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Lista capitoli: Capitolo 1: *** Capitolo I - Evelyn *** Capitolo 2: *** Capitolo II - Mr. e Mrs. Cleve *** Capitolo 3: *** Capitolo III - Damian *** Capitolo 4: *** Capitolo IV - Zia Libby *** Capitolo 5: *** Capitolo V - Porridge *** Capitolo 6: *** Capitolo VI - Merry *** Capitolo 7: *** Capitolo VII - Brodo Di Pollo *** Capitolo 8: *** Capitolo VIII - Pudding *** Capitolo 9: *** Capitolo IX - Fred *** Capitolo 10: *** Capitolo X - Mele *** Capitolo 11: *** Capitolo XI - Cheesecake *** Capitolo 12: *** Capitolo XII - Tonno, Capperi e Maionese *** Capitolo 13: *** Capitolo XIII - Pretzel *** Capitolo 14: *** Capitolo XIV - Frittata *** Capitolo 15: *** Capitolo XV - Brasato *** Capitolo 16: *** Capitolo XVI - Meringa *** Capitolo 17: *** Capitolo XVII - Capperi *** Capitolo 18: *** Capitolo XIIX - Prosciutto *** Capitolo 19: *** Capitolo XIX - Gelatina, rhum e cavoli *** Capitolo 20: *** Capitolo XX, Parte I - Scones *** Capitolo 21: *** Capitolo XX, Parte II - Fichi secchi *** Capitolo 22: *** Capitolo XX, Parte III - Taralli e vino ***
Bene, qualche informazione per giustificare questa storia.
Sebbene sia ambientata negli anni Cinquanta, non ha particolare attendibilità storica, nè pretende di averla. Ho cercato di rispettare per quanto possibile il contesto - per quanto riguarda nomi di personaggi realmente esistenti, o di film proiettati in quel periodo - ma non c'è stata da parte mia una ricerca particolarmente approfondita.
Ho scelto di ambientare la fic in quest'epoca perchè mi piacciono lo stile, la moda e lo spirito di quel periodo, fondamentalmente; e perchè mi dà modo di creare alcune situazioni specifiche.
Non pretende di essere molto divertente, ma scriverla mi ha distratto dai miei pensieri, e spero che faccia lo stesso con chi la leggerà.
A voi.
... Ah, dimenticavo. L'inizio è un po' piatto, non sono riuscita a fare di meglio anche riscrivendolo infinite volte: ma poi migliora, davvero.
No, dico sul serio.
Dav-ve-ro!
Evelyn Cleve si diresse verso il bagno strascicando i piedi, sfregandosi
con le nocche gli occhi pieni di sonno
Evelyn Cleve si diresse verso il bagno strascicando i piedi,
sfregandosi con le nocche gli occhi pieni di sonno. Guardandosi allo specchio,
si accorse che le pieghe della federa avevano lasciato un negativo del cuscino
in impronte rosse sulla sua guancia.
“Grandioso”, pensò, assonnata. “Sembro un mastino
napoletano.”
Fissò la propria immagine nello specchio con la bocca
semiaperta, e l’espressione intelligente di chi la sera prima ha cenato a
bromuro.
“Per oggi di sicuro non troverò l’uomo della mia vita.”
Sospirò, poi ebbe un’illuminazione.
“A meno che non sia il principe Filippo. Si è sposato la
regina Elisabetta.” Il pensiero la confortò.
Dio salvi la Regina.
Ricominciò ad esaminarsi allo specchio. Sbattè le palpebre e
sorrise, cercando di assumere un’aria seducente.
Aveva un pezzettino di prezzemolo fra i molari.
Se li spulciò con l’unghia dell’indice. Sbavò un po’.
Uff.
Aveva anche un nuovo, grosso foruncolo rosso proprio alla
base del naso.
“Magnifico”, pensò.
“Questo non ce l’ha nemmeno la regina Elisabetta.”
Cominciò a togliersi le forcine dai capelli, sperando
ardentemente che si fossero formate tante raffinate onde piatte, come quelle di
Veronica Lake in Ho sposato una strega.
Qualche volta succede, pensò.
Non spesso, ma succede.
Gettò una per una le mollette dentro un bicchiere in
equilibrio sul lavandino, senza osare guardarsi di nuovo nello specchio. Forse,
pensò ad occhi chiusi, se desidero molto intensamente di avere un aspetto
decente, soltanto per oggi, verrò accontentata. Magari il buon Dio mi premierà
per essere una brava ragazza lavoratrice, e mi concederà un’acconciatura
dignitosa. Solo per oggi.
Quando l’ultima forcina fu tolta, scosse un poco i capelli
con le dita e alzò speranzosa lo sguardo.
Perfetto.
La sua testa sembrava un cavolfiore.
Grazie, buon Dio.
Evelyn sbuffò, affranta, soffiando via una ciocca da davanti
agli occhi.
Un grosso cavolfiore.
A guardarla, si poteva pensare che sulla sua testa fosse
passato un reggimento di tedeschi in marcia.
E non, ci tengo a sottolineare, a piedi.
Sospirando, afferrò una spazzola e tentò di rimediare; dopo
qualche fallimentare tentativo di raccogliere i capelli in un elegante nodo
sulla nuca, li legò come al solito in un paio di trecce, che fermò con due
nastrini di velluto sottratti dal comodino di sua sorella Eleanor.
Se lei avesse tenuto a quei nastri, non li avrebbe lasciati
lì, in bella vista, ragionò Evelyn.
Il significato della parola “cleptomania” le era ignoto. Non
che la cosa la turbasse.
Non essendo riuscita ad aver ragione dei suoi capelli, decise
almeno di trasformare il foruncolo in un neo provocante colorandolo con una
matita nera.
Rientrando nella sua camera, gettò un’occhiata agli abiti
che aveva preparato la sera prima per il viaggio: il vestito azzurro polvere
col colletto tondo, le calze di seta, le scarpette nere col cinturino alla
caviglia; le prime scarpe eleganti che avesse posseduto.
Si infilò l’abito, operazione che si rivelò più complicata
del previsto.
Dopo aver provato un paio di volte di infilarsi l’abito in
un unico, fluido movimento, come aveva visto al cinematografo, si sedette sul
letto ed esaminò l’oggetto in modo analitico.
Aveva tre buchi.
Uno per la testa, due per le braccia.
Ah, uno per le gambe.
Quattro. Già.
Non poteva essere poi così difficile, pensò.
Ci mise venti minuti.
Quando emerse, sudata e ansimante, dal groviglio di stoffa (una manica si ostinava a spuntare, rovesciata, dal colletto), si accorse che il
vestito aveva una pratica chiusura a zip, su un lato.
Perfetto.
Aveva un braccio formicolante, e i suoi capelli sembravano
velcro.
In fretta si mise calze e scarpe e in un gran sbattere di tacchi corse
in cucina, a piano terra, dove l’aspettavano due valigi
In fretta si mise calze e scarpe e in un gran sbattere di
tacchi corse in cucina, a piano terra, dove l’aspettavano due valigie marroni.
“Non correre, cara.”, disse una voce gaia.
Si sedette al tavolo di cucina e afferrò un cucchiaio.
“Sì, mamma.”, rispose Evelyn, la bocca piena del porridge
che stava mangiando in piedi, china sulla tazza. Sua madre, occupata ai
fornelli, si sporse all’indietro per darle un bacetto sulla guancia, gonfia di
cibo. Non si accorse nemmeno del nuovo, provocante neo sul labbro superiore
della figlia.
“E siediti mentre mangi, per l’amor del Cielo!”
“Fhì, am’a.”
“Non si parla con la bocca piena”, fece Mrs. Cleve, giuliva,
senza voltarsi, e continuando a rimestare il porridge zuccheroso sul fornello.
Evelyn si sedette sul bordo di una sedia, pronta a scattare
in piedi.
Continuando però ad abbuffarsi senza ritegno.
“Sì, mamma.”
Deglutendo, aveva emesso suono di sturalavandini.
In quel momento, Mr.Cleve mise la testa dentro la cucina e
vide la figlia seduta al tavolo.
Che si abbuffava senza ritegno.
“Evelyn, santiddio, il treno sta per partire!”, disse, in tono vagamente
spazientito.
“Su, su, dolcezza, devi muoverti se vuoi arrivare in tempo.”
“A’ivo, a’ivo”. Evelyn si infilò in bocca un’altra
cucchiaiata di porridge, mentre si alzava in piedi. Nella fretta sbatté il
ginocchio contro l’angolo del tavolo.
A Grace Kelly non capitavano mai cose del genere.
Vero anche che Grace Kelly non s'ingozzava senza ritegno di porridge.
Evelyn sorvolò.
“Maledi’io’e!” borbottò, ruminando i resti della zuppa
d’avena.
“Non imprecare, cara, e non parlare con la bocca piena. Sei
una signorina, adesso.” La richiamò sua madre in tono allegro.
Evelyn si chiedeva a volte come facesse la sua famiglia a
essere sempre così invariabilmente di buon umore, con la guerra appena finita,
e tutto il resto.
“Sì, mamma.”
“George, per l’amor di Dio, lascia mangiare la bambina”,
disse poi Mrs. Cleve al marito, in tono di benevolo rimprovero.
“Ma, Mary, se perde il treno…”
“Il treno aspetterà.”
“Ma, Mary...”
“Beh, non si puo’ certo mandare una ragazzina a fare un
viaggio così lungo senza che abbia fatto colazione. Non so cos’abbiano in testa
quelli delle ferrovie, oggigiorno.”
“Ma, Mary…” George Cleve tentò di protestare, ma la moglie
non lo ascoltava più.
Col consueto tono brioso, stava parlando di nuovo a Evelyn.
“Ecco, cara, tieni, ci ho messo dentro qualcosa da mangiare
durante il viaggio”, diceva infatti Mrs.Cleve alla figlia, porgendole un
sacchetto di carta marrone.
“Mi raccomando, sii gentile con la zia Libby e comportati
bene. E scrivi!” L’ultima parte la dovette urlare, perché Evelyn era già
uscita di corsa con le valigie in mano, mangiando al volo un’ultima cucchiaiata
di porridge.
Si voltò indietro, gettando un’ultima occhiata malinconica
alla cucina.
Sì, lo so, probabilmente avrei dovuto usare il "voi" nei dialoghi, ma dato che siamo in Inghilterra e qui si da del "you" anche alla Regina, ho deciso di usare il "lei" come soluzione di compromesso, giusto per distinguere le conversazioni formali da quelle amichevoli.
Sul treno, Evelyn fantasticava sulla sua nuova vita ad Ashford, con la
zia Libby
Sul treno, Evelyn fantasticava sulla sua nuova vita ad
Ashford, con la zia Libby. Aveva salutato i genitori e le sorelle la sera
prima, e aveva preparato gli abiti e gli oggetti da portarsi dietro: vestiti
robusti, scarpe comode e sciarpe calde, per il nuovo lavoro che l’aspettava.
Era così eccitata!
Avrebbe voluto cantare, ballare, agitarsi sulla poltroncina…
Mangiò un pezzo di torta salata dal sacchetto marrone.
Presto avrebbe guadagnato un po’ di soldi e si sarebbe fatta
una vita nuova; e in un paese così vicino alla capitale!
Evelyn Cleve, la donna lavoratrice, si disse,
compiaciuta, mentre si grattava il foruncolo che prudeva.
No, no: Eve Cleve, l’infaticabile donna lavoratrice.
Eve Cleve.Evelyn ridacchiò fra sé e sè. Faceva rima.
Ridacchiò un altro po’.
Il controllore, che passava in quel momento a obliterare i
biglietti, le lanciò un’occhiata strana.
Evelyn smise di ridere.
Il controllore indietreggiò lentamente, e se ne andò senza
annullare il suo biglietto.
Sorrideva nervosamente.
Evelyn tornò alla sua occupazione.
E.Cleve, la pioniera del lavoro femminile.
Eve, l’eroina delle fabbr…
Mentre era immersa in questo appagante attività, nel suo
scompartimento entrò un giovanotto in divisa.
Evelyn raddrizzò istantaneamente la schiena e accavallò le
gambe; con fare disinvolto, lo sbirciò mentre gettava il suo bagaglio nella
reticella sopra il sedile.
Piegò la testa, allungò le braccia e cercò di assumere una
posa da femme fatale.
Il sacchetto marrone che teneva sulle ginocchia si rovesciò.
A Greta Garbo non sarebbe successo. Probabilmente.
Dal sacchetto uscì una mela, che rotolò per lo
scompartimento fino a fermarsi contro lo stivale dello sconosciuto. Ne uscirono
anche parecchie briciole di torta salata.
Il giovane si chinò a raccogliere la mela, e la porse a
Evelyn con mossa da prestigiatore.
Lasciò dov’erano le briciole di torta salata.
“A lei, signorina.”, le disse con un sorriso accattivante.
Afferrando la mela dalle sue mani, Evelyn sentì le orecchie
bruciare, dal che capì che la sua faccia doveva avere assunto un color
ciclamino.
“Gra…zie tante, Mr.--?”, balbettò Evelyn, fissandolo negli
occhi. Era proprio bello, accidenti!
Il ragazzo si era seduto, e la guardava sempre sorridendo,
in modo vagamente divertito. Aveva grandi occhi azzurri e un paio di baffetti
sottili, alla moda.
“Sono il Caporale Damian McIntire”, si presentò.
Un caporale! Evelyn si sentì riempire di incondizionata
ammirazione.
Non che sapesse che diavolo volesse dire essere un caporale.
Tantomeno che fosse giusto un gradino appena sopra il
soldato semplice.
O che ultimamente facessero caporale chiunque lo chiedesse
‘per favore’.
Suonava importante, però.
Evelyn Cleve, la graziosa accompagnatrice del Caporale
McIntire.
Evelyn diede un’occhiata alle spalline coi gradi.
Lo guardò in viso, con un sorriso estatico, e si accorse che
lui la stava fissando con aria perplessa.
“Evelyn,
uh, Cleve. Piacere.” Si affrettò allora a dire.
Pensò di aggiungere l’infaticabile donna lavoratrice,
poi lasciò perdere.
“Piacere mio, Miss Cleve.” Si strinsero cerimoniosamente la
mano.
Evelyn tentò di prendere una posa naturale. La poltroncina
scricchiolò un po’.
Tornò alla posizione originaria.
“Mi dica… Va a Londra, caporale?” chiese, in quella che
sperava fosse una voce sensuale e adulta.
Addentò la mela con fare provocante. Un rivolo di succo appiccicoso
le scivolò dentro la manica.
“No, ad Ashford. Il
mio plotone è a Londra, però.”, disse, orgoglioso.
Evelyn strabuzzò gli occhi. “Davvero?”, squittì.
Coraggioso, oltre che bello, pensò.
Lo immaginò sovrastare un campo di battaglia con le mani sui
fianchi, col mantello che sventolava dietro di lui, illuminato da una luce
divina.
Con solo il mantello.
“Proprio così, signorina. E l’addestramento è duro.” E
dicendo l’ultima frase sollevò la manica sinistra dell’uniforme, mostrando una
candida fasciatura sull’avambraccio.
“Se l’è fatta in battaglia?”, chiese Evelyn, affascinata.
“Beh, non proprio…” disse lui, a disagio.
“Oh?”
“Sono caduto dalla branda perché il mio compagno ha urlato
nel sonno…”,
“Oh.”
“Ma urlava perché il sergente ci spaventa tutti a morte, e
la notte abbiamo gli incubi.”
“Ci credo.”, fece Evelyn, compunta.
Continuando a fissarlo negli occhi, abbassò la mano con la
mela fino a posarla sul bracciolo della poltroncina.
Strofinò il polso contro l’imbottitura, cercando di
asciugare senza farsi notare il succo di mela che era colato nel suo polsino.
Le faceva un solletico maledetto, quella goccia.
“Signorina?”, disse a un tratto McIntire, guardandola con
interesse.
“Sì?”
"Posso dirle una cosa?"
“Sì?”
McIntire si sporse sul sedile.
Evelyn si protese verso di lui.
“Sta sfregando la mela contro il corpetto del suo vestito.”
Evelyn scese dal treno barcollando, con le pesanti valigie in mano
Evelyn scese dal treno barcollando, con le pesanti valigie
in mano. C’era un mucchio di gente, sul marciapiede. Il fischio del vapore che
veniva liberato dagli sfiati quasi la assordò.
Damian McIntire la salutò con la mano, sorridendo, e si
allontanò con il suo bagaglio, scomparendo tra la folla. Evelyn tentò di
ricambiare il saluto senza lasciare la presa sulle valigie.
Con scarso successo.
“Eccoti qui!”, strillò qualcuno, vicinissimo a lei.
Evelyn si girò appena in tempo per vedere la zia Libby farsi
largo fra la folla diretta verso di lei, con un sorriso smagliante. Sgomitava a
tutto spiano.
“Ehi, zia Libby!”, la saluto.
La grassa, allegra, cordiale zia Libby, coi suoi gatti e il
suo circolo di ricamo, le forbici da cucito appese al collo con un nastrino
rosa, le era sempre andata a genio.
A parte la sua mania di chiamare tutti “tesoro”.
E le forbici.
“Te-so-o-o-ro!”, gorgheggiò l’anziana donna, stringendola in
un abbraccio soffocante.
Ecco appunto.
“Come sei cresciuta! Come ti sei fatta grande!”, ripeteva,
dandole un pizzicotto sulla guancia.
“Sì, zia.”
“Che bella ragazza sei diventata. Una vera signorinella!” La
zia continuava a strizzarle affettuosamente le gote fra le dita.
“Sì, zia.”
Evelyn si chiese vagamente se la sua faccia sarebbe tornata
alla forma originaria, dopo.
“Hai con te il tuo bagaglio, cara?”
Il manico delle valigie stava scavando una trincea nelle sue
dita.
“Sì, zia.”
“Brava, la mia ragaz… E questo, cos’è?”, fece la zia, improvvisamente
rabbuiata, guardandole il naso con fare scrutatore.
“Cosa?”
“Questo segnaccio nero che hai sul viso.” Estrasse un
fazzolettino rosa dalla borsetta e ci sputò sopra, poi tentò di pulire con
quello la guancia della nipote. Evelyn si ritrasse, vagamente disgustata.
“Sembra quasi che tu ti sia dipinta un puntino con una di
quelle orribili matite da trucco, e poi te lo sia steso con le dita su tutta la
faccia.” La zia Libby ridacchiò, divertita dall’assurdità della cosa.
Benissimo. Ciao-ciao, neo seducente.
Evelyn frugò nella borsa finchè non trovò uno specchietto e
se lo portò davanti al viso. Un rigo nero lungo tre dita le segnava la guancia,
allungandosi verso l’orecchio.
Artistico.
Grandioso, pensò, mentre si sfregava il viso con le
dita fino a togliere la macchia. Sul treno mi sono grattata e ho sparso il
trucco su tutta la faccia. Grazie al Cielo, non mi ha visto nes…
“Oh, no!”, gemette, con voce talmente sconsolata che zia
Libby si preoccupò.
“Che succede, tesoro?”, chiese, allarmata.
Evelyn chiuse teatralmente gli occhi e appoggiò la fronte
contro la spalla della vecchietta. Il sorriso divertito di McIntire si
ripresentò alla sua mente.
Maledizione.
“Voglio essere sepolta qui”, disse, in tono drammatico.
“Sotto un albero di rose rosse.”
“Su, cara, non dire sciocchezze…”
“Dico sul serio.”
“Ma è impossibile, mia cara. Le rose sono arbusti.”
Evelyn infilò il cucchiaio nel porridge della zia, a occhi chiusi
Evelyn infilò il cucchiaio nel porridge della zia, a occhi
chiusi.
Ci voleva coraggio. Lo lasciò andare.
Deglutì, aprì gli occhi.
Il cucchiaio era rimasto in piedi.
Curioso.
Evelyn rimase vagamente stupita dal fenomeno.
Guardò nella tazza, tenendosi prudentemente a distanza.
La luce entrava, ma non usciva.
