Gli abissi della mente

di Lory221B
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Terapia ***
Capitolo 2: *** Convenzioni sociali ***
Capitolo 3: *** Sei sempre tu, John Watson! ***
Capitolo 4: *** L'interpretazione dei sogni ***
Capitolo 5: *** Il suono del silenzio ***
Capitolo 6: *** Conduttore di luce ***
Capitolo 7: *** Personalità dipendente e sociopatia ***
Capitolo 8: *** La versione di John ***
Capitolo 9: *** La versione di Sherlock ***
Capitolo 10: *** Tu hai detto pericoloso ***
Capitolo 11: *** Tu ed io contro il resto del Mondo ***
Capitolo 12: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Terapia ***


Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di sir A.C.Doyle, Moffatt Gatiss BBC ecc.; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro per il mio puro divertimento

Angolo autrice:
Vorrei fare una premessa, non sono una psicologa e non ho studiato psicologia ma ne sono appassionata a livello "amatoriale" , per cui  prendete tutto come finzione e senza pretese.
La storia si svolge dopo la 3x03 per cui, se non l'avete ancora vista, fermatevi prima che sia troppo tardi :-P!


Cap. 1 - Terapia

- Sociopatico iperattivo, Mycroft! - affermò pigramente Sherlock, distendendosi sul divano, ignorando la presenza ingombrante del fratello ancora in piedi nella stanza.

- Smettila, non sei così! - ribatté Mycroft, non potendo fare a meno di alzare gli occhi al cielo. Era l'ennesima discussione degli ultimi tempi, sembrava  che ormai non facessero altro.

Sherlock continuò a non guardarlo ed anzi si allungò fino al tavolino per prendere il suo portatile e continuare l'articolo che avrebbe pubblicato sul suo sito non appena il fratello l'avesse lasciato in pace.

- Sherlock - cantilenò Mycroft.

- Ho ucciso un uomo, sociopatico si adatta eccome -

- Lo hai ucciso per John Watson, non per sociopatia  - quasi gridò Mycroft. Sherlock si voltò a guardarlo, il volto del fratello ancora più stanco e pallido del solito che lo fissava preoccupato.

- Ho parlato con uno psicologo, come ti ho detto non sei un sociopatico, quasi sicuramente il tuo è un disturbo schizoide con una punta di paranoide e vorrei che ne parlassi con questo dottore - continuò Mycroft.

Sherlock non poteva credere che il fratello continuasse ad annoiarlo con proposte di quel tipo. Il mese prima voleva mandarlo in riabilitazione, il mese prima ancora gli aveva consigliato di andare a vivere lontano da Londra, magari cambiare addirittura Stato per ricominciare da zero, come se in un altro luogo avrebbe smesso di pensare agli ultimi quattro anni della sua vita.

- Sai benissimo che non lo farò, perché sprechi fiato? - si ritrovò a rispondere senza neanche rendersene conto.

- Se non sei in prigione o in una missione suicida nell'Europa dell'est è solo grazie a me - precisò Mycroft.

- Pensavo al provvidenziale ritorno di Moriarty -

- Un caso chiuso ormai e la spada di Damocle dell'esilio pende ancora sulla tua testa. -

- Mi stai minacciando Mycroft? Adesso, ogni cosa che mi ordinerai, dovrò farla perché altrimenti mi spedirai in esilio? Non ho intenzione di vivere così -

Mycroft prese a camminare per la stanza, il soggiorno era un caos totale, la cucina era completamente inguardabile. Quel posto non era mai sembrata una discarica come in quel momento, sembrava che Sherlock nemmeno ci vivesse. Guardandosi attorno non potè non notare che la poltrona di John era nuovamente sparita. Si chiese se l'avesse semplicemente spostata nella vecchia camera del dottor Watson o se l'avesse donata ai poveri o gettata direttamente in strada.

- D'accordo, facciamo un patto, vai a dieci sedute e poi non ti chiederò più niente sotto minaccia -

Sherlock storse il naso e si mise seduto ad ascoltare il fratello.

Mycroft capì che doveva giocare sporco  se voleva convincere il fratello ad andare in terapia. In realtà nemmeno lui pensava che potesse essere risolutivo ma il silenzio in cui si era chiuso cominciava a durare da troppo tempo. Non era più lo Sherlock che viveva solo e si eccitava risolvendo i casi, era un'altra persona, che soffriva e che era arrivata al punto di uccidere un uomo a sangue freddo solo per proteggere John. Decisamente non era più il vecchio Sherlock, il brillante detective che avrebbe messo Magnussen in un angolo senza bisogno della violenza. Qualcosa in lui si era rotto e l'unica cosa che gli veniva in mente per ripararlo era mandarlo da uno psicologo.

- Sherlock, ti è mai venuto il dubbio che se tu non fossi come sei non avresti allontanato John? Da quanto tempo non vi parlate? - esclamò freddamente, sapendo di affondare in una ferita aperta. Sherlock mantenne il controllo, non voleva dare a Mycroft la soddisfazione di fargli vedere che aveva colpito nel segno.

- Non sono affari tuoi - rispose seccato Sherlock. Era vero, non sentiva John da quanto lo aveva aiutato a risolvere il caso del ritorno di Moriarty. John lo aveva cercato all'inizio ma poi Sherlock aveva smesso di rispondere ai suoi messaggi o aveva inventato scuse patetiche per non vederlo e alla fine, dopo una discussione, anche John aveva smesso di farsi vivo.

- Non sei obbligato a vivere così, il muro che hai tirato su per proteggerti si sta sgretolando e io sono preoccupato. Sinceramente preferirei tu stessi lontano da John visto come sono andate le cose ma.. -

- Non ti preoccupare, ha una moglie, ha un figlio, game over - lo interruppe Sherlock rassegnato.

- Credevo che il gioco non finisse mai - fece Mycroft.

- A volte si perdono dei giocatori - affermò cupamente Sherlock. Era sempre stato l'unico giocatore finché non era arrivato John e gli sembrava strano adesso essere solo contro il mondo.

Mycroft lo guardò addolorato, aveva sempre saputo che John sarebbe stata la salvezza o la rovina definitiva ma di certo non pensava che suo fratello si sarebbe spinto tanto in là. Si sentiva stupido ad aver ignorato il legame profondo che univa Sherlock a John e a non aver pensato come sarebbe precipitata la situazione al ritorno del fratello dopo la finta morte.

- Potresti comunque avere altri amici - buttò lì Mycroft.

Sherlock rimase stranito, Mycroft si stava proprio sforzando per dire quelle cose - Detto da te, fa abbastanza ridere -

- A me non servono amici - rispose.

- Nemmeno a me - "se non hai amici non puoi essere ferito" pensò tra sé.

Mycroft sapeva che al fratello non servivano amici al plurale, aveva bisogno soltanto di uno, ma ormai o andava avanti o trovava un modo per convivere con la nuova situazione, indietro non poteva tornare.
Finché John abitava a Baker Street si sentiva tranquillo sapendo che il buon dottore teneva d'occhio Sherlock e che non avrebbe lasciato che passasse il tempo a drogarsi e nemmeno il fratello sembrava interessato a farlo durante il periodo trascorso con John, ma giusto qualche giorno dopo il matrimonio aveva ricominciato con l'eroina, "è per un caso Mycroft" aveva affermato per giustificarsi e poi non aveva mai più smesso del tutto.

- Non voglio passare a Baker Street un giorno e trovarti in overdose - affermò tristemente il maggiore degli Holmes.

Sherlock era stufo della presenza bacchettona del fratello che, come sempre, gli indicava cosa poteva o non poteva fare e soprattutto cosa dovesse fare, come se Mycroft effettivamente sapesse cosa lo faceva sentire meglio. Lo stesso Mycroft che lo aveva piantato in asso al matrimonio di John, l'unica volta che Sherlock lo aveva chiamato per un supporto, per non essere l'unico alieno al matrimonio del suo migliore amico; Lo stesso Mycroft che gli aveva detto di non farsi coinvolgere e subito dopo aveva rincarato la dose ricordandogli di Barbarossa. Su quali basi credeva di potergli dire come doveva vivere? Sherlock sentiva un enorme vuoto dentro e la voglia di colpire suo fratello. Non era fatto in quel momento ma gli avrebbe comunque spezzato un braccio volentieri.

- Questa conversazioni mi sta annoiando, se ti dico che accetto le condizioni, te ne vai Mycroft? - rispose per liberarsi di lui.

- Il dottore ti aspetta domani alle 16 -
E se ne andò, pregando che Sherlock per una volta lo ascoltasse.

***** *****

Il giorno dopo Sherlock si era alzato presto ed era andato direttamente da Lestrade, sperando avesse un caso per le mani. Anche con l'ispettore si comportava in maniera distaccata e più fredda del solito e Lestrade cominciava ad essere preoccupato quanto Mycroft, al punto che aveva deciso che non gli avrebbe affidato alcun caso finché non si fosse ripreso da qualunque cosa avesse. Così, nonostante le richieste sprezzanti ma quasi supplichevoli di affidargli un caso, anche banale, Sherlock dovette andarsene a mani vuote. Dopo aver passato altre ore senza nulla da fare, decise di accontentare Mycroft e recarsi all'appuntamento con lo psicologo; se non altro il fratello non avrebbe potuto dire che non ci aveva nemmeno provato.

Si accomodò nella sala d'aspetto. C'erano altre due persone in attesa con lui, una signora con evidenti disturbi ossessivo compulsivi e un uomo intorno ai 35 anni dallo sguardo vivace e l'aspetto curato. Sherlock passò il tempo dell'attesa a dedurre la  "banale" signora, mentre aveva qualche difficoltà a comprendere l'uomo, quando la segretaria del dottore lo avvisò che poteva accomodarsi nello studio dello psicologo.

- Buongiorno sig. Holmes, si accomodi - fece garbatamente l'uomo. Sherlock lo squadrò da capo a piede prima di sedersi, capendo subito che aveva divorziato di recente, sull'anulare sinistro c'era ancora il segno dell'anello, che non aveva figli e che aveva un gatto.

- So che non ha alcuna fiducia nella terapia - affermò il dottore in maniera comprensiva.

- Se pensa che mi metterò a parlare della mia vita con lei quando non ne parlo nemmeno con... - e Sherlock si bloccò, quale nome voleva dire?

- Non voglio forzarla a fare niente, possiamo anche stare in silenzio un'ora ma se vuole parlare di qualcosa, qualunque cosa può farlo. Anche se vuole parlare di qualcuno -

Sul "qualcuno" Sherlock si morse le labbra - Cosa le ha detto mio fratello? -

- Quanto mi è bastato per capire il quadro clinico -

- Quindi, secondo lei ho un disturbo schizoide -

Il dottore sorrise e prese un libro - Secondo me lei cela ogni emozione dietro ad una maschera, non è vero che non prova sentimenti ma ha deciso di ignorarli, probabilmente ha sofferto in passato e non vuole che la cosa si ripeta. Le leggo una breve introduzione al disturbo di personalità schizoide, vediamo se le ricorda qualcuno: il soggetto schizoide ha una vita affettiva ridotta, non manifesta i suoi sentimenti ed ogni emozione viene catalogata e valutata attraverso il pensiero e la ragione. I sentimenti sono valutati in maniera cinica, quasi disprezzati eppure lo schizoide ha un ricco mondo emotivo interno.  Preferisce attività solitarie e dimostra freddezza e distacco emozionale. Non vuole che gli altri sappiano che soffre, che ama, che prova rabbia e per questo cela ogni sentimento dietro una maschera di indifferenza. Non prova vero piacere in quasi nessuna attività e ha poco o nessun interesse in relazioni ed esperienze sessuali -.

Lo psicologo fece una pausa, dando il tempo a Sherlock di comprendere quanto aveva letto. Il detective sembrava stesse davvero riflettendo su quelle parole, cercando di capire quanto corrispondessero a realtà.

 -  Vuole parlarmi del dott. Watson? - disse tutto ad un tratto il dottore, con lo scopo di provocare una reazione nel suo paziente.

Sherlock alzò lo sguardo, quasi ferito, ma non disse nulla.

- Ho letto il  blog del dott. Watson. So che siete amici, che è il suo assistente, ma è da un po' che il blog non viene aggiornato - Continuò il dottore, cercando un modo per penetrare le difese di Sherlock e farlo parlare e soprattutto sfogare.

- Non lo aggiorna perché non partecipa più alle indagini - rispose freddo Sherlock, sperando di chiudere velocemente il capitolo John, ma lo psicologo non sembrava dello stesso avviso.

- E' perché si è sposato e ha avuto una figlia? -

- Esatto, quella vita non fa più per lui -

- E' successo qualcosa? -


Sherlock ripensò a una sera di qualche mese prima quando un incazzato John aveva fatto irruzione a Baker Street perchè Sherlock aveva risolto un caso difficile e potenzialmente mortale senza chiamarlo.

- Perché non mi hai telefonato?! Ho dovuto leggerlo sui giornali che sei quasi morto, di nuovo - aveva gridato John e  per poco non aveva preso a calci tutti i mobili dell'appartamento.

Sherlock si era sentito come sballottato da quello che sentiva dentro, da una parte avrebbe voluto che John restasse con lui ma al contempo non riusciva più a sopportare che le loro vite fossero cambiate e che John non sarebbe mai più tornato a Baker Street.


- Eri con Mary e tua figlia, non volevo disturbare - aveva buttato lì, non credendoci nemmeno lui.

- Non dire stronzate, tu che ti preoccupi di disturbare? Da quando? -

- Non mi serviva il tuo aiuto - aveva risposto calmo Sherlock, cercando di non farsi coinvolgere dall'espressione ferita di John.

- Perché fai così? Onestamente comincio a essere stufo del tuo comportamento! - aveva gridato nuovamente, furioso.

Sherlock aveva annuito nervosamente, come se si fosse aspettato quello sfogo, come se lo attendesse da tempo, per potergli indicare la porta e dirgli addio.

- Cosa dice Mary del fatto che la molli a mezzanotte per correre a casa mia a urlare? - aveva risposto, sottolineando il "mia" riferito a quello che era stato il loro appartamento.

- Niente, sa chi ha sposato -  "Già, quello che non lo sapeva eri tu" aveva pensato Sherlock fra sé.

- John, ci saranno altri casi, altri maniaci e tu non puoi rischiare di mettere in pericolo la tua famiglia -

- Della mia famiglia me ne occupo io -

- Allora sono io che non ti voglio tra i piedi, ok? - "Fa troppo male" aveva aggiunto, sempre tra sé.

John aveva stretto i pugni, cercando di calmarsi - D'accordo Sherlock, come vuoi tu, come sempre - ed era uscito sbattendo la porta.


- Sig. Holmes? - chiese lo psicologo

- Niente, non è successo niente di rilevante

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Capitolo 2
*** Convenzioni sociali ***


Cap. 2 Le convenzioni sociali

John stava giocando con la piccola Ginny. Da quando era nata passava ogni minuto libero con lei, giocando, raccontando storie, passeggiando nel parco o semplicemente cantandole la ninna-nanna. John era sicuramente un padre felice. Quel pomeriggio non lavorava all'ambulatorio e aveva deciso di fare una passeggiata con la piccola; non viveva più in periferia, aveva convinto la moglie ad avvicinarsi di più al centro città e lei lo aveva accontentato, anche se riteneva che la metropoli non fosse un buon posto dove crescere una bambina.

- Mary hai visto la scarpina destra di Ginny? - chiese John,  guardando il piedino nudo della piccola.

- No, sarà in camera -

- Allora Ginny, questo è un bel mistero, il caso della scarpina scomparsa! Mi sembra un caso degno di un 7! - fece John alla bimba che sorrideva allegra - Bene, cerchiamo degli indizi - continuò John, prendendo in braccio Ginny. - Allora, cosa sappiamo? l'ultima volta che è stata vista era nella tua culla, iniziamo da lì - e si avviò verso la camera, facendo uno sguardo buffo che fece ridere ancora di più la bimba. John aggirò con circospezione la culla, come se davvero si trovasse sulla scena di un crimine e poi, con un tocco di teatralità, tolse la coperta rivelando che sotto non si trovava la scarpina.

- Niente da fare Ginny, potremmo chiamare Anderson e tutta la squadra scientifica ma probabilmente sarebbe inutile - la piccola ora lo guardava attento, rapita dalla recita del padre. - Non ci resta che ripercorrere la strada che hai fatto nella speranza di trovare la scarpina -

John cercava di mantenersi serio ma era impossibile con Ginny che lo guardava con gli occhioni spalancati, pronta ad emettere un urletto di gioia ad ogni mossa del padre. John fece finta di cercare delle impronte nel corridoio, finché non vide la scarpina rosa dietro il portaombrelli - Eccola qui, abbiamo risolto il caso senza nemmeno uscire di casa, siamo proprio come zio Sh...- e John si bloccò, incapace anche di nominarlo.


Mary aveva osservato tutta la scena con una certa malinconia; le cose non erano andate come si era aspettata. John l'aveva perdonata ma tra loro non era più stato lo stesso e dopo la nascita di Ginny, il marito sembrava aver trovato un'ottima scusa per allontanarsi ulteriormente da lei. Parlavano poco e uscivano ancora meno e Mary non poteva fare a meno di notare che da quando John non vedeva più Sherlock, una parte di lui era morta. Mary credeva che una volta nata la bimba, John avrebbe messo da parte l'avventura e l'adrenalina, proprio come aveva fatto lei, ma per lui non era così facile.

- Mary noi usciamo, la porto a fare un giretto, tu vedi le tue amiche, giusto? -

- Si John, divertitevi - E Mary li guardò uscire, non trattenendo un sospiro di insoddisfazione.

John spinse allegro la carrozzella lungo la strada, senza una meta precisa, costeggiando uno degli innumerevoli parchi della città finché, senza rendersene conto, si ritrovò in Baker Street.

- Che dici Ginny, facciamo un salto al 221b? - la piccola sorrise e John lo prese come un sì; avanzò lungo la via, finché non si trovò davanti alla porta del suo ex appartamento. Lo sguardo corse verso la finestra nella speranza di vedere la figura di Sherlock intento a suonare  il suo amato violino, ma le tende erano tirate e sembrava non esserci nessuno. John stava combattendo tra la voglia di bussare e quella di girarsi e tornare a casa, quando la sig.ra Hudson uscì di fretta dall'ingresso principale.

- Buon pomeriggio, signora Hudson -

- Oh, John caro, mi scusi non l'avevo vista - fece lei, chiamando un taxi - e c'è anche la piccola Ginny - affermò allegra, facendo una voce buffa per divertire la piccola. John si trovò a pensare che Sherlock avrebbe commentato l'uso inutile delle vocine per parlare con i neonati, trovandolo assurdo, ma Sherlock non era lì e aveva visto Ginny un'unica volta.

- Sherlock è in casa? - chiese John, non del tutto sicuro di quale fosse la risposa che voleva sentire.

- No, a quest'ora è dallo psicologo - rispose la signora Hudson, aprendo la portiera del taxi.

John la guardò come se avesse annunciato che gli alieni avevano presso possesso di Buckingham Palace - Dov'è Sherlock, scusi? - richiese pensando di aver sentito male.

- Suo fratello l'ha costretta ad andare in terapia. Lo so perché ho origl...cioè ho sentito involontariamente una loro discussione -

- Perchè Sherlock deve andare in terapia? E' per un caso? Uno psicologo che manipola i pazienti o qualcosa del genere? - fece John, pensando che ogni volta che il suo amico aveva fatto qualcosa di molto strano, era sempre stato per un caso. Involontariamente gli tornò alla mente la storia di Janine, la finta fidanzata, l'ennesima prova che Sherlock non si curava dei sentimenti altrui e che per lui il matrimonio era una barzelletta, soltanto un modo per risolvere un caso.

Fu il turno della sig.ra Hudson di essere sopresa - Caro, avrai notato che la sua asocialità e la sua misantropia hanno raggiunto vette intollerabili! Adesso scusami, sono davvero di fretta - e sparì in un taxi.

John cercò una spiegazione per quella rivelazione,  finché non decise di archiviare la vicenda senza approfondire, come ormai faceva con ogni cosa che lo turbava. Era troppo stanco di combattere con i mulini a vento, così girò la carrozzella e lentamente si avviò verso casa.


***** ******


Sherlock cominciava a pensare che non solo Lestrade non gli affidava più alcuna indagine perché in combutta con il fratello, ma anche che Mycroft intercettava ogni possibile cliente, in modo che fosse costretto a seguire la terapia con regolarità. Anche quel pomeriggio si trovava nello studio medico in attesa che il tizio prima di lui finisse la sua ora. Si trattava sempre del 35enne indecifrabile, anche se nel frattempo Sherlock aveva dedotto che era benestante, single, con un cane, probabilmente un bull terrier; quando l'uomo uscì fece un cenno di saluto al detective che Sherlock interpretò come una mera ed inutile convenzione  sociale, visto che non lo conosceva, ed entrò nello studio del suo dottore.

- Sono contento di rivederla, Le rivelo che non ero sicuro sarebbe venuto - fece lo psicologo, invitandolo a prendere posto sulla poltroncina.

- Mi piace essere imprevedibile - rispose Sherlock, quasi già annoiato.

Il dottore arricciò le labbra, aveva sperato che il suo paziente si fosse un po' sciolto dopo la prima seduta, ma in effetti era sperare troppo - Vuole parlarmi di qualcosa? - 

Sherlock sospirò - No, parta pure con le domande -

Lo psicologo era comunque soddisfatto, era pur sempre un inizio - D'accordo. Sarebbe in grado di definire cos'è l'amore? -

Sherlock lo guardò scioccato - Non avevo capito fossimo ad un quiz televisivo -

- Non voglio la definizione del dizionario di Oxford, voglio sapere cos'è per lei -

Sherlock congiunse le mani sotto il mento e rifletté se dire cosa pensava davvero o cosa il dottore volesse sentirsi dire - Un sentimento inutile, irrazionale e uno svantaggio pericoloso -

Lo psicologo sorrise paziente - Eppure è riuscito a fare un discorso al matrimonio del suo amico. Il matrimonio è la celebrazione dell'amore per eccellenza -

- Davvero? La firma di un contratto in cui sono elencati diritti o obblighi a cui devono sottostare i coniugi? Molto romantico! - commento sprezzante - Comunque il discorso non era sull'amore, era su John e basta - concluse Sherlock, convinto che quella affermazione mettesse a tacere ogni domanda sul matrimonio di John.

