficienti per dirti tutto quello che dovrei dirti non starei a grattarmi l’orecchio come un gattino con le pulci.

Sei…bhè…sei Naihm. La mia Naimh per inciso e sai cosa vuol dire. Io ti ringrazio somma donna per tutto quello che dici, fai, pensi e immagini. E ti ringrazio per regalarmi un po’ di tutto questo.

E se ti può consolare anche io sono ano-rmale. Sarà mica per questo che ci prendiamo così bene???? ;)

Love U, honey!!

 

 

PS. La storia di Donna Dolores non è un’emerita cazzata. O almeno non del tutto. Donna Dolores è veramente esistita e ha veramente sofferto le pene dell’inferno a causa del suo amore. (Lui era un forestiero e in paese non era visto di buon occhio. Anche dopo il suo arruolamento i concittadini continuarono a dirne di peste e corna confinando Dolores in una casettina lontano dalla città!). Tuttavia Donna Dolores non viveva a Las Cruces. A dir la verità non credo che sia mai vissuta neanche dov’è realmente vissuta. Penso che Dolores sia vissuta nel suo amore. E dovevo per forza omaggiarla per questo.

 

 

 

Ci vediamo alla prossima puntata!

Vi voglio bene!

 

Bacio

Am

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Capitolo 16
*** Con la tua immagine e con il tuo amore ***


cnltimmecnitam16

CON LA TUA IMMAGINE E CON IL TUO 

AMORE

 

 

 

Si dice che la cosa più triste che un uomo debba affrontare sia quello che avrebbe potuto essere.
Ma che ne è dell'uomo che affronta quello che è stato?
O quello che non sarà mai?
O quello che non potrà mai più essere?
Scegliere la strada giusta non è mai facile.
E questo è quando troviamo la nostra strada verso qualcosa di migliore...
O quando qualcosa di migliore trova la strada per raggiungerci.

(OTH)

 

 

 

 

 

 

 

Abaigeal strizzò gli occhi per tentare di leggere il cartello stradale che intuiva essere a qualche miglia da loro. Invano.
Sbuffò, tornando a mettersi seduta sul sedile.
Neanche il diario di bordo forniva indicazioni circa la nuova città d’arrivo. Nell’ultima pagina che Orlando aveva scritto c’era solo una bizzarra citazione: ‘il viaggio finisce quando gli innamorati si incontrano…’ e vicino aveva incollato una foto in bianco e nero che li ritraeva insieme. Avevano scattato quella foto ad un party di beneficenza e Bee la trovava assolutamente perfetta. Una mano di Orlano tra le sue, due paia d’occhi che si fissavano allegri e le bocche che sorridevano divertite. Aveva sempre sostenuto che quel fotografo era riuscito a captare perfettamente la loro essenza.
Sbirciò Orlando con la coda dell’occhio. Aveva un sorriso ad ammorbidirgli i lineamenti e lo sguardo concentrato sulla strada.
Qualcosa gli scaldò immediatamente il cuore.
Si augurò, dentro di se, ancora una volta, che quel viaggio non finisse mai. Che durasse in eterno conservando quella strana magia che li aveva avvolti da quando erano saliti in macchina.
“Siamo arrivati?”, domandò di nuovo.
Orlando si voltò e le sorrise. Un sorriso dei suoi, di quelli che gli illuminavano il viso. Ed erano i sorrisi che Abaigeal amava sopra ogni cosa.
Alcune persone sorridono solo con la bocca. Altre solo con gli occhi. Ma quando Orlando increspava le labbra, il sorriso gli esplodeva in faccia illuminandogli lo sguardo e addolcendogli l’espressione. Era uno spettacolo per cui valeva la pena di vivere, quello.
“Quasi”, guardò il cartellone stradale, “Dobbiamo uscire alla prossima”.
Bee corrugò le sopracciglia, adocchiando il segnale a sua volta, “Il viaggio finisce a El Paso?”, gli domandò.
Lui si strinse nelle spalle, con fare misterioso.
“Eddai Flow, dimmelo! Sono curiosa!”
Lui ridacchiò, “Non puoi aspettare dieci minuti in più?”
Abaigeal sbuffò, “Ho qualche speranza che tu ceda prima di dieci minuti?”
“No”, rispose lui, divertito.
“Appunto”, borbottò lei abbassando il finestrino.
“Stai bene?”, le domandò Orlando, “Hai caldo? Vuoi dell’acqua?”
Lei gli sfiorò la mano con la sua, “Sono in ottima strepitosa forma, Flow. Non preoccuparti!”
Orlando le sorrise, quindi mise la freccia e svoltò all’uscita per El Paso.
“Ok, dunque”, attaccò, improvvisamente nervoso, “Ti spiego il programma che ti aspetta”, la guardò, “Hai bisogno di risposarti?”
Bee scosse la testa, “No, sono più che riposata”, lo rassicurò.
Orlando annuì, “Bene. Meglio”, ridacchiò, “Allora, c’è una stanza d’albergo che ti aspetta al centro della città”.
“Che mi aspetta?”, domandò Abaigeal, “Perché? Tu dove andresti?”
“Ho da fare alcune cose”, le spiegò.
“A El Paso?”, domandò lei scettica, “Riesci ad avere delle cose da fare anche a El Paso?”
Lui scoppiò a ridere, “Ho molto da fare a El Paso”, disse in tono allusivo, “Ma non preoccuparti, avrai le spiegazioni che cerchi quando sarai arrivata in camera”.
“Flow sai una cosa?”, interloquì lei alzando un sopracciglio, “Cominci a spaventarmi!”
Orlando si sporse e la baciò a fior di labbra, quindi estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans e compose un numero.
“A chi telefoni?”, gli domandò lei.
Lui si mise un dito davanti alle labbra, invitandola a fare silenzio, quindi cominciò a parlare con un certo Mr Porter.
“Stiamo per arrivare”, mormorò, “Tutto ok?”
Bee affinò l’udito per sentire quello che rispondeva il tale, senza riuscirci. Sentì Orlando ridacchiare e ringraziare, quindi lo vide chiudere la conversazione e lanciare il cellulare sul cruscotto.
“Flow, posso chiederti una cosa che potrebbe rovinare irrimediabilmente l’atmosfera?”
“Se proprio devi”, borbottò lui.
“Ma…Miranda, no… cioè, non ti ha mai chiamato in questi giorni?”
Lui non rispose e lei proseguì, “Voglio dire, quando ero con te il tuo cellulare non ha mai squillato e mi sembra strano. Cioè, quella non lascia passare un’ora senza inondarti di chiamate e adesso, improvvisamente ha smesso?”, lo guardò torva, “Hai messo il silenzioso, per caso?”
Inaspettatamente Orlando scoppiò a ridere, “No, non ho messo il silenzioso Bee. Miranda ha chiamato ieri notte mentre dormivi. Prima di partire le ho detto che avevo bisogno di qualche giorno per fare una cosa e che preferivo non essere disturbato, così… si è limitata”.
“Non ti ha chiesto nulla?”
Orlando sospirò, “Naturale che mi ha chiesto. Anzi, mi ha fatto un mezzo interrogatorio ma sono stato abbastanza intransigente, quindi ha evitato di approfondire”, si grattò una tempia, “Credo che stia cominciando a capire che le cose stanno scricchiolando, così ha paura di chiedere per evitarsi di sentire risposte che non le piacerebbero”.
Abaigeal sospirò. Avrebbero mandato il cuore di quella ragazza in mille di pezzi. Non che le stesse particolarmente simpatica, questo no, ma comunque le dispiaceva un po’ per lei. Nonostante fosse sempre stata convinta che non amasse Orlando per quello che era ma che lo amasse per quello che, invece, rappresentava, le sembrava comunque di star commettendo qualcosa di truce contro di lei. E forse, nonostante tutto, non se lo meritava.
“Flow”, lo chiamò, “Come pensi che reagirà se…”
“Non se, Bee. Dì pure quando”, la corresse lui, “E penso che ci rimarrà male. Molto male. Ma penso anche di non poter fare diversamente”.
“Mi dispiace”, mormorò lei, abbassando lo sguardo.
“E di cosa?”, domandò lui stupito, “Non è mica colpa tua, Bee”.
“No?”, chiese lei, scettica.
“No”, rispose lui, “La colpa è mia che ho trascinato questa cosa senza voler vedere la realtà dei fatti. Miranda è stata una persona importante nella mia vita, e questa è una cosa che non cambierà, ma non è la persona della mia vita, capisci?”, la guardò, “E potevo evitare di portarla con me su questa strada se mi fossi deciso a guardare le cose come stavano!”
Bee si fissò la pancia, da lì ad un mese avrebbe cominciato ad ingrossarsi velocemente.
“Di sicuro adesso le cose le vedrai eccome”.
Orlando ridacchiò, “Era anche ora!”
“Bhè Flow”, rise lei, “Non sei certo famoso per il tuo tempismo!”, lo prese in giro.
Lui le fece una smorfia, quindi imboccò la via principale alla fine della quale c’era l’imponente edificio dell’albergo, “Vedremo se sarai dello stesso parere tra qualche ora”.
Lei rise, “Vedremo…”

 

