She Belongs To Him

di Margo Malfoy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1 ***
Capitolo 2: *** Chapter 2 ***
Capitolo 3: *** Chapter 3 ***
Capitolo 4: *** Chapter 4 ***
Capitolo 5: *** Chapter 5 ***
Capitolo 6: *** Chapter 6 ***
Capitolo 7: *** Chapter 7 ***
Capitolo 8: *** Chapter 8 ***
Capitolo 9: *** Chapter 9 ***
Capitolo 10: *** Chapter 10 ***
Capitolo 11: *** Chapter 11 ***
Capitolo 12: *** Chapter 12 ***
Capitolo 13: *** Chapter 13 ***
Capitolo 14: *** Chapter 14 ***
Capitolo 15: *** Chapter 15 ***
Capitolo 16: *** Chapter 16 ***
Capitolo 17: *** Chapter 17 ***
Capitolo 18: *** Chapter 18 ***
Capitolo 19: *** Chapter 19 ***
Capitolo 20: *** Chapter 20 ***
Capitolo 21: *** Chapter 21 ***
Capitolo 22: *** Chapter 22 ***
Capitolo 23: *** Chapter 23 ***
Capitolo 24: *** Chapter 24 ***
Capitolo 25: *** Chapter 25 ***
Capitolo 26: *** Chapter 26 ***
Capitolo 27: *** Chapter 27 ***
Capitolo 28: *** Chapter 28 ***
Capitolo 29: *** Chapter 29 ***
Capitolo 30: *** Chapter 30 ***
Capitolo 31: *** Chapter 31 ***
Capitolo 32: *** Chapter 32 ***
Capitolo 33: *** Chapter 33 ***
Capitolo 34: *** Chapter 34 ***
Capitolo 35: *** Chapter 35 ***
Capitolo 36: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** Chapter 1 ***


CIAO, CIAO!
HO SCRITTO QUESTA NUOVA FF PERCHÉ APPENA SONO USCITA DAL CINEMA MI SONO PRECIPITATA A COMPRARE I LIBRI DI JAMES DASHNER, CHE STIMO TANTISSIMO, E OGNI VOLTA CHE GIRO PAGINA MI INNAMORO DI PIÙ DELLA STORIA. C’È UN NUOVO PERSONAGGIO, QUINDI LA STORIA NON SEGUIRÀ PROPRIO IL FILO DI QUELLA ORIGINALE, MA SPERO VI PIACCIA LO STESSO. MAGARI LASCIATE UNA RECENSIONE J
LA DEDICO A TUTTI I MIEI AMICI CHE SONO VENUTI CON ME AL CINEMA E SOPRATTUTTO ALLE MIE MIGLIORI AMICHE CHE TUTTI I GIORNI DEVONO SOPPORTARE GLI SPOILER CHE GLI FACCIO E LE FANTASIE CHE MI FACCIO SU QUEL CASPIO DI VELOCISTA SEXY DI MINHO. È MERAVIGLIOSO *_*
BUONA LETTURA :*
 
 
1
 
Era da due anni ormai che si ripeteva sempre la stessa “routine”.
Ogni mese la sirena cominciava a suonare e in poco tempo alla Radura c’era un nuovo pive, confuso e spaventato che riusciva soltanto a fare domande.
Ogni settimana la sirena suonava di nuovo, questa volta per fare arrivare le provviste di cibo.
Ogni giorno Frypan cucinava, Alby amministrava i lavori e Newt lo sostituiva.
E poi c’ero io. Ogni giorno le porte del Labirinto si aprivano e io mi addentravo tra le enormi mura che sovrastavano la Radura per mapparne il percorso e le sequenze, e trovare una maniera per uscire da quella prigione.
Non c’era più niente che ci stupiva in quel circo. Alcuni dei pive che arrivavano si uccidevano qualche giorno dopo il loro arrivo, e non ci stupiva. I Dolenti pungevano i Velocisti che entravano nel Labirinto, e non ci stupiva. I Radurai che riuscivano a sopravvivere al DoloSiero subivano la Mutazione, un atroce processo di guarigione, e non ci stupiva. Ormai niente ci stupiva; almeno così credevamo.
 
Giorno 749 ca.
Stavo ancora galleggiando nel sonno quando la sirena cominciò a suonare. Strizzai gli occhi e mi stiracchiai nel mio sacco a pelo stropicciato. Stavano ancora dormendo tutti quanti di fianco a me. Strano, pensai. I pive non sono mai arrivati così presto.
«Svegliatevi pive! C’è un nuovo fagio!» era Alby che, ancora addormentato, esortava i Radurai ad avvicinarsi alla Scatola.
Il cubo metallico nel quale il nuovo pive si stava disperando saliva il tunnel velocemente, potevamo capirlo dai forti stridii metallici che produceva sfregando contro le mura in ferro.
Mi scoprii e mi alzai in piedi, stiracchiandomi. Mi sistemai un po’ i capelli e mi avvicinai insieme agli altri alla Scatola, dove Alby e Newt aspettavano lo scatto che accompagnava la fine della corsa del nuovo Raduraio. Da lontano vidi Thomas avvicinarsi entusiasta alla Scatola. Quando lui arrivò le cose non furono facili. Molti gli si misero contro, vai a capirlo il perché. Eppure in lui c’era qualcosa che ognuno di noi sapeva sarebbe potuto essere utile per scappare dal Labirinto. Esci dal Labirito! Era ciò che mi ripetevo ogni sera prima di addormentarmi e ogni mattina prima di entrare fisicamente nella Tana dei Dolenti.
«Ciao fagio!» diedi una pacca sulla spalla di Thomas.
«Ciao Minho» disse sfregandosi le mani dall’agitazione.
«Amico, perché sei così agitato? È solo un altro pive. Ne arriveranno di nuovi ogni mese, forse per altri due anni» dissi spostandomi verso la Scatola, che finalmente aveva prodotto lo scatto che aspettavamo.
«Credi davvero che durerà altri due anni? O magari di più?» nel suo viso leggevo il panico.
Non era promettente rimanere rinchiusi in un Labirinto per anni, rischiando il culo ogni giorno per cercare un’uscita, ma era così. E nessuno di noi poteva farci nulla.
«Non lo so» scrollai le spalle sinceramente dubbioso. «Ho vissuto qui per due anni e so per certo che niente è da dare per scontato qua dentro. Potremmo uscire domani, tra una settimana, tra un mese, tra un anno o tra dieci, non lo sappiamo; noi non possiamo saperlo. Quelle teste di caspio che ci hanno messo qui, sono convinto che siano loro a decidere tutto»
«Prima o poi deve finire» disse Thomas sconsolato.
Per quanto fossi d’accordo, lui non aveva ancora visto niente. Era lì solo da un mese. Solo un mese. Avrebbe dovuto aspettare di passare due anni nella Radura, e poi avrebbe cominciato seriamente a mettersi le mani nei capelli.
«Newt, vieni qui!» Alby aveva richiamato Newt con un gesto delle mani, indicando il cubo sottostante che lentamente si stava fermando.
La botola iniziò ad aprirsi, illuminando con la luce del sole il nuovo pive. Vidi Newt strabuzzare gli occhi e poi scomparire nella Scatola.
«Come mai il pive non esce?» chiese Thomas.
«Non ne ho idea» dissi avvicinandomi alla botola.
«Newt, cosa succede?» gridò Alby sul ciglio del cubo, «Come mai non viene fuori?»
«Ehm...» la voce di Newt tremava.
«Apri quella fogna e parla Newt! Che sta succedendo?» quest’altro era Gally.
«È una ragazza!» disse infine Newt, aiutandola a superare l’alto gradino che li divideva dai Radurai.
Vidi che Thomas mi guardava dubbioso. Non avevo idea di come o perché fosse successo. Per due anni, ogni mese, sono arrivati soltanto ragazzi.
«Com’è possibile?» disse Thomas.
Scrollai le spalle ancora una volta, sbigottito come gli altri di ciò che ci era stato dato.
«Avviciniamoci» dissi infine più a me stesso che rivolto a Thomas.
Ci facemmo spazio tra i Radurai, tutti accalcati per vedere di cosa si trattava. Tirando spallate a destra e a manca riuscimmo infine a raggiungere Alby e Newt, che erano chini sulla ragazza seduta a terra e intenti a parlarle, cercando di sovrastare il casino che stavano facendo gli altri.
«Sai dirci qualcosa di te? Chi sei, da dove vieni?» chiese Alby con tono amichevole, appoggiando una mano sulla spalla della ragazza.
Lei scosse la testa.
«Sentite un po’!» sbottò infine Newt rivolto ai ragazzi che parlavano uno sull’altro, «Scommetto che ognuno di voi ha un lavoro da sbrigare, quindi perché non chiudete quelle bocche del caspio e non andate a lavorare? Vi diremo tutto ciò che vi serve sapere quando anche noi riusciremo a capirci qualcosa»
Subito i Radurai si misero a correre verso le loro postazioni. Chi al Macello, chi in cucina... ognuno aveva qualcosa da fare, Newt aveva ragione, e una pive non era una scusa per saltare un giorno utile di lavoro.
«Sai dirmi come ti chiami?» chiesi infine io girandomi verso la ragazza.
«Maggie» disse lei fissandoci uno per uno.
Alby, Newt e Thomas si girarono poi verso di me, come a chiedermi come riuscisse a ricordarsi il suo nome appena arrivata. Ma il fatto che avesse risposto a me non comportava che io lo sapessi.
«Bene, sono in pochi qui a ricordarsi il proprio nome appena arrivati» dissi rivolgendo un cenno a Thomas.
«Dove mi trovo?» chiese stringendosi le ginocchia al petto.
Contemporaneamente tutti e quattro ci spostammo, permettendole di vedere per intero la Radura. Io e Thomas alla sua destra e Alby e Newt alla sua sinistra. Dal punto in cui eravamo poteva vedere tutto quanto. Le enormi mura di pietra, il Casolare, le FacceMorte e perfino l’apertura del muro Occidentale.
«Benvenuta alla Radura» disse Alby.
 
 
EHI!!! SPERO CHE QUESTO PRIMO CAPITOLO VI SIA PIACIUTO. È L’INSIEME DELLE FANTASIE CHE MI FACCIO QUANDO ASCOLTO LA MUSICA...

PRESTO POSTERÒ GLI ALTRI, CIAOOO!

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Capitolo 2
*** Chapter 2 ***


SONO DI NUOVO QUI! SPERO SI CAPISCA QUESTO SECONDO CAPITOLO, HO VOLUTO FARE QUALCOSA DI UN PO’ DIVERSO,  NEL CASO FOSSE POCO CHIARO LO SPIEGHERÒ NEL TERZO CAPITOLO J
QUESTO CAPITOLO LO DEDICO AL SUPER SEXY KI HONG LEE, PER CUI HO UNA LEGGERISSIMA COTTA :”) RINGRAZIO ANCHE TUTTI QUELLI CHE HANNO LETTO IL PRIMO CAPITOLO, SPERO ABBIATE ANCHE IL TEMPO DI RECENSIRLI ;)
BUONA LETTURA :*
 
 
2
Giorno 1
«Adesso Alby ti mostrerà la tua nuova casa» disse un ragazzo un po’ più grande di me, dai capelli biondi. Feci un cenno con la testa, anche se non sapevo chi fosse Alby.
«Comunque io sono Newt» disse sempre il ragazzo biondo, porgendomi la mano.
Gliela strinsi titubante.
«Io sono Thomas» alla mia destra, un ragazzo più o meno della mia età con i capelli corti e neri, si mise la mano sinistra sul petto e mi porse quella destra.
«Io mi chiamo Alby,» disse il ragazzo di colore alla mia sinistra «sono il capo dei Radurai»
«E io sono Minho» l’ultimo ragazzo, uno asiatico, anche lui più grande di me di qualche anno mi rivolse un semplice sguardo, senza strette di mano.
«Vieni Maggie,» disse Alby «incomincia il tour.»
Gli altri tre ragazzi si allontanarono borbottando un saluto a testa.
Era tutto incredibilmente strano. Sembrava quasi una specie di scherzo, e avrei veramente pensato che lo fosse, se non mi fossi dimenticata di tutto ciò che mi riguardava a parte il mio nome. Quei ragazzi potevano essere svegli, ma non così tanto intelligenti –o così stupidi, dipende dai punti di vista– da togliermi la memoria.
«Cos’è questo posto?» chiesi ad Alby mentre camminavamo nel verde.
«La puoi vedere come una grande piazza. Qui noi abbiamo tutto ciò che ci serve: un cucina, un orto, un Macello –che non ti consiglio di scegliere come postazione–, un cimitero...»
«Postazione?»
«Ognuno di noi ha un lavoro da svolgere qui dentro. Abbiamo poche regole importanti da rispettare e una di queste è che ognuno deve fare la sua parte, sai, per far funzionare il Sistema»
Annuii. Era una piccola società ben organizzata, quasi come quelle preistoriche.
«Chi mi ha portata qui?» dissi.
«Non lo sappiamo. Nessuno di noi sa come è arrivato qui. E in realtà tu sei proprio una sorpresa per noi. Non ci è mai stata mandata una ragazza»
«Mandata da chi?»
«Noi li chiamiamo i Creatori. Sono coloro che hanno creato questo posto, anche se non li abbiamo mai visti»
Annuii di nuovo, ma ogni informazione che mi veniva data serviva soltanto ad incasinarmi ancora di più le idee. Man mano che camminavamo, Alby mi mostrava spiazzi di terreno, piccole capanne o recinti indicandomeli e spiegandomi a cosa servivano. Ma ciò che mi importava di più in quel momento era ricordare. Mi sforzavo di ricordarmi il viso dei miei genitori, la stanze della mia casa, le strade della mia città. Ma niente, la mia mente era vuota e si stava riempiendo soltanto di ciò che i ragazzi mi avevano detto.
All’improvviso Alby si fermò: «Perché non vai avanti?» chiesi.
«È proibito, è un’altra delle altre regole importanti.» disse «È permesso soltanto ai Velocisti»
Velocisti?
«Perché? Cosa c’è là fuori?» indicai un ampio corridoio che ci stava di fronte. Si diramava in diversi muri di pietra, molto alti.
«Vedi queste enormi pareti che circondano la Radura?» chiese Alby battendo con le nocche contro il muro che avevamo di fronte.
Come non notarle, erano la prima cosa che si vedeva uscendo dalla Scatola. Annuii.
«Bene. Fuori da queste mura c’è qualcosa di così pericoloso e difficile da superare che solo i più veloci e i più intelligenti hanno il permesso di esplorarlo. Escono alla mattina, mappano i corridoi e tornano la sera. Noi lo chiamiamo il Labirinto»
«Vuoi dire che siamo circondati da un enorme Labirinto?» chiesi spaventata quanto incuriosita.
«Sì, ed è uno dei crimini più gravi quello di uscire nel Labirinto se non sei Velocista. Corri troppi rischi, quindi vedi di non fare cavolate» mi puntò l’indice di fronte.
«Chiaro.» dissi io. «Ciò significa che c’è una via d’uscita da questo posto»
«Sì,» sospirò Alby «ma è molto difficile. Io e gli altri ragazzi con cui siamo rimasti prima siamo qui da due anni. Da due anni i Velocisti escono nel Labirinto, cercando un’uscita, cambiamenti nelle sequenze di spostamento e non abbiamo ancora trovato niente»
«Cambiamenti nelle sequenze di spostamento?»
«Sì. Ogni notte queste fessure, come quella che abbiamo di fronte, si chiudono e all’interno il Labirinto cambia. I muri si spostano; creano nuovi corridoi e ne chiudono di vecchi, creano nuovi modi per tornare alla Radura o per raggiungere le otto Sezioni in cui è diviso»
«Wow» dissi io stupita. Chiunque ci avesse messo qui, voleva fare in modo che trovare una via di fuga fosse difficilissimo. «Quanti sono i Velocisti?»
«Di solito escono in otto. Ognuno studia e mappa la propria Sezione e poi confronta i cambiamenti con i giorni precedenti» Alby fece una pausa. «Minho, il ragazzo che c’era prima. Lui è l’Intendente dei Velocisti. È il più veloce, il più sveglio, il più in gamba»
«Non sembri contento che lo sia però» osservai.
«Conosco Minho da due anni. Da quando hanno mandato me, lui e Newt qui. Mi ucciderei se gli succedesse qualcosa. Uscire nel Labirinto è estremamente pericoloso e se non riesci a tornare prima del tramonto è anche peggio...»
Era una trappola mortale. I Creatori ci avevano rinchiuso in una trappola mortale.
Ci furono alcuni attimi di silenzio prima che uno di noi dicesse qualcosa.
«Bene Maggie, è ora di cena, andiamo»
Arrivammo ai tavoli a cui erano seduti i Radurai, intenti a mangiare voracemente. Al tavolo a cui erano seduti Newt, Minho e Thomas erano stati tenuti due posti.
«Alby, venite qui!» gridò Newt con la bocca piena.
Ci sedemmo, io vicino a Newt e Alby vicino a Thomas. A tavola non parlai molto, stavo ripensando alla situazione di merda in cui eravamo. Fu Thomas ha distogliermi dai miei pensieri.
«Maggie?» chiese agitandomi una mano davanti.
«Ci sono» dissi guardandolo.
«A cosa stai pensando?» chiese Newt.
«Perché è così pericoloso il Labirinto? Immagino sia difficile capire come uscirvi, ma perché pericoloso? Alby poi ha anche detto che lo è ancora di più rimanerci di sera. Cosa significa?»
I muri si erano già chiusi da qualche ora quando sentimmo dei lamenti spaventosi.
«Ecco perché» disse Minho tranquillo.
«Cos’erano?»
«Noi li chiamiamo Dolenti» disse il ragazzo. «Sono degli esseri enormi, davvero grandi, fatti soprattutto di metallo e ferro, ma anche con parti di carne umana, o animale perlomeno. Loro abitano il Labirinto e sono delle macchine da guerra. Vogliono ucciderti, nient’altro»
Penso mi cadde la mascella per lo stupore, infatti Newt mi disse: «Io chiuderei la bocca, ci sono molte mosche qui»
Con un timido sorriso mi rimisi a posto.
«Quindi non soltanto non sappiamo quale sia la giusta strada per andarsene, ma si rischia anche di essere sbranati da quei... cosi. Dolenti... è uno schifo!» ammisi.
«Bella, intelligente e sveglia. Potevamo chiedere di più?» disse Newt passandomi un braccio intorno alla spalla.
I suoi tre amici annuirono sorridendo.
Mi piacevano quei ragazzi, sembravano sinceramente disposti ad aiutarmi ad ambientare. Erano simpatici. Almeno qualcosa di positivo in quella situazione da schifo l’avevo trovata.
Era meglio di niente.

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Capitolo 3
*** Chapter 3 ***


CIAO CIAO! ECCO IL TERZO CAPITOLO ;) SE FOSSE STATO POCO CHIARO, I FRAMMENTI DI RACCONTO SONO ALTERNATI TRA MINHO E MAGGIE, E SONO INDICATI DAI GIORNI. SPERO CHE VI PIACCIA LA STORIA, FATEMI SAPERE COSA NE PENSATE, MI PIACEREBBE MOLTO.
BUONA LETTURA :*
3
Giorno 751 ca.
Il mio orologio squittì alle sette.  Mi rigirai tra le coperte accartocciate del mio sacco a pelo. Mi stropicciai gli occhi e sbadigliai.
«In piedi, pive. Andiamo nel Labirinto» scrollai Thomas, ancora addormentato.
«Ancora cinque minuti» disse mettendosi la testa sotto il cuscino, come se avesse potuto fermarmi.
«Amico, non so come ti sei abituato a dormire con Chuck, ma con me i “cinque minuti” non esistono. Alza quelle tue chiappe del caspio e svegliati» 
Si mise seduto guardandomi scocciato e fece un grande sbadiglio.
Poco dopo stavamo camminando verso la cucina, per racimolare un po’ di provviste da portare nel Labirinto.
«Buon giorno Frypan» dissi sbadigliando.
«Ciao pive, volete le provviste?» disse il cuoco armeggiando tra i fornelli.
«Grazie» disse Thomas.
Frypan scomparve per un attimo nella cucina, e ritornò subito dopo con un paio di buste contenenti snek e pasti per la giornata.
Io e Thomas eravamo pronti ad entrare nel Labirinto, di nuovo. Da quando Thomas era venuto a salvare me e Alby dai Dolenti, il mese prima, lo avevamo nominato Velocista.        
Eravamo di fronte all’entrata, stavamo aspettando che le porte si aprissero.
«Minho! Thomas!» da lontano si avvicinava correndo Maggie. Indossava una mia camicia azzurra che la rendeva ancora più piccola di quello che era, ma le donava.
«Maggie» disse Thomas avvicinandosi a lei.
«Ehm... volevo chiedervi una cosa» disse tentennando.
«Dicci» le dissi incrociando le braccia.
«Quando potrò provare a diventare Velocista?»
«Non so, quante postazioni hai provato ieri?»
«Macello, cucina, Medicali e FacceMorte» disse tirandosi su le maniche ingombranti.
«Maggie non lo so» dissi io.
«Già. Bisogna avere della volontà per restarci una giornata intera. Devi avere due polmoni che, cacchio, devono essere perfetti. E una buona resistenza, soprattutto nelle gambe. E una ragazza non è mai entrata là dentro. Può essere pericoloso» aggiunse Thomas.
«Andiamo ragazzi. Fare la Velocista è l’unica cosa che mi attiri tra le postazioni. Fatemi almeno provare»
«D’accordo, ne parlerò con Newt e Alby» dissi serrando la mascella.
Un forte tonfo interruppe la nostra conversazione e le porte iniziarono ad aprirsi. Io e Thomas guardammo Maggie.
«Ci si vede dopo Maggie» disse Thomas.
«Siate raggianti» disse lei.
Poi io e Thomas scomparimmo tra i muri di pietra.
 
Giorno 752 ca.
La mattina del giorno seguente Thomas mi svegliò prima dell’orario prestabilito.
«Amico, che hai? È ancora presto»
«Sì, ma abbiamo detto a Maggie che avremmo parlato con Alby e Newt per farle provare la postazione. Se vogliamo entrare quando si aprono le porte dobbiamo parlare con i ragazzi adesso»
Mi girai contrariato nel letto. Avevo sentito dire che le ragazze erano delle rompiscatole...
«Okay» dissi mettendomi in piedi. «Andiamo»
Newt e Alby erano seduti su una delle panchine del parco Settentrionale.
«Guarda un po’ chi c’è» disse Newt accennando a noi.
«Ciao ragazzi» disse Thomas.
Mi sedetti di fianco a Newt e abbassai la testa sfregandomi le mani. «Sentite, dobbiamo chiedervi una cosa» esordii appoggiando un gomito allo schienale della panchina.
«Chiedi pure» mi disse Alby.
«Maggie ci ha chiesto se un giorno sarebbe potuta venire con noi nel Labirinto, e io volevo portarcela oggi. Credi si possa fare?»
Newt era titubante. Ci pensò un po’ prima di rispondere, al posto di Alby.
«Dovete fare molta, moltissima attenzione. Sennò vi spacchiamo quelle facce del caspio, sono stato chiaro?»
«Amico, stai parlando con l’intendete dei Velocisti, so come muovermi» dissi io.
«Si, si d’accordo. Vedete di sbrigarvi allora, perché le porte stanno per aprirsi»
Io e Thomas iniziammo a correre verso il dormitorio di Maggie. Stava dormendo profondamente quando io e lui arrivammo. Facemmo tutta l’attenzione, mettendoci la massima cautela per non fare rumore. Poi, una volta arrivati di fianco a lei, io a sinistra e Thomas a destra, iniziammo ad urlare: «Maggie!!!» finchè lei non si svegliò.
«Che cacchio state facendo?» chiese coprendosi gli occhi con le mani.
«Fagio, se vuoi venire nel Labirinto con noi, devi spagliarti» dissi.
«Dici sul serio?» all’improvviso Maggie diventò seria e ci guardò negli occhi.
Feci cenno di sì con la testa, con un mezzo sorriso.
«Forza, muoviamoci» disse Thomas lanciandole uno zaino con le provviste. Poco dopo le porte si erano aperte e noi eravamo a correre nel labirinto.
Maggie guardava le enormi mura che ci sovrastavano come fossero delle opere d’arte. Seguiva il passo mio e di Thomas a ritmo sostenuto, senza chiederci mai di fare una piccola pausa. Fu io ad esordire dicendo di fermarci per il pranzo. Regnava il silenzio, eravamo tutti molto concentrati a fagocitare il cibo. Quando Maggie finì la sua razione appoggiò la schiena ad uno dei muri.
«Da pazzi» disse guardandosi intorno.
«Cosa?» chiesi ingoiando l’ultimo boccone della mia razione.
«Che qualcuno sia così crudele da averci messo qua dentro»
«Si, beh, benvenuta nel club» disse Thomas appoggiandosi al muro.
«Ok pive, torniamo a casa» ogni volta che lo dicevo ad alta voce mi suonava strano. Ma era così: la Radura era casa nostra.
Mentre ripercorrevamo i corridoi al contrario notai che finalmente Maggie dava a vedere un po’ di fatica. Boccheggiava e di tanto in tanto si fermava, si metteva le mani sulle ginocchia e respirava profondamente.
«Okay, fermiamoci» dissi appoggiandomi al muro con tutto il corpo. «Stai bene Maggie?»
Lei annuì. «Sì, l’aria fa un po’ fatica ad entrare, ma è tutto a posto. È solo che c’è molto caldo»
«D’accordo, quando vuoi fermarti basta dirlo» poi ripresi a correre, seguito sia da Tom che da Maggie.
Rientrammo alla Radura un’ora prima che le porte si chiudessero, e ci avventammo sulle tavole imbandite di cibo.

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Capitolo 4
*** Chapter 4 ***


 
4
Giorno 7
Era passata una settimana dal mio arrivo alla Radura e avevo provato tutte le postazioni. Quel giorno mi avrebbero detto quale sarebbe stato il mio lavoro all’interno del Sistema. So che era pericoloso e tutto, ma speravo davvero di diventare Velocista. Si potevano studiare delle vie di fuga e in più sarei stata con Thomas e Minho ed erano davvero forti. Mi avrebbe fatto schifo lavorare con qualcuno di antipatico o, ancora peggio, che non spiaccicava parola. Invece con Thomas e Minho non correvo questo rischio, ne ero sicura. Quella mattina mi svegliai alle sette e, un po’ indolenzita, mi avviai verso la cucina per prendere la mia colazione.
«Buon giorno» disse Newt spuntando dietro di me nella fila. Newt era un altro dei pochi con cui sapevi che ti saresti divertito, anche lui era forte.
«Ciao Newt» replicai sbadigliando.
«Allora, oggi ti sarà assegnata una postazione, com’è?»
Entrambi avevamo preso i nostri vassoi e ci stavamo dirigendo verso un tavolo.
Una volta seduti dissi: «Sinceramente spero di diventare Velocista»
Sul volto di Newt si dipinse un sorriso. «Sei forte Maggie,» disse «ti ci vedo al fianco di Minho e Tommy»
«Ciao pive» la voce di Minho interruppe la nostra conversazione.
«Parlando del diavolo...» disse Newt sorridendo.
«Stavate parlando di me?» chiese Minho sedendosi con fare altezzoso.
«Si, ma non montarti la testa amico, non saprai mai cosa stavamo dicendo» disse Newt scherzando.
Io sorrisi. Sì, Minho, Newt e Thomas era senz’altro i miei preferiti. Poco dopo ci raggiunse anche Thomas, che si sedette vicino a me.
«Agitata? Oggi saprai qual è la tua postazione» disse tirandomi una gomitata.
«Già» dissi. In realtà ero davvero un po’ sotto pressione. Magari nessun Intendente mi avrebbe voluta al suo fianco, magari mi volevano più postazioni e mi avrebbero mandata in quella che mi faceva più schifo.
«Andiamo Tommy,» disse Minho alzandosi «le porte si stanno aprendo» indicò con un dito le porte Occidentali e poi se ne andò salutandoci con un cenno, lasciando me e Newt di nuovo da soli.
«Tranquilla Maggie, torneranno stasera» disse lui.
«Come?» chiesi soprapensiero.
«Li guardi come se non tornassero mai più. E poi non puoi negarlo, so che noi tre siamo i tuoi preferiti» disse con un sorriso smagliante.
«Ops, mi hai scoperta» alzai le spalle con un sorrisetto innocente. In effetti era brutto passare la giornata da sola quando, durante i pasti, con la loro compagnia mi trovavo così bene.
Durante la giornata girovagai un po’ tra i boschi e verso l’ora in cui si chiudevano le porte mi avvicinai ai muri. Avviandomi vidi che già un grande gruppo di Radurai era accerchiato di fronte al corridoio che portava nel Labirinto. Mi feci spazio tra i ragazzi e raggiunsi la prima fila, dove c’erano Newt, Alby, Gally e Chuck.
«Che succede?» chiesi riferita a Newt.
Fu Gally a rispondere. «Minho e Thomas» disse con voce dura.
«Cosa?» dissi.
«Sarebbero dovuti rientrare ore fa» disse poi Newt con più gentilezza, ma comunque spaventato.
Il panico iniziò a salirmi nel corpo, dallo stomaco alla gola. Il mio cuore iniziò a battere più velocemente. Ricordavo bene ciò che mi aveva detto Alby a proposito di rimanere una notte nel Labirinto. E mi ricordavo ciò che Minho mi aveva detto sui Dolenti.
«Beh, mandate qualcuno a cercarli» dissi sempre rivolta a Newt.
«Non si può» intervenne Alby. Il suo tono era freddo, distaccato. Il suo sguardo incollato sul corridoio.
«Minho non è così stupido da perdersi,» disse Gally alzando le braccia, quasi rassegnato «saranno sicuramente morti»
Morti.
«Adesso non diciamo stupidate, Gally» disse Newt rimproverandolo.
Avevo il cuore in gola. Non volevo credergli, ma Gally aveva ragione: Minho era troppo sveglio per perdersi.
Con un tonfo le pareti iniziarono lentamente a muoversi verso l’interno, rimpicciolendo sempre di più il corridoio.
«Oh no» disse Chuck dietro di me.
«Andiamo, dovremmo fare qualcosa!» gridai guardando i Radurai dietro di me. Alcuni di loro avevano già incominciato ad andarsene, a tornare ai loro lavori. Davvero questi ragazzi mollano così facilmente?, mi chiesi.
«Laggiù!» gridò un Raduraio che non conoscevo, puntando l’indice verso due puntini che si avvicinavano quanto più velocemente possibile.
La fessura che li separava da noi si faceva sempre più stretta ogni secondo che passava.
«Coraggio Minho!» gridavano alcuni.
«Potete farcela!» dicevano altri.
Ma nessuno di loro li stava aiutando per davvero. Guardai prima Newt e poi Alby, ma entrambi avevano lo sguardo fisso nella fessura, non riuscivano a vedere la paura che mi riempiva gli occhi.
Chuck, dietro di me, era in panico.
«Non ce la faranno, vero?» mi chiese prendendomi un braccio.
«Ce la faranno.» dissi «Devono farcela.»
Mentre la fessura si chiudeva sempre di più lasciai la mano di Chuck e mi voltai verso il Labirinto. Quell’enorme trappola che avevo attraversato al loro fianco. Al fianco di due degli unici tre ragazzi che mi facevano sentire “a casa” alla Radura. Al fianco di due Velocisti. Loro erano preparati su ciò che dovevano fare. Doveva essere successo qualcosa.
Solo quando furono un po’ più vicini riuscii a vederlo: Minho stava zoppicando. Per quello andavano così piano. Mi girai di nuovo verso Newt, in cerca di uno sguardo di conforto. Questa volta mi vide, ma in lui vidi solo ciò che riempiva gli occhi di tutti gli altri Radurai: paura.
Mi girai verso Chuck. «Ce la faranno» gli ripetei.
La fessura era davvero piccola. Uno spiffero. Ancora pochi secondi e le porte si sarebbero chiuse, fagocitando Minho e Thomas. Seguendo l’istinto mi buttai. Attraversai parte dello spiraglio. Newt cercò di fermarmi, tirando la camicia che, una settimana prima, proprio Minho mi disse di indossare.
«Maggie, no!» gridò con la voce tremante.
Mi liberai dalla sua presa e continuai la mia corsa tra le mura strette. Ancora pochi passi, e avrei raggiunto i miei due amici. So che loro sarebbero stati fottutamente arrabbiati con me, ma non potevo abbandonarli. Un Velocista non l’avrebbe fatto, e io sapevo di voler diventare come loro.
Eravamo almeno in venti là fuori, tutti fermi a gridare loro di tenere duro o a produrre versi di sorpresa e terrore. Ma dovevamo salvarli, e l’unico modo era agire praticamente. E anche se il mio non era esattamente un gesto pratico stavo agendo.
«Fermati!» di nuovo Newt.
Feci pochi altri passi e arrivai di fronte a Thomas e Minho. Le parole di Newt furono le ultime che sentii.
Poi le porte si chiusero alle mie spalle, segno che sarebbe iniziata la fine.

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Capitolo 5
*** Chapter 5 ***


5
Giorno 755 ca.
Appena prima che le porte si chiudessero, assicurando a me e a Thomas un'altra nottata in compagnia dei Dolenti, vidi una figura entrare nel Labirinto, e poi le pareti chiudersi alle sue spalle.
Era Maggie.
Io e Thomas ci scambiammo un sguardo incerto, poi ci avviammo verso la ragazza. La gamba mi faceva male, ma io e Tommy accelerammo il passo per raggiungerla.
«Maggie?» chiese Thomas senza fiato.
«Hai idea di che cosa hai fatto?» le chiesi in tono severo.
«Volevo aiutarvi» disse dispiaciuta.
«E come?» le chiesi gridando. «Non sei una Velocista. Almeno non lo sei ancora. Ma direi che la tua postazione sarà rimandata a domani. Sempre che sopravviviamo»
«Volevate nominarmi Velocista?» chiese.
Io e Thomas annuimmo.
«Volevamo» disse Thomas «Ma adesso è tutto da rivedere»
Sul suo volto si dipinse una scia di tristezza, scacciata poi dalla rottura del silenzio.
«Maggie, è un casino. Io te lo dico» le dissi. La mia voce era smorzata dal dolore, la gamba faceva davvero male.
«Sopravvivere una notte è un miracolo. Ma due è impossibile» disse Thomas.
«Aspetta, siete già stati qua fuori una notte?» chiese Maggie indicando il suolo con l’indice.
«Sì. Tommy ha fatto lo stesso gesto eroico che hai fatto tu. Identico, dico davvero. Fatta eccezione che Thomas ha molta più resistenza di te» volevo farle pesare la sua scelta. Non volevo accusarla, volevo solo renderla consapevole di cosa stava facendo. O meglio, di cosa aveva fatto, perché nessuno di noi sarebbe uscito prima della mattina successiva.
«Quindi è possibile fuggire dai Dolenti» disse avvicinandosi.
Io e Thomas annuimmo, ma sia io che lui sapevamo che era stato un colpo di fortuna. Magari una sera in cui i Dolenti erano particolarmente deboli o qualcosa del genere. Ma era risaputo che sfuggire a quelle macchine da guerra era difficile. Quasi impossibile.
«Cosa ti è successo alla gamba?» disse chinandosi su di me.
«A dire la verità non lo so. Io e Thomas abbiamo visto un Dolente e siamo scappati via. Forse mi sono graffiato con un ramo o mi ha graffiato un con artiglio. Vaffancaspio, non lo so, ma fa male»
Lei mi guardò la ferita e scoprì un grosso sbrago, che andava dal ginocchio fino alla caviglia, accerchiando il polpaccio destro.
«Ci serve qualcosa con cui fasciarla» disse fissando Thomas, come a dirgli di portargli una benda.
Lui accolse il segnale e frugò nello zaino. Vi trovò una benda che i Medicali riponevano sempre negli zaini di noi Velocisti e gliela portò.
«Hai dell’aceto?» disse a Thomas.
«Aceto?» chiesi io terrorizzato all’idea.
«Sì» annuì Thomas porgendole una bottiglietta piena di un liquido violaceo.
«Come sai che funzionerà?» chiesi guardandola.
«I Medicali me l’hanno detto quando ho provato la postazione. Mi hanno detto che mettono bende  e bottiglie d’aceto negli zaini dei Velocisti per le emergenze. E infatti...» mi agitò davanti la bottiglietta e l’aprì appoggiando il tappo per terra.
«Brucerà» mi disse seria.
Non aggiunse nessuna parola rassicurante. Non disse che avrebbe bruciato poco, o che avrei sentito una piccola bruciatura. Disse soltanto che avrebbe bruciato. 
Lentamente si chinò sulla mia gamba e inclinò la bottiglietta verso la ferita. Iniziai a gridare dal dolore quando il liquido mi sgorgò tra il sangue fresco, tra la pelle. Gridai. Un suono terrorizzante che partiva dalla gola e mi usciva dalla bocca.
«Okay,» disse Maggie «adesso ti fascio. È finito»
Era un disastro come Medicale. Mi rifece la fasciatura almeno tra volte prima che tutta la ferita fosse coperta dalla benda e prima che tenesse. Ma alla fine il lavoro era decente e riuscivo a camminare piuttosto bene, nonostante desse fastidio.
«Grazie» le dissi con un piccolo sorriso.
«Vedi? Se non fossi venuta, voi due non ci avreste pensato, e tu saresti morto dissanguato» ironicamente cercò di risolvere il problema che aveva creato aggiungendosi a noi.
«Bella battuta» dissi io ironico.
«Scusate,» lei tornò seria «non volevo crearvi ulteriori problemi»
«L’importante adesso è rimanere vivi» disse Thomas avvicinandosi.
«Bene, allora come facciamo?» chiese lei reggendosi in piedi e restituendo a Thomas bende e bottiglia.
«Dobbiamo continuare a muoverci» dissi mettendomi in piedi appoggiandomi alla parete che avevo dietro. «Se ci muoviamo, sarà più difficile essere localizzati»
Sopra di noi il cielo cominciava a scurire. Il sole veniva ingoiato dalle nuvole rossastre che riempivano lo sfondo azzurro chiaro. E in poco tempo fu buio, con l’unica Luna che garantiva uno spiraglio di luce.
Iniziammo a muoverci, facendo attenzione a rimanere comunque nei pressi dell’entrata Occidentale. La mattina successiva, qualsiasi cosa fosse successa, almeno uno di noi doveva varcare quella soglia. E sapevamo, sia io che Thomas, che la nostra priorità era che fosse Maggie quel qualcuno.
Correndo quanto più velocemente mi consentiva la gamba, scorrevamo tra i corridoi come fosse casa nostra, come se fosse la cosa più naturale di quel caspio di mondo. Mi costava ammetterlo a me stesso, ma avevo paura. Dentro di me si rimescolavano le idee che potessero sbranarci vivi, che io potessi morire, che Thomas si perdesse... ma la cosa che più mi faceva stare male era avere nelle mani la vita di Maggie e sapere di non poter essere certo di salvarla: la cosa che mi faceva più paura era che tra noi tre morisse proprio Maggie. L’unica ragazza, la fagiolina, quello che vi pare. Un grande amica, di questo ero sicuro. Senza che me ne resi conto il mio battito iniziò ad accelerare come a seguire il ritmo di una canzone dannatamente veloce.
«Okay. Fermiamoci un attimo» dissi appoggiandomi al muro e stringendo gli occhi per il dolore alla gamba.
Notai che Maggie faceva ancora fatica a respirare. Quasi a leggermi nel pensiero Thomas intervenne.
«Tutto a posto?»
«Ah–ah» disse prendendo grandi boccate d’aria.
Non mi sembrava che stesse bene, ma non mi sembrava nemmeno il caso di farla parlare troppo. Era la seconda volta che avevo davvero paura da quando avevo memoria. L’altra fu un mese prima, quando rimasi solo con Tommy nel Labirinto, di notte. Come a ricordare quella serata terrificante, un rumore metallico richiamò tutti e tre all’ordine. Thomas saltò in piedi, abbandonando la posizione fetale che aveva assunto per riposarsi; Maggie salì in piedi lentamente, appoggiandosi al muro alle sue spalle e rivolgendo uno sguardo spaventato verso il luogo dal quale proveniva il rumore. Io girai con uno scatto la testa e mi scambiai uno sguardo con Thomas. Entrambi conoscevamo fin troppo bene quel rumore. L’unico rumore che bisognava veramente temere nel Labirinto.
Era un Dolente. E si stava avvicinando a noi.

