Prima dell'alba.

di primachespuntilsole
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Noi. ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno. ***
Capitolo 3: *** Due. ***



Capitolo 1
*** Noi. ***


18.11.2013; 02.00 a.m.
 
Sam si svegliò ansimando.
Le tracce del suo incubo le facevano ancora irrigidire il corpo.
Ogni notte si sveglia agitata e spaurita, senza ricordare il probabile incubo che la spaventa tal punto.
Oramai  il sonno le  era scivolato via di dosso, tanto valeva concedersi una sigaretta.
Fuori era una fredda e nera nottata di fine Novembre, ma le stelle erano alte e chiare in cielo. Sam amava guardare le stelle, la facevano sentire più libera, meno soffocata da questo mondo così piccolo e stretto. Le stelle la trasportavano con la fantasia in universi lontani, via dal caos e la fretta.
Finì la sigaretta con fare deluso. Ciò significava che doveva rientrare. Tanto valeva accendersene un altra.
 
18.11.2013; 02.30 a.m.
 
Alessandro camminava nelle vuote strade di Lecco, immerse nel buio e lievemente richiamate da qualche lampione qua e la.
Si erano fatte le ore nere, così le chiamava le ore che precedono l’alba. Sono quelle ore in cui hai perso la speranza per una nuova luce, le ore più buie. Ma poi il sole arriva.
Troppo presto per tornare a casa, merda. Corro il rischio di trovare qualcuno in piedi ad aspettarmi. ”
Alex, così lo chiamano gli amici, era nel pieno delle sue ore nere e aveva disperatamente bisogno di vedere la luce, camminava molleggiando sulla parte pedonale da parte al lago.
Quel lago era una distesa nera e calma illuminata dalle stelle e dalle mille luci che si rispecchiavano sfocatamente sull’acqua. Era tutto sfocatamente al contrario. Alessandro camminava e espirava formando delle nuvolette di condensa. Guardava il mondo vero e il mondo al contrario e sentiva di appartenere almeno ad uno dei due. Dove essere così per forza. Doveva appartenere a qualcosa, doveva per forza.
 
18.11.2013; 03.00 a.m.
 
Elsa scese in fretta le scale del condominio, era tardi. Il treno sarebbe passato tra pochi minuti.
Il trucco colato le pizzicava gli occhi, i buchi sulle calze facevano assaggiare l’aria fredda e frizzante di quella notte di novembre alla sua candida pelle.
Quella notte, come tante altre, aveva dormito in una casa che non era la sua, con un uomo che non era il suo. Ma lei aveva un uomo suo? Lei era di tutti.
Elsa correva con le sue esili gambe verso il treno che prese per un soffio. Era un treno vuoto. Lei si sentiva come quel treno, la gente che saliva e scendeva, mai nessuno che restasse per più di qualche ora.
Si sedette su un sedile vicino al finestrino , guardando il mondo che le scorreva a fianco.
 
18.11.2013; 3.10 a.m.
 
Claudio si alzò dal divano sentì suo padre vomitare nel bagno, si era preso un'altra bella sbronza.
Sua madre dormiva tranquilla sulla poltrona, probabilmente voleva aspettare suo padre. La tv stava trasmettendo vecchie puntate dei Robinson.
La porta del bagno si aprì e ne uscì il padre, barcollante.
Claudio finse di dormire e aspettò che suo padre si trascinò fino in camera. Prese le sigarette il telefono il giubbotto e le chiavi, uscì di casa e fu investito dal freddo di novembre.  Dove andare e cosa fare erano cose secondarie, voleva un posto tranquillo e una bottiglia di birra.
 
18.11.2013; 03.12 a.m.
 
Gabriele fini la canna con uno sbuffo, tutto in torno a lui si riempì di fumo per un istante e poi sparì. Si chiedeva perché tutto intorno sparisse e si allontanasse da lui, più veloce del vento che portò via il fumo.
Forse era lui che sbagliava o semplicemente non voleva rovinare qualcuno, trascinarlo con lui negli abissi. Non lo avrebbe augurato nemmeno al peggiore dei suoi nemici.
Era così da quando la madre era andata via, scomparsa da un momento all’altro, come il vento. Si era trovata un altro e si era dimenticata di lui. Aveva otto anni ma da allora non era più stato un bambino era diventato un ragazzo, senza un età di maturazione, senza una fine degna per l’infanzia di un bambino.
Adesso non sentiva niente. Aveva perso le emozioni e non le aveva più trovate. Riusciva a sentire qualcosa solo col fumo, riusciva fargli schioccare una piccolissima scintilla che per un paio d’ore lo faceva sentire normale.
Alzo lo sguardo al cielo e guardò tutte quelle bellissime stelle. Chi sa cosa vogliono dire le stelle.
 
18.11.2013; 03.14 a.m.
 
Charlotte alternava lo sguardo da lago al suo libro, accompagnandolo da qualche sorso di te nero.
Aveva visto tramontare il sole e sorgere la notte, vecchia amica e compagna di sbronze.
Strana cosa la notte. Ti affascina e ti fa riflettere. Come se il buio ti facesse riflettere su quanto effettivamente sia importante la luce, su quanto conti nel giorno. Le tenebre sono facili da abbattere? Charlotte non lo sapeva, lei viveva nel suo mondo, lei, i suoi libri e la musica, quanto amava la musica. Adorava il fatto che qualcuno che non la conoscesse potesse descrivere i suoi stati d’animo così facilmente. Si sentiva protetta dalla musica come se fosse un manto invisibile su di lei e quando c’è musica non può esserci il buio, solo lei e la musica.
Arctic Monkeys nelle orecchie.
Il telefono squilla, un nuovo messaggio.
Era il gruppo.
Prima dell’alba;
Sam: svegli?
Ale:  Sul lago.
Clau: Per strada.  
Elsa: ho preso il treno per puro culo.
Gabriele: Sballato a merda, in piatta.
Charl: Ci troviamo al solito posto, 10 minuti?
Sam: ci si trova li.
Ale: Charl sono sotto casa tua andiamo insieme.
Elsa: Sono quasi a Lecco, arrivo.
Clau: Sono in giro, ci troviamo li.

