Mathesis

di Jame
(/viewuser.php?uid=16514)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Cupiditas ***
Capitolo 2: *** Occursus ***



Capitolo 1
*** Cupiditas ***



Inizio col dire che non amo molto queste premesse che precedono una storia: le trovo dispersive e distolgono l'attezione da ciò che interessa realmente il lettore.

Tuttavia mi trovo costretta, almeno nel primo capitolo, per spiegare che sarà, appunto, una storia a capitoli (la mia prima in generale a più "puntate", e la mia prima su Harry Potter), incentrata sopratutto sui due personaggi principali da me trattati.
Due personaggi che adoro moltissimo: Hermione Granger e Severus Snape - quest'ultimo maggiormente.
Ci sono cinque avvisi importanti: 1) Ho deciso di tenere il nome originale di Snape, perchè la traduzione italiana del cognome non esprime, a mio parere, realmente l'essenza di questo personaggio così "s-quadrato" e difficile da "quadrare", e potrà capitare anche che troviate nel corso della lettura nomi originali, sempre per lo stesso motivo; 2) Il nome della fanfiction "Mathesis" è latino ed è di derivazione greca, naturalmente; significa propriamente "apprendimento, conoscenza". Il perchè di questo titolo? Lo troverete, qualora vi interessi, alla fine del capitolo, perchè bisogna spiegare anche il tipo di concezione a cui rimanda il termine e cui il termine è rimandato, perciò necessita di un pò di spazio e ciò vi toglierebbe ancora più attenzione se lo scrivessi qui; 3) Il titolo di ogni nuovo capitolo sarà anch'esso in latino, oppure in greco testuale, e troverete sempre la sua traduzione in italiano affianco. Questo perchè il latino/greco ha la grande, grandissima capacità di riassumere in una singola parola concetti che in italiano siamo soliti esprimere con una frase intera; e perchè, di conseguenza, il latino/greco, senza nulla togliere all'italiano, riesce ad essere più profondo e "concentrato"; 4) Troverete, molto probabilmente, dei termini tipicamente Potteriani - il cui merito di inventiva non va a me, ma alla grande Rowling - che ho preso da un altro libricino, di cui la Row ha parlato più volte all'interno della saga e che ha pubblicato realmente, ossia " Gli animali fantastici: dove trovarli - Newt Scamandro ". Ovviamente, troverete alla fine di ogni capitolo la spiegazione di quel determinato termine, usato in quel capitolo; 5) Non so se e quanto piacerà questa storia, cui comunque tengo moltissimo, ma vi avviso che non ho molto tempo per scrivere e meno ancora per postare quello che scrivo, ciò significa che - anche se cercherò di pubblicare il più puntuale possibile - sfaserò sicuramente; spero mi scuserete per questo, ma tra l'università e lo studio il tempo è esiguo alquanto.
Bene, grazie mille per aver letto questa premessa parafrasante, e grazie anticipatamente a chi leggerà ed a chi avrà la pazienza e la voglia di commentare.
Buona lettura!

Jame


   


                                                                                    Mathesis     
                           

                                                        Cupiditas 

                                                                     (Ambizione, Desiderio)






Seduta al tavolo della propria cucina, gomiti appoggiati al bordo del legno scuro, continuò a rigirare il liquido ambrato nella sua tazza finemente intagliata che teneva fra le mani, ormai calde grazie al tepore irradiato dalla ceramica. Quel calore bruciante che sentiva sui palmi, fastidioso, la faceva sentire meglio. Le provocava una sorta di intorpidimento dei sensi, le annebbiava momentaneamente le facoltà mentali, che volteggiavano ormai slegate tra loro nella periferia del suo cervello.
E non era poi così male.
Tè nero doppio con qualche goccia di limone e niente zucchero, grazie.
Sempre perfetto quando riceveva certe notizie.
Soprattutto se di mattina.
Dal un lato del tavolo guardava assorta fuori dalla finestra, posta davanti a sé, facendo scorrere il suo sguardo ambrato sul bellissimo giardino di stampa quasi autunnale, che era riuscita a riportare all’ordine così faticosamente.
Cedri, pini, abeti, cipressi: per anni le erbacce avevano potuto liberamente crescere ed inghiottire nella loro espansione ogni pianta presente in quell’ampio terreno, nascondendo alla vista rare meraviglie della botanica britannica di cui non ricordava neanche di averne degli esemplari. Proprio da lei, nella sua vecchia villa nello Scottyshire.
Ghignò al pensiero della vastità di piante che era riuscita a riportare alla luce: la Sprite sarebbe di certo impazzita di gioia a quella vista.
A quel punto sentì svanire il sorriso dal viso, sbatté gli occhi diventati ormai asciutti, ed abbassò lo sguardo alla sua sinistra.
Il foglio dispiegato di pergamena era ancora là, faceva sfoggia di sé in bella vista, spavaldo, incurante dello sconquasso che era riuscito a creare con poche, semplici parole.
L’osservò con timore, come si potrebbe osservare uno schiopodo sparacoda perfettamente adulto nella propria cucina.
Riflettendo su quanto poco simpatico sarebbe stato ritrovarsi uno schiopodo sparacoda adulto e sicuramente arrabbiato nella propria cucina, si alzò per posare la tazza nel lavandino.
Sospirando ed appoggiandosi al marmo del ripiano, scostò un lato della tendina della finestra, immergendo gli occhi ancora una volta in quello spettacolo rosso autunnale.
Piccolo espediente per distrarre la mente.
Inutile.
Quando quasi un anno prima si era trasferita in quella villetta, sperava di rinchiudercisi dentro per un lasso di tempo vicino ad una decina d’anni. Almeno.
Avrebbe trascorso le sue giornate nella sua casetta accogliente, ciondolando nella sua amatissima ed ormai fornita biblioteca per la maggior parte del tempo; avrebbe curato da efficiente editor i futuri libri che il Ghirigoro le commissionava, ed avrebbe gironzolato qua e là per il suo appezzamento di terra, approfondendo così i suoi studi di erbologia e sperimentando nuove pozioni con le piante raccolte nel suo laboratorio sotterraneo.
Niente incontri, niente approcci, niente confronto, nessuna possibilità di fare conoscenze. Nessun pericolo, niente di niente.
Decisamente la scelta migliore. Isolamento totale, soltanto lei e la natura.
Tuttavia, non avrebbe mai pensato di poter ricevere una proposta come quella che il giorno prima era arrivata fra il frusciare delle ali di Leotordo ed il suo continuo stridere per la felicità di esser riuscito a portare la missiva tutta intera.
Da Londra alla sua ormai dimora c’era sicuramente un bel po’ d’aria da attraversare.
Osservandolo, comodamente appollaiato su ciò che ormai era divenuto il suo trespolo -  la cima del frigorifero - si annotò mentalmente di dargli una ricompensa.
E di fargli cambiare la scelta del nido.
Tanto, ormai, da quanto aveva potuto leggere sul piccolo pezzetto di carta che aveva trovato legato alla zampa del gufetto, sarebbe stato suo per il resto dei suoi giorni.
Forse avrebbe potuto portarlo con sé, sperando che evitasse di provocare gli altri gufi decisamente più grossi di lui.
Si fermò nell’atto di lavare la tazza.
Effettivamente, ammise, aveva già preso in modo inconscio la sua decisione.

Si era sorpresa non poco, quando in allegato al pezzetto microscopico di carta, aveva preso dal becco del piccolo assiolo la lettera.
Soprattutto perché nessuno sapeva dove si era trasferita.
Nessuno tranne le persone essenziali, ovviamente.
E chi aveva inviato quella lettera, non era stato decisamente informato del suo trasferimento.
Le sue mani avevano tremato appena nello scorgere il sigillo impresso a caldo nella ceralacca che univa i due lembi di pergamena; i suoi occhi si erano leggermente aperti per la sorpresa mentre scorrevano quella calligrafia fine ed elegante che aveva già letto per la prima volta il giorno del suo undicesimo compleanno.
Arrivata alla fine della lettera, l’aveva appoggiata sul tavolo senza una parola, e come un automa si era diretta alla mensola delle emergenze posta sopra la cappa dei fornelli, per prepararsi il suo amato tè nero.

Dopo tutto quel tempo…
Aveva la possibilità di tornare in quella che era stata la sua casa per sette lunghi anni.
Hogwarts.
Ogni qualvolta quel nome le usciva dalle labbra, poteva assaporarne il gusto dolce-amaro nella bocca, il gusto particolare che si sente pensando a ciò che è stato.
Il gusto del passato.

Erano successe così tante cose da quando le alte ed imponenti facciate in pietra medievale l’avevano salutata, sparendo dietro gli alberi secolari mano a mano che la carrozza si allontanava, che non sapeva cosa aspettarsi, non sapeva neanche immaginare cosa aspettarsi.
Una sua piccola parte, però, quella che in qualche modo era rimasta tra quelle antiche e fredde mura, quella che si era inspiegabilmente assopita da qualche tempo, ora bussava con insistenza per farsi sentire, rammentandole che inconsciamente l’aveva sempre sperato e che non era una possibilità così remota da escludere.
Soprattutto considerando il suo alto grado di preparazione.
Ma trovarsi realmente di fronte a quella possibilità su cui si era fermata, dovette ammettere, più volte a fantasticare, proprio in quel periodo così sconquassato dai recenti avvenimenti accaduti, proprio quando stava cercando di rimettere insieme i pezzi della sua vita in un nuovo puzzle…beh, quella proposta era un problema.

O forse una soluzione.

Con un movimento improvviso, riprese il foglio e se lo rigirò fra le mani, pensierosa, sperando forse che potesse ispirarla. Si sorprese così di notare un piccolo post scriptum nell’angolo destro che prima le era sfuggito, probabilmente sbalordita dalla notizia.

                 


 “ P.S.: Sai bene quanto tu saresti ben accolta qualora scegliessi di accettare la mia

                         proposta, cosa che, ti confesso, spero vivamente.
                  Hogwarts sarà sempre disponibile per te, Hermione.

            Un abbraccio ed un sincero augurio, qualunque sia la tua risposta,

                                                  Minerva "




Con un sospiro alzò lo sguardo davanti a sé, fino ad incontrare il suo riflesso nel vetro della finestra.
Quello che le veniva restituito era l’immagine di una giovane donna, dallo sguardo sempre un pò indecifrabile, dal profilo sicuro, ed una malinconica tristezza che veniva a farle visita solo in alcuni istanti.
Si rese allora finalmente, pienamente conto dell’opportunità avuta.

Forse fu per il dolce e rassicurante tubare di Leotordo, forse per le materne e sincere parole di Minerva che ancora le aleggiavano in testa, forse per il pensiero di tutto quello che aveva passato e che stava ancora passando, o forse fu proprio per tutto questo messo assieme…

Decisa si diresse velocemente fuori dalla cucina, i capelli color miele svolazzanti.
Lo stridio di Leotordo, indignato per il repentino cambiamento, la seguì fino all’intimo salottino finemente arredato da lei stessa anni prima.
A grandi passi lo attraversò; prima che fosse troppo tardi si ricordò di saltare in tempo sul grande tappeto che ricopriva gran parte del parquet scuro, ed evitò così di inciampare di nuovo sull’orlo invisibile.
Accanto alla nota per Leo, registrò di spostare quel dannato tappeto: lavorato dalle sapienti mani dei folletti, era una chicca di rarità grazie al prezioso pelo di Demiguise*
 ed alle rare pelli di Lethifold*, intrecciati a fili di Unicorno e tessuto, che rendevano come risultato un tappeto molto simile ad un gigantesco mantello dell’invisibilità.
Doveva soltanto capirne ancora l’utilità.
Dopo averlo sorpassato senza – sorprendentemente – incespicamenti, entrò di filato nel suo studio personale, cui si accedeva tramite una porta posta accanto alla credenza del salottino; accese il fuoco nel camino alla sua destra con un cenno impercettibile della bacchetta e si accomodò così alla grande scrivania di mogano.
Febbrile cercò, tra le varie scartoffie che ingombravano la scrivania, carta e penna mentre Leotordo faceva il suo ingresso con uno stridio.
< <
Non adesso Leo, per favore. > >
Ansiosa aprì un cassetto, temendo seriamente di essere rimasta a corto di pergamene pulite.
Un altro stridio.
< <
Leo, dopo avrai la tua ricompensa, aspetta solo un minuto. > >
Trovati.
Immersa la penna nel calamaio, sicura, cominciò a trascrivere in parole la sua scelta.
Con un ghigno un fugace pensiero le attraversò la mente: le erbacce del giardino avrebbero presto ripreso la loro occupazione.






