Potterstuck

di aiedailAster
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** -John Egbert - A new beginning ***
Capitolo 2: *** Rose Lalonde - On the Express ***



Capitolo 1
*** -John Egbert - A new beginning ***


Angolo dell'autrice all'inizio perchè in fondo è troppo mainstream

Salve, popolo di EFP!
Questo è il mio primo angolino, perdonate qualche errorino e roba varia ^^'
Allora... sì, l'ho fatto.
Un crossover fra Harry Potter e il mio webcomic preferito, Homestuck! (come da titolo c: ).
Come avrete potuto notare, ogni capitolo verrà incentrato su un punto di vista diverso (in questo caso, sarà raccontato dal punto di vista di John Egbert :B )
E' stato difficile assegnare i ragazzi e i troll alle case di Hogwarts. Davvero D:
Ho distribuito in modo equo tutti (anche i dancestors e gli alpha kid), e devo ammettere che qualcuno è andato per esclusione ^^'
Però non ne sono poi così dispiaciuta. Vedremo come staranno i nostri troll e ragazzi in case inusuali! x'D
Delirio a parte, giuro che questa la finirò. Devo finirlah.
Lo so, il delirio dovuto alla sera tardi si sta impadronendo di me, perciò vi saluto e vi auguro...buona lettura! 0u0

Larissa c:
 
