L'Erede di Serpeverde

di Beatrix Bonnie
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


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Capitolo I





Locanda “Al folletto taccagno”,
pressi di Londra.
Anno Domini 980


Il vino speziato aveva un gusto acido, quella sera, ma forse era il suo pessimo umore a condizionare il sapore della bevanda. Aveva di nuovo litigato con Godric. Era un bestione impulsivo, quel mago. Non ci si poteva fare un ragionamento sensato, con calma, una discussione che non culminasse con urla e insulti. A volte pensava che sarebbe stato più semplice far imparare passi di danza a una chimera che non far ragionare quel caprone.
«Posso disturbarla, signore?»
Una voce infantile lo riscosse dai suoi pensieri. Volse il capo e si ritrovò di fronte un marmocchio cencioso, con il volto annerito dal fumo, i capelli incrostati di sporco e una mantellina logora.
«Non ho tempo, ragazzino» lo scacciò con disinteresse.
Il marmocchio non demordette. «Arguisco che vi piacciono i serpenti.» Il suo vocabolario era stranamente ricco per un ragazzino di strada, anche se l'accento aveva un qualcosa di strano.
L'uomo fu costretto a soppesare il suo interlocutore con una seconda occhiata più profonda. Forse non era poi così malaccio: sotto tutto quello stato di sporco, gli occhi scuri erano vispi e brillanti. «Come fai a dirlo?» gli chiese, mascherando il suo interesse.
Il ragazzino sorrise. Gli mancavano un paio di denti nell'arcata superiore e questo difetto rendeva il suo sorriso insieme infantile e stranamente furbo. «La S del vostro medaglione ha la testa di un serpente» spiegò.
L'uomo si prese tra le dita il medaglione e lo osservò, come se lo ammirasse per la prima volta. Conosceva a memoria la sua fattura, ma non si aspettava che qualcuno notasse un dettaglio così minuto come la testa di serpente. «Sei un ragazzino sveglio» commentò con un sorrisetto ammirato.
Quello accettò il complimento con un breve inchino. «Sono un ragazzino sveglio che fiuta gli affari, signore.»
Il sorriso scomparve dal volto del mago, veloce così come era apparso. «Non sono in vena di affari» tagliò corto.
Il ragazzino non demordette. «Ma io ho della merce molto preziosa che scommetto potrebbe interessarvi» sussurrò con sguardo speranzoso. Ma visto che l'altro non sembrava cedere alle moine, cambiò tattica. «Avanti, quest'affare potrebbe portarmi sulla via della grandezza e non voglio credere che voi tarpereste le ali ad un giovanotto ambizioso.»
La ricca scelta del vocabolario risvegliò l'interesse dell'uomo. Squadrò il marmocchio a fondo, come se volesse leggere i più intimi segreti della sua anima; infine domandò: «Quanti anni hai?»
Il bambino si strinse nelle spalle. «Dodici, o forse tredici, chi lo sa... non è che abbia proprio tenuto il conto» rispose tranquillo.
«Sei un mago, vero?» chiese ancora l'uomo, scrutandolo con i suoi penetranti occhi grigi. A quanto pareva, la questione era di vitale importanza.
«Non saprei, signore» rispose sinceramente il ragazzino. Ma, cercando di non farsi sfuggire l'occasione per un buon affare, precisò: «Però una volta ero inseguito da un lupo e mi sono ritrovato all'improvviso al sicuro sulla cima di un salice... – fece una pausa. – Come per magia.»
L'uomo, abbastanza soddisfatto della risposta, annuì. «Dovresti venire alla mia scuola.»
Un secondo sorriso sdentato. «Ci verrò, signore, se voi darete un'occhiata alla mia merce.» Il ragazzino estrasse da sotto la mantella lercia uno scrigno di legno che era troppo raffinato per appartenere a quel ladruncolo. Controllando con lo sguardo che nessuno li stesse osservando, aprì delicatamente il coperchio e mostrò il suo contenuto all'uomo: sul fondo di legno stava acciambellato un serpente lungo meno di una spanna, di un verde brillante e con una piuma scarlatta sulla testa.
Il mago sgranò gli occhi, allarmato. «Sei matto, ragazzino? Dove l'hai preso?»
«Se state insinuando che l'abbia rubato...» cominciò a dire quello, ma fu costretto ad interrompersi perché l'uomo si alzò in fretta dal tavolo, richiuse lo scrigno con un colpo secco e se lo mise sottobraccio, poi afferrò il ragazzino per la spalla e lo condusse fuori dalla locanda.
Solo quando furono sufficientemente lontani da qualsiasi orecchio indiscreto, l'uomo decise di fermarsi. Indurì la mascella e squadrò il ladruncolo con tutta la durezza di cui era capace. «Tu sai che bestia è quella?» gli domandò.
Il ragazzino sembrava più scocciato che impaurito. «Certo che lo so, signore» rispose con sfacciataggine. «Io tratto solo con merce pregiata.»
L'uomo si trattenne dal tirargli uno schiaffo. «Il Basilisco è un animale pericoloso, molto pericoloso.» Teneva ancora lo scrigno sottobraccio, deciso a non lasciare che il ladruncolo si riappropriasse del suo contenuto, magari per venderlo ad un altro mago che non avrebbe saputo come trattarlo. «Dobbiamo portarlo in un luogo sicuro, perché potrebbe uccidere qualcuno» mormorò, più che altro a se stesso. «O peggio... qualcuno potrebbe uccidere lui.»
«Dove vuole portarlo, signore?» indagò il ragazzino, titubante.
Il mago abbassò lo sguardo su di lui. «Non c'è luogo più sicuro di Hogwarts.» E con quelle parole lo afferrò per un braccio, lo strattonò a sé e, roteando su se stesso, si Smaterializzò.

Il ragazzino, quella sera, si era spinto fino alla locanda “Al folletto taccagno” convinto che avrebbe fatto un buon affare con il suo Basilisco appena nato. L'aveva fregato ad un mago che abitava nella brughiera, un tizio stano che faceva esperimenti con gli animali. Sperava di concludere qualcosa di buono. Certo non si immaginava che lo stregone con la barba lunga l'avrebbe trascinato con sé in una Materializzazione.
Il ragazzino era abbastanza certo di chiamarsi Ludovico, o almeno così lo chiamava la donna che aveva detto di essere sua madre. Era morta anni fa e lui non si ricordava nemmeno più che volto avesse. Da allora aveva assunto il nomignolo di Lupus e aveva preso a girovagare per tutta l'Inghilterra. Non che con sua madre avesse avuto una vita stanziale, anzi. Avevano viaggiato per tutta l'Europa, ma lui non si ricordava un gran che. I boschi sono uguali dappertutto. Le coste nebbiose dell'Inghilterra era l'ultimo posto dove era approdato insieme alla madre, prima che lei morisse e lui fosse costretto a cavarsela da solo. Era sopravvissuto per qualche anno grazie alla sua nobile professione di ladruncolo, poi aveva avuto una botta di culo: un falegname di Londra aveva avuto pietà di lui e l'aveva preso con sé come apprendista. In quell'ultimo anno aveva imparato a lavorare con il legno, aveva mangiato un pasto caldo tutte le sere e aveva avuto un posto sicuro dove dormire.
Ma non era il suo mondo. Se la svignava ogni volta che gli si presentava un'occasione e andava alla ricerca di locande frequentate da maghi, dove poter vendere la merce che rubava.
Non sapeva dire se sua madre fosse stata una strega. Non se lo ricordava. Sapeva solo che quell'esistenza da girovaga non era stata la sua vita ed era morta a poco a poco, consumata. Da sua madre aveva imparato solo due cose e nessuna delle due aveva a che fare con la magia: aveva imparato a leggere e a scrivere e a parlare la sua lingua madre.
Però Lupus era certo che la sua vita avesse a che fare con la magia. Gliel'aveva detto anche quella vecchia strega che viveva nella capanna in mezzo al bosco. Lui doveva essere un mago. Ma senza nessuno che gli insegnasse a far magie, non sapeva che farsene di quell'informazione.
Non poteva certo immaginare di aver appena tentato di vendere un Basilisco niente po' po' di meno che a Salazar Serpeverde, uno dei fondatori della scuola di magia più prestigiosa del mondo.

