Aren't we forever?

di voiangel
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Giù in fondo al baratro. ***
Capitolo 2: *** Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo. ***



Capitolo 1
*** Giù in fondo al baratro. ***


— Julian! Julian, per l'Angelo, sei vivo! Mi hai fatto prendere un colpo! —
Emma si era accasciata a terra, col cuore che batteva decisamente troppo veloce. Le girava la testa, le gambe erano insensibili e una sensazione di nausea le pervase la gola mentre Cristina Rosales prendeva tra le mani il viso di Julian Blackthorn, candido, spigoloso e perfetto come sempre, come se non si fosse gettato in un turbinio di fuoco e fiamme senza curarsi di disegnarsi sulla pelle le rune che Clary aveva cercato di insegnare loro pochi giorni prima. — Sì, sì sono vivo — aveva detto lui con un sorriso incredulo sul volto, puntando lo sguardo aldilà della sua fidanzata. Cristina aveva tirato fuori dalla tasca il suo stilo ed era corsa dietro le massicce spalle di Julian, intenta a tracciargli un'iratze nell'intento di far sparire i brutti tagli che solcavano il viso al suo parabatai. Intanto Julian se ne stava fermo in piedi, lasciando che Cristina gli alzasse la maglietta come se avesse compiuto quell'azione migliaia e migliaia di volte, continuando a puntare gli occhi verde-azzurro tipici dei Blackthorn più euforici che mai in quelli oro di Emma. La Nephilim non si era alzata per andarlo ad abbracciare, per assicurarsi che oltre ai tagli superficiali stesse bene - lo sentiva grazie alla runa parabatai -. Non si era affrettata a girare lo sguardo quando Julian era a petto nudo; tante volte l'aveva visto con solo i boxer addosso che ora era del tutto normale vedergli la pelle biancastra nuda e continuare comunque a rimanere impassibile. Aveva avvertito il desiderio di alzarsi solo per sferrargli qualche pugno, magari rompergli qualche costola e urlargli contro che non c'era bisogno di rischiare la vita per inseguire un lupo mannaro che aveva insultato la famiglia Carstairs, perché lo sapeva che ci avrebbe pensato Emma più discretamente. E per lo meno non avrebbe paralizzato mezza Londra facendo scoppiare un distributore di benzina nel tentativo di pestare un lupo mannaro. E probabilmente lo avrebbe colpito con un destro ben assestato se Cristina non l'avesse preceduta con le lacrime agli occhi, fiondandosi tra le braccia del ragazzo e stampandogli un bacio sulle labbra che non aveva nulla di amichevole. Emma era stata a guardare la scena che le si presentava davanti, violenta come un pugno in pieno viso. Julian che stringeva le mani intorno alla vita della ragazza mora e lei che, per baciarlo con più furore, si metteva sulle punte dei piedi. Questa volta non le ci era voluto molto per ritrovare le forze di alzarsi, impugnare le sue spade angeliche e nasconderle sotto la maglia bianca. 
Infatti nessuno dei tre Nephilim indossava la tenuta nera da combattimento poiché quella mattinata si era presentata serena e pacifica, stranamente. Dovevano uscire solamente per una colazione ad un bar vicino all'Istituto londinese, come erano consueti fare ogni sabato appena svegli. E se lì non avessero incontrato un trio di lupi mannari che non facevano parte di alcun clan importante, probabilmente appena trasformatisi, sarebbe andato tutti molto più stranamente bene. Ma questi c'erano e avevano iniziato ad attaccar brighe coi tre giovani, noncuranti dei mondani che li circondavano, infierendo prima sull'aspetto fisico di Cristina Rosales, che con i suoi due metri d'altezza e le larghe spalle possenti, avevano sentenziato i Nascosti, sembrava un uomo. Poi avevano parlato scioccamente delle mani da ragazza di Jules, e lì Emma aveva perso le staffe e aveva iniziato a gridare a squarciagola che le sue "mani da donna" permettevano al suo parabatai di dipingere vere e proprie opere d'arte. E, aveva scoperto la Shadowhunter, i lupi mannari la conoscevano - non che fosse una strana cosa conoscere Emma Carstairs anche nei ranghi meno informati e più maldestri - quindi avevano sfruttato la storia della sua famiglia, inventando frottole e sparlando dei genitori ormai morti della ragazza solo per provocarla. Ma alla fine, l'unico ad essere stato provocato, era stato Julian, perché aveva sguainato una spada angelica da sotto la camicia a scacchi rossi facendo scoppiare il caos totale nella caffetteria, e si era dato all'inseguimento dei tre lupi mannari che nel frattempo avevano intelligentemente deciso di svignarsela. 
