Ero solo io e forse questo bastava

di K anonima
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gioia ***
Capitolo 2: *** Mattia ***
Capitolo 3: *** Clarissa ***
Capitolo 4: *** Randal ***
Capitolo 5: *** Sam ***
Capitolo 6: *** Clary ***
Capitolo 7: *** Mat ***
Capitolo 8: *** Randal e Clary ***
Capitolo 9: *** Sam e Mat ***
Capitolo 10: *** Everyone ***
Capitolo 11: *** Christian ***
Capitolo 12: *** La vecchia vita ***



Capitolo 1
*** Gioia ***


“Dai, apri gli occhi”.

Volevo veramente che cominciasse un'altra giornata? Mi ponevo questa domanda ogni giorno, ma non riuscivo mai a trovare una risposta.

“Non è possibile”. Anche quella notte avevo dormito sul tappeto senza sapere il perché. Non ricordavo nulla riguardo la sera prima. Con un passo decisamente incerto mi trascinai in bagno. “Guardati”. L'ombretto nero ormai aveva vagato fino al collo. I capelli erano orribili. I vestiti del giorno prima avevano un odore che non assomigliava per niente al mio profumo. “Devi smettere di essere così”.

E così parte ogni settimana. -Potresti curarti di più, sembri il barbone che vive nel parco che c'è in città!- mi urlava mia madre quando uscivo di casa. Quel giorno portavo il maglione che avevo comprato nell'unico negozio vintage del mio paese, dei pantaloncini dalla taglia ignota, delle calze bucate e gli anfibi slacciati. “Ma vai al diavolo!” pensavo “Io sto così comoda, ma tu su quei tacchi vertiginosi cosa ne vuoi sapere”.

Camminavo sul marciapiede, le cuffie alle orecchie e le canzoni dei The Smiths a volume altissimo. Per un attimo mi sono sentita bene, quel benessere che solo la musica e i libri possono regalarti.

-Ehi idiota spostati!- due ragazzi in bicicletta, venendomi addosso, mi fecero cadere le cuffie e mi riportarono al mondo vero. A molti ragazzi piaceva il liceo, era il posto ideale per incontrare gli amici, affermare il proprio status sociale e imporre il proprio modo di essere. Io mi sentivo solo incastrata in mezzo ad un branco di persone superficiali. La spada di Damocle che percepivo sopra la mia testa era legata ad un filo sottilissimo, esattamente come la mia pazienza. A diciannove anni i miei coetanei perdevano la verginità e si prendevano le prime sbronze, cosa che io avevo superato da molto tempo. Per una ragazza che l'infanzia non sapeva nemmeno cosa fosse avrei dovuto sentirmi fortunata di essere arrivata fino a quel momento, ma proprio non ci riuscivo. Non c'era nulla di cui vantarsi, dopotutto sembrare più grandi non vuol dire esserlo veramente.

“Dai entra, tanto ormai hanno notato la tua presenza”. Respiravo piano, come se potesse servire a non farsi notare. Per i corridoi effettivamente nessuno prestava attenzione ad una ragazza bassa e vestita male. “Non vado di moda” e dopo questo pensiero per poco non scoppiavo a ridere. Il mio corpo non ha mai provato cosa fosse la moda e ne andavo molto fiera, non mi è mai piaciuta la notorietà per qualcosa di così futile. Mi complimentavo con me stessa ogni tanto per questo, una delle poche cose per cui ancora mi rispettavo.

“Eccolo lì, ma cosa caspita sta facendo?!”. Entrando in classe, come ogni giorno, appoggiato alla finestra stava Randal che giocava con i filtri per le sigarette. Erano mesi che comprava l'occorrente, ma non era mai riuscito a fare delle sigarette che rimanessero intatte fino alla fine. Mi faceva davvero sorridere quel ragazzo strano, non che io potessi definirmi normale, ma perché non gli importava dell'opinione di nessuno e per questo lo ammiravo. Era stato lui il primo a rivolgermi la parola... e anche l'unico a dire il vero. Non l'ho mai considerato un amico vero. Non abbiamo mai parlato di amicizia, ma penso che neanche lui mi considerasse tale.

-Non è che se fissi il tabacco si trasformerà in una sigaretta già fatta- glielo dicevo ogni mattina e lui, prontamente rispondeva -E tu non è che se continui a guardare le ragazze in minigonna con fare disgustato inizieranno a mettere i pantaloni-. Parlava in un modo diverso rispetto a tutti gli altri, nonostante fosse arrivato nella mia città da solo un anno dall'Inghilterra, coniugava meglio i verbi di quanto non facessi io a volte e la cosa un po' mi infastidiva.

Come ogni lunedì la professoressa di matematica arrivava in classe preceduta dal suo profumo alla cannella mista puzza di fumo che mi portava alla nausea. Penso avesse più baffi lei di quanti non ne avesse mio padre, ma questo era scortese da dire mi avevano riferito. Al posto delle unghie aveva degli artigli sempre con dello smalto rosso fuoco. “Evviva, capissi qualcosa quando parla almeno avrei qualche chance”.

E le ore passavano così, notando ogni piccolezza e ogni difetto estetico di ogni professore che entrava. Randal pareva divertito dai miei sporadici commenti e dalle mie espressioni perplesse. Penso che capisse anche lui che qualcosa non andava nelle persone, ma si guardava bene da far notare la cosa.

Finalmente l'ultima campanella suonava e la mia mente poteva uscire da quello squallido corpo insieme al corpo. Fuori dal liceo mi aspettava Clary. O forse aspettava Randal, dato che la cotta che aveva per lui era abbastanza evidente, ma speravo che tirando le somme venisse anche per vedere me. Eravamo davvero diverse: io ero la persona più trasandata al mondo e lei era sempre curata, con le quelle trecce bionde sempre composte e il rossetto rosa sempre apposto. La sua ingenuità e il suo candore a volte mi stupivano, mi sembrava che non avesse mai conosciuto cosa fosse la cattiveria e anche se questo mi faceva sorridere mi preoccupava. Come facesse ad essere attratta da Randal era un mistero ancora più grande. Lei ordinata e solare, lui probabilmente tossico e malinconico. Incompatibili.

Tornavamo a casa tutti insieme ogni pomeriggio e la cosa mi piaceva, mi portava per mezz'ora a pensare di essere un'adolescente come tanti altri. Clary ci raccontava della sua mattinata con entusiasmo e ogni volta le era successo qualcosa che valeva la pena di raccontare. Io e quel povero ragazzo con più tabacco che sorrisi ascoltavamo vagamente interessati. Sapevamo che sarebbe arrivato il momento in cui lei ci avrebbe chiesto con aria felice -E voi oggi che cosa avete fatto di interessante?- e noi, come sempre avremmo risposto -Interessante? Proprio nulla-.

La prima casa della via quella di Randal che a mala pena salutava. Ogni tanto io dopo qualche passo mi voltavo e lo vedevo fermarsi davanti alla porta per rispondere al mio sguardo e sorridermi. Di questo nostro rito si era accorta anche Clary a cui ciò dava fastidio. Per me non c'era nulla di male, non mi pareva un'azione tanto particolare, ma quando lei mi chiedeva -Perché sorride a te e non a me?! Non gli piaccio?- non sapevo cosa rispondere. Non ero brava a decifrare questi comportamenti, io vedevo solo un'innocente sorriso.

Arrivavo finalmente a casa mia e salutavo quella bellissima ragazza bionda con sempre la stessa frase -Non c'è motivo per cui Randal non dovrebbe essere attratto da te, è solo troppo fumato per capire quello che fa. Fidati, quel sorriso era per te-. Non so se fosse vero, ma mi piaceva pensare di aver ragione. Per lei.

“Ah l'unico amore della mia vita... letto che ho fatto di male per non poter stare con te tutto il giorno!”. Un tale pensiero da asociale mi faceva ridere.
E come se non ci fosse tempo per fare nulla arrivava l'ora della cena e poi l'ora di andare a dormire.

Non mi era mai piaciuto dormire, era una perdita di tempo e l'orario in cui mi addormentavo era la prova che credevo veramente a questo.

Un routine continua e sempre uguale. L'eccessiva tranquillità di Randal, i patemi d'animo di Clary, le mie critiche ad ogni individuo che attirasse la mia attenzione e le serate di cui non ricordavo nulla. Stavo per impazzire.

Poi arrivò lui, in un giorno qualunque, stravolgendo ogni cosa.

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Capitolo 2
*** Mattia ***


Andavo sempre nel negozio di dischi locale. Non compravo mai niente, ma a Giovanni, il proprietario, non dava fastidio. Quel posto mi tranquillizzava nonostante fosse malmesso. -Tengo aperto solo per te- mi diceva lui ogni tanto e io pensavo “Per fortuna”.

-Se ci fossero ancora giovani come te che si interessano ai dischi io sarei ricco- esordiva.

-Non ci sono però- rispondevo come da copione tutte le volte. Lui faceva una smorfia triste e tornava a passarsi la mano sui baffi leggendo il giornale. “Che persona bizzarra”. A lui piaceva definirsi un vecchio burbero, ma l'ho sempre trovato molto tenero. Da molto tempo ascoltavamo i dischi nuovi insieme. Nuovi si fa per dire, erano quelli che piacevano a noi. Musica indipendente degli anni '70 e '80, che non comprava nessuno, ma a noi piacevano.

Ogni tanto ballavamo insieme su quello stupendo sottofondo.

Un giorno suonarono i campanellini sulla porta, qualcuno stava entrando.

Mi girai con un'espressione alquanto sorpresa, sulla soglia c'era un ragazzo alto e magro con aria molto timida. -Cosa vuoi ragazzo? Ti sei perso?- gli domandò Giovanni dopo essersi schiarito la voce.

-Ah no, vi ho visto dalla vetrina e non so... ho pensato di entrare- replicò il ragazzo che doveva sentirsi parecchio in soggezione dato il modo in cui si guardava intorno. Non potevo togliergli gli occhi di dosso. Non l'avevo mai visto, eppure non pareva un totale sconosciuto.