- Su lei e John più che altro - commentò il dottore e Sherlock lo guardò interrogativo - Lo so perché ho visto il video - affermò lo psicologo in risposta allo sguardo del detective.

Sherlock pensò tra se che avrebbe sicuramente spezzato il braccio a Mycroft.

 - E sono abbastanza sicuro - continuò il dottore - di averla sentita dire di essere una delle due persone che ama il dottor Watson di più al Mondo (1).

Sherlock si irrigidì sulla poltrona e protese la schiena verso lo psicologo, come se fosse pronto ad alzarsi e andarsene - Ho partecipato al matrimonio perché John me l'ha chiesto e ho fatto un discorso perché si usa così, è la tradizione, qualcosa dovevo dire. Ma non c'è pericolo che faccia altri discorsi, non credo parteciperò mai più ad un matrimonio -

- Perchè? Se l'è cavata bene dopotutto. Immagino che sia stata una difficoltà enorme per lei esprimere dei sentimenti, davanti a tutti -

- Che mi guardavano come un alieno, ridevano e piangevano in momenti inopportuni e pensavano fossi ubriaco quando stavo salvando la vita ad un uomo? No, non è stato per niente difficile - commentò Sherlock in maniera sarcastica.

Lo psicologo sorrise e Sherlock strinse gli occhi - So cosa pensa, mi sono documentato sul disturbo schizoide e tra i sintomi c'è la sensazione di sentirsi incompreso. Non è una sensazione, lo sono, chi vuole che mi capisca, sono tutti così tranquilli nella loro routine e nelle loro convenzioni sociali - concluse Sherlock adagiandosi nuovamente sullo schienale della poltrona.

- Trova fastidiose, vero, le convenzioni sociali? -

- Insopportabili. Le persone fanno le cose perché devono, perché "si fa così", non perché vogliano farlo o lo pensino davvero. Non si capisce chi ha deciso che si fa così, come se un dato comportamento fosse stato ripetuto un numero tale di volte da diventare una consuetudine, una legge non scritta a cui tutti obbediscono ciecamente - Sherlock si sentiva un fiume in piena. Prima di John non esprimeva mai questi concetti perché ogni volta che lo aveva fatto durante l'adolescenza era stato zittito e dopo che John era entrato nella sua vita aveva capito che era maleducazione non attenersi alle regole sociali, per cui aveva deciso per il compromesso di non attenersene comunque, ma di non lamentarsene in ogni occasione.

- Proprio nessuno la capisce? Nemmeno suo fratello? - ritornò nel discorso lo psicologo.

Sherlock rise tra se ed evitò ogni commento all'idea che suo fratello potesse essere un confidente.

- Mi spiega le origini del suo risentimento per Mycroft? -

Sherlock rimuginò tra sé, pensò ad un bambino coccolato da due genitori  che lo adoravano ma non capivano perché non avesse nessun amico da invitare al compleanno o perché nessuno lo invitasse alle feste ed un fratello ambizioso che per quanto fosse solitario aveva molte conoscenze; pensò ad un bambino troppo curioso e a un fratello che non mancava di farlo sentire inferiore ad ogni occasione; pensò ad un bambino che giocava con la nave dei pirati nella vasca da bagno, immaginando di girare il Mondo alla scoperta di tesori nascosti ed un fratello che sbuffava dell'eccessiva e controproducente fantasia del fratellino.

- Mio fratello quando ero piccolo non faceva altro che dirmi quanto ero stupido e quanto lui fosse intelligente, ho fatto di tutto per stare al suo passo, alienandomi anche dal Mondo per studiare e cosa ho ottenuto? Una casa vuota e sedute settimanali dallo psicologo. Ottima scelta! -

Sherlock prese fiato, non si era nemmeno reso conto di quello che aveva sputato fuori né del fatto che lo aveva urlato. 

- Mi sembra che per oggi possa bastare - fece il dottore un po' compiaciuto, lo stava portando lentamente dove voleva e sembrava avesse già fatto dei piccoli passi avanti.

Sherlock, ancora scosso, salutò e uscì rapidamente dallo studio, aveva bisogno d'aria e di una lunga passeggiata.


***** *****

Quando John arrivò a casa, trovò la tavola apparecchiata e Mary ai fornelli intenta a cucinare. John prese la piccola che nel frattempo si era addormentata e la mise nella culla.

- E' andata bene la passeggiata? - fece allegra Mary baciando il marito su una guancia.

- Si, abbiamo fatto un bel giro - sorrise John, volutamente ignorando il fatto che si sentiva sempre più imprigionato in una vita che non era quella che voleva, che il tremore alla mano era ricominciato, che aveva nascosto da qualche parte, nei meandri della sua mente, il fatto che Mary era stata una sicaria e gli aveva mentito per tutto il tempo e che Sherlock non voleva più vederlo e adesso andava in terapia. Ormai aveva scelto più o meno consapevolmente quella strada, preoccuparsi di tutto il resto non aveva senso.

***** *****


(1) Nel caso aveste visto l'episodio solo in italiano, nella traduzione c'è un errore. Sherlock in inglese dice: "John, you have endured war and injury and tragic loss - so sorry again about that last one - so know this; today you sit between the woman you have made your wife and the man you have saved. In short, the two people who love you most in all this world." In italiano è stato tradotto con "le due persone che più ami al Mondo" stravolgendo il senso del discorso di Sherlock, per cui preferisco attenermi all'originale.


Angolo autrice:

Sono di nuovo qui, l'influenza ha almeno un effetto positivo, scrivo un sacco ;)
Vi sta piacendo l'evolversi della vicenda? Spero davvero di si!

Un bacione

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Capitolo 3
*** Sei sempre tu, John Watson! ***


Cap. 3 - Sei sempre tu, John Watson!


- E siamo alla terza seduta, la vedo più insofferente del solito - affermò pigramente lo psicologo, guardando il suo paziente dimenarsi sulla sedia, in evidente difficoltà a stare fermo.

Nemmeno Sherlock sapeva come mai si trovava di nuovo nello studio del dottore. Forse sapeva che dopotutto lo stava aiutando davvero o forse credeva potesse essere una distrazione dalla noia quotidiana.

Sherlock si alzò in piedi, passeggiando nervosamente da una parte all'altra della stanza - Ha cambiato dopobarba, devo presumere che stia uscendo con una ragazza? Ha messo già da parte il divorzio? -

- Signor Holmes - fece pazientemente il dottore - Non siamo qui per analizzare me -

- Sono senza casi da risolvere, può immaginarsi come sto - rispose brusco il detective.

Nonostante l'atteggiamento scontroso, lo psicologo trovava quell'atteggiamento meno apatico del solito un ulteriore passo avanti, per cui decise di dare corda al suo paziente
- Da quanto tempo è senza casi? -


- Da sta mattina -

Il dottore lo fissò perplesso - Credo di non aver capito -

- Era un caso di una banalità disarmante, ma visto che dopo la nostra ultima seduta hanno ricominciato a presentarsi dei clienti, dono di Mycroft presumo, non ignoro nemmeno quelli più noiosi  - rispose Sherlock mettendosi finalmente a sedere.

- E quello di questa mattina era noioso - convenne il dottore.

- Precisamente, mi serve un caso da 8 e mi serve subito! - affermò Sherlock

Lo psicologo aprì la bocca per esporre un'analisi di quest'ultima affermazione ma venne interrotto dal detective - Eviti di dire che riempio il mio vuoto interiore così o qualcosa di simile -


- Non ho detto niente, sig. Holmes. Quando ha intenzione di chiamare John? - incalzò il dottore.

- Parleremo sempre di lui? -

- Sì, finché non mi dirà il motivo per cui ha deciso di autodistruggersi -

- Intende da quando sono nato? -

- Intendo negli ultimi mesi, dopo che ha risolto il caso di Moriarty -

- Durante quel caso dovevo restare concentrato -

- Altrimenti si sarebbe chiuso in se stesso prima, intende? -

Sherlock ripensò all'ultimo anno, al giorno in cui era tornato a Londra. Niente era andato come si era aspettato, John non viveva più a Baker Street e "aveva voltato pagina" con Mary  e a ripensarci non era mai stato perdonato del tutto per la finta morte. Poi c'era stato il matrimonio, Magnussen, Mary che gli aveva sparato per proteggere i suoi segreti e lui che aveva sparato a Magnussen per proteggere John.

Inutile ripensarci, John aveva scelto Mary ed era felice con lei e con la figlia;  lui non  aveva alcun diritto di mettersi in mezzo, lo aveva già fatto soffrire troppo nei due anni che era sparito. 
E poi era evidente che a John non importava di lui come una volta, non si era preoccupato del suo respiro affaticato quando in Baker Street aveva cercato di far riconciliare i coniugi Watson, né aveva capito perché avesse sparato a Magnussen o perché adesso lo evitava.


- Ogni tanto mi farebbe piacere che condividesse con me quello che pensa e se sta pensando che John Watson non si preoccupa per lei, si sbaglia - affermò lo psicologo, risvegliandolo bruscamente dal suo mind palace.

Sherlock non fece in tempo a rispondere, che il suo cellulare vibrò.

- Un sms da Lestrade! Non mi scriverebbe se non fosse qualcosa di difficile! Fantastico, mi spiace ma dovremo terminare in anticipo oggi - Sherlock era quasi gioioso, c'era un caso e non avrebbe più pensato a John almeno per qualche ora.

- Va bene, allora le darò un compito fino alla prossima volta - fece il dottore tirando fuori la sua agenda.

Sherlock alzò lo sguardo confuso ma non obiettò, non aveva tempo per discutere.

- Inviti tre persone a bere al pub -

- Non vedevo l'ora di dedicarmi ad un passatempo così noiso -

- Ci provi e poi mi dirà, altrimenti ha ragione lei, siamo qui a perdere tempo -

***** *****

Sherlock corse sulla scena del crimine per scoprire che si trattava di un caso banalissimo. Forse Lestrade si sentiva in colpa a non chiamarlo o forse Mycroft era intervenuto anche qui, per cui dopo mezz'ora aveva già risolto il caso e consegnato il colpevole alla giustizia. Inoltre, se pensava di poter evitare che la sua mente tornasse continuamente a John si era sbagliato di grosso. John gli mancava ad ogni movimento sulla scena del crimine, si era quasi aspettato un "straordinario" detto a voce alta alla fine dell'esposizione della sua brillante teoria.

Stava per andarsene, quando ricordò il compito del dottore; aveva ragione, se nemmeno ci provava, tanto valeva smettere con la terapia e anche se non lo avrebbe mai ammesso davanti a Mycroft, cominciava ad abituarsi ad avere qualcuno con cui sfogarsi che non lo giudicasse o facesse commenti sprezzanti.


- Ehm, Gavin? - chiese titubante.

- Greg! - 

- Ecco, noi potremmo..insomma sei libero per una birra al pub? -

Lestrade lo guardò stupito - Scusa devo aver capito male o stai indagando su qualcuno al pub? Un sospetto?-

Sherlock immaginava una risposta del genere e di certo non voleva dare spiegazioni sulle sue sedute dallo piscologo, per cui optò per una bugia spudorata - Sì, è così. Andiamo? -

***** *****

Sherlock si trovò a riflettere su cosa avrebbe dovuto dire in una situazione del genere; cominciava a chiedersi come facessero le persone ad uscire e ad avere conversazioni stimolanti, visto che non gli veniva niente da dire.


- Non ho capito chi stiamo sorvegliando - chiese Greg ad un tratto, fissando Sherlock che a sua volta stava fissando la birra che aveva davanti. Pensò che potevano parlare del tempo, come si usa quando la conversazione langue, oppure del calcio, argomento di cui però non sapeva niente.

- Come va la tua relazione con l'infermiera? Mi sembri, come dire, rilassato - se ne uscì tutto di un colpo.

- Chi ti ha detto che? Ah...lasciamo stare. Bene, va bene - fece Greg liquidando la cosa velocemente, non aveva voglia di sentirsi dire tutti i motivi, che sicuramente aveva dedotto, per cui non era la ragazza adatta a lui .

Cinque minuti di imbarazzante silenzio dopo Sherlock decise di portare la conversazione su un argomento in cui si sentiva più a suo agio.

- Sto facendo uno studio sugli insetti, in modo da stabilire con precisione  l'ora della morte di un uomo in base agli insetti rinvenuti sul cadavere -

Greg, che era in procinto di bere la seconda birra o telefonare a Anderson per invitarlo al pub facendo così innervosire Sherlock e mettendo fine a quello strano appostamento, lo guardò ancora più esasperato.

- Sherlock, cosa stiamo facendo qui? Ah, stavamo aspettando John? - chiese  indicando John, seguito da Mike Stamford, i quali erano appena entrati nel locale. Sherlock si maledisse per aver lasciato a Greg la scelta del Pub;  se non altro ora aveva tre persone in pub, il fatto che due non erano stati proprio invitati da lui  era solo un dettaglio tecnico.

John si guardò attorno cercando un tavolo libero quando, si accorse della presenza dell'ispettore, inaspettatamente accompagnato dal suo ex coinquilino. Anche Mike vide Sherlock e lo indicò a John dirigendosi dritto al suo tavolo.
 
 - Ciao Sherlock, ciao Greg, possiamo sederci qui? -

- Mike, conosci l'ispettore Lestrade? - rispose stupito il detective.


- Come no, di solito veniamo qui a vedere le partite con John - esclamò allegro sedendosi accanto a Greg, lasciando libera la sedia a fianco a Sherlock. John sopraggiunse qualche secondo dopo, come indeciso sul da farsi. Alla fine decise di sedersi vicino a Sherlock, che non si era nemmeno voltato a guardarlo.

- Ciao, allora come mai qui? Un sospetto ?- chiese curioso John, sperando di poter partecipare a qualche indagine o che semplicemente Sherlock si girasse a guardarlo, dato che aveva preso a fissare ovunque tranne che nella sua direzione.

- Sembra di sì - rispose dubbioso Greg, continuando a guardare Sherlock e John perplesso - Sherlock mi stava parlando di uno studio sugli insetti - continuò, sperando di spezzare la tensione.

- Oh, sembra interessante, un tipico argomento da pub - rispose John, provocando una risate leggera in Lestrade e Mike.

Sherlock si girò a guardarlo accigliato, incontrando il suo sguardo che sembrava dire "sapevo che sarei riuscito a farmi guardare in faccia" quando arrivò la cameriera per prendere le ordinazioni dei nuovi arrivati.

Arrivati tutti alla terza birra, tranne Sherlock che era ancora a metà della prima, la conversazione si fece più fluente. Lestrade stava raccontando della sua ultima conquista, mentre John parlava un po' di tutto, dal lavoro alla figlia, anche se  Sherlock aveva notato una punta di noia nei racconti di John e che non aveva mai nominato Mary.

Sherlock si mise a riflettere, qual era il senso di quella uscita? parlavano di cose che non gli interessavano e non riusciva ad intervenire in nessun argomento, si sentiva del tutto inadeguato e fuori posto, anche in presenza del suo migliore amico.

John sembrò notare l'improvviso mutismo di Sherlock, il quale non aveva più aperto bocca dopo aver dedotto tutto di Greg e Mike, anticipando annoiato ogni loro affermazione; stava per chiedergli qualcosa dello studio sugli insetti di cui aveva accennato prima Greg,  quando Sherlock si alzò di scatto  e si diresse spedito verso la porta senza salutare.


- Mmh, il sospetto è uscito? - chiese Mike.

- John cosa diavolo sta succedendo?! E' come se non fosse più sincronizzato con se stesso, già da un po' a dir la verità. Sembra regredito a.... beh a prima di conoscerti -

John sembrò colpito dall'affermazione - Perché eravate qui? Non è da Sherlock e non mi sembrava stesse osservando qualcuno -

Greg fece spallucce, non aveva idea di cosa passasse nella testa del detective.

John battè i pugni sul tavolo e corse fuori sperando di trovarlo ancora in strada in attesa di un taxi o di vedere il suo cappotto svolazzante dirigersi lungo la via, ma era stato troppo lento e Sherlock non era più visibile.


***** *****


Il giorno dopo sia Sherlock che John erano inquieti.

Il detective non aveva praticamente dormito e all'alba era già in piedi. Non faceva che ripensare al fatto che si sentiva strano, una volta non gliene sarebbe fregato nulla di sentirsi estraniato, si era sempre sentito così, era la norma. Non era lui quello sbagliato, erano gli altri che erano troppo ordinari. Ma adesso era diverso, più ci pensava più si rendeva conto che si sentiva così perché non era più capace di interagire con John. Non riusciva a capire cosa c'era esattamente che non andasse, ma dopo la caduta niente era più stato uguale "e come poteva esserlo? sei sparito due anni senza dirgli niente" fece il Mycroft nella sua testa.

Il cellulare squillò destandolo dai suoi pensieri, era Lestrade che aveva bisogno di lui per un furto in Oxford Street; sembrava un misero caso da 6 ma a quel punto non aveva molta importanza, era meglio uscire che restare solo con i suoi pensieri.

Sherlock arrivò sul posto; il suo giudizio era stato piuttosto affrettato perché il caso si presentava estremamente interessante: palazzo signorile, porte chiuse, nessuna traccia lasciata dal ladro e nessun indizio. Sherlock osservò a lungo la stanza, il ladro sembrava essersi materializzato dentro senza toccare nulla, eppure erano spariti quadri di valore ed altri preziosi, segno che il ladro o  più probabilmente i ladri erano esperti d'arte, non avevano preso niente che non valesse sopra le 50mila sterline.

Questo fatto sembrò rallegrare Sherlock oltre le sue più rosee aspettative, finalmente un caso impegnativo e complesso. Si voltò per sorridere a John, quando si ricordò che era da solo in quella scena del crimine. Deglutì e si ricompose, doveva smetterla di essere così sentimentale.

La scena era stata perlustrata in lungo e in largo e non c'era nessun indizio da esaminare. Proprio la mancanza di indizi testimoniava che era qualcuno che conosceva o  addirittura frequentava la casa. Lestrade gli promise che entro il giorno dopo avrebbe avuto una lista di domestici e amici dei padroni di casa così, nonostante fosse contrariato dal dover aspettare quasi ventiquattro ore per avere una stupida lista, si congedò dall'ispettore per continuare l'indagine comodamente sul suo portatile. Se i ladri avevano già fatto altri furti, cosa molto probabile vista la destrezza riscontrata, ne avrebbe trovato traccia nei quotidiani on line, mentre Lestrade avrebbe fatto la stessa ricerca usando i database di Scotland Yard.

Fece per chiamare un taxi, quando vide il misterioso trentacinquenne incontrato nello studio dello psicologo uscire da un bar accompagnato da una sua vecchia conoscenza.


- Victor? -

- Eccolo qui il nostro consulente investigativo! Mio fratello mi ha detto di averti visto ma che non l'hai riconosciuto - Il fratello di Victor, ecco chi era il paziente, pensò tra se Sherlock capendo solo in quel momento perché aveva attirato tanto la sua attenzione.

- E' un piacere vederti Sherlock! Quanti anni saranno, dieci? -


- Quindici - sorrise Sherlcok.

- Sai seguivo le tue avventure sul blog del dott. Watson ma da quando ha smesso di essere il tuo biografo ufficiale devo accontentarmi delle notizie sui quotidiani -

- Si ultimamente ha cambiato vita - affermò abbassando lo sguardo.

- Già l'avventura non è per tutti no?

Seguì uno strano silenzio spezzato dall'intervento del fratello di Victor.

- Scusati se mi intrometto ma sono terribilmente in ritardo. Spero mi saluterai Sherlock la prossima volta che ci vedremo - Fece strizzando l'occhio, salutò il fratello e sparì in un taxi.

- Che dici beviamo qualcosa? -

Sherlock annuì, dopotutto non aveva ancora invitato la seconda e la terza persona come gli aveva detto il dottore.

***** *****


John, invece, si era svegliato tardi, aveva la sbornia da smaltire, oltre tutta una serie di domande senza risposta che  come sempre riguardavano Sherlock.

- Hai fatto tardi ieri - esordì Mary entrando nella loro camera e aprendo di scatto le tende.

- Cavolo Mary! - esclamò John a cui non era ancora passato il mal di testa.

- Potevi bere di meno John -

- Mi stai dando dell'alcolizzato? - chiese con John con rabbia, stupendo la stessa Mary.

John sembrò notarlo e fece per chiederle scusa ma lei lo anticipò - A proposito, ti cercava tua sorella, mi ha detto di dirti che ti aspetta al solito bar per le 11 e che è urgente -

John rimase spiazzato, ultimamente le cose tra lui ed Harry andavano stranamente bene e non comprendeva quale fosse il motivo dell'urgenza. Si alzò con calma e si diresse a salutare Ginny e fare colazione, gli sembrava di vivere costantemente nel finale di via col vento, dove domani era un altro giorno.

Alle 11 precise John era seduto al solito bar in attesa di brutte notizie quando vide entrare Harriet e salutarlo allegra.

- Stai bene? - chiese John preoccupato da quell'insolito invito.

- Certo, che sto bene. Tu piuttosto? -

- Non ti seguo -

- John parliamoci chiaramente, non ti vedo così triste e depresso da quando sei tornato dall'Afghanistan. Credevo fosse una fase ma vedo che non passa. Anche adesso hai uno sguardo così vuoto - fece dolcemente Harriet accarezzando una guancia del fratello che abbassò lo sguardo. - Non è giusto per te e non è giusto per Mary e Ginny -

- Harriet, io... -

- Basta piangersi addosso cavolo! Hai di nuovo il tremore alla mano, ricomincerai anche a zoppicare? -

- Sei venuta per sgridarmi? -

- No, per svegliarti da questo torpore! Perché non vedi più Sherlock? -

- Lui non mi vuole più vedere -

- E a te va bene? Dopo tutto quello che avete passato?  Non credevo fossi così codardo John -

- Scusa?! Tu non hai neanche idea di quello che ho passato e non sai nemmeno tutta la storia e non potrai mai saperla perché è troppo pericoloso per cui non giudicarmi senza sapere - sbraitò John pensando a Magnussen e alla vita segreta di Mary.

