Liar

di Padmini
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La sedia ***
Capitolo 2: *** Stephen Ezard ***
Capitolo 3: *** T.I.A. ***



Capitolo 1
*** La sedia ***


Innanzitutto bentrovati. Sono assente da un bel po' di tempo, ma non ho mai smesso di scrivere.

Prima di tutto vorrei fare una premessa: questa fan fiction è una cross over tra Sherlock e The last enemy, una serie in cinque episodi che, a mio parere, ricalca un po' la trama del film Brazil. Chi non l'ha mai vista vada a cercarsela perché merita davvero, in ogni caso ogni dettaglio verrà spiegato durante la storia. Per intrecciare le due trame ho dovuto modificare un po' entrambe, ma spero che il risultato sia soddisfacente.

Buona lettura!!

KISS

MINI

 





 

La Sedia

 

La luce dei lampioni filtrava appena dalle tende chiuse e i rumori notturni arrivava attutiti attraverso i vetri delle finestre. L'appartamento al 221 B di Baker Street sembrava avvolto in una bolla che lo isolava dal mondo esterno ma, paradossalmente, i rumori all'interno erano amplificati fino quasi a diventare fastidiosi. Il silenzio ruggiva come una belva nascosta nel sottobosco, mentre le lancette dell'orologio scandivano, inesorabilmente, lo scorrere del tempo, così come i respiri dei presenti, che erano quasi palpabili nell'aria.

Mary, seduta sulla poltrona di pelle nera, guardava alla sua sinistra mentre John, dalla sua poltrona, le gambe e le braccia incrociate, osservava prima la moglie, poi l'uomo seduto alla sua destra, con espressione via via più smarrita.

Non capisco cosa stiamo facendo” disse infine, rompendo quella cappa di tensione “Perché ...”

Lo hai detto tu, John” esclamò la donna, guardandolo severamente “Lì è il posto in cui si siedono i clienti quando devono esporre i loro problemi”

A quelle parole, il medico si sentì ancora più confuso.

Non capisco ancora ...” mormorò, passandosi una mano sulla fronte “Perché lui?”

Potresti davvero scriverlo su una maglietta!” disse Sherlock, inserendosi nella conversazione “In effetti è una cosa che dici spesso ...”

John lo fulminò con lo sguardo.

Sinceramente, non credo sia il momento di scherzare … Sherlock … sempre che possa continuare a chiamarti così!” sbraitò lui, seccato.

Il suo nome non è importante, John. Lo sai bene anche tu” lo interruppe Mary, lanciandogli un'occhiata fugace, per poi tornare a guardare Sherlock, seduto sulla sedia tra di loro “Ora, per piacere, raccontaci tutto, dall'inizio”

 

 

 


 

Il pomeriggio precedente

Era passato qualche mese da quando, dopo aver ucciso Charles Augustus Magnussen, Sherlock era stato esiliato da Londra e successivamente richiamato, a causa di un video diffuso apparentemente da Moriarty. Era rimasto senza parole quando Mycroft lo aveva richiamato per dirgli che i suoi servizi erano richiesti in patria e che la punizione era stata abbonata perché tutti sapevano che, con uno uomo come Jim nei paraggi, l'unico che avrebbe potuto difenderli sarebbe stato lui.

Ancora una volta si sorprese di come, nonostante tutto quello che era successo, potesse continuare ad aiutare quegli uomini che lo avevano fatto soffrire così tanto.

Eppure, nonostante la minaccia velata in quel 'Vi sono mancato?', non erano seguite azioni criminose di nessun genere, almeno in apparenza. La trama che il Ragno aveva iniziato a tessere era invisibile, ma estremamente resistente. Nessuno, se non allenato a notare i segni rivelatori di tale presenza, avrebbe potuto intuirla, tra i mille avvenimenti che ogni giorno animavano Londra.

Tutto sembrava tranquillo, ma Mycroft aveva preferito tenere il fratello a Londra, per precauzione.

Così, tra una truffa e qualche signora convinta di essere perseguitata dal suo postino, la vita era tornata a scorrere tutto sommato tranquillamente.

Mary e John, chiarita ormai da tempo la loro situazione sentimentale, erano tornati a vivere insieme e avevano festeggiato, tra i complimenti e gli auguri di tutti gli amici, Sherlock compreso, la nascita della piccola Sheryl Watson. Anche lo stesso Sherlock, superata la tristezza per la lontananza di John da Baker Street, sembrava ormai rassegnato a dover continuare la sua carriera di consulente detective da solo. Tuttavia, anche se Mycroft aveva rassicurato John riguardo la salute mentale del fratello, lui e Mary erano sempre preoccupati per lui e, per essere sicuri che non ricominciasse a iniettarsi cocaina, andavano a trovarlo più che potevano.

Era una nuvolosa domenica pomeriggio così, dopo una breve passeggiata al parco con la figlia, i coniugi Watson, tornando a casa, si erano decisi a fermarsi a Baker Street. Sherlock, che evidentemente in quel periodo non aveva casi degni della sua intelligenza, se ne stava raggomitolato sulla poltrona, fumando pigramente una sigaretta, ma non appena sentì le voci dei suoi amici che salutavano la signora Hudson, si affrettò a spegnerla per non far respirare alla piccola il suo fumo e aprì un poco la finestra per farne uscire almeno un po'.

“Ti abbiamo beccato, detective!” esclamò John, entrando con Sheryl in braccio “Nessun caso, ultimamente?” chiese, guardandosi intorno e scuotendo la testa e osservando il caos, che regnava indiscusso nella stanza.

Sherlock sospirò e andò in cucina per preparare un tè.

“Purtroppo, ciò che sembrava un periodo promettente, in realtà si è dimostrato molto deludente!”

Tornò in salotto con due tazze di tè fumante, che mise davanti ai suoi ospiti, che nel frattempo si erano accomodati nel divano.

“Donne gelose, figli fuggiti di casa, gente che crede di vedere cospirazioni ovunque!” si scompigliò i capelli, in preda ad un attacco isterico “Tutti vedono Moriarty ovunque, sembrano ossessionati!”

“Tu però, non credi che sia tornato, vero?” chiese Mary, fissandolo con attenzione.

“No, non lo credo, anche se …” si interruppe qualche istante, poi sospirando tornò a sedersi in poltrona “Ciò che sto per dire potrebbe sembrare egoista, e forse lo è, ma sarebbe bello se fosse veramente tornato. Da quando è morto i criminali hanno perso qualsiasi tipo di creatività. Non c'è più poesia, manca totalmente l'immaginazione!” esclamò infine, sbattendo il pugno sul bracciolo.

“Eppure Magnussen ...” azzardò John, guardando la moglie con la coda dell'occhio.

“No, lui era un animale” spiegò Sherlock, mentre Mary annuiva in segno di assenso “Lui era pericoloso come una tarantola, ma non aveva nessuna classe. Lui si limitava a raccogliere informazioni scomode e a usarle contro la gente per ricattarla … No, erano su due livelli completamente diversi! Jim era geniale, crudele e spietato e, cosa più importante, metteva passione in ciò che faceva. Mettermi alla prova con lui è stato emozionante e stimolante!” esclamò infine, alzandosi in piedi per l'entusiasmo “Ora, purtroppo, non c'è più nulla di tutto ciò ...” concluse, tornando a buttarsi sulla sua poltrona.

John e Mary, che teneva la bimba in braccio, si guardarono negli occhi, poi sorrisero. Il discorso di Sherlock era assurdo, nessuno si sarebbe mai augurato il ritorno di una mente criminale pericolosa come quella di Jim, ma in quel contesto e, soprattutto, pronunciato proprio da lui, non mancava di una certa coerenza.

Posata la tazza di tè ormai vuota, John prese dalla tasca della giacca il giornale che aveva comprato la mattina.