Spostò la sedia un po’ più indietro; il porridge aveva la
densità specifica di un buco nero.
Evelyn recuperò il cucchiaio: nell’uscire dalla zuppa, emise
un suono di tappo che salta.
Massa.
Il porridge si richiuse intorno al buco come sabbie mobili,
con rumore di risucchio.
Volume.
Evelyn si fece
ancora più indietro.
Peso specifico.
La fisica non era mai stata il suo forte.
Era il suo primo giorno di lavoro. Non poteva mica uscire di
casa a digiuno: afferrò una focaccina allo sciroppo e le diede un morso. La
pasta le foderò i molari e coibentò il palato; cercò di staccarla con la
lingua, ma lo sciroppo era a presa rapida.
Evelyn guardò di sottecchi la zia Libby che spignattava nel
cucinotto, dandole le spalle.
Cantava i successi di Doris Day in falsetto. Evelyn capì
perché i bicchieri che avevano usato a cena erano tutti incrinati.
Sempre tenendo d’occhi la zia, Evelyn si infilò cautamente
l’indice in bocca e cercò di staccare la focaccina dal molare con l’unghia.
Una signorina non si mette le mani in bocca.
Ma non va nemmeno in giro con una focaccina sul palato.
“Tutto bene, tesoro?”, trillò la zia dalla cucina.
“Sfhughr”, rispose Evelyn, solerte. Un filo di bava le colò
lungo la mano.
Pensò a cosa avrebbe detto il bel caporale se l’avesse vista
in quel momento. Il pensiero le fece emettere un sospiro estatico. Chissà cosa
stava facendo, in quel momento…
Magari stava facendo colazione.
L’immagine di Damian che intingeva un dito nello sciroppo e
poi ci passava sopra la lingua, guardandola fissamente, la fece sbavare ancora
un po’.
Oppure dormiva ancora.
Cercò di scacciare dalla mente Damian sdraiato a stella
marina, coperto di petali di rosa.
O si stava lavando.
Visualizzò Damian uscire dal mare in una conchiglia dorata,
in un tripudio di putti, coperto solo da…
“Evelyn, cara? Va tutto bene?” La zia le stava davanti, e si
asciugava le mani nel grembiule con aria un po’ perplessa.
Evelyn alzò gli occhi e la guardò.
Poi, con grande nonchalanche, si tolse lentamente la
mano dalla bocca. La asciugò in un tovagliolino.
“Benissimo, zia Libby”, disse, composta. Le porse il piatto. “Focaccina?”
Evelyn respirò a fondo, poi spinse la porta d’ingresso dello
stabilimento
Evelyn respirò a fondo, poi spinse la porta d’ingresso dello
stabilimento.
La porta si aprì con scricchiolio sinistro.
Evelyn indietreggiò.
Sentì dei passi di corsa venire verso di lei.
Venire verso di lei di corsa.
“Scusa, zuccherino” Una ragazza la prese per le spalle, la
spostò di lato come se fosse una pastorella di porcellana e corse dentro.
Evelyn fissò allibita la porta che l’altra le aveva lasciato
richiudere sul muso.
Curvò le labbra a formare una piccola “o”.
La porta di riaprì all’improvviso.
“Yipe!”, gridò Evelyn, facendo un salto indietro.
“Yipe!”, gridò la ragazza, facendo un salto indietro.
Si guardarono.
“Dai, entra”, disse la ragazza, e la prese per un braccio
tirandola dentro la fabbrica.
Evelyn prese in considerazione l’idea di staccarsi a morsi
il braccio, come i coyote quando finiscono nella tagliola, e fuggire lontano
lontano.
Riflettè se la casa di zia Libby potesse considerarsi
abbastanza lontano.
Poi si trovò a fissare in viso la ragazza, che la guardava
come per dire “E allora?”.
Era una giovane donna dal viso pallido e dolce e dai capelli
scuri, con la riga da un lato, raccolti in uno chignon sulla nuca. Sembrava una
Madonna rinascimentale.
Solo che il bandeaux di capelli che le girava intorno
alla fronte era pettinato a onde piatte.
Evelyn la guardò a bocca aperta.
Fangirlò.
O meglio, avrebbe fangirlato, se nel
millenovecentocinquantatrè fossero esistite le fangirl.
Cominciò a sentire il familiare filo di bava formarsi
all’interno del labbro inferiore.
“Er…” disse la ragazza. La guardò di sottecchi.
“Scusami. Uh… Tizia?… Caia?… Sempr…”
“Uh. Scusa. Scusa-scusa. Mi chiamo Evelyn”, rispose Evelyn.
Non un’altra. Proprio Evelyn.
Risucchiò la bava con rumore di scolo del lavandino.
“Sei quella nuova?”
“Uh, credo di sì.”
Si guardarono.
Evelyn diventò color ciclamino.
“Cioè, se per nuova s’intende la nuova lavorante, sì. Voglio
dire, non sono una ragazza nuova. Ho diciassette anni, quindi non si può dire che io sia
nuova; un usato in buone condizioni, diciamo, ma non nuova-nuova, perché se io
dicessi di essere nuova e poi si scoprisse che ho diciassette anni sarebbe una truffa
bella e buona.”
Si impappinò. Si chiese anche se aveva usato tutti i congiuntivi giusti.
La ragazza non disse niente, ma Evelyn vide passare
rapidamente sulla sua fronte le parole luminose “lontano” e “lontano”
Che sono poi una parola sola. “Lontano”.
“Ma non è questo che intendevi, vero? Intendevi se sono
nuova qui. Cioè, sono nuova di questo paese, ma non dell’Inghilterra del
Sud, intendo, non dell’Inghilterra. Insomma, non è che io sia un’emigrante
italiana, o un dissidente irlandese, o sia arrivata qui dalla Siberia nella
stiva di un cargo per sfuggire al terribile regime militare del…”
La ragazza la fissava ora con sguardo perplesso.
Evelyn deglutì.
“Sono quella nuova.”
La ragazza sorrise.
Sembrava una maestra elementare che avesse appena insegnato
a un bambino balbuziente a sillabare “Mississippi”.Missisippi?
Mississipi?Myss…
Sembrava una maestra elementare che avesse appena insegnato
a un bambino balbuziente a sillabare "Ohio."
“Piacere,
Evelyn. Merry.”
Evelyn la guardò.
“...Christmas?”, azzardò. Le sembrava un po' presto.
La ragazza si adombrò di nuovo.
“Merry è il mio nome.”
“Oh.”
“Cioè, sarebbe Mary Rose”, spiegò. “Ma se mi chiami Mary
Rose ti ammazzo. Cioè, non è che ti ammazzo-ammazzo, intendo in senso figurato.
Mi segui?”
Evelyn considerò l’ipotesi di gridare di nuovo “Yipe!” e
scappare veloce come un fulmine.
Che era una metafora. O un’iperbole?
Evelyn considerò l’ipotesi di gridare di nuovo “Yipe!” e
scappare veloce.
“Quel che voglio dire, uh, è che non sono una persona
violenta o che altro, insomma, è una metafora, cioè no, un’iperbole, cioè,
insomma, un modo di dire per dire che non mi piace che mi chiamino…”
La ragazza sospirò.
“Mi chiamo Mary Rose, ma tu puoi chiamarmi Merry.”
Qualche precisazione "storica" a integrazione del capitolo.
La bambola Chatty Cathy ("Caterina Chiacchierina") fu commercializzata nel 1960 come prima bambola parlante, ed ebbe un enorme successo di pubblico. Era bionda, con gli occhi celesti e una boccuccia sorridente dai dentini scoperti, e tirando una cordicella pronunciava 11 frasi preimpostate , fra cui "Raccontami una storia, per favore" e "Mamma, ho fame".
La Nutella venne inventata nel 1960 in Piemonte da Pietro Ferrero, col nome prima di Giandujot, poi di Supercrema.
Il primo personal computer fu inventato nei primi anni del 1960 dall'azienda italiana Olivetti.
Il thermos fu inventato alla fine dell'800 da James Dewar.
Internet venne usato per la prima volta alla fine degli anni Cinquanta dall'ARPA, negli Stati Uniti, ma non fu reso pubblico fino al 1969, quando divenne noto come Telenet.
Il lungometraggio "Dumbo" fu proiettato per la prima volta nel 1940; potete decidere fra due opzioni: se Evelyn l'ha visto, le ha procurato traumi infantili notevoli; se non l'ha visto, allora ha una immaginazione decisamente fervida.
P.S. No, non scrivo un capitolo al giorno; la storia era già stata abbozzata a partire da questa estate, e in parte scritta; per adesso sto solo rivedendo quel che avevo buttato giù, e cercando di migliorare la storia dove non mi convince (cioè quasi ogni riga). I capitoli che verranno, invece, diciamo dal quinto/sesto (compresi) in poi, sono invece materiale nuovo.
P.P.S: dopo lunga e attenta ricerca, ho deciso che si scrive Mississippi.
Evelyn prese posto nella sua postazione, davanti a un paio di centinaia
di spie rosse lampeggianti
Evelyn prese posto nella sua postazione, davanti a un paio
di centinaia di spie rosse lampeggianti.
Si infilò lentamente le cuffie, con un vago senso di
terrore.
Accanto a lei, in una lunga fila, una decina di ragazze
rispondevano al telefono in continuazione, e spostavano spinotti ad una velocità
allarmante.
Dopo un po’ che le fissava, cominciò a vedere spirali rosse
lampeggiare davanti ai suoi occhi, e disporsi in figure geometriche. Vide anche
una parata di elefanti volanti, rossi e luminosi, che comparivano e si dissolvevano come
bolle di sapone.
Se avesse saputo il significato dell’espressione “brutto
viaggio”, probabilmente l’avrebbe usata… Ma per gli allucinogeni si sarebbero
dovuti attendere gli anni novanta.
La parola “centralinista” le aveva sempre evocato l’immagine
di un gruppo di ragazze ridacchianti che ascoltavano le telefonate degli altri,
passandosi una lima sulle unghie.
O mangiando.
Chissà cosa le aveva preparato la zia per pranzo.
Forse rognone. Buono, il rognone.
Si rese conto che stava divagando.
Si voltò verso la donna seduta di fianco a lei.
“Salve”, disse.
“Hm”, rispose quella.
Silenzio.
Evelin si protese un po’ verso di lei. Forse, con le cuffie
addosso, non l’aveva sentita.
“Come va?”
“Hm”
“Sono nuova”, disse, in tono confidenziale.
“Hm-hm.”
Evelyn tornò al suo posto. Le persone di campagna spesso
sono un po’ timide, riflettè.
Guardò la collega di sottecchi. Lei le rivolse uno sguardo
truce.
Evelyn pensò che doveva decisamente migliorare i rapporti
sociali.
Tornò a concentrarsi sulle spie rosse, che occhieggiavano
malignamente.
Trepidante, spinse il tasto che le consentiva di rispondere
alle telefonate.
“Mr. Corcoran, reparto 4C-bis, urgente.”, abbaiò una voce
maschile, rapidissima.
Evelyn sentì le parole “Mr.” e “urgente”, intervallate da un
rumore indistinto, che le suonò vagamente come “Co-cor-bhs”.
“C-come, prego?”, chiese.
“Mrco-cor-bhsurgente”, ripetè la voce al telefono,
irritata.
Cercando disperatamente di scacciare dalla sua testa
l’immagine di una gallina starnazzante (cosa che le fece venir voglia di un
buon brodo di pollo), chiuse gli occhi e, in preda a disperazione, staccò lo
spinotto della comunicazione e lo ricollegò ad un settore a caso.
“Beh, tutti possono sbagliare, la prima volta”, si disse, con filosofia. “La
prossima andrà meglio.”
In capo a un’ora, aveva mandato in tilt quattro sezioni
dell’azienda, messo in comunicazione un caposettore con l’amante di sua moglie,
e rovinato il delicato rapporto di fiducia fra due dirigenti scambiando per
sbaglio la destinazione degli spinotti.
Non era colpa sua, si disse, avvilita, quando vide uno dei
due prendere la porta con una scatola di cartone piena di oggetti personali in
mano; avrebbe dovuto stare più attento a chi stava dall’altro capo del filo,
quando aveva definito il suo capo “quel grasso imbecille, con l’alito che puzza
di cadavere, a cui non affiderei neanche il salvadanaio a forma di maialino di
mia nipote”.
Quando una campanella suonò l’inizio della pausa-pranzo,
Evelyn ne fu enormemente sollevata.
Certo, forse non avrebbe dovuto alzarsi in piedi e gridare
“Al fuoco!”, quando aveva sentito il suono. Le altre, che stavano raccogliendo
le loro borsette e riponendo le cuffie, si erano fermate a guardarla, un po’
perplesse.
Si era rimessa a sedere di scatto, sorridendo nervosamente.
Seduta su una panchina davanti all’edificio, Evelyn addentò
il sandwich che la zia le aveva preparato per il pranzo. Era buono, ma avrebbe
preferito il rognone.
O brodo di pollo.
Riflettè che, forse, il brodo di pollo non avrebbe potuto
avvolgerlo in un tovagliolino e portarselo dietro in un sacchetto di carta.
Evelyn si ripromise di pensare a come risolvere il problema.
“A cosa stai pensando?”, chiese una voce accanto a lei.
Alzando lo sguardo al di sopra del sandwich, Evelyn vide
Merry che la guardava sorridendo, con un tramezzino ammaccato in mano.
“Uh, niente, immaginavo un contenitore a tenuta stagna che
tenga caldo il contenuto anche per qualche ora, magari frapponendo aree di
vuoto con l’esterno per isolare termicamente i liquidi all’interno.”
Merry la guardava, perplessa.
“Un thermos. Vuoi dire un thermos.”
“Oh.” Dannazione. Decise di non parlarle della sua idea di un calcolatore elettronico portatile che fungesse anche da ricevitore per il segnale telefonico. Probabilmente qualcuno l'aveva già inventato.
“Posso sedermi?”, chiese Merry.
Evelyn si scostò per farle posto.
“Cosa mangi?”, chiese alla ragazza.
“Un tramezzino con crema di cacao, latte e nocciole. Èuna farcitura che ho ideato io.”
Che schifo, pensò Evelyn. Cioccolata, latte e
nocciole. Che idea.
“Che bella invenzione, il telefono”, disse, per cambiare
discorso.
“Già. Persone lontane chilometri possono parlare fra loro
come se fossero nella stessa stanza.”
“Io penso”, disse Evelyn, con aria sognante “che un giorno,
oltre alle voci, si potranno trasmettere con lo stesso sistema anche
informazioni, documenti, suoni, perfino immagini, che correranno sui fili sotto
forma di pacchetti di dati, e…”
Merry la fissò. “Stai bene?”
Evelyn si zittì, avvilita. “Benissimo”, pigolò. Addentò il
sandwich.
Hmmm. Maionese.
“Forse il primo giorno di lavoro è stato un po’ pesante, per
te”, la giustificò Merry.
“Uh-hu. Non sono molto brava.” Prese un tono confidenziale
“Ho cercato di fare amicizia con la ragazza di fianco a me, ma credo che sia un
po’ strana.”
“Chi,
Chatty Cathy? La chiamiamo così. Ha sempre voglia di scherzare, quella,
non far caso a lei. E non preoccuparti se all’inizio fai un po’ di confusione.
Il primo giorno di lavoro, io ho passato un caposettore all’amante di sua
moglie, e… Che c’è?”
“Niente”, disse Evelyn, facendosi piccola piccola.
Prima della fine della pausa-pranzo, Evelyn e le altre ragazze furono
distratte da una
Prima della fine della pausa-pranzo, Evelyn e le altre
ragazze furono distratte da una scena inusuale, che ebbe luogo nel cortile dell’azienda. Saltellando e
allungando il collo, per vedere al di sopra delle teste degli impiegati alti,
seguirono con interesse il duello fra il caposettore, che brandiva un righello
di legno con aria minacciosa, e l’amante della moglie, un geometra che roteava
un filo a piombo come una mazza chiodata, e teneva a distanza l’avversario col
cavalletto dello squadro agrimensore.
Si giravano attorno come motociclisti nel cerchio della
morte, e una piccola folla di ragionieri faceva il tifo per l’uno o per
l’altro.
Furono dispersi dall’arrivo del dirigente – quello che non
era stato cacciato – e lo spettacolo terminò bruscamente, ma Evelyn sentì i due
si giurarono vendetta eterna, prima di tornare al lavoro.
Durante il pomeriggio, a Evelyn andò un po’ meglio.
Per lo meno, non ci furono altri matrimoni distrutti dal suo
intervento, e nessun altro minacciò di buttarsi dal cornicione se non lo
avessero riassunto.
Quel pomeriggio, Evelyn riuscì anche a stabilire un contatto
con Chatty Cathy.
Durante un breve intervallo senza telefonate, Evelyn sfilò
di nascosto un involto dalla borsa che teneva sotto la sedia e lo aprì.
Dentro al cartoccio aveva messo un piattino da dolci con una
fetta di pudding.
Nel pudding era immerso un cucchiaino da tè.
La carta da cucina si era attaccata allo strato superiore di
budino.
Evelyn staccò con cura i pezzettini di carta dal dolce, poi
principiò a mettersene in bocca grandi quantitativi.
Il cucchiaino, come le formiche, reggeva fino a dieci volte
il suo peso, col budino che ondeggiava pericolosamente fuori dai bordi
arrotondati.
Nell’atto di infilare un boccone particolarmente imponente
in bocca, Evelyn scorse qualcosa con la coda dell’occhio.
La ragazza accanto a lei la stava guardando in modo strano.
Anzi. La stava guardando in modo molto strano.
Evelyn si chiese vagamente se nei piccoli paesi il
cannibalismo fosse ancora praticato.
Girò lentissimamente la testa verso di lei, senza osare
masticare il boccone di dolce, il cucchiaio a mezz’aria.
Si fissarono per una manciata di secondi; il tempo pareva
congelato intorno a loro.
Il silenzio era tale che Evelyn poteva sentire i peli
crescerle sotto le ascelle.
“Ne ‘uoi un ‘ho?”, disse, infine.
Deglutì rumorosamente.
Hmmm. Uvetta.
Era terrorizzata.
Fissò la collega con lo sguardo della lepre presa al laccio
che sente arrivare il bracconiere.
Improvvisamente, inaspettatamente, la faccia arcigna di
Cathy si distese in un fanciullesco sorriso. Sulle guance le comparvero due
buffe fossette, e mise in mostra un grazioso spazio fra gli incisivi, che le
dava un’aria simpatica.
Anche Evelyn aveva uno spazio fra gli incisivi, ma a lei
dava più un’aria da scoiattolo. Però riusciva ad aprire le noci con i denti.
“Oh, ti ringrazio, cara, come sei gentile!”, disse la
ragazza, in un’amabile voce di contralto.
Evelyn ne fu grandemente stupita. Per riaversi, leccò il
cucchiaino.
Cathy intanto continuava. “Io adoro il pudding fatto in
casa, ne mangerei a tonnellate, ma non lo preparo mai perché sai, il mio
fidanzato non sopporta i canditi, e io non voglio mangiare qualcosa che lui non
può mangiare, anche se in realtà è lui che non lo vuole mangiare, perché
insomma, anche a me non piace molto il roastbeef, però quando lo cucino
per lui lo assaggio, anche se non mi piace, e se solo lui…”
Evelyn la guardava a occhi sbarrati, il cucchiaio
dimenticato in bocca. Che non le dava un’aria intelligente.
Cathy si interruppe, imbarazzata. Diventò color geranio
imperiale.
“Oh, scusa, davvero, perdonami, lo so, parlo troppo, non so
che farci, cioè, lo so, devo stare zitta, come ho fatto stamattina, quando mi
hai salutato, però non mi piace non rispondere alle persone quando mi rivolgono
la parola, non è gentile, cioè, mi fa sembrare scontrosa…” prese fiato “…e io
non sono affatto scontrosa, anzi, sono una persona socievole, almeno credo di
essere socievole, di solito lo sono, ma non quando sono in mezzo a gente che
non conosco, allora divento timida, cioè, più timida di quanto io sia di solito, non che di solito lo sia, insomma, quel che intendo dire è che in compagnia in effetti sono un po’ più timida, ma non timida-timida, solo un po', e - cosa stavo dicendo? Ah, sì, che di solito non sono una persona timida,
anzi, io --”
Si interruppe di nuovo. Fissò Evelyn. Con movimento
meccanico, prese il piattino dalle sue mani.