- So che così non puoi andare avanti, non puoi semplicemente esistere. Sinceramente John, se Sherlock non fosse sparito per due anni, tu avresti sposato Mary? -

- Sai perché non ha senso questa domanda? Perché lui è sparito per due anni, questa cosa non cambierà e non sapremo mai come sarebbero andate le cose se fosse rimasto - John riprese fiato  per calmarsi, tutto quello che aveva seppellito da qualche parte stava prepotentemente cercando di uscire.

- Sai che non gli ho detto nemmeno grazie? Si è sacrificato per me, stava per partire chissà per dove e non gli ho neanche detto grazie - riflettè tutto ad un tratto John, come se si rendesse conto soltanto in quel momento della cosa.


La sorella lo guardò dispiaciuta, quando vide l'espressione di John cambiare repentinamente. Si girò e vide Sherlock entrare con un uomo alto, castano con gli occhi azzurri; con la coda dell'occhio guardò la reazione di John tra il perplesso e l'infastidito. Anche Sherlock aveva notato John  e la sorella, sorridendo appena nella loro direzione.

- Chi è quel tipo? Se non fossi lesbica ci farei un pensiero - fece lei leggera ma con chiaro intento provocatorio. John si alzò di scatto e si diresse verso il bancone del bar dove Victor aveva appena ordinato due caffè.

- Oh Santo cielo, lei è il dott. Watson, ho visto la foto sul suo blog. Piacere Victor Trevor - fece cordialmente Victor.

- Un mio compagno di Università - aggiunse Sherlock per qualificarlo meglio, prima che John iniziasse l'interrogatorio che sembrava sul punto di fare.

- E' così che mi definisci? Credevo di essere il tuo unico amico dell'Università -

A quelle parole John sembrò innervosirsi, forse perché Sherlock aveva sempre detto che non aveva mai avuto altri amici al di fuori di lui e l'esistenza di questo Victor lo rendeva meno speciale, forse perché non voleva che qualcun'altro, soprattutto uno bello, alto e con aria aristocratica, sembrasse così a suo agio con Sherlock a differenza di come lo era lui adesso.

- Sherlock non mi ha mai parlato di te, mi ha sempre detto che non aveva amici - John non si rese nemmeno conto delle parole che gli erano uscite di bocca.

Il detective lo guardò perplesso mentre Victor rise - Si conosco bene Sherlock e so che non è incline ad ammettere di poter avere una relazione di amicizia -

John aveva voglia di prenderlo a pugni e togliergli quel sorrisino saputello dalla faccia, giusto perché non dicesse più di conoscere bene Sherlock o che parlasse di relazioni.

- Con me l'ha ammesso senza problemi - rincarò John, mentre Sherlock osservava quella scena come se Victor e John stessero roteando delle scimitarre.

- Al tuo matrimonio immagino - rispose Victor che sembrava divertito dalla reazione di John.

Alla parola matrimonio Sherlock decise di intervenire prima che John avesse la bruttissima idea di ricordare le parole del suo discorso - Se avete finito di litigare sulla mia proprietà di linguaggio io vorrei bere il mio caffè e andare da Lestrade -

- Hai un caso? - chiese John speranzoso.

- Si, una cosa noiosa - mentì Sherlock che in realtà stava esclusivamente pensando a quale fosse lo spacciatore più vicino.

- Ah il nostro Sherlock, sempre dalla parte della giustizia. L'ho conosciuto così durante un caso -

Fu una fortuna che Harriet, conoscendo le reazioni del fratello, si fosse alzata e avesse finto un malessere per cui doveva essere riportata immediatamente a casa. John salutò bruscamente e se ne andò con la sorella.

Vistor non smise di ridere guardando John che usciva con Harry, a pugni chiusi e mento alzato - Allora com'è la storia? Stavate insieme ma poi tu hai finto la tua morte e lui ha sposato un'altra? -

Sherlock guardò Victor come se l'avesse visto soltanto in quel momento - Victor mi sono ricordato perché non ci siamo più sentiti dopo l'Università -

- Perché sono così intuitivo? - sorrise sfacciato

- No, perché tiri fuori il peggio dalle persone - e anche Sherlock uscì e camminò sempre più velocemente finché non si rese conto che stava correndo, senza meta, senza un perché, stava solo correndo.

***** *****

- Non le sembra una metafora abbastanza ovvia? Stava correndo via dai suoi problemi - concluse lo psicologo dopo il racconto di Sherlock che era stato fin troppo dettagliato ma epurato da ogni emozione.
 
- La psicologia è così scontata? - sbuffò il detective.

- Perché non fa un favore a se stesso e ammette i suoi sentimenti per il dott. Watson e subito dopo averli ammessi con se stesso li esprime anche a lui? -

Sherlock sembrò soppesare quell'ultima affermazione, chiedendosi se in effetti stesse sbagliando tutto. Poi esalò soltanto uno stanco - Cambierà qualcosa? 

- Lei è troppo cerebrale, per una volta faccia qualcosa senza pensare a tutte le possibili conseguenze -

Sherlock prese il cellulare, restò a fissare lo schermo per qualche secondo e poi decise di scrivere:

Sei sempre stato tu il mio unico amico
SH


Angolo autrice:
Ma grazie!! A tutti quelli che hanno letto, aggiunto, recensito. A dir la verità questo capitolo mi sembra un po' di transizione anche se ho scritto più dei due precedenti messi assieme :-P
I commenti sono sempre bene accetti, alla prossima!!




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Capitolo 4
*** L'interpretazione dei sogni ***


Cap. 4 - l'interpretazione dei sogni


Sherlock si guardò attorno confuso - Dove sono? -

Si girò sentendo una presenza rassicurante al suo fianco e incrociò lo sguardo del suo psicologo che sembrava osservare la scena divertito.

- Mi sembra evidente che sta sognando, le capita spesso di rendersene conto? - chiese il dottore "onirico".

- Si, quasi sempre. Solo che non mi ricordavo di essermi addormentato - affermò Sherlock incurante del vento che si stava alzando. Il cielo era grigio e attorno a lui non c'era nessuno, solo alberi e foglie spostate dalla brezza. Si guardò attorno più attento, quello che sembrava un comune parco pian piano divenne il campus dalla sua Università. Ma non c'erano matricole né studenti. Era completamente solo.

- Allora, perché siamo alla sua ex Università? Un ricordo indotto dall'incontro con Victor? - incalzò lo psicologo.

Dal cielo cominciò a cadere della pioggia, copiosa e sporca, come se stesse piovendo fango. Sherlock cercò di pulire il cappotto ma la pioggia continuava ad aumentare così corse dentro l'Università. Come succede nei sogni in soli due passi aveva coperto una distanza di un centinaio di metri. L'ingresso era più angusto di quanto lo ricordasse, illuminato da candele.

- Lo ricordavo diverso - fece Sherlock guardandosi attorno incuriosito.

- Credo stia sovrapponendo altri ricordi - affermò lo psicologo soffermandosi a guardare una serie di dipinti.

 - Ha visto? sono esposti i quadri rubati - indicò il dottore - I ladri devono essere proprio esperti, sono quadri di nicchia! - convenne osservandoli da vicino.


Sherlock ascoltò il dottore ma la sua voce era sempre più distante, man mano che camminava il corridoio si allungava a dismisura fino a diventare sempre più cupo e scuro. Sherlock non stava più camminando, stava correndo quasi disperatamente, come se fosse inseguito da qualcosa o qualcuno. Si trovò ad aprire una porta e improvvisamente fu abbagliato dalla luce. Cercò di coprirsi gli occhi ma era accecante; poi la luce tutto ad un tratto si fece meno intensa.

Si trovava nel bagno dell'Università, il tempo di guardarsi attorno quando sentì gocciolare il rubinetto, prima piccole gocce poi sempre più grosse sempre più frequenti finchè l'acqua cominciò ad uscire dal lavandino allagando il bagno. Sherlock osservava la scena impotente, non riusciva a muovere un solo muscolo.

L'acqua continuò a sgorgare sempre più violenta finchè Sherlock si trovò travolto. Cercò in tutti i modi di tornare a galla, ma qualcosa lo trascinava a fondo, sentiva che stava annegando e che lo forze lo stavano abbandonando. Poi improvvisamente l'acqua sparì e Sherlock si ritrovò in una stanza completamente ghiacciata. Cominciava a sentire freddo, un gelo che lo stava distruggendo.

Si guardò attorno, non sapeva cosa fare, finchè non vide un'altra porta e si fiondò ad aprirla. Subito si trovò a scendere delle scale, ancora con quella sensazione di essere inseguito finché non si trovò in una lugubre cantina senza luce, piena di scatoloni. Sherlock si avvicinò cauto ad uno di essi e lo aprì trovandovi dentro i suoi giocattoli di quando era bambino: un orsetto, una nave dei pirati, il piccolo chimico. Iniziò ad accarezzarli quasi in lacrime.


- Non è più così innocente non è vero?! Dopotutto mi ha ucciso a sangue freddo! -

Sherlock si girò riconoscendo quella voce che continuava a dargli i brividi: Magnussen era lì, con il suo sorriso beffardo e il resto del volto sfigurato dal proiettile che lui stesso aveva sparato. Strinse forte a sé il peluche mentre ogni possibilità di uscire dalla cantina si faceva più incerta.

- Ho dovuto farlo, non c'era altra via d'uscita - esalò il detective.

- Davvero? Il geniale Sherlock Holmes, il più intelligente di tutti non ha trovato nessuna soluzione per incastrarmi? O forse era troppo annebbiato? Cosa aveva detto alla Donna? I sentimenti sono il difetto chimico della parte che perde? -

Sherlock lasciò cadere a terra l'orsetto e ricominciò a correre, la cantina sembrava enorme ed infinita, piena di angoli bui e scatoloni contenenti pezzi della sua vita;  continuava a trovare strade sbarrate e enormi scatoloni pronti a franargli addosso finchè non vide uno spiraglio di luce filtrare da una piccola finestra. Sentiva il cuore battergli forte e rimbombare in testa. Proprio sotto lo spiraglio di luce si trovava una poltrona. Sherlock sapeva benissimo di cosa si trattava e chi era il proprietario della poltrona. Si avvicinò lentamente per toccarla, per sentire l'odore, ma appena la toccò si sgretolò come se fosse fatta di cenere.

Sherlock iniziò a respirare sempre più velocemente, come in preda ad un attacco di panico, finché non sentì una voce che lo chiamava.

- Razza di idiota svegliati! -

Qualcuno lo stava scuotendo.

- Svegliati ho detto! -

Non era una voce qualunque era John. Sherlock cercò di svegliarsi, cercò a tentoni nella sua cantina onirica un interruttore, qualcosa che accendesse la luce e lo svegliasse.

- Sherlock ti prego! -

Supplicava, quasi in lacrime. Doveva svegliarsi, doveva farlo per John, continuò a camminare ad inciampare per la cantina finchè non trovo un'altra porta e la aprì.

- Sherlock guardami!-

Il detective aprì piano gli occhi, era disteso a terra in Baker Street, tutto sudato, con il laccio emostatico ancora stretto attorno al suo braccio. Ecco perché non ricordava di essersi addormentato, non era andato a dormire ma si era fatto una dose. John era accanto a lui, in ginocchio, gli teneva la testa e sembrava sul punto di prenderlo a pugni o di abbracciarlo.

Sherlock tossì più volte - Cosa ci fai qui? è notte -

- Ho ricevuto il tuo sms. Meno male che sono venuto. Cristo Sherlock, eri a un passo dall'overdose! -

- Te l'ho mandato ore fa - affermò il detective che ormai aveva perso ogni speranza di ricevere una risposta.

- Avevo il cellulare chiuso, ero all'ambulatorio! -

Sherlock cercò di mettersi a sedere sul divano, la testa che girava e la sensazione di un macigno appoggiato sul petto.

- Piano, fai piano. Ti preparo un tea e chiamo l'ospedale per avvisarli che l'Ambulanza non serve più -

Sherlock guardò John dirigersi in cucina; sentiva tutti i  rumori amplificati ma per lui erano rumori piacevoli: il passo a tratti zoppicante di John, il rumore degli sportelli della cucina che si aprivano e John che prendeva il tea, l'acqua che bolliva. Erano rumori di casa, della sua vecchia casa, quella che voleva disperatamente indietro.

John gli portò il tea e si accomodò accanto a lui, senza mai toccarlo, nemmeno per sbaglio, segno che erano di nuovo più distanti che mai.

- Sherlock per favore, parliamo, dimmi cosa c'è che non va. Voglio sapere tutto, perché non mi vuoi più nelle indagini, perché hai ricominciato a drogarti...tutto -

Silenzio, Sherlock rifletteva velocemente su cosa dire che non lo costringesse ad esporsi. Sta volta non sarebbe riuscito a cavarsela con mezze risposte, John lo avrebbe messo alle strette.

- La signora Hudson mi ha detto che vai in terapia. Non mi sembra una tua idea.. Mycroft? - azzardò John.

Sherlock sorrise - Si esatto -

- Sherlock mi spieghi cosa succede? -

- John, non te ne accorgi anche tu?-  Esclamò Sherlock stanco - Noi non riusciamo più a capirci. Una volta ci bastava uno sguardo per decidere di far saltare in aria una piscina ma adesso? -

John lo fissò stranito, come se si fosse nuovamente buttato dal tetto - E' per questo che non mi vuoi più tra i piedi? Invece che ricucire il rapporto scappi?  - 

- Quando avremmo dovuto ricucirlo?- 
sbottò Sherlock improvvisamente - Sono tornato ma tu non mi hai mai perdonato davvero. Anche se l'ho fatto per te, anche se sul fottuto tetto del Bart's piangevo perché ti avrei abbandonato e perché ti stavo dicendo un sacco di stronzate! Ma ho accettato tutto, Baker Street vuota, farti da testimone, finché non ho più retto, tra cose non dette, frasi in sospeso, tu che non avevi mai tempo... - .

John lo guardò mortalmente ferito - Mi sono sposato, ho avuto una figlia io.. -

- Tu mi avevi detto che non sarebbe cambiato niente! - urlò Sherlock con le poche forze che aveva.

- E a te non sembrava importare! Fai sempre quello che vuoi, quando e come vuoi. Non chiedi mai aiuto, soprattutto non lo chiedi a me. Avrei potuto essere un tuo complice quando hai finto la tua morte! Ma no, anche Molly Hooper era più fidata di me. E poi torni come niente fosse, mi hai lasciato nella disperazione per due anni a pensare che se non ti avessi lasciato solo o se fossi corso sul tetto invece che restare fermo in strada o solo fossi stato più d'aiuto non ti saresti buttato. Se mi avessi detto che stavi per sparare a Magnussen non te lo avrei mai lasciato fare, non ti avrei mai permesso di sacrificarti! A me andava più che bene la vita che avevamo, sei tu che te ne sei andato! -

Sherlock alzò la testa per guardarlo negli occhi, per la prima volta dopo tanti mesi. Quanto sembrava invecchiato? Era stanco e dimagrito e la luce che aveva sempre negli occhi sembrava così spenta mentre lo guardava a sua volta. No, non erano più Sherlock e John che cenavano da Angelo e correvano per tutta Londra per poi ridere sulla scena di un crimine, non erano più Sherlock e John che giocavano a Cluedo e innervosivano Mycroft, semplicemente non erano più Sherlock e John contro il Mondo. Erano un consulente investigativo e un medico, tristi e un po' soli, su due diverse lunghezze d'onda, su due diverse linee che scorrevano parallele senza incontrarsi.

Sherlock fece per dire qualcosa ma il cellulare di John squillò. Il biondo guardò lo schermo e poi, con una punta di indecisione, decise di rispondere. Sherlock sentì la voce di Mary anche oltre la cornetta. John ripeté una serie di stanchi "si" e "scusami" e chiuse la chiamata.

- Sherlock devo andare a casa, Ginny ha l'influenza e in effetti è molto tardi - disse John più per convincere se stesso che per giustificarsi con l'amico.

Sherlock sollevò le sopracciglia facendo una smorfia con la bocca come per dire "visto che non hai mai tempo per me" e lo guardò andarsene da Baker Street per l'ennesima volta.


****** *****


- Lei quindi è un sognatore lucido, un onironauta, che può esplorare e modificare a piacere il proprio sogno - affermò lo psicologo dopo che Sherlock ebbe finito di raccontare il suo sogno, omettendo di dare spiegazioni su Magnussen e sul fatto che gli aveva sparato.

- Si stupisce? razionalizzo il sogno, non è tanto strano per uno come me - affermò Sherlock.

- Solo la prima parte però, dal rubinetto in poi si è trovato in balia del suo subconscio - precisò lo psicologo riguardando attentamente gli appunti che aveva preso mentre Sherlock raccontava.

- Vuole darmi una sua interpretazione? La vedo fremere come me quando voglio spiegare le mie deduzioni quindi...prego, mi illumini -

Lo psicologo fece una risata gentile - Primo elemento, la pioggia sporca:  la pioggia mista a terra significa che ha bisogno di mettere in chiaro alcuni aspetti della sua vita o addirittura di fare cambiamenti radicali per migliorare la sua esistenza. Non mi sembra azzardato affermare che ci sono aspetti da chiarire e cambiamenti da fare nella sua vita -

Sherlock sollevò eloquentemente un sopracciglio.

- Secondo elemento le candele: simbolo della  fragilità umana. Credo che non si sia mai sentito così fragile come adesso da quello che mi racconta -

Sherlock non disse niente ma sapeva che era così.

- Terzo elemento l'allagamento: significa che ha la tendenza a comprimere le emozioni e che esse, a volte, fuoriescono senza alcun controllo; l'allagamento però è diventato una trappola mortale e lei stava annegando; significa che c'è una parte di lei che teme e che preme per essere ascoltata, ma che le fa troppa paura perché troppo intensa. So che sbufferà, ma credo che i sentimenti per John siano rilevanti in questo caso. Sono questi i sentimenti repressi che le fanno paura perchè non vuole lasciarsi andare -

Sherlock lo ascoltò attento, non aveva mai avuto un sogno così vivido e sentiva davvero la necessità di avere delle risposte.

- L'acqua poi si è congelata - continuò il dottore.

- Come le mie emozioni? - chiese Sherlock con voce decisa ma rassegnata.

- Il ghiaccio in effetti può corrispondere sia all’inaridimento di una passione, sia all’incombenza di un ricordo o di una sofferenza psichica passata -


- E poi la parte fondamentale del sogno : la cantina. Rappresenta il retro della sua coscienza. E' il luogo dove ha respinto certi eventi sgradevoli della sua vita. E' la  zona d'ombra, dove si trova quello che ha nascosto o che ha dimenticato, ma che è pronto a riemergere -.

Sherlock sapeva benissimo che era tutto vero, che aveva buttato in una stanza del suo Palazzo Mentale tutto quello che lo feriva e lo faceva stare male, ma non era sicuro di volerlo davvero affrontare.

- Mi ha detto di aver rivisto un uomo ma non mi ha spiegato cosa rappresenta o chi sia - chiese lo psicologo.

Sherlock era colpito ma non al punto da raccontare fatti che suo fratello aveva così ben nascosto alla stampa - Non posso dottore, è coperto dal segreto di Stato, Mycroft non sarebbe contento -

- Se ha subito un trauma come posso aiutarla ad elaborare il fatto senza sapere? -

- Ho fatto una cosa, un'azione che ha lasciato delle conseguenze. L'ho fatto per John, come sempre e dovrò conviverci, fine della storia -

***** *****

John era seduto a tavola, cenava di malavoglia e solo i piccoli urletti allegri di Ginny lo rallegravano quel tanto che bastava dal convincerlo a buttare giù qualche boccone.

Mary si sedette davanti al marito sorridendo appena - John credo dovremmo parlarne con qualcuno -

Per poco a John non andò il boccone di traverso, sperava che Mary non stesse suggerendo quello che pensava - Tipo una terapia di coppia? -

Mary annuì leggermente - Per Ginny -

- E cosa gli raccontiamo? Non possiamo affrontare qualunque argomento che riguardi il tuo passato -

- Credevo mi avessi detto che i problemi del mio passato erano affari miei - affermò Mary calma ma triste, ripensando a come era stata felice quando il marito le aveva detto quelle parole e rendendosi conto solo in quel momento che probabilmente lo aveva detto più per la figlia in arrivo che per lei.

John chinò il capo, ricordò quel momento a casa dei genitori di Sherlock: l'aveva detto davvero. Aveva anche gridato di aver perdonato Sherlock e invece non riusciva a passarci sopra del tutto.

- Lo credevo quando l'ho detto - le disse, capendo solo in quel momento che aveva preteso troppo dalla sua capacità di passare sopra alle cose e non ce la faceva più.

Mary non disse altro, le sue certezze che si sgretolavano ogni giorno e la consapevolezza che il loro matrimonio stava naufragando e John non aveva alcuna intenzione di salire sulla scialuppa di salvataggio.



Angolo autrice:

Capitolo in parte onirico, ma del resto il titolo della ff è gli abissi della mente :-P

Cosa ne pensate? Alla fine John e Sherlock non si sono chiariti ma almeno hanno detto quello che pensavano.

Un mega grazie a chi è arrivato fin qui!!






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Capitolo 5
*** Il suono del silenzio ***


Cap. 5 - Il suono del silenzio


Sherlock aveva passato l'intera giornata ad interrogare i soggetti che erano nella lista fornita da Lestrade: domestici, amici, persino il postino. Nessuno sembrava particolarmente sospetto e la maggior parte dei soggetti aveva un alibi di ferro pertanto era evidente che i ladri non conoscevano i padroni di casa ma conoscevano qualcuno dei soggetti della lista. Probabilmente un domestico aveva fornito le chiavi dell'appartamento ad un esterno o aveva pianificato in prima persona il furto assoldando dei ladri.

Sherlock e Lestrade avevano fatto diverse ricerche in merito a casi precedenti in cui potessero rinvenire delle somiglianze ma nessun caso era saltato all'occhio del detective e dell'ispettore. Arrivato a sera Sherlock era disteso sul divano, mani conserte sotto il mento intento a riflettere sugli indizi o soprattutto sulla mancanza di essi; il giorno dopo Lestrade avrebbe condotto i domestici in centrale per interrogarli nuovamente ma Sherlock temeva non avrebbero ottenuto molto.