   ******************************************************************************************





Non ce la faceva più.
Stava correndo a perdifiato da soli cinque minuti e già le faceva male la milza.
Era passato un po’ di tempo da quando per la guerra contro Voldemort doveva correre così. Non c’era più abituata.
Ma questo non la fece rallentare, non vedeva l’ora di arrivare a casa per dare la bellissima notizia che aveva potuto appurare al Ministero, mentre a metà mattina firmava annoiata delle scartoffie alla sua scrivania; probabilmente Ron non ne sarebbe stato entusiasta tanto quanto lei, ma sicuramente avrebbe condiviso almeno in parte la sua felicità.
Girò l’angolo, evitando per un soffio di gettare a terra un uomo dall’aspetto quantomeno troppo eccentrico persino per un mago, e senza neanche scusarsi continuò a galoppare, seguita da urla indignate.
Destra, sinistra, ancora destra.
Non aveva neanche pensato di smaterializzarsi direttamente a casa, tale era la sua felicità e la sorpresa.
Eccola.
Finalmente arrivò al cancelletto in ferro battuto della graziosa casetta coloniale; lo aprì di colpo e si fiondò dentro casa sfondando quasi la porta.
< <
Signora, ben torn… > >
Non si premurò neanche di salutare Winky all’ingresso o di chiederle dove fosse lui; non si premurò di chiedere il motivo di quel velo di paura che avrebbe sicuramente scorto nell’elfa se si fosse solo fermata un attimo.
Semplicemente corse su per le scale, facendo rimbombare i suoi passi frettolosi fino alla sua camera da letto, fino alla loro camera da letto.
La aprì di scatto.
< <
Amore, non ci crederai mai, è successa una cosa bell…issima… > >
Le parole le morirono in gola, alla vista che aveva davanti.
< <
Hermione… > >
Un sussurro, una supplica, uscì dalle labbra di Ron, spaparanzato a letto, presumibilmente nudo, con accomodata sul suo bacino a darle le spalle una donna dai capelli scuri.
La donna si girò di scatto a quel nome e guardandola spaventata si sistemò affianco a lui, coprendosi con le lenzuola, in un gesto di pudore che poco si sposava con ciò che molto probabilmente aveva fatto nelle ultime ore.
< <
Ron…> >
< <
Herm…pensavo fosse Winky… > >
Non riusciva più a vedere nulla, né lui né lei, né quella che era stata la loro camera da letto per anni. Non sentiva più nulla, né le suppliche di Ronald, né lo sguardo timoroso della donna, né il battito furioso del suo cuore che faceva un gran male al costato.
Dopo aver direttamente guardato quegli occhi azzurri, forse per l’ultima volta, si girò di scatto e fece all’inverso il corridoio, giù per le scale.
Non capiva di chi erano quei singhiozzi, li sentiva troppo lontani, eppure c’erano.
Passò davanti a Winky, ancora ferma all’ingresso, e non seppe come ma riuscì a vedere la maniglia della porta abbastanza da poterla afferrare ed uscire così da quella casa, da quella vita, dalla vita di lui.


Si alzò di colpo a sedere, gli occhi spalancati, il respiro corto ed i capelli scarmigliati sul viso.
Una mano corse al cuore, l’altra a scostare i boccoli dagli occhi.
L’aveva sognato di nuovo.
Dopo ancora quasi un anno l’aveva sognato di nuovo.
Non sapeva se essere più sorpresa per quello che aveva sognato o per il fatto di averlo sognato.
Sospirò e con movimenti meccanici si districò dal groviglio di cachemire bronzo che le si era avvolto al bacino per il suo troppo muoversi, e si sedette sul bordo del grande letto a baldacchino.
Guardò l’ora sulla sua sveglia sopra il comodino e con un gemito vide che erano già le 11 e 34 del mattino.
Il sole era infatti ormai quasi allo zenit, ed i suoi caldi raggi attraversavano indisturbati la finestra al suo fianco, colpendola dolcemente in viso.
Erano mesi che non dormiva così tanto.
Effettivamente, pensò, la notte passata era rimasta sveglia fino a tardi, seduta sulla sua poltrona in pelle davanti al fuoco scoppiettante, nella sua piccola ma fornita biblioteca adiacente la camera, a pensare e ripensare a quali libri le sarebbero stati utili per il compito che avrebbe effettuato di lì a pochi giorni, e quali, invece, le avrebbero solo appesantito la borsa.
E così non si era resa conto dello scorrere del tempo, arrivando a coricarsi solo alle due del mattino.
Si alzò con uno sbadiglio, e, rabbrividendo per il cambio improvviso di temperatura, resistette all’impulso di coricarsi di nuovo sotto le calde coperte.
Tuttavia, il rumore che sentì subito dopo le fece dimenticare immediatamente il senso di intorpidimento che aveva.
Il suono inconfondibile di chi entra casa senza essere stato invitato le era giunto chiaro alle orecchie.
Si stupì del fatto che le protezioni poste da lei attorno alla dimora non avessero incominciato a suonare, facendo da allarme.
Questo significava che il suo ladro era un mago.
Ed un mago molto esperto, per giunta.
Prese subito la bacchetta da sotto il cuscino – certe abitudini non sarebbero passate così in fretta – e, con i sensi all’erta, si diresse velocemente ma senza far rumore fuori dalla porta della sua camera, incurante del soffio gelido che la investì attraverso la sottile camicia da notte, giunta nel pianerottolo.
Subito si appoggiò la punta della bacchetta sulla testa, e si applicò un incantesimo di disillusione: Regola numero 7 barra 2 del “Codice del perfetto Auror”.
Se l’avesse sentita parlare così il suo ex-capo, Schecklebolt, le avrebbe stretto la mano.
Gettò quindi uno sguardo al corridoio in penombra, e vide tutto al suo posto: i mobili, i sopramobili e le porte chiuse. Esattamente come aveva lasciato tutto il giorno prima.
Si mosse allora a sinistra, avvicinandosi alla ringhiera in legno delle scale, che continuava il percorso del muro di fronte, e si azzardò a gettare uno sguardo al di sotto.
Con sommo dispiacere per sé, notò la porta dell’ingresso appena socchiusa ed il tappetino con su scritto “Welcome” girato di 90 gradi.
Sì. Decisamente qualcuno era entrato a farle una visita non gradita.
Dopo aver applicato un incantesimo di silenzio alle scale, cominciò a scenderle in fretta.
Giunta al piano di sotto, non molto lontano da dov’era, sentì dei passi allontanarsi, e fermandosi lì, con malcelata calma, chiuse gli occhi, mentre temeva quasi che il tamburellare incessante del cuore l’avrebbe fatta scoprire.
Subito li riaprì.
Sentì i passi tornare indietro, e mentre cercava di prevedere da dove sarebbe apparso il suo caro ladro, un altro rumore le giunse all’orecchio, quasi provenisse dal salottino posto in fondo all’ingresso alla sua sinistra. Provò a concentrarsi.
Era sembrato…sì, sembrava una sorta di tonfo seguito da un borbottio sconnesso.
Scivolò allora piano rasente al muro, e continuò fino a raggiungere la porta.
Quando lo fece, poté notare che questa rimaneva socchiusa, chiaro segno della presenza di qualcuno all’interno della stanza.
Prima di andare a dormire aveva l’abitudine di chiudere tutte le porte.
Trovando difficoltà ad inghiottire sbirciò tra lo stipite e la porta, e, tra la poca luce che filtrava attraverso le tende abbassate, riuscì a scorgere solo il lembo di un mantello nero a terra.
Prendendo un grande respiro e bacchetta sguainata davanti a sé, spinse la porta di scatto.

< <
Stupefi…! > >

Le parole le morirono in gola di fronte all’ironia della scena che le si parava davanti.
Ecco spiegato il mantello nero come la pece.
Sdraiato sulla pancia, lungo disteso al centro della stanza tra il divano ed il tavolo, aggrovigliato dai piedi al busto nel tappeto di Demiguise, ed i capelli lunghi e neri, più del suo mantello, sul viso, stava Severus Snape.
Al suo ingresso improvviso aveva alzato di scatto gli occhi, nerissimi, sorpreso poi di non vedere altro che l’ingresso oltre la porta.
Prima che potesse recuperare la bacchetta, scivolata alla sua destra, e sferrarle uno schiantesimo la cui potenza l’avrebbe tenuta molto probabilmente per qualche anno al San Mungo (anche se il fatto che non l’avesse ancora presa le suggeriva che era davvero imbrigliato), con un cenno di bacchetta sciolse l’incantesimo di disillusione precedentemente applicato e lo guardò, con un misto di poca pietà e di grande derisione.
< < Buongiorno, Professor Snape. > >

Lui la fissò sbalordito, ancora supino sul tappeto, apparentemente incapace di proferir parola alcuna.
Quella scena non l’avrebbe dimenticata neanche con un Oblivion.







        §§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§  






Era scocciato.

Entrò come una furia nera nei suoi quartieri, tra lo svolazzare del suo mantello.
Era tremendamente ed insopportabilmente scocciato.
Chiuse la porta alle sue spalle talmente forte che avrebbe potuto scardinarla.
A grandi passi raggiunse la sua scrivania, e dopo averla aggirata si lasciò cadere sulla sedia dall’alto ed austero schienale.
Con un sospiro si portò una mano al viso, prendendo la base del naso tra l’indice ed il pollice, in un gesto che molto spesso l’aveva calmato.
Non bastava il fatto che quella vecchia megera gli avesse affibbiato ad un mese dall’inizio dell’anno scolastico il compito di portare avanti per un pò anche le lezioni di Trasfigurazione, oltre a quelle di Pozioni, eh no!
Come se non gli fossero già abbondantemente sufficienti quelle zucche vuote che lui aveva il compito gravoso di tentare, inutilmente, di riempire con i suoi grandi sforzi, ne aveva altre!
In aggiunta, non soddisfatta dell’enorme mole di lavoro affidatogli tranquillamente un mese prima, con quei suoi modi spicci e secchi – che non erano cambiati minimamente da quando era divenuta Preside – adesso questo!
Non aveva neanche interpellato altri professori, prima di chiamarlo.
Aveva già deciso tutto, probabilmente, ed aveva già deciso anche di renderlo partecipe della sua decisione solo all’ultimo secondo, di modo da metterlo di fronte al fatto compiuto e di modo che non potesse obbiettare.
Indice e pollice strinsero maggiormente la base del naso.


< < Credo sia una buona idea, inviare te, Severus. > >, gli aveva detto, quasi fosse una missiva, guardandolo da sopra gli occhiali quadrati, seduta nella sedia dietro la scrivania del ben noto ufficio del Preside.
Probabilmente aveva notato l’indurirsi della sua espressione ed aveva interpretato nel modo corretto il suo silenzio, perché subitamente proseguì con un tono più dolce, quasi materno, ed una strana espressione negli occhi ormai segnati dalla vecchiaia e dalla stanchezza.

< <
Sai che è necessario. Potrebbe avere bisogno di aiuto, e non c’è persona di cui mi fidi più di quanto mi fidi di te. > >

Ecco.
Quello era stato un colpo basso.
Minerva sapeva bene dove andare a far leva con lui.

< <
Inoltre, > >, aveva proseguito alzando la voce e tornando ai suoi consueti modi aridi, < < trovo sia assai saggio e rispettoso che sia proprio l’attuale insegnante di Trasfigurazione a dare il benvenuto a quello nuovo. > > , aveva concluso, appoggiandosi all’alto schienale ed attendendo un suo cenno.
Aveva notato allora che il soggetto del grande quadro posto dietro la donna gli aveva fatto un cenno d’assenso in segno d’approvazione, per poi sorridergli amabilmente con gli occhi ilari, da dietro le inconfondibili lenti a mezzaluna.
Avrebbe dovuto immaginarlo.
Quei due pazzi erano d’accordo.

Era tornato allora a guardare Minerva.
A quel punto, aveva sentito una gran voglia di rifiutarsi di adempiere a quella ulteriore seccatura.
Formulato quel pensiero, la sua mente era corsa ad un anno prima.

Non sapeva ancora cosa provare esattamente, riguardo agli avvenimenti che erano successi.
Forse avrebbe dovuto provare sollievo, forse gratitudine.
Tutti coloro che avevano vissuto abbastanza da superare i tempi oscuri, tutti quelli che quindi avevano visto la storia con i loro occhi, ed anche tutti coloro che, fortunati, erano nati dopo e ne erano venuti a conoscenza solo dai libri e dai racconti dei genitori, tutti, si aspettavano che fosse proprio quello lo stato in cui si sarebbe dovuto trovare.
Si aspettavano grandi cerimonie da parte sua, e grandi discorsi strappa lacrime.
Ma erano rimasti delusi, naturalmente.
Con trepidazione, chi aveva avuto la possibilità di vederlo cercava di notare il barlume di un sorriso, sperava di vedere un’aria di riconoscenza sul suo volto sempre imperscrutabile e granitico.
Riconoscenza.
Riconoscenza per aver potuto stringere fra le mani una seconda possibilità di vita; riconoscenza verso quella donna dai capelli sempre stretti in una severa crocchia, che nel suo ufficio l’aveva fissato immobile, in attesa, quasi riuscisse a sentire le sue elucubrazioni.