Ed ora che era in camera sua, stesa sul letto, non poteva far altro che pensare alla sua migliore amica che baciava davanti a lei il suo parabatai. Pensava a come Cristina si era illuminata non appena Jules era uscito da quelle fiamme, pensava a come sarebbe stato bello se le cose fossero state più semplici, perché il loro era un trio ormai da tempo, ma Emma non faceva che pensare che la sua migliore amica fosse un terzo incomodo tra lei e Julian poiché loro si conoscevano da una vita, loro erano sempre stati Jules e Em, loro con il loro modo di comunicare e di capirsi, il loro modo di volersi bene che negli anni non era mai cambiato, era maturato e diventato qualcosa di più, ma era rimasto puro e vero come poche cose a questo mondo lo erano. Emma pensava a tutte le volte in cui senza Cristina lei e Julian sarebbero morti ed una fitta di tristezza le attraversò il cuore; Emma e Julian erano sufficienti a se stessi, non al mondo, e per dare un contributo al mondo invisibile Cristina Rosales era indispensabile. D'altronde lo aveva sempre saputo che Jules non sarebbe stato mai suo, lo aveva capito quando i suoi genitori erano morti, all'Istituto di Los Angeles, e si era ritrovata a pensare che avrebbe fatto loro giustizia, non importava come. Non voleva andarsene da Jules perché lui l'avrebbe aiutata come sempre, e sapeva che preferiva amarlo platonicamente piuttosto che essergli distante e non potergli stare affianco. Allora sì, la scelta di diventare parabatai non era stata presa né alla leggera né tanto meno era stato un qualcosa di avventato o facile. 
— Toc toc — la voce calda del parabatai l'aveva fatta sussultare — Sei ancora a letto? Ma sono le tre del pomeriggio! —. Julian entrò nella piccola stanza assegnata ad Emma e si gettò sul letto vicino a lei, appoggiando la testa sulle mani e incrociando i piedi vicino a quelli di Emma. La ragazza era rimasta immobile, tesa come una corda di violino e dura come un pezzo di legno. Non che fosse a disagio standosene sdraiata a letto col suo migliore amico, aveva solo la sensazione che in quel momento più che mai, con la runa Parabatai che ardeva sul suo petto e quell'intensità nello sguardo che la incantava sempre, Julian Blackthorn potesse essere in grado di leggerle i pensieri. 
— Sì, oggi è sabato e posso starmene a letto quanto voglio — disse all'improvviso Emma per rompere il silenzio. Si mise più comoda al fianco del ragazzo vicino a lei. 
Poi nient'altro, Julian annuì acconsenziente e allungò un braccio sotto al collo della bionda, iniziando a giocherellare con un boccolo biondo che passandole sopra la fronte le faceva il solletico. Cercava di non pensare a Julian o a Cristina, ma a parte demoni e faccende che ormai sembravano troppo intime per poter essere rievocate dal passato, i due non avevano molti argomenti su cui dialogare. Alla fine Emma decise di rimanere in silenzio a fissare il soffitto bianco, fingendo di non notare lo sguardo trapelante di Julian puntato addosso a lei. 
— Allora starò qui, con te. Sempre se non vuoi del gelato, perché se vuoi del gelato te lo vado a prendere. O delle ciambelle, o della pizza, delle patatine fritte... Non so, scegli tu. — 
Emma sbuffò alzandosi dal letto, lasciando Julian con la mano a mezz'aria, come se ci fossero ancora i suoi capelli tra le dita. Il mento e la fronte corrucciati in un'espressione infantile e triste. La Cacciatrice gli lanciò uno sguardo in cagnesco che lo convinse a sedersi sul letto e ad assumere un tono serio. 
— Scegli, patatine o gelato? — insistette con tono risoluto. 
Niente da fare, quando Jules si intestardiva non c'era muro che restasse in piedi o scusa che reggesse. 
