Memorie del Sanctum

di SunVenice
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Arrivano i Mietitori! ovvero Che Lady Ariel ci aiuti! ***
Capitolo 2: *** Io spavento, tu annoia ***
Capitolo 3: *** Fatti abbracciare ***
Capitolo 4: *** Beneducato esibizionismo ***



Capitolo 1
*** Arrivano i Mietitori! ovvero Che Lady Ariel ci aiuti! ***


Declaimer: nessuno dei personaggi qui sotto narrati, tranne Allegre, mi appartengono, ma mi sono stati gentilmente prestati dai rispettivi creatori per la creazione di questa magica raccolta sul gioco online più bello che abbia mai visto ^^

Diritti:(uso il nome utente, non preoccupatevi delle stranezze varie XD):

- Polyidus, Taraerinerk, Jucleas, Lady Ariel, Aion © NCSoft

- Ledylight©Ledylight

- Raxelle©raxel892

- Nohant©Nohant87100

- Nhefti©Quella pazza della mia compagna universitaria alias Nhefti

Lo ammetto, non tutti i pg del forum che hanno aderito sono apparsi nel capitolo, ma è una raccolta! Ergo, arriveranno tutti a tempo debito!

Buona lettura! X)

 

 

Memorie del Sanctum

Introduzione: Arrivano i Mietitori

-ovvero-

Che Lady Ariel ci aiuti!

 

 

La grande isola galleggiante del Sanctum era un crocevia di risaputa fama e bellezza ad Atreia.

 Non passarvi regolarmente dopo la propria ascensione era praticamente impossibile, data la vasta gamma di vestiti, armature, armi ed altri accessori d’alta qualità che attiravano orde di immortali come api al nettare.

Ad ogni modo, non era solo quello a rendere speciale il luogo che Lady Ariel e gli altri Seraphim Lords avevano, nella loro immensa potenza, sollevato in cielo per dare a tutti i Deva un posto dove rifugiarsi dalla minaccia Balaur e al contempo vegliare sui mortali. Dalla grande torre simmetrica della Protector’s Hall  ai pavimenti vertiginosamente trasparenti di Elyos Square, tutto della grande capitale rifletteva i colori del cielo e persino le pareti bianche assumevano una sfumatura quasi azzurrognola, tanto erano levigate e lisce.

Qualunque Deva vi mettesse piede, materializzandosi per la prima volta dinanzi alla fontana monumentale di Exalted Path, non poteva che spalancare la bocca e rimanere incantato per circa qualche minuto, prima di avviarsi borbottando verso il Lyceum, dove il sacerdote Jucleas distribuiva instancabilmente benedizioni ai nuovi giunti.

Nonostante la premura che la maggior parte degli Elisiani dimostrava per rendere le proprie visite al santuario il più brevi possibile, non era raro vederne a gruppi bighellonare o rilassarsi sulle panchine, piuttosto che impegnarsi seriamente ad allenarsi per respingere continui assalti dai Balaur nei dislocamenti ad Inngison.

Ma, d’altra parte, come dare loro torto?

Stare al Sanctum era come stare in paradiso. Un luogo bloccato nel tempo, tranquillo, languido da  qualunque angolazione lo si guardasse, fosse stato un petalo che solitario cadeva da uno degli alberi di Elyos Square o il lento ruminare del grande parasauro perennemente affacciato sul distretto commerciale di Divine Road.  

Al pari della sua tranquillità, tuttavia, la capitale elisiana conosceva anche puri momenti di follia, sia in termini di chiasso che di modi, e, in particolare, ciò accadeva quando tra le sue pareti capitavano dei membri della Legione dei Mietitori, passando il più delle volte dinanzi gli occhi attoniti di Polyidus, il teleportatore di Exalted Path.

Ogni qualvolta quest’ultimo, già stressato e sfinito dai suoi pressoché impossibili ritmi di lavoro, si vedeva passare sotto il naso uno dei volti noti di quella banda di pazzi furiosi, le sue gambe lo portavano istintivamente verso la casella più vicina per mandare frettolosamente una missiva di rimprovero al collega scellerato che aveva permesso tale viaggio. 

Anche se oramai nessuno più si curava di rispondergli.

Ovviamente la sua reazione non era sempre la stessa, ma comunque anche il semplice arrivo di un nuovo membro con addosso l’infamante mantello nero gli provocava un’inquietudine da non poco.

E dopotutto- si ritrovava più volte a ripetersi, sedendosi sugli scalini su cui era costretto a stare per dare il suo contributo alla società – non sempre i Mietitori passavano da lui: qualche volta apparivano semplicemente nei pressi del Lyceum, e a lui stava più che bene. 

Finchè i suoi occhi non vedevano, la sua mente non avrebbe sofferto danni.

Anche quel giorno si era concesso un attimo di riposo, ma, proprio quando cominciò a pensare di alzarsi e concedersi una meritata pausa alla taverna Dionysia, ecco apparire dal nulla il cerchio di luce dorata che preannunciava l’arrivo di un altro elisiano al Sanctum.

Si alzò in piedi, deciso a dare un’ultima buona impressione prima di staccare.

Le labbra gli si congelarono ancor prima che l’intera figura terminasse di materializzarsi.

Sarebbe sembrato un asmodiano, se non fosse stato per l’assoluta mancanza di artigli, ma a Polyidus fece molta più paura riconoscervi uno dei suoi compatrioti, piuttosto che una di quelle creature maledette.

Occhi chiari e ferini truccati da una linea aggressiva di eyeliner lo squadrarono per un attimo, intimandogli di non dire una parola e lui fu ben più che felice di tacere, lasciando che la figura femminile dalla pelle bruna gli passasse davanti con una pericolosità equiparabile solo a quella di un ciclone.

Osservandola salire le scale , con i capelli di un lilla nebbioso costretti in un groviglio di trecce ed anelli dorati, che ricordava le acconciature esotiche di moda nella zona desertica di Eltnen, il teleportatore non ebbe dubbi su chi gli fosse appena passato di fronte: Nhefti, maestro di spiriti, terrore degli Shugo e famosa per essere il Deva col carattere più problematico di tutta Elysea.

Ed era nientemeno che un Mietitore.    

Neanche a dirlo, a Polyidus era passata la fame.

 

Quando Nhefti Fenice Rossa si permetteva di mettere piede nella grande piazza, anche solo di sfuggita, mezzo Sanctum si svuotava.  Bastava che uno soltanto dei residenti l’avvistasse da lontano e subito la notizia del suo arrivo si propagava a macchia d’olio, provocando un fuggi-fuggi generale che lasciava scale e vie del distretto commerciale a un passo dal desertico.

A Ledylight, in quel momento intenta a leggere un piccolo volumetto all’ombra di un albero dalla fronda indaco davanti alla Biblioteca dei Saggi, bastò quello come segnale.

Era il momento di spostarsi.

Chiuse di scatto il testo “preso in prestito” dagli straripanti scaffali dalla sezione segreta della grande biblioteca e con un lungo fischio richiamò la propria Ribbit violacea, infilandoglielo senza tante spiegazioni in bocca.

La povera ranocchia gracidò, guardando la propria padrona da basso con occhietti confusi, sempre con il tomo stretto tra le mascelle sdentate.

“Riporta questo libricino alla biblioteca, Rosell.” Fu tutto quello che la graziosa elisiana disse prima di cominciare a saltellare nella direzione opposta rispetto a quella del proprio cucciolo.

I lunghi capelli rosa di Ledy ondeggiarono al ritmo del suo passo infantile mezzo saltellante, scandendo il tempo che impiegò ad arrivare nei pressi del negozio di accessori e, con vocina zuccherosa, richiamare dalla soglia l’unica cliente rimasta al suo interno.

Raxeeelle! E’ arrivata Nheeeef!” cantilenò con una mano sullo stipite e l’altra sul proprio fianco.

Da dentro il locale rivestito di legno pregiato, la figura femminile, in quel momento intenta a provare un cappellino nero, dando le spalle alla porta, si voltò, rivelando un volto chiaro spolverato di lentiggini sulle guance, dominato dalla presenza di un paio di occhi verdi brillanti ed incorniciato da una lunga chioma bionda ed ondulata. 

Raxelle, portò una mano alla bocca, colta alla sprovvista.

“Come? Di già? Oh per Lady Ariel, come mi è volato il tempo!”

Un attimo dopo entrambe erano uscite, l’elegante cappellino nero già dimenticato e la fedele ribbit Rosell tornata al fianco della padrona con la bocca libera da qualsiasi onere cartaceo.

“Come pensi che prenderà la notizia?” chiese la bionda verso la più bassa , lisciandosi soprappensiero i fronzoli del vestitino bianco e azzurro che indossava per ogni occasione.

Ledylight ridacchiò petulante dal basso della propria statura, saltellando così elegantemente da sembrare irreale. La pensante staffa magica assicuratale alla schiena contrastava con la sua figura minuta, avvolta da un elegante vestitino rosso fiammante e da una giacca nera a maniche lunghe e larghe.

“Mi pare ovvio. Si rifiuterà e cercherà di sbolognare il compito a qualcun altro!”

Al suo fianco Raxelle si lisciò una ciocca di capelli tra due dita con fare pensieroso e dispiaciuto.

“Un po’ mi dispiace per lei. Un nuovo arrivato…” esitò un attimo, tornando a guardare la compagna alla ricerca forse di un’occhiata di intesa che non trovò “Di quella classe poi…

“Vedrai che Nhef se la caverà.” La liquidò rapidamente col solito ottimismo perentorio l’altra “E’ la migliore in queste cose.” 

Detto fatto la più piccola cambiò improvvisamente il passo iniziando a correre a braccia spalancate lungo tutta la rampa orientale,  urlando a pieni polmoni un unico e lungo “Ueeeeeeeeh!” che lasciò sbigottita per qualche istante Raxelle, rimasta con l’indice della mano destra sospeso, interrotto nell’atto di segnalare che aveva qualcos’altro da aggiungere.

“In realtà è per la novellina che mi preoccupo.”

 

I pochi temerari rimasti nei pressi di Elyos Square, testardamente decisi a non scollarsi dai morbidi tappeti della sala commerciale più rinomata di tutta Elysea pur di non perdersi qualche buon affare al banco degli Shugo, alzarono gli sguardi al soffitto esasperati e pentiti. 

Quella testarda di Nhefti, arrivata davanti ai pelosi commerciati senza nemmeno premurarsi di fare la fila, aveva praticamente monopolizzato il povero animale umanoide incaricato di fare da mediatore, dando vita ad una battaglia verbale che stava mettendo a dura prova i nervi di tutti i presenti.

T-taraerinerk non può farci nulla, lady Nhefti!” si difese per forse la quinta volta di fila il furetto parlante, torturandosi le zampette anteriori ed abbassando sommessamente le orecchie, mentre davanti a lui le labbra della donna si assottigliavano pericolosamente secondo dopo secondo.

“Lei non dispone dei kinah sufficienti per comprare questo vestito, nyerk. E lo sa quale sia la politica degli Shugo riguardo fare credito. Nyerk, nyerk!” 

Nhefti strinse gli occhi con più convinzione, picchiettando un dito sul proprio avambraccio, mentre davanti a lei il povero Taraerinerk, capita la gravità della sua situazione balbettò disperato, implorando con grandi occhietti da animaletto spaventato i propri colleghi per un aiuto.

“Io. Voglio. Quel. Vestito, shugo, adesso.” Scandì l’altra a denti stretti e tutta la sala si bloccò inorridita.

M-ma signora! Nyerk! Taraerinerk è solo un mediatore! Nyerk! Non sarebbe giusto..!”

“Subito.”

Oh, no. 

No, no, no.

Assolutamente no. 

Quel tono di voce gelido più di un ghiacciaio asmodiano non prometteva nulla di buono, specie se uscito dalla bocca di quella cinica esigente di Nhefti.

Molti preferirono levare elegantemente le tende, dirigendosi all’uscita della grande sala il più in fretta possibile, onde evitare di essere poi chiamati a deporre in un vero e proprio processo come testimoni oculari.

Solo una di loro, rimasta silenziosamente in disparte in un angolo della sala con il volto coperto da una maschera rossa a forma di drago, si rifiutò di uscire, tenendo le braccia incrociate, ma tese nell’eventualità di dover scattare e bloccare sul nascere una qualsiasi magia fatale diretta al commerciante shugo con fendente dei suoi pugnali.

Uno degli ultimi ad uscire dalla grande sala riconobbe nella figura mascherata Nohant Hancock, Mietitore assassino, uno dei pochi, o almeno così si diceva, ad avere un minimo di buonsenso. Sicuramente la donna, notato il malumore della compagna di Legione appena arrivata, doveva averla silenziosamente seguita, nascosta nell’ombra, e adesso, suo malgrado, si ritrovava ad un passo dall’intervenire, tutto per evitare che Nhefti facesse più danni di quanti non ne avesse già combinati in passato.

Si vociferava, infatti, che Fenice Rossa avesse procurato non poche spese alla propria legione.

Nohant. Ti ho visto là dietro. Azzardati ad alzare anche uno solo dei tuoi pugnali su di me e giuro che non avrò pietà.”

Da dietro la maschera Nohant la Bianca, così chiamata per via del colore dei suoi capelli, visibili dietro la nuca, soffiò irosa, ma non si mosse né nell’uno né nell’altro senso.

Certamente però  Taraerinerk, ancora sotto gli occhi gelidi della maga, non si sentì affatto rassicurato dalla presenza di quel possibile alleato.

Non gli restava che pregare a Lady Ariel.

Nyeerk…”   

 

 

Lo stomaco di Polyidus aveva appena ricominciato a lamentarsi, quando un nuovo cerchio di luce apparve ai piedi della breve scalinata dinanzi a .

Un soffio di aria calda, condita da granelli secchi e salati, gli arrivò dritto in faccia, costringendolo per un istante ad abbassare gli occhi per strofinarseli. 

Non era la prima volta che succedeva: erano anche fin troppi gli elisiani che si facevano teleportare dalla zona desertica Eltnen e a rimetterci erano sempre i suoi poveri occhi.

Sentì dei passi di risuonare morbidamente sl marmo delle scale, ma non fece in tempo a rialzare la testa che una mano gli si posò sulla spalla.

Femminile, fu la prima cosa che gli venne in mente, avvertendo delle dita sottili e delicate deformare appena le spalline in tessuto della sua giacca.

“Tutto bene?”

In compenso fu una voce raspa e tutt’altro che morbida ad arrivargli alle orecchie.

“Oh. Sì, sì. Tutto bene. Mi è arrivata solo un po’ di sabbia negli oc-”

Essendo abituato ad accomunare voci del genere a donnoni alti, formosi e sensuali, per lui fu quasi uno shock incontrare un delicato volto color avorio, tondeggianti occhi neri e capelli biondicci tagliati cortissimi, e, incredibilmente, un corpo talmente mingherlino da sguazzare dentro i propri vestiti.

Il teleportatore ci rimase così male da ammutolirsi di colpo. Aion aveva certamente fatto un buon lavoro con l’aspetto di quella creatura, tuttavia… in quanto a voce…

“Sto cercando Nhefti Fenice Rossa.” Disse la voce da contralto, riportandolo alla conversazione attuale.

C-come prego?”

Aveva sentito male? Senza dubbio. Aveva sentito malissimo!

La ragazza si accigliò un poco interdetta, avendo comunque la pazienza di ripetere:

Nhefti Fenice Rossa. L’avete vista?”

“Oh! S-sì, sì! Certo! È arrivata da poco.”

Di nuovo un’occhiata stranita.

S-solitamente si reca nella Hall of Prosperity.”

“La ringrazio, infinitamente.”

 Voce-raspa fece per andarsene, ma un lungo borbottio proveniente dalla sua pancia la bloccò, buttandolo in un profondo stato di imbarazzo. 

Avendone la possibilità Polyidus si sarebbe volentieri lasciato sprofondare nel pavimento per la vergogna.

S-stavo giusto pensando di andare in pausa pranzo” si giustificò a sguardo basso, pregando soltanto che quella giovane fosse abbastanza discreta da non andare a sbandierare la sua magra figura ai quattro venti.

Risuonò solo una risatina bassa e quasi immediatamente Polyidus si trovò sotto il naso una ciotola di insalata, fresca e brillante, chiaramente appena tirata fuori da un Cubo magico, accessorio di piccole dimensioni molto popolare, in grado di contenere un numero considerevole, seppur limitato, di oggetti.

“Grazie per l’informazione.”

Questo fu quanto disse prima di sparire oltre la fontana monumentale, mentre il mago, tutto contento di poter mettere dopo tanto qualcosa sotto i denti, si era riseduto a terra, gustandosi quel piccolo angolo di paradiso regalatogli.

Era davvero grato a quella strana ragazza.

A tempo dovuto avrebbe ricambiato il favore, semmai si fossero rincontrati.

Non le aveva chiesto il nome, ma aveva intravisto che tipo di oggetto portava assicurato alla schiena: un’arpa.