Le quasi ventiquattrore trascorse intensamente sul caso gli avevano permesso di non pensare alla discussione del giorno precedente con John finché non ricevette un messaggio proprio dal suo migliore amico.

Ho visto la tua foto sui giornali, stai indagando sul furto a Oxford Street? Vorrei aiutarti.
JW

Sherlock guardò l'ora perplesso  e constatò che che erano già le 3 di notte e poi fissò lo schermo indeciso su cosa rispondere, ma John lo precedette.

Per favore, lasciami rientrare nella tua vita.
JW

Sul viso di Sherlock spuntò un mezzo sorriso, forse era meglio avere un John Watson part-time che non averlo affatto, per quanto facesse male.


***** *****

John era rimasto in trepidante attesa della risposta. Non era disposto ad accettare un rifiuto per cui avrebbe continuato a scrivergli sms finché non avesse ricevuto un si, anche a costo di telefonare a Greg per farsi dire quando e dove avrebbe visto Sherlock e così si sarebbe fatto trovare
direttamente sul posto, mettendo il moro alle strette; ma non voleva arrivare a tanto, preferiva che fosse una scelta di Sherlock.

Qualche minuto dopo il cellulare vibrò e sullo schermo comparve l'avviso di ricezione di un sms.

Ci vediamo da Lestrade alle 8.00 a.m. Come mai ancora sveglio?
SH

John sorrise, era stato più semplice del previsto.

Non riuscivo a dormire. Perfetto ci sarò.
JW

Era vero, John era rimasto alzato per decidere cosa fare con Sherlock. Era sicuro che il suo amico fosse ancora in piedi, un caso del genere l'avrebbe tenuto sveglio per giorni e John sentiva una certa malinconia al pensiero che il detective non aveva nessuno che gli imponeva di andare a dormire o che lo coprisse con una coperta quando si addormentava sul divano. Prendersi cura di Sherlock era una cosa che gli piaceva davvero e gli mancava terribilmente.

John appoggiò il cellulare e si diresse a letto dove Mary stava già dormendo da ore; come fece per spostare il piumone la moglie emise un rumore, come di fastidio e aprì gli occhi.

- John eri sveglio? -

John continuava a sorridere, incapace di nascondere la felicità - Si ho sentito Sherlock, lo vedo domani, lo aiuto con un caso -

Mary sembrò da un lato sollevata nel vedere che il marito sembrava finalmente un po' più felice ma dall'altro non era tanto contenta nel pensare che John non sorrideva per lei ma per Sherlock. Forse ristabilita l'amicizia con il detective il marito sarebbe stato meno inquieto e avrebbe riavuto indietro il suo John, almeno così pensava Mary.


***** *****

John arrivò in anticipo all'appuntamento con Sherlock e decise di  ingannare l'attesa andando in bar a prendere due caffè d'asporto e anche un muffin, immaginando che Sherlock non mangiasse da giorni. Fece per entrare a Scotland Yard quando con la coda dell'occhio vide il cappotto svolazzante di Sherlock dirigersi verso di lui.

- Il caffè è per me? - chiese Sherlock osservando l'amico. Notò subito che aveva dormito poco, del resto alle 3 era ancora sveglio, era dimagrito di almeno 1 kg dall'ultima volta che si erano visti, si era rasato la mattina stessa e aveva messo il dopobarba nonostante non avesse appuntamenti galanti dato che non avrebbe mai tradito Mary. Quell'ultima deduzione lo stupì, si era rasato per lui?

- Anche il muffin è per te - fece dolcemente John - sei talmente magro che potei farti la radiografia controluce - concluse sarcastico allungandogli la busta con il dolce e il caffè.

Sherlock rise, almeno c'era un briciolo di normalità.

Passarono la mattina ad interrogare i domestici ma nessuno sembrava coinvolto, lo stupore nei loro occhi quando Sherlock gli aveva posto la domanda diretta "chi è il suo complice nel furto?" sembrava sincero e non c'erano altri elementi per pensare che qualcuno di loro stesse pianificando di organizzare un furto.

Sherlock era completamente immerso nel suo palazzo mentale, nella speranza di comprendere chi e come fosse riuscito ad ottenere le chiavi dell'appartamento, quando John lo destò dalla sua attività toccandogli un braccio.

- Sherlock so che tu vivi d'aria ma io avrei bisogno di mangiare...andiamo da Angelo? - Buttò lì speranzoso.

Sherlock non voleva di certo fermarsi a mangiare ma era un pranzo con John e avrebbero potuto parlare di loro o di qualunque cosa. Non lo sapeva nemmeno lui, non si erano mai dovuti chiarire fino a quel momento. Ogni litigata precedente era finita con John che passava sopra al comportamento del suo coinquilino e non c'era mai stato bisogno di sedersi a tavola e parlarne. Anche a Baskerville, la volta che Sherlock si era più esposto con John, il chiarimento era stato abbastanza rapido.

Arrivati al ristorante John ordinò il solito piatto, accompagnato dai commenti allegri di Angelo che era estremamente contento di rivedere i suoi clienti preferiti di nuovo assieme. Il pranzo trascorse quasi in silenzio, intervallato da qualche domanda di John sul caso finché lui stesso non decise di passare a fatti più personali.

- Senti, come sta andando la terapia? Puoi parlarne con me, ci sono passato - fece John.

- Bene, credo. Non lo so sinceramente, mi sento piuttosto...confuso -

- E' normale - 

Silenzio, imbarazzante, assordante. Sherlock si sentiva vuoto, perché non avevano niente da dirsi?

- Ginny? - chiese il detective imbarazzato.

John sorrise, contento di poter parlare di un argomento rilassante - Bene, è meravigliosa, è molto sveglia e non pensavo di poter essere così felice..Sai vorrei che tu la vedessi, l'hai vista solo quando è nata e mi piacerebbe che potesse considerarti uno zio. Uno zio un po' matto ma... -

Sherlock ripensò al giorno del matrimonio di John, quando aveva dedotto della gravidanza di Mary. Era davvero contento per John, sarebbe stato un padre perfetto ma alla felicità si era velocemente sostituita la malinconia. Se per un attimo si era illuso che l'amicizia con John poteva andare avanti anche con Mary, costituendo quasi un trio, l'arrivo della figlia aveva cancellato ogni speranza. Sarebbe rimasto definitivamente solo. Sapeva che John piano piano sarebbe sparito una volta nata la bambina; il matrimonio aveva già cambiato tutto proprio come gli aveva detto la sig.ra Hudson. Ricordò che la padrona di casa la mattina delle nozze gli aveva detto che lui non capiva il senso del matrimonio perché aveva sempre vissuto da solo. Come poteva essere stata così cieca? Lui aveva vissuto con John e dopo gli  era sembrato impossibile vivere senza; avevano la loro routine domestica, i bisticci, guardare la tv assieme, non c'erano soltanto i casi.

Sherlock indugiò a lungo prima di rispondere e poi decise per una risposta fredda e distaccata, che chiunque si sarebbe aspettato da lui - Non credo sarei uno zio modello, ho sempre pensato che è una fortuna che mio fratello non abbia intenzione di riprodursi, non solo perché mi inquieterebbe un piccolo Mycroft ma anche perché dovrei affrontare questa esperienza di avere un nipote e non fa per me - 

John sembrò un po' deluso - Ok, se per te è un problema non fa niente -

Di nuovo silenzio. Sherlock non poté fare a meno di pensare che nemmeno quando si erano appena conosciuti erano stati così zitti. Non resse più la cosa e si alzò. 

- John scusa mi sono ricordato che devo passare da mio fratello e poi ho lo psicologo quindi... -

John aprì la bocca per ribattere poi la richiuse leccandosi le labbra come era solito fare quando era in imbarazzo. Alla fine chiese solo - Mi stai scaricando? -

Sherlock chinò il capo - Non sopporto questi silenzi -

***** *****

Ovviamente non doveva andare da Mycroft ma aveva davvero appuntamento dallo psicologo per cui decise di andarci a piedi con la massima calma. Pensò al fatto che non aveva nessuna voglia di raccontargli quello che era successo con John. Avevano fatto un passo avanti e due indietro e Sherlock era sicuro che John si sarebbe stufato di corrergli dietro, era solo questione di tempo.

Il dottore lo accolse con una domanda inaspettata e affrettata - Sa, c'è una componente che dovremmo affrontare. Il sesso -

Sherlock mascherò un imbarazzo - Non c'è molto da dire per cui...-

Lo psicologo annuì - E' questo il punto. Non le interessa? Non le piace? Sta aspettando la persona giusta? -

- Non saprei, non ne sento il bisogno - rispose evasivo.

- Mmh quindi non ha avuto nessuna esperienza? -

- Potrei aver fatto qualcosa, giusto per provare - 

- Intende preliminari? Ha scelto una persona a caso o.. -

- Era un mio compagno di Università - rispose Sherlock ripensando alla sua stanza a Cambridge, ad una reciproca masturbazione e al primo orgasmo della sua vita. Anche se, soffermandosi sul ricordo, l'aveva trovata un'esperienza alquanto sterile.

- Ma non è andato fino in fondo, come mai? -

Sherlock non sopportava quell'interrogatorio, era già umiliante quando Mycroft si divertiva a lanciare frecciatine sul suo stato di vergine e non capiva il senso di doversi giustificare - Era solo un esperimento, sapevo che lui non era romanticamente coinvolto ed ero curioso di capire cosa ci fosse di così interessante -

- Quindi ha scelto qualcuno per cui non provava niente? - chiese quasi in maniera retorica - Lei ha una paura matta di lasciarsi andare, teme che una persona per cui prova davvero qualcosa la ferirebbe quindi se ne tiene ben lontano? -

- O forse è la persona per cui provo qualcosa che si tiene ben lontana da me - rispose Sherlock, senza tradire alcuna emozione.

- Lei gli ha detto cosa prova? So già che la risposta è no per cui come fa a dirlo? Ha più paura di essere respinto o del contrario? -

Sherlock sbottò perché era stanco di sentire che tutto dipendeva da lui, come se John non potesse dire a sua volta qualcosa, come se davvero una sua parola potesse fare la differenza - Senta parliamoci chiaro, lei si aspetta che io vada da John e improvvisamente gli dica lascia Mary e torna da me? -

- Preferirei articolasse meglio la dichiarazione ma se è questo quello che vuole si, vorrei che glielo dicesse - rispose pratico, come se fosse ovvio. Sherlock cominciò a capire perché Mycroft aveva scelto proprio quello psicologo, era come lui, ma meno incasinato. Evidentemente solo uno schizoide poteva capire un altro schizoide.

Sherlock per un po' non disse niente ma lo guardò torvo, come poteva pensare che John avrebbe reagito bene ad una cosa del genere? John era buono e avrebbe cercato di stargli vicino ma poi si sarebbe sentito in imbarazzo su tutto e sarebbe finita peggio di com'era in quel momento. Oppure si sarebbe arrabbiato, gli avrebbe giustamente detto che dopo essere sparito per due anni non poteva tornare, sconvolgergli la vita e rivelargli anche che alla fin fine non lo considerava solo un amico, avrebbe tradito la sua fiducia. Sherlock non si era aspettato di arrivare fino a quella conclusione, era la prima volta che ammetteva con se stesso che quello che provava per John non era solo una grande amicizia, un grande legame. Non lo rivoleva a Baker Street solo come il suo migliore amico.

Il dottore lo stava fissando per cui il detective decise di dire qualcosa - Così John smetterà definitivamente di parlarmi! Bel piano doc -

- Ne è sicuro? O teme molli tutto per lei? Poi si troverebbe costretto in una relazione e diciamoci la verità questo la spaventa a morte. E' ovvio che ha scelto di sperimentare con suo compagno di Università di cui non le importava niente, non c'era il rischio di rimanere coinvolto. Non so come sia sicuro che il suo amico non provasse qualcosa per lei ma probabilmente ha preferito non chiederglielo -

Sherlock si chiese se il dottore lo stesse provocando o se lo credeva solo uno stronzo. Una volta si vantava di non avere un cuore e ne era convinto, ora lo diceva solo per evitare che gli altri sapessero di poterlo ferire. Non era sempre stato così, ma nel tempo le persone che lo guardavano come un alieno, prima i compagni di classe e poi tutte le persone incontrate nel corso della sua vita, lo avevano convinto a issare un muro sempre più invalicabile. Solo John l'aveva oltrepassato e le conseguenze alla fine erano state disastrose.

Sherlock, a quel punto, decise di fare uno sforzo e raccontare allo psicologo del fatto che non aveva sfruttato nessuno e che anche il suo compagno di Cambridge stava sperimentando senza sentimento - Victor, questo è il suo nome, ha sempre avuto un pessimo rapporto con il padre e sperava di usare me come suo "ragazzo" per dare scandalo in famiglia. Ovviamente non mi sono prestato a una cosa del genere. Ho scelto lui perché era interessante: era complicato e aveva una personalità impulsiva e anche autodistruttiva e sono sicuro che non provasse niente per me, tutto qui, non mi sono comportato da stronzo -

Seguì uno strano silenzio.

- Mi correggo allora. Non siete arrivati fino in fondo perché aveva paura di rimanere coinvolto? -

- Non sia ridicolo - rispose Sherlock muovendo la mano davanti a se come se volesse scacciare l'idea dalla testa del dottore.

- Non deve indossare una maschera qui -

***** *****

Finita la seduta Sherlock si diresse verso casa con un senso di vuoto ancora più profondo, non capiva perché improvvisamente sentisse il bisogno di avere persone vicine a sé. Non semplicemente attorno. Lui non era come Mycroft, la solitudine gli andava bene fino ad un certo punto, poi aveva bisogno almeno di stare in mezzo alla gente nella sua metropoli. Ora aveva anche bisogno di qualcuno vicino o di una dose che gli riempisse il senso di vuoto.

Arrivato davanti a Baker Street il suo telefono squillò; Sherlock tirò fuori dalla tasca il suo cellulare sperando di sentire la voce di John, invece era un numero sconosciuto.

- Pronto? - fece dubbioso

- Ciao Sherlock sono Victor, ho trovato il tuo numero sul tuo sito. Mi spiace per l'altro giorno, non abbiamo nemmeno finito il caffè -

Sherlock rimase zitto, deluso da sentire la voce di Victor invece che quella di John - Non è del tutto colpa tua -

Victor rise - Oh sei gentile, mi chiedevo se fossi libero. Che dici, ceniamo assieme? -

- Non ho fame Victor - rispose freddo.

- Sempre il solito, se dovessi cambiare idea resto in città ancora una settimana, poi torno a Norwich con mio fratello. Alloggio al Regent Hotel di Piccadilly, puoi trovarmi lì -

E Sherlock salì i gradini di casa sua maledicendo il momento che aveva deciso di provare dei sentimenti.


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Capitolo 6
*** Conduttore di luce ***


Cap. 6 - Conduttore di luce


- Perché nessuno vuole ascoltarmi? Capisco le vostre limitate capacità mentali ma è evidente che è stata la sig.ra Trevor! - Gridò uno Sherlock appena ventenne. Indossava la sua divisa di Cambridge e cercava inutilmente di farsi ascoltare dagli agenti della polizia che avevano già individuato il loro colpevole e non volevano starlo a sentire.

Un agente lo prese per il braccio e lo trascinò lontano dagli altri agenti, verso la porta d'uscita del distretto.

- Ragazzino èmeglio che ti levi dai piedi se non vuoi essere arrestato per calunnia e intralcio alla giustizia  - fece l'agente, trattandolo come uno spocchioso ragazzino snob che si credeva più intelligente anche di Scotland Yard.

Sherlock si scrollò dalla presa lisciandosi la piega della giacca.

- Cosa vuole che mi  importi, state commettendo un errore arrestando il maggiordomo, è la signora Trevor che ha rubato le collane  -

L'agente rise e lo spinse fuori dall'edificio facendolo cadere davanti il portone d'ingresso.

Un ragazzo castano che aveva assistito a tutta la scena in disparte si avvicinò e gli offrì la mano per rialzarsi.

- Mi spiace Sherlock hai fatto quello che potevi- fece Victor rimettendo in piedi l'amico - Sono d'accordo con te che è stata la mia matrigna ma è impossibile dimostrarlo. Nessuno crederà che la ricca moglie di mio padre abbia fatto una cosa del genere. Rubare in casa dei signori Scott, durante un ricevimento... non è da aristocratici -

- E' cleptomane! - affermò mesto Sherlock.

- Si, e mio padre farebbe arrestare anche cento innocenti per non far arrestare sua moglie. I panni sporchi non si lavano in pubblico Sherlock -

E così dicendo gli appoggiò una mano sulla schiena, facendola scivolare lentamente. Sherlock fu scosso da un brivido ma subito si ricompose.

- Che dici, ceniamo assieme? - chiese Victor con un leggero luccichio negli occhi.

- Non ho fame Victor, torno nella mia stanza - rispose velocemente Sherlock camminando rapidamente verso l'Università.

Sherlock si chiuse nella sua camera per giorni, a riflettere su cosa fare per far scagionare il maggiordomo di casa Scott. Aveva pensato di telefonare a Mycroft ma suo fratello era troppo impegnato con la crisi in Kossovo per starlo a sentire su uno stupido caso di furto. Gli agenti non gli avevano creduto, eppure le prove erano evidenti. Aveva ricostruito tutti i movimenti del maggiordomo durante la serata e non si era mai avvicinato alla camera della signora Scott. La matrigna di Victor invece si era assentata spesso durante il ricevimento e dei testimoni l'avevano vista aggirarsi proprio intorno alla camera dove si trovavano i gioielli.

Il suo flusso di pensieri fu interrotto quando qualcuno bussò alla sua porta.

- Sherlock sono io apri - fece piano Victor per non svegliare tutto il piano.

Sherlock sbuffò ma andò ad aprire invitandolo a entrare.

- Se avessi saputo che te la saresti presa così tanto non sarei venuto a cercare l'unico consulente investigativo del campus - fece Victor leggero, constatando che il moro non si era occupato di mettere a posto la stanza da almeno una settimana e probabilmente non faceva pasti regolari da altrettanto tempo

- Del Mondo, non del campus - puntualizzò Sherlock.

Victor rise e si avvicinò lentamente - Sai l'Università non è fatta solo per studiare o nel tuo caso per dimostrare quanto sei brillante, ma anche per sperimentare - fece ammiccante.

- Credevo che con la nostra ultima sessione di cocaina avessimo sperimentato a sufficienza - rispose Sherlock con noncuranza.

- Non intendevo quello - continuò Victor avvicinando pericolosamente la mano al cavallo dei pantaloni dell'amico.

Sherlock rimase immobile a riflettere sul da farsi. Da un lato era curioso di capire cosa accadeva alle persone quando perdevano del tempo con tocchi, strofinamenti e via dicendo ma dall'altro era sicuro di non voler essere baciato o sentire altre sensazioni troppo personali. Il mero atto manuale poteva essere un buon compromesso per sperimentare senza scadere troppo  nell'intimità.

Tutto avvenne piuttosto rapidamente, Victor lo buttò sul letto senza tante cerimonie e gli tirò giù i pantaloni dopo aver fatto altrettanto con i suoi.

Nonostante fosse la prima volta che qualcuno lo toccava  l'orgasmo ci mise molto tempo ad arrivare - probabilmente perché non era coinvolto e tutto stava avvenendo quasi come un esperimento in laboratorio o una lezione di scherma, avrebbe detto lo psicologo - e appena finito si ritrovò disteso su un fianco a chiedersi cosa ci trovassero le persone di tanto interessante e divertente. Victor era andato via quasi subito e il moro ringraziò mentalmente di non doversi trovare nell'imbarazzo di parlare dopo quello che era successo.

- Sherlock ci sei? - chiese Lestrade passando una mano davanti al detective.

Sherlock si ricompose dal suo tuffo nel viale dei ricordi e fissò Lestrade, per un attimo quasi stranito - Si ispettore stavo solo riflettendo che i coniugi potrebbero aver nascosto i quadri per incassare i soldi dell'assicurazione -

L'ispettore sembrò perplesso - Hanno un alibi per la sparizione e non è che abbiano inscenato questo grande furto. Sarebbero proprio stupidi a rubare in casa loro senza nemmeno lasciare degli indizi che facciano pensare ad un ladro venuto dall'esterno con grimaldello e ferri del mestiere... Sherlock ti senti bene? - chiese preoccupato dall'atteggiamento sempre più sopra le righe del detective.

- Non ho detto che sono intelligenti - rispose Sherlock

- Avrebbero almeno forzato la porta no? -

- Non se volevano far ricadere la colpa sui domestici -

- Non c'è il movente, non hanno bisogno di soldi... è più probabile che sia stato il maggiordomo - fece Lestrade ridendo, pensando al cliché dei libri gialli in cui il colpevole è sempre il maggiordomo.


***** *****


- Mi sembra...agitato? - fece lo psicologo guardando il suo paziente picchiettare nervosamente le dita sul bracciolo della sedia.

- Ho qualcosa che non va -

- Mi sembra il primo passo per uscirne - convenne il dottore.

- Intendo con il caso, c'è qualcosa che mi sfugge, mi sembra di avere la soluzione sotto il naso eppure non riesco a risolverlo. E' frustrante -

- Sa, forse non dovrebbe parlarne con me, mi viene in mente un suo amico che sarebbe felice di aiutarla -

***** *****

Non voleva chiamarlo ma aveva bisogno di una mano, quel caso gli stava mandando in loop il cervello e non capiva perché. Estrasse il cellulare dalla tasca e digitò velocemente, sperando che John fosse  libero e avesse ancora voglia di vederlo.

- Baker Street, subito! -
SH

Neanche  dieci secondi dopo arrivò la risposta.

- Arrivo, devo preoccuparmi? -
JW

Sherlock sorrise, per alcune cose era ancora il suo John.

- Vieni e basta -
SH

Sherlock sentì la porta aprirsi al piano terra e John avanzare con un passo diverso dal solito, come se non avesse un perfetto equilibrio. La stranezza si risolse quando John entrò nell'appartamento con in braccio la piccola Ginny. Sherlock lanciò un'occhiata stupita verso John ma non disse niente.