“Scommetto che non hai nemmeno dato un'occhiata alle notizie, vero?” gli chiese, aprendolo alla pagina della cronaca.

“No ...” rispose lui con un sospiro “Cosa potrei trovarci? Avanti! Dimmi qualcosa che potrebbe interessarmi! Non ne troverai!”

John borbottò qualcosa di incomprensibile ai danni del detective, ma continuò a sfogliare il giornale, alla caccia di uno spunto.

“Vediamo … è stato derubata un'armeria … una coppia è stata sorpresa a compiere atti osceni in luogo pubblico dalle parti di Hyde Park … un incidente sul lavoro nel cantiere del nuovo grattacielo … ah” Ecco! Questo, forse, potrebbe interessarti!” disse, indicando con un dito un trafiletto marginale “Il cadavere di una giovane donna è stato ritrovato nei pressi di Liverpool Station, in un vicolo. La donna è stata uccisa durante un tentativo di rapina andato male ...”

“Sì, sì … avevo letto il titolo, ma non è nulla di ...”

“...ed è stata identificata. Si trattava di Yasim Anwar, una dottoressa di origine albanese, che si trovava a Londra per … Sherlock?”

John si interruppe e fissò il detective aggrottando lentamente le sopracciglia poi, posato il giornale, si alzò e andò verso di lui.

“Stai bene? Sei pallido come … be', più pallido del solito ...” mormorò, posandogli una mano sulla spalla.

“Sto bene ...” disse lui, scuotendo la testa “Deve essere la stanchezza … o la noia!” esclamò poi, alzandosi “Ora, se non vi dispiace, ho bisogno di restare solo. Devo ...” si guardò attorno, in cerca di qualcosa, poi annuì “Sì … devo fare alcune analisi … sì …” scosse la testa e invitò i due ad alzarsi e ad uscire dalla stanza con gesti sbrigativi delle mani.

“Come vuoi tu, Sherlock ...” mormorò Mary, guardandolo con un'espressione di dubbio in viso “Sei sicuro di stare bene?

“Sicuro, sicurissimo!” ribatté lui, spingendoli delicatamente fuori dalla porta “Vi chiamerò io quando … Vi chiamerò. Ciao!”

Detto questo, chiuse la porta a chiave e vi si posò con tutto il peso del corpo.

Mille pensieri, torbidi come l'acqua di una palude, lo investirono. Si sentì soffocare, quasi annegare, ma riuscì in qualche modo a restare lucido.

Così era accaduto, l'avevano uccisa. Le domande si sovrapponevano le une sulle altre, in un turbinio che lo stordì. Perché era tornata a Londra? Come avevano fatto a scoprirla? Perché l'avevano uccisa, nonostante fosse passato tanto tempo?

Si passò una mano sul viso, per impedire alle lacrime di uscire poi, riacquistata nuova lucidità, andò in camera sua per cambiarsi. Nel giro di una ventina di minuti tornò in salotto e si guardò allo specchio. Con indosso quella tuta e con il viso sporco non sembrava quasi più lui. Si calò il cappuccio sul viso e, cercando di non attirare l'attenzione dei passanti, raggiunse la fermata della metropolitana.

 

Nello stesso istante in cui le porte della Circle si chiudevano alle spalle di Sherock, John e Mary scesero dal taxi che li aveva portati a casa.

“Qualcosa non va?” chiese John alla moglie, aprendole prima il cancelletto del giardino e poi la porta di casa, dal momento che lei aveva in braccio Sheryl “Sei strana da quando Sherlock ci ha buttati fuori di casa” disse, ridendo “Non devi prendertela, sai che è fatto così. Gli basta poco per ...”

“Non è per quello” annunciò lei, cullando la piccola che, nel frattempo, si stava addormentando “Ormai ho imparato anch'io a conoscere Sherlock e … mi è sembrato strano, più strano del solito, intendo ...” si affrettò a precisare, ridendo piano, per non svegliare la piccola “Mi ha fatto venire in mente una cosa … che vorrei verificare!”

La donna, animata da un'insolita frenesia, mise a dormire la piccola e, senza più rivolgere la parola al marito, andò a chiudersi in camera sua. John, rassegnato a quel comportamento, che aveva visto fin troppo spesso nel suo migliore amico, sospirò e andò in cucina e iniziò a preparare la cena.

Mentre mescolava il riso alle zucchine, canticchiando nel frattempo, sentì la moglie parlare al telefono con qualcuno e fu tentato di andare ad ascoltare, ma preferì chiudere anche la porta della cucina, per isolarsi meglio dai rumori. Sapeva che, se fosse stato il caso, Mary gli avrebbe raccontato tutto. Dieci minuti più tardi, quando anche il riso fu pronto e fumante nei piatti, la donna uscì dalla sua stanza, ma era evidentemente turbata. John le andò incontro e l'abbracciò stretta.

“Mary, per l'amor del cielo, dimmi cosa è successo ...”

“Non posso, John … non ancora. Te lo dirò, se sarà il caso, ma per ora posso solo attendere la conferma ad un mio sospetto. Quando ne sarò sicura te ne parlerò, ma solo allora”

“Capisco ..” mormorò John, sospirano appena “Devo sempre essere l'ultimo a sapere le cose?” chiese, senza riuscire a trattenere nella voce un velo di rabbia.

“Non prendertela” gli chiese lei, posandogli una mano sulla spalla “Per ora voglio solo gustarmi il tuo buonissimo risotto. Quando il mio contatto mi avrà richiamato e avrà confermato o smentito il mio sospetto, potrò dirti di cosa si tratta. Se mi sarò sbagliata, non ti dirò nulla, perché riguarda … il mio passato …” mormorò, arrossendo appena “Se invece avrò avuto ragione, dovrò raccontarti per forza tutto, perché vorrà dire che Sherlock avrà bisogno del nostro aiuto” concluse, prendendogli una mano “Per ora, come ho già detto, voglio solo godermi questa serata con te ...” disse, baciandolo sulle labbra.

John, conquistato dalle sue parole e dalla sua voce annuì. Non avrebbe potuto protestare perché aveva promesso di non voler conoscere nulla del passato di Mary, ma sapeva che raramente sua moglie si sbagliava, perciò la sua curiosità sulle circostanze che li avrebbero portati ad aiutare Sherlock iniziò a divorarlo lentamente.

Mangiarono con calma e, mentre John stava finendo di lavare i piatti e lei dava il latte a Sheryl che si era nel frattempo svegliata, suonò il cellulare di Mary. La donna, che ormai non aveva più nulla da nascondere, rispose in cucina, di fronte al marito, al quale affidò la bimba.

“Sì, dimmi … Capisco … Quanto è rimasto? … Sì, mi sembra normale … Ah! … Quindi è proprio lui! … Sì, lo avevo sospettato … Grazie mille!”

Sotto lo sguardo perplesso di John, Mary posò il cellulare sul tavolo e si sedette, sconvolta.

“Qualcosa non va?” le chiese lui, preoccupato.

“John, te la senti di pedinare una persona?” gli chiese lei, all'improvviso.

L'uomo guardò la piccola che beveva il latte dal biberon, accoccolata tra le sue braccia, poi la moglie.

“Non saprei … Sheryl ...” iniziò, imbarazzato, ma la moglie lo interruppe.

“Sheryl starà con la signora Hudson” rispose lei, anticipando la domanda che gli avrebbe di certo posto “Noi abbiamo una cosa più importante da fare”

“Sarebbe?” chiese lui, prendendo il telefono per avvertire la signora del loro arrivo.

“Lo saprai al momento opportuno. Ciò che posso dirti è che una donna è stata uccisa e non è stato solo per rubarle i soldi e che, se non ci sbrighiamo, stanotte potrebbe esserci un altro cadavere”

Quell'ultima frase sconvolse John che, nonostante l'emozione, restò impassibile, da buon soldato.