-E tu entri nei negozi in base alla gente che vedi dentro?-, ero molto perplessa.

-No, sì. No, volevo dire no. Scusate non importa-, si girò ed riaprì la porta.

-Tu, ragazzino! Puoi restare, questo posto non ha mai visto tante persone tutte insieme-, in effetti Giovanni aveva proprio ragione.

La musica ripartì. Una cosa proprio mi disturbava: quel ragazzo seduto per terra in un angolo con lo sguardo fisso sul pavimento. “Nessuno dovrebbe sentirsi così”.

Mi sedetti vicino a lui e gli dissi -Ciao. Non far troppo caso a noi, siamo persone particolari-.

-Io... mi dispiace per prima. Sembrava che vi steste divertendo-

-Certo, noi ci divertiamo sempre- feci una piccola pausa -Vedi questo posto? Non è mai cambiato, in trent'anni. Lui è il proprietario e io... non mi posso permettere di comprare dei dischi-

-La musica è un rifugio che non vede denaro-. Quella frase mi aveva davvero stupito.

-E' fin troppo buono a farmi entrare, già. Non viene mai nessuno qui e so che ne soffre. Il minimo che posso fare è fargli compagnia-. Guardavo Giovanni, non volevo che mi sentisse, anche se sapevo che stava ascoltando la nostra conversazione.

“Perché glielo sto raccontando. Chi è? Ma cosa ti prende?!”.

-Io e te non ci conosciamo giusto?- sperai di non fare una di quelle brutte figure che a me capitavano fin troppo spesso.

-Mi chiamo Mattia. Facciamo la stessa scuola dalle elementari, mai stati nella stessa classe. Capisco se non mi conosci, non mi faccio notare molto. Ho due anni più di te-. La figuraccia ormai era fatta, ma cominciavo a ricordare. Era lui la persona che mia madre spesso citava come l'unico peggio di me a scuola. Il ragazzo che abitava nella mia stessa via e che tornava a casa da solo tutti i giorni. “Oh no, idiota”.

-Mi ricordo di te... più o meno-. Giovanni si mise a ridere, conferma che stesse partecipando passivamente alla conversazione.

Fuori ormai era già buio e, dopo aver salutato quel tenero vecchietto baffuto ci avviammo verso casa.

-Scusami se non mi ricordavo bene di te. Non c'era cattiveria- dissi per rompere il silenzio.

-Cattiveria? Tu forse non sai nemmeno cos'è la cattiveria, sei troppo gentile e tranquilla-. Quante cose non sapeva. Nella mia vita non c'era mai stata la pace, solo guerra.

-Magari fosse come dici. Cambiamo discorso. Piacere io sono...- mai mi era capitato di presentarmi, mai nessuno aveva chiesto il mio nome. A me nemmeno piaceva. Evitavo di dirlo e di farmi chiamare, evitavo tutto. “Forse non gli interessa. Perché dovrei dirglielo?”.

-Sei?-

-...Sam. O meglio Samanta, ma per intero non mi ci ha mai chiamato nessuno-.

-A me piace il tuo nome. Mat e Sam.... sembra il titolo di un programma tv- e scoppiò a ridere. “Tenerezza”. Che stava succedendo? Anche io stavo ridendo?

Tornai in me dopo qualche secondo, gli sorrisi e gli feci un cenno con la mano. Lo fissai dritto negli occhi per qualche altro secondo, fino a che la cosa non divenne molto strana.

Mi girai su me stessa e corsi a casa, piantandolo in mezzo alla strada.

Mi strofinai il viso con le mani, c'era qualcosa che non andava. Avevo percepito qualcosa di familiare in lui, come se fossimo simili. Forse ci si sentiva così quando si incontrava qualcuno di affine.

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Capitolo 3
*** Clarissa ***


-Sveglia sveglia! Muoviti o arriveremo in ritardo anche questa volta!-. Cosa ci facesse Clary in camera mia non lo sapevo. Il mal di testa mi stava facendo impazzire e una bionda che dava libero sfogo alla sua frustrazione era l'ultima cosa che mi serviva. Che giorno era? La gita.
-Che ci fai qui?- le chiesi cercando di essere gentile, soffocando ogni mio istinto violento nei suoi confronti.
-Mi ha fatto entrare tua madre e ti ripeto: siamo in ritardo!- mi urlò.
Mi vestii in fretta con le prime cose che trovai, riempii la borsa con album da disegno, matite, macchina fotografica e corsi giù per le scale.
Mi fermai davanti alla porta, -Mamma, quando suona quella bestiolina selvatica non le devi mai aprire, chiaro?- gridai e infine uscii di casa.
Randal già ci aspettava sul vialetto. -Che vi è successo?- domandò.
-Sam stava rimanendo a letto come al solito-, talmente era agitata Clary camminava a passo sveltissimo lasciandoci indietro.
-Non è vero, mi sarei alzata- cercai di giustificarmi.
-Non hai una bella cera- mi fece notare.
-Dici? Quella strana creatura mi è piombata in camera urlando. Sveglia indesiderata-. Quel fatto doveva aver proprio turbato la mia quiete interiore perché il mio tono era davvero scontroso.
-Sai com'è ormai. Se fa così non dovresti stupirti più-. Randal aveva pienamente ragione. Conoscevo Clary da almeno undici anni, ormai avrei dovuto fare l'abitudine a certi suoi comportamenti, ma non ci riuscivo.
-Sbrigatevi!- gridava lei da cinquecento metri più avanti.
Arrivati a scuola, facemmo l'appello e salimmo sul pullman. I posti erano sempre rigorosamente gli stessi per noi tre. Il primo a sedersi era Randal, lei lo seguiva per sedergli vicino e poi c'ero io che mi sedevo davanti a loro. Il posto vicino rimaneva sempre vuoto e ogni volta io sentivo quel vuoto anche dentro di me.
I due alle mie spalle si erano già messi le cuffie per evitare le parole ed io rimasi per quasi un minuto a fissare il sedile vuoto.
-Posso sedermi o aspetti qualcuno?- sentii una voce. Era la mia immaginazione? No, era una persona in carne ed ossa. Alzai gli occhi. “Tu”.
-No, è libero- risposi.
Mattia mi ringrazio con un cenno del capo e si mise a sedere. -Sicura che non disturbo?-.
-Nessun problema, Mat-.
Clary non ci mise nemmeno un secondo ad accorgersi di lui. -E tu chi sei? Come vi conoscete? Perché non me lo presenti?-
-Troppe domande, respira ogni tanto. Lui è Mattia. Lei è Clarissa. Bene ora vi conoscete, lasciatemi dormire- non avevo voglia di sorbirmi tutti i convenevoli e l'avevano capito tutti e due.
Mat accennò appena un grazie. Neanche a lui piaceva? Più acquisivo informazioni su di lui e più mi piaceva. Una persona tanto posata, tranquilla e riflessiva. Non ero sola.
Passo più di un'ora prima che qualcuno mi rivolgesse la parola -La tua amica sembra simpatica-.
Sorrisi piano e poi sussurrai -Finchè non ti piomba in casa alle sette del mattino- e poi continuai con un tono normale -Ma questa è un'altra storia. Non è una mia amica, la definirei conoscente. Alle volte ha dei modi un po' sopra le righe, ma è apposto- o almeno era la mia visione delle cose.
-Ammetto di averlo pensato anche io, ma mi sembrava scortese dirlo-. Sorrisi ancora.
-Ragazzi siamo arrivati- disse la professoressa di matematica al microfono. Il perché partecipasse alle gite non lo sapeva nessuno, faceva fatica a stare su un unico sedile, ogni uscita non aveva niente a che fare con la sua materia e il cibo per lei non era mai abbastanza ovunque andassimo.
Prima ed unica tappa: museo di biologia. A nessuno interessava passare due ore là dentro, a parte a Clary. Ad ogni spiegazione sembrava sempre più entusiasta, cosa che non capivo. Noi stavamo infondo al gruppo con un'espressione di finto interesse stampato in faccia.
-Mi avete rimpiazzata vedo- ci disse passandoci davanti. Io e Randal ci guardammo basiti, Mattia non sapeva che fare. Si sentiva talmente imbarazzato e umiliato che si separò da noi e rimase lontano per tutta la giornata.
-Che problema ha? Quel poverino ci sarà rimasto malissimo. Io non riesco a capire le donne-.
-Randal, nemmeno io capisco le donne- replicai e lui sorrise.
Le ore passavano e cercavamo un modo per far riappacificare gli animi, ma con scarsi risultati.
Tornati al pullman Clary andò a sedersi da sola, stranamente. Io detti un colpetto sulla spalla a Randal per incitarlo ad andare vicino a lei. Immediatamente non capì, ma poi obbedì. Io dovevo parlare con Mattia, stavo male al pensiero di come potesse essere turbato. Sentivo il dovere di scusarmi, anche se non ero stata io a turbarlo.
-Posso sedermi?-, strano a volte come si capovolgano le situazioni.
-Non vorrei che la tua amica si arrabbiasse- mi rispose senza guardarmi.
-Non è mia amica, di nuovo. Abbiamo un rapporto un po' particolare. Non volevamo mandarti via e nemmeno rimpiazzare lei con te. Non volevamo fare niente a dire il vero- non sapevo quali parole usare per sembrare consolante.
-La colpa è mia, voi vi conoscete da tanto tempo e io non centro nulla effettivamente-, più che ripeterlo a me penso lo stesse dicendo a se stesso.
-Eppure a me il quattro piace, per degli amici, come numero. Il tre, invece, lo trovo restrittivo- gli sorrisi sperando che mi ricambiasse.
-Sei davvero speciale tu. Non mi conosci, ma cerchi di farmi contento. Perché?-. Questa era una domanda inaspettata e io non avevo idea di come rispondere.
-Lasciami pensare- gli sorrisi di nuovo e appoggiai la testa sulla sua spalla.
Randal non se la stava cavando molto bene.
Provò a chiederle il perché di quella frase, ma Clary aveva deciso di voltarsi dall'altra parte.
Allora gli venne un'idea -Se mi fai un sorriso, domani usciamo a cena-. Lei si girò di scatto con un sorriso enorme stampato in faccia e lui rispose con una smorfia forzatamente felice. Infondo sapevo che Randal era al corrente della cotta che lei aveva per lui, ma non credevo che avrebbe mai fatto accenni alla cosa e tanto meno invitarla a cena.
Dopo quella giornata avevo imparato che è difficile vivere in mezzo alle persone. Si soffre, si è felici, ma solo per poco tempo perché poi basta una frase per distruggere la quiete creata in tanto tempo.