Charlotte chiuse il suo libro e spense la musica. Diede un ultima occhiata al pezzo di mondo che poteva vedere dalla sua stanza prese il giubbotto e uscì.
Scese le scale di casa sua correndo, apri la porta e trovò Alex, col suo giubbotto grande e la sua sigaretta.
-Ciao- Esordì Alex accennando un timido sorriso. –Ciao. Andiamo?. – il piccolo naso di Charlotte si era già fatto tutto bordò. –Certo.-
 
18.11.2013; 03.43 a.m.
 
Il primo fu Gabriele, seguito da Claudio ed Elsa.
Poi arrivò Sam.
E per ultimi Charl e Alex.
 
18.11.2013; 07.34 a.m.
 
Erano tutti li, al monumento vicino al lago. Ridevano. Ballavano. Gridavano.
I loro pensieri si erano cancellati. Le loro preoccupazioni erano sparite.
Erano li insieme, prima dell’alba.

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Capitolo 2
*** Capitolo uno. ***


Da: Alex
A: Charl
 
Casa mia, 10 minuti.
19.11.2013; 08.13 p.m.
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Da: Charl
A: Alex


Arrivo.
19.11.2013; 08.15 p.m.
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Charlotte.  08.26 p.m.
Aveva ancora le tracce della sorpresa che ha provato mentre leggeva il messaggio di Alex. Che coraggio.
Prese le sue cuffie cercando una colonna sonora adatta. ‘Are you mine?’; era perfetta.
Mentre si metteva il giubbotto la canzone le pompava nelle vene.
Si guardò allo specchio; i capelli neri arrabbiati, gli occhi stanchi e più azzurri del solito, il viso minuto, il suo nasino alla francese e quelle labbra carnose e rosee. Era bella ma non lo sapeva.
Decise che non aveva voglia di truccarsi, prese le chiavi e uscì.
Il viale Turati era già vuoto e illuminato dalla flebile luce dei lampioni e di qualche negozio ancora aperto.
La casa di Alessandro era alla fine della via.
Charl cercava di non pensare, di trattenere la rabbia. Togliersi dalla testa quell’immagine era ancora difficile, era già passato un anno.
Fissò per due lunghi minuti il citofono, poi suonò.
 
Charlotte trovò Alessandro ad aspettarla sulla porta.
Alessandro la trovò bellissima come al solito, così, senza trucco, senza grandi frasi o tratti da modella. Era bella nel suo piccolo visto e nel suo corpicino.
Quando la abbracciava ha sempre creduto di poterla rompere. Sapeva di averlo fatto, più di una volta. Anche lei  lo sapeva, se lo ricordava bene.
Lui la guardava e non riusciva a non vedere la sua dolce anima che suonava aritmo di rock e poesia . Tutto quel sentimento, quelle idee, quel sorriso, Alessandro si è sempre chiesto come tutta la anima di Charlotte potesse starci in un corpicino così.
Aveva tutto un universo in quel corpo.
Charlotte lo guardò.
Aprì i suoi occhioni color mare.
Non era cambiato da un anno a questa parte. Era rimasto uguale.
Con quei suoi capelli biondi, le labbra rosse. Gli zigomi alti e la mascella squadrata.
Il pomo di Adamo pronunciato, ma non troppo. Le vene del suo collo si muovevano a ritmo del cuore.
Le loro labbra si schiusero.
-Entra pure.- Alex si scansò e fece segno di entrare. I loro corpi si sfiorarono per un istante .
-Allora, cosa c’è di così importante da volermi ‘convocare’?-
Erano nella camera di Alex. Non si sentivano altri rumori provenire dal resto della casa, i suoi dovevano essere fuori.
Charl camminava sfiorando le copertine dei cd in vinile che aveva su tutte le preti della camera. –Non sono cambiate. Sono sempre le stesse, anche il giradischi è nello stesso posto.
Disse Alex tormentandosi le mani e irrigidendo la mascella. Abbassò lo sguardo per rialzarlo quando Charl si volto verso di lui con un sorriso aspro.
– Non avevo dubbi. Non hai risposto alla mia domanda, Alessandro.
- E’ passato un anno. Domani è un anno da..- Venne interrotto.
-Da quando hai scopato con un'altra?- Charl smise di guardare la sua collezione di vinile e si girò verso di lui.
- Da quando ti ho tradito. Si.-
- Non mi piacciono i giochi di parole. Non mi piacciono più. Dimmi chiaramente cosa vuoi Alex, perché le tue parole mi fanno schifo.-
- Charl io ho fatto un cazzo di errore! E lo so, ho sbagliato! Va bene? - Alessandro scandì bene le parole. -Io ho sbagliato.- Urlava.
-Dove vuoi arrivare? Dimmi ,dopo un anno, dove cazzo vuoi arrivare! Non riesco più a guardarti senza vederti a letto con quella troia.- Adesso stavano urlando entrambi.
- Charl, io ti giuro, mi dispiace. Charlotte credimi, ti prego.- Si avvicinò a lei e le prese il viso tra le mani.
Si guardarono negli occhi.
A Charlotte sentiva le lacrime pizzicarle gli occhi.
A Alex tremavano le mani.
-Si è stancata?
-cosa?
Si  è stancata di te e allora adesso mi chiedi scusa?
Charlotte non c’è mai stata un'altra io non voglio lei io voglio te. Io voglio baciarti sotto le stelle . giocare a palle di neve con te .
- Abbracciarti quando dormi. Ridere con te. Potrei anche ascoltare Ed Sheeran per te.-
-Sono stanca di queste stronzate Alessandro, valle a raccontare a qualcun altro-.
Si divincolò dalle mani di Alex e se ne andò sbattendo la porta.
-Ti amo Charl, cristo! Io ti amo!- Urlò Alessandro, un urlo colmo di tutta la disperazione delle notti di quel maledetto anno. Si mise le mani nei capelli, si accovacciò. Il suo visto sgorgava il mare.
-Ti amavo anche io. – Sussurrò Charlotte scendendo le scale. 
Si mise le cuffiette. Cominciò a singhiozzare. Corse.
Si buttò subito sulla poltrona vicino alla finestra e guardando il mondo, pianse. Urlò.
Strano l’amore di quei due, così forte e così debole. Poteva sconfiggere il mondo, ma si rompeva con un soffio.
Non erano mai stati bravi a tenersi. Erano stati bravi ad amarsi. A guardarsi. A volersi. A sorridersi. Erano due pezzi di un puzzle, ma erano i pezzi giusti? Di sicuro erano due pezzi che sapevano stare vicini, ma forse non riuscivano a incastrarsi fra loro.
Erano due anime fragili.
Due metà di qualche libro.
Quella sera Charlotte guardava il mondo da camera sua, senza avere più certezze. Senza parole. Senza riuscire a muoversi, a uscire da quel piccolo mondo che la riparava quando niente riusciva a farlo.
Quella notte Charl non dormì.
Quella sera Alessandro andò sul lago e guardò il suo mondo al contrario, l’unico mondo che gli dava speranza.
Quella notte Alessandro non dormì.
 