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Capitolo 6
*** Chapter 6 ***


Giorno 8
La mezzanotte era passata da un po’ quando i rumori si fecero sempre più costanti e vicini.
«Dobbiamo muoverci» disse Thomas aiutando Minho ad alzarsi.
Iniziammo a percorrere velocemente alcuni corridoi, svoltando velocemente per imboccarne di nuovi, in ogni caso cercando di rimanere vicini alla Radura. Girammo un corridoio ed era lì. Ci ritrovammo davanti un Dolente spaventosamente vicino.
«Correte!» la voce di Minho mi diede il via.
Iniziai a correre, seguendo i due Velocisti. Ripercorremmo al contrario i corridoi che poco prima stavamo attraversando con la massima cautela, velocemente e con noncuranza, senza nemmeno controllare se c’erano altre di quelle bestie feroci pronte ad attaccarci. Arrivati ad un bivio senza pensarci andai a sinistra, davanti a Minho e Thomas. Mi girai per guardarli, per dire loro di passare avanti. Ma non c’erano. Dietro di me c’era soltanto il vuoto e il rumore sempre più forte del Dolente che si avvicinava. O a me o a loro.
«Maggie!» gridò Minho. La sua voce rimbombò tra tutte le pareti.
Avrei voluto rispondergli, dirgli di tornare da me. E quando mi girai mettendo le mani intorno alla bocca, la voce mi si ruppe in gola: di fronte a me avevo il Dolente, che sembrava pronto per andare alla carica. Ricominciai a correre mentre le voci alternate di Thomas e Minho rimbombavano nel Labirinto. Mi sentivo in colpa per farli stare in pensiero, ma non avevo tempo di dirgli che stavo bene. Anche perché non stavo affatto bene. Quando mi girai, sembrava che il Dolente se ne fosse andato, forse ingannato da un’ombra di un altro corridoio. Feci di nuovo per rispondere ai miei due amici, che ogni volta che ripetevano una volta di più il mio nome, avevano la voce sempre più rotta e stanca.
Mi girai per dire loro dov’ero, ma il Dolente mi colpì da dietro. Si era nascosto. Si era dannatamente nascosto. Mi graffiò la schiena con un artiglio e poi se ne andò. Dalla mia bocca uscì soltanto un urlo. Il respiro si fece un’altra volta affannoso.


Giorno 756 ca.
«Maggie, dove caspio sei?» gridai.
Il suo grido era stato qualcosa di inumano. Il Dolente doveva averla presa.
Io e Tommy iniziammo a correre. Svoltammo una decina di corridoi prima di trovare il corpo di Maggie accasciato a terra.
«Maggie!» gridò Thomas correndo verso di lei.
Andando contro la resistenza fisica della mia gamba ferita, corsi alla mia solita velocità, raggiungendo il corpo prima di Thomas. Avvicinandomi vidi con immenso sollievo che gli occhi di Maggie erano aperti. Mi chinai su di lei prendendola tra le braccia e appoggiando il suo busto sulle mie ginocchia.
«Maggie» dissi con la voce rotta.
Aveva uno sbrago sul collo e respirava a fatica, come la prima volta che venne nel Labirinto.
«Maggie tieni duro» disse Tommy. Stava cercando nello zaino qualcos’altro che i Medicali avessero potuto mettervi per le emergenze.
I miei occhi si strinsero e, anche con mia sorpresa, mi scese una lacrima che mi graffiò la guancia e poi cadde su quella di Maggie. I suoi occhi si stavano chiudendo.
«Maggie andiamo, è finita ormai» dissi cercando di tenerla in vita.
Ma si chiusero definitivamente.
Guardai Thomas, e anche il suo viso era rigato dalle lacrime, gli occhi rossi e lucidi.
Maggie mi stava morendo tra le braccia. Ed era stata colpa mia. Io ero l’Intendente dei Velocisti. Avrei dovuto assicurarmi che stesse con noi e che non ci dividessimo. Invece lei aveva subìto ciò che non doveva assolutamente succedere. Io e Thomas ci eravamo promessi che lei sarebbe dovuta sopravvivere, qualsiasi cosa fosse successa.
«Respira?» chiese Thomas grattandosi la schiena nervoso.
Avvicinai il viso al suo petto e misi l’orecchio sulla parte sinistra. Il suo cuore batteva, e quando allontanai il volto da lei ebbi la prova che era ancora viva: il suo petto si alzava e si abbassava lentamente.
Annuii sorridendo. «È ancora viva» dissi sollevato.
«Okay. Ehm, okay. Dobbiamo prenderla in braccio e riportarla alle porte. Il Sole sta sorgendo» disse Tom.
Le porte si erano già aperte quando imboccammo il corridoio principale. La mia gamba soffriva a portare il peso di un corpo, ma si trattava di Maggie, lo facevo volentieri.
I Radurai erano riuniti fuori dal Labirinto.
«Li vedo!» gridò uno. Credo fosse Newt.
Arrivammo stremati al limite che separava la Radura da noi e lo superammo guardando tutti con un minimo cenno della testa.
«Che è successo?» chiese Newt preoccupato. Newt teneva a Maggie. Io, Tommy e Newt tenevamo molto a Maggie.
«È stata graffiata da un Dolente. Per fortuna non è stata punta, respira ancora, non subirà la Mutazione. Le basteranno delle bende» dissi distaccato.
«Medicali!» gridò Alby.
I ragazzi arrivarono subito. Presero Maggie con loro e la portarono in cura. Presto tutti quanti tornarono ai loro lavori. Sembrava che una volta essere sopravvissuti una notte con i Dolenti, quell’impresa perdesse la sua epicità, e coloro che ci riuscivano –anche due volte, se contiamo me e Thomas–  non fossero più considerati degli eroi. Uccidere dei Dolenti? Tutti in grado di farlo.
Rimanemmo io, Thomas, Alby e Newt.
«Spero che adesso la tua idea se ne sia finalmente andata da quella tua caspio di testa» mi sussurrò Alby riferendosi alla mia idea di nominare Maggie Velocista.
Mi limitai a scuotere la testa. Maggie voleva fare la Velocista. Io e Thomas volevamo che lei lo diventasse. Bisognava solo convincere gli altri Intendenti. Ce l’avrei fatta. Sì.
 
Giorno 9
 
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Giorno 758
«Minho!» la voce di Newt mi fece svegliare.
«Cosa c’è amico?» chiesi alzandomi.
«I Medicali hanno scoperto una cosa» disse guardandomi negli occhi. «Devi venire subito»
Non capivo perché fosse così serio. Nella sua voce c’era anche un tono paterno. Quando qualcuno ti dà la responsabilità di qualcos’altro o qualcun altro.
«Minho, eccoti» disse Chuck portandomi nalla zona di cura di Maggie.
«Che succede? Sta male?» chiesi preoccupato. Sembrava essere migliorata.
«Lei sta bene. Si dovrebbe svegliare oggi o domani. Ma abbiamo trovato qualcosa che potrebbe interessarti» disse uno dei Medicali.
Mi avvicinai al corpo di Maggie. I suoi capelli biondo miele le ricadevano sulle spalle, fino ad arrivarle sotto il petto. Rivolsi lo sguardo nel punto che indicava il dito del Medicale. Maggie aveva un tatuaggio, proprio sulla pancia, appena sotto al seno.
TRA UN MESE CAMBIERÀ TUTTO. MAGGIE DEVE RESTARE CON MINHO, QUALSIASI COSA ACCADA.
«Ne sai qualcosa?» mi chiese Alby spuntando dietro a Newt con le braccia incrociate.
«Assolutamente no» scossi la testa.
«Lo hanno scritto i Creatori» disse Newt «Assicurati che Maggie resti sempre con te. Facciamo quello che ci  dicono»
 

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Capitolo 7
*** Chapter 7 ***


7
Giorno 11
Mi svegliai con la luce del mattino che mi illuminava il viso. Vidi una figura un po’ grassottella sulla soglia.
«Chuck?» chiesi alzandomi sui gomiti.
«Maggie!» era sorpreso, lo avevo quasi spaventato. «Si è svegliata!» gridò.
«Quanto tempo sono rimasta qui?»
«Tre giorni e mezzo, quel Dolente ti ha conciato proprio per le feste» disse sorridendo paffutamente.
«Che stupida!» dissi con la voce tremante per il sonno.
«Perché?»
«Sono andata nel Labirinto contro le regole, con l’intenzione di aiutare Thomas e Minho, e invece gli ho causato solo altri problemi»
«A proposito di Minho...» disse Chuck imbarazzato.
«Cosa? Gli è successo qualcosa? L’hanno punto mentre ero in coma?»
«No, no. Lui sta bene. Alla grande direi, ma appena arriva deve dirti una cosa» disse.
In poco tempo la stanza si riempì di Radurai. Newt, Alby, Gally, Thomas, alcuni ragazzi con cui non avevo mai parlato, i Medicali e Minho.
Tutti mi guardavano fieri, sembravano sinceramente contenti di vedermi stare bene.
«Andiamo amico, diglielo» disse Newt tirando una gomitata a Minho.
Lui si avvicinò a me e mi tirò su la maglietta.
«Che stai facendo?» dissi allontanando la sua mano.
«Lascialo fare» disse Thomas.
Lo guardai dubbiosa, ma poi feci riavvicinare Minho prendendogli il polso e tirandolo verso di me. Aveva la mano piacevolmente calda.
Mi sollevò la maglietta e lesse ad alta voce: «Tra un mese cambierà tutto. Maggie deve restare con Minho, qualsiasi cosa accada»
Sul mio viso si dipinse di nuovo il dubbio.
«Cosa significa?» chiesi.
«L’hanno scritto i Creatori. Dobbiamo fare quello che ci dicono. Tu devi stare con Minho, si prenderà cura di te. Sembra che in qualche modo vi apparteniate o cose simili» disse Alby.
Il mio sguardo si spostò su Minho. Sembrava una bella cosa appartenere a qualcuno, ma qualcosa mi diceva che sarebbe successo qualcosa di brutto. Di davvero brutto. Lui però mi sorrise. Quel sorriso mi infuse fiducia. E notai che aveva davvero un sorriso bellissimo. Ricambiai annuendo.
«Bene così» disse Newt. «Oggi pomeriggio ci sarà l’Adunanza per la tua postazione»
Quel pomeriggio in Adunanza, gli Intendenti erano seduti in cerchio. Parlarono prima di cose che non mi riguardavano, come sondaggi sui pasti, i dormitori e cose del genere e poi, Alby, lo disse.
«Chi vuole Maggie alla propria postazione si alzi in piedi»
Avevo paura. Il cuore mi martellava nel petto, le mie mani sudavano.
Si mossero due sedie: quella di Minho e quella di Tim, un Medicale. Probabilmente gli avevano detto che avevo fasciato Minho nel Labirinto perché in postazione non avevo fatto un gran lavoro...
Alby si girò: «Wow. Due postazioni... beh, non credo che nominarla Velocista sia una grande idea, soprattutto dopo quello che è successo. Ma dobbiamo seguire le regole»
Non avevo idea di che cosa volesse dire. Magari mi avrebbero punito per ciò che avevo fatto, magari mi avrebbero tolto il posto da Velocista e nominata Medicale, non ne avevo davvero la più pallida idea.
«Da sempre, quando più di un Intendete vuole un pive al suo fianco, facciamo scegliere al pive la postazione. Quindi, Maggie, vuoi diventare Medicale oppure Velocista?»
Qualche giorno prima la risposta sarebbe stata ovvia. Ma adesso, a pronunciare quella parola mi sentivo riluttante. Magari avrei combinato altri casini. Ma magari il mio tatuaggio significava qualcosa che centrava  anche con la mia postazione, che sarei dovuta rimanere con Minho... seguii questa opzione.
«Velocista» affermai tremante.
Tim si sedette e Minho mi sorrise vittorioso.
«Bene» disse Alby, anche se sapevo che non gli piaceva l’idea. Ma se Tommy e Minho avessero pensato che fosse meglio che io non mettessi più piede nel Labirinto, Minho non si sarebbe alzato. Non avrebbe ancora creduto in me.
«Mi prendi in giro?» chiese Gally. «Dopo quello che è successo là dentro?» disse alzandosi in piedi.
«Sì. Se Minho la vuole con sé, così si farà. È meglio per tutti visto che anche il suo tatuaggio suggerisce questa soluzione. Quindi chiudi quella fottuta fogna e tieniti le tue lamentele per te una buona volta!» disse Alby.
«Ma va punita! Abbiamo punito Thomas quando è successo, perché non farlo anche con lei?» gridò rivolgendosi al capo dei ragazzi.
Davvero avevano punito Tommy? Allora avrebbero punito anche me, di certo. Mi avrebbero rinchiuso in Gattabuia per due giorni come minimo.
«Hai ragione, abbiamo punito Thomas. Ma lui non era mai entrato prima nel Labirinto e se non ci fosse stato Minho con lui, si sarebbe perso, adesso non sarebbe neanche con noi, sbranato da qualche Dolente. Invece Maggie era già entrata nel Labirinto una volta, sapeva come muoversi, come era costruito. Le sue intenzioni non erano altro che un’offerta d’aiuto, quindi non penso ci sia nulla da mettere in discussione. Maggie diventerà Velocista.»
«Ma...» Gally continuava ad insistere, e temevo che andando avanti avrebbe convinto Alby che avevo davvero fatto uno sbaglio ad entrate là dentro.
«Chiudi quella fogna!» gridò Newt e subito dopo si rivolse verso di me, con un sorriso.
«Posso finalmente dichiarare conclusa l’Adunanza» disse Alby «Grazie a tutti»
Man mano un fiume di Radurai uscì dalla sala in cui eravamo riuniti. Alby sembrava aver finalmente accettato l’idea di Minho. Sarei diventata una Velocista. La prima Velocista donna. Ero al settimo cielo, contenta di poter contribuire a trovare una via di fuga da quella prigione.
Fuori Gally si avvicinò a me.
«Ti tengo d’occhio» disse. «Te e i tuoi tre amici»
«Cosa succede?» disse Newt avvicinandosi a noi due, seguito da Thomas e Minho.
Fissai Gally, senza sapere se avessi dovuto confessare ciò che mi aveva appena detto o tenermi tutti per me.
«Le ho detto di fare attenzione» spiegò Gally.
«A cosa?» si intromise Minho con tono accusatorio.
«A me. Voi quattro insieme non mi piacete. Pensate troppo a essere amici e troppo poco a trovare un modo per fuggire. Vedete di svegliarvi e lavorare un po’ di più, non voglio passare qui un altro anno» disse arrabbiato.
«Senti amico, hai idea di quello che c’è là fuori?» Minho aveva sorpassato Newt e si era avvicinato a Gally, afferrandogli il colletto della maglia. «Vuoi diventare tu un Velocista? Ah già, dimenticavo, l’ultima volta che sei uscito nel Labirinto sei stato punto e sei sopravvissuto per miracolo. Quindi vedi di smetterla di accusare tutti e di pensare un po’ a te stesso»
«Già, pive. Non è colpa di Maggie se non troviamo una fuga» disse Thomas.
Minho intanto aveva lasciato la maglietta di Gally.
«Sarà, ma non voglio morire qui dentro» disse mettendosi a posto la maglia stropicciata.
«E non succederà, promesso» era Newt, sempre con il suo tono fiducioso.

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Capitolo 8
*** Chapter 8 ***


 
8
Giorno 762 ca.
«Andiamo Minho, alzati!» una voce ovattata. Credo fosse Thomas. «Vaffancaspio, non si sveglia!»
«Se gli urli addosso è peggio» una ragazza. Questa volta sono sicuro fosse Maggie.
Sentii il suo corpo avvicinarsi al mio, ancora in dormiveglia, e scuotermi leggermente. Poi il suo respiro sul mio orecchio e una folata calda d’aria: «Devi alzarti, Minho. Le porte si stanno aprendo» un sussurro.
Aprii leggermente gli occhi, spostando lo sguardo da Thomas a Maggie.
«Complimenti, hai svegliato il bell’addormentato» disse Thomas con un sorriso. Mi ricordavo di quella storia. O meglio, sapevo che esisteva una storia con quel titolo, ma non mi ricordavo i protagonisti o il racconto.
«D’accordo» la mia voce aveva un tono basso, quasi rauco. «Andiamo»
Passammo da Frypan a recuperare i pasti e appena le pareti si aprirono, attraversammo la soglia ed entrammo nel Labirinto. Quei corridoi che conoscevo fin troppo bene sembravano davvero casa mia.
Giorni da 763 a 786 ca.
Ogni giorno si ripeteva a stessa immagine: ci svegliavamo, facevamo colazione, prendevamo provviste, entravamo nel Labirinto, mappavamo, disegnavamo, studiavamo le sequenze di spostamento là dentro, uscivamo prima del tramonto, cenavamo, facevamo un po’ di casino intorno al fuoco e poi andavamo a letto. Io, Thomas, Maggie e alla Radura Newt. Mi sarebbe piaciuto che anche lui venisse con noi fuori dalla Radura, ma tutti sapevamo che non era possibile.
Thomas si rivelava ogni giorno più intelligente e cercava di trovare nuovi modi per uscire dal Labirinto.
Maggie correva, correva davvero tanto. Quando né io né Thomas avevamo abbastanza forze per percorrere un altro corridoio andava lei, rischiando tra l’altro un nuovo incontro con i Dolenti. Sembrava aver risolto quel suo problema con la respirazione, qualsiasi cosa fosse.
Ogni volta che la guardavo mi arrivava l’immagine del suo tatuaggio, doveva rimanere come me. Perché non con Thomas o Newt? Perché proprio con me?, mi chiedevo. Ma mi piaceva avere a che fare con lei, in qualche modo. Lei era stata in grado di unire me, Tommy e Newt e di farmi scoprire che non ero solo alla Radura, dovevo solo essere meno diffidente. Era un tipo solare, che faceva sempre sorridere e dava il massimo, alla Radura e fuori, nel Labirinto. Si offriva di fare cose che alcuni dei Radurai avrebbero rifiutato. Radurai maschi. Aveva coraggio, e in quel posto ne serviva tanto. L’unica cosa negativa che portava il forte legame tra noi quattro era che avevo la paura assurda di perderli. Pensando a quanto riuscivamo a sorridere un po’ più di quanto non avessimo fatto in due anni, pensando alle cose che Maggie aveva fatto per noi, subito mi balenavano nella mente le immagini di un mondo senza di loro. Questo non lo avrei retto.
Giorno 787 ca.
«Non è vero! Vi giuro, credo che Gally stia male, che abbia dei seri problemi!» diceva Thomas seduto al tavolo con me, Maggie, Newt e Chuck.
«Credo che l’unico con seri problemi qui sia tu, Tommy» replicò Maggie sorridendogli.
«Minho?» questo era Newt, all’improvviso tutti e quattro stavano fissando me.
«A cosa stai pensando?» chiese.
«Domani cambierà tutto» dissi «Domani sarà passato un mese da quando abbiamo trovato il suo tatuaggio» indicai Maggie.
Pensare a quel tatuaggio mi faceva automaticamente pensare a noi due. Eravamo qualcosa prima di perdere la memoria? Eravamo destinati ad essere qualcosa una volta usciti dal Labirinto?
«Cacchio, è vero» disse Chuck.
«A proposito di cambiamenti» disse Thomas. «Io e Maggie abbiamo pensato a una cosa ieri sera, e l’abbiamo testata oggi. Quando siamo usciti prima dal Labirinto abbiamo provato a confrontare le mappe ed è saltato fuori che per tutto questo tempo ci eravamo sbagliati» vidi Maggie annuire.
«Cosa significa?» chiesi.
«Per due anni avete confrontato le mappe delle stesse sezioni, ma non avete mai confrontato tutte le sezioni per intero» iniziò Maggie. «Abbiamo pensato che confrontandole complessivamente avremmo potuti raggiungere una conclusione più obbiettiva, ma non semplicemente guardandole. Non ci saremmo arrivati se non avessimo visto Frypan trasportare i fogli di carta oleata in cucina» il mio viso era un misto di curiosità e dubbi.
«Gliene abbiamo rubato un paio di fogli e abbiamo iniziato a seguire i percorsi tracciati dai Velocisti. Per ogni mappa saltava fuori una lettera!» continuò lei.
«Sì, all’inizio credevamo fosse una coincidenza, così abbiamo tracciato altri cinque percorsi e sempre nel centro della mappa saltava fuori una lettera» completò Thomas.
Ero stupefatto. Mi sentivo stupido e inutile. Per due anni avevo studiato quelle mappe e non mi era mai venuto in mente di confrontare più sezioni  tra loro.
«Wow, siete dei fottuti geni» commentò Chuck. Aveva ragione e sia io che Newt annuimmo alla sua osservazione.
«Che cosa avete trovato?» chiese Newt appoggiando i gomiti al tavolo.
«Poco per adesso, ma entro domani dobbiamo assicurarci che sia terminato il segnale o quel che è» disse Maggie.
«Sì, per via del tatuaggio. Se da domani cambierà tutto, magari quelle parole serviranno a qualcosa» disse Thomas.
«Bene così, mi occuperò personalmente di incaricare una decina di Radurai di controllare le mappe» disse Newt.
 ***
«Sai, ho paura» disse Maggie.
«Paura?» chiesi io.
Alcuni erano già andati a letto da un po’, in pochi erano rimasti svegli. Lei camminava avanti e indietro, io ero seduto su uno dei divani del casolare, con i gomiti appoggiati allo schienale. Dalle finestre si intravedevano le fiammelle del fuoco che illuminava i visi dei ragazzi all’esterno: Alby, Newt, Gally e pochi altri.
«Sì, beh, per domani» disse fermando la sua camminata nervosa. «Se il cambiamento fosse in peggio?»
«Peggio di così?» chiesi alzando le sopracciglia.
«Può essere! Magari ci uccideranno tutti» nel suo tono c’era un po’ d’ironia, non lo pensava davvero.
«Come siamo ottimisti» osservai ironico.
«A parte gli scherzi Minho. Potrebbe essere finita» disse sedendosi di fianco a me.
«O iniziata» dissi io.
Sul suo viso si dipinse il dubbio.
«Sì, magari da domani inizieremo una nuova vita, migliore di questa» mi chiarii. Lei sembrava essersi tranquillizzata un attimo e si rialzò cominciando di nuovo a camminare. Quella ragazza era un mistero, nervosa, divertente, faceva venire il mal di testa da quanto era complicata, ma senz’altro ti attirava. Attirava chiunque alla Radura, non solo per essere l’unica ragazza.
«In ogni caso rimani con me» dissi. Lei annuì.
«Non mi abbandonerai, vero?» chiese arrotolandosi una ciocca dei capelli biondi.
Io scossi la testa: «Mi prendi in giro?»
«Gally lo farebbe se dovesse salvarsi la vita» osservò lei.
«Sì,  ma io non sono Gally. Ti proteggerò a costo della mia vita» dissi.
Wow, l’ho detto davvero?, dissi tra me e me. Di sicuro non era mio solito dire quel tipo di cose. Ma così era scritto il suo tatuaggio, e così sarebbe stato.
Mi alzai dal divano e ci fu un momento in cui entrambi ci fissammo negli occhi. Inconsapevolmente, io mi stavo avvicinando a lei e lei a me. Lei scese i gradini che separavano il divano dal soggiorno appena di un piano sfalsato e inciampò nell’ultimo. Le afferrai la vita e lei intrecciò le mani intorno al mio collo. Ci guardammo di nuovo negli occhi e poi le nostre bocche si intrecciarono. Ci mordemmo le labbra e ci baciammo più e più volte, senza mai allontanarci. Lei mi tolse la maglietta bianca che avevo addosso scompigliandomi i capelli e io le rivolsi un sorriso, che venne ricambiato. La sua camicia aveva già qualche bottone sbottonato quando la voce di Gally ci fece allontanare. Proveniva da fuori, avemmo il tempo di risistemarci e sederci come se non fosse successo niente.
«A letto» disse spuntando dalla porta «Dobbiamo spegnere le luci» poi se ne andò.
 
Giorno 39
Io e Minho ci rivolgemmo un sorriso, di quelli tra le vere risate e un timido cenno. Poi andammo verso i sacco a pelo, che spostammo vicini e dormimmo accanto, senza fare niente di male.
Appoggiai soltanto la testa sul suo petto, che si alzava e abbassava a ritmo regolare. Sentivo il suo respiro e, con la mano che tenevo sotto l’orecchio, i suoi muscoli che seguivano l’andatura della respirazione. 

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Capitolo 9
*** Chapter 9 ***


9
Giorno 40
Sarebbe stato bello potersi godere ciò che c’era stato, sempre se non era stato un errore, tra me e Minho quel giorno, ma il pensiero fisso di ognuno dei Radurai era ciò che sarebbe accaduto.
Mi svegliai nella stessa posizione in cui mi ero addormentata, appoggiata al petto di Minho. Come era potuto succedere? Mi era piaciuto? Non avremmo dovuto farlo? Per quanto fosse strano, la cosa che mi spaventava di più era doverne riparlare con lui. Perché dovevamo riparlarne, lo sapevo.
Aprii gli occhi e li strizzai subito, guardandomi intorno. Non vidi nessuno di sveglio, a parte Thomas che ci fissava da una fessura del legno. Mi alzai istintivamente, come se fosse una cosa sbagliata, e forse lo era.
«Tommy?» chiesi strabuzzando gli occhi.
Lui scomparve dietro lo stipite della porta.
«Guarda che ti ho visto» dissi alzando le braccia.
Di fianco a me, intanto, Minho si stava svegliando. Thomas fece il suo ingresso nella stanza.
«Allora come va?» disse sfregandosi le mani. Capivo il suo nervosismo.
«Mh... bene» lanciai un’occhiata a Minho. Ero così confusa... perché stavo bene? Perché Minho ed io ci eravamo baciati? Sarei dovuta essere terrorizzata da ciò che la mente dei Creatori aveva in serbo per noi quel giorno. «Tu?»
«Nervoso» disse sedendosi di fianco a me nel sacco a pelo. Fece un cenno a Minho, che si rigirava nel letto. «Cos’è successo?»
Dovevo dirglielo? Non feci tempo ad aprire bocca.
«Maggie aveva freddo» disse Minho stiracchiandosi.
«E tu l’hai... scaldata?» chiese Thomas.
D’accordo, la conversazione si stava facendo ridicola, davvero.
«Si è stretta a me e siamo stati bene» disse sistemandosi i capelli.
Perché non voleva dire a Thomas che ci eravamo baciati? Forse aveva bevuto uno di quei beveroni di Frypan e non si ricordava niente. Forse non voleva che si sapesse. Forse per lui era sbagliato... non volevo saperlo in presenza di Thomas, così cambiai improvvisamente argomento.
«Io vado a fare colazione, venite?»
I due si misero in piedi e mi seguirono. Ci sedemmo al solito tavolo, con Newt e Chuck che ci avevano tenuto i posti.
«Buon giorno» disse Newt.
Non me la sentivo di parlare quella mattina. Non prima di sapere cosa pensava Minho di noi due. Gli feci un cenno.
«Puoi venire con me un attimo?» gli chiesi.
Con un’espressione incerta, annuì e mi seguì verso le panchine.
«Dobbiamo parlare di ieri sera» disse prima di me.
«Già, perché non hai detto a Thomas che... si ecco...» balbettai seduta su una delle panchine.
«Ci siamo baciati?»
Annuii.
«Perché è sbagliato, Maggie. Mi sarei dovuto fermare, ti avremmo dovuto dire che ci siamo impegnati per non... approfittarci di te»
Approfittarsi di me? Che cos’ero, un gioco?
«Approfittarvi di me» ripetei. «Come se fossi un caspio di oggetto» osservai incrociando le braccia.
«No, no, no. Hai capito male. Solo che qui ci sono... non sono tutti bravi ragazzi e non vogliamo che tu, essendo l’unica ragazza, venga maltrattata e cose così»
Che razza di senso aveva?
«Scusa, ma non ha senso»
«Lo so» disse.
Quel ragazzo era troppo, davvero troppo complicato.
«È che ho paura, Maggie. Non ho mai avuto una fidanzata, non che io mi ricordi almeno. Se sbagliassi tutto? Io ci tengo a te e se mi dovessi affezionare più di quanto non lo sia di già e dovesse accaderti qualcosa di brutto... non lo sopporterei e non voglio rinunciare alla nostra amicizia»
Aveva ragione. Avremmo rovinato tutto e ci saremmo affezionati più di quanto non lo fossimo.
«Hai ragione» ammisi. «Dobbiamo impegnarci a “stare a distanza”»
«Esatto» esclamò con troppo entusiasmo, forse contento che fossi d’accordo con lui. «Ma devi comunque starmi vicina, ricordati del tatuaggio» disse indicandomi la pancia.
Già, il tatuaggio... forse una volta finito quell’incubo, saremmo potuti essere noi stessi. Forse avremmo potuto evitare di rinunciarci.
«Già» istintivamente di toccai il punto in cui l’inchiostro rialzava di poco la pelle chiara, come un timbro.
«Andrà tutto bene. Quando tutto sarà finito sarà più facile» mi strinse la spalla. A volte credo che mi riuscisse a leggere nel pensiero.
Poi Minho si avvicinò a me e mi abbracciò, un abbraccio forte, in cui riuscii a sentire i suoi muscoli, il suo odore. Sapeva di sudore e del suo profumo. Sapeva di lui, sapeva di buono.
«Ragazzi» Newt si stava avvicinando e noi, istintivamente, ci allontanammo. Se doveva essere così, sarebbe stato lancinante, quasi insopportabile. Ma mi dicevo che era a buon fine, dovevamo solo terminare quell’avventura.
«Ciao Newt» dissi schiarendomi la voce.
«Cosa ci fate qui?» si sedette di fianco a me.
«Niente di ché» dissi guardando Minho che mi lanciò un’occhiata.
«Le porte si stanno aprendo» disse indicandole. «Mentre voi sarete nel Labirinto, i pive che ho scelto scopriranno il resto del codice»
Simultaneamente, io e Minho annuimmo. Forse tutte queste coincidenze erano una garanzia, un altro segno che stabiliva che eravamo destinati a essere qualcosa. Che nonostante in quel momento stessimo rinunciando l’uno all’altra, ci volevamo comunque bene e avremmo potuto aspettare la fine.
La fine. Chissà cosa significava.

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Capitolo 10
*** Chapter 10 ***


10
Giorno 788 ca.
Mi sarebbe piaciuto dire a Maggie che, in qualche modo, non era quello che volevo. Che il fatto che noi due fossimo un errore non era reale, ma mi tenni tutto dentro.
La giornata nel Labirinto non era diversa dalle altre, nonostante quel giorno sarebbe dovuto cambiare tutto. L’unica differenza era un silenzio più rumoroso del solito. Né io né Maggie parlavamo, l’unico che ogni tanto ci coinvolgeva era Thomas, che però, dopo un paio di risposte a monosillabe, ci rinunciò. Era chiaro che aveva capito che tra di noi era successo qualcosa, ma nessuno dei due aveva chiaro che cosa esattamente. Nessuno poteva spiegarglielo.
Dopo aver corso un paio d’ore, arrivammo in una sezione diversa. Io e Thomas stavamo parlando tra di noi del codice delle mappe.
«Shh» disse Maggie mettendomi l’indice sulle labbra, credo si sia subito pentita di averlo fatto, perché poi lo mise subito giù imbarazzata. «Lo sentite?» sussurrò.
Io e Thomas tendemmo le orecchie per sentire, ma l’unica cosa che riempì il silenzio erano i nostri respiri affannosi.
«Che cosa?» chiesi.
Il silenzio si fece di nuovo spazio e questa volta lo sentii. Un rumore metallico sempre più vicino. Dovevano essere una dozzina di Dolenti, che si avvicinavano alla Sezione.
«Che facciamo?» chiese Maggie in un sussurro.
«Andiamocene» affermai convinto.
Ci girammo contemporaneamente ma ciò che ci ritrovammo davanti fu un esercito di Dolenti. Erano tantissimi. Potevamo solo correre nella direzione della Sezione, e così facemmo. Iniziammo a percorrere metro dopo metro, con i muscoli che bruciavano. Poi Maggie, che era davanti a noi, si fermò di colpo e per poco io e Thomas non le finimmo addosso.
«Che c’è?» chiese Thomas.
Maggie indicò davanti a sé con il dito. Eravamo in un vicolo cieco, che finiva con una specie di apertura. Da fuori si poteva vedere che all’interno era tutto buio, ma la luce di un apparecchio illuminava il piccolo buco. Doveva essere un computer.
«Lo vedete?» chiese Thomas indicandolo. Io e Maggie annuimmo insieme.
«Fermi» disse lei. «Perché dovrebbe esserci un computer in un’apertura del genere?»
«Forse è un aggeggio per controllare le Scacertole e i Dolenti che usano i Creatori» disse Tommy.
«Forse.» dissi «O forse c’entra con il fatto che il Labirinto racchiuda delle parole... che sia una specie di codice»
«Esatto» disse Maggie indicandomi. «Il Labirinto è un codice. Le parole che abbiamo trovato, ne sono la prova. Forse sono una specie di password per accedere a quel computer o roba del genere...»
Stavamo per risponderle, ma l’arrivo sempre più imminente dei Dolenti ci interruppe. Venivano dritti verso di noi. Per andare dove? Era un vicolo cieco, con un’unica apertura, troppo piccola perché uno di quei mostri potesse passarvi attraverso.
«Dobbiamo andarcene» disse Thomas muovendosi sul posto.
«Di qua» disse Maggie indicando una rientranza del muro dietro la quale potevamo nasconderci. Ci schiacciammo uno contro l’altro, Maggie in mezzo. Sentivo il suo petto alzarsi e abbassarsi contro il mio, mentre Thomas era appoggiato con la schiena sulla sua.
Guardammo i Dolenti avvicinarsi sempre di più alla botola, per poi entrarvi senza nessun problema.
«Com’è possibile?» chiese Thomas liberandosi dalla posizione scomoda.
«Non ne ho idea, ma approfittiamone intanto che se ne sono andati. Dobbiamo tornare a casa» dissi una volta uscito dal nascondiglio.
Una volta ritornati alla Radura, ci avviammo velocemente verso i tavoli. Seduto al solito c’era Newt che ci aspettava in compagnia di Chuck. Il ragazzino continuava a parlare, ma Newt fissava noi avvicinarci, con aria seria, ogni tanto annuendo per fingere di ascoltarlo.
«Ciao ragazzi» disse con entusiasmo Chuck voltandosi verso di noi. Guardarci da lontano doveva sembrare quasi come vedere le scene a rallentatore dei film d’azione, dove i protagonisti camminano in riga. Avevamo il vento che ci spostava i capelli, un’andatura lenta e posata; Maggie al centro con me e Thomas ai lati. Ridicolo che ridicolo che mi fossero venuti in mente i film d’azione, ma non mi venisse in mente neanche un titolo o la trama di quelli che avevo visto...
«Ciao Chuck» lo salutò Maggie sedendosi accanto a lui. Gli scompigliò i capelli e appoggiò stanca le braccia sul tavolo.
Sentire la sua voce, dopo aver passato insieme a lei un giorno di silenzio, era strano.
«Hanno trovato questo» Newt fissò tutti e tre, facendo scivolare sul tavolo un pezzo di carta. «Ma non ha senso. Abbiamo provato e riprovato a scambiare l’ordine delle parole ma non viene fuori una frase che possa dirci come uscire»
Sul foglio erano scarabocchiate sei parole che effettivamente non avevano senso, ma se era come pensavamo allora potevano risultarci molto utili comunque. 
Raccontammo a Newt, e anche a Chuck, della strana scoperta che avevamo fatto quel giorno sulla tana dei Dolenti.
«Allora proviamoci» disse imboccando una forchettata di spaghetti. «Troviamo il momento buono per entrare nel Labirinto e digitiamo le parole al computer, voglio andarmene da questo posto»
Sembravamo tutti d’accordo con la decisione di Newt, così ci dirigemmo tutti a dormire dopo cena.
Mi avviai verso il mio sacco a pelo e notai che quello di Maggie non c’era più. Mi guardai intorno ma vidi solo ragazzi che russavano beatamente, così uscii dal casolare, e riconobbi due figure in lontananza. Newt e Maggie erano davanti alle mura. Dovevano essere pochi degli unici ancora svegli, quella sera. Non capivo perché fossero lì e nel buio era indecifrabile capire se c’era qualcosa davanti a loro.
Solamente quando fummo tutti e tre in fila, senza esserci prima rivolti parola, me ne resi conto.
Io e Newt ci scambiammo un sguardo preoccupato, superando la figura di Maggie.
Le porte non si erano chiuse.