Forse, ancora, avrebbe dovuto provare felicità.

Quasi non era riuscito a trattenere uno sbuffo di scherno, a quel pensiero.
Cosa che si lasciò sfuggire adesso, adesso che era chiuso nel suo studio, adesso che era solo.
La felicità gli era stata preclusa da molto tempo, ormai.
Non sentiva sollievo, non gratitudine, né riconoscenza, e tanto meno provava od aveva provato anche per un solo istante felicità.
La verità era che non sentiva proprio niente.
La verità, era che avrebbe volentieri gridato a tutti quegli sciacalli, che, avidi, aspettavano un suo cambiamento, che erano tutti dei ritardati e dei pazzi.
Ritardati, perché non avevano ancora compreso l’entità delle loro scelte e le ripercussioni di tali scelte sulla sua misera vita.
Pazzi, perché solo dei pazzi potevano realmente credere che una seconda vita - a lui, proprio a lui! - avrebbe potuto anche solo lontanamente far piacere.

Nonostante questo, ripresosi, in un gesto meccanico si era stretto i lembi del mantello nero attorno al corpo, ed aveva piegato impercettibilmente la testa, in un chiaro segno di assenso.
La donna allora l’aveva guardato in uno strano modo, per poi chinarsi assorta su dei fogli della scrivania.
A quel punto non avevano più niente da dirsi, e così si era diretto veloce verso la porta.
Proprio quando stava per aprirla la voce della donna l’aveva bloccato.
< <
Allora ti consiglio di prepararti subito, Severus; vorrei che andassi proprio stamattina, dato che da oggi sono iniziate le vacanze di Halloween, ed hai, perciò, il tempo necessario a disposizione. > >
 
Era sicuro che se si fosse girato avrebbe visto il suo sguardo accendersi ilare.
Dopo aver ascoltato in silenzio, e trattenendosi dal sospirare, aveva abbassato la maniglia per uscire da quel calvario.
Ma evidentemente la megera non aveva ancora sparato tutti i colpi in canna.

< <
Ed inoltre, > > ormai stava per attraversare l’uscio < < ti consiglierei vivamente di portati dietro qualche ricambio. > >

Si era fermato di botto.
E girandosi lentamente su se stesso, aveva leggermente inarcato un sopraciglio, attendendo chiarimenti.
Lei aveva abbandonato le scartoffie, e lo aveva osservato con lo stesso sguardo di poco prima, forse in attesa che esplodesse.

< <
Qualche ricambio, Minerva…? > >

La sua voce, sempre inflessibile, aveva mostrato un piccolo tentennamento.
A quelle parole gli occhi della strega si erano fatti ancora più strani.

< <
Esatto, Severus. Qualche ricambio. Ed aggiungerei anche qualche tua pozione se fossi in te, e se ti può far sentire più sicuro avere una piccola scorta di emergenza. Non si sa mai. > >
Senza accorgersene i suoi piedi si erano mossi un po’ in avanti, mentre il cervello stava cominciando a registrare il probabile significato di quella frase.

< <
E perché mai, Preside, dovrei portarmi appresso armi e bagagli oltre alla sola cosa sufficiente per un “compito” – aveva accompagnato le parole con una nota sarcastica e con un gesto della mano sinistra – del genere, ossia la bacchetta? > >
Sentiva una strana sensazione, uno strano formicolio alla base della nuca, che non gli presagiva nulla di buono.
< <
 Perché non credo, Severus, che alla Signorina Granger farebbe piacere dover sentire il suo coinquilino che puzza per tre giorni. >  >
A quelle parole si era dovuto aggrappare saldamente alla maniglia, quasi caricando tutto il suo peso su quel dannato pezzo di metallo.

< <
Granger…coinquilino…tre giorni…? > >. Per la prima volta dopo tanto tempo, aveva farfugliato.

< <
Che cosa vorresti dire, Minerva…? > >, le aveva chiesto lanciando fulmini con lo sguardo più nero del solito.

Lei per tutta risposta, era tornata a dedicare la propria attenzione alle scartoffie.
< <
Esattamente ciò che ho detto, Severus. Passerai tre giorni con la Signorina Granger, durante i quali, approfittando delle vacanze a disposizione, fornirai con molta calma e pazienza le direttive essenziali all’insegnamento, se vedrai che sarà necessario. > >
Aveva parlato piano, con il tono che si usa per spiegare ad un bambino disubbidiente che, no, non si gioca con le forbici.
Apparentemente indifferente alla situazione, aveva continuato a fare scorrere la penna su delle pergamene.

< <
Io credo proprio che non ce ne sarà alcun bisogno. > >, aveva ringhiato di rimando.
< <
A quanto mi è stato riferito, la Granger ha alle spalle abbastanza esperienza da non dover necessitare del mio intervento. > > , aveva scandito a denti stretti, mentre le nocche delle mani diventavano via via più bianche.

< <
Suppongo di no, è vero, ma credo che un ripasso non solo su Trasfigurazione, per appurare le sue qualità didattiche, ma anche in generale su un pò tutte le materie strettamente collegate con essa, quali Erbologia, Difesa contro le Arti Oscure, ed in primis Pozioni, sarebbe decisamente auspicabile. Sai quanto me, Severus, che i professori di Hogwarts devono avere una conoscenza che spazi in tutti campi, e che non si cristallizzi solo sulla materia d’interesse. > >

Avrebbe voluto davvero prenderle quella piuma e ficcargliela dritta in gola.

< <
Ti ricordo, inoltre, che puoi sentirti libero di prendere anche un giorno in più, ma ti pregherei di tornare qui insieme a lei almeno il giorno prima la festa di Halloween, se non due, in modo che la nuova professoressa possa familiarizzare con il proprio ruolo e conoscere i membri del corpo insegnante nuovi per lei. > >
Si era concessa allora una pausa per alzare gli occhi dalla scrivania e – l’avrebbe giurato – solo per potersi godere lo spettacolo di lui, livido di rabbia masticata tra i denti quasi digrignanti, e le sopraciglia talmente aggrottate da far sembrare di avere un singolo, lungo monociglio.

< <
Ma suppongo di poter contare sulla tua, come dire, esigenza di puntualità. > > , lo aveva detto con un tale brillio negli occhi castani da poter far invidia a Silente stesso.
Così, gettandogli un ultimo sguardo, si era ritirata dietro la Gazzetta del  Profeta.
Questo era troppo.

< <
Minerva… > >, aveva ringhiato, non intenzionato a sottostare a quell’insulso incarico.

Lei, per tutta risposta, aveva fatto apparire gli occhi da sopra il giornale, per guardarlo con le sopraciglia alzate, come se si fosse dimenticata di qualcosa.

< <
Ah, sì. Buona permanenza, Severus. > >

Detto questo, indifferente, si era rituffata di nuovo nel quotidiano.

Ed ora se ne stava lì, seduto alla sua scrivania a sistemare le ultime cose, rodendo dalla rabbia.
Maledetta megera.
Non gli aveva dato neanche un preavviso di qualche ora, incastrandolo così in quel seccante compito.
Era tutto pronto come sempre.

Aveva preparato la sua settimana in modo da avere sette lunghi giorni di relax, lontano da mocciosi dalle teste di legno: si sarebbe alzato verso le nove, piuttosto che alle sette e mezza del mattino, e dopo aver fatto colazione - fingendosi interessato alle vuote conversazioni dei suoi colleghi, e sopportando la vista di quei marmocchi petulanti - si sarebbe rintanato nelle sue stanze per l’intero giorno a preparare alcune pozioni che aveva dovuto accantonare per dare precedenza al lavoro.
Si sarebbe staccato dal calderone o dai suoi amati libri solo per i pasti, e poi, alle undici di notte, sarebbe andato a dormire.
Una vita tranquilla, insomma.

Ed invece no
.

I suoi piani migliori dovevano sempre essere sventati, in qualche modo.
Chissà cosa diavolo era successo a quella sciocca ragazzina, perché aspettasse così tanto per rispondere alla lettera di Minerva.
Ed inoltre, qualora non le fosse successo nulla, doveva farle pure da “professore”.
Di nuovo.
Sospirò e spostò la mano che teneva il naso, per andare a coprire gli occhi stanchi.
Ma chi voleva prendere in giro.
Sapeva benissimo che la causa della sua reticenza non era solo quella.
Non poteva più nasconderlo.
Non a se stesso, almeno.
Incontrandola di persona, senza nessuno attorno, lo scontro sarebbe stato inevitabile, in un modo o nell’altro.
Quelle domande che da mesi e mesi gli frullavano in testa, stavano divenendo sempre più pressanti ed insistenti.
Di solito le allontanava come si scacciano le mosche.
Ma poi quelle, quando meno se lo aspettava, quando abbassava la guardia, quando era solo, nei suoi quartieri, lontano dal vociare degli studenti, gli ritornavano in mente, a tradimento.
Era combattuto su cosa decidere.
Voleva avere delle risposte, doveva se voleva chiudere definitivamente con il passato.
Ed il problema era quello, però.
Perché al contempo non poteva riuscirci.
O forse non voleva.
Non poteva sperare seriamente di vivere davvero.
Il suo passato, ciò che aveva fatto, le scelte sbagliate che aveva preso, che avevano segnato molte persone, non solo lui, gli avevano macchiato l’anima, la coscienza, il cuore.
In modo indelebile.
Non poteva anelare a poter vivere la vita come tutte le persone ormai avevano già incominciato a fare, dopo la sconfitta di quel pazzo degenerato dieci anni prima.
La sua mente, il suo cuore, il suo stesso corpo erano troppo stanchi.
Tutti e tre portavano i segni delle sue decisioni.
Ogni volta che si guardava allo specchio, ogni singolo giorno della sua miserevole vita, vedeva sulla sua pelle i segni del passaggio di una vita sotto la sua bacchetta.
Ogni singola cicatrice gli rammentava quante giovani e vecchie esistenze gli fossero parse così insignificanti e vuote da metterci la parola fine.
Non poteva sperare davvero.
La speranza è per chi ha qualcosa per cui vivere.
Quel suo qualcosa era morto con Voldemort.
Il suo unico appiglio alla vita, ciò che per anni lo aveva tenuto in piedi, evitando che cadesse in ginocchio; ciò che gli aveva dato la forza di guardare dritto in quelle iridi rosse il Signore Oscuro e che gli aveva fatto sopportare tutte le cruciatus che l’avevano investito con ferocia, era svanito quando Potter li aveva liberati tutti.
Ora, non aveva più nulla per cui lottare, per cui alzarsi la mattina, per cui mangiare, per cui insegnare, per cui voltare pagina.
Era costretto a vivere di nuovo una vita a metà, una vita spezzata.
L’unico lembo che univa i due blocchi di allora, era Lily.
Era la promessa che aveva fatto, piangente, sulla sua tomba il giorno in cui tutto cambiò.
Era la vita di Harry Potter.
Aveva portato a termine il suo compito brillantemente, passando coscientemente persino sulla vita dell’unico uomo che avesse mai avuto un significato per lui, dell’unico uomo che avesse mai avuto fiducia in lui, che l’avesse guardato come un figlio.
E poi era morto.
Sì.
E non aveva desiderato altro per tutti quei diciassette, lunghi anni.
Ma non avevano voluto lasciarlo nella pace che aveva tanto bramato, non avevano voluto che rimanesse in quello stato di perenne ed eterno oblio di sé e del mondo che il fato, generoso per una sola volta, gli aveva voluto donare.
No, bastardi.
Avevano voluto manovrare i naturali eventi, piegarli al loro egoistico volere, fare un patto con la morte, stringere le sue mani nere e putrefatte, e prelevarlo da quel riposo nel nulla, per riportalo alla fatica del tutto, senza che lui lo volesse.
Ed una di questi maledetti pazzi che l’avevano voluto strappare da quell’oscurità così confortante era stata lei.
Proprio lei.
Senza accorgersene strinse le mani attorno ai braccioli, fino a conficcare le unghie macchiate dalle pozioni nell’imbottitura, fino a non far passare più sangue nelle dita.
Si era sempre chiesto il perché, più volte dopo aver compreso ciò che era successo, dopo aver messo a fuoco la situazione grazie anche alle parole di Minerva.
Eppure nonostante i lunghi discorsi e le lunghe risposte che la Preside, paziente, gli aveva dato alle sue domande, non riusciva a darsi una spiegazione razionale al suo intervento in quella scelta.
Perché tra tutte le persone nel mondo magico, sicuramente molto più preparate di lei, e sicuramente molto più desiderose di poter partecipare ad un procedimento così unico, di poter dire di essere stato importante per la “rimpatriata” del grande ed eroico Severus Snape, perché proprio lei aveva insistito così tanto, come gli aveva detto Minerva?
Si era tormentato per questo.
Voleva capire.