“Grazie, lo prendo volentieri.”, disse, rigida.
Si voltò di nuovo e cominciò a mangiare il pudding, lo
sguardo fisso davanti a sè.
Evelyn rimase un attimo paralizzata, poi si voltò di nuovo
verso il suo pannello.
Che giornata intensa.
Certo che la gente, ad Ashford, proprio normale non era.
Ringrazio immensamente: Aicha, per essere stata la prima a commentare, e avermi dato una grande, grande soddisfazione. kiara_chan per le parole di lode, che mi hanno fatto gonfiare come un tacchino (per restare in tema di cibo), e incoraggiato a portare avanti questa storia, della quale all'inizio non ero affatto convinta.
e, last but not least, Lallix e cassiana per il loro sostegno, senza il quale avrei deciso di riseppellire la storia nell'hard disk.
Oggi sono prolifica. (O prolissa?) Ben due (2) capitoli.
Piccole precisazioni: Fred Astaire era un attore e ballerino filiforme e agilissimo, celeberrimo a partire dagli anni Trenta per i film danzanti in coppia con Ginger Rogers. Inoltre, Fred il gatto è un tributo alla micia di una mia cara amica, che pesa sul serio sette chili. Il gatto, non l'amica.
I gatti siamesi mangiano davvero la lana. Non si sa perchè. Quando l'ho letto su un libro che parlava di gatti, ho pensato che l'autore fosse scemo. Poi ho adottato una siamese psicopatica, e ora i miei calzini sono pieni di buchi umidicci.
Giunta a casa, Evelyn salutò la zia Libby che trafficava in cucina, e
scavalcò un paio di gatti obesi, acciambellati nel mezzo
Giunta a casa, Evelyn salutò la zia Libby che trafficava in
cucina ("Qui, micio-micio-micio", la sentì gorgheggiare), e scavalcò un paio di gatti obesi, acciambellati al centro del
corridoio. Al suo passaggio, alzarono pigramente la testa e la guardarono, con
i tondi occhi ambrati socchiusi.
Ronfavano come il motore ingolfato di una mietitrebbia.
Si infilò in camera sua, si liberò con un calcio delle
scarpe – aveva i piedi gonfi come due zampogne – e si lasciò cadere supina sul
letto.
“Meee-ow”, fece il letto sotto di lei.
Sospirando, Evelyn si alzò e sloggiò un ennesimo micio
sovrappeso che si era rintanato sotto il copriletto; l’animale si stirò
voluttuosamente sulla pedana, prima di prendere la porta con un rumoroso
sbadiglio.
A Evelyn piacevano i gatti, ma avrebbe voluto avere un po’
di privacy, ogni tanto.
Per esempio, avere un grosso felino striato che ti fissa
mentre ti lavi i denti, appollaiato sul mobiletto dei cosmetici, alla lunga
finiva per stancare. O fare il bagno con un gattino rosso che, in bilico sul
bordo della vasca, allunga la zampina per giocare con la spugna.
E anche trovarsi a fissare un paio di tondi, curiosi occhi
verdi fra i calzini, ogni volta che apriva il cassetto della biancheria,
tendeva a diventare irritante.
Oltretutto, continuava a inciampare su Fred Astaire, il
gatto preferito della zia; si poteva infatti dedurre il grado di predilezione
della zia dallo strato di adipe sulla pancia dei gatti. Fred pesava sette
chili, e si poteva descrivere in un solo modo: quadrato. Bianco, con grosse
chiazze marroni sulla schiena, da lontano sembrava un vitello.
Un vitello sdraiato.
La sua schiena era larga quanto la spalliera di una sedia.
O meglio, Evelyn pensava che le sedie fossero state
acquistate a misura di Fred.
Era vero.
Evelyn si gettò di nuovo sul letto.
Diversamente dal resto della casa, che sembrava in tutto e
per tutto una torta alla meringa –carta da parati color crema a fiorellini rosa
tenue, cuscini rosa, asciugamani e pedane di spugna color cipria nei bagni -,
entrando nella sua camera si poteva pensare di immergersi in un accogliente regno
subacqueo. Il copriletto azzurro si abbinava a cuscini turchesi, abat-jour con
le frange color acquamarina, un gatto bianco e grigio sulla pedana.
Ah, no. Via il gatto.
Evelyn cacciò gentilmente, ma con fermezza, un'altra grassa palla di pelo dalla
stanza.
Dal peso, valutò che doveva essere uno dei favoriti di
Libby.
Si gettò per la terza volta sul letto.
Cominciava a seccarsi.
Pensò alla settimana di lavoro che aveva concluso. Non
c’erano state ulteriori catastrofi, dopo quella prima, disastrosa giornata.
Se si escludono un paio di licenziamenti e la crisi di nervi
di un impiegato che, dopo aver chiesto per cinque volte di essere messo in
comunicazione con la portineria, si era visto rispondere da Mrs. Lovejoy, la
cuoca della mensa aziendale.
Per cinque volte.
Mrs. Lovejoy lo prese per un maniaco, e lo diffidò dal
chiamarla di nuovo.
All’ultima telefonata, il poveretto aveva preso un giorno di
malattia ed era uscito dall’ufficio cantando Daisy, Daisy, give me your
answer, do.
Che per una bizzarra coincidenza era il nome di battesimo di
Mrs. Lovejoy; la donna s’inquietò terribilmente, e andò dritta nell’ufficio del
direttore, chiedendo il licenziamento del brav’uomo, così…
Ma sto divagando.
Insomma, in definitiva, non era andata male.
Evelyn girò la testa e si accorse di una busta affrancata
posata sul comodino.
L’aprì: era della sua famiglia.
Cara Evelyn, diceva,
Mangi abbastanza?
Evelyn sorrise. Questo l’aveva scritto sua madre.
Qui stiamo tutti bene.
Spero che tu ti trovi bene dalla zia. Solo, sta’ attenta
a tutti quei dannati gatti. Soprattutto ai siamesi. Mangiano la lana, sai, e una
volta che ero ospite di zia Libby, uno di loro ha riempito di buchi la mia
sottoveste, e ci ha sbavato disgustosamente sopra.
Hai già trovato qualche nuova amica?
Spero di sì, e spero anche che tu trovi presto un bravo giovanotto
da sposare.
Non per metterti
fretta.
PS: non parlare con la bocca piena.
Cara Evelyn, proseguiva la lettera in una calligrafia
differente,
tua madre e io siamo molto orgogliosi di te.
Non farti licenziare prima di un mese, o perderò la
scommessa che ho fatto con George, sai, il nipote del lattaio. Hai capito di
chi parlo? Quello che ti tirava sempre le trecce a scuola.
Mangi a sufficienza? Ora che lavori, devi nutrirti bene.
P.S: tua madre spera che tu trovi un marito prima
dell’estate. Sta ricamando un corredo di cotone, ma se pensi di sposarti prima,
le posso dire di farlo di flanella.
Cara Evelyn, scriveva poi una mano infantile.
Evelyn sorrise di nuovo. Che cara è stata, Eleanor, a
scrivermi due righe anche lei, pensò, intenerita.
Riguardo al capitolo precedente: non ho nulla contro i gatti... In effetti ne ho cinque, e li adoro. Però so anche che razza di pelosi rompiscatole possano diventare: capricciosi come bambini, invadenti, curiosi e sempre fra i piedi. E hanno sempre fame...!
Sì, la scena è brutalmente tolta da Tre Uomini e una Gamba. Ma che ci volete fare, a Evelyn bisogna spiegare le cose nel suo linguaggio, e quella scena era così adatta...
Quella mattina, quando si svegliò, Evelyn trovò le sue migliori calze
invernali cosparse di buchi tondi, come una fetta di Emm
Quella mattina, quando si svegliò, Evelyn trovò le sue
migliori calze invernali cosparse di buchi tondi, come una fetta di Emmenthal.
Lanciò un’occhiataccia al siamese pasciuto che si faceva le unghie, soddisfatto,
sul suo scendiletto.
Sventolò un calzino umidiccio e mordicchiato. “Sei stato
tu?”, chiese.
Il gatto risucchiò un filo di lana come se fosse uno
spaghetto.
Evelyn alzò gli occhi al cielo. Si trascinò verso il bagno
per lavarsi i denti, e guardandosi allo specchio provò il solito, atavico odio
per i propri capelli. Quel giorno, erano tutti schiacciati da un lato, così che
pareva portasse un colbacco di pelo rossiccio sulle ventitré.
Ma Evelyn aveva altro a cui pensare.
Voleva assolutamente scoprire il motivo per cui gli occhi di
Merry si accendevano talvolta di un bagliore strano; lo stesso scintillìo che
si accendeva nei suoi, quando vedeva una fetta di torta alla crema di zabaione.
Evelyn aveva ipotizzato che fosse fame, una volta che Merry
sembrava fissare con particolare intensità il suo panino imbottito: ma quando
le aveva chiesto se ne voleva un pezzo, lei aveva risposto di no con voce
talmente distante e strascicata, da farle dubitare della sua ipotesi.
Seguendo il suo sguardo, Evelyn aveva visto, oltre la rete
metallica, i ragazzi della scuola superiore locale intenti a fare una pausa nel
cortile.
Molti di loro, aveva notato Evelyn, mangiavano il loro
pranzo togliendolo da cestini portavivande.
Evelyn avrebbe giurato di averne visto uno estrarne una lustra
coscia di pollo e delle patate al forno.
Hmmm. Patate al forno.
Evelyn si era ripromessa di seguire il suo esempio. Col suo
primo stipendio, avrebbe comprato un cestino portavivande.
E delle patate da fare al forno.
Magari anche un pollo.
Ma ora, doveva assolutamente scoprire su chi cadevano le
mire della sua nuova amica.
Appena giunse al lavoro, si mise a studiare Merry, e
continuò con perseveranza a fissarla per tutto il tempo, non prestando la
minima attenzione al suo lavoro. Era così distratta, che diede persino il
permesso a Cathy di mangiare metà della sua porzione di anelli di cipolle,
durante una pausa.
A fine turno, il direttore del settore venne a farle i
complimenti per i progressi che stava facendo.
Non aveva sbagliato nemmeno un collegamento.
Appena potè, Evelyn si sottrasse alle lodi del caposettore,
e andò in fretta a sedersi accanto alla collega.
Merry la accolse con un sospiro. Il suo viso era sempre più
simile a quello di una Maria Maddalena del Correggio, e sembrava dimagrita.
“Non è che ti stai ammalando, vero? Sei così pallida. Mangi
abbastanza?”, le chiese Evelyn, preoccupata.
“Non sono mai stata meglio, è solo che non ho fame.”
Evelyn decise che era davvero il caso di
preoccuparsi.
Quando lei aveva avuto la scarlattina, e giaceva a
letto delirante per la febbre, aveva chiesto con un filo di voce, alla madre
angustiata al suo capezzale, una fetta di arrosto di vitello.
“E allora, cos’è che non va?”
“Nulla”, rispose la ragazza, con un ennesimo, dolce sospiro.
Guardò Evelyn, che la fissava con espressione perplessa.
Merry prese una mela dal suo sacchetto del pranzo, e la
tagliò a metà con un coltellino.
“Vedi le due metà di questa mela?”, chiese all’amica,
cercando di spiegarle come stavano le cose in un linguaggio che lei potesse comprendere.
“Una leggenda narra che, in un tempo lontano, gli uomini
fossero perfetti e completi, così” e unì le due metà a ricomporre la mela.
“Avevano due braccia, due gambe e due teste, ed erano in pace con se stessi. Ma
gli dèi, invidiosi, decisero di separare le due metà.”
Spezzò la mela.
“Le due metà furono disperse nel mondo, e da allora ogni
uomo vaga in cerca della sua metà perduta: perché senza di essa, si sente
vuoto, incompleto.”
Evelyn riflettè.
“Come quando non si ha avuto tempo di far colazione, e a
metà mattina si sente un tremendo buco nello stomaco?”, chiese, cercando di
mostrarsi partecipe.
Merry la guardò, interdetta. “Beh, sì… Più o meno”, rispose,
incerta.
Silenzio.
“La, uhm… La mangi, quella mela? Non ho fatto colazione,
stamattina.”
Merry le lanciò una metà della mela, che l’altra prese al
volo.
“Quel che intendevo dire, è che le persone sono alla ricerca
della loro anima gemella, e quando la trovano, sentono il fortissimo desiderio
di ricongiungersi ad essa.”
“Oh. Intendi dire che le due metà della mela rappresentano
due innamorati, che sentono un’attrazione reciproca perché vedono nell’altro un
completamento di se stessi?”
“Esatto!”
Evelyn deglutì il pezzo di mela che aveva in bocca e la
guardò, stupita.
“Ma io stavo scherzando.”
“Oh.”
Evelyn finì la mela.
“E, uh, chi sarebbe la metà della tua mela?”
Merry diventò rossa come un peperone.
Evelyn cercò di non pensare al pasticcio di melanzane e
peperoni di sua madre.
“Beh, ecco, io…” Indicò, al di là della recinzione, un uomo
alto e dal viso squadrato, pallido, che indossava un pesante cappotto di lana.
“Vedi quel bell'uomo dai capelli scuri... Quello col cappotto nero?”
Evelyn non vedeva nessun bell'uomo, però in effetti c'era una sorta di spaventapasseri magrissimo e dall'aria timida, che indossava un cappotto nero. Lo osservò attentamente.
Le sue guance scarne erano arrossate dal pungente vento
autunnale, come spesso succede a chi ha una carnagione molto chiara, e portava un paio
di occhiali da vista metallici, dalle lenti piccole e rotonde. Aveva folti
capelli scuri, in contrasto con la spessa pelle bianca.
Stava un po’ in disparte, rispetto ai ragazzi, e mangiava
una mela rossa e lucida, che spiccava nelle mani bianche e ossute.
Evelyn valutò che potesse avere una quarantina d’anni.
“Ma proprio un ripetente, dovevi sceglierti?”, disse,
delusa. “Chissà quante volte ha già frequentato la sesta classe!”
Rapidissima, Merry le mollò un secco scappellotto sulla
nuca.
“Ahi!”
“Scema!”, disse, ridacchiando. “Non è uno studente, è un
professore. Mi ha riaccompagnato a casa dal lavoro, qualche volta. Si chiama
Friederich, è venuto qui dalla Germania quando i nazisti gli vietarono di
insegnare all’università.” Merry alzò una mano al livello del suo viso e mosse
le dita verso la figura in nero, che, rientrando nella scuola, si era girato
per un attimo a rivolgerle un timido cenno di saluto.
Evelyn avreppe potuto giurare che stesse quasi ringraziando
i nazisti, per avere costretto l’amico Fritz a trasferirsi.
“Ma è così vecchio!”
“Sì, d’accordo, ma è così simpatico, e galante, e intelligente…”
Merry si infervorò.
Evelyn pensò che lei, lei avrebbe voluto un fidanzato
massiccio e pacifico, non tanto alto, ma roseo e paffuto, come, come…
Per chi mi ha chiesto che fine avesse fatto Damian: tranquilli, ricomparirà fra pochi capitoli, in un doppio, anzi, triplo ruolo: giusto in tempo per confondere terribilmente le idee a Evelyn, creare a Merry un mucchio di problemi, e in generale complicare la vita a tutti. Ma in buona fede, eh? ^_^
Gli ABBA sono un gruppo pop svedese che ha avuto il massimo picco di popolarità negli anni Settanta; sono rimasti famosi anche per il loro look assurdo: stivali trampolati, spalline stra-imbottite, lustrini ovunque e pettinature cotonatissime. Come dire. *Non* erano un simbolo di sobrietà e finezza. XD
Il cheesecake, oltre ad essere un popolare dolce inglese, è una delle mie torte preferite; mi viene anche bene, quando lo preparo; sebbene per ora non lo possa mangiare, visto che devo fare una dieta senza lattosio per risolvere alcuni problemi di salute. Appunto da questa dieta è nata l'idea della storia che state leggendo. Non che a voi importi, se io posso mangiare il cheesecake o no. Ma questo è il mio spazio delle note, e voi ve le dovete sorbire. Ha-ha. *Si frega le mani* Le note mi danno il pooteeere. XD
Evelyn correva verso il suo posto di lavoro, mangiando una ciambella
Evelyn correva come il vento verso il suo posto di lavoro, mangiando una
ciambella alla crema di limone.
Un’altra ragazza si sarebbe preoccupata di spettinarsi, correndo a quel modo, ma
la sua acconciatura non poteva che migliorare.
Arrivò davanti alla porta senza fiato, con la testa che pareva cotonata, gonfia
quanto un dirigibile. Poteva sembrare uno degli ABBA... Se nel millenovecentocinquantatrè si fosse saputo chi erano gli ABBA.
Cercò di appiattirsi quei terribili capelli con la mano,
riuscendo solo a impiastricciarli di zucchero a velo.
Si specchiò nel vetro di una finestra. Sembrava uno stecchino di zucchero filato.
Sbuffò.
Aprì la porta e stava per entrare, quando un suono cristallino
la indusse a voltarsi.
Qualcuno suonava il campanello di una bicicletta, e una
ragazza rideva.
Evelyn vide, sulla strada, arrivare una bicicletta, che
sbandava e zigzagava.
La guidava un ragazzo dalle gambe lunghe.
Sul manubrio stava seduta Merry, in equilibrio precario, che
rideva e si teneva stretta. I capelli le si arricciavano intorno alle tempie
per il vento; teneva la gonna ripiegata sotto le gambe, per non farla finire
nei raggi della ruota anteriore.
Il ciclista suonava il campanello per farla ridere; Evelyn
non riuscì a vederlo bene in viso, perché Merry gli stava proprio davanti.
Gli sembrava di conoscerlo, però.
Quando furono molto vicini, Evelyn si nascose dietro alla
porta, e li spiò da lì.
Nel frattempo, si leccò lo zucchero dalle dita.
Hmmm. Ciambelle.
Doveva ricordarsi di comprarne un’altra, prima di tornare a
casa.
Giusto nel caso in cui il cibo dovesse essere
improvvisamente razionato, e lei e la zia rimanessero senza nulla da mangiare.
Bisogna essere previdenti.
A tale scopo, aveva già riempito il comodino di noccioline
tostate e barrette di cioccolata.
Non per farci qualche spuntino notturno, beninteso.
Nel caso razionassero il cibo.
Tornò a concentrarsi sull’amica e sul suo misterioso
cavaliere. Avevano frenato con grande stridio di gomme, e Merry aveva lanciato un gridolino,
divertita e spaventata per la repentinità con cui si erano fermati. Oscillò: la forza
d’inerzia l’aveva quasi fatta cadere.
Dalla sua postazione, Evelyn riusciva a vedere solo i
capelli folti e scuri del giovane, e la ruota anteriore della bicicletta.
Dannazione.
Non che fosse curiosa. Lo faceva per il suo bene.
Beh. Più o meno.
“Grazie del passaggio”, stava dicendo Merry, con voce
allegra.
Il suo accompagnatore rispose qualcosa a voce bassa, che
Evelyn non riuscì a cogliere.
Merry rise. “Ci vediamo stasera”, disse, a mo’ di saluto.
Evelyn la vide salutare il ragazzo sventolando la mano.
Si affrettò a correre a sedersi alla sua postazione.
Quando Merry entrò, rossa e arruffata, Evelyn cercò di
salutarla con un tono di voce che fosse il più naturale possibile.
“Ciao, Merry”, squittì infatti, diventando tutta rossa e
facendo cadere la borsetta. Voltandosi di scatto verso il pannello, sbattè la
fronte contro il supporto per le cuffie.
“Ahi!”, esclamò.