Thump.
John alzò la testa dalla strada ciottolosa.
Pochi secondi fa aveva varcato la soglia di Diagon Alley, la via dedicata ad ogni tipo di magia, per poi inciampare malamente su qualcosa maledettamente simile ad una bottiglia, ed era finito lungo disteso per terra, sporcandosi la faccia di un po’ di fango.
Si raddrizzò gli occhiali andati di traverso e cercò di alzarsi in piedi, e sentì un lieve bruciore al ginocchio.
Constatò che si era procurato una bellissima sbucciatura al ginocchio destro, che spiccava sanguinante contro i suoi pantaloncini color marrone chiaro. Sbuffò con aria lievemente seccata e scorse la figura di Jane davanti a lui, altrimenti detta la sua “Sorella-Maggiore-Ma-Anche-No”, che faceva di tutto per non scoppiare a ridere.
“Fossi in te non lo farei, Janey.” Disse, incrociando le braccia con fare seccato.
Si sentiva già abbastanza idiota nell’aver inaugurato il suo primo ingresso a Diagon Alley con una strabiliante scivolata: aggiungendoci Jane, poteva dichiarare di aver fatto combo con le figuracce, per quel giorno.
“Ma John, spiegami come diavolo si fa a non ridere per… questo!” trillò Jane allegra, per poi scoppiare in una gioviale risata due secondi dopo.
Essa aveva già attirato l’attenzione di due giovani maghi che passavano da quelle parti, che se l’erano svignata coprendosi le bocche con le mani, molto probabilmente per soffocare una più che certa risatina.
John alzò le spalle e decise che era meglio lasciar perdere. Si fece fasciare il ginocchio da Jane alla bell’è meglio, tirò un fazzolettino dalla tasca e si pulì accuratamente la faccia, e trotterellò al fianco di sua sorella.
Mettendo da parte la bella figura che aveva appena fatto, John era particolarmente euforico.
Pochi giorni fa, gli era arrivata una lettera a casa, nella Terra del Vento e dell’Ombra. Aprendola, aveva letto con stupore che era stato ammesso alla prestigiosa Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts: il bello era che non sapeva assolutamente in cosa consistesse quella diavoleria e, a dirla tutta, all’inizio aveva creduto che fosse uno scherzo di pessimo gusto.
Così aveva chiesto spiegazioni a sua sorella Jane, nella Terra delle Cripte e dell’Elio: sapeva che la ragazza si divertiva a fare scherzi di ogni tipo, ed in passato gliene aveva fatti tanti, e lui aveva sempre fatto la figura del pollo arrosto con patate – nel vero senso della parola.
Quella volta, però, Jane non era scoppiata nella sua solita risata. L’aveva fissato negli occhi, senza proferir parola. In seguito, gli aveva gettato le braccia al collo e lo aveva letteralmente stritolato di abbracci, e non riusciva a smettere di leggere e di rileggere la lettera con gli occhi azzurro cielo che le brillavano.
Gli aveva spiegato brevemente qualcosa su Hogwarts e gli aveva mostrato una delle sue cravatte: era a strisce blu e bianche, e lei aveva dichiarato di essere una Corvonero del quarto anno.
Non gliene aveva mai parlato prima, temendo che fosse nato Babbano come suo padre: i Babbani – i comuni mortali, tanto per intenderci – non dovevano assolutamente sapere nulla di nulla del mondo magico, o ci sarebbero stati cavoletti amari per tutti.
John l’aveva fissata a bocca aperta, sentendosi incredibilmente strano. Era stato introdotto bruscamente in un mondo di cui non aveva mai sentito parlare prima, e la cosa lo rendeva quasi… onorato. Così, si era accordato con Jane per andare a Diagon Alley per comprare tutto il necessario per la scuola – anche se all’ultimo momento e frettolosamente, accidenti a lui che non si appuntava mai niente.
Si riscosse dai suoi pensieri e raggiunse frettolosamente Jane, che si era fermata ad una vetrina che esponeva utensili magici per cucinare con più facilità.
“Devo assolutamente comprare uno di questi cosi, cascasse tutta l’Incipisfera!” esclamò la ragazza in estasi.
John alzò gli occhi al cielo esasperato, per poi guardare nuovamente la sorella. Cortissimi capelli neri pettinati “all’antica”, maglietta bianca e gonna acquamarina lunga fino al ginocchio, Jane giocherellava eccitata con i suoi occhiali rossi: probabilmente stava pensando ad un nuovissimo modo di impreziosire con un tocco di magia i suoi famosi biscotti. Non per niente, Jane era una cuoca davvero eccellente e aveva la casa letteralmente sommersa da valanghe e valanghe di ricette di svariati tipi – oltre che di libri di magia, s’intende.
John impiegò almeno cinque minuti buoni per convincere la sorella ad allontanarsi dalla vetrina, e proseguirono per la via.
Dal canto suo, il ragazzo non finiva mai di voltare la testa da una parte all’altra, ammirando tutti gli oggetti in esposizione nelle vetrine e la moltitudine di maghi che camminava per strada piena di merce di ogni tipo. Non poté evitare di fermarsi ad una vetrina dove erano esposti diversi articoli per una specie di sport: Quidditch, a detta di Jane.
Stavolta toccò alla ragazza trascinare il fratello: John sembrava ipnotizzato da alcune scope dalle forme sinuose e da quelle che sembravano delle sgargianti e pratiche divise.
“Non pensarci neanche, John.” Lo redarguì Jane incrociando le braccia. “A quelli del primo anno è vietato possedere una scopa personale, e i nuovi modelli costano un occhio della testa.”
John annuì, in cuor suo un po’ dispiaciuto, e si affrettò a seguire Jane.
Si recarono nei pressi di un grandissimo edificio bianco al centro di Diagon Alley, che svettava su tutti gli altri quasi fosse una specie di palazzo reale.
“John, questa è la Gringott, la banca dei maghi…” spiegava Jane al fratello. “Mamma ci ha lasciato un bel gruzzoletto nella nostra camera blindata: dovrebbe bastare per tutto quello che compreremo.”
John aggrottò la fronte, perplesso. Se avesse detto che aveva capito tutto, avrebbe sicuramente mentito spudoratamente.
Si limitò a seguire Jane con aria assente guardando con sorpresa dei piccoli esseri chiamati goblin che facevano avanti e indietro da un vasto salone dorato pieno di scranni. Questo suo atteggiamento assente durò fino al loro arrivo nella camera blindata, la numero… sì, ecco, la numero 230.
Jane tirò fuori dalla tasca una piccola chiavetta d’oro, che passò velocemente al goblin che li aveva accompagnati. Questo la prese, la esaminò attentamente, come se avesse paura di trovarci qualche macchietta, e dopo attimi che parvero interminabili la infilò nella serratura.