— Senti, ho davvero intenzione di restarmene a letto e non alzarmi fino a domani, quindi ti conviene andartene in camera, lasciarmi mettere il pigiama, e fiondarti nel letto prima che cambi idea. — Un luccichio attraversò gli occhi verde-azzurro dello Shadowhunter, che senza farselo ripetere due volte si precipitò fuori la camera della sua parabatai.
Julian se ne stava a carponi davanti l'armadio in cerca di un pigiama che non possedeva, perché odiava i pigiami e quell'aria da sciocco che gli conferivano, così afferrò i primi indumenti dallo scompartimento "notte" del suo armadio, e si ritrovò a indossare una maglietta grigia di flanella e dei pantaloni della tuta di una tonalità più scura. I piedi scalzi e i soliti ricci castani indomabili che, imperterriti, si ribellavano al potere del gel per capelli. 
Ma in fondo che importa si continuava a ripetere il ragazzo, chissà lei che pigiama a pecorelle indosserà, e poi dobbiamo solo abbuffarci di pizza. O patatine. O gelato. 
Julian sbuffò e si stese sul pavimento freddo della sua camera. Era così diversa da quella di Emma. Infatti, se quella della ragazza era disordinata ma anonima, quella di Jules era ordinata e personalizzata. Appesi alle pareti bianche erano appesi a dei chiodi svariati quadri che aveva dipinto con acquerelli quando era più piccolo. C'erano tramonti arancioni, boschi verdi e una bambina dai boccoli biondi e la stessa aria minacciosa e arrogante di sempre. I mozziconi delle sigarette straboccanti dal posacenere sulla scrivania, vicino al set di matite e carboncini. I quadri più recenti giacevano nel suo armadio nel loro scompartimento insieme alle tele immacolate. Il più di quelli rappresentavano demoni e rune, spade angeliche e battaglie, perché, era convinto Ty, se avesse fuso la sua vena artistica rarissima alla natura guerriera Shadowhunter, probabilmente avrebbe apprezzato maggiormente la sua missione. 
"Con me ha funzionato" aveva detto Tiberius, saccente come al suo solito, squadrando Jules dall'alto al basso. 
"Ah, e cosa fai? Ti metti a giocare al piccolo detective e cerchi di capire come mai i demoni sono dei cattivoni?" lo aveva schernito suo fratello. Ty allora si era girato dandogli di schiena.
"Può darsi, ma non capiresti comunque." 
E la leggenda narrava che il genio di casa era Tiberius Blackthorn, quindi che senso avrebbe avuto non provare? Comunque Jules non rinunciava alla spensieratezza che gli conferiva l'arte quando dipingeva la natura più tranquilla e ingannevole che conosceva, quella che i mondani apprezzano e che gli Shadowhunters tenevano a bada. Dipingeva ancora una ragazza, ma questa volta il soggetto era castano, alto e muscoloso. Gli occhi color nocciola e i capelli neri e ondulati. Un bellissimo soggetto, che un artista non forzato a dipingerlo avrebbe di sicuro apprezzato, ma Julian dipingeva Cristina con lo stesso criterio per cui dipingeva demoni e rune, sangue e fuoco. Ma ben presto la figura di Cristina nella sua mente fu spazzata via da quella più gradita di Emma, che col suo solito tono autoritario gli diceva: "Fiondati nel letto prima che cambi idea". Il Nephilim sorrise tra sé e sé, alzandosi finalmente dal pavimento freddo per fiondarsi nella cucina fornita di qualunque cosa dell'Istituto londinese e prelevandone uno spicchio di pizza congelato che mise nel forno microonde per qualche secondo mentre portava un po' alla volta le vaschette di gelato davanti la porta di Emma, rigorosamente chiusa. Alla fine, tra un "Questo le piace troppo" e "Se non porto questo di sicuro mi uccide", aveva portato talmente tanto cibo che era stato costretto ad aprire la porta col naso. Le vaschette del gelato - pistacchio, cioccolato e fragola - tra le braccia, un piatto con la pizza in bilico sulla testa e una busta di patatine fritte tra i denti. Emma aprì la porta e per poco Jules non fece cadere tutto quello che a fatica aveva portato fin là, passando per il corridoio, camera dello zio Arthur e camera sua. E si sorprese quando non sentì il tonfo del sacchetto di patatine, perché se non lo avesse avuto probabilmente sarebbe rimasto a bocca aperta vedendo la parabatai con pigiama blu a pois grigi. Probabilmente su un'altra sarebbe parso come qualsiasi altro pigiama, ma Emma, con la sua postura sicura e il fisico mozzafiato nonostante i suoi centosettantatré centimetri d'altezza faceva di quel pigiama un capo d'alta moda. Le gambe snelle e bianche erano scoperte da metà coscia in giù, una canottiera leggera lasciava ben poco alla fantasia; braccia e petto vulnerabili e nudi come poche volte Julian li aveva visti, senza rune o spesse giacche nere a proteggerli. E la consueta chioma bionda sciolta fino a caderle sulle spalle. Stessi occhi dorati e spietati. Stessa Emma, vista da altri occhi.