- Scusa ma ero in giro con lei e mi sembrava urgente, Mary è a un corso di pittura per cui ... e la signora Hudson non c'è, non sapevo a chi lasciarla -

- Non ho detto che è un problema ma ho bisogno della tua attenzione per cui dille di non fare quei versetti - fece Sherlock passeggiando nervosamente per la stanza.

John sollevò le sopracciglia.

- Ginny fai la brava e silenziosa neonata perché il consulente investigativo più famoso del mondo ha bisogno di silenzio - articolò ironico mentre la bambina si metteva un piede in bocca.

Sherlock gli lanciò un'occhiataccia che in realtà era quasi divertita.

- Perché l'hai chiamata Ginevra a proposito? -

- L'ha scelto Mary, stava leggendo Harry Potter -

- Meno male che non l'ha chiamata Bellatrix allora -

E John rise, rilassato e allegro, perché erano riusciti a scambiare cinque frasi senza sentirsi in imbarazzo come le ultime volte.

Il cellulare di John squillò - E' la suoneria di Mary, ti spiace tenermi Ginny mentre rispondo? -

E gliela lasciò in braccio. Sherlock la guardava come una bomba da disinnescare mentre lei sorrideva allegra. Il detective pensò a quanto sarebbe stato interesante studiare le diverse reazioni di un neonato agli stimoli esterni, soprattutto considerando che erano reazioni istintive e non ponderate, ma poi pensò che forse John non sarebbe stato del tutto d'accordo.

Sherlock la guardò da vicino, era la prima volta che la guardava così attentamente. Aveva dei ciuffetti biondi sulla testa e grandi occhi azzurri; Shelock pensò che sembrava somigliare un po' più a John che a Mary ma in realtà non sapeva dire quali caratteristiche gli avessero fatto pensare una cosa del genere.

John stava ancora parlando al cellulare per cui Sherlock sistemò meglio in braccio la piccola e cominciò a passeggiare per la stanza.

- Bene visto che tuo padre non torna e la signora Hudson mi ha portato via il teschio toccherà a te ascoltarmi - fece alla piccola che lo guardava attenta - Bè sei figlia di un militare con la passione per il pericolo e una ex sicaria della cia, sono sicura che trovererai più interessante questo caso che la fiaba di cappuccetto rosso. -

Ginny rise e Sherlock lo prese come un si - Bene, abbiamo un appartamento da cui sono stati rubati quadri molto particolari, solo ladri esperti potevano esserne a conoscenza. Poi c'è il dettaglio che mi sembra di aver già visto quei quadri... -

Sherlock si girò di scatto verso il corridoio, non si era accorto che John aveva smesso di parlare al cellulare e lo stava fissando con uno strano sguardo che il detective non riuscì a catalogare.

- Stai cercando di trasformare mia figlia in una detective? - chiese allegro.

- Molto probabilmente lo è già -

E si sorrisero di nuovo, poi Sherlock deglutì vistosamente guardando quell'insolito quadretto. Lui, John e una bambina. Avrebbe dovuto sembrargli strano, eppure non era una cosa che lo infastidiva così tanto. Decise però di rimettere ogni cosa nel suo preciso ordine per cui riconsegnò la bambina a John e andò a sedersi sulla sua poltrona.

- John c'è qualcosa che mi sfugge e non so cosa sia -

John imitò l'amico e si sedette sulla sua poltrona, con Ginny sempre in braccio che sembrava osservare rapita l'interno dell'appartamento.

- Lestrade mi ha detto che sospetta del maggiordomo - fece divertito John.

- Si con una chiave inglese in cucina..non stiamo giocando a Cluedo! - fece Sherlock spazientito - Mi sono già trovato in una situazione simile in realtà...quando si dicono le coincidenze -

- Quando? - chiese John curioso.

- Il mio primo caso all'Università, la sparizione dei gioielli della signora Scott. Victor era sicuro fosse stata la matrigna ma alla fine fu accusato il maggiordomo -

- Aspetta Victor? Quel Victor con cui eri al bar? - chiese John innervosendosi al solo  ricordo di quello snob con l'aria saputella.

- Si ti ha detto che ci siamo incontrati durante un caso - rispose Sherlock cercando di catalogare anche questa reazione di John. Con Victor aveva cercato di marcare il territorio, ma perché? Non poteva avere altri amici?

- E tu eri d'accordo con lui? Era stata la matrigna? - insistette John.

- All'inizio si, poi conoscendo meglio Victor mi è venuto il dubbio che fosse stato lui per incastrare la matrigna che non sopportava. Non l'ho mai capito..o forse ho preferito lasciar perdere -

John avvertì una punta di malinconia che non gli piacque per niente.

- E il povero maggiordomo? -

- La signora Scott ha misteriosamente ritirato la denuncia e il maggiordomo è ritornato libero. Pensavo fosse stato il padre di Victor che sapeva delle abitudini cleptomani della moglie, ma ora non so -

John si rese conto di aver stretto più forte a se Ginny durante la conversazione, come in un bisogno inconscio di sicurezza. 

- Sherlock senti.. - iniziò John, senza sapere bene come andare avanti. Voleva scusarsi di quando gli aveva urlato di averlo abbandonato, sapeva che lo aveva fatto per lui e che anche Sherlock ne aveva sofferto, anche se non lo avrebbe mai ammesso, nemmeno sotto tortura.

Gli ultimi anni gli passarono davanti come un film in cui tutti sanno che finirà in tragedia ma nessuno si mette in mezzo. Come una biglia che scorre su un piano inclinato. Sherlock si era buttato e per lui il mondo era finito, aveva smesso di vivere, ogni giorno era stata una tortura.


Poi era apparsa Mary, la dolce Mary che gli aveva fatto riscoprire la voglia di vivere, che aveva riempito un enorme vuoto e gli aveva fatto dimenticare, chiudere in un cassetto due anni di avventure.

Poi Sherlock era riapparso ma ormai era tardi, era andato avanti, c'era la sua dolce Mary e lui non voleva riscoprire il vaso di Pandora della sua anima, si era lasciato tutto alle spalle e voleva passare la sua vita con la sua bionda infermiera.

Non si era fermato nemmeno per un secondo a chiedersi perché Sherlock sembrasse così malinconico al matrimonio, non voleva saperlo. Non voleva davvero capire perché aveva quella faccia così abbattuta quando in mezzo alla pista da ballo aveva dedotto che Mary era incinta.

Poi la sua dolce e brillante moglie si era rivelata un'assassina, una spia che gli aveva mentito per tutto il tempo e aveva sparato a Sherlock.


Quando Sherlock glielo aveva detto John gli aveva creduto subito, non aveva obiettato, non aveva gridato a Sherlock che si sbagliava, si era fidato e basta. Perché John si fidava sempre, nemmeno per un attimo aveva dubitato di lui e forse per questo non riusciva a perdonarlo per avergli mentito e finto la sua morte. Da quando Sherlock era tornato a quando aveva sparato a Magnussen la situazione era precipitata, John avrebbe potuto bloccare tutto, invece non si era mai opposto agli eventi. Aveva scelto l'ordinaria certezza per l'ignoto e alla fine era stato pesantemente punito, sua moglie non era chi pensava che fosse e il suo migliore amico era diventato un assassino. E lui era il catalizzatore di tutto.

Mentre John era intento a riflettere su come continuare la frase Sherlock schizzò in piedi rimettendosi  a camminare a grandi passi.

- Oh cavolo sono proprio un'idiota! Vedi John quanto mi sei utile? La tua sola presenza ha risolto il caso! - fece allegro, quasi saltellando.

- Bene,  felice di essere stato il tuo conduttore di luce... -

E Sherlock si diresse spedito verso la porta, prese cappotto e sciarpa e corse giù per le scale. John fece per seguirlo quando si ricordò di avere ancora Ginny in braccio.


Angolo autrice:

Scusate il ritardo..capitolo per metà Sherlock nella sua solitudine esistenziale (nel dubbio ho alzato il rating ma non credo la scena lo richiedesse) e per metà ha preso una piega più leggera con una vaga punta  parentlock. Aspetto il vostro responso, un abbraccio.

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Capitolo 7
*** Personalità dipendente e sociopatia ***


Cap. 7  Personalità dipendente e sociopatia


Sherlock camminava veloce lungo il viale diretto verso l'edificio centrale dell'Università. Era una giornata particolarmente fredda per essere ottobre e lui si stringeva nel suo cappotto accelerando i passi per andare a scaldarsi in qualche aula.

Con la coda dell'occhio vide Victor che si avvicinava.

- Sherlock mi stai deliberatamente evitando? - chiese il ragazzo trattenendolo per un braccio. Sherlock lo guardò con un'espressione vuota, si sentiva stranito in presenza di Victor, non si sentiva più a suo agio dopo il loro ultimo incontro e cominciava a pensare che le intenzioni di Trevor erano più subdole di quello che credeva.

Sherlock scrollò le spalle - No, non ti sto evitando, sto cercando di far uscire di prigione il maggiordomo. Magari non incastrerò il colpevole ma non voglio che paghi un innocente -


Victor sorrise - Sherlock se ti dicessi che la signora Scott ha ritirato la denuncia?  E' libero -

- Davvero? - Sherlock immagazzinò quella nuova informazione, tanto rumore per nulla, ma perché? Che fosse intervenuto il padre di Victor?

- Ovviamente è stato licenziato ma sembra che abbia già trovato un altro lavoro - continuò Victor.

Sherlock alzò un sopracciglio perplesso.

- Tornando a noi...quando posso venire di nuovo in camera tua. E per venire intendo ogni doppio senso possibile - sogghignò.

- Non essere idiota - rispose Sherlock quasi infastidito.

- Perché? credevo ti fosse piaciuto - fece con l'aria più innocente che poteva sfoggiare.

- Victor non intendo avere una relazione con te. E sei pregato di non far credere a tuo padre che stiamo assieme, l'altro giorno mi ha bloccato in bar chiedendomi cosa ci fosse tra noi - rispose piatto Sherlock. Non sapeva cosa pensare, tutto quello che aveva trovato interessante in Victor non c'era più. Gli sembrava di essere stato manipolato in qualche modo e che in ogni caso non fosse un amico.

- Nemmeno io voglio avere una relazione...intendevo solo sesso - continuò Victor sempre sogghignando - E lascia stare mio padre, è divertente vedere come reagisce alle provocazioni -

Sherlock scosse la testa. Victor era come sarebbe diventato lui se non avesse avuto una famiglia che gli voleva bene? Anche lui era intelligente, curioso, solitario. Disprezzava le convenzioni sociali e la routine della gente comune. Ma a differenza di Sherlock aveva convertito il suo risentimento in disprezzo verso tutti e in particolare verso suo padre. Sherlock aveva creduto di aver trovato qualcuno simile a lui, che lo capisse, ma in realtà non era quello di cui aveva bisogno. A Sherlock serviva qualcuno che stesse dalla sua parte tenendolo però nella società civile.

Il moro era come un bambino nelle relazioni sociali, non sapeva mai come comportarsi e quando sapeva che era uso tenere un certo comportamento lo faceva meccanicamente. Aveva bisogno di qualcuno che lo lasciasse essere se stesso aiutandolo però a progredire nelle relazioni sociali, strappandolo dalla sua solitudine. Quel qualcuno non era di certo Victor.

- No, non fa per me, non mi interessa. - concluse Sherlock.


Il detective fece per andare via quando spuntò un ragazzino di circa quattordici anni che lo ignorò completamente e puntò dritto verso Trevor.

- Victor quando andiamo a casa? -

Sherlock guardò meglio il ragazzino, era molto simile a Victor e dalla domanda che gli aveva posto non poteva essere altri che suo fratello.

- Quello è tuo fratello Christian? Credevo fosse a Eton - chiese Sherlock perplesso

- E' tornato prima - rispose evasivo - Beh signor consulente investigativo ti lascio ai tuoi dubbi sulla tua presunta asessualità. Ci sentiamo -


***** *****


- Sherlooooooock - gridò John inseguendo il detective giù per le scale tenendo stretta Ginny e sperando di non inciampare sui gradini.

Sherlock era già sul marciapiede pronto a fermare il primo taxi disponibile.

- Non puoi corrermi dietro con Ginny, potrebbe essere pericoloso - fece il detective guardando perplesso John tutto trafelato che lo inseguiva con bambina al seguito, che in realtà sembrava piuttosto divertita.

- Lo so, ma non puoi andare da solo...ovunque tu stia andando. Spiegami! - rispose John. Non avrebbe mollato la presa, al massimo avrebbe chiamato Lestrade a fare da baby sitter a Ginny.

- Intanto vado dallo psicologo, non mi interessa niente del segreto professionale, mal che vada tu e Ginny lo distraete mentre io gli ruba una cartellina -

John lo guardò senza capire, come sempre quando Sherlock spiegava dando per scontato che tutti stessero dietro alla sua mente che andava a mille all'ora - Di chi? -

Sherlock fermò un taxi e tutti e tre salirono diretti allo studio dello psicologo.

- Christian Trevor, il fratello di Victor. Che idiota ora tutto ha un senso. Sai quando ti ho detto di aver sospettato di Victor per il furto a casa Scott? Il motivo principale per cui lo avevo escluso era che aveva un alibi di ferro. La sera del ricevimento dagli Scott stava giocando a calcio. Cambridge contro Oxford. Ed io ero presente, mi aveva invitato lui. Col senno di poi credo proprio che mi abbia manipolato fin dall'inizio. - fece Sherlock rabbuiandosi. Non per una questione sentimentale ma di orgoglio, Victor aveva puntato su una debolezza del detective, la sua solitudine e Sherlock ci era cascato in pieno.

- Cosa intendi? - chiese John innervosendosi. Anche se quella rivelazione gli dava un altro ottimo motivo per prendere a pugni Victor.

- Non l'ho proprio conosciuto per via del caso, ci eravamo incontrati qualche giorno prima...anzi il suo cane ha incontrato la mia gamba. Ora capisco che non è stato un caso se poi siamo diventati...conoscenti -

- Puoi dirlo amici, non mi offendo. - affermò con una punta di fastidio John.

- No, lo confermo, non eravamo amici. E' vero mi piaceva passare del tempo con lui, era diverso da tutti gli altri, era intelligente e riteneva brillanti le mie deduzioni. Ma avevo percepito che c'era qualcosa che non andava. Per me amico è qualcuno di cui mi fido ciecamente, non di certo Victor - fece Sherlock indugiando qualche secondo di troppo verso John.

John prese a respirare un po' più velocemente mentre la piccola Ginny si addormentava tra le sue braccia. Non voleva riaprire di nuovo quella discussione ma sentiva che sarebbe esploso se non glielo avesse chiesto.

- Sherlock ho bisogno di chiedertelo un'ultima volta, se ti fidi così tanto di me perché non ti sei fidato quando hai finto la tua morte? -

John sembrava mortalmente ferito. Sherlock non pensava che sarebbe stato così difficile farsi perdonare da John, aveva dato per scontato la sua amicizia ma credeva che tutto quello che aveva fatto per lui bastasse per passare oltre. Il detective ripensò a quando Mary aveva detto che avrebbe fatto qualunque cosa per evitare che John venisse a sapere del suo passato. Non aveva detto che avrebbe fatto qualunque cosa per John e basta, solo lui era arrivato a tanto, al punto da sparare a sangue freddo a Magnussen. Non ne era pentito ma non riusciva a capire come potesse essersi trovato in quella situazione. Aveva avuto svariate possibilità di sparare in testa a Moriarty ma non lo aveva fatto, semplicemente perché non era così che risolveva i problemi. Intelligenza, astuzia queste erano le sue caratteristiche, non un omicidio.

Guardò John, sospirò e decise di dire qualcosa di più del solito "avevo paura ti lasciassi sfuggire qualcosa".

- Non era una questione di fiducia John. Sapevo che la rete di Moriarty avrebbe continuato a tenerti d'occhio, che per quanto avessi finto bene potevano non esserne convinti, come non lo era Anderson per esempio. Se tu avessi saputo che ero vivo ti saresti comportato diversamente e loro avrebbero capito e saresti stato in pericolo. E' stata dura smantellare la rete di Moriarty e non sarei riuscito ad arrivare fino in fondo sapendo che tu eri in pericolo. Mycroft ti teneva d'occhio, ma non abbastanza se gli è sfuggito che uscivi con una spia -

- Avrei preferito mille volte affrontare tutti i sicari di Moriarty che restare due anni nella disperazione - rispose John serio e a tratti commosso.

- Dai non sono stati proprio due anni, poi è arrivata Mary no? - chiese Sherlock, sperando egoisticamente di sentirsi dire che Mary non lo avrebbe mai potuto sostituire.

- Siamo arrivati - fece John evitando la domanda.


***** *****


 - Signor Holmes che piacere vederla con il dottor Watson e sua figlia. Terapia di coppia? - chiese lo psicologo stupito dell'intrusione improvvisa nel suo studio.

Sherlock lo guardò storto mentre John sembrava molto a disagio, proprio come quando tutti li scambiavano per una coppia.

- Il suo umorismo è fuori luogo mi deve parlare di Christian Trevor, il suo paziente. -

- Lo sa che non posso, segreto professionale -

- Lo farà invece, anzi basta che mi dica si o no e le assicuro che resterà tra noi. Ha un disturbo dipendente di personalità? - fece secco Sherlock. Lo psicologo deglutì impercettibilmente.

- La sua micro-espressione verrà presa come un si. Il fratello,  Victor, è il problema vero? Lo manipola - incalzò Sherlock.

Lo psicologo aprì la bocca stupito, collegando improvvisamente i pezzi nella sua mente - Quando mi aveva parlato di Victor non avevo pensato al fratello di Christian..oh.. Aveva ragione allora, di certo non provava niente per lei -

- Che intende? - chiese Sherlock curioso.

- Victor è un vero sociopatico, almeno così sembra da come ne parla il fratello -

John non trattenne un'espressione infastidita, possibile che Sherlock si circondasse solo da gente psicopatica?

- Sa come si crea una personalità disturbata sig. Holmes? Con critiche costanti e mancanza d'affetto. Il padre ha fatto un pessimo lavoro con quei due ragazzi...mi dica Christian è in pericolo? - chiese lo psicologo, più preoccupato di quello che poteva accadere al minore dei Trevor che al violare il segreto professionale.

Sherlock mise le mani in tasca e rispose pratico - Fa tutto quello che gli dice il fratello, compreso rubare collane ai ricevimenti per incastrare la matrigna o rubare quadri in Oxford Street -

- Come fai a dire che è stato lui? - intervenne John che aveva a sua volta iniziato a ricomporre il puzzle.

- E' un gioco John e Victor sta vincendo...fino ad adesso. Non so come ho fatto a non accorgermi che i quadri rubati avevano lo stesso stile di quelli che avevo visto a casa di Victor - Sherlock ripensò all'unica visita dai Trevor, quando aveva ammirato una serie di quadri di cui il padre di Victor andava molto fiero.

- Beh tu elimini le informazioni irrilevanti... - fece John sottintendendo che Victor e la sua casa non erano rilevanti - Aspetta ha rubato i quadri per completare la collezione? Non ha senso, non potrà mai appenderli in soggiorno -

- Ti ho detto che è un gioco, era per me. Il furto dagli Scott ovviamente no. Gli servivano due cose: un alibi e qualcuno che rubasse i gioielli al posto suo - continuò Sherlock congiungendo le mani sotto il mento.

- E qualcuno che gli credesse quando avrebbe insinuato che era stata la matrigna - fece John ricordando a Sherlock che era stato usato.

- Victor aveva l'alibi, la partita a cui ero presente e aveva il qualcuno: suo fratello era al ricevimento. Si sarà annoiato a morte, era un adolescente, nessuno avrà fatto caso a lui se andava in giro -

- E a Oxford Street? - chiese John.

- Avrà sedotto una cameriera o una cosa del genere. Le avrà rubato le chiavi e avrà aspettato una sera in cui non c'erano ne i proprietari né i domestici. - continuò Sherlock sorridendo tra sé.

- E tutto questo per te? - chiese John alterato e infastidito sia dal fatto in se che dall'allegria di Sherlock.

Lo psicologo aveva osservato tutta la scena e il modo di relazionarsi tra i due e non poté fare a meno di intervenire - Signor Watson come la fa sentire tutto ciò? -

- Cosa intende? - chiese John stupito di essere interpellato.

- A leggere il suo blog il sig. Holmes è spesso sfidato da sociopatici come Moriarty o sexy manipolatrici. La cosa non la infastidisce? -

- Per la sua incolumità sicuramente - rispose pratico cercando di evitare ogni possibile coinvolgimento. Se ripensava a Moriarty gli tornava la voglia di picchiare qualcuno, come aveva fatto con il capo della polizia. Moriarty che sfidava Sherlock, che minacciava di ucciderli, Sherlock entusiasta della prospettiva di una nuova sfida, Moriarty che distruggeva la reputazione del suo migliore amico e lo costringeva a saltare nel vuoto.

John aveva smesso di respirare quando una nuova domanda dello psicologo lo fece  innervosire ulteriormente.

- E per il fatto che seducono il suo cervello? - chiese lo psicologo con l'aria di uno che ha capito tutto.

- Io...non ho intenzione di farmi psicanalizzare -

- E' sulla difensiva...ho toccato un nervo scoperto? Quanto le da fastidio che uno psicopatico possa riceve più attenzioni di lei da parte del sig. Holmes? -

Sia Sherlock che John spalancarono gli occhi. Il detective non aveva il coraggio di guardare verso John e si chiese se davvero lo psicologo avesse ragione.

- Ok adesso basta noi dobbiamo andare - fece il detective girandosi verso la porta.

John guardò lo psicologo che gli lanciava uno sguardo incoraggiante e poi Ginny che dormiva beata, incosciente di essere il legame fondamentale tra lui e Mary.

- Se proprio vuoi saperlo - fece rivolto a Sherlock - Si mi da fastidio che ti lasci prendere in questa maniera ogni volta che qualche genio si mette a sfidarti - 

Sherlock gli lanciò un'occhiata indignata - Non sono "preso" John, mi piace risolvere rompicapi -

Lo psicologo decise di spingere ulteriormente il piede sull'acceleratore - Già che ci siamo, sig. Holmes quanto trovava insopportabili le ragazze con cui perdeva tempo John invece che uscire a risolvere crimini con lei? -

- Non sia ridicolo non le ho mai calcolate - rispose immediatamente.