La Materializzazione fu l'esperienza più terribile che il giovane Lupus avesse mai provato. Si sentì comprimere ogni parte del corpo, inclusi gli organi interni, tanto che fu certo che gli occhi gli sarebbero schizzati fuori dalle orbite. Quando sentì sotto i suoi piedi della terra solida, lasciò che le sue ginocchia cedessero e si ritrovò a vomitare quel poco di minestra con cui aveva cenato.
«La Materializzazione fa quest'effetto a molti» commentò Salazar, sbrigativo. «Forza, in piedi.» Lo afferrò per il cappuccio della mantellina e lo fece alzare. «Muoviamoci.»
Lupus, ancora intontito per la Materializzazione, si lasciò trascinare dal mago verso una carrozza senza cavallo, che li attendeva al di là di un cancello. L'uomo fece un rapido gesto con la sua bacchetta e il cancello si aprì. «Non andremo molto lontani, con quella» si sentì in dovere di ironizzare Lupus, nonostante fosse ancora scosso.
Salazar gli lanciò un'occhiataccia, ma non disse nulla. Semplicemente, lanciò una specie di richiamo con un fischio e subito arrivò al trotto una bestia orribile. Pareva un cavallo, ma aveva qualcosa del rettile, nel suo essere scheletrico, con una testa mostruosa e occhi bianchi come quelli di un cadavere.
«Cosa diavolo è?» domandò Lupus, improvvisamente vigile.
Salazar si voltò verso di lui, sorpreso. «Chi hai visto morire?» Lupus si strinse nelle spalle. «Un sacco di gente. Mia madre, poi quel vecchio giù al mulino, i due cacciatori sbranati dai lupi...»
«Va bene, non importa» lo interruppe il mago, prima che snocciolasse tutto l'elenco. «Questo è un Thestral. Una bestia molto intelligente e molto difficile da addomesticare. Sono riuscito a creare un piccolo branco, qui nella foresta di Hogwarts» spiegò salendo sulla carrozza.
«Dovete aver proprio la passione per le bestie demoniache, signore» commentò Lupus, sfoderando un sorrisetto furbo.
Salazar lo afferrò per un braccio e lo tirò sulla carrozza, facendolo sedere di fronte a lui. «Ora, zitto.»
E Lupus non se la sentì di disobbedire.
Il viaggio, per fortuna, non fu tanto lungo. Lupus si guardava in giro alla ricerca di qualche indizio che potesse tornargli utile, ma il buio della sera avvolgeva la foresta completamente. L'unica cosa che poteva cogliere chiuso dentro la carrozza era il fatto che la strada doveva essere in salita. Quando finalmente si fermarono, il mago scese a terra e lo afferrò per il braccio, trascinandolo al suo fianco.
«Voi vivete qui?» Lupus non era un ragazzino che si lasciava stupire facilmente, ma la vista di quel castello appollaiato sulla montagna, scuro contro il cielo e con qualche finestra illuminata, era qualcosa di davvero straordinario.
Salazar sorrise compiaciuto. «Questa è la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.»
«Scuola?» gli fece eco Lupus. «E potrei venirci anche io?» Già si immaginava quante cose avrebbe potuto imparare, quanti libri da leggere (erano secoli che non leggeva più un libro); magari avrebbe ricevuto anche lui una bacchetta con cui fare magie.
Salazar spostò gli occhi sul ragazzino e parve soppesarlo per un po'. «Forse sì» concesse alla fine. «Magari anche nella mia casa.»
Lupus gli rivolse uno dei suoi sorrisetti sdentati da furbacchione. «Grazie della sua magnanimità, signore.»
Salazar stava per rimbeccarlo di tenere a freno la lingua, dal momento che presto sarebbe diventato il suo insegnante, quando il Basilisco nella scatola si agitò, riportando la sua attenzione al problema principale. «Ora occupiamoci di questo.»
Il mago condusse Lupus attraverso un ampio ingresso, poi lungo un dedalo infinito di corridoi, scalinate e scale a chiocciola. Il ragazzino si guardava in giro silenzioso, immagazzinando nella memoria ogni singolo particolare. Dopo l'ennesima svolta, si fermarono di fronte ad una porta dall'aria anonima, che si trovava in un corridoio deserto al terzo piano.
«Cosa c'è qui?» si azzardò a sussurrare Lupus, eccitato dall'idea di scoprire qualcosa di straordinario e magico. Ma rimase molto deluso quando si ritrovarono in una banalissima stanzetta rettangolare in cui erano stipate varie cianfrusaglie, da vecchie cassapanche ad una gabbia per animali dall'aria malconcia. «Volete nascondere il Basilisco qui, signore?» domandò perplesso il ragazzino.
Salazar gli riservò uno sguardo carico di pietà. Dopodiché agitò la sua bacchetta in aria, per far spostare una grossa cassa di legno.
Lupus non sapeva bene a cosa fosse servita quell'operazione, finché i suoi occhi acuti non individuarono un indizio. «Lì, signore!» esclamò eccitato, indicando un piccolo serpente inciso su una delle assi che prima si trovava sotto la cassa. «Il serpente è il vostro simbolo!»
«Molto bene, ragazzino» si complimentò il mago. Dopodiché pronunciò uno strano sibilo: a quel suono si delineò sul pavimento una botola sufficientemente grossa da potervisi calare dentro.
«Avete parlato in un'altra lingua, signore!» trillò il ragazzino estasiato dalla magia e con gli occhi che brillavano per l'eccitazione.
«Era Serpentese.» Salazar ebbe come l'impressione che prendersi dietro il marmocchio fosse stato uno sbaglio, ma ormai era tardi. In fin dei conti, lui aveva sempre apprezzato la sete di conoscenza dei suoi studenti, per quanto in quel particolare frangente risultasse un po' scocciante. «Forza, ora calati dentro.»
Lupus aprì la botola per ispezionare quanto fosse profonda e non appena notò il buio tunnel di cui non si intravedeva nemmeno il fondo, scoccò al mago un'occhiata di sbieco. «Non è pericoloso, vero?» indagò guardingo. Se l'era sempre cavata anche da solo, fino a quel momento, perché aveva imparato che la prudenza paga più del cieco coraggio.
Salazar sospirò. Sì, quel ragazzino sarebbe stato benissimo tra i suoi studenti. Poi, senza troppi complimenti, gli diede uno spintone e lo buttò giù nel tubo. Il suo grido si perse nell'eco del tunnel.
Lupus cacciò un urlo con i fiocchi quando si ritrovò a scivolare lungo quella pista viscida e senza fondo. Aveva visto di tutto nella sua giovane vita, ma vedere le cose era ben diverso dallo sperimentarle. E quel tubo buio era una delle pazzie più spaventose che avesse mai fatto. Sprofondò e sprofondò, tra curve e giravolte che gli fecero venire il voltastomaco, finché il tunnel tornò in piano, permettendogli di rallentare la corsa. Rotolò in terra malamente, su un pavimento freddo e umido.
Salazar lo raggiunse poco dopo, atterrando con la grazia di chi ha già sperimentato quella discesa più di una volta.
«Potevate ammazzarmi» si lagnò Lupus, alzandosi da terra con il broncio.
«Suvvia, non è mai morto nessuno» rispose Salazar, rivolgendogli un sorriso.
Lupus gli piantò gli occhi addosso. «Quanta gente c'è venuta?»
Il mago rispose con un'alzata di spalle piuttosto ilare. «Solo io, in effetti.»
Lupus borbottò per un bel pezzo, mentre seguiva l'uomo lungo un tunnel illuminato solo dalla luce che era apparsa sulla cima della sua bacchetta. «Si può sapere dove stiamo andando?» domandò alla fine.
Salazar sospirò. «Nella mia Camera dei Segreti.»
«Che cos'è una Camera dei Segreti?» indagò Lupus, a metà tra il sospettoso e l'interessato. Dopo aver superato lo spavento della discesa, la sua naturale curiosità ricominciava a far capolino.
«È un luogo segreto dove posso entrare solo io» rispose Salazar. Non sapeva dire se preferiva che il ragazzino se ne stesse imbronciato a brontolare oppure che lo tartassasse con le sue domande petulanti. «Anche Tosca ne ha costruita una all'interno del castello» aggiunse poi, sovrappensiero. «Ma lei è talmente buona che ha fatto sì che possa entrarvi chiunque ne abbia necessità. E la stanza, sai, cambia in base a quel che ti serve.»
Lupus sfoderò di nuovo il suo sorrisetto furbo. «Se io avessi una Camera dei Segreti, farei in modo di poterci entrare solo io.»
Salazar annuì soddisfatto. «Vedo che siamo d'accordo.»
Lupus si picchiò un dito sulla tempia. «Le menti geniali vanno sempre d'accordo» rispose con una bella dose di sfacciataggine.
Salazar stava per tirargli un sonoro scappellotto sulla nuca, quando qualcosa lo trattenne. «Hai un vocabolario molto ricco, per essere un ragazzino di strada» commentò, chiedendosi quali qualità nascondesse quel marmocchio.
Lupus parve sinceramente orgoglioso per quella considerazione. «Io ascolto sempre tutto, signore. Mi guardo in giro e imparo» spiegò soddisfatto.
Salazar annuì. Tuttavia, oltre alla naturale predisposizione ad apprendere, che poteva essere una dote innata, quel ragazzino doveva aver ricevuto una qualche istruzione. «Sai leggere?»
«E anche scrivere» confermò Lupus, gonfiando il petto. «E anche io parlo un'altra lingua.»
«Ah sì? E quale?» indagò Salazar, sorpreso.
Lupus assunse un'espressione seria. «Quella di mia madre.»
Il mago gli scoccò un'occhiata di sufficienza. «E come si chiama la lingua di tua madre?»
Lupus alzò lo sguardo su di lui e lo fissò pensieroso. Non ne aveva la più pallida idea. Però era certo che in nessun altro posto dell'Europa dove era stato con sua madre si parlasse quella stessa lingua.
Nel frattempo, erano giunti alla fine del tunnel e si ritrovarono davanti ad una parete su cui erano scolpiti due serpenti attorcigliati che avevano due smeraldi al posto degli occhi. Salazar ripeté lo stesso sibilo con cui aveva fatto girare il rubinetto e i due serpenti si sciolsero da loro groviglio, permettendo alla parete di aprirsi su un ampio salone. Lupus sgusciò dentro, estasiato. Le due file di enormi colonne che si innalzavano verso il soffitto buio la facevano assomigliare ad una sinistra cattedrale, illuminata debolmente da una strana luce verdastra. In fondo alla sala troneggiava una statua gigantesca che rappresentava il mago dalla barba lunga. Tra i piedi, una scrivania con una sedia, una cassapanca che pareva stracolma di libri e uno scaffale con ogni sorta di vaso e boccetta adagiati sopra. In un angolo, un calderone ribolliva placido sopra un fuoco magico di colore blu. «Romulum cornutum cum omnibus suis bovibus!» si lasciò sfuggire Lupus. «Questa sì che è una Camera dei Segreti!»
«Che cosa hai detto?» Salazar si avvicinò al ragazzino, incredulo.
«Cioè, signore...» balbettò Lupus, rendendosi conto di essere stato un po' indelicato. «È una gran bella Camera dei Segreti, signore.»
«No, no. Cosa hai detto prima di quello?»
Sembrava una cosa di vitale importanza. Lupus si strinse nelle spalle. «È una vecchia imprecazione che usava mia madre» rispose semplicemente, senza capire bene a cosa servisse.
«Ed è nella lingua che parlavi con tua madre?» si informò ancora il mago.
Lupus si limitò ad un cenno d'assenso del capo. Proprio non capiva cosa ci fosse di straordinario nell'imprecazione su Romolo cornuto e le sue vacche.
Salazar sbatté le palpebre un paio di volte, riflettendo velocemente. Era quasi certo che l'élite della società magica dell'Italia centrale avesse mantenuto come lingua viva quella degli Antichi Romani, in segno di distinzione dai Barbari Babbani, ma dubitava fortemente che quel ragazzino cencioso potesse provenire da un'altolocata famiglia italiana. Eppure...
«Come si chiama, signore?» domandò rispettosamente Lupus.
«Cosa?» Salazar fu strappato dalle sue riflessioni.
«La lingua che parlava mia madre. Come si chiama?» Il ragazzino sembrava sinceramente interessato.
Salazar si lasciò sfuggire un sospiro. «È latino, ragazzo. La lingua degli Antichi Romani.»
Lupus non sapeva chi fossero costoro, ma si chiese cosa avessero a che fare con lui e con il suo passato. Lui apparteneva a quel popolo? Era da lì che veniva sua madre? Non l'avrebbe mai saputo, temeva. Inoltre, il mago dalla barba lunga era troppo indaffarato con il Basilisco per prestare attenzione alle sue petulanti domande sulle sue origini. L'uomo infatti aveva creato con la magia una teca per il serpente e ce l'aveva fatto scivolare dentro. Dopodiché aveva cominciato a parlare in quella strana lingua fatta di sibili.
«Il serpente vi capisce, signore?» si informò Lupus, troppo interessato a quella questione per riuscire a trattenere la lingua.
«Certo» rispose Salazar.
«E cosa gli state dicendo?»
Salazar era convinto che un giorno la sua infinita pazienza sarebbe stata premiata. Un giorno. Alzò gli occhi al cielo, ma alla fine rispose: «Gli sto imponendo un sigillo con la magia: d'ora in poi risponderà solo ai miei ordini, o a quelli dei miei eredi.»
«E a cosa servirà?» chiese ancora Lupus, accucciandosi al fianco della teca e sbirciando il Basilisco.
«A tenerlo al sicuro» mormorò il mago.
Lupus meditò che tenere un mostro chiuso in una scuola poteva essere sicuro per il mostro in questione ma non proprio per gli studenti. «Non c'è pericolo che attacchi qualcuno?» si informò. Voleva sapere bene che rischi avrebbe corso, prima di accettare di studiare a Hogwarts.
Salazar sembrava divertito dalla cosa. «Perché dovrebbe? Gli ho intimato di restare qui nascosto, e poi risponde solo ai miei ordini.»
Lupus gli gettò un'occhiata di sottecchi. Un mago che non trovava pericoloso un Basilisco o aveva difficoltà ad individuare le minacce, oppure aveva un senso sadico del divertimento. In entrambi i casi, Lupus non voleva certo beccarsi una punizione dal suddetto mago senza prima essersi assicurato del fatto che non l'avrebbe dato in pasto al demoniaco serpente. «E voi non gli ordinereste mai di attaccare uno studente, giusto?» chiese per precauzione.
Salazar ripensò a quello zoticone di Ethelbert, uno degli studenti Nati Babbani di Godric, alla rozzezza delle sue magie e ai grugniti con cui di media rispondeva alle domande. Non sarebbe stato male potergli scatenare contro un Basilisco. Giusto per misurare quanto l'audacia e il coraggio tanto amati da Godric valessero contro astuzia, nobiltà e intelligenza.
Sospirò. «No, non gli ordinerei mai di attaccare uno studente» rispose infine. «Per quanto qualcuno se lo meriti eccome» si sentì in dovere di precisare, giusto per mettere in chiaro che certi studenti parevano disonorare il nome stesso di mago con la loro ignoranza.
Dopotutto, lui era Salazar Serpeverde e pretendeva sempre il meglio per sé e per la sua casa.