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Capitolo 4
*** Randal ***


Anche quel giorno arrivai a scuola con grande ritardo. Mi sedetti al mio banco, ma qualcosa mancava.
Il posto vicino al mio era vuoto. “Ma dov'è finito?”.
La professoressa entrò in classe e senza nemmeno guardare gli studenti chiese -Dov'è il tuo amico?-. Rimasi in silenzio, ma mi fu subito chiaro che stesse parlando con me.
-Samanta mi faresti la cortesia di rispondere?-
-Non lo so, professoressa. Non vivo nella sua testa-
-Eppure a volte avrei detto il contrario- replicò con fare saccente. “Perchè voi professori dovete farvi solo odiare?”.
Appoggiai il cellulare sul banco, cosa che non avevo mai fatto. Provai a prestare attenzione alla lezione, ma non riuscivo a smettere di pensare.
E se suo padre l'avesse picchiato ancora? E se fosse solo terrorizzato da Clary? Nessuna verifica, qual è il problema?
Lo schermo del mio telefono si illuminò.
-Non mi sento bene, scusi- dissi, quasi fuori dalla classe.
-Non ti ho detto di poter andare!- la sentii, ma non la ascoltai.
Uscii dal cancello di quell'inferno travestito e all'improvviso Randal mi afferrò il maglione. -Cosa ti salta in mente? Mi sospendono questa volta!- mi sentivo arrabbiata. Finalmente lo guardai e capii.
Il suo viso era tumefatto e bagnato dalle lacrime. Mi sentii talmente in colpa per aver provato della rabbia.
-Cosa ti è successo?- solo guardandolo provavo dolore, suo padre doveva avergli fatto davvero male.
-Nulla di diverso dal solito. Questa mattina si è svegliato di cattivo umore- erano anni che giustificava suo padre per evitare di affrontarlo. Lo sapevo io e lo sapeva anche lui.
-Gli esseri umani. Creature strane- e più di questo non sapevo cosa dire.
-Non potevo presentarmi a scuola, avrei dovuto spiegare. E Clary...-. Chi avrebbe confessato a quella biondina che esiste la furia. Lei che vedeva la vita rosa.
-Ci inventeremo qualcosa, andiamo dai-. Sapevo molto bene dove saremmo potuti andare. Sulla collina, nel bosco. La mia felicità era là. Non avevo mai portato qualcuno con me, ma quella circostanza era decisamente particolare.
Dopo più di venti minuti di silenzio, -Dove siamo?- mi chiese.
-Nell'unico luogo in cui valga la pena di essere felici in questa città-. “O almeno per me”.
Mi sedetti a gambe incrociate, appoggiata ad un albero. Lui si lasciò cadere sulle foglie. Non era svenuto, era solo triste. Dentro di me, per la prima volta provai empatia.
-Devo resistere un solo anno, poi tutto finisce- con quelle parole provò a consolarsi, senza riuscirci.
-Non finirà- sentendomi dire questo, si girò esterrefatto -Il dolore che senti non finirà solo perchè ti lascerai alle spalle questa situazione. Queste sono le cose che ti cambiano-. Non ero confortante, non che volessi esserlo.
-Non mi aiuta. Hai ragione ed è questo che mi fa male-, Randal scoppiò a piangere.
-Ehm, il viola ti dona però-. “Ma che brutte battute fai?!”.
Lui tra un singhiozzo e l'altro rise. Mai l'avevo visto piangere prima.
-Aspetta, stai fermo così- gli dissi frugando nella borsa.
Presi l'album da disegno e una matita.
-No ti prego, non con questa faccia- mi implorò per davvero.
-Tu fidati di me-, ormai avevo già iniziato a disegnare. Non tralasciai nulla, gli occhi gonfi per il pianto, le occhiaie e le labbra crepate.
“Perfetto”. -Guarda- e gli porsi il foglio.
-Bellissimo. Non io, come disegni tu-.
-No io dipingo solo quel che vedo, se è bello è merito del soggetto. Vedi, io vedo della bellezza, in te, adesso, anche se tu non ci riesci- ed era vero. La persona più forte che avessi conosciuto in vita mia aveva aperto il cuore, aveva pianto. Ed io vidi solo la bellezza di un essere umano che è se stesso per davvero, senza freni.
-Puoi tenerlo se vuoi, ma ricordati che questo rappresenta amore, non guerra- e non potei fare a meno di sorridere nel vedere come quel piccolo gesto l'avesse aiutato ad alzarsi.
Rimanemmo a chiacchierare di tutto per ore, quasi faceva buio.
-E non preoccuparti per Clary, è ingenua, ma piena d'amore. Potrebbe pure riuscire a fare magie- cercai di rassicurarlo nell'unica cosa che sapevo con certezza.
-Sai che non può fare davvero una magia vero?- e a questa domanda sbarrai gli occhi. “Ma è serio?!”.
Sorrisi e sospirai scuotendo la testa e lui scoppiò a ridere. Come era bello quando rideva.
Tornammo verso casa e alla realtà. Tornare a casa dove ad aspettarlo ci sarebbe stato solo un uomo molto arrabbiato non sembrava una grande idea. Presentarsi in quelle condizioni all'appuntamento con Clary era un'idea anche peggiore.
-Vieni- e arrivammo a casa mia. Lo aiutai a lavare i vestiti sporchi di sangue e si fece una doccia. Pulito e medicato, pronto per affrontare la serata.
-Respira a fondo, si sicuro di te e non dire troppe cavolate- gli dissi, sistemandogli i capelli.
-Non mi piace- sussurrò.
-Cosa?- mi sentii perplessa. A dire il vero non lo ero. Sapevo che non provava sentimenti per lei e che le cene galanti non erano nel suo stile.
-Tutta questa cosa. Non mi piace lei e il modo con cui ti tratta e come tratta me. Non mi piacciono i ristoranti con le rose sui tavoli e il violino- si stava confidando, che giornata al limite dell'assurdo.
-Lo capisco, dico davvero. Però hai preso un impegno-.
-So che mi capisci, è per questo che sei l'unica amica che ho- e dopo questa frase fece un respiro profondo, mi baciò sulla guancia e uscì dalla porta.
“Amica? Davvero?”. Nessuno mi aveva considerato un'amica. Piacevole conoscente, persona conosciuta per strada, tipa imbranata inciampata in metro. Mai amica.
Sorrisi. Ero contenta come non succedeva da tempo.

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Capitolo 5
*** Sam ***


Erano passati quattro giorni dalla cena romantica e le ferite di Randal erano guarite, Clary era contenta perché aveva avuto la sua serata magica e tutto sembrava tornato alla solita normalità.
-Allora ci hai pensato?- mi chiese Mattia apparendo alle mie spalle all'improvviso.
-Mi hai spaventato-, non era vero. Ero abituata a guardarmi le spalle e avevo sentito i passi.
-Scusami, non era mia intenzione-.
-Non dovresti scusarti per ogni cosa. Guarda, il vinile di Meat Is Murder! Uno dei miei dischi preferiti- smisi di guardare la vetrina del negozio ed entrai. Lui mi seguì.
-Salve, nuovi acquisti?- chiesi a Giovanni nel pieno dell'entusiasmo.
-L'ho cercato per te, bambolina. Lo vuoi ascoltare?- mi rispose. Dal tono fui abbastanza sicura che anche lui volesse ascoltarlo sin dal momento che lo aveva avuto tra le mani.
Mi girai verso Mat che mi guardava sorridendo. Risposi al suo sorriso, poi appoggiai il mio zaino in un angolo. La musica partì. “Belligerent ghouls. Run Manchester schools. Spineless wines. Cemented minds.” Nel corso degli anni avevo imparato a memoria ogni singola parola di ogni canzone che avevo ascoltato.
Presi a ballare in quel mio strano modo, muovendomi piano e disegnando strane forme in aria con le mani.
“Penserà che sono pazza, ma mi interessa la cosa? No”.
-Sai perché mi piace questo gruppo?-, guardai Mattia aspettando una risposta.
-Sei vegetariana?-.
-Si, anche. Un motivo più importante non ti viene in mente?-.
-Non lo so. A me piacciono perché descrivono le cose come farei io. Perfino l'amore-.
Quelle parole fecero scattare qualcosa in me. La verità era che aveva colto nel segno. “Ma tu esisti veramente?”.
-Balli con me?-, mi avvicinai e lo presi per mano. Lui rideva, si stava divertendo. E anche io mi divertii nel vederlo felice.
Ballammo per quasi tre ore. Giovanni ci guardava e forse aveva capito tutto di noi.
Finito anche il secondo disco decidemmo di tornare alla vita reale. Il tempo si era fermato quel pomeriggio.
Lui camminava tenendo la bicicletta e io accanto a lui.
-Non hai risposto alla mia domanda- ruppe il silenzio.
-E qual'era?-.
-Ti avevo chiesto perché preoccupassi per me senza conoscermi-.
-Non considerarmi presuntuosa se ti dico che conosco certe cose di te meglio di quanto pensi. Quel giorno nel negozio di dischi, sapevo bene chi fossi. Perché ho fatto finta di niente? Non lo so. Non faccio tutto per una ragione-, talmente impaurita. “E se mi fraintende?”.
-Non c'è molto da sapere su di me. Sono solo un ragazzo che ama la solitudine e venire dopo suo fratello, nulla di troppo nuovo-.
-Nessuno ama la solitudine... se è stata imposta. Quelli come te li conosco. Vi convincete ogni mattina, davanti allo specchio, che tutto nella vostra vita vada per il verso giusto. La verità è che non vorreste neanche vedere la luce del sole. Quando sei costretto ad uscire per cause di forza maggiore ogni persona che incontri ti reca fastidio. L'unico pensiero che ti fa superare la giornata sono i continui insulti che rivolgi a te stesso nelle innumerevoli azioni quotidiane-. Forse l'avevo offeso.
-Già, probabilmente hai ragione. Da qualche settimana non è più così-.
-E la ragione sarebbe?-.
-Tu-. Sbarrai gli occhi. “Che presa per il culo”. Tentai di guardarlo negli occhi, ma l'imbarazzo che venne a crearsi era tagliabile con un coltello.
-Non sono una ragione sufficiente per superare la vita. Ti conviene cercarne una migliore, non ne vale la pena-. Nel dirgli questo feci un giro su me stessa e mi incamminai verso casa mia. Non sapevo se essere contenta o piangere. Volevo veramente che cercasse altro? Eppure avevo provato lusinga. Eppure mi ero sentita bene nel sapere di essere stata ricambiata. Ricambiata? Sì, avevo pensato a lui sin dalla nostra prima conversazione. L'avevo cercato anche nei poi in cui era impossibile che ci fosse. Perché allora mi terrorizzava così tanto? Avevo raggiunto un equilibrio e lui aveva spazzato via tutto. Avrei dovuto sentirmi arrabbiata con Mat, ma non ci riuscivo. Non stava succedendo quello che tutti si sarebbero aspettati, non può essere. Non è un film, non mi potevo essere innamorata del primo ragazzo profondo che mi era capitato di incontrare. "Il mondo è troppo grande per queste cose".
E così mi addormentai, con il pensiero di aver commesso il più grande errore che si possa commettere nella vita.