“Tutto a posto?”, le chiese Merry, spalancando gli occhi.
“Oh, sì, tutto a fusto, oddio, no, volevo dire, bellimbusto,
cioè, intendevo, hai buon gusto, no-no-no, non è questo che volevo
dire…”
Merry la guardava, con l’aria di pensare che la botta in
testa fosse stata più dannosa del previsto.
Evelyn chiuse gli occhi e respirò a fondo.
“Sto bene, grazie”, disse. “Tutto ok.”
“Se lo dici tu”, rispose Merry, dubbiosa. “Durante la
pausa-pranzo ti vorrei parlare di una cosa, se hai un minuto di tempo.”
“Ma certo, volentieri. Sono sempre pronta a parlare delle tue
bravate, uh, no, frenate, cioè, scampanellate, uh, no-o-o!”
Respirò a fondo di nuovo.
“Faccende.” Scandì. "Private."
Sospirò. "Volevo dire, faccende private.
Le tue. Faccende private. Se ti va.”
“Certo”, disse Merry, in tono incerto, le sopracciglia
inarcate. Le lanciò un’occhiata perplessa, mentre si sedeva alla sua
postazione.
Quando suonò la campana del pranzo, Evelyn si sentì prendere
lo stomaco da una sensazione strana. Avvertì come un peso, un senso di
costrizione e insieme di vuoto.
Sembrava che una mano gigantesca le stesse strizzando le
budella.
“Cathy”, chiamò a voce bassa, sporgendosi verso la compagna
che stava estraendo un sandwich dalla borsa.
“Sì, cara?”
“Se una persona prova un bruciore terribile qui”, e indicò
il plesso solare. “E sente come un tremendo vuoto nello stomaco, vuol dire che
è molto nervosa per qualcosa? Per esempio, perché deve parlare ad un’amica a
cui vuole bene, che però ha visto fare qualcosa che non si aspettava di vederle
fare, cioè, non qualcosa di male, solo qualcosa che non immaginava lei facesse,
voglio dire, non che questo qualcosa sia vietato, però non si aspettava che lo
facesse, e insomma, dicevo, non può dirglielo, intendo la persona all’amica,
perché l’amica non sa che lei sa, e se lei sapesse che lei sa, forse si
arrabbierebbe?”
Cathy la fissò.
“No. Vuol dire che non ha fatto colazione.”
“Oh!”, in effetti, quella mattina, Evelyn aveva mangiato
solo una ciambella. Poi, distratta dall’episodio di quella mattina, si era
dimenticata di fare merenda a metà mattina.
Pensò allegramente che, allora, nel sacchetto doveva esserci
ancora una fetta di cheesecake ai mirtilli.
Capitolo 12 *** Capitolo XII - Tonno, Capperi e Maionese ***
kiara_chan: oh, perchè le idee geniali vengono a te e non a me? ç_ç
Damian vestito da ciambella sarebbe stato fantastico! XD
Evelyn raggiunse Merry, che ogni giorno si sedeva più vicino al muretto
di divisione col cortile della scuola
Evelyn raggiunse Merry, che ogni giorno si sedeva più vicino
al muretto di divisione col cortile della scuola.
“Ehi”, la chiamò.
Silenzio.
Le tirò una pallina di mollica tolta dal suo sandwich al
tonno.
Tonno e maionese, in realtà.
E capperi.
E pomodori.
“Uhm… Merry?”, ritentò.
Merry rimase immobile, il naso infilato in una maglia della
rete divisoria, a guardare fissamente dall’altra parte.
“Mary Rose!”
“Yipe!”, gridò Merry, voltandosi di scatto, e scorticandosi
il naso.
"Yipe!", gridò Evelyn, tanto per non essere da meno.
“Oh, ciao,
Evelyn. Mi hai spaventata. Non arrivarmi dietro così, di soppiatto.”
“Non sono arrivata di soppiatto. Ti ho chiamata due volte.”
Evitò di menzionare la pallina di pane.
“Oh. Scusa.”
Evelyn si sedette.
“Volevi parlarmi?”
“Oh. Sì. Certo.”
“E…?”
“E…?”
A Evelyn sembrava di parlare allo specchio. Lo stile
oratorio di Merry stava diventando pericolosamente simile al suo.
A stare con lo zoppo…
“E dunque, di cosa mi volevi parlare?”
“Oh. Già. Del ballo.” Evelyn morse il panino, in attesa. Non
aveva voglia di chiedere ‘Che ballo?’. Pensò che, prima o poi, Merry ci sarebbe
arrivata.
Bisogna avere pazienza, con le persone innamorate,
pensò. Dev’essere un po’ come quando si è malati.
Così fu. Dopo un paio di sospiri e qualche tentativo di
mangiare la sua mela attraverso le maglie della rete, Merry si riscosse e
riprese il filo del discorso.
Buona parte della polpa farinosa della mela era rimasta
appiccicata alla recinzione.
Chissà perché adesso mangia solo mele, si chiese Evelyn, distrattamente.
“Intendo, il ballo di Natale, che si fa ogni anno nella Sala
Grande del Municipio!”, spiegò.
“Ballo?”
“Non dirmi che dalle tue parti non si fa! È l’evento
dell’anno, qui. Tutto il paese sarà presente”, disse, infervorandosi.
“Beh, tranne quelli che saranno a letto col raffreddore, i
bambini piccoli, i vecchi, le infermiere di turno, i pompieri, i…”
“Sì-sì, ho capito”, tagliò corto Evelyn. “E io che c’entro?”
“Beh, io e le ragazze vogliamo che tu venga, naturalmente!”
“Oh”, disse Evelyn, arrossendo di piacere. “Davvero?”
“Ma sicuro. E poi, dovresti aiutarmi…”
“Certo”,
promise Evelyn. “Ehm… Aiutarti a fare cosa?”
“Beh, sai… Vorrei che fosse Friederich a farmi da
cavaliere”, disse Merry, con l’aria di vergognarsi un po’.
Evelyn non vedeva dove stesse il problema.
“Chiediglielo", disse. Le sembrava un'idea ragionevole.
Non così a Merry.
“Non posso!”, fece infatti, scandalizzata. “Penserebbe che
sono interessata a lui!”
“Infatti, è così.”
“Appunto!”
Evelyn non capiva.
“E allora", sospirò "Come pensi di fargli sapere che vuoi che lui ti
inviti al ballo, se non vuoi che lui sappia che tu in effetti vuoi che ti
inviti? E come fa lui a invitarti se non sa che tu vuoi essere invitata da lui, visto che tu non vuoi che lui sappia che tu vuoi essere invitata da lui?”
“È proprio questo il problema!”, gemette Merry, desolata.
“Oh”, disse Evelyn, per la terza o quarta volta quel giorno.
Se ne stettero in
silenzio per un po’, riflettendo.
“Forse potrei chiederglielo io, al posto tuo”, disse infine,
riluttante.
Gli occhi di Merry si illuminarono.
“Oh, davvero? Lo faresti? Sei un’amica, una vera amica,
Evelyn!”
“Però non so come fare…”
“Oh, a quello ho già pensato io”, trillò Merry.
Evelyn avvertì la vaga sensazione che l’amica l’avesse
circuita.
Merry continuò. “Questa sera, quando stacchiamo dal lavoro, tu vieni con me:
di solito Friederich esce pochi minuti dopo, e noi lo aspetteremo sulla strada.
Io ti presenterò a lui e poi me ne andrò a casa per conto mio, e tu rimarrai da
sola con lui.”
Evelyn cominciò a sentire brividi di paura scorrere giù per
la schiena.
Aveva un brutto presentimento. Ma brutto brutto brutto.
“E poi?”
“Beh, lui si offrirà di accompagnarti a casa. E durante il
tragitto tu ti lascerai sfuggire, casualmente, che io sono molto triste per il
fatto di non avere un accompagnatore. Così lui si sentirà obbligato a invitarmi.”
“Ma poverino!” Evelyn era sempre più sconvolta.
“Ma no, che dici! Secondo me, me l’avrebbe chiesto comunque,
è solo che è troppo timido…”
Evelyn dovette riconoscere che Merry probabilmente aveva
ragione: dagli sguardi adoranti che lui le lanciava, si poteva pensare che
avrebbe ballato la rumba in mutande sulla piazza principale, se solo lei glielo
avesse chiesto.
Beh. Se glielo avesse chiesto per favore.
Pur non convinta, Evelyn accettò.
“D’accordo”, disse, a disagio.
“Perfetto!” Merry battè le mani, felice. Il suo acuto
fece impazzire la maionese nel panino di Evelyn. Lei decise allora di chiederle un favore a sua volta.
“Senti, Merry, anche io avrei un problemino…”
“Oh, certo, dimmi pure. Farò tutto quel che vuoi”, modulò Merry, ancora al
settimo cielo.
“Non ho un vestito da mettermi per il ballo”, mormorò Evelyn,
imbarazzata.
“Oh, non preoccuparti per questo. Penseremo a tutto io e Cathy.”
Mi spiace se farò parlare il professore come il cadetto più scemo delle Sturmtruppen, ma non ho particolare dimestichezza col tedesco. E poi, non deve risultare un personaggio serio: sarebbe l'unico del racconto!
Le torte sono invece state assaggiate da me personalmente a Monaco: e la mia bava ricopre ancora, probabilmente, i tavoli di legno della pasticceria bavarese.
kiara_chan: non so da dove venisse originariamente l'espressione ("Bello bello bello..." Anzi. "Brutto brutto brutto"): la uso nel parlato da così tanto tempo che non mi ricordo più a chi l'ho plagiata. Considerando però che Aldo, Giovanni e Giacomo mi piacciono un sacco, è mooolto probabile che i plagiati siano loro! XD (Ah! Aldo-Hubert!)
Mi scuso fin d'ora per lo spudoratissimo plagio di Sensualità A Corte, omaggio ad una mia amica e ad una battuta ormai storica fra noi, che vi sfido ad individuare. P.S: sarò brava? Ora vi inserisco anche i giochini multimediali nella storia: "Trova La Battuta Di Jean-Claude" e "Indovina Il Ciclista Misterioso". Nel prossimo capitolo, "Realizza A Casa Tua Lo Stinco Arrosto Con Patate" e "Costruisci Il Tuo Vestito Per Il Ballo Con Il Semplice Modello Di Carta Scaricabile Da EFP".
Evelyn trotterellò senza entusiasmo dietro a Merry, che invece
saltellava come un capriolo
Evelyn trotterellò senza entusiasmo dietro a Merry, che
invece saltellava come un capriolo.
“Su, su, muoviti, Fritz sarà già là che mi aspetta”,
gorgheggiò a Evelyn. I cui presentimenti si fecero ancora più lugubri.
Un gatto nero attraversò loro la strada.
“Yipe!”,
gridò Evelyn.
Il gatto scappò.
“Che c’è?”, domandò Merry, che probabilmente, il gatto,
l’aveva visto rosa. Cioè. Rosa come tutto il resto.
“Niente”, mugugnò Evelyn, sempre più mogia.
A un tratto, Merry si alzò sulla punta delle scarpette e
agitò la mano.
“Frieeee-deriiich!”, trillò, la voce in falsetto.
Quando pronunciò la ‘i’, un paio di pipistrelli persero il
senso dell’orientamento e cozzarono l’uno contro l’altro, con suono di ombrello
che si apre.
Un uomo in fondo alla strada rispose timidamente con la mano
al saluto. Evelyn poteva vadere, anche a quella distanza, la sua faccia
illuminarsi come un semaforo.
Un semaforo rosso.
“Mar-rey Rose”, chiamò, con voce straordinariamente
gradevole, nonostante l’accento teutonico.
Merry corse da lui sulle punte dei piedi.
Evelyn si chiese se toccasse terra, fra un balzello e
l’altro.
Immaginò che l’amica facesse una piroetta, appena prima di
fermarsi.
Le scappò un risolino.
“Questa è la mia amica Evelyn Cleve”, stava intanto spiegando Merry, una mano sul braccio del professore.
Il quale piegava la testa e la guardava con l’aria di Colombo quando
scoprì l’America… O per lo meno, l'avrebbe guardata con l'aria di Colombo quando scoprì l'America, se solo Colombo si fosse reso conto di avere scoperto l’America.
Intendo, quando Colombo la scoprì. Cioè non la scoprì, nel senso che non...
Ma sto divagando di nuovo.
“È un crande piacere ko-noscerla, Miss Cleve”, disse
l’uomo, guardandola con gentilezza da dietro le lenti. Sembrava pensare che
Evelyn, per il solo fatto di essere amica di Merry, avesse una sorta di essenza
sovrannaturale nascosta, e la osservava con curiosità.
“Guarda, amico Fritz, tu sembri una brava personcina. Non molto sveglio, ma una brava personcina. Ma se pensi che, per il fatto di essere sua amica, sia segretamente una modella sexy magra ed elegante come lei, caschi male, fratello”, disse Evelyn… O meglio, avrebbe
detto Evelyn, se fosse nata cinquant’anni dopo, nel Bronx, figlia di un poliziotto corrotto e di una casalinga alcolizzata.
Però Evelyn era una ragazzina beneducata del millenovecentocinquantatrè, figlia di un ferroviere con la passione per il giardinaggio e di una cuoca provetta. “Piacere mio, Mr... Mr.--”, disse dunque, guardando supplichevole
Merry. Non aveva idea di quale fosse il suo cognome. Ma Merry pareva impegnata
ad adorare i bottoni del cappotto di lui. Evelyn le allungò una gomitata.
“…Mr…” ripetè, guardandola con intenzione.
“Che c’è?”, chiese Merry, leggermente stizzita per essere
stata interrotta nelle sue pratiche devozionali. “Oh”, fece, in ritardo “Che
sciocca. Evelyn, questi è il professor Friederich Schrödinger”.
Indicò il professore con una curiosa danza del polso. Evelyn
si chiese se avrebbe fatto anchela
riverenza.
“Il piacere è mio, Mr. Scr… Schr… Ssch… Sacharsch..." Risucchiò la saliva in eccesso. "Professore”,
esalò, infine.
Nonostante l’espressione da cucciolo di cane quando guardava
Merry, e il cognome impronunciabile, le stava simpatico.
Un po’ magro, ma simpatico.
“La preco, sig-norina Cleve, mi chiami Friederich”
“Friederich, allora. E lei mi chiami Evelyn, per favore”,
concordò Evelyn. Non senza qualche difficoltà.
Ritenendo di avere assolto ai suoi doveri nella
conversazione, Merry ricominciò a fissarlo devota.
“Ehm… Mi dica, Friederich, che cosa si mangia in Germania di
buono?”, disse Evelyn, nel tentativo di rompere il silenzio imbarazzante.
(Non le veniva in mente altro. Mica poteva mettersi a parlare
di politica internazionale con un profugo del nazismo.
E poi, aveva un vago ricordo di strudel e ciambelle salate…
Come diavolo si chiamavano…?)
Il silenzio, in effetti, era imbarazzante principalmente per lei, dato che i due non parevano accorgersi
di appartenere ad un mondo civile, e tantomeno che Evelyn fosse ancora tra
loro.
Il professore si riscosse dalla sua estasi religiosa e, con
un certo sforzo, riuscì a mettere a fuoco Evelyn. La guardò con espressione
vacua, poi nei suoi occhi passò un lampo di riconoscimento. Probabilmente
dovuto al fatto che gli era stata presentata un minuto e mezzo prima.
“Oh, ma certo, Efelyn. In Cermania si manciano
tante patate e anche tanti wurstel. A Munich, da dofefengo io,
fanno i pretzel, e…”
Pretzel! Ecco come si chiamavano.
Hmmm. Pretzel.
“… Tanti piatti di carne. Personalmente aprezzo
partic-larmente lo stinco arosto con una pella insalata di patate e pancetta,
e…”
Patate e pancetta! Sì, il professore era decisamente
simpatico.
“… Senza dimenticare, naturalmente, i dolci tipici tella mia
zona. Io fato matto per torta di sciokolade coperta di panna e
lamponi tentro la celatina, per non parlare dell’haselnusstorte,
la torta con le nociole, e le fritelle di mele…”
Evelyn cominciò a capire perché a Merry piacesse tanto.
Cominciò anche a sbavare.
Hmmm. Torta di cioccolato coi lamponi. Doppio hmmm.
In quel momento, proprio quando Evelyn cominciava a
divertirsi, si sentì, in lontananza il tintinnio di una campanella. Merry,
Evelyn e il professore si voltarono verso il punto da cui proveniva il suono.
Una bicicletta, la stessa che Evelyn aveva visto quella
mattina, stava risalendo la strada. A bordo, il ragazzo dai capelli scuri, il
viso avvolto in una sciarpa di lana a righe.
“Mer-ryyy!”, chiamò una voce familiare.
Merry si girò verso il professore, che la guardava… E che
teneva la mascella attaccata al resto del viso per pura forza di volontà.
“Beh, io devo andare. A quanto pare, qualcuno mi è venuto a
prendere.”
Sembrava a disagio, ma non sorpresa. Evelyn la guardò
malissimo.
“Uhm… Allora, a domani, Evelyn. Friederich”, disse, a
mo’ di saluto.
“Dai, Merry, muoviti”, disse il ragazzo, che nel frattempo
aveva raggiunto il trio e sembrava impaziente. Mentre Merry prendeva posto sul
manubrio, il giovane si scostò la sciarpa e fece un cenno di saluto verso il professore.
“Salve, Miss Cleve”, fece poi rivolto a Evelyn, con un sorriso.
Detto questo, salutò entrambi con un allegro cenno della
mano e si allontanò pedalando, con Merry appollaiata davanti a lui.
Quella del Dottor Zivago è squallida, lo so. Ma è tardi.
Il gioco multimediale di oggi è: "Scopri Quale Tremendo Casino Combina Evelyn Prima Della Ventesima Riga".
Il premio al vincitore consiste in una torta di cioccolata e lamponi fatta nel 1953.
Evelyn guardò il professore, che cercava di ricomporsi con notevole
sforzo
Evelyn guardò il professore, che cercava di ricomporsi con
notevole sforzo.
“Professor Schrödinger…”, disse, a disagio. Così a disagio
che dimenticò di non saper pronunciare il suo nome.
Avrebbe voluto consolarlo, ma tutto quello a cui riusciva a
pensare era la torta coi lamponi.
Hmmm. Lamponi.
“La riaccompagno a casa, Miss Efelin?”, disse però
lui, d’improvviso. Evelyn fu colta alla sprovvista.
“Uh… Beh, ecco, io…”
“Non posso permetere che una così ciofane e craziosa
sig-norina se ne fata per strata da sola a kuest’ora tella
sera”, ribattè lui, categorico.
“Oh, in questo caso…”, rispose Evelyn, lusingata. Gli porse
il braccio.
Il professore la prese sottobraccio, e insieme si avviarono
verso la casa di zia Libby. Friederich sembrava aver ritrovato la sua
compostezza.
Tranne per un tic nervoso che gli faceva contrarre l’occhio
sinistro in modo, beh… Sinistro.
Non era però molto loquace. Dopo un paio di fallimentari
tentativi di riavviare una conversazione, Evelyn aveva preferito lasciarlo
nello stato di trance in cui si trovava.
Anche se doveva pilotarlo lontano dalle pozzanghere e dalle
buche, perché il pover’uomo aveva lo sguardo talmente fisso e lontano, che non
si accorgeva degli ostacoli sulla sua strada.
Evelyn sentiva i loro passi rimbombarle nelle orecchie.
Sembrava che le foglie sugli alberi si fossero immobilizzate per dare maggiore
risalto al silenzio fra loro.
Stupide foglie, pensò Evelyn.
Però, non poteva biasimarlo. Insomma, che aveva Merry nella
testa? Farsi venire a prendere al lavoro da un giovanotto sconosciuto, proprio davanti agli occhi dell'uomo che amava...!
Cioè, non che fosse proprio sconosciuto. Per il professore sì.
Per Merry no.