 
Orlando prese il vecchio stereo dall’emporio e lo portò nel giardino della casa che aveva affittato per quella sera.
Si sentiva stranamente nervoso. Sapeva che Bee non avrebbe fatto un passo indietro  non ora, ma si sentiva come in bilico.
L’impotenza di non riuscire a leggere tutti i pensieri di lei, lo frustrava più di quanto avesse preventivato.
Sospirò, quindi camminò verso la casa abbandonata.
Mr Porter aveva fatto una scelta senza dubbio interessante. La casa sorgeva appena fuori El Paso ed era stata una vecchia taverna frequentata dai delinquenti della città. Era piccola ma solida ed aveva un giardino enorme a circondarla.
In questo posto molte vite cambiarono radicalmente ed Orlando trovò quel particolare decisamente calzante.
La loro vita stava cambiando per sempre. Ineluttabilmente.
Pensò a quello che li avrebbe aspettati una volta rientrati in città.
Avrebbe dovuto parlare con Miranda, subito. Non poteva lasciare trascorrere un solo giorno in più, sarebbe stata un crudeltà gratuita che quella ragazza, comunque, non meritava. E sapeva che quella rottura sarebbe stata più difficile del previsto. Miranda non lo avrebbe lasciato andare senza lottare, la conosceva bene. Sapeva perfettamente quello che avrebbe detto, a cosa avrebbe ricorso e la sola idea gli provocò un brivido. Come avrebbe fatto? Avrebbe dovuto dirle che Bee era incinta? Oppure era preferibile tenere quel particolare nascosto? Avrebbe dovuto dire che la lasciava perché non l’amava più o che non la amava affatto perché aveva sempre amato un’altra persona?
Sospirò, entrando nel giardino del casolare.
Camminò verso il retro, quindi appoggiò lo stereo sopra al tavolino, accanto al proiettore. Collegò i fili, cercando di non sbagliare gli allacci.
E i loro genitori, poi, come l’avrebbero presa? Sarebbero stati contenti?
Bhé, di sicuro non si sarebbero opposti. Quell’unione sembrava fin troppo naturale, tuttavia non riusciva a smettere di domandarsi come avrebbero reagito.
Ma il problema principale non erano loro, non era la stampa e non era nemmeno l’opinione pubblica. Quello che, in un certo senso, lo spaventava più di tutti era Miranda.
Cosa avrebbe dovuto dirle?
E chi poteva consigliarlo?
Senza pensarci prese il cellulare e compose il numero di Samantha. Era sua sorella, avrebbe capito. Avrebbe accettato. Sarebbe stata contenta di essere la prima a sapere quello che stava succedendo.
Rispose al terzo squillo con un tono tra il sollevato e il preoccupato. Uno strano mix.
“Orlando”, quasi lo gridò, “Dove sei? Stai bene? Come stai?”
Orlando ridacchiò, “Ciao Sam. Sto bene, si, non preoccuparti! Tu?”
“Bene”, rispose lei in tono sbrigativo, “Cosa mi stai combinando?”
Lui sospirò. Doveva dirglielo. Subito. Senza girarci troppo intorno.
“Sam, sei in grado di mantenere un segreto?”, domandò, “Almeno fino a domani?”
“Naturale”
“Ok, sei seduta?”
“Sto iniziando a sudare, Gib. Arriva al dunque prima che mi prenda un infarto!”
Orlando ridacchiò, “Ti ricordi quel pomeriggio, al negozio di abbigliamento, quando mi hai chiesto se ero onestamente convinto di sposare Miranda?”
“Lo sapevo”, brontolò lei, “Si, me lo ricordo. Mi hai anche risposto che eri decisamente convinto”.
“Bhè…il punto è che non sono poi così convinto, Sam. Ci sto pensando da un po’ e credo di non poterla più sposare”, lo disse tutto d’un fiato, senza pensarci.
Samantha rimase qualche secondo in silenzio, poi la udì sospirare, “Cosa dice Bee di tutta la faccenda?”, s’informò.
“Bee è qui con me”, disse lui con un tono basso.
“Non avevo dubbi. Però voglio sapere che consigli ti sta dando. Avete già architettato qualcosa?”.
Orlando mascherò una risatina. Sam non aveva capito l’allusione. Probabilmente finché lui non le avesse raccontato le cose come stavano, non ci sarebbe arrivata neanche con i sottotitoli.
“Il problema è che Bee non mi sta dando consigli. Diciamo che sta cercando di capire qualcosa anche lei”.
Sam rise, “Bee senza parole? Questa mi giunge nuova!”
“Si lo so, giunge nuova anche a me”, scherzò lui, “Ma comunque il punto è questo: Bee non trova le parole giuste perché…cioè…insomma il problema è lei”.
Sentì Samantha tossicchiare, “Cosa vuol dire questo?”
“Sam, potresti anche fare uno sforzo di immaginazione, ti pare?”, sbuffò Orlando, “Non mi rendi le cose facili, così!”
“Gib, preferisco non fare sforzi di immaginazione”, rispose lei, “Preferisco evitare di pensare quello a cui sto pensando. Perché se quello a cui sto pensando è quello che sta realmente accadendo, vengo lì e vi prendo a calci nel culo fino al prossimo mese”.
Orlando rise, “Ok, accomodati, siamo a El Paso”.
“El Paso??”, gridò lei, “E cosa state facendo di grazia?”
“Quello a cui stai pensando”, ribatté lui serenamente.
“Orlando”, tuonò, “Avete fatto una fuga d’amore di quelle da romanzo rosa?”
“Abbiamo intenzione di tornare domani”, spiegò lui.
Samantha sospirò ancora, “Ok, sputa il rospo. Spiegami cosa diavolo sta succedendo”.
Orlando incamerò aria, “Avrai notato che nelle ultime settimane io e Bee siamo stati un po’ distanti, si?”
“Mmmh-mmmh”, rispose Sam.
“Ecco, il punto è che ci è capitata una cosa che non avevamo previsto. Cioè…era prevedibile che potesse accadere ma non credevamo che…cioè..”
“Orlando potresti tentare di articolare una frase di senso compiuto, cortesemente?”
“Io e Bee ci frequentiamo da un po’”.
“Almeno quattordici anni”, precisò l’altra.
“Non hai capito che volevo dire”, sbuffò lui.
“Prova a spiegarti, allora”.
“Io e Bee abbiamo una relazione sessuale da un po’ di tempo”, precisò lui stizzito.
Silenzio.
Samantha rimase in silenzio per un minuto buono. Orlando pensò fosse morta.
“Sei viva?”
“Si”, soffiò l’altra, “Ma per poco. Tu e Bee andate a letto insieme? Da quando? Perché non me l’avete detto? E perché cazzo stai organizzando un matrimonio con un’altra?”
“Sam frena. E’ una cosa complicata!”
“Puoi scommetterci”, ironizzò l’altra.
“E’ successo due anni fa, la prima volta!”
“DUE ANNI FA????????????????”, gridò l’altra.
“Non te l’abbiamo detto perché…non lo so perché Sam. Ci siamo tenuti questa cosa per noi e basta. Non abbiamo fatto troppi conti. E’ capitato e basta”.
“E’ capitato e basta”, ripeté Sam sconvolta, “Orlando. Capita che tu non riesca a centrare il water la mattina, mezzo addormentato mentre fai pipì. Non capita che vai a letto con una persona che, tra le altre cose, è la tua migliore amica”, puntualizzò Sam.
“Ok, comunque è successo. E la cosa ha preso una piega inaspettata”, borbottò lui, grattandosi la testa.
“Inaspettata per chi?”, ridacchiò Sam, “Andiamo fratellino, non dirmi che non avevi mai fatto i conti con quello che ti lega a Bee. Anche i muri se ne sono accorti. Perché diavolo credi che ti abbia fatto quella domanda al negozio di abbigliamento?”
Lui non disse nulla, si limitò a sospirare forte.
“Gibs, devi essere sincero con me, adesso. Voglio sapere che intenzioni hai”.
“Mi sono innamorato di lei”, sputò lui, risoluto.
“Bene”, soffiò Sam con tono soddisfatto.
“Bene. Si. Ok. Va proprio bene. La amo da quattordici anni e me ne sono innamorato un mese e mezzo fa. Ti pare normale? A me no”.
“Gib, voi due non avete nulla di normale. Niente di niente. E se te ne sei innamorato, se sei innamorato di lei come donna e non come amica, allora sai quello che devi fare”.
“Lo so”, sbuffò lui, “Ed è quello che ho tentato di fare tre settimane fa. Ti ricordi il giorno che siete andate a provare i vestiti per la cerimonia?”
“Ovvio”
“Quella mattina avevo chiamato Bee per metterla a parte di questa cosa. Ci siamo visti prima che lei venisse da voi, ma la conversazione non è andata come mi aspettavo”.
“Che intendi?”
“Sam, Bee è…cioè…noi aspettiamo un bambino”.
Si sentì un tonfo sordo, seguito da un imprecazione e poi da un altro tonfo.
“Sam?”
“Si, eccomi. Ci sono”, ansimò lei, “Oh Cristo Gib. Questa è una cosa…”, sospirò, “Ok, non è una cosa facile ma è la cosa più meravigliosa che potessi mai dirmi. Tu e Bee avrete un bambino? Io diventerò zia?”
Orlando fece una smorfia. Possibile che tutti avessero quella reazione?
Anche Dom era andato in brodo di giuggiole quando aveva capito che se Bee era incinta, lui sarebbe diventato zio.
Incredibile. Lui e Bee pensavano di doversi subire almeno un’ora di paternale e invece si trovavano a fare i conti con persone felici di avere un nipote.
Roba da matti.
“Capisci le implicazioni di tale novità, zia?”, domandò lui con un tono strano.
“Certo che le capisco. Ma al momento sono troppo felice di sapere che la mia migliore amica aspetta un figlio dal mio fratellino che non sposerà la sorellastra di Cenerentola. Cerca di capirmi!”
“Sam, a tal proposito, devo chiederti un consiglio”.
“Spara!”
“Ecco, se stasera le cose vanno come devono andare, domani torneremo a Los Angeles e io vorrei parlare subito con Miranda”.
“Mi sembra sensato”, approvò lei.
“Però sono indeciso su cosa dirle”, ingurgitò aria, “Cioè, mi limito a dirle che non voglio più sposarla perché non la amo come dovrei oppure le racconto l’intera faccenda, bambino compreso?”
Samantha sbuffò, “Bee che dice?”
“Preferirei non coinvolgerla in questa parte”
“Giusto”, assentì lei, “Dunque…vediamo…Gib, secondo me le puoi dire che non la ami perché hai scoperto che c’è qualcuno che conta più di lei. Ti scusi. Chiedi ammenda. Ti cospargi il capo di cenere e ti offri di pagare tutte le disdette della cerimonia, però del bambino non glielo direi, fossi in te”
“Lo capirà”, osservò Orlando, titubante.
“Lascia che lo capisca”, disse lei in tono conciliante, “Non darle più informazioni di quante non le servano. Quando sarà il tempo, metterà insieme i pezzi da sola”.
“Grazie Sam”, rispose Orlando sollevato, “Ti voglio bene!”
“Te ne voglio anch’io Gib. Però adesso dimmi”, il suo tono si fece più allegro, “Cosa stai combinando a El Paso?”
Ridendo, Orlando prese a raccontarle quello che aveva deciso di organizzare.
Per la prima volta in vita sua, si sentì completamente felice.

 


Dall’altra parte della città una ragazza, con un sorriso bagnato di lacrime, stava leggendo i pensieri dell’unica persona avesse mai amato in vita sua.
Dall’altra parte della città, in terra, sulla moquette di un albergo qualsiasi, una ragazza stava sorridendo al mondo, pensando che i sogni sono l’unico vero motore della vita di chiunque.
Dall’altra parte della città, una ragazza si carezzava dolcemente la pancia pensando a come a volte, l’amore, sia strano e inattaccabile.
Dall’altra parte della città, una ragazza stava sospirando mentre nella mente circuitava una frase. Un'unica frase.

“Con la tua immagine e con il tuo amore, tu, benchè assente, mi sei ogni ora presente. Perchè non puoi allontanarti oltre il confine dei miei pensieri; ed io sono ogni ora con essi, ed essi con te."
Dall’altra parte della città, Abaigeal Gallagher stava pensando che, nonostante le avversità, nonostante i risvegli bruschi, i distacchi, le ferite e il dolore, c’era qualcosa che si salvava sempre.
Qualcosa che rimaneva aggrappato alle pareti del cuore come un naufrago alle pareti della barca. E pensava che quella barca li avrebbe portati in salvo.
Non solo lo pensava. Lo sapeva.
Perché quella barca era il loro amore e perché loro non avevano mai mollato la presa.

 

 

 

 


Io, ragazze mie, non so più che dirvi per rendervi partecipi di quanto quello che scrivete sia importante per me.
Non so neanche dirvi com’è bello leggere le vostre emozioni su queste pagine.
Ma una cosa ve la posso dire.
Sono proprio quelle, le vostre emozioni, che rendono concrete le parole che leggete. Quello che è scritto qui è mio tanto quanto è vostro.
Abaigeal siete voi, ognuna di voi.
E Orlando è di tutte quelle che lo guardano con lo sguardo di Bee, che è il vostro sguardo. Che è il nostro sguardo.
Perché è così che funziona.
Perché noi funzioniamo così, alla faccia di chi non ci crede. O di chi ci sbeffeggia. O di chi ci dice di si, salvo poi scuotere la testa appena ci giriamo.
Vi amo.
E non scherzo.

 

Dod, tu sei un urgano di dolcezza e follia. Non sai come sia felice di averti qui, approdata alla sponda di queste ciliegie. Sei un fenomeno. Sul serio!
E la domanda retorica stavolta te la risparmio…anche se…mmmm… piaciuto anche questo?

Bebe, grazie grazie grazie! Spero che gli occhi a cuoricino siano diventati ancora più a cuoricino (ok, l’ho detto in una lingua sconosciuta ma spero si sia capito!)

 

Strow, tante volte penso che le nostre menti respirino all’unisono. E le tue parole…bhè sorella, mi hai fatto commuovere. E non perché dici sempre quello che vorrei sentire da qualcuno che stimo e amo, ma per come lo dici e per i momenti in cui scegli di dirlo. Tu sei paranormale, lascia che te lo dica! E io ti adoro per questo. E arriverà un giorno in cui, fumando mille sigarette, staremo in macchina a viaggiare verso il nulla, con la musica in sottofondo e mille citazioni da sparare alla nuvole. Comincia a diventare ‘necessità’. Sappilo.

PS. Libro acquistato. Appena ho finito, ti faccio sapere!

 

Klood, tu sei troppo buona!! Ma sappi che mi fa piacere che la storia ti stia prendendo. Anzi, ti dirò…mi fa piacere che tu riesca a fotografarla nella tua mente. Quasi quasi mi piacerebbe vederla con i tuoi occhi! Grazie, Stella. Grazie sul serio.

 

LadyElizabeth, il fatto che te la sia letta tutta d’un fiato mi fa saltellare dalla gioia! E il fatto che tu abbia percepito l’amore di Bee come fosse il tuo è una delle cose più belle che potessi dirmi! E a questo punto ti auguro che qualcuno possa fare il viaggio con la playlist anche a te…tuttavia, se c’è gente che non ha le palle per farlo ti do un consiglio. FALLO TU! E’ tra le dieci cose che una persona dovrebbe fare nella vita. Parola di Scout.

 

 

E adesso, dopo questo, torno a scrivere.

Oggi sono carica…

 

GRAZIE ANCORA, DONNE!

Non ve lo dico più quanto siate importanti per me.

E grazie anche ai lettori silenti!

 

VI ADORO

Am

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Capitolo 17
*** Fisrt time ever I... ***


firsttimeever17

FIRST TIME EVER I







“L'amore è bensì una nebbia sollevata con il fumo dei sospiri e se questa si dissipi è un fuoco che sfavilla negli occhi degli amanti e se sia contrariato non è che un mare nutrito dalle lacrime di quegli stessi amanti. E che cos'altro può mai esser l'amore se non una follia molto segreta, un'amarezza soffocante e una salutare dolcezza”

 

W. Shakespeare. ‘Romeo & Juliet’

 

 

Era buio.
Non fosse stato per quelle due bizzarre fiaccole poste alla fine del giardino, era completamente buio.
Buio pesto.
Abaigeal strizzò gli occhi nel vano tentativo di mettere a fuoco quello che la circondava e facendo attenzione a dove mettere i piedi.
“Flow?”, chiamò.
Nessuna risposta.
Possibile avesse sbagliato strada? Magari non era quella la casa che Orlando aveva descritto nella sua cartina.
In fin dei conti che ne sapeva lei di come si orientavano lì a El Paso.
Sospirò, “Flow?”, chiamò di nuovo.
Di nuovo silenzio. Un silenzio pesante. Carico.
Uno di quei silenzi che ti si piazzano al centro dello stomaco come ad annunciare l’attesa di qualcosa di grande. Di importante.
Socchiuse gli occhi, e quando li riaprì un fascio di luce la colpì in faccia.