Gabriele 19.11.2013; 05.37 p.m.
La vide che passeggiava per la strada . Lei e i suoi capelli corvini. Il suo rossetto nero. La sua bombetta. I suoi gambaletti. Il suo eyeliner intorno agli occhi.
Era lei.
Il cuore di Gabriele si fermò e lui smise di respirare. Riusciva solo a guardarla, li con le sue amiche, sorridente. Il mondo che le cantilenava in torno. Lei era li, bellissima.
Lo vide. E anche il cuore di Letizia si fermò a guardarlo.
Erano li fermi immobili da il lati opposti della strada, non respiravano più. Le bocche aperte, gli occhi negli occhi.
Tirarono un lungo respiro. Il mondo per un attimo era fermo. Gabriele chiuse la bocca, si imbatté due o tre volte gli occhi, strinse i denti e si costrinse a girarsi.
Lei lo imitò rapidamente.
Iniziarono a camminare, sempre più veloce per poi correre. Corsero chissà per quanto, in direzioni diverse.
Gabriele si fermò, rivederla è stato un flash back orrendo e bellissimo. Non immaginava che sarebbe stato così intenso. Così carnale, per tutti e due.
Erano passati quanti? Due forse tre mesi? Non erano abbastanza per sopportare di rivederla.
Come poteva guardarla. Come poteva non correre da lei. Chiederle scusa dirle che era uno stupido e baciarla a perdifiato. Come poteva non farlo.
 
Letizia. 05.45 p.m.
Che brutto sogno. Vederlo per lei era sempre un sogno. Sta volta è stato brutto.
Gli occhi nei suoi occhi. Aveva ancora i brividi.
Erano distanti metri, ma lo sentiva a pochi centimetri di distanza.
Stesse sensazioni dopo mesi. Nulla era ambiato, lei credeva di si, ma non era cambiato niente. Il suo cuore era ancora sparso sul pavimento della sua camera.
Gabriele doveva essere una brutta storia nella sua vita, ma era ancora tutto il libro.
Gridò dalla rabbia e pianse.
Gridava e piangeva e correva.
Chi sa dove voleva andare, con quei piedi storti e quelle mani così piccole.
A volte Letizia credeva di poter toccare il cielo con quelle piccole mani, credeva di poter riuscire a cambiare qualcosa, nel mondo. Si sentiva parte di un progetto. Parte di qualcosa.
Chi sa dove lo teneva tutto quell’amore, per riuscire fingere di non vederlo più.
Ne aveva accumulato tanto, d’amore per Gabriele.
Fingeva fosse odio, ma non le riusciva bene. Anzi le riusciva piuttosto male.
Si chiedeva spesso di Charlotte, Elsa, Sam Alex e persino di Claudio.
Da quando Gabriele non l’ha più voluta non ce l’ha fatta a rimanere nei Prima dell’alba.
Chissà.
Chissà se era cambiato qualcosa.
 
Elsa. 19.11.2013; 04.38 p.m.
 
