Mathesis di Jame (/viewuser.php?uid=16514)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cupiditas ***
Capitolo 2: *** Occursus ***
Capitolo 1 *** Cupiditas ***
Inizio
col dire che non amo molto queste premesse che precedono una storia: le
trovo dispersive e distolgono l'attezione da ciò che
interessa
realmente il lettore.
Tuttavia
mi trovo costretta, almeno nel primo capitolo, per spiegare che
sarà, appunto, una storia a capitoli (la mia prima in
generale a
più "puntate", e la mia prima su Harry Potter), incentrata
sopratutto sui due personaggi principali da me trattati.
Due personaggi che adoro moltissimo: Hermione Granger e Severus Snape -
quest'ultimo maggiormente.
Ci sono cinque avvisi importanti: 1) Ho deciso di tenere il nome
originale di Snape, perchè la traduzione
italiana del
cognome non esprime, a mio parere, realmente l'essenza di questo
personaggio così "s-quadrato" e difficile da "quadrare", e
potrà capitare anche che troviate nel corso della lettura
nomi
originali, sempre per lo stesso motivo; 2) Il nome della fanfiction
"Mathesis" è latino ed è di derivazione greca,
naturalmente; significa propriamente "apprendimento, conoscenza". Il
perchè di questo titolo? Lo troverete, qualora vi interessi,
alla fine del capitolo, perchè bisogna spiegare anche il
tipo di
concezione a cui rimanda il termine e cui il termine è
rimandato, perciò necessita di un pò di spazio e
ciò vi toglierebbe ancora più attenzione se lo
scrivessi
qui; 3) Il titolo di ogni nuovo capitolo sarà anch'esso in
latino, oppure in greco testuale, e troverete sempre la sua traduzione
in italiano affianco. Questo perchè il latino/greco
ha la
grande, grandissima capacità di riassumere in una singola
parola
concetti che in italiano siamo soliti esprimere con una frase intera; e
perchè, di conseguenza, il latino/greco, senza nulla
togliere
all'italiano, riesce ad essere più profondo e "concentrato";
4)
Troverete, molto probabilmente, dei termini tipicamente Potteriani - il
cui merito di inventiva non va a me, ma alla grande Rowling - che ho
preso da un altro libricino, di cui la Row ha parlato più
volte
all'interno della saga e che ha pubblicato realmente, ossia " Gli
animali fantastici: dove trovarli - Newt Scamandro ". Ovviamente,
troverete alla fine di ogni capitolo la spiegazione di quel determinato
termine, usato in quel capitolo; 5) Non so se e quanto
piacerà
questa storia, cui comunque tengo moltissimo, ma vi avviso che non ho
molto tempo per scrivere e meno ancora per postare quello che scrivo,
ciò significa che - anche se cercherò di
pubblicare il
più puntuale possibile - sfaserò sicuramente;
spero mi
scuserete per questo, ma tra l'università e lo studio il
tempo
è esiguo alquanto.
Bene, grazie mille per aver letto questa premessa parafrasante, e
grazie anticipatamente a chi leggerà ed a chi
avrà la
pazienza e la voglia di commentare.
Buona lettura!
Mathesis
Cupiditas
(Ambizione, Desiderio)
Seduta
al tavolo della propria cucina, gomiti appoggiati al bordo del legno
scuro, continuò a rigirare il liquido ambrato nella sua
tazza
finemente intagliata che teneva fra le mani, ormai calde grazie al
tepore irradiato dalla ceramica. Quel calore bruciante che sentiva sui
palmi, fastidioso, la faceva sentire meglio. Le provocava una sorta di
intorpidimento dei sensi, le annebbiava momentaneamente le
facoltà mentali, che volteggiavano ormai slegate tra loro
nella
periferia del suo cervello.
E non era poi così male.
Tè nero doppio con qualche goccia di limone e niente
zucchero, grazie.
Sempre perfetto quando riceveva certe notizie.
Soprattutto se di mattina.
Dal
un lato del tavolo guardava assorta fuori dalla finestra, posta davanti
a sé, facendo scorrere il suo sguardo ambrato sul bellissimo
giardino di stampa quasi autunnale, che era riuscita a riportare
all’ordine così faticosamente.
Cedri, pini, abeti, cipressi: per anni le erbacce avevano potuto
liberamente crescere ed inghiottire nella loro espansione ogni pianta
presente in quell’ampio terreno, nascondendo alla vista rare
meraviglie della botanica britannica di cui non ricordava neanche di
averne degli esemplari. Proprio da lei, nella sua vecchia villa nello
Scottyshire.
Ghignò al pensiero della vastità di piante che
era
riuscita a riportare alla luce: la Sprite sarebbe di certo impazzita di
gioia a quella vista.
A quel punto sentì svanire il sorriso dal viso,
sbatté
gli occhi diventati ormai asciutti, ed abbassò lo sguardo
alla
sua sinistra.
Il foglio dispiegato di pergamena era ancora là, faceva
sfoggia
di sé in bella vista, spavaldo, incurante dello sconquasso
che
era riuscito a creare con poche, semplici parole.
L’osservò con timore, come si potrebbe osservare
uno schiopodo sparacoda perfettamente adulto nella propria cucina.
Riflettendo su quanto poco simpatico sarebbe stato ritrovarsi uno
schiopodo sparacoda adulto e sicuramente arrabbiato nella propria
cucina, si alzò per posare la tazza nel lavandino.
Sospirando ed appoggiandosi al marmo del ripiano, scostò un
lato
della tendina della finestra, immergendo gli occhi ancora una volta in
quello spettacolo rosso autunnale.
Piccolo espediente per distrarre la mente.
Inutile.
Quando quasi un anno prima si era trasferita in quella villetta,
sperava di rinchiudercisi dentro per un lasso di tempo vicino ad una
decina d’anni. Almeno.
Avrebbe trascorso le sue giornate nella sua casetta accogliente,
ciondolando nella sua amatissima ed ormai fornita biblioteca per la
maggior parte del tempo; avrebbe curato da efficiente editor i futuri
libri che il Ghirigoro le commissionava, ed avrebbe gironzolato qua e
là per il suo appezzamento di terra, approfondendo
così i
suoi studi di erbologia e sperimentando nuove pozioni con le piante
raccolte nel suo laboratorio sotterraneo.
Niente incontri, niente approcci, niente confronto, nessuna
possibilità di fare conoscenze. Nessun pericolo, niente di
niente.
Decisamente la scelta migliore. Isolamento totale, soltanto lei e la
natura.
Tuttavia, non avrebbe mai pensato di poter ricevere una proposta come
quella che il giorno prima era arrivata fra il frusciare delle ali di
Leotordo ed il suo continuo stridere per la felicità di
esser
riuscito a portare la missiva tutta intera.
Da Londra alla sua ormai dimora c’era sicuramente un bel
po’ d’aria da attraversare.
Osservandolo, comodamente appollaiato su ciò che ormai era
divenuto il suo trespolo - la cima del frigorifero - si
annotò mentalmente di dargli una ricompensa.
E di fargli cambiare la scelta del nido.
Tanto, ormai, da quanto aveva potuto leggere sul piccolo pezzetto di
carta che aveva trovato legato alla zampa del gufetto, sarebbe stato
suo per il resto dei suoi giorni.
Forse avrebbe potuto portarlo con sé, sperando che evitasse
di
provocare gli altri gufi decisamente più grossi di lui.
Si fermò nell’atto di lavare la tazza.
Effettivamente, ammise, aveva già preso in modo inconscio la
sua decisione.
Si era sorpresa non poco, quando in allegato al pezzetto microscopico
di carta, aveva preso dal becco del piccolo assiolo la lettera.
Soprattutto perché nessuno sapeva dove si era trasferita.
Nessuno tranne le persone essenziali, ovviamente.
E chi aveva inviato quella lettera, non era stato decisamente informato
del suo trasferimento.
Le sue mani avevano tremato appena nello scorgere il sigillo impresso a
caldo nella ceralacca che univa i due lembi di pergamena; i suoi occhi
si erano leggermente aperti per la sorpresa mentre scorrevano quella
calligrafia fine ed elegante che aveva già letto per la
prima
volta il giorno del suo undicesimo compleanno.
Arrivata alla fine della lettera, l’aveva appoggiata sul
tavolo
senza una parola, e come un automa si era diretta alla mensola delle
emergenze posta sopra la cappa dei fornelli, per prepararsi il suo
amato tè nero.
Dopo tutto quel tempo…
Aveva la possibilità di tornare in quella che era stata la
sua casa per sette lunghi anni.
Hogwarts.
Ogni qualvolta quel nome le usciva dalle labbra, poteva assaporarne il
gusto dolce-amaro nella bocca, il gusto particolare che si sente
pensando a ciò che è stato.
Il gusto del passato.
Erano successe così tante cose da quando le alte ed
imponenti
facciate in pietra medievale l’avevano salutata, sparendo
dietro
gli alberi secolari mano a mano che la carrozza si allontanava, che non
sapeva cosa aspettarsi, non sapeva neanche immaginare cosa aspettarsi.
Una sua piccola parte, però, quella che in qualche modo era
rimasta tra quelle antiche e fredde mura, quella che si era
inspiegabilmente assopita da qualche tempo, ora bussava con insistenza
per farsi sentire, rammentandole che inconsciamente l’aveva
sempre sperato e che non era una possibilità così
remota
da escludere.
Soprattutto considerando il suo alto grado di preparazione.
Ma trovarsi realmente di fronte a quella possibilità su cui
si
era fermata, dovette ammettere, più volte a fantasticare,
proprio in quel periodo così sconquassato dai recenti
avvenimenti accaduti, proprio quando stava cercando di rimettere
insieme i pezzi della sua vita in un nuovo puzzle…beh,
quella
proposta era un problema.
O forse una soluzione.
Con un movimento improvviso, riprese il foglio e se lo
rigirò
fra le mani, pensierosa, sperando forse che potesse ispirarla. Si
sorprese così di notare un piccolo post scriptum
nell’angolo destro che prima le era sfuggito, probabilmente
sbalordita dalla notizia.
“ P.S.:
Sai bene quanto tu saresti ben accolta qualora scegliessi di accettare
la mia
proposta, cosa che, ti confesso, spero
vivamente.
Hogwarts sarà sempre
disponibile per te, Hermione.
Un abbraccio ed un sincero
augurio, qualunque sia la tua risposta,
Minerva "
Con un sospiro alzò lo sguardo davanti a sé, fino
ad incontrare il suo riflesso nel vetro della finestra.
Quello che le veniva restituito era l’immagine di una giovane
donna, dallo sguardo sempre un pò indecifrabile, dal profilo
sicuro, ed una malinconica tristezza che veniva a farle visita solo in
alcuni istanti.
Si rese allora finalmente, pienamente conto
dell’opportunità avuta.
Forse fu per il dolce e rassicurante tubare di Leotordo, forse per le
materne e sincere parole di Minerva che ancora le aleggiavano in testa,
forse per il pensiero di tutto quello che aveva passato e che stava
ancora passando, o forse fu proprio per tutto questo messo
assieme…
Decisa si diresse velocemente fuori dalla cucina, i capelli color miele
svolazzanti.
Lo stridio di Leotordo, indignato per il repentino cambiamento, la
seguì fino all’intimo salottino finemente arredato
da lei
stessa anni prima.
A grandi passi lo attraversò; prima che fosse troppo tardi
si
ricordò di saltare in tempo sul grande tappeto che ricopriva
gran parte del parquet scuro, ed evitò così di
inciampare
di nuovo sull’orlo invisibile.
Accanto alla nota per Leo, registrò di spostare quel dannato
tappeto: lavorato dalle sapienti mani dei folletti, era una chicca di
rarità grazie al prezioso pelo di Demiguise*
ed alle rare pelli di Lethifold*,
intrecciati a fili di Unicorno e tessuto, che rendevano come risultato
un tappeto molto simile ad un gigantesco mantello
dell’invisibilità.
Doveva soltanto capirne ancora l’utilità.
Dopo averlo sorpassato senza – sorprendentemente –
incespicamenti, entrò di filato nel suo studio personale,
cui si
accedeva tramite una porta posta accanto alla credenza del salottino;
accese il fuoco nel camino alla sua destra con un cenno impercettibile
della bacchetta e si accomodò così alla grande
scrivania
di mogano.
Febbrile cercò, tra le varie scartoffie che ingombravano la
scrivania, carta e penna mentre Leotordo faceva il suo ingresso con uno
stridio.
< < Non adesso Leo,
per favore. > >
Ansiosa aprì un cassetto, temendo seriamente di essere
rimasta a corto di pergamene pulite.
Un altro stridio.
< < Leo, dopo avrai
la tua ricompensa, aspetta solo un minuto. >
>
Trovati.
Immersa la penna nel calamaio, sicura, cominciò a
trascrivere in parole la sua scelta.
Con un ghigno un fugace pensiero le attraversò la mente: le
erbacce del giardino avrebbero presto ripreso la loro occupazione.
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Non ce la faceva più.
Stava correndo a
perdifiato da soli cinque minuti e già le faceva male la
milza.
Era passato un
po’ di tempo da
quando per la guerra contro Voldemort doveva correre così.
Non
c’era più abituata.