— Vuoi entrare o mi lasci da mangiare e te ne vai? — Chiese Emma, palesemente infastidita - o imbarazzata? - dallo sguardo di Julian. Questo annuì e iniziò ad addentrarsi nella palude di calzini sporchi, pantaloni e maglie. Qua e là c'era anche qualche spada angelica e, appesa alla parete come un vecchio trofeo, giaceva Cortana, lucente e dall'aria pericolosa, come la sua padrona. 
— Em, non per farti arrabbiare, ma ti va se mettiamo un po' in ordine la tua discamera? — Chiese il ragazzo aprendo il meno possibile la bocca per non far cadere le patatine fritte. La bionda gli lanciò un'occhiata divertita mentre si appisolava sul letto e prendeva il telecomando dal comodino là vicino. 
— Discamera? — rise.
— Sì, discamera. Discarica camera. — spiegò Julian a denti stretti, compiaciuto della propria battuta. Emma si alzò dal letto dirigendosi dal parabatai e prese dalla bocca di Julian il pacchetto di patatine e lanciò i gelati sul cuscino, mancando di poco la parete dove si appoggiava la testiera. Jules prese tra le mani il pezzo di pizza, indicandolo con gli occhi, chiedendo il silenzioso permesso di poterselo mangiare. Emma sorrise beffarda, mettendosi una patatina in bocca a mo' di sigaretta. 
— Sono Julian Blackthorn — iniziò, imitando la voce del ragazzo di fronte a lei — e sono un pittore, fumo e sono un maniaco dell'ordine. Quindi, mentre la mia adorata amichetta d'infanzia se ne 'sta ad oziare sul suo comodissimo letto, io le metterò in ordine la camera. — 
Julian rise sonoramente — Sì, spiritosa. — raccolse una maglia gialla da terra e se la mise sul capo improvvisando una parrucca bionda, poi, con una vocetta acuta, si mise a raccogliere tutte le spade angeliche sparse sul pavimento — Ed io sono Emma Carstairs, argh! — mimò un leone — E se il mio fantastico amichetto d'infanzia non mi riordina la camera io lo ucciderò con tutte queste spade angeliche con un solo colpo, perché io sono una guerriera! — Questa volta fu Emma a ridere senza contegno, seguita subito dalla risata cristallina del parabatai. 
"Ecco", pensò mentre Julian si piegava in due per le risate "mi piacerebbe fermare il tempo e poter restare così per sempre"
Ma ovviamente il tempo non si poteva fermare, né potevano andare avanti a ridere per ore, così dopo essersi sfidati a pari o dispari e dopo che lui aveva perso, si era messo pazientemente a carponi sul pavimento gelido a raccogliere magliette e pantaloni vari e a gettarli, senza troppa cura, dentro l'armadio. Le calze le aveva racimolate sotto al letto, nella speranza che Emma le avrebbe scoperte quando il suo teschio avrebbe adornato una delle catacombe della Città di Ossa. E quando ebbe finito di far le pulizie, anche Emma aveva finito di mangiarsi una scatola di gelato al cioccolato, e stava a panciolle sdraiata sotto le lenzuola a cambiare canale dopo canale in cerca di un programma interessante. 
Julian si alzò finalmente da terra si avvicinò al letto. Emma lo guardò di sottecchi mentre continuava a cambiare canale e gli fece spazio vicino a lei, aprendo la scatola di gelato al pistacchio. 