Con un gesto stanco si spostò quella cortina nera dal viso.
Sospirando si massaggiò gli occhi con due dita, e si alzò facendo strisciare la sedia sul pavimento.
La prima cosa che doveva fare, comunque, era compiere l’incarico affidatogli.
Poi…sarebbe arrivato anche il momento del poi.
Proprio in quell’istante sentì un leggero “poff”, proveniente dal di fuori della porta del suo studio, seguito da un veloce bussare.
Felice di poter riversare sulla malcapitata vittima tutta la sua frustazione e pronto ad assalire chiunque avesse avuto intenzione di disturbarlo in un momento in cui era più nero del solito, si diresse veloce alla porta e la spalancò di colpo, per poi fermarsi di fronte a quella vista.
Fuori dai suoi quartieri, in piedi sulle gambette verdi e scheletriche, con i grandi occhi blu fissi su di lui, stava un elfo domestico con un pezzetto di carta tra le piccole mani ed in mezzo a quelle che potevano benissimo essere valigie.
A quelle che, precisamente, erano le sue valigie.
Sentendo il suo umore raggiungere i meno 100, si rivolse all’elfo con il viso che esprimeva una calma mortale.

< <
Cosa dovrebbero essere questi, di grazia? > >, la voce con cui lo disse, in effetti, era alquanto sepolcrale.

< < Prof-fessor Snape, signore, sono i suoi b-bagagli, signore… > >, gli occhi della creatura raggiunsero grandezze esorbitanti, fino ad assomigliare a due pluffe, forse perché avevano notato che il suo sopraciglio era scattato subito in alto, a formare un arco poco rassicurante.
< <
La Preside McG-Granitt ha inviato B-Blinky a portargliele perfettamente preparate per l’occorrenza, così ha detto a Blinky,si-signore, ed ha a-anche detto che ha sosp-peso momentaneamente le protezioni per farle u-usare la smaterializzazione, signore… > > .
La vena della tempia cominciò a pulsare vistosa, e le labbra divennero una sola linea austera.
Visto che continuava a rimanere zitto e fermo e si limitava ad osservare la creatura, - perché se avesse parlato sarebbe stato solo per scagliare urlando un Avada Kedavra in direzione dell’insetto -, l’elfo-Blinky cominciò a tremare sugli stecchini instabili che si ritrovava per gambe.
A quel punto, pensando che non sarebbe stato piacevole ricevere un richiamo dalla megera per aver ucciso un elfo con un infarto, decise di mandarlo via, per il suo bene.

< <
Bene… > >
L’elfo si rilassò.

< <
ORA SPARISCI! > > urlò con sguardo maniacale.

Terrorizzato, l’elfo-Blinky si girò a sinistra lanciando per aria il pezzetto di carta, e si dileguò correndo per i sotterranei, urlando qualcosa su “questo non era previsto nelle mansioni”, e lasciando armi e bagagli ai suoi piedi.
Il fatto che non si fosse smaterializzato gli suggeriva che probabilmente l’aveva davvero spaventato.
Riluttante, notò il pezzo di carta a terra e lo afferrò.

 


“ 161, Road Phidiana, Scottyshire. Anche se sei certamente un grande mago,
non sei altrettanto certamente un indovino, perciò non potresti raggiungerla senza indirizzo.


Ancora buona permanenza,
Minerva”



L’accartocciò fremente per poi gettarlo a terra, e, con un gesto stizzito, tolse la bacchetta dall’interno della veste, puntandola verso le valigie, e spostandosi di lato, per farle levitare all’interno del suo studio.

Seguendole le portò al centro, sul grande tappeto.
Controllato che tutto fosse al suo posto, puntò la bacchetta dietro di sé, sulla porta, e le applicò un incantesimo di protezione, qualora qualche impavido moccioso avesse voluto fare una visita ai suoi quartieri.
Fatto ciò, la infilò nella veste e prese le valigie nelle mani.
Lanciò un ultimo sguardo al proprio studio circolare, sconsolato per le sfumate vacanze, e prendendo un bel respiro roteò su se stesso, pensando che quelli che stava andando a passare sarebbero stati giorni lunghi e difficili.







Note dell'autore:


- Mathesis: l'arte combinatoria
, così Leibniz chiamava la Mathesis Universalis, cioè lo studio finalizzato alla scoperta dei segreti della natura. Il concetto si basa sul pensiero del geniale filosofo catalano Raimondo Lullo, che immaginò un meccanismo composto da cerchi concentrici, ognuno dei quali avente un movimento rotatorio indipendente dall'altro. Il confronto, il rapporto, l'accostamento tra lettere e simboli contenuti nei cerchi rotanti doveva servire alla soluzione dei problemi ed all'espansione de sapere; da ciò infatti la traduzione in "approfondimento, conoscenza". Qui, da me, naturalmente viene intesa in una accezione più meramente sentimentale ed introspettica. Qui, la Mathesis vuole essere processo di apprendimento e di conoscenza di sè, dei propri desideri e limiti, e conseguente accettazione degli stessi. Vuole esprimere un desiderio struggente (uno "streben", romanticamente parlando in tedesco) da parte dei protagonisti di conoscersi, di conoscere gli altri attraverso loro stessi e di accettare i propri limiti, i propri errori e la natura dei propri desideri. E come nella concezione originaria l'accostamento di determinate lettere con determinati simboli dava un determinato risultato e significato che permetteva di ampliare la conoscenza ed il sapere, anche qui l'accostamento di determinati simboli ed indizi da parte del personaggio di Severus Snape forse ci darà una visione di sé che ci consentirà di capirlo meglio e di conoscerlo. Questo perchè vedo Severus Snape un pò come un enigma, come una sorta di criptex che contiene al suo interno il segreto della sua persona, e, come nel criptex, solo allineando tra loro le lettere giuste, nella giusta sequenza, si potrà aprire l'enigma e scoprire cosa c'è al suo interno.

-
* Demiguise: Il Demiguise si incontra in Estremo Oriente, anche se solo con gran difficoltà, perché è in grado di rendersi invisibile quando minacciato e può essere visto solo da maghi abili nel catturarlo. Il Demiguise è una bestia erbivora pacifica, simile nell'aspetto a un grosso scimmione, con grandi occhi neri e tristi molto spesso celati dal pelo. Tutto il corpo è ricoperto di pelo lungo, sottile, setoso, argenteo. Alle pelli di Demiguise viene attribuito un gran valore perché il pelo può essere filato per fare Mantelli dell'Invisibilità.

-
* Lethifold: Noto anche come Velo Vivente, il Lethifold è per fortuna una creatura rara diffusa unicamente nei climi tropicali. Assomiglia a un mantello nero dello spessore di oltre un centimetro (più spesso se di recente ha ucciso e digerito la vittima) che scivola sul suolo di notte. Tramite il resoconto del mago Flavius Belby, che ebbe la fortuna di sopravvivere, sappiamo che in genere il Velo Vivente aggredisce chi dorme, perciò le sue vittime hanno di rado la possibilità di usare qualsivoglia magia contro di esso. Una volta che la sua preda è stata soffocata con successo, il Lethifold la digerisce lì stante, nel suo letto. Poi abbandona la casa appena più spesso e grasso di prima, senza lasciare alcuna traccia di sé o della vittima.





Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Occursus ***


Mathesis

Occursus
( Incontro )
                                       


    











Con un movimento elegante continuò a girare su sé stesso, con in mano le valigie che non smettevano di sbatacchiargli contro le ginocchia. Quando finalmente il movimento a trottola cessò, si arrischiò ad aprire gli occhi tenuti chiusi per tutto il tempo della smaterializzazione.
Se non avesse passato la maggior parte della sua vita a reprimere le sue emozioni, avrebbe certamente esclamato qualcosa.
Tuttavia l’unica cosa che fece fu dischiudere leggermente le labbra sottili per la sorpresa, ed accigliarsi ancor più del consueto per la rabbia.

Ciò che gli si parava davanti era a dir poco esasperante.
Desolazione.
Solo e soltanto desolazione.
Si aspettava di trovare delle villette a schiera, separate da qualche ettaro di terreno verdeggiante e rigoglioso.
Il tipico paesaggio che si poteva scorgere nelle campagne britanniche.

Beh.
Il terreno verdeggiante e rigoglioso c’era.
La cosa che stonava era che davanti a sé c’era solo terreno verdeggiante e rigoglioso.

Nessuna casetta stile coloniale, o villetta che fosse.

Nessuna casupola, baracca di fango e foglie di banano o quant’altro di più rudimentale e selvaggio che potesse testimoniare la ben che minima parvenza di presenza umana.

Guardò così alla sua sinistra: strada asfaltata.
Guardò allora a destra: ancora strada asfaltata.
Facendo ciò notò quindi di essere finito esattamente al centro della carreggiata di una strada di cui non riusciva a vedere la fine.
Temeva a girarsi, perché l’ultima sua speranza era in ciò che avrebbe potuto trovare dietro di sé.
Molto lentamente spostò i piedi, fino a trovarsi davanti lo stesso identico paesaggio che ora era alle sue spalle: miglia e miglia di erba ancora fresca dalla brina mattutina si stagliavano davanti ai suoi occhi, illuminate dalla luce del sole vicino allo zenit; ettari ed ettari di terreno apparentemente molto fertile, rigoglioso, spumeggiante, vivo.
I finissimi steli d’erba si muovevano all’unisono mossi da una brezza leggera, ballavano di fronte a lui in una danza iptonica, lenti ed armoniosi, fragili ed in sincronia, come una moltitudine immensa di eleganti ballerini dipinti di verde.
Il vento li muoveva piano, li appiattiva: prima a destra, poi a sinistra, poi su e giù.
Pareva il manto immenso di un gigante addormentato, coricato sulla schiena, ed il muoversi dell’erba sembrava il suo lento respirare.
Il fulgido paesaggio andava poi ad abbracciarsi a metà della sua visuale ad un cielo di un meraviglioso azzurro chiaro, occupato solo da qualche banco di nuvolette, al cui centro, esattamente sopra la sua testa, si stagliava febbricitante di vita il sole, i cui dolci raggi gli colpivano piano il volto.

Tutto appariva armonioso.

In mezzo a tutto quel luccicante verde e blu, l’unico puntino oscuro e solitario era lui.
I suoi capelli neri vennero mossi da un alito di vento leggero, ed un odore di terra bagnata e di foglie gli riempì violentemente le narici, inondandolo di vita.

Avrebbe detto che quello era un posto magnifico, paradisiaco quasi.
Se non fosse stato per il piccolissimo particolare che lui non era andato lì per farsi un bel pic-nic solitario e saltellare tra varie giravolte qua e là nell’erba alta, o per discorrere sulle meraviglie del creato, cose che avrebbe certamente fatto Albus.
No.
Lui era lì per poter fare un maledettissimo sopralluogo in una stramaledettissima casa che non c’era.
Nulla! Niente di niente! Solo erba.
L’erba è bella, certo, come dissentire, ma solo quando non è l’unica cosa che c’è per chissà quanti chilometri.
Avrebbe tanto voluto prendersi la base del naso tra l’indice ed il pollice…ma le dita erano impegnate a tenere quelle stramaledettissime valigie.

Chiuse gli occhi e prendendo un bel respiro provò a calmarsi, facendo il punto della situazione.
Niente indice e pollice.
Niente casette, villette o baracche che fossero.
Solo una lunga, lunghissima, interminabile strada.

Bene.

Non era quindi in una situazione definibile “piacevole”.

Non riusciva a capire.
Minerva gli aveva dato l’indirizzo, era perciò da escludere che avesse voluto tirargli qualche brutto scherzo, non era da lei.
Sarebbe stato molto più in linea con Silente, questo sì, ma non con lei, per quanto negli ultimi tempi la strega fosse diventata molto più, come dire… “silenteggiante”?
Quindi l’indirizzo era giusto: meno uno.
Era inoltre da escludere che avesse sbagliato qualche procedura della materializzazione, o pensato male o in maniera distorta l’indirizzo.
La sua esperienza, risultato di anni ed anni al servizio del Signore Oscuro e di Silente, aveva pur dato i suoi frutti.
Meno due.

Rimaneva allora solo un’ultima possibilità. E non appariva per niente come quella piacevole.