- Negazione, facciamo passi indietro vedo...perché non vi sedete? Avreste molto di cui parlare -

- Magari un'altra volta. John andiamo! -



Angolo autrice
Scusate il ritardo, settimana pienissima. Che dire di questo capitolo? Dialoghi come se piovessero...ma quando inizio a scriverli poi è difficile aggiungere descrizioni, mi sembra spezzino il ritmo.
Ringrazio tutti per essere ancora qui a leggere.
Un bacio e alla prossima.

 

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Capitolo 8
*** La versione di John ***


Cap. 8 La versione di John


Sherlock uscì di corsa dallo studio dello psicologo pronto a fermare un taxi.

- Sherlock stai andando da Lestrade, voglio sperare! - affermò John correndo dietro a Sherlock.

Il detective lo fissò stupito.

- No sto andando a Piccadilly, dove alloggia Victor - rispose. Non era mai corso da Lestrade, di certo non lo avrebbe fatto in quel momento.

John sbuffò sonoramente, scuotendo la testa.

- Il tuo caro amico mi sembra un personaggio che non dovresti affrontare da solo, per cui adesso  aspetti che porto Ginny a casa e vengo con te -

Sherlock sembrava ancora più stupito. 

- John, non abbiamo tempo e poi credi davvero che sia più pericoloso di Moriarty o Magnussen? -

- No, ma per colpa del primo non ci siamo visti per due anni e per colpa del secondo stavi partendo per destinazione ignota. Come pensi starei se... Non ci vai e basta - gridò John.

Si sentiva furente, non sapeva se era per tutto quello che teneva dentro e non esprimeva o perché non sopportava l'idea di Victor che andava all'Università con Sherlock e chissà cosa facevano. No, tolse quell'immagine dalla sua mente. Sherlock non era così.

John non si era nemmeno reso conto di aver stretto il braccio dell'amico per trattenerlo. Sherlock fissò quella stretta, autoritaria e al contempo così intima, ma subito si scrollò ricomponendosi.

- Smettila di darmi ordini, non siamo nell'esercito -

-  E tu smettila di fare l'idiota! - rispose esausto John.

- John capisci che non abbiamo prove vero? Dobbiamo essere creativi per incastrarlo -

- Ti sta sfidando e non sappiamo se è solo psicopatico o se ha un secondo fine. Vai da Lestrade e raccontagli tutto. Ci troviamo lì. -

Sherlock fece per ribattere ma decise di accontentarlo, dopotutto riaveva John con se in un'indagine, non aveva senso correre da Victor quando poteva passare altro tempo con John. Questo pensiero lo fece tremare leggermente. Come era arrivato fino a quel punto? mai avrebbe pensato che avrebbe messo da parte un'indagine per stare del tempo con qualcuno. Ma John non era uno qualsiasi, era John e questo racchiudeva tutto.

Sbuffando, fece cenno di si con la testa, più per restare nel "suo personaggio" che per altro e mentre John saliva su un taxi diretto a casa, Sherlock ne fermò un altro per andare da Lestrade a raccontare tutti gli ultimi sviluppi.

***** *****

Nel tragitto in taxi John ripensò a quei mesi in cui la sua vita aveva smesso di avere senso. Il vuoto totale, prima c'era Sherlock, il sociopatico iperattivo con cui divideva l'appartamento e la vita, con il suo umore altalenante, le corse per Londra i commenti sprezzanti e quei momenti di inaspettata umanità e poi il nulla per due anni. Non ricordava nemmeno bene cosa avesse fatto in tutti quei mesi senza di lui, la solita routine probabilmente. 

A volte si trovava seduto in poltrona con Mary, a guardare qualche thriller e ogni tanto si aspettava di sentire un commento sprezzante sugli sceneggiatori, per poi concludere che la trama era banale e chiunque avrebbe capito il colpevole dall'inizio. John sapeva che davvero Sherlock intuiva il colpevole fin dall'inizio ma stava zitto per non rovinargli il film, anche se  lo vedeva fremere sulla sedia.

Gli mancava, anche nelle più stupide cose.

John salì di corsa le scale di casa, con Ginny sempre in braccio. Quando entrò trovò Mary che stava apparecchiando per la cena e lo accolse con un sorriso, a cui John non prestò la minima attenzione.

- Mary, meno male che sei a casa! - affermò John senza fiato. 

- Tu piuttosto, temevo ti fossi dimenticato che Janine e il suo nuovo ragazzo vengono a trovarci sta sera - rispose lei allegra.

- Non ci sono sta sera - fece pratico John,, posando delicatamente Ginny nella culla. La piccola sembrò sbuffare, dopo una giornata di corse era sveglia e pimpante e non pareva avesse voglia di dormire. John la trovò una cosa tenerissima, si ritrovò a pensare che dopo un pomeriggio con Sherlock aveva già preso qualcosa da lui.

Mary, intanto, scosse la testa e gli lanciò uno sguardo stanco e arrabbiato, che il biondo intercettò.

- Mary - fece cauto John

- Non occorre che dici altro, Sherlock? - fece Mary togliendo un coperto dalla tavola.

- Si, dobbiamo incastrare un ladro psicopatico e ... -

- Sai che novità! -

- Mary, quando mi hai sposato sapevi perfettamente chi ero - rispose John alzando la voce, sottintendendo che non era lui quello che aveva cambiato le carte in tavola.

- Non pensavo avresti messo la tua vita con Sherlock davanti al nostro matrimonio, sinceramente -

- Mi spiace Mary, dico davvero, ma dove voglio essere adesso è a fianco di Sherlock, non in una cena a coppie il cui dialogo più interessante saranno le assurdi storie che Janine ha dato alla stampa quanto Sherlock faceva finta di stare con lei -

- Ancora questa storia? Perché ti danno tanto fastidio John? Lui l'ha usata e lei ha fatto altrettanto - rispose, alzando la voce a sua volta.

- Lo ha fatto sembrare un... non lo so esattamente cosa lo ha fatto sembrare, ma lui non è così come lei lo ha descritto - fece John riflettendo su cosa esattamente lo infastidiva. La stampa diceva sempre tante sciocchezze ma le storie di Janine non riusciva a digerirle.

- Intendi le scopate a Baker Street? Credi che Sherlock sia una creatura lontana dai bisogni terreni? Santo Cielo John... è per questo che non ti sei mai fatto avanti con lui? -

- Cosa? - fece John stupito, ma evitando sta volta la solita litania del "non sono gay".

- Lascia stare... -

- Io vado Mary, ci vediamo quando ho finito - fece John incolore.

Mary  non lo vedeva  così determinato da mesi e si trovò a lottare contro le lacrime che prepotentemente volevano scendere dagli occhi. Si girò a guardare la piccola Ginny che si agitava nella culla. Si era illusa di poter competere con Sherlock.

Quando li aveva visti insieme, subito aveva capito che John non lo avrebbe mai messo da parte per lei; d'altronde lui stesso, riferendosi al giorno del matrimonio, aveva più volte affermato che avrebbe trascorso la giornata con le due persone più importanti della sua vita, mettendo lei, la sposa, sullo stesso piano del migliore amico. E anche l'infinito discorso di Sherlock le aveva messo davanti l'ovvio: suo marito non si era commosso per tutta la cerimonia, nemmeno una lacrima quando aveva pronunciato il si, ma gli era bastato ascoltare Sherlock per avere gli occhi lucidi.

Mary aveva provato ad essere una buona moglie per John e  un'amica per Sherlock e aveva anche pensato che l'insolito trio potesse  funzionare, ma aveva sottovalutato il loro rapporto. Forse John aveva pensato che avrebbe continuato la vita in perfetto equilibrio, Mary per la parte sentimentale e Sherlock per quella avventurosa. Ma poi le due parti si erano inaspettatamente mescolate rivelando che Mary poteva far parte dell'avventura mentre Sherlock aveva più volte manifestato dei sentimenti per John, con il suo discorso o con il sacrificio fatto per salvarli da Magnussen e questo aveva definitivamente confuso John, che non sapeva più da chi dei due voleva entrambe le cose.

I fatti però deponevano a sfavore di Mary: John era perso senza Sherlock e stava facendo di tutto per riaverlo, mentre Mary era stata relegata nel ruolo di moglie bugiarda e ormai gli unici motivi per cui John non era ancora andato via erano Ginny e il senso dell'obbligo che gli derivava dall'averla sposata.

Non gliene faceva una colpa, lei gli aveva mentito e anche se non ne avevano mai parlato aveva quasi ucciso il suo migliore amico. Quando si erano sposati John l'amava davvero, ma la routine domestica non faceva per lui; forse se Sherlock non fosse tornato, lei e il marito avrebbero avuto una vita normale e ordinaria, ma l'effetto del detective su John era travolgente e ora anche Mary aveva deciso di arrendersi.

- John se esci da quella porta non disturbarti a tornare - fece piano, sperando in un ultimo ripensamento del marito.

- Come dici scusa? - rispose John con la mano sulla maniglia, arrabbiato.

- Mi hai sentito -

- Bene, fregatene pure che Sherlock ti ha salvato la vita proteggendo i tuoi segreti e fregatene anche del fatto che ti ha perdonato di avergli sparato ma io non sono come te, ha bisogno di aiuto e andrò con lui -

- Quanto sei ingenuo John. Sherlock non l'ha fatto per me, ha fatto tutto per te! Se in pericolo fossi stata solo io, non sarebbe mai arrivato ad uccidere Magnussen. Ho sbagliato a pensare che il problema tra noi fossero i miei segreti. Il problema è la vita che vuoi e chi te la può dare - rispose Mary in lacrime.

John la guardò, capendo che non la guardava davvero da mesi, sospirò e girò la maniglia della porta d'ingresso. Avrebbe dovuto farlo tanto tempo prima, non avrebbe mai dovuto perdonarla per avergli mentito e sparato al suo migliore amico. Non avrebbe dovuto darle la seconda chance, ma indietro non poteva tornare. Poteva però rimediare finalmente a quella scelta insensata.

John uscì di casa quasi sollevato, non voleva preoccuparsi di tutte le conseguenze e i problemi che sarebbero derivati, primi fra tutti mantenere un rapporto civile per Ginny. Adesso voleva solo andare a Scotland Yard, chiudere il caso Oxford Street e anche dare un pugno a Victor, giusto per fargli capire che nessuno può manipolare Sherlock e passarla liscia.

***** *****

John arrivò a Scotland Yard e fece praticamente irruzione nell'ufficio di Lestrade.

- Greg dov'è Sherlock? - chiese con John con una punta di "lo uccido se è andato da Victor senza di me" nella voce.

- Io non l'ho visto - rispose Greg alzandosi dalla scrivania.

- Idiota, mai una volta che faccia quello che gli si dice - John estrasse il cellulare dalla tasca e compose il numero del detective.

Il telefono squillò a vuoto.

- Non mi risponde - fece John chiudendo la chiamata e fissando il cellulare perplesso.

- Perché doveva venire qui? - chiese Greg.

- Ha scoperto chi c'è dietro il furto in Oxford Street -

John ripensò al fatto che Sherlock aveva detto che Victor alloggiava a Piccadilly, per cui o abitava lì o era in albergo.

Donovan entrò nell'ufficio di Lestrade, visibilmente perplessa di vedere John da solo.

- Signore, c'è un certo dott. David Laurie che vuole parlare con lei - fece lei indicando un uomo alto e magro di bell'aspetto, fermo vicino alla scrivania della poliziotta.

- E chi sarebbe? fallo accomodare - fece Lestrade.

- E' lo psicologo di Sherlock - rispose John -  Non fare domande.. - aggiunse vedendo lo sguardo stupito dell'ispettore.

Il dottore entrò nell'ufficio, un po' a disagio nell'ambiente di Scotland Yard che normalmente non frequentava.

- Buonasera, sono contento di vederla qui dott. Watson. Speravo di trovare anche il sig. Holmes in realtà, ma non riesco a contattarlo al numero di cellulare -

- E' successo qualcosa? - chiese allarmato John.

- Dopo che siete andati via ho ripensato alla strana coincidenza che il fratello di Victor fosse un mio paziente proprio come Sherlock -

- E cosa ha dedotto? -

- Christian era in cura da me molto tempo prima, non è stato fatto apposta. Mi chiedo se Victor avesse già in mente questo piano per giocare al gatto e al topo o se gli è venuto in mente quando il fratello gli ha detto di aver incontrato il suo compagno di Università in terapia. Anche la tempistica coincide, Sherlock ha incontrato Victor subito dopo essersi recato sulla scena del crimine -

- Quindi questo "piano" è stato messo su in fretta e furia - rifletté John.

- Si non credo abbia una gran mente criminale Victor Trevor, ma è disturbato sig. Watson...e le persone disturbate sono imprevedibili - constatò il dott. Laurie.

John sentì un'ondata di panico salire nonostante all'apparenza fosse molto calmo.

- Dobbiamo trovare Sherlock!  - affermò come se gli mancasse la terra sotto i piedi.

Lestrade capì che il detective poteva essere davvero  in pericolo così  uscì dal suo ufficio per radunare gli agenti e organizzare una squadra. Tante volte Sherlock era stato in pericolo e se l'era sempre cavata ma negli ultimi tempi non era se stesso e l'ispettore temeva non fosse più in grado di fronteggiare altri criminali con la solita abilità.

Il dott. Laurie si girò verso John che aveva ancora in mano il cellulare e rifletteva su cosa fare cercando di imitare i ragionamenti che avrebbe fatto Sherlock a parti invertite.

- Sig. Watson dove ha lasciato sua figlia? - fece lo psicologo.

- Dalla madre -

- Wow non ha detto moglie o Mary...mi sembra che prenda una notevole distanza - convenne lo psicologo.

- Mi ha appena buttato fuori di casa, veda lei - rispose John, sempre incolore, cercando di pensare a cosa potesse essere successo a Sherlock.

- Mmh - fece il dott. Laurie congiungendo le mani dietro la schiena e passeggiando per l'ufficio di  Lestrade.

- Scusi? - ribattè John stufo di essere interrotto dal suo riflettere.

- No stavo pensando che magari tornerà a Baker Street -

- Quindi? -

- Mica continuerete a fare il detective con il cappello e il suo assistente no? Posso essere brutale? Se non si fa avanti lei arriverete alla pensione, vivrete in un cottage nel Sussex e sarete ancora il detective e l'assistente. Non mi guardi così...il suo amico ha paura di lasciarsi andare, delle relazioni... eppure per lei ha fatto molte eccezioni al suo modo di vivere. Di lei si fida ma non sa cosa aspettarsi e per un calcolatore come lui questo genere di rischio non è contemplato. -

John si sentì come schiaffeggiato. La sua psicologa non era mai stata così diretta, in nessuna seduta, anche quando gli aveva chiesto di esprimere quello che avrebbe voluto dire a Sherlock prima della presunta morte e non aveva mai detto non aveva insistito più di tanto. Questo dott. Laurie non era come gli altri terapisti.

- A lui non interessano le relazioni, è sposato con il suo lavoro, me l'ha detto chiaramente. E poi adesso ho una figlia, se lo immagina lui io e una bambina? - affermò mesto John.

- E lei? -

John ripensò a Sherlock che passeggiava per il soggiorno con Ginny in braccio, che le parlava di crimini ma con un tono estremamente dolce, almeno per lui.

- Sa che Sherlock crede di non meritare di essere felice, di non meritare di stare con lei? - continuò lo psicologo - Lui crede di essere egoista a sperare che lei lo metta ancora al primo posto, si è ritirato in disparte convinto che lei fosse felice. Le ha fatto pure da testimone al matrimonio. Ha notato come era devastato? Ma d'altra parte siamo inglesi no? Le emozioni vanno nascoste. Ma non ce l'ha fatta nemmeno lui. Ho visto il video e le foto delle sue nozze e Sherlock sembrava la persona più sola della sala.  John prenda almeno lei una decisione netta, non può pensare di continuare così -

- John andiamo? - chiese Lestrade affacciandosi alla porta dell'ufficio.

- Si arrivo - rispose John riflettendo su quello che gli aveva detto il dott. Laurie e quanto poteva sapere davvero di loro due. Cosa gli aveva detto Sherlock?

***** *****

Lestrade, John e gli agenti arrivarono di corsa a Piccadilly. Appena videro l'albergo convennero tutti che Victor poteva trovarsi lì, che era più probabile che fosse di passaggio dato che non aveva mai visto Sherlock fino a quel momento.

Lestrade entrò di gran passo nell'albergo diretto alla reception con distintivo in mano.

- Scotland Yard, ispettore Lestrade, cerchiamo il sig. Trevor -

- Non alloggia più qui - rispose l'addetta della reception.

Lestrade e John si guardarono smarriti.

- Non credo sia semplicemente tornato a casa - fece John maledicendosi di aver lasciato Sherlock da solo.

- Cercate l'indirizzo del fratello di Victor,  non penso alloggiasse in albergo - fece Lestrade rivolto agli altri agenti.

John fissava un punto indistinto davanti a sé.
- Sherlock dove sei? -


Angolo autrice:

Capitolo Johncentrico e soprattutto lo psicologo finalmente ha un nome. Dalle recensioni era evidente la simpatia per il personaggio, non potevo lasciarlo senza un'identità.
Ringrazio tutti per leggere e seguire e un grazie particolare a Lacri1508 e Xaki per la costanza delle loro recensioni..grazie davvero!!!!!

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Capitolo 9
*** La versione di Sherlock ***


Cap. 9 - La versione di Sherlock


John non sapeva cosa pensare. Se Victor non era in albergo nemmeno Sherlock avrebbe avuto modo di trovarlo. Doveva essere successo qualcosa e Sherlock doveva trovarsi in pericolo.

- Questo Christian Trevor abita in Margaret Street. Ci dirigiamo lì John, vieni con noi? - fece Lestrade.

- Certo che vengo con voi - rispose John quasi stupito dalla domanda. Il dott. Laurie aveva detto che Victor era pericoloso, non aveva avuto modo di analizzarlo ma dal quadro che aveva dipinto il fratello sembrava un sociopatico. Aveva detto che era disturbato e imprevedibile, ed era fissato con Sherlock.

Perché tutti gli psicopatici erano attirati da Sherlock? John cominciò a sentirsi quasi in colpa, come se scrivere il blog avesse esposto il detective alla mercé di ogni pazzo.

Aveva avuto ragione fin dall'inizio a provare un'immediata antipatia per Victor. Non era solo gelosia come aveva ipotizzato Harry, aveva capito che c'era qualcosa che non andava; quel Victor era strano e lo aveva provocato in una gara a chi era più amico di Sherlock. La situazione rischiava di finire male.


Giunsero all'appartamento e dentro non trovarono nessuno. Gli agenti si misero ad ispezionare la stanza mentre John continuava a chiamare inutilmente Sherlock, quando gli cadde l'occhio su un foglio scarabocchiato vicino al telefono. Poteva non essere niente come poteva essere tutto.

Sul foglio c'era scritto ore 8.00 p.m. Ristorante Gardini. John guardò l'orologio, erano le 9. Cercò in internet il numero di telefono del ristorante, era un tentativo in extremis ma digitò bruscamente il numero sul suo cellulare incrociando le dita.

- Buonasera, ristorante Gardini -

- Buonasera, John Watson...polizia di Scotland Yard -

Greg si voltò a guardarlo chiedendosi cosa avesse in mente.

- Ci dovrebbe essere una prenotazione a nome Trevor...il signore è lì? - chiese speranzoso trattenendo il respiro.

- Si signore devo chiamarglielo? -

La risposta causò un aumento del battito cardiaco in John.

- Assolutamente no, mi dica è con qualcuno? - sperava in una risposta affermativa, anche se gli dava fastidio che Sherlock fosse con Victor almeno avrebbe saputo dov'era.

- Si un signore alto, moro, pallido...una faccia già vista in realtà -

- Immagino, le lascio il mio numero. Se lasciano il locale mi telefoni, noi stiamo arrivando -

John chiuse la chiamata - Greg, trovato! -


***** *****


Qualche ora prima.

Sherlock salì sul taxi mentre John portava Ginny a casa. Il detective era ancora in dubbio sulla pessima scelta di aspettare e il suo umore non migliorò trovandosi bloccato nel tipico traffico di Londra.

John abitava relativamente vicino allo studio del dottore e probabilmente poi si sarebbe mosso in metropolitana per cui assurdamente rischiava di arrivare da Lestrade prima del detective, cosa che fece sbuffare ancora di più Sherlock.

Era indeciso se scendere e andare direttamente a piedi, tanto non si muoveva neanche un'auto probabilmente a causa di un incidente, quando il telefono squillò e Sherlock immaginò che non volesse dire nulla di buono.

Guardò lo schermo del cellulare e vide il numero di Victor.

- Non hai idea di quanto poco sono stupito di sentirti - esordì Sherlock.

- Ah..immaginavo che a questo punto avresti sbrogliato la matassa. Ti chiamavo per invitarti a cena infatti - fece Victor ridacchiando.

- Ti stai divertendo? - chiese Sherlock innervosendosi.

- E tu? Lo so che ti piacciono i giochetti. Ma se non bastasse questo a convincerti sappi che mio fratello è a casa di John.-

Sherlock trattenne il respiro e strinse una mano a pugno.

- Dal silenzio deduco che ho tutta la tua attenzione. Sono a Oxford Street, c'è un bel ristorante italiano che penso ti piacerà. -

- Victor tu non hai neanche idea di cosa sono capace per cui se succede qualcosa a John o alla sua famiglia... -

- Cosa? Wow Sherlock mi stai minacciando? John non è a casa ma mio fratello tiene sotto tiro sua moglie e la bambina e gli ho detto di sparare a qualunque cosa provi ad avvicinarsi a quell'appartamento e prima ancora di sparare anche alla piccola. Solo io posso fermarlo. E se hai fatto bene i tuoi compiti sai che è così, non ascolterà nessun altro. Quindi evita di avvisare la polizia... o gli agenti che faranno irruzione moriranno assieme alla bambina. Ti aspetto Sherlock-

Il detective fissò schifato il cellulare. Non poteva effettivamente avvisare nessuno prima di aver capito a che gioco stava giocando Victor. Se avesse chiamato John lui sarebbe corso a casa rischiando di morire assieme alla figlia. Doveva giocare secondo le regole di Victor e lasciargli credere di condurre il gioco in modo da metterlo all'angolo. Non avrebbe fatto errori sta volta, era una partita a scacchi  e non erano ancora alla mossa finale.