“Va bene, faremo come vuoi tu, ma non capisco perché non vuoi raccontarmi cosa sta succedendo e perché dobbiamo muoverci proprio noi due. Potremmo chiamare Sherlock, lui certamente ...”

La donna lo guardò severamente.

“Non sono la persona adeguata a raccontarti questa storia. Ti ho detto che fa parte del mio passato, è vero, ma ho avuto un ruolo marginale, più esecutivo che altro. Stasera, se faremo in tempo a salvarlo, sarà qualcun altro a raccontarci quei particolari dei quali anch'io sono all'oscuro”

John annuì ancora e, decidendo di affidarsi ciecamente alla moglie, chiamò la signora Hudson.

 

Mezz'ora dopo erano a Baker Stret e, lasciata la figlia alle cure della signora Hudson, che avrebbe badato a lei per tutta la notte, quasi un'ora più tardi si trovavano nei pressi della chiesa di Saint John.

“Fa freddo ...” mormorò John, camminando al suo fianco e guardandosi attorno “Si può sapere chi stiamo cercando?”

“Il suo nome è Stephen Ezard” annunciò lei con semplicità “Forse ne hai sentito parlare ...”

“Stephen Ezard?” domandò lui, aggrottando le sopracciglia “Credo di sì … potrebbe essere quel matematico che è scomparso quasi dieci anni fa?” esclamò infine, illuminandosi.

“Esatto, è proprio lui” confermò la donna, fermandosi dietro ad un'alta siepe.

“Quindi vogliono ucciderlo? Perché?”

“Quando lo troveremo e lo avremo salvato, allora potrai rivolgergli tutte le domande che vorrai” rispose Mary, accucciandosi per non essere vista, imitata presto dal marito.

“La vedi quella?” chiese, indicando la palazzina che stava di fronte a loro “Lì c'è il suo appartamento. Da quello che so, quella è la casa nella quale viveva da giovane. Successivamente, dopo la morte dei genitori, lui andò a vivere in Cina e lì restò il fratello maggiore, Michael. Dalla morte del fratello, fino alla scomparsa avvenuta qualche anno fa, quella fu la sua casa e ora, da quello che mi ha detto la mia fonte, deve essere tornato, dopo aver scoperto la morte di Yasim Anwar”

“Non capisco ...” mormorò John, più disorientato che mai.

“Non è necessario che tu capisca tutto, non ora. Per il momento ciò che devi sapere è che gli hanno teso un agguato e che non appena metterà il naso fuori da quell'edificio verrà ucciso, e noi non possiamo permetterlo.”

Mary, sotto lo sguardo attonito del marito, prese dalla giacca una pistola e si mise in osservazione.

“Potremmo dover aspettare molto, sai ...” disse, sorridendogli.

“Non ti preoccupare” rispose lui, sorridendo in risposta “Sono abituato con Sh-”

“Shhht” sussurrò lei, imponendogli il silenzio posandogli un dito sulle labbra “Hai visto? Si sono accese le luci delle scale, sta uscendo!”

“Potrebbe essere chiunque!” protestò John, sempre più infreddolito e teso per quella situazione che non riusciva a comprendere appieno.

“Non abita più nessuno lì, nemmeno lui. Deve essere tornato solo per prendere dei documenti ...”

In quel momento, il portone della palazzina si aprì e ne uscì un uomo vestito con una tuta e con il volto coperto da un cappuccio.

Mary restò immobile, in attesa, mentre John, sempre più confuso, la osservava. L'uomo misterioso percorse il vialetto e stava quasi per raggiungere il marciapiede, quando venne affiancato da un altro individuo, che gli puntò una pistola alla gola.

“Imprudente, troppo imprudente, signor Ezard ...” ringhiò l'assalitore, premendo l'arma su un collo pallido, rischiarato appena dalla luce dei lampioni “Non avrebbe dovuto tornare qui così presto, avrebbe dovuto sapere che rischiava grosso. Ancora una volta si è fatto fregare dai sentimenti … Ah, l'amore … Le avevamo detto di non impicciarsi più in questa storia, le avevamo permesso di vivere tranquillamente la sua vita, a patto che si facesse da parte … Invece no! Lei ha dovuto rimettere il naso dove non le competeva, e ora farà la fine della sua amata!”

Nell'istante in cui l'uomo stava per premere il grilletto e ucciderlo, Mary si alzò e fece fuoco, mirando alla mano e facendogli volare l'arma.

“John!” gridò poi, indicandogli Stephen, che nel frattempo era caduto a terra “Tu occupati di lui, io penserò all'altro!”

John, obbediente, si avvicinò e cercò di rassicurare l'uomo che aveva di fronte.

“Non si preoccupi, ora è al sicuro. La porteremo da un nostro amico che sicuramente potrà aiutarla. So che è scomparso da diversi anni, ma avrà certamente sentito parlare di Sherlock Holmes, vero?”

John tentava in tutti i modi di aiutarlo, ma l'uomo cercava di divincolarsi e di sfuggire al suo sguardo.

“Non deve preoccuparsi, siamo amici! Non le faremo del male!”

Mentre il signor Ezard scuoteva la testa, tentando di sottrarsi allo sguardo del medico, tornò Mary, ansante per la corsa.

“Non sono riuscita a fermarlo,” esclamò, senza riuscire a celare il disappunto “ma per stasera non ti farà più del male” aggiunse, rivolgendosi all'uomo che avevano salvato che, nonostante fosse ormai al sicuro, sembrava sempre sulle spine.

“Ora andremo a casa tua e lì ci spiegherai perché non ci hai detto nulla” ordinò, con un tono di voce che non ammetteva repliche.

Entrambi gli uomini, sia John che Stephen, il cui volto era ancora nascosto dal cappuccio, si immobilizzarono per lo stupore, sorpresi da quell'ordine impartito con così tanta convinzione, ma eseguirono, avviandosi con lei verso la strada.

“Non sapevo che vi conosceste” disse John, guardando prima una poi l'altro, che camminava accanto a loro con le mani piantate nelle tasche e lo sguardo fisso a terra.

“Tra poco scoprirai anche altro, John” disse Mary, chiamando un taxi con un cenno della mano.

“Baker Street” esclamò, una volta che furono a bordo, mentre John la guardava sempre più stupito e l'uomo accanto a loro si chiudeva sempre più in sé stesso.

 

Una ventina di minuti più tardi arrivarono nei pressi di Regents Park, dove scesero. Percorsi pochi metri, Stephen pescò dalla tasca le chiavi di casa, e aprì la porta del 221 B.

“A-aspetta ...” balbettò John, seguendo lui e Mary all'interno della casa “Cosa sta succedendo? Perché siamo venuti qui? Sherlock lo sa? Perché quest'uomo ha le chiavi di casa sua? Non capisco ...” chiese, entrando infine nel salotto che era stato anche suo.

In quel momento, mentre Mary accendeva la luce della stanza, l'uomo misterioso che avevano salvato, Stephen Ezard, si voltò e calò il cappuccio, rivelando la sua identità.

“Ci sono tante cose che non capisci, John ...” mormorò Sherlock, sospirando tristemente.

Mary, che nel frattempo aveva preso una sedia dal tavolo di fronte alle finestre e l'aveva posata tra le due poltrone, andò a sedersi su quella di pelle nera.

“Ora capirai, John” disse, indicandogli la sua “Siediti … e siediti anche tu, Sherlock o meglio, Stephen” ordinò, accennando con un moto del viso alla sedia alla sua sinistra.

Sherlock sospirò e si sedette.

“Dobbiamo proprio farlo?” chiese, passandosi una mano sulla fronte.

“Dobbiamo proprio” confermò lei.