La sveglia di Elsa suonava da un quarto d’ora, ma lei di alzarsi, non voleva saperne.
Stava sognando.
Era con Sam e facevano l’amore come tante volte in passato, sotto le stelle. Era bellissimo. Ma quella sveglia era insopportabile. Si rassegnò e dichiarò sconfitta, per sta volta aveva vinto ancora la sveglia.
Prese la sveglia e la lanciò contro il muro, ma suonava ancora.
Imprecò, parecchie volte. Ma alla fine si alzò.
Andò in bagno e decise di farsi una doccia.
Uscì dalla doccia infreddolita e bisognosa del suo accappatoio caldo. Lo trovò e si guardò nello specchio appannato. Era una testa bionda con qualche tatuaggio sul petto.
Il volto era indistinto.
Strofinò via la condensa dallo specchio e si asciugò i capelli con l’asciugamano.
Si vestì- una gonna che più di una gonna sembrava un pezzettino di stoffa, una maglietta, la calzamaglia e la pelliccia- ,si truccò e uscì.
Camminò per le strade di Lecco e si fermò appoggiata al muro in un vicoletto, aveva un appuntamento.
Si accese una sigaretta.
Un ragazzo alto, sulla trentina la avvicinò. Lo aveva già visto un paio di volte, ma non riusciva a ricordarsi il nome.
-Ciao bellissima.
Ciao , mh.. come ti chiami- ci pensò su un attimo poi lasciò perdere. -Vuoi farlo qui o a casa tua?- Disse Elsa afferrandolo lentamente per la camicia e attirandolo a sé.
-Casa mia è qui vicino-. Lui aveva un sorriso complice.
-Va bene tesoro, andiamo allora.
Forse Elsa trovava sollievo nel sesso. Forse non la faceva pensare. A Sam, soprattutto.
Fingere per un attimo che le piacessero gli uomini era confortante per Elsa.
Ma mentre lo faceva pensava.
E pensava a Sam.
Alla loro storia.
Al loro amore, così sciupato, ma forte.
Povero amore, il loro.
Così puro.
Così vero.
Così sprecato.
Un amore così difficilmente si cancella.
Elsa questo lo sapeva. Fin troppo bene, purtroppo.
Lo avevano saputo entrambe dal primo momento.
Ma avevano rischiato lo stesso.
Povero amore, il loro.
 
 
 
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A: Samantha.
Da: Claudio.
 
Birretta in piatta?
08.14; p.m.
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Da: Samantha.
A: Claudio.
 
Ci sta, 5 minuti?
08.16; p.m.
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Da Claudio
A Samantha
 
Ti aspetto.
08.17; p.m.
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Claudio. 19.11.2013, 08.13 p.m.
 
Claudio guardava le stelle, ormai alte in cielo.
La luna quasi non si vedeva.
Il lago era calmo, la brezza leggera.
Si accese una sigaretta.
Chi sa se è vero che chi muore ti guarda dalle stelle. Claudio se lo è sempre chiesto. Sperava di si. Sperava che sua sorella lo guardasse da li, che lo vedesse tenere testa al padre come aveva sempre fatto lei, anche se per motivi diversi da quelli di Claudio. CI sperava proprio. Voleva farle vedere come si divertiva, come ballava, urlava. Voleva che sfogliasse la sua vita. Forse per questo preferiva la notte al giorno, perché aveva questa flebile illusione.
Qualcuno gli chiuse gli occhi con le mani.
- Sam, ci conosciamo da 17 anni, ancora con sti’ giochetti del cazzo?- La sua voce era seria, ma sorrideva.
-Sei sempre noioso, dai cazzo Claudio!-.
Risero di gusto tutti e due.
Sam amava farlo ridere, la risata di Claudio la contagiava.
Lui le stappò una birra e la abbracciò.
-Ti voglio bene Sam.- 
Claudio appoggiò la testa nell’incavo della spalla di Sam e le annusò i capelli neri e ricci, anche se per farlo dovette piegarsi un pochino per la differenza d’altezza ne valeva la pena, odorava di caramelle.
-Anche io Cla’, ma tutto bene?- Sam era un po’ stupita.
Claudio si distolse dall’abbraccio e la guardò.
Era sempre la solita Sam, giacca di pelle, trucco forse un po’ troppo pesante, piercing al naso e all’ombelico visibile dalla sua maglietta forse un po’ troppo corta per novembre. Mini gonna e calze strappate. Questa era Sam.
Claudio Tornò alla realtà.
-Ieri è tornato a casa.- Strinse la mascella e bevve un sorso di birra.
-Oh cazzo! Meno male! Erano giorni che non si vedeva- Sam sembrava sollevata.
-E’ tornato sbronzo.- Claudio era rassegnato.
-Ah. Cla, cazzo, mi dispiace.- Guardò a terra e sorseggiò la birra.
-Io e mia madre ci abbiamo fatto l’abitudine.-
 Ci fu una pausa.
-Una figlia morta e un figlio Gay. Penso di poter scrivere un manuale su come rovinare la vita alla gente.- Fece un sorriso amaro e sorseggiò la birra.
-Lo sai che non è colpa tua se sei gay. I miei ancora non accettano che sia lesbica e sono passati 5 anni. Sono passati solo 10 mesi Cla, vedrai che capirà.- Sam abbassò lo sguardo sul lago.
-Di solito i gay e le lesbiche non vanno d’accordo. Siamo l’eccezione alla regola?- Claudio cercò di distrarla e le sorrise.
-Noi siamo una fottuta eccezione, in tutto. Lo siamo sempre stati, per questo sei il mio migliore amico.- Sam alzò le sopracciglia e chiuse gli occhi, con fare sapiente.
-Puoi dirlo sorella.- Rise.
Risero.
-Allora brindiamo, alle eccezioni.- Sam alzò la birra con fare teatrale. Claudio fece la medesima cosa e brindarono.
Erano sempre stati così, è vero. Erano i bambini un po’ sfigati a scuola. Quelli che fumavano marijuana fuori dal liceo. Si conoscevano da quando avevano 2 mesi. Migliori amici da allora, mai un momento di esitazione.
Erano entrati nei Prima dell’alba insieme, forse un giorno si sarebbero persi tutti di vista, ma Claudio e Samantha sarebbero ancora insieme, su quella piattaforma.
Finirono la birra in silenzio.
La testa di Sam sulla spalla di Claudio.
Guardavano il lago, così calmo e così nero.
Quel lago che oramai era il loro lago, il lago dei Prima dell’alba.