Carissimi,
ecco qui il primo capitolo di una nuova mini-long, che ho scritto per il contest Noi amanti degli O.C. – Lunga vita al Personaggio Originale!, indetto da Emilia zep. Mi sono iscritta perché, tra i pacchetti, ce n'era uno che prevedeva un ragazzino di dodici anni che parla latino... be', insomma, conoscete tutti il mio amore per il latino e non ho potuto resistere!
Quanto al caro Salazar, il mio orgoglio Serpeverde è stato ripetutamente ferito in questo periodo, quindi ho voluto dedicare a lui questa storia, per rivalutarlo un po'. Infatti, nella mia storia, il personaggio di Salazar risulterà meno “malvagio” di quello che appare nei libri della Rowling (che sono scritti in ottica Grifondoro, non dimentichiamolo!). Certamente il suo razzismo verso i Babbani e i figli di Babbani non può essere modificato, ma ho cercato di giustificarlo con l'arretratezza della società del X secolo: la storia è ambientata poco dopo la fondazione di Hogwarts che, a quanto dice il professor Rüf, avviene proprio nel X secolo. Immagino che, in quel periodo, la comunità magica fosse mediamente più colta ed evoluta di quella Babbana. Credo che sia giustificabile che Salazar non voglia come studenti ragazzini di 10-11 anni completamente analfabeti, le cui famiglie Babbane temono la magia. Per questo cerca studenti “di antico lignaggio”, come dice il Cappello Parlante, nel senso di figli di maghi (e dunque istruiti) o almeno figli di nobili Babbani, che hanno ricevuto una alfabetizzazione di base. Diciamo che, nel corso dei secoli, le sue posizioni sono state un po' estremizzate e... ecco, travisate. Ma non credo che Salazar fosse un mago oscuro; insomma, aveva creato una scuola in armonia con gli altri fondatori. Anche se poi sono seguite delle divergenze, non penso che fosse una persona malvagia, o non si sarebbe preoccupato dell'istruzione delle giovani generazioni.
Invece, per quanto riguarda la Camera dei Segreti, ho seguito quanto si trova su Pottermore, dove la Rowling dice che in origine alla Camera si accedeva tramite una botola, mentre solo dal XVIII secolo l'ingresso viene spostato sotto il lavandino del bagno di Mirtilla; in effetti, mi chiedevo come potessero avere i bagni nel X secolo. ;)

Va be', dopo queste lunghissime note di spiegazione, passiamo a qualcosa di divertente:
QUI l'immagine del capitolo, ovvero quell'adorabile mascalzone di Lupus e il grande Salazar!

Ci vedremo tra circa una settimana con il prossimo capitolo!
A presto,
Beatrix B.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***



Capitolo II





Scuola di magia e stregoneria di Hogwarts,
da qualche parte in Scozia.
Anno Domini 980