C’era una sola categoria di Deva, benché riapparsa solo di recente, a portarsi dietro quel tipo di oggetti…

 

 

“Una Musicista??”

Non le pareva vero di aver appena sentito uscire quelle parole dalla bocca di Ledy.

Lei incaricata di allenare una deva musicista appena entrata in legione?

Lei, Nhefti Fenice Rossa, famosa per essere dispotica, altezzosa, pretenziosa ed irragionevole oltre ogni limite imposto dal buon senso, aveva appena ricevuto l’ordine di trascinarsi dietro un peso morto che per giunta apparteneva ad una categoria combattente di cui si conoscevano le potenzialità e che nemmeno sembrava avere un perchè di esistere!?

Lanciò un’occhiataccia a Raxelle, tutta occupata a fasciare con premura la testona dello shugo che aveva appena fatto impazzire con uno sguardo intriso di mana, materializzandogli dinanzi illusioni spaventose che lo avevano portato a scappare via e sbattere inevitabilmente la capoccia contro un muro. Al suo fianco Nohant stava in piedi ed a capo chino, dimostrandosi dispiaciuta per non essere riuscita a fermarla.

“È stata troppo veloce, Rax. Non so proprio come scusarmi.” 

“Credimi Nohant, sarebbe stato peggio se fossi riuscita a bloccarla.” La rassicurò la bionda col suo solito modo di fare pacato, che nel frattempo aveva finito di medicare il povero malcapitato.

Uhm, meno di 60 secondi, Raxelle si era superata ancora una volta.

Avere un Clerico in legione, abile a curare le ferite anche in assenza di mana, era sempre cosa utile.

“Mi rifiuto.” Rispose seccamente, tornando alla conversazione tra lei e Ledy.

“Non puoi Nhef.” Cantilenò l’altra.

Se i suoi occhi, oltre alle maledizioni, avessero potuto lanciare anche dei fulmini Ledylight, detta Cantore delle Ossa, si sarebbe già ritrovata con i suoi morbidi boccoli rosa dritti e rigidi, sparati in aria.

Io…  Cosa?!”

“Abbiamo convenuto che per te sarebbe stata un’esperienza costruttiva.”

“Abbiamo?!”

“Io, gli altri fondatori della legione e la maggioranza degli altri legionari.” 

Nhefti si girò di scatto verso Raxelle e Nohant, entrambe con i rispettivi sguardi falsamente rivolti altrove, addirittura la maestra di spiriti potè riconoscere il suono appena ovattato di un fischiettio provenire da sotto la maschera dell’assassina.

Bene. Quel piccolo tradimento non l’avrebbe certamente dimenticato.

“E ovviamente io non sono stata interpellata.” Sibilò tra i denti, sempre ad occhi puntati su quelle che, a tempo dovuto, sarebbero diventate le sue prossime vittime.

Ledy sorrise angelicamente, ma Nhefti sapeva che, a dispetto della sua pelle chiara ed il suo aspetto in generale, quella piccoletta nascondeva una malignità da far invidia ad un Balaur. Nemmeno lei, tanto abituata a rigirare a proprio piacere chiunque le facesse comodo con qualche buona parola, un’occhiatina ammiccante, un gesto di solidarietà  o anche un ancheggio attentamente studiato, sarebbe mai riuscita ad eguagliare un tale livello di astuzia.

Anche perchè le sue credenziali fisiche erano leggermente inadatte, purché generosissime.

“Ma ovvio! Non ce n’era bisogno!”

A quel punto Nhefti decise di mettersi l’anima in pace: sapeva bene che se dietro quel complotto c’era il Cantore delle Ossa che non ci sarebbe stato modo di uscirne se non stringendo i denti e sopportare.

Prese un profondo respiro che le parve di olio puzzolente, ed espirando buttò fuori quello che mai avrebbe voluto rispondere. 

“Dove sta?”

Ehm…

Ogni mietitore presente si voltò di scatto in direzione dell’immensa entrata poco distante.

Nhefti alzò un sopracciglio di fronte a quella figura minuta e così chiara da bruciarle gli occhi.

Mai vista un’elisiana tanto bianchiccia

E piccola. 

E bionda. 

Lei detestava le persone pelle chiara e bionde, era un accostamento che non riusciva a digerire.

Fatta eccezione per occhi neri, tutto di quella ragazza la urtava.

Non vedeva l’ora che levasse le ten-

Uao! Parli del diavolo!” saltellò entusiasta Ledy.

Lei strabuzzò gli occhi.

Come?

Il Cantore delle Ossa, accostatosi alla nuova giunta, le lanciò uno sguardo sghignazzante e indicò la bianchiccia con il pollice. 

Davvero, Ledy faceva paura.

La cadaverina scrutò un po’ indecisa i vari presenti ed infine, capendo che nessuno l’avrebbe introdotta al posto suo, diede aria alla bocca.

E per poco Nhefti non ci lasciò le penne per lo spavento.

La maestra di spiriti sentì Raxelle sussurrare da dietro, forse tra sé e sé, forse rivolta a Nohant:

“Poverina, che brutto mal di gola!”

Forse un po’ disturbata dalla loro reazione alla sua voce, la sconosciuta si era bloccata, costretta quindi a riprendere da dove era stata interrotta.

“Sono Allegre, la nuova recluta, mi è stato detto di rivolgermi a Nhefti Fenice Rossa per ambientarmi nella legione.”

Nhefti avrebbe ucciso Ledy prima o poi. 

Decise di farlo, sul serio, forse non quel giorno stesso, forse non domani, ma, oh Lady Ariel le era testimone, si sarebbe presa tutto il tempo per pianificare tutto nei minimi dettagli.

E mentre lei stava ammutolita, meditando al contempo vendetta nei confronti della saltellante coniglietta rosa che l’aveva incastrata, Raxelle la superò lanciando un urlo eccitato, afferrando le mani di Allegre e scuotendole così tanto da far venire a quest’ultima il capogiro.

“Ciao Allegre, io sono Raxelle!”

Nohant Hancock.” Intervenne la Bianca con la voce ovattata dalla maschera.

Ledy si spostò nuovamente, stavolta accostandosi a Nhefti

Le cinse con movimento fluido le spalle e, radiosa come sempre, esclamò con una mano accanto alla bocca:

“Io sono Ledylight e lei è Nhefti, piacere di conoscerti Allegre!”

Il cantore dai capelli rosa girò la testa verso il maestro di spiriti.

“Su Nhefti, tocca te fare gli onori di casa.”

Oh, sì. Decisamente vendetta. Lenta, atroce, cruenta vendetta.

Si fece coraggio, anche se non si diede affatto pena per mascherare il proprio tono acido, ed eseguì quanto le era stato ordinato.

“A nome dei presenti e degli assenti…” fece una pausa di riflessione per costringersi a non richiamare uno spirito scagliarlo contro Nohant, che era sicura avesse appena ridacchiato alle sue spalle.

“Benvenuta nella Legione dei Mietitori, Allegre.”

 

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Capitolo 2
*** Io spavento, tu annoia ***


Memorie del Sanctum:
Io spavento, tu annoia



“Posso farti una domanda?”
Nhefti si fece quasi violenza per costringersi a non alzare gli occhi al cielo. 
Accanto a lei Allegre cercava di tenere il suo passo, seguendola suo malgrado con molta fatica, a causa del ritmo quasi militare che lei aveva assunto fintanto che si erano allontanate dalla Hall of Prosperity. 
La maestra di spiriti avrebbe volentieri fatto a meno di risponderle: già faticava a non dare peso agli sguardi stralunati di chi, credendo che lei non li notasse, le stava fissava dirigersi passo dopo passo verso Divine Road, figuriamoci se poi doveva fare i conti con le domande puerili di una novellina dalla voce così graffiante che al confronto lo stridio di un Ribbit sarebbe parso il canto di una sirena! 
“Se proprio devi.” Decretò, bloccandosi giusto sul ciglio dell’approdo a cui la grande piattaforma coperta galleggiante si sarebbe ben presto accostata per condurle al distretto commerciale.
Nel caso le fosse venuta voglia di levare le tende in grande stile.
O alleviare le proprie sofferenze in grande stile.
Dipendeva dai punti di vista.
“Perchè ti chiamano Fenice Rossa?”
Le venne naturale girarsi incredula verso la cadaverina che, nel frattempo, l’aveva raggiunta, certa di incontrare un maledetto sorriso divertito e di sentirla ridacchiare gracchiante, ammettendo di volerla solo prendere in giro.
Purtroppo andò semplicemente a sbattere contro un paio di occhi da cerbiatto neri assolutamente seri e attenti.
Non lo sapeva?
Davvero non lo sapeva?
“Quante volte sei venuta qui al Sanctum?”
Quella alzò lo sguardo, assumendo un’aria pensierosa.
“Un paio di volte… Sai, il costo per la teleportazione non è sempre alla mia portata…”
Un paio di volte??- pensò spalancando la bocca.
Ma da dove era uscita questa? Quando mai un deva aveva messo piede al sanctum “un paio di volte”??
“Quindi non hai mai visto una manifestazione delle ali.” Concluse, salendo con sua immensa gioia sulla piattaforma, appena giunta dinanzi a loro.
“Mai.” Le rispose con la stessa semplicità. “Ha a che fare con le tue ali?”
Per un attimo la maestra di spiriti fu tentata di di risponderle in modo ironico, così, tanto per vedere la sua reazione ma ,vedendo l’altra sponda del santuario avvicinarsi, decise di liquidare velocemente l’argomento.
“Avrai tutto il tempo per scoprirlo, novellina.”
Dietro di lei Allegre si crucciò, continuando a seguirla silenziosamente e sempre un po’ a fatica.
Al loro ingresso Divine Road fischiò desertica più del solito. Persino a Nhefti, abituata a simili atteggiamenti da parte dei residenti del Sanctum ad ogni sua visita, la cosa puzzò. 
“Dove andiamo?” le grattò i timpani la voce della musicista.
Continuarono a camminare l’una dietro l’altra finchè Fenice Rossa non si bloccò di colpo, volteggiando elegantemente sui propri tacchi per ritrovarsi faccia faccia con la sua novella pupilla.
“Inizieremo con qualcosa di pratico.”Disse spassionata con un rapido gesto della mano alla propria sinistra.
Con suo immenso piacere vide le sopracciglia chiare della musicista alzarsi all’unisono, denotando un certo stupore.
“Manichini d’allenamento?”
Nhef lottò per non alzare gli angoli della bocca in un sorriso sadicamente divertito: quasi quasi il ruolo affibbiatole dalla legione non le dispiaceva più di tanto.
Sentendosi estremamente compiaciuta si allontanò dal manichino incantato arruginito, lasciando tutto lo spazio necessario alla biondina.
Si girò di nuovo incrociando le braccia al petto, la sua espressione mutata nuovamente, stoica e seria come un diamante. 
“Primo scenario, pensa e agisci in fretta: davanti a te arriva un asmodiano classe mago a gran velocità.”
La ragazza si irrigidì per un attimo, facendo poi, una volta capite le sue intenzioni, per estrarre con mani di pasta frolla la propria arpa, addirittura rischiando di lasciar cadere l’archetto.
Digrignò i denti. 
Si preannunciava una giornata lunga…






Dopo ore passate ad osservare la musicista reagire ai suoi continui ordini, saltellare davanti alla bambola inanimata come una cavalletta, simulando attacchi continui da parte di un nemico immaginario, e sfoggiare con vistosi movimenti di un archetto, usato a mo’ di bacchetta, continui incantesimi mai visti prima, Nhefti Fenice Rossa potè giungere ad una singola, preoccupante conclusione: i musicisti erano una classe assolutamente incomprensibile.
Inizialmente non le era sembrato così tanto strano il suo stile di combattimento: come ogni deva  dedito alle arti magiche si manteneva a debita distanza dal nemico, evitando di essere ferita fisicamente, usava uno scudo protettivo sferico per diminuire danni provocati da lame o frecce quando le ipotizzava l’attacco di un asmodiano cacciatore o assassino, e usava la sua arma per lanciare maledizioni ed incantesimi ad un ritmo impressionante, poi, però, aveva cominciato a notare qualcosa di strano: ad ogni ondeggio della sua bacchetta o vibrazione delle sue corde, Nhefti non l’aveva mai sentita formulare un’incantesimo, come se pronunciare ad alta voce le parole in elisiano, necessarie ad ogni mago per richiamare a sè la forza magica di Lady Ariel, non le servisse.
Andò quasi in paranoia, iniziando a masticarsi nervosamente l’unghia del pollice.
Poi le venne un’idea.
 “Da dietro le spalle un altro asmodiano ti ha resa muta con un’incantesimo.” Le disse concedendoi un po’ di cattiveria in più, simulando uno scenario più difficoltoso degli altri.
Davanti ai suoi occhi Allegre si bloccò come una bambola meccanica senza più carica, si girò verso di lei con occhi larghi per la sorpresa ed infine si rilassò, riponendo l’arma alle proprie spalle.
Fenice Rossa inarcò un sopracciglio, non capendo:
“Bhe? Che ti prende? Non reagisci?”
“Sono morta.”
Lo disse con così tanta semplicità che Nhefti non reagì in alcun modo, inizialmente, poi, riscossasi, si lasciò sfuggire un rantolo strozzato.
“Che..?”
“Non posso reagire se mi silenziano con un’incantesimo. Tempo un paio di secondi e sarei già a rantolare ai piedi di un totem della resurrezione.”
A quel punto Fenice Rossa si sentì quasi indignata.
La stava prendendo in giro? Aveva passato tutto il tempo ad eseguire in religioso silenzio ogni singola magia davanti ai suoi occhi!!
“Non p-!”
“Io sussurro… gli incantesimi.”
Ancora una volta gli occhi sottili della maestra di spiriti strabuzzarono.
“…Sussurri?”
La biondina annuì, indugiando con lo sguardo vergognoso verso terra, come se si vergognasse di dover giustificare un proprio ipotetico fallimento.
“È …una cosa tipica dei musicisti, non possiamo lasciare che le nostre parole intacchino gli effetti delle nostre melodie. Io in particolare ho una voce troppo profonda, quindi, se parlassi più forte sovrasterei il suono della mia arpa e di conseguenza gli effetti della mia magia sarebbero più deboli.”
Nhefti stava ancora boccheggiando.
“Sono… stata poco chiara? Vuoi che te lo rispieghi?”
“Ma io non ti ho sentita dire una parola!”
La bocca di Allegre prese la forma di una piccola “o”.
“È che io mi sono molto allenata per non farmi sentire durante i miei attacchi.” Si giustificò di nuovo con faccia dispiaciuta. “Ecco senti…”
Senza che le chiedesse nulla la bianchiccia si mise le mani attorno alla bocca, iniziando a muoverla velocemente e apparentemente senza suono. Incuriosita l’elisiana dalla pelle bruna vi accostò l’orecchio, lasciandosi quasi sfuggire un’altro rantolo quando, unendo in una frase di senso compiuto i debolissimi sibili che l’altra emetteva, riconobbe la frase:
«La mia arpa scandisce un tempo
Ove Regina oramai non giace,
Lady Siel, madonna pace,
A memoria tua canto il Tempio.»
Lady Siel??!
Era quasi finita sedere a terra per la sorpresa. Aveva sentito dire che i musicisti perpetrassero la parola di Lady Siel, la dama del Tempo, anzichè quella di Lady Ariel, dama della Luce, come la maggior parte degli elisiani. Era sì risaputo che Siel avesse evitato che Atreia finisse in mille pezzi con un ultimo disperato sacrificio, durante il Cataclisma, difatti era rispettata anche dagli asmodiani, ma vedere per la prima volta un deva fare apertamente il suo nome, pronunciandosi come suo devoto servitore, era…strano.
In un istante le fu chiaro il motivo di quel fuggi-fuggi più convinto del normale al loro arrivo: alcuni elisiani particolarmente idioti non vedevano di buon occhio la classe dei musicisti, devoti ad una icona amata e rispettata anche dal popolo dell’oscurità.
Dunque quest’ostilità non è per via della mia presenza…- pensò, sentendo lo stomaco stringersi per il nervoso,  -…, ma per la sua.
“C’è un solo incantesimo però che devo per forza pronunciare ad alta voce.” 
Nhefti non sapeva se essere grata alla sbadataggine dell’altra per non averle fatto notare quanto fosse rimasta scossa dal nome della dama del tempo, oppure arrabbiarsi e rimproverarla.
“E sarebbe?” chiese un po’ alterata, puntellando le mani ai fianchi.
La vide mettersi più vicina al manichino di latta per poi, con un gesto elegante del braccio, suonare la propria arpa e far apparire tre corde dorate lunghe e parallele davanti a sé.
Vingrakedizi.” Scandì a voce profonda e chiara, colpendo le corde magiche con un unico gesto orizzontale. 
Ci fu uno schioppo, poi una nuvola di fumo avvolse il manichino.
Dopodichè… apparve un enorme pinguino intento a ballare la break dance.
Fenice Rossa si sfregò gli occhi, certa che la stanchezza le avesse giocato un brutto tiro.
Il pinguino era sempre lì.
Allegre si voltò, di nuovo a sguardo basso e colpevole.
“La uso solo in casi estremi.” Fece a mo’ di giustificazione “Anche se può sembrare ridicola mi dà il tempo di curarmi o di preparare un attacco più potente, mentre il nemico…”
“Balla??” a Nhefti non parve vero di essere riuscita a tirare fuori quella parola. 
Sul serio, che razza di magia era mai quella? Chi era il malsano precettore che gliel’aveva insegnata? O meglio… Chi l’aveva ideata una simile pazzia??
“Dorme.” La corresse la biondina, con occhi da cucciolo impaurito. Con quella voce da contralto faceva impressione vederla atteggiarsi in maniera così passiva.
“Dorme?” ripetè lei, tornando a guardare il pinguino - chiaramente un’immagine illusoria- continuare la propria performance. Un falso pinguino ballerino che nasconde ad occhi estranei la figura di un nemico addormentato? Non era certamente una fattura convenzionale, ma a pensarci bene avere dinanzi una figura ridicola, anzichè un asmodiano assetato di sangue in procinto di svegliarsi, doveva essere molto rassicurante per chi doveva sbrigarsi e prepararsi a contrattaccare.
Raddrizzò le spalle, la solita sicurezza tornatale di colpo.
“Ah!” 
Sì, pensandola in questo modo, poteva anche accettare una mossa tanto assurda.
“In pratica, la tua ultima risorsa è…annoiare il nemico.”
Allegre ridacchiò a labbra strette, stupendo una volta di più la propria mentore.
Erano poche le persone che sapevano prendere per il verso giusto una sua battuta rivolta ad una propria mossa da combattimento.
Anche le labbra scure di Nhefti si erano incurvate in un sorriso, che si gelò prontamente non appena quest’ultima se ne rese conto. 
Lei non rideva, lei non sorrideva.
Al massimo ghignava o sghignazzava compiaciuta. 
Punto.
Fine della storia. 
Di colpo riecco Nhefti Fenice Rossa tornare in sè, e decretare con fare autoritario:
“Per oggi abbiamo finito. Andiamo a cercare qualcosa da metterti addosso, sembri un sacco di patate.” Concluse con una punta di disprezzo verso gli strati di tessuto consumati e sporchi che coprivano il corpo della musicista, dando addirittura l’impressione di appesantirla.
La bianchiccia si diede un’occhiata, tornando poi a guardarla spaesata.
“Ma io non ho soldi…”
I denti bianchissimi della maestra di spiriti si scoprirono in un ghigno.
“Chi ha parlato di comprare?”