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Capitolo 3
*** Due. ***


Capitolo 2.

 

Alessandro. 21.11.2013; 03.12 a.m.

 

Si ritrovò li. Seduto davanti alla porzione di mondo che poteva scorgere dal suo balcone. 

Erano tre giorni che passava le sue giornate così. Si sedeva e guardava. 

Ogni tanto si accendeva un sigaretta, qualche sorsata lunga e acre alla tequila. Niente più.

 Guardava i volti della gente che passava e si immaginava la loro vita le loro storie. Il loro grande amore, le scopate, le notti in bianco. Per ogni passante inventava una vita a se: quello era un controllore, quella una segretaria e così via.

Guardava , ma nulla lo soddisfaceva al punto tale da alzarsi.

La confusione nella testa di Alex era un miscuglio di poesie e alcool.
Charl era come un cerbiatto che era scappato via da lui, per paura di essere una preda. Lui quel cerbiatto l’avrebbe solo accarezzato e ,se poi avesse voluto, lo avrebbe lasciato andare.

Da quando lei venne a casa sua passò un paio di giorni in silenzi, come se quel ‘ ti amo ‘ così straziato gli avesse bruciato le corde vocali. Quel pomeriggio lo aveva passato a urlare, lo aveva urlato quel pomeriggio, in tutte le sue lente e umide ore.
Urlò e poi non parlò più.

‘Stai con me’. Era l’unica cosa che pensava.

Cercava Charlotte nel volto dei passanti, senza risultati.

Aveva piovuto e la rivedeva nei marciapiedi bagnati. 

Nei fiori sui terrazzi, rinsaniti dalla pioggia.

La vedeva.

La immaginava.

La desiderava.

Si alzò e tornò in casa.

La sua mente cavalcava irrefrenabile nei ricordi.

Dalla sua stanza guardava fuori e vedeva le gocce di pioggia che si aggrappavano tenaci ai vetri, come quella volta che fecero l’amore, la prima.

Lei era bellissima , una sottile linea di eyeliner le solcava le palpebre, i suoi capelli ricadevano dolci sulla sua schiena dipinta di lentiggini e nei, come costellazioni.

Le mani di lei gli esploravano timide il collo e la nuca mentre quelle di Alessandro le solcavano la schiena.

Lei gli stava in braccio mentre lui le dava un lenta scia di baci sul collo.

Orami in quella stanza sul pavimento si era creato un letto di vestiti.

Erano una cosa sola, le loro anime in quel momento erano legate, strette. 

Si allontanavano , di poco, ma tornavano sempre vicini. Ora più velocemente, ora più lentamente, rivoltandosi nel letto.
Non si capiva più chi era Alessandro e chi era Charlotte.

Le loro labbra si cercarono e dopo un breve bacio, fronte contro fronte, si sorrisero.
Alessandro ha sempre pensato che quel sorriso valeva più dei mille ti amo che avrebbero potuto dirsi, ma che non si sono mai detti.

Dopo quel sorriso tornarono ad allontanarsi e a riprendersi, mentre la pioggia cadeva e faceva da colonna sonora a quel momento che sarebbe diventato eterno.

Si addormentarono abbracciati, stretti l’uno all’altra.

Quella notte stava passando attraverso la pelle candida di Alessandro come un soffio gelido.  

Non c’era nessuno da poter osservare la notte.

 

Samantha ;21.11.13; 09.23 p.m.

 

Lo sguardo di Sam puntava ai tetti delle case che poteva scorgere da casa sua. Sembravano tetti buttati li a caso. 

Non avevano una loro logica o un loro perché, erano li a occupare qualche metro quadrato di quel piccolo mondo.

Una volta Elsa le aveva detto che dal suo terrazzo poteva capire come stava il mondo quel giorno, perché poteva vedere tutto. Poteva vedere i cielo e i tetti e capiva come si sentivano le persone.

Elsa era così, una stranezza.

L’aveva amata per questo, per il suo modo di fare.

Ogni tanto pensava ancora a lei ed Elsa insieme. Letizia diceva che erano come estate e l’inverno, entrambe con quel senso di meraviglia che si ha quando comincia uno o l’altro .

L’aveva amata così tanto che il suo amore per lei si era acceso come benzina al fuoco, ma si era bruciato tutto e subito. Ora aveva soltanto il ricordo di quell’amore così infuocato. 

Sam non amava più Elsa, ma non riusciva a guardare nessuno, il suo cuore si era spento come quel fuoco.

La porta che conduceva a casa sua le si aprì alle spalle. Uscì Lucy, la sorella di Samantha. Aveva 13 anni appena.

Insieme guardarono un po’ i tetti, poi finirono per entrare in casa ridendo. 

 

Oggi il mondo era felice ,pensò Sam,  rideva.

 

Claudio 21.11.13; 8.04 p.m.

 

La casa di Claudio puzzava ancora di vomito. Sua madre era in cucina, preparava la cena.

Diede una rapida occhiata in giro,  di suo padre neanche l’ombra, al solito.

Claudio pensava che suo padre prendesse casa sua come un posto dove poter vomitare e dormire, per poi ripartire la mattina.