Ma questo non la fece
rallentare, non
vedeva l’ora di arrivare a casa per dare la bellissima
notizia
che aveva potuto appurare al Ministero, mentre a metà
mattina
firmava annoiata delle scartoffie alla sua scrivania; probabilmente Ron
non ne sarebbe stato entusiasta tanto quanto lei, ma sicuramente
avrebbe condiviso almeno in parte la sua felicità.
Girò
l’angolo, evitando
per un soffio di gettare a terra un uomo dall’aspetto
quantomeno
troppo eccentrico persino per un mago, e senza neanche scusarsi
continuò a galoppare, seguita da urla indignate.
Destra, sinistra, ancora
destra.
Non aveva neanche
pensato di smaterializzarsi direttamente a casa, tale era la sua
felicità e la sorpresa.
Eccola.
Finalmente
arrivò al
cancelletto in ferro battuto della graziosa casetta coloniale; lo
aprì di colpo e si fiondò dentro casa sfondando
quasi la
porta.
< < Signora, ben torn… >
>
Non si
premurò neanche di
salutare Winky all’ingresso o di chiederle dove fosse lui;
non si
premurò di chiedere il motivo di quel velo di paura che
avrebbe
sicuramente scorto nell’elfa se si fosse solo fermata un
attimo.
Semplicemente corse su
per le scale,
facendo rimbombare i suoi passi frettolosi fino alla sua camera da
letto, fino alla loro camera da letto.
La aprì di
scatto.
< < Amore, non ci crederai mai,
è successa una cosa bell…issima… >
>
Le parole le morirono in
gola, alla vista che aveva davanti.
< < Hermione… >
>
Un sussurro, una
supplica,
uscì dalle labbra di Ron, spaparanzato a letto,
presumibilmente
nudo, con accomodata sul suo bacino a darle le spalle una donna dai
capelli scuri.
La donna si
girò di scatto a
quel nome e guardandola spaventata si sistemò affianco a
lui,
coprendosi con le lenzuola, in un gesto di pudore che poco si sposava
con ciò che molto probabilmente aveva fatto nelle ultime ore.
< < Ron…>
>
< < Herm…pensavo fosse
Winky… >
>
Non riusciva
più a vedere
nulla, né lui né lei, né quella che
era stata la
loro camera da letto per anni. Non sentiva più nulla,
né
le suppliche di Ronald, né lo sguardo timoroso della donna,
né il battito furioso del suo cuore che faceva un gran male
al
costato.
Dopo aver direttamente
guardato
quegli occhi azzurri, forse per l’ultima volta, si
girò di
scatto e fece all’inverso il corridoio, giù per le
scale.
Non capiva di chi erano
quei singhiozzi, li sentiva troppo lontani, eppure c’erano.
Passò davanti
a Winky, ancora
ferma all’ingresso, e non seppe come ma riuscì a
vedere la
maniglia della porta abbastanza da poterla afferrare ed uscire
così da quella casa, da quella vita, dalla vita di lui.
Si
alzò di colpo a sedere, gli occhi spalancati, il respiro
corto ed i capelli scarmigliati sul viso.
Una mano corse al cuore, l’altra a scostare i
boccoli dagli occhi.
L’aveva sognato di nuovo.
Dopo ancora quasi un anno l’aveva sognato di nuovo.
Non sapeva se essere più sorpresa per quello che
aveva sognato o per il fatto di averlo sognato.
Sospirò e con movimenti meccanici si
districò dal
groviglio di cachemire bronzo che le si era avvolto al bacino per il
suo troppo muoversi, e si sedette sul bordo del grande letto a
baldacchino.
Guardò l’ora sulla sua sveglia sopra il
comodino e con un gemito vide che erano già le 11 e 34 del
mattino.
Il sole era infatti ormai quasi allo zenit, ed i suoi caldi
raggi
attraversavano indisturbati la finestra al suo fianco, colpendola
dolcemente in viso.
Erano mesi che non dormiva così tanto.
Effettivamente, pensò, la notte passata era
rimasta sveglia
fino a tardi, seduta sulla sua poltrona in pelle davanti al fuoco
scoppiettante, nella sua piccola ma fornita biblioteca adiacente la
camera, a pensare e ripensare a quali libri le sarebbero stati utili
per il compito che avrebbe effettuato di lì a pochi giorni,
e
quali, invece, le avrebbero solo appesantito la borsa.
E così non si era resa conto dello scorrere del
tempo, arrivando a coricarsi solo alle due del mattino.
Si alzò con uno sbadiglio, e, rabbrividendo per
il cambio
improvviso di temperatura, resistette all’impulso di
coricarsi di
nuovo sotto le calde coperte.
Tuttavia, il rumore che sentì subito dopo le fece
dimenticare immediatamente il senso di intorpidimento che aveva.
Il suono inconfondibile di chi entra casa senza essere stato
invitato le era giunto chiaro alle orecchie.
Si stupì del fatto che le protezioni poste da lei
attorno
alla dimora non avessero incominciato a suonare, facendo da allarme.
Questo significava che il suo ladro era un mago.
Ed un mago molto esperto, per giunta.
Prese subito la bacchetta da sotto il cuscino –
certe
abitudini non sarebbero passate così in fretta –
e, con i
sensi all’erta, si diresse velocemente ma senza far rumore
fuori
dalla porta della sua camera, incurante del soffio gelido che la
investì attraverso la sottile camicia da notte, giunta nel
pianerottolo.
Subito si appoggiò la punta della bacchetta sulla
testa, e
si applicò un incantesimo di disillusione: Regola numero 7
barra
2 del “Codice del perfetto Auror”.
Se l’avesse sentita parlare così il suo
ex-capo, Schecklebolt, le avrebbe stretto la mano.
Gettò quindi uno sguardo al corridoio in
penombra, e vide
tutto al suo posto: i mobili, i sopramobili e le porte chiuse.
Esattamente come aveva lasciato tutto il giorno prima.
Si mosse allora a sinistra, avvicinandosi alla ringhiera in
legno
delle scale, che continuava il percorso del muro di fronte, e si
azzardò a gettare uno sguardo al di sotto.
Con sommo dispiacere per sé, notò la
porta
dell’ingresso appena socchiusa ed il tappetino con su scritto
“Welcome” girato di 90 gradi.
Sì. Decisamente qualcuno era entrato a farle una
visita non gradita.
Dopo aver applicato un incantesimo di silenzio alle scale,
cominciò a scenderle in fretta.
Giunta al piano di sotto, non molto lontano da
dov’era,
sentì dei passi allontanarsi, e fermandosi lì,
con
malcelata calma, chiuse gli occhi, mentre temeva quasi che il
tamburellare incessante del cuore l’avrebbe fatta scoprire.
Subito li riaprì.
Sentì i passi tornare indietro, e mentre cercava
di
prevedere da dove sarebbe apparso il suo caro ladro, un altro rumore le
giunse all’orecchio, quasi provenisse dal salottino posto in
fondo all’ingresso alla sua sinistra. Provò a
concentrarsi.
Era sembrato…sì, sembrava una sorta di
tonfo seguito da un borbottio sconnesso.
Scivolò allora piano rasente al muro, e
continuò fino a raggiungere la porta.
Quando lo fece, poté notare che questa rimaneva
socchiusa,
chiaro segno della presenza di qualcuno all’interno della
stanza.
Prima di andare a dormire aveva l’abitudine di
chiudere tutte le porte.
Trovando difficoltà ad inghiottire
sbirciò tra lo
stipite e la porta, e, tra la poca luce che filtrava attraverso le
tende abbassate, riuscì a scorgere solo il lembo di un
mantello
nero a terra.
Prendendo un grande respiro e bacchetta sguainata davanti a
sé, spinse la porta di scatto.
< < Stupefi…! >
>
Le
parole le morirono in gola di fronte all’ironia della scena
che le si parava davanti.
Ecco spiegato il mantello nero come la pece.
Sdraiato sulla pancia, lungo disteso al centro della stanza tra il
divano ed il tavolo, aggrovigliato dai piedi al busto nel tappeto di
Demiguise, ed i capelli lunghi e neri, più del suo mantello,
sul
viso, stava Severus Snape.
Al suo ingresso improvviso aveva alzato di scatto gli occhi, nerissimi,
sorpreso poi di non vedere altro che l’ingresso oltre la
porta.
Prima che potesse recuperare la bacchetta, scivolata alla sua destra, e
sferrarle uno schiantesimo la cui potenza l’avrebbe tenuta
molto
probabilmente per qualche anno al San Mungo (anche se il fatto che non
l’avesse ancora presa le suggeriva che era davvero
imbrigliato),
con un cenno di bacchetta sciolse l’incantesimo di
disillusione
precedentemente applicato e lo guardò, con un misto di poca
pietà e di grande derisione.
< < Buongiorno, Professor
Snape. > >
Lui la
fissò sbalordito, ancora supino sul tappeto, apparentemente
incapace di proferir parola alcuna.
Quella
scena non l’avrebbe dimenticata neanche con un Oblivion.
§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§
Era scocciato.
Entrò
come una furia nera nei suoi quartieri, tra lo svolazzare del suo
mantello.
Era
tremendamente ed insopportabilmente scocciato.
Chiuse
la porta alle sue spalle talmente forte che avrebbe potuto scardinarla.
A
grandi passi
raggiunse la sua scrivania, e dopo averla aggirata si lasciò
cadere sulla sedia dall’alto ed austero schienale.
Con
un sospiro si
portò una mano al viso, prendendo la base del naso tra
l’indice ed il pollice, in un gesto che molto spesso
l’aveva calmato.
Non
bastava il fatto
che quella vecchia megera gli avesse affibbiato ad un mese
dall’inizio dell’anno scolastico il compito di
portare
avanti per un pò anche le lezioni di Trasfigurazione, oltre
a
quelle di Pozioni, eh no!
Come
se non gli
fossero già abbondantemente sufficienti quelle zucche vuote
che
lui aveva il compito gravoso di tentare, inutilmente, di riempire con i
suoi grandi sforzi, ne aveva altre!
In
aggiunta, non
soddisfatta dell’enorme mole di lavoro affidatogli
tranquillamente un mese prima, con quei suoi modi spicci e secchi
– che non erano cambiati minimamente da quando era divenuta
Preside – adesso questo!
Non
aveva neanche interpellato altri professori, prima di chiamarlo.
Aveva
già
deciso tutto, probabilmente, ed aveva già deciso anche di
renderlo partecipe della sua decisione solo all’ultimo
secondo,
di modo da metterlo di fronte al fatto compiuto e di modo che non
potesse obbiettare.
Indice
e pollice strinsero maggiormente la base del naso.
<
< Credo sia una buona idea, inviare te,
Severus. > >,
gli aveva detto, quasi fosse una missiva, guardandolo da sopra gli
occhiali quadrati, seduta nella sedia dietro la scrivania del ben noto
ufficio del Preside.
Probabilmente aveva notato l’indurirsi della sua espressione
ed
aveva interpretato nel modo corretto il suo silenzio, perché
subitamente proseguì con un tono più dolce, quasi
materno, ed una strana espressione negli occhi ormai segnati dalla
vecchiaia e dalla stanchezza.
< <
Sai che è necessario. Potrebbe avere
bisogno di aiuto, e non c’è persona di cui mi fidi
più di quanto mi fidi di te. >
>
Ecco.
Quello era stato un colpo basso.
Minerva sapeva bene dove andare a far leva con lui.
< <
Inoltre, > >,
aveva proseguito alzando la voce e tornando ai suoi consueti modi
aridi, < <
trovo sia assai saggio e rispettoso che sia proprio l’attuale
insegnante di Trasfigurazione a dare il benvenuto a quello nuovo. >
> , aveva
concluso, appoggiandosi all’alto schienale ed attendendo un
suo cenno.
Aveva notato allora che il soggetto del grande quadro posto dietro la
donna gli aveva fatto un cenno d’assenso in segno
d’approvazione, per poi sorridergli amabilmente con gli occhi
ilari, da dietro le inconfondibili lenti a mezzaluna.
Avrebbe dovuto immaginarlo.
Quei due pazzi erano d’accordo.
Era tornato allora a guardare Minerva.
A quel punto, aveva sentito una gran voglia di rifiutarsi di adempiere
a quella ulteriore seccatura.
Formulato quel pensiero, la sua mente era corsa ad un anno prima.
Non sapeva ancora cosa provare esattamente, riguardo agli avvenimenti
che erano successi.
Forse avrebbe dovuto provare sollievo, forse gratitudine.
Tutti coloro che avevano vissuto abbastanza da superare i tempi oscuri,
tutti quelli che quindi avevano visto la storia con i loro occhi, ed
anche tutti coloro che, fortunati, erano nati dopo e ne erano venuti a
conoscenza solo dai libri e dai racconti dei genitori, tutti, si
aspettavano che fosse proprio quello lo stato in cui si sarebbe dovuto
trovare.
Si aspettavano grandi cerimonie da parte sua, e grandi discorsi strappa
lacrime.
Ma erano rimasti delusi, naturalmente.
Con trepidazione, chi aveva avuto la possibilità di vederlo
cercava di notare il barlume di un sorriso, sperava di vedere
un’aria di riconoscenza sul suo volto sempre imperscrutabile
e
granitico.