La ragazzina entrò nella stanza come un tornado. «Madre!» chiamò, la voce rotta dall'ansia. «Madre, avete visto Merlino?»
La strega, che stava insegnando al telaio ad armarsi da solo, si voltò tranquilla verso la figlia. «Non lo vedo da stamattina.»
La ragazzina cominciò a frugare in ogni angolo della stanza, in modo sempre più frenetico. «Se quell'idiota di Percevall ha davvero fatto qualcosa al mio Merlino...» La minaccia rimase sospesa nell'aria.
«Eccolo!» gridò, tirando un sospiro di sollievo. La bestiola se ne stava pigramente acciambellata sotto la cassapanca dei vestiti. «Vieni fuori» lo incitò la ragazzina, allungando il braccio perché il serpente potesse attorcigliarsi attorno.
Adelayde Serpeverde aveva ereditato dal padre la capacità di parlare il Serpentese. Gli altri allievi di Hogwarts temevano quella sua capacità, convinti che avesse a che fare con la Magia Oscura; a meno che non fossero stati scelti per entrare nella casa di suo padre, ovviamente. In quel caso la ammiravano e invidiavano insieme. Ad Adelayde non dispiaceva tutta quella popolarità, anche se non era certo la più invidiata tra i figli dei fondatori: Helena Corvonero era più grande di lei, più bella e più intelligente, la piccola Rosemary Tassorosso era paffuta e amata da tutti, mentre i tre figli di Godric avevano un'energia travolgente e un'aurea carismatica che certamente a lei mancavano. Lei era smilza, pallida e con il viso spigoloso come quello di suo padre. E aveva un serpente di nome Merlino come animale da compagnia.
«Quell'idiota di Percevall ha detto che aveva sperimentato la sua pozione restringente su Merlino» si lagnò Adelayde. Adorava mettere il broncio, perché così la gente la lasciava in pace.
Sua madre le diede un buffetto. «Percevall è un burlone, lo sai.»
«Percevall è un idiota!» replicò Adelayde. Sua madre era sempre così tranquilla e buona con tutti; a volte pensava che, se avesse avuto l'età per frequentare Hogwarts, sarebbe stata scelta da Tosca Tassorosso.
Adelayde sospirò. «Devo andare a parlare con mio padre.» Lasciò le sue stanze con l'aria sconsolata, dirigendosi verso lo studio di suo padre. Tutto ciò che riguardava i Serpeverde aveva a che fare con i sotterranei: Adelayde adorava percorrere quel dedalo di corridoi bui e silenziosi, il cui unico rumore era dato dai cupi suoni provenienti dal fondale del lago. Delle volte si perdeva per ore a guardare le sue acque verdastre e le creature che lo abitavano. Inoltre, c'era il considerevole vantaggio che gli altri studenti, in particolare quelli di Godric, raramente si avventuravano nei sotterranei.
Arrivata allo studio del padre, bussò prima di entrare, ma a rispondergli fu la voce di un ragazzo. Aprì la porta con aria perplessa, per ritrovarsi davanti un marmocchio cencioso, con la faccia sporca e un buco tra i denti. «E tu chi diavolo sei?» gli sputò addosso.
Quello non si fece intimidire dalla sua scortesia. «Mi faccio chiamare Lupus» rispose, fingendo di darsi un'aria importante.
Adelayde lo ignorò. «Dov'è mio padre?» chiese, guardandosi attorno, come se si aspettasse di vederlo sbucare da dietro uno scaffale.
«Oh, il mago con la barba lunga è tuo padre?» si informò Lupus, allegro.
«Sì.» Il tono era glaciale e sembrava sfidarlo a dire qualcosa di scortese nei loro confronti.
«Be', è andato a parlare con gli altri, sai» rispose Lupus con tono risaputo. Anche se lui non aveva la più pallida idea di chi fossero “gli altri”. «Mi ha detto di aspettarlo qui.» Ma dopo quella precisazione, gli venne in mente un'altra cosa. «Ma quindi anche tu parli la lingua dei serpenti?» domandò, soddisfatto della sua sagacia.
«Sì.» Un altro monosillabo.
Lupus non si curò della sua freddezza. «Anche io, sai, parlo una seconda lingua» rivelò, come se la cosa potesse dargli chissà quale importanza. «Parlo latino. È la lingua degli Antichi Romani.»
«So cos'è il latino» sbottò Adelayde. Chi si credeva di essere quel marmocchio, per darle lezioni di storia? Lei era una che aveva studiato, certe cose le sapeva. Mentre lui puzzava peggio di un caprone: magari era uno dei Nati Babbani tanto cari a Godric. Forse suo padre era andato a parlare con gli altri per farlo buttare fuori da scuola. «Com'è che uno straccione come te sa parlare latino?» gli domandò con un leggero tono di scherno; tanto lui poteva essere così ignorante da non accorgersi nemmeno che lo stava prendendo in giro.
Lupus fece balenare un sorrisetto furbo. «Ho un sacco di virtù nascoste.»
Adelayde gli piantò addosso i suoi glaciali occhi grigi. «Dimostramelo.»
Lupus scavalcò agilmente la sedia della scrivania, per avvicinarsi alla ragazzina. «Si vis audire me qui latinam linguam loquor, osculum volo.»
Adelayde aggrottò le sopracciglia. «Cos'hai detto?» indagò sospettosa.
Lupus sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi. «Se vuoi sentirmi parlare latino, devi darmi un bacio.»
«Non ci penso nemmeno!» esclamò schifata Adelayde, indietreggiando di un passo. «Sei lurido e puzzi.»
Lupus ficcò il naso dentro la tunica e annusò. «Un po' hai ragione» fu costretto ad ammettere.
Adelayde gli riservò una smorfia, poi fece per andarsene.
«E adesso dove vai?» la fermò Lupus.
«A cercare mio padre.»
Lupus si affrettò a seguirla. «Vengo anche io!»
Adelayde si fermò in mezzo al corridoio per lanciargli un'occhiataccia. «Ma non ti aveva detto di aspettarlo in studio?»
Il ragazzino sfoderò di nuovo il suo sorriso sdentato. «Ehi, io sono Lupus. Non faccio mai quello che mi viene detto.»
Adelayde alzò gli occhi al soffitto, ma fu costretta ad accettare che il tizio cencioso la seguisse. Insieme si incamminarono verso i piani superiori, in direzione della stanza circolare che usavano sempre come una sorta di sala delle discussioni, dove prendevano le decisioni importanti riguardo alla scuola. Lupus la tempestò di domande a proposito del castello, della magia e di tutto quello che gli passava per la testa. Adelayde rispondeva usando il minor numero di parole possibili. Fu costretta ad ammettere con se stessa che il ragazzo era sveglio, vispo e con un intelletto vivace. Ma non l'avrebbe mai detto ad alta voce.
«Questa scala sale da sola, come per magia!» commentò estasiato Lupus, quando Adelayde pronunciò la parola d'ordine – che conosceva perché gliela aveva rivelata il padre – per accedere alla Sala Circolare.
«Muoviti.» La ragazzina gli diede uno spintone per farlo salire sulla scala di pietra. Girarono e girarono, finché non arrivarono ad un pianerottolo dove si trovava un grosso portone di legno pregiato, che era stato lasciato socchiuso. Dall'interno, si sentivano distintamente le voci di due adulti che parevano litigare.
«Hai intenzione di stare qui ad origliare?» sussurrò Lupus, sgranando gli occhi.
«Sssh!» gli fece segno Adelayde, premendo l'indice sulla bocca.
«Oh, be'» commentò Lupus, stringendosi nelle spalle. Così i due ragazzini si acquattarono a terra e presero ad ascoltare.
«Sei assolutamente incoerente!» stava dicendo una voce squillante, con un tono piuttosto alterato.
«Non sappiamo nulla sulle origini del ragazzino» replicò un'altra voce più pacata. Sembrava proprio quella del padre di Adelayde.
Lupus ebbe la spiacevole sensazione che stessero parlando di lui.
Il primo interlocutore scoppiò in una risata forzata. «Appunto, potrebbe essere uno dei tanto odiati figli di Babbani.»
Adelayde sibilò proprio come un serpente. «Quell'idiota di un Godric!»
L'insulto soffocato non sfuggì alle orecchie attente di Lupus. Quel tizio doveva proprio stargli simpatico!
«Io non odio i figli di Babbani» replicò Salazar, la cui pacatezza sembrava sul punto di incrinarsi. «Dico solo che dovremmo essere più selettivi nel decidere chi istruire.»
«E scegliere solo quelli di nobile stirpe?» La provocazione era partita dal tizio con la voce squillante di nome Godric. Lupus pensò che doveva essere un mago molto coraggioso o molto stupido per divertirsi a stuzzicare qualcuno che teneva come animale da compagnia un Basilisco.
Salazar sbuffò. «E scegliere solo quelli istruiti, colti e con spiccate doti magiche.»
«Quindi nobili» provocò ancora una volta il mago coraggioso. O stupido.
«Godric, per favore.» Ad intervenire era stata una donna, dalla voce calda e accogliente. Sembrava trepidante di preoccupazione.
«Grazie, Tosca.» Salazar era ritornato calmo e ragionevole. «Vi ho già spiegato mille volte come la penso al riguardo» disse ai suoi ascoltatori. «Quasi tutti i figli di Babbani sono analfabeti. Godric, quel tuo Ethelbert, per esempio: come faccio ad insegnargli a distillare pozioni, quando non sa contare più in là di dieci perché non ha abbastanza dita?»
Probabilmente Godric fece per dire qualcosa, ma Salazar non glielo permise. «Per non parlare delle loro famiglie» continuò. «O devo ricordarvi il motivo per cui abbiamo applicato degli Incantesimi Repelli Babbani al castello?»
Adelayde rabbrividì: era solo una bambina quando era successo, ma se lo ricordava come se fosse stato ieri. Il padre di uno degli studenti si era rifiutato che il figlio gli venisse portato via per essere istruito come stregone, per cui aveva chiamato a raccolta tutti gli uomini del suo villaggio e insieme avevano assaltato il castello con pietre e fiaccole, gridando che erano dei mostri, dei figli di Satana e che dovevano morire tra le fiamme. Era stata una notte terribile e per anni Adelayde non era più riuscita ad addormentarsi senza incubi.
«Le tue sono solo scuse per scacciare dal castello tutti coloro che tu non ritieni degni di studiare qui!» tuonò Godric, facendo trasalire i due ragazzini nascosti dietro la porta. «Che fine ha fatto il mago appassionato che voleva creare una scuola dove istruire tutti i giovani maghi dell'Inghilterra?»
«Sono ancora qui.» Il tono di Salazar era tagliente come una lama affilata dai folletti.
«No, tu sei solo un vecchio brontolone che si mette in testa assurde idee sul sangue puro» rispose Godric, duro e spietato. «Salvo poi contraddirti da solo per un ragazzino di cui non sai nemmeno il nome... e questo solo perché tu usi la scusa del sangue puro per ammettere solo gli studenti che vanno bene a te!»
«Non è vero!»
Lupus si rese immediatamente conto che la discussione stava degenerando. E, per quanto fosse curioso di sapere cosa stesse succedendo, desiderò immensamente essere da tutt'altra parte che non nascosto dietro la porta di una stanza in cui due maghi pericolosi stavano litigando.
«Ah no? Secondo te dovremmo ammettere solo studenti colti, intelligenti, ben dotati, ambiziosi... quelli sono i TUOI studenti, Salazar! Perché non puoi accettare che io possa valutare anche altre qualità oltre al fatto di saper leggere il latino?» gridò il mago dalla voce squillante.
«Perché una scuola dovrebbe essere fatta per istruire, Godric! Che cosa posso insegnare ad uno che non sa nemmeno scrivere il suo nome?» replicò Salazar, ormai perso ogni segno di pacatezza.
«Il coraggio, la lealtà, gli incantesimi di difesa!» Il tono di Godric lo faceva somigliare terribilmente ad un qualche dio del tuono e del fulmine. «Non tutto passa per i tuoi amati libri, Salazar!»
«Una scuola che insegna gli incantesimi a persone che non saprebbero nemmeno riconoscerli se li vedessero scritti in un libro non credo che sia quella dove vorrei insegnare.»
Il gelo calò nella stanza. Perfino Lupus rabbrividì.
«Oh, Salazar....» mormorò sconsolata la donna che era intervenuta prima.
Per un po' l'uomo non le rispose. «Non so come proprio tu possa accettare questo, Priscilla» commentò alla fine.
«Ci sono altre forme di intelletto che vanno al di là del saper leggere o scrivere, Salazar» rispose un'altra voce femminile, più fredda e distaccata. «Non dovremmo escludere a priori una tipologia di studenti. Ci sono tante cose che potremmo insegnare anche ai figli di Babbani.»
«Bene. Se la pensate tutti così, forse non sono più il benvenuto tra voi.» Il tono del mago era mortalmente serio.
«Salazar, non dire queste sciocchezze!» proruppe accorata la strega dalla voce calda.
Salazar, ancora una volta, la ignorò. «Vi chiedo solo di permettere al giovane Lupus di studiare qui» continuò. «Tra i miei studenti, ovviamente.»
Adelayde lanciò a Lupus uno sguardo sorpreso. Il ragazzino, sentendosi chiamato in causa, ritirò la testa tra le spalle, come se temesse di essere accusato di qualcosa.
«E tu cosa farai?» gli chiese la strega preoccupata.
«Io? Andrò a cercare delle prove per dimostrarvi che ho ragione.»
«Ragione su cosa?» indagò quella di nome Priscilla, sospettosa.
I due ragazzini sentirono dei passi avvicinarsi a loro. «Sul fatto che gli studenti migliori sono quelli di nobili origini» rispose Salazar, la voce talmente vicina che doveva essere dall'altra parte della porta.
«Sta per uscire!» sibilò Adelayde e, veloce come un rettile, afferrò la manica di Lupus e se lo trascinò dietro in una rocambolesca fuga giù dalle scale di pietra. Ritornarono in corridoio appena in tempo: riuscirono a mescolarsi al gruppo di studenti che si era radunato fuori dalla Sala Circolare, probabilmente attirato dalle grida, cosicché nessuno avrebbe potuto accusarli di aver origliato.
Salazar scese le scale inseguito dagli altri maghi, finché tutti e quattro non si trovarono di fronte gli occhi curiosi dei loro studenti.
«Salazar, ti prego di ripensarci.» La voce calda apparteneva ad una strega con il viso paffuto e benevolo e grandi occhi gentili.
«Signore, cosa succede?» intervenne un giovanotto allampanato, con le guance incavate e le palpebre pesanti.
«Cygnus.» Salazar si voltò verso il suo giovane assistente, uno dei primissimi studenti che aveva preso sotto la sua ala protettiva ad Hogwarts. «Affido a te la direzione dei miei allievi.»
Il giovanotto lo scrutò con aria perplessa. «Per quale motivo, signore?»
Salazar fece guizzare i suoi occhi grigi attraverso i corridoi, dalle faccette ansiose degli studenti, a quella accorata della strega paffuta e a quella astiosa del grosso mago barbuto con la casacca rossa con ricamato un grifone. «Perché io devo lasciare Hogwarts» annunciò infine, prima di allontanarsi a grandi passi, in un turbinio di mantello grigio.
Scoppiò il caos. Gli studenti presero a vociferare, la notizia si sparse veloce come un soffio di vento, mentre tutti si chiedevano cosa fosse accaduto per indurre il mago a quella decisione.
Lupus approfittò del pandemonio che si era venuto a creare per inseguire Salazar senza essere visto. Sgattaiolò alle sue spalle silenzioso come un serpente, pedinandolo fino al suo studio, dove l'uomo cominciò a radunare alcune delle sue cose sulla scrivania. Solo quando fu sicuro che nessuno li aveva seguiti, pensò di rivelarsi, ma il mago lo precedette.
«So che sei lì, Lupus» gli disse, senza nemmeno voltarsi.
«Vi ho seguito, signore» rispose Lupus, sperando di non essere troppo impertinente. «Non volevo dirlo davanti a tutti gli altri.»
«Dirmi cosa?» Finalmente Salazar smise di trafficare con i libri per voltarsi verso di lui.
Lupus fece un passo avanti. «Che non dovete andarvene per colpa mia. Me la sono cavata da solo fino ad adesso, riuscirò a cavarmela ancora.» Non gli sembrava giusto che il mago dovesse lasciare la sua scuola perché aveva litigato con gli altri sul fatto di ammetterlo o meno. Gli sarebbe piaciuto poter studiare magia in quel castello così accogliente, ma poteva benissimo tirare avanti come aveva sempre fatto. Forse non sarebbe tornato dal vecchio falegname, ecco, quello no. Però poteva andare alla ricerca degli Antichi Romani e magari scoprire qualcosa sulla sua famiglia.
Salazar si chinò su di lui e gli mise le mani sulle spalle. «Lupus, hai tutte le caratteristiche che cerco in uno studente: intelligenza, scaltrezza, cultura, ambizione, un po' di codardia e soprattutto tacito eroismo. Te ne mana solo una e io dimostrerò di aver ragione.»
Lupus non ebbe il coraggio di chiedere quale fosse la caratteristica che gli mancava.
«Apprezzo molto chi sceglie di essere eroico senza sbandierarlo davanti agli altri, ma questa volta non ci sarà bisogno del tuo sacrificio silenzioso.»
Salazar lo guardò con intensità. «Ho un compito da svolgere. Così potrò sbattere in faccia a Godric il fatto che avevo ragione.»
«Che gli studenti migliori sono quelli di nobili origini?» si azzardò Lupus, ricordando come si era conclusa la conversazione di prima.
Salazar si raddrizzò e gli rivolse un sorriso pieno di orgoglio. «Che gli studenti migliori sono quelli come te.»