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Capitolo 11
*** Chapter 11 ***


11
Giorno 41
Ciò significava che i Dolenti sarebbero potuti venire a prenderci in qualsiasi momento.
«Dobbiamo andare al Casolare» esordì Newt dando le spalle al corridoio.
Sia io che Minho eravamo d’accordo. Dovevamo metterci al sicuro.
Quando entrammo tutti stavano già dormendo, probabilmente non si erano accorti che le mura erano rimaste aperte. Nella sala comune non c’era spazio per dormire, così prendemmo i nostri sacco a pelo e andammo a dormire in una stanzetta che non era mai stata usata. Noi tre.
Minho e Newt stavano discutendo su ciò che era successo.
«L’avevano detto» intervenni io.
«Che cosa?» chiese Newt voltandosi verso di me.
Senza timore sollevai una parte della camicia di Minho e mostrai il tatuaggio.
«Sta cambiando tutto» precisai. «Ma forse non è una cosa così negativa»
«Ha ragione» disse Minho. «Adesso che le porte non si chiudono è il momento perfetto per immettere la password»
«Già!» Newt sembrava illuminato. «Se anche domani sera le porte resteranno aperte, andremo là fuori. Per stasera preoccupiamoci di sopravvivere» disse.
«Bene così» Minho si sdraiò poi nel suo sacco a pelo, seguito da Newt.
Il sonno non tardò ad arrivare. In poco tempo mi addormentai anche io.
«Maggie svegliati» un sussurro. Impossibile capire da chi provenisse dei due.
Quando aprii gli occhi vidi che era Minho, Newt invece era affacciato a una finestra, intento a guardare fuori. Ma non era ancora sorto il sole. La Radura galleggiava nel buio.
«Che succede?» chiesi mettendomi seduta.
«Sono qui» disse guardandomi negli occhi.
Non servì chiedere per sapere che stava parlando dei Dolenti. Fortunatamente eravamo tutti a dormire nel Casolare, ma sarebbero potuti venire a prenderci comunque. Mi girai istintivamente verso la porta in legno, che era già stata chiusa.
«Qui abbiamo poche possibilità che ci trovino» disse Newt girandosi verso di noi. «Dobbiamo fare molto silenzio e nasconderci, possibilmente vicini»
Mi scambiai uno sguardo con Minho. Avremmo dovuto stringerci l’un l’altro di nuovo, come nel Labirinto.
Newt indicò un angolo della stanza. «Quello è il punto più lontano dalla porta e dalla finestra. Minho, Maggie e poi io, okay?»
«Bene così» dissi.
Ci stringemmo man mano che potevo sentire i versi acuti dei Dolenti avvicinarsi. Il silenzio riempiva la stanza, ma dopo qualche minuto fu sferzato dalle grida. Grida spaventose che riempivano il vuoto. Versi meccanici e stridii che rendevano quell’insieme inquietante e fastidioso. Aspettammo qualche minuto assicurandoci che le bestie se ne fossero andate, e poi uscimmo dalla stanza.
La maggior parte dei Radurai era sana e salva, solo alcuni erano feriti, ma lievemente.
«Cos’è successo?» chiese Minho.
Fu Alby a rispondere, la voce profonda. «Hanno preso un Medicale. Si sono occupati di lui e se ne sono andati senza portare con loro nessun altro»
 
Il giorno seguente Minho, come intendente dei Velocisti, organizzò un’Adunanza, per parlare del piano che avevamo concepito la sera precedente, con Newt e Chuck, che quando venne nominato aprì la bocca in un sorriso a trentadue denti.
Raccontò ciò che avevamo scoperto, sulla tana e sul codice, ed espose il piano.
«Non saprei... è rischioso mandare là fuori tanta gente» disse infine Alby con sguardo pensieroso.
«Rischioso?! È un’idea del caspio!» aggiunse Gally guardando male Minho.
«Non credo proprio. È l’unico momento adatto per scappare adesso che le porte non si chiudono» disse poi Newt.
«Sentite, a me non importa chi viene là fuori, ma io voglio uscire da questo caspio di posto e vorrei fare uscire anche voi. Ma se non avete abbastanza fegato per seguirmi, beh peggio per voi! Ma io sono stufo di tutto qui dentro. È stato il nostro “regno” per due anni. Adesso me ne voglio trovare uno nuovo là fuori, nella vita reale» disse Minho alzandosi in piedi, le braccia possenti appoggiate sul tavolo di legno. «Quindi chiedo a quelli che stanotte vogliono scappare con me di alzarsi in piedi»
Newt si alzò per primo. Io, che ero seduta di fianco a Chuck, gli presi la mano e lo feci alzare con me. Poi si alzò Thomas e poi Frypan e poi un gruppo di tre ragazzi che non conoscevo, e poi tutti i Medicali e poi una dozzina di altri Radurai. Minho, a vedere tutto quell’appoggio, si aprii in un piccolo sorriso. Quel bellissimo sorriso.
Poi si avvicinò ad Alby. «Mi dispiace, capo, ma sta volta siamo noi a comandare» disse lanciando un’occhiata a Tom e Newt e, non vorrei essermi sbagliata, ma forse anche a me.
Alby stava scoppiando dalla rabbia, si vedeva. Per due anni i Radurai avevano seguito solo e soltanto i suoi ordini e adesso gli voltavano le spalle.
 
***
 
Arrivò la sera ed i preparativi per la grande fuga erano stati la priorità della giornata. Io, Thomas e Minho non andammo nel Labirinto quel giorno, ci preoccupammo di dare agli altri giuste indicazioni per il piano della notte.
E poi il momento arrivò. Un piccolo esercito di Radurai riunito davanti al Labirinto, per lasciarlo per sempre.
Entrammo a file e percorremmo i corridoi ad intervalli regolari, per dare a coloro che non erano abituati a correre il tempo di fare un bel respiro e ricominciare.
Gally ed Alby non avevano cambiato idea, ed erano rimasti alla Radura con un altro gruppo di ragazzi. Non facevo altro che pensare a cosa gli sarebbe successo. Se magari fossimo stati noi quelli ad avere torto.
In ogni caso arrivammo all’ultimo corridoio prima della tana, dove io, Newt e Thomas saremmo entrati per inserire il codice. Tenevo il biglietto con le parole stretto in mano, agitata. Sarebbe potuto succedere di tutto e la cosa peggiore era che sarebbero potuti morire i miei amici e non l’avrei sopportato.
«Sentite, qui non c’è tempo per le pause. Io, Thomas e Maggie entreremo nella tana e porteremo con noi anche Chuck. Voi combatterete se sarà necessario. Qui è sempre pieno di Dolenti» disse Newt.
«Non dovremmo fare una specie di discorso di incoraggiamento adesso?» chiese Minho con un po’ di ironia.
«Prego» disse Newt facendogli un cenno.
«State attenti. Non morite» disse Minho, ma nei suoi occhi, per la prima volta vedevo dolcezza e anche un po’ di tristezza.
«Fantastico, ora siamo tutti dannatamente ispirati» disse Newt.
Thomas cercò di trattenere una risata. «D’accordo, andiamo» disse poi lui con un sorriso di intesa.
Iniziammo a percorrere il corridoio e, con un brivido che mi percorse la schiena, iniziammo a sentire i Dolenti arrivare.
«Forza, accelerate, qui ce ne occupiamo noi» disse Minho mettendosi davanti a una delle bestie. Noi quattro iniziammo ad accelerare ma avevo paura per Minho. Era l’unico che conoscevo bene lì fuori a combattere, gli altri erano tutti con me. Il cuore mi iniziò a battere a un ritmo indicibile all’idea che potesse venire ferito o peggio...
Ucciso.
Quella parola mi rimbombava in testa, ma mi dovevo occupare del codice: eravamo davanti alla tana.
«Forza, forza, tutti dentro!» gridò Newt per sovrastare il rumore meccanico dei Dolenti.
Mentre scivolavamo nel buco buio si sentivano grida e stridii e pregavo con tutta me stessa che non stesse succedendo qualcosa di brutto a qualcuno che conoscevo.
Arrivati nella tana, l’unica luce che la illuminava era quella di un computer. Mi avvicinai con il foglietto in mano e iniziai a digitare le parole. Premetti il tasto invio  ma qualcosa non andava. La password non funzionava.
«Che succede?» chiese Thomas avvicinandosi.
«Non funziona» dissi reinserendo le parole.
«Sbrigatevi» disse Newt che controllava che non arrivassero dei Dolenti.
«Il pulsante!» gridò poi Chuck indicando un grosso bottone rosso. Avrebbe distrutto il Labirinto. Ora capivo. L’ultima parola del foglio era premi. Non bisognava digitarla, quanto premere fisicamente il pulsante. Reinserii le parole un’altra volta, ma alla penultima parola, un Dolente entrò nella tana.
«Thomas aiutami!» gridò Newt. Thomas lo raggiunse e io mi sbrigai a digitare l’ultima parola e a premere il bottone. Non avevo tempo per vedere come stava andando con la bestia.
Premetti il pulsante, e un forte botto diede il via a ciò che sarebbe stata la nostra libertà. Il Dolente di fermò automaticamente, lasciando liberi i miei due amici, che avevano qualche graffio ma che fortunatamente stavano bene. La stanza venne illuminata e rivelò un corridoio illuminato a malapena da qualche lampadina. Chuck non aveva niente, nemmeno un livido, ed ero grata che fosse andata così. Lo strinsi forte e poi andai da Newt e Thomas, che mi strinsero in un abbraccio.
«Andiamo» disse Newt. «Dobbiamo dire a quelli che rimangono di venire quaggiù»
Quelli che rimangono. Se Minho non fosse stato tra quelli? Il mio battito accelerò di nuovo, iniziai a correre verso il Labirinto per controllare che stessero tutti bene. Uscita vidi un gruppo di dieci o dodici Radurai che ci raggiungeva correndo, pieni di graffi e lividi. Alcuni di loro sanguinavano copiosamente. Cercai subito gli occhi a mandorla di Minho e dopo un primo momento d’ansia, lo trovai. Resistetti all’impulso di saltargli addosso e ringraziare dio che stesse bene e mi avviai con gli altri lungo il corridoio poco illuminato. Lo superammo velocemente e arrivammo in una stanza bianca.
Eravamo scappati dal Labirinto.

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Capitolo 12
*** Chapter 12 ***


12
Giorno 789 ca.
La stanza era illuminata da numerose luci al neon che costrinsero alcuni di noi a coprirsi gli occhi prima di abituarsi. Sul pavimento giacevano almeno cinque persone morte dissanguate.
«Wow» disse Thomas raggiungendomi. «Beh, ce l’abbiamo fatta!»
«Già, speriamo che sia finita qui» dissi.
Poi davanti a noi apparve una donna. Era una bionda di mezz’età, vestita con un camice bianco. Teneva le mani incrociate davanti a sé.
«Congratulazioni a tutti voi. Avete appena superato la Prova del Labirinto. Devo ammettere che sono notevolmente sorpresa. Non ci aspettavamo che riusciste in così tanti» disse. Spostò gli occhi su ognuno di noi, fermandosi su Chuck per qualche istante in più. «Quindici. Davvero non ci aspettavamo un successo del genere» si voltò verso una porta, da cui entrò un ragazzo incappucciato, e gli fece segno di avvicinarsi. Arrivato di fianco a lei, si tolse il cappuccio.
Ciò che vedemmo ci lasciò senza parole.
Era Gally, come poteva essere?
«Ciao ragazzi» disse. Maggie si avvicinò a me e mi indicò la mano di Gally. Tra le nocche bianche teneva stretto un pugnale.
«Sei sveglia signorina» disse la donna. «Pensavamo di riuscire a nasconderlo per un po’ più di tempo...»
Maggie rimase zitta. Fui io a parlare. «Cosa ci fai qui, Gally?»
«Abbiamo deciso di cambiare le carte in tavola» rispose la donna facendo un cenno a Gally. Subito lui alzò il pugnale e lo lanciò. Questo fendette l’aria, roteando su sé stesso. Arrivai soltanto dopo a capire che lo stava lanciando nella direzione di Thomas. Impugnai la lancia che avevo in mano e la lanciai contro di lui, che cadde a terra sofferente. Poi mi girai verso Thomas, che stava bene.
«Thomas» era Chuck. «C’è un piccolo problema»
Ci girammo tutti verso il ragazzino. Al centro del petto aveva il pugnale e una macchia di sangue che andava espandendosi.
«Chuck» Maggie sussurrò a malapena, ma tutti la sentimmo. La voce spezzata.
«Chuck, guardami, sono io Thomas. Devi... devi resistere, okay? Tra poco arriveranno ad aiutarti» teneva in grembo il corpo di Chuck, ormai senza vita.
Riuscì a dire soltanto una cosa. «Trova i miei genitori» poi i suoi occhietti si chiusero e involontariamente le lacrime iniziarono a rigarmi il viso, quasi copiose.
«Siete dei mostri! Cosa caspio vuol dire che avete cambiato le carte in tavola?» gli urlò contro Newt. La donna, senza dire nient’altro se ne andò facendo entrare delle persone vestite di nero e armate. Ci spiegarono che era tutto finito, che ci stavano portando in un posto sicuro. Speravo soltanto che fosse davvero così.
 
Sul pullman che prendemmo Thomas e Newt si sedettero di fianco a me. Nel pullman regnò il silenzio per almeno due ore e passò un po' di tempo prima che qualcuno dicesse qualcosa.
Eravamo sconvolti da ciò che le menti malvagie di quelle persone avevano progettato.
Fu Newt a rompere il silenzio: «Wow» disse.
«Cosa amico?» chiesi.
«Neanche un abbraccio, niente di niente. Neanche un po’ di gratitudine perché siete entrambi vivi» disse indicando Maggie con un cenno.
«Di che cosa stai parlando? Non mi sembra l’argomento più adatto da affrontare in questo momento»
«Amico, sappiamo che è successo qualcosa alla Radura, e sappiamo che dovremmo tutti piangerci addosso in questo momento. Ma è per pensare a qualcos’altro. Qualcosa che non c’entri con queste teste di caspio» disse Thomas.
«Bene, cosa volete sapere?» chiesi appoggiandomi allo schienale del sedile.
«Che cosa sta succedendo tra di voi» disse Newt.
«Potremmo esserci baciati, per sbaglio» sottolineai.
«E adesso mi dirai che hai anche ucciso Gally, per sbaglio, non è così?» chiese Thomas.
«Ok, forse volevo baciarla, ma poi ho subito chiarito. Non potevamo punto»
Entrambi annuirono scambiandosi uno sguardo.
«È per quella specie di patto del caspio che abbiamo fatto quando è arrivata?» disse Thomas. Io annuii.
«Amico, tu hai la testa rincaspiata! L’abbiamo fatto per quei pive del caspio che erano interessati a lei solo perché... è una ragazza. Ma sappiamo che tu sei un bravo pive. Che sei responsabile. E anche che sei dannatamente testardo e impulsivo, ma le vuoi bene, come noi. Perciò se ti piace, vai e diglielo» disse Newt.
«Ma ho paura di perderla» dissi andando contro il mio orgoglio.
«Già, beh. Impegnati per fare in modo che sia al sicuro, no? Non deve rimanere con te qualunque cosa accada?» chiese Thomas. Io annuii poco convinto.
«Non dare le persone per scontate, Minho. Sono convinto che questa vita del caspio sia una specie di asta e, prima o poi, qualcuno che farà un’offerta più alta della tua, te la porterà via» disse Newt stringendomi la spalla e guardando di nuovo Maggie. Prima che potessi ribattere il pullman si arrestò e le persone che prima ci avevano salvati ci fecero scendere velocemente.
Entrammo in un edifico grande e spazioso, con camere da letto e sala da pranzo. Ci diedero dei vestiti nuovi e ci fecero fare la doccia. I letti erano un po’ matrimoniali e un po’ a castello. Thomas e Newt si divisero quello a castello e “obbligarono” me a dormire con Maggie, e a parlarle.

Quando mi avvicinai lei era seduta al lungo tavolo da pranzo, che stavano imbandendo alcune persone.
Mi sedetti di fianco a lei, su una sedia in velluto rosso con i braccioli. «Ehi» dissi.
«Ehi» rispose sorpresa. «Cosa ci fai qui?»
«Devo parlarti» dissi. Lei si girò verso di me, in attesa.
«So che ti ho detto tutte quelle cose alla Radura, sul fatto che non potevamo essere una coppia e robe del genere. In parte l’ho fatto perché quando tu sei arrivata abbiamo fatto quel patto. Ma in parte te l’ho anche detto perché avevo paura che ti potesse succedere qualcosa e affezionandomi troppo a te, sarei stato male. Ma forse questo vuol dire che devo impegnarmi a proteggerti e ad amarti più di quanto le mia capacità mi permettano. Ma io tengo a te, Maggie. E so che anche tu provi qualcosa per me.»
Lei mi fissò. «Io non so cosa voglio, Minho. Non chiedo a nessuno di baciarmi tutte le mattine appena alzato e tutte le sere prima di andare a letto. Non chiedo a nessuno di abbracciarmi prima di sparire per un’ora e di camminare mano nella mano. Ma chiedo qualcuno che mi stia accanto. E tu sei... sei ciò che sogno possa stare al mio fianco. Nei momenti belli e in quelli brutti. Io ti voglio»
Ci guardammo per un istante che sembrò durare ore, poi le presi la mano e la strinsi.
«Io voglio starti accanto» dissi.
Lei mi sorrise. Quel suo solito sorriso che aveva conquistato tutti alla Radura.
Alla sera mangiammo come forsennati. Io di fianco a Maggie.
Lei ad un certo punto fissò sgranando gli occhi una delle finestre di fronte a lei, indicandola. Li fuori c’era una specie di zombie, che picchiava con la mano contro il vetro.
«Tranquilli» disse uno dei camerieri che portava il cibo. «Sono gli Spaccati, hanno l’Eruzione. Finché siamo qua dentro siamo al sicuro»
«Eruzione?» chiesi.
«È una malattia. Il loro cervello non funziona più una volta superata l’Andata. Arrivano a mangiarsi tra di loro» disse il giovane ragazzo.
Continuammo a fissare lo Spaccato che si allontanava dalla finestra, e poi andammo a letto. Maggie si stringeva a me per il freddo. Newt e Thomas che ci fissavano con un ghigno divertito. Ma sembrava tutto perfetto.
Sembrava. 

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Capitolo 13
*** Chapter 13 ***


13
Giorno 43
Il giorno dopo, Thomas e Newt si svegliarono prima di tutti gli altri. Poi fui io a svegliarmi, stretta a Minho e in seguito lui, che aprì gli occhi e mi sorrise. Mi piaceva il fatto che i suoi occhi diventassero ancora più stretti.
«Che cos’hai lì?» Minho mi abbassò leggermente la maglietta e credo di essere arrossita. Ma scoprì un nuovo tatuaggio. Questa volta c’era solo una parola, o meglio, un nome.

MINHO

Poi scritto in piccolo appena sopra il nome:

MAGGIE CODD, SOGGETTO A8, GRUPPO A

Io e lui ci guardammo. Fissai la sua spalla e vidi che anche lui ne aveva uno.

MINHO, SOGGETTO A7, GRUPPO A, IL LEADER

«Cacchio» disse Newt sgranando gli occhi. «Guarda se ne ho uno anche io» disse cercando senza successo di guardarci da solo. Thomas si avvicinò a lui e lo lesse. Newt era il Collante, cosa significava? In poco tempo i ragazzi che si alzavano, si leggevano i tatuaggi l’un l’altro.
«Ehi, Maggie» era Thomas, «Mi leggi il mio?»
Gli abbassai la camicia e lessi il tatuaggio. Ciò che vidi mi fece rabbrividire.
«Allora?» disse. «È così lungo?»
Non sapevo se dirglielo o meno, ma non potevo tenerlo all’oscuro... «Tom, qua c’è scritto che devi essere ucciso dal Gruppo B» dissi con la voce rotta.
Lui si girò sorpreso verso di me. Ma poi, Newt e Minho ci interruppero e lasciammo il discorso in sospeso.
«Andiamo a mangiare qualcosa?» chiese Newt dando una pacca sulla spalla a Thomas. Lui annuì assorto. L’unica cosa a cui riuscivo a pensare era sperare che quei tatuaggi non fossero del tutto veri.
In sala da pranzo non c’era ancora nessuno, a parte un uomo vestito di bianco, seduto dietro a una scrivania di legno che nemmeno avevo notato la notte precedente.
«Buon giorno» disse.
Noi quattro salutammo incerti e ci sedemmo al lungo tavolo in legno.
«Siete bei riposati? Perché non so tra quanto potrete avere di nuovo un sonno tranquillo» la stanza iniziava a riempirsi di ragazzi.
«Cosa significa?» chiese Thomas.
«Sono un impiegato della C.A.T.T.I.V.O. State per affrontare la Prova 2» disse controllando alcuni fogli sulla scrivania. Le Prove non erano finite? Quelle teste di caspio volevano torturarci di nuovo?
«La Prova 2 è l’unico modo per sopravvivere: dovrete passare entro due settimane la Zona Bruciata, 150 km verso nord, se volete saperlo. Alla fine di questa corsa, arriverete al porto sicuro. Lì avrete una cura» disse l’uomo. Sembrava molto alto, nonostante non fosse in piedi, e anche viscido. Sembrava quasi un ratto.
«Una cura? Per cosa?» chiese Minho.
«Già, non devono ancora avervelo detto. Siete malati, ragazzi, tutti quanti. Avete l’Eruzione, il virus che porta all’Andata e che vi trasforma in Spaccati. Per cui, se volete sopravvivere, dovete affrontare la seconda Prova»
Ci fu un insieme di commenti che riempirono all’unisono alla stanza, ma la voce dell’uomo richiamò tutti i ragazzi all’ordine.
«Zitti! Non vi serve sapere altro, se non che partirete tra un’ora. Preparatevi come credete» disse.
I ragazzi non poterono far altro che annuire in silenzio, finendo la colazione e fiondandosi nelle camere per raccogliere un po’ di roba che avrebbero portato con loro.
«Vi chiedo solo una cosa» esordì dopo un minuto di silenzio l’uomo. «Vorrei parlare con Minho» indicò Minho, di fianco a me. Lui si alzò incerto e si incamminò lentamente verso la scrivania.
 
Giorno 790 ca.
L’uomo mi indicò una sedia di fronte a lui e io mi sedetti.
«Perché vuoi parlare con me?»
«So che l’arrivo di Maggie ti ha... cambiato, Minho»
«Sì, beh è così» dissi appoggiando il viso alle mani incrociate.
«Ce ne siamo accorti grazie alle Scacertole. Ci siamo accorti che hai iniziato a provare sentimenti che non avevi mai provato da quando hai memoria. Ma per i risultati che ci servono questi sentimenti sono sbagliati. Stiamo studiando il vostro cervello, perché potreste garantirci una cura. Ma stiamo studiando i vostri impulsi perché si occupino di una sola persona: voi stessi. Non sono abituati alla sopravvivenza di due persone, e anche se si abituassero, non è il risultato che ci serve. Scombussolerebbe i risultati che abbiamo ottenuto dalla tua testa in questi due anni e rovinerebbe al progetto. Quindi devi rinunciare a lei. Almeno fino a quando non sarà tutto finito»
«E se non volessi farlo?» alzai le sopracciglia.
«La signorina Codd verrà allontanata da te, anche se va contro i piani» disse.
«Ma io non voglio!!!» gridai.
«Beh, non credi che sia un motivo in più per proteggerla durante la Prova?» gridò anche l’uomo, che si era alzato in piedi.
«D’accordo, ma... mi promettete che quando sarà tutto finito potremo fare quel caspio che vogliamo?» L’Uomo Ratto annuì. Il soprannome che gli aveva dato Newt gli si addiceva perfettamente.
«Bene così. Quindi suppongo che adesso sia il momento di dirglielo» annuì di nuovo mentre io mi alzavo dalla sedia.
«Ah, Minho» io mi girai. «Deve comunque rimanere con te. Qualunque cosa accada» questa volta annuii io.

Più tardi andai da Maggie sfregandomi le mani. «Posso parlarti?»
Lei mi prese per mano e mi porto sul nostro letto. Il nostro letto.
«Mi costringono Maggie...» dissi dispiaciuto.
«A fare cosa?» chiese sfiorandomi la mano.
«Non possiamo, almeno non fino alla fine. Non vogliono» le spiegai tutta la storia. Lei rimase a bocca aperta e dopo qualche minuto parlò.
«Okay» Disse alla fine. «Mi va bene così, dico sul serio. Ma se uno dei due non dovesse farcela, sappi che io tengo a te più di qualunque altra persona qui dentro, okay?» sembrava quasi un addio.
«Maggie, ce la faremo entrambi. Ricordati del tuo tatuaggio e di quello che ti ho detto alla Radura. Tu resterai con me e io farò di tutto per proteggerti. Per proteggerci » la guardai negli occhi.
Vidi che si sfiorava i tatuaggi. Io c’ero, in tutti e due.
«Ti posso abbracciare?» mi chiese dopo un po’. Io annuii.
Lei si strinse a me, stringendo la mia vita tra le sue braccia. Dopo qualche secondo, sentii che iniziò a sfregare un punto sotto al petto.
«Che stai facendo?» le chiesi.
«Levati la maglietta» disse seria.
«Maggie ti ho detto che non...» cercai di non ferirla. Ma non potevamo. Non prima di aver finito tutto.
«Ah, ma non per quello, stupido» disse con un mezzo sorriso. Allora feci ciò che mi disse. Appena mi tolsi la maglia, nel punto in cui lei aveva il primo tatuaggio trovato, ne vidi uno anche io. Questa volta con una sola parola, o meglio, un nome:

MAGGIE.

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Capitolo 14
*** Chapter 14 ***


14
Giorno 44
Anche lui aveva il mio nome tatuato.
Nella mia testa iniziarono a correre le immagini della Radura. Del Labirinto. Di quando mi ha salvata da morte certa. Di quando mi ha letto il tatuaggio sul petto. Di quando ci siamo baciati. Di quando siamo scappati. Di quando abbiamo dormito insieme e parlato, parlato di quanto fossimo disposti a dare tanto l’uno per l’altra senza potercelo dimostrare. Di quando mi ha detto che l’uomo, che lui chiamava Uomo Ratto, gli aveva detto che noi eravamo una cosa sbagliata, che avremmo soltanto rovinato gli esami. Di quando l’uomo ci ha detto che avremmo dovuto affrontare un’altra prova. Magari anche più pericolosa del Labirinto.
La Prova 2. Eravamo tutti preparati ad ogni evenienza. L’Uomo Ratto non ci volle dire di cosa si trattasse, ma ci disse che avremmo attraversato un Pass Verticale e saremmo arrivati alla Zona Bruciata. Avevamo sistemato i lenzuoli dei letti in modo che potessero contenere cibo e acqua almeno fino a quando non avremmo trovato un posto per fare rifornimento. I ragazzi che avevano il letto singolo portavano il loro fagotto, mentre quelli che avevano dormito nel letto matrimoniale avrebbero condiviso il fagotto con la persona con cui avevano dormito, per cui io l’avrei dovuto condividere con Minho. Era quasi ridicolo come noi due dovessimo stare così lontani fisicamente e finissimo sempre insieme per condividere letto o altro, davvero ridicolo.
«Siete pronti ragazzi?» chiese proprio lui una volta raggiunta l’entrata al Pass.
Un coro di teste ondularono avanti e indietro.
«Come ci muoviamo?» chiese un Raduraio di cui non conoscevo il nome.
Minho si girò verso Newt, in attesa di una risposta. «Hai la testa rincaspiata? Gli hai letti i tatuaggi?» gli chiese Newt indicandogli la spalla.
«Già, abbiamo letto tutti che sei tu il leader» gridò una voce nella stanza.
Minho la ignorò. «Andiamo amico, sappiamo tutti che qui dentro sei tu il capo. Non dire stupidate»
«A quanto pare no. E sai una cosa? Mi va bene così, mi fido di te» poi alzò il tono della voce e si rivolse a tutti nella stanza, forse perfino all’Uomo Ratto, «Noi ci fidiamo di te»
Minho sembrava ancora titubante, ma annuì lo stesso, cercando di infondere a noi Radurai la fiducia di cui avevamo bisogno.
«Allora, capo, come ci muoviamo?» chiese di nuovo il ragazzo.
Minho ci pensò un po’ su. «Okay» disse «Io e Maggie andiamo per primi. Subito dopo Newt, poi tutti gli altri. Thomas,» indicò il nostro amico «voglio che tu sia l’ultimo ad attraversare il Pass Verticale»
Thomas annuì, poi Minho continuò l’esposizione del piano.
«Ci muoveremo soltanto quando tutti avremo attraversato il Pass. Ricordate, non abbiamo molto tempo»
Finito di parlare, Minho si avvicinò a me e mi trascinò per un polso verso l’entrata. Quasi simultaneamente, l’Uomo Ratto si alzò dalla scrivania e si avvicinò a noi.
«Bene ragazzi. Il Pass si aprirà tra un minuto. Avete cinque minuti per attraversarlo. Da lì in avanti saprete cosa fare, vista l’abilità che avete dimostrato nel Labirinto. Ora, non posso far altro che augurarvi buona fortuna» strinse la spalla di un ragazzo in piedi di fianco a lui, riprese i fogli che aveva lasciato sulla scrivania e scomparve in direzione delle camere da letto.
Un minuto dopo, un forte squillo segnò l’inizio dei cinque minuti che ci avevano concesso.
Io e Minho ci guardammo negli occhi, credo tutti e due in cerca di uno sguardo di conforto. Ci odiavo entrambi quando lo facevamo. Sapevamo che ci faceva solo più male, ma puntualmente, quando avevamo bisogno di fiducia, io cercavo lui e lui cercava me. Dopo aver ottenuto lo sguardo che desideravo, mi prese la mano e mi trascinò con lui attraverso l’apertura. Durò qualche secondo, non di più.
Arrivammo in un tunnel illuminato ancora meno di quello che attraversammo per scappare dal Labirinto. Era quasi inglobato dall’oscurità.
«Maggie?» chiese Minho toccandomi.
«Ci sono» dissi prendendogli la mano. Appena accorta, gliela lasciai subito, sarebbe stata una tortura anche solo condividere il cibo del fagotto con lui, ne ero certa.
Fortunatamente l’arrivo di Newt ruppe il silenzio imbarazzante che si stava facendo spazio tra noi.
«Sani e salvi?» chiese appena arrivato.
«Sì, sani e salvi» disse Minho.
«Cacchio, qui dentro non si vede un caspio» disse cercando una torcia, con scarsi risultati.
In poco tempo i Radurai arrivarono uno dietro l’altro, Thomas a sottolineare che ce l’avevano fatta tutti.
«D’accordo» disse Minho. «Ci muoveremo come prima: io e Maggie davanti, Newt, voialtri e per ultimo Thomas. Cerchiamo di stare uniti e compatti, seguite sempre la persona che avete davanti a voi.» Sembrava già starsi abituando al suo nuovo ruolo di leader.
«Su, andiamo» disse poi rivolto a me. Iniziammo a camminare velocemente, tirando un sospiro di sollievo vedendo che il tunnel non si diramava in stradine secondarie.
 
«Guarda» dissi dopo qualche ora che camminavamo. Davanti a noi c’erano delle scale di ferro. Prendemmo a salirci e al vertice c’era una botola.
«Vado io» disse Minho lasciandomi il nostro fagotto, che fino ad allora aveva sempre portato lui. La sua figura muscolosa poi scomparve per metà all’interno della botola.
«È una specie di deserto» disse a me e a Newt rientrando. «Non c’è niente se non sabbia e caldo» disse facendosi aria agitando la camicia.
«Sentite» questa volta si rivolse a tutti. «Fuori c’è un deserto. Deve essere la Zona Bruciata. C’è molto caldo, la pelle vi brucerà appena metterete piede fuori se non vi riparate... dimezzate i fagotti. Mettetevi a coppie e usate uno dei due lenzuoli per coprirvi, nell’altro mettete cibo e acqua. Chi come me ha un solo lenzuolo matrimoniale, ne strappi una parte e la usi per riporci la roba da mangiare. Fate un bel respiro e preparatevi a correre»
Io iniziai a strappare il lenzuolo, facendo un disastro. Minho scese un paio di gradini che ci separavano e si chinò su di me. «Faccio io» disse con un pizzico d’ironia. Io non potei far altro che sorridergli e lui ricambiò il segno. Era così ingiusto avere davanti qualcuno che si desiderava con tutti sé stessi, ma non poterlo avere, davvero ingiusto.
Riusciti a coprirci entrambi e usciti tutti dalla botola iniziavamo la nostra corsa verso il porto sicuro, verso la cura per l’Eruzione, verso qualunque cosa ci avrebbe garantito una via di fuga da quella fottuta vita. Vita? Potevamo davvero definirla così? Costretti a rischiare la vita per trovare una cura che ci permettesse di rimanere in vita era ciò che sognavamo avremmo fatto da grandi? Da bambina, quando ancora avevo memoria, volevo questo per me? No, questa era una tortura, che i Creatori si divertivano a farci subire. Non sapevo niente di me in quel momento. Sapevo che stavo camminando in un deserto, con altre persone insieme alle quali ero riuscita a sopravvivere ad una macchina mortale, il Labirinto. Ero fianco a fianco con l’unica persona con cui mi sentivo di poter condividere i momenti più brutti e più belli della mia vita, non quelli che avrei potuto condividere con amici, come Newt o Thomas. Ma quelli che solo una persona sa farti vivere. E, come giusto che fosse in quel caspio di mondo, quella persona mi veniva allontanata, ma allo stesso tempo tenuta pericolosamente vicina, così magari quei pive avrebbero potuto studiare anche i miei impulsi alla poca resistenza che avevo quando si trattava di stare lontana da Minho.
 

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Capitolo 15
*** Chapter 15 ***


15
Giorno 792 ca.
La sabbia che sprofondava sotto i piedi rendeva ancora più difficile e faticoso camminare velocemente. Da aggiungere, c’erano un caldo a cui nessuno di noi era abituato e una tempesta in arrivo. Fortunatamente ci stavamo avvicinando alla città che il giorno prima aveva notato Thomas. I nuvoloni scorrevano in cielo veloci, colorando di grigio quello che fino a poco tempo prima era uno sfondo azzurro. Le nuvole che si avvicinavano correvano sempre più rapidamente.
Maggie, di fianco a me, stringeva nella mano un angolo del nostro lenzuolo, nervosa.
«Ehi, tutto a posto?» le chiesi stingendole la spalla.
«No, non sai cosa succede quando le nuvole si scontrano?» chiese quasi arrabbiata.
Soltanto dopo ricordai, lo imparammo alla Radura e prima, quando mi ricordavo ancora, a scuola. Se due nuvole si toccano creano elettricità, creano i fulmini.
«Cacchio» dissi quasi fermandomi e costringendo Maggie a rallentare. «Dobbiamo raggiungere un posto sicuro prima che la tempesta cominci» spostai il naso all’insù, per vedere quanto tempo ci rimaneva.
«Ci siamo quasi» disse Maggie indicando la città. Poi entrambi iniziammo ad accelerare ed in poco tempo anche gli altri pive ci seguirono mantenendo il passo.
D’un tratto, mentre correvamo, iniziai a pensare se quella città non presentasse un pericolo per noi, piuttosto che un rifugio: potrebbe essere stata piena zeppa di quelle teste di caspio degli Spaccati. Forse anche io un giorno sarei diventato uno Spaccato. Forse anche io, quando avessi visto un altro come me o un’altra persona sana, avrei avuto voglia di mangiarla, di ucciderla senza pietà. Forse anche io un giorno non sarei più riuscito a pensare lucidamente, cominciando a dire cose a vanvera, magari anche parlando da solo. E forse, anche io, avrei potuto smettere di provare sentimenti. Beh, non so se si potessero considerare davvero sentimenti i miei, alla Radura non avevo mai provato niente prima dell’arrivo di Maggie, e anche con lei mi costava ammettere che le volevo bene. Forse non provavo niente, o forse mi vergognavo soltanto di ammettere che avevo paura di perdere le persone a cui tenevo. Il pensiero che però la città presentasse una minaccia mi abbandonò, perché non potevamo rischiare di aggirarla senza provviste e con la tempesta in arrivo.
«Minho non ce la faremo prima della tempesta» disse Maggie dopo un po’ col respiro affannoso.
Fissai il nostro gruppo e poi la città. Eravamo troppo lontani, così potemmo solo sperare che i fulmini iniziassero a scendere quando noi fossimo già arrivati alla città. Purtroppo il nostro desiderio non si avverò e i fulmini iniziarono a scagliarsi spietati su di noi. Di fianco a me e a Maggie cadevano persone, ma non potevamo fermarci, era solo più rischioso. L’aria iniziò a farsi pesante e la polvere si alzò e ci circondò, tanto che si poteva vedere davanti a sé solo qualche metro. Correvamo forti, cercando di raggiungere la città. Credo che fossimo vicini ormai quando tutto si fece distante, lontano anni luce da me. La mia pelle iniziò a bruciare e mi buttai per terra. Iniziai a gridare con tutto il fiato che avevo, ma anche un urlo così forte sembrava distante da me. Un corpo si gettò sul mio, riuscii a vedere i capelli lunghi e biondi che mi cadevano sul viso, quindi capii che era Maggie. Iniziò a lanciarmi addosso tocchi di terra, aiutata da Newt e Thomas.
«Andiamo Minho, ti porto io» disse lei risistemandomi il lenzuolo in testa e avvolgendosi le spalle con il mio braccio. Capivo che faceva fatica a portarmi e così iniziai a spingere con le gambe e riuscimmo in qualche modo a raggiungere finalmente un edificio della città. Entrammo tutti velocemente, sperando che dentro non ci fossero altri problemi.
L’entrata era costituita da una porta di vetro rotta, con ancora alcune scaglie appuntite che si staccavano.
Entrammo tutti nella stanza grande, con alcuni divanetti e diversi corridoio che si diramavano all’interno.
«Ehi capo» disse un ragazzo. «Quand’è che ci dai da mangiare?»
Che cosa caspio aveva nella testa? Stavo per rispondergli quando Maggie mi precedette.
«Hai la testa rincaspiata? Stai scherzando?» disse aiutandomi a sedermi.
«Senti fagiolina, io non stavo parlando con te» disse il ragazzo, non mi ricordavo nemmeno il suo nome. Il ragazzo si fece grande e grosso e si avvicinò a Maggie che mi aveva lasciato il braccio.
«Hai visto in che condizioni è Minho? È stato appena colpito da un fulmine se non l’avessi notato, quindi chiudi quella tua fogna del caspio e datti una calmata. Mangeremo quando troveremo delle provviste e saremo tutti abbastanza in forze per cercarle, ti sta bene come risposta?» disse Maggie facendosi coraggio. Sapevo che non l’avrebbe mai fatto se non... se non si fosse trattato di me. Forse avrebbe tentato per Thomas o Newt, ma sapevo che aveva tutta quella grinta solo per me.
«E se non mi sta bene come risposta cosa mi fai?» chiese. Ora lui guardava Maggie dall’alto e da molto vicino, i loro petti si toccavano. Era un situazione orribile. Io non potevo fare altro che guardare, sdraiato dolorante su uno dei divani, mentre la ragazza con cui ero quasi andato a letto stava per essere pestata da un bulletto del caspio che aveva davanti al naso. Fortunatamente, con la coda dell’occhio, potevo  vedere che Newt era pronto per entrare in azione.
«Sono abbastanza pericolosa da farti sanguinare quella faccia del caspio»
No, non lo era.
«Adesso la faccio nera» disse il ragazzo rivolgendosi a James, uno dei Radurai.
Cacchio, non potevo rimanere lì, fermo. Mi alzai dolorante in piedi e mi avvicinai al ragazzo.
«Senti un po’, qual è il tuo problema?» dissi spintonandolo.
«Minho, no» disse Newt dietro di me, tirandomi per la spalla.
«No Newt, ce la faccio» dissi respingendolo.
«Il problema è che quella rincaspiata di ragazza che ti sei fatto crede di essere migliore di me» disse lasciando da parte Maggie e avvicinandosi a me. Ora lo scontro era alla pari. Entrambi maschi, alti e, sì, muscolosi. Le ferite facevano male, ma l’avrei sopportato pur di dare una lezione a quel pive.
La rabbia iniziava a ribollirmi dentro, aveva davvero detto “quella rincaspiata di ragazza che ti sei fatto”? Davvero gli altri Radurai credevano che fosse andata così? E soprattutto non poteva insultare Maggie.
«Sai lo credo anch’io» dissi alzando le spalle come fosse la cosa più naturale del mondo. Era così: Maggie era migliore di lui.
«Senti, devi smetterla amico, un capo così noi non lo vogliamo» disse.
«Okay, allora tu hai idea di dove poter trovare da mangiare? Beh perché se è così, puoi iniziare fin da subito a farci strada» dissi.
Il ragazzo si ammutolì facendosi più piccolo.
«Sì Minho, dai così!» gridò un ragazzo. In poco tutti fecero dei versi di assenso.
Volsi uno sguardo al ragazzo. Aveva i capelli rossi e un sacco di lentiggini in viso. Gli feci un cenno e poi mi rivolsi di nuovo al tipo spavaldo.
«Allora pive, credi ancora che non sia un buon leader?». Lui non rispose e fissò i ragazzi che ancora mostravano il loro appoggio.
«Immaginavo» dissi. «Comunque tutti abbiamo bisogno di cibo quindi adesso, ehm» mi guardai intorno «Maggie e Newt andranno a cercare qualcosa da metterci nello stomaco, giusto per rimanere una notte. Domani ce ne andremo verso le prime ore del giorno, non me ne frega un caspio se volete dormire»
«Bene così» disse Newt con le braccia incrociate, si avvicinò a Maggie che aveva gli occhi gonfi. Cos’era, aveva pianto? Per cosa? Aveva paura che mi riempisse di botte? «Andiamo» le disse Newt.
Prima che andassero a cercare da mangiare presi da parte Newt. Ci appartammo in un corridoietto pieno di porte verdi.
«Senti Newt, so che questo posto sembra essere abbastanza sicuro, ma non voglio che succeda niente a Maggie»
«Ma non ti avevano costretto a lasciarla?» chiese aggrottando le sopracciglia.
«Si, ma non voglio che le succeda niente in ogni caso» dissi.
Lui alzò le spalle e mi disse che ci sarebbe stato attento. Bene così, mi dissi, Newt è responsabile.