Il taxi deviò verso Oxford Street lasciandosi alle spalle l'ingorgo mentre Sherlock studiava tutte le possibilità per uscire da quella situazione. Si sentiva un perfetto idiota a essere stato ingannato da Victor ma era arrivato il momento di chiudere quella partita iniziata tanti anni prima.


***** *****

Sherlock entrò nel ristorante a passo sicuro e si sedette di fronte a Victor, pronto a studiare ogni sua mossa.

- Ciao Sherlock, finalmente sono riuscito a trascinarti fuori per una cena - fece Victor allegro. Era vestito elegante e curato, come se dovesse andare ad una prima a teatro.

- Se hai fatto tutto questo per una cena devi avere problemi di solitudine più gravi dei miei Victor. Potrei consigliarti un ottimo psicologo, ma devo dire che con tuo fratello non è stato molto bravo - rispose Sherlock sogghignando.

- Sai sei cambiato, eri meno cinico una volta -

Il cellulare di Sherlock squillò di nuovo. Con mano ferma tolse il cellulare dalla tasca e vide il numero di John. Ignorò la chiamata e rimise il cellulare nella giacca, non era il momento di distrarsi con pensieri su John o sul pericolo incombente sulla sua famiglia. La logica e la razionalità erano le sue armi migliori in queste situazioni ed era necessario mettere da parte ogni risposta emotiva.

- Victor cosa vuoi? Spiegami. Hai rubato o fatto rubare dei quadri a tuo fratello. Sapevi che prima o poi avrei capito che c'eri tu dietro a tutto questo, ma perché? Non sei un criminale, quindi? Era una sfida? -

- Sai è un peccato che quando mio fratello è entrato a casa dei Watson ha trovato solo la moglie e la bambina - rispose Victor ignorando completamente la domanda del detective.

Sherlock non sapeva se ringraziare il fatto che John era stato piuttosto veloce a lasciare Ginny evitando di farsi sparare da Christian ma lasciandole così sole sotto la minaccia di un folle o semplicemente maledire che si erano separati. In ogni caso doveva trovare una soluzione, se fosse successo qualcosa a Ginny non se lo sarebbe mai perdonato.

Sherlock  fissò intensamente Victor, non sapeva davvero cosa aspettarsi dal suo vecchio compagno di Università.

- Victor te l'ho già detto, tu credi di conoscermi ma non hai idea di cosa sono arrivato a fare per proteggere John. Non vorrei dover fare il bis ma sappi che se sarò costretto non esiterò a prendere una pistola e spararti quindi dimmi cosa vuoi. Se è una cosa tra me e te lascia libere Ginny e Mary. Mi hai qui come volevi, loro non c'entrano -

L'espressione di Victor mutò repentinamente quando Sherlock accennò a John.

- Perché tieni tanto a quell'essere così ordinario? Perché a lui hai permesso di venirti dietro? Lo avevi appena conosciuto ed è diventato subito il tuo coinquilino e assistente. Subito, non ha dovuto fare niente per cercare di conquistarti -


- E' questo che stai cercando di fare Victor? Conquistarmi? - chiese Sherlock shockato.

- A te piace tutto questo, i misteri, l'avventura. Ho letto tutto quello che ti riguardava, come hai sconfitto Moriarty, come sei ossessionato dai casi e da chi ti sfida. Beh è quello che ho fatto per attirare la tua attenzione -

Sherlock si era aspettato qualunque cosa ma non questa. Credeva che avesse almeno un tentativo di piano alla Moriarty, che volesse dimostrare qualcosa, non che cercasse un modo per stare con lui.

- Victor non puoi dire sul serio -

- Perché pensi che ho chiesto a mio fratello di rubare agli Scott e ho incastrato la mia matrigna? Per conoscerti meglio. Sapevo che parlavi con me solo perché ero l'unico che ti dava retta, l'unico che non ti mandava a quel paese ogni volta che iniziavi con le tue deduzioni. Ma non era abbastanza, avevi bisogno di un rompicapo, così avremmo passato più tempo assieme e incastrare la mia matrigna è stato davvero facile. Ma non è bastato, anzi ti ho allontanato... e poi ho lasciato perdere quando mio padre mi ha mandato a studiare in America l'anno dopo -

- Tuo padre aveva capito che c'eri tu dietro al furto - convenne Sherlock.

- Certo che lo aveva capito, così mi ha mandato via da Cambridge prima che combinassi altri "guai", come li definiva lui. Ti ha chiesto se stavamo assieme perché era preoccupato per te il mio vecchio. Adorabile non trovi? -

A Sherlock stava girando vorticosamente la testa.

- Poi ci siamo rivisti per la tua laurea ti ricordi? - Continuò Victor - Ero tornato dall'America ma tu non mi hai calcolato più di tanto e alla fine dei festeggiamenti sei andato via con Mycroft e non sono nemmeno riuscito a chiederti dove potevo trovarti. Poi sono passati anni ed eccoti improvvisamente spuntare su un blog. Un fenomeno del web, il detective con il cappello.

E lì ho capito, se volevo avere la tua attenzione non bastava essere tuo amico, dovevo sfidarti e a te questo piace, ti eccita. Quando mio fratello ti ha visto dallo psicologo ho capito che... -

- Potevi approfittarti? Far leva sulle mie debolezze? Mi dispiace deluderti Victor ma tu non hai nemmeno lontanamente l'intelligenza di Moriarty o la freddezza di Magnussen, questa era una sfida stupida che non ho risolto subito perché ero troppo preso da altre cose. O forse ho fatto  l'errore di sopravvalutare il ladro. E sinceramente tu credi davvero che vorrei passare del tempo con te dopo tutto questo? Tu hai bisogno di aiuto Victor -

- Adesso cosa fai? Ripeti le parole di mio padre? Non c'è niente che non va in me - gridò Victor facendo sobbalzare alcuni avventori del ristorante.

- Victor chiama tuo fratello e digli di andarsene da casa di John - fece Sherlock cercando di calmarlo - Non vorrai davvero che tuo fratello, l'unica persona che hai al mondo, venga arrestato o peggio ucciso? Se pensavi che trascinarmi qui e svelarmi quanto ti credi intelligente servisse a qualcosa ti sei sbagliato e scommetto che non hai pensato a come portare avanti il tuo piano quindi finiamola qui, non hai ancora fatto del male a nessuno, non è successo niente di grave -

- Non parlarmi come se fossi un bambino Sherlock. E sono pronto a questa evenienza - affermò Victor alzandosi in piedi e prendendo dalla tasca una pistola puntandola dritta alla testa del detective.

Nel ristorante tutte le persone presenti presero a urlare e la maggior parte scappò via ma a Victor non importava, era una questione tra lui e Sherlock.

Il detective non aveva mosso un muscolo, era ancora seduto e fissava Victor dritto negli occhi - Se pensi che la cosa mi agiti Victor, non hai capito chi hai davanti - fece  calmo e freddo - Ora smettila, rimetti la pistola a posto, lo sai anche tu che questa cosa non può finire bene -

- Non puoi trattarmi in questo modo, questa tua superiorità è snervante. Mi hai gettato come spazzatura - gridò Victor.

- Non è andata così Victor -

- Non so cosa ricordi tu ma io ho ben in mente noi due che chiacchieriamo a Cambridge, che parliamo di scienze, tu che passi a casa mia a trovarmi, che vieni a vedere le mie partite di calcio -

- Una partita -

- Tu che ti lasci toccare. Cos'era tutto quello per te? -

- Victor mi dispiace se hai frainteso le mie intenzioni ma io non ho mai voluto una relazione da te - fece Sherlock comprendendo solo in quel momento che si era completamente sbagliato, aveva ragione inizialmente lo psicologo, Victor provava qualcosa per Sherlock e lui non se ne era curato.

Sherlock cercò le parole per calmarlo e scusarsi ma sembrava veramente impossibile in quel momento. Victor lo guardava con degli occhi da pazzo e agitava la pistola verso di lui.

- Beh se non posso averti io di certo non ti avrà J... -

Uno proiettile attraversò la finestra del ristorante e colpì Victor ad una spalla, facendolo cadere a terra. Sherlock si precipitò immediatamente a recuperare la pistola mentre la squadra di Scotland Yard entrava nel ristorante.


Angolo autrice:
Ciao a tutti... e ben arrivati ai capitoli finali. Ci siamo quasi per cui allacciate le cinture!!!
Grazie a tutti per essere arrivati fino a qui.
Un bacione


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Capitolo 10
*** Tu hai detto pericoloso ***


Cap. 10 Tu hai detto "pericoloso"


Victor era a terra, ferito gravemente ma non mortalmente. Sherlock conosceva una sola persona che poteva sparare attraverso un vetro e colpire in maniera così precisa. Mentre la squadra di Scotland Yard circondava Victor, il detective non poté non voltarsi a cercare gli occhi blu di John.

- Sei un maledetto idiota, quale parte di "ci vediamo da Lestrade" non ti era chiara? - fece John con espressione incazzata, togliendo la pistola di Victor dalle mani di Sherlock.

- John non è così semplice non è ancora finita -

- Cosa intendi? -

- Sono dovuto venire qui... Christian Trevor tiene in ostaggio Ginny e Mary a casa vostra. Sparerà a chiunque tenti di entrare John -

John sembrò incassare il colpo per un attimo e poi tornò in sé.

- Andiamo allora, cosa stiamo aspettando? - fece John risoluto. Sherlock lo guardò, stupito dalla reazione immediata del capitano Watson.

Sherlock e John corsero fuori seguiti da Lestrade e Donovan che avevano sentito tutto e avevano già allertato le forze speciali. I quattro salirono sulla volante della polizia diretti a casa di John.

 
***** *****


- John io... non so cosa dire - fece Sherlock, seduto sul sedile posteriore a fianco a John.

- Sarebbe la prima volta - rispose John sarcastico, cercando di non pensare che sua figlia era nelle mani di un altro psicopatico.

- Non sto scherzando... mi spiace che il mio stile di vita continui a mettere in pericolo te... e anche la tua famiglia adesso - rispose, facendosi serio come mai lo era stato nella sua vita. Forse non era da lui essere così diretto, dimostrare dispiacere e preoccupazione in maniera esplicita ma era davvero stanco di tutto e non gli importava neanche che Lestrade e Donovan stessero sentendo.

- Sherlock, taci - rispose secco John, con quel tipico sorriso che nascondeva in realtà una tempesta emotiva all'interno. Lo stesso sguardo che gli aveva riservato quando era tornato dopo due anni di silenzio.

- No dico sul serio... da quando mi conosci quante volte per colpa mia hai rischiato di morire? Gli acrobati cinesi, Moriarty che ti ha legato ad una bomba, i sicari americani, il cecchino, gli uomini di Magnussen... - 

- Tu hai detto "pericoloso" e io sono rimasto. E rifarei quella scelta altre mille vite - fece John, quasi incazzato del fatto che Sherlock lo stesse trattando come un cagnolino che gli veniva dietro senza pensare.

Sherlock sembrò cogliere questo pensiero perché allungò le dita per toccare timidamente quelle di John - Non significa che a me non dispiaccia rovinarti la vita -

- Tu sei quello che me l'ha salvata - rispose ancora più scocciato John, non capendo come Sherlock ancora non ci fosse arrivato.

Lestrade e Donovan si scambiarono un'occhiata sottecchi, stupiti e anche un po' imbarazzati dalla conversazione.

- Siamo quasi arrivati, mentre aspettiamo le forse speciali avete un piano? - chiese Greg, interrompendo quel momento di intimità.

- Si, Mary lascia sempre la finestra del bagno aperta. Entrerò da lì - rispose prontamente John.

- Io entrerò da lì, mentre tu starai fuori - ribatté Sherlock

- Scusa? -

- Tu puoi sparare attraverso la finestra con precisione da cecchino come hai già dimostrato, se riesco a farlo spostare davanti alla finestra siamo a posto. Terrò il cellulare acceso con il viva voce, così saprai quando intervenire -

- Sherlock tu sei l'ultima persona che manderei a negoziare con qualcuno sinceramente - intervenne Greg poco convinto.

- Hai idee migliori? Potrebbe perdere la testa non sentendo più Victor -


***** *****

Persero i restanti minuti che li separavano da giungere all'appartamento di John per discutere come risolvere la situazione ma alla fine tutti convennero che l'idea di Sherlock era la migliore, anche se John avrebbe preferito che tutto si svolgesse a parti inverse.

Lestrade si posizionò fuori dalla porta d'ingresso dell'appartamento assieme agli altri agenti che erano accorsi sul posto, Donovan aveva seguito Sherlock sul retro; quest'ultimo si era arrampicato fino alla finestra del bagno, ringraziando che John stava al primo piano e silenziosamente era entrato nell'appartamento.

John stava appostato sul marciapiede con la pistola pronta per sparare attraverso la finestra del soggiorno e il cellulare nell'altra mano per sentire cosa accadeva all'interno.

Sherlock aprì piano la porta del bagno e entrò in soggiorno

- Christian non sparare, so che non sei un assassino - fece subito mentre l'uomo puntava la pistola verso il detective.


- Dov'è Victor? - chiese con una punta di panico.

- Mary stai bene? -

Lei annuì e Sherlock ebbe modo di vedere che la bionda si era nel frattempo liberata dal nastro adesivo che Christian aveva usato per legarle i polsi e stava aspettando solo il momento buono per agire.

- Sto parlando con te...dov'è mio fratello? - chiese Christian alzando la voce.

- Ti aspetta qui fuori, guarda dalla finestra - fece Sherlock sperando che fosse più stupido di quello che credeva. John da fuori trattenne il fiato, sperando anche lui che la cosa fosse così facile da risolvere.

- Mi hai preso per un idiota? -

Sherlock fece una smorfia di insoddisfazione.

- Non ha senso tutto questo capisci? Mary e Ginny non ti hanno fatto niente. Non è come rubare, Christian. So per esperienza che uccidere qualcuno ti cambia per sempre anche se lo ritieni giusto, figurati se lo fai senza motivo. Ti assicuro che il fatto che te l'abbia detto Victor non è un motivo valido. Abbassa la pistola -

Christian sembrò soppesare quelle parole e stava valutando cosa fare abbassando leggermente il braccio; Sherlock lo fissava, pronto a scattare per disarmarlo o fare da scudo alla figlia di John,

- Ok Christian adesso dammi la pistola - ripeté Sherlock con tono più fermo.

Anche Mary continuava a spostare lo sguardo dalla pistola alla culla dove dormiva Ginny. Improvvisamente la mano di Chritian cominciò a tremare, era stato troppo tempo a seguire tutto quello che gli diceva suo fratello e senza Victor si sentiva perso. Non pensava che si sarebbe davvero trovato in quella situazione ma sapeva che se suo fratello aveva messo in atto tutto quel caos era per quel detective e che ora lui stesse in piedi davanti a lui intimandogli di consegnare l'arma era una cosa che non poteva sopportare.

Rialzò il braccio pronto a premere il grilletto, Sherlock fece per buttarsi contro di lui ma Mary fu più veloce e si mise in mezzo tra il detective e il proiettile. Non cadde subito a terra, ebbe il tempo di fissare Christian che indietreggiava disperato verso la finestra urlando. Sherlock la sorresse da dietro facendola distendere mentre le forze l'abbandonavano.

- Sherlock promettimi che penserai a John - fece lei con un filo di voce.

John da fuori aveva sentito la conversazione tra Christian e Sherlock attraverso il cellulare e lo sparo che risuonò in tutto il vicolo gli fece gelare il sangue. Non sapeva se il proiettile aveva centrato qualcuno ma quando vide una sagoma attraverso il vetro e sentì Sherlock gridare "ora John" non esitò nemmeno per un secondo a sparare.

Lestrade, Donovan e tutti gli agenti fecero immediatamente irruzione nell'appartamento dove trovarono Christian Trevor  ferito gravemente e Mary a terra con Sherlock che cercava di rianimarla facendole il massaggio cardiaco.


John arrivò subito dopo e sbiancò nel vedere casa sua schizzata di sangue ovunque con Ginny che piangeva e Sherlock accanto a Mary. Si avvicinò e constatò immediatamente che il proiettile aveva trapassato un'arteria e per sua moglie non c'erano più speranze. Cadde in ginocchio e guardò negli occhi il suo amico che ancora tentava di salvarla - Basta, non respira più - fece spostando le proprie mani su quelle di Sherlock per tranquillizzarlo.

Per un attimo il tempo si fermò, Lestrade fece portare via Christian su una barella e Donovan, in un inaspettato momento di dolcezza, prese in braccio la piccola Ginny che piangeva a dirotto, svegliata dallo sparo e dalle grida. Meccanicamente John e Sherlock si alzarono in piedi mentre Mary veniva portata via dal Coroner; per un attimo John non si ricordò più come si respirava e fu costretto a sedersi su una poltrona mentre Sherlock correva in cucina per prendergli un bicchiere d'acqua.

Tutto sembrava surreale, John non si accorse nemmeno dei poliziotti che gli ripetevano le condoglianze o gli davano pacche sulle spalle, né degli agenti che recintavano la scena del crimine con il nastro giallo; anche Sherlock alla fine aveva deciso di sedersi aspettando che la situazione si calmasse e che gli agenti lasciassero l'appartamento. Non sapeva nemmeno bene cosa dire, non voleva usare quelle frasi fatte che le persone dicevano in casi come quelli, le famose convenzioni sociali che tanto odiava.

- Ragazzi noi andiamo...e vi consiglio di fare altrettanto - fece Lestrade rivolto ad entrambi, visibilmente scosso dalla situazione.

- Grazie Greg - rispose Sherlock, facendo spalancare gli occhi di Lestrade, sconvolto dall'essere chiamato con il nome giusto e dal sentire la parola "grazie". Ma l'ispettore sapeva che Sherlock non era solo un grande uomo, era un brav'uomo ed era certo che lo avesse ampiamente dimostrato.

Gli agenti uscirono dall'appartamento, lasciando solo il rumore delle auto che abbandonavano la via e il respiro leggero di Ginny che nel frattempo si era riaddormentata.

Sherlock fece per aprire la bocca più volte, indeciso su cosa dire.

- Lo so che ti dispiace Sherlock, non occorre che me lo dici, lo vedo - fece John.

- Non so davvero cosa dire se non che mi dispiace - rispose mesto Sherlock, non trattenendo un respiro profondo.

- Non è colpa tua ma dei fratelli Trevor - constatò John, con una punta di amarezza.

- Tu sei finito in mezzo... non è giusto -

- Come ti ho detto prima ho fatto questa scelta tanti anni fa, quando ti ho passato il cellulare e non me ne sono mai pentito - rispose stancamente John.

Non parlarono più per qualche minuto, mentre Sherlock cercava il modo più appropriato per proporgli di venire con Ginny a Baker Street e lasciare quell'appartamento completamente sottosopra, oltre che fonte di un orrendo ricordo mentre John non sapeva cosa pensare di se stesso. Quando aveva sentito lo sparo aveva pensato prima a Sherlock che a Mary e alla fine non si sentiva sottosopra come doveva sentirsi. Era dispiaciuto per Mary, l'aveva scelta, sposata, era la sua compagna ma non era paragonabile al sollievo di sapere Ginny e Sherlock salvi.

Doveva elaborare il lutto, era evidente, lo sapeva benissimo anche lui. Ma ci avrebbe pensato in un altro momento, non mentre doveva trovare la forza di alzarsi e andare avanti.

Sherlock dopo diverse elucubrazioni mentali su tutte le possibili risposte che John avrebbe potuto dare alla sua offerta di venire nel suo appartamento, trattenne il respiro e decise di rischiare  - Vuoi venire a Baker Street? Non potete passare la notte qui - fece buttandola sulla logica.

- Speravo me lo chiedessi -


Angolo autrice:

Non potevo lasciarvi troppi giorni con la suspense ed eccomi qui con un breve aggiornamento..adesso però dovrete attendere una settimana per "la resa dei conti" a Baker Street.

Alla prossima e grazie mille a lettori e recensori vecchi e nuovi, mi rallegrate la giornata.

Un bacione!!



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Capitolo 11
*** Tu ed io contro il resto del Mondo ***


Cap. 11 Tu ed io contro il resto del Mondo


Sherlock e John fecero tutto il tragitto in taxi in silenzio, con il detective che ogni tanto alzava lo sguardo verso John mentre quest'ultimo guardava fuori dal finestrino, tenendo stretta la piccola Ginny.

John ringraziò che la signora Hudson fosse già addormentata perché non avrebbe sopportato domande su cosa era successo e perché era tornato a Baker Street. Soprattutto non sapeva cosa voleva dire "essere tornato": era solo finché non si riprendeva o sarebbe tornata ad essere casa sua?

Entrarono nell'appartamento e John non poté trattenere un sospiro. Si guardò attorno pensando che davvero nessun posto era come Baker Street.

- Tutto bene? - fece Sherlock controllando l'amico.

- Andrà meglio - rispose laconico e si sedette sulla sua poltrona mentre Sherlock continuava ad osservarlo.

 - Puoi sederti Sherlock, non occorre che resti in piedi, sarai stanco anche tu...credo - e sorrise tra se pensando a tutte le volte che si era trovato ad addormentarsi sulla spalla del detective mentre Sherlock era in grado di stare sveglio anche quarantotto ore.

Sherlock fece per aprire bocca più volte, insicuro su quale fosse la cosa più appropriata da dire.

- Pensavo volessi andare a dormire, la tua stanza è a posto, puoi... -

- Non ho sonno - rispose John che contrariamente alla sua affermazione sembrava esausto.

E anche Sherlock si buttò in poltrona, continuando a fissare John.

- Ti sembra il momento di dedurmi? - chiese John fintamente infastidito - Ora che ci penso... hai rimesso la mia poltrona! -

- C'era già quando sei venuto pomeriggio - fece pratico Sherlock.