Carissimi,
ecco qui il secondo capitolo della mini-long che ho scritto per il contest Noi amanti degli O.C. – Lunga vita al Personaggio Originale!, indetto da Emilia zep.

Ecco, avete visto entrare in scena in questo capitolo un sacco di gente nuova: il mio OC Adelayde e nientepopodimeno che i fondatori! Su i figli dei fondatori ho da fare una precisazione: l'unica di cui abbiamo notizia è Helena, ma considerando i Gaunt, che sono eredi di Salazar, e gli Smith, che sono discendenti di Tosca, immagino che almeno loro due abbiano avuto figli. Così ho deciso di regalare anche a Godric una discendenza (che si perderà nella storia!).
Quanto a Godric, so di averlo caratterizzato in modo un po' bizzarro, ma me lo immagino così: un grande mago, lesto di bacchetta, e di buon cuore, ma anche irascibile, litigioso e impulsivo. L'esatto opposto di Salazar, insomma. Credo comunque che i due fossero buoni amici, almeno all'inizio, e che poi la situazione sia peggiorata per la maggiore iracondia di Godric e la testardaggine di Salazar nel voler rifiutare studenti analfabeti. Ho cercato di far esporre a quest'ultimo le sue ragioni sul rifiuto dei Nati Babbani, anche pensando alla società del X secolo. Avanti, chi non sarebbe d'accordo con lui? ;)
QUI, intanto, godetevi la mia rappresentazione dei fondatori, all'epoca della fondazione di Hogwarts!

Nel prossimo e ultimo capitolo, scopriremo dov'è andato Salazar... e avremo notizie sulla famiglia di Lupus!
Grazie a tutti!
A presto,
Beatrix B.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***



Capitolo III





Scuola di magia e stregoneria di Hogwarts,
da qualche parte in Scozia.
Anno Domini 984