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Capitolo 16
*** Chapter 16 ***


16
Giorno 46
Io e Newt percorremmo uno dei tanti corridoi dell’edificio.
«Stavi andando fuori di testa con quel tizio, vero?» disse tirandomi una gomitata.
«Sì, come si è permesso?» dissi con tono squillante.
Percorrevamo i corridoi, sbirciando in ogni stanza per vedere se da qualche parte c’era una sorta di cucina o dispensa.
«Immagino ti dispiaccia che lo abbiano costretto a stare lontano da te» disse poi dopo un po’.
«Chi?» chiesi fingendo di non capire a che cosa alludesse.
«Dai Maggie, parlo di Minho»
«Sì è difficile» dissi senza entrare nei particolari. Sarei potuta rimanere a parlarne per tutta la notte se avessi incominciato. A partire dal fatto che non potevo stargli accanto nel modo che volevo io, lui mi attirava da morire. Non sapevo spiegarlo, ma ogni volta che eravamo vicini, il mio corpo desiderava essere accanto al suo, abbracciati. Desideravo sentire il suo profumo mentre le sue braccia mi stringevano, come quel giorno sulle panchine della Radura.
Si insinuò il silenzio tra me e Newt, solo le nostre scarpe, trascinate lungo il pavimento, riempivano il vuoto.
Alla terzultima stanza sulla sinistra, Newt mi fermò con un colpo sulla spalla. Indicò l’interno della stanza.
«Che cosa?» chiesi cercando di vedere meglio.
Lui si mise una mano sulle labbra a dirmi di fare silenzio. Mi spinse in avanti e li vidi. Un ragazzo e una ragazza, seduti ad un piccolo tavolino quadrato. Stavano parlando, ma appena mi sporsi in avanti per vedere di cosa si trattava il ragazzo smise di parlare e indicò la porta.
Newt allora mi tirò a sé, nascondendomi dietro l’angolo.
«Ehi, hermana, perché ti non fai vedere bene?» chiese il ragazzo con un forte accento ispanico.
Sentii i passi dei due avvicinarsi a noi e diedi una gomitata a Newt per dirgli di andarcene. Lui fece un cenno ed iniziammo a percorrere a passo svelto il corridoio. Mi voltai e vidi i due uscire dalla stanza e indicarci.
«Fermi lì» disse la ragazza. I capelli corti fino alle spalle, rasati da un lato, neri. Due occhi azzurri e profondi.
«Corri!» gridai a Newt dandogli un pugno sulla spalla. I nostri piedi iniziarono a battere contro il pavimento. Girammo un paio d’angoli e svoltammo di nuovo a destra. Eravamo convinti di averli seminati ormai, saremmo potuti scappare insieme agli altri, ma i due ragazzi ci sbarrarono la strada armati di coltello. Istintivamente iniziai a indietreggiare, ma poco dietro di me c’era un muro.
«Fregata» disse il ragazzo puntandomi il coltello.
«Cosa ci fate qui?» chiese la ragazza
«Ci hanno mandato quelli della C.A.T.T.I.V.O.» disse Newt.
«Siete da soli?» chiese sempre lei.
«Sì» disse Newt.
«Vi conviene non mentirci» disse il ragazzo guardandomi.
Io annuii con gli occhi sgranati.
«Maggie, Newt!» era Thomas. E aveva rovinato tutto.
«Bel tentativo, chicos» disse il ragazzo. «Adesso voi ci portate dai vostri amici» mi prese per un braccio e mi trattenne le mani appoggiandomi la punta del coltello sul collo. «Un passo falso e questo ti uccide» mi disse.
«Ehi amico, fai piano con lei» disse Newt.
«Tranquillo. Alla tua ragazza non succederà niente, sempre che non faccia la bambina cattiva» disse la ragazza facendo lo stesso con Newt.
Conducemmo lentamente i due ragazzi verso gli altri Radurai. La punta del coltello freddo mi pungeva sotto al collo, fissavo Newt in cerca d’appoggio, ma il suo sguardo era fisso sul corridoio. Entrammo nella stanza dov’erano gli altri.
Gli occhi di Minho e di Thomas si sgranarono. Minho si alzò lentamente e iniziò a gridare.
«Lasciala! Che caspio stai facendo?!» Thomas lo afferrò da dietro mentre cercava di avvicinarsi a noi. «Lasciami stare Thomas!!! E tu, faccia di caspio lasciala andare!!!» gridava mentre cercava di divincolarsi dalla stretta di Thomas.
Io lo guardai negli occhi e scossi la testa, a dirgli di smetterla. Mi accorsi dopo che le lacrime stavano iniziando a sgorgare lente, ma inesorabili. Lui mi fissò rinunciando a scappare da Thomas, che continuava a tenerlo stretto.
«Ehi bambolina, ferma con quella testa. Ti ricordo che hai un coltello sul collo» disse il ragazzo.
«Aah, chiudi quella bocca» disse Newt.
«Come volete» disse. Il coltello si infilò leggermente nella mia pelle. Piccole gocce di sangue rosso iniziarono a cadere sul pavimento.
«Io ti ammazzo!!!» riprese a gridare Minho.
«Chico, un’altra parola e la tua amica qui fa una brutta fine» disse il ragazzo.
«Provaci a farle qualcosa» disse con tono di sfida.
Il coltello cadde più in profondità e iniziò a bruciare.
«Per favore» sussurrai «fai quello che ti dice»
«Ascolta la tua amica» disse il ragazzo.
«Diteci chi siete» intervenne Thomas.
«Noi?» chiese la ragazza stupita.
«Beh, mi sembra che siate voi quelli in minoranza»
«Questa è casa nostra, parlate prima voi» disse sempre lei.
«Sì, sappiamo chi sono i vostri amici,  ma non voi. Forza, siamo tutti orecchi, hermanos» disse il ragazzo.
«D’accordo» si rassegnò Thomas che non aveva ancora lasciato Minho. «Mi chiamo Thomas e io e questi ragazzi siamo stati mandati qui dalla C.A.T.T.I.V.O., veniamo dal Labirinto» disse.
«Dimmi qualcosa che non so» disse sempre il ragazzo. «Tipo come si chiama il chico che tiene tanto alla vostra amica»
«Mi chiamo Minho» disse lui guardando il pavimento.
«E chi è il capo?» chiese.
«Sono io» Minho alzò lo sguardo per guardare Newt, che gli fece un cenno d’assenso. Su di lui allora si dipinse un ghigno soddisfatto. «Bene, adesso parlate voi» disse.
«Io mi chiamo Jorge» disse «E lei è Brenda»
Fece una pausa.
«E siamo degli Spaccati»
 
 
Ciaooo, rieccomi!
Come vi pare la storia? Sta andando avanti e apprezzerei davvero qualsiasi critica per migliorarla o apprezzamenti. Tutto è sempre ben accetto :*

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Capitolo 17
*** Chapter 17 ***


17
Giorno 790 ca.
Vidi Maggie strizzare gli occhi, spaventata. Due delle persone a cui tenevo di più erano nelle mani di due Spaccati, con due coltelli alla gola. Erano nelle mani di quei fuori di testa, che avrebbero potuto ucciderli da un momento all’altro. Solo quando Jorge ci disse che erano due di loro mi resi conto di quanto avevo messo in pericolo la vita di Maggie; solo quando capimmo che erano due Spaccati, capii che il prossimo passo falso sarebbe equivalso a uccidere lei o Newt.
«Cosa c’è? Vi abbiamo lasciato senza parole, chicos?» chiese Jorge con un ghigno sul viso.
Per quanto mi costasse ammetterlo, sì, ci avevano lasciato senza parole. Dovevamo trovare il modo di liberare Newt e Maggie.
«Come possiamo riavere i nostri amici?» chiese Thomas quasi leggendomi nel pensiero. «Non abbiamo soldi o cose così, ma abbiamo ancora un po’ di cibo. Potremmo darvelo in cambio di loro due» disse.
Jorge fece una risata piena di amarezza. «Credete davvero che un po’ di cibo vi farà riavere questi hermanos
«Già, siete piombati nel nostro territorio, ci avete spiato e minacciato. Non credo che qualche merendina possa bastare per farsi perdonare» aggiunse Brenda.
«Caspio, lasciateli andare!» gridai io alzando le braccia al cielo.
«Chico, tu non mi piaci» disse Jorge indicandomi.
«Ah si?» chiesi alzando le sopracciglia. «E cosa vorresti farmi?» il mio orgoglio stava avendo la meglio. Solo quando finii di parlare, mi resi conto che la vita di Maggie era nelle mani del ragazzo che stavo minacciando.
«Smettila Minho» disse Thomas.
«Ho un’idea» disse Jorge illuminandosi. «I vostri amici sono liberi» disse. «Solo se il ragazzo asiatico avrà una bella punizione. Di quelle in stile Spaccati»
Avevo paura di quello che mi avrebbero fatto, ma avrei accettato solo per liberare Maggie e Newt.
«Ci sto» dissi dopo un po’.
«Cosa? Stai scherzando?» chiese Thomas di fianco a me.
«Grandioso» disse Jorge lasciando Maggie e dicendo a Brenda di lasciare Newt con un segno.
Maggie si girò verso di lui: «Non lo ucciderete, vero?» chiese sfregandosi le mani segnate dalla corda stretta che le teneva ferma.
«No, hermana, sarà qualcosa di molto più divertente» disse sorridendo. «E ci servi anche tu»
«No amico, hai detto che sarebbe stata libera se io avessi avuto la mia punizione. Per cui lasciala andare» dissi.
«Tranquillo. A nessuno dei due succederà niente di male. Ma la tua amica va punita, ci stava spiando. Per cui la vostra non sarà una vera e propria punizione, quanto più una tortura» spiegò il ragazzo.
Mentre Jorge scompariva in una stanzetta dell’edificio insieme a Brenda, io mi avvicinai a Maggie. Aveva i segni rossi delle corde sulle mani. Le vene ingrossate che calcavano sulla pelle chiara, colorandola di viola scuro. Gli occhi verdi diventati rossi, scavati dalle lacrime, i capelli biondi spettinati.
«Prometto che non ti faranno niente» dissi stringendola per la vita. Eravamo pericolosamente vicini. Di nuovo. Lei annuì e subito dopo arrivarono i due ragazzi con in mano un calice per il vino.
«D’accordo. Il gioco è questo: io taglierò il polso di Minho in superficie. Il sangue dovrà riempire almeno un quarto del bicchiere; il compito della vostra amica Maggie sarà quello di bere il suo sangue. Dovrà bere tutto il bicchiere, oppure taglierò più in profondità. E credo che sappiate cosa succede se si tagliano i polsi in profondità, dico bene?»
Io e Maggie deglutimmo annuendo.
«Perfetto. Adesso io e Brenda andiamo a prendere un paio di bende. Non fate casini»
Mi avvicinai a Maggie, sentivo il suo respiro tiepido sulla maglietta. «Non devi farlo se non vuoi» le dissi.
«È okay» disse lei.
Dopo Thomas e Newt si avvicinarono a noi.
«Quelli hanno la testa rincaspiata» disse Newt. «Non volete farlo sul serio, vero?»
Non avemmo il tempo di rispondere che Brenda e Jorge spuntarono dalla porta della stanzetta.
«Ci siamo» disse Jorge con un ghigno.
«Ci siamo» ripeté Maggie in un sussurro.
 
Giorno 46
Jorge mi porse il calice e mi disse di reggerlo. Cercò nelle tasche dei pantaloni il coltello che aveva recuperato prima, e lo tirò fuori. La lama appuntita rifletté la pallida luce della lampadina che illuminava la stanza. I fili pendevano dal soffitto rovinato e macchiato dall’umidità. Ci soffiò sopra e poi guardò Minho con un ghigno. Gli afferrò con forza il polso e glielo girò.
«Vedi di non urlare come prima, hermano, non siamo gli unici Spaccati qui» disse.
Brenda, intanto, stava davanti agli altri ragazzi, con le braccia incrociate. Guardava attentamente il compagno, spostando ogni tanto lo sguardo su Minho o su di me.
Jorge impugnò violentemente il coltello e iniziò a farlo scendere sul polso di Minho. Si voltò verso di me e mi disse di tenere il calice sotto al braccio dell’asiatico. La punta fredda, più appuntita e profonda di quella del coltello che l’ispanico mi aveva puntato sul collo, affondò nella pelle olivastra di Minho, iniziando a far scorrere il sangue in una serie di linee irregolari. Le grida forti di Minho iniziarono a riempire la stanza e io mi girai dall’altra parte per non guardare. Mi immaginavo i suoi occhi sottili stringersi ancora di più per il dolore e l’altra mano stringere parte della camicia sporca.
«Silenzio, ho detto.» disse Jorge «Se quelli ci sentono siamo tutti morti»
Minho cercò di soffocare le grida e dopo si sentirono solo stridii silenziosi.
«Scusa, ma anche voi siete degli Spaccati, perché dovrebbero uccidervi?» chiese Thomas dietro di me. Io ero ancora voltata, fissavo un angolo del pavimento dove la polvere si era accumulata con gli anni.
«Non capite, loro sono molto oltre l’Andata, tra poco saranno completamente fuori di testa e si uccideranno tra loro. Sono molto più pericolosi di quanto non lo siamo noi» si intromise Brenda iniziando a camminare avanti e indietro per la stanza, come quelle guardie davvero toste. Gli stivali con le borchie producevano un rumore metallico ad ogni passo e il tacco creava un ritmo regolare.
«L’Andata?» chiesi io girandomi verso la ragazza. Ricordavo che ne aveva parlato uno dei camerieri dell’edificio dove ci avevano portato dopo il Labirinto, ma non sapevo cosa fosse.
Appena mi voltai vidi il sangue scendere lentamente nel bicchiere che tenevo in mano e gli occhi di Minho stretti come mi immaginavo.
«Sì, è il punto dal quale i sintomi dell’Eruzione iniziano a manifestarsi. Superi quella e puoi darti per spacciato» spiegò interrompendo la sua passeggiata sul posto.
Io feci un cenno e mi voltai verso Minho. Lui aprì gli occhi e incrociò il mio sguardo. In quel momento desideravo baciarlo con ogni parte di me. Lui mi rivolse un sorriso forzato, e sulle sue guance si formarono quelle fossette che mi piacevano tanto.
Il bicchiere, poi, si riempì fino ad un quarto e Jorge si fece porgere le bende da Brenda. Io spostai Jorge con una spallata e gli porsi il bicchiere.
«Lasciatemi un attimo. Poi berrò» dissi, gli tolsi di mano le bende.
Lui mi guardò stupito e poi si scambiò un sguardo con la sua compagna.
Io mi chinai su Minho e iniziai a tamponargli il sangue che continuava ad uscire, iniziando a scorrere copiosamente. Gli ripulii il braccio, buttando il cotone che avevo usato per terra. Da bianco, il batuffolo era diventato completamente rosso, un rosso intenso. Gli avvolsi poi la benda intorno al polso, girandola due o tre volte prima che ricoprisse del tutto le ferite che gli aveva procurato il coltello.
«Non sei migliorata per niente da quando mi hai fasciato nel Labirinto» disse con un mezzo sorriso. Già, me ne ero quasi scordata, era la notte che entrai nel Labirinto con lui e Thomas; che pive che ero stata.
«Già, ma almeno ti ho salvato la vita. Saresti morto dissanguato senza di me» dissi ironica.
Poi Minho abbassò improvvisamente il tono di voce, schiudendo le labbra in un sussurro: «Grazie» disse avvicinandosi a me.
«Bene, basta con le smancerie. Bevi» disse Jorge porgendomi il calice colorato di rosso. Lo afferrai e lo avvicinai al viso. Sentivo dei mormorii da parte dei Radurai,  commenti tipo “Non lo starà facendo sul serio?” e cose del genere. Ignorai tutto, a parte uno sguardo di incoraggiamento di Thomas, da lontano. Portai il bicchiere alla bocca e lo appoggiai al labbro inferiore. Inclinai la stoviglia di vetro e il liquido iniziò a riempirmi la bocca. Un sapore amaro, con un retrogusto di ferro, bruciava mentre mi scorreva in gola. Deglutendo più volte, finii il calice e lo riportai su un tavolino sbilenco al centro della stanza. Mi pulii la bocca con il dorso della mano e fissai con aria di sfida i due Spaccati. Non volevo che pensassero che fossi una debole, e non volevo che lo facessero nemmeno alcuni dei Radurai che non conoscevo. Guardai Newt e Thomas, che mi sorrisero. Fissai poi Minho, che mi fece un debole cenno con la testa. I suoi occhi sembravano stanchi, deboli.
«Bene» disse Jorge. «Sono contento che voi sappiate che noi non siamo tipi che scherzano» fissò con la coda degli occhi Brenda. «E sono contento che noi non abbiamo a che fare con chicos deboli»
Deboli.
Minho, di fianco a me, mi toccò la spalla e poi cadde ai miei piedi, svenuto.
 

Ciao, ciao!
La storia inizia a presentare molte differenze dall’originale, ma è una What if?, quindi spero vi piaccia lo stesso. Fatemi sapere cosa ne pensate. Tutto è sempre ben accetto. Un bacio :*

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Capitolo 18
*** Chapter 18 ***


18
Giorno 791 ca.
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Giorno 47
Eravamo su un furgone, guidava Jorge. Newt e Thomas erano riusciti a raggiungere un accordo: Jorge e Brenda ci avrebbero accompagnati alle montagne dove c’era il Porto Sicuro e noi avremmo garantito loro una cura.
Il furgone era incredibilmente grande, sembrava un autobus per studenti o robe del genere. Io ero seduta in ultima fila, distanziata almeno di quattro o cinque sedili dagli altri pive, con Newt e Thomas di fianco. Minho era sdraiato sulle mie gambe. Respirava, ma era comunque senza sensi.
«Ti prego Minho, ti prego» gli sussurravo nell’orecchio di tanto in tanto. Se Jorge lo avesse ucciso? Se avesse perso troppo sangue? Tutto per quel caspio di gioco.
Thomas mi mise un braccio intorno alla spalla e mi fece un mezzo sorriso. «Starà bene» mi disse.
Il pulmino si fermò davanti a una casa più rovinata della precedente. I muri esterni avevano perso colore e l’intonaco penzolava dagli angoli.
«Staremo qui per stanotte» disse Jorge.
«È sicuro?» chiese qualcuno.
«Non lo sappiamo. Dovete aiutarci a controllare»
Ci dividemmo allora in gruppi e io finii con Thomas, Newt e quel che rimaneva di Minho. Lo trascinavamo su e giù dalle scale quasi come un sacco di patate.
Arrivammo all’ultimo piano e appoggiammo il corpo del nostro amico asiatico in un angolo.
«Resta qui» gli dissi chinandomi su di lui. Sapevo che non poteva sentirmi, ma lo feci ad ogni modo. Poi raggiunsi Tom e Newt che stavano controllando le camere dell’enorme edificio, sembrava un hotel.
«Quassù non c’è niente» disse Tom ispezionando l’ultima stanza. «Torniamocene di sotto»
Ripercorremmo il corridoio ricoperto di moquette sporca e maleodorante, di un colore tra il giallo e il verde, e ci avviammo verso il muro dove avevamo appoggiato Minho.
Davanti a me, Newt si fermò di colpo e io gli finii addosso.
«Che c’è?» gli chiesi. Lui scosse la testa e si spostò per farmi vedere: Minho non c’era più.
Sul mio volto si dipinse l’orrore. Il cuore iniziò a salirmi verso la gola e a battere a ritmi spropositati.
«Dove può essere andato? Qui non c’è nessuno e lui stava male...» disse Thomas.
«Non lo so» dissi io. «Proviamo a vedere se è di sotto con gli altri...»
«Bene così» disse Newt. Anche lui sembrava sconvolto.
Scendemmo allora le scale dell’albergo e arrivammo in quella che un tempo doveva essere stata la hall.
A parte qualche poltrona malandata, il bancone polveroso e qualche tavolino, la stanza era vuota. Non c’era traccia di Jorge, di Brenda, nemmeno degli altri Radurai...
«Che caspio...?» chiese Thomas affacciandosi alla finestra.
«Cosa vedi?» chiese Newt avvicinandosi dietro di lui.
«Il furgone è sparito. Ci hanno lasciati qui» disse non credendo alle sue stesse parole.
«Non possono averlo fatto. Sapevano che eravamo ancora di sopra...» dissi.
«Ehm, d’accordo. Spero che Minho sia con loro, noi usciamo da qui» disse Newt.
Lui si incamminò verso l’enorme portone d’ingresso a grandi passi, guardandosi in giro, ma io gli sbarrai la strada.
«Fermo. Cosa vuol dire “Spero che Minho sia con loro”? E se non fosse con loro?»
«Ha ragione» disse Thomas dietro di noi «Potrebbe vedersela brutta»
Ero felice che Thomas mi appoggiasse, ma sapevo che anche Newt non ci aveva pensato, che non l’avrebbe mai lasciato da solo. Ci avviammo comunque alla porta, per controllare se fuori c’era qualcuno che potesse aiutarci. Misi la mano sulla maniglia d’ottone e girai verso destra, poi verso sinistra. Ma da nessuna delle due parti la porta si apriva.
«Non si apre» dissi tirando con più forza.
«Lascia fare a me» disse Newt spostandomi di lato.
Provò lui, e poi provò Thomas, ma nessuno riuscì ad aprirla.
«Ci hanno chiusi dentro» mormorò poi Tommy rassegnandosi e lasciandosi cadere contro il muro.
«Chi?» chiese Newt alzando le braccia.
Nessuno rispose. Non lo sapevamo. Ma, se fossero stati loro, davvero gli altri ci avrebbero lasciato al nostro destino così, dopo che gli avevamo salvati da morte certa nel Labirinto?
Ci ritrovammo tutti e tre accasciati contro la parete, stanchi, sudati, affamati e feriti, a pensare.
Dopo un po’ un grido ruppe il silenzio e, simultaneamente, le nostre teste si girarono verso il luogo da cui proveniva il rumore.
«Non vorrei dire caspiate» sussurrai. «Ma sono quasi sicura che quello fosse Minho»
Di nuovo un urlo, più potente del precedente.
«Quello è Minho!» urlò Newt alzandosi e correndo su per le scale zoppicando.
Salimmo velocemente gli scalini, io davanti agli altri, e cercammo di seguire gli urli che man mano andavano aumentando.
«Minho!» gridavano di tanto in tanto Thomas e Newt con tutto il fiato che avevano in gola.
Arrivammo al terzultimo piano quando la voce di Minho ci sembrò davvero vicina.
Rallentammo e controllammo le stanze del corridoio.
«Di qua» disse Thomas facendo un cenno con la mano verso una delle ultime stanze.
Io e Newt ci avvicinammo e vedemmo un’ombra all’interno della stanza. Non sapevo dire se fosse Minho, non riuscivo a distinguerla nel buio.
«Dite che è lui?» chiese Newt.
«Non lo so» disse Tom. «Dobbiamo trovare un modo per vederlo in faccia»
«Tipo come? Strisciando per terra?» chiesi sarcastica.
I due inclinarono un po’ la testa verso il basso per guardarmi con un ghigno.
In poco tempo mi ritrovai a strisciare per il corridoio. Entrai nella stanza e mi avvicinai di volta in volta ai pochi mobili con cui era stata arredata. Mi avvicinai, mantenendo una debita distanza, alla figura, sperando che si girasse e potessi vederla in faccia.
E sperando che fosse Minho.
Ma invece che girarsi, la figura iniziò ad indietreggiare, così io rotolai sotto il letto.
Guardando le molle del materasso, buttavo fuori aria chiedendomi cosa stessi facendo. La mia testa sbucò da un angolo e cercai di scorgere la figura. Era seduta alla scrivania poco lontana dal letto matrimoniale. Potevo vederne il profilo, ma non era Minho. Non vedendo i suoi riconoscibilissimi occhi stretti, mi si raggelò il sangue. Dove era? E chi era quell’uomo? Ora dovevo raggiungere di nuovo la porta e andare da Thomas e Newt. Sbucai da sotto il letto e strisciai disegnando il perimetro della stanza. Ero quasi alla soglia della porta quando sentii un altro urlo. Era Minho, ne ero certa.
«Taci un po’ ragazzino» disse l’uomo con voce profonda.
La voce di Minho proveniva da una stanzetta vicino alla scrivania dell’uomo, che sapeva benissimo che era lì dentro. Continuando a strisciare sulla moquette ruvida arrivai alla porta e sentii i passi dell’uomo avvicinarsi alla stanza dove teneva Minho. Le sue scarpe strusciavano sul pavimento producendo un rumore fastidioso.
«Vediamo se i tuoi amichetti se ne sono andati con i miei di amici» disse aprendo la maniglia.
Cacchio. Li avevano rapiti? Cosa sarebbe successo loro? Cosa sarebbe successo a noi? L’uomo stava per controllare se fossimo stati ancora lì. E che cosa avrebbe fatto a Minho?
Mi alzai in piedi cadendo tra le braccia dei miei due amici che aspettavano fuori dalla camera.
«Avete sentito?» chiesi in un sussurro.
Loro fecero di sì con la testa.
«Che facciamo?» chiesi.
«Io dico di nasconderci dietro la porta e, mentre lui controllerà le altre stanze, noi libereremo Minho. Vedremo in che punto dell’albergo sarà quando noi saremo pronti per scappare. Usciremo da una finestra»
«Bene così. Chi sta di guardia?» chiesi cercando di far capire che io volevo liberare Minho.
«Io» disse Newt spostandosi insieme a noi verso un angolo lontano del corridoio.
Poco dopo vedemmo l’uomo uscire con qualcosa in mano, doveva essere una specie di mazza, e percorrere il corridoio verso le scale. Quando scomparve dietro l’angolo, io e Thomas ci catapultammo nella stanza e Newt verso le scale per controllare che non risalisse.
Mi gettai sulla porticina e aprii con forza la maniglia. Minho era seduto su una sedia di legno. I polsi e le caviglie legati a braccioli e gambe della sedia con il nastro adesivo e anche la bocca era scotchata. Le sue vene si erano fatte più grosse ed erano molto evidenti sulla sua pelle. Sudava, piccole goccioline trasparenti gli scendevano dalle tempie. I suoi occhi gridavano terrore.
Mi precipitai a liberargli la bocca mentre Thomas, sotto di me, toglieva lo scotch dalle gambe e dalle braccia.
«Cosa ti hanno fatto?» gli chiesi quando era completamente libero.
Lui si alzò dalla sedia e mi sbatté contro la parete della piccola stanzetta. Mi affondò una mano tra i capelli biondi e mi baciò. Morsi, sorrisi, e altri baci.
Ma cosa stavamo facendo? Quelli della C.A.T.T.I.V.O. ci stavano guardando.
«Ci guardano» ansimai tra un bacio e l’altro.
«Non me ne frega un caspio, pensavo foste morti» disse col respiro pesante.
Poi i nostri corpi si allontanarono e entrambi fissammo Thomas, che aveva un sorrisetto stampato in faccia.
«Cosa vuole fare quell’uomo?» chiese poi un po’ più serio.
«Vuole ucciderci» disse Minho. «È uno Spaccato»
«E gli altri? Dove li stanno portando?» chiesi io.
«Non lo so. Ma dalle telefonate che riceve ogni tanto sembra che non voglia fare loro del male. Vuole uccidere solo noi quattro» disse.
Bene. Di bene in meglio proprio.
Raggiungemmo Newt alle scale e gli raccontammo ciò che era successo, compreso il bacio che Thomas tenne a raccontare.
«Ok» disse Newt. «L’uomo dovrebbe essere a due piani di distanza e al piano di sopra c’è una scala antincendio, usciremo da lì»
Facemmo ciò che disse Newt e scendemmo gli scalini della rampa di ferro. Arrivammo fuori dall’hotel, ma c’era un altro problema.
Lo Spaccato era di fonte a noi, con altri due amici. Armati.

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Capitolo 19
*** Chapter 19 ***


19
Giorno 792 ca.
Il vicoletto sul retro dell’albergo era illuminato a malapena da due lampioni sugli angoli della strada. I tre uomini si avvicinavano a noi a ritmo costante, ma lenti. Tutti maneggiavano un’arma: due pistole e la mazza che l’uomo aveva portato con  sé per uscire dalla stanza.
Io ero ancora dolorante. Il polso mi faceva male e i segni dello scotch peggioravano la situazione.
«Sai perché ci vogliono uccidere?» mi chiese Thomas.
«No, ma credo che siano semplicemente fuori di testa. Sono degli Spaccati» gli risposi.
Gli uomini continuavano ad avanzare, così Newt intervenne. «Perché volete ucciderci?» chiese.
«Tu chi sei?» chiese uno degli uomini con la pistola.
«Mi chiamo Newt» rispose il ragazzo.
I tre si arrestarono e si girarono uno verso l’altro, per consultarsi. Mettevano le mani davanti alla bocca per nascondere il labiale, come se potessimo vederli con quel buio. Poi tornarono composti, ricominciando a camminare.
«A te non succederà niente, Newt» disse l’uomo. Man mano che si avvicinavano le loro caratteristiche si facevano più evidenti: quello che stava parlando era basso e pelato, indossava una giacca elegante e dei pantaloni scozzesi, con un paio di mocassini; il secondo era alto e magro, con i capelli lunghi e castani e una barba folta e disordinata. Il viso era scavato dalle rughe e dalla vecchiaia; l’ultimo, quello che mi aveva legato, era in carne, con gli occhi piccoli e il naso grande.
«D’accordo. Allora perché volete uccidere loro?» controbatté Newt esausto.
«Loro sono dei Muni e, non so da quanto siate qui voi pivellini, ma da queste parti noi odiamo i Muni»
«Cosa sono i Muni?» chiese Maggie sottovoce. Nessuno dei tre uomini la sentì, perché continuarono a camminare ignorando la sua domanda.
All’improvviso una sgommata sferzò il silenzio, fattosi inquietante, e i tre uomini si scambiarono degli sguardi dubbiosi. Subito dopo il furgone che guidava Jorge arrivò nel vicolo e si fermò bruscamente.
«Salite hermanos, veloci!» gridò affacciandosi dal finestrino.
Noi quattro lasciammo la strada e ci precipitammo sul pullman correndo. Correre oramai era come un gioco, non era più neanche tanto difficile. Brenda ci aprì la portiera e si alzò per farci entrare.
Ci sistemammo nei sedili in fondo correndo senza rivolgere la parola a nessuno.
Quando ci fummo seduti tutti e quattro, gli uomini iniziarono a sparare nella nostra direzione. Jorge aveva già messo in moto, ma i proiettili continuavano a rimbombare sul retro del furgone. Eravamo convinti che ormai non ci fossero più possibilità di essere colpiti, ma proprio mentre tiravamo un sospiro di sollievo, lo sparo attraversò l’ultimo finestrino, rompendolo in mille pezzi che si gettarono su noi quattro. Il proiettile roteò su sé stesso correndo veloce, fendendo l’aria.
«Maggie!» gridai cercando di coprire il corpo della ragazza.
Il proiettile le si infilzò sul bacino, più o meno all’altezza dell’dell’appendice. Le si era formato un buco nero circondato da macchie irregolari di sangue vivo che continuava a scorrere lungo il fianco nudo e poi macchiandole i pantaloni attillati.
«Cacchio!» gridò Newt. «Brenda ci servono delle bende!!!»
La ragazza arrivò da noi immediatamente. Teneva stretta tra le dita bianche e affusolate una scatola bianca. Aprì il coperchio e mi porse due rotoli di nastro. Maggie, di fianco a me, si lamentava stringendo la stoffa del sedile tra le mani.
«Okay Maggie, ti devi stendere adesso. Farò del mio meglio» dissi afferrandole la testa e stendendola lungo i quattro sedili. «Lo farò per te» le sussurrai in un orecchio.
Non avevo idea di come procedere ma iniziai a strappare un pezzo di benda e a tamponargli la ferita. Poi, con il resto del nastro, le avvolsi il bacino per intero. La maglia alzata fin sotto al seno le lasciava scoperto il tatuaggio. Guardarlo, ogni volta, mi dava i brividi. Mi fermai qualche istante a fissare le lettere stampate sulla pelle morbida e pallida di Maggie, poi scossi la testa e feci altri due giri con il nastro. La fasciatura si macchiava di sangue, ma tuttavia Maggie sembrava riprendersi ogni minuto che passava fino a riuscire a reggersi in piedi, a fatica.
 
Il viaggio durò circa un’ora. Arrivammo in quello che Brenda definì “il confine più estremo della città”, anche se, guardando all’orizzonte, si potevano scorgere altri edifici imponenti.
Scendemmo dall’autobus e io cinsi a Maggie la vita con un braccio, aiutandola a camminare. Salimmo a fatica i cinque gradini dell’entrata dell’edificio.
«Okay, siamo sicuri che qui non ci sia niente da temere. È un altro albergo dove potremo restare per il resto della notte. Domani mattina faremo colazione e ci dilegueremo, non si sa mai che a qualche Spaccato venga la brillante idea di fare un salto» disse Brenda salendo un gradino più in alto di noi.
«Le camere sono da due, ma» si voltò verso Maggie «Non c’è l’ascensore» si dipinse un’espressione desolata sul suo giovane volto. Brenda era una ragazza carina, me lo ripetevo ogni volta che mi capitava di guardarla. Aveva due grandi occhi blu, i capelli scuri e un sorriso molto grazioso. Tuttavia, ogni volta che la guardavo, mi dicevo anche che non superava Maggie. Credo che Maggie fosse quel tipo di ragazza bellissima che non ne è consapevole. Proprio mentre Brenda continuava a blaterale sulla divisione delle stanze e Maggie la guardava, io la osservavo. Guardavo come i capelli biondi e spettinati le ricadevano perfettamente sulle spalle, fino a toccarle l’ombelico; come si mordeva il labbro inferiore quando ascoltava con attenzione; come la camicia macchiata di sangue le stesse graziosamente larga – era di nuovo una delle mie –; come gli occhi verdi e smaglianti della Radura ora fossero stanchi, provati e arrossati. Mi piaceva il fatto che le due volte che ci siamo baciati lei si fosse dovuta mettere in punta di piedi perché era più bassa di me di almeno 15 centimetri. Mi piaceva il modo in cui schiudeva le labbra e si apriva in un sorriso raggiante, mostrando i denti bianchissimi. Mi piaceva il suo odore, sapeva di fresco, di aria fresca. Maggie era letteralmente una boccata di ossigeno per me.
Proprio in quel momento mi maledicevo per i pensieri che la mia testa stava immagazzinando. Io e Maggie dovevamo resistere, e pensare a lei non aiutava.
«E per ultimi, Minho e Maggie alla 178. Okay?» Brenda ripose in tasca un foglietto stropicciato che doveva aver scritto sul furgone. Quando pronunciò il mio nome mi richiamò all’attenzione. Io e Maggie ci guardammo con un sorriso divertito, quasi compiaciuto, poi le chiesi: «Riesci a salire le scale?»
Lei si allontanò da me e provò a percorrere i due gradini che la distanziavano dall’entrata principale. Il risultato fu un completo disastro.  Inciampò tutte e due le volte e perse l’equilibrio, finendo addosso a Thomas che la prese al volo.
«Scusa Tom» disse lei scoppiando a ridere. Poi si girò verso di me: «Direi che non ce la faccio»
Io le sorrisi trattenendo una risata più sonora e mi avvicinai a lei. La afferrai e la presi in braccio.
«Non c’è problema» le feci l’occhiolino e iniziai a salire le scale per arrivare alla stanza.
 