— Spegni la televisione. — Quello di Jules sembrò più un ordine, piuttosto che una richiesta, e si stupì vedendo le dita affusolate di Emma che premevano sul bottone rosso del telecomando, spegnendo il televisore. 
— Dov'è Cristina? — Chiese Emma dopo qualche secondo di silenzio, facendo sobbalzare Jules. 
— Cosa? Uhm... ha detto che usciva e non sarebbe tornata entro domani sera. —  bofonchiò — Deve andare a Los Angeles dalla madre — 
— Cosa? Deve andare da sua madre e non mi ha detto niente? Da quando voi due vi parlate più di quanto ci parliamo noi due, insomma voglio dire, siamo migliori amiche e voi siete sol... — poi più niente. Probabilmente, pensò Julian, dire "voi siete solo fidanzati" sarebbe stato fuori luogo, e come sempre Emma aveva avuto la prontezza di pensare prima di parlare, anche se questa volta un po' a scoppio ritardato. D'un tratto assunse un'aria distaccata e distante, malinconica. Jules non poté far a meno di fissarla, coi boccoli biondi disordinati sul viso, gli occhi oro confusi e le guance rosse e, costatò Jules appoggiandovi il dorso della mano sopra, bollenti. Emma sussultò, spostando di scatto la mano inattesa del parabatai, e una fitta di delusione attraversò il corpo di Julian. Che strana situazione, si ritrovò a rimuginare, lui ed Emma erano parabatai, per due parabatai doveva essere normale parlare liberamente come stavano facendo loro ora, scherzare, prendersi in giro e volersi bene. Ma tra lui e Emma c'era sempre stato questa sorta di patto: sapevano entrambi che erano troppo vicini per potersi comportare normalmente, sapevano che se non avessero mantenuto una certa distanza, sarebbe accaduto l'irreparabile, qualcosa da cui non si può tornare indietro. Così si ritrovò a guardarla mentre, con lo sguardo vagante fuori dalla finestra, aveva il suo solito sguardo freddo e calcolatore, ora più fragile, con qualche crepa qua e là che faceva trapelare una persona più vera e più umana di quella che tutti conoscevano. I capelli biondi le ricadevano a ciuffi davanti agli occhi ed era costretta a sporgere il mento in avanti per soffiarli via di tanto in tanto. Pensò che non vi fosse al mondo cosa più bella dei suoi occhi dorati che a differenza di tutti gli altri non erano morti e privi di vita, uno strumento indispensabile al corpo umano per non brancolare nel buio, i suoi erano vivi, vivaci e celavano così tanti segreti che a volte Jules si chiedeva se ci fosse una chiave, un qualsiasi tipo di chiave in grado di aprire il lucchetto che li teneva racchiusi, incatenati là dentro come dei carcerati, consapevoli che se mai fossero riusciti ad evadere avrebbero combinato la strage per il quale erano nascosti tanto scrupolosamente. Per un istante di puro egoismo sperò di poter trovare quella chiave per poterla conoscere meglio di chiunque altro, perché Emma doveva essere parte di lui e Julian parte di lei in qualsiasi modo. Sperò che lei girasse la testa incrociando il suo sguardo, che gli sorridesse da sotto i boccoli. Sperò che non le importassero gli altri ragazzi con lui là vicino, sperò disperatamente che provasse le stesse cose. Per un tratto si chiese cosa fossero "le stesse cose" e quando la consapevolezza lo investì in pieno come un treno in corsa desiderò correre via, lontano da quella ragazza e da tutto ciò che faceva, diceva, lontano da tutto ciò che era. Volle odiarla e lì per lì Julian pensò che ci sarebbe riuscito se solo non fosse stato che l'allettante pensiero di lasciarsi andare per una volta, fosse infinitamente meglio. E lo fece: l'errore più grande della sua vita. Si lasciò andare con l'assoluta consapevolezza di quanto il baratro tra la felicità e la tristezza fosse incredibilmente profondo e di quanto fosse spaventosamente facile caderci in mezzo, in un misto di terrore e piacere. 