Dopo qualche giro, si sentì uno scatto, e la porta si aprì, lasciando John di stucco.
Alla faccia del gruzzoletto!
Davanti a sé vedeva cumuli di monetine di bronzo, gruppetti di monete d’argento e montagne di monete d’oro, che scintillavano alla luce delle fiaccole.
Jane gli spiegò che le monetine di bronzo si chiamavano zellini, quelle d’argento falci, e quelle d’oro galeoni, e che ventinove zellini formavano una falce, mentre diciassette falci formavano un galeone. John si fissò per bene nella mente le informazioni della sorella mentre prendeva manciate di tutto quel bendiddio e lo infilava nel borsello.
“Dovrebbe bastare.” Constatò Jane soppesando il borsello pieno zeppo di soldi.
Uscirono dalla Gringott e si fiondarono subito in una libreria chiamata Il Ghirigoro per comprare i libri per la scuola, e girovagarono negli altri negozi per acquistare le divise da Madama McClan (“John, per l’amor del cielo, sei capace di stare fermo per mezzo secondo?” gli diceva Jane ogni volta che John si muoveva durante le misure) e tutto l’occorrente per la scuola.
Jane controllò ancora una volta la lista.
“Adesso ti mancano solo una bacchetta ed un animale da portare con te. Personalmente, ti consiglierei un gufo: i rospi sono passati di moda, ti riderebbero dietro… e i gatti non riesco a sopportarli, mi fanno starnutire come una matta. Te ne comprerò uno nuovo, però: il mio è tutto spennacchiato!” Gli consigliò la ragazza ridacchiando.
Dopo aver gustato due buoni gelati alla Gelateria da Fortebraccio, un gioviale mago dalle braccia robuste, Jane gli indicò il negozio di Olivander, il fabbricante di bacchette.
John lesse l’insegna:”Olivander: fabbrica di bacchette di qualità superiore dal 382 a.C.”
“Jane, tu non entri con me?” chiese alla sorella.
“Ma certo che no, da Olivander ci entrerai da solo!” rispose lei, tirandogli un affettuoso buffetto sulla guancia. “E poi, devo sceglierti un bel gufo al Serraglio Stregato!” e gli indicò un edificio dalla parte opposta.
“Quanto hai finito, aspettami davanti al negozio e non muoverti da lì per nessuna ragione al mondo.” Gli raccomandò con un cenno di saluto.
John le sorrise e si avviò titubante verso il piccolo negozio del fabbricante di bacchette.
Si bloccò subito: la porta di quest’ultimo si stava aprendo con un leggero scampanellio, ed una ragazzina che poteva avere la sua stessa età stava uscendo cautamente dal negozio con in mano una bacchetta piuttosto lunga.
John la guardò attentamente: la ragazzina era piuttosto bassa, corti capelli biondo platino sistemati con un cerchietto nero, e indossava una maglietta bianca con stampato una specie di polipetto viola piuttosto inquietante, completo di una gonnellina grigia, delle calze bianche con una piccola riga viola vicino all’orlo, e delle scarpe nere.
La ragazza sembrava si fosse accorta della sua presenza e si voltò verso di lui, scrutandolo con i suoi profondi e cupi occhi viola dal taglio perfetto e dalle lunghe ciglia nere, mordicchiandosi le labbra nere.
John deglutì e prese un respiro profondo: quella ragazza gli trasmetteva un qualcosa di straordinariamente misterioso e anche… parecchio inquietante. Non riusciva a staccare lo sguardo da quei cupi occhi viola e la ragazza, con una scrollatina di spalle, si strinse la bacchetta al petto e si diresse allungando il passo nella direzione opposta.
Con il pensiero fisso della strana ragazza appena incontrata, John appoggiò la mano alla maniglia della porta di Olivander.
Si sentì uno scampanellio non appena entrò nella piccola anticamera, e appoggiò le mani sul bancone.
Regnava la penombra più totale e per un attimo pensò che il padrone si fosse allontanato per qualche minuto, ma dovette ricredersi quando sentì un fruscio alla sua destra.
“Salve, e benvenuto da Olivander. Anche tu del primo anno, non è così?”
John sobbalzò e girò lentamente la testa verso la voce. Un uomo anziano con grandi occhi chiari che sembravano brillare nella penombra del negozio spuntò all’improvviso, prendendo al volo un metro.
John annuì e lasciò che Olivander gli misurasse la mano ed il braccio destro per varie volte. Poi, borbottando fra sé e sé, cominciò a prendere alcune scatoline dagli scaffali e le posizionò ordinatamente sul bancone.
“Vediamo un po’… undici pollici, abete e crine di unicorno. Adatta alle trasfigurazioni.”
John prese in mano la bacchetta con la mano che gli tremava. Attese pochi secondi, ma non accadde niente.
“No, no.” Commentò Olivander scuotendo la testa. Gli tolse la bacchetta di mano e gliene diede un’altra.
“Pioppo e corde di cuore di drago, dodici pollici e mezzo, piuttosto resistente.”
Il ragazzo afferrò anche quella, ma continuava a non succedere niente.
“Uhm… melograno e crine di unicorno, dieci pollici, flessibile.”
Niente neanche con quella.
John sospirò rassegnato. E se non fosse riuscito a trovare la bacchetta giusta? Avrebbe passato ore ed ore nel negozio a maneggiare bacchette?
Il viso di Olivander si illuminò.
“Oh, ecco qui. Betulla e piume di fenice, undici pollici e mezzo, adatta agli incanti.”
John la prese in mano, pronto ad un'altra delusione. Ma essa non arrivò.
Sentì invece uno strano calore che partiva dal palmo della mano fino ad arrivare alle punte delle dita. La agitò goffamente e dalla punta della bacchetta sprizzarono delle scintille bianche e celesti.
“Ottimo, ottimo!” commentò Olivander battendo le mani. Prese la bacchetta dalla mano di John e la ripose nella scatolina, avvolgendola in colorata carta da pacchi.
Il ragazzo pagò otto galeoni per la sua bacchetta, ringraziò confusamente Olivander ed uscì dal negozio, socchiudendo gli occhi per il rapido passaggio dalla penombra al sole di Diagon Alley.
Jane lo stava già aspettando raggiante, con in mano una gabbia.
“Hey John! Guarda un po’ cos’ho qui…” trillò, mostrandogli la gabbia. “Un bell’esemplare di gufo di palude! Che ne dici?”
John fissò il gufo ed infilò un dito in una gabbia per accarezzargli le piume. ‘animale tubò contento.
“Cosa ne penso? “ esclamò. “Che è semplicemente fantastico! Grazie mille Jane!” e abbracciò forte la sorella.
Jane ridacchiò divertita e si diresse col fratello verso il Paiolo Magico, trotterellando per tutta Diagon Alley.
Sì, era stata una giornata niente male, dopotutto. Non doveva fare altro che aspettare in trepidante attesa il primo settembre.
 