“Non capisco come tu possa sapere ...” sussurrò lui, tenendosi la testa, evidentemente confuso quanto John, che nel frattempo li fissava alternativamente, senza riuscire a cogliere un indizio che avrebbe potuto portarlo alla verità.

“Io so” spiegò lei con serietà “Perché sono coinvolta anch'io in questa storia. Tu non potevi saperlo, ma sono io che ho ucciso il Professor Moreton”

Sherlock, come colpito da una scarica elettrica, la fissò con gli occhi spalancati per lo stupore.
“Tu hai … lo hai davvero ucciso tu?” chiese, senza riuscire a celare la confusione che provava.

“Sì, sono stata io. Come avevi giustamente dedotto, qualche mese fa, ero un'assassina, e mi avevano assoldata per uccidere il Professor Moreton. Non so dirti perché lo volessero morto, di certo tu lo sai meglio di me, ma di una cosa sono sicura. Il ritorno a Londra della Dottoressa Anwar e la sua morte non è causale. C'è chi vuole portare alla luce dei misteri che avrebbero dovuto restare celati, e altri invece si muovono nella direzione opposta, uccidendo chiunque sia a conoscenza di tali informazioni. Tra queste persone c'era la Dottoressa Anwar e … ci sei anche tu ...” sussurrò infine, guardandolo con preoccupazione.

Sherlock deglutì a vuoto, sconvolto non tanto dal fatto di sapersi in pericolo, quello lo sapeva già, ma dalla consapevolezza che proprio lei, Mary, fosse stata implicata in passato in quella faccenda.

Nella stanza calò un soffocante silenzio e nessuno dei presenti osò romperlo, ognuno immerso nelle proprie riflessioni. Fu proprio l'unica persona che fino a quel momento aveva parlato meno, a spezzare quel mutismo.

“Non capisco cosa stiamo facendo” disse infine, rompendo quella cappa di tensione “Perché ...”

“Lo hai detto tu, John” esclamò la donna, guardandolo severamente “Lì è il posto in cui si siedono i clienti quando devono esporre i loro problemi”

A quelle parole, il medico si sentì ancora più confuso.

“Non capisco ancora ...” mormorò, passandosi una mano sulla fronte “Perché lui?”

“Potresti davvero scriverlo su una maglietta!” disse Sherlock, inserendosi nella conversazione “In effetti è una cosa che dici spesso ...”

John lo fulminò con lo sguardo.

“Sinceramente, non credo sia il momento di scherzare … Sherlock … sempre che possa continuare a chiamarti così!” sbraitò lui, seccato.

“Il suo nome non è importante, John. Lo sai bene anche tu” lo interruppe Mary, lanciandogli un'occhiata fugace, per poi tornare a guardare Sherlock, seduto sulla sedia tra di loro.

“Ora, per piacere, raccontaci tutto, dall'inizio”

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Capitolo 2
*** Stephen Ezard ***


Prima di tutto voglio ringraziare chi ha letto la mia storia, chi l'ha recensita e chi l'ha messa tra le seguite! è grazie a voi che trovo sempre più entusiasmo per scrivere! Grazie ancora! Spero che i prossimi capitoli vi piacciano come il primo!
Un Beso
MINI





Stephen Ezard

 

 



 

“Ora, per piacere, raccontaci tutto, dall'inizio”

Il silenzio che aveva seguito quelle parole si sarebbe potuto tagliare con un coltello. Sherlock, che fino a poco tempo prima sembrava il solito spavaldo detective, intoccabile da qualsiasi tipo di emozione, si era chiuso in se stesso, cercando di riordinare le idee. Troppe rivelazioni erano entrate nella sua coscienza e in troppo poco tempo perché potesse metabolizzarle. Ora se ne stava lì, su quella sedia sulla quale non avrebbe mai pensato di doversi sedere, tentando di non farsi trascinare dalla tempesta che in quel momento erano le sue emozioni. Fu la voce di Mary, dolce e quasi materna, a riportarlo con i piedi a terra, anche se ancora si sentiva dondolare, spinto da sensazioni e desideri contrastanti.

“Prima di tutto, come preferisci essere chiamato?” “Vuoi che continuiamo a chiamarti Sherlock, o preferisci …”
“Stephen.” esclamò lui, aprendo gli occhi e guardandola con determinazione “Stephen Ezard è il mio nome, un nome che mi è stato portato via, ma che ora non voglio più nascondere”

John lo guardò in silenzio, ancora sconvolto da ciò che stava accadendo davanti ai suoi occhi.

“Non guardarmi così, John” lo rimproverò lui, forse un po' troppo bruscamente “Non ti ho mai mentito in tutti questi anni, non ho mai recitato una parte, ho solo preso un nome falso per nascondere la mia vera identità, ma non certo per mia scelta. Se avessi potuto proseguire quello che avevo iniziato, quasi dieci anni fa, probabilmente ora sarei morto.”

Mary annuì in silenzio poi, con uno sguardo eloquente, invitò Sherlock a proseguire.

Il detective prese un profondo respiro, chiuse gli occhi e, riportati alla mente quei giorni fatali, iniziò a narrare.

“Accadde tutto circa una decina di anni fa. Allora non ero un detective né avrei mai pensato di poterlo diventare. L'unica cosa di cui mi importava era la matematica, così mi ero ritirato in Cina, per poter continuare con più tranquillità i miei studi.”

“Ora che mi ci fai pensare ...” mormorò John, massaggiandosi il mento “Credo di aver letto da qualche parte il tuo nome … forse un articolo riguardante il teorema di Ezard?” azzardò, guardandolo con quell'espressione che aveva sempre, quando si lanciava in una deduzione.

“Sì, proprio quello” confermò lui, annuendo e aprendo per qualche istante gli occhi “Potrei dire che la mia carriera come matematico non c'entra nulla con tutta questa storia, ma mentirei. Fu proprio quella l'esca con la quale mi tirarono dentro una serie di intrighi e segreti, dei quali tutt'ora fatico a capire le proporzioni.”

Serrò gli occhi, contraendo il viso in una smorfia di dolore, una fitta dovuta da un ricordo particolarmente doloroso, poi sembrò rilassarsi e guardò John negli occhi.

“Ti ho detto che l'amore e i sentimenti sono un ostacolo per l'uomo ...”
“Sì, me lo hai ripetuto fino allo sfinimento!” lo interruppe lui ridendo, sperando così di spezzare quella tensione che si era creata tra di loro.

Sherlock sorrise, comprendendo il suo tentativo di venirgli incontro, e sembrò più propenso a raccontare la sua storia.

“Lo penso e continuo a ripeterlo” continuò torturandosi le mani, parlando a fatica, come se stesse per rivelare un enorme segreto o un inconfessabile peccato “perché per primo ne sono stato vittima.”

Deglutì il pesante nodo che gli aveva ostruito la gola fino a quel momento, e sembrò stare meglio, come se rivelare la sua debolezza lo avesse aiutato a superare un ostacolo non indifferente. Scosse la testa e rise, passandosi la mano tra i capelli.”
“Ti ho sempre rimproverato di romanzare troppo le nostre avventure, eppure io per primo non riesco a fare un discorso coerente …”

“Prenditi tutto il tempo di cui hai bisogno, Stephen” lo incoraggiò Mary, che capiva benissimo la situazione in cui si trovava l'uomo “Non abbiamo fretta. Sheryl dorme con la signora Hudson e noi non ce ne andremo finché non ci avrai raccontato tutto.”

Stephen, ormai anche John, aiutato da Mary, aveva cominciato a pensare a lui con quel nome, annuì e, chiusi ancora una volta gli occhi, per mettere ordine nei suoi ricordi, ricompose anche la voce, poco prima sconvolta dall'emozione, e riprese a parlare.