Cioè, quando dico sconosciuto, non intendo dire che Merry se ne sia andata via col primo che passava di lì in bicicletta, perchè se così fosse, sarebbe un'incosciente, o una matta, o una ragazza di facili... Ma non voglio andare fuori tema.
E nemmeno per Evelyn, Damian era uno sconosciuto. Altrimenti, non l'avrebbe riconosciuto, perchè non si può riconoscere qualcuno che non si è già conosciuto. O no?
Però, insomma, lo conosceva, è vero, ma per un caso del tutto fortuito. Cioè,
non avrebbe dovuto conoscerlo nemmeno lei, perchè se avesse fatto colazione più in fretta e avesse preso il treno precedente, o l'avesse fatta più lentamente e avesse preso quello successivo, oppure se non l'avesse preso affatto, non
l’avrebbe mai incontrato, dunque era stato un caso assolutamente imprevedibile che loro due si fossero conosciuti - non che lei
lo conoscesse bene, solo di vista, e solo per caso, e non era previsto che loro
due si incontrassero... E certo Merry non lo sapeva, cioè, per lo meno, non era stata lei a pianificarlo, o forse lo sapeva, cioè, di sicuro lo sapeva, perchè Damian l'aveva salutata chiamandola per nome, quindi era ovvio che la conosceva, ma forse Merry non
sapeva che l’aveva conosciuta per caso, quindi si poteva dire che anche per
lei fosse una sorta di…
Ma sto divagando ancora una volta.
Io divago sempre. Mi chiamano il Dottor Divago.
Ma insomma, per tornare a noi, lo scricchiolio ritmato della
ghiaia sotto le loro scarpe stava dando sui nervi alla povera ragazza.
A Evelyn, infatti, ogni passo pareva scandire la parola
“Chiediglielo”.
Passo. Chie. Passo. Di. Passo. Glie.
Passo. Lo.
Chie. Di. Glie. Lo.
Chie. Di. Glie. Lo.
“Va bene, va bene!” disse infine Evelyn.
“Preco?”, fece il professore, perplesso.
“Uh, niente, niente. Lei ha già… Uh, voglio dire, ha già
invitato qualcuno, una persona, cioè, no,intendo, una dama, al ballo di Natale?”
Stava per specificare che non aveva mai pensato lui potesse
invitare un uomo, quando lui rispose.
Friederich la guardò in modo strano. “No, non ho ancora infitato
nessuno. E lei? Qualche brafo ciofanotto le ha cià chiesto di fenire
al pallo con lui?”
“No. Pare che siamo entrambi scompagnati, eh?” Evelyn fece
una risata chioccia.
“Sembra proprio ti sì, Miss Efelin.” Il
professore sembrò in imbarazzo.
“Ora che mi ci fa pensare…”, iniziò Evelyn, pronta a mettere
in atto il piano di Merry.
Ma il professore la interruppe.
“Se nesuno le ha ancora kiesto di antare
al ballo con lui, forse potrei infitarla io, Miss Efelin.”
Oh, no.
No.
No!
Merry mi ucciderà.
Grazie infinite a Lady of Lorien, kiara_chan, suni, crici_82, cassiana, _VioletDay, Viviane Danglars.
Le vostre recensioni sono di gran lunga più divertenti del racconto! Non rubatemi la scena, perdiana! XD
kiara_chan: il modello sarà fornito successivamente (se tutto procede secondo i piani- non quelli di Merry -, fra due capitoli) e descritto con dovizia di particolari da una Merry-sartina-fai-da-te, coadiuvata da una Cathy più chatty del solito. Lady of Lorien: c'è molto di Jean-Claude in Evelyn e Merry. Soprattutto il fatto di essere "non molto sveglia, ma una brava personcina"! XD suni:
Watson:(in tono risentito) Accidenti, Sherlock, lascia provare anche gli altri, una volta tanto! E piantala con quella dannata morfina, che sei peggio del Dr. House!
Holmes: Peggio di chi?
Watson: (fa un gesto infastidito) niente, niente, lascia stare. E togliti quel ridicolo cappellino da caccia!
Due capitolo, no, dico, due capitoli. Vi vizio, o no?
Gioco multimediale del capitolo corrente: "Disegna Gli Abiti Di Merry Senza Chiedere Aiuto A Fred Il Gatto".
Per tacere dell'indovinello, riferito al prossimo capitolo in lavorazione: "Scopri Quali Violenze Dovrà Subire Il Vestito Di Merry Per Poter Diventare Della Taglia Di Evelyn".
“Merry mi ucciderà”, gemette Evelyn, entrando in casa
“Merry mi ucciderà”,
gemette Evelyn, entrando in casa. Chiuse la porta e si lasciò scivolare con la
schiena lungo di essa, fino a sedersi sul pavimento.
“Come dici, cara?”,
chiese zia Libby, spuntando dalla cucina con un grembiulino di sangallo e un
cucchiaio di legno in mano. Evelyn sentì odore di stufato.
“Niente, zia. Che c’è per
cena?”, chiese, tenendo gli occhi chiusi.
“Guanciale brasato al vino
rosso con purè di patate novelle e anelli di cipolle fritte”, rispose la zia, d’un
fiato.
Sempre a occhi chiusi,
Evelyn sorrise.
Hmmm. Brasato.
Merry l’avrebbe uccisa lo
stesso, ma almeno lei avrebbe avuto il brasato nello stomaco. Cara zia Libby, pensò.
“Cara? Non è scomodo,
sedere in quel modo sul pavimento?”, chiese Libby.
“Mi alzo subito, zia”,
rispose Evelyn, diligente. La zia, soddisfatta, scomparve di nuovo in cucina,
sventolando il cucchiaio di legno.
Evelyn sentì che qualcosa
di morbido e voluminoso balzava sulle sue gambe.
“Devo trovare una
soluzione, Fred”, mormorò, grattandogli distrattamente le orecchie.
Il gatto fece le fusa.
“Che dici? Forse è meglio
se chiedo consiglio a qualcuno…”
Fred cominciò a farsi le
unghie sulle sue calze, con suono di grattugia.
Evelyn lo sloggiò dalle
sue ginocchia, con un certo sforzo. Il micio si stiracchiò voluttuosamente e
poi si diresse con passo ondeggiante verso la cucina. La pancia voluminosa rollava e beccheggiava a destra e a sinsitra. Entrò in cucina con un miagolio insistente.
“Vuoi un pezzettino di
brasato, piccolo mio?”, Evelyn sentì dire a Libby, con voce zuccherosa.
Evelyn si trascinò a
tavola con meno entusiasmo del solito. Non chiese nemmeno doppia porzione di
cipolle fritte, e questo denotava quanto fosse sconvolta.
Dopo cena, andò in camera
sua, mogia mogia. Scacciò di malavoglia due gatti tigrati dal copriletto.
Uno di essi si leccava i
baffi, soddisfatto. Evelyn sollevò una calza umida e bucherellata, poi la gettò
da una parte, rassegnata.
Si buttò sul letto,
riflettendo sul da farsi.
Si stava appisolando –
non era mai stata brava a ragionare a lungo – quando sentì squillare il
campanello. Si riscosse: zia Libby non riceveva mai visite di sera.
Tranne il venerdì, quando
giocava a canasta con la moglie del pastore, la vedova Fountain e… ma quel
giorno non era venerdì.
Si avvicinò in punta di
piedi alla porta per sbirciare chi fosse il visitatore… E venne colpita in
pieno dalla porta suddetta, che le venne spalancata sul naso.
“Ahia!”, si lamentò,
massaggiandosi il naso.
“Oh! Scusa, Evelyn, non
volevo”, si dolse Cathy, entrando nella stanza di Evelyn.
Seguita a ruota da un
mucchio di vestiti.
Evelyn guardò meglio.
Ah, ecco. Era Merry che
reggeva un mucchio di vestiti.
Oh, maledizione!
Merry!
Evelyn dimenticò
istantaneamente il dolore al naso. Si chiese come si sarebbe giustificata
davanti a lai di averle soffiato il pretendente. Si chiese anche se avrebbe
dovuto domandarle cosa diavolo ci facesse sulla bicicletta di Damian.
Ma non riuscì a fare
nessuna delle due cose, perché Merry gettò l’involto di abiti vaporosi sul
letto e si sedette.
“Ciao, Evelyn. Siamo
venute a fare le prove del tuo vestito per il ballo”, disse.
Evelyn la guardò,
esterrefatta. “Ma…”, iniziò.
Lo sguardo di Merry la
bloccò. Diceva chiaramente “ne parliamo dopo”. Merry fece un cenno con la testa verso Cathy, impegnata a spostare
al centro della stanza la valigia di Evelyn. “Non lo sa?”, sillabò Evelyn senza
parlare, alle sue spalle. Merry scosse la testa.
“Questi sono vecchi abiti
che erano miei: io ne porterò uno di mia madre, che ho rimodernato proprio per
il ballo.” disse Merry a voce alta, a beneficio di Cathy. “Naturalmente,
nessuna di noi può permettersi un vestito nuovo di zecca, di questi tempi. Però
io so cucire molto bene, e sono sicura che riuscirò a ricavare una toilette elegante per tutte noi”,
Evelyn si chiese cosa
c’entrasse la toilette con l’eleganza. Il bagno della zia Libby era grazioso,
ma da qui a dire che fosse elegante…
“È vero, Evelyn, Merry ha
le mani d’oro, per il cucito”, assentì Cathy. “Pensa che ha modificato un
vecchio abito di mia zia Wanda, un orrore di taffettà rigido, coperto di balze
di tulle, e ne ha ricavato un vestitino delizioso. Lo metterò al ballo. Chissà
cosa riuscirà a fare per te”, continuò, eccitata.
“Vediamo subito” Merry
sollevò un abito azzurro dalla pila sul letto e lo appoggiò al corpo di Evelyn.
“No, proprio no”, disse
subito. Lo scartò e ne prese un altro.
“Che dici di questo?”,
chiese, rivolta a Cathy. Lei lo guardò con aria critica.
“Naah, prova questo qui.”
Prese un vestito di raso lucido, di una tenue sfumatura malva, e lo accostò al
viso di Evelyn.
“No, fa a pugni col
colore dei suoi capelli”, affermò Merry.
Evelyn era terribilmente
confusa. Nubi di tulle le vorticavano davanti agli occhi.
Facendo a pugni coi suoi
capelli.
Si agitò, a disagio.
Merry rovistò ancora fra
gli abiti. Afferrò una spallina verde acqua e tirò, facendo emergere un abito
di un delicato color pastello dal cumulo di stoffa. Cathy lanciò un gridolino.
“Questo sì”, fece Merry,
trionfante.
Cathy battè le mani,
deliziata.
“Oh, quel colore ti sta
d’incanto, Evelyn!”, esclamò.
“Su, provalo”, la
incoraggiò Merry. “Così prendo le misure per metterlo a posto”.
Evelyn esitò.
“Su, avanti!”, esortò
Cathy, che si stava divertendo un mondo.
Mi prostro e chiedo venia per il ritardo nel postare questo: sto studiando biblioteconomia come un'indemoniata, per contendermi con altri 43 candidati assetati di sangue l'unico posto libero da bibliotecaria della provincia. Le selezioni stanno decimando i concorrenti, da 200 e passa siamo rimasti solo noi: e, come nella filastrocca dei dieci poveri negretti, "...alla fine non ne rimarrà nessuno." (Sì, sì, lo so che non vi interessa, ma come al solito queste sono le mie note e bla bla bla ;D). Ma non era di questo che vi volevo parlare, accidenti... Ah, sì, ci sono: questa scena è stata la prima che ho concepito, e ha dato origine a tutta la storia. Nella fattispecie, in questo modo: un pomeriggio d'estate tornavo a casa in macchina da sola, e ascoltavo la radio (che trasmetteva Radio 105 quando facevo i tornanti a destra, Radio Radicale quando facevo quelli a destra, e a scelta 102.5 o Radio Maria quando andavo dritta. Per la cronaca). A un certo punto, una delle stazioni (Radio Radicale?) ha trasmesso la pubblicità di una qualche sartoria locale, e io, ridacchiando da sola nel silenzio delle colline modenesi, mentre visualizzavo una sartina logorroica (i ciclisti si voltavano a guardare dentro l'abitacolo, perplessi), ho immaginato questa scena. (Lo metto in grassetto perchè è un particolare pregnante).
Da essa si è poi sviluppato il resto della trama: il personaggio di Evelyn per primo, poi Merry, la sua controparte chiacchierona, eccetera. Lineare, no?
Comunque. Questa storia sta per giungere al suo climax, miei adoratissimi lettori (adoratissimi perchè recensite positivamente, eh? Mica per altro): ancora pochi capitoli, e tutto finirà nel più inverosimile, balordo e mangereccio dei modi: anche se un po' mi dispiace, visto che mi sono affezionata tanto-tanto ad Evelyn e agli altri.
kiara_chan: non sono tue le difficoltà di comprensione: sono io che dò per scontate cose che non lo sono ç_ç In effetti, quella parte è un po' confusa: fortunatamente, Merry non sa ancora della frittata alle melanzane (Hmmm. Melanzane) e zucchine (Hmmm...) che ha combinato Evelyn. Fortunatamente per lei, s'intende. Ah, mi spiace per la torta, ma quando sono andata a prenderla, ho trovato la scatola aperta, tovagliolini dappertutto e Cathy che si puliva la bocca dalla panna montata, mi guardava e chiedeva "Perchè mi guardi così? Ho fatto qualcosa che non dovevo...?"
E, sì, ci sarà tanta tanta gggelosia e un po' anche di tragedia fra poco, ma... Fra chi?XD Lo scoprirete solo... Pagando le royalties alla sottoscritta. Evelyn si tolse di dosso l’abito che aveva indossato per andare al
lavoro e s’infilò il sogno di tulle color pastello che Merr
Evelyn si tolse di dosso l’abito che aveva indossato per
andare al lavoro e s’infilò il sogno di tulle color pastello che Merry le aveva
dato.
O meglio.
Questo è quello che Evelyn avrebbe voluto fare.
In realtà, la gonna a strati le sommerse il viso, il
corpetto si arenò sulle sue spalle - rifiutandosi di scendere oltre quel
livello - e il nastro di una spallina si attorcigliò fra i suoi capelli.
Evelyn sbuffò, e tentò allora di sfilarsi il vestito: ma quello si
era tenacemente avvinghiato alla sua faccia, e si rifiutò in modo categorico di
lasciarsi rimuovere di lì.
“Evelyn?”, chiamò la voce ovattata di Merry, da fuori. “Hai bisogno
di una mano?”
“Fnho-o”, rispose Evelyn, da sotto le balze di tulle che le
coprivano in viso.
Trattenne il fiato e tirò debolmente il corpetto del vestito
verso il basso.
Era difficile, con le braccia tese sulla testa, e bloccate
da tutta quella stoffa. Cercò di far emergere almeno una mano, ottenendo come
risultato un lieve suono di stoffa che si lacera.
Evelyn si bloccò a metà della manovra. “Uh-oh”, pensò.
Ritentò, più lentamente. Il suono si ripetè. Evelyn desistette, ed espirò
rumorosamente.
“Evelyn?”
Rassegnata, Evelyn balzellò verso la porta e la aprì. Pensò
a come doveva apparire, con la testa avviluppata dal taffettà, le balze di
tulle che le si allargavano intorno ai fianchi e le gambe che spuntavano come
bastoncini dello zucchero filato da sotto, coperte solo da un paio di calze
mangiucchiate.
Con una mano, faticosamente, scostò la stoffa quel tanto che
bastava per emergere con il viso.
“Ho qualche problema col vestito”, disse, avvilita.
“Lo vedo”, rispose Merry, senza scomporsi. “Ma credo che
sarebbe più semplice se tu aprissi questa”, disse, facendo scorrere con
movimento fluido la cerniera lampo laterale. L’abito scivolò senza fatica al
suo posto. A Evelyn sembrò che il tulle gualcito la guardasse da sotto in su
con aria compiaciuta.
Maledette
zip.
Evelyn guardò Merry e ridacchio nervosamente. “Che sciocca
che sono”, disse. “Combino sempre guai, quando faccio le cose da sola. Per
esempio…” Oggi,
invece che procurarti un invito da parte del tuo professore, ho fatto una
tremenda confusione, e adesso sono io la sua dama per il ballo, terminò…
Ma solo mentalmente, perché Merry la interruppe subito.
“Oh, figurati, cara, sono lieta di aiutarti. D’altronde”,
Merry le allungò una gomitata maliziosa “anche tu faresti lo stesso per me”, disse,
in tono confidenziale. Le strizzò l’occhio e ridacchiò. Evelyn cercò di
ridacchiare di rimando, ma le uscì un raglio poco credibile. Avrebbe voluto
sprofondare.
“Su, forza, torniamo in camera tua. Cathy e io prenderemo
qualche misura per mettere a posto il tuo abito per la sera del ballo. Ah,
Evelyn”, disse poi, inarcando un sopracciglio.
Evelyn sbiancò. Ha capito tutto, ha capito tutto e mi ucciderà, pensò,
in preda al panico.
“Ora puoi anche richiuderla, quella zip”, consigliò Merry.
Evelyn si produsse in un altro raglio. Un paio di gatti, che
dormicchiavano nel corridoio, alzarono le orecchie di scatto a quel suono
inquietante, e si allontanarono perplessi.
Non
particolarmente veloci, ma perplessi.
Quando la vide entrare, Cathy lanciò un gridolino e si coprì
la bocca con le mani; Evelyn si chiese se fosse un’esclamazione di ammirazione
o di orrore.
Zampettò verso lo specchio oblungo che stava in un angolo e
si guardò.
Era
un gridolino inorridito, decise.
L’immagine che le rimandò lo specchio era quello di una
meringa verde con la testa.
Anzi. Una grossa meringa verde con la testa arruffata e il corpetto di sghimbescio, che
pendeva miseramente dove avrebbe dovuto aderire e stringeva dove avrebbe dovuto
scivolare.
Maledizione.
Evelyn fece per tornare in bagno e togliersi quell’orrore di
dosso, ma le compagne la fermarono con un placcaggio simultaneo.
“Dove stai andando?”, chiesero, insieme. “Non abbiamo
nemmeno cominciato”, aggiunse Cathy, che la tirò per un braccio verso il centro
della stanza e la fece salire sulla sua valigia, che aveva estratto da sotto il
letto e poggiato sul pavimento.
“Sta’ bella dritta, che dobbiamo imbastire l’orlo della
gonna”, le ingiunse Cathy, inginocchiandosi a terra e cominciando a ripiegare
la stoffa fra le mani.
Evelyn vide, con raccapriccio, che aveva al collo le forbici
della zia Libby, e il suo set da cucito era sparso sul pavimento.
“Tua zia è stata così gentile da prestarci ago e filo. E
forbici, e spilli, e il metro da sarta, e il gesso da stoffe, e spille da
balia, e…” Merry la fissava, un sopracciglio alzato.
“… Beh, insomma, è stata molto gentile”, terminò Cathy, in
fretta. Ricominciò ad accorciare il tulle fra le dita.
“Così può andare?”, chiese a Merry, che si era inginocchiata
accanto a lei e riempita la bocca di spilli.
Merry annuì e fermò il tulle all’altezza che Cathy le stava
indicando con uno spillo; poi entrambe girarono intorno a Evelyn per accorciare
l’abito in modo uniforme.
“Qua bisogna stringere.”
“Metti uno spillo qui”
“No, no, no, aspetta, ora stringe troppo!”
“Ma che dici! Basta scucire questo…”
Evelyn passava lo sguardo dall’una all’altra, nervosamente.
Le pareva che procedessero a caso, e che l’abito diventasse più terribile a
ogni modifica apportata.
“’a ‘herha”, le disse a un tratto Merry, fra gli spilli.
“Cosa?”, chiese Evelyn, appena prima che Merry le infilzasse
il fianco.
“Ahi!”, fece, risentita.
“Scusa”, disse Merry, togliendosi gli spilli dalle labbra.
“Te l’avevo detto, di stare ferma.”
Evelyn sbirciò l’abito in un angolo dello specchio.