The first time ever I saw you face, I tought the sun rose in your eyes”

 Abaigeal saltò per lo spavento. Fissò lo schermo davanti a lei ed una morsa potente le strinse il cuore.

"And the moon and the stars were the gift you gave to the dark and endless skies, my love. To the dark and the endless skies.”

Le immagini della festa di compleanno di Orlando li ritraevano insieme. Erano fuori, in terrazza. Le teste vicine, presi nella conversazione. Orlando le posava una mano sulla spalla, sorridendole, e lei si tuffava tra il suo collo e la spalla, abbracciandolo.
Poi si voltavano quasi in sincrono verso la telecamera che li stava riprendendo. Orlando faceva una smorfia e lei scoppiava a ridere, scuotendo la testa e dicendo qualcosa a Sam che stava riprendendo.
E poi Orlando l’afferrava per la vita e se la metteva sulle spalle, trascinandola all’interno del salotto, dove gli altri li stavano aspettando.

And the first time ever I kissed you mouth, I felt the heart move in my hands like the trembling heart of a captive birds, that was there at my command, my love. That was there at my command, my love”

Adesso c’era un video girato in Irlanda, probabilmente da Kevin. Loro due che saltellavano per il giardino, ballando qualche canzone tradizionale Irlandese. Orlando ogni tanto la prende per mano e la fa girare e lei, dal canto suo, ride e stenta a rimanere in equilibrio. Finchè Orlando non la trae a se esibendosi in un perfetto casquet e baciandola a fior di labbra.
Subito dopo c’è un’altra ripresa. Bee che bacia Orlando sotto il vischio, a casa Bloom, sotto lo sguardo divertito della famiglia. Poi una foto, scattata al mare, loro due vicinissimi, con i nasi che si sfiorano e che sorridono. Il loro abbraccio alla premiére di ‘Haven’, in mezzo al red carpet. Un’altra foto ancora, che li ritrae mentre camminano per strada, abbracciati. Rivolti l’uno verso l’altra, con le mani piene di sacchetti.


And the first time ever I lay with you, I felt your heart so close to mine and I knew our joy would fill the earth and last ‘till the end of time, my love. And it will last ‘till the end of time, my love”

Abaigeal sentì le lacrime scenderle lungo le guance.
Ora sullo schermo, c’era una foto. Grande, in bianco e nero. Una foto che aveva scattato lei dopo una notte passata con Orlando. Una foto che ritraeva i loro piedi appena fuori le lenzuola. E poi un video girato da Orlando con il cellulare. Lei che dorme e lui che si abbassa per baciarle una spalla. Un altro video ancora, questa volta girato probabilmente da Sam. E sono di nuovo insieme, sdraiati nel giardino di casa Bloom a guardare il cielo. Finchè Orlando non si alza, l’afferra e la trascina di corsa verso chissà dove.
Una nuova foto, stavolta li ritrae abbracciati sulla poltrona del salotto di casa Gallagher. Si sorridono.
Un video girato da Leah, mentre veleggiavano nella baia di smeraldo con la barca rossa di Bee. Entrambi salutano l’obbiettivo, ridendo. Poi Bee salta sulle spalle di Orlando, la barca dondola pericolosamente e cadono entrambi in acqua.
Ancora foto. Una che li vede insieme a Parigi, vicino l’arco di trionfo. Sono uno davanti all’altra e si fanno la linguaccia. Un’altra scattata da Orlando, entrambi al letto che ridono. Bee con la bocca sporca di cioccolata e Orlando che le mette il cucchiaino sul naso.
Un’altra ancora, che ritrae Bee mentre sussurra qualcosa all’orecchio di Orlando mentre lui le studia con sguardo critico le unghie.
Un video, recente. Alla cena di beneficenza. Camminano vicini, di spalle guardandosi di tanto in tanto. Finchè Orlando non le prende la mano e la porta fuori dalla sala.

 

Abaigeal lasciò andare un lunghissimo sospirò finché il respiro non le si mozzò in gola.
Orlando stava camminando verso di lei, con un sorriso felice ad illuminargli il viso ed una mano allungata nella sua direzione.
Sembrava incarnato nel buio, uscito per miracolo da quelle foto che ritraevano i loro ricordi.
Istintivamente corse verso di lui, abbracciandolo forte. Stringendolo. Come a volerlo fondere con se stessa, come a volergli far capire, con un solo abbraccio, tutto l’amore che si portava dentro.
Lui la strinse a sua volta, senza dire nulla. Respirando l’odore dei suoi capelli, socchiudendo impercettibilmente gli occhi.
“Questa è la più bella cosa che qualcuno abbia mai fatto per me”, sussurrò Bee, stringendolo ancora.
Orlando ridacchiò, “In qualche modo dovevo sdebitarmi”.
Abaigeal fece una risatina, slacciandosi dall’abbraccio. Guardò Orlando, poi lo schermo, poi di nuovo Orlando.
“Tu sei pazzo”, disse.
“Sono tre giorni che me lo ripeti”, scherzò lui.
Bee ridacchiò, “Oh mio Dio Flow! Tutto questo è…non so neanche come definirlo. E’…è…perfetto!”
“In realtà non avremmo finito…”, mormorò lui, mascherando un sorriso.
Bee alzò un sopracciglio, mentre lo guardava estrarre un biglietto dalla tasca posteriore dei pantaloni.
Lo afferrò improvvisamente curiosa, quindi lo aprì per leggerlo.
C’era solo una frase.

Ora siamo a El Paso”.

Con una smorfia, lo guardò di traverso.
“Siamo a El Paso, si”, confermò, senza capire.
“Sai cosa ci facciamo qui?”, le domandò lui.
Bee scosse la testa, ormai rassegnata a quel gioco che cominciava assurdamente a divertirla.
“Sai che El Paso era una città di confine, no? Qui le persone venivano solo a trascorrere qualche giorno e poi proseguivano verso ovest, alla ricerca della fortuna. O della felicità, chi può dirlo”.
“La trovavano?”
Lui sorrise, “Chi lo sa. Ma non è per questo che siamo qui, Bee. Tra tutte le città ho scelto El Paso per un motivo ben preciso”.
“Sarebbe?”
Lui l’abbracciò, quindi prese a camminare verso l’ingresso della casa.
“Non so se si tratti solo di una leggenda o se invece c’è qualcosa di reale, fatto sta che a El Paso la gente veniva a decidere cosa fare del proprio futuro. Magari erano semplici cowboy che scendevano dal nord, si fermavano qui stanchi, sfiniti, con i sogni a brandelli. Bevevano uno scotch e facevano i conti che dovevano fare. Alla fine, alcuni decidevano di proseguire, altri meno coraggiosi, preferivano tornare indietro”.
Abaigeal lo ascoltava affascinata, senza badare troppo al fatto che la stava portando all’interno dell’abitazione.
“Il fatto è che questo è il nostro punto di svolta, Bee”, le spiegò, aprendo la porta.
Lei si guardò intorno e notò un bancone all’interno di quello che, presumibilmente, doveva essere un salotto. Intuì che, in passato, quello doveva essere stato un bar.
Orlando accese un’applique, quindi si voltò verso di lei.
“Non starò qui a prometterti chi sa cosa, Bee. Sai meglio di me quello che ci aspetta al nostro ritorno”.
Lei annuì gravemente.
“Però posso dirti che per quello che mi riguarda, sarò un cowboy che non tornerà indietro”, mormorò serio.
“Sarai uno di quelli che vanno alla ricerca della felicità, allora?”, domandò lei, con un sorriso.
“Bee, io devo chiederti scusa”.
“Per cosa?”
Orlando fece un passo per colmare la distanza che li separava. Le prese una mano e la fissò.
“Per quello che è stato. Per quello che sarà”.
Abaigeal deglutì a fatica.
“Non capisco, Flow. Spiegati”.
“Sono stato un coglione. Ho lasciato trascorrere il tempo senza avere il coraggio di fermare gli eventi e ti ho trascinata in questo strano vortice che non capisco dove ci porterà, alla fine”.
“Ci ha portati qui”, disse lei, conciliante.
“Bee, tu hai idea di quello che ti ho fatto passare?”
Lei rise, annuendo, “L’ho passato. Un’idea me la sono fatta anche io, si”.
“Mi hai sempre messo al primo posto”, proseguì lui, cocciuto, “Anche quando io non facevo lo stesso con te. Sei sempre rimasta dove sapresti che ti avrei cercata, sei stata la mia migliore amica, sei stata la mia amante, la mia confidente, quella che mi dava calci in culo quando ne combinavo una delle mie…eppure mi sembra di non aver mai veramente capito, Bee. Mi sembra di aver lasciato troppe cose per strada”.
Abaigeal sospirò, senza smettere di guardarlo negli occhi.
“Flow, ascoltami. Non tutte le cose che viviamo riusciamo a sentirle completamente. Alcune ci scoppiano in faccia subito, altre, diversamente, fanno cadere una goccia di magia nel cuore che nel tempo si allarga, rischiando di avvolgerlo nella sua marea. Non puoi fartene una colpa. Non per questo”.
“Avrei potuto assecondarla prima, la marea”, borbottò lui.
“Non funziona mica così, Flow. Non sei tu che decidi quando seguire la marea, ma è la marea che decide quando è ora che tu la segua. Anche il destino ha la sua puntualità, non credere”.
Lui fece una smorfia, “Credo che noi un paio di fermate le abbiamo perse”.
“Non sono d’accordo”, obbiettò lei, “Abbiamo preso quello che potevamo prendere, senza starci troppo a pensare. Siamo stati incoscienti”, ridacchiò, “Ma l’abbiamo fatto alla nostra maniera. Questo è sufficiente”.
Orlando le prese una mano, sorridendo impercettibilmente.
“Vorrei poterti evitare quello che è inevitabile”, sussurrò.
“Di cosa hai paura, esattamente Flow?”, domandò lei, incuriosita.
Lui sbuffò, “Ho paura che tu non regga la pressione.       Che tutto quello che devi affrontare un giorno ti sembrerà troppo pesante. Ho paura che tu decida di mollare”, la guardò con un sorriso tirato, “Contenta?”
Istintivamente Bee si sporse e lo baciò.
“Flow, se non ci fossi non sarei neanche in grado di inventarti. Non così!”
Lui fece una smorfia che la fece ridere.
“Come fai a dire di avere paura dopo quello che hai organizzato in questi tre giorni?”, chiese lei stupita, “E come puoi pretendere che io ti creda?”, allargò le braccia, “Tutto questo, tutte le tappe, i biglietti, le canzoni…questo è frutto della follia, del coraggio, della voglia di realizzare qualcosa che si vuole…”, lo fissò negli occhi, “E dell’amore. Questo è anche frutto dell’amore”.
Lui l’abbracciò, “E’ frutto solo di quello Bee”, sussurrò.
Abaigeal si scostò per guardarlo e vide qualcosa che non aveva mai visto prima. In quello sguardo scorse qualcosa di così grande che la fece sentire assurdamente protetta.
"Draìochta..."
sussurrò lei.
“Tà tù draiochta”, ripose lui, sorridendo.
“Agùs tu”.
Orlando ridacchiò, “Stiamo diventando melensi”
“Direi di si”, sorrise lei.
“Bee, ci siamo
"Uhm?”
“Devo chiedertelo”, spiegò lui.
“Chiedermi cosa?”
Orlando le fece l’occhiolino, quindi camminò verso lo stereo.

