Il giardino

di NienorDur
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La stanza ***
Capitolo 2: *** Il corridioio ***



Capitolo 1
*** La stanza ***



La stanza
 
 
 
 
La mia stanza, quella dove io vivrò.
È bianca, il soffitto è luminoso, caldo, sento del calore, mi sento bene, sorrido.
Mi guardo bene attorno, vedo dei cassetti, prima c’erano?
Non mi sembrava ci fossero…
Li apro: semi, semi di tutti i tipi, fiori, alberi, rampicanti, ortaggi.
Una scelta vastissima, dove avrei potuto piantarli?
Perché darmi tutti questi semi in una stanza vuota e sterile?
Li accarezzo con le dita con una specie di malinconia e richiudo i cassetti.
Mi giro, forse c’era un’uscita, forse potrei trovare un posto con della terra.
Eccola. Comparsa dal nulla, terra, terra dentro contenitori di forme e dimensioni diverse, ognuna adatta a un tipo di pianta.
Mi sento pervadere da un senso di gioia, si poteva definire gioia? Quella sensazione che ti pervade, portandoti calore dentro il corpo e che ti costringe a sollevare le gote fino a far mostrare i tuoi denti, da adesso assocerò questa sensazione a quella parola.
Come ho trovato quella parola? Dove l’ho sentita? Chi me l’ha suggerita?
Passi, sento dei passi che si allontanano ma qui ci sono solo io.
Sarà stata la mia immaginazione.
 
Dedico tutto il mio tempo a ogni singola pianta, annaffiandole, con l’acqua di un piccolo ruscello che si era venuto a creare quando mi resi conto che avevano bisogno di acqua, parlandogli, non volevo farle sentire sole, riparandole dal sole cocente e dalle piogge che provenivano dall’alto, il soffitto non esisteva più come prima, adesso inizio a scandire giorno e notte, luce e tenebre.
Alcune piante non riesco proprio a coltivarle, nonostante io ci metta tutto me stesso, la cosa mi fa stare male, quel lato di giardino è triste, forse dovrei rinnovarlo, magari con quelle piante che riesco a far crescere così bene o con quelle con cui ho possibilità di migliorare.
Sarebbe bello poter vedere altri giardini, magari, osservandoli riuscirò a capire cosa sbaglio con quelle piante.
Durante questo periodo ho sentito più volte i passi, ma non mi sono mai allontanato dalle mie creature, dal mio tesoro, dal me stesso espresso attraverso le piante.
Doveva essere uguale a me, anzi, doveva essere migliore, se mai qualcuno venisse nel mio giardino, deve vedere il meglio di me e anche di più, deve rimanerne affascinato, deve piacergli, devo piacergli.
 
Passi, ancora quel suono, questa volta era più vicino, mi volto, guardo intorno a me, frugo tra le piante, per poi intravedere in lontananza la causa di quei passi.
Lo seguo, lo seguo perché voglio sapere cosa vuole da me, perché mi ha spiato.
Muovo le mie gambe sempre più velocemente, corro, respiro affannosamente, entro in un corridoio, poi in un altro, giro, scendo, salgo, seguo la sua scia, mi sto perdendo, lo sento, non tornerò mai più nel mio giardino e questo morirà senza di me.
Mi guardo indietro e vedo il mio giardino, è lì, come se non mi fossi mosso, com’è possibile?
I passi sono cessati, adesso c’è un altro rumore, sento dell’acqua, ma non l’acqua tranquilla del mio giardino, dell’acqua irrequieta, che s’infrange contro gli oggetti.
Sarà un altro giardino?
Vorrebbe dire che non sono solo, che posso esplorare nuovi giardini e che altri possono esplorare il mio.
Vado, vado verso quel suono così familiare quanto estraneo.
Vedo un altro giardino, un molto più bello, con tante varietà di piante, rigogliose e imponenti, mi guardo attorno alla ricerca del giardiniere, non lo vedo, lo cerco, cerco tra le piante, tra i vasi, tra l’acqua irrequieta, finalmente lo trovo, ma sarà lui? O è un’altra persona che si è persa come me?
Mi avvicino lentamente, lo osservo, una sagoma nera, anonima, il volto sono due punti bianchi e una sottile striscia dello stesso colore, concava, come fosse un sorriso, magari anche il mio volto è così, infondo non l’ho mai visto.
Si gira verso di me, mi vede, inarca ancora di più quella che dovrebbe essere una bocca.
Si alza, mi viene in contro, mi porge una mano, la afferro.
 
Vedo il suo giardino, lo vedo prima bianco, lo vedo crescere, morire e rifiorire, vedo il giardiniere che si occupa delle sue piante con amore, una alla volta, senza farne nascere più di una alla volta, vedo le sue lacrime quando vedeva morire una sua pianta, sento la sua gioia quando riesce a farle vivere a lungo.
Vuoto, sono immerso nel vuoto, penso, ho sbagliato tutto con le mie piante, non sono stato un buon giardiniere.
Tristezza, delusione, solo questo riesco a sentire.
 
Cado, sono per terra, davanti a me l’altro giardiniere, mi guarda, la sua espressione non lascia trapelare alcun sentimento, forse è normale vedere il giardino dell’altro attraverso il tocco della mano.
Rifletto, lui ha visto il mio giardino, ha visto come me ne sono occupato, ha visto i miei fallimenti, ha visto tutti i miei errori, ha capito che non sono un bravo giardiniere, lo sa e non sa come comportarsi con me, ha pietà di me, sente che sono un incapace, lo so, riesco a capirlo, lo capisco.
Da cosa? Da cosa lo capisco?
Lo so e basta, chiunque penserebbe queste cose.
 