Ora era tremendamente rigonfio sulle ginocchia, e
assurdamente stretto in vita: come indossare un imbuto, in pratica. Era anche comodo come un imbuto,
se è per questo.
“Che dici, facciamo una pince qui?”, chiedeva intanto Merry a
Cathy, pinzando il taffettà sul decolleté di Evelyn.
“No, lascialo così com’è. Magari aggiungiamo un’arricciatura
alla fine”, rispose Cathy con aria da esperta, mimando il gesto con le dita.
“Sì, giusto”, assentì Merry, annuendo solennemente con la
testa, accarezzandosi il mento.
In quel momento, zia Libby fece capolino dalla porta.
“Tutto bene, ragazze?”, cinguettò, allegra. “Volete una
tazza di tè?”
Aiuto, gridò
mentalmente Evelyn. Sono nelle mani di due sarte pazze, e quando una di esse saprà che le
ho rubato il cavaliere per il ballo, mi ucciderà con le tue forbici da cucito!
“Oh, Eve-lyn! Quel vestito è davvero un a-mo-re!”, scandì Libby, estasiata.
“Sì, zia”, rispose Evelyn, avvilita.
cassiana: il gambaletto punk mi ha stroncato! XDD Questi gatti, così avant-garde... Flauflay: terrò presente i tuoi suggerimenti: in effetti gli interventi del dottor Div... Er, della voce narrant... Cioè, voglio dire di - di quella cosa che parla in prima persona, e interviene a caso con frasario delirante, cercherò di ridurli: sono il prodotto della mancanza di sonno, e in effetti non è che rendano la storia proprio, ehm, sobria ed elegante! E le ripetizioni... Eh, lo so, lo so, ahimè, sono ripetitiva: io ci provo, a correggermi, ma mi disegnano così! XD Comunque grazie, e, boiate a parte, tenterò, nei prossimi capitoli di questa bizzarra piccola storia, di migliorare i punti dolenti (e di non mettere trecento virgole in un solo intervento, come sopra)! Sophonisba: il professore tedesco di nome Friederich Bhae... Er, Schrodinger, volevo dire Schrodinger, timido, gentile e un po' tonto *non* è ripreso pari-pari da Piccole Donne! No-no-no! Infatti *non* ho passato l'infanzia innamorata pazza di lui, naaah, che idea ridicola. Cosa mai te lo avrà fatto pensare? *assume un'aria innocente che non convincerebbe neanche sua nonna, e fischietta con nonchalance*
E, sì, Damian è decisamente un uomo-mito!XD
Ma tu lo sai, che le tue recensioni mi fanno inorgoglire più di Jean-Claude quando Renato lo chiama "mozzarellina saporosa", sì?
La nostra, ehm, eroina, è davvero in una brutta situazione. Ma brutta brutta brutta, eh?
Voglio rendere Voi, miei adorati lettori, partecipi di una buffa coincidenza. Come al solito, queste sono le mie note e qui posso esternare tutta una serie di cose inutili che non vi interessano affatto, in perfetta impunità.
Dunque. Dovete sapere che da un po' frequento con un'amica un corso di tango argentino (e per prevenire i vostri commenti: sì, il martedì sera non ho proprio niente di meglio da fare XDD). Beh, si da il caso che l'associazione che promuove quel corso - e altri dello stesso genere, abbia organizzato a beneficio dei propri alunni un Gran Ballo di Natale! E che io, come membro del corpo di ballo (ah-ha), sia tenuta a partecipare! Certo, probabilmente si svolgerà nella sede polverosa della Pro Loco locale, addobbata con due ghirlande di carta e un po' di punch analcolico e castagne arrosto come buffet, o magari nella vecchia palestra delle scuole medie, non certo al Plaza, però, dai... Più Evelynesco di così!
Durante la pausa del mattino, Evelyn era molto combattuta
Durante la pausa del mattino, Evelyn era molto combattuta.
Da una parte, sapeva che doveva dire a Merry quel che aveva
combinato.
Dall’altra, l’idea di vivere ancora qualche anno non le
dispiaceva affatto.
Si avvicinò lentamente alla panchina dove Merry mangiava la
solita mela. Diede un morso al sandwich con l’arrosto di vitello e salsa
tonnata che aveva in mano, per darsi coraggio.
Hmmm. Salsa tonnata.
“Merry?”
“Shhhh”, la zittì Merry, senza voltarsi, gesticolando con
una mano per zittirla..
Era impegnata ad ascoltare quel che il professore diceva ad
un ragazzo dai calzoni corti, al di là della recinzione.
Oh,
be’.
Evelyn decise di ritentare più tardi. La sua esecuzione era
rimandata di qualche minuto.
Gironzolò per il cortile, mangiucchiando i resti della
focaccina.
“Evelyn! Vieni a sederti qui!”
Si voltò: Cathy le stava sorridendo, seduta sopra il
muretto, e le faceva cenno con la mano di sedersi accanto a lei.
Evelyn la raggiunse e si sedette con aria mogia accanto a
lei.
“Beh? Come procede il tuo abito per il ballo?”
Evelyn fece spallucce.
“Come? Non le hai chiesto nulla? Pensavo vi foste parlate…”
Cathy la guardò. “C’è qualcosa che non va?”, chiese, inquisitoria.
“Beh… Ecco, io… Ho combinato un gran pasticcio”, sbottò
Evelyn, e poi, dato che ormai il danno era fatto, le disse tutto, felice di
potersi finalmente liberata di quel peso. Era talmente ansiosa di confidarsi
con qualcuno che, una volta cominciato a parlare, non si fermò neanche un
secondo per respirare.
“Merry mi ha chiesto di chiedere al professore di chiederle
di andare al ballo con lei ma senza che lui sapesse che lei sapeva che lui
sapesse che gliel’avevo chiesto, ma poi mentre io stavo per chiedergli che lui
chiedesse a Merry quello che doveva chiederle è arrivato quel ragazzo e l’ha
portata a casa sulla sua bicicletta e quando il professore l’ha visto c’è
rimasto malissimo e poi mi ha accompagnato a casa ed è inciampato tre volkte e
ha messo i piedi in una pozzanghera e le foglie stavano zitte e io ero
imbarazzatissima e lui fissava il vuoto e io non sapevo cosa dire e lui non
sapeva cosa dire e allora per rompere il silenzio io gli ho chiesto se lui
avesse già invitato qualcuno e lui mi ha chiesto se io fossi già stata invitata
da qualcuno e lui ha detto di no e io ho detto di no e poi io ho detto, ha ha,
allora siamo in due, e allora lui ha detto che si sentiva in dovere di non
lasciarmi senza cavaliere e così ha chiesto a me quello che doveva chiedere a
Merry senza sapere che lei sapeva che gliel’avrebbe chiesto e adesso lei mi
ucciderà!” Evelyn riprese fiato.
Chiunque altro si sarebbe sentito girare violentemente la
testa e sarebbe caduto dal muretto.
Cathy, invece, la guardò con aria comprensiva.
“Capperi”, disse “Ti sei messa in un bel pasticcio.”
“Già”, gemette Evelyn, affranta.
Hmmm. Capperi.
Chissà se ci stavano bene, con la salsa tonnata.
“Merry ti ucciderà”, continuò Cathy, serenamente.
Evelyn la guardò male. “Sei un asso, a consolare la gente”,
disse.
“Grazie, cara.”
Evelyn sorvolò.
“Che cosa devo fare?”
“Devi dirle tutto. Tanto lo scoprirà da sola.” Cathy
riflettè. “Oppure puoi regalarle la coperta di qualcuno che è morto di vaiolo”
“Pardon?”
“Lo facevano i coloni americani con gli indiani. Andavano
dal capotribù con un mucchio di coperte prese negli ospedali e dicevano: Geronimo, vecchio mio,
accetta queste coperte come segno di amicizia.”
Evelyn la fissò, perplessa.
“E con ciò?”
“Beh, se Merry prende il vaiolo, non potrà venire al ballo.
No?”
“Ma io non voglio che Merry prenda il vaiolo!”, fece Evelyn,
scandalizzata.
“Oh. Era solo un’idea.” Cathy la guardò con occhi ingenui.
“In questo caso, devi proprio dirglielo.”
“E come faccio?”, mugolò Evelyn. “Non posso mica dirle: ehi, Merry, indovina un po' cos'è successo? Ti ho rubato il
cavaliere per il ballo, ma non l’ho fatto apposta.”
“Hai fatto cosa?”
Evelyn raggelò. Si voltò, lentissimamente.
Merry stava proprio dietro di lei, la mela mangiucchiata
ancora in mano, e aveva sentito tutto.
Evelyn raccomandò l’anima a Dio. Chissà se sarebbe andata in
Paradiso lo stesso, nonostante tutti quei peccati di gola?
Sperò che Dio fosse una buona forchetta.
E che in Paradiso ci fossero tantissime focaccine allo sciroppo d'acero. E un po' di porridge, magari.
“Ciao, Merry”, disse, con una vocina piccola piccola.
Ringrazio Arcadia_Lovegood per la sua fantastica recensione.
In effetti, l'incipit faceva un po' AA, ma non c'è problema, nessuno di noi è molto sano di mente: io perchè scrivo certe cose, i miei recensori perchè, beh... Le leggono! :D Ragazzi, dite tutti "Ciao" alla nostra nuova amica. "Ciao, Arcadia".
E ricorda: il primo passo per liberarsi dalla dipendenza dalle fanfiction demenziali è ammettere di avere un problema! XD
Grazie, naturalmente, anche a cassiana, crici_82, Flauffy, Kiara_chan: come al solito, you made my day!
Capitolo lunghetto, infarcito di citazioni Disneyane e molto anacronistiche. A voi!
“Tu
“Tu!”
Merry sprizzava rabbia e legittima indignazione d tutti i
pori.
Evelyn voleva sprofondare.
Pensò vagamente che, forse, se si spingeva con sufficiente
forza verso il basso, sarebbe passata, a striscioline verticali, tra le fasce
di metallo che formavano la panchina, e si sarebbe accasciata sotto di essa
come un mucchietto di fette di prosciutto.
Hmmm. Prosciutto.
“Tu-u-u, infame, sleale, infida e perfida traditrice
opportunista, voltagabbana, simulatrice, viscida, subdola Giuda!,
rovina-famiglie non ancora create” riprese fiato, poi continuò “avida, cupida,
pavida, stupida, zotica, lepida, stolida, trepida, ladra, rapace…”
“… E incapace”, aggiunse Cathy, che se n’era stata, fino ad
allora, ferma e zitta ad ascoltare.
Merry ed Evelyn si voltarono simultaneamente verso di lei,
perplesse.
“Niente, niente”, disse lei, in fretta, sorpresa quanto
loro. “Chissà come mi è venuto in mente.”
Merry continuò, in tono appassionato: “Come hai potuto farmi
questo! Io mi
fidavo di te! Ti ho affidato la mia felicità, il mio futuro, i miei
progetti, i…” Si portò il dorso della mano sulla fronte.
Intanto, intorno a loro si era riunito un piccolo
assembramento di tifosi.
“Ris-sa, ris-sa!” scandì qualcuno, agitando il pugno.
Tutti si girarono verso di lui, contemporaneamente.
“Shhhh!”, dissero, irritati.
“Qui c’è qualcuno che vorrebbe ascoltare”, aggiunse una
segretaria coi capelli tinti.
Merry cominciò a girare minacciosamente attorno a Evelyn.
Cathy si dileguò rapidamente, ed Evelyn dovette girare a sua volta, per tenere
d’occhio l’infuriata ragazza.
Una mano che reggeva un filo a piombo si materializzò al
fianco di Evelyn, spuntando dalla massa di gente assiepata attorno alle due.
Evelyn non riuscì a capire a chi appartenesse.
“Prendilo”, disse una voce misteriosa tra la folla. “Ti
servirà.”
“Oh, ma tu sei quello che ho messo in comunicazione per
sbaglio col marito di…”
“Cosa?”, disse la voce misteriosa. La mano venne prontamente ritirata.
Evelyn continuò a girare in tondo, cercando di non perdere
di vista Merry.
Era sicura che, nel momento in cui avesse avuto un attimo di
distrazione, lei ne avrebbe approfittato per attaccare alle spalle.
E così fu.
“Ehi, ragazzina, dico a te!”, sibilò un’altra voce fra la
ressa di spettatori. Evelyn si girò verso il punto da cui proveniva, cercando
di individuarne il proprietario.
Una mano spuntò dalla calca, reggendo un righello di legno.
“Prendilo e daglielo in test…”
Evelyn si girò, allungò la mano per afferrare la riga e,
sbam!
“Ahia!”, gridò Evelyn, mentre il torsolo di mela finiva, in
pezzi, ai suoi piedi. Merry l’aveva tirato, con tutta la forza di una donna
ingannata – cioè, tanta tanta tanta forza – e aveva preso in pieno la fronte di
Evelyn.
Lei stessa si stupì del proprio centro perfetto.
“L’ho beccata?”, fece, perplessa, rivolta agli spettatori.
Tutti annuirono di rimando, tranne un impiegato che,
improvvisatosi allibratore, pretese di vedere la moviola.
Nessuno capì a cosa diavolo si riferisse.
Intanto Evelyn, più stordita che mai, si massaggiava la
fronte con le mani.
Ripresasi, Merry si slanciò verso di lei con un urlo
belluino.
L’allibratore propose di creare una piscina di fango,
mettere le ragazze in bikini, e farle lottare lì dentro.
Come al solito, nessuno lo ascoltò.
“Naaah!”
“Assurdo!”
“Pazzesco!”
“Non funzionerà mai.”
“Ragazze che lottano nel fango, che idea ridicola!”
“Se Dio avesse voluto che le donne lottassero nel fango,
avrebbe fatto piovere più spesso.”
“Yipe!”, gridò Evelyn, e tentò di scappare. Merry si lanciò
in uno spettacolare placcaggio, afferrandole le gambe e facendola stramazzare a
terra.
“Ahi!”, disse Evelyn.
“Oh, Dio, scusa, ti sei fatta male?”, chiese Merry,
preoccupata, lasciandola andare.
“No, no, ho solo sbattuto il ginocchio contro la panchina”
“Oh, bene”, fece, sollevata.
Si guardarono, e Merry si ricordò cosa stava facendo.
“Banzai!”, strillò. Afferrò Evelyn per la vita e si rovesciò
sulla schiena, facendola volare all’indietro. Dagli spettatori si alzarono
esclamazioni ammirate.
Evelyn atterrò sulla schiena e si rialzò con un balzo. Le
due si fronteggiarono, ansimando.
“Aaaargh!”, urlò Merry, lanciandosi di corsa verso Evelyn, a
testa bassa.
Evelyn balzò sulla panchina, e da lì saltò addosso a Merry.
Le intrappolò il collo con le gambe e, con un tremendo sforzo degli addominali,
la rovesciò all’indietro terminando seduta sulle sue spalle, in un boato di apprezzamento
della folla.
Merry si liberò e colpì Evelyn sull’interno del ginocchio,
facendole perdere l’equilibrio, per poi gettarsi su di lei per farla cadere.
Altro boato della folla.
L’allibratore stava facendo affari d’oro.
“Merry, aspetta…”
Merry la sollevò circondandole e fianchi, poi si lasciò
cadere insieme a lei.
“… Devi sapere che, ahi! Ahiahiahi…”
Tenendola ferma a terra, bocconi, Merry le tirava un braccio
verso l’alto. Evelyn si liberò facendole lo sgambetto perché perdesse
l’equilibrio. Si alzò a metà, senza fiato.
“… Stavo dicendo che il professore mi ha chiesto di…”
Al nome dell’amato, Merry ululò e si gettò verso di lei.
Afferrò il braccio di Evelyn e il suo collo e portò la schiena contro la sua,
poi fece leva per sbalzarla in aria.
Evelyn atterrò sul sedere.
“… Mi ha chiesto di andare con lui…”
Schivò un affondo di Merry, ma questa l’afferrò mentre si
girava per tornare indietro.
Le mise la punta del piede nella parte interna del
ginocchio, facendole piegare le gambe.
“:.. Mi ha chiesto di andare con lui al ballo perché…”
Merry approfittò della sua posizione per rovesciarla sulla
schiena. Evelyn vide un lampo assassino nei suoi occhi.
Si coprì la faccia con le braccia e tentò il tutto per
tutto.
“… Perché-ti-ha-visto-andare-via-con-quel-ragazzo-e-c’è-rimasto-malissimo-e-allora-mi-ha-accompagnato-a-casa-e-io-non-sapevo-cosa-dire-e-lui-non-sapeva-cosa-dire-e-allora-io-gli-ho-chiesto-se-lui-avesse-già-invitato-qualcuno-proprio-come-mi-avevi-chiesto-tu-ma-a-quel-punto-lui-mi-ha-chiesto-se-neanche-io-fossi-già-stata-invitata-da-qualcuno-e-lui-ha-detto-di-no-e-io-ho-detto-di-no-e-poi-io-ho-detto-ha
ha-allora-siamo-in-due-e-allora-lui-ha-detto-che-si-sentiva-in-dovere-di-non-lasciarmi-senza-cavaliere-e-così-ha-chiesto-a-me-quello-che-doveva-chiedere-a-te-ma-solo-perché-pensava-che-tu-ci-andassi-con-quel-giovanotto-che-ti-è-venuto-a-prendere!”,
disse tutto d’un fiato.
“Oh”, disse Merry. Si alzò, lasciando libera Evelyn. Questa
si tolse, guardinga, le braccia dal viso e la guardò. Merry le tese un braccio
per aiutarla ad alzarsi.
“Ma perché non l’hai detto subito?”, le chiese,
spazzolandosi la polvere dal vestito.
Perché mi tenevi un braccio intorno al collo, pensò Evelyn ,
ma non lo disse.
Merry la guardò: Evelyn era sporca, ammaccata e coi capelli
in disordine.
Cioè.
Non più del solito, comunque.
“Oh, quanto mi dispiace!”, si disperò Merry, rendendosi
conto del proprio errore. “Spero di non averti fatto molto male… Potrai mai
perdonarmi?”
“Ma certo… Errare è umano, no?”, rispose Evelyn, sollevata
per essersela cavata con così poco.
Non l’aveva nemmeno uccisa.
“Scusate...?”
Le due si voltarono. L’allibratore le stava fissando con
aria d’attesa.
Capitolo 19 *** Capitolo XIX - Gelatina, rhum e cavoli ***
Tutti gli intrugli per capelli descritti nel corrente capitolo erano effettivamente in voga negli anni '50, e precedenti. Sono anche stati provati, da me, in vari stadi della mia vita in cui evidentemente non avevo una cippa da fare, sui miei capelli. Lo so cosa state pensando. Ma per favore, non dite niente.
La lacca è stata inventata dalla Chase Products Company di Illinois, e commercializzata per la prima volta nel 1948.
Giuseppina Bonaparte si metteva *davvero* quella roba in testa.
E anch'io.
Qui ci sono i modelli (sewing patterns) dell'abito di Evelyn e delle sue due amiche. Quello di Evelyn è il quarto: naturalmente, un po' modificato da me... Volevo dire, da Merry.
http://www.adorevintage.com/lookbook/1950.html
Certo, se li volete, dovrete comprarli dagli amministratori di questo sito! XD
http://www.tias.com/7392/PictPage/1923089982.html
Passando alle cose serie (ah, ah). Questo è in assoluto il capitolo più lungo, nonchè quello per cui ho faticato di più, di tutti. Spero che vi piaccia, anche se è un po' scontato (è una storiella comica, perdiana! Non vi aspetterete mica originalità nella trama! XD), e decisamente meno divertente degli altri.
Enjoy!
Evelyn era seduta nella sua camera, preoccupata
Evelyn era seduta nella sua camera, preoccupata.
Merry e Cathy stavano trafficando in cucina, e questo la
metteva in discreta ansia.
Sentiva tonfi sospetti e scricchiolii sinistri provenire
dalla stanza, conditi dalle esclamazioni gioiose di zia Libby.