A dispetto dei suoi iniziali sospetti, Allegre non si ritrovò costretta a fare da complice in un vero e proprio blitz illegale nei magazzini degli shugo, ma in compenso Nhef l’abbandonò, letteralmente, nella Hall of Prosperity davanti ad un baule pieno di suoi vecchi vestiti con solo l’inserviente addetto ai magazzini a farle la guardia. 
Dove fosse andata la sua mentore non ne aveva idea, ma la musicista optò per scegliere in velocità un vestito che le stesse bene e correre a cercarla.
Aveva un brutto presentimento…
“Allora? Non hai ancora scelto?”
Accanto a lei l’addetto ai depositi provati si irrigidì con un verso strozzato.
Nhefti Fenice Rossa era tornata, ma, al posto del vestito lungo bianco iridescente di prima, ricco di fronzoli e a collo alto,  stava sfoggiando un nuovo abito dal taglio audace di colore rosso fuoco con tanto di boa di ermellino bianco attorno alle spalle.
Allegre non ebbe difficoltà a riconoscere nello stile di quell’indumento la mano di un sarto asmondiano: non aveva mai visto niente di simile nelle boutique d’alta moda elisiane (che nonostante la sua perenne mancanza di denaro, aveva avuto modo di visitare) e, in più, a nessun deva elisiano sano di mente sarebbe saltato in mente di mettersi addosso qualcosa di tanto… succinto.
Non che a Nhefti non donasse, anzi, sul suo corpo generoso quell’abito stava pennello, donandole, come se non ne avesse già a sufficienza, un’aura di aggressiva sensualità che faceva sorgere dei dubbi sulle sue origini elisiane.
“Bhe?!”
La biondina si accorse di essere rimasta zitta qualche secondo di troppo.
“Ah..ehm… no. Cioé sì! Non ho… ancora… scelto.” 
“Umph…Quanto sei lenta.” Grugnì la maestra di spiriti, interponendosi senza tante cerimonie tra lei ed il baule.
“Ecco.” Disse  scegliendo e mettendole in mano un indumento piegato a dovere “Prova questo, se ti sta bene te lo regalo.”
Allegre guardò stupita prima Nhefti, poi il vestito, poi di nuovo Nhefti, e continuò per un paio di volte, finchè, dopo la terza volta di troppo, Fenice Rossa sbottò impaziente:
“Là. Dietro quel muro. Datti una mossa, novellina, su!”
Bastarono quelle parole, unite ad un gesto vago della mano per far scattare la musicista come una molla.
Non appena la vide sparire dietro il “tendone-depositi”, Nhefti ridacchiò.
Sì, decisamente il ruolo di capo le piaceva.
“Hai un nuovo vestito.”
La voce grattante di Allegre richiamò la sua attenzione, ma non la distrasse certamente dal custode del suo deposito personale che sembrava più che ansioso di lanciare un’occhiatina indiscreta oltre il muro che faceva da unica protezione alla musicista.
Nhef fulminò con occhi gelidi il ragazzo, il quale scattò sull’attenti sudando freddo.
“Importa qualcosa?” rispose, facendo finta di osservarsi annoiata le unghie.
“È un’abito asmodiano…”
La mascella di Fenice Rossa si irrigidì con scontento.
“…deve esserti costato molto.”
Di nuovo la maestra di spiriti si rilassò, tornando a ghignare malvagia.
“Uno shugo mi ha proposto un ottimo affare.” Ridacchiò allusiva, lanciando uno sguardo ammiccante allo shugo dalla testa fasciata che tremava dietro il bancone poco più lontano.
“Eccomi.”
Riemersa finalmente da dietro la pila di casse impilate ed accatastate contro il muro Allegre sfoggiava un abito corto viola scuro di taglio tipicamente elisiano, le spalle coperte da lunghe maniche aderenti e sottili di materiale luccicante, mezzi guanti neri, calze nere traslucide e stivaletti. A dare al tutto una nota di classe, una lunga collana di filamenti dorati che le partivano dal colletto.
Nhefti storse la bocca.
Le stava alla perfezione.
Come faceva a starle bene se a lei, dai tempi in cui si era concessa di comprare a scatola chiusa un vestito elisiano,  era risultato strettiss-?
Ah…giusto. - Pensò con una punta di malevolenza, osservando meglio la bianchiccia - Tette piccole.
“A-allora come sto?”




La prima volta che Nhefti portò Allegre ad Eltnen per vedere come se la cavava su un vero campo di battaglia… non andò così male.
L’asmodiano che le attaccò di sorpresa e alle spalle era solo un assassino avventato, nemmeno tanto forte, e la maestra di spiriti non dovette alzare neanche un dito per aiutare la musicista. 
Tempo un paio di colpi di archetto ed il deva del mondo oscuro era già a carponi che le guardava dal basso con disprezzo, zanne sguainate ed artigli conficcati nel suolo melmoso della palude.
Un tipo smilzo dalla pelle blu elettrica, capelli bianchi e tanti cicatrici quanti percing ad addobbargli la faccia.
Per un istante l’elisiana dalla pelle bruna si chiese se non fosse stato il caso di lasciarsi andare in un piccolo applauso in onore della velocità con cui si era svolto il combattimento. 
Poi però si accorse che, dopo averlo avvelenato con una maledizione di aria malsana , la musicista si era bloccata, quasi combattuta sullo sferrargli il colpo di grazia. 
Fenice Rossa alzò un sopracciglio, non capendo.
“Bhe? Che cosa aspetti?”
Allegre non si voltò a guardarla, nè accennò a voler lanciare un’altro attacco verso l’asmodiano morente ai suoi piedi , ma si limitò ad inclinare la testa e a risponderle con voce cavernosa:
“L’ho avvelenato, non gli resterebbe comunque molto.”
E mentre entrambe si allontanavano, lasciando l’assassino agonizzante a terra, a Nhefti venne spontaneo pensare che quella bianchiccia della sua allieva sembrasse quasi dispiaciuta per l’asmodiano appena sconfitto.
“Tse’. Quanto sei noiosa.”




La seconda volta che le due si ritrovarono insieme spalla a spalla in un combattimento accadde per caso.
Allegre stava vagando completamente spaesata  nella giungla di Eltnen, in pieno territorio Maduri, una razza di primati estremamente aggressivi, quando da lontano sentì una voce nota pronunciare un incantesimo da dietro una roccia coperta di muschio umidiccio. 
Si ritrovò davanti Nhefti intenta ad inculcare un po’ di buona educazione nel cervello di un immenso babbuino con la luna di traverso.
La musicista ci rimase tanto male nel vedere la compagna di legione tenere testa ad un simile colosso che le ci volle un po’ per notare quanto mana stesse effettivamente sprecando.
Decisamente troppo. - Pensò, accigliandosi con le labbra rosse storte in una linea scontenta.
L’arpa venne imbroccata con un unico gesto elegante del braccio e l’archetto vene mosso quasi immediatamente sulle corde.  
Da lontano alla maestra di spiriti bastò solo sentire il suono dello strumento per comprendere al volo chi si stesse intromettendo in una sua battaglia senza essere invitata, sentendosi poi investire da un’ondata di nuovo mana che le mozzò il fiato.
Tempo di mandare nel panico i nervi della palla di pelo gigante con un incantesimo di paura, schiacciarlo con un ultima maledizione urlata al cielo, ed eccola dirigersi a passo militare verso Allegre, ancora in piedi su una roccia più in alto, che la guardava con occhi da cucciolo spaventato ed il corpo del reato ancora tra le mani.
“Che cavolo ci fai qui?! Mi stavi seguendo?!”
La biondina tentennò.
“Mi sono persa.” Gracchiò “Ti ho vista e pensavo ti servisse un po’ di mana.”
“Ah sai anche rifornire di mana gli altri adesso?” puntellò le mani sui fianchi l’elisiana dalla pelle bruna, cercando di non dare a vedere quanto in realtà fosse rimasta sorpresa. Durante gli allenamenti non le era mai capitato di vederla usare un incantesimo simile.
“Bhe.” Sorrise imbarazzata l’altra “La mia musica può sia lenire le ferite che amplificare il mana altrui…”
“E quando aspettavi di dirmelo??”
Le ciglia, incredibilmente scure, della musicista sbatterono un paio di volte, mentre la testa le si inclinò in un’espressione indecifrabile, come se volesse dire qualcosa.
Per un attimo Nhef temette il peggio.
Che avesse intuito qualcosa? 
Che i suoi occhi si fossero infiammati di rosso per la prima volta in vita sua? 
Oppure nella sua espressione qualcosa aveva fatto scattare nell’altra quel campanello d’allarme tipico di quando le si avvicinava un asmodiano?
“Sai..” Iniziò la bionda ”…a volte mi fai paura…”
La maga, deglutì appena, pregando Lady Siel affinchè non illuminasse la mente bacata di quella sua particolare musicista.
Non era ancora pronta. 
Non avrebbe potuto mai accettare che qualcuno al di fuori di lei venisse a conoscenza della sua natura meticcia!
“In che senso, novellina?” simulò sicurezza, preparandosi mentalmente ad attaccare l’altra se necessario.
“Sei…” ricominciò Allegre con fare lento. 
Dannatamente lento. 
“…troppo nervosa.”
Le gambe di Fenice Rossa tremarono, minacciando di afflossciarlesi di colpo. 
Era appena stata miracolata. Avrebbe spupazzato meno shugo durante la prossima visita al Sanctum.
“Dovresti imparare a controllare meglio la rabbia, sai?” terminò con fare pensieroso voce-raspa, per grazia di Aion senza notare nulla.
Spaventare è una delle qualità che mi salva la vita in combattimento, pivella.” 
E liquidandola così, girò i tacchi, sentendo però gli stivaletti lucidi dell’altra picchiettarle dietro per tutto il tragitto, finchè insieme non raggiunsero un campo base.




La terza volta che le due collaborarono fu in pieno Abisso.
Nhefti si trovava a terra con un numero assurdo di frecce conficcate nel costato: un ricordino lasciatogli da un dannatissimo cacciatore asmodiano.
La loro legione si era, neanche ricordava come, decisa a conquistare la Fortezza Divina e sottrarla ai deva oscuri.
Rantolò.
E quello era il risultato.
Si girò su se stessa, il suo spirito protettore sconfitto minuti prima, cercando di strisciare il più lontano possibile dalla battaglia. Le sue orecchie riconobbero la voce di Ledylight e Raxelle in  mezzo alle altre.
Finchè ci fossero state almeno loro non sarebbero stati spacciati del tutto.
“Argh..!” tossì, ormai col sangue arrivatole al palato.
Un paio di stivali lucidi e metallici le si pararono davanti.

Rrrnv i hlu 'ejr ei ndwh nhsh.
«Guarda un po’ chi abbiamo qui.»

 Riconobbe la voce, ma, non credendo alle proprie orecchie, Nhefti alzò gli occhi, incontrando un paio di occhi gialli per lei inconfondibili, ancor più della pelle scura come la propria e dei capelli viola brillanti e ricci tenuti fermi in una coda vaporosa.
La mascella rischiò di ciondolarle, ma si costrinse a storcere di malincuore le labbra in un ghigno.

Uhexvd.
«Medusa»

Davanti a lei la guerriera asmodiana dalla grande ascia assicurata dietro le spalle, si portò i lunghi artigli all’altezza del viso, rimirandoli con falsa attenzione.

Mvfdqloj lsrp zih amonloj ajlq, amvuhs? Esxme imvr hh zih zlph.
«Scappi dalla nave che affonda, sorellina?Sarebbe anche l’ora.»

A Nhefti venne quasi il voltastomaco, ma, con le unghie aggrappate al terrendo pietroso e tagliente della fortezza, frenò la propria irruenza.
Sua sorella Medusa, guerriera della legione asmodiana della Ala Tempestosa, era come lei una meticcia asmodiana, ma, a differenza sua, che poteva benissimo vivere in mezzo agli elisiani senza destare troppi sospetti, Medusa era nata con tutti i tratti tipici del popolo dell’oscurità. Non c’era mai stato un solo giorno in cui sua sorella non avesse cercato di farla fuori da quando entrambe si erano ritrovate, ascese a ruolo di deva, nell’Abisso.
Si odiavano, e questo era quanto.
Era sempre riuscita a tenere testa alla sorella, ma in quel momento la situazione non volgeva a suo favore.
Aveva esaurito troppo mana. Una sola mossa falsa e la sua adorabile sorella l’avrebbe rispedita al suo totem della risurrezione tagliandole di netto la testa.
E non era uno scherzo. L’avrebbe fatto.

Zr hh nrohvu q eev rrrnloj lrs i orre ndlseshvvhs, hxu q jr tru zilon qu esxme hh emvh zr aihn iewlfh lsrp gsx, hlj amv'.
«A dirla tutta stavo cercando un bravo parrucchiere, ma non credo sia saggio chiedere consiglio a te, sorellona.»

Boccaccia sua, ma aveva saputo resistere.
Ghignò vedendo la bocca scura dell’altra storcersi rabbiosa: se c’era una cosa che Medusa non sopportava, era essere accusata di avere un pessimo gusto in fatto di capelli.

Gsx bmhz ulssrs xhfhoumb, Tihg?”
«Ti sei vista allo specchio di recente, Nhef?»

Tihgul, era il suo nome asmodiano.
Fenice Rossa si morse le labbra, fingendo di star soffrendo per via delle frecce nel fianco.
Quanto lo detestava.

Truiloj zidu i rluumh 'udnh-cr kdo tru lly.
«Niente che un po’ di trucco non possa sistemare.» Ribattè sprezzante.

Ancora un po’.
Medusa rimase qualche secondo i più a rodersi il fegato, prima di tornare con le labbra storte in modo maligno.
Nhefti impallidì, vedendo le mani artigliate della sorella impugnare con estenuante lentezza la propria ascia ed estrarla con gioia.
Ancora un po’.

Gsx ioe gsxs lhduihshe rhjlro wg urmmxvfv ndwh udeh i osdwh ulvudnh hb zsbmoj zr zdnh izdb wxs lrsushvv.” 
«Tu e la tua legione di molluschi impiumati avete fatto un grave errore, cercando di toglierci la Fortezza.»

Ci fu una pausa. Nhef ormai si era dimenticata come si facesse a respirare.
La lama dell’arma brillò sinistra alla luce rossa del nucleo infuocato in cui si ergeva la fortezza.