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Capitolo 6
*** Clary ***


-Ti rendi conto di come mi ha trattato? Zitto tutta la sera, non ha pagato il conto, non ha fatto nulla!- per mezz'ora Clary non aveva saputo trattenere le proprie lamentele. -Forse aveva delle ragioni per non farlo- obbiettai al culmine dell'esasperazione. -Che vorresti dire? Mi ha invitato lui, avrebbe dovuto sforzarsi-. “Perchè parlate con me di queste cose? Sono una totale frana”. -Vedi di parlargli tu perché io gli faccio del male se lo vedo-, frase troppo sgrammaticata e perfida perché fosse uscita dalla sua bocca, l'avevo immaginato? Scossi la testa, non gliene avrei parlato davvero. Mi sentivo in sintonia con Randal, non potevo sbilanciarmi a tal punto. Chi avrebbe potuto biasimarlo, dire la verità ferisce le persone. Continuai a camminare e mi sentii sollevata nell'entrare in classe, strano. Sembrava tutto normale, tutti dove sarebbero dovuti essere. -Hai subito la sua furia?- Randal era in vena di battute. -Omicida, furia omicida. Contro di te. Non voglio sapere cosa è successo quella sera, non è affar mio. Perché non riesci a comportarti con lei come fai con me?!- gli risposi, senza la minima voglia di affrontare l'argomento. -Domanda stupida. Lei non è te. A te potrei fare la stessa domanda-, per un attimo mi sentii offesa, ma la mia attenzione si spostò sull'ultima frase che aveva pronunciato. -Cosa intendi?-, mille idee mi si figurarono in testa e sperai che non si riferisse a nessuna di quelle. -Sai, stamattina è successa una cosa molto strana. Un ragazzo alto e biondo è venuto a parlare con me-. “Oh no”. -Ti sei bloccata vero?-. -Giusto un po'-. -Tranquilla- l'espressione di rammarico misto a tristezza era più che evidente, ma lui continuò -Si sente in colpa. Tu sei una tale imbranata, fagli un disegno e vedrai che capirà. Dedicagli una canzone, fai qualcosa. Sai esprimerti meglio così-. Forse Randal aveva ragione, era la via che dovevo percorrere, anche se me la immaginavo molto più tortuosa di quello che poteva sembrare. Pieno pomeriggio. Io, Clary e Randal camminavamo uno a fianco all'altro. Il fatto che fossi in mezzo diceva molto di come fosse cambiato il loro rapporto. L'imbarazzo era tale che anche io, che non centravo nulla, mi sentivo a disagio. Vidi, lontano, Mattia che camminava e accelerai il passo per raggiungerlo, ma Randy si aggrappò alla mia felpa. “Che sia un bene?”. -Quindi, che vi passa per la testa?- il mio tentativo di approccio fu uno dei peggiori della storia. -Che è un idiota-. -Che lei è cretina-. Ne seguirono occhiate incredibilmente piene di cattiveria. Non mi diedi per vinta, se non riuscivano a parlarsi sinceramente, non ero delle migliori, ma l'avrei fatto io. -Voi due dovreste comunicare. Vi manca solo questo. Nessuno di voi due ha ragione o torto. Dovreste smettere di attribuire la colpa all'altro, non riuscite a capirlo e io con due persone che sono andate fuori di testa non voglio passare nemmeno un minuto. Se non volete farlo per voi stessi, fatelo per me. Parlatevi-. -Già, forse- Randal ci pensò per qualche secondo, non molto convinto. -Inutile parlare, quando uno è cattivo rimane cattivo- Clary proprio non voleva capire. -E quando qualcuna è ottusa resta ottusa-. -La vita è troppo breve per farvi ragionare- ero davvero infastidita, non l'avrei mai ammesso. Ciò non era dovuto al loro conflitto o a Mat, tutta la mia rabbia proveniva dalla rottura del mio equilibrio interiore. O meglio, quello che io definivo tale, non che ne avessi mai avuto uno. Era questo che mi legava a tutte le persone che si erano avvicinate a me. Nessuno di noi aveva mai avuto una vita equilibrata. Nemmeno Clary, sempre sorridente ed entusiasta. I suoi genitori si erano separati quando era molto piccola e aveva sofferto di anoressia per anni, ma tutto sembrava superato. Randal, un problema dietro l'altro. Suo padre, il fumo, la scuola, tutta la vita. Sua madre non l'aveva mai conosciuta ed era rimasto con un padre non degno di questo nome, aveva abusato di lui talmente tante volte che ormai aveva perso il conto. Mattia era stato adottato da una ricca famiglia e sempre stato succube del fratello maggiore, bullo per professione. Timido, riservato e fin troppo buono. Si accollava le disgrazie altrui da anni senza mai essersi lamentato. E poi io, un caso senza speranza. Avevo provato in tutti i modi a dare un senso alla vita che stavo mandando avanti, ma non mi riusciva affatto bene. All'esterno apparivo come una ragazza molto più matura della mia età, ma che non utilizzava la testa nei momenti giusti. Picchiata più di quanto un corpo potrebbe sopportare, avevo provato qualunque droga e sballo esistente e ancora sentivo qualcosa che non andava. La musica, l'arte, le uniche cose certe da quando mi ero disintossicata. Ancora non avevo smesso di farmi del male, ma questa è un'altra storia. Non ci parlammo per un bel po' di giorni e come biasimarci. La mia uscita li aveva scossi, si erano sentiti come persone irrecuperabili e forse avevo colto nel segno. Non avrei mai detto fossero così testardi, li avevo lasciati senza parole, si erano offesi. Non che a me importasse, finchè riuscivano ad essere arrabbiati con me non sarebbero stati arrabbiati tra di loro.

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Capitolo 7
*** Mat ***


Nei giorni seguenti rimasi sola. Una cosa, una sola, mi faceva sorridere: Mattia. Non so dire come avessimo chiarito la questione, non ne avevamo parlato a dire il vero. Era sparito tutto, cancellato. Non mi aveva chiesto spiegazioni e io non gliene avevo date, sembrava che andasse bene così.

Clary e Randal non si parlavano ancora. Non riuscivano a guardarmi in faccia.

Mat però era rimasto con me. Ogni pomeriggio, usciti da scuola, mi prendeva per mano e andavamo da Giovanni, ad ascoltare musica. Avevo scoperto che quel ragazzo era davvero divertente, scaltro ed intelligente.

Un giorno a caso, proprio a caso, io e Mattia andammo come al solito al negozio di dischi.

C'era qualcosa di strano, troppe persone si erano radunate all'esterno. Un'ambulanza. “Non può essere vero”.

Riuscimmo a vederlo, per qualche secondo, il corpo di quell'anziano signore che aveva riempito le nostre giornate di musica, coperto da un grande lenzuolo bianco. Sentii le ginocchia cedere, parte della mia vitalità era morta con lui, ne ero certa. Mi guardai intorno in modo frenetico e con il respiro affannato.

Per la prima volta vidi la figlia di Giovanni, una donna altissima dai capelli scurissimi. Non piangeva, aveva solo le braccia conserte e qualcosa in mano.

Ci avvicinammo, non per curiosare come tutti, ma per tentare di parlare con lei. Avrei tanto voluto chiederle perché non stesse versando delle lacrime per suo padre, perché fosse rimasta impassibile davanti ad una scena così sconvolgente.

Mattia portò il braccio sulle mie spalle, -Scusi signora, volevamo farle le condoglianze- disse con rispetto. Io non riuscivo a guardarla, avevo gli occhi fissi su quella sagoma. Mi sembrò che tutte le persone che avevo già perduto stessero morendo nuovamente.

-Chi siete?- chiese lei, fissandomi.

-Siamo degli amici, venivamo spesso qui ad ascoltare musica... con lui- rispose lui a voce bassa.