Riconoscenza.
Riconoscenza per aver potuto stringere fra le mani una seconda
possibilità di vita; riconoscenza verso quella donna dai
capelli
sempre stretti in una severa crocchia, che nel suo ufficio
l’aveva fissato immobile, in attesa, quasi riuscisse a
sentire le
sue elucubrazioni.
Forse, ancora, avrebbe dovuto provare felicità.
Quasi non era riuscito a trattenere uno sbuffo di scherno, a quel
pensiero.
Cosa che si lasciò sfuggire adesso, adesso che era chiuso
nel suo studio, adesso che era solo.
La felicità gli era stata preclusa da molto tempo, ormai.
Non sentiva sollievo, non gratitudine, né riconoscenza, e
tanto
meno provava od aveva provato anche per un solo istante
felicità.
La verità era che non sentiva proprio niente.
La verità, era che avrebbe volentieri gridato a tutti quegli
sciacalli, che, avidi, aspettavano un suo cambiamento, che erano tutti
dei ritardati e dei pazzi.
Ritardati, perché non avevano ancora compreso
l’entità delle loro scelte e le ripercussioni di
tali
scelte sulla sua misera vita.
Pazzi, perché solo dei pazzi potevano realmente credere che
una
seconda vita - a lui, proprio a lui! - avrebbe potuto anche solo
lontanamente far piacere.
Nonostante questo, ripresosi, in un gesto meccanico si era stretto i
lembi del mantello nero attorno al corpo, ed aveva piegato
impercettibilmente la testa, in un chiaro segno di assenso.
La donna allora l’aveva guardato in uno strano modo, per poi
chinarsi assorta su dei fogli della scrivania.
A quel punto non avevano più niente da dirsi, e
così si era diretto veloce verso la porta.
Proprio quando stava per aprirla la voce della donna l’aveva
bloccato.
< <
Allora ti consiglio di prepararti subito, Severus;
vorrei che andassi proprio stamattina, dato che da oggi sono iniziate
le vacanze di Halloween, ed hai, perciò, il tempo necessario
a
disposizione. > >
Era sicuro che se si fosse girato avrebbe visto il suo sguardo
accendersi ilare.
Dopo aver ascoltato in silenzio, e trattenendosi dal sospirare, aveva
abbassato la maniglia per uscire da quel calvario.
Ma evidentemente la megera non aveva ancora sparato tutti i colpi in
canna.
< < Ed
inoltre, > >
ormai stava per attraversare l’uscio <
< ti
consiglierei vivamente di portati dietro qualche ricambio. >
>
Si era fermato di botto.
E girandosi lentamente su se stesso, aveva leggermente inarcato un
sopraciglio, attendendo chiarimenti.
Lei aveva abbandonato le scartoffie, e lo aveva osservato con lo stesso
sguardo di poco prima, forse in attesa che esplodesse.
< <
Qualche ricambio, Minerva…? >
>
La sua voce, sempre inflessibile, aveva mostrato un piccolo
tentennamento.
A quelle parole gli occhi della strega si erano fatti ancora
più strani.
< <
Esatto, Severus. Qualche ricambio. Ed aggiungerei
anche qualche tua pozione se fossi in te, e se ti può far
sentire più sicuro avere una piccola scorta di emergenza.
Non si
sa mai. > >
Senza accorgersene i suoi piedi si erano mossi un po’ in
avanti,
mentre il cervello stava cominciando a registrare il probabile
significato di quella frase.
< < E
perché mai, Preside, dovrei portarmi
appresso armi e bagagli oltre alla sola cosa sufficiente per un
“compito” – aveva accompagnato le parole
con una nota
sarcastica e con un gesto della mano sinistra – del genere,
ossia
la bacchetta? > >
Sentiva una strana sensazione, uno strano formicolio alla base della
nuca, che non gli presagiva nulla di buono.
< < Perché
non credo, Severus, che alla
Signorina Granger farebbe piacere dover sentire il suo coinquilino che
puzza per tre giorni. >
>
A quelle parole si era dovuto aggrappare saldamente alla maniglia,
quasi caricando tutto il suo peso su quel dannato pezzo di metallo.
< <
Granger…coinquilino…tre giorni…? >
>. Per la
prima volta dopo tanto tempo, aveva farfugliato.
< <
Che cosa vorresti dire, Minerva…? >
>, le aveva
chiesto lanciando fulmini con lo sguardo più nero del solito.
Lei per tutta risposta, era tornata a dedicare la propria attenzione
alle scartoffie.
< <
Esattamente ciò che ho detto, Severus.
Passerai tre giorni con la Signorina Granger, durante i quali,
approfittando delle vacanze a disposizione, fornirai con molta calma e pazienza le
direttive essenziali all’insegnamento, se vedrai che
sarà necessario. > >
Aveva parlato piano, con il tono che si usa per spiegare ad un bambino
disubbidiente che, no, non si gioca con le forbici.
Apparentemente indifferente alla situazione, aveva continuato a fare
scorrere la penna su delle pergamene.
< < Io
credo proprio che non ce ne sarà alcun bisogno. >
>, aveva
ringhiato di rimando.
< < A
quanto mi è stato riferito, la Granger ha
alle spalle abbastanza esperienza da non dover necessitare del mio
intervento. > >
, aveva scandito a denti stretti, mentre le
nocche delle mani diventavano via via più bianche.
< <
Suppongo di no, è vero, ma credo che un
ripasso non solo su Trasfigurazione, per appurare le sue
qualità
didattiche, ma anche in generale su un pò tutte le materie
strettamente collegate con essa, quali Erbologia, Difesa contro le Arti
Oscure, ed in primis Pozioni, sarebbe decisamente auspicabile. Sai
quanto me, Severus, che i professori di Hogwarts devono avere una
conoscenza che spazi in tutti campi, e che non si cristallizzi solo
sulla materia d’interesse. >
>
Avrebbe voluto davvero prenderle quella piuma e ficcargliela dritta in
gola.
< < Ti
ricordo, inoltre, che puoi sentirti libero di
prendere anche un giorno in più, ma ti pregherei di tornare
qui
insieme a lei almeno il giorno prima la festa di Halloween, se non due,
in modo che la nuova professoressa possa familiarizzare con il proprio
ruolo e conoscere i membri del corpo insegnante nuovi per lei. >
>
Si era concessa allora una pausa per alzare gli occhi dalla scrivania e
– l’avrebbe giurato – solo per potersi
godere lo
spettacolo di lui, livido di rabbia masticata tra i denti quasi
digrignanti, e le sopraciglia talmente aggrottate da far sembrare di
avere un singolo, lungo monociglio.
< < Ma
suppongo di poter contare sulla tua, come dire, esigenza
di puntualità. > >
, lo aveva detto con un tale brillio negli occhi castani da poter far
invidia a Silente stesso.
Così, gettandogli un ultimo sguardo, si era ritirata dietro
la Gazzetta del Profeta.
Questo era troppo.
< <
Minerva… > >,
aveva ringhiato, non intenzionato a sottostare a
quell’insulso incarico.
Lei, per tutta risposta, aveva fatto apparire gli occhi da sopra il
giornale, per guardarlo con le sopraciglia alzate, come se si fosse
dimenticata di qualcosa.
< <
Ah, sì. Buona permanenza, Severus. >
>
Detto questo, indifferente, si era rituffata di nuovo nel quotidiano.
Ed ora se ne stava lì, seduto alla sua scrivania a sistemare
le ultime cose, rodendo dalla rabbia.
Maledetta megera.
Non gli aveva dato neanche un preavviso di qualche ora, incastrandolo
così in quel seccante compito.
Era tutto pronto come sempre.
Aveva preparato la sua settimana in modo da avere sette lunghi giorni
di relax, lontano da mocciosi dalle teste di legno: si sarebbe alzato
verso le nove, piuttosto che alle sette e mezza del mattino, e dopo
aver fatto colazione - fingendosi interessato alle vuote conversazioni
dei suoi colleghi, e sopportando la vista di quei marmocchi petulanti -
si sarebbe rintanato nelle sue stanze per l’intero giorno a
preparare alcune pozioni che aveva dovuto accantonare per dare
precedenza al lavoro.
Si sarebbe staccato dal calderone o dai suoi amati libri solo per i
pasti, e poi, alle undici di notte, sarebbe andato a dormire.
Una vita tranquilla, insomma.
Ed invece no.
I suoi piani migliori dovevano sempre essere sventati, in qualche modo.
Chissà cosa diavolo era successo a quella sciocca ragazzina,
perché aspettasse così tanto per rispondere alla
lettera
di Minerva.
Ed inoltre, qualora non le fosse successo nulla, doveva farle pure da
“professore”.
Di nuovo.
Sospirò e spostò la mano che teneva il naso, per
andare a coprire gli occhi stanchi.
Ma chi voleva prendere in giro.
Sapeva benissimo che la causa della sua reticenza non era solo quella.
Non poteva più nasconderlo.
Non a se stesso, almeno.
Incontrandola di persona, senza nessuno attorno, lo scontro sarebbe
stato inevitabile, in un modo o nell’altro.
Quelle domande che da mesi e mesi gli frullavano in testa, stavano
divenendo sempre più pressanti ed insistenti.
Di solito le allontanava come si scacciano le mosche.
Ma poi quelle, quando meno se lo aspettava, quando abbassava la
guardia, quando era solo, nei suoi quartieri, lontano dal vociare degli
studenti, gli ritornavano in mente, a tradimento.
Era combattuto su cosa decidere.
Voleva avere delle risposte, doveva se voleva chiudere definitivamente
con il passato.
Ed il problema era quello, però.
Perché al contempo non poteva riuscirci.
O forse non voleva.
Non poteva sperare seriamente di vivere davvero.
Il suo passato, ciò che aveva fatto, le scelte sbagliate che
aveva preso, che avevano segnato molte persone, non solo lui, gli
avevano macchiato l’anima, la coscienza, il cuore.
In modo indelebile.
Non poteva anelare a poter vivere la vita come tutte le persone ormai
avevano già incominciato a fare, dopo la sconfitta di quel
pazzo
degenerato dieci anni prima.
La sua mente, il suo cuore, il suo stesso corpo erano troppo stanchi.
Tutti e tre portavano i segni delle sue decisioni.
Ogni volta che si guardava allo specchio, ogni singolo giorno della sua
miserevole vita, vedeva sulla sua pelle i segni del passaggio di una
vita sotto la sua bacchetta.
Ogni singola cicatrice gli rammentava quante giovani e vecchie
esistenze gli fossero parse così insignificanti e vuote da
metterci la parola fine.
Non poteva sperare davvero.
La speranza è per chi ha qualcosa per cui vivere.
Quel suo qualcosa era morto con Voldemort.
Il suo unico appiglio alla vita, ciò che per anni lo aveva
tenuto in piedi, evitando che cadesse in ginocchio; ciò che
gli
aveva dato la forza di guardare dritto in quelle iridi rosse il Signore
Oscuro e che gli aveva fatto sopportare tutte le cruciatus che
l’avevano investito con ferocia, era svanito quando Potter li
aveva liberati tutti.
Ora, non aveva più nulla per cui lottare, per cui alzarsi la
mattina, per cui mangiare, per cui insegnare, per cui voltare pagina.
Era costretto a vivere di nuovo una vita a metà, una vita
spezzata.
L’unico lembo che univa i due blocchi di allora, era Lily.
Era la promessa che aveva fatto, piangente, sulla sua tomba il giorno
in cui tutto cambiò.
Era la vita di Harry Potter.
Aveva portato a termine il suo compito brillantemente, passando
coscientemente persino sulla vita dell’unico uomo che avesse
mai
avuto un significato per lui, dell’unico uomo che avesse mai
avuto
fiducia in lui, che l’avesse guardato come un figlio.
E poi era morto.
Sì.
E non aveva desiderato altro per tutti quei diciassette, lunghi anni.
Ma non avevano voluto lasciarlo nella pace che aveva tanto bramato, non
avevano voluto che rimanesse in quello stato di perenne ed eterno oblio
di sé e del mondo che il fato, generoso per una sola volta,
gli
aveva voluto donare.
No, bastardi.
Avevano voluto manovrare i naturali eventi, piegarli al loro egoistico
volere, fare un patto con la morte, stringere le sue mani nere e
putrefatte, e prelevarlo da quel riposo nel nulla, per riportalo alla
fatica del tutto, senza che lui lo volesse.
Ed una di questi maledetti pazzi che l’avevano voluto
strappare
da quell’oscurità così confortante era
stata lei.
Proprio lei.
Senza accorgersene strinse le mani attorno ai braccioli, fino a
conficcare le unghie macchiate dalle pozioni
nell’imbottitura,
fino a non far passare più sangue nelle dita.
Si era sempre chiesto il perché, più volte dopo
aver
compreso ciò che era successo, dopo aver messo a fuoco la
situazione grazie anche alle parole di Minerva.
Eppure nonostante i lunghi discorsi e le lunghe risposte che la
Preside, paziente, gli aveva dato alle sue domande, non riusciva a
darsi una spiegazione razionale al suo intervento in quella scelta.