Era l'inverno più rigido che ci fosse mai stato in quegli ultimi anni. La neve si era accumulata sulle colline intorno a Hogwarts, aveva ricoperto i boschi e reso il paesaggio irriconoscibile. Il lago era completamente ghiacciato, una superficie liscia e biancastra come marmo pregiato, ma insieme terribilmente pericolosa. Alcuni centauri erano morti affogati, qualche settimana prima, perché si erano spinti sul ciglio del lago, in un punto in cui il ghiaccio era troppo sottile e si era rotto sotto il loro peso.
Ma il terribile inverno non aveva imposto il suo clima rigido solo alle brughiere desolate della Scozia: anche all'interno del castello regnava lo stesso gelo. Un gelo dato dalle difficoltà che si erano abbattute sulla scuola. Erano ormai quattro anni che Salazar Serpeverde se n'era andato e nessuno aveva più sue notizie da allora. Per i primi tempi era andato tutto bene, niente più liti, niente più sciocche selezioni sugli studenti da ammettere, ma poi la mancanza di uno dei fondatori si era fatta sentire nell'equilibrio della scuola. Godric aveva incantato il suo cappello a punta perché dividesse gli allievi in una delle quattro case che avevano preso il nome dai fondatori, ma quella di Serpeverde era debole e rattrappita senza il suo capo. Inoltre, anche quella di Corvonero cominciava ad avere delle difficoltà: Helena, la figlia di Priscilla, era scappata da Hogwarts un paio di anni prima e nessuno l'aveva più vista. Priscilla ne aveva sofferto, si era chiusa in se stessa e aveva cominciato ad ammalarsi, fino a ritrovarsi incapace di alzarsi dal letto, cosicché ora anche la sua casa era senza una guida.
Hogwarts stava crollando su se stessa. Un grandioso progetto che non aveva più futuro.
Lupus, in realtà, non era così tragico come Adelayde. Lei era convinta che Hogwarts sarebbe morta con i suoi fondatori, quando Godric sarebbe stato troppo vecchio per continuare a gestirla e quando anche Tosca avrebbe avuto i capelli grigi e le rughe sul volto. Ma Lupus non la pensava così: qualcuno avrebbe potuto raccogliere l'eredità dei fondatori e destinare la scuola ad un futuro grandioso, che avrebbe travalicato i secoli e anche i millenni. Qualcuno di sufficientemente scaltro, ambizioso e intelligente, qualcuno atto al comando.
«Passami quel bezoar e piantala di fantasticare!»
La voce di Adelayde strappò Lupus dai suoi pensieri. Il ragazzo si riscosse e si affrettò ad obbedire, prima che l'altra lo azzannasse come una vipera. Adelayde era perennemente di pessimo umore, da quando suo padre se n'era andato e Lupus era l'unico in grado di sopportarla. E di amarla per quello che era: una ragazza fragile che nascondeva le sue debolezze con una buona dose di veleno.
«Perché non accetti di sposarmi?» la provocò, nel passarle il bezoar. Sorrise, i denti sistemati con la magia incredibilmente perfetti e brillanti.
Adelayde sbuffò e continuò a mescolare la sua pozione imperterrita. «Sei uno spiantato.»
«Ma no, guarda!» protestò Lupus, indicando la sua veste di velluto nero. «Ho anche una tunica da mago nuova di zecca.»
«L'hai fregata a mio padre.» Adelayde gli piantò gli occhi addosso, come per sfidarlo a dire il contrario.
Ma Lupus adorava le sfide. «No, errato» la corresse, alzando l'indice al cielo. «È stata tua madre a darmela.»
«Solo perché lei ha un debole per te» replicò Adelayde, immusonita per la risposta pronta dell'altro. «Ma io non ti sposerò comunque» aggiunse poi. «Almeno fintanto che non tornerà mio padre e ci darà il consenso.»
«Non sappiamo quando tornerà» si lamentò Lupus. «Non voglio sposarmi vecchio e decrepito.» Roteò gli occhi, come se la sola idea gli desse noia.
«Aspetteremo che torni mio padre.» Adelayde smise di mescolare e lo fissò dritto negli occhi. «Non voglio fare la fine di Helena.»
«Che c'entra Helena?» le fece eco Lupus, senza capire cosa c'azzeccasse la figlia di Priscilla con il loro possibile matrimonio.
Ma Adelayde era piuttosto suscettibile sull'argomento. «Helena ha tradito la sua famiglia, disobbedito a sua madre ed è fuggita da Hogwarts!» gli riversò addosso. «Così ora Priscilla le ha messo alle calcagna quel sanguinario di un Barone. Sai che si dice? Sembra che lui l'abbia trovata e, visto che non voleva tornare indietro, l'abbia uccisa e poi si sia suicidato!»
«Fandonie!» Lupus rigettò l'idea come se fosse la cosa più sciocca che avesse mai sentito. «Secondo me lei ha capito di voler ricambiare il suo amore e ora vivono felici e contenti in una casetta in mezzo al bosco.»
Adelayde sbuffò spazientita. «A volte sei così ingenuo e... – si interruppe, addolcendo il tono – ...romantico.»
Lupus colse al volo il cambio di atteggiamento e ne approfittò. Si sedette sul tavolo, a fianco del calderone su cui Adelayde stava lavorando, e le rivolse uno dei suoi migliori sorrisi. «Lo so, sono un romanticone. Posso recitarti qualche verso dell'Ars Amandi di Ovidio, se vuoi. Ho trovato un manoscritto piuttosto malridotto in una delle cassapanche della biblioteca.» Lupus abbassò la voce, come per rivelarle un segreto. «Secondo me viene da uno di quei monasteri saccheggiati dai vichinghi. Sai quelli sulla costa... dove i vichinghi arrivano e massacrano tutti i monaci...»
«Smettila!» lo interruppe Adelayde, innervosita. «Lo sai che non mi piacciono queste storie.» Odiava quei viaggiatori e maghi avventurieri che passavano da Hogsmeade e raccontavano delle razzie dei predoni vichinghi sulla costa. Le mettevano i brividi quegli spettrali navigatori, con le loro navi affusolate, che approdavano sulle spiagge del regno e trucidavano senza pietà chiunque trovassero.
Lupus la guardò con intensità, per una volta senza quella sua espressione furbetta. «I vichinghi non arriveranno fino a Hogwarts» le promise. «E comunque ci sarei io a proteggerti.»
Adelayde alzò gli occhi su di lui e si sciolse di fronte a quel suo sguardo così intenso. A volte era piacevole avere qualcuno di così cavalleresco e protettivo che le faceva la corte: si sentiva rincuorata e al sicuro. In quei momenti voleva solo lasciarsi stringere dal suo abbraccio e promettergli eterna fedeltà. Per fortuna quei momenti duravano poco. «Non ti sposo comunque!» ripeté inviperita, tornando a mescolare la sua pozione.
«Oh, avanti!» protestò Lupus, scendendo con un balzo dal tavolo. Le prese una mano tra le sue e cominciò a fantasticare. «Avremo tantissimi figli e... gli puoi dare il tuo cognome se vuoi; tanto io non ce l'ho.»
Quando Adelayde si ritrasse da quel contatto con lo scatto di una serpe, Lupus prese a vagabondare per la stanza, immerso nelle sue fantasie. «Daremo il via ad una lunga stirpe di gloriosi Serpeverde. Saranno tutti maghi e streghe eccezionali, potenti e ambiziosi, che parleranno il Serpentese e il latino. Diventeranno re e regine e la casa di tuo padre sarà la più ambita da tutti i giovani maghetti dell'Inghilterra per il suo prestigio e il suo onore!»
«La smetti?» brontolò la ragazza, senza avere il coraggio di ammettere che quella fantasia non era poi così male.
Lupus si inginocchiò davanti a lei e le prese una mano. «Adelayde Serpeverde, vuoi sposarmi?»
La ragazza arrossì fino all'attaccatura dei capelli. Lui le chiedeva sempre di sposarlo, ma mai l'aveva fatto in modo così serio. Lo guardò di sottecchi, per poi decidersi a rispondere: «Sì, ma quando tornerà mio padre.»
Il viso di Lupus si aprì in un sorriso incredibilmente meraviglioso. «Tornerà, vedrai» le promise, come se potesse in qualche modo dipendere da lui il ritorno di Salazar Serpeverde.
«Io... io lo spero» mormorò Adelayde, distogliendo lo sguardo da lui. «È tutta colpa di Godric! È lui che l'ha scacciato.» Il rossore imbarazzato delle sue guance si era trasformato in vampate di furore. «Lo odio, odio lui, i suoi figli, a cominciare da Percevall, e odio anche tutti i suoi allievi!»
Lupus si alzò da terra e prese la ragazza per le spalle, per tranquillizzarla e confortarla. «Ehi, quanto rancore» ci scherzò su, nel tentativo di sdrammatizzare.
«Non è rancore... è che è colpa sua se mio padre se n'è andato!» replicò Adelayde, sempre senza guardarlo in viso, perché sapeva che Lupus aveva il terribile potere di placare ogni sua rabbia. «Godric dice che si sta meglio adesso, ma è solo perché Cygnus è giovane e malleabile» continuò. «Se ci fosse mio padre a capo della casa di Serpeverde, o se ci fossi io, certa feccia non entrerebbe a Hogwarts!»
«Dai, non...» provò a fermarla Lupus, ma lei si liberò dalla sua presa con uno strattone. Era partita nella modalità orazione-di-elevata-abilità-retorica-contro-i-Nati-Babbani. Lupus alzò gli occhi al soffitto. Fantastico.
«Vogliamo parlare di quel grassone flaccido di Earl?» cominciò infatti Adelayde. «I suoi genitori sono entrambi Babbani, suo padre fa il pescatore e lui puzza di pesce da far vomitare. Non sa leggere, ha lo stesso vocabolario di un troll di montagna e una volta l'ho beccato a scaccolarsi con la bacchetta. A cosa serve disonorare il nome stesso di mago?»
«Dai, non tutti i figli di Babbani sono così.» Lupus non ci mise nemmeno troppa convinzione, perché tanto sapeva che non c'era modo di fermare la ragazza, quando partiva a sfogarsi in quel modo.
«Preferisci che ti citi il pupillo di Godric?» Adelayde tirò fuori il suo asso nella manica. «Quel Ethelbert è rozzo, incolto e brutale. Il suo padre Babbano di lavoro sgozzava i maiali e le magie di Ethelbert non sono molto più raffinate del mestiere del padre.»
«Va bene – concesse Lupus, – la comunità magica è mediamente più evoluta di quella Babbana, ma non puoi generalizzare. Elizabeth è una dama perfetta.»
Adelayde non aveva intenzione di cedere. «Solo perché la sua famiglia, anche se Babbana, è nobile. E lei è stata educata nel migliore dei modi al monastero delle benedettine» replicò prontamente. Guardò Lupus di sottecchi, poi gli rivolse un sorrisetto sprezzante. «Certo che, se non sapessi che ti ha scelto mio padre in persona, direi che staresti bene tra i Grifondoro.»
«Ehi, non insultare» protestò il ragazzo. Il fatto che avesse una mentalità un tantino più elastica di quella di Adelayde non significava che non possedesse le caratteristiche che lo stesso Salazar apprezzava nei suoi studenti: intraprendenza, determinazione e un certo disprezzo per le regole.
Adelayde tornò a concentrarsi sulla sua pozione ma si accorse subito che era stata irrimediabilmente danneggiata a causa di Lupus, che l'aveva distratta dalla preparazione. Sospirò e spense il fuoco sotto il calderone. «Vorrei che mio padre fosse qui» mormorò, più a se stessa che altri. Si voltò verso Lupus con uno sguardo preoccupato. «Sai, sono cominciate a girare delle storie... robe a proposito di una Camera dei Segreti con dentro un mostro terribile, pronto a risvegliarsi non appena mio padre tornasse, per epurare la scuola da tutti coloro che non sono degni di studiarvi.»
Lupus aggrottò la fronte. «Tuo padre che mette un mostro assetato di sangue in una camera sotterranea dentro Hogwarts?» Ripensò al Basilisco, che quattro anni prima lui e Salazar avevano nascosto al sicuro dentro la sua Camera dei Segreti. Scosse la testa. «Nah, non lo credo possibile.»
Adelayde annuì, contenta che qualcun altro la pensasse come lei. «Nemmeno io.»
Proprio in quel momento, qualcuno entrò di getto nella stanza. Era Cygnus e aveva l'aria sconvolta. «Adelayde, tuo padre...» balbettò, forse per la corsa che gli aveva mozzato il fiato. «È tornato!»
La ragazza sentì il suo cuore saltare un battito, mentre una selvaggia euforia si impadroniva di lei. Suo padre! Tornato!
Si catapultò fuori dalla stanza, corse a perdifiato per i corridoi e le scalinate fino all'ingresso. Là, un mago invecchiato ma sempre altero, con una barba lunga fin quasi a terra, era stato accolto da sguardi sospettosi e preoccupati.
«Padre.» Il sussurro di Adelayde bastò a far spostare gli studenti.
Salazar, che fino a quel momento aveva confortato la moglie, sciolta in lacrime di gioia, si voltò verso la giovane che l'aveva chiamato. I lunghi capelli neri come la notte, i suoi stessi occhi grigi, il viso appuntito su un corpo ormai maturo. La sua bambina non era più tale.
«Adelayde.»
La ragazza gli corse incontro e gli gettò le braccia al collo, in una stretta che nascondeva tutta la rabbia per la sua assenza, per ciò che era successo mentre era via, e l'incredibile sollievo per il suo ritorno.
«Adelayde, fatti guardare» le sussurrò Salazar, sciogliendosi dalla stretta. «Sei diventata una donna.»
Adelayde gli sfiorò una guancia incartapecorita, coperta dalla lunga barba grigia. «Siete stato via troppo tempo, padre.»
Salazar accennò ad un mezzo sorriso, quando i suoi occhi vennero rapiti da un giovanotto di bell'aspetto, con i tratti mediterranei enfatizzati dagli occhi scuri e dai riccioli castani. Aveva un'aria curata e indossava una tunica da mago di velluto nero, una tunica che sembrava tanto una delle sue tuniche. Salazar lo soppesò per un attimo, mentre lui ricambiava il suo sguardo con un cenno di rispetto e un'incredibile aria da schiaffi. Per quanto fosse cresciuto, era decisamente riconoscibile. «Lupus.»
Il ragazzo chinò il capo. «Signore.» Sfoderò uno dei suoi sorrisi furbi, che gli avevano guadagnato tanta ammirazione presso il mago dalla barba lunga, ma cercò di mostrare anche tutta la gratitudine che provava nei suoi confronti. Gli aveva permesso di studiare nella sua scuola e Hogwarts aveva fatto di lui un uomo. Ciò che era, lo doveva esclusivamente a Salazar Serpeverde.
Stava per farsi incontro all'uomo, quando un altro mago apparve sulla scena. Era rimasto nascosto dietro Salazar, per quel motivo Lupus non l'aveva notato fino a quando non aveva fatto qualche passo verso di lui. Era abbigliato in modo strano: oltre ad essere sbarbato e con i capelli grigi tagliati corti, indossava una lunga veste di lino leggero e aveva drappeggiata sulle spalle e intorno alla vita una stola dal colore intenso. «Ludovico?» chiese, con la voce profonda che esprimeva tutta la sorpresa di quella domanda.
Lupus indietreggiò di un passo. Erano anni che nessuno più lo chiamava con quel nome. Come poteva quell'uomo sconosciuto sapere come si chiamasse? Non l'aveva mai detto a nessuno, non da quando era morta sua madre.
L'uomo vestito strano accennò un sorriso. «Idem filio meo es
Lupus spalancò la bocca e sgranò gli occhi come un bambino di fronte ad un drago gigante. Il suono di quella lingua... aveva scordato quanto potesse essere dolce. Fu assalito da una morsa di nostalgia e gli balenò in mente il volto di sua madre, che aveva dimenticato da tempo. «Latinam linguam loquerisne?»domandò, lasciando che le sue labbra tornassero a pronunciare una lingua che da tempo temeva non potesse più appartenergli. «Quis es?»
«Forse è meglio se andiamo nel mio studio» intervenne Salazar, visto che gli occhi avidi e curiosi di troppi studenti li stavano scrutando.
Godric fece un passo avanti. «Il mio studio è più vicino, se volete.» Dietro quell'innocente offerta non si celava un animo gentile, quanto più la volontà di tenere sotto controllo la situazione e di ricordare a tutti chi reggesse davvero le fila di Hogwarts.
Salazar parve un po' seccato, ma acconsentì con un cenno della testa. «Ma... dov'è Priscilla?»
«Dopo» tagliò corto Godric, dirigendosi a grandi passi verso il suo studio.
Si radunarono tutti intorno all'enorme tavolo di legno scuro, che Godric aveva insistito fosse rotondo come quello del leggendario re Artù. Godric sedeva sul suo trono istoriato con due grifoni al posto dei braccioli, al suo fianco il primogenito Percevall e la buona Tosca. Di fronte si era posizionato Salazar, seduto tra la moglie e il misterioso mago vestito di lino. Adelayde e Lupus si scambiarono un'occhiata preoccupata, ma alla fine acconsentirono a prendere posto al tavolo.
«Ci vuoi dire dove sei stato in tutti questi anni?» iniziò Godric, in tono duro. Sembrava tanto un processo.
Tosca mise una mano sul braccio di Godric, come per fermare con quel semplice gesto tutta la sua irruenza. «Siamo stati tanto in pensiero per te» aggiunse, e sembrava sincera.
Salazar li ignorò. «Dov'è Priscilla?»
Tosca lanciò uno sguardo affranto a Godric, ma alla fine si rassegnò a raccontare la storia della fuga di Helena e della malattia di Priscilla. «Ha come perso la voglia di vivere» terminò il racconto, con gli occhi lucidi.
Per tutto il tempo, Godric non aveva smesso di fissare Salazar con astio. «Tu dove sei stato? E perché sei tornato solo adesso?» chiese ancora, non appena Tosca ebbe finito di parlare.
Salazar fece guizzare gli occhi verso Lupus per una frazione di secondo, infine si accinse a spiegare. «In questi anni sono andato alla ricerca delle origini di Lupus, o forse dovrei dire di Ludovico» cominciò il racconto.
«Il tuo vero nome è Ludovico?» indagò Adelayde, quasi offesa per non averlo saputo prima.
Il ragazzo, sentendosi chiamato in causa, annuì piano. Il suo sguardo indugiava sul mago straniero che parlava la sua lingua, chiedendosi se potesse essere in qualche modo imparentato con lui. Dopotutto, gli aveva detto che assomigliava a suo figlio.
Salazar continuò il suo racconto: «Mi aveva colpito il fatto che Lupus parlasse latino come sua lingua madre, per cui ho cominciato le mie ricerche tra le famiglie della nobiltà Romana. Non è stato facile, perché i Patrizi sono molto chiusi e gelosi del loro sapere e del loro stile di vita. Per non parlare del fatto che usano solo la lingua latina... parlarla non è così facile come sembra.»
Lupus si concesse un mezzo sorriso. Per lui era naturale, perché era la prima lingua che aveva imparato dalla bocca di sua madre, ma si era reso conto in quegli anni di scuola che non tutti erano portati per il latino.
«Alla fine, sono riuscito a scoprire alcune cose sulla famiglia Crescenzi che mi parevano interessanti» continuò Salazar. «Mi ci è voluto del tempo per convincere il capofamiglia ad incontrarmi ma, quando ho ottenuto la sua fiducia e mi sono fatto raccontare la storia della sua famiglia, i miei sospetti si sono rivelati veritieri. Parecchi anni prima, il primogenito della famiglia Crescenzi si era sposato con una nobildonna della famiglia Orsini, dalla quale aveva avuto un figlio; ma poco dopo la nascita del bambino, era stato morso da un lupo mannaro. La moglie, terrorizzata, aveva preso il neonato ed era tornata alla casa paterna, ma il padre l'aveva scacciata come una rinnegata per aver abbandonato il marito. La donna, allora, si diede alla fuga e nessuno a Roma ebbe più notizie di lei o del bambino.» Salazar puntò gli occhi su Lupus. «Il bambino si chiamava Ludovico.»
Il ragazzo si sentì come schiacciato dal peso di tutte quelle rivelazioni. «Mater...» riuscì solamente a sussurrare. Dunque sua madre era fuggita per tenerlo al sicuro dalla violenza del marito, morso da un lupo mannaro. Provò pietà per quella donna: da eleganti domus romane, era stata costretta a vagabondare per le foreste di mezza Europa come una rinnegata, solo per salvare se stessa e il figlioletto appena nato. Si era sacrificata per lui, come solo una madre poteva fare.
Adelayde, notando lo smarrimento del giovane, fece scivolare una mano sotto il tavolo e gliela appoggiò sulla coscia, sperando che quel semplice contatto potesse consolarlo almeno un poco.
«Questo è Beltramo Crescenzi, Patrizio di Roma» continuò Salazar, presentando il mago straniero. «È tuo nonno, Ludovico.»
Lupus spostò gli occhi su di lui. Non si era nemmeno accorto che una lacrima solitaria era scivolata fuori dall'occhio, per incorniciargli il viso. Finalmente apparteneva a qualcosa: non era più un ragazzetto vagabondo che parlava una lingua strana, ma Ludovico Crescenzi, figlio di Patrizi romani. Beltramo Crescenzi sembrava a sua volta commosso per aver ritrovato il nipote che credeva morto da tempo. I suoi occhi scuri, grandi ed espressivi erano ricolmi di apprensione. «Ludovico.» Quel nome gli strappò un sorriso: non pensava avrebbe potuto utilizzarlo ancora.
«Pater meus?» osò domandare il ragazzo. Sua madre era morta sola, in una capanna nel bosco, abbandonata dalla sua stessa famiglia. Ma forse suo padre...
«Mortuus est» mormorò il Patrizio, in tono mesto. Dopotutto, era suo figlio. Ma ora aveva ritrovato il nipote che credeva morto e la sua famiglia aveva di nuovo un erede maschio. «Ludovice, filius filii mei es, ultimus prognatus ex gente Crescentia.» Beltramo rivelò al ragazzo che era l'ultimo discendente della famiglia. «Patricius Romanus es et volo te Romam mecum ferre.» Lo guardò con intensità. «Domi.»
Beltramo gli offriva la possibilità di andare con lui a Roma e rivendicare ciò che gli spettava di diritto, in quanto Patrizio, ovvero l'intera eredità della famiglia Crescenzi. Ma domus, per lui, non era Roma, una città da cui era fuggito ancora in fasce e della quale non aveva alcun ricordo. «Ego iam domi sum» rispose senza esitazione. Lui era già a casa. Fece scivolare anche lui la mano sotto il tavolo e strinse quella di Adelayde, ancora appoggiata sulla sua gamba. «La mia casa è qui, ora. A Hogwarts.»
Beltramo sorrise comprensivo. «Intellego» sussurrò, annuendo. Dopodiché si tolse l'anello d'oro che portava al dito e lo diede a Ludovico. «Cape hunc anulum quidem: stemma gentis Crescentiae est huic.»
Il ragazzo lo osservò con interesse: era formato da due bocche di mostri dorati, forse draghi o serpenti, che tenevano tra le fauci spalancate un ovale smaltato con lo stemma della famiglia, tre mezzelune gialle su sfondo rosso. Lo infilò allo stesso dito cui lo aveva tenuto il nonno, poi gli sorrise commosso a mo' di ringraziamento.
Beltramo ricambiò il sorriso. «Si Romam venire voles, carus omnibus expectatusque semper eris
Ludovico annuì. «Gratias ago tibi.»
Calò il silenzio: nessuno era riuscito a seguire alla perfezione il discorso in latino tra lo straniero e Lupus, ma il senso generale era stato colto. Il ragazzo aveva scoperto di appartenere alla nobiltà romana, eppure aveva scelto di restare a Hogwarts, perché la considerava la sua vera casa.
«Io credo che tu abbia fatto una cosa meravigliosa, Salazar» intervenne Tosca, commossa. «Hai restituito un giovane alla sua vera famiglia.»
Il vecchio mago accennò ad un sorriso. Quattro anni fa, era partito per ripicca contro Godric, per dimostrare che Lupus era così colto ed istruito, oltre che astuto e brillante, perché proveniva da una famiglia di antico lignaggio. Certo non si immaginava che quella ricerca gli avrebbe portato via così tanti anni. Eppure era soddisfatto, e non solo perché aveva dimostrato a Godric di aver ragione, ma anche perché aveva trovato a Lupus una famiglia cui appartenere. Incontrare quel ragazzetto cencioso era stata una delle cose migliori della sua vita, dopo la sua famiglia e la fondazione di Hogwarts, ovviamente.
«E ora, padre?» domandò accorata Adelayde. «Ora resterete a scuola?»
Salazar si sentì spezzare il cuore nel udire il tono della figlia. Ma si era reso conto che Hogwarts non era più lo stesso posto che aveva lasciato: non era più una scuola dove quattro maghi prendevano sotto la propria ala i giovani più promettenti del regno per farne grandi stregoni, ma un luogo dove si ammassavano un ricettacolo di ragazzini di ogni età e sorta, tutti posti sotto l'aurea carismatica di Godric Grifondoro.
Sospirò. «No, non sono più il benvenuto, qui. Io e mia moglie torneremo a vivere nella casa sulla palude.» I suoi occhi grigi indugiarono solo per un attimo sulla figura del suo vecchio amico. Era sicuramente un grande mago, forse la bacchetta più veloce che avesse mai visto duellare, e aveva certamente un buon cuore. Ma Salazar temeva che non fosse in grado di mandare avanti una scuola, perché spesso agiva prima di pensare, era impulsivo e focoso. Probabilmente, Hogwarts sarebbe morta con Godric. Eppure Salazar era convinto che non poteva spettare a lui il compito di prendere in mano la scuola, né certo sarebbe più stato il benvenuto.
«E gli studenti?» domandò Adelayde, insieme preoccupata e furiosa per la decisione del padre. Probabilmente aveva sperato che il suo ritorno significasse una nuova vita per la rattrappita casata di Serpeverde.
Salazar le rivolse un sorriso. «Dirigerai tu i miei studenti, ora. Hai l'età per farlo» rivelò, guardandola con intensità per trasmetterle la fiducia che aveva in lei. Poi accennò con il capo al ragazzo seduto al suo fianco. «Lo farete insieme, se Lupus – si interruppe, per correggersi: – Ludovico vorrà.»
Il ragazzo annuì, grato di quella possibilità. «Ne sarei onorato.»
Salazar allora si levò il medaglione con incisa sopra la S a forma di serpente e lo consegnò ai due giovani. «Siete voi i miei eredi.» Sorrise, infinitamente soddisfatto di loro: sua figlia, sangue del suo sangue, e un ragazzo su cui aveva grandi aspettative. Sarebbero stati una coppia perfetta.