-Quindi siete voi quelli di cui mi parlava, gli unici di cui parlava. Tu dovresti essere Samanta- e si chinò un tantino per cercare il mio sguardo.

-Sono... sono Sam-.

-E tu sei il ragazzo timido immagino-.

-Si siamo noi- sussurrò lui senza scomporsi.

-Tenete, ha scritto delle lettere a tutti quelli che conosceva. Non è mai stato bravo a parole- la sua voce era tremante. Ci porse buste e portando una mano sul viso, si girò ed entrò nel negozio.

-Vieni, andiamo. Non posso lasciarti stare qui- mi sussurrò Mat, dolcemente. In un modo che io quasi non avevo percepito, ero troppo scossa.

Ci allontanammo un po', ma io non resistetti. Scoppiai in lacrime, in un pianto disperato. Lui fece un piccolo, tenero sorriso e mi abbracciò. Mi strinse forte, fortissimo. Mi faceva quasi male, ma era ciò di cui avevo bisogno.

-Come fai a rimanere calmo?- gli chiesi all'improvviso tra un singhiozzo e l'altro.

-Non sono calmo. So solo che questo fa parte della vita. Ciò non vuol dire che io non provi dolore o tristezza. Preferisco occuparmi di te, della tua tristezza e poi... vedrò-.

“Ha ragione”.

Rimanemmo abbracciati per diversi minuti, ma in mente avevo una cosa sola: la lettera.

-Sei diverso da tutti gli altri- dissi, gli presi la mano e ci incamminammo. Arrivammo fino al bosco, nel mio angolo segreto.

Ci sedemmo sull'erba ed io aprii la busta.

“Cara Samanta,

Sono felice. Sì sono proprio contento di andarmene, senza rimpianti. Non posso dire di aver vissuto in ricchezza o di aver fatto pazzie durante la mia esistenza, ma ho potuto conoscerti. So che non ti sembrerà una grande ragione per essere contento, ma sei stata una delle personalità più interessanti della mia vita. Assomigli tanto a mia moglie, te ne ho mai parlato? Era una donna molto testarda, ci ho messo cinque anni prima di parlarle la prima volta. Era così esigente, ho fatto tutto per lei. Era anche molto bella, sempre con delle trecce corvine e gli occhi azzurri come il mare. Ho sofferto tanto quando è morta, ma voglio consegnare a te una sua frase -Io vivo nel tuo ricordo e questo mi basta-. Sei stata come una nipote per me e ho sentito il bisogno di scriverti. Quando scaverai nei ricordi, fra vent'anni, ripensa a questa lettera e sorridi. La chiave che ci lega alle persone è il loro corpo, per questo quando muoiono ci sentiamo così distanti. La realtà è che io sarò nei tuoi ricordi e in quelli della mia famiglia e questo mi basta.

Voglio lasciarti anche i miei dischi più cari e quando saranno tra le tue mani trattali degnamente. So che lo farai.

Un'ultima cosa, dai una mano a Mattia, avrà un grande compito e tu dovrai dargli una mano.

Ti ho voluto bene. Giovanni”. In allegato c'era un mio ritratto abbozzato. Mi scappò un sorriso. “Grazie di tutto, amico mio”.

Guardai il cielo cercando di trattenere le lacrime.

Mattia mi stava guardano. Sorrise.

-L'hai letta?- gli chiesi.

-Ora tocca a noi-.

-Fare cosa?-.

-Vivere la vita-. Lo guardai e per un attimo fui sicura che delle lacrime avessero rigato il suo viso. Feci una smorfia affettuosa e mi avvicinai.

Giovanni ci stupì ancora una volta. Sul suo testamento c'erano i nostri nomi.

Mattia cominciò a leggere -Alla mia famiglia non biologica. A Mattia Rochetti cedo il mio negozio con la speranza che lo gestisca come farei io, con tutta l'attenzione che necessita. A Samanta Bordeaux lascio tutta la mia raccolta di vinili ed il mio gira dischi e la ringrazio di tutto l'affetto che mi ha dato. Ad entrambi lasciò tutto il ricavato accumulato dalla vendita dei dischi allo scopo che li spendano nel migliore dei modi. Ragazzi, ora tocca a voi vivere la vita-.

Non potevo crederci. Da un lato ero felice e sorpresa, dall'altro ero terrorizzata dalla responsabilità che ci aveva lasciato. Ero stata inondata di sentimenti contrastanti.

-Tocca a noi- ripetei dopo qualche secondo.

Rimanemmo in silenzio per un'ora, seduti a riflettere, uno vicino all'altra.

-Non possiamo deluderlo. Facciamolo per lui- e dicendo questo mi porse la sua mano.

-Ed anche per noi- continuai la sua frase e misi la mia mano sulla sua. Mi convinsi che forse avevamo qualche speranza. Avevamo finalmente l'opportunità di riscattarci.

Mi invitò a casa sua. Io accettai. Ci sentivamo davvero esausti, avevamo sopportato troppe emozioni tutte insieme. Era un giorno a caso che era diventato un punto di arrivo e contemporaneamente un punto di partenza. Ci addormentammo sul suo letto, ancora con le scarpe.

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Capitolo 8
*** Randal e Clary ***


Passarono due mesi prima che Randal rompesse il silenzio.

-Torna al tuo posto tu- disse alla ragazza seduta vicino a me. Lei non lo guardò, non fece alcun cenno, obbedì e basta.

-Ho saputo. Mi dispiace per il signore dei dischi, scusa se te lo dico solo ora- continuò, rivolto a me.

-Anche a me- risposi.

-Mi dispiace per tutto, mi sento in colpa. Non avremmo dovuto comportarci così, me ne sono accorto un po' tardi forse-.

-Meglio tardi che mai, dicono-, avevo lo sguardo puntato sul pavimento con espressione assente.

-Ti prego, sono qui a chiederti scusa, guardami- fece una piccola pausa -Ieri ho detto la verità a Clary... su quello che provo intendo. Voglio mettere a posto le cose e da qualcosa dovevo pur cominciare. E tu, più del darmi del cretino da solo non so cosa fare-.

Sorrisi e sussurrai -Buon inizio-.

-Certo, siamo ancora amici? Come lo eravamo prima? Mi manca quella ragazza che vedeva la bellezza nelle cose più brutte, mi mancano i sorrisi del pomeriggio sulla strada di casa e sento la nostalgia degli abbracci che non mi hai mai concesso-.

Parole che nessuno mi aveva mai dedicato prima. In quei due mesi avevo sentito molto la sua assenza, ma da un lato l'idea di tornare alla routine di prima non mi entusiasmava.

-Va bene, non essere troppo sdolcinato. Non mi è mai piaciuto. In parte ti perdono, ma non tornerà tutto come prima. Devo lavorare e io e Mattia...-.

-Ah giusto, lui- mi interruppe.

“Di sicuro me ne pentirò”. Feci un respiro profondo e continuai -... dobbiamo mettere ordine in negozio. Potresti venire a darci una mano dopo la scuola-.

-Certo pur di farmi perdonare, tutto- e sulla sua faccia apparì un sorriso che mai avevo visto prima. Gli sorrisi a mia volta.

Lasciammo passare le ore.

 

Suonò l'ultima campanella e finalmente potemmo uscire. Io e Randal, uno a fianco all'altro, come in principio.

Qualcosa mi colpì, non capii cosa. Sentii un dolore lancinante percorrermi tutto il viso. Clary si era fiondata su di me, mi aveva buttato a terra.

-Come ti permetti! Tu non centravi niente, perché ti sei messa in mezzo?! Ti odio!- urlò continuando a colpirmi.

-Cosa ti ho fatto?!- urlai a mia volta.

-Randy doveva innamorarsi di me! Non di una strafatta come te! Non te lo meriti, non ti meriti niente!- continuò.

Riuscii a spingerla lontano, mi rialzai e portai una mano sulla faccia. Mi sanguinava il naso e lo zigomo destro aveva cominciato a gonfiarsi. Non riuscii a replicare, guardai Randal alla ricerca di spiegazioni.

Lei ricominciò ad urlare -Suicidati! E fai in modo di riuscirci questa volta!-.

Fu l'ennesima goccia. Le sferrai un pugno tanto forte da farla cadere a terra. La scavalcai e cominciai a camminare.

“No, ha torto... torto, già”.

Randal mi seguì, camminò dietro di me fino al negozio. Mattia era già lì e vedendomi lontana si fermò sull'uscio -Buon pomeriggio splendore!- e fece un gran sorriso. Si accorse poi di come fosse ridotta la mia faccia. Vide spuntare da dietro Randal.

-Cosa le hai fatto?!- si mise dritto e aggrottò la fronte.

-Lascialo stare, non centra- dissi io entrando.

Mi sedetti sotto il bancone. Le lacrime cominciarono a scendere senza avere il minimo controllo. Mat mi inseguì e si sedette vicino a me. Tirò fuori un fazzoletto dalla tasca e cercò di asciugarmi il viso.

-Non serve. Peggio di così non può essere- dissi tra un singhiozzo e l'altro.

-Ti va di parlarmene?-.

-Non c'è nulla di cui parlare-.

-Le tue condizioni dicono il contrario-.

-Vero-.

-Va bene, quando vorrai parlarne so che lo farai. Vieni qui-. Mi abbracciò forte, fortissimo. Ormai quegli abbracci erano diventati così familiari che non avrei voluto separarmene mai.

-Grazie, dico davvero-.

Mi alzai e guardai Randal dritto negli occhi. -Cosa le hai detto?- gli chiesi.

-La verità-.

-Non ho tutto il giorno, parla-.

Lui era quasi terrorizzato, -Non provo i suoi stessi sentimenti. O meglio li provo, ma non per lei-.

-E io sono coinvolta perché?!- chiesi davvero seccata.

-Perché li provo per te- sussurrò, quasi non riuscii a sentirlo.