“Ero un matematico e mi ero ritirato in Cina per potermi dedicare al cento per cento ai miei studi ma, come spesso accade quando si pensa che la propria vita non possa subire scossoni più violenti di un raffreddore o della mancanza d'acqua calda in casa, mi arrivò una lettera urgente, da parte dell'ambasciata inglese, che mi avvertiva della morte di mio fratello, Michael.”

“Tuo fratello!” lo interruppe nuovamente John, dandosi una pacca sul ginocchio “Non Mycroft, giusto? Mycroft non è tuo fratello!”

“Ovviamente, no” spiegò Stephen, lanciandogli una breve occhiata, per poi tornare a fissare davanti a sé, inseguendo la proiezione dei ricordi che, come un film, avevano iniziato a scorrergli nella mente, dolorosamente presenti.

“Sherlock Holmes non è un nome inventato di sana pianta ed era realmente il fratello minore di Mycroft, ma di questo parlerò più tardi, se non ti dispiace. I ricordi sono già confusi per conto loro, preferirei andare per ordine.”

John annuì nervosamente e si accomodò meglio sulla poltrona, mentre la confusione pian piano svaniva dai suoi occhi, sostituita da una profonda e prepotente curiosità.

“La notizia della morte di Michael mi sconvolse, ma non più di tanto. Io e lui non eravamo mai andati d'accordo, avevamo caratteri troppo diversi che, spesso e volentieri, ci facevano entrare in contrasto. Io ero timido, riservato, mentre lui era esuberante e pieno di spirito d'iniziativa, nonché di una certa dose di crudeltà, almeno nei miei confronti. Vi basti pensare che, quando iniziai a muovere i primi passi, lui cosparse il nostro giardino di trappole per orsi ...” mormorò, ridendo piano per quel ricordo così assurdo, ma si ricompose subito e, schiaritasi la voce “Appena appresa la notizia, prenotai un biglietto aereo per Londra, per partecipare al funerale. Purtroppo, o per fortuna, arrivai in ritardo, così mi risparmiai la cerimonia Umanista, ma arrivai appena in tempo per lanciare la prima manciata di terra sulla bara. Ero l'unico parente presente, dal momento che i nostri genitori erano morti qualche anno prima, ma era comunque molto affollato.

Come vi ho spiegato prima, Michael era sempre stato un uomo molto espansivo, solare, si faceva voler bene da tutti, tranne che da me, ma è un dettaglio. Si era laureato in medicina e, prima e dopo gli studi, aveva iniziato a occuparsi di volontariato, stringendo così amicizia con uomini e donne di tutte le nazionalità e le condizioni sociali, con le quali veniva in contatto, soprattutto da quando iniziò a lavorare per un'associazione umanitaria che lavorava prevalentemente in Medio Oriente. Fu lì che trovò la morte, durante una campagna di vaccinazioni ad un gruppo di rifugiati. Quando partii da Beijing, ero convinto che Michael fosse morto a causa di un incidente con una mina terrestre, che aveva fatto saltare in aria la Jeep sulla quale viaggiava, mentre andava a recuperare alcuni medicinali in un altro campo.”

“Cosa intendi dire con questo?” domandò John, aggrottando le sopracciglia “Vuoi dire che non fu un incidente? Fu ucciso? Per quale motivo?”

“Ci arriverò,” spiegò lui, trattenendo un sospiro di irritazione “Devo prima spiegarti come sono stato invischiato in tutta questa assurda faccenda” sbottò infine, più arrabbiato con se stesso per ciò che aveva fatto in passato, che per l'interruzione del suo amico.

“Arrivai in cimitero e lì incontrai tutti i suoi amici e tutte le persone che, in un modo o nell'altro, avevano avuto a che fare con lui”

Scosse la testa, ricordando il disagio che aveva provato stando in mezzo a tutte quelle persone che amavano suo fratello, mentre una gigantografia del volto di Michael, appesa alla parete di fronte al buffet che si tenne dopo la cerimonia, lo osservava sorridente, ormai indifferente ai problemi dei mortali.

“Avevo già in valigia un biglietto di ritorno per Beijing ma, per motivi logistici, tornai a casa, per sistemarmi e riposare dopo il lungo viaggio e quel pomeriggio faticoso. Una volta dentro, notai subito che c'era qualcosa che non andava. Guardandomi attorno vidi distintamente i segni lasciati dalla presenza di un estraneo. Non vedevo mio fratello da parecchi anni, ma ebbi il presentimento, che si rivelò corretto, che qualcuno, oltre a lui, avesse abitato in quella casa. Esplorai le varie stanze e trovai una donna semi incosciente, distesa su di un letto. Spaventato, salii al piano superiore, dove incontrai il mio vicino, il signor Andrew Batz. Aveva conosciuto mio fratello, solo superficialmente, ma confermò i miei sospetti. Come faceva in passato, aveva ospitato in casa sua molti suoi amici. Aveva l'abitudine di lasciare le chiavi di casa in un posto prestabilito e chiunque ne avesse bisogno poteva entrare e fare i propri comodi, senza problemi. Le informazioni che Batz mi diede non mi furono di grande aiuto, così decisi di tornare in casa, dove trovai un'altra intrusa, o almeno la credetti tale. Scoprii che si trattava di Yasim Anwar o, meglio, Yasim Ezard, dal momento che da poco si era sposata con mio fratello.”

“Yasim Anwar!” esclamò John, senza riuscire a trattenersi “Quindi, la donna ritrovata morta a Liverpool Street … era tua cognata?” domandò, intuendo infine ciò che aveva dovuto provare Stephen, leggendo della sua morte. Lui annuì e proseguì.

“Le chiesi spiegazioni riguardo la donna che stava sul letto e mi disse che si trattava di Nadir bin Ahmed bin Saleh Al-Fulani, che era molto malata e che si sarebbe occupata lei della sua salute, in quanto dottoressa. Cenammo insieme e parlammo di mio fratello, ma dopo cena ci aspettò una macabra sorpresa. Nadir, che soffriva di una malattia di origine sconosciuta, morì.

La notizia di quel decesso ci sconvolse così, visto che eravamo ancora turbati anche per la morte di Michael, ci sfogammo l'un l'altro e … quella sera ...” esitò e nascose il viso con una mano, stringendo forte per reprimere la vergogna “Quella sera …” sospirò, poi si chiuse ancor più in sé stesso “Quella sera accadde qualcosa tra di noi e quel qualcosa fu la ragione per la quale fui coinvolto in quella situazione. Noi … eravamo disperati, tristi, soli ...”

“Non mi dirai che avete fatto sesso?” esclamò John, trattenendo una risata.

“Abbiamo fatto l'amore, sì!” ribatté Stephen “Al momento fu solo sesso, forse …” continuò, arrossendo appena per l'imbarazzo “Ma ben presto ci rendemmo conto di volerci bene, di ...”

Non terminò la frase, come se temesse di pronunciare quella parole.

“Il giorno successivo fui contattato da un'agenzia, l'Inquirendo, che mi chiedeva di sponsorizzare un sistema di sicurezza in cambio del finanziamento di cinque anni della mia richiesta. Fino a quel momento non mi ero mai occupato di politica e non avevo alcuna intenzione di partecipare a quel progetto, nemmeno per tutti quei soldi.”

“Di cosa si trattava?” chiese Mary, intervenendo per la prima volta “Ne avevo sentito parlare ma, come ti ho detto, ero solo un'esecutrice.

“Il nome del progetto era T.I.A, ovvero Totale Informazione Acquisita. Si trattava di un programma che, grazie all'utilizzo di telecamere di sorveglianza e microchip inseriti nei documenti, avrebbe permesso di sorvegliare chiunque in qualsiasi momento.”

“Qualcosa, però, ti fece cambiare idea, o sbaglio?” chiese Mary, sempre più interessata.

“Sì ...” ammise lui, chinando appena il capo “Fu, appunto, il fatto che ...” si morse il labbro, ricacciando il desiderio di piangere “Mi innamorai di mia cognata.”