Wi, eimm. Q khsudlomb jr tru ndwh zr krpqmdlo.” 
«Oh, bhe. Io non ho certamente di che lamentarmi.»

Sotto di lei la terra aveva appena iniziato a tremare, carica di promesse, ma ormai era troppo tardi perchè lo spirito che aveva cercato di evocare venisse fuori a farle da scudo.
Serrò gli occhi, aspettando che la lama le trapassasse di netto il collo.
Quanto detestava quella parte dell’essere un deva.
Morire più volte per poi risorgere tra atroci sofferenze era una vera fregatura.

Aih ge, amvuhs.
«Ci vediamo, sorella

Le sembrò quasi di sentire l’arma iniziare a fendere l’aria, accompagnato da un suono…un tintinnio?
Una nota musicale rischiarì l’aria sulfurea, seguita da uno scoppio e da un’imprecazione asmodiana. 
Ajlu!
Nhefti alzò la testa appena in tempo per vedere Medusa venire investita da un altro incantesimo sonante, stavolta composto da una forte sferzata d’aria che confuse l’asmodiana per qualche secondo.
Per la maestra di spiriti non fu una sorpresa vedere apparire dal nulla Allegre che, prima che l’avversaria riprendesse piena coscienza di cosa stesse accadendo… l’addormentò con lo stupidissimo incantesimo del pinguino danzante.
La musicista non perse tempo e si abbassò su di lei, carica di ansia.
“Nhef! Stai bene??”
“Sì pivella, ho solo qualche freccia che mi solletica le budella. Come credi che stia?!?!”
Sapeva di non essere stata troppo carina, ma… andiamo, era pur sempre ferita!!
Allegre non fece caso alle sue pessime maniere. Alzò la testa ed urlò in direzione del vero campo di battaglia:
“Rax!”
E da quando quelle due erano così amiche da usare i diminutivi? Argh, aveva perso troppo sangue. La vista le si stava annebbiando e cominciava a pensare a cose inutili.
Quel pinguino che copriva la forma addormentata di sua sorella non era poi così inutile … e se proprio doveva dirlo era anche abbastanza diverten- no! Non doveva cascarci. Doveva riprendersi. Niente sorrisi ebeti. Rimani lucida Nhefti Fenice Rossa, ne va della tua reputazione.
“Eccomi!”
La testa bionda di Raxelle fece capolino nella sua visuale annebbiata con fare trafelato.
Magnifico, salvata da due bionde bianchiccie.
“Non è la mia giornata.” Grugnì, passandosi una mano sulla fronte umida e fredda.
“Muoviamoci prima che si svegli. Io le tolgo le frecce e tu la curi. Pronta? Al mio tre. Uno…due…tre!!”
La velocità con cui Raxelle istruì la musicista non la stupì più di tanto - essendo un medico di professione, oltre che clerico, era cosa più che normale- , ma fu il dolore che seguì l’estrazione delle frecce a lasciarla senza fiato.
Fortunatamente la musica lenitiva di Allegre arrivò prima che un urlo le salisse alla gola.
Tempo pochi secondi e le ferite si erano richiuse, lasciando del dolore solo un vago ricordo.
Piena di energia e scattante più di prima, si alzò giusto in tempo per vedere la figura illusoria del pinguino ballerino che ricopriva Medusa dissiparsi.
Dietro di lei una nuova melodia a tre movimenti la ricaricò di mana e lei fu ben più che felice di sfruttarlo per richiamare uno spirito di terra.
La faccia di sua sorella fu impagabile.
“Allora?” sghignazzò lei da dietro il proprio spirito “Dove eravamo rimaste?”
Lanciò un piccolo incantesimo al viso dell’asmondiana, una scintilla, se confrontata ai suoi incantesimi più potenti.
Medusa incassò la provocazione con assoluta mobilità, senza mai staccarle di dosso il suo sguardo carico d’odio.
Un corno asmondiano suonò, rombando profondo per tutta la fortezza.
Si ritiravano.
“Ledy e gli altri hanno abbattuto il Generale!!” saltellò eccitata Raxelle, rimarcando l’ovvio.
A Nhef venne da sorridere: quella pazza di Ledy, come al solito riusciva nelle imprese più disperate. Lei, Nohant, Koichi, Kajan e Pam  dovevano essere andati avanti senza di loro, sperando di conquistare la Fortezza, mentre loro e gli altri facevano da diversivo all’esterno.
Lanciò uno sguardo di sfida alla sorella, sfidandola quasi a farsi avanti e darle un pretesto per distruggerla.
L’asmodiana indietreggiò a zanne scoperte, spiegando le grandi ali scure.

Mokrb zih ayo ejlmh gsx kdo, amvuhs.
«Goditi il sole finchè puoi, sorella»

Vedendola sparire oltre il varco del nucleo, Nhefti sospirò sollevata, grata di essere la sola a capire la lingua asmodiana.
“Nhefti?”
Si girò verso Allegre e per un attimo sentì il sangue defluirle dal viso.
La musicista la guardava ad occhi tondi e confusi.
Non poteva essere che…?
Raxelle le saltò addosso, appesantendola sulla schiena con un’abbraccio pieno di entusiasmo.
“Andiamo ragazze!!! Ledy e gli altri ci ruberanno tutti i trofei di guerra!”
La curatrice si gettò a capofitto nell’entrata della fortezza, preoccupata di potersi lasciar sfuggire qualche bell’armatura di alta qualità o accessorio di classe, lasciandola inevitabilmente sola con la musicista.
Optò per una ritirata strategica.
“Su, muovi i tacchi pivella. O per pagare il prossimo affitto dovrai svendere di nuovo le medaglie al banco dei pegni.” 
“Nhefti.”
Si bloccò di colpo, dandole le spalle. 
Aion, perchè?
“Va tutto bene?”
Non male, temeva avrebbe chiesto qualcosa di peggio. Forse si era fatta troppe paranoie. Che senso poteva avere che quella bianchiccia capisse l’asmodiano, dopotutto?
Schioccò la lingua .
“A meraviglia pivella. Grazie per il salvataggio tempestivo…” 
Grazie? Aveva appena detto grazie?? 
Doveva essere impazzita.
“…, Ma adesso basta con le smancerie, devo sfogarmi su qualcuno. Zazà stavolta non mi scapperà. Quella bastarda di un’asmodiana mi ha fatto passare un pessimo quarto d’ora e non sono nemmeno riuscita a fargliela pagare!”
Dietro di lei però sopraggiunse di nuovo la voce dell’altra, seguita da una mano sulla spalla che la costrinse a voltarsi:
“Nhefti.”
Di nuovo gli occhi neri dell’altra la sondarono, tanto fissi da sembrare quelli di un rapace, un gufo, capace di arrivarle fino all’anima.
“Tu non mi fai paura.”
La mezza asmodiana alzò un sopracciglio.
“Dovresti invece, pivellina. L’hai dimenticato? È la qualità che mi salva la vita, fare paura.”
Cercò di scostarsi da lei, ma Allegre la trattenne di nuovo, dimostrando una forza insospettabile.
“Dico davvero Nhef…” ricominciò con voce più garbata, cosa che le sembrò portare via molta energia a giudicare dal modo in cui si accigliò. 
Avere una voce così bassa non era una cosa semplice.
“Non mi farai mai pura…qualsiasi cosa accada.”
Nhef la vide sorridere sincera e sentì la sua mano pallida darle sulla spalla un paio di pacche amichevoli.
Non riusciva a crederci.
“Forza andiamo! O andrò avanti ad insalatine per un’altro mese!” ridacchiò superandola, con fare .
Fenice Rossa rimase basita ad osservarla.
Cos’era appena successo? Quanto aveva intuito su di lei?
Quella musicista… era incomprensibile.
Nhefti era certamente spaventosa, ma Allegre… era tanto noiosa da risultare letale.
Una temibile avversaria.
Sogghignò, colpita dall’assurdità dei suoi stessi pensieri.
Oppure una degna alleata.
Le venne ancora di più da ridere ed entrò nella Fortezza Divina, dandosi dell’idiota, certa di essersi fatta tanti problemi per nulla.
Lei, che spaventava meglio di un fantasma sussurrante, alleata di una biondina noiosa dalla voce grottesca.
Che barzelletta.

 

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Capitolo 3
*** Fatti abbracciare ***


Memorie del Sanctum:

Fatti abbracciare

 

“Dai Allegre. Fatti abbracciare da zia Nhef, su.” Sorrise melliflua Nhefti.

La barda scosse ancora una volta la testa, appiattendosi contro il muro più di quanto le sarebbe stato possibile, pronta a scappare di nuovo.

Lei non aveva mai avuto paura di Nhefti, ma in quel momento ne era terrorizzata.

Camminando lenta verso di lei, Fenice Rossa l’aspettava a braccia aperte, sfoggiando un sorriso così pulito e rilassato da risultare inquietante.

La musicista deglutì.

“No.” negò nuovamente e si spostò di lato, evitando quindi un altro abbraccio che, ne era certa, avrebbe ricongiunto definitivamente la sua anima ad Aion prima del tempo.

Tornò a premere la schiena contro la superficie fredda di un’altra parete e Nhefti continuò ostinatamente ad avvicinarsi con volto sorridente.

Ledy ridacchiò con voce argentina proprio mentre Nohant, braccia al petto e maschera come sempre calata sul viso, si frappose tra la musicista e la sciamana, pronta con un immediato scatto ad impugnare le proprie lame e far desistere Fenice Rossa dai propri malsani propositi.

Non che ci fosse mai riuscita.

Ledy sporse le labbra con fare infantile, assumendo un’espressione pensierosa che fece sbavare spudoratamente Koichi, il loro fulvo clerico nano, nascosto poco più in là dietro un muretto con gli occhi chiari illuminati da una luce sinistra.

Essere una legione composta da una netta maggioranza di donne aveva anche i suoi lati negativi, purtroppo…

A parte l’inquietante presenza del loro nano maniaco, più Ledy ci pensava più  si rendeva conto che Nohant, dall’alto della sua esperienza di assassina consumata, non fosse mai effettivamente riuscita a fermare quella furia di Nhef.

Il che la diceva lunga sul destino di Allegre…

Ridacchiò di nuovo, spostando la propria attenzione verso la punta delle sue scarpe nuove di zecca, sperando in cuor proprio che qualcuno se ne accorgesse e facesse dei bei complimenti a proposito del suo ineguagliabile buon gusto.

Si perse la scena di Nhefti che, incurante della presenza della Bianca e con uno slancio di pura rabbia omicida che avrebbe fatto esultare un’orda di asmodiani inferociti, superò abilmente la figura ben più alta dell’assassina, allargando le braccia verso la musicista in un modo che Nohant avrebbe più tardi paragonato alle zampe artigliate di un grosso felino.  

Il tintinnio del campanello nascosto nella punta dell’archetto precedette una fuga dallo scatto talmente epico e repentino che  per un istante Ledy si chiese se Allegre non avesse usato una qualche magia per smaterializzarsi e sottrarsi alla presa mortale della sciamana.

“Torna qui!!!”

Neanche a dirlo, la musicista era partita alla volta di una qualsiasi parte remota del santuario galleggiante con le ali ai piedi ed il diavolo, quasi in senso letterale, alle calcagna.

Ammutoliti da quanto successo, nessuno di loro si accorse dell’arrivo di altri due legionari, almeno finchè Kajan, sacerdote cantore e loro più recente acquisto dopo Allegre, non si fece avanti con un’uscita degna del suo soprannome.

“Buongiorno signore! La mattinata non sarebbe potuta iniziare meglio senza l’incantevole presenza dei vostri volti ad illuminarmi questa fredda aria invernale!”

“L’Adulatore” si beccò certamente un’occhiataccia da parte di Nohant, purchè nascosta dietro la maschera rossa, ed uno sbuffo mezzo esasperato e mezzo divertito da parte di Alby che da dietro un guanto di tessuto nero pregiato soffocò una risata che avrebbe potuto ferire i sentimenti del suo allievo.

“Oh, Kaji.” Sospirò con una mano all’altezza del cuore Ledylight con fare lusingato, allungando poi un manina guantata verso i capelli violacei ed ingellati del mulatto, accarezzandoglieli “Sei il solito tesoro.” 

Kajan non era quello che si poteva definire un normale sacerdote e questo, Nhefti ne era sempre stata malignamente certa, aveva influito molto sulla sua entrata in legione. 

Prima di tutto la sua condotta era tutto fuorchè modesta e semplice. 

Esattamente come Ledy, perennemente alla ricerca di qualche indumento che la facesse notare ed adulare dagli altri deva, Kajan adorava stare al centro dell’attenzione, specie di quella femminile.

“Allegre ha fatto arrabbiare Nhef un’altra volta?” chiese avventatamente Alby, osservando da lontano la sciamana richiamare con un fischio il suo drago da cavalcatura e ritornare all’inseguimento della biondina.

Kajan alzò di scatto la testa, allargando gli occhi in piena apprensione, lasciando così Ledy priva di attenzioni.

“Cosa?! Che ha fatto stavolta il mio dolce tesoro?”

C’era da precisare che l’Adulatore affibbiava a qualunque esemplare dell’altro sesso quel particolare appellativo e che mai, in nessuna occasione, aveva sentito Allegre aprire bocca. Per questo per lui la musicista appariva ancora come un esserino innocente e delicato.

Nella legione non ce ne era uno che non avesse scommesso su quale sarebbe stata la sua reazione dinanzi ad una sgraziata performance vocale della biondina.

Per il momento il suicidio era quotato 10:1… 

“Ha mandato a monte una missione cadendo da un dirupo.” spiegò Nohant.

“E per andarla a ripescare ci siamo fatti scappare la presa della fortezza di Roah” terminò Ledy ammirando le sue unghie smaltate in maniera impeccabile.

Albyone si bloccò per un istante, guardando il Cantore delle Ossa mentre si rimirava la manicure con fare non curante, quasi quanto appena detto non la toccasse minimamente.

Tutti i presenti, Kajan compreso, sapevano però che per la sacerdotessa dai capelli rosa farsi soffiare una roccaforte dell’Abisso era motivo di grande stress.

Non solo le altre legioni minori avrebbero colto al balzo l’occasione per beffarsi del loro insuccesso, ma la sacerdotessa delle ossa avrebbe dovuto fare personalmente rapporto alla loro prima ufficiale, la quale, in quanto figura più alta in carica delle loro file, avrebbe dovuto personalmente dare notizia del loro clamoroso fallimento al cospetto di Lady Ariel, accostata dai restanti primi ufficiali degli altri eserciti.

Albyone ebbe quasi paura a chiedere più dettagli:

“Chi ha conquistato la fortezza?”

“Gli Inviati.”

A quella risposta le spalle fasciate di nero dello stregone si rilassarono.

 Allegre aveva ancora una possibilità di sopravvivenza.

Per lo meno non erano stati i Vendicatori a soffiare loro la vittoria.

“Ehi, ma dov’è Raxelle?” si svegliò d’un tratto Ledy, tornando finalmente a guardare qualcosa di diverso dalle proprie unghie.

Tutti si guardarono reciprocamente, ma nessuno riuscì a dare risposta al Cantore delle Ossa.

Solitamente la loro più valida guaritrice accompagnava con la sua slanciata ed elegante presenza la Bianca e Ledylight, ma quel giorno non si era vista da nessuna parte e la cosa stava cominciando a preoccuparli.

 

 

Allegre si sporse con fare circospetto oltre il bordo scheggiato di una cassa dietro cui si era nascosta, oscillando le iridi tonde e nere da una parte all’altra della via degli ormeggi, facendo finta di non notare gli sguardi straniti dei vari Shugo intenti ad assicurare le loro preziose navi mercantili volanti al porticciolo secondario del Sanctum.

Ancora non riusciva a capacitarsi di come fosse riuscita a raggiungere sana e salva il dock esterno senza che Nhef la sorprendesse ad aggrapparsi disperata ad una delle gondole galleggianti che vagavano libere nell’abisso, separante in due la zona principale della capitale, ma non sarebbe certamente restata ferma ad aspettare che Fenice Rossa apparisse davanti alla statua di teletrasporto e la sorprendesse mentre cercava di mimetizzarsi in uno dei carichi illegali dei suoi mercanti pelosi “preferiti”.

Oh Lady Siel, ti prego, fammi arrivare a domani. - Pregò, inspirando una lunga boccata d’aria per farsi forza.

Accanto a lei uno Shugo più grande degli altri e dall’aspetto incattivito da alcune chiazze di pelo mancanti ed una benda sull’occhio, iniziò a grugnire nella sua direzione con l’espressione di chi ha un pelo sotto al naso che gli sta dando troppe rogne per i propri gusti.

La musicista decise in quel momento di levare le tende, prima di incappare nelle ire di qualcun altro oltre a quelle della compagna sciamana.

Fu proprio in quel momento che un fragore assordante la fece sobbalzare e ritirare nuovamente nel suo rifugio improvvisato con uno squittio tutt’altro che femminile.