Arrivai alla nostra stanza e la adagiai sul letto matrimoniale. Lei mi guardò girare intorno al letto e sdraiarmi di fianco a lei, esausto. Il materasso era tutto rovinato. Buchi sul lenzuolo, molle andate e cuscini distrutti erano il nostro letto, ma non ci aspettavamo niente. Lei continuava a guardarmi.
«Che c’è?» le chiesi girandomi su un fianco per guardarla negli occhi.
«Non ne posso più. Ci sono delle volte che vorrei farla finita e uccidermi io stessa. Tanto siamo malati, morire prima o adesso non conta, magari la cura è solo una scusa per farci iniziare un’altra prova ancora e nessuno di noi si salverà. Io non ci tengo a diventare una Spaccata. Per cui penso che a volte sia più facile farla finita e basta»
Io la guardai con le sopracciglia aggrottate. Non capivo dove volesse arrivare.
«Ci sono solo due cose che mi fanno andare avanti» continuò poi.
«Quali?» le chiesi.
«La possibilità effettiva che ci sia una cura e che io possa condividerla con te, Tom e Newt, le persone a cui tengo di più» disse.
Volevo dirle che anche noi tenevamo a lei. Che anche io tenevo a lei. Ma le dissi soltanto: «E poi?»
«Tu» disse lei schiudendo le labbra e aprendole in un sorriso, come piace a me.
Quella semplice parola mi tolse dal corpo tutto l’orgoglio di cui di solito ero carico. Avrei voluto riempirla di baci, fino alla mancanza d’aria. Avrei voluto raccontarle tutto ciò che pensavo quando la vedevo; a tutto ciò che provavo e che pensavo impossibile provare.
«Io?» le chiesi quasi stupito.
Lei annuì. «Ci sono dei momenti in cui penso a ciò che ero prima di perdere la memoria. Mi chiedo se a scuola avessi buoni voti oppure se fossi stata una frana. Mi chiedo se avessi buoni amici, una migliore amica magari, o se fossi uno di quei casi sociali particolari, di quelli che durante l’intervallo se ne stanno in un angolo in silenzio e che non escono mai. Mi chiedo se avessi delle ambizioni per il mio futuro, magari un sogno nel cassetto, un lavoro ideale. E mi chiedo anche se avevo un ragazzo. Mi chiedo se c’era qualcuno che mi facesse sentire bene, che si prendesse cura di me. Mi chiedo se mi piacesse la mia vita.
Ma poi mi guardo oggi e mi rendo conto che tutto ciò che c’era prima se n’è andato. Che forse il mio ragazzo e i miei amici sono morti per via delle eruzioni solari, che sono degli Spaccati, o che magari sono qui con noi e io non lo so, perché non me li ricordo. E mi rendo conto che tutto ciò che ho adesso è niente. Non so neanche se arriverò viva a domani, Minho, tutto ciò che faccio adesso è provare a sopravvivere. E non ho certezze. Non ne ho da quando non mi ricordo niente. Ogni cosa che mi dicono è solo qualcosa che serve ad incasinarmi di più le idee e questo succede da quando sono arrivata alla Radura e mi avete detto tutte quelle regole assurde e dei Dolenti e del Labirinto e di te e di Thomas che correvate per trovare un via d’uscita. Che correvate, correvate e correvate. E alla fine è ciò che stiamo facendo anche oggi, ciò che abbiamo fatto ieri e ciò che faremo domani. Correremo per scappare dal futuro che la C.A.T.T.I.V.O. ha in serbo per noi. Correremo per ricordarci della nostra vecchia vita. Correremo per sopravvivere. E questo mi spaventa, Minho. E se il futuro mi spaventa non posso avere ambizioni, sogni. Non posso avere certezze. L’unica certezza che ho è che voglio che tu, Thomas e Newt siate nel mio futuro, che avremo un futuro insieme, noi quattro. Voglio che me lo promettiate» le sue guance si rigavano di lacrime.
«L’unica certezza che ho è che voglio che tu sia nel mio futuro» e mi sorrise.

Buona seraaa. 
Okay, la seconda parte di questo diciannovesimo capitolo è un po' molto malinconica e il nostro fottutissimo Velocista sexy si sta iniziando ad accorgere che i sentimenti che teneva nascosti glieli sta tirando fuori Maggie.
In ogni caso spero che la storia vi stia piacendo e, nel caso non fosse così, fatemelo sapere.
Come sempre, apprezzamenti e critiche costruttive sono ben accetti:)
 

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Capitolo 20
*** Chapter 20 ***


20
Giorno 49
Mi tenevo da dentro quelle parole da tempo e a pronunciarle sembravano disordinate, un casino insomma. Tutte le volte che non riuscivo a dormire pensavo a quel discorso, vi aggiungevo e toglievo parti, senza neanche sapere a chi fosse diretto o se mai un giorno l’avrei pronunciato. Fare quei ragionamenti così lontani mi faceva credere che forse stavo per superare l’Andata. Che di lì a poco sarei diventata una Spaccata.
Sentivo le lacrime tiepide scendermi lungo le guance e gocciolare sulla tiepida camicia di Minho. Lui era di fronte a me e mi guardava intensamente, con quei suoi occhietti che a me piacevano tanto.
«Sai di cosa puoi essere certa?» mi disse dopo un po’.
«Di cosa?» mi asciugai con il dorso della mano una lacrima e tirai su con il naso.
«Io, Thomas e Newt ci saremo sempre per te. Resteremo insieme, saremo noi quattro contro il mondo» mi disse.
«Me lo ripeto sempre anche io. Cerco di convincermi che nulla può distruggerci, ma non è così. Potremo venire uccisi domani, tra un giorno o una settimana, non lo sappiamo. Ma ho paura di perdere uno di voi»
Lui non disse niente. Mi guardò. Si avvicinò a me, strisciando sul lenzuolo rovinato, mi afferrò il viso e appoggiò la bocca sulla mia. Partendo da un bacio delicato e veloce ne seguirono altri più violenti e lunghi. A volte mi mancava il respiro quando mi baciava, ma lui era ossigeno. Lui era il mio ossigeno. Per ogni boccata d’aria che mancavo baciandolo, lui me ne restituiva una con le sue labbra. Eravamo un tutt’uno. Ci mettemmo seduti e gli tolsi la maglietta, come avevo fatto alla Radura prima che Gally ci interrompesse. Ci scambiammo di nuovo un sorriso e poi lui iniziò a sbottonarmi la camicia. Eravamo agitati, famelici, voraci. Ci volevamo con ogni parte di noi e ogni volta che mi baciava, le mie paure scomparivano. Continuavamo a baciarci mentre lui apriva l’ultimo bottone della camicia azzurra.
«Basta» sussurrò ansimando.
Sapevo a cosa alludeva. La C.A.T.T.I.V.O. ci guardava e mi avrebbe allontanata da lui se fossimo andati oltre.
«Buona idea» dissi. Mi sporsi dal letto e raccolsi la maglietta che avevo gettato sul pavimento. Gliela lanciai e presi ad abbottonarmi la sua camicia. Poi lui si sdraiò mettendosi una mano dietro i capelli corvini e stringendo gli occhi, io mi misi di fianco a lui.
«Buona notte Maggie» disse fissando un punto indistinto del soffitto.
«Buona notte» replicai.
 
Giorni da 50 a 56
Il giorno dopo eravamo in viaggio verso il porto sicuro. Avevamo lasciato l’albergo e ci dirigevamo a nord.
Ormai erano passati sei giorni. Altri otto e avremmo raggiunto il porto, la cura, la fine.  
Camminammo nel deserto per minuti, ore, giorni. Ogni sera eravamo esausti, ma non c’era tempo per fermarsi e prendere un bel respiro. Non c’era tempo per chiedersi cosa stavamo facendo. Cosa ci aspettava. Se il porto sicuro rappresentasse davvero la fine di quell’orribile avventura o soltanto l’inizio di un’altra prova del caspio. Nulla era chiaro. Dovevamo solo correre.

Giorno 57
Quel giorno pensavo che ci fossimo. Che, mancando due giorni, le tragedie sarebbero finite finalmente. Solo altri due giorni di corsa, e che cos’erano per ragazzi che, da quando avevano memoria, non facevano altro che correre?
Ma proprio mentre la mia mente viaggiava tra quei pensieri quasi paradisiaci, vedemmo un gruppo di persone avvicinarsi. All’inizio erano solo tanti puntini che si muovevano compatti sulla sabbia, ma poi vedendoli da vicino erano delle ragazze. Ragazze armate. Erano tutte ragazze a parte uno, un ragazzo castano con gli occhi scuri, anche lui con la stessa espressione rabbiosa sul volto. Minho mi cinse la vita e avvicinò le sue labbra al mio orecchio: «Stai con me» sussurrò con una folata di aria calda.
Arrivammo di fronte all’altro gruppo di ragazzi.
Gruppo.
Improvvisamente mi venne in mente il tatuaggio di Thomas.
Deve essere ucciso dal Gruppo B.
Noi eravamo un gruppo ed eravamo il Gruppo A. Loro erano un gruppo e dovevano essere il Gruppo B.
Pensandoci era inquietante che il mio fosse un gruppo di ragazzi dove ero l’unica ragazza – escludendo Brenda, che non era al Labirinto – e che l’altro fosse un gruppo di sole ragazze con un unico maschio. Io e Thomas ci scambiammo uno sguardo preoccupato. Non ci eravamo curati del tatuaggio fino a quel momento. Non era ciò che ci importava e perciò non ne avevamo parlato con nessuno.
Una delle ragazze ci guardò uno ad uno e ci lanciò sguardi malvagi, ma poi, guardando Thomas, i suoi occhi si addolcirono.
«Thomas?» disse con la voce rotta. Aveva un tono caldo e dolce. I capelli castano scuro le ricadevano sulle spalle spettinati, incorniciandole il viso pallido di cui risaltavano gli occhi azzurri.
Lui annuì spaventato. Lei si girò verso le sue compagne – e compagno – e disse: «È lui che dobbiamo uccidere?»
«Che c’è Teresa?» chiese una delle compagne. «Lo conosci?»
Lei annuì all’amica. Questa era grassa e bionda, con gli occhi piccoli e infossati da due grandi guance chiare.
«Cosa vuol dire che dovete ucciderlo?» il petto di Minho vibrò quando pronunciò quelle parole. La mia testa era appoggiata sui suoi pettorali.
«Mi sembra abbastanza ovvio» rispose acida la bionda.
«Senti testa di caspio, vedi di tacere» disse Newt.
«Volete dirci da dove venite?» chiese più dolcemente quella che pareva chiamarsi Teresa.
Raccontammo del Labirinto, del mio tatuaggio, della fuga, dell’Eruzione, della C.A.T.T.I.V.O., degli Spaccati.
Loro ci dissero la stessa cosa, identica, solo che nel loro Labirinto, l’ultimo ad arrivare fu il ragazzo, che dissero chiamarsi Aris.
«Mi dispiace, ma la C.A.T.T.I.V.O. ci ha dato un ordine» disse la bionda.
«Che sarebbe?» chiese Minho alzando le sopracciglia.
«Uccidere il vostro amico Thomas» disse con un tono di sfida. Strano che Minho riuscisse a farsi odiare da qualcuno per il suo orgoglio...
«E non dici del messaggio di ieri?» chiese una ragazza minuta dietro di lei. Aveva gli occhi grandi e grigi e i capelli rossi, il viso pallido ricoperto di lentiggini.
«Già» si ricordò Teresa desolata. Aveva uno sguardo assorto, fissava i granelli di sabbia sul terreno.
Io mi stringevo sempre di più a Minho, che mi cingeva la schiena e poggiava il mento sui miei capelli.
«Cosa dice il messaggio?» chiese Newt.
«Oltre a Thomas dobbiamo uccidere altri due di voi, ordine dei capi» disse la bionda incrociando le braccia.
«E chi?» chiesi io con la voce tremante.
Tirò fuori un foglietto dove dovevano essere scritti i nomi. Speravo fosse uno scherzo. Un ultimo attacco di cuore prima di dirci che era tutto finito e che la cura era a pochi metri da noi, racchiusa in un bel pacco regalo. Ma poi lei aprì la bocca e ciò che ne uscì non sembrava affatto uno scherzo.
«Newt e Minho» disse senza emozione.
Lì mi crollò il mondo addosso.

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Capitolo 21
*** Chapter 21 ***


21
Giorno 800 ca.
Sentii le unghie di Maggie stringere la mia camicia, poi le lacrime iniziarono a bagnarla.
«Forza, andiamo» disse la ragazza grassa e bionda. «Non abbiamo molto tempo»
Newt si avvicinò all’altro gruppo rassegnato, con la testa bassa. Trascinava la gamba ferita più accentuatamente. Il viso era segnato dalla stanchezza. Forse anche lui, come Maggie, credeva fosse meglio farla finita e morire. Forse a lui non dispiaceva così tanto dover essere ucciso da quelle ragazze.
«Come si chiama lui?» chiese la ragazza a Thomas, indicandomi.
«Minho» la sua voce era irriconoscibile. Un misto di paura, stanchezza e pressione.
«Minho! Muoviti!» la voce della ragazza, invece, era forte, quasi fastidiosa.
Guardai Maggie dall’alto.
«Non ti lascerò andare così» mi sussurrò ancora stretta a me.
Io mi spostai e le afferrai il viso con le mani. La avvicinai a me, naso contro naso, la costrinsi a guardarmi negli occhi.
«Non crederai che mi farò uccidere da loro, vero? Troveremo un modo per scappare, non ti lascierò da sola» dissi.
«Ti prego promettimelo» disse deglutendo. Il suo viso era bagnato e le lacrime mi scendevano tra le dita.
«Te lo prometto» dissi.
Poi la baciai, come non avevo mai – mai – fatto. La mia lingua si infilò tra le sue labbra, fino ad intrecciarsi con la sua. Le mordevo le labbra sottili e morbide, di un rosa chiaro. Lei prendeva respiri profondi ogni volta che i nostri corpi si staccavano per riprendere aria, e poi ricominciare da capo. Dietro di noi sentivamo mormorii, commenti da ragazzi del liceo, ma non ci importava, li ignoravamo. In quel momento eravamo solo io e lei e, anche se gliel’avevo promesso, non sapevo se saremmo tornati indietro vivi.
Quando i nostri corpi si allontanarono, il sole alto nel cielo le illuminava pienamente il volto pallido, illuminandola. Le lacrime brillavano evidenziate dalla luce mattutina, i suoi occhi erano diventati color verde acqua.
«Ora fai una di quelle scenate che sai  fare, e promettimi che verrai a cercarci» le dissi. Speravo che lei e gli altri avrebbero escogitato un piano e sarebbero venuti a salvarci, perché non avevo idea di come poter liberarmi dalle grinfie delle ragazze.
Lei annuì serrando le braccia. Quando chiuse le palpebre una lacrima le scese dalle ciglia. La baciai di nuovo. Sarei potuto morire asfissiato in quel modo.
«Allora ci diamo una mossa?» chiese impaziente la ragazza.
Mi allontanai da lei, che avvicinandosi agli altri Radurai allungò un braccio nella mia direzione e iniziò ad urlare: «Minho il tatuaggio! Ti prego!»
I ragazzi la afferrarono e la trascinarono per terra verso di loro, tenendola ferma.
«La ragazza non sembra troppo contenta di ciò che ti succederà» disse con un pizzico di ironia la bionda. Ogni parola che pronunciava non faceva altro che accentuare l’odio che provavo per lei. Ma andava bene così, perché credevano che i nostri amici si fossero rassegnati al nostro destino e avrebbero continuato la corsa verso il porto sicuro senza di noi.
Ma si sbagliavano.
 
Giorno 57
I ragazzi si allontanarono in prossimità di un bosco su una piccola collina. Io mi girai verso gli altri e li guardai uno ad uno. Conoscevo solo Frypan tra loro, oltre a Brenda e a Jorge, ma dovevo farmi sentire ora che, gli unici tre che credevano in me, stavano per essere uccisi dal Gruppo B.
«D’accordo» esordì asciugandomi le lacrime. «Minho mi ha detto che...» ma fui subito interrotta dallo stesso ragazzo che aveva litigato con Minho in città.
«Continuiamo senza di loro, vero?»
«Ma che problema hai?» gli chiesi seriamente.
«Mi pare ovvio che la loro non sarà una bella fine, ma perché rischiare di non arrivare in tempo al porto sicuro per quei tre?» speravo stesse scherzando. Era una testa di caspio. Credeva davvero che li avremmo lasciati morire senza fare niente?
«Vuoi sapere il perché? Mi sembra basti che ti hanno salvato da morte certa. Prima dal Labirinto, poi dagli Spaccati e adesso si stanno facendo uccidere per noi. Ti basta?» stavo gridando. Volevo gridare. Per quanto forte avessi pronunciato quelle parole non sarebbe stato abbastanza.
Lui fortunatamente si ammutolì. Passò un attimo e vidi che però si stava avvicinando a me. Mi arrivò di fronte e vidi il suo pugno correre veloce verso il mio occhio. Il colpo mi fece girare la testa e poi cadere al suolo. Subito si precipitò verso di me Brenda con dell’acqua, mentre Jorge pestava di botte il Raduraio. La vista era annebbiata, i suoni ovattati, tutto sembrava distante. La testa non smetteva di girare.
Brenda mi stava tamponando la fronte con un fazzoletto bagnato quando Jorge prese a parlare. Vidi i pugni stretti sui fianchi, le nocche macchiate di sangue, il Raduraio ancora a terra, forse morto.
«Se la toccate ancora è questo che vi succederà» disse indicando il corpo.
Sì, era morto.
«Comunque immagino che quello che Maggie stava per dire fosse che dovremo avere il tempismo di un orologio svizzero. Appena prima che le ragazze uccidano Minho, Thomas e Newt, noi andremo lì, li salveremo e combatteremo. Giusto Meg?» chiese girandosi verso di me. Nessuno mi aveva mai dato un soprannome da quando avevo memoria, ma Meg mi andava bene.
Io, dolorante, alzai un pollice per dare il mio assenso. Poi tutti si avvicinarono uno all’altro per attuare un piano.
 
Quando iniziammo a muoverci il sole stava calando, ma eravamo sicuri che l’altro Gruppo non ci avrebbe visti.
Il piano era che Brenda sarebbe andata dalle ragazze dicendo che era un altro soggetto della C.A.T.T.I.V.O. e che sarebbe dovuta rimanere con loro. Si sarebbe dilungata nei particolari del suo viaggio solitario e avrebbe fatto loro molte domande, distraendole.
Nel frattempo, alcuni dei ragazzi avrebbero fatto molto rumore per distrarre anche le guardie che controllavano gli ostaggi.
La salita della collina era piena di pietre e rametti che rendevano tutto più difficile. Arrivammo però ad una casetta dove Jorge vide Teresa. Brenda partì. La vedemmo scomparire dietro un albero e raggiungere un gruppo di ragazze che stavano parlando tra loro.
«I ragazzi devono essere nel capanno» disse Jorge abbassandosi su di me. Io feci un cenno e partii per raggiungerli. Avevo con me un coltellino, uno di quelli che... beh come quello che Gally usò per uccidere Chuck. Chuck mi mancava, tanto, troppo.
Arrivai alla casetta di legno senza essere vista. L’interno era illuminato da una luce debole.
 
Giorno 800 ca.
Le ragazze ci stavano per uccidere. Avevamo esaurito tutte i convenevoli che vengono usati prima di uccidere qualcuno. E Maggie non era arrivata. Non aveva mantenuto la promessa.
«Ok, con chi vogliamo iniziare?» chiese la ragazza di fianco alla grassa. Lei era più minuta. Lei era proprio bella, più graziosa.
Sentimmo poi un botto sul tetto, un grido, una risata.
Poi la botola del soffitto si aprì e ne uscirono improvvisamente Jorge e Maggie.
Maggie si lanciò sulla ragazza che puntava il coltello appuntito verso di me. La circondò e con una giravolta le afferrò l’arma e se la mise tra le mani, poi le cinse il collo con la lama fredda.
«Siete ancora sicure di volerlo fare, hermanas?» Jorge aveva fattolo stesso con la bionda.
«Che caspio di tempismo!» disse Newt divertito. Thomas lo assecondò con un sorrisetto.
Le due alzarono le mani in segno di resa, poi Maggie e Jorge presero il resto della corda avanzata per legare noi dal pavimento e le legarono, sistemandole in un angolo.
Maggie si precipitò su di me e, prima di liberarmi, mi baciò ancora con la stessa passione con cui lo facemmo prima. Lingua su lingua e respiri affannosi. Quando si allontanò da me notai che aveva un occhio nero.
«Cosa caspio ti hanno fatto?» le chiesi arrabbiato.
«Storia lunga. Jorge lo ha sistemato» disse lei sorridendo.
Poi ci liberarono e lasciarono lì ragazze.
Maggie ci aveva salvato.
Maggie aveva mantenuto la promessa.

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Capitolo 22
*** Chapter 22 ***


22
Giorno 801 ca.
La mezzanotte era passata da qualche minuto, avevo controllato il mio orologio.
Ogni volta che guardavo l’ora mi galleggiavano nella mente i ricordi del Labirinto e di come fosse cambiata la mia vita dall’arrivo di Maggie. Lei mi faceva sentire migliore. Da quando avevo memoria, avevo sempre cercato di nascondere i miei sentimenti, credendo che dovessero essere qualcosa di personale e che nessun altro dovesse esserne al corrente. Avevo anche delle difficoltà ad esprimerli e iniziavo a provare una certa antipatia per le persone troppo sentimentali, per quelle troppo confidenti. Tanti, alla Radura, mi consideravano uno snob. Dicevano che stavo sempre sulle mie e che, se alcuni Radurai non facevano parte di un gruppo specifico – di cui evidentemente formavo parte anch’io –, io li ignoravo, definendoli degli sfigati. Ma io non ero così, cioè lo ero, ma non volevo esserlo. Non esprimere i miei sentimenti rendeva difficile anche a me capire cosa provavo e la confusione salì alle stelle quando dalla Scatola uscì Maggie.
Devo ammetterlo, quando Newt disse che era una ragazza la prima cosa che mi chiesi era se fosse gnocca. Era lecito: vivevo in una caspio di Radura da due anni, con soli ragazzi e a volte quella “monotonia”, se si può definire tale, era davvero pesante da sopportare.
La risposta alla mia domanda fu ovvia quando i capelli biondo miele spuntarono dalla botola e ne venne fuori quello scricciolo di Maggie. No, lei non era uno scricciolo: aveva una corporatura perfetta. Era magra, ma forte, era piuttosto bassina, ma mi piaceva abbinare a questa sua caratteristica il fatto che lei puntasse sempre in alto. Gli occhi verdi le illuminavano il viso, anche quando era triste o arrabbiata, e notavo che al sole diventavano verde acqua.
Quando uscì mi dissi che era gnocca. Credo che tutti lo pensarono.
All’iniziò, però, non fui molto confidente. Mi limitai a trattarla come trattavo ogni altro Raduraio, perché di fatto lei era una pive. Le davo ordini, le rivolgevo un cenno come saluto e, quando mangiavamo insieme, non ero di troppe parole. Iniziò ad interessarmi quando mi disse che voleva entrare nel Labirinto, quando mi disse che voleva essere una Velocista.
E si smosse definitivamente qualcosa, dentro di me, quando lei attraversò di corsa le mura che si stavano chiudendo per non lasciare me e Thomas soli nel Labirinto.
Di lì in poi tutto diventava una scusa per stare con lei. I saluti non erano più cenni, ma sorrisi a trentadue denti; le pacche sulla spalla si trasformavano in abbracci; i pasti insieme diventavano chiacchierate fino al coprifuoco; le ispezioni nel Labirinto scuse per stare vicini; quel momento in cui restammo soli diventò un bacio e capii che provavo qualcosa per lei, anche se, come al solito, non mi era chiaro che cosa.
Camminavamo in fila indiana lungo un sentiero stretto che costeggiava la collinetta su cui ci avevano portato le ragazze del Gruppo B mentre mi galleggiavano in testa quei pensieri. Le due ragazze che Maggie e Jorge aggredirono per salvarci restarono nella capanna insieme alle altre loro compagne che i Radurai e Brenda avevano catturato.
Portammo con noi solo due di loro: la ragazza che conosceva Thomas, Teresa, e un’altra ragazza che Newt teneva stretta per i polsi, che ci disse chiamarsi Sonya. Avevamo permesso loro di venire con noi, ma le tenevamo comunque d’occhio.
La domanda che però mi si rigirava in testa era perché, per due volte di fila, avevano cercato di ucciderci? Cosa avevamo di sbagliato, io e gli altri? Forse questo giochetto della seconda prova, per noi, era solo una perdita di tempo e, una volta raggiunto il porto sicuro, quelli della C.A.T.T.I.V.O. avrebbero ucciso me, Thomas, Newt e Maggie. Non potevo neanche pensarci: loro erano le persone a cui tenevo di più e, anche se forse non era così ovvio, avevo già sofferto abbastanza per la morte di Chuck. Ma, appunto, nascondere i miei sentimenti era la cosa che mi riusciva meglio. Quella e correre.
Tra me e Maggie c’erano tre persone; lei camminava con la testa china dietro a Sonya e Newt. Mi sarebbe piaciuto andare da lei e parlarle, ma tra di noi regnava il silenzio e non mi andava di romperlo.
Quando guardai di nuovo l’orologio le cifre segnavano l’una di notte.
«Ok pive, per oggi basta, direi che è stata una giornata abbastanza impegnativa per tutti» lanciai un’occhiataccia alle due ragazze dell’altro gruppo, che abbassarono lo sguardo; sembravano dispiaciute.
«Direi di addentrarci quanto basta nel bosco e creare un piccolo accampamento. All’alba ripartiremo. Preparatevi a correre, perché questo sarà l’ultimo giorno buono per raggiungere la cura»
I Radurai e le ragazze, insieme a Jorge e Brenda, annuirono all’unisono e iniziarono a scivolare tra gli alberi del bosco.
Newt aveva trovato una piccola radura dove poterci fermare per la notte, che avrebbe ospitato tutti quanti. Non avevamo niente su cui dormire quella notte, ma la terra era più morbida, riparata dall’ombra dei pini, rispetto a quella del deserto del giorno prima.
Quando tutti si furono sistemati cercai Maggie con lo sguardo e la trovai appoggiata al tronco di un albero, con gli occhi socchiusi. Non sapevo se stesse dormendo, così mi avvicinai a lei cautamente e mi ci sedetti di fianco.
«Ciao Minho» sussurrò lei con la testa contro la corteccia scura del pino.
«Ciao» ribattei.
«È un incubo» mi confidò lei con un tono esausto.
Nonostante avesse gli occhi chiusi, quello nero era molto gonfio rispetto all’altro e si notava anche al buio.
«Mi dici cosa ti hanno fatto a quell’occhio?»
«Hai presente il tipo con cui avevi litigato in città?» aprì gli occhi e si voltò verso di me.
«Si, quella testa rincaspiata» annuii io.
«Ecco, quando stavo per dire ai Radurai che saremmo venuti a salvarvi, lui ha detto che non aveva senso rischiare di perdere la cura per salvare voi tre. Io mi potrei essere arrabbiata e avergli risposto male e lui mi ha picchiata»
«Lo ammazzo! Dov’è adesso?» dissi alzandomi in piedi e serrando i pugni.
«Minho, calmati, Jorge lo ha ucciso di botte. Letteralmente»
Mi risedetti appoggiato al tronco. «Quindi ora è morto?» chiesi.
Lei annuì e poi tra noi due si insinuò il silenzio. Riguardai l’orologio: l’una e tra quarti.
Dopo un po’ sentii un suo sussurro. «Dormi?»
«No» mugugnai.
«Da domani sarà finita, vero?» mi chiese.
«Lo spero». Non sapevo cos’altro dire. Speravo che quello schifo finisse e basta.
Dopo un po’ ci fu di nuovo silenzio e mi accorsi che Maggie si era addormentata. Non la vedevo dormire da un po', mi piaceva guardarla mentre il suo petto si alzava e abbassava. Mi capitava, quando non riuscivo ad addormentarmi, di chiedermi se lei mi sognasse di tanto in tanto. Poi i miei occhi si chiusero.
 
Giorno 58
Mi alzai con la schiena dolorante. Il pallido sole mattutino filtrava parzialmente tra le fessure dei rami degli alberi. Di fianco a me, Minho dormiva ancora. Tutti stavano ancora dormendo. Tutti tranne Newt e una ragazza del Gruppo B. Si chiamava Sonya: era alta e magra, con i capelli biondo-ramati e gli occhi castani. Era molto carina ed era stata anche gentile quando ci scambiammo due parole a proposito del loro Labirinto.
Loro erano in piedi di fianco ad un albero, stavano parlando, ma erano troppo lontani perché riuscissi a sentire di cosa stessero discutendo. Vedevo Sonya sorridere e Newt guardarla quasi con fare paterno, come se da quel momento avesse deciso di prendersi cura di lei.
Le accostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e poi si mise le mani sui fianchi, ascoltando quello che la ragazza gli stava dicendo. Sorrideva. Non vedevo Newt sorridere da un po’ di tempo.
«Ehi» la voce di Minho. La mia attenzione volse completamente su di lui.
«Ciao bell’addormentato» sorrisi.
«Come Thomas nel Labirinto» rise lui. Ricordare i momenti alla Radura era inaspettatamente malinconico.
«Ieri sera avrei voluto fare un cosa» continuò lui.
«Cosa?» serrai le labbra.
«Questo» disse.
Strisciò verso di me e mi baciò.

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Capitolo 23
*** Chapter 23 ***


23
Giorno 801 ca.
Quando la luce dell’alba si fece così forte da svegliare tutti quanti ci mettemmo in marcia verso il porto sicuro.  Avremmo avuto la cura, avremmo potuto ricominciare una nuova vita. L’ottimismo dentro di me si faceva spazio tra i pensieri negativi come mai mi era successo prima: credevo davvero che sarebbe finita.
 
Camminammo per almeno mezza giornata, intervallando pause da quindici minuti per riposarci un po’, quando poi Jorge guardando una mappa, che di tanto in tanto tirava fuori dalla tasca posteriore dei pantaloni luridi, disse che la collina che avevamo di fronte era il porto sicuro, che ci rimaneva solo da salire la montagnola e sarebbe finito tutto ciò che la C.A.T.T.I.V.O. aveva organizzato.
Quell’affermazione mi iniettò un’altra dose di fiducia di cui avevo bisogno, mi sentivo motivato come non mai. Poche volte mi era capitato di sentirmi così al Labirinto. Successe quando io per primo mi addentrai tra le enormi mura e scoprii che quello era effettivamente un labirinto, quando mi venne assegnato il ruolo di Intendete dei Velocisti e poche altre volte in cui, mi costava ammetterlo, la maggior parte del tempo era merito di Maggie.
Salii su una roccia alla mia destra per essere visibile a tutti nel bosco e alzai la voce per farmi sentire: «D’accordo pive, quella è la nostra cura. Dobbiamo raggiungere la montagna e, non so voi, ma io sono troppo impaziente per camminare. Quindi per il resto del percorso correremo, okay?»
Le teste dei Radurai, di Sonya e Teresa e di Jorge e Brenda annuirono. «Bene così, gambe in spalla allora»
Corremmo senza rivolgerci parola, il silenzio era riempito solo dallo scalpiccio delle nostre scarpe e dai respiri affannosi.
Arrivammo finalmente alla collina, circa due ore dopo. Eravamo tutti entusiasti, ci aspettavamo di vedere un enorme edificio simile ad un ospedale, ma tutte le nostre aspettative si spensero come un fuoco col vento, perché davanti a noi c’era un semplice bastone. Poi, attaccata in maniera superficiale, un’asta di legno con scritto in rosso “Porto sicuro”, una calligrafia sbilenca, quasi come quella di un bambino.
«Cos’è, uno scherzo?» chiese qualcuno dei Radurai.
Io guardai l’orologio: mancavano venti minuti allo scadere del tempo. «Tra venti minuti il tempo scadrà e magari arriverà qualcuno per portarci via da qui»
Si diffusero dei mormorii incerti, ma nemmeno io ero così sicuro che sarebbe successo. Avevamo conosciuto abbastanza la C.A.T.T.I.V.O. per pensare che forse la storia della Prova 2 era solo una bugia, e ci avrebbero lasciato morire lì con una morte degna di uno Spaccato. Perché di fatto, se non avessimo ricevuto la cura, saremmo diventati degli Spaccati. Il pensiero mi faceva ritornare alle parole di Maggie, quando mi disse che alcune volte voleva uccidersi. Sarebbe stato più facile.
 
10 minuti.
Il vento iniziava a soffiare più forte. I ragazzi erano sparpagliati sul terreno arido. Alcuni credevano che quelle forti folate fossero segno di un’imminente tempesta, ma la maggior parte di noi li ignorava, preferendo non pensare che si potessero aggiungere anche i fulmini che avevano dimezzato il nostro gruppo a quella situazione del caspio.
 
5 minuti.
Mi avvicinai a Maggie, che era seduta insieme a Brenda e Jorge. Poco più in là c’erano Newt e Thomas che stavano parlando con le ragazze del Gruppo B, Sonya e Teresa. Ero contento di vederli interagire con delle ragazze: a volte mi balenava in testa l’idea che tra Tom e Newt ci fosse del tenero, ma quella era la prova che mi sbagliavo, e ne ero grato.
Quando i due Spaccati mi videro andare verso di loro dissero a Maggie di doversene andare; poi, quando mi passarono di fianco, mi guardarono con uno sguardo complice.
«Come va?» chiesi a Maggie sedendomi di fianco a lei.
«Male. Se non ci danno quella cura del caspio io la faccio finita, Minho. Dico sul serio: non ho intenzione di diventare uno zombie che mangia i suoi amici per sopravvivere. Non voglio andare fuori di testa»
L’idea che non ci dessero la cura mi spaventava, ma quella che Maggie potesse uccidersi era cento volte peggio. Non l’avrei sopportato e sarei uscito di testa molto più velocemente di uno Spaccato senza di lei.
«Noi sopravvivremo, te l’ho promesso, no?» nemmeno io credevo completamente alle mie parole, ma in quel momento il mio intento era quello di infondere fiducia a Maggie, e speravo di riuscirci.
«Già» sospirò lei. «Quanto manca?»
 
1 minuto.
Mi alzai e le presi la mano, portandola con me verso gli altri, che erano riuniti intorno al paletto.
 
TEMPO SCADUTO.
La terra sotto di noi iniziò a tremare e poi sentimmo suoni che eravamo grati di non aver più sentito prima di allora. Stridii metallici, zampe appuntite schioccare sul terreno, suoni a me troppo famigliari, che mi fecero rabbrividire.
Maggie doveva sentirsi come me: mi aveva stretto con forza la mano e cercava in me uno sguardo di conforto che non riuscii a regalarle. Di fronte a noi, Newt e Thomas sgranavano gli occhi vedendo una specie di botola, simile alla Scatola da cui uscivano i pive alla Radura, aprirsi sotto i nostri piedi.
Lanciammo un’occhiata ai mostri che conoscevamo fin troppo bene che uscivano dalle botole che continuavano ad aprirsi in punti diversi del terreno.
«Cacchio» dissi.
I Dolenti iniziavano ad avvicinarsi a noi, mentre le botole si trasformavano in capsule cilindriche, che in quel momento sembravano il luogo più sicuro nel raggio di cinquecento metri.
«Dobbiamo ucciderli!» sentii gridare da Newt a pochi metri di distanza.
I rumori delle bestie erano insolitamente forti, insopportabili per quanto ne so.
Con le poche armi che ci erano rimaste iniziammo ad accanirci contro i Dolenti. Ce n’era uno per ognuno di noi e quella coincidenza mi diede i brividi.
Mentre mi muovevo da una parte all’altra per combattere contro il mio avversario, vedevo i miei compagni cadere a terra senza vita, o feriti gravemente. Mi dovetti rassegnare all’idea che avevo perso di vista Maggie e ogni volta che la cercavo con la coda dell’occhio, il Dolente riusciva a colpirmi superficialmente.
 
Dopo una mezz’ora tutte le bestie erano a terra e, con mio orrore, anche molti dei Radurai. Jorge, Brenda, Sonya e Teresa stavano bene, erano in piedi uno di fianco all’altro, che guardavano feriti ed esausti lo spettacolo inquietante che avevamo davanti.
Poi scorsi Newt e Thomas, che si abbracciavano come avevano fatto quando eravamo scappati dal Labirinto.
Poi cercai Maggie, mi voltai e feci vari giri su me stesso primo di ritrovarla accovacciata di fianco ad un cespuglio. Corsi verso di lei, facendo lo slalom tra i Dolenti e i Radurai morti. La raggiunsi e mi chinai su di lei: «Maggie» le dissi con una mano sulla spalla.
Lei alzò leggermente il viso pallido e mi sorrise docilmente, la faccia illuminata dal sole del tramonto.
Io risi.
Poi, sopra di noi, il vento aumentò notevolmente e un forte rumore metallico si diffuse tutt’intorno. Una Berga si stava avvicinando a noi. Il portellone dell’aereo mobile si aprì e ne spuntarono fuori due figure che ci fecero segno di salirvi con le mani.
Ci avviammo di corsa verso la Berga e salimmo uno per uno. Gli interni erano chiari, i divanetti erano chiari, i tavoli erano chiari, tutto era inquietantemente bianco.
«Complimenti, ce l’avete fatta» disse una donna sorridendo. Mostrò i suoi denti incredibilmente bianchi.
«È finita adesso?» chiesi alzando le sopracciglia.
«Sì, state tranquilli. Avrete tutti una cura» continuò lei.
Aveva i capelli bruni, gli occhi castani, le labbra carnose ripassate da un velo di rossetto.
«E dove ci porterete adesso?» chiese Thomas.
«Prima di tutto vi porteremo a fare una doccia» sorrise la donna. «Lasciatevelo dire ragazzi, puzzate come degli animali»
Facemmo una smorfia, alcuni risero, consapevoli che era vero: non ci lavavamo da un bel po’.
«Potete riposarvi sui divanetti» disse poi indicandoli. «Il viaggio durerà un po’»
«Dove andiamo?» ripeté Newt.
«Al centro generale della C.A.T.T.I.VO.» disse la donna.
Si diffusero diversi mormorii di dissenso, ma ci saremmo andati: avevano detto che era tutto finito.
«State tranquilli» disse poi Teresa rivolta a coloro che non volevano andare da quelle teste rincaspiate.
«La C.A.T.T.I.V.O. è buona» disse.