“Mi ero preparato un gran discorso. Uno di quelli da film che farebbero impallidire qualsiasi donna nel raggio di settecento miglia”, si grattò il pizzetto, facendo una smorfia, “Però sono…sopraffatto. Ecco, si. Emozionato. Perciò non ricordo neanche mezza frase”, ridacchiò, “Lo prendi come viene?”
Abaigeal si mise seduta per terra, annuendo divertita.
“Io vorrei dirti che sarò in grado di regalarti follie come queste ogni giorno”, attaccò lui, “E mi piacerebbe prometterti che ogni sogno diventerà realtà”, sospirò, “Ma per quanto potrò sforzarmi, qualche cosa non andrà come vorremmo noi, e dovremmo comunque farci i conti”.
Bee gli sorrise, invitandolo a proseguire con un cenno della mano.
“Non ti prometto troppo Bee, quello che di grande potevo prometterti te l’ho promesso in questi anni”, le spiegò, “Ma ti posso promettere le cose semplici. Quelle immediate. Tipo…che so, che ti porterò la colazione a letto la domenica mattina. Che scriverò sul muro dell’ingresso di casa ‘Have you ever seen the rain’ per non dimenticarti mai delle lacrime che hai versato e per ricordarti che non ne verserai più. Posso prometterti che ti porterò sempre al mare e che porteremo i bambini a Disneyworld a giocare con Peter Pan. E posso prometterti che una cosa non cambierà mai”, la guardò con intenzione, “E sai di cosa sto parlando”.
Lei si sforzò di sorridere, combattendo contro l’istinto di piangere di gioia.
“Però tu, Bee, devi promettere che sarai sempre la mia Bee”.
Abaigeal tossicchiò, sorrise, quindi si toccò i capelli imbarazzata. Improvvisamente, aveva il cuore che scoppiava e la mente gloriosamente vuota.
Sospirò ancora.
“Ne dubiti?”
Orlando non rispose, invitandola a proseguire con il silenzio.
“Io ti amo”, disse lei con la voce che tremava, “E questa è una delle cose che sai e che non cambierà mai. Neanche se cambierò io, ricordalo. Diventerò grassa, isterica, andrò in menopausa, mi tingerò i capelli, metterò la crema per le rughe ma continuerò ad amarti. Nella stessa identica maniera in cui ti amavo dieci anni fa. Nella maniera in cui ti amo adesso”, si alzò in piedi raggiungendolo, “E possiamo rimanere qui, spaventati, a temere quello che ci aspetta domani, oppure possiamo saltare in macchina e affrontare il nostro destino”, gli sorrise, “E non me ne frega niente se la gente dirà quello che vuole dire. Non m’importa delle critiche e delle accuse. E non mi importa perché quello che sento non cambia. Neanche se qualcuno si sforzerà di farlo cambiare. Questo posso promettertelo Flow”.
“Speravo lo dicessi”, sorrise lui, più rilassato.
Abaigeal lo guardò stupita, “Sto leggendo bene tra le righe?”
“Che leggi?”, s’informò lui, divertito.
“Tu avevi paura che io avrei ritrattato?”, chiese sconvolta.
Orlando si strinse nelle spalle, “Un po’!”
Abaigeal scoppiò a ridere, “Sei serio mentre pronunci tali, dissacranti parole?”
“Serissimo!”
“E da quando in qua, tu hai dubbi sul mio amore?”
“Da quando mi sono innamorato di te”, spiegò lui, senza fare una piega.
“Non ti seguo”.
Orlando sospirò, “Ti amavo da amica, Bee”, cominciò, “E ti amavo molto. Poi ti ho amato da amante ma ti amavo…cioè…era semplicemente un estensione dell’amore di prima, capisci? Poi una mattina mi sono svegliato, ti ho vista che dormivi e mi sono detto ‘questo è quello che vorrò vedere ogni mattina, fino alla fine’. Dom sostiene che il formicolio allo stomaco accompagnato da un pensiero come questo sono sinonimo di una sola cosa”, le sorrise, “E sono d’accordo. Ti amo da quattordici anni e mi sono innamorato di te due mesi fa. Questo è quanto”.
Bee sorrise intenerita.
“Due mesi fa?”
Orlando annuì.
“Magari è stato proprio il giorno che abbiamo concepito lui”.
“E’ molto probabile”, pronunciò deciso.
“Io mi sono innamorata di te molto prima”, disse lei, facendo due conti mentali, “Probabilmente la notte della gita in barca”.
Orlando l’abbracciò, baciandole la testa, “Alla fine sono arrivato anche io”
Lei rise, “Non sei famoso per il tuo tempismo”, lo prese in giro.
Lui fece una smorfia, “Trovi?”
“Trovo”.
Si mise in ginocchio, prese l’elastico rosso con cui aveva legato i capelli e glielo infilò al dito, “Che ne dici?”
Lei scoppiò a ridere, “Dico che al momento avresti troppi matrimoni da organizzare!”
Orlando scosse la testa, fulminandola con lo sguardo, “Che ne dici?”, insistette.
Bee si abbassò per guardarlo in faccia, quindi lo bacio lentamente.
“Dico che si può fare”.
Orlando ricambiò il bacio, “E’ quello che dico anche io”, sussurrò.
La baciò ancora, quindi si alzò in piedi e accese lo stereo.
“Posso chiederle di ballare con me?”, disse esibendosi in un perfetto inchino.
Abaigeal lo abbracciò e presero a dondolare sulle note di una nuova canzone.
“Da oggi in poi, questa sarà la tua canzone”, mormorò lui.
Bee si concentrò sulle parole.

This is the first day of my life, swear I was born right in the doorway. I went out in the rain suddenly everything changed they're spreadin' blankets on the beach. Yours is the first face that I saw, think I was blind before I met you. I don't know where I am, I don't know where I've been but I know where I want to go

Lei sorrise, stringendolo ancora un po’.
Stava conoscendo una parte di lui che aveva sempre visto, ma che fino ad allora, non aveva mai conosciuto in prima persona. E quello che stava guardando, quello che stava sentendo, la convinse che la strada non era sbagliata. Che quando le emozioni sono così grandi, così vive, così ben radicate alla base della vita, niente riesce a smuoverle. Neanche i venti più forti.


I remember the time you drove all night, just to meet me in the morning. And I thought it was strange, You said everything changed, You felt as if you'd just woke up. And you said,this is the first day of my life, glad I didn't die before I met you. But now I don't care I could go anywhere with you, and I'd probably be happy

 
“L’hai fatta scrivere per l’occasione?”, scherzò lei, strofinandosi contro il suo collo.
“Ho notato che sono molte le canzoni che parlano di noi”, ripose lui, carezzandole i capelli.
“Perché siamo ordinari?”
Orlando scosse la testa, “No. Perché siamo straordinari”.
Bee lo baciò di slancio sulla guancia, “E vuoi sapere anche perché? Perché proviamo così tante cose che in una canzone sola non ci starebbero!”

 

So if you wanna be with me,with these things there's no telling We'll just have to wait and see. But I'd rather be working for a paycheck , than waiting to win the lottery. Besides maybe this time it's different, I mean I really think you'll like me...

 

E nonostante tutto, quello che contava in quel momento era una cosa. Una sola cosa.
Esserci.
Con il cuore, con l’anima e con la testa.
Fregarsene della corrente contraria, delle intemperie, degli ostacoli e delle parole superflue. Lasciare che il ritmo del mondo segua il suo corso e poi, con caparbietà, regolarne uno tutto nostro, sull’onda delle nostre emozioni e dei nostri sentimenti. Consapevoli che questo è l’unico modo consentito per salvarsi davvero.
Bee guardò Orlando, sorridendogli.
Tà mè chomh mòr, à muìrnin”
“Tà mè chomh mòr, sùile gorma”, ripose lui, baciandola.

 

 

 

 

 

 

 

 

ECCOCI!!!

Questo capitolo, lasciate che ve lo dica, è stato un parto.

Vero e proprio.

Sarà che ho poco tempo a disposizione, sarà che le idee sono tante ed è difficile scegliere ma… pfiù, ho sputato sangue.

Spero apprezziate!

E come avete visto, è tornato anche un po’ di gaelico! Ecco la traduzione:

Draíochta: è magico.

Tà tù draiochta: tu sei magica.

Agùs tu: anche tu!

 

Non sapete come sono felice di vedere che la storia vi stia prendendo così tanto…avessi tempo, saremmo arrivate a 60 capitoli, tanta è la voglia che mi date di raccontarvi di loro due.

Siete…mha…non so se esiste una parola per definire la meraviglia che vi portate dentro.

 

Dod, sto ringraziando un Santo a caso per aver fatto di te una persona a modino…anche perché l’ano di una mucca non è un posto così accogliente, suppongo!!! Comunque, Gioia, non ti chiedo più niente, ma ti ringrazio col cuore in mano. Mi spiace di aver aggiornato in ritardo, ma spero di essermi fatta perdonare. E per la cronaca, sto già lavorando al successivo! Grazie…grazie davvero.

 

Klood, eccoti accontentata! Orlando è diventato il principe azzurro per un capitolo. Che lo sia sempre, non glielo diciamo però, sennò si monta la testa!! Grazie, bella!!

 

Bebe carissima! Qui sono stata meno scorretta, ammettilo!!! Anche se…insomma, come direbbe Corrado (pace all’anima sua) ‘e non finisce qui…’   *Si, lo so, sono sadica. Picchiatemi!!!*

 

Roxy, un ringraziamento speciale a te!Non sai che gioia è stata questa recensione! Mi lusinga che tu mi abbia seguito dall’inizio e sono ancora più contenta di sapere che adori anche Bee. Ci tengo molto a quella pazza, quindi sappi che adesso ti adoro!!! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto…e cerco di rassicurarti: per la fine manca ancora un po’!!!!

 

Star, prenditi questo nuovo capitolo come un piccolo pensiero per dirti che ti sono vicina…

 

Liz, qui sono io che ringrazio te per le belle parole che mi hai lasciato. E non sai quanto mi fa piacere sapere che questa storia ti dia un po’ di speranza. E’ il complimento più bello che mi potessi fare! Grazie, tesoro! Sul serio!

 

Strow, sappi che tutte queste parole che scrivo, nascono anche da quello che mi lega a te. Sei la mia stella, tesoro. E, per la cronaca, sto cercando un posto dove si balli la giga irlandese!!!

Grazie di esistere!!!!

 

Summer!! Prima di tutto, com’è andato l’esame?? Spero che Bee e Orlando ti abbiano portato un po’ di fortuna!!! Che dirti? GRAZIE. Perché saltelli, perché le tue parole mi emozionano e imbarazzano e perché mi hai dato una chance! Grazie veramente! Mi auguro che anche il nuovo ‘parto’ sia stato all’altezza!!

 

 

Donne!

Vi amo, lo sapete!

E ora mi metto a lavorare al capitolo successivo!

GRAZIE!

 

Am

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Capitolo 18
*** The promise ***


thepromis18

THE PROMISE





If you can make a promise If it's one that you can keep,

I vow to come for you
If you wait for me and say you'll hold
A place for me in your heart.

 

T. Chapman ‘The promise’

 

 

 

L’attesa.
Che strano, stupefacente animale.
Se ne sta lì, immobile a fissarti, piantandoti quegli occhi scuri di non consapevolezza addosso, facendo quasi paura.
Bee sospirò, socchiudendo brevemente gli occhi.
Erano passate già due ore, eppure le sembravano appena pochi minuti. Una manciata di attimi che non potevano certamente, cambiare quel bizzarro stato d’animo.
Due ore, come dire, un sospiro.
Un sospiro lungo e sofferente, annegato nell’amore e nella paura di vedersi sfilare dalle mani quel diamante che, dopo tanto lottare, aveva finalmente conquistato.
Poteva accadere?
Dopo tutto quello che era successo, poteva davvero perderlo?
Perderlo per sempre?
Sbuffò, quindi si passò una mano sugli occhi.
Eppure sapeva, dentro di se, che niente avrebbe potuto spezzare quello che la univa ad Orlando. Non c’erano riusciti quindici anni di negazione, poteva riuscirci una donna qualsiasi, pescata nel marasma del mondo?
Ma sapeva che Miranda non era una qualsiasi. Sapeva che lei, in un modo o nell’altro, aveva contato per lui.
Sapeva, altresì, che lo amava. Di un amore strano e incomprensibile, ma sempre amore era.
E allora, si disse, chi è che decide qual è l’amore che deve vincere?
Qual è l’amore che deve prevalere su un altro?
Si girò sul letto, incapace di stare ferma.
Tutti si riempivano la bocca di belle parole, quando si parlava d’amore, ma nessuno aveva mai spiegato qual è l’amore che vince.

Omnia vincit amor, giusto?
E lei amava Orlando.
Quindi il suo amore doveva essere salvo.
Ma anche Miranda amava Orlando.
Dunque?
Era saggio credere nel profondo dell’anima che il suo amore, e non un altro, avrebbe avuto la meglio?
Sospirando si mise seduta, sbirciando fuori dalla finestra.
Il sole stava calando, un’altra notte si stava facendo largo tra le pieghe di un mondo che, inconsapevolmente, avrebbe potuto assumere mille colori e mille direzioni diverse.
Un mondo sospeso, dove qualunque cosa poteva succedere da un momento all’altro.
Lo stesso mondo che fino alla notte prima, non le era mai sembrato così bello, così vivo, così pieno di colori….
Si alzò dal letto, camminando lentamente verso il salotto.
Rimase in silenzio a fissare il telefono muto, finché una foto non catturò la sua attenzione.
Lei e Orlando.
Orlando e lei.
Due anime che si erano incontrate e che avevano resistito alle intemperie del mondo. Due anime che avevano resistito anche ai propri dubbi.
Sorrise, istintivamente.
Questo, in qualsiasi mondo esistente o fantastico, doveva pur significare qualcosa.