Si aspettò di vedere gli occhi di ghiaccio di Nhefti comparire dal nulla e lanciarle una fattura del terrore, ma, invece di dover fare i conti con i propri fantasmi, la bionda si ritrovò nuovamente adocchiata da un’orda di Shugo interdetti. 

Si rese conto con un certo imbarazzo di essersi agitata solo per un po’ di frastuono proveniente dalla taverna Dionysia. Non era strano che qualche deva troppo brillo si mettesse ad incoraggiare cori stonati, o peggio, che venisse risposto con altrettanto entusiasmo, ma, nonostante non fosse la prima volta che le sue orecchie si ritrovassero costrette a sopportare simili scempi musicali, seppur lontani, notò, forse con un po’ troppo di ritardo, una sottile nota melodica, delicata…femminile.

Con la fronte corrugata e le labbra rosse strette, Allegre si concentrò per poi spalancare di scatto le palpebre, inorridita e dimentica della propria situazione.

Un’attimo dopo la era sparita con la stessa velocità con cui era venuta, lasciandosi alle spalle un mucchio di mercanti pelosi confusi e sbuffanti.

 

Raxelle “Tocco di Luce” era sicuramente una delle più pacate e deliziose guaritrici di tutta Elysea.

Bionda, slanciata e con un carattere degno di una principessa delle fiabe mortali, era uno dei molteplici sogni proibiti dei rampolli meno ambiti della società elisiana. Non c’era un solo deva sano di mente che non sognasse di rivolgerle la parola almeno una volta nella vita, benchè fosse ben nota a tutti la sua appartenenza alla sgangherata combriccola dei Mietitori .

Il problema sorgeva quando la dolce Raxelle accettava suo malgrado da bere da uno di suddetti sconosciuti.

Non che quella volta la guaritrice fosse stata così avventata da compiere lo stesso errore di qualche mese prima, durante il quale Nohant era intervenuta dando al colpevole un motivo per camminare verso casa con andatura a dir poco equivoca e dopo il quale, purtroppo, Genon il barista aveva decretato che non avrebbe più servito alchol per un paio di settimane, grugnendo, ogni volta che intercettava una minima occhiata supplichevole da parte dei suoi più fedeli tracannatori di sidro, qualche appassionata invettiva contro il “veleno degli dei”. 

No…

Quella volta “Tocco di Luce” non aveva avuto bisogno di essere lusingata dai modi convincenti di un  seduttore dagli evidenti doppi fini, per lasciarsi andare al richiamo di un boccale di Lisheri, opportunamente corretto.

“Avanti Ganoooon!hic! Non fare il tirchio! Un altro giro per i miei amiciiii!!!”

Sconsolatamente immobile all’entrata della taverna Allegre guardò la sua maestra guaritrice sgambettare in modo provocante e far volteggiare per aria quello che una volta doveva essere il suo mantello di legione, oramai spiegazzato ed imbevuto di chissà che tipo di sugo, con un sorriso da ebete stampato sul viso, arrossato ed evidentemente brillo, il tutto nel mentre era intenta a cercare di dar voce ad una malinconica e romantica canzoncina che di melodico aveva solo il suo timbro vocale, risaputamente gradevole e dolce.

“Just be frieeeends!! All we gotta dooo! Just be frieeends! It’s time to say goodbyeee! Just be frieeends!!!Just be frieeeeends!!!!! Just be frieeeeeeeeeeends!!!!!!”

Si ritrovò a soffrire nell’ascoltare quello scempio. Certo, lei non avrebbe potuto fare di meglio, anzi, una sua performance vocale avrebbe probabilmente frantumato le ultime fondamenta che sorreggevano e trattenevano i due poli di Atreia dal disgregarsi del tutto, ma, essendo votata alla musica, aveva orecchio per certe cose ed udire una canzone tanto bella cantata tra i fumi dell’alchol in quella maniera, mise a dura prova il suo povero cuore d’artista.

Attorno a lei un’orda di ubriaconi sbavanti si godeva lo spettacolo, aspettando pazientemente che la sua compagna iniziasse, come da copione, ad accennare ad uno spogliarello “di beneficenza”.

“Vogliamo -hic- movimentare la giornata ragazziii??”

Un boato entusiasta esplose per il locale.

Ecco. Appunto.

Si spalmò una mano in faccia, sospirando affranta.

Tra tutti i momenti possibili Rax aveva scelto proprio quello in cui lei stava rischiando di essere stritolata da uno spirito di terra di Nhef, per annegare i propri dispiaceri sentimentali in un boccale di liquore.

Si fece coraggio ed avanzò verso il bancone. Venne accolta da un lungo fischio di apprezzamento da parte di uno dei commensali, ma non ci fece caso.

Arrivata ai piedi della guaritrice, ancora presa dal dar sfogo alla sua anima di ballerina mancata, anche se con un repertorio non proprio vasto, Allegre prese un respiro profondo e cominciò a sventolare una mano per attirare l’attenzione della bionda, senza però avere successo.

“Rax!” esclamò infine ad alta voce, sconvolgendo sul nascere un altro fischio di apprezzamento che morì assieme a quello del rumore generale fino a sparire.

Sigh… quando parlava davanti a dei deva sconosciuti quella reazione era anche una delle migliori.

Al suono della sua voce l’altra bionda abbassò lo sguardo smeraldino, esplodendo in in urletto estasiato.

“Allleeeeeeegreeeeee!” esultò lanciando le braccia in aria “Sei venuta a vedermi cantare! Dai fammi da accompagnamento musicale!! Daaaaaiiiii!”

Ti prego Rax.” Rispose la musicista mettendo le mani avanti e senza mai smettere di tenere conto dei propri dintorni, certa che presto o tardi Nhefti si sarebbe fatta viva. Sfoggiò il migliore sguardo da cucciola del proprio repertorio e con voce naturalmente strozzata dall’ansia si rivolse alla guaritrice supplichevole:

“Nhef mi sta cercando.”

“Ma è stupendoooooo! Così facciamo un coro a tree!”

Ci mancò poco che non si mettesse la testa tra le mani, disperata. Quanto diamine aveva bevuto per ridursi così?

Doveva cambiare tattica.

Con quanta più cautela possibile si sporse sul bancone, allungando con lentezza ponderata le mani verso la bionda che, oltre ad essere ancora convinta di essere la più brava ballerina del Sanctum, sembrava sul punto di crollare.

“Dai Raxelle, adesso scendi, ti siedi e bevi qualcosa. Così parliamo un po’, va bene?”

La guaritrice le rivolse un sorriso mal assemblato e le si gettò letteralmente addosso, rischiando di trascinarla con sé sul pavimento e dare così un nuovo motivo agli ubriaconi lì attorno per esplodere in un rinnovato coro di fischi esultanti.

Allegre non capì come, ma, nonostante l’amica non fosse di grande aiuto facendole da peso morto, riuscì a trascinarla ed a piazzarla sulla sedia più vicina senza inciampare neanche una volta.

Mugolando come una bambina a cui le era stata appena negata una fetta di torta, Raxelle, si a accostò al bancone con la testa sulle braccia, nascondendo così il volto e la cosa non lasciò indifferente Allegre, che le si sedette accanto, domandandole preoccupata.

“Che cosa è successo Rax? Pensavo tu bevessi solo a casa tua.”

A risponderle fu un altro mugugno da parte della guaritrice.

Accigliandosi leggermente la musicista le si accostò ancora più vicino a lei, poggiando anche lei le braccia sulla superficie legnosa del banco, per poi domandare con quanta più morbidezza nella voce le fu possibile:

“Si tratta di El?”

Non l’avesse mai detto, Raxelle esplose letteralmente in un pianto disperato.

Allegre scattò all’indietro, non aspettandosi una reazione tanto estrema. 

Rax singhiozzava vistosamente a testa bassa, la fronte calcata quasi con rabbia sul legno umidiccio del banco, senza accennare a volerla alzare.

“Siigh. Mi tratta come un’ignorante totaleeee!” proruppe infine con una voce tanto acuta che qualche cliente riuscì a trovare la forza di arricciare il naso e scuotere la testa infastidito.

Allegre si ritrovò le braccia della maestra guaritrice intorno al collo e la sua testa immersa nella sua spalla, inzuppandole il vestito singhiozzo dopo singhiozzo.

“Su Rax su…” tentò di consolarla con qualche pacca di conforto sulla schiena, ma persino lei, che solitamente dispensava consigli, si ritrovò senza niente di buono da dire.

Sapeva perfettamente a chi si stesse riferendo Rax, biascicando lamentele pietose tra i singhiozzi.

Dopotutto, pensò amaramente, solo una persona riesce a ridurla in questo stato.

Si trattava di Elra, suo fratello minore.

Erano anni che Raxelle cercava, inutilmente, di far rinsavire il fratello dai suoi malsani propositi di ricercare quante più formule, reliquie ed amuleti di origine oscura riuscisse a rintracciare, al solo scopo di accrescere il proprio potere. Allegre sospettava un complesso di inferiorità di fondo, ma non aveva mai esternato questa possibilità alla guaritrice, temendo una sua brusca reazione. Si sapeva che “Tocco di Luce” era particolarmente sensibile quando si parlava del suo dolce ed adorabile fratellino.

Il problema era che Elra non era nè dolce, nè tantomeno adorabile.

Le era già capitato di parlargli, un uomo alto e slanciato, per nulla corrispondente alla descrizione approssimativa e parziale fornitale da Rax, che le aveva fatto inizialmente pensare ad un ragazzino basso, ma particolarmente vivace e brillante.

Fatta eccezione per il suo aspetto, Allegre aveva speso poche ore a conversare con lui e si era presto ricreduta su ogni aggettivo che l’amica  guaritrice aveva dispensato in suo onore: non c’era nulla di innocente nei modi di Elra.

Certo, sapeva parlare e i suoi modi erano a dir poco impeccabili, ma la sua era una gentilezza dettata da malizia ed interesse.

Le dispiaceva per Raxelle, ma la realtà, per quanto dura da accettare, era una ed una soltanto: Elra era una serpe dal viso d’angelo.

Affascinante, pelle diafana, occhi di un colore paragonabile solo all’acqua cristallina delle coste di Verteron, capelli candidi, lineamenti del viso praticamente perfetti, ma la sua anima era nera.

Allegre ne aveva conosciuta di gente come lui: Daeva accecati dalla propria immortalità, tronfi, ottusi, avidi

Il santuario elisiano era pieno di certi esemplari.

Persino la grande biblioteca che dava su Divine Road pullulava di tomi contenenti resoconti in merito. 

La più eclatante che la barda riusciva a ricordare era quella di cui più di tutte le era stato difficile reperire informazioni: il caso della truffa delle ascensioni. 

Si trattava di una serie di atti orribili perpetrati da elisiani ascesi e più preoccupati a mantenere un tenore di vita degno di un immortale, truffando i mortali con false promesse di dar loro accesso al segreto dell’immortalità in cambio di denaro, che a difendere Atreia, gettandosi sul campo di battaglia. 

Addirittura, in una nota volante lasciata forse per sbaglio da un altro lettore dedito all’argomento,  si narrava di un deva elisiano asceso e della sua compagna mortale, la quale, presa dalla disperazione dall’essere stata abbandonata dall’uomo che amava, per giunta incinta di suo figlio, si era buttata da un dirupo.

La cosa che aveva fatto accapponare la pelle di Allegre non fu tanto leggere dell’atto disperato ed insensato della donna, quanto della reazione del deva asceso alla notizia della morte della propria compagna:

«Che sciocca. Come poteva anche solo pensare che un deva scelto da Aion potesse abbassarsi a convivere ed accettare una discendenza mortale?» citava il foglio, scandendo le parole esatte pronunciate dal meschino.

Il nome del porco in forma elisiana non figurava sul documento, ma se mai le fosse capitato tra le mani, Allegre non avrebbe esitato a presentarsi sulla sua soglia e trascinarlo senza pietà oltre un Rift privo di qualsivoglia tipo di indumento od arma per proteggersi da eventuali attacchi asmodiani.

A parte i suoi desideri di vendetta verso quel particolare caso, non le era mai stato tanto difficile tenersi a dovuta distanza da simili individui, cambiando strada, facendo finta di non considerarli, o meglio, non vederli, ma poi Rax le aveva presentato Elra, forse nella speranza che il fratello, nel conoscere un’adepta di Siel, sarebbe in qualche modo tornato sulla retta via, e le sue vecchie tattiche avevano perso ogni efficacia.

Elra non si lasciava mai scoraggiare.

A costo di braccarla per mezza Sanctum, riusciva sempre a sorprenderla ed a strapparle suo malgrado qualche informazione in più sull’Ordine dei Musicisti.

Non era ancora riuscita a scoprire a cosa gli servissero quelle poche e scarne notizie sul suo ordine, ma il suo intuito le diceva che non doveva trattarsi di nulla di buono.

Sigh…sob.. Che devo fare Alle? Sono anni che provo a farlo ragionare… ma lui continua a…a…BLEAHRG!

Allegre avrebbe volentieri incitato l’amica a continuare quell’interessante monologo incentrato sulle attività del fratello, se non fosse stato che avesse appena vomitato l’anima sul bancone della taverna, provocando l’urlo esasperato di Ganon.

Ormai il girone dei tracannatori era crollato scompostamente sotto il peso dei fumi dell’alcol, quindi i testimoni non furono molti, ma ciò non tolse che alla musicista toccò interporsi tra il taverniere e l’amica, succedendo con prontezza scuse e promesse di risarcimento che certamente non avrebbero trovato riscontro coi fatti, essendo il suo portafogli vuoto come non mai.

Si erano trovate infine, loro malgrado, a sedere fuori sul grande tappeto musicale a forma di pianoforte, con il loro nome sulla lista nera del locale almeno per i successivi 3 mesi.

Un lamento pentito grattò la gola di Raxelle, ora avvolta in una corperta di lana ruvida prestatale da una delle cameriere particolarmente solidale con il suo dolore.

“Mi dispiace Alle.”

Allegre alzò un sopracciglio biondo.

“E di cosa Rax?”

“Ti ho fatto bandire dal Dyonisia e ti ho trattenuta con la storia di mio fratello, proprio mentre Nhef sta cercando di farti la pelle.”

La musicista rammentò la propria situazione, ma non ne fece una tragedia: ormai erano passate ore dacché l’inseguimento era iniziato e se Nhef non si era ancora fatta vedere da quelle parti, voleva dire che aveva trovato cose più importanti da fare.

E poi Rax sembrava troppo sconvolta: il suo viso impallidito, puntellato naturalmente da un velo di lentiggini, era in quel momento solcato da sfoghi venosi e violacei, i suoi capelli si erano come spenti, assumendo una colorazione malsana e le spalle le tremavano violentemente. Probabilmente tra il malessere del doposbornia ed il vento invernale il suo corpo stava soffrendo l’equivalente di un’influenza umana.

Le circondò le spalle con un braccio, cullandole la testa verso l’incavo della sua spalla.

Non se la sarebbe sentita comunque di abbandonarla lì.

Passarono un po’ di tempo ad ascoltare in silenzio l’ululare dell’inverno, finchè Rax, ormai prossima a crollare addormentata non si decise a sussurrare un’ultima cosa: 

“Alle… El non è così cattivo, io lo so.”

El proprio non si meritava una sorella come Raxelle.

Da qualche parte avrebbe riservato un Rift anche per lui.

 

 

 

“Quando riuscirò a metterle le mani addosso…”

Nhefti continuava a sibilare la stessa cosa da ormai una buona mezz’ora, spronando con secchi colpi di redini il proprio drago da cavalcatura a procedere più velocemente. 

Dietro la fontana nei pressi del molo delle Areonavi? Nulla.

Nelle gabbie del Colosseo? Nulla.

Sotto le sottane di Myrtil? NULLA.

Gli occhi gelidi della sciamana si ridussero a due fessure.

C’era un solo posto che non aveva ancora controllato.

Rischiando di mozzare il respiro al proprio drago con un paio di potenti speronate ai fianchi, Nhefti fece voltare la propria cavalcatura, indirizzandola verso il molo dell’Areonave, che puntualmente, oscillava pigramente tra l’isola principale del Sanctum ed il Molo Esterno, sul quale si adagiava la Taverna Dionysia.

Si premurò di lasciare al suo adorabile cucciolo carnivoro uno Shugo da tormentare, in modo tale che si tenesse occupato mentre lei partiva alla volta di una sessione di torture a scapito di una certa musicista inetta, prima di dirigersi a passo militare verso il molo.

Purtroppo non andò come previsto.

Ferma come come una statua, e con quella stramaledettissima maschera rossa a forma di drago calata sul viso, Nohant l’aspettava a braccia conserte, spade accortamente lasciate dentro le proprie fodere ed un piede che tamburellava allo stesso ritmo della propria impazienza.