Che erano il principale motivo per cui Evelyn era così
angosciata.
Merry era stata particolarmente gentile con lei, nell’ultima
settimana. Le aveva anche portato dei brownies al cioccolato fatti in casa, per
farsi perdonare.
Hmmm. Brownies.
Le due amiche spalancarono la porta ed entrarono
d’improvviso nella stanza. Evelyn risucchiò la bava che si andava formando
sotto la sua lingua.
Merry reggeva un grande involto verde acqua, mentre Cathy
portava sulle braccia una scatola piena di oggetti tintinnanti.
A Evelyn sembrò di intravedere una bottiglia di birra.
Evelyn rabbrividì, ma cercò di sorridere e di sembrare
entusiasta.
Era terrorizzata.
Cathy estrasse dalla scatola una ciotola, due uova e del
rhum.
“Oh, che bello, uno zabaione!”, esclamò Evelyn, battendo le
mani.
Finalmente si mangiava qualcosa.
“Non è uno zabaione, è una maschera per i tuoi capelli”,
ribattè Cathy, in tono didattico.
“Oh.”
“Vieni con me”
La trascinò in bagno, la fece sedere sul portabiancheria di
vimini e le fece appoggiare la testa sul lavabo.
“Stai comoda?”
Evelyn sentiva il coperchio di vimini intarsiarle le cosce,
e il collo appoggiato sul bordo del lavandino sembrava sul punto di cedere.
Ebbe una subitanea visione della sua testa che rotolava per il bagno, con un
gatto che giocava pigramente coi suoi capelli.
“Comodissima”, disse in fretta.
“Bene!” Cathy sbattè le uova e il rhum nella ciotola con una
forchetta, poi rovesciò il composto appiccicoso sulla testa di Evelyn.
“È un rimedio che usava Giuseppina Bonaparte per mantenere i
capelli lucidi e morbidi” , spiegò, mentre glielo spalmava sulla nuca.
Ci voleva altro per mantenere morbidi i suoi, di
capelli, pensò Evelyn, Magari della calce viva. O acido muriatico.
Ma si mise più comoda – beh, per quanto comoda potesse
stare seduta su un coperchio impagliato, e col collo in bilico su un lavandino
– e cercò di rilassarsi.
“Torno subito”, le disse allegramente Cathy, scomparendo
nella sua camera. “Vado ad aiutare Merry col tuo vestito”, la sentì dire
Evelyn, mentre usciva.
Gli “uuuh” e “aaah” di ammirazione, che Evelyn sentì provenire dalla stanza
accanto, la preoccuparono ancora di più di quanto non fosse già.
Posso
ancora scappare, pensò, occhieggiando la finestrella del bagno. Forse, seriesco a…
I suoi pensieri furono interrotti dall’entrata di Cathy,
che, con suo grande orrore, stringeva in mano strani oggetti di carta, aceto,
forbici, e una bottiglia di birra chiara.
Ecco,
lo sapevo, si disse Evelyn, preparandosi alla morte. La mia parrucchiera è una
serial killer alcolista.
“Eccomi di ritorno”, trillò Cathy. “Ora vediamo un po’ che
si può fare.”
Armeggiò a lungo coi capelli di Evelyn, lavandoli con acqua
e aceto, poi avvolgendoli con un asciugamano di lino.
Li sfregò alacremente con la tela grezza – quasi scorticando
la povera ragazza -, poi afferrò un pettine e, con aria bellicosa, cominciò a
districarli.
“Oh, su, su, cara. Soffrire pro imbellire”, la rimbrottò
scherzosamente Cathy.
Soffrirei
volentieri, pensò Evelyn, se pensassi di stare migliorando anche solo un pochino. Ma mi
dispiacerebbe un po’ diventare calva precocemente.
Cathy, nel frattempo, aveva posato il pettine e si era
armata di forbici. Quando la vide arrivare, sforbiciando con le lame
scintillanti e rivolgendole un sorriso allarmante, Evelyn si coprì gli occhi
con le mani.
Cathy, però, invece che tagliarle la gola ridendo
malvagiamente, come Evelyn quasi si aspettava, si mise tranquillamente a
lavorare attorno alla chioma di Evelyn. Quando Evelyn osò riaprire gli occhi,
vide che il pavimento era coperto di lunghe ciocche umide.
“Oddio”, pigolò.
“Non ti preoccupare, cara”, la rassicurò Cathy. “So quel che
faccio”. Posò le forbici e diede un colpo di spazzola ai suoi capelli,
ammirando soddisfatta la sua opera.
Stappò con i denti la bottiglia di birra – facendo coprire
di nuovo gli occhi a Evelyn, che la visualizzò, vestita di pelle nera e con una
cicca fra le labbra, giocare a biliardo nei peggiori bar di Caracas – e si mise
a inzuppare tranquillamente i capelli di Evelyn.
“Che fai?”, chiese Evelyn, più perplessa che mai. Le passò
fuggevolmente davanti agli occhi l’immagine di lei, riversa in un burrone, con
una bottiglia vuota in mano - e una fintamente affranta Cathy a fianco (“Sentite,
agenti, sentite che puzza d’alcool, povera ragazza. E questo odore di rhum!,
nemmeno se lo fosse versato in testa”)- che spiegava agli agenti come avesse
cercato invano di soccorrerla mentre, ubriaca, volava di sotto… Per poi
prendere il suo posto ed avere per sempre il pudding di zia Libby per cena.
Ma Cathy, ignara dell’ingiustificato terrore della compagna,
stava già avvolgendo le ciocche dei suoi capelli attorno a curiosi cilindretti
bianchi.
“Che cosa sono?”, chiese Evelyn, diffidente.
“Diavolini”, rispose Cathy, impassibile. “Sono bigodini di
carta, servono per creare boccoli fitti. La birra l’ho usata per fissare il
risultato: quando i capelli saranno asciutti non si sentirà nessun odore, e
diventeranno anche molto lucidi.”
Continuò nella sua opera finchè la testa di Evelyn non fu
completamente coperta di cilindri bianchi.
“Ora vieni con me”, disse, trascinandola in camera, dove
Merry stava dando gli ultimi punti all’abito verde.
Era ancora più vaporoso e ingombrante di quanto Evelyn
ricordasse, anche se sembrava… Diverso, in qualche modo.
Pensò che, dentro a quell’aggeggio, sarebbe sembrata uno
sformato di gelatina alla menta.
Hmmm. Gelatina.
Chissà se ce n’era un po’, al ballo.
Di solito, in queste occasioni, qualche massaia ne portava
un piatto, magari tagliata a cubetti.
“Vieni, dai, provalo”, la invitò Merry.
Evelyn avanzò a malincuore, e si lasciò infilare
passivamente l’abito dalle amiche… Anche perché, da sola, non ci sarebbe
riuscita in tempo nemmeno per Capodanno.
Le due fecero grande attenzione a non disfare il capolavoro
architettonico di Cathy, poi richiusero il vestito tirando attentamente la
cerniera.
Evelyn fissava il pavimento, afflitta. Notò distrattamente
sulle piastrelle qualche macchiolina verde, che sembrava quasi vernice.
Aggrottò le sopracciglia. Chissà come c’era finita.
Cercò di sbirciare nello specchio, ma Merry la fermò.
“Ah-ha! Non guardare finchè non abbiamo finito!”, la ammonì,
agitando l’indice.
Si voltò ed estrasse, con mossa da prestigiatore, un paio di
scarpe alte, verde chiaro, da sotto il letto di Evelyn.
Lei le fissò, senza fiato.
“Merry”, boccheggiò. “Sono bellissime. Dove le hai trovate?”
“Ma, sciocchina, sono le tue!”, rispose Merry, ridacchiando.
“Le mie scarpe non hanno il tacco a rocchet…” Si bloccò e
si guardò intorno.
“Merry”, riprese, in tono diverso. “Perché c’è un barattolo
di colla liquida, sul mio comodino?”
“Perché l’ho usata per attaccare un paio di vecchi rocchetti
di filo alla suola delle tue scarpe.”
“E perché c’è un pennello dentro al mio bicchiere d’acqua?”
“Perché l’ho usato per dipingere di verde le tue scarpe coi
colori a tempera.”, rispose Merry, compunta.
“Oh”, disse Evelyn. “Oh”,
ripetè ancora, non sapendo che altro dire.
Non solo sarebbe sembrata un budino alla menta.
Non solo avrebbe puzzato di birra chiara come l’ultimo degli
ubriaconi.
Avrebbe anche ballato tutta la sera su un paio di scarpe
dipinte a tempera, sospese su due spagnolette verniciate di verde.
“Non abbiamo ancora finito”, la informò Cathy, sorridendo
allegra. Lei e Merry si scambiarono uno sguardo d’intesa.
Perfetto.
“Guarda che ti abbiamo preparato?”, dissero in coro le due,
sprizzando eccitazione da tutti i pori. Insieme, le tesero davanti agli occhi
una collana scintillante.
Evelyn la guardò da vicino, trattenendo il fiato. Era fatta
di sottilissimi fili di rame, intrecciati a formare una filigrana delicata, e
di luccicanti perline rosse.
Beh, quella almeno era… Piuttosto carina.
Oh, al diavolo: era fantastica! Evelyn si chiese dove
avessero trovato i soldi per una tale meraviglia.
“Ragazze, io… Io…”, iniziò.
“Oh, non ringraziarci. L’abbiamo fatta noi, sai? Io ho fatto
gli occhi dolci all’elettricista per farmi regalare qualche metro di filo di
rame, e Cathy ha sgraffignato qualche perlina dal negozio da sarta di sua zia
Polly”, spiegò Merry, ridacchiando. “Dai, mettitela!”, la incoraggiò Cathy.
Evelyn piegò il collo per farsela allacciare da Merry, poi
se la rimirò, incrociando gli occhi per vederla al di sotto del proprio mento.
Cominciava a essere eccitata anche lei.
“Oh, non è un incanto?”, esclamò Cathy, compiaciuta. “Ora,
però, dobbiamo pensare ai capelli”.
Tutto l’entusiasmo di Evelyn sparì di colpo.
Anche se la collana era graziosa, non poteva compensare
l’abito-gelatina e i suoi orribili capelli.
Soprattutto i suoi
orribili capelli.
Si lasciò dunque condurre da Cathy a sedere su una sedia;
poi la ragazza le si mise alle spalle e cominciò, con grande delicatezza, a
rimuovere i bigodini. Evelyn sentiva le ciocche caderle rigidamente sulla
fronte.
“Ecco fatto!”, disse infine Cathy, scotendole un po’ i
capelli e facendole poi la riga da un lato.
Un ciuffo ramato ricadde, soffice, su un occhio di Evelyn.
“Infilati le scarpe, ora”, la esortò Merry. Evelyn calzò gli
orrori color pisello e fece per alzarsi.
“Aspetta!”, strillò Cathy. Frugò nella scatola e ne estrasse
un tubetto di rossetto, una scatolina quadrata e un grosso pennello.
Oh, no. Pensò
Evelyn. Ora si
mettono a dipingere un’altra volta.
Ma Cathy le mise un filo di rossetto, e le passò una
pennellata di cipria sulle guance col pennello morbido.
“Ecco, sei pronta!”, esclamò infine, guardandola
soddisfatta.
Evelyn si alzò e, piena di brutti presentimenti, si avviò
verso lo specchio.
Si guardò.
Sembrava alta.
Sembrava magra.
Sembrava… Favolosa!
I capelli, corti e lucidi, le ricadevano sulla fronte e sul
collo in morbidi boccoli. La riga da un lato glieli faceva ricadere, in
un’onda da cinematografo, sull’occhio destro, dandole un’aria maliziosa. Corte ciocche luminose le si arricciavano sulle tempie.
La gonna dell’abito, assurdamente vaporosa, le faceva
sembrare, per contrasto, le gambe più snelle e la vita sottile. Evelyn notò che
Merry aveva aggiunto un nastro di raso verde in vita, fermato da una spilla di perline rosse; aveva anche arricciato l’orlo del corpetto in modo che le mettesse in risalto
il decolleté: dove scintillava, rosso sulla sua pelle chiara, il girocollo di
rame.
Il colore dell’abito, lungi dal farla assomigliare a un
cespo d’insalata, come aveva temuto, rendeva più luminosa la sua carnagione
pallida, e… Che diamine, perfino le scarpe le stavano bene!
Le tre ragazze rimasero in silenzio religioso.
Sono uno schianto, pensò.
Sono Veronica Lake.
Si rimirò, eccitata, girandosi da una parte e poi dall’altra.
Ma coi capelli di Shirley Temple.
E il fascino di Rita Hayworth.
E ho il vitino di Rossella O’Hara!
Evelyn passò lo sguardo dall’una all’altra, poi di nuovo allo specchio: avrebbe voluto esprimere appieno tutta la sua gratitudine, la sua sorpresa, la sua gioia… Cercò una frase che riassumesse tutto, che dicesse chiaramente quanto era felice, sbalordita, eccitata e grata alle amiche.
Capitolo molto mangereccio, molto esagerato, molto... Molto.
Lo so, lo so, questo doveva essere l'ultimo: il climax della storia, la conclusione clamorosa delle avventure di Evelyn, il mirabolante colpo di scena fra Merry e il professore, la furibonda vendetta di Vigo, il flagello della Moldavia... Ah, no, pardon, quello era Ghostbusters II. Beh, comunque, il problema è che, mentre lo stendevo, è diventato troppo lungo. Ma troppo troppo lungo. E intendo, davvero, *davvero* troppo. Tipo 2500 parole... Ho già detto che era troppo lungo? Quindi, per ovviare a cotanto drammatico inconveniente, ho deciso di tagliarlo in tranci e cospargerlo di panna acida, pancetta e salvia... Cioè, no, no, no, volevo dire, di tagliarlo in più parti e postarlo in due-tre sezioni successive. Così è più scorrevole. Credo.
Il rimedio, però, come a volte succede è peggiore del male: quindi le tre parti in cui ho diviso il Capitolo Ventesimo temo risulteranno ridicolmente corte. Cercate di perdonarmi alla luce del fatto che, per lo meno, ci ho provato. E prego la gentile giuria di accordarmi un'attenuante perchè sono stupida.
Evelyn entrò nella grande sala al braccio del professore, e si guardò
intorno meravigliata
Evelyn entrò nella grande sala al braccio del professore, e
si guardò intorno meravigliata.
Il buffet.
Ovunque erano appesi festoni rossi e argento,
vischio e agrifoglio spuntavano da ogni parte, e l’ambiente era illuminato da
grandi lampadari: lo splendore era abbacinante, e si rifletteva sui grandi
vetri e sui gioielli delle signore.
Un grande abete, così sovraccarico di decorazioni da pendere
con aria afflitta, dominava un angolo della stanza, ma Evelyn fu affascinata da
un’altra attrazione locale.
Il buffet.
Su lunghi tavoli coperti da sterminate tovaglie bianche, grossi tranci
di arrosto dorato, foderati di pancetta croccante e salvia, riposavano su
invitanti letti di salsa alla cipolla.
Accanto ad essi, deposte in larghi portavivande di ceramica
decorata, catene montuose di patate arrosto franavano dolcemente nei piatti
degli ospiti, sospinte da cucchiai dorati.
Cataste di salsicce ripiene, coperte di sugo denso e profumato,
affondavano con aria sonnolenta nel purè di patate, e numerosi tortini di carne scricchiolavano
sotto gli assalti dei coltelli.
Fette di salmone affumicato, accompagnate da burro e pepe
rosa, scomparivano nelle bocche degli ospiti accompagnate da fette di morbido
pane nero.
Larghi pezzi di porchetta e di cervo arrostito occhieggiavano fra
gli anelli di cipolla fritta, e cubetti di pane fritto nel burro affondavano in ampie coppe fumanti
di zuppa di zucca. <
Sugli arrosti di prosciutto, tagliati in fette
spesse e deposti su guanciali di panna acida, luccicavano glasse di
miele dorato.
Piatti di anguille affumicate, ostriche bollite e salsa di
gamberetti, sbucavano fra le salsiere d’argento.
Pudding alti come collinette erano posati ovunque, la glassa
che digradava dolcemente fino ai piatti di portata filettati in oro. Da grandi
coppe di vetro luccicante, fornite di ramaiolo dorato, veniva attinto dagli
invitati, con rumore di risacca, un flusso costante di punch.
Ciotoline di
canditi e frutta secca, crema gialla e mostarda, riempivano gli spazi vuoti fra
le ceste di arance e i budini di fichi al brandy, mentre soffici fette di torta al
rabarbaro spuntavano come margherite fra i cheesecake ai mirtilli e le composte di mele
cotogne.
Larghi vassoi di scones burrosi, monumentali vasi di
marmellata, pasticcini di frutta secca e mele caramellate troneggiavano su un
tavolo a parte, accompagnati da fette di formaggio stilton unte e
luccicanti. Miele di castagno, scuro come caramello, colava su di esse in
dense gocce lucenti.
Il professor Schrödinger
si guardava intorno con aria ammirata: giovani in abiti pastello, vaporosi come
nuvole, volteggiavano fra le braccia di eleganti cavalieri sulle note di un
valzer viennese. I loro gioielli rilucevano sotto i lampadari, i tacchi delle
loro scarpette da ballo risuonavano sul pavimento di legno.
Donne eleganti sedevano,
con delicati bicchieri di champagne in mano, accanto ai rispettivi
accompagnatori, oppure facevano provvista di biscotti su piattini di
porcellana.
Anziani corpulenti, che
fumavano il sigaro e bevevano brandy da bicchieri sfaccettati, seduti attorno a
tavolini verdi, scoppiavano frequentemente in sonore risate, mentre le loro
mogli chiacchieravano fitto fitto dietro a ventagli fuori moda. Bambini in
abiti scomodi giocavano sotto i tavoli o si rincorrevano fra i ballerini,
sgranocchiando frutta caramellata o fette di torta.
“Non è mag-nifico, Miss
Efelyn?”, chiese, affascinato.
Evelyn non staccò gli
occhi dal buffet. C’era anche la gelatina a cubetti, evviva!
“Oh, sì che lo è!”, confermò, con
entusiasmo.
Il professore si guardò
intorno con nonchalance, cercando Merry
con gli occhi. Indovinando i suoi pensieri, anche Evelyn rivolse la sua
attenzione all’entrata della sala. Dopo averla aiutata a prepararsi, infatti, lei e
Cathy le avevano detto di non preoccuparsi per loro, ed avevano assicurato che
si sarebbero incontrate più tardi al ballo.
Ma nessuna delle due
aveva specificato con chi ci sarebbe
andata.
Il professore la vide
entrare poco dopo, da sola, fasciata in un tubino nero che la faceva sembrare
ancora più minuta e aggraziata: seguiva la sua amica Cathy, che varcava proprio
in quel momento la porta, tenuta a braccetto da…
Capitolo 21 *** Capitolo XX, Parte II - Fichi secchi ***
Qui troverete una piccola digressione su una coppia di personaggi che mi stanno tanto ma tanto simpatici. Devo ammettere che tramavo di farla finire così già da quando quei due si sono messi a... Ma suvvia, non divaghiamo.Damian, povero, dovrà fronteggiare una Evelyn più confusionaria e contorta del solito, anche se animata da buone intenzioni...
“Salve, Miss Cleve”, le sorrise lui, avvicinandosi
“Salve, Miss Cleve”, le
sorrise lui, avvicinandosi. Cathy si strinse al suo braccio con aria orgogliosa,
sorridente, e salutò Evelyn agitando la mano.
La bocca di Evelyn si
curvò fino a formare una piccola “o”, e la povera ragazza rimase a fissare
Damian con espressione tutt’altro che acuta.
Cathy spostò lo sguardo
da lei al suo cavaliere, perplessa. I due si comportavano come se si conoscessero:
e allora perché mai Evelyn aveva un’aria così stupefatta?
“Su, Damian, caro”, disse rapidamente, per
riempire il silenzio. “Perché non fai fare un giro di valzer alla mia amica?”
Evelyn sbiancò.
Damian invece sorrise, allegro.