Perché tra tutte le persone nel mondo magico, sicuramente
molto
più preparate di lei, e sicuramente molto più
desiderose
di poter partecipare ad un procedimento così unico, di poter
dire di essere stato importante per la
“rimpatriata” del
grande ed eroico Severus Snape, perché proprio lei aveva
insistito così tanto, come gli aveva detto Minerva?
Si era tormentato per questo.
Voleva capire.
Con un gesto stanco si spostò quella cortina nera dal viso.
Sospirando si massaggiò gli occhi con due dita, e si
alzò facendo strisciare la sedia sul pavimento.
La prima cosa che doveva fare, comunque, era compiere
l’incarico affidatogli.
Poi…sarebbe arrivato anche il momento del poi.
Proprio in quell’istante sentì un leggero
“poff”, proveniente dal di fuori della porta del
suo
studio, seguito da un veloce bussare.
Felice di poter riversare sulla malcapitata vittima tutta la sua
frustazione e pronto ad assalire chiunque avesse avuto intenzione di
disturbarlo in un momento in cui era più nero del solito, si
diresse veloce alla porta e la spalancò di colpo, per poi
fermarsi di fronte a quella vista.
Fuori dai suoi quartieri, in piedi sulle gambette verdi e scheletriche,
con i grandi occhi blu fissi su di lui, stava un elfo domestico con un
pezzetto di carta tra le piccole mani ed in mezzo a quelle che potevano
benissimo essere valigie.
A quelle che, precisamente, erano le
sue valigie.
Sentendo il suo umore raggiungere i meno 100, si rivolse
all’elfo con il viso che esprimeva una calma mortale.
< < Cosa dovrebbero
essere questi, di grazia? >
>, la voce con cui lo
disse, in effetti, era alquanto sepolcrale.
<
< Prof-fessor Snape, signore, sono i
suoi b-bagagli, signore… >
>,
gli occhi della creatura raggiunsero grandezze esorbitanti, fino ad
assomigliare a due pluffe, forse perché avevano notato che
il
suo sopraciglio era scattato subito in alto, a formare un arco poco
rassicurante.
< < La
Preside McG-Granitt ha inviato B-Blinky a
portargliele perfettamente preparate per l’occorrenza,
così ha detto a Blinky,si-signore, ed ha a-anche detto che
ha
sosp-peso momentaneamente le protezioni per farle u-usare la
smaterializzazione, signore…
> > .
La vena della tempia cominciò a pulsare vistosa, e le labbra
divennero una sola linea austera.
Visto che continuava a rimanere zitto e fermo e si limitava ad
osservare la creatura, - perché se avesse parlato sarebbe
stato
solo per scagliare urlando un Avada Kedavra in direzione
dell’insetto -, l’elfo-Blinky cominciò a
tremare
sugli stecchini instabili che si ritrovava per gambe.
A quel punto, pensando che non sarebbe stato piacevole ricevere un
richiamo dalla megera per aver ucciso un elfo con un infarto, decise di
mandarlo via, per il suo bene.
< <
Bene… > >
L’elfo si rilassò.
< <
ORA SPARISCI! > >
urlò con sguardo maniacale.
Terrorizzato, l’elfo-Blinky si girò a sinistra
lanciando
per aria il pezzetto di carta, e si dileguò correndo per i
sotterranei, urlando qualcosa su “questo non era previsto
nelle
mansioni”, e lasciando armi e bagagli ai suoi piedi.
Il fatto che non si fosse smaterializzato gli suggeriva che
probabilmente l’aveva davvero spaventato.
Riluttante, notò il pezzo di carta a terra e lo
afferrò.
“ 161, Road Phidiana, Scottyshire. Anche se sei certamente un
grande mago,
non sei altrettanto certamente un indovino, perciò non
potresti raggiungerla senza indirizzo.
Ancora buona permanenza,
Minerva”
L’accartocciò
fremente per poi gettarlo a terra, e, con un gesto stizzito, tolse la
bacchetta dall’interno della veste, puntandola verso le
valigie,
e spostandosi di lato, per farle levitare all’interno del suo
studio.
Seguendole
le portò al centro, sul grande tappeto.
Controllato
che tutto
fosse al suo posto, puntò la bacchetta dietro di
sé,
sulla porta, e le applicò un incantesimo di protezione,
qualora
qualche impavido moccioso avesse voluto fare una visita ai suoi
quartieri.
Fatto
ciò, la infilò nella veste e prese le valigie
nelle mani.
Lanciò
un
ultimo sguardo al proprio studio circolare, sconsolato per le sfumate
vacanze, e prendendo un bel respiro roteò su se stesso,
pensando
che quelli che stava andando a passare sarebbero stati giorni lunghi e
difficili.
Note
dell'autore:
- Mathesis: l'arte combinatoria,
così Leibniz chiamava la Mathesis Universalis,
cioè lo
studio finalizzato alla scoperta dei segreti della natura. Il concetto
si basa sul pensiero del geniale filosofo catalano Raimondo Lullo, che
immaginò un meccanismo composto da cerchi concentrici,
ognuno
dei quali avente un movimento rotatorio indipendente dall'altro. Il
confronto, il rapporto, l'accostamento tra lettere e simboli contenuti
nei cerchi rotanti doveva servire alla soluzione dei problemi ed
all'espansione de sapere; da ciò infatti la traduzione in
"approfondimento, conoscenza". Qui, da me, naturalmente viene intesa in
una accezione più meramente sentimentale ed introspettica.
Qui,
la Mathesis vuole essere processo di apprendimento e di conoscenza di
sè, dei propri desideri e limiti, e conseguente accettazione
degli stessi. Vuole esprimere un desiderio struggente (uno "streben",
romanticamente parlando in tedesco) da parte dei protagonisti di
conoscersi, di conoscere gli altri attraverso loro stessi e di accettare
i propri limiti, i propri errori e la natura dei propri desideri. E
come nella concezione originaria l'accostamento di determinate lettere
con determinati simboli dava un determinato risultato e significato che
permetteva di ampliare la conoscenza ed il sapere, anche qui
l'accostamento di determinati simboli ed indizi da parte del
personaggio di Severus Snape forse ci darà una visione di
sé che ci consentirà di capirlo meglio e di
conoscerlo.
Questo perchè vedo Severus Snape un pò come un
enigma,
come una sorta di criptex che contiene al suo interno il segreto della
sua persona, e, come nel criptex, solo allineando tra loro le lettere
giuste, nella giusta sequenza, si potrà aprire l'enigma e
scoprire cosa c'è al suo interno.
- * Demiguise:
Il
Demiguise si incontra in Estremo Oriente, anche se solo con gran
difficoltà, perché è in grado di
rendersi
invisibile quando minacciato e può essere visto solo da
maghi
abili nel catturarlo. Il Demiguise è una bestia erbivora
pacifica, simile nell'aspetto a un grosso scimmione, con grandi occhi
neri e tristi molto spesso celati dal pelo. Tutto il corpo è
ricoperto di pelo lungo, sottile, setoso, argenteo. Alle pelli di
Demiguise viene attribuito un gran valore perché il pelo
può essere filato per fare Mantelli
dell'Invisibilità.
- * Lethifold:
Noto
anche come Velo Vivente, il Lethifold è per fortuna una
creatura
rara diffusa unicamente nei climi tropicali. Assomiglia a un mantello
nero dello spessore di oltre un centimetro (più spesso se di
recente ha ucciso e digerito la vittima) che scivola sul suolo di
notte. Tramite il resoconto del mago Flavius Belby, che ebbe la fortuna
di sopravvivere, sappiamo che in genere il Velo Vivente aggredisce chi
dorme, perciò le sue vittime hanno di rado la
possibilità
di usare qualsivoglia magia contro di esso. Una volta che la sua preda
è stata soffocata con successo, il Lethifold la digerisce
lì stante, nel suo letto. Poi abbandona la casa appena
più spesso e grasso di prima, senza lasciare alcuna traccia
di
sé o della vittima.
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Capitolo 2 *** Occursus ***
Mathesis
Occursus
( Incontro )
Con un
movimento elegante continuò a girare su sé
stesso, con in mano le valigie che non smettevano di sbatacchiargli
contro le ginocchia. Quando finalmente il movimento a trottola
cessò, si arrischiò ad aprire gli occhi tenuti
chiusi per tutto il tempo della smaterializzazione.
Se non avesse passato la maggior parte della sua vita a reprimere le
sue emozioni, avrebbe certamente esclamato qualcosa.
Tuttavia l’unica cosa che fece fu dischiudere leggermente le
labbra sottili per la sorpresa, ed accigliarsi ancor più del
consueto per la rabbia.
Ciò che gli si parava davanti era a dir poco esasperante.
Desolazione.
Solo e soltanto desolazione.
Si aspettava di trovare delle villette a schiera, separate da qualche
ettaro di terreno verdeggiante e rigoglioso.
Il tipico paesaggio che si poteva scorgere nelle campagne britanniche.
Beh.
Il terreno verdeggiante e rigoglioso c’era.
La cosa che stonava era che davanti a sé c’era solo terreno
verdeggiante e rigoglioso.
Nessuna casetta stile coloniale, o villetta che fosse.
Nessuna casupola, baracca di fango e foglie di banano o
quant’altro di più rudimentale e selvaggio che
potesse testimoniare la ben che minima parvenza di presenza umana.
Guardò così alla sua sinistra: strada asfaltata.
Guardò allora a destra: ancora strada asfaltata.
Facendo ciò notò quindi di essere finito
esattamente al centro della carreggiata di una strada di cui non
riusciva a vedere la fine.
Temeva a girarsi, perché l’ultima sua speranza era
in ciò che avrebbe potuto trovare dietro di sé.
Molto lentamente spostò i piedi, fino a trovarsi davanti lo
stesso identico paesaggio che ora era alle sue spalle: miglia e miglia
di erba ancora fresca dalla brina mattutina si stagliavano davanti ai
suoi occhi, illuminate dalla luce del sole vicino allo zenit; ettari ed
ettari di terreno apparentemente molto fertile, rigoglioso,
spumeggiante, vivo.
I finissimi steli d’erba si muovevano all’unisono
mossi da una brezza leggera, ballavano di fronte a lui in una danza
iptonica, lenti ed armoniosi, fragili ed in sincronia, come una
moltitudine immensa di eleganti ballerini dipinti di verde.
Il vento li muoveva piano, li appiattiva: prima a destra, poi a
sinistra, poi su e giù.
Pareva il manto immenso di un gigante addormentato, coricato sulla
schiena, ed il muoversi dell’erba sembrava il suo lento
respirare.
Il fulgido paesaggio andava poi ad abbracciarsi a metà della
sua visuale ad un cielo di un meraviglioso azzurro chiaro, occupato
solo da qualche banco di nuvolette, al cui centro, esattamente sopra la
sua testa, si stagliava febbricitante di vita il sole, i cui dolci
raggi gli colpivano piano il volto.
Tutto appariva armonioso.
In mezzo a tutto quel luccicante verde e blu, l’unico puntino
oscuro e solitario era lui.
I suoi capelli neri vennero mossi da un alito di vento leggero, ed un
odore di terra bagnata e di foglie gli riempì violentemente
le narici, inondandolo di vita.
Avrebbe detto che quello era un posto magnifico, paradisiaco quasi.
Se non fosse stato per il piccolissimo particolare che lui non era
andato lì per farsi un bel pic-nic solitario e saltellare
tra varie giravolte qua e là nell’erba alta, o per
discorrere sulle meraviglie del creato, cose che avrebbe certamente
fatto Albus.
No.
Lui era lì per poter fare un maledettissimo sopralluogo in
una stramaledettissima casa che non c’era.
Nulla! Niente di niente! Solo erba.
L’erba è bella, certo, come dissentire, ma solo
quando non è l’unica cosa che
c’è per chissà quanti chilometri.
Avrebbe tanto voluto prendersi la base del naso tra l’indice
ed il pollice…ma le dita erano impegnate a tenere quelle
stramaledettissime valigie.
Chiuse gli occhi e prendendo un bel respiro provò a
calmarsi, facendo il punto della situazione.
Niente indice e pollice.
Niente casette, villette o baracche che fossero.
Solo una lunga, lunghissima, interminabile strada.
Bene.
Non era quindi in una situazione definibile
“piacevole”.
Non riusciva a capire.
Minerva gli aveva dato l’indirizzo, era perciò da
escludere che avesse voluto tirargli qualche brutto scherzo, non era da
lei.
Sarebbe stato molto più in linea con Silente, questo
sì, ma non con lei, per quanto negli ultimi tempi la strega
fosse diventata molto più, come dire…
“silenteggiante”?
Quindi l’indirizzo era giusto: meno uno.
Era inoltre da escludere che avesse sbagliato qualche procedura della
materializzazione, o pensato male o in maniera distorta
l’indirizzo.
La sua esperienza, risultato di anni ed anni al servizio del Signore
Oscuro e di Silente, aveva pur dato i suoi frutti.
Meno due.
Rimaneva allora solo un’ultima possibilità. E non
appariva per niente come quella piacevole.
Quello era realmente
lo Scottyshire, e quella su cui ora poggiava i piedi era davvero Road
Phidiana, e probabilmente lui si trovava sul serio al numero
“161”.
Il fatto da appurare era quanto
fosse lungo questo numero “161”.
Aprì allora gli occhi mettendo di nuovo a fuoco il mondo
circostante, in un turbinio di tonalità di verde.