Raggiunse sua madre in cucina.

-Oh Ma, sono a casa.- Disse Claudio mentre si sedeva in cucina.

-Ciao tesoro, ti vanno le lasagne?- Sua madre si girò per donargli un sorriso stanco e frettoloso.

-Sempre. Papà?- quella parola gli lasciava l’amaro in bocca e gli faceva fare una faccia completamente schifata.

-Lo sai, lui aveva un incontro importante in ufficio e ieri notte non è neppure stato bene, deve essere stato qualcosa che ha mangiato.-

 “Negazione, prima fase del dolore” pensò Claudio.

-O bevuto.- Un aspro sorriso gli increspò le labbra.

Non si parlava mai della situazione, tutti sapevano, nessuno parlava. Così come non si parlava del fatto che lui fosse gay. Tutti sapevano, nessuno parlava. Erano una famiglia che non parlava, non si sosteneva, non si capiva. Un famiglia andata in pezzi che per tenersi insieme non si voleva aggiustare.

Finirono la cena in silenzio.

 

Gabriele 21.11.13; 8.30 p.m.

I treni per a quest’ora sono vuoti.

La notte è già sorta, imponente nel cielo, e stelle la seguono pian piano.

Gabriele ascolta la musica spalmato sui sedili come il burro sul pane.

Sente un imprecazione e si volta incuriosito: a una ragazza si è rovesciata la borsa. In quel vagone ci sono solo loro due, lei si siede nei posti al lato opposto del treno.

Gabriele scende alla fermata successiva, la stazione di Lecco è vuota.

Il pomeriggio gli scivola addosso, ripete sempre le solite azioni : saluta qualcuno che conosce, si fuma una canna, beve una birra, se ne va. Dopo un po’ si stanca e chiama Charlotte.

-Oh sei a casa?- Chiese mettendosi una mano dietro la testa e strizzando gli occhi, in attesa di una risposta positiva.

-Si Gab, vieni a trovarmi?- Disse Charlotte alzandosi dalla poltrona e andando a prendere i vestiti sul pavimento, così da poter gettarli nel cesto dei panni sporchi.

-I tuoi ci sono?- Esordì

-No, no.-Troncò.

-Ah bella allora arrivo.- Si tolse l’espressione d’attesa e con un sorrisetto si incamminò.

Alle 20.45 le stava già facendo squillare il citofono come la sirena di un ambulanza.

-Cristo! Guarda che se pigi una volta ti sento!- Sbottò mentre volava giù per le scale per aprirgli.

-La sicurezza prima di tutto!- Un misto di arroganza e ironia gli solcarono la faccia.

-Se se, dai entra.

Presero una birra e salirono in camera.

-Cazzo, l’ordine in camera tua è sempre il benvenuto.- 

I vestiti stropicciati ricoprivano la sedia da parte al letto di Charlotte, i libri e i fogli inondavano la scrivania e gli spazi intorno alla poltrona, lasciando libero solo il piccolo spazio all’ingresso.

-Siediti e non rompere le palle.

-Uff.

-Come mai questo onore?

-Passavo di qua, oggi non c’è nessuno in giro e so che tu fai l’eremita, quindi ho pensato di dare una svolta alla tua vita e passare a salutarti.

-Stronzate.

-Stronzate?

-Si, stronzate. Sei passato per sapere di lei. So che vi siete incrociati, non dirmi puttanate.

Il silenzio avvolse tutti i mobili della stanza, contornato dallo sguardo di Charl e dalla testa bassa di Gabriele.

-Quindi l’hai sentita.

-Solo quando ti vede-

-Sta..?

-Male? Si.- Disse Charlotte con un alzata eloquente delle sopracciglia, tenendo in grembo la sua birra-

- Nonostante sia passato del tempo lei ci sta ancora sotto. E non è l’unica a quanto vedo, l’unica differenza è che tu l’hai lasciata Gabriele, non ricordo neanche perché. Perché cazzo l’hai mollata se stai così?- chiese con gli occhi ridotti a due fessure.

-Lei era… insomma noi eravamo…innamorati.

-Se è per questo che l’hai lasciata ti consiglio di aprire la finestra e buttarti.

-non scherzare, lo sai com’è

-no ti sbagli, questa perla mi manca.

-oh cristo charlotte andiamo! fai una panoramica della mia vita. dove cazzo sono tutte le persone che mi amavano eh? dove cazzo stanno? stanno giù nei meandri di qualche droga o con qualche malattia, i più fortunati hanno abbandonato la barca prima di perderci la testa.

-Lo sai che tua madre non ti ha lasciato per questo.

-Ti sbagli. Ha lasciato mio padre per questo e ha capito che il gene della distruzione l’ho preso da lui. Sono un Re mida al contrario, tutto quel che tocco lo trasformo in merda.
E’ stato meglio così per lei, le ci vorrà ancora un po’ di tempo, poi andrà avanti e avrà la vita che voleva, quella felice con una famiglia, un uomo che la ami e che la accompagni ovunque vorrà, io questo non glielo potrò mai dare. Mai. E tu lo sai.- Fu come se quelle parole gli girassero dentro la bocca da mesi, perché dopo averle dette si sentì svuotato.