 

 

Orlando guardò Miranda sorseggiare lentamente dal bicchiere la sua acqua.
Non sembrava particolarmente stupita da quanto le aveva detto, anzi, sembrava semplicemente infastidita.
Quel particolare così stonato, gli provocò un brivido lungo la schiena.
“Cosa conti di fare?”, gli domandò lei, senza alzare gli occhi dal bicchiere.
“Lo sai cosa conto di fare”, rispose lui, fissandola.
“Mi lasci, dunque”, ridacchiò. E ad Orlando sembrò un suono decisamente inappropriato alla situazione, “Mi lasci a venti giorni dal matrimonio”, alzò lo sguardo, fissandolo in quello di lui, “Un matrimonio che volevi più te di me”.
“Mi dispiace”, soffiò, “Non volevo arrivare a questo punto. Spero che tu lo capisca”.
Lei scosse la testa, “Non te la cavi così a buon mercato”, sputò.
“Cioè?”
Miranda si alzò e prese a camminare lentamente per la stanza, “Hai idea di quello che la gente riuscirà a dire sul mio conto? Hai idea delle chiacchiere? Delle supposizioni? Sarò la cornuta d’America”.
Lui si massaggiò una tempia, improvvisamente esausto.
“Per quel che vale, cercherò di evitarti pubblicità negativa”.
Lei rise ironica, “E come? Come pensi di riuscirci?”
Repentinamente, l’umore di Orlando mutò. Gli occhi si strinsero in due fessure, il sangue prese a girargli vorticosamente nelle vene.
“Miranda, ascoltami bene. Saranno momenti brutti per tutti, non lo metto in dubbio. E mi dispiace di aver trascinato questa cosa fino ad oggi, mi spiace di non averlo capito prima. Ma non posso preoccuparmi di tutti i pensieri che faranno i giornalisti o i semplici fans. Posso solo assicurarti che, per quanto potrò, cercherò di tutelarti”.
“Non dire stronzate, Orlando. Appena varcherai quella soglia, ti dimenticherai di me all’istante”.
Lui sospirò profondamente, “Questo non è vero e lo sai anche tu”.
“Dici?”, Miranda fece una smorfia, “E dovrei crederti? Ti sei dimenticato di me mentre eravamo insieme, come pensi che farai a ricordartene dopo avermi lasciata?”
“Preferisci che rimanga qui pur sapendo che amo un’altra donna?”
Lei rise di nuovo, “Chiamala col suo nome. Dì pure Abaigeal”, sillabò con odio quel nome, “La stessa Abaigeal che avrebbe dovuto fare da damigella al nostro matrimonio”.
“Si la stessa”, confermò lui, innervosito, “Esattamente quella”.
“Potresti continuare a vederla”, mormorò lei.
“Cosa??”, domandò Orlando allibito.
“Potremmo sposarci lo stesso e tu potresti continuare a vederla. Manteniamo in piedi la storia del matrimonio per un anno e poi potrai fare come meglio credi”.
“Stai scherzando?”, domandò lui sconvolto.
Lei lo fissò con rancore, “No”.
“Scordatelo”.
“Perché? Ne usciremmo entrambi puliti”, osservò lei.
Orlando si alzò di scatto dalla sedia, camminando verso di lei, “Che cosa cazzo stai dicendo Mir? Ti ascolti quando parli? Vuoi sposarmi per non essere al centro delle chiacchiere? Oppure proprio perché non vuoi rinunciare alla notorietà che deriverebbe da un matrimonio con me?”
Improvvisamente, tutto gli sembrò dolorosamente chiaro. Perché non l’aveva capito prima?
“Voglio solo evitarci un tracollo”, spiegò lei, indietreggiando, “Questa storia non farà bene né a te né a me”.
Lui scosse la testa contrariato, “Questa storia mi fa bene, Mir. Te lo assicuro. E sono disposto a gettarmi in una piscina piena di squali pur di avere quello che voglio”.
Lei lo fissò con disprezzo, “Anche io”.
“Cosa intendi?”
“Che non ti mollo”.
Lui la fissò senza capire, “Ti sto mollando io, infatti. Non ti amo più, non posso trascorrere il mio tempo con te pensando costantemente ad un’altra persona. Non posso farle questo”.
“A lei?”
“Neanche a te”, incamerò aria, “E neanche a me. Non sarebbe giusto nei confronti di nessuno”.
Miranda annuì decisa, senza nemmeno un cedimento nell’espressione del volto. Orlando la osservò con attenzione, domandandosi dove fosse finito quell’amore che tante volte gli aveva dichiarato.
“Penso io a dare l’annuncio stampa. Cercherò di tutelarti il più possibile”.
Lei non disse nulla, si limitò a guardarsi la punta delle scarpe.
“Mi dispiace”, mormorò, prendendo la giacca.
Lei annuì, quindi si sforzò di sorridergli.
“Buona fortuna”.
Lui le sorrise, quindi, dopo averle baciato una guancia s’incamminò verso la porta d’ingresso.
Miranda lo guardò uscire, quindi scosse la testa pensando, tra sé e sé, che non sarebbe neanche riuscita a piangere. Ma avrebbe potuto fare qualcos’altro.

 

Bee spense il televisore, piombando nuovamente nel buio.
Un buio che, stranamente, le sembrava quasi rassicurante. Silente. Fermo. Immoto.
Un buio nel quale si sentiva protetta. Dove tutto quello che provava era al sicuro, chiuso negli angoli e impossibilitato ad uscire.
Chi vince? Si domandò per l’ennesima volta.
Quale amore vince?
Non aveva smesso di chiederselo in quelle ore. Neanche per un momento.
Chi avrebbe vinto? Quale amore sarebbe stato più forte?
Sentì la serratura dell’appartamento scattare, quindi si voltò immediatamente.
Lo vide in piedi sulla porta, la guardava sorridendo.
“Ehy”, sussurrò appena.
Senza neanche pensarci, scattò in piedi, raggiungendolo con passi veloci. Orlando l’abbracciò, baciandola sulla testa, stringendola forte, sorridendo tranquillo.
“Com’è andata?”, mormorò lei, senza staccarsi di un millimetro. Mai, come in quel momento, aveva la necessità di sentirlo tra le sue braccia. Di sentirlo suo.
“Sono qui”, disse lui, semplicemente.
E Bee annuì, sorridendo impercettibilmente.
Non servivano altre parole, non servivano i dettagli né i racconti.
Serviva solo la sua presenza. Serviva solo essere insieme. Di nuovo insieme. Ancora insieme. Sempre insieme. A qualunque costo.
Alzò la testa per permettersi di guardarlo in viso. E come un’esplosione violenta, la mente le rimandò tutte le immagini degli ultimi giorni che avevano trascorso insieme. Le canzoni, le parole, le lettere, le citazioni. Gli umori, i timori, i dubbi e…l’amore.
Tutto quell’amore…che sembrava davvero troppo per essere in grado di tenerlo tutto tra le mani.
Gli sorrise, quindi si sporse a baciarlo.
Orlando ricambiò lentamente, teneramente, guidandola con dolcezza verso la camera da letto. Bisognoso di sentirla sua, bisognoso di navigare nelle acque calme di quell’amore che adesso sembrava l’unica cosa reale in quel mondo bizzarro.
Inciamparono sullo stipite della porta e Bee scoppiò a ridere.
Lui la guardò e pensò che fosse la cosa più bella che aveva mai visto. Sentire qualcuno che ami mentre ride, equivale a mettere la melodia ai pensieri che accompagnano la sua immagine.
“Ti ho fatto male?”, le domandò, parlandole sulle labbra.
Lei scosse la testa senza rispondergli, spingendolo sul letto e saltandogli letteralmente sopra.
Orlando ridacchiò, “Calma, gringo!”
Lei, per tutta risposta, gli morse un labbro, sorridendo, “Ho voglia di te”, mugolò.
Con un agile scatto di fianchi, Orlando la ribaltò sulla schiena, sovrastandola.
“Ti amo”, disse solo, mentre le alzava il bordo della camicia da notte che indossava.
Bee socchiuse gli occhi, sospirando a quel tocco che conosceva così bene e di cui non era mai sazia.
Orlando si tolse quello che restava della sua biancheria, quindi entrò in lei lentamente, senza smettere di fissarla negli occhi.
E ad ogni dolce spinta le sussurrava un ‘ti amo’, baciandole gli occhi, le tempie, le mani, i polpastrelli, i polsi, le guance, le labbra…esplorando quel corpo che conosceva ormai così bene, centimetro dopo centimetro. Emozionandosi nel vederla sorridere, sospirare, stringerlo forte tra le sue braccia.
La sua resistenza non durò a lungo, ma non se ne preoccupò.
Per la prima volta da che era con lei, si rese conto che avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per dimostrarle quanto l’amava.

 

 

 

Erano stesi nel letto, la finestra spalancata per permettere alla dolce brezza californiana di avvolgerli tra le sue braccia.
Bee mise il viso nell’incavo del suo collo, sospirando.
“Sono una stupida”, mormorò.
Orlando si voltò a guardarla, “Perché?”
Lei fece una buffa smorfia, imbarazzata per quello che stava per dire, “Avevo paura di perderti”.
Lui le sorrise, quindi le baciò la punta del naso, “Non è possibile”.
Finalmente anche Bee sorrise, baciandolo a sua volta, “Adesso lo so”, mormorò.
“Bee mi fai una promessa?”, domandò lui, d’un tratto.
Lei annuì, sistemandosi per guardarlo meglio in viso.
“Prometti che ti ricorderai sempre questa notte?”
Senza capire lei sbatté gli occhi, “Perché?”
“Perché stanotte è l’inizio di sempre. E’ la ricompensa per aver perseverato negli anni…per aver sempre creduto in noi. Per aver dato all’amore la possibilità di farsi largo, di farsi vero”.
Lei sorrise, “Prometti una cosa anche tu?”
Orlando annuì.
“Prometti che considererai questa notte come un patto che lega due anime, sciogliendo tutti i legami del passato. Come se fosse una sorta di celebrazione di tutte le scelte che abbiamo preso e di tutte le sfide che queste scelte comporteranno. Prometti che saremo sempre in due, perché in due siamo più forti. Perché insieme siamo una squadra, e solo insieme saremo in grado di resistere alle tempeste del mondo, là fuori. Prometti che stasera è si, l’inizio di sempre, ma è solo una semplice formalità per il mondo là fuori. Un annuncio nuovo per loro, ma antico per noi. Prometti che stasera la ricorderai come il momento in cui entrambi, pur con tutti i timori del mondo, abbiamo mantenuto le promesse che ci siamo fatti secoli fa, nel segreto dei nostri cuori”.
Orlando la baciò a fior di labbra, “Promesso”, sussurrò.
“Promesso”, sussurrò lei, di rimando.
E in quel momento capì che era stata una sciocca a domandarsi quale amore avrebbe vinto.
Perchè il loro non era un solo amore.
Erano due tipi d’amore perfetto che, perfettamente, s’incastravano nel puzzle del mondo. 
E un amore così, non poteva non vincere.

 

 

 

 

 

RIECCOCI!!!!!

Ragà, io sono scontata come i prodotti alla Coop, me ne rendo conto, ma voi siete ME RA VI GLIO SE!!! E se potessi vi manderei un dat con la mia voce che continua a ripetervi “grazie. Grazie. Grazie. Grazie. Grazie”.

Grazie per il vostro entusiasmo, per esserci sempre, perché mi capite e perché amate quello che scrivo! Posso solo regalarvi queste parole. Una per una. Tutte per voi…che non c’è nessuno che se le merita tanto quanto voi!

 

BEBE: Eh si, tesoro! Il vespaio c’è, si intravede ma… com’è che dice Bee all’inizio?? OMNIA VINCIT AMOR!!

 

LIZ: ehehe…per fortuna ho scampato il pestaggio!!! Comunque sono veramente emozionata per quello che hai scritto…sono davvero davvero contenta! Grazie tesoro! Di tutto!!

 

DOD…tu non hai parole per me, ma io non ho parole per te!! Sei qualcosa di assolutamente eccezionale! Davvero! E non sai che gioia è stata per me, incontrarti in mezzo a queste ciliegie! GRAZIE TESORO!

 

NIAHM: La tua polpetta ha imparato tutti i virtuosismi di ‘Girls just wanna have fan’…adesso manchi solo tu. Il karaoke è già pronto e il pubblico esultante!

Quella canzone…un giorno la canteremo. Però non al karaoke. Parola di scout! Ti adoro tesoro mio!

 

NAR: Grazie!! Sono contenta che tu mi abbia seguito e sono ancora più contenta che, alla fine, abbia deciso di lasciare un impronta! Grazie! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto!!

 

SUMMER: Non smetto. Promesso! Croce sul cuore! Anche solo per farti sorridere, prometto di dare sempre il meglio!! Grazie, Gioia!

 

ROXY: Sono tornata abbastanza presto??? Spero di si! E spero che questo nuovo capitolo sia riuscito ad emozionarti come gli altri! Grazie per le tue parole, sono davvero importanti per me!!!

 

KLOOD: che ne dici?? Il fronte Miranda pare sistemato no?? Ti mando un bacio grande, Stella. E grazie di passare sempre da qui! Sul serio!

 

E voglio ringraziare anche

1 - Alessiuccia 
2 - anemone333 

3 - aya chan 

4 - birri 

5 - doddola93 

6 - evol 

7 - Ithil 

8 - kiki91 

9 - Lady_Eowyn 

10 - miky 483 

11 - sara chan 92 

12 - Star Petal 

13 - strowberry_sin 

14 - summer89 

 

Che mi hanno messo tra le storie preferite.

E anche tutte le ragazze che leggono e anche quelle che mi scrivono in privato!

GRAZIE GRAZIE GRAZIE!!!

 

Adesso, siccome sono stata ripetitiva come il pling-pling della goccia che cade impertinente dal lavandino della cucina, vi lascio. E vi ringrazio un’altra volta. E vi dico che vi voglio bene…siete strepitose, donne. Ricordatevelo.