Quello era realmente lo Scottyshire, e quella su cui ora poggiava i piedi era davvero Road Phidiana, e probabilmente lui si trovava sul serio al numero “161”.
Il fatto da appurare era quanto fosse lungo questo numero “161”.
Aprì allora gli occhi mettendo di nuovo a fuoco il mondo circostante, in un turbinio di tonalità di verde.
Come in trance, il suo sguardo si fermò nell’aria di fronte a sé, fino a che vide entrare nel campo della sua visuale una piccola ape che si posava bramosa sulla corolla di una viola, la cui crescita era stata fermata dall’inizio dell’asfalto.  
Cominciò così ad intravedere quella che pareva l’unica soluzione possibile per il momento.
Avrebbe dovuto percorrere la strada fino a che non avrebbe intravisto qualunque segnale che potesse suggerirgli la presenza di una casa.
Un pensiero decisamente poco confortante.

Con un sospiro guardò l’ape che con il suo movimento sbilenco si alzava in volo dal fiore e si inoltrava tra l’erba alta, sorvolandone la sommità.
Stava per girarsi ed iniziare la sua maratona personale e solitaria quando si bloccò, incuriosito.
L’insetto si era fermato proprio sopra le punte degli steli d’erba.
Rimaneva immobile, senza che il vento lo disturbasse. Era come se fosse appoggiato su qualcosa di solido.
Aguzzando la vista, e facendo più attenzione, poté infatti notare una sorta di incongruenza di colore in tutto quel verde, come se tra gli steli ci fosse qualcosa di bianco.
Incuriosito ed ispirato dal suo proverbiale sesto senso, appoggiò le valigie a terra, tolse dalla tasca interna del soprabito nero la sua bacchetta e si mosse verso il ciglio della strada deserta, superandolo ed inoltrandosi così in quella massa odorosa.
Spostando l’erba con un incantesimo, mosse solo qualche passo, e più si avvicinava meno capiva cosa diavolo fosse quella “cosa” che l’aveva incuriosito. Finalmente superò l’ultimo gruppo di steli, e sorpreso si fermò ad osservare quello che sembrava proprio un cartello dalla vernice bianca scrostata, probabilmente a causa del tempo e delle intemperie.
Ma ciò che più attirò la sua attenzione era quello che vi era scritto sopra con uno stile fine ed elegante, per quanto poco leggibile fosse, seguito da una freccia rivolta alla sua sinistra.
 


“ Granger House, 3 chilometri ”




Il sorriso che gli affiorò sulle labbra l’avrebbe sicuramente fatto apparire ancora più inquietante di quanto già era, agli occhi di improbabili spettatori.
Con le membra più leggere fece dietro front – facendosi sempre strada con la bacchetta –, tornò alle valigie e le prese in mano, preparandosi a camminare sempre per 3 chilometri ma almeno conscio di quello che lo aspettava.
Si girò alla sua sinistra, e ringraziando mentalmente l’ape ed il suo istinto si incamminò seguendo il ciglio della strada.







                   ********************************************************************************************************






Caldo.
C’era molto caldo.

Con un sospiro sollevò il viso al cielo, per osservare la posizione del sole.
Da quanto poteva vedere dovevano mancare circa due orette a mezzogiorno, forse meno.
Ormai era più di un’ora che camminava, accompagnato solo dal rumore del vento tra le foglie e dal cinguettio di qualche sporadico uccellino, che, curioso di quella visita umana, faceva capolino da dietro qualche albero solitario tra la campagna.

Aveva caldo, era affamato ed aveva sete.
Molta sete.

Si fermò così per qualche minuto, il tanto di rifocillarsi un po’.
Non voleva frenare la sua camminata: prima sarebbe arrivato a Granger House, prima avrebbe cominciato ad adempiere alla sua “missione” – al pensiero ghignò sarcastico – e prima sarebbe andato via da quella casa, per far ritorno ad Hogwarts.
Ma doveva fare una sosta, se pur piccola, se voleva riuscire a rimanere sveglio abbastanza da iniziare il suo esame alla ragazza.
Infilò così la mano destra all’interno della veste e ne estrasse la bacchetta.
Con un guizzo dell’asticella ed una formula pronunciata mentalmente, una bottiglia di acqua fresca gli apparve proprio davanti ai suoi piedi.
Seppure assetato, la raccolse da terra con molta calma, e con altrettanta calma la stappò e si dissetò, assaporando la sensazione di sollievo che lo pervadeva.
In piedi, immobile in mezzo alla strada guardò il sole accecante ormai alto nel cielo.

Quel giorno faceva davvero caldo per essere fine ottobre.

Infatti se ne sorprese: l’Inghilterra, per quanto meravigliosa, non era certamente famosa per il bel tempo e la calura.
C’era qualcosa che non quadrava.
Non sapeva dire cosa di preciso, però lo sentiva.
Percepiva infatti come una sorta di interferenza in mezzo a tutta quella perfezione.
Un tipo di interferenza che poteva essere percepita solo da un mago.

Nell’aria aleggiava magia.

Non era localizzata in un punto preciso, come sarebbe stato se qualcuno avesse lanciato un incantesimo diretto su un punto particolare.
Era piuttosto…come una sorta di profumo diffuso, come un’essenza spalmata omogeneamente nell’aria circostante.
Un’essenza che sentiva provenire da tutto intorno a lui: l’erba, le piante, i fiori, gli insetti, gli alberi, la terra stessa, tutto.
Come se qualcuno avesse puntato la bacchetta in alto nel cielo ed avesse fatto esplodere da essa tutta la magia racchiusa nel proprio corpo, pronunciando un incantesimo che avrebbe potuto toccare ogni singola particella, molecola, atomo nel raggio di chilometri.

Nonostante questo capì che non era un tipo di interferenza che poteva dimostrarsi pericolosa.

Era strano…aveva già percepito una situazione simile, tempo addietro.
Quando era al servizio del Signore Oscuro.
Ma quella volta, l’aria che aveva respirato era satura di veleno.
Questa invece era piena di…sì, di vita.
Una sensazione davvero strana.

Come ipnotizzato, sbatté le palpebre più volte, riallacciandosi alla realtà.
Di scatto si girò.
Un rumore indistinto si avvicinava velocemente al punto in cui si trovava.
Fulmineo, con la mano libera catturò dall’interno della veste di nuovo la bacchetta, pronto ad ogni evenienza.
In fondo alla strada che il suo occhio umano poteva percepire, notò un piccolo puntino nero che aumentava sempre più di grandezza.
Aguzzò la vista ed aspettò qualche secondo.

Era una macchina.

Una macchina babbana, senza dubbio.

Tirò un sospiro di sollievo: ora avrebbe potuto chiedere al guidatore qualche informazione in più.
Prese quindi le valigie e le spostò con sé sul ciglio della strada.
Il tempo di fare ciò e la macchina era già a qualche metro da lui, tanto che poté notare che era uno di quei pick-up, questo di un color grigio scuro, adatti alle praterie campagnole.
La macchina, notando la sua mano alzata, rallentò un po’, e così riuscì a scorgere all’interno una vecchia coppia, probabilmente di coniugi, alquanto ben vestiti, che lo fissavano in uno strano modo, non ne fu sicuro.
Ad ogni modo aprì la bocca per parlare, e si fermò subito quando vide le mani della donna che volavano al braccio del marito e lo strattonavano, mentre continuava a guardarlo preoccupata.

< < Non fermarti Herbert, non fermarti! > >

La macchina accelerò, dileguandosi tra il rombo del motore velocemente lungo la strada, lasciandolo lì, sul bordo dell’asfalto, con la mano destra alzata come in segno di saluto.

Per i primi secondi rimase fermo, troppo stupito per poter fare qualunque cosa.
Successivamente abbassò la mano destra che era ancora alzata, e chiuse la bocca, interdetto.
Fece sparire la bottiglia con un “Evanesco”, e riprese le valigie in mano, continuando la sua scarpinata, come se niente fosse.

Questi campagnoli sono davvero una strana ramificazione della società.









                    ***************************************************************************************************





Dopo quelle che parvero ore, finalmente notò una variazione nel paesaggio.
Una variazione che poteva notare solo un occhio abituato a captare ogni minimo cambiamento.
Inizialmente risultava solo un piccolo rialzo del livello dell’erba, successivamente questa saliva sempre di più, fino ad essere sostituita da una fila di alberi, querce dall’aspetto, – le cui dimensioni suggerivano un’età quantomeno invidiabile persino per Nicolas Flamell – che proiettavano sulla sua testa la loro ombra come un favore, coprendolo dall’azione ribollente del sole, ormai quasi allo zenit.
Continuando a camminare notò che la fila di tronchi enormi nascondeva una sorta di muro di cinta, e conscio di essere vicino alla meta non si accorse di aver affrettato il passo.
Quando ormai si stava per chiedere se quel muro, oltre ad una altezza notevole, avesse anche una qualche sorta di varco, scorse ad una decina di passi proprio l’oggetto di quello che si stava per domandare.
Giunto davanti ad un cancello grigio scuro, che arrivava a metà del muro, non entrò subito.
Per quanto serbasse ancora una certa sicurezza nei confronti dell’inettitudine dei Grifondoro, compresi ex- Grifondoro, dovette ammettere il fatto che sicuramente la ragazza aveva posto delle protezioni attorno alla dimora.

E se qualcuno le aveva già violate prima di lui le aveva anche presumibilmente ripristinate, per non destare sospetti.
Si chiese se ancora ci fossero in giro maghi con una tale accortezza dei dettagli.
E la risposta fu negativa, ovviamente.
Quindi la possibilità dell’operazione di salvataggio su cui la McGranitt aveva insistito non era neanche da prendere in considerazione.
Appoggiò i bagagli e, pescata la bacchetta, applicò veloce un “Wingardium Leviosa” agli stessi, in modo da non doverli trascinare ancora.
 Tornando con l’attenzione al cancello, si preparò a combattere contro gli incantesimi di protezione, sicuramente massicci a causa della certa vastità della dimora.
Levò la bacchetta di fronte a sé e si concentrò cominciando a vagliare l’aura magica.
Non fece neanche in tempo a tentare di aprire il cancello che subito sentì una forza che contrastava la sua, con una potenza che rischiava di piegargli il braccio se non avesse avuto alle spalle una certa dose di esperienza.
Comprese che era un incantesimo di “Protego” particolarmente potente e scagliato in modo da ricoprire tutto il perimetro, senza lasciare varchi di alcun genere.
La concentrazione minore, si accorse, era proprio lì davanti al cancello, e se ne sorprese.
Nonostante tutto, gli bastò solo un movimento secco del polso, ed un contro incantesimo mentale, e sentì subito la potenza vacillare fino a svanire del tutto.
La ragazza avrebbe anche potuto impegnarsi un po’ di più, criticò mentalmente.
Con un cigolio, il cancello si aprì e mentre faceva qualche passo avanti, senza aspettare che le ante si aprissero del tutto, non poté fare a meno di inarcare un sopraciglio.

Rosso.
La prima impressione che ebbe fu di rosso.
Calore.
Tanto calore, e rosso.
Tanto rosso come non ne vedeva da anni, anzi no, come forse non ne aveva mai visto.

Tutto ciò su cui il suo occhio cadeva era colorato di rosso.
C’era tutto.
L’arancione chiaro delle foglie del grande acero alla sua sinistra, proprio dopo il cancello, faceva a botte quasi con il marrone scuro del suo tronco secolare, attorniato alla base da vari cespugli di rose canine; il marron glacè delle foglie dell’albero successivo, che non riuscì a classificare, posto qualche metro più in là del grande acero, poteva ben competere con il compagno; dietro di esso, proprio in mezzo ad un pezzo di prato, scorse un piccolo laghetto sui cui bordi erano poste delle pietre ovali e lisce a delimitarne il perimetro, e quasi non si accorse del rosso intenso di un notevole salice piangente poco più in là; tutto il vialetto su cui si trovava era ornato sui lati da gruppi di piante e di fiori che non si premurò di osservare più attentamente; il rosa intenso che coprì poi la sua vista gli fece capire subito che si trattava di una fila di alberi di ciliegio che si estendevano alla sua destra ed alla sua sinistra, circondandolo, e rilasciando su tutto il vialetto piccoli petali rosa scuro, coprendolo come un tappeto regale fino alla casetta.
Questa era di modeste dimensioni, né troppo grande, né troppo piccola, in stile coloniale, di due piani e di un bianco fulgido sotto il sole di mezzogiorno, dei gradini in legno poco prima della porta completavano il quadretto: decisamente di stampa britannica.