Ciao pive!
Scusate se ieri non sono riuscita a postare il capitolo, ma sono andata da una mia amica (e abbiamo visto Maze Runner su Internet ^^)
Comunque spero che questo capitolo vi piaccia e che la storia vi interessi.
Come al solito, qualsiasi commento sarà utile e gradito. 
A presto :*

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Capitolo 24
*** Chapter 24 ***


24
Giorni da 60 a 90
Quando i piloti della Berga ci portarono al centro generale della C.AT.T.I.VO. ci divisero immediatamente. Mentre le guardie ci scortavano verso quella che dissero sarebbe stata la nostra stanza, cercai Minho, Newt e Thomas con la coda dell’occhio, ma scorgevo solo movimenti veloci e indistinti e non riuscivo a vedere i visi delle figure che si muovevano. Così rinunciai a cercarli e mi rassegnai all’idea di parlare con loro l’indomani.
Ma, ancora una volta, la C.A.T.T.I.V.O. ci aveva mentito.
La guardia che si occupava di me era un giovane magrolino e castano, che mi fissava in modo strano. Teneva i miei polsi tra le sue mani sudice.
«Dove mi stai portando?» gli chiesi.
«Ve l’abbiamo già detto. State andando nelle vostre stanze» rispose lui. Aveva un cartellino attaccato sulla divisa verde: Noah.
«Ho capito, ma perché tutte queste stronzate? Perché non ci dite dove andare e punto? E perché non possiamo parlare tra di noi?» insistetti cercando di guardarlo con la coda dell’occhio.
Dietro di me, Noah disse: «Troppe domande. Taci e basta»
Io gli diedi retta, decidendo di non sprecare energie con una testa di caspio come lui. Attraversato il lungo corridoio, bianco come la Berga con cui ci avevano portato lì, Noah mi mostrò una porta. Sopra c’era scritto:
MAGGIE CODD, SOGGETTO A8, GRUPPO A, MINHO
Istintivamente mi sfiorai il tatuaggio, era da tanto che non ci pensavo...
«Eccoci qui» fece Noah.
«Quando potrò rivedere gli altri?» gli chiesi con una certa malinconia.
«Non lo so, presto...» rispose vagamente, neanche lui troppo convinto delle sue stesse parole.
Senza dire altro aprii la porta della mia stanza e mi ci chiusi dentro. Anche l’interno era bianco come il resto delle strutture. Dentro alla stanza non c’era niente, solo una fessura sottile nella parte inferiore di una delle quattro pareti. L’unica fonte di luce era una grossa lampada al neon sul soffitto.
Mi chiesi per quanto sarei dovuta rimanere lì dentro. Stetti qualche oretta a guardarmi intorno, a ripensare a ciò che era successo da quando, qualche mese prima, ero uscita spaesata dalla Scatola della Radura. Mi sentivo un’egoista a pensarlo, ma a volte ero felice che ci fosse capitata tutta quella fottuta situazione solo perché avevo conosciuto i ragazzi. Thomas, Newt e Minho, il mio Minho. Con me era gentile, sapevo che si sforzava di essere dolce, che andava contro la sua natura manifestare i suoi sentimenti, e gli ero grata dello sforzo. Mi mancava in quel momento. Infatti mi alzai e andai alla porta, decisa a cercare la sua stanza e andare da lui. Misi la mano sulla maniglia fredda e la girai ma, proprio come era successo all’hotel della Zona Bruciata, la maniglia non girava né da una parte né dall’altra. La rabbia mi iniziò a salire dentro, ma cercai di mantenere la calma e cercare nella stanza qualcosa con cui fosse possibile aprire la porta. Mi guardai intorno, ma non trovai nulla.
Feci un altro giro su me stessa e, questa volta, vidi che in un angolo alto della stanza c’era una telecamera.
«Ehi» dissi rivolta a chiunque stesse guardando dall’altra parte. «Ehi, voglio uscire, andare dagli altri, aprite?» cercavo di essere gentile, ma la mia non era una richiesta. Io volevo andare dagli altri.
Non ottenni alcuna risposta, ma la cosa non mi meravigliò. Guardai l’orologio che avevo al polso: era quasi ora di cena. Poco dopo, infatti, vidi scorrere da un rullo automatico un piatto di carne e patate, che mi si presentò davanti passando per la fessura del muro. Mangiai il mio pasto e cercai una posizione comoda in un angolo della camera, per dormire.
 
I successivi trenta giorni furono un inferno. La porta continuava a restare chiusa, il cibo continuava ad arrivare tre volte al giorno dalla fessura, la videocamera continuava a filmare e io continuavo ad impazzire. Forse stavo diventando una Spaccata. Forse non mi avevano dato una cura perché non c’era più niente da fare con me, l’Eruzione mi stava mangiando dentro e avevano deciso di lasciarmi lì a morire.
Cercavo di impormi una serie di azioni da ripetere ogni giorno. Correvo il piccolo perimetro della stanza, mangiavo, pensavo, dormivo e ricominciavo. A volte mi capitava di ritrovarmi a battere pugni contro la porta fredda o contro le pareti, e solo quando le mani iniziavano a fare troppo male per continuare capivo che non serviva a nulla; ormai mi ero rassegnata.
 
Giorno 91
Inaspettatamente, quel giorno la porta della mia stanza si aprì e mi ritrovai davanti Noah. Fui svegliata dalla porta che cigolava, guardai l’orologio: le sei del mattino.
«Buongiorno» mi disse Noah. Era la prima volta che lo vedevo sorridere.
Io feci una smorfia. Dovevo avere un aspetto orribile: occhiaie e sguardo spento, capelli spettinati e in disordine, gli occhi lucidi.
«Ti sono venuto a prendere, la Prova 3 è finita. E adesso, posso dirtelo con la totale sincerità, potrai vivere la tua vita» disse.
«L’ho già sentita questa, mi spiace» dissi accovacciata nel mio “angolo letto”.
«Dico davvero»
«Anche io. Probabilmente mi convincerai a venire con te, mi porterai da qualche parte e mi dirai di rimanere lì finché la pazzia non mi divorerà del tutto, riducendomi un mucchio di pelle e ossa»
«Fai come vuoi, se non vuoi vedere gli altri sei libera di rimanere qui» alzò le spalle.
Quella poteva anche essere una trappola ma, quando parlò dei miei amici, qualcosa dentro di me si accese: mi diede la forza che in quei trenta giorni si era spenta lentamente dentro di me. I miei occhi si illuminarono: «Ci sono gli altri di là?» chiesi incredula.
Noah annuì. «Ti stanno aspettando tutti nel salone»
Con uno scatto mi alzai e corsi fuori dalla stanza. «Da che parte?»
«Fermati: non ti lavi da un mese, Maggie. Puzzi come... è meglio che tu ti faccia una doccia»
Gli scoccai un’occhiata per rimproverarlo, ma ero contenta che non avesse usato termini di paragone per definire la quantità di sudore che si era inghiottita di me. Alitai contro la pianta della mia mano e annusai ciò che venne rimandato: mi dovevo lavare. Afferrai con forza i vestiti e l’asciugamano che Noah aveva in mano e mi diressi verso la stanza che il suo dito indicava.
«Hai mezz’ora» disse accompagnandomi fin lì.
 
Mezz’ora dopo, uscii dalla stanza sentendomi bene. Non temevo di puzzare come una camionista, dato che mi ero fatta lo shampoo e passata il bagnoschiuma tre volte.
Noah mi portò verso un salone con le porte antipanico, che sembrava un teatro scolastico. «Prego, io mi fermo qui» disse facendomi segno di entrare.
Con un certo entusiasmo, mi fiondai sulla maniglia e feci il mio ingresso nella sala. I ragazzi stavano parlando tra loro, tutti raggianti e riposati. Sul palco c’era l’Uomo Ratto che stava sfogliando un paio di fogli, che non si curava di noi.
Riconobbi alcuni del Gruppo B che dovevano essere arrivati per conto loro, tra cui Aris. Vidi  poi Newt e Thomas con Teresa e Sonya. Subito non mi videro, ma quando Newt incrociò il mio sguardo, interruppe la conversazione e afferrò Thomas trascinandolo verso di me. Mi si gettarono addosso, abbracciandomi con tanta foga che mi diedero tutto l’affetto che mi era mancato in quei trenta giorni.
«Ditemi che anche voi siete stati rinchiusi in una stanzetta del caspio e che io non sono senza speranze» dissi in tono supplichevole.
«Anche noi siamo stati chiusi lì dentro» risero i due.
«Grazie al cielo» era un sollievo per davvero saperlo.
Tra noi si fece poi spazio un silenzio imbarazzante: volevo chiedere loro dove fosse Minho, ma non trovavo le parole. Eppure non era così difficile... fu Newt a capire che volevo vederlo.
«È laggiù» disse facendo un cenno verso un angolo della sala, dietro la porta da cui ero entrata.
«Come hai...?»
«Non vi siete visti per trenta giorni. Non avete rischiato di uccidervi soffocandovi con uno dei vostri soliti baci. Non sapevate se foste vivi o morti. Minho è davvero preoccupato, guardalo» mi interruppe Tom.
Guardai il ragazzo asiatico, si stava guardando le mani che si muovevano nervose lungo i pantaloni.
«Vai da lui» disse Newt facendo l’occhiolino.
Feci come mi dissero ringraziandoli. Minho era girato verso la parete, in penombra. Gli arrivai da dietro e gli misi le mani sugli occhi. Poi scivolai verso di lui e mi sedetti sulle sue possenti gambe. «Sorpresa» dissi togliendo le mani dai suoi occhi.
«Maggie» sorrise lui. Un sorriso carico di sollievo, di felicità, di libertà.
Dopo, come disse Thomas, rischiammo di morire asfissiati da uno dei nostri baci. Avrà pur fatto fatica ad esprimere i suoi sentimenti, ma a baciare era un fottuto mito.
 
Giorno 831 ca.
Una mezz’ora dopo l’Uomo Ratto – che disse di chiamarsi Janson – ci richiamò all’ordine, chiedendoci di sederci sulle poltroncine della sala. Iniziò a blaterare qualcosa su dei test, ma non prestavo attenzione, cercavo più che altro di mettere insieme le idee. Cosa ci sarebbe successo ora?
«Ora, voi siete stati scelti per gli esperimenti perché siete dei Muni: siete immuni all’Eruzione. Siete malati, ma non presentate i sintomi e quindi siete salvi» disse.
Nella sala si alzarono decine di commenti di gratitudine e sollievo.
Muni. Uno Spaccato nella Zona Bruciata aveva detto che io, Maggie e Thomas eravamo Muni e che volevano ucciderci perché lo eravamo.
«Ovviamente alcuni del gruppo di Prove non sono immuni, e sono stati scelti come soggetti di controllo. Quando si fa un esperimento c’è bisogno di un gruppo di controllo. Serve per determinare il contesto in cui si raccolgono i dati. È una specie di controprova, questi soggetti vengono chiamati i collanti» proseguì l’Uomo Ratto.
Collante. Newt, di fianco a me, trasalì.
«Qui ho la lista di coloro che non sono immuni.» l’uomo disse una decina di nomi, persone di cui conoscevo l’esistenza, ma con cui non avevo mai avuto a che fare. Poi, come un fulmine a ciel sereno, l’ultimo nome che pronunciò mi fece venire i brividi. La rabbia e la tristezza mi riempirono dentro.
«Newt» disse l’Uomo Ratto come ultimo nome, riponendo poi il foglio con i nominativi in tasca.
Lo Spaccato della Zona Bruciata aveva anche detto che a Newt non sarebbe successo niente, perché non era un Mune. Perché sarebbe diventato uno Spaccato e sarebbe morto presto.
Perché Newt era il Collante.

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Capitolo 25
*** Chapter 25 ***


25
Giorno 92
Il giorno prima avevamo appreso che alcuni di noi non erano immuni alla malattia.
Il giorno prima avevamo appreso che Newt non era immune all’Eruzione.
Quando Janson pronunciò i nomi della lista e sentii pronunciare quello del mio migliore amico, tutto si annebbiò. Non appresi subito che, se non avessimo trovato una cura, Newt sarebbe diventato uno Spaccato e sarebbe morto presto. Chiesi più spiegazioni all’Uomo Ratto riguardo ciò che aveva detto sui ragazzi che non erano immuni e lui iniziò anche a rispondermi scocciato dopo qualche domanda.
Fu Newt a fermarmi: «Maggie significa che diventerò uno Spaccato se non troveremo una cura» mi mise una mano sulla spalla e mi sorrise. «Ma starò bene».
Quando Janson finì di parlare vidi Sonya piangere e mi salì la rabbia dentro. Lei lo conosceva da un mese e poco più e, per la maggior parte del tempo, erano rimasti chiusi in due stanze senza poter parlarsi. Iniziai ad insultarla mentalmente, ma poi mi ricordai che alla Radura avevo reagito allo stesso modo. Quando Newt e Gally mi dissero che Minho e Thomas sarebbero dovuti tornare dal Labirinto ore prima e che probabilmente non avrebbero fatto ritorno mi crollò il mondo addosso e li conoscevo solo da qualche giorno. Così, invece che imprecarle contro,mi avvicinai a lei, le misi una mano sulla spalla da dietro e le feci un sorriso forzato, lei non mi piaceva, come non mi piaceva Teresa. «Si risolverà tutto» le dissi. «Gli troveremo una cura»
Lei mi rivolse un sorriso sincero, e io mi sentii male per odiarla quando lei mi considerava una brava persona.
Dopo mi allontanai da lei e andai da Newt, che era solo in un angolo. Lui sembrava quello meno sconvolto, nonostante si trattasse di lui. Non gli dissi niente, non gli sorrisi, andai semplicemente da lui e lo abbracciai. Affondai il naso umido nella sua camicia di cotone, nel suo collo e ne assaporai il profumo. Una lacrima rimbalzò sulla sua spalla e lui si allontanò da me: «Stai piangendo?» disse con un sorriso.
Io mi asciugai gli occhi lucidi e scossi la testa. «No, no avevo soltanto un... qualcosa nell’occhio»
«Non l’ho mai sentita» rise lui di rimando, ironico. Mi attirò di nuovo a sé e mi strinse più forte della volta precedente.
 
In una nuova stanza, stavolta più confortabile e colorata della precedente, ripensavo a quel momento fissando il soffitto, sdraiata sul letto. Era un materasso matrimoniale al centro di una stanza dalle pareti azzurrine; era arredata con qualche mobile bianco che nei dettagli riprendeva il colore dei muri. C'era un'unica finestra da cui si poteva intravedere parte del bosco che circondava il quartier generale. La luce era più calda e confortevole di quella fredda e al neon cui mi ero abituata nella stanzetta della Prova 3. Il soffitto che stavo fissando era bianco, con alcune decorazioni turchesi.
Sentii bussare alla porta. «Avanti» dissi con un filo di voce.
Dalla porta sbucò Thomas, che si sdraiò sul letto di fianco a me, con un piccolo sorriso. «Perché te ne sei andata così? L’Uomo Ratto ha detto altre cose, alcune anche importanti» fissava il soffitto come me, le mani dietro la nuca.
«Non mi interessa» gli risposi io.
«Vogliono rimetterci la memoria» disse. «Dovrebbe interessarti»
Volevano restituirci i ricordi? Avevo pensato molte volte alla mia vita precedente, ma improvvisamente l’idea effettiva che potesse ripiombarmi addosso tutta in una volta era detestabile. Volevo sapere tutto di me, ma mi sembrava così fuori luogo e impensabile che l'idea non mi sfirò nemmeno il cervello. In quel momento decisi che, anche se me l'avessero proposto di nuovo e in altre circostanze, non avrei accettato di farmi rimettere la memoria. Volevo crearmi nuovi ricordi e non pensare più a ciò che ero prima, anche perchè fino ad allora la persona che ero prima non era esistita.
E non esisteva più.
«Dici davvero?» gli chiesi comunque.
Lui annuì serrando le labbra. Volevo smettere di mettere la mia vita nelle mani della C.A.T.T.I.V.O.
Volevo crearmi una nuova vita sulla base di quella che avevo iniziato tre mesi prima alla Radura, con Minho e Thomas. E anche Newt.
«Non voglio che mi manipolino di nuovo la testa. Io non lo faccio»
«Che sollievo» disse ridendo.
Io mi girai verso di lui. «Come?»
«Neanche io, Minho e Newt vogliamo farlo e temevamo che tu volessi. È una gran notizia signorina Codd» mi diede una pugno sulla spalla.
«E si può? Voglio dire, non ci costringeranno a riottenere la memoria?»
Lui scosse la testa e io gli sorrisi.
«Allora, come va con Teresa?» gli chiesi dopo un po’.
«Eh?»
«Sì, la tipa che voleva ucciderti, ti dice niente? Non sembra molto a posto, crede che quei pazzi stiano facendo la cosa giusta...»
«Tra di noi non c’è niente» disse son un mezzo sorriso.
«Certo» annuii con un ghigno.
Poco dopo bussarono di nuovo alla porta.
«Avanti» disse Thomas.
«Ciao pive» disse Minho entrando. Di fianco a lui c’era Newt.
«Ci sono brutte notizie» continuò il biondo.
«Delle altre?» chiesi con poco entusiasmo puntando i gomiti.
«L’Uomo Ratto ci ha detto che ha sentito i suoi colleghi e che non abbiamo possibilità: dobbiamo farci ridare la memoria» disse Newt.
«Sul serio? E noi non ci arrenderemo così, giusto?» chiesi.
«Per chi ci hai preso fagio?» chiese Minho alzando le sopracciglia. Era da una vita che non mi chiamava così e, ogni volta che qualcuno usava quei termini del caspio che avevano inventato alla Radura, nel petto mi saliva una malinconia che non mi sarei mai aspettata di provare. «Ci serve un piano per scappare, e soprattutto per salvare le chiappe a Thomas»
«Io? Perché, che cos’ho fatto?» chiese lui esasperato.
«A quanto dicono gli scienziati, tu sei il cervello fondamentale per trovare una cura all’Eruzione e senza di te andranno fuori di testa come degli...» Minho si arrestò giusto in tempo. Stava per paragonare quelle teste di caspio a degli Spaccati, stava per paragonarli a Newt. Su di lui si dipinse un’espressione desolata.
«È tutto okay» disse Newt.
«D’accordo, ma senza una cura Newt resterà ammalato» notai io.
«Sono io che voglio che noi ci sottraiamo a quei fottuti riti degli scienziati: voglio passare i miei ultimi momenti di lucidità con voi senza ricordarmi di nessun altro» disse con un sorrisetto.
Quelle parole mi riempirono di tristezza e malinconia. Stavamo dicendo addio in partenza al nostro migliore amico ed era devastante.
«Ci saranno decine di guardie qua dentro» fece notare Thomas.
In quel preciso istante un allarme dannatamente forte risuonò per tutto l’edificio. A ritmi costanti, la sirena lampeggiava e l’allarme suonava. Io mi alzai dal letto e sbucai dalla porta per vedere se nel corridoio ci fosse qualcuno che avrebbe potuto fornirci delle spiegazioni. Ma era tutto vuoto, si vedevano solo delle guardie che correvano avanti e indietro, troppo veloci per poterle fermare.
Soltanto una correva più lentamente di altre, con un’arma in mano.
«Ehi!» le gridai. «Cosa sta succedendo?»
«Sono entrati» disse frettolosamente. Era una voce famigliare, fin troppo. Accanto alla guardia se ne affiancò un’altra, che si girò insieme alla prima.
Maschio e femmina.
«Chi?» urlai alle due guardie.
Quando si girarono completamente li riconobbi: erano Jorge e Brenda.
«Sono entrati gli Spaccati, hermanos» disse Jorge.

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Capitolo 26
*** Chapter 26 ***


26
Giorno 832 ca.
Brenda e Jorge entrarono velocemente nella stanza di Maggie. Quando loro passarono la porta gliela chiusi con forza alle spalle, poi mi girai e incrociai le braccia. «Dovete dirci qualcosa?»
«Sì, cosa ci fate con le divise della C.A.T.T.I.V.O.?» aggiunse Thomas.
«Noi lavoriamo per la C.A.T.T.I.V.O., chicos» disse Jorge.
«Come?» gli occhi verdi di Maggie si sgranarono.
«Volete spiegarci?» chiese poi Thomas.
«Prima che vi mandassero nel Labirinto, io e Jorge avevamo accettato il lavoro perché era uno dei pochi che prevedesse degli Immuni tra gli impiegati. Quando ci siamo incontrati nella Zona Bruciata niente è stato casuale. Noi non siamo Spaccati e sapevamo fin da subito che il Gruppo B avrebbe cercato di uccidervi e sapevamo che vi avrebbero rinchiuso nelle stanzette e costretti a riottenere la memoria. Noi avremmo dovuto contribuire a togliervi il Filtro, ma la sede è stata attaccata dagli Spaccati e adesso neanche noi sappiamo cosa fare... stavamo cercando un’uscita.» spiegò Brenda.
«Sì, anche noi dobbiamo uscire di qui» affermai io.
«Potete venire con noi» disse lei con un tono troppo affettuoso.
«Bene così» annuì Thomas.
«Sì, dov’è l’uscita?» chiesi rivolto ai due.
«Fermi» si intromise Maggie seduta sul suo letto. Fece un ampio gesto con le mani. «Volete davvero seguirli? Ci hanno mentito fino adesso, ci hanno raccontato che se non fossero venuti con noi sarebbero morti diventando degli Spaccati, e in questo momento non mi sembra per niente divertente» disse facendo un cenno verso Newt, che continuava a fissare un punto indistinto del pavimento.
«Non abbiamo altra scelta» fece notare Thomas di fianco a lei.
«Maggie so che è stata tutta una bugia, ma i momenti che abbiamo passato insieme rimangono quelli, Spaccata o no. Io ti voglio bene e voglio che ti fidi di me, di noi» Brenda indicò anche Jorge. «Abbiamo accettato il lavoro alla C.A.T.T.I.V.O. solo perché non sapevamo cos’altro fare, ma non vi avremmo mai fatto del male» poi si avvicinò a Maggie con un sorriso.
«Non possiamo fare altro...» le feci notare alzando le braccia.
«D’accordo» disse lei chiudendo gli occhi. «Okay, andiamo»
Uscimmo in fila dalla stanza e Newt rimase lì a fissare il pavimento. Non aveva aperto bocca durante la piccola conversazione con Brenda e Jorge.
«Newt? Amico, andiamo» gli dissi toccandogli il braccio.
Eravamo rimasti io e lui nella stanza. Lui mi lanciò un’occhiataccia. «Non mi toccare» disse.
«Scusa» dissi ritirando la mano.
«Su, andiamocene» mi sorpassò e uscì dalla porta.
Scossi la testa e allontanai l’idea che quel suo comportamento dipendesse dal fatto che avesse l’Eruzione. Che non dipendesse dal fatto che stesse diventando uno Spaccato.
Usciti, Jorge disse che avremmo dovuto attraversare tutto il corridoio per raggiungere il deposito delle Berghe. Iniziammo a correre, a muovere i piedi in quel modo così famigliare. Il posto sembrava vuoto: di tanto in tanto si vedeva un’ombra attraversare davanti a noi, ma troppo lontana e veloce per poter capire di cosa si trattasse. Come il resto della struttura, il corridoio era di un bianco inquietante, poche finestre che davano sul bosco e, di tanto in tanto, qualche mobile oltre alle sedie azzurre che erano accostate alle pareti.
«Ci siamo, ancora qualche metro a saremo al deposito!» gridò Jorge per sovrastare il casino.
L’allarme continuava a suonare e rumore di spari e grida riempivano l’aria.
Una luce incredibilmente forte attraversava il corridoio mentre noi pestavamo il pavimento bianco. Poco più tardi riuscimmo finalmente a scorgere una decina di Berghe. Accelerammo il passo, ormai convinti che gli Spaccati non ci avrebbero visti.
Thomas, Jorge e Brenda erano già saliti sopra uno degli aereo-mobili. Newt stava superando il portellone quando un urlo talmente forte – e famigliare – ci fece girare entrambi.
Maggie era stata catturata da due Spaccati, un uomo e una donna che la tenevano stretta.
Mi scambiai uno sguardo veloce con Newt, che saltò giù dal portellone e mi fece un cenno.
«Veloci, pive!» gridò Thomas. Il suo viso sbucò poi dall’entrata della Berga. «Oh cacchio» esclamò.
Balzò anche lui giù dal portellone e si unì a me e a Newt. Ci gettammo addosso agli uomini tirando pugni a destra e a manca. Thomas e Newt allontanarono la donna da Maggie e iniziarono a pestarla, io invece mi avvicinai all’uomo che la teneva ancora stretta e stava iniziando ad allontanarsi.
«Fermati testa di caspio!» gridai.
Mi gettai addosso a lui alle spalle iniziando ad allentare la sua presa sulle braccia rosse di Maggie. Gli tirai dei pugni sul collo e sulla faccia e Maggie, con un po’ di fatica, riuscì finalmente a liberarsi. L’uomo, infuriato con me, la lasciò andare e si girò su di me buttandomi a terra. Si mise a cavalcioni sul mio petto e iniziò a riempirmi di pugni. I rumori diventavano più ovattati e la vista più annebbiata. Potevo sentire la voce di Maggie, straziante, che gridava qualcosa da lontano, ma non capivo cosa. Di fianco a me vedevo il corpo inerme della donna che Thomas e Newt avevano messo al tappeto. L’uomo continuava a picchiarmi e, nonostante io facessi resistenza e gli tirassi dei colpi di rimando, le sue botte mi lanciavano in uno stato di stordimento totale. Le sue mani iniziarono ad allontanarsi dal viso e si avvicinarono al collo, iniziando a stringerlo. L’aria che non riusciva a passare sgonfiava velocemente i miei polmoni.
Le grida di Maggie. La voce di Newt e Thomas. Le mani dell’uomo. Il viso che faceva male. L’aria che mancava.
Poi il corpo dell’uomo venne scaraventato alla mia destra, Newt e Thomas che si lanciarono su di lui.
Iniziai a prendere numerose boccate d’aria alzandomi sui gomiti. I suoni iniziavano ad essere più chiari e anche la vista stava migliorando. Finalmente i miei polmoni ebbero sollievo e vidi la figura di Maggie avvicinarsi a me. Mi accarezzò il viso e poi i capelli, sorridendomi. Mi diede un rapido bacio sulla fronte e poi mi tirò in piedi. Mise il mio braccio intorno alle sue spalle e iniziò ad incamminarsi verso Brenda e Jorge. Simultaneamente Newt e Thomas ci raggiunsero, aiutando Maggie a reggermi, e corremmo verso la Berga che Jorge aveva già messo in moto.
«State bene?» chiese Brenda una volta saliti. Noi annuimmo, anche se io ero un po' stordito.
«Dove stiamo andando?» chiese Thomas.
«A Denver» disse Jorge dalla cabina di comando. «Sarà un lungo viaggio, chicos, dormite un po’»
Ci mettemmo in due stanze: Thomas con Newt, e speravo l’avrebbe fatto ragionare, che l’avrebbe fatto parlare, e io con Maggie. Ci sdraiammo sul letto matrimoniale e lei si strinse a me, schiacciandomi il petto dolorante.
«Maggie, te l’ho detto che ce l’avremmo fatta» dissi sopra di lei, con un sorriso.
«E Newt?» chiese malinconica.
«Ce la farà anche lui».


Ehilà:)
Allora, la storiella va avanti e spero davvero vi piaccia. A proposito di questo, ci terrei a ringraziare tutte le persone che hanno recensito (e spero continuino a farlo, dicendomi cosa pensano ^^) la mia storia, perchè i loro commenti mi fanno davvero comparire un sorriso:)
Restando sulla storia, oggi mi è venuto in mente che farò delle specie di file, delle schede riguardo i personaggi di questa storia (quindi tutti quelli del libro, credo solo il primo, e anche di Maggie) descrivendo un po' cosa la C.A.T.T.I.V.O. sapeva di loro e come si sono sentiti appena arrivati alla Radura. Che ne dite, vi piace come idea? Le posterò il prima possibile, una o due anche oggi probabilmente...
A presto pive, un bacio:*

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Capitolo 27
*** Chapter 27 ***


27
Giorno 94
Mi svegliai stretta a Minho, sotto al lenzuolo sottile. C'era un gran freddo, nonostante fossimo veramente vicini. La stanza era illuminata solo dal chiarore che filtrava dal finestrino. Cercai di capire se fosse sveglio, ma era troppo buio.
«Ci sei?» gli chiesi.
«Sì» disse lui assonnato.
«Quanto ho dormito?»
«Due ore più o meno»
Aspettai un attimo a continuare la conversazione: avevo paura a ritornare su quell’argomento. «Credi davvero che Newt ce la farà? Insomma, ce ne stiamo andando dalla sede che avrebbe garantito una cura all’umanità grazie alle nostre teste...»
«Sì Maggie, troveremo un modo» disse Minho.
«E cosa faremo adesso? Cosa faremo a Denver?»
«Dicono che lì ci siano molti immuni e cose del genere. Sarà un posto sicuro» sembrava non aver voglia di parlare, ma nella mia testa frullavano troppe domande e, questa volta, non potevo tenermele per me come feci al Labirinto, appena arrivata.
«Ma lì non conosciamo nessuno, non sappiamo come muoverci in una città vera e propria»
«Brenda ha detto che non potremmo fidarci di nessuno in ogni caso» disse lui. Mi guardava in penombra dall’alto, io ero stretta sotto la sua spalla.
«In effetti non so neanche perché ci siamo fidati di loro» dissi. Volevo bene a Brenda e anche Jorge non era male, ma ci avevano mentito e avevano finto fino a quel momento, perché ci saremmo dovuti fidare?
«Maggie smettila. Li hai sentiti: hanno accettato il lavoro perché non avevano altra scelta. Ci hanno aiutato sul serio nella Zona Bruciata e hanno salvato il culo anche a te nel caso non te lo ricordassi, quindi diamogli un’opportunità, se poi faranno delle caspiate ce la caveremo da soli» disse tagliando corto.
«Okay, d’accordo. Sappiamo qualcosa della C.A.T.T.I.V.O.?» cercai di cambiare argomento perché Minho avrebbe continuato fino a che non gli avessi dato ragione ed era una battaglia persa in partenza con una persona orgogliosa come lui.
«No, ma Jorge e Brenda hanno detto che possiamo fidarci di una sola di quelle teste di caspio. La cancelliera Ava Paige»
Annuii senza chiedere altro, ero stanca, mi sentivo stanca. «D’accordo, ehm... credi che possa dormire un altro po’?»
Lui annuì sorridendo e io in poco tempo mi riaddormentai tra le sue braccia confortevoli.
 
«Maggie? Andiamo pive, sveglia» Minho mi stava parlando in un orecchio.
Aprii gli occhi e li strizzai per abituarmi alla luce. La stanza, che fino alla sera prima era immersa nel buio, ora era illuminata dalla luce del sole che filtrava dal finestrino illuminando i nostri visi e il piumino bianco. Guardai il viso del ragazzo asiatico che mi guardava dall'alto, con un sorrisetto stampato in faccia. Minho mi piaceva, non potevo spiegarlo in altro modo. Era sempre stato dalla mia parte, mi aveva sempre aiutata. E sì, poi c'erano anche quei baci che nemmeno io sapevo bene cosa significassero.
Le sue parole mi ricordarono quando nel Labirinto io, lui o Thomas facevamo a turno per svegliare uno dei tre che puntualmente voleva rimanere a letto. In quelle circostanze mi sembrava strano dirlo, ma mi mancava la Radura. Per quanto ne sapevo, ero cresciuta lì dentro, tra quelle fottutissime teste di caspio che ora erano la mia famiglia.
«Buon giorno» sbadigliai.
«Jorge sta atterrando, siamo arrivati a Denver. Brenda ha affittato una camera d’albergo durante il viaggio, andrà tutto bene» disse con un sorriso.
Mi sentivo ancora stanca nonostante avessi dormito diverse ore. Annuì assonnata.
«È tutto okay?» mi chiese Minho toccandomi la spalla.
«Credo di sì» disse sorridendogli.
«Okay, scendiamo allora» disse.
Uscimmo dalla stanza raccogliendo le poche cose che ci erano rimaste da quando eravamo scappati. A pensarci, non avevamo fatto altro che scappare. Scappare dal Labirinto, scappare dagli Spaccati, scappare dalla C.A.T.T.I.V.O., ed io ero stanca di scappare, ero stufa di tutta quella situazione del caspio.
Scesi dalla Berga insieme a Minho, convinta che tutti gli altri fossero di sotto, ma c'erano soltanto Jorge, Brenda e Tommy. «Perché non c’è Newt?» chiesi.
«Non lo farebbero entrare a Denver» disse dispiaciuto Jorge. «I confini sono controllati con la massima sicurezza e, se non sei un’immune, non puoi entrare»
«Quindi lo lasciamo qui così, da solo» notai io con un po’ di fastidio.
I quattro annuirono con un’espressione addolorata, anche Minho sapeva che avremmo dovuto lasciarlo lì.
«D’accordo, andiamo» dissi io superandoli e iniziando a camminare.
Passammo i controlli in poco tempo. Questi controlli consistevano nell’oltrepassare un macchinario con un sottile filo di metallo che, verificando la presenza o meno dell’Eruzione all’interno del tuo corpo, ti diceva se potevi introdurti in città oppure no.
In poco tempo arrivammo in città e ci mettemmo a camminare verso l’albergo. Camminare in una vera e propria città era davvero bizzarro. Vedevamo sfrecciare taxi e macchine, bambini mano nella mano con le proprie madri, che li costringevano ad indossare una mascherina sulla bocca. Loro avevano ancora delle madri, loro avevano ancora una vita, sempre se si potesse definire tale. Quell’immagine mi riempì di tristezza.
Camminavamo in riga e quella che si guardava più intorno ero io. Vedevo cartelloni pubblicitari che dicevano che le cure per l’Eruzione sarebbero state disponibili a breve, ma non era vero; senza Thomas o altri di noi che permettessero alla C.A.T.T.I.V.O. di controllargli il cervello, la cura non poteva esistere.
«Dovremmo prendere qualcosa da mangiare» disse Jorge arrestandosi.
«E dove?» chiese Thomas.
«Seguitemi» sempre Jorge.
Seguimmo il ragazzo fino all’entrata di un grosso edificio ricco di vetrate a specchio. L’interno era pieno di gente. Uomini e donne che, sempre con le mascherine alla bocca, camminavano avanti e indietro e scorrevano lungo delle strane scale automatiche. C’era una rampa che saliva e una che scendeva, le persone salivano sul primo gradino e poi potevano rimanere ferme fino all’arrivo. Erano davvero una figata. Le persone sfrecciavano frettolosamente da un lato allìaltro dell'edificio, molti di loro con buste colorate nelle mani. 
«Cos’è questo posto?» chiesi con Minho e Thomas che annuivano alla mia domanda.
Il volto di Brenda si riempì di tristezza, forse perché quello era uno dei luoghi più comuni da frequentare per delle persone normali. «Si chiama centro commerciale» disse.
Jorge e lei ci guidarono poi ad un ristorante – dissero che i ristoranti come quelli si chiamavano selfservice – e poi ci dissero che potevamo tornare all’albergo.
Stavamo scendendo lungo le scale automatiche, o mobili come disse Jorge, quando un uomo iniziò ad avvicinarsi. Era alto e massiccio con pochi capelli sulla testa. Gli occhi piccoli nascosti dietro un paio di occhiali spessi e il collo infossato tra le due spalle. Fermò Thomas e gli chiese se fossimo effettivamente noi.
«Sì» rispose Thomas. «Tu chi sei?»
«Non importa chi sono io, dovete recarvi qui oggi pomeriggio» disse, poi mostrò un biglietto a Tom: sopra c’era un indirizzo e quanto di più inaspettato potessimo immaginare: il nome del proprietario della casa.
Gally.