Carissimi,
ecco qui il terzo e ultimo capitolo della mini-long che ho scritto per il contest Noi amanti degli O.C. – Lunga vita al Personaggio Originale!, indetto da Emilia zep.
Finalmente si è rivelata tutta la storia di Lupus -ehm, Ludovico!- e della sua famiglia! La madre fuggì per portare in salvo il figlio appena nato e scappare dal marito morso da un lupo mannaro. Dubito che nel X sec. i lupi mannari avessero una gran vita... di certo non esisteva ancora la pozione anti-lupo! Tuttavia nonno Beltramo ha sempre sperato di poter ritrovare il nipote perduto e di poter dare una discendenza alla sua famiglia.
A proposito, QUI l'anello della famiglia Crescenzi (una famiglia di Roma che è esistita davvero e che era tra le più potenti a Roma tra X e XI secolo... ha dato anche parecchi papi alla città!)... vi ricorda qualcosa quest'anello? Fra qualche secolo vi verrà incastonata una pietra nera da qualcuno dei discendenti di Serpeverde... qualcuno imparentato con i Peverell... ;)
Sempre a proposito di immagini, QUI l'immagine del capitolo, ovvero Lupus e Adelayde in tutto il loro splendore!
QUI, invece, una foto per farvi vedere il costume di Beltramo Crescenzi: immagino che la parte magica di Roma abbia mantenuto i costumi e le tradizioni dell'epoca tardo imperiale, per distinguersi dall'imbarbarimento progressivo della civiltà romano-babbana. Infondo, la Rowling mostra sempre i maghi come una società molto più chiusa e conservatrice di quella babbana.
Ah, e scusate il latino, ma era d'obbligo! Beltramo non sa parlare altra lingua! (E poi, diciamocelo, il latino è sempre figo!)