A malapena si accorse di essersi fermato, e forse fu grazie al continuo sbatacchiare dei bagagli sulle sue ginocchia che si ricompose e percorse con passo sicuro tutto il vialetto, salendo silenziosamente i gradini.
Fermo di fronte alla porta, picchiettò due colpi sul legno scuro, ed attese.
Dopo qualche secondo, picchiò più forte, ma alla porta non venne ad accoglierlo nessuno, nemmeno un elfo domestico.
Con la coda dell’occhio notò un movimento proprio vicino alla sua testa.
Vide allora una sorta di cordicella di metallo che oscillava, la percorse con lo sguardo fino alla sommità e comprese che si trattava di una campanella rudimentale.
Si arrese a scuoterla.
Dopo che lo sbatacchio assordante finì, non sentì nessun suono provenire dall’interno: nessuna successione di passi, niente di niente.
Non intenzionato a rimanere lì per tutto il giorno, spinse la porta, bacchetta sempre nella mano destra.
L’ingresso della casa rimaneva un po’ in penombra, ma subito comprese a grossi linee come doveva essere strutturata la villa: alla sua sinistra, dopo un appendiabiti dall’aria piuttosto antica ed un tavolino lucido a mezzaluna, era situata una porta scorrevole, da cui filtrava la sola luce ad illuminare il tutto, probabilmente la cucina; il muro continuava fino ad un’altra porta che gli si parava di fronte, e sempre davanti a lui, sulla destra, un gran tappeto ricopriva tutto il parquet fino alle scale dal corrimano elegante, che si aprivano su un corridoio del piano superiore, completamente in ombra.
Infine, alla sua destra, si incastonavano nel muro altre due porte.
Tutto permeava nel silenzio più tombale.
Accigliandosi notò un particolare che di solito non ci sarebbe dovuto essere in una casa vissuta: tutte le porte della dimora erano chiuse.
Riflettendo sulla stranezza della cosa, arrivò chiaro al suo orecchio destro un movimento, quasi un fruscio da spostamento, che sembrava provenire proprio dalla prima porta sulla destra, oltre il portaombrelli dalla forma criticabile.
Veloce, spezzò l’incantesimo precedentemente applicato ai bagagli, e si accostò al muro.
Appoggiò l’orecchio al legno freddo ed attese.

Nessun rumore.

Sicuro di non esserselo inventato, aprì veloce la porta solo quel tanto che bastava a farlo passare e sgusciò all’interno della stanza, bacchetta spianata, nervi tesi, sensi all’erta, pronti a scattare.
Rimase interdetto di fronte alla vista di un normalissimo salottino stile ottocento.
Non si prese la briga di perdere tempo sull’arredamento.
Molto lentamente percorse pochi passi, quasi in attesa di qualcosa.
Un qualcosa che non si fece aspettare.
Un rumore chiaro, lo stesso fruscio di poco prima veniva esattamente dalla stanza affianco, in cui ci si immetteva probabilmente tramite la porta posta in fondo alla stanza sul lato.
Aveva mosso solo qualche passo quando dall’apertura uscì come una razzo una macchia indistinta che all’inizio non riuscì a catalogare.
Solo dopo uno stridio comprese che si doveva trattare di un gufo.
Lo cercò con lo sguardo e, nonostante le dimensioni alquanto minime, lo scorse appollaiato sulla cima di una credenza dall’aria antica, posta proprio affianco alla porta da cui era schizzato fuori.
Non abbandonò la possibilità che fosse stato un semplice diversivo per distrarlo e così mosse lentamente alcuni passi, completamente padrone di se stesso e della situazione, aspettandosi da un momento all’altro un qualche tipo di attacco.
Mentre i suoi passi strisciavano sul pavimento il suo cervello percepì un differenza.
Una differenza che gli faceva rizzare i capelli sulla nuca.
Non comprese subito in cosa consisteva, ma c’era.
Si fermò.

Tutto era silenzioso come prima.

Aggrottò le sopraciglia.
Anche se metà della sua testa teneva sempre sotto tiro la porta ancora un po’ lontana, l’altra metà era impegnata a comprendere dove fosse la nota stonata.
Con la coda dell’occhio cercò di sondare la stanza, alla ricerca di un indizio.
Un tavolo alla sua destra, una credenza davanti a sé, un tavolino tondo alla sua sinistra con davanti un divano beige: semplice arredamento da salotto.
Tutto normale.
Strinse le labbra e continuò a camminare.
Proprio quando fece altri due passi, finalmente capì.
Era il suono.
Era il suono dei suoi passi ad essere differente.
Prima era silenzioso, ora era completamente silenzioso.
Non si sentivano più i suoi passi.
Confuso dal repentino ed insensato cambiamento, stava per abbassare istintivamente lo sguardo ai suoi piedi, quando un rumore dietro di sé lo bloccò. Era stato un minuscolo scricchiolio delle assi, un naturale crepitio del legno in una casa fatta di legno, talmente minuscolo da passare inosservato tra lo frusciare delle foglie di fuori e l’incedere del vento sulle finestre.
Davvero insignificante.
Ma solo per un orecchio non abituato a cogliere i dettagli e la pericolosità di trascurare gli stessi.
Una parte del suo cervello, quella analitica e perennemente diffidente, quella che lo aveva sempre accompagnato, gli urlava che forse era solo un modo ignobile e codardo per distrarlo e colpirlo alle spalle non appena si fosse girato.
Ma il suo istinto, quello che gli aveva salvato purtroppo tante volte la vita o comunque l’integrità del suo corpo, gli sussurrava frenetico che sarebbe stato molto più pericoloso continuare verso quella direzione.
Decise di dare ascolto alla seconda opzione, e mosso dall’istinto si girò, intenzionato ad approfittare della momentanea quasi totale assenza di rumore dell’andatura.
Non aveva mosso neanche due passi che sentì un cambiamento repentino.
All’improvviso il pavimento sottostante pareva più molle, più inconsistente, ed inspiegabilmente i suoi piedi non riuscivano a trovare un appoggio sicuro sull’unico posto in cui avrebbero dovuto trovarlo, e tutto attorno a lui prese a muoversi incomprensibilmente, in un turbinio di mobilio e di carta da parati.
Sentì qualcosa di freddo strisciare sulle sue caviglie e guardando in basso, sorprendentemente comprese che era il pavimento che si era improvvisamente animato.
Il parquet era inspiegabilmente divenuto molle, e si stava attorcigliando alle sue gambe, come avesse volontà propria.
Sempre più sorpreso, puntò la bacchetta contro la confusione marron scuro, che oramai era diventato il pavimento, ed urlò mentalmente “Protego!”*, con una potenza che avrebbe certamente aperto una voragine nel legno.
L’avanzamento del pavimento-cosa non ne accusò per niente il colpo, probabilmente non lo sentì nemmeno, e ciò lo sorprese ancora di più.
Provò quindi un altro incantesimo più potente, che non usava mai se non in casi rari, ed urlò ancora: “Repello!”*, ma niente.
Pensando che fosse simile al Tranello del Diavolo*, tentò con l’incantesimo apposito per la pianta, evocando una fonte di luce che andò a colpire direttamente la “cosa” legata alle sue gambe.
Ma il pavimento-cosa continuava la sua operazione di avvolgimento, ormai era arrivato alle cosce, si allungava sempre di più, come fosse fatto di gomma, e sembrava intenzionato a finire l’opera: se non l’avesse fermato sarebbe morto soffocato.
Digrignando i denti per la frustrazione, istintivamente, tentò di muoversi.

Sbagliato.

Dopo un momento di perfetta immobilità, la “cosa” si mosse addosso a lui ancor più velocemente.
Tutto era privo di senso in quel frangente e, cercando un minimo di lucidità, tentò di fare qualcosa che di lucido aveva ben poco, ossia acchiapparsi all’unica cosa cui si poteva acchiappare: l’aria.
Mulinò le braccia in perfetto stile paracadutistico e, prevedibilmente, perse l’equilibrio.
Si vide cadere in avanti, ormai i piedi erano inutilizzabili, comprese le gambe, ed istintivamente portò le mani davanti a sé, per attutire l’impatto con il pavimento e nel farlo gli scivolò la bacchetta dalle mani.
Ringhiò di rabbia.
Mentre le sue mani toccavano il pavimento, sorprendentemente solido ed al tempo stesso “spugnoso”, guardò la sua bacchetta volteggiare nell’aria ed atterrare qualche metro davanti a lui.
Non era risultata molto d’aiuto fino a quel momento, tuttavia comprese che il problema non stava nell’asticella, ma in sé stesso.
Nonostante ciò, qualora gli fosse venuto in mente qualche incantesimo utile, non avrebbe potuto fare molto senza bacchetta.
Si allungò sul pavimento e tentò con la destra di prenderla.
Come se avesse sentito i suoi pensieri, o avesse capito in qualche strano modo le sue intenzioni, la “cosa” affrettò la sua opera, ed anzi, avvolse completamente nella sua stretta il busto e le mani, bloccandolo.

Comprese, così, di non avere più possibilità.

Sentiva il pavimento-cosa che gli strisciava addosso come un serpente, la cui bocca si stava lentamente avvicinando alla sua gola.
Con un rantolo, non poté fare a meno di dibattersi.

Supino sul pavimento, aveva una sola visuale: il bordo inferiore della porta da cui era entrato.
Osservandolo, vide, come fosse stata una cosa vista da un’altra persona, ciò che poteva vedere da quel livello oltre l’uscio.
Anche se entrando gli aveva dato un’occhiata di qualche secondo ed anche se i capelli gli coprivano un po’ la visuale, riconobbe il rigonfiamento del tappeto posto proprio davanti alla scala, e più in là la porta scorrevole della cucina.
Fu così che notò un particolare strano.
Rallentò la sua folle ed impari battaglia contro la “cosa” fino a fermarsi del tutto, e sbatté le palpebre sugli occhi, pensando di avere la vista annebbiata.
L’immagine della porta della cucina che gli arrivava agli occhi era…nebulosa.
Come se tra lui e la porta fosse stato posto un vetro ammaccato, o non perfettamente pulito.
Aggrottò, se possibile, ancor di più le sopraciglia, e concentrandosi vide di fronte a sé una zona scura, che partiva dal di fuori della porta e raggiungeva parte del pavimento di fronte a sé, come se al di là della stanza proprio di fronte a lui, ci fosse un oggetto solido.

Sembrava proprio…

Non ebbe neanche il tempo di pensare ad una mossa, che la porta, come previsto, si aprì di scatto, rivelando però al di là di essa nient’altro che l’ingresso in penombra.
Ma sapeva già cosa guardare e sapeva già cosa aspettarsi, e non avrebbe mai dato la soddisfazione di vederlo impaurito.
Che venissero pure!
Finalmente avrebbe avuto ciò che sarebbe dovuto arrivare tanto tempo prima!

< < Stupefi…!> >

Non comprese perché ma la voce che sentì non era quella che si aspettava.
Non era rude e roca, come quella di un maledetto fan delle forze oscure, piuttosto era…melodiosa.
Stranamente in ansia, attese che la voce finisse di scagliare l’incantesimo.
Ma non lo fece.
E ciò lo lasciò interdetto.

Ma ancora più interdetto lo lasciò ciò che successe dopo.
Di colpo apparve davanti a lui il proprietario della voce – si rifiutava di pensarla di nuovo come melodiosa – che si era nascosto sotto l’incantesimo di disillusione.
E di colpo comprese che era tutto fuorché ciò che si aspettava.

Un donna.
E non una donna qualsiasi.
Una donna che ora lo guardava con una palese espressione di scherno e di pietà dipinta negli occhi e sul viso.


< < Buon giorno, Professor Snape. > >


Più precisamente, la donna che assomigliava terribilmente a quella per cui aveva scarpinato per ore ed ore e per cui ora si trovava avvolto nel pavimento-cosa alla stregua di un cotechino ripieno.

Ancor più precisamente, Hermione Granger.






   *§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*§*






Per un interminabile istante si guardarono negli occhi, incapaci di proferir parola.
Avrebbe dovuto dire qualcosa, soprattutto qualcosa per cancellare quel ghigno sarcastico che sarebbe stato in linea sul suo di viso, non su quello della ragazza.
Tuttavia fu lei stessa a parlare per prima.

< < Potrei sapere come mai è qui, Professore? > >
< < Crede che possa essere in grado di sentire la mia risposta dall’interno di questo adorabile pavimento trita-maghi? Perché se la risposta è sì, allora vorrei attendere ancora qualche secondo, per testarlo immediatamente > >

Aveva parlato con tono calibrato, che non avrebbe stonato per nulla in una serata tra amici e burrobirra.
Hermione si era quasi dimenticata dell’effetto che quella voce perentoria e sarcastica poteva avere, persino mentre il suo possessore era steso a terra, immobilizzato, lo sguardo truce tra i capelli scompigliati, in una condizione che avrebbe provocato sicuramente imbarazzo e vergogna in chiunque.
Ma non in Severus Snape.
Si accorse anche che si era completamente dimenticata della presenza di quel tappeto e soprattutto della sua azione di inglobamento, che non si era per nulla arrestata, ma solo rallentata.