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Capitolo 2
*** Rose Lalonde - On the Express ***


Angolo dell'autrice

Ehm... prima che cominci, vi devo delle scuse. Delle IMMENSE scuse.
Lo so, lo so, sono in mostruosissimo ritardo e avrei dovuto aggiornare mesi fa, ma fra la scuola che mi sta mettendo sotto torchio, le lezioni di musica ed il resto il mio tempo libero si è ridotto a praticamente niente D:
Beeeene... dopo aver finito questa premessa ed essere scampata al lancio di pomodori e ortaggi vari, procediamo con la storia.
Stavolta, il POV è della nostra Seer of Light, Rose Lalonde (nonchè mia umana preferita c: ): in questo capitolo conosceremo alcuni nuovi personaggi e... no aspetta, sto di nuovo spoilerando, dannazione! D':
Be'... spero che questo capitolo vi faccia e che soprattutto riusciate a perdonarmi per questo ritardo ultramegagiantesco! Buona lettura! 0u0


Rose si strinse entrambe le mani in grembo, con un lieve nodo alla gola.
Finalmente era arrivato il giorno tanto atteso: il primo settembre. E quasi non riusciva a crederci.
Nei giorni passati aveva guardato e riguardato il calendario, sbarrando con un pennarello rosso i giorni che passavano, in completa solitudine nella sua casa, situata nella Terra della Luce e della Pioggia. Be’… non proprio in solitudine.
Jaspers, il suo gatto dal lucente pelo nero regalatole dalla madre, le faceva compagnia e sembrava capirla più di chiunque altro.
Sì, decisamente più di sua sorella maggiore.
Sentì un tonfo sordo alle sue spalle e si voltò allarmata.
Ah, ecco.
Era sua sorella, Roxy, che aveva appena eseguito una specie di triplo salto mortale ed aveva fatto cadere rovinosamente per terra i bauli di entrambe.
Si battè una mano sulla fronte. Perché diamine si era ostinata a portare i bauli da sola, quella sciocchina?
Rose l’aiutò a rialzarsi, e Roxy scoppiò in una sonora risata.
“Wow, Rose, hai visto? DICO, HAI V-I-S-T-O? Forse è la scivolata migliore che abbia mai fatto quest’anno!”
Ci mancava solo questa. Roba da rimanerci secchi.
Rose sperò tantissimo di non essere smistata in Tassorosso, la Casa di Roxy – quest’ultima doveva frequentare il secondo anno alla Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. E come avrebbe potuto, del resto? Era praticamente il suo opposto.
Con questo non voleva dire che non le volesse bene, anzi. Andavano abbastanza d’accordo, come una qualsiasi coppia di due sorelle purosangue, ma a volte l’esuberanza di Roxy la faceva esasperare.
Si guardò nello specchietto del baule della sorella. Cavolo, non aveva decisamente un bell’aspetto, tralasciando l’eterna carnagione pallida.
I corti capelli biondo platino che le incorniciavano il viso erano in pittoresco disordine: lo stesso si poteva dire delle labbra nere e dell’ombretto nero che le metteva in risalto gli occhi viola, che cominciavano a sbavare un po’.
Tutta colpa della maledetta diavoleria dei loro vicini di casa, appassionati dei modi di vivere dei Babbani (una botomobile, tobomobile o qualcosa del genere), che si erano offerti di accompagnarle alla stazione: non solo guidavano come pazzi spericolati, ma sbatacchiavano da una parte all’altra i malcapitati nei sedili sul retro – in quel caso, le malcapitate erano state Rose e Roxy Lalonde.
“Non trovi che il passaggio in macchina sia stato FA-VO-LO-SO?” trillò Roxy eccitata scandendo fortemente ogni sillaba, mentre sistemava i due bauli sui carrelli; si aggiustò il ricciolo in alto a destra sulla fronte, e fece un’enorme sorriso a Rose, con la sciarpa rosa e bianca sistemata alla buona.
Rose fece una smorfia.  
 “Il mio stomaco e i nostri due gatti non la pensano allo stesso modo.” commentò cinica, sistemando i cesti da viaggio con Jaspers e Frigglish – il gatto della sorella - sopra i bauli.
“Andiamo Rose, non vorresti tenere quel muso proprio il primo giorno di scuola?” ridacchiò Roxy mentre trascinavano i carrelli.
Rose roteò gli occhi e decise di non rispondere, altrimenti rischiava di mantenere davvero il muso durante tutto il suo primo giorno di scuola.
“Guarda!” Roxy le indicò una colonna di mattoni fra la folla.
Era la barriera fra il binario 9 e il binario 10.
“Vai prima tu, Rosie, voglio che tu lo veda…” saltellò Roxy con aria eccitata, mentre spingeva Rose verso la barriera.
Rose deglutì e guardò la barriera, stringendo forte il carrello. Sentì Jaspers miagolare, ma non ci fece molto caso: concentrò il proprio sguardo sulla barriera, chiuse gli occhi e corse verso il muro di mattoni.
Sentì una ventata d’aria fresca sul viso e aprì gli occhi, ammirando un’enorme binario su cui sbuffava una locomotiva rossa con il cartello “Hogwarts Express” sul davanti: un sacco di maghi e streghe, adulti e ragazzi, facevano avanti e indietro da quella locomotiva.
Ce l’aveva fatta. Il binario 9 e tre quarti. Non era stato poi così male attraversare la barriera.