“Che vuoi Nohant?” ringhiò a denti stretti. In altre circostanze la sciamana non avrebbe esitato a distribuire incantesimi del terrore come caramelle e saltare senza troppe remore sulla prima areonave a propria disposizione, ma Nohant era un caso particolare.

“Non puoi andare alla taverna Dionysia. ”

Ah. Allora era lì che si nascondeva l’inetta bestiolina!

“Balle. Fammi passare. Ora.” 

Nhefti.”

In un attimo il petto le si congelò.

Erano poche le volte in cui l’assassina la chiamava col suo nome per intero, senza diminutivi informali o vezzeggiativi melensi, partoriti da quella malata di Ledy appositamente per farla incazzare. Anche se col volto coperto, Nohant sapeva benissimo come farle intendere di essere mortalmente seria. 

Dobbiamo parlare.

Il suo corpo agì istintivamente: dopo aver strappato dalle mascelle del suo draghetto uno Shugo terrorizzato, oramai con più chiazze di pelo mancanti che altro, e riprese le redini del rettile, invocò automaticamente un portale per la sua dimora ad Oriel.

“Andiamo.” E facendo cenno alla Bianca di seguirla, saltò oltre la sagoma elegante del passaggio, drago al seguito e dimentica dei propri propositi vendetta.

 

La casa di Nhefti occupava uno dei pochi posti privilegiati della Sunset Coast, tra le tenute signorili del rinomato villaggio di Silverspire, “cuspide d’argento”, un nome che la diceva lunga su quanto al mese i proprietari dovessero sborsare per mantenere il proprio tenore di vita.

Personalmente Nhefti non aveva mai trovato difficile pagare la retta mensile imposta dalla comunità di Oriel: i suoi affari andavano a gonfie vele e i suoi fidi Shugo non mancavano mai di chiamarla ogni giorno consegnarle l’importo dovuto della giornata.

Fu la prima a sedersi al tavolo posto in un angolo della stanza, intimando con un’occhiataccia eloquente il proprio maggiordomo peloso di starsene zitto e levare cortesemente le tende. 

Quando Nohant arrivò lo shugo si era già defilato e la conversazione potè inziare quasi immediatamente, dopo aver opportunamente chiuso a chiave il portone principale, ovviamente.

“Allora, di cosa volevi parlarmi Nohant?” Chiese con fare tra il seccato e l’annoiato.

“Lo sai bene, Nhefti.”

Fenice Rossa, sospirò, avvertendo un grosso peso poggiarlesi sulle spalle.

“Ti ho già detto che è inutile che tu ti preoccupi, Nohant. Sono io quella che rischia di essere stata scoperta, non tu.”

L’assassina alzò un braccio e scostò seccamente la maschera che fino ad allora aveva sempre coperto il suo viso.

Indubbiamente Nohant era una splendida creatura: oltre a possedere un incarnato perfettamente chiaro ed uniforme, i suoi occhi erano di un viola strabiliante, paragonabile solo alle ametiste più pure di Eltnen, taglienti ed attenti come quelli di un felino, ed i suoi capelli, forse un po’ ispidi per via della sua continua negligenza sul fatto di spazzolarli, si presentavano candidi come la neve, interrotti da un’unica ciocca rosata che spuntava dalla cima della testa, dove lei li aggrovigliava ed assicurava in un unica funzionale coda.

La prima volta che Nhefti vide in viso Nohant era stato nell’Abisso: erano entrambe occupate a resistere ad un paio di asmodiani in cerca di rogne, quando d’improvviso l’assassino avversario che era occupato con lei, decise improvvisamente di cambiare obbettivo, andando a colpire con un secco colpo di pugnale il volto della Bianca.

La maschera le volò via e l’espressione furente dell’assassina fu solo il preludio del massacro a senso unico che ne seguì… 

“E io ti ho già detto come la penso.” L’apostrofò, senza però dare segno di volersi sedere insieme a lei “Voglio sapere quanto stiamo rischiando.”

“In che senso?” Non capiva.

Fu la volta di Nohant di sospirare, alzando la testa al soffitto ad occhi chiusi, probabilmente imponendosi un po’ di calma.

“Ti ricordi il giorno che scopristi chi ero?”

Oh. Eccome se lo ricordava.

Aveva guardato Nohant ricoprirsi di scaglie e maciullare senza pietà i due asmodiani, sventolando una coda e un paio d’ali draconiche nell’aria sulfurea dell’Abisso, prima di vedersela arrivare con un braccio artigliato alzato nella sua direzione.

Quella volta credette davvero di stare per essere spedita da Aion in persona senza possibilità di ritorno, ma poi la Bianca si era bloccata, gli occhi larghi nella consapevolezza di chi stesse effettivamente attaccando e, storcendo il naso, le aveva detto con una nota di disgusto nella voce stupefatta.

“Puzzi di asmodiano.”

Ed era iniziata così la loro segreta alleanza. Lei teneva la bocca chiusa sulla natura mezza-Balaur di Nohant e lei faceva altrettanto riguardo le sue origini asmodiane.

A seguito di quel piccolo incidente Nohant era arrivata addirittura a confidarsi con lei sulle vicissitudini che l’avevano condotta al Sanctum.

Non era stata inviata come spia, come molti idioti elisiani avrebbero potuto pensare: sua madre era una di quelle Gladiatrici elisiane ufficialmente perse in battaglia nell’Abisso, durante uno dei primi scontri con il popolo delle tenebre.

Victoria Hancock. Conosciuta per essere stata una delle migliori guerriere del santuario galleggiante, oltre che la più misteriosa. Nessuno aveva mai scoperto dove si recasse nel proprio tempo libero, nè cosa la spinse di punto in bianco a ritirarsi dal campo di battaglia, e questo portò alla nascita alcune voci che la ritraevano in combutta con gli asmodiani, oppure alla ricerca di qualche fantomatica vendetta personale. Nohant le confidò che sua madre fu la prima elisiana in assoluto a mettere piedi a Balaurea e che per amore di suo padre, un draconico che l’aveva protetta e salvata dai suoi simili quando più ne aveva avuto bisogno, aveva abbandonato la vita da guerriera per non dover più entrare in conflitto con altri Balaur. In seguito era nata lei, ma sua madre fu richiamata sul campo di battaglia - Nohant ipotizzava che fosse stata addirittura minacciata - e lì aveva trovato la sua fine per mano di un asmodiano. I rapporti col padre e la sua gente si inasprirono col passare degli anni, tanto che Nohant giurò al padre che, se mai se lo fosse trovato davanti in battaglia, non avrebbe esitato a piantargli una spada in gola. Al Sanctum venne accolta con tutti gli onori, essendo per nome e per aspetto la degna figlia di Victoria, e nessuno sospettò mai che potesse essere una figlia meticcia di stirpe Balaur.

“Certo che me lo ricordo.” Asserì con un poco di stizza Nhefti, afferrando un calice di vino e portandoselo alla bocca, avvertendo la gola improvvisamente secca. “Scopristi che ero per metà asmodiano con una sola annusata. Ed io non puzzo, sia chiaro.” Puntualizzò, scolandosi un lungo sorso di vin brulè.

Nohant scosse la testa.

“Non è questo il punto Nhefti. Io e te funzioniamo perché nessuna delle due può tradire l’altra senza esporsi. Ci conosciamo da così tanto tempo che sarebbe impensabile che una di noi due vendesse l’altra. Capisci? Noi possiamo fidarci l’una dell’altra.”

La sciamana inarcò un sopracciglio scuro.

“E con Allegre?”

“Ho qualche dubbio.” Ammise incerta, dondolandosi un po’ sulle proprie gambe. 

Era nervosa.

“Ti ho già spiegato che non c’è nulla di cui preoccuparsi. Allegre è innocua.”

“Vorrei crederti, Nhefti. Ma mi serve molto più di una tua semplice speculazione.” Detto questo la Bianca si sedette con lei al tavolo.

Finalmente. Iniziava a darle sui nervi vedersela lì impalata come un obelisco sentinella.

“Che cosa sappiamo veramente di Allegre?”

La gola le si seccò nuovamente, intuendo dove l’altra volesse andare a parare.

“Non sappiamo nulla di lei.” Continuò l’assassina, afferrando con gesto elegante, ma rigido, il bicchiere posto davanti a lei “Non sappiamo da dove viene, le sue origini, dove abbia imparato l’asmodiano… In tutti questi mesi è stata una compagna di legione perfetta… fatta eccezione per alcune gaffe da novellina…” si corresse prontamente intercettando una sua occhiata dubbiosa.

Ciononostante la maestra di spiriti non poteva darle torto.

Allegre si era sempre resa disponibile verso gli altri, propensa ad imparare ed a rasserenare gli animi quando necessario, ma non si era mai aperta completamente. Quando si trattava degli altri le sue orecchie erano sempre aperte, ma riguardo se stessa teneva la bocca ben cucita.

“…,ma non abbiamo niente su di lei.”

Nhefti si morse le labbra, accorgendosi di quello che le era appena uscito di bocca.

Ne seguì un lungo silenzio pregno di tensione.

“Che cosa proponi?”

Nohant sospirò.

“Abbiamo una sola possibilità.”

Gli occhi azzurri di Fenice Rossa saettarono verso la Bianca.

No. Assolutamente no. Non l’avrebbe accettato.

Si alzò di scatto e si diresse alla finestra, rifiutandosi fisicamente di prestare orecchio ad una proposta tanto abbietta. Poteva anche essere il deva più cinico del Sanctum, ma una cosa simile non l’avrebbe neanche lontanamente potuta concepire…

“Cerchiamo quante più informazioni possiamo su Allegre.”

Si girò, stupita.

“E da lì decideremo cosa fare. Nel frattempo la terremo d’occhio.”

Rimase in piedi a fissare l’assassina con espressione ebete, per poi scoppiare in una risata derisoria verso se stessa.

Che idiota che era stata. Nohant non si sarebbe mai sognata di arrivare ad uccidere una propria compagna così, solo per uno stupidissimo dubbio.

“Pensavi che avrei proposto di ucciderla??” le arrivò la voce scandalizzata dell’altra.

Ah. Allora c’era arrivata.

Si asciugò gli occhi dalle lacrime e si massaggiò la pancia dolorante.

“Per uno stupidissimo istante, Nonnina, ma stai tranquilla. Ero sotto l’effetto del vin brulé.”

“Allora, riuscirai a tirarle fuori qualche informazione?” sbuffò l’altra, non curandosi del proprio nomignolo dovuto alla propria capigliatura nivea.

“Puoi scommetterci.” Sghignazzò lei di rimando, per poi tornare mortalmente seria “Dobbiamo comunque stare attente a come muoverci Nohant. Un conto è che abbia veramente capito chi sono, un altro sarebbe vuotare il sacco senza rendermene conto. Dovrò andarci con i piedi di piombo.”

Nohant annuì e si ricalcò la maschera sul viso, a simboleggiare che il loro colloquio era terminato.

“Nhefti!Nhefti!”

Al suono di una voce fuori dall’uscio, accompagnata da una serie di colpi sulla porta, le due sobbalzarono.

Nhefti si accostò alla porta.

“Chi diavolo è che scassa le ampolle??” sbraitò con le mani sui fianchi.

Assurdo. Teneva quella maledettissima porta aperta e non veniva mai nessuno. La volta che invece si decideva per necessità a sprangarla, si decidevano a venirla a molestare!

“Sono Pamfile! Ti scongiuro, apri!”

Lei e Nohant si scambiarono uno sguardo preoccupato.

Non era tanto il fatto di avere fuori dalla porta uno dei loro chierici migliori ad averle messe in allarme, quanto il tono strozzato ed incline al pianto che aveva assunto la voce della loro compagna.

Nhefti spalancò la porta, ritrovandosi dinnanzi la loro piccola deva guaritrice nana dai capelli rossi fiammanti, il viso solcato da righe inesauribili di lacrime.

“Oh Nhef! E’ un disastro! Un disastro!” singhiozzò la ragazzina con il volto tra le mani.

“Che succede Pam?” si alzò Nohant, correndo ad abbracciarla.

La più bassa non perse l’occasione, gettandosi tra le braccia dell’assassina e affondandole il viso nel petto.

“La spedizione per Tiamaranta! Sono stati attaccati da un un Signore Dragone! E Lady Veille…Lady Veille!”

Una nuova cascata di pianti le proruppe dal petto, mettendo a dura prova i nervi di Nhefti.

“Che cosa, Pam?!” la incitò, seccata.

“Lady Veille è rimasta indietro! Non sanno nulla. L’hanno abbandonata a terra sul campo di battaglia!”

“Oh Aion…” sussurrò esterrefatta Nohant da dietro la maschera.

Lady Veille era una delle Incantatrici elisiane più potenti, sotto il comando diretto di Kaisinel in persona. 

Il suo potere non aveva eguali.

Com’era stato possibile?

“A quanto ammontano le perdite?”

La graziosa nana si scostò da Nohant, notevolmente più calma rispetto a prima, e si asciugò le guance.

“Più di metà esercito.”

Aion, era stata una fortuna che a seguito dell’ultimo insuccesso la loro legione fosse stata esonerata dal partecipare alla missione.

“L’altra metà… sniff…è stata messa in salvo su un’areonave da … una strana popolazione.”

Una strana… cosa??

Intuendo la loro confusione Pam si affrettò a puntualizzare.

“La lettera che mi ha inviato la mia conoscente parla di uomini e donne con occhi rossi e capelli bianchi…e delle strane ali spezzate rossicce sulla schiena.”

Ali spezzate di colore rosso?!

“Dicono di chiamarsi…”

Rovistando tra le proprie tasche la rossa tirò fuori un pezzo di pergamena spiegazzo e lo sondò con lo sguardo scuro fino a che non trovò quanto cercato.

Reians.”

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Capitolo 4
*** Beneducato esibizionismo ***


Memorie del Sanctum:

Beneducato esibizionismo

 

Ledylight aveva praticamente passato mezza giornata davanti al proprio guardaroba prima di decidere cosa indossare.

Si ammirò ancora una volta, la sua immagine riflessa, perfettamente fasciata in un abito da cocktail bianco, guanti, sandali e girocollo, le rispose ammiccandole complice.

Attorno a lei cassetti ed ante erano come esplose, sommergendo la sua stanza con una distesa inerme di abiti, magliette, cappelli ed accessori delle più disparate forme, oramai crudelmente abbandonati dopo essere stati provati solo una volta davanti allo specchio.

Nohant avrebbe silenziosamente disapprovato quel suo inutile show di autocompiacimento, se la sera precedente avesse accettato il suo invito a casa sua, ma per lei tutto quel trambusto era vitale quanto l’aria stessa.

L’indomani lei e pochi prescelti di altre legioni sarebbero stati inviati in una missione diplomatica a Kamar, la grande capitale fortificata di Sarpan, e lei non poteva assolutamente permettersi di presentarsi impreparata!

Oltre a lei, anche Nohant, Allegre e Nhefti erano state convocate a presenziare, quali rappresentanti dei Mietitori, tale campagna a scopo non militare e solo lei sembrava aver preso piena coscienza della sua effettiva importanza!

Sbuffò sedendosi con stizza sullo sgabello della propria toilette smaltata di rosa, iniziando a pettinarsi i lunghi, setosi capelli rosati con la spazzola di crine con lentezza quasi reverenziale.

Al suo emozionato invito nella sua dimora per decidere con quale mise tutte e quattro avrebbero fatto la loro trionfale entrata al cospetto di Kahrun, il Leader dei Reians, le sue colleghe si erano magistralmente defilate, ognuna a modo proprio.

Nohant era stata la più diretta, liquidandola con un perentorio “Passo.” prima di girarsi ed incamminarsi verso casa propria.

Allegre era stata l’unica a tentennare, accendendo per un istante le proprie speranze, prima che Nhefti si intromettesse, afferrandola di malomodo per un braccio  e sbraitandole nell’orecchio:

“Che non ti venga in mente di battere la fiacca, pivellina! Oggi lavoreremo il triplo finchè non imparerai a non inciampare più dai dirupi!”

E si erano defilate, lasciandola lì con tanti progetti per la giornata, ma nemmeno un’anima con cui condividerli.

Il povero pettine venne sbattuto sulla superficie marmorea della specchiera con rabbia impietosa, mentre da un angolino dei suoi occhi compariva una lacrima traditrice.

Ci fosse stata almeno Raxelle…, ma lei purtroppo non era stata invitata ed era partita ad un’ennesima ricerca di quello scellerato di suo fratello.

Si girò, osservando sconsolata tutto quel casino dallo schienale della propria sedia, le braccia incrociate ed il mento scompostamente poggiato sopra di esse.

Che senso aveva imbellettarsi a dovere se poi non c’era nessuno che ti facesse i complimenti?

Si sentì salire la nausea.

Non aveva organizzato quella serata per il solo autocompiacimento personale: quella di domani non sarebbe stata una semplice passeggiata, ma una vera e propria missione diplomatica, per la miseria!

Iniziò a guardarsi le unghie.