Mattia, invece, capì molto bene le sue parole e scattò in piedi. Mi guardò con un'espressione sconfortata e speranzosa, triste e positiva allo stesso tempo. Non ne fui stupita. Dentro di me mi sentii contenta della sua reazione. “Allora anche lui...”.

-Randal, non avresti dovuto coinvolgermi. Ti prego vattene e non fare più nulla, non parlarmi, non cercarmi, non fare niente. Te lo chiedo per favore- dissi con tono fermo e deciso.

-Lo so, non credevo che sarebbe successo questo. Avevi ragione, nulla quando lo si ripara torna come nuovo. Le crepe restano- Lui cercò di sorridere, si girò e uscì.

Caddi in ginocchio, appoggiai la testa sul pavimento gelido e cominciai a piangere.

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Capitolo 9
*** Sam e Mat ***


I miei lividi stavano guarendo e finalmente anche la scuola era finita.

Io e Mat lavorammo al negozio tutta l'estate. Ormai la sua tenerezza era diventata normale.

Il giorno del mio compleanno uscimmo per divertirci un po'. A dire il vero, la serata aveva tutte le sembianze di un appuntamento, ma cercai di non farci caso.

Candele, rose e tanti sorrisi amorevoli.

Non ce la facevo più, desideravo più di ogni altra cosa il suo affetto, il suo amore.

-Buon compleanno, dolcezza- esclamò dandomi un bacio sulla fronte.

-Grazie- diventai talmente rossa da fare invidia alle rose che mi aveva regalato.

La cena fu piacevole, nessun imbarazzo e tante risate.

-Che dici se andiamo?- chiesi ad un certo punto. Volevo chiarirmi le idee su cosa realmente provassi per lui.

-Va bene, pago e andiamo via- mi sorrise e si allontanò.

Ci incamminammo e mi venne un'idea tutt'altro che geniale, -ti va di fermarti a casa con me? Non sono ancora pronta per stare da sola-.

Un po' imbarazzato annuì ed io frugai nella borsa alla disperata ricerca delle chiavi.

Entrammo e nell'oscurità più assoluta, con lui, mi sentii a mio agio.

Chiusi la porta e mi appoggiai cercando con la mano l'interruttore per accendere la luce.

-Io non vedo niente. Dove sei?- chiese ridacchiando.

-Non è così buio dai, io ti vedo-.

Gli presi la mano e lo portai verso di me. Eravamo vicini, forse troppo, ma non mi importava. Non sapevo se respirare a fondo o stare immobile.

Il calore del suo corpo mi riscaldava nel profondo.

-Scusa, davvero non ce la faccio- sussurrai e in un attimo unii le mie labbra con le sue.

Lui appoggiò le mani sulla porta, quasi non volesse toccarmi. Ricambiò il mio bacio, però.

-Sì, hai ragione- bisbigliò tra un bacio e l'altro -Non resisto-.

Mi prese in braccio ed io feci un urlo per la sorpresa.

Non fu per niente difficile arrivare alla mia camera. Un bacio, due, tre, quattro... mi appoggiò sul letto, fece un grande sorriso e poi si mise a fianco a me.

Il suo corpo, le sue braccia mi avevano avvolto completamente ed io provai una felicità immensa. “Forse è questo che si prova quando si ama”.

Non feci troppo caso perchè i brividi che percorrevano il mio corpo fecero svanire ogni pensiero.

-Credo, sai- bisbigliò di nuovo -Di amarti-.

-Ah sì?-. Un bacio. -Io di più-.

Mi venne spontaneo, non mi bloccai, non provai imbarazzo. Lo amavo e basta.

Lui si fermò, quasi incredulo. Mi guardò negli occhi come se volesse leggere il ti amo che avevano scritto dentro.

-Allora non mi sentirò in colpa per questo- disse sorridendo.

-Questo cosa?- chiesi stupita.

Lui non rispose, si limitò ad agire. Afferrò i miei fianchi con le mani e mi slacciò i pantaloni. Me li sfilò e ricominciò a baciarmi, ovunque.

Un piacere immenso mi attraverso mente e corpo. Non capii più nulla.

Ansimanti tornammo a guardarci negli occhi, eravamo esausti, ma felici.

-Erano mesi che speravo di baciarti-, Mat confessò un po' intimorito. Mi fece una tale tenerezza. Gli passai la mano tra i capelli e risposi -Ne è valsa la pena-.

-Tutto vale la pena se è per te-.

-Idiota, lo dici perchè l'afflusso di sangue è mezzo sballato-.

-No, lo dico perchè è vero. Dal primo momento che ti ho visto in quel negozio, ballando in quel modo buffo, mi sono innamorato di te, mi sento quasi stupido. Ho vissuto per il tuo sorriso, vivo per il tuo sorriso-.

Nessuno mi aveva mai detto parole così belle ed amorevoli. Tutto il resto sparì, in un attimo.

-Se devo vivere così, voglio vivere altri mille anni- e dicendo questo chiusi gli occhi e ci addormentammo vicini ed abbracciati.

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Capitolo 10
*** Everyone ***


Per la prima volta in vita mia dormii come si deve. Ci svegliammo che il sole era già alto.

-Buongiorno, splendore- disse con un sorriso assonnato.

-Sono le dieci! Alzati che dobbiamo andare al negozio!- esclamai saltando giù dal letto.

Infilai dei pantaloncini e una maglietta a caso. Lui si rivestì con calma.

-Ciao mamma, non posso parlare sono in ritardo per il lavoro- urlai dal corridoio, vedendola seduta in cucina.

Lei si appoggiò con espressione divertita.

-Buongiorno signora, scusi se le passo davanti così di fretta- disse cortesemente Mattia facendo cambiare la sua espressione in un misto tra stupore e spavento.

-Dai andiamo. Non è mica una dama dell'ottocento, è mia madre- esclamai prendendolo per mano e trascinandolo fuori di casa.

Ci mettemmo a correre. Non fu come le mie solite corse mattutine verso la scuola, questa volta mi divertì. In fondo non mi importava molto del ritardo, ero felice.

Era il 20 agosto, il caldo era tremendo.

Il negozio era stranamente pieno.

-Giovanni sarebbe fiero di noi- bisbigliò lui dandomi un bacio sulla guancia. Io arrossii e mi morsi il labbro.

In mezzo a tutti i ragazzi ne riconobbi uno: Randal che si stava avvicinando al bancone.

Lanciai un'occhiata a Mat sperando che venisse a salvarmi -Non ci vediamo da molto- disse. Grazie al cielo.

-Già e forse c'è un motivo- esordì Mattia poggiando il braccio sulle mie spalle.

-Ero venuto per chiederti perdono... anche da parte sua- non fece a tempo a finire la frase che sulla porta apparve Clarissa.

-Pensavo che non ci fosse nulla da chiarire. Pensavo fossimo andati tutti avanti con le nostre vite- dissi io cercando di mantenere il controllo.

-Tu di sicuro- replicò Randal guardando atrocemente Mat.

-Tutto a posto?- sussurrò la mia felicità in un orecchio.

-Non preoccuparti, vai pure- risposi io accarezzandogli la guancia. Lui mi baciò con una grande foga, avvolgendomi tra le sue braccia lunghe. Squadrò truce quello che una volta era un amico e sparì tra gli scaffali.

-Vi interessa per caso un disco in particolare?- chiesi con la più totale indifferenza.

-Siamo seri, ci dispiace. Buon compleanno... in ritardo. Se non l'hai passato bene a causa nostra mi dispiace- affermò Clary con tono dispiaciuto. Ci credetti quasi.

-Per la cronaca ho passato il miglior compleanno della mia vita. E non certo per merito vostro. Voi non c'eravate. E sapete che vi dico?! Sto bene adesso. Non devo pensare a nulla se non al negozio. Niente stupide rivalità sul fatto che lui volesse me- guardai Clarissa -Niente paranoie su come acconciare i capelli o su come risolvere i problemi- mi stavo sfogando. Erano mesi che volevo far uscire la rabbia.

Vidi della rassegnazione nei loro occhi, ma era giusto così. Se mi avessero detestato forse sarebbero stati meglio, non si sarebbero più presi pena per me. Non avrei più potuto aiutarli, avevo la testa da tutt'altra parte.

-Non ho altro da dire- sbottai infine.

Loro si guardarono e mollarono definitivamente. Li osservai allontanarsi, mano nella mano. Ehi aspetta cosa? Mano nella mano? Dovetti ammettere a me stessa che la stretta allo stomaco che mi provocò quella scena fosse reale.

Le persone entravano ed uscivano dal negozio. Avevamo lavorato abbastanza ed io, lo ammetto, avevo voglia di lui.

Lo vidi esausto, con l'ennesimo scatolone in spalla. La maglietta bianca era bagnata dal sudore e lasciava intravedere i muscoli contratti per lo sforzo. “Ma sei vero?”.

Lo guardai per diversi minuti. Non era certo una statua di bronzo, era atletico e magro. I suoi occhi color nocciola mi mettevano allegria. Non mi sarebbe importato il parere di nessuno, per me lui era bellissimo.

Gli sorrisi, -Chiudiamo, dai. Andiamo a casa- esclamai sorridente.

Aspettammo che fossero andati via tutti, chiudemmo a chiave e tirammo giù la grata.

Mi prese per mano e ci incamminammo verso casa sua.

-Hai risolto con loro?- mi chiese ed io annuii senza aggiungere altro.

-Va bene, quando vorrai so che me ne parlerai-. La sua comprensione era fin troppa per me, che avevo provato gelosia per quelle mani l'una nell'altra.

Mattia abitava in una reggia. Quando entrammo mi scappò una risata.

-Che c'è?- mi interrogò lui alzando il sopracciglio.

-Nulla, ma ora mi vergogno di casa mia. Al massimo sarà grande quanto il tuo bagno- esclamai ridendo ancora. Lui non replicò, sorrise e basta.

-Già è grande. Sarò da solo per almeno un altro mese. I miei sono in vacanza e mio fratello... sinceramente non so dove sia- abbassò la voce nel finire la frase.