Sentì il respiro affannoso di Roxy e il rumore del suo carrello dietro di sé.
“Sbrigati, il treno partirà fra pochi minuti!” strillò la ragazza trascinando Rose ed i bauli. Frigglish e Jaspers continuavano a miagolare disperatamente nelle loro ceste.
Rose issò il proprio baule e quello di Roxy sul treno e li trascinarono nel corridoio; dopo qualche minuto sentirono il pavimento tremare.
La locomotiva era partita.
Sì, partita.
Rose sentì il cuore batterle fortissimo nel petto. Ancora non poteva crederci, e temeva fosse tutto un sogno, e aveva sviluppato una nuova paura: quella di svegliarsi all’improvviso.
Decise di non darlo a vedere e continuò a trascinare il baule seguita da Roxy.
“Hey Rosie, ti dispiace se continui da sola a cercarti uno scompartimento? Non te l’ho detto prima, ma sai, ho appuntamento con gli amici…” cominciò Roxy sfiorandole la spalla destra con la mano e prese la cesta con Frigglish. Sembrava un po’ dispiaciuta.
“No, vai pure, me la caverò…” le disse Rose con un sorriso forzato. Almeno ne avrebbe approfittato per esplorare l’Espresso di Hogwarts.
“Perfetto, ci vediamo dopo!” esclamò Roxy stritolandola in un abbraccio, per poi avviarsi saltellando col baule e la cesta di Frigglish.
Rose si guardò intorno e fece un respiro profondo.
Sondò con lo sguardo le porte dei vari scompartimenti e sbirciò socchiudendo ogni porta scorrevole, ma ogni tentativo andò a vuoto.
Sembrava che ogni singolo studente si fosse gettato nello scompartimento e avesse occupato i posti.
Rose sospirò e si era già rassegnata a passare il suo primo viaggio in piedi, quando notò un altro scompartimento alla sua sinistra.
“Forse questa è la volta buona, Jaspers…” mormorò alla cesta. Il gattino nero miagolò piano.
La porta scorrevole era già aperta e Rose indugiò sulla soglia.
“S-si può?” balbettò la ragazza in un soffio, stringendosi la bacchetta al petto.
Sui sedili dall’aria accogliente dello scompartimento erano seduti due ragazzini ad occhio e croce della sua stessa età: la prima, dai lunghi capelli neri che portava un paio di occhiali dalle lenti tonde, che indossava una maglietta cobalto con una lunga gonna, era profondamente addormentata fra i cuscini. Dalla cesta da viaggio per animali sul portabagagli, si sentiva un uggiolio sommesso.
Il secondo ragazzino, invece, aveva una vaga aria familiare… capelli corvini e arruffati, occhiali con lenti quadrate, profondi occhi azzurro cielo, maglietta celeste e pantaloncini marrone chiaro.  Una gabbia con un gufo di palude era appoggiata vicino a lui sul sedile.
“C-certo, entra pure…” rispose lui, facendole cenno di entrare.
Rose entrò cautamente e si sedette vicino al ragazzo, stando attenta a non svegliare la ragazzina che dormiva profondamente sul sedile di fronte.
Guardandolo con più attenzione, sgranò gli occhi e ricordò: ecco dove l’aveva intravisto! Davanti al negozio di Olivander a Diagon Alley!
Istintivamente, Rose strinse forte la propria bacchetta.
Legno di tiglio, quattordici pollici, nucleo molto particolare: il capello di una Veela, che rendeva le bacchette piuttosto umorali.
Quel mattino a Diagon Alley era passata da Olivander per controllare che funzionasse bene. Sì, perché la bacchetta era appartenuta a sua madre.
Già, sua madre…
Passò la mano destra sulla lunga bacchetta scura e percepì ogni curva del legno, respirandone l’odore pungente.
“U-uhm… credo di averti già vista da Olivander… credo…”
Il ragazzo aveva parlato. Rose notò che si torceva le mani in grembo. La ragazza annuì, scostandosi dagli occhi una ciocca ribelle di capelli biondo platino.
“E… tu c-come ti chiami?” esordì il ragazzo, visibilmente imbarazzato.
Rose inarcò un sopracciglio.
“Rose Lalonde.” Rispose, rigirandosi la bacchetta fra le dita.
“Uh… io John Egbert.” Rispose il ragazzino, tirando goffamente fuori la propria bacchetta, per poi farla cadere per terra.
“Ah, che bellezza.” Pensò sarcastica Rose. “Sono in compagnia di un imbranato e della bella addormentata nel bosco.”
Mentre John si chinava per raccogliere la bacchetta da terra, Rose spostò lo sguardo sul sedile di fronte. La ragazzina era ancora immersa in un sonno profondo, e  ogni tanto mormorava qualcosa di incomprensibile.
“La conosci, per caso?” sussurrò lei all’orecchio di John.
Il ragazzo si strinse nelle spalle.
“No… quando sono entrato nello scompartimento l’ho trovata così, e sono entrato lo stesso per non svegliarla.” Aggiunse, facendo un’espressione buffa.
Rose annuì e tirò fuori dal baule Teoria della Magia, cominciando ad immergersi nelle definizioni dei primi incantesimi illustrati nel tomo.
Dopo qualche minuto sentì un flebile miagolio provenire dalla cesta infilata nella rete portabagagli.
Oh, se n’era quasi dimenticata… Jaspers!
Aprì svelta le cinghie della cesta e il gattino nero balzò subito fuori e si acciambellò sulle ginocchia di Rose, facendo le fusa.
“Puoi accarezzarlo, se ti va.” disse Rose, notando che John stava fissando il gatto con aria apprensiva. “Non ti mangia mica, sai?”