Emma si girò su un fianco, il film che stavano guardando era appena finito, e con lui anche tutte le scorte di cibo che si erano portati in stanza. Intanto la notte era scesa, il pallore lunare accompagnava nella camera la solita brezza notturna, che trapelava dalla finestra della camera. L'Istituto londinese, aveva sempre sostenuto, aveva finestre troppo grandi che conferivano a tutte le stanze un'aria spettrale ogni qualvolta la notte inondava l'Inghilterra con la luna mistica e bellissima. 
— In quanti siamo all'Istituto, in questo momento? — Chiese Emma. Durante la durata del film - o meglio, dei film - si era in qualche modo sdraiata comodamente sul proprio parabatai per poi andare ad occupare lo spazio tra le sue gambe. La testa sul suo petto e il bacino contro il suo. Il petto di lui la sorreggeva, un po' grazie al sostegno dei cuscini. Ed ora che l'orologio segnava le due di mattina ed Emma Carstairs non stava più comoda nella sua posizione, aveva deciso di rigirarsi fino a quando non avrebbe trovato una posizione soddisfacente. 
— Ci siamo io, te — e quell'affermazione sembrò qualcosa di così intimo e impuro — Ty, Tavvy, Dru, Livvy e zio Arthur. —Emma annuì, girandosi ancora una volta tra le gambe di Julian fino a trovarsi faccia a faccia con lui, i gomiti appoggiati sui suoi addominali, e le gambe sollevate in aria. — Em... fermati — gemette straziato Jules, sempre più dolente all'idea della sua parabatai che persino in un pigiama a pois grigi riusciva a risultare sensuale, che si dimenava tra le sue gambe. Le guance di Emma si tinsero di un color porpora acceso e cessò all'istante la sua frenetica ricerca alla posizione perfetta. Gli occhi dello stesso colore dell'oro ricordavano a Julian quelli di un leone; forti, spietati e sicuri di sé, ma allo stesso tempo erano occhi pazienti e furbi, intelligenti. Tanto esitanti quanto prudenti. Il viso piccolo e fine, perfetto, difficile d'attribuire ad una Cacciatrice come lei. Infatti se Julian era un pacifico artista un po' pieno di sé, Emma era la sanguinolenta Cacciatrice, seconda per bravura solo a Jace Herondale. Ed al contrario di lui non era vanitosa, non sapeva quanto fosse in grado di fare e forse per questo, si convinceva Julian, cercava sempre uno scontro. Forse per misurarsi, per mettersi alla prova. Forse era perché voleva uccidere davvero i demoni e salvaguardare la salute dei mondani. Ma la parte più razionale dello Shadowhunter, quella che meglio conosceva la propria parabatai e che il più delle volte aveva ragione, sapeva che l'unica cosa che dava a Emma la forza di battersi era il dolore per la perdita dei suoi genitori e il suo desiderio di vendetta, secondo solo a quello di Jace Wayland.*
— Emma... — Il sussurrò tremante uscì dalle labbra secche di Julian. Fece scivolare le mani affusolate dalle spalle fredde fino al collo della ragazza, esitando troppo sulla vena che pulsava insistentemente sotto le sue dita. Indugiò troppo con lo sguardo sulle labbra rosee e piene della ragazza, che pian piano sembravano avvicinarsi sempre di più mentre tutto intorno diventava nero e confuso, ad eccezione di Emma. Forse immaginò con troppo realismo il sapore delle sue labbra sulle proprie, finalmente unite nel bacio sognato e bramato fin dalla prima adolescenza e dalla prima consapevolezza dei sentimenti che provava per la sua parabatai, allora migliore amica. Esitò troppo, così decise che ormai fermarsi sarebbe stato inutile. — Per l'Angelo cosa non sei.