Come in trance, il suo sguardo si fermò nell’aria
di fronte a sé, fino a che vide entrare nel campo della sua
visuale una piccola ape che si posava bramosa sulla corolla di una
viola, la cui crescita era stata fermata dall’inizio
dell’asfalto.
Cominciò così ad intravedere quella che pareva
l’unica soluzione possibile per il momento.
Avrebbe dovuto percorrere la strada fino a che non avrebbe intravisto
qualunque segnale che potesse suggerirgli la presenza di una casa.
Un pensiero decisamente poco confortante.
Con un sospiro guardò l’ape che con il suo
movimento sbilenco si alzava in volo dal fiore e si inoltrava tra
l’erba alta, sorvolandone la sommità.
Stava per girarsi ed iniziare la sua maratona personale e solitaria
quando si bloccò, incuriosito.
L’insetto si era fermato proprio sopra le punte degli steli
d’erba.
Rimaneva immobile, senza che il vento lo disturbasse. Era come se fosse
appoggiato su qualcosa di solido.
Aguzzando la vista, e facendo più attenzione,
poté infatti notare una sorta di incongruenza di colore in
tutto quel verde, come se tra gli steli ci fosse qualcosa di bianco.
Incuriosito ed ispirato dal suo proverbiale sesto senso,
appoggiò le valigie a terra, tolse dalla tasca interna del
soprabito nero la sua bacchetta e si mosse verso il ciglio della strada
deserta, superandolo ed inoltrandosi così in quella massa
odorosa.
Spostando l’erba con un incantesimo, mosse solo qualche
passo, e più si avvicinava meno capiva cosa diavolo fosse
quella “cosa” che l’aveva incuriosito.
Finalmente superò l’ultimo gruppo di steli, e
sorpreso si fermò ad osservare quello che sembrava proprio
un cartello dalla vernice bianca scrostata, probabilmente a causa del
tempo e delle intemperie.
Ma ciò che più attirò la sua
attenzione era quello che vi era scritto sopra con uno stile fine ed
elegante, per quanto poco leggibile fosse, seguito da una freccia
rivolta alla sua sinistra.
“ Granger
House, 3 chilometri ”
Il sorriso che gli affiorò sulle labbra l’avrebbe
sicuramente fatto apparire ancora più inquietante di quanto
già era, agli occhi di improbabili spettatori.
Con le membra più leggere fece dietro front –
facendosi sempre strada con la bacchetta –, tornò
alle valigie e le prese in mano, preparandosi a camminare sempre per 3
chilometri ma almeno conscio di quello che lo aspettava.
Si girò alla sua sinistra, e ringraziando mentalmente
l’ape ed il suo istinto si incamminò seguendo il
ciglio della strada.
********************************************************************************************************
Caldo.
C’era molto caldo.
Con un sospiro sollevò il viso al cielo, per osservare la
posizione del sole.
Da quanto poteva vedere dovevano mancare circa due orette a
mezzogiorno, forse meno.
Ormai era più di un’ora che camminava,
accompagnato solo dal rumore del vento tra le foglie e dal cinguettio
di qualche sporadico uccellino, che, curioso di quella visita umana,
faceva capolino da dietro qualche albero solitario tra la campagna.
Aveva caldo, era affamato ed aveva sete.
Molta sete.
Si fermò così per qualche minuto, il tanto di
rifocillarsi un po’.
Non voleva frenare la sua camminata: prima sarebbe arrivato a Granger
House, prima avrebbe cominciato ad adempiere alla sua
“missione” – al pensiero
ghignò sarcastico – e prima sarebbe andato via da
quella casa, per far ritorno ad Hogwarts.
Ma doveva fare una sosta, se pur piccola, se voleva riuscire a rimanere
sveglio abbastanza da iniziare il suo esame alla ragazza.
Infilò così la mano destra all’interno
della veste e ne estrasse la bacchetta.
Con un guizzo dell’asticella ed una formula pronunciata
mentalmente, una bottiglia di acqua fresca gli apparve proprio davanti
ai suoi piedi.
Seppure assetato, la raccolse da terra con molta calma, e con
altrettanta calma la stappò e si dissetò,
assaporando la sensazione di sollievo che lo pervadeva.
In piedi, immobile in mezzo alla strada guardò il sole
accecante ormai alto nel cielo.
Quel giorno faceva davvero caldo per essere fine ottobre.
Infatti se ne sorprese: l’Inghilterra, per quanto
meravigliosa, non era certamente famosa per il bel tempo e la calura.
C’era qualcosa che non quadrava.
Non sapeva dire cosa di preciso, però lo sentiva.
Percepiva infatti come una sorta di interferenza in mezzo a tutta
quella perfezione.
Un tipo di interferenza che poteva essere percepita solo da un mago.
Nell’aria aleggiava magia.
Non era localizzata in un punto preciso, come sarebbe stato se qualcuno
avesse lanciato un incantesimo diretto su un punto particolare.
Era piuttosto…come una sorta di profumo diffuso, come
un’essenza spalmata omogeneamente nell’aria
circostante.
Un’essenza che sentiva provenire da tutto intorno a lui:
l’erba, le piante, i fiori, gli insetti, gli alberi, la terra
stessa, tutto.
Come se qualcuno avesse puntato la bacchetta in alto nel cielo ed
avesse fatto esplodere da essa tutta la magia racchiusa nel proprio
corpo, pronunciando un incantesimo che avrebbe potuto toccare ogni
singola particella, molecola, atomo nel raggio di chilometri.
Nonostante questo capì che non era un tipo di interferenza
che poteva dimostrarsi pericolosa.
Era strano…aveva già percepito una situazione
simile, tempo addietro.
Quando era al servizio del Signore Oscuro.
Ma quella volta, l’aria che aveva respirato era satura di
veleno.
Questa invece era piena di…sì, di vita.
Una sensazione davvero strana.
Come ipnotizzato, sbatté le palpebre più volte,
riallacciandosi alla realtà.
Di scatto si girò.
Un rumore indistinto si avvicinava velocemente al punto in cui si
trovava.
Fulmineo, con la mano libera catturò dall’interno
della veste di nuovo la bacchetta, pronto ad ogni evenienza.
In fondo alla strada che il suo occhio umano poteva percepire,
notò un piccolo puntino nero che aumentava sempre
più di grandezza.
Aguzzò la vista ed aspettò qualche secondo.
Era una macchina.
Una macchina babbana, senza dubbio.
Tirò un sospiro di sollievo: ora avrebbe potuto chiedere al
guidatore qualche informazione in più.
Prese quindi le valigie e le spostò con sé sul
ciglio della strada.
Il tempo di fare ciò e la macchina era già a
qualche metro da lui, tanto che poté notare che era uno di
quei pick-up, questo di un color grigio scuro, adatti alle praterie
campagnole.
La macchina, notando la sua mano alzata, rallentò un
po’, e così riuscì a scorgere
all’interno una vecchia coppia, probabilmente di coniugi,
alquanto ben vestiti, che lo fissavano in uno strano modo, non ne fu
sicuro.
Ad ogni modo aprì la bocca per parlare, e si
fermò subito quando vide le mani della donna che volavano al
braccio del marito e lo strattonavano, mentre continuava a guardarlo
preoccupata.
< < Non fermarti Herbert, non fermarti! > >
La macchina accelerò, dileguandosi tra il rombo del motore
velocemente lungo la strada, lasciandolo lì, sul bordo
dell’asfalto, con la mano destra alzata come in segno di
saluto.
Per i primi secondi rimase fermo, troppo stupito per poter fare
qualunque cosa.
Successivamente abbassò la mano destra che era ancora
alzata, e chiuse la bocca, interdetto.
Fece sparire la bottiglia con un “Evanesco”, e
riprese le valigie in mano, continuando la sua scarpinata, come se
niente fosse.
Questi campagnoli sono
davvero una strana ramificazione della società.
***************************************************************************************************
Dopo
quelle che parvero ore, finalmente notò una variazione nel
paesaggio.
Una variazione
che poteva notare solo un occhio abituato a captare ogni minimo
cambiamento.
Inizialmente
risultava solo un piccolo rialzo del livello dell’erba,
successivamente questa saliva sempre di più, fino ad essere
sostituita da una fila di alberi, querce dall’aspetto,
– le cui dimensioni suggerivano un’età
quantomeno invidiabile persino per Nicolas Flamell – che
proiettavano sulla sua testa la loro ombra come un favore, coprendolo
dall’azione ribollente del sole, ormai quasi allo zenit.
Continuando a
camminare notò che la fila di tronchi enormi nascondeva una
sorta di muro di cinta, e conscio di essere vicino alla meta non si
accorse di aver affrettato il passo.
Quando ormai
si stava per chiedere se quel muro, oltre ad una altezza notevole,
avesse anche una qualche sorta di varco, scorse ad una decina di passi
proprio l’oggetto di quello che si stava per domandare.
Giunto davanti
ad un cancello grigio scuro, che arrivava a metà del muro,
non entrò subito.
Per quanto
serbasse ancora una certa sicurezza nei confronti
dell’inettitudine dei Grifondoro, compresi ex- Grifondoro,
dovette ammettere il fatto che sicuramente la ragazza aveva posto delle
protezioni attorno alla dimora.
E se qualcuno
le aveva già violate prima di lui le aveva anche
presumibilmente ripristinate, per non destare sospetti.
Si chiese se
ancora ci fossero in giro maghi con una tale accortezza dei dettagli.
E la risposta
fu negativa, ovviamente.
Quindi la
possibilità dell’operazione di salvataggio su cui
la McGranitt aveva insistito non era neanche da prendere in
considerazione.
Appoggiò
i bagagli e, pescata la bacchetta, applicò veloce un
“Wingardium Leviosa” agli stessi, in modo da non
doverli trascinare ancora.
Tornando
con l’attenzione al cancello, si preparò a
combattere contro gli incantesimi di protezione, sicuramente massicci a
causa della certa vastità della dimora.
Levò
la bacchetta di fronte a sé e si concentrò
cominciando a vagliare l’aura magica.
Non fece
neanche in tempo a tentare di aprire il cancello che subito
sentì una forza che contrastava la sua, con una potenza che
rischiava di piegargli il braccio se non avesse avuto alle spalle una
certa dose di esperienza.
Comprese che
era un incantesimo di “Protego” particolarmente
potente e scagliato in modo da ricoprire tutto il perimetro, senza
lasciare varchi di alcun genere.
La
concentrazione minore, si accorse, era proprio lì davanti al
cancello, e se ne sorprese.
Nonostante
tutto, gli bastò solo un movimento secco del polso, ed un
contro incantesimo mentale, e sentì subito la potenza
vacillare fino a svanire del tutto.
La ragazza
avrebbe anche potuto impegnarsi un po’ di più,
criticò mentalmente.
Con un
cigolio, il cancello si aprì e mentre faceva qualche passo
avanti, senza aspettare che le ante si aprissero del tutto, non
poté fare a meno di inarcare un sopraciglio.
Rosso.
La prima
impressione che ebbe fu di rosso.
Calore.
Tanto calore,
e rosso.
Tanto rosso
come non ne vedeva da anni, anzi no, come forse non ne aveva mai visto.
Tutto
ciò su cui il suo occhio cadeva era colorato di rosso.
C’era
tutto.
L’arancione
chiaro delle foglie del grande acero alla sua sinistra, proprio dopo il
cancello, faceva a botte quasi con il marrone scuro del suo tronco
secolare, attorniato alla base da vari cespugli di rose canine; il
marron glacè delle foglie dell’albero successivo,
che non riuscì a classificare, posto qualche metro
più in là del grande acero, poteva ben competere
con il compagno; dietro di esso, proprio in mezzo ad un pezzo di prato,
scorse un piccolo laghetto sui cui bordi erano poste delle pietre ovali
e lisce a delimitarne il perimetro, e quasi non si accorse del rosso
intenso di un notevole salice piangente poco più in
là; tutto il vialetto su cui si trovava era ornato sui lati
da gruppi di piante e di fiori che non si premurò di
osservare più attentamente; il rosa intenso che
coprì poi la sua vista gli fece capire subito che si
trattava di una fila di alberi di ciliegio che si estendevano alla sua
destra ed alla sua sinistra, circondandolo, e rilasciando su tutto il
vialetto piccoli petali rosa scuro, coprendolo come un tappeto regale
fino alla casetta.
Questa era di
modeste dimensioni, né troppo grande, né troppo
piccola, in stile coloniale, di due piani e di un bianco fulgido sotto
il sole di mezzogiorno, dei gradini in legno poco prima della porta
completavano il quadretto: decisamente di stampa britannica.
A malapena si
accorse di essersi fermato, e forse fu grazie al continuo sbatacchiare
dei bagagli sulle sue ginocchia che si ricompose e percorse con passo
sicuro tutto il vialetto, salendo silenziosamente i gradini.
Fermo di
fronte alla porta, picchiettò due colpi sul legno scuro, ed
attese.
Dopo qualche
secondo, picchiò più forte, ma alla porta non
venne ad accoglierlo nessuno, nemmeno un elfo domestico.
Con la coda
dell’occhio notò un movimento proprio vicino alla
sua testa.