Bene, credo di avervi detto tutto! Ci si rivede fra circa una settimana per l'epilogo. Nel frattempo, vi auguro buone feste!
A presto, Beatrix B.
Beatrix B.

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Capitolo 4
*** Epilogo ***



Epilogo





Scuola di magia e stregoneria di Hogwarts,
da qualche parte in Scozia.
Anno Domini 999


Erano alle soglie del nuovo millennio. Almeno, secondo il calendario cristiano. Ludovico infatti, dopo aver visitato Roma molte volte e aver appreso i costumi della sua nobile famiglia, aveva preso l'abitudine a contare gli anni come i Patrizi romani, dalla fondazione di Roma, per cui per lui quello era l'anno 1752 ab Urbe condita.
Un anno importante, comunque, quale che fosse il calendario con cui lo si voleva contare. Quello era il primo anno della nuova Hogwarts. Ludovico aveva preso le redini della scuola dopo che anche Godric aveva lasciato per sempre questo mondo. L'aveva raccolta dalle sue ceneri, prostrata e ripiegata su se stessa, per farla rinascere come una fenice, per portarla a nuova grandezza. Aveva preso spunto dalle scuole monastiche benedettine, stabilendo un percorso di studi in sette anni, al quale si poteva accedere solo dopo un periodo preliminare di base che insegnasse a leggere, scrivere e far di conto. Qualcuno si era lamentato, dicendo che questo metodo privilegiava i figli di maghi, ma Ludovico era stato irremovibile. Non si poteva insegnare la magia a chi non era nemmeno in grado di leggere un incantesimo: che i figli di Babbani analfabeti venissero pure ammessi a studiare a Hogwarts, ma quando ne fossero usciti, sarebbero stati dei maghi colti e istruiti. Non avrebbe avuto senso una scuola da cui si usciva tanto ignoranti come quando vi si era entrati. E, proprio come i monaci, gli studenti che si apprestavano a raggiungere i più alti traguardi della conoscenza erano tenuti ad indossare una lunga tunica nera.
Inoltre, aveva scelto quattro magistri che seguissero ognuno gli studenti delle quattro case, che avevano preso il nome dai fondatori: Serpeverde, Tassorosso, Corvonero e Grifondoro. Aveva designato sua moglie Adelayde come capo della casa di suo padre, ruolo che esercitava con estremo orgoglio. E, ovviamente, i loro tre figli, Salazar, Beltramo e Ludovico II, erano tutti entrati a far parte della gloriosa casa di Serpeverde.
Ludovico stesso si era posto a capo della scuola di magia e stregoneria, con il titolo di Princeps magistrorum: alla sua volontà sottostava ogni aspetto della scuola e ogni decisione doveva fare capo a lui. Finalmente Hogwarts non si basava più sulle figure carismatiche dei suoi fondatori, ma sul prestigio della scuola stessa e di ciò che vi veniva insegnato, prestigio che avrebbe travalicato i secoli.
Infine, in rispetto del luogo in cui era sorto il castello che ospitava la scuola, Ludovico aveva scelto il capodanno celtico come inizio di ogni nuovo anno scolastico. La sera di ogni 31 ottobre, tutti gli studenti si sarebbero radunati nella Sala Grande di Hogwarts per festeggiare e ascoltare la lectio magistralis del Princeps.
Ludovico aveva deciso che per quell'anno, il primo della nuova Hogwarts, avrebbe tenuto un discorso tanto profondo e potente da non far desiderare altro agli allievi che studiare e accrescere le proprie conoscenze, per raggiungere grandi vette.
Strano a dirsi, si ritrovò a pensare al Basilisco che dormiva placido da qualche parte sotto di loro. Non poteva certo dire che fosse una bestiola adorabile, ma ora ne capiva il fascino arcano che aveva tanto incantato Salazar Serpeverde. I serpenti erano creature eleganti, potenti e spesso incomprese. E quel Basilisco in particolare, al sicuro nella Camera dei Segreti che ormai solo sua moglie Adelayde o qualcuno dei suoi figli poteva aprire, rappresentava per lui il simbolo della sua nuova vita. Se non avesse cercato di venderlo al grande Salazar, certamente ora non si sarebbe trovato seduto sullo scanno del Princeps magistrorum di Hogwarts.
Si alzò dal suo trono e si avvicinò al leggio dorato a forma di gufo, che si era fatto preparare da un famoso artigiano sassone per fare da pulpito ai suoi discorsi. Sulla Sala Grande scese il silenzio. Ludovico aprì le braccia, per accogliere i nuovi studenti e salutare quelli vecchi.
«Benvenuti ad un nuovo anno ad Hogwarts!»










Ebbene, eccoci giunti al termine di questa breve storia!
In origine non avevo programmato di scrivere questo epilogo, né che Ludovico diventasse il primo preside di Hogwarts (ancora definito dal termine latino princeps magistrorum)... ma alla Dama Ispirazione non si comanda! Ed ecco che Hogwarts si sta trasformando lentamente nella scuola che tutti noi abbiamo imparato ad amare: quattro case, lo smistamento con il cappello parlante, i direttori delle case, il preside, le divise nere, il percorso di studi in 7 anni... e la visione di Ludovico a proposito dei Nati Babbani è meno radicale di quella dei Serpeverde (padre e figlia): lui li ammette ad Hogwarts, purché prima ricevano un corso base di alfabetizzazzione (se analfabeti, ovviamente). Un po' razzista, lo ammetto, ma la misura era necessaria (e comunque Ludovico è pure lui un Serpeverde!). Credo che se Salazar, Adelayde o Ludovico fossero vissuti ai giorni nostri, non avrebbero avuto alcun tipo di avversità contro i Nati Babbani (almeno per come io mi immagino i personaggi), ma nel X secolo è tutta un'altra storia. È QUESTA storia.

Be', insomma, spero che il racconto vi sia piaciuto e non vi abbia troppo sconvolto la mia visione di Salazar.
Grazie a tutti quelli che hanno seguito, letto e sopprattutto recensito.
--> n.b. quando sarà terminato il contest Noi amanti degli O.C. – Lunga vita al Personaggio Originale!, cui la storia partecipa, posterò i risultati.

Alla prossima,
Beatrix B.

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