 

-Sai cosa, - disse lei facendo schioccare la lingua- ti manca un dettaglio che ho voluto risparmiarti perché pensavo che avessi ancora qualche neurone e che non te li fossi fumati tutti: tu e la tua teoria assurda sulla tua vita l’avete quasi fatta ammazzare, Gab. Ci è mancato veramente un soffio, i suoi l’hanno trovata in tempo, ma ha rischiato di brutto. Siamo andati per mesi in ospedale, quando aveva iniziato a riprendersi e potevamo farle visita. Adesso va in cura da uno di quei guru strani, che ti fanno fare esercizi sulla respirazione e ti cambiano la vita. Per fortuna lei non ci crede molto, ha capito di aver fatto una stronzata, per fortuna, ma vuole tranquillizzare i suoi.- Finì la frase avendo nel petto la consapevolezza che a questo punto sarebbe potuta succedere qualunque cosa, dal trovarsi la stanza in fiamme, al trovarsi lui in lacrime sul pavimento.

Gabriele aveva i muscoli del corpo tutti tesi, pronti a scattare. La mandibola serrata, le pani a pugno, il respiro corto e svelto.

-Quando?- ringhiò.

-Circa due mesi dopo che l’hai lasciata.

-Perché cazzo non me lo hai detto.- Non aveva nemmeno pensato alle parole, erano uscite così, come se fosse qualcun altro a volerlo sapere.

-Alessandro ha fatto promettere a tutti di non dirtelo sapeva che saresti stato in grado di ammazzarti per i sensi di colpa. Poi appena siamo andati a trovarla è stata lei a farcelo giurare e credimi, se l’avessi vista anche tu avresti giurato senza fiatare.- disse Charlotte con un soffio, i suoi occhi preoccupati erano puntati sui piedi di lui.

I nervi di Gabriele si slegarono tutti d’un colpo facendogli cedere le gambe che lo trascinarono sul pavimento. 

Aveva perso lo sguardo, gli occhi spalancati guardavano il nulla. 

Si inginocchiò per terra e pianse tutte le lacrime arrabbiate che gli risuonavano nel petto. 

Anche Charlotte si mise in ginocchio e lo strinse forte, capendo che forse non era il luogo, il tempo o il momento per ammettere tutto questo.

Passarono così ore o forse minuti, coccolati dalle gocce di pioggia che rimbombavano sul tetto e sulle finestre.

Nel petto di Gabriele si attorcigliava un nodo che ad ogni respiro cresceva, e si modellava togliendogli il fiato e accendendogli la gola di fiamme. 

Il tempo era fermo, scandito solo da qualche bacio affettuoso che Charlotte dave ai capelli di Gabriele e dal loro dondolio perpetuo, che li rassicurava e li cullava.

 

Elsa 21.11.2013; 2.00 am

Elsa riempiva le strade vuote di Lecco quella notte. 

Non so se si fosse calata più droghe o più alcool, barcollava sui suoi tacchi chilometrici cadendo ogni due passi. Stanca , probabilmente, di non riuscire a camminare si sdraiò in riva al lago , guardando le stelle. 

Quella sera era da sola.

Non voleva neanche chiamare i prima dell’alba, un po’ perché non aveva le forze di cercare il telefono, e un po’ perché non voleva farsi rivedere in quelle condizioni da loro.Ultimamente l’avevano tirata fuori da troppe feste.

Alla fine si addormentò, svegliata poi dal rumore dei netturbini che pulivano la strada. 

Sono le sei, cazzo!

Fece una breve panoramic al corpo, giusto per vedere se era ancora tutta intera e se aveva ripreso le capacità motorie. 

Si alzò goffamente e trotterellò verso la stazione, prese il primo treno per andare a casa. 

Il sole stava quasi per spuntare fuori, era ancora tutto buio ma lei percepiva la luce dietro le montagne, così calda, che spingeva come i denti da latte quando lottano per farsi vedere.Tra un oretta sarebbe tornato anche il sole.    

La maggior parte del giorno l’aveva passata con due sue vecchie amiche, al pacchetto della biblioteca, a fumare e a ridere di avventure passate, che adesso sarebbero impossibili da rifare, perché quella spavalderia era piano piano volata via.

Guardò il telefono e vide che l’ultimo accesso di Sam era di questa sera alle 21.20.

Ormai guardare la sua conversazione per sbirciarne gli accessi era come un mantra per lei. 131315

Erano due giorni che non riusciva a dormire, ma quelle tre orette di sonno sul lago l’avevano fatta rinvenire un po’, non vedeva l’ora di farsi una doccia per levarsi gli uomini che aveva avuto in quei giorni di dosso e poi entrare nel suo letto caldo, che era, per disgrazia o per fortuna, vuoto.

 

Charlotte 21.11.2013, 23.04 p.m.

 

Gabriele era andato via mezz’ora fa, ma lei aveva ancora il suono delle suo lacrime che le scivolava dentro ai timpani.

Ormai ho 18 anni, dovrei imparare a collegare le parole al cervello.

Sapeva cosa sarebbe stato giusto fare, ma non ne aveva la minima voglia.

Vederlo non era proprio nella liste delle sue 5 cose da fare assolutamente prima di domani mattina.

Forse si stave preoccupando per niente, magari Gab sta bene. Si starà fumando una canna.

L’immagine della sua faccia le ripassò per la testa.

Cristo, mi tocca davvero chiamarlo.

Prese il telefono e iniziò a comporre il numero.

Fanculo , vado a casa sua .

Prese la giacca, il tabacco, filtri e  cartine.

Indugiò un attimo sulle due birre sulla scrivania e alla fine penso che un po di coraggio liquido non le avrebbe fatto male, così le finì e portò giù le bottiglie vuote.

Le tremavano le gambe, non solo per il freddo gelido di un giorno di pioggia di novembre, ma anche perché sapeva dove e da chi stava andando.

Rimase a guardare il citofono di Alessandro per alcuni minuti, quando sentì il portone aprirsi e una voce metallica dire:” Sali è aperto”.