< < A quanto posso notare la risposta che non riesce a dire è sì. > >

Davanti all’irritante sopraciglio inarcato dell’uomo, soppesò la possibilità di farlo inghiottire e di assistere all’operazione.
Ma il suo buonsenso prevalse, come sempre.  
Pensò così a quello che le serviva.
Si guardò attorno e vide all’angolo alla sua destra, attaccato al muro vicino alla finestra, quello che stava cercando.
Con un cenno della bacchetta fece schizzare verso di sé un ammasso globulare di corposa luce, frenò la sua corsa e, sotto l’attento esame di Snape, la fece avvicinare al tappeto, in prossimità della sua schiena.
Subito, come si aspettava, la morsa del tappeto si allentò visibilmente.
Ciò che serviva però era una luce più potente.
Perciò dopo aver mormorato piano “Maiorius”, avvicinò ancora di più la fonte di luce improvvisamente dieci volte più intensa, fino a farla appoggiare alla superficie del tappeto.
Immediatamente questo sciolse la sua stretta, come fosse stato scottato, e ritornò alla sua consueta forma piatta.
Con un ultimo cenno, la riposizionò al suo posto.
Finalmente libero, vide Snape alzarsi in piedi.
Mentre lo faceva si sistemò il mantello e si lisciò le vesti, per poi alzare gli occhi verso di lei.
Il suo sguardo la percorse completamente, dai piedi – lo vide indugiare sulla bacchetta che teneva ancora in mano – fino agli occhi.
In piedi, uno di fronte all’altro, si scrutarono a vicenda, simili a due animali selvatici costretti a stare chiusi in gabbia insieme.

Finalmente aveva davanti il risultato dei suoi sforzi.
Era incredibile.
Rabbrividì al pensiero di avere di fronte a lei, solo a qualche passo di distanza, proprio la persona che era tornata.
La sola che era tornata dall’unico regno incontrollabile per i vivi.
Lì, in piedi al centro del suo salotto, tra la poca luce che filtrava attraverso le tende abbassate, la sua figura nera si stagliava alta e longilinea, avvolta completamente dal mantello che teneva con una mano: sembrava davvero appena sbucato dalle viscere della terra, immobile e fiero.
Quella visione non rendeva per niente poco credibile il fatto che fosse stato nel regno dei morti.
Il suo sguardo scuro e profondo negli occhi dal taglio allungato, sembrava racchiudere segreti troppo aspri e abominevoli per poterli anche solo sussurrare, mostrava tempo trascorso, tanto tempo, così tanto da renderlo stanco e provato, saggio e custode unico di pensieri ed esperienze, tanto stanco che sembrava volesse, suo malgrado, dirle qualcosa.

Quello era lo sguardo di un rinnegato.

Fu quel pensiero a farla parlare in un sussurro.

< < Come può notare, la mia risposta è no… > >

< < Sì…ho notato. > > Continuava a scrutarla, come se la vedesse per la prima volta nella sua vita. Era forse curiosità?
La sua voce aveva perso quella nota sarcastica che aveva sentito poco prima.
A quanto pareva, non era l’unica che aveva sentito la pesantezza del momento.

Tutti e due non si erano ancora mossi di un solo millimetro, tuttavia si costrinse a schiudere le tende accennando un movimento del polso, e facendo entrare finalmente il sole pomeridiano, che le fece socchiudere gli occhi appena.
Tutto divenne molto più chiaro e non solo in termini di colori: le ombre si ritirarono negli angoli, e persino la figura di Snape non sembrava poi così inquietante, colpita dai raggi solari.
O forse no.
L’improvvisa incursione della luce smorzò comunque di netto la tensione, come se, al pari di un risveglio da un sogno angosciante, le tenebre venissero scacciate con il solo incedere della luminosità.

< < Bene, allora mi segua in cucina. > >
Girò sui tacchi ed uscì dalla stanza.

Aveva bisogno di tè.
Tanto tè.

Non osava girarsi per vedere se effettivamente la stesse seguendo.
Spinse la porta della cucina, ed una volta dentro si diresse alla famosa mensola risolleva-umori, e quando non sentì nessun rumore di porte che si aprivano o di passi si concesse di fare un gran respiro, rilassando le spalle fino ad allora rigide.
Chiuse gli occhi e cercò di non pensare al fatto che la sua giornata tipo aveva appena variato il programma quotidiano, e soprattutto tentò in tutti i modi di non pensare al fatto che nel suo salotto, in quel preciso momento, c’era Severus Snape.
Ma il fatto che la sua immagine le apparisse persino ad occhi chiusi, come fosse stata incollata sulle sue palpebre, certamente non aiutava.
Dopo averli aperti si allungò per prendere il necessario per un tè doppio, o triplo.

< < Gradirebbe del tè…?! > >

< < Mi ero scordato che i Grifondoro hanno il maldestro vizio di urlare. > >
Hermione si girò di scatto, quasi lasciando cadere la sua tazza.
Vicino al tavolo Snape la osservava apparentemente annoiato.

< < Ma come…? > >, sussurrò indicandolo con la tazza.
Anche se non aveva completato la frase, troppo sorpresa per farlo, lui doveva aver comunque inteso.

< < Non si è accorta che le stavo camminando proprio dietro? > > Il suo sguardo parve suggerirgli la risposta.
< < A quanto pare no. > >

< < Ma la porta non l’ha spinta, l’avrei sentita. > >
A quella frase, credette di aver notato un leggero scatto del sopraciglio sinistro.
< < Se mi sta chiedendo se sono in grado di passare attraverso i muri, o sgusciare sotto le porte in forma di nebbia, mi spiace deluderla, signorina Granger. > >

Acido ed inutilmente elaborato nelle risposte.
Un sì o un no per lui erano troppo difficili.
Non era cambiato per niente.

< < Già, ma ci è andato vicino, a quanto sembra. > > Borbottò mentre gli dava le spalle.
Continuò ad accatastare sul marmo il necessario, non voleva usare la magia, aveva bisogno di muoversi.
Solo quando si accorse di stare aprendo troppe mensole e cassetti per un semplice tè, decise che era tempo di voltarsi.
Portò il tutto sul tavolo e si sedette.
Solo dopo aver preso la sua tazza alzò lo sguardo davanti a sé, fino ad incrociare i suoi occhi scuri che la studiavano.
Così vicini, e sotto la luce, notò come il tempo fosse stato magnanimo con il suo viso.
La pelle chiara era sorprendentemente stesa, con pochi segni dell’età, e tuttavia gli angoli della bocca leggermente piegati all’ingiù, il naso affilato un po’ pronunciato, e gli zigomi alti gli conferivano una saggezza che sarebbe dovuta trapelare dal viso di un uomo di almeno dieci anni in più.

< < Ora che è miracolosamente salvo dal tappeto assassino, mi potrebbe gentilmente spiegare cosa ci fa qui? > >
Aveva parlato con molta calma, ed aspettava una risposta mentre sorseggiava il tè.
Lui sembrava non essersi reso conto della provocazione perché qualcosa in ciò che aveva appena detto aveva suscitato il suo interesse, dato il sopraciglio inarcato.
< < Tappeto? > >
Questa volta fu lei ad essere interessata.
Possibile che il grande Severus Snape non sapesse cosa lo avesse attaccato poco fa?
< < Sembrava decisamente un pavimento.> >, obbiettò lui.

< < Esatto, Professore, un tappeto. Non si è accorto che il “pavimento” su cui ha posato le mani era alquanto morbido? > >
Questa volta toccava a lei.
< < A quanto pare no.> > Mormorò divertita.
Lo sguardo tranquillo che le lanciò le fece capire che era stata l’unica a trovarlo divertente.
< < A dire la verità sì, signorina Granger, ma la mia mente era molto più interessata a quello che stava facendo piuttosto che alla sua consistenza. > > Finì la frase aggiungendo un po’ di latte al suo tè.
< < Già, una bella qualità per un tappeto non crede? > >
< < Come mai risulta invisibile? >>
Il suo tono era cambiato, non si poteva definire gentile, ma era garbato, controllato.
Era curioso.
Ovvio.
Il grande Severus Snape, in grado di sostenere perfino lo sguardo di Voldemort, sconfitto da un semplice tappeto.
Decise di accontentarlo, poi sarebbe stato il suo turno per le risposte.
< < Un’altra qualità interessante per un semplice tappeto. Non so molte cose, a dir la verità, non era della mia famiglia, un po’ improbabile visto che provengo da famiglia babbana. Mi è stato regalato da una vicina di casa con cui avevo stretto un bel rapporto, e poco prima di morire insistette per darmelo, mi disse che apparteneva alla sua famiglia da generazioni, e che era stato fabbricato dagli elfi nel lontano 1476, in Romania. Questa data le ricorda qualcosa per caso? > >
Mentre parlava aveva notato come lo sguardo di lui risultava interessato, soprattutto all’ultima parte.
< < Direi di sì. E’ l’anno in cui morì Vlad Tepes II l’Impalatore, conte di Valacchia, meglio noto come Dracula sia nelle leggende babbane che nella realtà magica. Un uomo decisamente avezzo a strani hobby, come il soprannome suggerisce. > >

Hermione si aspettava che avesse le sue stesse informazioni.
Aveva pensato molto ad esse, riflettendo sui possibili legami, e, nonostante le poche informazioni che la sua vecchia amica le aveva lasciato, era giunta alla conclusione che quella non era una data qualsiasi.
Era la data in cui era stata creato l’essere più abominevole sulla faccia della terra, dopo Voldemort.
Era l’anno in cui il più grande male della storia dell’Europa del medioevo aveva ripreso vita, in una forma ben più pericolosa di quella umana.
Ed il fatto che quel particolarissimo tappeto fosse stato intessuto proprio in quell’anno di grandi cambiamenti, non poteva essere una semplice coincidenza.

< < Avrei un’idea proprio su questa strana coincidenza di date.> > Fece una pausa per riordinare le idee. Lui, per appesantire l’operazione, non smise di fissarla, ed osservando la sua espressione di profondo interesse dipinta sugli occhi seppe che l’aveva praticamente in suo pugno.
Non sapeva se il fatto che un pazzo sanguinario e spostato mentalmente fosse così interessante per lui potesse essere trascurato oppure dovesse accendere in lei una campanella d’allarme.

< < Nella metà del ‘400 abbiamo un pazzo degenerato con la deliziosa abitudine di impalare i suoi sudditi ed i suoi nemici, che terrorizza non solo la sua popolazione ma persino molte parti dell’Europa, e la cui fama e ferocia è conosciuta persino nella lontana Inghilterra, incredibile dati gli arretrati mezzi di comunicazione dell’epoca…> >
< < Mi risparmi l’elenco di notizie storiche che tutti sanno o che si possono comunque procurare, Signorina Granger.> >

Insopportabile.
Soprattutto il suo sorseggiare compostamente e con molta non chalance il suo tè, come fosse stato seduto a disquisire sulle innumerevoli qualità di un nuovo detersivo magico.
Ma decise di non dargli peso, voleva continuare e sentire il parere di una persona molto preparata e dalla mente analitica e razionale come la sua.


< < Sappiamo bene che quella è sempre stata una zona altamente concentrata di maghi e streghe, ma ancor di più lo era in quel terribile periodo di paura e terrore. E tutti, tutti, avevano sentito girare strane voci sulla natura del conte. Sì, questo allarmò ed insospettì i gabbani, ma queste voci rimasero tali per loro: solo voci.
Invece per gli appartenenti al mondo magico…beh, erano molto più che innocue superstizioni popolari.
Sapere che un mago, tra l’altro già potente di suo, aveva venduto la propria anima portò tutti i maghi ad armarsi, organizzarsi per preservarsi, procurandosi i migliori strumenti…oppure creandone di nuovi. > >, concluse alzando un sopraciglio per dare più enfasi al discorso.

Il suo sguardo non aveva mai lasciato quello di lui, ed ora tutta l’ironia e l’arroganza avevano abbandonato entrambi per essere sostituite da attenzione e perplessità. La luce mattutina che filtrava dalla finestra sì affievolì, probabilmente per il passaggio di qualche nuvola, lasciando la cucina in una sorta di abbraccio tra la luce e l’ombra, una su lei, e l’altra su lui.

< < Mi faccia capire bene, Signorina Granger, lei crede che quel tappeto, esattamente il tappeto che ora si trova nel suo salotto, sia stato creato apposta come arma di difesa contro Dracula? > >, esordì accompagnando la frase con un movimento elegante della mano, come a voler indicare qualcosa di altamente ridicolo.
Merlino.
Sembrava di nuovo una scolaretta di 16 anni alle prese con l’acidità di un professore troppo scorbutico.
Raddrizzò la schiena sulla sedia ed allargò le narici.