-Ah si? Da solo?- chiesi con tono provocatorio ed ammiccante.

-Sì, sono solo, ma qualcosa mi dice che avrò la miglior compagnia che si possa desiderare-, mi fece l'occhiolino.

Mi prese per mano e mi portò nella sua camera. Immensa, grande il triplo della mia.

Ci buttammo sul letto.

Lui mi strinse le braccia attorno e cominciò a baciarmi labbra, viso, collo e petto. Io sospirai più volte.

All'improvviso si fermò ed io riaprii gli occhi.

Davvero si era addormentato? “Mi prendi in giro?!”.

Scoppiai a ridere, cercando di non fare troppo rumore. Scossi la testa e lo baciai dolcemente.

Aveva sgobbato tutto il giorno, una dormita se la meritava.

Mi rannicchiai vicino a lui, tra le sue braccia, e chiusi gli occhi.

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Capitolo 11
*** Christian ***


Una mattina mi svegliai di colpo con il telefono che non smetteva di suonare.

Solo allora mi resi conto che erano passate quasi tre settimane.

Avevo passato tutto il tempo con Mat, giocando, ridendo e facendo l'amore.

Risposi al telefono, rilassata -Pronto?-.

-Che fine hai fatto? Sono due mesi che ti cerco- esclamò la voce dall'altra parte.

-Ma chi parla?-.

-Ottimo, adesso non ricordi neanche più i tuoi amici. Sono Christian-.

Dannazione.

Questo nuovo angolo di vita mi aveva fatto dimenticare il passato. Uscii dalla camera di Mattia cercando di non svegliarlo e scesi le scale.

-Perchè mi cerchi adesso?- chiesi.

-Dove sono finite le nostre serate nei locali? Voglio rivederti- aveva un tono quasi dolce, ma forse era solo la distorsione provocata dai telefoni.

-Va bene, va bene. Stasera ci vediamo al Royal. Undici-

-Ci sto bella. Bye- e riattaccò.

Non mi ero dimenticata di Christian, solo che la vita aveva preso una piega diversa. Lui faceva ancora parte del mio passato.

Amici d'infanzia, sapevamo tutto l'uno dell'altra. Avevamo condiviso dolori e tristezze, gioie e vittorie per anni.

Poi ci trasferimmo e dovetti cambiare scuola. Randal e Clarissa erano stati come un fulmine in un cielo terso per me.

Io e Chris ci vedevamo nei weekend per andare in qualche locale. Bevevamo e bevevamo fino a dimenticare tutto.

La grande falla nel nostro comportamento era che ogni mattina i problemi erano rimasti e il mal di testa ci tormentava.

Non ho mai capito cosa ci trovasse nello svegliarsi sempre in un letto che non fosse il suo, con persone sconosciute e la nausea. A dire il vero, non capisco ancora cosa ci trovassi io in tutto ciò.

Gli avevo confidato più volte che avrei voluto una vita migliore, ma non penso che mi ascoltasse davvero.

-Tutto a posto?- mi chiese Mat, ancora sulla porta, strofinandosi gli occhi.

-Sì, non preoccuparti-.

“E adesso come glielo dico”.

Gli sorrisi.

Lui scese e mi prese per mano. -Colazione!- esclamò entusiasta.

Mat era fin troppo per una incasinata come me.

-Guarda che è semplice, se vuoi ti insegno- mi propose divertito, data la sua destrezza in cucina.

A me, ad una persona che aveva rischiato di dare fuoco alla casa facendo la pasta. Lasciamo stare.

-Stasera esco, tornerò da te il prima possibile- affermai girando il cucchiaino nel caffè.

-Proprio non vuoi dirmi dove vai?- mi guardò con occhi speranzosi.

-Va bene, vedo una vecchia conoscenza. Nulla di strano- cercai di rassicurarlo. Avesse saputo i miei trascorsi non sarebbe stato certo tranquillo.

-Non sono certo io che posso trattenerti. Divertiti però- mi disse quella sera prima che uscissi dalla porta.

-Mi divertirei di più qui con te- replicai triste.

-Vai, ci vediamo dopo- e mi sorrise.

 

Arrivai al locale e la fila era immensa.

-Ciao bella!- urlò Chris dal principio della fila. Mi accostai a lui percependo il fastidio delle persone dietro.

-Come entriamo?- domandai io osservando i buttafuori.

-Come abbiamo sempre fatto-.

-Oh guarda chi si vede!- esclamò il primo bodyguard.

-Michele come sta?- chiese Chris stringendogli la mano. Come facesse a conoscere tutti non ne avevo idea.

-Bene bene, l'altra sera è tornato un po' devastato. Siate più prudenti la prossima volta- ammonì lui e poi guardando me -Sam che piacere rivederti, entrate-.

-Grazie Frank- ringraziai chinando leggermente la testa.

Ci avvicinammo al bancone del bar.

-Due Vodka Lemon- ordinò lui.

-Ho sentito dire che hai trovato l'anima gemella- rivolto a me.

-Se vuoi metterla così... diciamo che proviamo a far funzionare le cose- mi giustificai io.

-Sam, allora non farai più baldoria con me- constatò lui, scoraggiato.

-Con tutte le ragazze che ti fai, non vedo come ti possa cambiare qualcosa-.

-Non mi cambia, ma ci siamo tanto divertiti-.

Buttai giù tutto il bicchiere in un solo sorso.

-Acqua passata. E' tutto diverso adesso-.

-Per te sì, forse. Finchè fai la rammollita qui, io vado a provarci con quella bionda laggiù- esultò lui allontanandosi.

Non mi sentivo più a mio agio là in mezzo. La musica era troppo alta e il contatto fisico con le persone era eccessivo.

Cercai di ballare per una buona mezz'ora, ma il mal di testa mi stava uccidendo.

-Chris io vado! Questo è il tuo mondo, non il mio... non più- gli urlai facendomi strada tra la gente.

Sentivo freddo nonostante fosse il 2 settembre.

Erano quasi le due di notte e camminavo velocemente per strada.

Volevo rintanarmi tra le braccia di Mat, non volevo altro.

Una mattina mi svegliai di colpo con il telefono che non smetteva di suonare.

Solo allora mi resi conto che erano passate quasi tre settimane.

Avevo passato tutto il tempo con Mat, giocando, ridendo e facendo l'amore.

Risposi al telefono, rilassata -Pronto?-.

-Che fine hai fatto? Sono due mesi che ti cerco- esclamò la voce dall'altra parte.

-Ma chi parla?-.

-Ottimo, adesso non ricordi neanche più i tuoi amici. Sono Christian-.

Dannazione.

Questo nuovo angolo di vita mi aveva fatto dimenticare il passato. Uscii dalla camera di Mattia cercando di non svegliarlo e scesi le scale.

-Perchè mi cerchi adesso?- chiesi.

-Dove sono finite le nostre serate nei locali? Voglio rivederti- aveva un tono quasi dolce, ma forse era solo la distorsione provocata dai telefoni.

-Va bene, va bene. Stasera ci vediamo al Royal. Undici-

-Ci sto bella. Bye- e riattaccò.

Non mi ero dimenticata di Christian, solo che la vita aveva preso una piega diversa. Lui faceva ancora parte del mio passato.

Amici d'infanzia, sapevamo tutto l'uno dell'altra. Avevamo condiviso dolori e tristezze, gioie e vittorie per anni.

Poi ci trasferimmo e dovetti cambiare scuola. Randal e Clarissa erano stati come un fulmine in un cielo terso per me.

Io e Chris ci vedevamo nei weekend per andare in qualche locale. Bevevamo e bevevamo fino a dimenticare tutto.

La grande falla nel nostro comportamento era che ogni mattina i problemi erano rimasti e il mal di testa ci tormentava.

Non ho mai capito cosa ci trovasse nello svegliarsi sempre in un letto che non fosse il suo, con persone sconosciute e la nausea. A dire il vero, non capisco ancora cosa ci trovassi io in tutto ciò.

Gli avevo confidato più volte che avrei voluto una vita migliore, ma non penso che mi ascoltasse davvero.

-Tutto a posto?- mi chiese Mat, ancora sulla porta, strofinandosi gli occhi.

-Sì, non preoccuparti-.

“E adesso come glielo dico”.

Gli sorrisi.

Lui scese e mi prese per mano. -Colazione!- esclamò entusiasta.

Mat era fin troppo per una incasinata come me.

-Guarda che è semplice, se vuoi ti insegno- mi propose divertito, data la sua destrezza in cucina.

A me, ad una persona che aveva rischiato di dare fuoco alla casa facendo la pasta. Lasciamo stare.

-Stasera esco, tornerò da te il prima possibile- affermai girando il cucchiaino nel caffè.

-Proprio non vuoi dirmi dove vai?- mi guardò con occhi speranzosi.

-Va bene, vedo una vecchia conoscenza. Nulla di strano- cercai di rassicurarlo. Avesse saputo i miei trascorsi non sarebbe stato certo tranquillo.

-Non sono certo io che posso trattenerti. Divertiti però- mi disse quella sera prima che uscissi dalla porta.

-Mi divertirei di più qui con te- replicai triste.

-Vai, ci vediamo dopo- e mi sorrise.

 

Arrivai al locale e la fila era immensa.

-Ciao bella!- urlò Chris dal principio della fila. Mi accostai a lui percependo il fastidio delle persone dietro.

-Come entriamo?- domandai io osservando i buttafuori.

-Come abbiamo sempre fatto-.

-Oh guarda chi si vede!- esclamò il primo bodyguard.

-Michele come sta?- chiese Chris stringendogli la mano. Come facesse a conoscere tutti non ne avevo idea.

-Bene bene, l'altra sera è tornato un po' devastato. Siate più prudenti la prossima volta- ammonì lui e poi guardando me -Sam che piacere rivederti, entrate-.

-Grazie Frank- ringraziai chinando leggermente la testa.

Ci avvicinammo al bancone del bar.