“Non capisco il nesso” commentò John “Volevi sorvegliarla?”

“No, volevo trovarla!” esclamò Stephen, battendo il pugno sul ginocchio “Quando tornai alla visita dalla Inquirendo, la casa era vuota, come se non ci avesse vissuto nessuno, fino a quel momento! Yasim, così come Nadir, erano scomparse nel nulla! Fu per questo motivo, per trovare lei, che decisi di sponsorizzare il T.I.A., per cercarla!”

John lo guardò, sempre più stupito da ciò che stava sentendo. Sarebbe rimasto di stucco anche se a raccontarlo fosse stata un'altra persona, una a caso nel mondo, ma a riferire quelle strane vicende era proprio il suo migliore amico. In quei pochi mesi, dopo il ritorno dalla sua finta morte, aveva pensato di essere riuscito a carpire, almeno in parte, la sua personalità, ciò che nascondeva nel cuore. Invece, ancora una volta, era stato capace di sorprenderlo, di tirare fuori nuove sfaccettature del suo carattere. Eppure, pensandoci bene, aveva senso.

Da quando lo aveva conosciuto, Sherlock o, meglio, Stephen, gli aveva dimostrato più di una volta di riuscire a compiere atti estremi per il bene delle persone che erano entrate nel suo cuore. Era sempre uno stronzo insensibile e a volte un po' cinico, ma per le persone a cui voleva bene avrebbe sacrificato anche la sua stessa vita.

Il salto dal Barts, quella corsa disperata per andare a salvarlo sotto il falò del cinque novembre e, infine, un omicidio, perpetrato solo per permettere a lui e a Mary di vivere finalmente insieme e in pace.

“Cosa accadde dopo, Stephen?” lo incalzò Mary notando che, nel rievocare quel particolare ricordo, si era come incantato, sperduto tra chissà quali immagini.

La voce della donna riuscì in qualche modo a riportarlo al presente. Scosse la testa e sbatté gli occhi un paio di volte, poi però fu interrotto nuovamente dal vibrare del suo cellulare. Lo prese e, leggendo un messaggio che era appena arrivato, impallidì di terrore.

“Stephen?” lo chiamò ancora Mary “Qualcosa non va?”

Per tutta risposta sì alzò e, dopo aver arretrato di qualche passo, andò alla finestra. In lontananza già si vedevano le luci delle volanti della polizia e il suono acuto delle sirene.

“Devo andarmene di qui, immediatamente!” gridò, prendendo il cappotto e avviandosi verso la porta “Il mio informatore mi ha detto che stanno venendo qui per arrestarmi!” mormorò, più agitato che mai.

“Per arrestare Sherlock Holmes o …” chiese John, lasciando volutamente la frase in sospeso.

“Vogliono arrestare Stephen Ezard” rispose lui “Dopo tutto quello che mi è successo mi hanno schedato come 'Sovversivo non affiliato'. Ora che tutta questa storia è tornata a galla con la morte di …” esitò, come colpito da un dolore improvviso “Avranno scoperto la mia vera identità e vorranno farmi qualche domanda o, semplicemente, assicurarsi che non continui ciò che ho interrotto anni fa e … cosa stai facendo?!” chiese, forse con eccessiva aggressività, rivolgendosi a Mary che, nel frattempo, stava scrivendo un biglietto.

“Sto lasciando alla signora Hudosn le indicazioni per prendersi cura di Sheryl” annunciò lei “Verremo con te e ti aiuteremo a risolvere questa situazione!”

“Non posso permettervelo!” protestò lui, uscendo di casa velocemente, per seminarli.

“Non ti conviene metterti contro di lei” gli suggerì John, facendogli un occhiolino d'intesa mentre tutti e tre scendevano di corsa le scale “Sai bene anche tu quanto possa essere pericolosa!”

“Esatto!” confermò lei, fermandosi un attimo per lasciare il biglietto fuori dalla porta della signora Hudson “Ora non abbiamo tempo da perdere, ma ...”

Si fermò e, bloccato Stephen per i polsi, lo guardò negli occhi.

“Tu stavi buttando tutta la tua vita alle ortiche per proteggere noi tre. Ora il minimo che possiamo fare è ricambiare il favore”

John lo guardò e sorrise, come per confermare ciò che aveva detto poco prima, poi tutti uscirono dall'edificio e andarono a nascondersi dietro ad un bidone della spazzatura, poco prima che arrivasse l'Ispettore Dimmok con alcuni agenti di Scotland Yard.

“Dove vuoi andare?” gli chiese Mary, guardandosi in giro “Non possiamo tornare alla tua vecchia casa, è troppo pericoloso!”

“Ovviamente non torneremo lì” spiegò lui, guardando gli uomini entrare “Vi porterò in uno dei miei nascondigli segreti … uno che non uso da tanto tempo.”

Aspettarono ancora qualche istante poi, quando si furono assicurati che tutti gli uomini fossero entrati, sgattaiolarono via, nascondendosi tra le ombre della notte.

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Capitolo 3
*** T.I.A. ***


Bentrovati e Buon Natale! Eccomi di nuovo qui!

Vi chiedo scusa per la LUNGHISSIMA assenza ma ero totalmente priva di ispirazione! Finalmente mi sono decisa a tornare e spero di riuscire a proseguire! :D

Come avevo premesso all'inizio, per esigenze narrative, ho dovuto modificare alcuni dettagli di entrambe le serie. In questo caso, per chi ha visto The Last Enemy, il nascondiglio in cui si recano i tre fuggitivi nella serie è stato distrutto ma, per mio piacere, ho voluto mandarli proprio lì, anche perché c'è qualcosa di cui avranno bisogno …
Fatemi sapere cosa ne pensate ;)

Buona lettura!!

MINI

 

 

T.I.A.

 

 

 

La notte era buia, ma non tanto silenziosa come si sarebbero aspettati i tre fuggitivi. Stephen, che ormai conosceva a memoria l'ubicazione delle videocamere di sorveglianza di Mycroft, riuscì ad aggirarle con disinvoltura, e con altrettanta agilità riuscì a districarsi tra le volanti della polizia che, ad intervalli regolari, ispezionavano le strade e i vicoli.

Camminarono a lungo e si ritrovarono in periferia, a nord di Clapton. Attraversarono una grande rotonda e giunsero in una zona industriale, ovviamente deserta a quell'ora di notte.

Le alte mura dei capannoni, grigie e inquietanti, almeno con quella luce, li circondarono ben presto, e si ritrovarono a camminare tra vicoli sempre più stretti.

“Dove stiamo andando?” domandò John, che cominciava ad essere preoccupato.

“Non mi dirai che è il nascondiglio di David Russel, vero?” chiese anche Mary, che evidentemente conosceva di più quei luoghi.

“Purtroppo per te, è proprio così” annunciò Stephen con solennità “Fin'ora questo è l'unico posto che i servizi segreti non sono ancora riusciti a scoprire, inoltre offre altre comodità ...” spiegò, come se stesse parlando di una camera d'albergo.

Proseguirono lungo uno stretto passaggio tra due edifici, infine si trovarono di fronte ad un spiazzo, che originariamente doveva essere utilizzato per il transito dei TIR, ma che al momento sembrava abbandonato da diversi anni. Lo attraversarono di corsa e andarono a ripararsi nella rientranza di un portone, mentre Stephen trafficava con il lucchetto della serratura. Dopo pochi minuti riuscì ad aprirlo, e si trovarono all'interno di un enorme capannone.