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Capitolo 28
*** Chapter 28 ***


28
Giorno 835 ca.
Quando leggemmo il nome scritto sul foglietto restammo tutti a bocca aperta. Gally, com’era possibile? Era morto, ne ero abbastanza sicuro. Ero stato io ad ucciderlo con la lancia quando eravamo scappati dal Labirinto, quando lui aveva ucciso Chuck.  
«Gally?» alzai le sopracciglia e fissai l’uomo.
«Sì, lo so vi sembra assurdo,  ma è così. Andate da lui e vi spiegherà tutto» disse facendo per andarsene.
«Fermati. Ci lasci qui con un biglietto? Per quello che ne sappiamo potrebbero ucciderci in questo posto del caspio» dissi tenendo stretto tra le mani il biglietto.
«Dovete... fidarvi di lui. È cambiato da quando lo avete conosciuto al Labirinto» l’uomo sembrava essere di fretta, così con un cenno d’assenso si accontentò e scese per le scale mobili.
«Quindi cosa facciamo, andiamo da Gally?» chiese Maggie con le mani sui fianchi, sbuffando.
«Beh, non so voi chicos ma io sono curioso. Forza, andiamo» Jorge si diresse verso le scale e ci costrinse a seguirlo.
Per raggiungere la casa del vecchio Raduraio, prendemmo un taxi da otto persone. La persona al volante era un uomo anziano e anche lui, come la maggior parte dei cittadini, indossava una mascherina, ma non credevo bastasse per salvarsi dall’Eruzione.
All’improvviso inchiodò e iniziò ad insultare un ragazzo, più o meno della nostra età, che si era lanciato in mezzo alla strada.
«Idiota, fatti di meno Nirvana!» urlò dal finestrino abbassato.
«Cos’è il Nirvana?» chiese Maggie a Brenda.
«È una specie di droga che rallenta i sintomi dell’Eruzione. Costa tantissimi soldi e in pochi riescono a permettersela» spiegò la mora.
«Ma è fin troppo evidente quando qualcuno la assume e le autorità portano via i malati mettendoli in quarantena» puntualizzò il vecchio al volante.
Maggie annuì un po’ confusa. Poi, dopo qualche curva, il vecchio arrestò l’auto e allungò la mano verso di noi attraverso lo sportello, chiedendo i soldi. Racimolammo la somma richiesta e scendemmo dalla macchina. Poi sgommò via immettendosi nel traffico della città.
«È questo» annuì Thomas guardando prima il biglietto e poi il numero civico dell’edificio.
Noi tre ci fissammo un po’ incerti e poi fu Jorge a fare strada. «Vamos, se aspettiamo loro non entriamo mai più»
Lo seguimmo allora in fila indiana lungo le scale strette e rovinate, piene di polvere e ragnatele, e arrivammo davanti all’appartamento che apparteneva  a Gally.
Bussai io, con la mano pesante.
«Avanti» si sentì rispondere. La voce era quella di Gally e la certezza che fosse davvero vivo mi spaventò.
Entrammo lentamente nella casa e lui era seduto su un divano vecchio e malandato,come d'altronde tutto il resto della casa. La piccola cucina a vista era riempita di elettrodomestici arrugginiti e sporchi, il tavolo da pranzo era ricoperto da un fitto velo di polvere e la moquette era sporca e rovinata.
Lui ci guardò con fare compiaciuto. «Non vi hanno dovuto pregare allora»
«Come mai hai voluto che venissimo qui?» gli chiese Thomas.
«Ho un bel po’ di cose da raccontarvi» disse Gally. «Prego,» continuò indicando il divano di fronte a lui «accomodatevi»
Ci sedemmo tutti e cinque, un po’ titubanti. Poi la prima cosa che Gally disse mi lasciò senza parole.
«Intanto ci tenevo a scusarmi con voi tre Radurai per come vi ho trattati alla Radura, non era mia intenzione e, ora che mi è stato rimosso l’impianto, mi è anche chiaro il perché del mio fottuto comportamento» disse fissando me, Maggie e Thomas.
«L’impianto?» disse Maggie.
«Grazie per aver accettato le mie nobili scuse» ironizzò Gally con un accenno di sorriso.
«Già, sì... scuse accettate» disse sbrigativamente Maggie.
«Comunque l’impianto è un apparecchio che la C.A.T.T.I.V.O. ci ha installato nel cervello prima di mandarci nel Labirinto. È il dispositivo con cui ci controllavano e con cui controllano voi tre anche adesso. Senza quello la C.A.T.T.I.V.O. non potrà più mettersi sulle vostre tracce e vi consiglio di toglierlo il prima possibile, potrebbero aver già scoperto che siete a Denver»
«E perché ora che non hai più questo affare hai capito come mai avevi un comportamento del caspio?» gli chiese Maggie.
«Perché avevano deciso di controllarmi, non vi avrei mai trattati così, pive. Era solo un... sarei uscito con voi se non fossi stato manovrato da loro e non avrei nemmeno...» Gally si fermò. Era chiaro cosa stesse per dire: non avrebbe mai ucciso Chuck. Pensare alle guance paffute del bambino mi fece salire dentro una malinconia inaspettata, che mi vergognai di sentire.
«Sì, abbiamo capito» tagliò corto Maggie.
«Okay, e chi toglie questi impianti?» intervenne Thomas.
«Hans» fu Brenda a rispondere. Contemporaneamente ci voltammo verso di lei con la fronte corrugata, ma fu Gally a parlare: «Lo conosci?»
Lei annuì. «È un vecchio amico»
Gally dopo si alzò e aprì il cassetto di un mobile al centro della stanza. Ne tirò fuori una busta ingiallita con dentro un indirizzo. «Ecco, dovrebbe trovarsi qui. Se la vostra amica lo conosce, non dovrebbero esserci problemi»
«Ma come mai ci hai voluti qui?» chiesi poi io tornando alla domanda di Thomas.
«Ecco, adesso che mi è chiaro tutto quello che la C.A.T.T.I.V.O. ha fatto – e tutt’ora sta facendo – a persone come noi, ho aderito ad una associazione che si chiama Braccio Destro. Il capo, Vince, ha in testa un paio di idee per arrivare al nostro obbiettivo, e credo che voi possiate essere interessati»
«E quale sarebbe esattamente l’obbiettivo di questo Braccio Destro?» chiesi alzando le sopracciglia.
«Distruggere la C.A.T.T.I.V.O.»
Ci guardammo l’un l’altro, come a chiederci cosa dovessimo fare. Poi fu Maggie ha interrompere il silenzio.
«Cosa vuol dire che anche adesso la C.A.T.T.I.V.O. sta agendo?»
«Fagiolina, credi davvero che una volta che noi siamo usciti dal Labirinto quelle teste di caspio non abbiano continuato con i loro assurdi test? Noi non siamo gli unici Muni in questo fottuto mondo, e non siamo gli unici ad essere testati»
«Cacchio» disse Thomas. Non avevamo mai pensato di non essere gli unici immuni. Altre persone, magari anche bambini, stavano subendo tutto ciò che avevamo subìto noi.
«D’accordo» subentrò Jorge, che fino ad allora aveva fatto scena muta, alzandosi con fare pensieroso. «Penseremo alla tua proposta di unirci al Braccio Destro, hermano. Ora però dobbiamo andare da Hans»
Ci alzammo insieme a lui e ci dirigemmo verso la porta.
«Allora ci si vede, pive» disse Gally all’uscita.
«Sì, ma non chiamarmi più Fagiolina, Gally» disse Maggie arrabbiandosi ironicamente.
«Già, chiamala Meg» disse Jorge trascinandola di fretta fuori dall’appartamento.
«Meg?» chiesi io stranito. Poi venni trascinato giù dalle scale da Brenda e, mentre Gally richiudeva la porta, riuscii a scorgergli un mezzo sorriso in volto.
 
Un’ora dopo arrivammo, sempre con un taxi, alla casa di Hans.
«Siamo sicuri che possiamo fidarci di lui, vero?» chiese Thomas guardando diffidente l’entrata ancora più malandata di quella della casa di Gally. L’edificio era in un vicoletto buio, tra due muri ricoperti di mattoni, con una luce flebile che illuminava i tre scalini che precedevano l’entrata.
«È un tipo un po’ strano,» rispose Brenda «ma ci sa fare». Detto questo lei superò l’entrata seguita da Jorge e poi da Maggie. Fuori rimanemmo io e Thomas ci guardammo un po’ titubanti. Poi io lo superai senza dire niente e seguendo gli altri su per le scale. La porta dell’appartamento era già aperta e, quando entrai, vidi Jorge e Brenda parlare con l’uomo. Era un uomo sui trenta, massimo trentacinque anni, con una barba folta e i capelli in disordine. Era poco curato e gli occhi sembravano uscirgli dalle orbite. Subito dopo di me entrò Thomas guardando stranito Hans, proprio come feci io.
«Allora sono questi tre che dobbiamo sistemare?» chiese lui con un mezzo sorriso e indicandoci.
Noi tutti annuimmo.

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Capitolo 29
*** Chapter 29 ***


29
Giorno 96
Pensare che quell’uomo bizzarro dovesse manovrarci il cervello non era affatto incoraggiante.
Inoltre ripensavo a ciò che ci aveva detto Gally a proposito del fatto che la C.A.T.T.I.V.O., con l’impianto, riuscisse a controllarlo. Magari se non l’avessimo tolto in tempo avrebbero iniziato a farlo anche con noi tre.
«Chi vuole cominciare?» chiese Hans, con in mano un affare appuntito e un ghigno inquietante.
«Io» dissi alzando leggermente la mano. Speravo che quella piccola operazione riuscisse anche a risvegliarmi da quello stato di intorpidimento in cui ero caduta da quando gli Spaccati avevano cercato di farmi fuori al quartier generale.
«D’accordo, vieni con me»
Hans mi portò, escludendo gli altri che insistettero un bel po’ per assistere – soprattutto Thomas e Minho –, in una stanza fredda, dalle pareti grigio chiare. Assomigliava molto a ciò che mi ricordavo essere una sala operatoria: lettino, luce, bisturi e cose varie accanto ad un mobile con annesso lavandino.
«Sdraiati, ora ti faccio l’anestesia» Hans prese una siringa e ne iniettò il contenuto nel mio braccio.
 
Qualche ora dopo mi risvegliai sdraiata con Thomas sul divano del salotto. Era un divano stretto e vecchio, pieno di polvere e iniziavo a pensare che niente a Denver fosse confortevole e ordinato. Anche lui si stava svegliando e, quando vide che avevo gli occhi aperti, mi rivolse un sorriso.
Mossi la gamba sinistra e sentii un fastidio al ginocchio, così tirai su i pantaloni stretti e vidi che Hans mi aveva messo una fascia. Guardai l’uomo dall’altra parte della stanza con aria interrogativa.
«Avevi un profondo graffio. I tuoi amici mi hanno detto che ti sentivi stanca, probabilmente è perché ti hanno graffiato gli Spaccati» spiegò.
Io annuii non curandomene troppo, e poi gli chiesi: «Minho?»
«È di là con Jorge e Brenda, deve ancora risvegliarsi»
Mi alzai insieme a Tom e andammo nella saletta centrale, guardammo Minho rigirarsi nel letto.
«Il chico si sta svegliando» urlò Jorge in modo che Hans potesse sentirlo.
L’uomo raggiunse in fretta tutti noi e preparò tre bicchieri mettendoci dentro quella che disse essere una bevanda energizzante. In effetti non eravamo al massimo delle forze.
Quando Minho si svegliò bevemmo il liquido arancione e ci avviammo verso la porta per andare in albergo.
«Grazie Hans» disse Brenda.
«Un piacere. Comunque dovreste andare con il Braccio Destro, la C.A.T.T.I.V.O. è il male, ne so qualcosa»
«Sì, hanno messo una taglia sulla sua testa» spiegò Brenda a noi tre. «Ti conviene scomparire» disse poi rivolta all’uomo.
Lo ringraziammo di nuovo e scomparimmo giù dalle scale, prendendo un altro taxi per raggiungere l’hotel.
La stanze erano due, una con un letto matrimoniale e uno singolo e l’altra con due letti singoli. Io, Thomas e Minho prendemmo quella da tre e ci demmo appuntamento con Jorge e Brenda per il giorno dopo, nella hall.
La stanza era tutto sommato carina, la migliore di tutte quelle in cui avevo dormito abusivamente durante quei giorni. Il letto singolo di Thomas era affiancato alla parete spoglia, mentre quello matrimoniale in cui avremmo dormito io e Minho era al centro della parete con l'unica finestra della stanza. A entrambi i lati c'erano due comodini con due lampadine che illuminavano debolmente la stanza fredda. Il bagno, infondo a un corridoietto che tagliava in due la camera, era ricoperto di piastrelle in marmo bianco; aveva una vasca chiusa da una tenda per metà strappata, un piccolo lavandino su cui incombeva uno specchio con un'anta apribile e un tappeto rosa ai piedi della doccia.
In poco tempo si fece sera e noi tre ci ritrovammo a parlare, seduti sui letti, della situazione.
«Credo che dovremmo andare con Gally» disse Minho giocherellando con il piumino del letto.
«Sì, chiamiamolo e diciamogli che ci stiamo. Non voglio sentir nominare un giorno di più quelle teste rincaspiate» concordò Tom.
Io tenevo stretta a me un cuscino. «Okay, ma prima dobbiamo fare una cosa» dissi.
«Che cosa?» chiese Thomas.
«Non so voi, ma io domani vado a vedere come sta Newt» dissi.
«Scherzi? Veniamo anche noi» disse Minho.
«Bene così. Forza, datemi il numero che chiamo quella testa di caspio di Gally e gli dico che siamo con lui» afferrai il telefono fisso sul mio comodino e digitai i numeri che mi dettava Thomas controllandoli sul foglietto.
Dissi a Gally di Hans, di Newt e del Braccio Destro e lui disse che ci saremmo trovati sotto casa sua il pomeriggio seguente per incontrare Vince.
Riattaccai la cornetta e ci demmo tutti e tre la buona notte. Quei giorni erano incredibilmente pesanti. Mi misi sotto le coperte che per tutta la notte Minho strinse a sé. Di tanto in tanto cercavo di prendermene un po’, ma lui continuava a non lasciarle. Così mi rassegnai e mi strinsi le ginocchia al petto per scaldarmi.
Ad un certo punto mi svegliai di soprassalto, nemmeno io sapevo il perché. Mi guardai in giro e cercai qualcuno di sveglio nella stanza. Tutti e due russavano come dei camionisti, ma in quel momento speravo davvero che Minho fosse sveglio. Mi alzai, andai in bagno e cercai di fare un po’ di rumore: sbattei la porta, aprii la finestra della stanza e mi risedetti sul letto facendo molleggiare il materasso.
«Bastava chiamarmi» disse Minho con un mezzo sorriso dipinto sul volto.
«Eri sveglio? Scusa.» dissi rimettendomi sotto le coperte.
«Allora?» mi chiese quasi impaziente.
«Non so nemmeno io perché volevo parlarti, solo che volevo che fossi sveglio e mi tenessi compagnia»
«Vieni qui» disse mettendomi un braccio intorno alle spalle. Avvicinò leggermente e le labbra alla mia testa e mi baciò i capelli. Scostai dalla sua spalla la testa e gli baciai le labbra, e lui si avventò su di me, anche con un po’ di violenza, e mi morse il labbro superiore rivolgendomi quel suo solito sorriso di cui mi innamoravo ogni giorno di più. Era sopra di me che mi sorrideva, baciava e mordeva le mie labbra, quasi come una sequenza prestabilita. Poi entrambi ci addormentammo, io stretta, strettissima, a lui.
 
La mattina seguente corremmo verso la Berga di Newt.
Salii di fretta le scale del portellone ed entrai con un sorriso a trentadue denti gridando il suo nome. Il tono della mia voce e il sorriso si spensero, però, realizzando che Newt non c’era. Guardai ogni angolo di ogni stanza, cercando insieme agli altri.
«Non c’è» dissi raggiungendoli al centro della sala principale.
«Dove può essere andato?» chiese Brenda.
«Laggiù!» gridò Jorge indicando un foglio su un tavolo.
Minho corse e si mise tra le mani il pezzo di carta. Iniziò a leggere ciò che c’era scritto e i suoi occhietti, che quando prese in mano il foglio erano pieni di speranza, si spensero man mano che correvano tra le righe.
«Allora, cosa dice?» chiese Thomas impaziente.
Per la prima volta da quando lo conoscevo, sentì la voce di Minho spezzarsi. «Se ne è andato» disse.
Lessi il pezzo di carta. Diceva che delle guardie lo avevano portato al Palazzo degli Spaccati e che ci voleva bene. Che cos’era, un addio?
«E beh, qual è il problema?» chiesi guardando Minho e Thomas. «Andiamo al Palazzo degli Spaccati.» e mi fiondai giù dalla Berga. 
 
Arrivammo in poco tempo al Palazzo degli Spaccati, Brenda sapeva dove si trovava.
Entrati, vedemmo che il lungo corridoio di terra arida al centro del “palazzo” era affiancato da centinaia di tende e piccoli edifici, che dovevano ospitare gli Spaccati.
Vedemmo due guardie passare, così gli chiedemmo del nostro amico. «Ehi, ehm, avete visto un ragazzo biondo, alto, magro...? Zoppica...» anche Tom era davvero sconcertato. Non riusciva nemmeno a chiedere di lui.
Una delle due guardie, un uomo alto e grosso quanto un armadio, si girò verso di noi. «Ce ne sono tanti di Spaccati qua dentro, e non vi consiglio di cercare il vostro amico. Alcuni di loro sono veramente fuori di testa»
«Vi prego» continuò Thomas. «È importante, noi... noi dobbiamo parlare con lui. Per favore»
I due si scambiarono un’occhiata, poi quello di prima disse: «Si chiama Newt?»
Noi annuimmo insieme. «Coraggio, seguitemi» la guardia ci fece allora un segno con la mano e noi ci incamminammo dietro di lei e il suo amico. Ci portarono in una tenda con una ventina di Spaccati, tutti intenti a discutere tra loro – alcuni si picchiavano anche –. Riconoscemmo Newt subito, da lontano. Era in una sala da bowling con altri cinque ragazzi e stava chiacchierando abbastanza calmo.
«Ehi Newt» disse la solita guardia.
Lui si girò, i suoi occhi stavano già cambiando. Erano diversi, strani, sembravano fuori dalle orbite come quelli di Hans.
«Ci sono visite» continuò l’uomo. Poi ci fece segno di avvicinarci e noi raggiungemmo il nostro amico. 

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Capitolo 30
*** Chapter 30 ***


30
Giorno 838 ca.
«Ciao Newt» disse Maggie, con la dolcezza che sapeva usare in certe situazioni.
«Ciao pive, cosa ci fate qui?» chiese lui avvicinandosi. Quando fummo abbastanza vicini, vedemmo che aveva un’arma in mano, una pistola.
«Siamo venuti a portarti via» spiegò Thomas con calma.
«Io non me ne vado di qui. Cosa verrei a fare con voi?» chiese passandosi una pistola da una mano all’altra.
«Abbiamo un piano per distruggere la C.A.T.T.I.V.O.  e trovare la cura. Non sarai uno Spaccato» dissi.
«Io sono già uno Spaccato» scandì le parole con una lentezza pazzesca e nello stesso momento lanciò un’occhiataccia a Thomas. «Non c’è più niente che possiate fare»
«Andiamo, non è così. Non hai superato l’Andata, non sei fuori di testa, Newt. Noi ce la faremo» disse Maggie cercando di convincerlo.
«Vi ho detto di no!» sbottò lui. «Andatevene o ve ne pentirete» disse.
«Cosa vuoi fare, spararci?» gli chiesi con quel mio solito tono di sfida che non sapevo controllare. Maggie mi guardò con la coda dell'occhio, lanciandomi un'occhiata, per poi tornare a guardare Newt.
Lui alzò la pistola e la puntò verso di me.
«Ehi, amico, calmati» disse Thomas facendo un segno con le mani.
«Non mi calmo» disse Newt continuando a puntarmi la pistola addosso.
«Coraggio, sparami allora» dissi allargando le braccia.
Maggie mi lanciò un’occhiataccia quando pronunciai quelle parole. Sapevo cosa temeva: che Newt, essendo fuori di testa, premesse davvero il grilletto.
Lo temevo anche io.
«Newt, calmati. Ragiona. Staremo tutti insieme, come ci eravamo promessi. Tu starai bene, tutti noi staremo bene. Saremo curati e salvi, non ci sarà niente di cui aver paura» cercò di spiegargli Maggie con tono calmo.
«Io non verrò con voi» disse. Poi abbassò la pistola e si girò verso i suoi amici. Ci ha già sostituito?, mi chiesi.
«D’accordo, andiamocene» dissero allora gli altri. Io li seguii rassegnandomi.
 
Quel pomeriggio eravamo al quartier generale del Braccio Destro. La stanzetta in cui ci dirigemmo era fredda e poco illuminata, la luce che filtrava dalle finestre appannate e un'unica lampadina che spuntava con il filo pendente dal soffitto rovinato dall'umidità. 
Delle macchie coloravano il muro chiaro di grigio scuro e sul pavimento giacevano due o tre tombini che producevano un rumore amplificato come di acqua che scorre.
Gally e un uomo grasso e alto seduto vicino a lui, che doveva essere Vince, ci aspettavano seduti ad un tavolo rovinato. Tutto lì era rovinato, doveva essere un garage in disuso o una roba del genere abbandonato in un angolo triste e deserto della città che cadeva in rovina. Di fianco a loro c’erano altre due persone: un uomo e una donna poco visibili nella penombra del posto.
Il primo era un uomo sulla trentina con i capelli e gli occhi castani. Era magro e di statura media, indossava una maglia bianca a maniche corte e dei jeans stretti.
La donna, invece, era sulla cinquantina. Era bionda e alta, magrissima e molto bella. Aveva due occhi azzurro ghiaccio nascosti dietro degli occhiali da vista che le stavano molto bene.
«Vince, loro sono Thomas, Minho, Maggie, Brenda e Jorge» ci presentò Gally. Qualcosa dentro di me si spezzò quando non sentii pronunciare il nome di Newt tra i nostri. «Ragazzi, lui è Vince e loro sono Lawrence e Charlotte» disse sempre lui indicando rispettivamente i due uomini e la donna.
Ci scambiammo un cenno e poi Vince parlò. «Come mai volete aiutarci?» una voce profonda e forte.
«Perché quelle teste del caspio ci hanno usato come cavie e lo stanno facendo anche con altre persone. Vogliamo che la smettano di fare del male alla gente» disse Thomas.
«Grandioso» disse Vince con un ghigno fin troppo soddisfatto stampato in volto.
«Allora, qual è il piano?» chiesi io alzando le sopracciglia.
«Ci serve una scusa per riuscire ad entrare là dentro. Una volta lì, troveremo le cartelle con le analisi per la cura e salveremo gli immuni, quando scopriremo dove sono nascosti. Ma non possiamo aspettare oltre. Agiremo tra oggi e domani» disse il capo.
«Oggi o domani? Ma non sappiamo dove sono i Muni e un mucchio di altre cose, dovremmo prima stabilire i dettagli, non credete?» intervenne Maggie.
«Forse, ma quelli continueranno a fare prove su prove se non agiamo entro poco. Quindi oggi troverete un modo per entrare là dentro, stanotte attueremo il piano, e domani agiremo»
«Meglio» disse Maggie sospirando.
«Distruggeremo quel posto, o moriremo provandoci» disse Vince.
«Non serve trovare un modo per entrare al quartier generale» disse Thomas grattandosi la schiena un po' nervoso.
«Cosa vuoi dire?» chiese Gally con tono scettico.
«Quando ci hanno tenuti rinchiusi nelle stanze per la Prova 3, mi hanno detto che io ero il soggetto favorito di cui studiare il cervello per trovare la cura... credo che se mi presentassi lì dicendo che sono d’accordo con l’operazione gli salverei il culo e di sicuro non mi caccerebbero via» disse lui.
«Bene» disse allora Vince sfregandosi le mani. «Sappiamo come entrare là dentro. Andremo stanotte» disse Vince.
«Chi andrà?» intervenne Jorge che ancora un volta era stato zitto per tutto il tempo.
«Mandiamo Thomas, ovviamente, e...» l’uomo si guardò intorno e poi puntò il dito verso Maggie. «Lei»
«Come, solo loro due?» chiesi io.
«Sì...?»
«Minho» dissi. «Voglio andarci anche io. Se dovesse succedere qualcosa, io...»
«Minho, staremo bene. È solo una notte e io e Tommy sappiamo cavarcela» disse Maggie.
«Il tatuaggio, Maggie» le ricordai facendo un segno verso il suo petto.
«Voi sarete poco distanti, non saremo così lontani. Non saremo "separati"» disse lei.
«D’accordo. Adesso che abbiamo pattuito chi andrà dove, Lawrence vi porterà le armi che ha creato Charlotte e poi vi porterà alla C.A.T.T.I.V.O.»
«Lei ha creato delle armi?» chiese Brenda sorpresa.
«Bambina, lei ha creato le armi che usano quelli della C.A.T.T.I.V.O.» le spiegò Lawrence.
Poco dopo lui prese Thomas e Maggie con sé, allontanandoli da noi. E io mi odiai fottutamente quando ci rimasi male perché Maggie non mi baciò. Non sapevo neanche se eravamo una coppia o no, cacchio la mia testa si stava rincaspiando.
 
Giorno 100
Lawrence ci portò in una stanza illuminata da numerose luci al neon, un po’ troppo forti in confronto alla luce flebile che illuminava il garage di prima.
Da uno scaffale di ferro l’uomo prese due pistole, quelle create da Charlotte, e ce le mise tra le mani.
«Usatele male e ci rimanete secchi» disse superandoci e facendoci strada verso il parcheggio.
Io e Thomas ci scambiammo uno sguardo incerto e poi seguimmo Lawrence che ci aveva già distanziato di una ventina di metri. Ci fece salire su un furgoncino bianco e lui si mise alla guida, io e Thomas seduti accanto a lui sui sedili anteriori.
«Se dovessimo incontrare degli Spaccati nascondetevi e tenetevi forte, dovremmo dileguarci in un attimo» disse mettendo in moto.
Il furgoncino brontolava sempre di più man mano che avanzavamo. Per la strada vedevamo degli Spaccati troppo andati per venirci a prendere, solo un gruppo ci diede problemi. In massa, gli Spaccati si misero ai lati del furgone e iniziarono a rincorrerci. Fortunatamente noi eravamo più veloci e davanti all’autovettura ce n’erano solo un paio. Li guardavo fin troppo incuriosita e mi fissai sui due che avevamo davanti. Uno era basso e moro e si aggirava lentamente intorno ad alcuni bidoni della spazzatura, probabilmente in cerca di qualcosa da mettere sotto i denti. Il secondo camminava avanti e indietro, zoppicando con una gamba. Era alto e magro, con i capelli biondi, corti e arruffati, poi si girò verso il furgone che andava rumoroso avanti per la strada stretta e vidi i suoi occhi, occhi pieni di terrore e violenza e vendetta, ma anche occhi vuoti, che aleggiavano nel nulla. Quello sguardo terrificante mi raggelò il sangue perchè io conoscevo quegli occhi. Li conoscevo bene.
«Thomas» sussurrai quasi temendo che lo Spaccato di fronte a noi potesse sentirmi. Ciò che avevo visto era impossibile. Lo avevamo visto la mattina prima e sembrava stesse bene.
«Che cosa?» chiese Thomas.
«Quello è Newt».

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Capitolo 31
*** Chapter 31 ***


31
Giorno 101
La mezzanotte era passata da qualche minuto quando Thomas aprì la portiera andando contro gli ordini di Lawrence.
«Cosa stai facendo idiota?» gli urlò l’uomo.
«Lasciami parlare con lui per un momento» disse scendendo dal furgone.
Lawrence sospirò arrestando la macchina, fortunatamente gli altri Spaccati avevano rinunciato a seguire il furgone. Poi Thomas mi porse la mano.
«Cosa devo fare?» gli chiesi.
«Venire con me» rispose lui.
Io lo guardai incerta, ma poi gli afferrai la mano fredda e mi avvicinai insieme a lui a Newt.
Lo sguardo dello Spaccato si fece ancora più spaventoso quando si fermò su di noi. Aveva capito di conoscerci, sapeva chi eravamo.
«Ciao Newt» esordii io rimanendo stretta a Thomas.
«Cosa ci fate qui?» disse ancora una volta con una pistola in mano.
«Stiamo andando alla C.A.T.T.I.V.O. per prendere la cura» gli spiegò Thomas.
«Bene così. Sono contento per voi, ora andatevene»
«Scusami Newt» disse Tom.
«Per cosa?» gli chiesi io intromettendomi.
«Thomas mi avrebbe dovuto uccidere, glielo avevo chiesto prima di essere portato via. Gli avevo chiesto di uccidermi prima di diventare uno Spaccato e lui non lo ha fatto. Ora, rimedia al tuo errore» disse porgendogli la pistola.
Thomas la abbassò. «Newt abbiamo la cura. Vieni con noi, guarirai» disse.
«No, è stata tutta colpa tua Thomas. Il Labirinto è stata tutta colpa tua»
«Di che cosa stai parlando?» gli chiese Tom.
«Thomas, lo sai perché zoppico? No, non credo di avertelo mai detto. Ho provato a suicidarmi nel Labirinto. Mi sono arrampicato sul muro e quando ho pensato di essere abbastanza in alto mi sono buttato e speravo che, anche se non fossi morto sul colpo, le porte si sarebbero chiuse prima che qualcuno si accorgesse di me. Ma Alby mi ha trovato e mi ha salvato. Ho dovuto sopportare quell’inferno ancora e ancora. Ho odiato ogni ora di ogni giorno, ed è stata tutta colpa tua! Sei stato tu a creare quella prigione!»
«Andiamo Newt, vieni con noi» disse Thomas cambiando argomento.
«No, Thomas. Devi rimediare al tuo errore» gli mise la pistola in mano e gli alzò il braccio, mettendogli l’arma sulla fronte.
Io ero a bocca aperta. «Thomas abbassa quella caspio di pistola» dissi.
Lui non mi rispose e non fece niente, forse aveva paura che facendo quello che Newt non voleva si sarebbe arrabbiato.
«Andiamo Thomas, uccidimi o io ucciderò te» disse.
«Newt» disse Thomas con la voce rotta.
«Uccidimi prima che diventi uno di loro!» sbottò Newt.
«Io...»
«Uccidimi!» E poi gli occhi di Newt si schiarirono, come se avesse raggiunto un ultimo istante fugace di lucidità, e la sua voce si addolcì. «Per favore, Tommy. Per favore»
Thomas puntò il dito sul grilletto e iniziò a fare leva. Non potevo credere che lo stesse facendo, non potevo accettarlo, così colpii la pistola e la scaraventai dall’altra parte della strada. Partì un colpo a vuoto e Thomas si coprì le orecchie. Poi si allontanò e lasciò che io e Newt fossimo di fronte.
«Che cos’hai fatto?!» mi gridò lui prendendomi per il colletto della camicia di Minho.
«Newt, calmati, okay? Ti abbiamo detto che abbiamo la cura. Non c’è bisogno di ucciderti. Tu non diventerai un Spaccato, te lo posso garantire» dissi abbassandogli le mani che mi stringevano il colletto.
I suoi occhi si schiarirono di nuovo e mi guardò con le lacrime che scendevano.
«Dici sul serio?» chiese.
«Sì Newt, noi quattro ci siamo promessi che ce l’avremmo fatta insieme. Allora vediamo di mantenere questa caspio di promessa»
«D’accordo, vengo con voi» disse poi con la voce un po’ più dolce e fissando un punto imprecisato del suolo in cemento.
«Fantastico» dissi afferrandogli la mano fredda.
Lui mi seguì lento mentre raggiungevamo il furgone. Dietro di noi ci lasciavamo un deposito di macchinari e un paio di Spaccati che non dissero niente quando portammo con noi Newt, né tentarono di farci del male.
Arrivati da Lawrence, la sua reazione fu fuori controllo e avevo paura che avrebbe fatto innervosire Newt. Avevo davvero paura che le reazioni di Newt potessero fare del male a qualcuno; d’altronde stava perdendo a mano a mano la lucidità, perché non avrebbe dovuto?
«Perché è qui?» urlò Lawrence indicando il nostro amico.
«Lui ha bisogno della cura, verrà con noi» affermai io irremovibile.
«Maggie, lui non entra nel mio furgone!» gridò.
«Vorrà dire che andremo a piedi, ma non lo lasciamo qui» continuai io.
«Lawrence, è una brava persona, ti prego lascialo venire con noi. Maggie lo terrà d’occhio» cercò di convincerlo Thomas.
Lawrence fissò prima Newt e poi noi. «Dovrete stringervi però» disse.
Io gli rivolsi un mezzo sorriso e poi salii sul furgone con Thomas e Newt. La vettura passava tra decine di depositi abbandonati, incastrati in angoli bui e sinistri che spesso e volentieri nascondevano degli Spaccati. Ma, fortunatamente, il punto di forza di quelle sottospecie di zombie non era la velocità. Erano esseri lenti e che trascinavano gli arti con un’inquietante frequenza. Per cui, anche quando cercarono di prenderci, il furgone mantenne una velocità maggiore della loro.
All’interno, nessuno di noi diceva niente. Lawrence teneva gli occhi fissi sulla strada, Thomas picchierellava con le dita sulle sue cosce, io pensavo a quanto fossimo stati fortunati – e anche bravi – a convincere Newt a venire con noi, mentre lui fissava un punto indistinto fuori dal finestrino, con gli occhi pieni di quella pazzia che a me faceva tanta paura.

Tadaaaa!
Sopresa! Okay, ho pensato tanto - come vi ho già detto - se far morire Newt come nel libro (e far spezzare il mio cuore un'altra volta) o se salvarlo. Ma ho capito era importante sia per me, che per Minho e Thomas che per Maggie, forse per lei in primis. E ho anche fortunatamente imparato che non solo io sono rimasta traumatizzata dalla sua morte nel libro ^^
Così ecco che il nostro amato Newt si salva :D
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, posterò il prossimo domani.
A presto pive :*

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Capitolo 32
*** Chapter 32 ***


32
Giorno 840 ca.
Thomas e Maggie erano stati portati via da Lawrence così, senza nemmeno un saluto convenzionale. Alla fine più ci pensavo e più realizzavo che il loro compito non era facile e che avrebbero anche potuto non farcela. In fondo il quartier generale era pieno di guardie e sicuramente le cure non saranno state in bella vista con un cartello dove c’era scritto di prenderle e portarle con sé. Ma, probabilmente, la scusa di Thomas avrebbe funzionato e quindi il problema sarebbe stato di Maggie: lei avrebbe dovuto cercare la cura.
Dopo che loro se ne andarono, Charlotte lasciò il centro generale malandato del Braccio Destro e Vince ci fece segno di andare verso di lui.
«Allora, il nostro compito è semplice. Prendiamo una Berga e aspettiamo che i vostri amici siano riusciti ad entrare alla C.A.T.T.I.V.O. Poi, quando siamo sicuri che siano riusciti a prendere la cura, ci assicuriamo che siano al sicuro e lanciamo una bomba a quei bastardi; salteranno in aria come i petardi» rise l’uomo.
Gally si spostò e fece spazio in un corridoio stretto per raggiungere quello che si rivelò essere il deposito delle Berghe. Salimmo sull’aereo-mobile e ci sistemammo sulle poltroncine all’interno. Alla guida c’era Jorge, come al solito, Vince e Gally erano seduti ai posti dei co-piloti, mentre io e Brenda eravamo nella sala principale dove si arrivava oltrepassando il portellone.
Tra noi due regnava il silenzio e fu Brenda a romperlo, dopo qualche minuto.
«Ce la faranno, lo sai?» disse.
«Sì, sì lo so» confermai io poco convinto.
«No, non lo sai. Guardati, Minho. Continui a muoverti: prima tambureggi con le dita, poi muovi le gambe, Thomas è in gamba e anche Maggie lo è» continuò lei.
«Li conosco, non serve che tu me lo dica» iniziavo ad innervosirmi. Voleva dire a me com’erano i miei migliori amici? Avevo rischiato la pelle non so quante volte insieme a loro, non credo potesse insegnarmi niente su quei pive.
«Non intendevo dire quello. Dico solo che non devi essere così nervoso. La rivedrai, se è Maggie che ti preoccupa»
«Sì, beh, non mi ha nemmeno salutato prima di andarsene. Crede davvero che sia così facile trovare la cura negli archivi della C.A.T.T.I.V.O.? Io no. E più ci penso, più credo che sia complicato e se le dovesse succedere qualcosa... io dovevo rimanere con lei, Brenda e non l’ho fatto e non ci siamo nemmeno salutati...»
«Forse lei non tiene a te così tanto, se non ti ha salutato» provò a dirmi.
«Credi davvero che lei non tenga a me?» alzai le sopracciglia e tentai di trattenere una risata. Brenda non sapeva niente.
«Dico solo che forse meriti qualcosa di più»
«Grazie, ma no». Che cosa stava facendo? Maggie era mia, io ero suo. Ci appartenevamo.
«La ami?» chiese in tono scettico.
La amavo? Non lo sapevo nemmeno io. Non le avevo mai detto che l’amavo, avrei dovuto farlo. «Io... non lo so. Sì, credo di... sì»
«Allora sei libero di fare quello che ritieni giusto. Ma hai ragione, avrebbe dovuto salutarti» disse distogliendo lo sguardo e iniziando a fissare le sue mani.
«Perché me lo stai dicendo? Davvero, non capisco» dissi esasperato. Quella conversazione mi stava stancando e mi aveva iniziato a far pensare a troppe cose che in quel momento mi preoccupavano fin troppo per i miei gusti.
«Andiamo Minho, davvero non hai capito?» lei alzò la voce e si mise in piedi di fronte a me, allargando le braccia.
«Sinceramente no» dissi. Forse stavo capendo, ma non aveva senso. Brenda era sempre stata distaccata e molto razionale, non si lasciava andare alle emozioni e non aveva mai dimostrato di provare qualcosa per me.
Lei non disse una parola e si avvicinò a me, piano. Si stava avvicinando a me come aveva fatto, “involontariamente”, Maggie al Casolare. Mi prese una mano e mi fece alzare in piedi. Poi, mi accerchiò il volto con le mani tiepide – al contrario di quelle di Maggie che erano sempre gelide – e appoggiò le sue labbra morbide sulle mie. Io mi allontanai immediatamente, togliendole le mani dalle mie guance.
«Minho, mi dispiace. Io non avrei dovuto, scusami» Brenda si mise una mano sulla fronte e iniziò a indietreggiare verso le poltroncine.
«No» dissi mettendo avanti una mano. «Non parlarmi più, okay?»
«Non volevo, non avrei dovuto. Mi dispiace» continuò a dire.
«Lo so. Ma sai bene anche quello che provo per Maggie. E sai che anche lei prova qualcosa per me. Dovreste essere amiche, no? E sì, forse ieri non ci siamo salutati come avremmo dovuto, forse erano di fretta, forse lei non aveva voglia di baciarmi o abbracciarmi o semplicemente dirmi un “A domani”, ma non sono affari tuoi. E forse anche io ho sbagliato perché non le ho mai detto che la amo, ma questo non cambia quello che provo. Perché anche se non glielo ho mai detto, io la amo. La amo da quando l’ho vista spuntare dalla Scatola del Labirinto, da quando mi ha chiesto di diventare Velocista, da quando si è lanciata nel Labirinto prima che le porte si chiudessero per non lasciare soli me e Thomas, da quando ho letto sul suo tatuaggio che mi sarei dovuto prendere cura di lei. E io non ero capace di prendermi cura di qualcuno prima che mi si presentasse davanti l’obbligo di farlo. Non sapevo provare sentimenti prima che lei arrivasse e, ancora oggi, mi riesce difficile dimostrare quello che provo per qualcuno. Forse è per questo che non le ho mai detto che la amo. Ma lei mi ha fatto cambiare. Lei mi ha reso mille volte meglio di ciò che ero prima del suo arrivo. Quindi non puoi dirmi che merito di più di Maggie, perché lei è la cosa migliore che mi sia capitata in questa fottuta vita. E poi certo, c’è Thomas e c’era Newt che sono i miei migliori amici. Ma, cacchio, lei è la ragazza che amo e domani quando la vedrò, perché la rivedrò e rivedrò anche Thomas, glielo farò sapere» dissi tutto d’un fiato.
«D’accordo scusa, non mi ero resa conto di quanto tenessi a lei. Perdonami» disse sistemandosi i capelli neri.
Io feci un leggero cenno con la testa e poi raggiunsi la sala dei comandi, per non rimanere di nuovo da solo con Brenda.
La sala di comando era fredda e illuminata da sole luci al neon, ricordava molto le stanzette della C.A.T.T.I.V.O. Jorge era concentrato a manovrare i comandi, mentre Gally e Vince si stavano scambiando due parole riguardo al piano. Vince teneva in mano una mappa della sede della C.A.T.T.I.V.O.  e indicava dei punti che non riuscivo a distinguere a Gally, con le dita tozze. Sul pannello dei controlli si illuminavano alternativamente diverse luci colorate, che ricordavano vagamente i motivi delle luci di Natale che si appendevano all’albero. Chissà se, nella mia famiglia della mia vita precedente, avevo delle tradizioni per Natale. Forse, se ero io il più piccolo, mi spettava attaccare la stella oppure, se ero tra i più grandi, il mio compito era quello di prendere in braccio uno dei fagio e permettergli di attaccare la stella luccicante. Mi mancava sapere qualcosa di me, sentivo il bisogno di avere dei ricordi fondati che mi aleggiassero nella mente, ma allo stesso tempo non volevo scoprire tutta in una volta la mia vita.
Chiusi rumorosamente la porta dietro di me e raggiunsi i tre più avanti.
«Ciao hermano» disse Jorge senza distogliere lo sguardo dal cielo.
«Ciao ragazzi» replicai io sedendomi su una poltrona libera. «Allora, quanto manca?» chiesi sfregandomi le mani.
«Venti minuti al massimo,» disse Jorge «ma dovremo aspettare almeno una mezz’ora prima di dare via al piano» concluse.
«Sì, aspetteremo trenta minuti e poi ci assicureremo che uno dei tuoi amici ci mandi un messaggio scrivendo che è tutto okay» disse Vince. «Allora, e solo allora, manderemo le bombe»
«Bene così» dissi fissando il cielo che iniziava a schiarirsi.
La stanzetta cadde nel silenzio e, cacchio, odiavo quei momenti perché mi facevano pensare a cose che preferivo tenere nascoste nei meandri più bui e abbandonati della mia caspio di mente. In quel momento, ad esempio, ripensai a Brenda e a ciò che era successo poco prima. E più ci pensavo, più la rabbia mi riempiva il petto. Non solo aveva fatto una cosa che mai e poi mai mi sarei sognato potesse succedere tra me e lei, ma dovevo anche pensare se dirlo o meno a Maggie. E, nel caso, a come dirglielo.
Poi la mia mente si spostò e mi fece pensare al quel visetto pallido, incorniciato dai capelli biondi, dal quale risaltavano gli occhi verdi, e che mi mancava tanto. Maggie era diventata davvero qualcosa senza la quale non potevo stare e non capivo perché.
Di nuovo, la mia mente cambiò e, questo pensiero, faceva più male di altri. Si spostò a Newt. Mi chiedevo dove fosse il quel momento, se fosse vivo o morto, se era già andato completamente fuori di testa. Odiavo il fatto che proprio lui fosse malato e che ormai tutti quanti gli avessimo già detto addio. Fortunatamente, poi, la mia mente fu fermata dalle parole di Gally, che disse: «Eccolo, lo vedo!» indicando l’enorme edificio della C.A.T.T.I.V.O.
«Grandioso» disse Vince grattandosi il mento. Indicò uno spiazzo tra gli alberi del bosco:  «Ci apposteremo laggiù, in quella radura»
Radura.
Jorge annuì e diresse la Berga verso lo spiazzo verde, arrestandola.
«State pronti ad intervenire all’arrivo del segnale» precisò Gally fissando l’apparecchio che avrebbe ricevuto il messaggio di Thomas e Maggie.
 