-Due Vodka Lemon- ordinò lui.

-Ho sentito dire che hai trovato l'anima gemella- rivolto a me.

-Se vuoi metterla così... diciamo che proviamo a far funzionare le cose- mi giustificai io.

-Sam, allora non farai più baldoria con me- constatò lui, scoraggiato.

-Con tutte le ragazze che ti fai, non vedo come ti possa cambiare qualcosa-.

-Non mi cambia, ma ci siamo tanto divertiti-.

Buttai giù tutto il bicchiere in un solo sorso.

-Acqua passata. E' tutto diverso adesso-.

-Per te sì, forse. Finchè fai la rammollita qui, io vado a provarci con quella bionda laggiù- esultò lui allontanandosi.

Non mi sentivo più a mio agio là in mezzo. La musica era troppo alta e il contatto fisico con le persone era eccessivo.

Cercai di ballare per una buona mezz'ora, ma il mal di testa mi stava uccidendo.

-Chris io vado! Questo è il tuo mondo, non il mio... non più- gli urlai facendomi strada tra la gente.

Sentivo freddo nonostante fosse il 2 settembre.

Erano quasi le due di notte e camminavo velocemente per strada.

Volevo rintanarmi tra le braccia di Mat, non volevo altro.

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Capitolo 12
*** La vecchia vita ***


-Cosa ti turba?- chiese Mattia passandomi le dita sulla schiena.

-Nulla, non preoccuparti-

-Allora perchè non dormi?- aveva colto nel segno. Dopo aver visto Christian la mia inquietudine era aumentata. “Smettila di pensarci. Sei uscita dal giro tanto tempo fa”.

Le sue carezze erano terapeutiche e per un attimo mi tranquillizzarono. -Dove sei stata ieri sera?- chiese con tono indagatore, spiazzandomi.

Chiusi gli occhi per alcuni secondi sperando di far sparire tutto, ma come metodo non funziona un gran che.

-Sono stanco di continuare a fare domande senza ricevere una risposta- sbottò stendendosi a pancia in su sul letto, la luce della lampada gli illuminava il viso rendendo il suo sguardo ancora più serio. -Parlami, ti prego parlami-.

Mi mancò il respiro nel vedere la sua fronte corrucciata. L'amaro che sentivo nella mia bocca rispecchiava la realtà dei fatti.

-Sono uscita con un vecchio amico- feci una piccola pausa, “Voglio dirglielo davvero?”.

-Continua- mi ammonì.

-Siamo andati in un locale, ma mi annoiavo e l'ho piantato e sono tornata qui- feci un sunto veloce e sufficientemente esplicativo, come se quelle informazioni potessero bastargli. -E come l'hai conosciuto?- chiese alzando un sopracciglio.

-Tramite altri amici. Siamo stati insieme per un po', ma le cose non sono andate come speravamo- forse avevo detto troppo.

-Quindi ieri hai visto il tuo ex?- il suo tono mi apparve spaventato e deluso. -Sì, ma non ci sentivamo da molto tempo- cercai di giustificarmi.

-E tu e lui avete...?- “Perchè mi fai queste domande? Non riesco nemmeno a piangere. Oddio”.

-Non ne voglio parlare. Passato è passato. Lasciami in pace- scandii per chiarire bene i concetti. “Perchè non puoi fidarti? Troppi ricordi annebbiati e troppi ricordi fin troppo chiari”.

-Lo amavi?- questa fu la domanda più difficile di tutte. -Credo di sì, in un certo senso-.

-E in che senso?- feci una smorfia cercando di trattenere le lacrime pensando ai ricordi. -Non come amo te- ribattei senza pensare troppo. Mat rimase a bocca aperta per questa mia ammissione, eppure sembrava chiaro quanto fossi presa da lui.

Feci un respiro profondo e confessai -Vivevo alla giornata, non che non lo faccia anche adesso. Christian e altri amici erano la mia unica distrazione per il casino che stavo passando. Non dormivo di notte e di giorno non ne combinavo una buona, loro mi hanno aiutato. Ho legato con Chris quando andavo alle medie e siamo diventati subito molto intimi. Una relazione che nemmeno volevo, con un ragazzo cinque anni più grande, giusto per divertirsi. Non c'era nulla di divertente purtroppo, ma non ne ero consapevole una volta- le lacrime iniziarono a scendere sul viso, senza controllo. Le sue nocche mi sfiorarono le guance e la sua bocca si piegò in un sorriso compassionevole.

-Va bene Sam. Vedo quanto ti costa parlare, per oggi va bene così- la sua comprensione è molto più di quanto io meritassi.

Mi strinse tra le sue braccia e chiudemmo gli occhi cercando di addormentarci.

Aprii gli occhi sentendo il campanello suonare.

-Svegliati. Mat sveglia- gli appoggiai una mano sulla spalla scuotendolo.

Lui, stiracchiandosi, sorrise dolcemente. Mi stampò un bacio casto sulle labbra e si alzò dal letto con un salto. La visione di quel ragazzo, in piedi, indossando solo i boxer, mi parve estremamente deliziosa. “Sei anche troppo per me”.

-Mamma?!- lo sentii esclamare sbigottito.

“Cazzo”. Saltai giù e mi infilai i primi vestiti puliti che incontrai. “Non sono pronta per incontrare i suoi genitori”. Sentii Mattia salire le scale di corsa ed apparve sulla porta -Ah sei vestita, bene i miei genitori ti vogliono conoscere, non che ci siano tante alternative- mormorò rassegnato.

-Ti vergogni di me?- chiesi alzando un sopracciglio maliziosamente.

-No, anzi. Ti adoreranno- fece un sorriso smagliante e recuperò una maglietta nell'armadio.

-Mamma, papà, lei è Samanta- disse cortesemente stringendomi la vita tra le sue braccia. Era così affettuoso... davanti ai suoi genitori. Arrossii violentemente.

-Piacere di conoscerti. Ho tanto sentito parlare di te- sua madre mi sorrise. Una donna bellissima era in piedi davanti a me, con un caschetto di capelli castani e occhi grigi. Il completo azzurrino le calzava a pennello e mi sentii a disagio nei pantaloni della tuta e la maglietta sportiva.

-Samanta! Che piacere!- l'entusiasmo di suo padre mi stupì ancora di più. Anche lui un uomo bellissimo dagli occhi e i capelli scuri. Agli antipodi della moglie, ma con le stesse caratteristiche di Mat, si muoveva con disinvoltura elegante verso di me. Trascinandomi fuori dalla morsa del figlio mi abbracciò calorosamente.

-E' un piacere, signore- mormorai imbarazzata e paonazza.

-Lui è il nostro primogenito- sua madre si scostò per non dare le spalle al ragazzo vicino alla porta. “Oh no”.

-Fratello, ma con che gente ti vedi- disse con tono di disapprovazione, fissando severamente Mattia.

Quel ragazzo mi era fin troppo familiare. I capelli arruffati gli coprivano un occhio, rendendo visibile solo quello destro chiuso ad una fessura severa. La maglia strettissima metteva in risalto i muscoli da pugile. Così maledettamente bello, stronzo e arrogante.

Mat non capì l'antifona, come avrebbe potuto.

-Ciao Rich. Vedo che vi conoscete- il suo tono seccato mi sorprese.

-Certo, io e lei ci conosciamo molto bene- sul suo volto comparve un ghigno arrogante e poi continuò -Ma chiedilo a lei se non mi credi-. Lo sguardo di mio Mat divento cupo e non staccava i suoi da me.

-Vado al lavoro. E' stato un piacere conoscervi, vi ringrazio- salutai in modo servile, cercando di camuffare il mio nervosismo. Recuperai la borsa, il telefono ed mi avvicinai alla porta. “Maledizione ti sposti?!”.

Richard era ancora fermo sulla soglia e non accennava a muoversi. -Ci vedremo spesso a quanto pare piccola- il suo sguardo languido sul mio seno mi fece arrossire. Mi sfiorò la guancia con le nocche e la cosa mi fece rabbrividire.

Mat gli lancio un'occhiata torva e finalmente potei uscire. I miei battiti rallentarono e mi sentii più tranquilla. “Spero non mi faccia domande adesso”.

Passarono quasi due ore e ero troppo occupata a catalogare CD per riflettere sull'inquietante comportamento di Rich.

-Come lo conosci?- tutte le mie paure si concretizzarono in un attimo.

-Mi ha reso la vita un inferno per qualche anno- la mia schiettezza mi lasciò quasi perplessa e confuse anche lui.

-Che vuol dire?- chiese con lo sguardo perso. -Vuol dire che tuo fratello e la sua compagnia picchiava i ragazzini. Contento?!- al solo pensiero mi ribollì il sangue.

-Non può essere vero- lui scosse la testa incredulo -Anche te?- aggiunse con lo sguardo fisso nel vuoto. Io abbassai lo sguardo senza il coraggio di rispondere.

-Rispondimi- il suo sguardo diventò severo e cupo. Si avvicino e mi afferrò un polso con forza, quasi non riuscivo a riconoscerlo.

-Mi fai male!- e lui strinse più forte, furibondo.

-Rispondimi. Ora- i suoi occhi erano pieni di rabbia. Per me? Per lui?

-Sì- mormorai con dispiacere. -Oh Sam- il suo sguardo si ammorbidì stringendomi in un forte abbraccio.

-Non essere arrabbiato con lui. Questo è successo tanti anni fa- cercai di difenderlo, nonostante l'odio che provavo nei confronti di Richard.

-Ci penso io a lui, non preoccuparti. Ora basta lavorare. Andiamo a casa?- propose e dentro di me la felicità sgomitava. Ormai non lavoravamo più con orari regolari, ma in fondo in agosto la clientela non era molta.

-Ti amo. Nessuno ti farà più del male, farò di tutto per proteggerti- mormorò dolcemente facendomi sorridere come mai avevo fatto.

“Mi ama davvero. Oh”.

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