Però…mmm…siccome la laurea è imminente, il prossimo capitolo potrebbe tardare. Ci sto lavorando adesso, cosicchè magari riesco a postarlo presto ma sono puntigliosa. Sta storia va plasmata a dovere! Perciò vi prego di perdonarmi in anticipo!!

 

Vi abbraccio tutte!!

Amederla sorridere, sopspirare

 

 

 

 

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Capitolo 19
*** Everything in its right place ***


Everything 19

EVERYTHING IN ITS RIGHT PLACE

 

 

 

I nostri sogni e desideri cambiano il mondo.

(Karl Popper)

 

 

 

 

 

“Dov’è?”
Orlando si precipitò nella sala d’attesa del reparto, saettando con lo sguardo a destra e sinistra.
“Gib calmati”, le consigliò Sam, “E’ tutto sotto controllo”.
Un grido spezzò quel silenzio carico di aspettativa ed Orlando si fiondò verso il corridoio alla sua sinistra.
“Signore, dove crede di andare?”, le domandò un’infermeria.
“Mio figlio sta partorendo mia moglie”, buttò lì, agitatissimo.
L’infermiera ridacchiò, “Davvero?”
Lui annuì, scrutando con lo sguardo le porte chiuse intorno a lui.
L’infermiera sorrise, “Qual è il nome di suo figlio che sta partorendo sua moglie?”
Orlando la guardò senza capire, “Eh?”
La donna si strinse nelle spalle, “Me lo ha detto lei”, ridacchiò ancora, “Qual è il nome di sua moglie?”
“Bee”, rispose lui senza pensarci.
La donna si armò di pazienza. Era chiaro che quel ragazzo stava vivendo una crisi di panico. Puro panico. “Il cognome?”
“Bloom”, ci pensò, “No, forse è Gallagher. Non siamo ancora sposati legalmente”, farfugliò.
“Ah si”, annuì la donna con un sorrisone, “Abaigeal! La scrittrice! Venga, l’accompagno!”
Un nuovo grido. Stavolta carico di sofferenza.
“Come sta?”, s’informò incedendo lungo il corridoio.
“La stava attendendo”, spiegò, “E nel frattempo sta cercando di convincere vostro figlio ad aspettare”, sorrise, quindi abbassò la maniglia di una porta.
Ed Orlando la vide così. Sdraiata sul lettino, le gambe divaricate, il viso sudato e i capelli che le ricadevano davanti al viso.
Nonostante tutto, pensò di non aver visto niente di più puro. E bello.
“Flow”, sospirò lei, stringendo i denti.
Lui si avvicinò, prendendole una mano.
“Sono qui. Scusa per il ritardo”.
Una nuova fitta le provocò una smorfia di dolore, “Non sei famoso per il tuo tempismo, dopotutto, no?”
Lui le sorrise, “Come va?”
“Dannatamente male. Sto per morire. Tra un secondo girerò la testa a 360 gradi e comincerò a vomitare bile verde, come nell’Esorcista”.
Suo malgrado, Orlando ridacchiò, “Andrà tutto bene”, cercò di rassicurarla.
Lei lo guardò di traverso, “Flow devo ricordarti quello che è successo quando hai detto così l’ultima volta?”.
Lui nascose una smorfia di fastidio. Sfortunatamente, lo ricordava anche troppo bene.
 

 

“Pronta?”
Bee si fissò l’enorme pancione avvolto dal lungo abito prugna, quindi lasciò andare un lungo sospiro.
“Secondo me, hai avuto un’idea di merda”, borbottò, visibilmente in apprensione.
Orlando ridacchiò, sistemandogli una ciocca di capelli che le era ricaduta sugli occhi.
“Bee, prima o poi avremmo dovuto farlo comunque”.
Lei si voltò, guardandolo con una buffa smorfia, “Non potevamo aspettare il poi? Dobbiamo per forza farlo prima?”
“Andrà tutto bene”, tentò di rassicurarla lui.
“Come no, ne sono sicura”.
“Dovresti esserlo”
“E tu dovresti cambiare religione. Questa calma zen mi innervosisce”.
Orlando si sporse e la baciò sulla fronte, “Bee tanto ormai è di dominio pubblico”.
“Come se non lo sapessi”, brontolò, “Ma sono stufa di dovermi difendere dagli attacchi di quelli là. Sono stufa. E grassa. E incinta”, si guardò nuovamente il pancione, “Molto incinta. Dovrei rimanermene a casa, invece che andare in giro per le premiére”.
La limo rallentò, fermandosi a poche centinaia di metri dal Mann Village Theater, il teatro dove si sarebbe svolta la prima del nuovo film di Orlando. Bee sussultò, strappandogli una risatina.
“Bee calmati”, le consigliò ridacchiando.
“Flow agitati”, le consigliò lei di rimando.
Lui scosse la testa, suo malgrado divertito.
“Devo parlare con Sam”, disse lei, agitata, “Dammi il cellulare. Devo parlarci. Sto iperventilando”.
Orlando fece una smorfia, “Non ce l’ho il cellulare”.
“Come sarebbe a dire?”
Lui si strinse nelle mani, “Tu sei qui, chi dovrei chiamare?”
Bee sbuffò, indispettita, “E se succedesse qualcosa?”, domandò.
Orlando alzò un sopracciglio.
“Non fare quella faccia. Se mi si rompessero le acque che facciamo? Ci mettiamo a strillare ‘ambulanzaaaa’ con la speranza che ci sentano dal Cedars-Sinai?”
Orlando le afferrò entrambe le mani, guardandola con dolcezza, “Bee, è tutto ok, va bene? Andrà tutto bene, fidati”.
La limo si fermò esattamente davanti al red carpet e il cuore di Bee cominciò a battere impazzito.
“Non ce la faccio”.
Orlando attese che aprissero lo sportello da fuori quindi sorrise, “Ce la fai. Ci sono io”.
Bee lo vide scendere e contemporaneamente sentì le grida delle fan. Adocchiò la mano che lui le stava offrendo quindi, dopo un lungo istante l’afferrò e si decise a scendere.
Ed una scarica di flash e voci la stordì.

 

“Flow, ti stai ancora torturando per quella storia?”
Lui le carezzò la testa, “Non doveva succedere”
“Ma è successo”, precisò lei lasciandosi cadere tra i cuscini.
“Avrei dovuto fare qualcosa”.
Malgrado il dolore sempre più forte delle doglie, Bee scoppiò a ridere. Di gusto.
“Più di quanto tu non abbia fatto?”
Lui sbirciò l’infermiera che trafficava con qualcosa che somigliava vagamente ad un forcipe, rabbrividì e tornò a guardare Bee.
“E che cosa ho fatto? Ti ho lasciata sola quando avrei dovuto stare con te”.
Lei sbuffò, “Dannato cocciuto”, borbottò. “Devo ricordarti quello che è successo? Le fantastiche parole che hai detto?”

 

“ORLANDOOOO”
“ORLANDO DA QUESTA PARTE”
“ORLANDO UNA FOTO, PER FAVORE”.
Bee si girò da una parte all’altra cercando di identificare da dove provenissero quelle voci. Invano. I flash l’accecavano.
“Ma questo è un delirio!”, borbottò stringendosi al braccio di Orlando.
“Non è la tua prima premiére, dopotutto”, constatò lui, “Dovresti saperlo”.
“ORLANDOOO, UNA FOTO DA QUESTA PARTE”.
Lei sospirò, “Probabilmente è perché alle tue premiére ci venivo passando per l’ingresso secondario”.
Incedevano lenti, sorridendo di tanto in tanto ad i fotografi che sembravano quasi impazziti. In realtà Orlando sorrideva. Bee si limitava a socchiudere gli occhi per ripararsi dal fastidioso riverbero dei flash.
“OB!”, una voce richiamò la loro attenzione. Si voltarono entrambi e notarono Dominic e Leonardo camminare verso di loro.
“Terra!”, mormorò Bee, evidentemente più tranquilla.
Dom e Orlando si scambiarono un paio di potenti pacche sulle spalle, quindi il ragazzo venne catturato da Leonardo, che dopo aver baciato Bee, lo trascinò verso un giornalista della CNN.
“Bee!”, la salutò Dominic abbracciandola, le prese le mani sorridendole, “Sei una meraviglia!”
“Sono una mongolfiera, vorrai dire!”
Dom scoppiò a ridere, stampandogli un bacio sulla guancia.
“Nervosetta?”, domandò.
“Vorrei vedere te”, borbottò adocchiando Orlando e Leonardo parlare divertiti di fronte alle telecamere.
“E’ la prima uscita ufficiale?”, le domandò prendendola sotto braccio e avanzando lungo il tappeto rosso.
“Se non entriamo in fretta, suppongo che sarà anche l’ultima”.
“DOMINIC!”, gridò un’altra voce, “FATTI SCATTARE UNA FOTO!”
Il ragazzo si voltò, quindi abbracciò Bee e sorrise a beneficio dei fotografi.
“Dom, per cortesia. Non ti ci mettere anche tu!”
“Eddai Bee”, rise lui, “Devi abituarti. Fa come Dom, sorridi!”
Lei lo colpì con un gomito e lui scoppiò a ridere.
“Che succede qui?”, domandò Orlando, abbracciando Bee.
“La tua ragazza ha problemi con i fotografi”, ridacchiò Dom.
“L’ho notato”, disse lui baciandole una tempia e scatenando l’ennesima ondata di flash.
“Orlando!”, lo chiamò Robin, “Vieni qui,per favore. C’è da fare un’intervista!”
“Te ne occupi tu?”, domandò a Dom.
Il ragazzo offrì il braccio a Bee che, solerte, lo afferrò.
“Torna presto Flow”, sussurrò lei.
Lui la baciò a fior di labbra, “Neanche ti accorgerai che me ne sono andato!”
Dominic la scortò verso l’ingresso del teatro, salutando colleghi e amici che incontravano strada facendo.
Proprio quando ormai credeva di avercela fatta, Bee venne intercettata da una giornalista di E!Entertainment.
“La signorina Gallagher”, le sorrise questa, melliflua, “Come stai, Abaigeal?”
Bee cercò di contenere il fastidio.
Se c’era una cosa che le dava sui nervi era quel falso cameratismo che caratterizzava quasi tutti i giornalisti. Quelli che, per inciso, fino a quindici giorni prima, non avevano fatto altro che descriverla come la peggior megera del pianeta. Quella che si era fatta mettere incinta da Orlando Bloom per avere la strada spianata verso il successo.
Non l’avrebbe mai confessato, ma era questo il motivo per cui non voleva far uscire il suo libro. Non voleva che il suo talento venisse messo in discussione da quelle malelingue.
“Tutto bene, grazie”, si decise a rispondere.
Dom le lasciò la mano, allontanandosi di pochi passi.
“Ci siamo quasi, uhm?”, domandò alludendo al pancione.
“Si, manca poco”, si sforzò di essere gentile. Doveva esserlo. Per Orlando.
“Maschietto o femminuccia?”
“Abbiamo preferito non saperlo”.
La giornalista sorrise deliziata, “Sarà una sorpresa dunque! Come questa inaspettata gravidanza!”
Bee tenne botta, senza scomporsi, “Già”, mormorò.
“Come vanno le cose con Orlando? Ho saputo che avete trascorso momenti difficili”.
“Splendidamente, grazie. I momenti difficili sono stati meravigliosamente superati”.
La guardò con aria di sfida.
“Peccato che non si possa dire lo stesso per la Kerr. Ho saputo che è stata da poco ricoverata in una clinica”.
Bee inghiottì un fiotto di rabbia. Da che Orlando l’aveva lasciata, Miranda non aveva fatto altro che raccontare a tutti i tabloid del pianeta quanto stesse soffrendo. Era snervante. E patetico. Come l’ultima trovata. Quella di farsi ricoverare in un clinica per rimettere insieme i cocci della sua vita. Come no….
 “Lo abbiamo saputo anche noi. Mi dispiace molto per Miranda, ma si riprenderà senz’altro. E’ una donna forte”.
“Credi che quello che è successo con Orlando abbia influenzato?”
Bee mascherò una smorfia. Se rispondo ‘no’ che succede? Mi linciano? Pensò.
“Non è stato facile per nessuno”, rispose cercando di apparire calma.
“Lo credo”, proseguì la donna, con uno sguardo malizioso, “Ma sono sicura che a te è andata meglio. Orlando è un fantastico attore, un bellissimo ragazzo…sono certa che…”
“Non credo che tu possa essere certa di qualcosa”, la interruppe Bee, innervosita, “Anzi. Non credo che qualcuno possa neanche lontanamente immaginare quello che tutte le persone coinvolte hanno passato. Quindi preferirei che evitassi di dare giudizi”.
La donna rimase per qualche secondo interdetta, poi tornò alla carica.
“Siete personaggi pubblici”, spiegò, una nota dura nella voce, “E’ normale che la gente parli di voi”.
“Non lo metto in dubbio. Ma un conto è parlare. Un conto è giudicare. Dubito che tu sia pagata per questo”.
L’atmosfera si stava scaldando. Bee cercò con lo sguardo Orlando. Invano. E anche di Dominic non c’era traccia.
“Capisci da te che questo scandalo ha destato sicuramente interesse”.
Alla parola ‘scandalo’, Bee meditò di togliersi una scarpa e infilargliela in bocca.
“Scandalo?”, ripeté, quasi divertita.
“C’era un matrimonio di mezzo”, proseguì l’altra, “Che è saltato perché tu ti sei fatta mettere incinta”.
La donna si rese conto con un secondo di ritardo di aver passato il limite.
“Senti un po’, bella. Pensi che io sia qui per farmi prendere ad insulti da te?”, il tono di voce si alzò pericolosamente, “Sono incinta, è vero. E sono incinta perché lui quanto me voleva questa cosa. Quindi ti pregherei di conservare le tue stronzate per il prossimo aperitivo con le amiche”.
“Non credo che…”
“Cosa diavolo succede?”
Orlando si fece largo tra le persone, raggiungendo Bee e prendendole una mano.
“E’ tutto ok?”.
Nel vederlo, gli occhi le si riempirono di lacrime. Un altro affronto. L’ennesimo.
Che avrebbe portato cattiva pubblicità a lui.
Orlando si voltò verso la giornalista, “Cosa sta succedendo, qui?”
La donna sorrise, “Assolutamente nulla. Stavamo semplicemente parlando”.
“No”, precisò Bee, “Stava semplicemente dandomi dell’arrivista davanti a mezza nazione”.
Orlando la guardò dispiaciuto, quindi si voltò verso la giornalista.
“Ok, è ora di piantarla”, pronunciò queste parole con tono deciso, “Capisco che questo è il tuo lavoro e lo apprezzo. Apprezzo anche l’interesse che mostrate verso di noi, ma per cortesia, smettiamola con questa storia dell’arrivismo, ok? Io amo questa donna. L’ho sempre amata. Sono l’uomo più felice del pianeta perché tra meno di un mese diventerò papà e perché questo figlio è la cosa che più desideravamo al mondo. Mi rendo conto di aver commesso degli errori, ma sono umano. E in quanto tale mi prendo il diritto di sbagliare. Mi dispiace se qualcuno di voi è rimasto deluso, mi spiace di aver arrecato dolore a chi era con me e mi dispiace anche di non essere stato in grado di evitarlo”, prese fiato, “Ma questo è quello che voglio. Giudicate il mio modo di recitare, giudicate pure le scelte che faccio in merito alla mia carriera, ma non giudicate la mia donna. Né tantomeno quello che provo per lei”.
Detto questo si voltò verso Bee e dopo averle sussurrato un ‘andiamo’, la guidò all’interno del teatro.