Vide allora
una sorta di cordicella di metallo che oscillava, la percorse con lo
sguardo fino alla sommità e comprese che si trattava di una
campanella rudimentale.
Si arrese a
scuoterla.
Dopo che lo
sbatacchio assordante finì, non sentì nessun
suono provenire dall’interno: nessuna successione di passi,
niente di niente.
Non
intenzionato a rimanere lì per tutto il giorno, spinse la
porta, bacchetta sempre nella mano destra.
L’ingresso
della casa rimaneva un po’ in penombra, ma subito comprese a
grossi linee come doveva essere strutturata la villa: alla sua
sinistra, dopo un appendiabiti dall’aria piuttosto antica ed
un tavolino lucido a mezzaluna, era situata una porta scorrevole, da
cui filtrava la sola luce ad illuminare il tutto, probabilmente la
cucina; il muro continuava fino ad un’altra porta che gli si
parava di fronte, e sempre davanti a lui, sulla destra, un gran tappeto
ricopriva tutto il parquet fino alle scale dal corrimano elegante, che
si aprivano su un corridoio del piano superiore, completamente in ombra.
Infine, alla
sua destra, si incastonavano nel muro altre due porte.
Tutto permeava
nel silenzio più tombale.
Accigliandosi
notò un particolare che di solito non ci sarebbe dovuto
essere in una casa vissuta: tutte le porte della dimora erano chiuse.
Riflettendo
sulla stranezza della cosa, arrivò chiaro al suo orecchio
destro un movimento, quasi un fruscio da spostamento, che sembrava
provenire proprio dalla prima porta sulla destra, oltre il
portaombrelli dalla forma criticabile.
Veloce,
spezzò l’incantesimo precedentemente applicato ai
bagagli, e si accostò al muro.
Appoggiò
l’orecchio al legno freddo ed attese.
Nessun rumore.
Sicuro di non
esserselo inventato, aprì veloce la porta solo quel tanto
che bastava a farlo passare e sgusciò all’interno
della stanza, bacchetta spianata, nervi tesi, sensi all’erta,
pronti a scattare.
Rimase
interdetto di fronte alla vista di un normalissimo salottino stile
ottocento.
Non si prese
la briga di perdere tempo sull’arredamento.
Molto
lentamente percorse pochi passi, quasi in attesa di qualcosa.
Un qualcosa
che non si fece aspettare.
Un rumore
chiaro, lo stesso fruscio di poco prima veniva esattamente dalla stanza
affianco, in cui ci si immetteva probabilmente tramite la porta posta
in fondo alla stanza sul lato.
Aveva mosso
solo qualche passo quando dall’apertura uscì come
una razzo una macchia indistinta che all’inizio non
riuscì a catalogare.
Solo dopo uno
stridio comprese che si doveva trattare di un gufo.
Lo
cercò con lo sguardo e, nonostante le dimensioni alquanto
minime, lo scorse appollaiato sulla cima di una credenza
dall’aria antica, posta proprio affianco alla porta da cui
era schizzato fuori.
Non
abbandonò la possibilità che fosse stato un
semplice diversivo per distrarlo e così mosse lentamente
alcuni passi, completamente padrone di se stesso e della situazione,
aspettandosi da un momento all’altro un qualche tipo di
attacco.
Mentre i suoi
passi strisciavano sul pavimento il suo cervello percepì un
differenza.
Una differenza
che gli faceva rizzare i capelli sulla nuca.
Non comprese
subito in cosa consisteva, ma c’era.
Si
fermò.
Tutto era
silenzioso come prima.
Aggrottò
le sopraciglia.
Anche se
metà della sua testa teneva sempre sotto tiro la porta
ancora un po’ lontana, l’altra metà era
impegnata a comprendere dove fosse la nota stonata.
Con la coda
dell’occhio cercò di sondare la stanza, alla
ricerca di un indizio.
Un tavolo alla
sua destra, una credenza davanti a sé, un tavolino tondo
alla sua sinistra con davanti un divano beige: semplice arredamento da
salotto.
Tutto normale.
Strinse le
labbra e continuò a camminare.
Proprio quando
fece altri due passi, finalmente capì.
Era il suono.
Era il suono
dei suoi passi ad essere differente.
Prima era
silenzioso, ora era completamente silenzioso.
Non si
sentivano più i suoi passi.
Confuso dal
repentino ed insensato cambiamento, stava per abbassare istintivamente
lo sguardo ai suoi piedi, quando un rumore dietro di sé lo
bloccò. Era stato un minuscolo scricchiolio delle assi, un
naturale crepitio del legno in una casa fatta di legno, talmente
minuscolo da passare inosservato tra lo frusciare delle foglie di fuori
e l’incedere del vento sulle finestre.
Davvero
insignificante.
Ma solo per un
orecchio non abituato a cogliere i dettagli e la
pericolosità di trascurare gli stessi.
Una parte del
suo cervello, quella analitica e perennemente diffidente, quella che lo
aveva sempre accompagnato, gli urlava che forse era solo un modo
ignobile e codardo per distrarlo e colpirlo alle spalle non appena si
fosse girato.
Ma il suo
istinto, quello che gli aveva salvato purtroppo tante volte la vita o
comunque l’integrità del suo corpo, gli sussurrava
frenetico che sarebbe stato molto più pericoloso continuare
verso quella direzione.
Decise di dare
ascolto alla seconda opzione, e mosso dall’istinto si
girò, intenzionato ad approfittare della momentanea quasi
totale assenza di rumore dell’andatura.
Non aveva
mosso neanche due passi che sentì un cambiamento repentino.
All’improvviso
il pavimento sottostante pareva più molle, più
inconsistente, ed inspiegabilmente i suoi piedi non riuscivano a
trovare un appoggio sicuro sull’unico posto in cui avrebbero
dovuto trovarlo, e tutto attorno a lui prese a muoversi
incomprensibilmente, in un turbinio di mobilio e di carta da parati.
Sentì
qualcosa di freddo strisciare sulle sue caviglie e guardando in basso,
sorprendentemente comprese che era il pavimento che si era
improvvisamente animato.
Il parquet era
inspiegabilmente divenuto molle, e si stava attorcigliando alle sue
gambe, come avesse volontà propria.
Sempre
più sorpreso, puntò la bacchetta contro la
confusione marron scuro, che oramai era diventato il pavimento, ed
urlò mentalmente “Protego!”*, con una
potenza che avrebbe certamente aperto una voragine nel legno.
L’avanzamento
del pavimento-cosa non ne accusò per niente il colpo,
probabilmente non lo sentì nemmeno, e ciò lo
sorprese ancora di più.
Provò
quindi un altro incantesimo più potente, che non usava mai
se non in casi rari, ed urlò ancora:
“Repello!”*, ma niente.
Pensando che
fosse simile al Tranello del Diavolo*, tentò con
l’incantesimo apposito per la pianta, evocando una fonte di
luce che andò a colpire direttamente la
“cosa” legata alle sue gambe.
Ma il
pavimento-cosa continuava la sua operazione di avvolgimento, ormai era
arrivato alle cosce, si allungava sempre di più, come fosse
fatto di gomma, e sembrava intenzionato a finire l’opera: se
non l’avesse fermato sarebbe morto soffocato.
Digrignando i
denti per la frustrazione, istintivamente, tentò di muoversi.
Sbagliato.
Dopo un
momento di perfetta immobilità, la
“cosa” si mosse addosso a lui ancor più
velocemente.
Tutto era
privo di senso in quel frangente e, cercando un minimo di
lucidità, tentò di fare qualcosa che di lucido
aveva ben poco, ossia acchiapparsi all’unica cosa cui si
poteva acchiappare: l’aria.
Mulinò
le braccia in perfetto stile paracadutistico e, prevedibilmente, perse
l’equilibrio.
Si vide cadere
in avanti, ormai i piedi erano inutilizzabili, comprese le gambe, ed
istintivamente portò le mani davanti a sé, per
attutire l’impatto con il pavimento e nel farlo gli
scivolò la bacchetta dalle mani.
Ringhiò
di rabbia.
Mentre le sue
mani toccavano il pavimento, sorprendentemente solido ed al tempo
stesso “spugnoso”, guardò la sua
bacchetta volteggiare nell’aria ed atterrare qualche metro
davanti a lui.
Non era
risultata molto d’aiuto fino a quel momento, tuttavia
comprese che il problema non stava nell’asticella, ma in
sé stesso.
Nonostante
ciò, qualora gli fosse venuto in mente qualche incantesimo
utile, non avrebbe potuto fare molto senza bacchetta.
Si
allungò sul pavimento e tentò con la destra di
prenderla.
Come se avesse
sentito i suoi pensieri, o avesse capito in qualche strano modo le sue
intenzioni, la “cosa” affrettò la sua
opera, ed anzi, avvolse completamente nella sua stretta il busto e le
mani, bloccandolo.
Comprese,
così, di non avere più possibilità.
Sentiva il
pavimento-cosa che gli strisciava addosso come un serpente, la cui
bocca si stava lentamente avvicinando alla sua gola.
Con un
rantolo, non poté fare a meno di dibattersi.
Supino sul
pavimento, aveva una sola visuale: il bordo inferiore della porta da
cui era entrato.
Osservandolo,
vide, come fosse stata una cosa vista da un’altra persona,
ciò che poteva vedere da quel livello oltre
l’uscio.
Anche se
entrando gli aveva dato un’occhiata di qualche secondo ed
anche se i capelli gli coprivano un po’ la visuale, riconobbe
il rigonfiamento del tappeto posto proprio davanti alla scala, e
più in là la porta scorrevole della cucina.
Fu
così che notò un particolare strano.
Rallentò
la sua folle ed impari battaglia contro la “cosa”
fino a fermarsi del tutto, e sbatté le palpebre sugli occhi,
pensando di avere la vista annebbiata.
L’immagine
della porta della cucina che gli arrivava agli occhi
era…nebulosa.
Come se tra
lui e la porta fosse stato posto un vetro ammaccato, o non
perfettamente pulito.
Aggrottò,
se possibile, ancor di più le sopraciglia, e concentrandosi
vide di fronte a sé una zona scura, che partiva dal di fuori
della porta e raggiungeva parte del pavimento di fronte a
sé, come se al di là della stanza proprio di
fronte a lui, ci fosse un oggetto solido.
Sembrava
proprio…
Non ebbe
neanche il tempo di pensare ad una mossa, che la porta, come previsto,
si aprì di scatto, rivelando però al di
là di essa nient’altro che l’ingresso in
penombra.
Ma sapeva
già cosa guardare e sapeva già cosa aspettarsi, e
non avrebbe mai dato la soddisfazione di vederlo impaurito.
Che venissero
pure!
Finalmente
avrebbe avuto ciò che sarebbe dovuto arrivare tanto tempo
prima!
<
< Stupefi…!> >
Non comprese
perché ma la voce che sentì non era quella che si
aspettava.
Non era rude e
roca, come quella di un maledetto fan delle forze oscure, piuttosto
era…melodiosa.
Stranamente in
ansia, attese che la voce finisse di scagliare l’incantesimo.
Ma non lo fece.
E
ciò lo lasciò interdetto.
Ma ancora
più interdetto lo lasciò ciò che
successe dopo.
Di colpo
apparve davanti a lui il proprietario della voce – si
rifiutava di pensarla di nuovo come melodiosa – che si era
nascosto sotto l’incantesimo di disillusione.
E di colpo
comprese che era tutto fuorché ciò che si
aspettava.
Un donna.
E non una
donna qualsiasi.
Una donna che
ora lo guardava con una palese espressione di scherno e di
pietà dipinta negli occhi e sul viso.
<
< Buon giorno, Professor Snape. > >
Più
precisamente, la
donna
che assomigliava terribilmente a quella per cui aveva scarpinato per
ore ed ore e per cui ora si trovava avvolto nel pavimento-cosa alla
stregua di un cotechino ripieno.
Ancor
più precisamente, Hermione Granger.
*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*
Per un
interminabile istante si guardarono negli occhi, incapaci di proferir
parola.
Avrebbe dovuto
dire qualcosa, soprattutto qualcosa per cancellare quel ghigno
sarcastico che sarebbe stato in linea sul suo di viso, non su quello
della ragazza.
Tuttavia fu
lei stessa a parlare per prima.
<
< Potrei sapere come mai è qui, Professore? >
>
<
< Crede che possa essere in grado di sentire la mia risposta
dall’interno di questo adorabile pavimento trita-maghi?
Perché se la risposta è sì, allora
vorrei attendere ancora qualche secondo, per testarlo immediatamente
> >
Aveva parlato
con tono calibrato, che non avrebbe stonato per nulla in una serata tra
amici e burrobirra.
Hermione si
era quasi dimenticata dell’effetto che quella voce perentoria
e sarcastica poteva avere, persino mentre il suo possessore era steso a
terra, immobilizzato, lo sguardo truce tra i capelli scompigliati, in
una condizione che avrebbe provocato sicuramente imbarazzo e vergogna
in chiunque.
Ma non in
Severus Snape.
Si accorse
anche che si era completamente dimenticata della presenza di quel
tappeto e soprattutto della sua azione di inglobamento, che non si era
per nulla arrestata, ma solo rallentata.