“Con piacere” disse, staccandosi garbatamente dal fianco della ragazza e tendendo una mano a Evelyn.
“Su, non essere timida.
Prometto che il mio fidanzato non ti pesterà i piedi”, la esortò Cathy.
Fidanzato?
Evelyn posò la mano nel
palmo teso di Damian, con l'aria di un maialino grassottello cui viene spiegato il significato del
termine “porchetta”. Damian, ignorando il motivo della sua riluttanza, la tirò a sé, e i due cominciarono a volteggiare sulla
pista da ballo. Da sopra la spalla di Damian, Evelyn rivolse uno sguardo implorante al professor Schrödinger;
che ricambiò con teutonico smarrimento.
Rassegnandosi all’idea
che nessuno sarebbe venuto a salvarla da quell’infingardo bigamo e infedele - che evidentemente aveva sedotto l'innocente Cathy, ma che poi offriva galeotti passaggi in bici alle povere Merry indifese - Evelyn si concentrò sui passi del valzer. Un-due-tre, un-due-tre, giro,
un-due-tre…
“E così”, disse a un
tratto mentre ballavano, in tono accusatorio. “È vero quel che si dice in giro?”
Insidiatore di fanciulle indifese.
Piegò la testa e lo fissò con sguardo torvo.
Un-due-tre, un-due-tre, giro.
“Che cosa, Miss Cleve?”
Canaglia d'un traditore.
Come fargli capire la gravità del suo comportamento, ma senza accusarlo apertamente? Evelyn si lambiccò il cervello - scalzando l'immagine degli arrosti al miele che affiorava prepotentemente alla sua mente - alla ricerca di una frase ambigua, a doppio taglio: in modo che lui potesse leggere il suo rimprovero fra le righe.
Non voleva che Damian si infuriasse con lei, perchè poi avrebbe dovuto spiegarne il motivo a Cathy - ma soprattutto perchè lui la stava facendo ballare, ed era anche bravo - però doveva capire che le ragazze non sono... Ecco, non sono come un tavolo del buffet. Non si può prendere tutto quel che si desidera e metterlo nel proprio piatto.
Sì, poteva andare. Però Evelyn voleva trasmettergli un'immagine che lo colpisse personalmente.
Finalmente, ricordò un'affermazione di Cathy (povera, ignara Cathy!).
“È vero che a lei non piacciono i
canditi?”, chiese Evelyn, in tono vibrante di sdegno.
Damian le fece
eseguire un controtempo.
Non capiva per quale motivo la giovane lo stesse guardando in quel modo... Insomma, non era colpa sua se i dolci caramellati, proprio non riusciva a mangiarli.
Mascalzone!
Evelyn lo guardò di nuovo storto.
Un-due-un-due-tre.
“Ehm, sì, è vero", rispose Damian gentilmente, cercando di ammansirla. Però proprio non capiva.
A-ha!, pensò Evelyn. Lo ammette!
"E quindi, pensa di poter mangiare quello che vuole, non è così?" Insinuò. "E se alla sua fidanzata non andasse bene, hm? Se lei si sentisse sminuita, umiliata e offesa dal suo comportamento?"
L'aveva detto subito, lei, quando Cathy se n'era lamentata. Non ci si può fidare di un uomo a cui non piacciono i
canditi.
Damian la guardò di
sottecchi, sorpreso, poi scrollò le spalle.
Ragazze. Non capiva mai di cosa diavolo stessero parlando.
Beh. A dire il vero, soprattutto quando a parlare era Cathy... Ma anche Miss Cleve non scherzava.
Un-due-tre, giro.
“Che intende, Miss Cleve?”, chiese infine, genuinamente perplesso.
“Voglio dire che, se si è voluta la bicicletta, poi bisogna pedalare…” fece Evelyn, sibillina, ma certa che lui avesse capito il sottinteso.
Sempre più confuso,
Damian decise di non indagare. Probabilmente, pensò, era roba da femmine.
Nel frattempo, la musica terminò, e partì un
tango. Damian si gettò di nuovo nelle danze, entusiasta, tirandosi dietro
Evelyn.
A lei cominciava in
realtà a girare un po’ la testa, ma non protestò.
Un tango è sempre un
tango.
Volse lo sguardo intorno,
per cercare di individuare Merry o il professore. Notò invece, a bordo pista,
una graziosa donna sulla trentina vestita di rosso, con le braccia incrociate e
l’aria indignata: guardava verso i ballerini con un’espressione fra
l’incredulo e il furibondo.
Curiosa, Evelyn sbirciò
le altre coppie danzanti, cercando di capire quale di esse stesse attirando le
ire della signora.
Un-due-tre-quattro, cambio di posto.
Individuò due sposini
novelli con la fede luccicante, una coppia di grassi coniugi che piroettavano
leggeri come zucchero filato, e un ragazzino foruncoloso, che danzava con
espressione afflitta con una bimba cicciotella e scatenata… Che sembrava
proprio essere la sua sorellina minore.
Evelyn approfittò di una
piroetta per gettare uno sguardo d’insieme. E fu allora che si accorse
dell’incongruenza.
Due uomini in frac e
scarpe lucide ballavano, teneramente allacciati, proprio al centro della sala.
Le altre coppie danzanti volteggiavano intorno allo strano duo, lanciando al bizzarro spettacolo timide
occhiatine.
Quando il più alto dei
due fece eseguire all’altro un casquè, portando indietro il piede sinistro e facendo inarcare la schiena del compagno sul suo braccio,
Evelyn potè guardare bene le loro facce.
L’uomo alto era il
caposettore tradito dalla moglie. Il suo compagno, invece, che stranamente aveva una rosa a stelo lungo fra i denti, era quel famoso geometra... Con
cui la sua gentil consorte era solita trascorreva ameni venerdì pomeriggio*.
Riga Di Legno e Filo A
Piombo ballavano insieme, e si guardavano negli occhi con espressione
sognante. Il caposettore fece eseguire al compagno di ballo una lenta giravolta, poi gli appoggiò la testa sulla spalla, con un sospiro.
La bella signora in rosso
rivolse loro un ultimo sguardo sdegnato, poi si tolse la fede nuziale e la
gettò, con gesto stizzoso, contro la neo-coppia.
Nessuno dei due se ne
accorse.
O almeno.
A nessuno dei due parve
importare un fico secco.
*E sabati sera, e martedì appena prima di mezzogiorno, e qualche volta anche giovedì, subito dopo dopo il tè delle cinque. Tutti incontri molto ameni, però.
Capitolo 22 *** Capitolo XX, Parte III - Taralli e vino ***
Hmmm
Hmmm. Fichi secchi, pensò
Evelyn. Si chiese distrattamente se sul buffet ci fossero dei pasticcini di
fichi e amaretti. Le piacevano un sacco.
Damian le fece eseguire
un ocho, poi un cambio di posto. Evelyn
si ritrovò dunque ad avere una prospettiva completamente diversa della pista da
ballo. Poteva vedere, finalmente, Merry... Che ballava un lento, avviticchiata
al professore. Totalmente dimentichi del tempo musicale e degli altri
ballerini, i due fluttuavano per la sala, lasciandosi dietro una scia di sedie
rovesciate, tavolini traballanti, e vecchie signore indignate.
Evelyn sorrise e continuò
a ballare con Damian, rasserenata. Appena la musica terminò, si scusò con
Damian e si diresse a passo svelto verso il tavolo dei dolci. Ora che si era
tolta il peso Merry-amico Fritz dallo stomaco, quello poteva essere riempito di
biscotti alla cannella.
Era quasi arrivata
all’altezza degli scones al burro,
quando la bizzarra coppia di ragionieri di prima le si parò davanti.
Riga-di-Legno le sorrise
a trentadue denti. “Mia cara”, disse. “Io e Francis, qui, dobbiamo ringraziare
te per la nostra felicità. Vero, tesoro*?” Rivolse uno sguardo tenero al
compagno, che lo ricambiò in modo ancor più languido.
Miele, pensò Evelyn.
Aveva davvero voglia di dolci. Sorrise loro e cercò di sottrarsi alle loro
attenzioni, ma Filo-a-Piombo la invitò a ballare. “Per favore, concedimi un
ballo. Ti devo tanto”, e rivolse un altro sguardo zuccheroso al suo cavaliere.
“E poi, non ti immagini che furore fa il nostro spettacolino di lotta col filo
a piombo, al gay bar giù ai Docks. Dovresti vedere che folla di ragionieri
frustrati c’è tutte le sere a fare il tifo per noi!”
Spettacolino di lotta?
Evelyn rabbrividì appena. Non voleva saperlo.
“Beh, la ringrazio tanto,
davvero, ma...” Evelyn occhieggiò il tavolo dei dessert, pericolosamente
vicino, e si spostò impercettibilmente verso di esso.
“Oh, ti prego, ci
divertiremo...”
“Mi piacerebbe, davvero,
ma sono proprio stanca, e...” Evelyn sentì che qualcuno cambiava il disco nel
juke-box. Le parve di riconoscere quel ritmo...
Un
boogie-woogie.
Evelyn gettò un ultimo
sguardo malinconico al buffet, poi si voltò verso l’uomo. “... Beh, in fondo
non sono poi così stanca”, disse in
fretta.
Trascinò sulla pista
Filo-a-piombo e insieme ballarono Tonky-Honk Train e Swanee River Boogie. Poi, Evelyn sentì che un gruppetto di persone reclamava a gran voce
Elvis, e decise che gli scones potevano
aspettare ancora un po’. Mentre si dimenava a più non posso, sudando
copiosamente e divertendosi come una pazza, vide Cathy e Damian che
saltellavano, allegrissimi, a poca distanza da loro. La salutarono con la mano,
prima di eseguire un salto acrobatico che mandò Cathy dall’altro lato della
pista. Le altre coppie si scostavano per lasciare loro spazio, ammirate.
Sulle note di Rock
Around the Clock, Evelyn diede fondo alle sue
energie, mentre il suo accompagnatore, esausto, sgattaiolava a sedere accanto
al suo compagno, che gli fece vento sul viso con un ventaglio improvvisato,
ricavato da un tovagliolo.
Mentre si agitava sulla
pista, e svariati giovanotti, ammirati dalla sua resistenza, le facevano
eseguire spettacolari volteggi e balzi da manuale, Evelyn intravide di nuovo
Merry e il professore. Incuranti del rock and roll, ballavano il loro lento
come se niente fosse, la testolina scura di Merry poggiata sulla camicia
inamidata del professore. Quando finivano troppo vicini agli scatenati
ballerini di rock, e rischiavano di finire travolti, qualche anima pia li
sospingeva di nuovo verso il bordo-pista, senza che loro se ne accorgessero
minimamente.
Quando finalmente ci fu
una pausa nella musica, Evelyn si rifugiò al tavolo del punch, e si scolò sei
bicchieri di orzata e due di succo di mela. Ristorata, si voltò a guardare la
pista da ballo. Il professore si era chinato a raccogliere qualcosa di
luccicante da terra. Evelyn aguzzò gli occhi.
Una fede? Si chiese. Cosa
diavolo ci fa una...
L’amico Fritz, perplesso,
la mostrò a Merry,e aprì la bocca per chiederle come mai una fede nuziale fosse
proprio al centro di una pista da ballo. Ma lei equivocò. Con un acuto che
scosse il Municipio fino alle fondamenta, e fece tremare pericolosamente i
lampadari di cristallo, gli gettò le braccia al collo e lo baciò ripetutamente.
Evelyn allungò una mano a reggere la caraffa di orzata, perchè non cadesse al
grido dell’amica. Staccandosi dall’amato, Merry s’infilò l’anello al dito e lo
rimirò, estasiata. Non parve fare particolare caso al fatto che l’incisione
interna portasse scritto “Annie e Robert, 1948”. Evelyn incontrò lo sguardo del
professore, che allargò le braccia in segno di resa, e sorrise, felice.
Evelyn sorrise di
rimando. Intravide Cathy e Damian che ridevano e bevevano sidro. Mentre
mangiava una fetta di pudding, Damian imboccava Cathy coi canditi che toglieva
dalla pasta.
“Ehi, Damian”, gridò
Merry, sventolando la mano con l’anello. “Mi farai da testimone, vero?”
Evelyn rimase perplessa.
Si voltò verso di lui.
Testimone?
Cathy lanciò un grido
altissimo, e prese a saltellare su e giù, battendo le mani. Corse ad abbracciare Merry.
“E tu, naturalmente, mi
farai da damigella... Cognatina!”
Eh?
“Ehi, Evelyn”, disse poi,
voltandosi verso di lei. “Me ne serviranno due, di damigelle. Vuoi fare tu la
seconda?”
“Uh, ah... Certo, ma
certo!”
“E poi, se vorrai, potrai
fare da testimone a mio fratello e a Cathy!”
Fratello?
Oh, no. No. Che figura.
Che bruttissima,
bruttissima, bruttissima figura!
Evelyn diventò ancor più
rossa. Ma nessuno parve farci particolarmente caso. Damian, probabilmente, sarebbe rimasto convinto per tutta la vita che, con lei, non si doveva parlare di canditi. Ma tant'è.
Merry stava punzecchiando
il fratello.
“Allora, quand’è che le
chiederai di sposarti, eh?”, disse, allungandogli uno scappellotto fraterno.
Damian la guardò,
fintamente offeso. “Avevo intenzione di farlo stasera, ma tu mi hai rovinato la
sorpresa.”
“A-ha. E dov’è l’anello?”
“L’ho, er... Dimenticato
a casa.”
Tutti risero.
“Ehi, Damian, sta’
attento che, se non ti sbrighi, me la sposo io!”, scherzò uno dei ragazzi che
avevano fatto ballare Evelyn.
Evelyn, divertita, si
volse finalmente al tavolo dei dolci. C’erano ancora varie fette di torta, ma i
pasticcini di noci erano quasi finiti, e anche le mele caramellate. Spilluzzicò
un cubetto di gelatina e una fetta di torta al rabarbaro, poi adocchiò un
ultimo, solitario scone burroso. A bocca
piena, Evelyn allungò una mano... e quella si scontrò con un’altra mano,
protesa a prendere lo stesso biscotto.
Evelyn deglutì il boccone
di torta.“Oh”, disse, ridacchiando. “Mi scusi”
Alzò lo sguardo.
“Oh, no no, mi scusi
lei”, disse in fretta il proprietario della mano, diventando rosso per
l’imbarazzo. I due si fissarono. Il giovanotto aveva una tonda faccia affabile,
guance rosee e braccia da lavoratore. Il completo elegante tirava un po’ sotto
le spalle e sulla pancia, ma nel complesso aveva un’aria linda e simpatica.
Lei gli sorrise
Lui le sorrise.
“Facciamo così.” Disse
Evelyn. Prese il biscotto e lo ruppe a metà. Ne porse una al giovanotto.
Evelyn guardò il mezzo
biscotto. “Ho fatto due parti uguali?”, chiese, temendo di avergliene dato un
pezzo troppo piccolo.
“Credo di sì” Il ragazzo
alzò la sua metà, Evelyn la propria, e le misero una accanto all’altra per
vedere se fossero eque. Coincidevano perfettamente.
Evelyn guardò il biscotto
ritornato intero, e arrossì violentemente.
Anche il ragazzo guardò
il biscotto e arrossì. Ridacchiarono, e mangiarono ognuno la propria parte.
“Mi... Mi piacciono gli
scones”, disse Evelyn, per fare conversazione.
“Oh. Anche a me. Sa, io
faccio l’apprendista fornaio.”
Fornaio?!
Ecco perchè aveva braccia
così muscolose. Evelyn si perse in un sogno in cui dormiva appoggiata a cumuli
di croissant, protetta da steccati di trecce di pane, con una meringa
gigantesca a farle da cuscino.
E un ragazzo simpatico
dalle braccia robuste che le portava il caffelatte la mattina.
Sempre rosso come un
peperone, il giovanotto la guardò.
“Mi... Uh, mi piace il
suo vestito”, disse, impacciato, guardandole la scollatura. “Intendo, uh, come
le sta, cioè, ah, addosso. Er...” Si grattò un orecchio. Diventò, se possibile,
ancor più rosso.
“Grazie, ehm. Anche lei è
molto...” Muscoloso, pensò. Aitante. “... Molto elegante.” Concluse. “ È proprio un
bel...” Paio di spalle, disse una vocina
nella sua testa. “... Completo.”
“Oh. Grazie. Le, uhm...
Le andrebbe, non so... Le andrebbe di, uh, ballare?”
Evelyn sorrise.
“Ma certamente!”
~FIN~
*Tesoro, che in inglese si dice honey
( = miele), fa ovviamente venire in mente a
Evelyn i bignè. Evelyn è un tipo romantico... ma non quando ha fame.
Ecco che è finita.
Alcuni di voi avevano probabilmente capito da un pezzo come sarebbero andate le cose fra Mary Rose McIntire, suo fratello Damian, Catherine "Chatty Cathy" e Friederich "Amico Fritz" Schrodinger.
La fede trovata a terra è, ovviamente, quella lanciata dalla moglie inviperita del caposettore. E così, le due storie si intrecciano: sono certa che a Merry, futura signora Schrodinger, porterà fortuna comunque.
Cathy, probabilmente, a lungo andare riuscirà a far cambiare idea a Damian sul pudding coi canditi; o, per lo meno, a farglielo assaggiare quelle volte in cui lo farà per sè e per i loro sei bambini.
Qualcuno mi ha fatto notare che, per essere una storia che parla di gatti, il nome Schrodinger non potrebbe essere più appropriato. O meno appropriato, a seconda dei punti di vista (vedere "Il gatto di Schrodinger"). Però, giuro, che quando l'ho scelto non ci ho pensato affatto. Vedete? Sono geniale anche quando non penso affatto. Anzi. *Soprattutto* quando non penso affatto.
Zia Libby continuerà a ospitare Evelyn e a ingrassare i suoi numerosi gatti. Non capirà mai per quale motivo due rocchetti di filo esauriti mancassero dalla sua scatola da lavoro.
Fred Astaire morirà di vecchiaia, ad un'età corrispondente a circa centovent'anni felini, in modo pacifico, mentre sogna un arrosto di vitello in crosta. Zia Libby lo seppellirà con un trancio di salmone affumicato a fianco, e tutti i 2 di novembre andrà a posare una ciotola di panna sulla sua tomba. Sono sicura che Fred, ovunque lui sia, riposi in pace. E mangi un sacco. Gli altri gatti, invece, vivranno altrettanto a lungo, mangeranno molto e saranno sempre più pigri e soddisfatti.
Lo spettacolo di Riga-di-Legno e Filo-a-Piombo diventerà un'attrazione locale particolarmente famosa. I due faranno una tournèe nei maggiori teatri europei, riscuotendo grandi successi. Per ragioni ignote, gli annali dell'epoca non riportano però tali avvenimenti.
E per quanto riguarda Evelyn, beh: il fornaio la terrà parecchio occupata, e così zia Libby, ma non tanto da distoglierla dal suo progetto di... Ma questa, gente, è un'altra storia!
D'altronde, questa fanfiction riporta solo gli avvenimenti del millenovecentocinquantatrè, e il Ballo di Natale è quasi alla fine dell'anno. No?
Chissà, se Evelyn ne combinerà delle belle anche nel 1954.
Grazie a tutti per il sostegno fornito, le recensioni esilaranti, i consigli assolutamente geniali. Ringrazio quindi
la new entry Haru28,
Aicha,
kiara_chan,
Lallix,
cassiana,
suni,
_VioletDAY,
Viviane Danglars,
Flaufly,
Sophonisba,
Lady of Lorien,
crici82,
Sk8erWithLove,
Arcadia_Lovegood,
e, last but not least, vale_03.
Grazie infinite anche a chi recensirà in futuro, a chi l'ha inserita nei preferiti, e a chi in generale l'ha seguita per tutto questo tempo. In più, naturalmente, grazie a tutti quelli che l'hanno letta e trovata carina, senza sentire il bisogno di lasciare una recensione. Grazie a tutti!
L'ho già detto "grazie"?