 

“Ci siamo”, disse la ginecologa entusiasta, interrompendo i loro pensieri.
Bee la fulminò con lo sguardo, “Non dovrebbe essere un momento straordinariamente perfetto?”, brontolò.
La donna ridacchiò, “Tempo venti minuti e lo sarà”, la rassicurò.
“Venti minuti??”, domandò lei sconvolta.
“Andiamo Bee, tieni duro”, cercò di darle la carica Orlando, “Dopo nove mesi cosa vuoi che siano venti minuti?”
Lei si voltò di scatto, “Hai una vaga idea di cosa sta succedendo al mio basso ventre?”
“Mmm…no”, ammise lui.
“Appunto”.
“Abaigeal, ora ascoltami. Alla prossima fitta spingi più che puoi, intesi?”
Lei annuì, poco convinta, “Sempre se non muoio nel frattempo”.
“Non morirai”, la incoraggiò la donna, “Stai andando benissimo”.
Bee fece per rispondere ma la fitta la colpì di sorpresa. Spaventata e sofferente, tentò di fare quanto le era stato detto.
Afferrò la mano di Orlando e spinse. Spinse con tutta la forza che aveva.
Lui la guardò intenerito, vagamente preoccupato, senza dubbio sopraffatto. Da lì a pochi minuti sarebbe diventato padre. Il solo pensiero lo atterriva e galvanizzava al tempo stesso.
“Oddea!”, mormorò lei, sofferente.
Orlando le baciò la fronte, “Amore, stai andando alla grande”.
Bee fece appena in tempo a registrare che lui l’aveva chiamata ‘amore’ per la prima volta, quando la seconda fitta la colse.
E fu questioni di pochi istanti. Sentì un dolore acutissimo, seguito da uno strano rumore fluido che cristallizzò tempo e suoni, fino ad esplodere nel pianto meraviglioso di un bambino. Il suo bambino.
Il loro bambino.
Scoppiò a piangere, stringendo il viso di Orlando tra le mani, commuovendosi nel vedere che gli occhi di lui si erano riempiti di lacrime, scoprendo un’espressione che mai gli aveva visto in volto. Meraviglia. Stupore. Amore. Mille sensazione fuse insieme in due paia d’occhi che non riuscivano a smettere di fissarsi e di sorridere tra le lacrime.
Fu Orlando a muoversi per primo. Le baciò le labbra e si voltò verso l’ostetrica che stava facendo il primo bagnetto al bambino. Camminò lentamente, fino a riuscire a vedere i lineamenti perfetti di quel piccolo frugoletto che sgambettava nell’acqua gridando come un ossesso.
“E’ una femminuccia”, lo informò l’ostetrica .
Lui sorrise, tendendo le mani per prenderla in braccio. Chissà perché, ma non ne era per niente stupito.
La donna l’avvolse in una spessa coperta di cotone blu e glielo offrì con riverenza.
Orlando la guardò e pensò di non aver mai visto niente di più bello in tutta la sua vita. Niente che valesse tanto. Niente che avesse addosso tutta quella luce.
Portò la piccola verso Bee che pianse di nuovo, nel vederla.
“E’ una meraviglia”, sussurrò.
“Ci somiglia”, osservò Orlando, sfiorandole una guancia.
“Ha i tuoi occhi”, osservò lei.
“E’ luminosa”, le fece eco lui.
“Ciao Niahm, benvenuta”, mormorò Bee, sorridendo alla piccola.
“Niahm?”, domandò Orlando, senza capire.
“Vuol dire ‘luminosa’” le spiegò Bee, sporgendosi per baciarlo.
Ad Orlando tornò in mente una delle loro prime conversazioni, quando Bee gli spiegò il significato dei loro nomi.
“Una luce che sboccia?”, azzardò con un sorriso.
Abaigeal guardò prima la piccola, poi lui, poi di nuovo la piccola.
“Poteva essere altrimenti?”
Orlando scosse la testa.
No.
Decisamente no.

 

 

 



Eccolo qua il nuovo capitolo.

E finalmente ecco qua il frutto di questa strana e meravigliosa relazione. Stiamo per giungere al termine, ragazze.

Ma voglio ringraziarvi. Non sapete quanto contino tutte le vostre parole, il vostro sostegno, il vostro essere sempre presenti. Vi adoro. Letteralmente.

Vi lascio questo capitolo oggi poiché sospetto che la prossima settimana non potrò postare nulla dato che…ehm…lunedì mi laureo.

Ce…antropologia…roba strana!!!!!

GRAZIE VERAMENTE A TUTTE per gli in bocca al lupo…crepi!!!

E grazie per esserci…!!!

Voi neanche lo immaginate ma siete entrate nella mia vita in un momento che non dimenticherò mai e spero ci rimarrete a lungo. Ancora a lungo!

 

Vi voglio bene, ragazze!

A prestissimo!!!!!!!

 

Vi abbraccio

Am

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Capitolo 20
*** Time has told me ***


timehastoldme20 PS. La qui presente cretina non aveva messo le traduzioni del gaelico. Umpf. Comunque: Mamaì: mamma Céard, banphrionsa: cosa c’è, principessa? Féach!: guarda! Seanmhàthair: nonna Bene! Ora è tutto! Bacio grande a tutte! Am

TIME HAS TOLD ME

 

 

 

 

Time has told me
You came with the dawn
A soul with no footprint
A rose with no thorn.

 

And time has told me
Not to ask for more
For some day our ocean
Will find its shore.

(Nick Drake, ‘Time has told me’)

 

 

 

 

 

 

 

Abaigeal guardò l’imponente scogliera che sembrava proteggerli dal cielo tumultuoso irlandese.
Sentiva la risata cristallina di Niamh, e la voce di Orlando incitarla a correre più veloce delle onde che si infrangevano sulla sabbia.
Un gioco che anche lei, da piccola, aveva fatto fino a non aver più fiato per parlare. Un gioco che, tempo dopo, aveva condiviso con Orlando.
Un gioco che adesso faceva ridere la loro bambina, accendendole qualcosa di caldo e rassicurante nello stomaco.
Una sensazione bizzarra, di paura e gioia mescolate insieme fino a creare qualcosa di informe eppure bellissimo.
E ripensò al mito del ‘Circolo del Tempo’ che suo padre le raccontava quando era poco più di una bambina. Si rese conto, non senza meravigliarsi, che solo da poco aveva compreso a fondo quello che suo padre cercava di dirle.
“La luce arriva sempre dal buio, leanbh”, le diceva, “I tuoi antenati erano convinti che prima del caldo fosse necessario un periodo piuttosto lungo di gelo. L’inverno non uccide, leanbh, l’inverno culla gli esseri che meritano di vivere in un tempo migliore”.
Ed ora, mentre guardava Orlando e Niamh giocare con le onde, si rese conto di quanto avesse atteso quel perfetto momento di luce. Il momento caldo.
Il momento magico in cui ogni pezzo della sua vita era andato esattamente al suo posto.
E comprese, assurdamente stupita, che lei ed Orlando avevano meritato quel momento. Attimo dopo attimo.
Il tempo trascorso come amici, quello trascorso come amanti, le discussioni, le incomprensioni, i musi lunghi, le lacrime, erano stati passi necessari per arrivare esattamente dov’erano.
In un luogo incantato, che sembrava costruito per loro tre e per nessun altro. Come se anche la natura avesse atteso quel giorno preciso per esplodere in tutta la sua maestosa magnificenza e mostrar loro la fortuna che paga chi non smette mai di combattere. Costi quel che costi.
Mamaì”, gridò Niamh correndo verso di lei, con le mani a coppa. Bee ed Orlando avevano sempre parlato con lei sia in inglese che in gaelico.
Abaigeal le sorrise, quindi adocchiò Orlando che camminava pochi passi indietro alla bambina.
Céard, Banphrionsa?”, le domandò, cercando di capire cosa stesse tenendo tra le mani.
Féach!”, ridacchiò lei, saltellandole davanti.
Bee le prese le manine, quindi notò un fiore comodamente adagiato tra i suoi palmi.
“Cos’è?”, le chiese Niamh, sedendosi accanto a lei.
Orlando le guardò sorridendo.
“Un fiore”, le spiegò Bee, sistemandole i capelli, “Come si dice fiore?”
Niamh guardò Orlando e scoppiò a ridere, “Blàth!”.
Lui si finse offeso, inscenando un broncio perfetto, “Cos’è, mi prendi in giro?”
Niamh per tutta risposta scoppiò a ridere un’altra volta, gettando la testa all’indietro, quindi gli lanciò un bacio scuotendo innocentemente la testa.
Bee li guardò affascinata. Era ancora incredula di poter tenere tutto quell’amore tra le mani.
“Che fiore è quetto?”, domandò Niahm, guardando prima lei, poi Orlando.
Bee si strinse nelle spalle, “Pensi a quello che penso io?”, domandò ad Orlando, mentre si sedeva accanto a loro.
“Direi di si”.
“Non è frequente trovare questi fiori qui”, osservò lei, adocchiando i petali.
“Io no capisco. Voglio anche io!!”, brontolò Niamh, stringendosi le braccia sul petto.
Orlando le scompigliò i capelli e lei gli fece la linguaccia, “E’ un Iris”, spiegò.
“Iiis”, ripeté Niamh affascinata dal suono di quella nuova parola.
Bee sbirciò Orlando e ridacchiò.
“Nì”, chiamò Orlando, “Chiedi alla mamma se sa qualche storia su questo fiore”.
Abaigeal si appoggiò al petto di Orlando, rintracciando nella mente quello che sua nonna le aveva raccontato a proposito dell’iris.
“Si mamma. Accontami una storia su Iiis”, annuì, quindi si mise seduta davanti a loro, a gambe incrociate e guardando rapita i petali di quel fiore così bizzarro.
Bee inspirò, quindi prese a narrare una nuova favola per la loro principessa. Erano momenti che lei ed Orlando confezionavano appositamente per la piccola, sperando di trasmetterle curiosità e fantasia. Niamh, dal canto suo, non perdeva una sola parola di quello che loro le dicevano, e quando non capiva, chiedeva spiegazioni precise con milioni di domande.
Era una bambina speciale, ma forse lo era perché, semplicemente, era la loro bambina.
“L’Iris è un fiore della Dea Iride”, spiegò Bee.
Niamh la guardò senza capire, “
Seanmhàthair no ha mai detta”
Bee sorrise. Leah aveva trascorso gli ultimi due anni della sua vita a raccontare storie di Dee alla piccola Niamh, ma, evidentemente, la Dea Iride non aveva avuto ancora posto tra i suoi racconti.