Era ovvio che era inutilizzato da diversi anni. Scatoloni ricoperti di polvere, casse dal contenuto ignoto e oggetti dalla natura misteriosa ingombravano la maggior parte dello spazio, ma un'altra cosa attirò l'attenzione di John e Mary. Era evidente che non ci fosse stata nessuna attività da molto tempo, ma nella semi oscurità avvertirono distintamente il rumore che produce l'alta tensione e si guardarono attorno, senza capire da dove arrivasse. Stephen, che era ovviamente era abituato a muoversi in quegli spazi, li guidò senza esitazione, fino ad arrivare ad alcune costruzioni prefabbricate, circondate da un'alta cancellata. Man mano che si avvicinavano, il rumore aumentava. John, incuriosito, allungò un braccio per aprire il cancello.

“FERMO!” gridò, andando verso di lui e prendendogli bruscamene un braccio “Vuoi morire?!” gli chiese, forse con troppa violenza, che spaventò il dottore, per poi lasciarlo andare con altrettante violenza.

“N-no, ma ...” mormorò appena, massaggiandosi il punto in lui lo aveva stretto.

“Se solo lo avessi sfiorato, saresti stato ucciso da quindicimila volts!” rispose lui, digitando un codice su una tastiera che chiudeva il cancello e lo aprì per lasciarli passare. In quel momento, il rumore che fino a poco prima riempiva l'aria, cessò di botto “Questo, come ha giustamente dedotto Mary, è il nascondiglio di David Russel.”

Chiuse il cancello, digitando nuovamente il codice per far scorrere l'elettricità nel ferro della barriera. Li precedette verso una baracca, alla quale si accedeva grazie ad alcuni gradini.

“Se vi siete domandati perché siamo venuti qui, la risposta è semplice” spiegò, andando ad accendere alcuni computer, posti sopra un lungo tavolo.

Mentre Stephen parlava, John e Mary iniziarono a guardarsi attorno, incuriositi. La baracca era più grande di quanto si fossero aspettati. Dietro di loro, lo spazio era occupato da alte scaffalature, i cui ripiani erano ingombri di scatole e apparecchiature elettroniche.

Dopo qualche minuto, gli schermi si accesero, rivelando un complesso motore di ricerca.

“Vi presento” annunciò Stephen, voltandosi verso di loro e sorridendo enigmatico “il T.I.A.”

I due si guardarono negli occhi un istante, poi si rivolsero a lui con sguardo confuso.

“Ne avevo sentito parlare, anche prima che ne facessi cenno tu, a Baker Street,” disse Mary, avvicinandosi per guardare meglio “ma non l'avevo mai davvero visto ...”

“Non è molto complicato, in realtà ...” mormorò Stephen, iniziando a digitare freneticamente sulla tastiera “Una volta capito come funziona, è facile trovare informazioni su chiunque, in qualsiasi momento … Ecco!” esclamò, soddisfatto “Ho trovato le telecamere puntate su Baker Street!”

John lo fissò sconcertato per qualche istante, poi si riprese e gli posò una mano sulla spalla.

“Telecamere … puntate su Baker Street? Perché? Da quando?”

Stephen, che stava esaminando i video relativi alle ultime ore, si voltò verso di lui e lo osservò per poco, prima di scoppiare a ridere.

“Da sempre, John! Da quando esiste il T.I.A.! Nessuna casa di nessuna strada è esclusa dal monitoraggio e tutti i cittadini di Londra sono sotto sorveglianza. Non dico che siano tutti sorvegliati ...” si sbrigò ad aggiungere, quando vide il dottore impallidire “In realtà sono tutti potenzialmente sorvegliabili. Chiunque può diventare una minaccia e quindi deve essere tenuto sotto controllo. Non è cattiveria, solo … controllo.” scosse la testa, deluso da quella ripetizione “Vi chiedo scusa, ma non c'è altro modo per dirlo. Però ...” aggiunse, mentre un sorriso prendeva il posto del broncio “Può diventare uno strumento prezioso, se si sa come farlo funzionare ...”

Digitò altri dati, osservando i video delle ore precedenti e infine ciò che veniva ripreso in tempo reale.

“Dannazione! La casa è circondata!” Esclamò, vedendo gli uomini di Scotland Yard passeggiare avanti e indietro davanti l'edificio.

“Cosa facciamo allora?” chiese John, che continuava a non capirci molto di quella situazione.

“Nulla, non possiamo fare nulla se non aspettare. Al momento sono un ricercato, perciò non mi conviene uscire di qui. Voi due potete andarvene quando volete, non siete obbligati a stare con me. Starò bene!” aggiunse, prima che potessero contraddirlo.

“Sherlock, non credo che sia il caso che tu stia qui da solo ...” tentò John, intimidito da quel luogo e soprattutto dalla situazione in cui si trovava il suo amico.

“Ti ho detto di non preoccuparvi. Sarò più al sicuro da solo che con voi. Non fraintendetemi!” si affrettò ad aggiungere “Non dico di non apprezzare il vostro aiuto, ma so esattamente cosa devo fare. Anche prima, quando mi avete salvato, in realtà ero preparato a quell'attacco, me la sarei cavata. Ora ho bisogno di lavorare da solo e ciò che potete fare di utile è restare fuori da questa storia il più possibile. Non dovranno mai, in nessun caso, ricollegarvi a me.”

Prese un foglio di carta e tracciò un percorso.

“Seguendo queste stradine raggiungerete la metropolitana e da lì tornerete a Baker Street per prendere vostra figlia e poi a casa vostra. Vi contatterò io, quando sarà il momento.”

Il vecchio Stephen non sarebbe mai stato capace di una cosa del genere, ma in quegli anni era cambiato, era diventato Sherlock. Il timido matematico si era trasformato in un indipendente e volitivo detective e ciò che aveva imparato a fare più di tutto era di imporre la sua volontà nei casi come quello. John, e infine anche Mary, non poterono far altro che annuire e, dopo aver studiato la cartina improvvisata e stretto in un abbraccio amichevole lui, uscirono in silenzio dalla piccola stanzetta. Stephen li seguì solo per poter aprire loro il cancello, che richiuse una volta che furono fuori. Lì nessuno, nemmeno Mycroft, lo avrebbe potuto rintracciare.

Almeno, era quello che credeva lui. Non poteva sapere che, nell'ombra, qualcuno lo stava seguendo già da qualche tempo, qualcuno di cui non avrebbe mai lontanamente sospettato.

 

Non si mise immediatamente al lavoro, era troppo in ansia per John e Mary così, atteso un tempo sufficiente perché potessero essere arrivati a Baker Street, si sintonizzò sulle telecamere posizionate fuori dall'abitazione e sorrise vedendo che i due stavano uscendo di casa con la figlia tra le braccia mentre una premurosa signora Hudson li salutava. Non destavano sospetti e infatti non furono fermati dai poliziotti. Per sicurezza attese un'altra mezz'ora e controllò di nuovo la situazione, stavolta a casa loro. Anche lì tutto era tranquillo e, come aveva previsto, non c'erano sorveglianti. Nessuno sapeva che loro conoscevano la verità sul suo passato e quindi non li avevano contati come possibili bersagli. Solo a quel punto si concesse un sorriso di sollievo e, recuperata la lucidità di cui aveva bisogno, iniziò la lunga ricerca per la quale si era recato lì.

 

 

Nel frattempo, a casa Watson, John era sempre più irrequieto.

“Perché fa così? Perché? Per una volta possiamo aiutarlo noi e …”

“Lo stiamo facendo, così lo stiamo aiutando, John.” mormorò Mary “Sa benissimo che se fossimo con lui dovrebbe preoccuparsi anche per noi, così invece può muoversi con più tranquillità. Lui è sorvegliato e ha bisogno di qualcuno che non lo sia. Diciamo che lo stiamo aiutando, ma dalla panchina. Non si perdonerebbe mai se anche noi venissimo coinvolti.”