Lei non era nuova a simili formalità, essendo quella più informata ed abituata a tutte quelle squallide regole di etichetta con cui la nobiltà le aveva concimato il cervello fin dalla nascita, e dunque era sempre stata quella in prima linea in certi eventi.

Che razza di figura ci avrebbero fatto se, contrariamente ai rappresentanti dei Vendicatori, la loro odiata legione elisiana avversaria, si fossero presentate come delle pezzenti!?

Per non parlare di quella soffiata avuta da un’amica di Pamfile direttamente da Kamar che l’aveva informata della presenza congiunta di rappresentanti asmodiani, durante l’incontro!

Non potendone più si buttò sul letto, soffocando con una stretta mortale la figura maschile mezza nuda ritratta sul suo cuscino.

Asmodiani! Asmodiani!

A quanto pareva il Leader dei Reian aveva interdetto qualsiasi tipo di scontro tra le due razze, pur invitando entrambe a presidiare con le loro truppe la capitale.

E qui sorgeva un altro problema.

Anzi due: quelle due teste dure di Nohant e Nhefti.

L’assassina non sopportava la vista degli asmodiani, da lei ritenuti i diretti responsabili della morte di sua madre. Portarla con loro a Kamar sarebbe stato come portarsi dietro una miccia collegata ad una bomba. Un minimo passo falso, un’occhiata troppo lunga tra lei ed un rappresentante del popolo delle tenebre, ed addio Alleanza.

E questo non era tutto. 

Se anche la Bianca fosse riuscita a trattenere i suoi ben noti istinti omicidi (che diamine era saltato in testa al loro generale di inviare anche lei??), ci sarebbe stata comunque un’altra gatta da pelare.

Nhefti, con quella sua dannata, ed alquanto discutibile, passione per gli abiti asmodiani avrebbe potuto creare un fraintendimento epocale tra la fazione elisiana e quella asmodiana.

Ridacchiò nervosamente, stringendo con rabbia omicida il povero cuscino, mentre nella sua mente già si immaginava una di quelle schiene pelose scagliarsi addosso la maestra di spiriti, sentendosi preso in giro dal suo vestiario.

“Ledy Arieeeeeeeel!” invocò disperata, non potendone più.

Era ufficiale. Quella missione sarebbe stata un disastro.

Il nome della loro legione sarebbe entrata nella storia, e non in modo lusinghiero.

Quel momento di cupa, profonda, rassegnata disperazione fu interrotta dal suono del suo campanello.

Scattò seduta sul letto come una molla, incurante di essersi completamente spettinata, gli occhi scuri spalancati ed increduli.

“Chi è?” chiese, cercando di non lasciar trasparire la propria trepidazione.

“Siamo-”

“Chi diamine vuoi che sia Ledy!? Apri su! Mi si gelano i reggicalze!” 

Fece uno sforzo incredibile per non esplodere in un urlo trionfale.

Alzò le braccia al soffitto in una muta esultanza.

La missione era salva!

Si fiondò ad aprire la porta senza aspettare un solo secondo di più.

La sua porta in mogano finemente intagliata si spalancò con un lieve cigolio, rivelando al proprio esterno, ferme sulla soglia e con alle proprie spalle una vera e propria bufera di neve, nientemeno che Nhefti ed Allegre, la prima rannicchiata su se stessa con le spalle tra le mani, nel vano tentativo di trattenere quel poco di calore corporeo che il suo vestito, come da norma succinto, disperdeva irrimediabilmente, la seconda invece avvolta in morbido spolverino scamosciato dal colletto impellicciato.

Un indumento di ottima fattura…

Le invisibili antenne del Cantore delle Ossa si rizzarono, intuendo un pettegolezzo. 

Da quando la musicista aveva abbastanza denaro da permettersi quel genere di indumenti? 

“Ci fai entrare o dobbiamo congelarci anche i tacchi?” ringhiò l’evocatrice guardandola malissimo.

Lei non si scompose affatto e appoggiò la spalla sullo stipite della porta con calma snervante.

“Non dovevate allenarvi fino a notte fonda?” cantilenò serafica.

“Con questo gelo??!!”

Primo mistero risolto.

Ledy se la rise sotto i baffi mentre si spostava, lasciando che le sue ospiti si gettassero davanti il caminetto, crogiolandosi nel calore delle fiamme scoppiettanti al suo interno.

Le osservò deliziata da quella inaspettata e gratificante svolta prima di chiudere dietro di sè la porta per unirsi a loro.

“Che casino Ledy.” Osservò con una punta di disgusto Nhef.

Questa poi, come se lei fosse la persona più ordinata del mondo!

“Provavi i vestiti da metterti per domani?”

Oh, Allegre! Dolce, ingenua, povera, sprovveduta Allegre! Che i musicisti fossero lodati per la loro semplicità!

Con un breve ed elegante giro su se stessa, la sacerdotessa si lasciò ammirare in tutto il suo elaborato splendore.

“Sì! Non è un’amore questo vestito?” disse aspettandosi un mare di complimenti sommergerla.

“Non oserai mettertelo domani, spero.”

Per poco la mascella non le cadde. Nhefti la guardava critica con gli occhi di ghiaccio fissi sul suo adorabile completino.

Il suo sorriso divenne improvvisamente gelido.

“E che avrebbe di sbagliato il mio abbigliamento, di grazia?”

Con la coda dell’occhio la sacerdotessa vide Allegre fare un passo indietro, sottraendosi alla tempesta oramai imminente.

“Sembri una bomboniera.”

 “E’ un vestito d’alta moda Nhef. Non credo che tu abbia ben presente la solennità della cerimonia di domani…”

“Stiamo andando ad un incontro diplomatico o ad una passerella?!”

Le guance di Ledy si irrigidirono come dei pezzi di diamante.

Voleva il gioco pesante?

L’avrebbe avuto.

“E tu cosa credi di indossare domani?” pronunciò con una dolcezza imbevuta di malignità “Non vorrai mica rischiare di lanciarti addosso uno stuolo di asmodiani incavolati per colpa di uno dei tuoi  soliti straccetti.”

Vide Allegre indietreggiare di un altro passo.

Davanti a lei Nhefti sembrava lanciarle dardi infuocati dagli occhi.

“Sempre meglio che infiocchettarmi come un pacchetto di confetti.”

“Calmatevi o vi zittisco io.”

Si girarono tutte quante verso un angolo della stanza.

Nohant si era scostata di poco la maschera dal viso, quel tanto che bastava perchè potesse massaggiarsi con l’indice ed il pollice della mano destra il ponte del naso. Le sue labbra erano strette in una smorfia tagliente, quasi stesse trattenendo ogni fibra del proprio corpo dal dirigersi verso la porta, spalancarla e fuggire da quello che di lì a poco non sarebbe stato altro che uno show di abiti, fronzoli e …trucchi.

Specialmente trucchi.

Ledylight sorrise.

A quanto pareva non era l’unica ad aver capito quanto ci si dovesse sacrificare per la riuscita dell’incontro di domani.

Meno male che un tra tutte e tre Nohant sembrava essere quella con più sale in zucca!

Finalmente il Cantore delle Ossa tornò a guardare Fenice Rossa, accorgendosi che all’intervento della Bianca si era zittita.

Ed infatti eccola lì, a mordersi nervosamente le labbra col viso scuro di rabbia, mentre al suo fianco Allegre le dava qualche piccola, consolatoria, pacca su una spalla, sfidando quella che fino ad allora era stata una legge sacrosanta nella loro legione: mai toccare Nhefti quando era arrabbiata, a meno che non si desiderasse perdere un arto (o due).

Però… - pensò -…si sono parecchio avvicinate.

Alzò con fare solenne il naso, i pugni puntellati in una posa trionfale sui fianchi, ostentò un sorriso da vera e propria furbetta ed infine fece l’occhiolino.

Aion, quanto amava vincere.

“Allora? Iniziamo?”

 

 

 

Se Ledy avesse dovuto descrivere i Reian li avrebbe definiti “un popolo rigido”.

Nella grande capitale di Sarpan era tutto ben posizionato ed organizzato. 

Tutto aveva una specifica collocazione e ragione di essere, a partire dalla grande fontana a getto multiplo nella afosa ed assolata piazza centrale, fino alla lunga fila di bancarelle relegate nella parte inferiore della fortezza, lontane dalle attività militari. 

Persino la scelta del loro vestiario si dimostrava così ragionata da risultare, ai suoi occhi appassionati di tessuti colorati e linee sinuose, ripetitiva e monotona: porpora, ebano ed oro ovunque.

Ovunque voltasse gli occhi, il Cantore delle Ossa veniva assalito dalla presenza di anti-estetici pettorali metallici per le donne, turbanti, copricapi e veli utili al solo ed unico proposito di proteggere le loro teste albine dai forti raggi solari e sandali.

Sandali. 

E tacchi 8 ovunque posasse gli occhi.

Neanche un tacco 12 a metri e metri di distanza!!

Se durante il viaggio sulla grande aeronave Ledy era stata fiduciosa della riuscita della missione, vedendo tutto quello scempio stilistico dovette ricredersi.

Non poteva farcela.

Le mani le prudevano.

Doveva intervenire. Subito.

“STOOOOP!”

Tutte le altre si voltarono a guardarla, ritrovandola coi piedi inchiodati dietro di loro, le mani strette a pugno e le mascelle strette nello sforzo di non mettersi a gridare di frustrazione, più di quanto non avesse già fatto, almeno.

Portando alla fronte una mano perfettamente limata e smaltata, Nhefti si lasciò andare in un sospiro mezzo ringhiato.

“È la quarta volta che ci fermi Ledy. Se ti da fastidio come si vestono i Reian guardati le unghie, lisciati il vestito, aggiustati le ciglia finte. Quello che vuoi. Basta che muovi il culo.”

Ed eccola là la finezza di Fenice Rossa che si faceva risentire.

Aprì la bocca, puntellando una mano sul fianco ed alzando l’altra col dito puntato verso l’alto, pronta ad imbeccarla riguardo al linguaggio da usare in occasioni diplomatiche.

Non mi ripeterò, Ledylight.”

L’avvertimento centrò nel segno, zittendo qualunque sua protesta sul nascere.

Di rado Nhefti usava il suo nome per intero e quasi sempre lo faceva per lasciarle intendere di essere sul punto di esplodere. Certo, c’erano anche delle volte in cui la chiamava in quel modo per il puro e semplice gusto di prenderla in giro, ma si contavano sulle punte delle dita.

Il suo nome aveva una storia odiosamente semplice e particolare: il giorno della sua nascita sua madre decise, in un impeto di imbarazzante devozione a suo dire, di chiamare la sua figlia Ledylight in onore di lady Ariel, la Signora della Luce.

Inutile dire che lei e sua madre non si sentissero da anni per via di quel fatto.

Specialmente dopo il suo assoluto divieto di cambiarsi il nome.

Dannazione, doveva concentrarsi su dell’altro.

Alzò gli occhi squadrando con interesse mirato il risultato di ore di duro lavoro a casa sua.

Sospirò sollevata nel constatare la perfezione dell’abbigliamento delle altre.

Certo, ci era voluto un sacco di pazienza ed olio di gomito per mettere d’accordo le sue idee in fatto di moda con lo stile di ognuna di loro, ma alla fine era riuscita ad ottenere il risultato desiderato.

Erano tutte perfette.

Non c’era un solo elisiano che non le guardasse con ammirazione o invidia, mentre marciavano unite per ricongiungersi agli altri ambasciatori nella piazza, in attesa di essere ricevuti nella sala del trono da Kahrun.

Persino Allegre, la più acqua e sapone tra loro, era riuscita a rubare il cuore di un paio di buoni partiti del Sanctum, anche loro richiamati all’appello del condottiero dei Reian.

Tutto grazie a lei.

Non potè evitare di sentirsi gonfiare il cuore di orgoglio.

Certo, Nohant aveva deciso di coprirsi comunque il viso con quell’orribile maschera balaur, ma questo non aveva minimamente influito sul suo aspetto complessivo.

C’era solo una cosa che la disturbava…

Scrutò di sottecchi Allegre, troppo intenta ad osservare ad occhioni spalancati l’architettura e la miscela di razze riunitesi lì nella piazza, per premurarsi di dare retta al suo rinnovato manipolo di ammiratori elisiani.

Scosse la testa.

Quella ragazza provava chiaramente simpatia per gli asmodiani.

Lo si poteva vedere da come guardava a mascella penzolante e forse con una punta di rammarico la netta divisione che si era creata nella piazza centrale: rappresentanti di differenti legioni perfettamente allineati a scacchiera tra loro, schiene dritte e sguardo fiero fisso in avanti, ma radunati ai due estremi dell’area per non confondersi con i componenti dell’altra razza.

La fortezza di Sarpan, così perfettamente simmetrica, tra colonne, cupole, cerchi ed archi era stata letteralmente divisa in due dalla loro presenza.

Da una parte asmodiani, dall’altra elisiani.

Ledylight ridacchiò.

Che inutile pagliacciata.

Davanti a loro i rappresentati della legione degli Inviati venne richiamata dalla voce altisonante dell’annunciatore.

Presto sarebbe stato il loro turno.

Sorrise.

Iniziava lo spettacolo.

 

La sala del trono si presentò a loro come uno spazio discreto inondato dalla luce di una grande vetrata variopinta centrale. 

Ledy non ne rimase per nulla colpita. Come aveva già avuto modo di constatare dal vestiario Reian, lo sfarzo non era di casa.

A parte alcuni arazzi dei soliti e ripetitivi colori e la fontana a muro che alle loro spalle rinfrescava l’ambiente, nulla ricorpriva le pareti spoglie della stanza in pietra giallastra.

Nonostante le dimensioni relativamente ridotte della sala e l’austerità complessiva, Ledy dovette ammetterlo, c’era un’atmosfera solenne nell’aria, quasi palpabile.

Come da etichetta, tutte e 4 procedettero a testa bassa, inginocchiandosi ai piedi della scalinata che conduceva al seggio regale, aspettando di essere presentate a Kahrun e ricevere il permesso di guardarlo.

Una voce femminile e dura come la pietra risuonò perfettamente tra le mura della sala, annunciandole:

“Le rappresentanti della legione dei Mietitori: lady Ledylight Cantore delle Ossa, lady Nhefti Fenice Rossa, lady Nohant la Bianca e lady Allegre la Stonata.”

Oh.

Ledy distese le labbra in un sorriso sornione, cercando di non farsi vedere, anche se la posizione le avrebbe permesso una smorfia ben più svergognata.

Ecco com’era conosciuta Allegre tra gli Elisiani.

Stonata.

Appropriato.

“Che le vostre ali seguano il ritmo di Siel. Alzatevi pure, amiche mie.”

Non fosse stato per il fatto di dover rimanere a testa china si sarebbero volentieri scambiate occhiate stupite e curiose.

Non era stato l’annunciatore a parlare, ma, contravvenendo a tutto quello che sapeva riguardo le presentazioni di ufficiali ad alte cariche della società, lo stesso occupatore del trono poco distante da loro. 

La sua voce era stata profonda e rassicurante, ma al contempo perentoria ed esigente, così tanto da indurle a rialzarsi senza nemmeno mezzo pensiero al riguardo.

Quella era la voce di un leader, senza dubbio.

Una volta in piedi Ledy potè finalmente vedere in viso il condottiero di cui tutte loro, ieri in casa sua fino a notte fonda, avevano solo discusso, ipotizzando un vecchio e barboso nonnetto più attaccato alla poltrona che alle armi, giustificando in parte anche le idee pacifiste e neutrali del popolo dalle ali spezzate.

Le loro ipotesi non avrebbero potuto essere più lontane dalla realtà.

Incastonati su un viso giovane dai tratti duri e decisi, un paio di occhi rubino le squadrò con la stessa intensità di un falco dall’alto della scalinata.

In Kahrun non c’era nulla di permissivo, per quanto suadente ad un occhio inesperto potesse apparire il suo aspetto.

Dalla fronte inespressiva e calcolatamente ornata da un cimelio dorato, ai capelli candidi, spettinati ed impietosamente tirati all’indietro con poche e spassionate passate di gel, tutto di quell’uomo (o forse ragazzo?) traspariva un’inclinazione a non curarsi delle piccole cose, o, per lo meno, di qualunque cosa non fosse l’obbiettivo ultimo della propria vita.

Qualunque esso fosse.

A Ledy fin da subito Kahrun non andò per nulla a genio.

Dai, come diamine si faceva ad indossare una collana sopra  il colletto??

“Spero abbiate fatto buon viaggio per raggiungere la capitale.”

Di nuovo la voce vibrante del condottiero albino risuonò tra la mura della sala, lasciando tutte loro ammutolite per l’ennesima volta. 

Nessuna di loro sapeva cosa fare, nemmeno lei che in questo tipo di cose ci sguazzava fin da piccola.

La sacerdotessa delle ossa vide gli altri Reian presenti alzare gli occhi al soffitto, prima fra tutti una donna sulla destra, sicuramente l’annunciatrice di poco prima, che aveva ancora in mano la pergamena su cui sicuramente erano stati scritti i loro nomi. Non sembravano molto contenti della fretta del loro leader.