< < Sì, comprendo che sembra alquanto azzardato come discorso, soprattutto contando la mancanza ingente di testimonianze o documenti a riguardo, ma provi a pensarci un attimo, in Romania gironzola un vampiro appena nato, e proprio nell’anno in cui nasce viene creata un’arma che è stata palesemente progettata per catturare la malignità e…? > >.
Si fermò di colpo, e sgranò gli occhi.
Solo dopo che aveva finito di pronunciare l’ultima parola, capì l’entità di cosa aveva detto: aveva davvero appena paragonato Dracula a Snape?
A giudicare dalla sua espressione sì.
Il professore ora la stava guardando con palese interesse, a giudicare da entrambe le sopraciglia inarcate.
Ma se non sbagliava a decifrare il suo sguardo, non sembrava offeso o infuriato.

Sembrava piuttosto…divertito?

Nella foga della spiegazione non si era resa conto di come i suoi pensieri non venissero filtrati affatto dalla sua mente – probabilmente andata a fare un giro nei recessi del suo cervello.
Si mosse a disagio sulla sedia, come se avesse una fastidiosa pustola esattamente sul sedere.
E questo ultimissimo pensiero non la aiutava per niente ad uscire dalla fossa che lei stessa si era scavata.
Dracula, Snape, pustola, sedere, fossa.
A stento trattenne una risata che avrebbe aggravato ancor di più la situazione.
In compenso uscì solo un piccolo sbuffo.

< < Io…eh…ecco, non volevo certamente, sì insomma, non avevo nessuna intenzione di…> >, il suo balbettio non migliorava la situazione.

< < Non aveva intenzione di far cosa, Signorina Granger? Di paragonarmi palesemente a Dracula? > >

Le sue sopraciglia erano ancora in quella posizione, ed avrebbe quasi giurato di aver intravisto una sorta di movimento improvviso nell’espressione.
Non sembrava risentito, ma non si poteva definire divertito, era solo…strano.

< < Io…sì, esattamente. > >

< < Ma è ovvio, anche perchè se davvero così fosse probabilmente non sarei neanche riuscito ad arrivare fin qui sotto il sole. > >
Il suo tono strascicato ed annoiato era davvero rimasto lo stesso. Proprio come se lo ricordava.
Tuttavia il suo cervello registrò particolarmente l’ultima parte.
Aveva camminato?

< < E’ arrivato fin qui a piedi? > >
< < Signorina sembra quasi che lei abbia una certa simpatia per l’ovvietà. Ovvio che no, la materializzazione esiste ancora per la fortuna di noi maghi. Ho compreso comunque quello che intendeva. > >, nonostante non la stesse guardando mentre  si versava altro tè tra gesti controllati, l’aveva interrotta ancora prima che potesse chiedere altre spiegazioni.

< < Ho dovuto solo camminare per qualche chilometro. Tutto causato da un semplice > >, prese di nuovo la tazza nelle mani ed alzò lo sguardo su di lei, < < malinteso sull’ubicazione. > > e finì sorseggiando di nuovo il tè.
Le sembrò che la sua mano stringesse anche più del necessario la ceramica.
Prima o poi avrebbe chiesto a Minerva.

< < E come mai voleva a tutti i costi raggiungere la mia casa? > >. Ringraziò il cambio di argomento.

< < Ordine della Preside. > >
Conciso alquanto.
Si stava scocciando, sembrava dovesse togliergli con le pinze informazioni che avrebbe dovuto darle fin dall’inizio e senza tutta questa reticenza, e soprattutto senza che lei sembrasse una bambina impaziente di aspettare.

< < Vedo che col tempo è divenuto meno pedante, professor Snape, e per quanto la cosa mi faccia piacere, le sarei grata se evitasse che la incalzi per sapere cose che dovrebbe dirmi senza le mie continue domande, è mio diritto, non trova? > >

Il silenzio che seguì, la sorprese.
Credeva che il suo tono avrebbe provocato una serie inimmaginabile di sproloqui.
Ed invece lui si limitò a fissarla immobile, schiena eretta, braccia nascoste sotto il mantello, e sguardo indecifrabile.
Sembrava stesse quasi aspettando, come se vedesse qualcosa al di là di lei stessa che lei per prima non riusciva a vedere.
Come se la stesse sondando.

Il rumore della sedia che striscia, una figura nera che si muove.
Si stava alzando?

< < Minerva temeva per la sua incolumità, dato che non ha ancora risposto alla sua lettera, inviata da due settimane ormai, mi ha così incaricato di venire per accertarmi che non le fosse successo nulla. > >
Si mosse verso la porta, e seguendolo con lo sguardo vide che poco prima di aprirla si fermò, parlando dandole le spalle.

< < Mi ha anche incaricato di alloggiare per tre giorni da lei, in modo da poterla preparare all’insegnamento, qualora trovassi delle lacune, cosa che non mi sorprenderebbe affatto. Ora se permette, andrei a riposarmi per qualche ora nella camera degli ospiti, non si disturbi, saprò trovarla da solo. Cominceremo di pomeriggio, in modo da finire in tempo per il ritorno il giorno prima di Halloween, la pregherei quindi di presentarsi in una veste migliore e più consona all’evenienza. Buon pranzo. > >

Detto questo, con un movimento fulmineo del mantello, sparì dalla sua vista, tanto velocemente che quasi non riuscì a notare la frazione di secondo in cui aprì la porta e la richiuse.

Lei rimase lì, esattamente nella stessa posizione che aveva quando lui si era alzato: mano destra in procinto di portare la tazza al viso, cucchiaino nell’altra, e una domanda incalzante nella testa.

Cosa diavolo era successo esattamente?










Note dell'Autrice:

- * Repello: palesemente un termine che non è usato dalla Rowling, se non mi sbaglio. E'è semplicemente un termine latino che potete ben comprendere anche senza la traduzione testuale. L'ho usato per poter far comprendere che Severus sta usando un incantesimo simile al Protego ma molto molto più potente, e che questo incantesimo così più elevato non funziona.

Lo so, lo so. Avete ragione.
Imperdonabile.
Ecco la parola che sarebbe giusto vi venga in mente. Scusatemi quindi per il MADORNALE ritardo nell'aggiornare questa storia, ma cause di forze maggiori mi hanno impedito di continuarla.



Va bene, va bene, lo ammetto.
Inizialmente ero solo a corto di “voglia” di mettermi a scrivere. Successivamente quando questa si è accesa, è mancata quella particolare cosa…ma sì, come si chiama? Ah sì.
Ispirazione.
Cara, dolce ispirazione.
Quando suona alla porta, io sono sempre sotto la doccia.
Successivamente ancora, quando questa finalmente è arrivata ed io ho potuto scrivere tutto quello che avevo in testa…beh il file contenente questo secondo capitolo è andato fuori dalla mia città insieme al computer che lo conteneva -.-.
Eh beh, come potete notare se lo avete letto significa che sono riuscita a recuperarlo ^_^ (Ma va? N.d. Lettori)
Quindi per farmi perdonare vi ho destinati tutti alla lettura di un capitolo decisamente abnorme. :D
Infatti l’ho dovuto tagliare, perché il discorso, il contesto che stanno vivendo Severus ed Hermione, ossia il loro incontro non è praticamente nemmeno iniziato, se vogliamo. Questo perché ho voluto dare più spazio a Severus ed al suo “viaggio” verso Granger House. Forse vi starete chiedendo come mai io abbia insistito così tanto, portando la narrazione di quel frangente a livelli così alti, anche parlando dal punto di vista dei dettagli. Beh, c’è un motivo, ed è molto semplice in realtà: volevo che vi concentraste sul modo di pensare di Severus, e sul suo modo di vedere il tutto. Tutto quanto. Dagli alberi, all’erba, al cielo – vi consiglio di tenere d’occhio questo punto della narrazione, ci sono degli indizi particolari –, all’incontro con i due vecchietti ( non vi preoccupate, non è un momento a sé stante, c’è un motivo – che si vedrà più in là – se ho introdotto questo avvenimento che io personalmente ho trovato divertentissimo nella mia testa mentre si stava formando) ecc. Quindi state attente alla narrazione ;). E’ un capitolo di per sé non molto elettrizzante all’inizio, lo devo ammettere, ma è introduttivo per quello che segue, ossai l’incontro tra i due. Ed inoltre, ripeto, c’è l’altra parte che dovrò finire e pubblicare, spero presto.
Continuando vi ringrazio tutti quanti, chi ha solo letto, ma anche e soprattutto chi ha avuto la pazienza di commentare il primo capitolo.
Davvero, i vostri commenti mi hanno lusingata, non mi aspettavo di riceverne molti.

pikappa93: Grazie mille, anche se non è stato un commento prolisso è stato ben accetto comunque, e sono contenta che la storia ti intrighi e che questo ti porti a seguirla – sperando che nel frattempo non te ne sia dimenticata, dato il ritardo. Grazie ancora! ^_^

Strega_Mogana: Leggendo il tuo commento mi sono sentita decisamente lusingata per i complimenti non solo alla storia ma anche per il trattamento dei personaggi e per il mio stile di scrittura. Grazie mille quindi ^.^ Davvero ti hanno appellato in svariati modi? E’ incredibile, ognuno può esprimere se stesso/a come meglio crede, che sia attraverso coppie canon oppure diverse dal previsto. Il rispetto è l’unica cosa di cui si ha bisogno, ed è la prima cosa che viene meno. Mi spiace quindi per te. Trovo che questa coppia mi sia molto affine, come caratteri, come atteggiamenti, e li adoro insieme. Grazie quindi per la tua approvazione. ^__^

Alexandraleon: Grazie tante, davvero per i tuoi complimenti, son felice che la storia ti sia piaciuta, e che la seguirai volentieri, sempre sperando che non te ne sia dimenticata a causa del ritardo, perciò se ci sei ancora, goditi pure il secondo capitolo! ^.^

titimaci: Grazie anche a te per aver commentato, sono contenta ti stia piaciuta! ^^

Alaide: La creazione dei punti interrogativi è quello che volevo creare fin dall’inizio, per attirare maggiormente il lettore, altrimenti che gusto c’è? ^_^ Son contenta quindi di aver effettuato il tutto con successo. Per la spiegazione e chiarizione di tutti questi punti di domanda dovrai aspettare ancora molti capitoli, credo. Però passo dopo passo, si arriverà ad una conclusione, in ogni capitolo ci saranno degli indizi che spetterà al lettore saper individuare e capire. Spero ti piaccia anche questo secondo capitolo! ^.^ Grazie quindi per i complimenti.

Hotaru_Tomoe: Realmente. Probabilmente il tuo commento è quello che mi ha lusingata di più, forse perché hai persino stampato il capitolo ^^ Grazie mille per le parole gentili spese per me e per la mai storia, davvero. ^_^ Il paragone con la Rowling poi mi ha fatto quasi arrossire. ^.^ Sono felicissima che il mio Snape ti sia piaciuto, speravo fosse più In Character possibile, amo molto questo personaggio, perché lo sento molto vicino a me, empaticamente parlando. Quindi sono realmente contenta che ti sia arrivato quello che volevo arrivasse ai lettori. Grazie mille ancora e spero perciò che ti piaccia anche questo capitolo. :D

Aloysa Piton: Grazie mille anche a te per le tue parole davvero belle. Sono contentissima di averti incuriosita. Ed hai ragione: trovo anche io che questi due siano davvero perfetti per stare insieme, proprio, come hai detto tu, per le affinità che si portano dietro e che condividono. E ehm, sbaglio o noto un certo odio verso il povero Ron? XD Non solo da parte tua ma anche da parte di altre lettrici. Beh diciamo che mi piace il personaggio di Ron, ma non tanto, trovo che stia bene come terzo nel magico trio, che completi il tutto, però non è tra i miei preferiti. Ed aggiungiamo anche che mi serviva renderlo il più sgradevole possibile per la storia XD. Grazie quindi ancora per i tuoi compliementi, spero ti piaccia anche questo capitolo. ^^

spikina: Sono davvero felice di averti colpita tanto, sul serio. Miravo ad interessare ma non pensavo di poter lasciare persino a bocca aperta! ^^ Spero questo secondo capitolo provochi lo stesso risultato! ^_^

fra_snape: Sono felice che la storia sia stata di tuo gradimento e che ti abbia incuriosita fin dall’inizio. Spero continui così anche per questo secondo capitolo. ^^

I love you Draco: Grazie tante per le bellissime parole, davvero, sono felice che la storia ti interessi e che il mio stile ti piaccia. ^^ Buona lettura quindi per questo secondo capitolo!

mistero: oh yeah!

E con questo vi saluto, è tutto. Grazie ancora, alla prossima!





Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=296069