John ridacchiò e grattò dietro le orecchie di Jaspers. Il gattino nero sembrò soddisfatto.
All’improvviso, la cesta sulla rete portabagagli dell’altra ragazza si mosse.
Jaspers conficcò le unghie nelle ginocchia di Rose e cominciò a soffiare arrabbiato, mentre dei latrati cominciarono a farsi sentire.
La cesta rischiò di cadere a terra, tanto si muoveva il cane che c’era dentro, ma John con prontezza la prese e la risistemò sulla rete.
“Ti conviene far rientrare dentro il tuo gatto, o quello lì sarà capace di fare a pezzi la gabbia…”
Rose guardò John e annuì, ficcando Jaspers nella propria cesta senza tanti complimenti.
“Scusami…” sussurrò al gattino, come se potesse sentirla. “Non appena saremo a Hogwarts sarai libero tutte le volte che vorrai, promesso.”
Jaspers non parve pensarla allo stesso modo, a giudicare da come soffiava rabbioso in direzione della padrona, e infine si raggomitolò in fondo alla cesta, gli occhietti gialli fissi su Rose.
La ragazza si voltò, e vide che John stava buttando qualcosa in una gabbia che conteneva un bel gufo di palude.
“Ecco qua la tua razione di noci…” il ragazzo notò che Rose lo stava guardando. “Uh… lui è il mio gufo di palude. Si chiama Casey, me l’ha comprato mia sorella Jane.” Aggiunse sistemandosi gli occhiali.
“Wow, anche tu hai una sorella a Hogwarts.” Commentò Rose incrociando le braccia, pensando alla faccia col sorriso perennemente stampato di Roxy.
“Sì, è in Corvonero.” Rispose John giocherellando con la bacchetta. “Sai, io spero di finire in Grifondoro. Sai, la culla dei coraggiosi di cuore…” e si mise una mano sul cuore e alzò il braccio sinistro, come se alzasse una spada invisibile.
Rose inarcò un sopracciglio.
“Grifondoro? Ti auguro che tu ci venga smistato. Io vorrei essere in Serpeverde…”
Si mordicchiò le labbra. “Quasi tutta la mia famiglia è stata lì… be’, tranne mia sorella Roxy che è in Tass…”
Non ebbe il tempo di finire la frase che una donna dai capelli neri striati di grigio si affacciò alla porta dello scompartimento con un carrello pieno di dolcetti di ogni tipo.
Rose sbarrò gli occhi.  Possibile che fosse già mezzogiorno?
“Qualcosa dal carrello, cari?”
Rose annuì e cominciò a tirare fuori dalla tasca qualche galeone.
“Nah, Rose... offro io…” disse John rovistando nelle tasche, con un sorrisetto imbarazzato.
Rose incrociò le braccia. “Ma che bel gentleman! Tranquillo, questi galeoni bastano e avanzano!” Disse ricambiando il sorriso. John ridacchiò e contò i galeoni.
“Piuttosto… non sarebbe il caso di svegliare quella lì?” chiese, indicando la ragazzina addormentata.
“Mhmhm…” John si avvicinò e le toccò cautamente e più volte la spalla con l’indice. Niente.
“Oh, non preoccupatevi. Se si sveglia e ha fame, mi trova vicino al macchinista…” intervenne la donna con un gran sorriso.
Rose e John arraffarono quanti più dolci poterono e, pagando la signora, tornarono a sedersi.
Per oltre venti minuti si sentì solo il rumore delle merendine scartate e le loro mascelle che masticavano tutto quel bendiddio. Nella mente della ragazza si affacciò la figura di sua sorella Roxy che si abbuffava di dolci (cosa che certamente stava facendo in quel momento). Scacciò via l’immagine ridacchiando, mentre passava a John una figurina di Her Imperious Condescention uscita dalla Cioccorana.
Rose era arrivata a metà della sua seconda Cioccorana, quando le luci dello scompartimento si spensero di colpo. Il buio totale calò sullo scompartimento e con uno scossone che li fece sobbalzare il treno si fermò.
Rose sentì Jaspers che miagolava e soffiava e Casey che cominciava a tubare, e cercò a tentoni la bacchetta.
“John, cosa credi sia successo?” urlò nel buio.
“E che ne so io!” La voce di John le arrivò dal basso. Sicuramente era caduto per lo scossone del treno. “Sarà qualche guasto tecnico oppure un qualc- AAAAAAAAH!”
Qualcosa di indefinito entrò nello scompartimento e, basandosi su quel poco che Rose riusciva a scorgere nel buio, il tipo o la tipa era inciampato su John ed era finito per terra.
Rose sentì altri passi affrettati che si stavano facendo più rumorosi e BAM! Qualcos’altro si scontrò contro altra roba indefinita.
Ne seguì il parapiglia generale.
“Chi va là?”
“Chi siete voi?”
“Hey, credo proprio che abbiamo sbagliato scompartimento…”
“Te l’avevo detto io che non dovevamo metterci a cercare la tua stupida rana, ma tu non mi ascolti mai, e ci siamo pure persi con ‘sto blackout del cacchio!”
“E che ne sapevo io, mi era scappata così, all’improvviso!”
“Cavolo, non si vede a un palmo dal naso qui…”
“Questa è la più bella scoperta del secolo decimo settimo…”
“Chi ne ha mollata una?”
“Hey, quello è il mio piede!” strillò Rose cercando di rialzarsi.
“Scusa…” disse una voce piagnucolosa.
Rose si rialzò e cercò a tentoni la porta dello scompartimento, col solo risultato di sbatterci contro.