Corro via, corro verso il mio giardino, lo raggiungo, lo distruggo, distruggo ciò che non potrà mai piacere a nessuno.
 
Distruggo il mio giardino.
 
 
Distruggo la mia creazione.
 
 
 
Distruggo la mia passione.
 
 
 
 
Distruggo me stesso.
 
 
 
 
 
 
La stanza è di nuovo bianca, pulita come prima, il soffitto, però emana una luce fredda, i cassetti non ci sono, la terra non c’è, il ruscello è secco.
Tutto è sparito, sparito come ciò che avevo dentro.
Che cosa faccio adesso?
Non ho più nulla.
Passi, gli stessi passi di tanto tempo fa, non li avevo più sentiti, qualcosa di familiare, mi scalda dentro.
Apro gli occhi.
Il coniglio nero.
 
 
 

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Capitolo 2
*** Il corridioio ***


Il corridoio
 
 
 
La stanza si è fatta sempre più buia, fredda, piccola.
Il coniglio passa ogni giorno, o forse più spesso, non lo so, non riesco più a distinguere giorno e notte.
Lo guardo, lui mi guarda con i suoi occhi privi di luce, m’incita a seguirlo, chiudo gli occhi.
Dormo, non apro gli occhi, non sento nulla, sogno, vedo il mio giardino, di com’era verde anche con tutti i suoi difetti.
Rimpiango di averlo distrutto, rimpiango di non aver provato a migliorarlo.    A salvarlo.         A salvarmi.
Apro gli occhi, la stanza non esiste più. Adesso è solo un corridoio.
Il coniglio è davanti a me, mi guarda, i suoi occhi non sono più vuoti, sono bianchi, mi scrutano, mi guardano dentro.
Un brivido mi percorre, come se quello sguardo avesse toccato qualcosa dentro di me, mi alzo.
Il corridoio sembra illuminarsi un po’ di più, seguo il coniglio, con calma, non sembra avere fretta, tanto nemmeno io ne ho.
Camminiamo, il corridoio si fa più luminoso, ampio, caldo, ma non ci sono tutte le diramazioni che avevamo percorso la prima volta, solo un grande corridoio.
Il coniglio si ferma, si volta da un lato, seguo il suo sguardo, una vetrata, una vetrata da cui riesco a vedere un giardino, un giardino piccolo ma curato nei minimi dettagli, ne rimango affascinato.
Sento del calore venire da dentro di me.
Guardo il coniglio, ricambia, i suoi occhi si scuriscono e continua a camminare, lo seguo, questa volta accelera il passo, gli sto dietro, voglio vedere altri giardini, voglio cogliere l’ispirazione, voglio carpire il segreto dei giardinieri.
Un’altra vetrata, un altro giardino, questa volta era immenso, ma le piante non erano rigogliose, alcune sembravano facessero fatica a rimanere in vita, ma quelle al centro, quelle al centro erano un tripudio di colori e di vita.
Rimasi colpito solo da quella parte di giardino, questo mi fece capire che non sono l’unico a commettere errori, ad avere difetti, a non essere perfetto.
Passiamo avanti, il corridoio si fa di nuovo più scuro, il coniglio si ferma a osservare un’altra vetrata, vedo il giardiniere in un angolo, rannicchiato, le sue piante sono quasi morte, ma si muovono, si muovono verso di lui, cercando le sue attenzioni, ma lui non gliele dava, come spaventato, spaventato di sbagliare, la sua stanza è inghiottita dall’ombra, nell’ombra vedo due occhi bianchi, un altro coniglio, poi spariscono anch’essi e la stanza torna bianca, vuota, il giardiniere non c’è più.
Continua il nostro viaggio, il corridoio rimane scuro, un’altra vetrata, vedo un altro giardiniere, sta abbracciando una pianta, una pianta spinosa che non gli da amore, ma questo continua ad abbracciarla e a prendersene cura, sperando che questa ricambi, prima o poi.
Mi sento a pezzi, ma anche sollevato perché non sono il giardiniere peggiore, sentimenti contrastanti che mi fanno sentire male.
Seguo contro voglia il coniglio, ho paura della prossima vetrata.
Il coniglio mi guarda i suoi occhi sono tornati neri, continua il percorso, il corridoio finalmente si fa più luminoso, sospetto e spero che la prossima sarà l’ultima tappa.
Lo seguo, nuova vetrata, adesso vedo un giardino spoglio, morto, tranne che per una piantina, il giardiniere la cura ogni attimo, le dedica tutto il suo amore, sembra felice, mi sento felice anch’io.
 
 
 
 
 
Guardo il coniglio, sorrido, mi guarda, chiude gli occhi, buio, non vedo nulla.
Luce, luce improvvisa, la mia stanza, la mia vecchia stanza, con già i vasi, l’acqua e i semi pronti per essere piantati.
Volevo ringraziare il coniglio, ma quello se n’era già andato.
 
Accarezzo i semi, torno al mio lavoro,
 
pianto,
 
annaffio,
 
 
creo,
 
 
amo.
 
 
 

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