<
< A quanto posso notare la risposta che non riesce a dire
è sì. > >
Davanti
all’irritante sopraciglio inarcato dell’uomo,
soppesò la possibilità di farlo inghiottire e di
assistere all’operazione.
Ma il suo
buonsenso prevalse, come sempre.
Pensò
così a quello che le serviva.
Si
guardò attorno e vide all’angolo alla sua destra,
attaccato al muro vicino alla finestra, quello che stava cercando.
Con un cenno
della bacchetta fece schizzare verso di sé un ammasso
globulare di corposa luce, frenò la sua corsa e, sotto
l’attento esame di Snape, la fece avvicinare al tappeto, in
prossimità della sua schiena.
Subito, come
si aspettava, la morsa del tappeto si allentò visibilmente.
Ciò
che serviva però era una luce più potente.
Perciò
dopo aver mormorato piano “Maiorius”,
avvicinò ancora di più la fonte di luce
improvvisamente dieci volte più intensa, fino a farla
appoggiare alla superficie del tappeto.
Immediatamente
questo sciolse la sua stretta, come fosse stato scottato, e
ritornò alla sua consueta forma piatta.
Con un ultimo
cenno, la riposizionò al suo posto.
Finalmente
libero, vide Snape alzarsi in piedi.
Mentre lo
faceva si sistemò il mantello e si lisciò le
vesti, per poi alzare gli occhi verso di lei.
Il suo sguardo
la percorse completamente, dai piedi – lo vide indugiare
sulla bacchetta che teneva ancora in mano – fino agli occhi.
In piedi, uno
di fronte all’altro, si scrutarono a vicenda, simili a due
animali selvatici costretti a stare chiusi in gabbia insieme.
Finalmente
aveva davanti il risultato dei suoi sforzi.
Era
incredibile.
Rabbrividì
al pensiero di avere di fronte a lei, solo a qualche passo di distanza,
proprio la persona che era tornata.
La sola che
era tornata dall’unico regno incontrollabile per i vivi.
Lì,
in piedi al centro del suo salotto, tra la poca luce che filtrava
attraverso le tende abbassate, la sua figura nera si stagliava alta e
longilinea, avvolta completamente dal mantello che teneva con una mano:
sembrava davvero appena sbucato dalle viscere della terra, immobile e
fiero.
Quella visione
non rendeva per niente poco credibile il fatto che fosse stato nel
regno dei morti.
Il suo sguardo
scuro e profondo negli occhi dal taglio allungato, sembrava racchiudere
segreti troppo aspri e abominevoli per poterli anche solo sussurrare,
mostrava tempo trascorso, tanto tempo, così tanto da
renderlo stanco e provato, saggio e custode unico di pensieri ed
esperienze, tanto stanco che sembrava volesse, suo malgrado, dirle
qualcosa.
Quello era lo
sguardo di un rinnegato.
Fu quel
pensiero a farla parlare in un sussurro.
<
< Come può notare, la mia risposta è
no… > >
<
< Sì…ho notato. > >
Continuava a scrutarla, come se la vedesse per la prima volta nella sua
vita. Era forse curiosità?
La sua voce
aveva perso quella nota sarcastica che aveva sentito poco prima.
A quanto
pareva, non era l’unica che aveva sentito la pesantezza del
momento.
Tutti e due
non si erano ancora mossi di un solo millimetro, tuttavia si costrinse
a schiudere le tende accennando un movimento del polso, e facendo
entrare finalmente il sole pomeridiano, che le fece socchiudere gli
occhi appena.
Tutto divenne
molto più chiaro e non solo in termini di colori: le ombre
si ritirarono negli angoli, e persino la figura di Snape non sembrava
poi così inquietante, colpita dai raggi solari.
O forse no.
L’improvvisa
incursione della luce smorzò comunque di netto la tensione,
come se, al pari di un risveglio da un sogno angosciante, le tenebre
venissero scacciate con il solo incedere della luminosità.
<
< Bene, allora mi segua in cucina. > >
Girò
sui tacchi ed uscì dalla stanza.
Aveva bisogno
di tè.
Tanto
tè.
Non osava
girarsi per vedere se effettivamente la stesse seguendo.
Spinse la
porta della cucina, ed una volta dentro si diresse alla famosa mensola
risolleva-umori, e quando non sentì nessun rumore di porte
che si aprivano o di passi si concesse di fare un gran respiro,
rilassando le spalle fino ad allora rigide.
Chiuse gli
occhi e cercò di non pensare al fatto che la sua giornata
tipo aveva appena variato il programma quotidiano, e soprattutto
tentò in tutti i modi di non pensare al fatto che nel suo
salotto, in quel preciso momento, c’era Severus Snape.
Ma il fatto
che la sua immagine le apparisse persino ad occhi chiusi, come fosse
stata incollata sulle sue palpebre, certamente non aiutava.
Dopo averli
aperti si allungò per prendere il necessario per un
tè doppio, o triplo.
<
< Gradirebbe del tè…?! > >
<
< Mi ero scordato che i Grifondoro hanno il maldestro vizio di
urlare. > >
Hermione si
girò di scatto, quasi lasciando cadere la sua tazza.
Vicino al
tavolo Snape la osservava apparentemente annoiato.
<
< Ma come…? > >, sussurrò
indicandolo con la tazza.
Anche se non
aveva completato la frase, troppo sorpresa per farlo, lui doveva aver
comunque inteso.
<
< Non si è accorta che le stavo camminando proprio
dietro? > > Il suo sguardo parve suggerirgli la risposta.
<
< A quanto pare no. > >
<
< Ma la porta non l’ha spinta, l’avrei
sentita. > >
A quella
frase, credette di aver notato un leggero scatto del sopraciglio
sinistro.
<
< Se mi sta chiedendo se sono in grado di passare attraverso i
muri, o sgusciare sotto le porte in forma di nebbia, mi spiace
deluderla, signorina Granger. > >
Acido ed
inutilmente elaborato nelle risposte.
Un
sì o un no per lui erano troppo difficili.
Non era
cambiato per niente.
<
< Già, ma ci è andato vicino, a quanto
sembra. > > Borbottò mentre gli dava le spalle.
Continuò
ad accatastare sul marmo il necessario, non voleva usare la magia,
aveva bisogno di muoversi.
Solo quando si
accorse di stare aprendo troppe mensole e cassetti per un semplice
tè, decise che era tempo di voltarsi.
Portò
il tutto sul tavolo e si sedette.
Solo dopo aver
preso la sua tazza alzò lo sguardo davanti a sé,
fino ad incrociare i suoi occhi scuri che la studiavano.
Così
vicini, e sotto la luce, notò come il tempo fosse stato
magnanimo con il suo viso.
La pelle
chiara era sorprendentemente stesa, con pochi segni
dell’età, e tuttavia gli angoli della bocca
leggermente piegati all’ingiù, il naso affilato un
po’ pronunciato, e gli zigomi alti gli conferivano una
saggezza che sarebbe dovuta trapelare dal viso di un uomo di almeno
dieci anni in più.
<
< Ora che è miracolosamente salvo dal tappeto
assassino, mi potrebbe gentilmente spiegare cosa ci fa qui? >
>
Aveva parlato
con molta calma, ed aspettava una risposta mentre sorseggiava il
tè.
Lui sembrava
non essersi reso conto della provocazione perché qualcosa in
ciò che aveva appena detto aveva suscitato il suo interesse,
dato il sopraciglio inarcato.
<
< Tappeto? > >
Questa volta
fu lei ad essere interessata.
Possibile che
il grande Severus Snape non sapesse cosa lo avesse attaccato poco fa?
<
< Sembrava decisamente un pavimento.> >,
obbiettò lui.
<
< Esatto, Professore, un tappeto. Non si è accorto
che il “pavimento” su cui ha posato le mani era
alquanto morbido? > >
Questa volta
toccava a lei.
<
< A quanto pare no.> > Mormorò
divertita.
Lo sguardo
tranquillo che le lanciò le fece capire che era stata
l’unica a trovarlo divertente.
<
< A dire la verità sì, signorina Granger,
ma la mia mente era molto più interessata a quello che stava
facendo piuttosto che alla sua consistenza. > >
Finì la frase aggiungendo un po’ di latte al suo
tè.
<
< Già, una bella qualità per un tappeto
non crede? > >
<
< Come mai risulta invisibile? >>
Il suo tono
era cambiato, non si poteva definire gentile, ma era garbato,
controllato.
Era curioso.
Ovvio.
Il grande
Severus Snape, in grado di sostenere perfino lo sguardo di Voldemort,
sconfitto da un semplice tappeto.
Decise di
accontentarlo, poi sarebbe stato il suo turno per le risposte.
<
< Un’altra qualità interessante per un
semplice tappeto. Non so molte cose, a dir la verità, non
era della mia famiglia, un po’ improbabile visto che provengo
da famiglia babbana. Mi è stato regalato da una vicina di
casa con cui avevo stretto un bel rapporto, e poco prima di morire
insistette per darmelo, mi disse che apparteneva alla sua famiglia da
generazioni, e che era stato fabbricato dagli elfi nel lontano 1476, in
Romania. Questa data le ricorda qualcosa per caso? > >
Mentre parlava
aveva notato come lo sguardo di lui risultava interessato, soprattutto
all’ultima parte.
<
< Direi di sì. E’ l’anno in cui
morì Vlad Tepes II l’Impalatore, conte di
Valacchia, meglio noto come Dracula sia nelle leggende babbane che
nella realtà magica. Un uomo decisamente avezzo a strani
hobby, come il soprannome suggerisce. > >
Hermione si
aspettava che avesse le sue stesse informazioni.
Aveva pensato
molto ad esse, riflettendo sui possibili legami, e, nonostante le poche
informazioni che la sua vecchia amica le aveva lasciato, era giunta
alla conclusione che quella non era una data qualsiasi.
Era la data in
cui era stata creato l’essere più abominevole
sulla faccia della terra, dopo Voldemort.
Era
l’anno in cui il più grande male della storia
dell’Europa del medioevo aveva ripreso vita, in una forma ben
più pericolosa di quella umana.
Ed il fatto
che quel particolarissimo tappeto fosse stato intessuto proprio in
quell’anno di grandi cambiamenti, non poteva essere una
semplice coincidenza.
<
< Avrei un’idea proprio su questa strana coincidenza
di date.> > Fece una pausa per riordinare le idee. Lui,
per appesantire l’operazione, non smise di fissarla, ed
osservando la sua espressione di profondo interesse dipinta sugli occhi
seppe che l’aveva praticamente in suo pugno.
Non sapeva se
il fatto che un pazzo sanguinario e spostato mentalmente fosse
così interessante per lui potesse essere trascurato oppure
dovesse accendere in lei una campanella d’allarme.
<
< Nella metà del ‘400 abbiamo un pazzo
degenerato con la deliziosa abitudine di impalare i suoi sudditi ed i
suoi nemici, che terrorizza non solo la sua popolazione ma persino
molte parti dell’Europa, e la cui fama e ferocia è
conosciuta persino nella lontana Inghilterra, incredibile dati gli
arretrati mezzi di comunicazione
dell’epoca…> >
<
< Mi risparmi l’elenco di notizie storiche che tutti
sanno o che si possono comunque procurare, Signorina Granger.>
>
Insopportabile.
Soprattutto il
suo sorseggiare compostamente e con molta non chalance il suo
tè, come fosse stato seduto a disquisire sulle innumerevoli
qualità di un nuovo detersivo magico.
Ma decise di
non dargli peso, voleva continuare e sentire il parere di una persona
molto preparata e dalla mente analitica e razionale come la sua.
<
< Sappiamo bene che quella è sempre stata una zona
altamente concentrata di maghi e streghe, ma ancor di più lo
era in quel terribile periodo di paura e terrore. E tutti, tutti,
avevano sentito girare strane voci sulla natura del conte.
Sì, questo allarmò ed insospettì i
gabbani, ma queste voci rimasero tali per loro: solo voci.
Invece per gli
appartenenti al mondo magico…beh, erano molto più
che innocue superstizioni popolari.
Sapere che un
mago, tra l’altro già potente di suo, aveva
venduto la propria anima portò tutti i maghi ad armarsi,
organizzarsi per preservarsi, procurandosi i migliori
strumenti…oppure creandone
di nuovi.
> >, concluse alzando un sopraciglio per dare
più enfasi al discorso.
Il suo sguardo
non aveva mai lasciato quello di lui, ed ora tutta l’ironia e
l’arroganza avevano abbandonato entrambi per essere
sostituite da attenzione e perplessità. La luce mattutina
che filtrava dalla finestra sì affievolì,
probabilmente per il passaggio di qualche nuvola, lasciando la cucina
in una sorta di abbraccio tra la luce e l’ombra, una su lei,
e l’altra su lui.
<
< Mi faccia capire bene, Signorina Granger, lei crede che quel
tappeto, esattamente il tappeto che ora si trova nel suo salotto, sia
stato creato apposta come arma di difesa contro Dracula? >
>, esordì accompagnando la frase con un movimento
elegante della mano, come a voler indicare qualcosa di altamente
ridicolo.
Merlino.
Sembrava di
nuovo una scolaretta di 16 anni alle prese con
l’acidità di un professore troppo scorbutico.
Raddrizzò
la schiena sulla sedia ed allargò le narici.