Ma che cazzo?

Aprì la porta che con un cigolio sonoro e un tonf  si richiuse alle sue spalle.

Fece le scale in un lasso di tempo che le sembrò incredibilmente corto, troppo corto per essere reale.

Vide che la porta era socchiusa e fece un respiro profondo.

L’aria della casa di Alessandro fu come un bagno caldo.

Fece qualche passo incerto verso camera sua e vide che la porta era aperta, ma Alessandro le dava le spalle. Lei si fermò sulla soglia a guardarlo.

Lui si girò e si guardarono.

Entrambi avevano la consapevolezza di avere gli occhi dell’altro puntati addosso come fari.

Alessandro fece un passo. E poi un altro. E un altro ancora, finca non si ritrovarono ad essere talmente vicini da non riuscirsi più a vedere nitidamente.

Charlotte aveva il respiro corto, era passato troppo tempo dall’ultima volta che cera stata così poca distanza fra loro.

Lei aveva sempre sentito un filo con all’estremità un gancio che la legava ad Alex. 

Un filo che partiva dal suo petto e arrivava al suo.

Dopo che si erano lasciati aveva sentito come un pizzicotto nel petto e aveva capito che il filo non c’era più.

Ma ora lo sentiva. Chiaro e nitido che legava le sue costole a quelle di Alex e che si restringeva sempre di più, riducendo le distanze fino a non averne più.

Le loro labbra si incontrarono a metà strada. Morbide, sapevano cosa fare, lo avevano fatto così tante volte. I loro due respiri si fusero, per diventare uno solo.

Charlotte mise le mani nei suoi capelli , come desiderava fare ogni volta che lo vedeva e sentì il peso dolce del corpo di Ale contro il suo.

Alex le prese i fianchi con il cuore che gli arrivava persino nelle orecchie, prese ada armeggiare con i bottoni della camicia di Charl , fino ad arrivare a sentire la sua pelle morbida e calda incresparsi di brividi.

-Fermo.-  Disse lei con il fiatone e mettendo un braccio tra di loro così da poter riuscire a dire quello che pensava.

​-Gabriele- disse un un soffio-io sono qui per Gabriele. Sa di Letizia. Gliel’ho detto io, qualche ora fa.- finì ancora ansimando, come dopo una corsa di due chilometri.

Alex la guardò sconcertato, non sapeva se era riuscito a capire o no quello che lei gli aveva appena detto, il rumore del suo cuore gli disturbava il resto dei suoni. Cercò di concentrarsi e fece un passo indietro, perché sapeva che per poter dire qualcosa gli sarebbe servito, si guardò intorno un po spaesato e poi come se avesse magicamente compreso tutto, disse:

Cristo! Cosa hai fatto tu?- Gli occhi di Alex si erano spalancati e le sopracciglia sembravano due grandi ponti.
-Ehi, calma , okay. Sono stata con lui e giuro che quando è uscito da casa mia stava bene, o almeno, quasi- Disse non credendoci neanche lei.
-Si certo, stava talmente bene che poi sei corsa subito qua, vero?- Sbottò con un  sorriso amaro che gli increspava le labbra. Schioccò la lingua e aggiunse:
​-Rivestiti, andiamo a cercarlo.- Disse scocciato, un po’ per l’enorme idiozia che aveva fatto Charlotte, un po’ perché sperava che lei fosse li per lui e non per un problema di qualcun altro.

 

Uscirono e coprirono le distanze a grandi falcate, tanto che Charl dovette quasi correre per riuscire  tenere il passo.

 la sua camminata pensò Alex. Sempre la stessa da anni.

Sta volta però non trotterellava guardando il cielo, era un misto di paura e determinazione.

Lui sapeva dove andare.
- Ti prego dimmi che non stiamo davvero andando dove penso.- Disse Charl guardando da Ale all’ospedale.

-Lo sai che è l’unico posto dove andrebbe stando così- Alex abbasso gli occhi e tirò su col naso.
-Spero che tu possa sbagliarti- La voce di Charlotte tremava forte
-Lo spero anche io- disse come un sussurro .

Entrarono in quello che una volta doveva essere un ospedale o qualcosa di simile, ma ora , quasi ironicamente, la gente ci andava per trovare da fumare o da pappare, girava di tutto, ma sapevano che Gab era andato li per trovare spade. Le cercava in questi momenti, quando la botta non gli bastava più.
Ormai però era qualche anno che erano riusciti a farlo smettere, a suon di urlate e di reclusioni forzate. Ma forse il motivo reale era stata Letizia.

Fecero un giro e cercarono disperatamente di non concentrarsi più di quel che bastava sulla gente che c’era li intorno, chi si faceva, chi batteva, chi se la copanava con la bava alla bocca.

 Fa he non sia qui, fa che non sia qui, fa che non sia qui. pensarono entrambi percorrendo i corridoi.

Avevano quasi una quantità concreta di speranza, finché non entrarono in una stanzetta con i muri tappezzati di frasi di Bukowski e lo videro li sdraiato, con il laccio ancora legato e gli occhi chiusi.

Charlotte lanciò un urlo.

-Ti prego dimmi che respira-  Disse con le mani che le coprivano gli occhi.

Ale non respirò per due secondi eterni, ma poi rilassò i muscoli del collo e disse:

-Respira, è solo la botta. Lo portiamo a casa e gli diamo una ripulita.

Quella notte la passarono con il respiro sempre a metà, vegliando su Gab, che dormiva dolce e tuto ripulito nel letto di Alessandro.

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