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Capitolo 33
*** Chapter 33 ***


33
Giorno 102
«D’accordo, lo vedete?» Lawrence aveva fermato la macchina e stava indicando il quartier generale. «Da qui saranno al massimo 5 km»
Io, Thomas e Newt annuimmo illuminati dalla luce fioca del sole che sorgeva.
«Fate entrare prima Thomas, okay? Una volta che vi sarete assicurati che gli scienziati lo abbiano preso con loro, tu e Newt cercherete la cura. Non appena la trovate, prendete Thomas e scappate via» continuò gesticolando con le mani.
Poi frugò in una vecchi borsa di cuoio e ne tirò fuori un orologio da polso. «Maggie, con questo manderai un messaggio a Vince e agli altri per dare loro il segnale di lanciare le bombe. Devi digitare i numeri 540245 sulla tastiera e il gioco è fatto» mi porse l’orologio fissandomi come se mi stesse affidando la vita di suo figlio.
«Tutto dipende da voi» disse. «Niente pressioni» accennò un sorrisetto e ci fece scendere dalla macchina. Poi, chiusa la portiera, fece inversione e sgommò via con il furgoncino rumoroso.
Ci guardammo tutti e tre un po’ incerti. Attorno a noi c’erano alberi e boscaglia e avremmo dovuto correre se avessimo voluto concludere il piano quel giorno.
Così Newt disse: «Forza Velocisti, fate strada».
Quell’affermazione mi infuse un po’ di fiducia. Non so se per il fatto che mi mancava essere una Velocista o perché era stato Newt a dirla, e non era completamente fuori di testa, ma mi fece bene.
Le nostre gambe iniziarono a muoversi più veloci che mai. Riuscivo quasi a provare un senso di liberazione, era da un sacco che non correvo. Di tanto in tanto ci fermavamo e prendevamo qualche boccata d’aria, e spesso era anche per permettere a Newt di non sforzare troppo la gamba, ma in linea di massima mantenemmo un passo rapido e svelto e in un paio d’ore riuscimmo a raggiungere la sede della C.A.T.T.I.V.O.
Ci fermammo un attimo per riprendere fiato e poi Thomas ruppe il silenzio. «D’accordo, vado» esordì.
«Fa’ attenzione» gli raccomandai io.
«Davvero, mi raccomando pive» sottolineò Newt.
«Ti mando un messaggio sull’orologio quando potete entrare» disse indicando l’arnese futuristico che portavo al polso. Io annuii e poi vedemmo la figura di Tom scomparire dietro le porte automatiche.
Io e Newt aspettammo fuori – e al freddo – il segnale di Thomas.
«Perché avete voluto che venissi con voi?» chiese lui dopo un po’.
«Perché sei il nostro migliore amico, Newt. Ti ricordi della promessa che ci siamo fatti?» gli chiesi usando la cautela che si usa con i bambini con problemi caratteriali.
Lui annuì. «Io, te, Tommy e Minho ce l’avremmo fatta insieme e avremmo vissuto insieme» ripeté la promessa come una preghiera, fissando un punto nell’erba.
Sentire il nome di Minho mi diede i brividi, chissà come sarebbe stato contento di sapere che Newt aveva deciso di restare con noi, nemmeno io potevo ancora crederci.
«Esatto» dissi allontanandomi dall’albero cui ero appoggiata. Gli afferrai la mano e gli sorrisi. «E sarà così»
«Come lo sai?» mi chiese guardandomi negli occhi con quello sguardo inquietante.
«Perché sono quasi certa che, in un lontano passato, i miei genitori mi abbiano insegnato a mantenere le promesse»
Lui fece una risatina, ma era sincera e io ricambiai con uno dei sorrisi migliori, anche se avevo paura.
«Posso abbracciarti?» mi chiese.
Io annuii. Non lo avevo mai abbracciato da quando avevo scoperto che era malato. Forse avrei dovuto avere paura a restare stretta tra le braccia di uno Spaccato, ma quell’abbraccio fu identico a quello che avemmo nel teatro della C.A.T.T.I.V.O.: stesso calore, stessa passione, stesso volersi bene. Poi ci allontanammo e ci scambiammo un altro sorriso.
Dopo qualche minuto squillò inaspettatamente l’orologio: Thomas era con Janson e gli altri, e aveva scritto di fare in fretta.
Io e Newt ci scambiammo uno sguardo d’intesa e poi ci fiondammo dentro alla sede. Le porte automatiche si aprirono e ci mostrarono il corridoio bianco che avevamo attraversato per uscire di lì dieci giorni prima.
«Gli uffici dovrebbero essere di qua» disse Newt tirandomi dietro di sé.
Quell’immagine mi ricordò quando, nella città della Zona Bruciata, io e lui andammo a cercare del cibo e Brenda e Jorge ci scoprirono. Girammo qualche corridoio, sbirciando nelle stanze per capire se ci fosse qualcuno che potesse vederci o qualcosa che potesse interessarci. Poi Newt, davanti a me, si fermò di colpo e io gli finii addosso.
«Che c’è?» gli chiesi impaziente.
Lui indicò semplicemente la targhetta sulla porta grigia:
TEST E CURA
«Grandioso, entriamo» dissi spalancando la porta.
Dentro, fortunatamente, non c’era nessuno. La stanza era ampia e bianca, proprio come tutte le altre. Era piena di scaffali di metallo con sezioni che racchiudevano delle cartelle.
«Sono in ordine alfabetico!» urlò Newt dall’altra parte della stanza. Stava frugando tra i cassetti del primo scaffale.
«D’accordo, allora cerchiamo la C!» gli gridai di rimando. Lo raggiunsi tra i primi scaffali e aprii di cassetto in cassetto fino a che lui non mi toccò la spalla e mi mostrò il catalogo che teneva in mano:
CURA ERUZIONE
«Bene, ora troviamo Thomas e filiamocela» disse dirigendosi verso la porta.
Io richiusi gli scaffali che avevamo lasciato aperti e lo seguii fuori dalla stanza.
«Dove credi che sia?» gli chiesi riponendo il catalogo che mi aveva dato dentro alla camicia insieme ai campioni della cura.
«Non ne ho idea, questo posto è immenso» disse lui grattandosi la nuca nervosamente.
Sbuffai guardandomi intorno, quel posto somigliava ad un ospedale: ogni piano, stanza o corridoio era identico a quello precedente e a quello successivo.
«Credo che dovremmo...» iniziai a dire che potevamo iniziare a cercare da sinistra, ma venni interrotta da una voce che gridava. E, sia io che Newt, conoscevamo quella voce.
«Ragazzi!» Thomas apparve dietro un angolo, con lo sguardo ricco di terrore e le gambe che si muovevano velocemente. Si fermò in modo scomposto mettendomi una mano sulla spalla e prendendo grosse boccate d’aria.
«Cos’è successo?» gli chiesi un po’ scombussolata.
«Quelli stavano per farlo davvero. Vogliono il mio cervello, mi stanno cercando» le sue parole risultavano difficili da capire, alternate ai grossi respiri, ma l’intento degli scienziati era chiaro e non potevamo rimanere lì dentro un minuto di più.
«D’accordo, andiamo» disse allora Newt.
«No, non è finita» disse Thomas fermando l’amico.
«Che altro c’è?» gli chiese lui.
«Avete presente la storia che non siamo gli unici Muni, giusto?» Thomas parlò più a me che a Newt, ma annuimmo entrambi.
«Ecco, so dove hanno messo gli altri immuni» disse.
«E dove?» chiedemmo io e Newt all’unisono.
«Nel Labirinto».

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Capitolo 34
*** Chapter 34 ***


34
Giorno 842 ca.
Aspettammo almeno un’ora prima di ricevere il messaggio di Maggie:
Cura presa, Thomas c’è. Gli altri Muni sono nel Labirinto, lanciate le bombe adesso e poi andiamo a prenderli.
«D’accordo Jorge, spara ora!» gridò Vince chiudendo il messaggio e preparandosi a uscire dalla Berga.
Jorge spinse un grosso pulsante che serviva per far partire il fuoco. Poi, quando la Berga fu abbastanza in basso per poter scendere, uscimmo dal portellone uno alla volta. Sotto di noi si scatenava il putiferio, gente che correva fuori dalla sede terrorizzata, corpi che saltavano in aria, fuoco che divampava da un’ala all’altra dell’edificio... Mettemmo i piedi a terra e corremmo qualche metro prima di scorgere Thomas e Maggie in compagnia di un’altra persona che non riuscivo a distinguere perché era di spalle.
Raggiungemmo i nostri amici e arrivai dietro allo sconosciuto.
«Ce l’avete fatta!» gridò Brenda.
«Non ancora, dobbiamo salvare i Muni» disse Maggie rimettendo nella camicia una cartella e un paio di fialette.
«Lui chi è?» chiesi indicando il ragazzo biondo di spalle. Mi ricordava vagamente il mio migliore amico, quello che era diventato uno Spaccato, quello che probabilmente era morto.
«Minho ti presento il vecchio Newt, Newt ti presento Minho, Intendente dei Velocisti e capo dei Radurai» disse Thomas. Di fianco a lui, si era dipinto un sorrisetto sul volto di Maggie.
Quelle parole mi lasciarono a bocca aperta. Non potevo pensare che fosse davvero il vecchio Newt. Che lui fosse vivo. Lui si girò e mi guardò con il suo solito sguardo. Non quello spaventoso, da Spaccato, ma quello che aveva sempre avuto alla Radura: lo sguardo del vecchio Newt.
Ci guardammo per qualche secondo e poi ci abbracciammo forte, come non avevamo mai fatto – anche se in realtà non ci eravamo proprio mai abbracciati –.
«Cacchio non posso credere che tu sia davvero qui» dissi.
«Beh, ci sono e sappi che, adesso che sono di nuovo in me, mi aspetto di comandare quando tu non ci sei»
«Bene così» dissi.
«Okay, allora qual è il piano?» chiese poi Gally.
«Gally?» chiese Newt a bocca aperta sporgendosi per guardare il ragazzo.
«Sì, storia lunga, ti spieghiamo dopo» tagliò corto Maggie. «Allora, la cancelliera Paige ha dato la mappa del tunnel per arrivare al Labirinto a Thomas e anche l’entrata per un Pass Verticale che ci garantirà l’uscita» spiegò sempre lei.
«Okay, da che parte?» chiese Jorge.
Maggie indicò un punto alla sua destra dopo aver dato un’occhiata alla mappa e iniziammo tutti a correre in quella direzione.
 
Giorno 103
Attraversammo il tunnel buio seguendo le indicazioni della mappa, ogni singolo dettaglio. Poi un spiraglio di luce si fece strada tra le tenebre e, camminando il quella direzione, arrivammo a quella che era la Radura.
Quel luogo mi riempì il petto di emozioni contrastanti, per non parlare dei ricordi che riaffiorarono nella mia mente. Eravamo di nuovo lì e insieme ad almeno un’altra cinquantina di persone. Trasalii vedendo che tra loro c’erano anche bambini – perfino più piccoli di Chuck, che fece riaffiorare il ricordo di tutti i momenti passati con lui e salire una tristezza inaspettata – e che, come noi Radurai, erano costretti a lavorare duramente.
Alcuni uomini, vedendoci arrivare, corsero verso di noi e ci fecero decine di domande, cui Minho rispose con un riassunto generale di chi fossimo e di cosa stessimo per fare.
Disse loro che anche noi eravamo stati rinchiusi nel Labirinto, che eravamo scappati, che la C.A.T.T.I.V.O. li stava sottoponendo a dei test e che li avremmo liberati.
«D’accordo pive, tre gruppi: bambini, donne e uomini. Gli uomini raccolgono le armi e tutto ciò che può rivelarsi utile per uccidere i Dolenti; le donne prendono tutto il cibo che possono, non sappiamo dove porta il Pass Verticale e se ci sia del cibo laggiù; i bambini, infine, raccolgono tutti gli oggetti personali. Forza, c’è poco tempo» concluse Minho.
 
Mezz’ora dopo, tutto era pronto e l’enorme gruppo di Radurai – vecchi e nuovi – era riunito davanti all’entrata delle porte occidentali. Una volta dentro, prima di raggiungere la Sezione attraverso la quale avremmo raggiunto il Pass Verticale, Minho disse: «Non dovremmo fare una specie di discorso di incoraggiamento adesso?» .
«Prego» disse Newt facendogli un cenno.
«State attenti. Non morite»
«Fantastico, ora siamo tutti dannatamente ispirati» rise Newt.
Thomas, stavolta, non riuscì a trattenere le risate e, quel veloce scambio di parole, mi riempì di malinconia e felicità allo stesso tempo. Ero troppo contenta che fossimo tornati insieme.
Corremmo verso la Sezione che avevamo attraversato qualche mese prima e iniziammo a sentire i muscoli bruciare, proprio come era così famigliare a me, Thomas e Minho. Guardandomi intorno riconoscevo fin troppo bene le mura del Labirinto e non vedevo l’ora di andarmene.
Dopo una qualche decina di minuti di corsa, la terra sotto i nostri piedi iniziò a tremare.
«Che succede?» gridò qualcuno.
«Non lo so» rispose Thomas. «Ma dobbiamo sbrigarci» urlò.
Accelerammo il passo e raggiungemmo finalmente la Sezione. Proprio come mesi prima, inserii il codice e premetti il bottone che permetteva l’uscita.
Attraversammo tutti il buco che portava al Pass Verticale e vedemmo l’uscita proprio davanti a noi.
«Okay» disse Minho. «Prima i bambini, poi le donne, poi gli uomini e per ultimi noi. Vi dico solo una cosa: correte»
I nuovi Radurai iniziarono ad oltrepassare il pass mentre noi controllavamo se fuori succedeva qualcosa. Il Labirinto stava cadendo a pezzi e questo mi preoccupava parecchio. Infondo, noi non eravamo così riparati da non poter essere colpiti dai ciocchi di pietra che si staccavano dalle mura imponenti e, se i Radurai non fossero andati veloci, potevamo anche dire addio alla nostra nuova vita.
Passarono tutti, così proseguirono Gally e Vince e poi Brenda e Jorge. Stavamo per girarci e lanciarci attraverso lo spiraglio ma la voce dell’Uomo Ratto ci richiamò all’ordine: «Che cosa credete di fare? Senza cura non andate da nessuna parte» disse con un tono molto bizzarro. Quando fu più visibile, nella penombra della struttura che cadeva a pezzi, vidi quello sguardo che mi spaventava tanto quando lo vedevo negli occhi di Newt: Janson aveva l’Eruzione.
Io mi sbottonai allora la camicia e ne tirai fuori il catalogo e le fialette, ricevendo uno sguardo d’assenso da parte dei miei amici. «È inutile, ormai avete perso e la C.A.T.T.I.V.O. non esiste più» disse Thomas.
«Non è vero, la C.A.T.T.I.V.O. è buona!» gridò Janson. Quelle furono le ultime parole che sentii pronunciare da lui, perché poi una grossa parte della parete che formava il muro che incombeva sulla Radura gli piombò addosso, schiacciandolo e lasciandolo senza vita.
«D’accordo, andiamocene» affermò Thomas spostando lo sguardo spaventato dal corpo dell’Uomo Ratto.
Si lanciò insieme a Newt nel Pass e rimanemmo solo io e Minho nel Labirinto.
«Vai tu» mi disse con lo sguardo più dolce che gli avessi mai visto negli occhi stretti.
«Pretendo di rivederti là fuori entro cinque secondi al massimo» dissi con un sorriso.
«Sarà così» mi assicurò lui.
«Bene così, ci vediamo dall’altra parte».
Mi girai e mi lanciai attraverso il Pass Verticale.
 
EHI EHI EHI, CIAO PIVEE:)
INTANTO NE APPROFITTO PER AUGURARVI I MIEI PIU' SINCERI AUGURI DI BUON NATALE E TANTE ANGURIEE XD
PER QUANTO RIGUARDA LA STORIA, STIAMO GIUNGENDO AL TERMINE, ANCORA QUALCHE CAPITOLO... ^^ 
SPERO CHE VI PIACCIA E, COME AL SOLITO, APPREZZAMENTI O CRITICHE SONO BEN ACCETTI.
ANCORA AUGURI FAGIO, UN BACIONE :*

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Capitolo 35
*** Chapter 35 ***


35
Giorno 843 ca.
Rimasto solo nel Labirinto, mi guardai intorno un’ultima volta prima di abbandonare per sempre il luogo dove, alla fin fine, ero cresciuto. Lì avevo conosciuto le persone che mi avevano sempre sostenuto, criticato, aiutato e che erano diventate la mia famiglia, perchè di quella vera non sapevo niente e, forse, non mi dispiaceva più di tanto, perchè adoravo la mia famiglia di Radurai.
Le mura stavano cadendo a pezzi, alcuni ciottoli si sbriciolavano sulle mie spalle.
«Esci dal Labirinto!» mi ripetei un’ultima volta.
Poi corsi verso il pass e lo attraversai, lasciandomi alle spalle la distruzione del Labirinto.
 
Dall’altra parte, mi ritrovai davanti un’altra Radura, ma molto più fornita e “paradisiaca”. Tutto era più colorato e vivace e, finalmente, il sole non sembrava una luce artificiale che si accendeva e spegneva a seconda delle ore. Erano tutti riuniti intorno a Maggie, che stava distribuendo le fialette di cura ai non immuni. Era inglobata da una calca di gente, impossibile pensare di parlarle in quel momento.
«Ehi pive» mi disse Thomas mettendomi una mano sulla spalla.
«Ciao Tom» replicai.
«Allora, ce l’abbiamo finalmente fatta»
«Incredibile dirlo, ma credo sì» dissi guardandomi intorno: laghetti, boschi, casette, perfino una spiaggia. Quella era la nostra nuova casa.
«Ciao pive» arrivò anche Newt. Non sapevo dire quanto fossi felice che fosse tornato in sé e che avesse accettato di rimanere con noi; avevo davvero dato per impossibile l’opzione che quella testa di caspio venisse a prendere la cura.
«Cosa ti ha fatto cambiare idea?» gli chiesi fissando un punto davanti a me.
«Una ragazza troppo speciale» disse indicando Maggie con il capo.
«È stata lei?» gli chiesi guardandolo. Non potevo credere che la ragazza di cui probabilmente ero innamorato avesse anche fatto restare Newt. Lei era... spettacolare.
Lui annuì. «Non fartela scappare, Minho. Credo che per voi due il destino sia già scritto. Lei ti appartiene»
«Approvo» disse Thomas alzando la mano.
Mi girai verso Maggie e vidi che si era liberata. «Vado a parlarle» dissi allontanandomi dai Tommy e Newt.
Mi incamminai verso di lei, i suoi capelli biondi erano mossi dal vento che si stava alzando nella Radura. Lei era vicino alla spiaggia, seduta su una collinetta incredibilmente bella, da cui si vedeva la luce del tramonto che cambiava le sfumature del cielo. Mi fermai un attimo a guardarla, da lontano. Stava fissando un punto indistinto tra le nuvole rosee e sembrava immersa nei suoi pensieri. È così bella, pensai per la prima volta senza provare vergogna. E, con quel pensiero, mi ritornò in mente il bacio con Brenda. Mi girai per cercarla, era seduta con Jorge e sembrava triste. Speravo solo che non fosse per quello, perché quel bacio non avrebbe dovuto essere niente. Quel bacio non era niente. Pensai di dover parlare prima con lei, ma di dover dire a Maggie che cos’era successo tra me e Brenda, dovevo chiarire con lei se fossimo qualcosa, che cosa fossimo.
Dovevo dire a Maggie che l’amavo.
Ripresi a camminare e, arrivato di fianco a Maggie, mi sedetti di fianco a lei. Le passai un braccio intorno alle spalle e mi misi a guardare il cielo, come lei.
«A cosa stai pensando?» le chiesi.
«Non lo so, a troppe cose... tu sei vivo, Tom è vivo, Newt è vivo. Cioè, ce l’abbiamo fatta» credo che realizzò solo in quel momento che eravamo per davvero salvi.
«Incredibile, vero?» alzai le sopracciglia, ma entrambi continuavamo a guardare il cielo, e lei non se ne accorse.
«È tutto quello che ho pregato succedesse da quando sono arrivata al Labirinto»
«Maggie, devo dirti una cosa» dissi poi io all’improvviso. Non sapevo come iniziare, e così tolsi il cerotto tutto in una volta.
«Dimmi» replicò lei.
«È successa una cosa quando tu e Thomas siete andati alla C.A.T.T.I.V.O.»
«Che cosa?»
«Ecco, io e Brenda ci siamo baciati» dissi trattenendo il fiato.
Lei, solo in quel momento, distolse lo sguardo da ciò che stava guardando e mi spostò gli occhi verdi su di me, sgranandoli: «Come?»
«Cioè non ci siamo esattamente baciati: lei ha baciato me» spiegai fissandola dall’alto.
«E io dovrei essere gelosa?» mi chiese sinceramente dubbiosa.
Io non sapevo cosa dirle, in effetti non sapevo quale fosse la nostra relazione. «In effetti avrei voluto parlarti anche di questo»
«Okay, dimmi» disse lei tornando a guardare il cielo.
«Quando ho discusso con Brenda per il bacio lei mi ha fatto capire che io non ti ho mai fatto sapere come mi sentivo e come mi sento con te. Che non ti ho mai fatto sapere i miei sentimenti...»
«So che non sei bravo in queste cose, non devi farmi sapere cosa provi per forza» mi disse.
«Ma tu sei la prima che mi ha fatto provare qualcosa da quando ho memoria, io voglio farti sapere che cosa provo. Voglio farti sapere cosa provo per te» dissi convinto.
Allora lei si allontanò un po’ da me, e ci mettemmo di fronte. «Allora ti ascolto»
«Okay. Da quando sono arrivato alla Radura ho sempre pensato solo a me stesso. Non avevo priorità, a parte salvarmi il culo dal Labirinto e dai Dolenti, gli altri erano solo amici o conoscenti. Certo, c’erano Alby, Newt, Ben, Thomas e Chuck che significavano qualcosa di più, ma non mi ero mai posto il problema di chiarire quale fosse il mio rapporto con loro: loro erano i miei più fidati amici, loro erano la mia famiglia. Quindi, anche se i miei sentimenti non erano chiari neanche a me, non avevo confusione in testa. Ma poi sei arrivata tu, e hai incasinato tutto. E all’inizio cercavo di trattarti come tutti gli altri, e credo anche di esserci riuscito, ma, cacchio, quando sei entrata nel Labirinto mi si è riempito il petto di panico e paura e il mio cuore ha iniziato a battere a ritmi spropositati e quando sei stata ferita dal Dolente è peggiorato tutto e lì ho capito che dovevi essere diversa. Insomma, non mi ero mai preoccupato per gli altri, mai. E poi abbiamo trovato il tuo tatuaggio e lì sono stato obbligato a salvarti, ad averti come priorità. Io non avevo idea di come fare, ma mi promisi che tu ti saresti dovuta salvare qualsiasi cosa sarebbe successa. E poi, caspio, ci siamo baciati e io avevo troppa adrenalina in corpo quando è successo, avrei voluto andare molto più avanti, ti ho voluto come non mai in quel momento, Maggie.
E poi è successo tutto in una volta, la Prova 2, la Zona Bruciata, gli Spaccati, il Gruppo B, la C.A.T.T.I.V.O., Denver, Gally, il Braccio Destro, Newt e di nuovo il Labirinto e adesso sono qua con la testa ancora più incasinata di prima. Ma quello che voglio dirti è che non voglio smettere di baciarti come ci baciavamo prima, non voglio che tu smetta di essere mia, voglio che noi due siamo qualcosa. Voglio che tu continui a essere la mia priorità. E tutto questo te lo sto dicendo perché sto cercando di dirti una fottutissima cosa che non riesce a venire fuori da questa caspio di bocca» sputai quelle parole fuori come un segreto che si trattiene da una vita.
Maggie mi guardò sorridendo. «Cioè?» mi chiese.
«Ti amo, Maggie» dissi.
«Credo di amarti anche io» disse lei accavallando le gambe sulle mie e avvicinandosi alla mia bocca.
«Credi?» alzai le sopracciglia fingendomi offeso.
«Scherzo, pive» rise lei.
«Certo, certo» dissi io.
«Ti amo, Minho» ripeté lei con il suo solito sorriso.
«Meglio» dissi iniziandole a toccare le labbra con le mie, intrecciando la mia lingua alla sua.
Non era stato poi così difficile, ero riuscito a dire alla ragazza che amavo che l’amavo.
Lei si alzò in piedi e iniziò trascinarmi verso le casette. Oltrepassò, continuando a baciarmi, la soglia di una stanza, che non sapevamo nemmeno se fosse nostra, e ci lanciammo sul letto. Lei mi tolse di nuovo la maglietta. Io le sbottonai di nuovo la camicia, questa volta completamente e poi continuammo a baciarci, pelle su pelle, labbra su labbra, sorrisi su sorrisi.
Eravamo arrivati nella nostra nuova casa. Eravamo arrivati insieme, come ci eravamo promessi. Newt e Thomas erano con me. Maggie era con me. Avevamo i tatuaggi. Avevo Maggie e senza di lei non avrei potuto fare niente. Non avrei potuto ricominciare realmente una nuova vita, senza di lei non sarebbe stato lo stesso. Lei era il mio lato positivo. Lei era la mia priorità. Lei era la mia Velocista, la mia motivazione, il mio obbiettivo, la mia felicità, la mia pive, la mia Fagio. Lei era il mio sorriso, la mia passione, la mia ragione, lei mi apparteneva.
E per quanto odiassi quelle teste di caspio che ci avevano mandato nel Labirinto, gli ero grato di aver mandato anche Maggie.
Lei era tutto per me e la amavo e ce l’avevamo fatta.
 
PENULTIMO CAPITOLO, ODDIO.
EHM, SPERO CHE LA STORIA VI STIA PIACENDO E CHE VI SIANO PIACIUTE LE MODIFICHE CHE HO FATTO AI LIBRI DEL DIO DASHNER.
DOMANI POSTERO' L'ULTIMO CAPITOLO, NON CI CREDO :(
COMUNQUE, COME AL SOLITO, CRITICHE O APPREZZAMENTI SONO BEN ACCETTI, FATEMI SAPERE COSA NE PENSATE :)
UN BACIONE, A PRESTO PIVE :*

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Capitolo 36
*** Epilogue ***


EPILOGO
Un anno dopo il nostro arrivo nella Radura, eravamo tutti diventati una grande famiglia. Tra noi non c’erano segreti, o meglio, c’erano, ma andavamo d’accordo e quando litigavamo tra noi c’era sempre qualcuno pronto a ricordarci che litigare non serviva a niente, che se anche era tutto finito dovevamo collaborare come facevamo al Labirinto, come avevamo fatto nella Zona Bruciata, come avevamo fatto a Denver.
Thomas e Newt erano diventati ufficialmente i miei migliori amici, non so in base a cosa lo decidemmo, ma una sera, riuniti intorno al fuoco, decisero di chiedermi se volessimo diventare tutti e tre migliori amici e non potei rifiutare. Ma loro due non erano solo migliori amici. Ora che Teresa e Sonya erano scomparse, i due avevano iniziato a rendersi conto che c’era qualcosa più forte della semplice amicizia che li legava. Passavano giornate intere a lavorare insieme e la sera, quando tutti ci rinchiudevamo nelle nostre case, ero convinta che loro si mettessero nella stessa stanza. Minho mi aveva sempre detto che sospettava di un lato omosessuale di Newt e che il nostro migliore amico provasse qualcosa per Thomas. Alla fine, perché avrebbe scritto proprio a lui quel messaggio per dirgli di ucciderlo, se non provava qualcosa per Tommy?
I nostri sospetti andavano aumentando giorno dopo giorno, fino a ché Newt non mi prese da parte e mi confessò che provava qualcosa per Thomas, ma che aveva paura di dirglielo perché temeva la sua reazione e quella degli altri Radurai. Io e Minho iniziammo allora a cercare di capire se anche Thomas fosse interessato a Newt e, molto lentamente, riuscimmo a tirargli fuori dalla bocca quelle poche parole che volevamo sentirci dire: “Io sono innamorato di Newt”. Appena lo venni a sapere corsi dal biondo, dicendogli che non doveva temere ad esprimere i suoi sentimenti, tanto meno se erano ricambiati come in questo caso, ed ero veramente felicissima per loro.
Quella sera Newt si dichiarò. Disse a Thomas che era stato innamorato di lui fin dall’inizio e che aveva scritto a lui quel biglietto solo perché voleva essere ucciso dal ragazzo che amava. Io mi commossi vedendo che Thomas trattenne a stento le lacrime, dicendo che per tutto quel tempo aveva tenuto nascosti i suoi sentimenti per paura di essere deriso o giudicato. Ma da quella sera si misero insieme e i sorrisi sui loro volti erano ogni giorno più raggianti da quando si erano dichiarati.
Anche Brenda diventò la mia migliore amica, nonostante quello che era successo tra lei e Minho. Alla fine lei mi aveva sempre aiutata e lo faceva anche alla Radura. Lei si era invece resa conto che c'era qualcosa che la legava, e molto, a Jorge. Lui l'aveva salvata da quando i suoi genitori erano scomparsi e avevano passato insieme mesi e mesi e forse lei era stata stupida a non pensare che Jorge potesse andare bene per lei. Ora, lui e Brenda avevano un rapporto meraviglioso.
Poi c’era Minho. Minho che mi aveva detto che mi amava. Minho che mi aveva sempre aiutata, sostenuta, protetta, che si era sempre preso cura di me. Anche io lo amavo: provavo qualcosa che non era neanche dicibile quando stavamo insieme. Lui era come la mia guida, la mia motivazione... non so nemmeno io cosa fosse per me, ma so che lo amavo con tutta me stessa.
Proprio mentre mi ritrovavo a pensare a cos’eravamo diventati, lui arrivò al tavolo in mezzo alla Radura a cui ero seduta.
«Buon giorno pive» mi disse con un sorriso. Il suo volto era illuminato dal sole appena sorto, doveva essere l’alba.
«Ciao» replicai io un po’ scocciata per il nomignolo. Ormai era l’unico che continuava a chiamarmi “Pive”. Per Newt, Thomas e Brenda ero Maggie, perfino Jorge aveva rinunciato a chiamarmi Meg, e solo Maggie mi andava bene. Tuttavia, il fatto che Minho fosse l’unico a chiamarmi “Pive” era una cosa che mi piaceva, era quasi dolce, e in più mi ricordava i vecchi tempi, quando eravamo nel Labirinto.
Il fatto che quel soprannome fosse quasi dolce non rendeva dolce Minho. No, lui aveva ancora seri problemi nel dimostrare i suoi sentimenti, lui era molto distaccato, perfino con me. Tant’è che alcuni credevano che io e lui andassimo semplicemente a letto insieme, senza amarci. Ma non era così. Certo, andavamo a letto insieme, ma ci amavamo e, nonostante non ce lo dimostrassimo, ci amavamo tanto.
«Come mai se già sveglia?» chiese.
«Sai, qualcuno continuava a rigirarsi nel letto» gli dissi facendogli capire che doveva trovare un caspio di modo per stare un po’ fermo mentre dormiva.
«Scusa» mugugnò ridendo.
«Allora, cosa ci fai qui?» gli chiesi girandomi verso di lui.
«Vorrei dirti una cosa» mi disse mettendosi le mani sui fianchi.
«Dimmi» schiusi la bocca e strinsi le labbra.
«Sai no che le persone che si amano dopo un po’ di tempo si sposano, no?»
Io annuii stranita, dove voleva arrivare? Cioè, immaginavo dove volesse arrivare, ma io non credevo di essere pronta, ecco. E poi, non serviva un prete per celebrare i matrimoni? Nella Radura non ce n’erano, ne ero abbastanza certa.
«Ecco io credo che sia una caspiata» disse stringendo gli occhi. Cacchio, possibile che anche dopo un anno quel semplice movimento, spontaneo tra l’altro, mi piacesse così tanto?
In ogni caso quell’affermazione non servì a chiarirmi le idee. Perché me lo stava dicendo? Sul mio volto si dipinse il dubbio e lui andò avanti a parlare.
«Voglio dire, perché le persone devono mettersi in tiro per avere un pezzo di carta dove un vecchio vestito di nero scrive che si sono sposati? Non ha senso, per quanto mi riguarda. Ha molto più senso quando i due innamorati si scambiano gli anelli e le promesse, senza matrimonio»
«Scusami, ma non ti seguo» dissi scuotendo la testa.
Il sole ormai iniziava ad alzarsi nel cielo, e le persone si avvicinavano al tavolo, che alla fine avevamo deciso essere uno di quelli dei pasti.
Vedevo Thomas, Newt, Brenda e Jorge dietro Minho avvicinarsi, seguiti dagli altri Radurai che provenivano dalle casette. Sul volto di miei amici c’era un ghigno divertito e, davvero, non capivo che cosa stesse succedendo.
Spostai di nuovo i miei occhi su Minho. Lui mi rivolse un sorrisetto e poi frugò nelle tasche, tirandone fuori una scatolina di legno che tintinnava passandola da una mano all’altra.
Lui poi si mise in ginocchio e se la mise sul palmo della mano e la aprii, mostrandone il contenuto. Io mi misi una mano sulla bocca, sgranando gli occhi solo vendendolo inginocchiarsi. Poi vedendo cosa c’era nella scatola i miei occhi iniziarono a bagnarsi. Dentro c’erano due anelli, certo non erano niente di che, ma erano pur sempre due anelli. Erano sottili e neri e bellissimi. Io spostai il mio sguardo dagli anelli agli occhi dei miei amici, che guardavano con l’espressione più dolce e fiera che gli avessi mai visto in volto Minho e me. Poi tornai a guardare Minho, levando la mano dalla bocca. Lui mi sorrise, stringendo gli occhi e sistemandosi i capelli.
«Maggie Codd, so che non abbiamo altra scelta, ma voglio farti sapere in ogni caso che voglio passare il resto della mia vita con te» disse.
Poi prese uno degli anelli e la mia mano, infilando il cerchio sottile nel mio anulare, facendo poi lo stesso con il suo dito. Ripose la scatola nella tasca dei pantaloni e si alzò in piedi, prendendomi la mano fredda e facendomi alzare, di fronte a lui. Mi cinse la vita e mi trascinò verso di sé, io gli misi le mani intorno al collo. Lui, che era più alto di me, abbassò la testa sul mio viso e intrecciò le sue labbra alle mie e, all’interno, la sua lingua alla mia.
Tutt’intorno a noi si diffusero commenti di ogni tipo. Chi ci faceva i complimenti, chi gridava a Minho di essere stato bravo, chi mi diceva di essere fortunata. E in effetti lo ero. Minho era una delle cose più belle che mi fossero mai capitate in quella fottuta vita. Lui, Thomas e Newt.
Minho e io adesso eravamo ancora di più di quello che eravamo prima. E non potevo essere più felice.


SONO FOTTUTAMENTE TRISTE. DICO DAVVERO, QUESTA STORIA MI HA ACCOMPAGNATA OGNI GIORNO DA QUANDO HO INIZIATO A BUTTARLA GIU' QUASI PER GIOCO.
MA, CASPIO, SONO RIUSCITA A FINIRLA E NON SO NEANCHE SE LA FINE SIA STATA FATTA BENE, CONSIDERATO CHE IO TROVO MOLTO DIFFICILE FINIRE UNA STORIA.
PERO' SONO ARRIVATI TUTTI SANI E SALVI, MINHO E MAGGIE SI SONO "FIDANZATI UFFICIALMENTE", E SONO TUTTI FELICI E CONTENTI NELLA LORO RADURA.
COMUNQUE RINGRAZIO TUTTI QUELLI CHE HANNO RECENSITO, SEGUITO O ANCHE SOLO LETTO LA STORIA PERCHE' PER ME SIGNIFICAVA TANTO RIUSCIRE A SCRIVERE BENE QUESTA FANFICTION E SPERO DI ESSERCI RIUSCITA.
GRAZIE DAVVERO :*
A PRESTO PIVE :)
P.S. HO GIA' INIZIATO A BUTTARE GIU' QUALCHE IDEA SU ALTRE STORIE DI TMR E POTREI PUBBLICARE PRESTO, NON RIESCO A STARE FERMA AHAH ^^
UN BACIONE FAGIO

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