<
< Sì, comprendo che sembra alquanto azzardato come
discorso, soprattutto contando la mancanza ingente di testimonianze o
documenti a riguardo, ma provi a pensarci un attimo, in Romania
gironzola un vampiro appena nato, e proprio nell’anno in cui
nasce viene creata un’arma che è stata palesemente
progettata per catturare la malignità e…?
> >.
Si
fermò di colpo, e sgranò gli occhi.
Solo dopo che
aveva finito di pronunciare l’ultima parola, capì
l’entità di cosa aveva detto: aveva davvero appena paragonato
Dracula a Snape?
A giudicare
dalla sua espressione sì.
Il professore
ora la stava guardando con palese interesse, a giudicare da entrambe le sopraciglia
inarcate.
Ma se non
sbagliava a decifrare il suo sguardo, non sembrava offeso o infuriato.
Sembrava
piuttosto…divertito?
Nella foga
della spiegazione non si era resa conto di come i suoi pensieri non
venissero filtrati affatto dalla sua mente – probabilmente
andata a fare un giro nei recessi del suo cervello.
Si mosse a
disagio sulla sedia, come se avesse una fastidiosa pustola esattamente
sul sedere.
E questo
ultimissimo pensiero non la aiutava per niente ad uscire dalla fossa
che lei stessa si era scavata.
Dracula,
Snape, pustola, sedere, fossa.
A stento
trattenne una risata che avrebbe aggravato ancor di più la
situazione.
In compenso
uscì solo un piccolo sbuffo.
<
< Io…eh…ecco, non volevo certamente,
sì insomma, non avevo nessuna intenzione
di…> >, il suo balbettio non migliorava la
situazione.
<
< Non aveva intenzione di far cosa, Signorina Granger? Di
paragonarmi palesemente a Dracula? > >
Le sue
sopraciglia erano ancora in quella posizione, ed avrebbe quasi giurato
di aver intravisto una sorta di movimento improvviso
nell’espressione.
Non sembrava
risentito, ma non si poteva definire divertito, era
solo…strano.
<
< Io…sì, esattamente. > >
<
< Ma è ovvio, anche perchè se davvero
così fosse probabilmente non sarei neanche riuscito ad
arrivare fin qui sotto il sole. > >
Il suo tono
strascicato ed annoiato era davvero rimasto lo stesso. Proprio come se
lo ricordava.
Tuttavia il
suo cervello registrò particolarmente l’ultima
parte.
Aveva
camminato?
<
< E’ arrivato fin qui a piedi? > >
<
< Signorina sembra quasi che lei abbia una certa simpatia per
l’ovvietà. Ovvio che no, la materializzazione
esiste ancora per la fortuna di noi maghi. Ho compreso comunque quello
che intendeva. > >, nonostante non la stesse guardando
mentre si versava altro tè tra gesti controllati,
l’aveva interrotta ancora prima che potesse chiedere altre
spiegazioni.
<
< Ho dovuto solo camminare per qualche chilometro. Tutto causato
da un semplice > >, prese di nuovo la tazza nelle mani ed
alzò lo sguardo su di lei, < < malinteso
sull’ubicazione. > > e finì
sorseggiando di nuovo il tè.
Le
sembrò che la sua mano stringesse anche più del
necessario la ceramica.
Prima o poi
avrebbe chiesto a Minerva.
<
< E come mai voleva a tutti i costi raggiungere la mia casa?
> >. Ringraziò il cambio di argomento.
<
< Ordine della Preside. > >
Conciso
alquanto.
Si stava
scocciando, sembrava dovesse togliergli con le pinze informazioni che
avrebbe dovuto darle fin dall’inizio e senza tutta questa
reticenza, e soprattutto senza che lei sembrasse una bambina impaziente
di aspettare.
<
< Vedo che col tempo è divenuto meno pedante,
professor Snape, e per quanto la cosa mi faccia piacere, le sarei grata
se evitasse che la incalzi per sapere cose che dovrebbe dirmi senza le
mie continue domande, è mio diritto, non trova? >
>
Il silenzio
che seguì, la sorprese.
Credeva che il
suo tono avrebbe provocato una serie inimmaginabile di sproloqui.
Ed invece lui
si limitò a fissarla immobile, schiena eretta, braccia
nascoste sotto il mantello, e sguardo indecifrabile.
Sembrava
stesse quasi aspettando, come se vedesse qualcosa al di là
di lei stessa che lei per prima non riusciva a vedere.
Come se la
stesse sondando.
Il rumore
della sedia che striscia, una figura nera che si muove.
Si stava
alzando?
<
< Minerva temeva per la sua incolumità, dato che non
ha ancora risposto alla sua lettera, inviata da due settimane ormai, mi
ha così incaricato di venire per accertarmi che non le fosse
successo nulla. > >
Si mosse verso
la porta, e seguendolo con lo sguardo vide che poco prima di aprirla si
fermò, parlando dandole le spalle.
<
< Mi ha anche incaricato di alloggiare per tre giorni da lei, in
modo da poterla preparare all’insegnamento, qualora trovassi
delle lacune, cosa che non mi sorprenderebbe affatto. Ora se permette,
andrei a riposarmi per qualche ora nella camera degli ospiti, non si
disturbi, saprò trovarla da solo. Cominceremo di pomeriggio,
in modo da finire in tempo per il ritorno il giorno prima di Halloween,
la pregherei quindi di presentarsi in una veste migliore e
più consona all’evenienza. Buon pranzo. >
>
Detto questo,
con un movimento fulmineo del mantello, sparì dalla sua
vista, tanto velocemente che quasi non riuscì a notare la
frazione di secondo in cui aprì la porta e la richiuse.
Lei rimase
lì, esattamente nella stessa posizione che aveva quando lui
si era alzato: mano destra in procinto di portare la tazza al viso,
cucchiaino nell’altra, e una domanda incalzante nella testa.
Cosa diavolo
era successo esattamente?
Note dell'Autrice:
- *
Repello: palesemente un termine che non è usato dalla
Rowling, se non mi sbaglio. E'è semplicemente un termine
latino che potete ben comprendere anche senza la traduzione testuale.
L'ho usato per poter far comprendere che Severus sta usando un
incantesimo simile al Protego ma molto molto più potente, e
che questo incantesimo così più elevato non
funziona.
Lo so, lo so.
Avete ragione.
Imperdonabile.
Ecco la parola
che sarebbe giusto vi venga in mente. Scusatemi quindi per il MADORNALE
ritardo nell'aggiornare questa storia, ma cause di forze maggiori mi
hanno impedito di continuarla.
…
Va bene, va bene,
lo ammetto.
Inizialmente ero
solo a corto di “voglia” di mettermi a scrivere.
Successivamente quando questa si è accesa, è
mancata quella particolare cosa…ma sì, come si
chiama? Ah sì.
Ispirazione.
Cara, dolce
ispirazione.
Quando suona alla
porta, io sono sempre sotto la doccia.
Successivamente
ancora, quando questa finalmente è arrivata ed io ho potuto
scrivere tutto quello che avevo in testa…beh il file
contenente questo secondo capitolo è andato fuori dalla mia
città insieme al computer che lo conteneva -.-.
Eh beh, come
potete notare se lo avete letto significa che sono riuscita a
recuperarlo ^_^ (Ma va? N.d. Lettori)
Quindi per farmi
perdonare vi ho destinati tutti alla lettura di un capitolo decisamente
abnorme. :D
Infatti
l’ho dovuto tagliare, perché il discorso, il
contesto che stanno vivendo Severus ed Hermione, ossia il loro incontro
non è praticamente nemmeno iniziato, se vogliamo. Questo
perché ho voluto dare più spazio a Severus ed al
suo “viaggio” verso Granger House. Forse vi starete
chiedendo come mai io abbia insistito così tanto, portando
la narrazione di quel frangente a livelli così alti, anche
parlando dal punto di vista dei dettagli. Beh, c’è
un motivo, ed è molto semplice in realtà: volevo
che vi concentraste sul modo di pensare di Severus, e sul suo modo di
vedere il tutto. Tutto quanto. Dagli alberi, all’erba, al
cielo – vi consiglio di tenere d’occhio questo
punto della narrazione, ci sono degli indizi particolari –,
all’incontro con i due vecchietti ( non vi preoccupate, non
è un momento a sé stante,
c’è un motivo – che si vedrà
più in là – se ho introdotto questo
avvenimento che io personalmente ho trovato divertentissimo nella mia
testa mentre si stava formando) ecc. Quindi state attente alla
narrazione ;). E’ un capitolo di per sé non molto
elettrizzante all’inizio, lo devo ammettere, ma è
introduttivo per quello che segue, ossai l’incontro tra i
due. Ed inoltre, ripeto, c’è l’altra
parte che dovrò finire e pubblicare, spero presto.
Continuando vi
ringrazio tutti quanti, chi ha solo letto, ma anche e soprattutto chi
ha avuto la pazienza di commentare il primo capitolo.
Davvero, i vostri
commenti mi hanno lusingata, non mi aspettavo di riceverne molti.
pikappa93: Grazie
mille, anche se non è stato un commento prolisso
è stato ben accetto comunque, e sono contenta che la storia
ti intrighi e che questo ti porti a seguirla – sperando che
nel frattempo non te ne sia dimenticata, dato il ritardo. Grazie
ancora! ^_^
Strega_Mogana:
Leggendo il tuo commento mi sono sentita decisamente lusingata per i
complimenti non solo alla storia ma anche per il trattamento dei
personaggi e per il mio stile di scrittura. Grazie mille quindi ^.^
Davvero ti hanno appellato in svariati modi? E’ incredibile,
ognuno può esprimere se stesso/a come meglio crede, che sia
attraverso coppie canon oppure diverse dal previsto. Il rispetto
è l’unica cosa di cui si ha bisogno, ed
è la prima cosa che viene meno. Mi spiace quindi per te.
Trovo che questa coppia mi sia molto affine, come caratteri, come
atteggiamenti, e li adoro insieme. Grazie quindi per la tua
approvazione. ^__^
Alexandraleon:
Grazie tante, davvero per i tuoi complimenti, son felice che la storia
ti sia piaciuta, e che la seguirai volentieri, sempre sperando che non
te ne sia dimenticata a causa del ritardo, perciò se ci sei
ancora, goditi pure il secondo capitolo! ^.^
titimaci: Grazie
anche a te per aver commentato, sono contenta ti stia piaciuta! ^^
Alaide: La creazione
dei punti interrogativi è quello che volevo creare fin
dall’inizio, per attirare maggiormente il lettore, altrimenti
che gusto c’è? ^_^ Son contenta quindi di aver
effettuato il tutto con successo. Per la spiegazione e chiarizione di
tutti questi punti di domanda dovrai aspettare ancora molti capitoli,
credo. Però passo dopo passo, si arriverà ad una
conclusione, in ogni capitolo ci saranno degli indizi che
spetterà al lettore saper individuare e capire. Spero ti
piaccia anche questo secondo capitolo! ^.^ Grazie quindi per i
complimenti.
Hotaru_Tomoe:
Realmente. Probabilmente il tuo commento è quello che mi ha
lusingata di più, forse perché hai persino
stampato il capitolo ^^ Grazie mille per le parole gentili spese per me
e per la mai storia, davvero. ^_^ Il paragone con la Rowling poi mi ha
fatto quasi arrossire. ^.^ Sono felicissima che il mio Snape ti sia
piaciuto, speravo fosse più In Character possibile, amo
molto questo personaggio, perché lo sento molto vicino a me,
empaticamente parlando. Quindi sono realmente contenta che ti sia
arrivato quello che volevo arrivasse ai lettori. Grazie mille ancora e
spero perciò che ti piaccia anche questo capitolo. :D
Aloysa Piton: Grazie
mille anche a te per le tue parole davvero belle. Sono contentissima di
averti incuriosita. Ed hai ragione: trovo anche io che questi due siano
davvero perfetti per stare insieme, proprio, come hai detto tu, per le
affinità che si portano dietro e che condividono. E ehm,
sbaglio o noto un certo odio verso il povero Ron? XD Non solo da parte
tua ma anche da parte di altre lettrici. Beh diciamo che mi piace il
personaggio di Ron, ma non tanto, trovo che stia bene come terzo nel
magico trio, che completi il tutto, però non è
tra i miei preferiti. Ed aggiungiamo anche che mi serviva renderlo il
più sgradevole possibile per la storia XD. Grazie quindi
ancora per i tuoi compliementi, spero ti piaccia anche questo capitolo.
^^
spikina: Sono
davvero felice di averti colpita tanto, sul serio. Miravo ad
interessare ma non pensavo di poter lasciare persino a bocca aperta! ^^
Spero questo secondo capitolo provochi lo stesso risultato! ^_^
fra_snape: Sono
felice che la storia sia stata di tuo gradimento e che ti abbia
incuriosita fin dall’inizio. Spero continui così
anche per questo secondo capitolo. ^^
I love you Draco:
Grazie tante per le bellissime parole, davvero, sono felice che la
storia ti interessi e che il mio stile ti piaccia. ^^ Buona lettura
quindi per questo secondo capitolo!
mistero: oh yeah!
E
con questo vi saluto, è tutto. Grazie ancora, alla prossima!
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