- Ma non c'era quando ti ho trovato in overdose -

- Beh... forse la terapia è servita - rispose Sherlock ripensando a com'era qualche mese prima, quando non vedeva uno spiraglio di sole nella sua grigia esistenza e a come si sentiva in quel momento. Non si sentiva lontano anni luce da tutto e da tutti, non si sentiva un emarginato come prima dell'arrivo di John.

Sapeva che quando adrenalina e dopamina avrebbero smesso di agire sul suo sistema nervoso avrebbe dovuto digerire tutto quello che era successo nelle ultime ore, ma l'avrebbe fatto in un secondo momento, non mentre John lo fissava con sguardo quasi adorante.

- Sherlock dobbiamo parlare - fece John dolcemente, anche per paura di svegliare la figlia.

- Certo... dimmi -

- Farò come il tuo strambo psicologo, domande dirette : vuoi che io torni a vivere qui? -

- Si - rispose senza esitazione e John sorrise tra sé.

- Ti rendi conto che ci sarà anche Ginny con me, che verrà a vivere qui? -

- Mi sembra ovvio John, è tua figlia, è ovvio che starà con te - rispose brusco, stupito da quella precisazione.

- E tu puoi vivere con una bambina per casa? - incalzò John.

- Certo... poi tu sarai l'unico adulto  - rispose sarcastico.

- Non sto scherzando -

- Si John, ti ho detto di si -

- Bene...avrei altro da chiederti, ma saranno giorni faticosi per cui ora voglio solo stare seduto qui -

Sherlock capì che John si riferiva all'organizzazione del funerale, a tutti i ricordi di Mary che sarebbero inevitabilmente emersi, a Ginny che improvvisamente aveva perso la figura materna. Per  tutte queste ragioni evitò di indagare su cos'altro avesse da chiedere; si alzò, mentre John continuava a vagare con lo sguardo per l'appartamento e si diresse verso la cucina.

- Ti faccio un tea -  esclamò con il bollitore già in mano.

E John pensò che era un evento alquanto raro, soprattutto perché questa volta non avrebbe tentato di avvelenarlo con qualcosa nel tea. Ma in effetti non ne era del tutto sicuro.


***** *****

Una settimana dopo

Mycroft aprì a fatica la porta dell'appartamento di Sherlock, perché uno scatolone o qualcosa di simile ostruiva l'ingresso.

- L'hai messo apposta per non farmi entrare ? - chiese al fratello, guardando l'appartamento nuovamente a soqquadro.

- John sta traslocando, non sapevo una bambina potesse avere tante cose - fece Sherlock perplesso, guardandosi attorno.

- Certo, perché tu invece eri un orfano di Dickens - rispose Mycroft.

- Stai sottintendendo che io sarei stato viziato? -

- Oh no, figurati - rispose sarcastico - Quindi...con John come va? -

- Non siamo riusciti a parlare molto. Sai... il funerale, il trasloco -

- Si certo, ovvio - fece Mycroft non trattenendo una nota di disapprovazione nella voce.

- Mycroft sua moglie è appena morta - rispose Sherlock infastidito.

- Non ho detto niente - fece Mycroft, contento comunque di vedere un netto miglioramento rispetto a quando lo trovava sempre intendo a rotolarsi dal divano alla poltrona in attesa di un caso o di una dose.

Forse, dopotutto, mandarlo in terapia era stata l'idea migliore che avesse avuto per aiutarlo. Ora sperava solo che  lo cose si sbloccassero, che potesse ricominciare con John. Era un po' perplesso all'idea di Sherlock e John con una bambina per casa, in mezzo a criminali e pericoli, ma era sicuro che avrebbero trovato la loro strada.


***** *****


Dopo la visita di suo fratello, Sherlock si era rimesso a spostare gli scatoloni in maniera poco convinta. Oltre a trovarlo oltremodo noioso non sapeva quale dovesse essere il concetto di "ordine" che John voleva dare all'appartamento.

Non era ancora chiaro come e dove sistemare i giocattoli di Ginny, senza contare che Sherlock si trovava spesso a pensare a dove avrebbe dormito la bimba quando sarebbe stata più grande. E questo inevitabilmente gli apriva due possibili visioni del futuro: nella prima Sherlock e John continuavano a vivere come prima del salto dal tetto, con l'aggiunta della figlia di John; nella seconda Ginny aveva la camera di John tutta per sé mentre il padre si era trasferito a dormire con il detective.

Questa seconda prospettiva gli sembrava più rosea e più logica, soprattutto per questioni di spazio, non perché si fosse reso conto di essere perso senza il suo blogger.

- Mmh casa nostra è un casino - affermò John entrando in casa e guardando gli scatoloni sparpagliati nel soggiorno che si aggiungevano al normale caos provocato da Sherlock.

Sherlock ebbe un leggero sussulto sul "nostra".

- La signora Hudson mi ha detto che può guardare Ginny questa sera - continuò John facendo slalom per il soggiorno e raggiungendo la culla.

- Perché? - chiese Sherlock perplesso.

- Perché usciamo, io sono stanco, non abbiamo fatto altro che impacchettare cose, rendere deposizioni a Scotland Yard e ancora impacchettare cose. Ho bisogno di uscire -

- Noi due? - chiese Sherlock preoccupato di aver capito male.

- Si, perché? Vedi Qualcun'altro qui? - rispose John sorridendo, guardando il suo Sherlock stranito e confuso dirigersi verso la sua camera.


***** *****

Sherlock ci mise più del solito a vestirsi. Non sapeva esattamente cosa comportava quella serata fuori, ma voleva essere al meglio. Quando uscì dalla sua camera, perfetto come sempre, sentì nel soggiorno la voce della signora Hudson che chiacchierava con John.

Sherlock sentì solo la fine della conversazione, ma potè distintamente sentire la sua proprietaria dire - Finalmente, era ora! -

Quando entrò nel soggiorno non si aspettava che anche John si fosse messo "in tiro", visto che non abbandonava i suoi maglioni nemmeno quando usciva con una ragazza, ma il suo abbigliamento lo stupiì ancora di più: aveva il maglione della loro prima cena da Angelo.

- Eccolo qui, andiamo? - esclamò John alla vista del detective.

I due andarono assieme fuori da Baker Street e la signora Hudson non potè trattenere un grosso sorriso mentre prendeva in braccio Ginny.

- Visto piccola? alla fine quei due testoni hanno fatto la scelta giusta! -


***** *****

- Angelo niente candela oggi? - chiese John sedendosi al loro solito tavolo.

- Provvedo subito - rispose l'uomo strizzandogli l'occhio.

Sherlock si guardò attorno stupito, era davvero un appuntamento?

- John cosa stai facendo? -

- Non riesci a dedurlo? -

- Ho qualche difficoltà in questo caso -

John sorrise tra sè soddisfatto - Non voglio che finiamo pensionati nel Sussex -

- Scusa? -

- Niente, una cosa che ha detto il Dr. Laurie. Sembra che se non mi faccio avanti io, finirà così -

Le guance di Sherlock si arrossarono un po' e John lo trovò adorabile. Come poteva non essersi mai accorto dei sentimenti di Sherlock per lui? Non era vero, l'aveva capito ma non aveva voluto vederlo. Da quando era tornato era diverso. Sherlock sembrava più umano e l'inaspettata fragilità l'aveva lasciato esposto, rivelando i suoi veri sentimenti.

- Sai per anni ho pensato che tu non provassi certe cose. Perché non me l'hai mai detto? - chiese a bruciapelo.

- Potrei chiederti la stessa cosa - rispose Sherlock strabuzzando gli occhi.

- Tu eri sposato con il tuo lavoro no? -

- Già... e tu fai parte del lavoro John -

Seguì una pausa in cui si guardarono in faccia e scoppiarono a ridere.

- Non ho mai osato dirlo a me stesso...figuriamoci  a te... - riprese John.

- Non lo stiamo ancora dicendo -

- E' vero...siamo due idioti -

Sherlock sorrise - E' perché siamo di nuovo Sherlock e John contro il Mondo... non occorre dire niente -

E in secondo John si gettò su Sherlock catturando le sue labbra con un bacio. Sherlock rimase stupito in un primo momento ma poi si ritrovò a ricambiare istintivamente quell'improvviso contatto, quella sensazione che non aveva mai sentito prima. Aveva baciato Janine, ma  non era la stessa cosa, era stata solo una finzione senza alcun coinvolgimento emotivo.

Se qualcuno glielo avesse chiesto nei giorni successivi non avrebbe saputo dire quanto era durato quel bacio, quanto erano rimasti a cena, come era successo che avevano fatto la strada fino a casa a piedi, con la mano di John che ogni tanto prendeva quella di Sherlock, come erano arrivati fino alla camera di Sherlock e avevano deciso di dividere castamente, almeno per il momento, il letto.

Evidentemente anche le sue straordinarie capacità mentali ogni tanto si prendevano un periodo di relax, lasciando che Sherlock si godesse i momenti importanti della sua vita.


***** *****

- La vedo turbato - affermò Sherlock entrando per l'ultima volta nello studio del dott. Laurie.

Lo psicologo distolse lo sguardo dagli appunti e si tolse gli occhiali.

- Avrei bisogno di ferie, sa un mio paziente ha sparato alla moglie del migliore amico di un altro mio paziente - rispose ironico.

- Non la facevo così sentimentale -

Restarono a fissarsi, Sherlock sembrava molto più rilassato rispetto alle prime sedute e il dottore non poté che sorridere dei piccoli ma enormi passi avanti che il detective aveva compiuto

- Ho sbagliato con Christian - affermò mesto.

- Anche su Victor... provava qualcosa per me - rincarò debolmente Sherlock. Il senso di colpa non era una cosa che gli apparteneva ma negli ultimi tempi sembrava saltare fuori spesso, nei meandri della sua mente.

- Non amore sig. Holmes: fissazione, ossessione... ma quello non era amore, non confonda le cose -

Si guardarono di nuovo, Sherlock sorrise ripensando a una cosa buffa che era successa la mattina, con John che tentava di preparare un omogeneizzato.

- Novità? - chiese il dott. Laurie, esaminando meglio il suo paziente.

- A quanto pare non finirò a fare il pensionato nel Sussex - rispose inarcando un sopracciglio.

- Mi fa piacere sentirlo. Come stanno andando le cose? -

- Bè è tutto nuovo e anche strano... ma è anche così... -

- Normale? Naturale? Talmente naturale che era ora accadesse? -

- Sono anch'io così fastidioso quando deduco gli altri? - chiese caustico Sherlock.

- Con Ginny? - riprese il dottore.

- Bene, è molto sveglia -

Il dott. Laurie gli lanciò uno sguardo che significava "credevo avessimo fatto passi avanti sull'aprirsi ai sentimenti".

- Uff... va bene sono contento che John abbia una figlia perché non immagino persona migliore a fare il padre e io... bè imparerò a fare il genitore. -

- Meglio.. - convenne lo psicologo. Non pretendeva di certo che il suo paziente snaturasse completamente il suo carattere, voleva solo che vivesse meglio con se stesso.

Il cellulare di Sherlock squillò all'arrivo di un nuovo sms. Sherlock lo estrasse dalla tasca e sfoggiò la sua migliore espressione da "il gioco è iniziato"

- Un caso? - chiese curioso il dott. Laurie.

- Lestrade ha bisogno di me e John...spero che la signora Hudson sia libera per tenere Ginny -

Il dott. Laurie rise, immaginando che la piccola sarebbe diventata o una geniale pestifera o l'adulta in mezzo a due bambini.

- Ho perso il conto delle sedute, ma ne avremo fatte dieci no? - chiese Sherlock con noncuranza.

- Non finga di essere venuto qui solo perché glielo ha imposto suo fratello - rispose il dottore alzandosi in piedi per stringergli la mano.

Sherlock ricambiò la stretta e si diresse di gran passo verso la porta. Prima di uscire si voltò verso il dottore, conscio che senza di lui non avrebbe superato tutti quei mesi e con grande fatica mise insieme due parole di fila.

- Grazie.... David -

- Arrivederci, Sherlock -

The end

Angolo autrice

Aiuto...spero vi sia piaciuta. Concludere è sempre un dramma, è bello sapere sempre di avere un altro capitolo per rimediare se qualcosa non funziona, invece qui o vi piace oppure no. Confido nella prima.

Un mega grazie a chi ha letto, salvato nei preferiti e nelle storie da ricordare e seguiti!!! Un grazie particolare a Lacri1508, Xaki e pamdl, fedeli recensori e a Daniela93, MrsKarev, Shirein, The Mystic Saga, skinplease, greeneyes99 che mi hanno tenuto compagnia con i loro commenti.

Un bacione!!!


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Capitolo 12
*** Epilogo ***


Angolo autrice

Epilogo bonus... perché il setlock mi ha colpito e non mi sono mai cimentata con la parentlock.
Ammetto di riporre un'ingenua fiducia nella coppia Moffat-Gatiss, se così non fosse volevo almeno mettere su fanfiction la speranza che la quarta stagione ci dia qualche gioia. E poi, di tutte le long che ho scritto, questa resta la mia preferita e mi è sempre sembrato di non averle dato un finale.
Grazie a tutti quelli che leggeranno.


Epilogo


Sherlock si svegliò attorno alle 7 del mattino, un vero record rispetto alle ultime settimane; da quando John era tornato a Baker Street, dopo la morte di Mary, portandosi dietro quel piccolo fagottino che era la figlia, non erano riusciti a dormire più di quattro ore per notte. Un po' perché continuavano ad avere incubi, un po' perché la bambina si svegliava ogni due ore, piangendo e reclamando tutte le attenzioni dei due.

John era ancora profondamente addormentato; Sherlock non riusciva ancora a credere che fosse lì, che dividessero il letto e la vita. Spesso si incantava a guardarlo, cosa che stupiva soprattutto se stesso; non si era mai distratto tanto come da quando stava con John. La cosa lo sbalordiva e gli faceva ancora più ridere che John fosse a sua volta sorpreso da tanto interesse, tra i due non si sentiva il bello della coppia.

Ma per il detective, John era perfetto così com'era: i suoi capelli brizzolati, i suoi maglioni rassicuranti, il tono perentorio da capitano che lo richiamava all'ordine. Ultimamente lo sentiva sempre più spesso, dato che John non era sempre d'accordo con i suoi modi di intrattenere la figlia.

Decise di lasciarlo riposare, se lo meritava dopo tutto quello che era successo e andò a vedere cosa combinava la piccola. Ovviamente era già sveglia e quando vide il detective cacciò un urletto. Lui la prese in braccio prima che svegliasse l'intero quartiere e la portò in cucina per la colazione, o almeno per tentare di fargliela fare.


Nell'appartamento c'era sempre stato caos, ma nessun caos poteva battere quello di una neonata. Sherlock non ne aveva idea, ogni tanto la fissava chiedendosi come un esserino così piccolo potesse portare tanto scompiglio.

Senza neanche accorgersene erano già passati quattro mesi da quando il fratello di Victor aveva sparato a Mary, John era tornato a Baker Street e avevano iniziato una nuova vita insieme. A volte gli sembrava talmente strano, che temeva di essere perso in un trip infinito e che da un momento all'altro si sarebbe svegliato in ospedale, nuovamente solo e senza John.

La bimba richiamò la sua attenzione con un acuto e Sherlock fu sempre più convinto che l'avrebbe indirizzata verso la carriera di soprano. In effetti, quando iniziava a piangere e nessuno dei due capiva quale fosse il motivo (fame? mal di pancia?), l'unica soluzione era l'arrivo di Sherlock con il violino. Da lì la ferma decisione del detective che avrebbe frequentato un corso di musica. A John sembrava più che prematuro, dato che ancora non parlava, ma non sembrava un punto su cui si potesse contraddire il detective.

La verità era che ogni volta che la bambina strepitava, Sherlock temeva fosse per mancanza della mamma e si sentiva ancora più in colpa per quello che era successo; un giorno avrebbe dovuto spiegare alla bimba che la madre era morta perché l'ennesimo psicopatico lo aveva preso di mira e la famiglia Watson ne era rimasta in mezzo. Ma per il momento ringraziava che questa conversazione non sarebbe avvenuta prima di qualche anno.

Tentò di darle l'omogeneizzato, ma lei gli lanciò lo stesso sguardo di quando, per le vaccinazioni di rito, era stata punta con l'ago della siringa. Un misto di "perché mi stai facendo questo" e "mi vendicherò non facendovi dormire". O almeno, questo era quello che vedeva lui, secondo John aveva troppa fantasia.

John stava continuando a dormire profondamente, per cui il detective decise di portare la bimba a prendere aria. Quando c'era sole a Londra, bisognava approfittarne.

Quello che non sapeva, era il fatto che un uomo che spingeva una carrozzella con dentro un neonato, era praticamente una calamita per ogni donna single e anche per quelle sposate. Dovette evitare un sacco di "ma che bella bambina" e non scoppiare a ridere o dare dell'idiota a quelle che affermavano "è uguale a suo padre", intendendo lui. All'ennesimo "è bella come il papà" optò per un - Si, John è davvero bello - che parve zittire la maggior parte di loro.

John si svegliò di soprassalto qualche ora dopo, aveva come una strana sensazione. Si girò nel letto ma Sherlock non c'era. Guardò la sveglia, erano già le 10 del mattino; cominciò a credere che stesse ancora sognando, era da mesi che non dormiva tanto.

Nonostante l'incredulità dovette ammettere che erano davvero le 10 ed era riuscito a dormire per ben dodici ore. Il fatto che Sherlock non fosse a letto e la bambina fosse così zitta cominciò a preoccuparlo; il detective si era dimostrato incredibilmente paziente con la piccola ma negli ultimi giorni la mancanza di sonno aveva avuto ripercussioni anche su di lui, al punto che Lestrade aveva dovuto telefonare a John perché venisse a recuperare Sherlock a Scotland yard, dato che si era addormentato sulla scrivania di Sally.

Il ché, in realtà, era stato piuttosto divertente.

Entrò in cucina, dove c'erano gli evidenti segni di un tentativo di colazione, che Ginny doveva aver rifiutato visto che c'era omogeneizzato sparso dappertutto. Rise forte, proprio nel momento in cui entrava la signora Hudson, che guardò  l'appartamento sconsolata - Ragazzi, sembra sia passato un uragano -

- Che ha l'aspetto di mia figlia signora Hudson -

- Mi sembra più una scusa per non pulire, in realtà - rispose lei, scuotendo la testa - Come vanno comunque le cose tra voi ?-

John sorrise fra sé - Bene, sembra quasi che non siano passati anni da quella prima cena da Angelo. E' davvero strano in realtà -

- La vita è un gran casino John - sentenziò la signora Hudson - Un giorno cerchi un appartamento per restare a Londra e quello dopo hai una figlia e un compagno che si comporta come un adolescente -

- Le prometto che metteremo a posto. O accetteremo quell'offerta di Mycroft, di far intervenire un'impresa di pulizie. Ha idea di dove siano Sherlock e Ginny comunque? -

- Sono usciti un'ora fa -

John temette che l'avesse portata sulla scena di un crimine, per cui  fece per telefonargli, quando sentì il rumore di passi sulle scale e intuì che il giro per Londra era già finito, probabilmente la figlia doveva essere cambiata e il detective era talmente impacciato nel farlo, che nemmeno ci provava quando non erano a casa.

Quello che non si aspettava era che tornassero con almeno quattro borse appese sulla carrozzella di Ginny, cosa che evidentemente divertiva la piccola, visto che continuava a guardare il movimento oscillante delle borse, quasi rapita.

- Sai che è una carrozzella e non un carrello per la spesa vero? - fece John.

- Buongiorno anche a te -

- Cos'è tutta quella roba? -

- Niente, ho pensato che era tempo di shopping -

- Perché? Ha già abbastanza vestiti -

- John, onestamente, ok che è una femmina, ma davvero ha bisogno di tutti questi vestitini rosa? -

La piccola rise, concordava col detective. John le lanciò un'occhiataccia divertita, avrebbe dovuto stare dalla sua parte, non da quella di Sherlock. Invece preferiva ascoltare il detective che parlava di omicidi, piuttosto che lui che le leggeva la storia di cappuccetto rosso. Confidava che fosse perché la voce di Sherlock era decisamente più sexy della sua.

- A che ora ti sei svegliato? - chiese John, cominciando a mettere a posto gli acquisti.

- Le 7. E Ginny stava già per mettersi a strepitare. Credo che le serva un bel caso di omicidio -

- Sherlock! - tuonò il capitano Watson.

- Ve bene, scherzavo - rispose, strizzando l'occhio alla piccola, che continuava a ridere dalla carrozzella - Però, se proprio fossimo in vena, potresti indossare quella specie di marsupio porta neonato e andare a vedere l'ultimo caso di Lestrade. Ti dico solo che qualcuno è stato ucciso con un paletto di legno -

- Come se fosse un vampiro? - rispose John, cercando di tenere un tono neutro, ma sembrava davvero interessato.

- Non è intrigante? - fece il detective, con una punta di speranza che John lo seguisse, anche se significava portare Ginny, dato che la signora Hudson cominciava ad esser troppo stanca per fare la baby-sitter per tante ore.

- Sally dirà che siamo una coppia di psicopatici a portare una bambina sul luogo di un delitto -

- Da quando ci importa cosa dice Sally? Possiamo tenerla in braccio a turno, prima esamino il cadavere io, poi tu -

Ginny sembrò approvare, perché cominciò ad agitarsi ridendo.

John la guardò così allegra e non poté non esserne felice, era vero che dormivano poco e lavoravano ancora meno per starle dietro, ma era davvero felice. Temeva che superato il momento di allegria iniziale, Sherlock si sarebbe stufato di loro e si sentì in colpa per averlo soltanto pensato. Inaspettatamente era davvero dolce con la piccola.

Spesso si sentiva un'idiota per aver nascosto dentro, per tanto tempo, quello che provava per Sherlock;
gli dispiaceva di aver dovuto superare tante peripezie per accorgersene, avrebbe dovuto dirgli tutto tanti anni prima, si sarebbero risparmiati tanta sofferenza. Ma come gli aveva detto la sua terapista, era inutile continuare a sentirsi in colpa per tutto, doveva solo pensare al futuro.

Forse non era sempre tutto perfetto ma era quello che aveva sempre voluto.

 

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