“Ma che diamine…”
Non ebbe il tempo di finire la frase , che tutte le luci si riaccesero di colpo e, con uno scossone, il treno partì come se niente fosse.
Rose si alzò da terra, si raddrizzò il cerchietto sui capelli biondo platino e spostò lo sguardo per terra.
Sarebbe scoppiata a ridere, se la scena non fosse stata così “tragica”.
John era letteralmente spiaccicato sotto un ragazzo dagli spettinati capelli color biondo sporco, che indossava un paio di strani occhiali con una lente blu ed una rossa, a sua volta schiacciato da una ragazza dai lunghi capelli neri e un cappello da uomo sulla testa – un Fedora, a prima occhiata.
Appena vicini al terzetto, c’erano una ragazza dai capelli corvini e occhiali con lenti tonde dalla montatura fine che si era impigliata con un ragazzo dai capelli castano scuro con ciuffo viola nel mezzo, e che indossava un mantello violetto.
Non appena quella ragazza si voltò a guardare chi la stesse spiaccicando sul pavimento, si allontanò con faccia schifata, aggiustandosi la montatura degli occhiali.
“Puah… Ampora…” sibilò, prima di girare i tacchi e uscire dallo scompartimento.
Neanche l’altro ragazzo aveva avuto molto piacere di vederla, perché anche egli se ne andò dallo scompartimento con uno stizzoso:”Serket…”
Dopo aver guardato un’ultima volta il ragazzo che usciva dallo scompartimento, Rose si chinò per aiutare John e gli altri ragazzi ad alzarsi da terra.
“Aspettate, vi do una mano io…” sussurrò una vocina.
La ragazza si voltò di scatto.
La ragazzina che fino a poco fa stava dormendo sui cuscini si era finalmente svegliata, ed ora potè distinguere altri particolari che in precedenza non poteva vedere.
Gli occhi verde giada della ragazza si muovevano a guardare il groviglio di ragazzini cascati per terra; ridacchiando, aiutò due dei ragazzi ad alzarsi, mentre Rose tirava su John, aiutandolo a pulirsi i pantaloni dalla polvere.
“Cavolo, dev’essere successo un bel macello qui…” disse la ragazzina, ridacchiando e ravviandosi i suoi lunghi capelli neri. Rose notò gli incisivi piuttosto lunghi della ragazza mentre ridacchiava divertita.
“Be’… diciamo che lo chiamerei più blackout con autoscontro “ replicò John incrociando le braccia.
Il ragazzino dagli occhiali strambi e la ragazzina che indossava il Fedora si avvicinarono a loro, e quest’ultima pulì il cappello dalla polvere, rimettendoselo sulla testa con un gesto elegante della mano.
“Uh… e pensare che sono uscita dallo scompartimento solo per recuperare la mia rana, e non pensavo minimamente di trovare una Serket ed un Ampora che, come al solito si punzecchiano.” Disse la ragazza ridacchiando, e aggiunse, indicando il ragazzo con i capelli biondo sporco:”Uh, credo che adesso dovremmo presentarci: io sono Aradia Megido, e lui è Sollux Captor: frequenteremo il primo anno a Hogwarts.”
“Wow, anche tu al primo anno?” esclamò John meravigliato.
“E-ehm…io sono John Egbert.” Aggiunse, tendendo la mano ad Aradia e a Sollux.
“Io invece sono Rose Lalonde.” Disse invece Rose, tendendo anche lei la mano destra.
“Ed io sono Jade Harley, piacere di conoscervi!” trillò la ragazzina dai capelli neri, saltellando contenta.
Dopo le presentazioni, si sentì un gracidio in un angolo dello scompartimento, seguito subito dopo da un latrare proveniente dalla gabbia per animali sulla rete portabagagli, che si muoveva pericolosamente.
“RIBBIT! Ecco dove ti eri cacciata!” esclamò Aradia, tuffandosi in direzione del sedile di Jade.
“Finalmente abbiamo trovato la tua rana!” sbuffò invece Sollux, incrociando le braccia.
“NONONO Bequerel! Non abbaiare così!” urlò Jade con aria preoccupata, tenendo ferma la cuccetta da viaggio per animali.
“S-scusate… è il mio cane, Becquerel… di solito se ne sta buono buono, ma oggi è eccitato anche lui…” mormorò imbarazzata.
Rose trascorse il resto del viaggio a guardare il bellissimo paesaggio che le scorreva davanti dal finestrino, mentre gli altri parlottavano tra loro, sgranocchiavano le loro ultime merendine oppure giocavano con la rana di Aradia.
“Qual’è il tuo animaletto, Sollux?”
Rose sentì la voce di John, che aveva una lieve sfumatura impertinente.
Si voltò e notò che Sollux era diventato un po’ titubante.
“Be’… io ho… questo.” Disse con una smorfia, sollevando un gufetto con delle arruffate piume grigie che sbatteva le alucce come un matto.
Rose soffocò a stento una risata.
“Oh… davvero carino come animaletto…” disse John, ridacchiando per i buffi movimenti del gufetto, che arrivo a mordicchiare le dita di Sollux.
“Non è proprio mio, è di mio fratello Mituna, e… AHIA! Stupido animale!” esclamò Sollux agitando la mano, ma non servì a niente, dato che il gufetto non voleva proprio staccarsi dall’indice del padrone.
Jade scoppiò subito in una risatina, seguita subito da tutti gli altri; non si accorsero che si era già fatto buio e che il treno si apprestava ad avvicinarsi nei pressi del lago di Hogwarts.
 