“Iride è la Dea dell’Arcobaleno, e si serviva di quell’onda colorata per portare i messaggi dal regno degli Dei fino alla Terra. E sai perché questo fiore si chiama così?”
La piccola scosse la testa, rannicchiandosi contro il petto di Bee.
“Guarda bene i suoi petali. Non hanno un colore definito, vedi? Così le persone credevano che fossero i fiori che cadevano dall’arcobaleno di Iride per testimoniare che qualcuno aveva avuto la fortuna di parlare con gli dei”.
Orlando sbirciò la piccola, che adesso aveva infilato il pollice in bocca e giocava con le dita di Bee. Sorrise istintivamente, pensando al significato di quel fiore e immaginando altre mani che si stringevano a quelle già presenti.
“Sai cosa significa trovare un Iris?”, le domandò Orlando.
Niamh alzò la testa per permettersi di guardarlo negli occhi, e come sempre, Orlando sentì un battito di farfalla nello stomaco. Stentava a credere di aver creato insieme a Bee una meraviglia così grande. Entrambi, tutt’ora, faticavano a convincersi di essere davvero una famiglia solida, le cui basi non sarebbero mai state minate dalle intemperie esterne.
“Significa buona novella!”
Bee si voltò e gli stampò un baciò sulla guancia, “Papà ha fatto i compiti!”, lo prese in giro.
Niamh ridacchiò, “Ha fatto i compiti”, ripeté divertita.
“E’ in arrivo una buona novella, dunque”, pontificò Orlando, abbracciando Bee.
“Che è novella?”, chiese Niamh senza capire.
“Novità”, risposero tutti e due, in sincrono, facendola ridere.
“Novità!”, ripeté lei schizzando in piedi e saltellando, “Novità! Mi compate il pony!”, gridò, quindi prese a correre per la spiaggia, “Il pony”, gridò entusiasta, “Il pony!”.
Bee e Orlando si guardarono perplessi, quindi scoppiarono a ridere.
“Non possiamo comprarle un pony”, osservò Bee, accoccolandosi tra le braccia di Orlando.
“Non sapremmo neanche dove tenerlo”, le fece eco lui, annuendo.
“Non possiamo mica tenere un pony nel giardino a Londra. La gente penserà che siamo pazzi!”, continuò lei.
“E poi quella povera bestia ne soffrirebbe. Non è mica nato per stare nello smog di una metropoli”
Bee annuì, “Anche se, in fin dei conti ci sono i maneggi”.
“E volendo potremmo tenerlo nella fattoria di tuo nonno. Non gli darebbe di certo fastidio”.
Lei si voltò per guardarlo negli occhi.
“Ma potrà cavalcarlo solo quando siamo qui a Galway, però”, osservò.
“Giusto. Quindi forse sarebbe meglio un maneggio a Londra. Così potremmo portarcela un paio di volte a settimana”.
“Potrebbero prendersi cura di lui”, annuì Bee.
Orlando si bloccò per un istante, guardandola negli occhi, “Abbiamo appena deciso di comprare un pony a nostra figlia?”.
Bee lo guardò impensierita quindi scoppiò a ridere, “Temo di si”.
Lui scosse la testa, fingendosi contrariato, “Siamo due pessimi genitori. Gliele diamo tutte vinte!”
Lei, per tutta risposta, gli saltò sopra, facendolo cadere tra la sabbia, “Buona novella!”, ridacchiò baciandolo.
Niamh, che aveva visto la scena, corse verso di loro saltandogli sopra a sua volta.
“Novità!”, gridò rotolandosi nella sabbia, “Arriva un pony pe Niamh!”
“Arriva un pony per Niamh!”, ripeté Orlando facendo l’occhiolino a Bee.
“Arriva un pony per Niamh!”, rise Bee facendo il solletico alla piccola.
“ E lo chiameò Sean”.
Orlando e Bee si guardarono, quindi scoppiarono ancora a ridere.
Sean, in irlandese, voleva dire ‘grazia di Dio’!

 

 

Orlando respirò a pieni polmoni la fresca brezza irlandese che gli scompigliava timidamente i riccioli scuri.
Guardò il cielo stellato spora di lui e si rese conto di com’era cambiata la sua vita dalla prima volta che aveva visto quello stesso cielo, in quello stesso posto.
Era entrato in quella casa come amico di Bee, poi come fratello, come confidente, come amore di una vita e adesso, era membro attivo della famiglia Gallagher, come marito.
Ripensò alla cerimonia di matrimonio, celebrata proprio a Galway da un ministro Wicca, amico di Leah.
Era stata una funzione emozionante, piena di stupore e incanto.
La piccola Niamh che teneva i fili rossi in mano, Bee con le lacrime agli occhi, e sua madre e Leah che non avevano smesso un attimo di piangere.
Kevin che con le mani tremanti aveva legato il primo filo al polso di Bee e poi al suo, e lo stesso avevano fatto Leah, Sam, suo padre e sua madre.
La famiglia, con quel gesto, aveva benedetto quell’unione che sembrava così scontata eppure incredibilmente meravigliosa.
Sorrise, ripensando alla prima notte di nozze.
Invece del lussuoso hotel a cui Bee aveva pensato, si erano ritrovati nella casa al mare del nonno di Bee con la piccola Niamh che, a un anno e pochi mesi, non voleva saperne di dormire senza i suoi genitori.
“Blàth”.
Orlando si girò e notò Kevin avanzare verso il patio con due pinte di birra in mano.
“Ehi Kev”, lo salutò.
L’uomo gli passò una pinta, facendogli l’occhiolino, “Ultimamente il tuo orgoglio irlandese non si sta allenando a dovere!”, lo prese affettuosamente in giro.
Orlando ridacchiò, “Bee non ne vuole sapere di sbronzarsi con me quando Niamh dorme. Non riesco proprio a convincerla!”
Kevin resse il gioco, “Metti un goccio di whiskey nel latte della piccola peste, poi uno nel vino di tua moglie”, annuì soddisfatto, “Il resto è una passeggiata!”
Orlando scoppiò a ridere, “La convincevi così Leah?”
L’uomo lo guardò con scherzosa sufficienza, “Figliolo, mia moglie è sempre stata un’ottima bevitrice. Non aveva bisogno di essere convinta. Figurati che ero io quello che doveva insistere per rimanere sobrio almeno una sera a settimana!”
A quelle parole Orlando scoppiò a ridere di gusto. Poteva credere a tutto, tranne che ad un Kevin che rifiutava una ‘santa pinta’, come la chiamava lui.
Sorseggiarono la birra in silenzio, beandosi della calda notte irlandese.
“Ricordo la prima volta che sei venuto qui, sai?”. Kevin parlò, rompendo il silenzio.
“Ci stavo pensando anche io, poco fa”, mormorò Orlando con un sorriso.
“Appena ti ho visto ho capito subito che eri l’uomo adatto per mia figlia”, proseguì l’altro, “Certo, ce ne avete messo di tempo, ma sono contento di non essermi sbagliato. Non avrei sopportato un altro figlio maschio che non fossi tu”.
Orlando sorrise appena.
“E ricordo anche una conversazione di qualche tempo fa al Greenwich, mentre Abe e Leah ringraziavano gli dei per il tuo lavoro”.
Orlando annuì, “La ricordo anche io”.
“Tuttavia non l’hai ricordata per lungo tempo”, osservò Kevin, ingollando una generosa sorsata di birra.
“Ce l’ho avuto sempre in mente, invece”, obbiettò Orlando, “Ma non sapevo se era la cosa giusta da fare”.
“Sono dell’opinione che non sai mai se una cosa è giusta o sbagliata fintanto che non ti decidi a farla”, buttò lì Kevin. Si voltò, guardando Orlando di sbieco, “Ma sono anche convinto che tu e mia figlia siete gli esseri più strani del pianeta. Dico io, si può essere amanti per tutto quel tempo senza pretendere l’esclusiva?”
Orlando strabuzzò gli occhi, la birra gli andò per traverso e cominciò a tossire.
“E tu come lo sai?”, riuscì a dire poi, con un filo di voce.
“Radio Sam. Lo so da prima che nascesse Niamh”, spiegò Kevin con un sorriso, “Ma penso di averlo sempre saputo. Prima che ci deste la notizia del fidanzamento eravate strani. Avevate sempre qualche problema…”.
“Era davvero evidente?”
“Per chi voleva capirlo si”, mormorò Kevin.
Orlando rimase in silenzio, impensierito. Forse non erano mai stati bravi a nascondere il loro rapporto. Forse non volevano nasconderlo. Forse speravano che qualcuno capisse quello che stava accadendo, per renderlo effettivamente reale.
“Non ci pensare ragazzo!”, ridacchiò Kevin, “Ormai è fatta. Hai una moglie e una figlia. Gli déi ne sono sicuramente contenti!”
Orlando annuì sorridendo.
Se non gli dei, lui ne era sicuramente contento. Assolutamente contento.
Indiscutibilmente contento.

 

Quando rientrò in camera trovò Bee addormentata e Niamh accanto a lei, con una manina in quella della mamma.
Pensò, in quell’istante, che un uomo non poteva chiedere di più.
La carriera, i film, le prémier, i premi vinti, non valevano neanche un centesimo di quello che vedevano ora i suoi occhi: le sue uniche ragioni di vita, addormentate nel letto con i visi rilassati e sereni.
Chiunque, nell’arco di una vita, avrebbe dovuto provare una sensazione come quella. La meraviglia del sentirsi completi, soddisfatti, amati.
La gioia del vedere il proprio riflesso negli occhi di un bambino che ti appartiene più di quanto tu non appartenga a te stesso.
Sorridendo si tolse maglia e scarpe e si sdraiò accanto a Bee.
Lei si mosse, accomodandosi contro il suo petto e cercando la sua mano con quella libera. Orlando intrecciò le sue dita a quelle di lei, carezzò la testa di Niamh e promise ad entrambe, nel silenzio della notte, di vegliare per sempre sui loro sogni.

 

 

 

 

 

VOI CREDEVATE EH!!!!

Credevate di esservi liberate di me!! E invece…rieccomi!

Vi chiedo perdono per l’incredibile ritardo ma ho passato praticamente venti giorni a festeggiare…oggi mi sono resa conto che siamo quasi all’8 Marzo, pensate voi!!! E anzi, ne approfitto per ringraziare quante di voi mi hanno fatto in bocca al lupo-auguri…siete state carinissime!!!!

 

Comunque, questa schifezza che avete appena letto, è probabilmente il penultimo capitolo!

Le ciliege tra un po’ saranno mature e quindi pronte per essere mangiate del tutto!

Però vi ringrazio. Perché senza di voi non sarebbe nato né l’albero, né il ramo, né il frutto!!

Bebe: sono stra felice che ti sia piaciuto l’ultimo capitolo. E grazie per il supporto!! Ma forse, da dottoressa, questo capitolo non mi è venuto così bene come il precedente!! Mi rifaccio…parola di Scout!

 

Stellysisley: grazie a te per essere passata di qua!! Grazie grazie grazie!

 

Liz, tu sei un angelo, davvero! Lo so che non ho soddisfatto la tua curiosità, ma prometto che arriverà qualcosa di meglio!

 

Ce, ma grazieeee!! Sono contentissima che il capitolo ti sia piaciuto. Anzi. Sono contentissima che ti sia piaciuta tutta la storia! Spero che anche stavolta qualcosa di buono sia riuscita a trovarlo!! Ti mando un bacio!

 

Roxy, grazie grazie grazie! E in bocca al lupo anche a te! Vedrai che dopo trascorrerai giorni assolutamente incredibili! Non fosse che per quelli, ne vale proprio la pena! ;) E mi fa assolutissimamente piacere che l’ultimo capitolo sia uno dei tuoi preferiti! Ci tenevo particolarmente alla nascita di Naimh ;)

 

Klood, grazie!! Qui le emozioni sono meno esplosive, ma spero si sentano comunque! Un bacio!

 

Vicky, Gioia, il fatto che nonostante il mal di testa tu abbia avuto la voglia di leggere è il complimento migliore che potessi farmi ;)

Spero che adesso vada un po’ meglio!! Baciotto

 

Candidalametta, ammetto che la tua recensione mi ha veramente fatto arrossire. Non sai che piacere è stato leggere quello che hai scritto. Dico seriamente. E sono io che ringrazio te. Per aver messo un po’ delle tue emozioni nelle mie parole…grazie davvero!

 

Genio, adesso arrabbiati perché ti chiamo così! Dai, no! :D
Comunque grazie lo dico io a te. Per la chiacchierata di oggi e per tutte le cose che dici, che scrivi e che fai! Sei speciale, sappilo! Un bacio!

 

Nì…eri tu. Sei tu. Lo sai. Tra me e te non servono troppe parole. Spero almeno di essere stata in grado di descrivere la tua meraviglia. Almeno un po’. Ci siamo capite va! Bacio tesoro. Ti amo!

 

E continuo a ringraziarvi, ragazze.

E lo so che sono ridondante, retorica etc etc…ma voi siete le migliori lettrici che uno scrittore potrebbe desiderare!

E vi adoro…ma questo già lo sapevate!

 

Un abbraccio a tutte!

Am

 

 

 

 

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