John sospirò ma annuì. Cominciava a capire le motivazioni dell'amico e, nonostante avesse voluto poter fare di più, decise di fidarsi ancora una volta di lui. Non sapeva chi tra loro due stesse peggio, in quel momento: lui, braccato dalla polizia e solo in quel capannone, o loro stessi, momentaneamente all'oscuro di ciò che gli stava succedendo.

 

 

Stephen era andato nella sua vecchia casa immediatamente, anche rischiando di essere ucciso, per controllare che nulla fosse stato toccato da quando se n'era andato. I dati, i documenti e tutte le fotografie per fortuna erano ancora al sicuro dove li aveva nascosti anni prima. Non aveva mai perso la speranza di poter riuscire a risolvere ciò che era rimasto insabbiato allora e aveva continuato per tutto quel tempo a lavorare e cercare informazioni. La copertura che i servizi segreti gli avevano dato era eccellente per poterlo fare. Forse Mycroft aveva intuito che, mentre indagava sui casi di Sherlock Holmes, continuava a fare ricerche sui registi di quell'enorme messainscena che lo aveva quasi portato alla morte, ma stranamente non aveva mosso un dito. Forse si sentiva in colpa per avergli rovinato la vita e, nonostante lo sorvegliasse minuziosamente, giorno dopo giorno, non aveva fatto nulla per ostacolarlo. Le vicende legate a Moriarty non avevano sicuramente nulla a che fare con lui, ma ora cominciava a sospettare che invece fossero una macchinazione più alta per metterlo a tacere. Forse qualcuno lo aveva scoperto, forse si erano resi conto che tornava troppo spesso in quell'appartamento … e ne era diventato consapevole quella sera, entrando in quella che un tempo era la sua casa. I libri erano a terra, i cassetti rivoltati sul pavimento, gli scaffali della cucina aperti, la camera da letto sventrata dalla furia cieca di chi cercava ciò che non avrebbe trovato, in nessun caso.

Aveva previsto che un giorno del genere sarebbe arrivato e si era preparato. Aveva creato un plico perfettamente credibile con una serie di dati e informazioni falsi e lo aveva nascosto all'interno del materasso. Come aveva immaginato, il plico era scomparso ma, tra i libri sparsi a terra, c'era ancora l'enciclopedia universale. Era riuscito a recuperare i fogli che aveva nascosto tra le pagine e li aveva nascosti sotto i vestiti, prima di uscire e incontrare il suo sicario e John e Mary. Ora li aveva lì davanti, ordinati e precisi come se li ricordava. Per prima cosa doveva capire chi aveva ucciso Yasim e successivamente pianificare le sue prossime mosse. Gli era ormai chiaro che avrebbe fatto molta fatica a tornare nelle vesti di Sherlock Holmes a quel punto, ma non gli importava più di tanto. Tutto ciò che voleva era la verità su ciò che era accaduto a Michael, su ciò che era accaduto a Yasim e su tutto il resto.

Si collegò alle videocamere della casa, ma andò a ripescare i filmati di qualche giorno prima. Gli ci volle un po' di pazienza prima di trovare ciò che cercava, ma finalmente la vide. Yasim, esattamente come se la ricordava, stava entrando in casa con fare apparentemente tranquillo. Sembrava una normale donna che entrava altrettanto normalmente in casa sua. Di certo si stava comportando così per non destare sospetti, ma non poteva sapere che, nonostante fossero passati anni, i servizi segreti inglesi ancora la tenevano sotto controllo. Tremando per la rabbia visionò le registrazioni successive fino a quando non la vide uscire. Ne seguì il percorso cambiando videocamere fino a Liverpool Station. Indossava una maglia blu scuro con cappuccio e un paio di pantaloni neri. La vide entrare in stazione e allora la perse di vista. Trattenne il fiato mentre la cercava tra la gente che raggiungeva o usciva dalla metropolitana o dalla stazione ferroviaria e finalmente la rivide uscire, nel vicolo in cui avrebbe trovato la morte. Il cappuccio della giacca era calato sul suo viso ma era lei, non c'era dubbio. Non fece in tempo a chiudere il collegamento video che vide ciò a cui non avrebbe mai voluto assistere. In un angolo nascosto del vicolo, Yasim fu avvicinata da un passante, un uomo qualsiasi che le si avvicinò e, con un gesto inconfondibile, mise fine alla sua vita con una sola ma letale pugnalata al fianco. Niente armi da fuoco per evitare che qualcuno lo sentisse o lo vedesse compiere gesti strani. Quel semplice gesto poteva essere scambiato per un incidente, un uomo e una donna che si scontrano per sbaglio in mezzo a una strada. Lui sapeva però che c'era altro. Solo in quel momento chiuse gli occhi e fu tentato di spegnere tutto ma, consapevole di non poterlo fare, tornò a concentrarsi sul video, stavolta per seguire l'assassino di Yasim. Dimenticò totalmente la donna – non poteva certo soffermarsi sul suo dolore, non in quel momento. Per sua fortuna non dovette seguirlo molto. L'uomo, che oltre al fatto che portava con sé un pugnale insanguinato, poteva essere scambiato per un normale passante e, come tale, non lasciava trasparire nessuna emozione se non quella della noia di un uomo che deve districarsi in mezzo al traffico. Lo seguì e lo vide salire in auto in Appold Street e allontanarsi. Si segnò il numero di targa e si concesse una breve pausa. Vedere l'assassinio di Yasim lo aveva turbato più di quanto aveva immaginato ma lo aveva anche motivato ad andare avanti per scoprire chi l'aveva uccisa e, cosa più importante, per vendicarla. Non avrebbe più avuto una vita normale, se normale poteva essere definita la vita che stava conducendo come Sherlock Holmes, ma da quel momento in poi sarebbe stato sempre peggio. Aveva detto addio alla stabilità del matematico introverso Stephen Ezard e, ora che era riuscito a trovare un equilibrio nella vita di Sherlock Holmes, doveva dire addio anche a lui? Non lo sapeva, ma ciò di cui era sicuro era che niente sarebbe stato più come prima. Prima sapeva che Yasim era viva, da qualche parte e al sicuro, ma viva; ora … ora era morta, morta a causa di un demone dai mille volti che si nascondeva tra le ombre di Londra.

Si alzò e guardò gli schermi del T.I.A con gli occhi eccitati del detective che ha fiutato una pista. Ciò che di buono gli aveva lasciato Holmes era quello, la determinazione e la voglia di non arrendersi mai, qualunque cosa fosse accaduta.

Tornò a sedersi e digitò il numero di targa sul terminale, ma non fece in tempo a premere invio che un rumore di passi lo fece sobbalzare. Si voltò di scatto ma, ovviamente, non c'era nessuno al suo fianco. Il rumore proveniva da fuori, al di là della recinzione. Si alzò lentamente e andò a vedere. Si chiese chi mai potesse essere. Nessuno sapeva di quel posto e pensò che dovesse trattarsi di un barbone che stava cercando riparo per la notte. Ricordava che Russel gli aveva assicurato che nessun barbone si era mai spinto fin lì, nemmeno quelli più disperati, perché il rumore dell'alta tensione all'interno li aveva sempre intimiditi e inoltre lui, per maggiore sicurezza, aveva fatto spargere in giro la voce che si trattasse di un magazzino in cui un gruppo criminale stoccava le sue scorte di droga. Tutto era stato predisposto perché quell'oasi di tranquillità restasse tale, ma ora c'era un intruso. A suo tempo anche lui si era intrufolato lì senza permesso, ma era accaduto perché stava seguendo una traccia. In quel momento la presenza di un altro essere umano era totalmente fuori luogo. Sperò in ogni caso di vedere un vagabondo, ma ciò che vide lo lasciò letteralmente senza parole.

Di fronte a lui, a debita distanza dalla recinzione, sorridente e beato, c'era l'ultima persona al mondo che si sarebbe mai aspettato di vedere.

“Ciao, caro ...”

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