Rose ebbe appena il tempo di sistemarsi la divisa scolastica, che il treno si fermò pian piano, mentre una voce rimbombò lungo i corridoi del treno:”Destinazione raggiunta! Gli studenti sono tenuti a lasciare i propri bagagli negli scompartimenti e coloro che frequenteranno il primo anno seguano la guardiacaccia!”
Rose spostò lo sguardo sulla propria cesta da viaggio.
“Ci vediamo dopo, Jasper…” sussurrò al gatto, sfiorandolo con un dito attraverso le grate di plastica della cesta. Il micio fece piano le fusa e si raggomitolò in fondo alla cesta, fissando Rose con i suoi occhi gialli.
La ragazza si ravviò i corti capelli biondo platino e raggiunse velocemente John, quando percepì una voce lontana che proveniva dall’esterno.
“Primo anno! Primo anno da questa parte!”
Rose scese dal treno e cercò di percepire da che parte venisse la voce.
Aguzzò la vista ed intravide la luce fioca di una lanterna ad olio; notò in seguito una figura che si avvicinava al gruppo del primo anno, e le parve di distinguere sotto lo scuro mantello delle spirali del colore del limone acerbo disegnate sulle guance e delle ciocche bianche. Eppure la misteriosa figura non sembrava anziana, anzi: ad occhio e croce, pareva si stesse godendo il fiore dei suoi anni.
“Primo anno da questa parte!” gridò ancora, agitando le braccia, e, quando tutto il gruppo si radunò attorno a lei, fece cenno ai ragazzini di seguirla.
Incespicando fra le erbacce e sassolini presenti nel praticello, con i capelli e gli indumenti che ondeggiavano per la fresca brezza che soffiava in quel momento, Rose e tutti gli altri fecero un po’ di fatica a starle dietro, ma alla fine riuscirono ad arrivare sulle sponde del lago di Hogwarts.
“Eccoci arrivati! Fra poco arriveranno le vostre banche, e nel frattempo potrete godere di questo bellissimo panorama di Hogwarts!” esclamò ancora la figura, e Rose costatò infine che si trattava di una donna – o meglio, una ragazza.
Alzò lo sguardo e rimase senza fiato.
Hogwarts, appollaiata sulla lontana scogliera come un’antica rocca, con le torri che salivano al cielo come oscure guglie e le tante luci che sembravano tanti occhi luminosi nell’oscurità circostante, aveva davvero un’atmosfera magica e misteriosa che si univa al lago scuro e lievemente increspato.
Finalmente, le barche annunciate dalla ragazza incappucciata toccarono la riva del lago, ed essa annunciò ancora:”Mi raccomando, non più di cinque per barca!”
Rose scavalcò con un elegante balzo lo spazio fra la sponda ed una delle barche e si accomodò insieme a John, Jade, Sollux ed Aradia.
Quando la figura ed il resto del gruppo ebbe preso posto sul resto delle imbarcazioni, finalmente esse cominciarono a muoversi e a solcare silenziosamente le acque del lago, mentre Rose guardava verso il castello e continuava ad immaginare che cosa sarebbe successo dopo quella traversata piena di attesa.
 
 
 
 
 
 



 

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