Questo le fece salire un ennesimo sorriso furbesco alla bocca: a quanto pareva non era la prima volta che Kahrun saltava i dovuti preliminari per velocizzare i colloqui.

Al loro affascinante condottiero non piaceva aspettare dunque.

Non poteva desiderare di meglio.

“Qualche turbolenza, ma nulla che non valesse la pena affrontare, maestà.” Si fece avanti, abbozzando un inchino.

Accanto a lei Nhefti sbuffò schifata da tanta “lecchinaggine”, come la chiamava lei.  

Il leader dei Reian si sporse, se possibile, ancora di più dal proprio trono, accennando un mezzo sorriso ed assentendo alle sue parole, compiaciuto.

Bingo.

Gongolò internamente, sapendo di aver assolto al proprio dovere di rappresentante appieno.

Ora toccava alle altre.

Al solo pensiero tutto il suo buonumore si dissipò, lasciando spazio ad una vampata di calore che, sapeva, era solo il preludio di una sudata colossale.

“Parla per te Ledy.” Mugugnò puntualmente Nhef, facendole cadere la terra sotto i tacchi.

Aion, perchè lei?

Un attimo.

Quello che aveva appena visto far tremolare la bocca dell’albino dinanzi a loro non era il fantasma di una risata, vero?

Come a mimare la sua espressione di sgomento anche gli altri Reian nella sala si guardarono l’un l’altro ad occhi spalancati.

Era ufficiale.

Odiava Nhefti.

Come diavolo ci era riuscita?

Mentre lei rimuginava, fumando di rabbia, sul dubbio carisma di Fenice Rossa e sull’altrettanto dubbio senso dell’umorismo di Lord Kahrun, quest’ultimo si portò un pugno all’altezza del mento e fece scorrere il proprio sguardo cremisi su di loro, o meglio sulle loro armi.

“Un cantore, una maestra di spiriti, un’assassina e…” ci fu un attimo di esitazione.

Dietro di loro Allegre si strinse nelle proprie spalle, improvvisamente a disagio. 

“…una musicista.”

Ci fu un brusio generale nella sala.

Persino Nohant dietro di lei si irrigidì visibilmente, non capendo il motivo di tutto quel fermento.

Non che lei fosse da meno.

Aggrottò la fronte, non capendo.

Cosa si era persa?

Bastò un gesto della mano dell’albino perchè il silenzio tornasse a regnare sovrano.

“Vi chiedo scusa, amiche mie, i musicisti sono stati assenti per molti secoli…” il condottiero allargò le braccia, indicando a palmi aperti in direzione della loro musicista, per nulla rincuorata e rigida come uno stecco.

“…E vederne finalmente così tanti presenziare questo cruciale evento tra i nostri popoli è per tutti noi Reian motivo di grande gioia.”

Ci fu un cenno della mano da parte di Kahrun ed Allegre venne suo malgrado invitata ad avvicinarsi al leader dei Reian, risalendo a piccoli ed incerti passi gli scalini che l’avrebbero condotta al trono ed al suo occupante.

Quando tra i due non rimasero che due scalini, Ledy potè constatare che Lord Kahrun non era semplicemente dotato di una voce e di un’aura autoritaria, ma anche di una corporatura possente che faceva sembrare Allegre una ragazzina a suo confronto.

“Allegre la Stonata.”

Al proprio nome e titolo la bionda annuì, non potendo altro in attesa della domanda che, Ledy se lo sentiva, sarebbe stata fatidica affinchè la loro legione desse una buona impressione di sè.

Odiava ammetterlo, ma era tutto nelle mani di Allegre.

“Come ti è sembrata Sarpan?”

Se avesse potuto Ledy si sarebbe tolta il fermaglio finemente decorato che aveva in testa e se lo sarebbe cacciato dritto in gola per la rabbia.

Ci mancavano soltanto le domande a trabocchetto!!

Tutte loro ai piedi della scalinata mantennero un’espressione neutra, ma lei era certa che anche Nohant e Nhefti si stavano letteralmente rovinando il fegato per trattenere rabbia e paura nell’angolo più recondito del proprio cervello.

La voce roca ed inadatto al proprio aspetto della loro musicista non ci mise molto a farsi sentire.

“Incantevole come poche, Lord Kahrun. La vostra capitale ha delle fontane splendide e mi è parso di capire che la piazza sia un tributo alla forma originaria di Atreia.”

Un brusio di approvazione riempì la sala.

Nella propria mente Ledy stava già agitando dei pon pon per la gioia. 

Feena Sushi per tutti al ritorno! 

Avrebbe offerto lei!

“…, Ma…”

I pon pon immaginari le caddero.

Ma?? C’era un “MA”?? 

Non esistevano “MA” negli incontri diplomatici! Quante volte l’aveva ripetuto ieri sera mentre rifiniva la loro french alle unghie??

“Ma..?” fece da eco Kahrun alzando un sopracciglio con fare interessato.

Ledy già si profilava il loro ritorno al Sanctum, derise e cacciate dalla legione per non essere riuscite a fare una cosa semplicissima: le brave lecchine.

“Ma la vista di una piazza così bella venire spaccata in due dalla nostra presenza mi ha lasciato delusa e piena di vergogna.”

Avvertì con la coda dell’occhio Nhefti bloccarsi per un breve istante ed attorno a Nohant l’aria sembrò farsi  sensibilmente più bollente, quasi irrespirabile.

Dal canto suo Ledy assottigliò gli occhi castani, puntando con insistenza la schiena della musicista.

Allegre non aveva mai parlato così apertamente dei propri pareri politici, lasciando solo intendere dai suoi gesti e da piccole, veloci espressioni quanto per lei quella guerra tra asmodiani ed elisiani fosse insensata.

Perchè esternarli soltanto adesso?

Era perchè aveva finalmente incontrato una fazione neutrale, pacifica e fedele a Lady Siel come lei?

La vide chinarsi in avanti, la mano destra nascosta dalla sua visuale, probabilmente premuta all’altezza del cuore in un gesto di rammaricata riverenza.

“A nome della mia legione e del popolo elisiano, vorrei porgerle le mie più sentite scuse, Lord Kahrun.”

Per la prima volta dopo anni, Ledy riprovò l’irrefrenabile impulso di risentire sotto i denti il sapore di smalto misto a quello polveroso delle proprie unghie.

La sala del trono era piombata in un silenzio per lei delirante. 

Nessuno fiatava.

Tutta l’attenzione dei presenti, persino delle guardie, sembrava essersi concentrata su Kahrun il quale, ancora intento forse ad analizzare quanto detto dalla loro musicista, continuava a guardare fisso il volto della biondina, rimanendo nella stessa posizione inclinata in avanti di prima.

Una moltitudine di occhi rossi fissi su un unico punto.

A vedere quella scena le vennero quasi i brividi.

Parevano un branco di lupi in attesa della prima mossa del maschio alfa.

“Lady Allegre la Stonata.”

Ledy doveva ammetterlo però: avrebbe prosciugato tutto il suo conto in banca pur di poter sentir pronunciare il proprio nome da una voce così!

Le ali rossicce del leader frusciarono sul trono, tornando lentamente ad aderire sullo schienale, forse per la prima volta dopo un centinaio di colloqui. 

Sembrava quasi più rilassato. La linea della fronte e degli zigomi gli si era come raddolcita, tanto da farlo apparire tollerante, addirittura compiaciuto. 

“Tu sei stata la prima, fra tanti elisiani, a dare prova di sensibilità e rispetto nei confronti della volontà di noi Reian di non schierarci né dall’una né dall’altra parte.”

L’albino chiuse gli occhi, come in solenne contemplazione di quanto appena detto.

“Per noi non esiste altro nemico se non i Balaur.”

“E chi ha fatto altrettanto, tra gli asmodiani?”

Oddio no. 

No.

Qualcuno per pietà la svegli.

Non poteva essere stata Nohant a parlare.

Non poteva!!!

Il sangue le defluì dalle guance quando vide lo sguardo fiammeggiante di Kahrun spalancarsi e saettarle oltre  la spalla, puntandosi sulla loro assassina.

“Lady Nohant Hancock la Bianca.”

Oh no. Il modo in cui il tono di voce del reggente si era fatto più tagliente non prometteva nulla di buono.

Sulle spalle dell’albino le piume semirovinate e spaiate fremettero per un istante.

La sua espressione, che prima era stata tanto vicina dal raddolcirsi, era tornata severa con una punta di delusione ad appesantirne i tratti.  

“Le voci sul vostro conto vi precedono.”

Ledy non potè fermarsi dal lasciare che il suo mento penzolasse per lo shock.

Mai come allora la fama di Nohant per la sua brutalità nell’uccidere i propri avversari asmodiani le era parsa così dannatamente scomoda. 

“Il vostro nome viene sussurrato con paura e disprezzo tra le fila asmodiane e molti di loro hanno decretato di aver abbandonato volontariamente le armi a causa del vostro…”

Kahrun prese un respiro profondo.

“…eccesso di zelo in battaglia.”

Quelle due ultime parole erano state come sputate a forza, e pronunciate con altrettanto scetticismo, quasi il reggente albino fosse pienamente cosciente di aver descritto in maniera troppo riduttiva la passione che Nohant dedicava nel rendere gli ultimi istanti che dividevano i suoi avversari dalla tanto agognata resurrezione, un vero e proprio inferno.

Dietro di lei sentiva nitidamente Nohant fiammeggiare di rabbia inesplosa.

Ok. Ora basta.

Con uno slancio disperato afferrò il polso di Nhefti e la lanciò letteralmente in avanti, indossando l’espressione più smielata ed innocente possibile.

“Io non darei molto ascolto alle loro dicerie, vostra Maestà, sulla nostra Nhefti si dice che ami confondersi con gli asmodiani, giacere nei loro letti e poi ucciderli nel sonno!”

Inutile dire che fosse al corrente di quel pettegolezzo disgustoso da molto più tempo di quanto avrebbe mai ammesso, ma il suo piano ebbe pieno successo, a giudicare dell’occhiata stupita che Kahrun scoccò prima a lei, poi alla maestra di spiriti.

Sperava soltanto Nhefti non l’avrebbe maledetta, una volta tornate a Sanctum.

Evitò accuratamente di guardarla in volto, sicura di trovarla in preda ad una smorfia inorridita e schifata.

“Come?!?! Chi ha messo in giro questa schifezza!?”

Appunto.

Lei roteò gli occhi, simulando magistralmente un’espressione saccente ed esasperata.

“E cosa ti aspettavi, tesoro? Ti l’avevo detto che indossare vestiti asmodiani ti avrebbe procurato una pessima fama, ma a te da un orecchio ti entra e dall’altro ti esce.”

Non aspettò nemmeno una risposta da parte dell’altra, rivolgendosi poi al Reian che ancora le scrutava dall’alto del trono. 

Persino Allegre si era girata osservandole stupita con le sopracciglia sollevate come non mai.

“Non ha idea di quanto abbia dovuto faticare per convincerla a cambiare vestiario.”.

Ledy seppe di essersi messa in imbarazzo nel momento stesso in cui tutti i reian presenti si guardarono imbarazzati e preoccupati, lanciando occhiate preoccupate al proprio Leader.

Ma almeno era riuscita a distogliere l’attenzione del reggente da Nohant.

“A dirla tutta lady Ledylight…” l’attenzione dell’albino si indirizzò di nuovo sull’assassina accantonando ogni sua speranza di aver salvato la situazione e facendole defluire il sangue dal viso con la stessa velocità di una cascata.

“Non ho mai apprezzato i soldati facilmente condizionabili da cose futili come l’estetica.”

Ci fu uno il rumore di una cinghia aperta di scatto, poi qualcosa di metallico roteò sul pavimento con un fragore assordante.

Tutti guardarono sgomenti la maschera balaur di Nohant fermarsi gradualmente dopo essere stata gettata dalla stessa proprietaria.

Per una volta il viso di Kahrun tradì una certa incertezza.

Lo sguardo violaceo dell’assassina lo fronteggiava con rabbia e sicurezza, quasi sfidandolo ad aggiungere qualcosa.

Non era da Nohant. Ledy lo sapeva bene. 

Non era da lei incassare così tanto un colpo.

“Le assicuro, Lord Kahrun,…” scandì Nohant con voce tremante, guardandolo attraverso le ciocche spettinate della propria frangia “…che mai il mio aspetto ha influito sul mio modo di compiere i miei doveri da soldato.” E detto questo girò i tacchi uscendo di scena a testa alta.

Ledy l’avrebbe volentieri strangolata.

Sotto i suoi occhi però passò un interessante e succulento dettaglio: lord Kahrun, rimasto impietrito sul proprio trono, continuava a fissare il punto dove la figura flessuosa di Nohant era sparita, deglutendo lentamente con lo sguardo perso nel vuoto.

Da lì Ledy capì.

Ridacchiò sotto i baffi.

 

Il resto del colloquio andò avanti tranquillamente. Il piccolo inconveniente avvenuto tra l’assassina ed il reggente venne cautamente ignorato per il bene comune, ma Ledy riuscì a scorgere una certa ansia negli occhi rubicondi dell’albino, mentre questi saettavano da una parte all’altra della stanza alla ricerca di qualcuno che non sarebbe, molto probabilmente, più ritornato.

Oh, ma che carino! - Pensò gioiosa il Cantore delle Ossa, mentre lei, Nhefti ed Allegre si inchinavano per dare alla corte di Kahrun un ultimo omaggio prima di congedarsi definitivamente. 

“Sono felice di aver fatto la vostra conoscenza, amiche mie. Il vostro colloquio  è stato molto più produttivo rispetto a quello dei membri delle altre legioni a voi precedenti.”

Evvai! Le trombette e i coriandoli a scoppio che si era portata dietro non sarebbero andati sprecati!!

L’albino si tirò indietro sul proprio seggio, lanciando a tutte loro un’occhiata significativa

“Forse non caccerò tutti gli elisiani da Sarpan.”

Oh, il loro Generale le doveva dare una promozione dopo un simile supplizio. 

Poco ma sicuro.

Il leader dei reian le fece segno di avvicinarsi un poco, prima ancora che lei potesse allontanarsi insieme alle altre, per poi sporgersi in avanti e sussurrarle con fare un poco imbarazzato:

“Portate i miei saluti a lady Nohant…insieme alle mie più sentite scuse.”

Kahrun le porse un involucro di stoffa, consegnatogli poco prima da uno dei suoi subalterni, con fare discreto.

Non fu sorpresa nel riconoscere in quella forma ovale e leggermente concava ricoperta da cotone tinto di rosso, la maschera di Nohant.

Sorrise complice.

“Lo farò con immenso piacere, lord Kahrun.” 

Faticò a non mettersi a saltellare mentre usciva dalla sala del trono, ma, una volta uscita fuori, il suo buon umore venne bloccato dalla voce squillante di Nhefti.

“Che cazzo ti è preso, Nohant?!”

Sbuffò.

Le era sembrata troppo contenuta nell’esprimersi la cara vecchia Nhefti.

Ora sì che la riconosceva.

“Calme, calme bambine.” Si frappose tra loro, bloccando una lite sul nascere. “Sappiate che lord Kahrun, si è molto dispiaciuto del proprio comportamento e… ” si girò verso Nohant, indossando il sorriso più birichino e malizioso di cui era capace, e le porse l’involucro di tessuto spartanamente ricamato “…mi ha incaricato di mandarti le sue più sentite scuse.”

Fu uno spettacolo vedere l’espressione dell’assassina quando, aprendo il fagotto di cotone rosso ed accorgendosi del suo contenuto, arrossì vistosamente, premurandosi immediatamente di rimettere la maschera.

A Ledylight bastò quello e, con una piroetta ben studiata, si rivolse ad Allegre e Nhefti, dichiarando vittoriosa, impugnando una trombetta spara-corinadoli verso il cielo:

“Abbiamo ufficialmente fatto guadagnare alla nostra legione il permesso di entrare a Sarpan!!”

Fantastico. Ora possiamo portare via il culo e tornare a casa?” sbottò Nhef con occhi puntati in alto.

“Non ti andrebbe di fare qualche spesa già che siamo qui?” chiese Allegre sorridendo, anche lei visibilmente sollevata.

A proposito di compere…

“Allegreeee?” cantilenò mettendo un braccio attorno al collo della biondina, che la guardò un poco stranita “Ho notato che di recente vesti dei capi a dir poco deliziosi e mi stavo chiedendo…”

“Sto imparando a tessere e cucire da Proserpina, vuoi che ne confezioni uno per te?”

Nemmeno un accenno di vanto. Sua nonna ed i suoi insegnamenti sul beneducato esibizionismo si sarebbero rivoltati nella tomba, se solo avesse osato pensare di comportarsi con tanta semplicità e modestia.

Accidenti, quella ragazza era una vera e propria delusione!

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