— I muscoli di entrambi tesi gli uni sopra gli altri, la vena che pulsava al ritmo di entrambi i cuori e una sola parola nella mente: parabatai. E quella parola continuava, con estrema maestria, a farsi spazio nella mente di Julian mentre le sue dita slittavano dietro il collo di Emma, affondando le dita nella pelle morbida fino a strapparle un gemito, e la attirarono a sé. "Parabatai" continuava ad urlare straziata la sua mente quando le due bocche si incontrarono per la prima volta. Si erano baciati con talmente tanta ferocia che i denti di lei avevano sbattuto violentemente sui suoi e nonostante continuavano a dolere, nulla aveva impedito ad entrambi di continuare a baciarsi. Era la prima volta che si baciavano, la prima volta che Julian poteva assaporare veramente il sapore salato delle labbra della bionda, la prima volta che il gesto più intimo che potesse dedicarle non fu il consueto giocherellare coi suoi boccoli biondi. Era la prima volta in vita sua che le dita di una ragazza tra i suoi capelli castani lo facevano rabbrividire, la prima volta che un bacio non lo saziava della sua sete di passione, anzi, gli aprì un vortice nero nello stomaco che lo fece gemere sulla bocca di Emma, che lo spingeva a introdurre la lingua tra le labbra morbide ed esperte di lei, e un impeto di gelosia al pensiero di qualcun'altro che poteva godere di quella sensazione lo spinse a stringerle i capelli con più forza e di sistemarsela meglio addosso, alzandola completamente e sistemandosela a cavalcioni sulle gambe senza mai interrompere il bacio, perché quello era il loro primo bacio ed era bellissimo, meglio di quanto avrebbe potuto mai immaginare. Si era immaginato più volte di ritrovarsi boccheggiante in cerca d'aria dopo un lungo e intenso bacio con la sua parabatai, ma non andò così, perché nessuno dei due aveva ancora staccato le labbra da quelle dell'altro, anzi. Avevano scoperto in pochi attimi ognuno la bocca dell'altra, come se le rune che si erano scambiati anni prima potessero essere in grado di unirli di più anche in un rapporto carnale. E "parabatai" era la parola che cercava di non ricordare a se stesso mentre la prepotente erezione premeva sulla pelle della bionda che, muovendosi sempre di più tra le gambe di Julian non faceva che peggiorare la situazione. O migliorarla. "Chissà se a lei importa che siamo parabatai" pensò ancora mentre faceva scorrere le mani sotto la maglietta leggera di Emma per slacciarle il reggiseno.

Emma sentiva ogni centimetro del corpo di Julian schiacciato contro il proprio. I muscoli tesi e asciutti parevano così strani ora che li toccava a quel modo in cui non aveva mai toccato nessuno. Aveva smania di scoprire a fondo il suo parabatai ora che lui gliene aveva dato la possibilità, e di certo non se la sarebbe fatta scappare. Non dopo tutto il tempo che l'aveva attesa con tutta la pazienza di cui poteva disporre, ed ora che Julian non si scansava da lei per reprimere l'erezione che le premeva sulla pelle, Emma non se la sentiva di fare il primo passo verso l'autodistruzione, impedendo ad entrambi di godere di quella notte di mezza estate in cui finalmente entrambi avevano ceduto e si erano rivelati per quello che erano: due innamorati che si amano, si vogliono, si desiderano in tutti i sensi. Come giusto che sia.
Per questo percorreva ogni centimetro della sua pelle nuda con le dita affusolate e tremanti per l'eccitazione mentre le faceva scorrere dalle spalle possenti fino ad accarezzare gli addominali contratti. Le bocche ancora impegnate in quel bacio passionale che avevano iniziato qualche minuto prima. Emma sentiva il sapore di Jules: sapone, acquerelli, tabacco e sudore. E ne sentiva l'anima, le paure, la tensione, il desiderio. Sembrava ormai percepirne i pensieri e sapeva bene che non era per via del loro legame parabatai. Sapeva che anche se la runa non avesse occupato il suo posto sul petto di entrambi, sarebbe stata in grado di capire Julian Blackthorn meglio di chiunque altro. E ora Julian stava pensando a quella, stava pensando alla runa, a quello che li univa. 
Parabatai. Parabatai, parabatai, parabatai... — Emma allontanò le labbra da quelle di Julian quel tanto che bastava per sussurrare quelle parole. Sentì il corpo possente di Julian irrigidirsi sotto il suo, mentre le mani del Nephilim le sfilavano il reggiseno da sotto la maglia del pigiama. Il corpo di Emma fu scosso da un brivido di freddo e da una scarica di pura adrenalina. Premette forte la fronte contro quella di lui mentre le dita di Julian le solleticavano la pelle, facendo ricadere il reggiseno azzurro sul materasso bluastro al pallore lunare. Gli occhi premuti tra loro e le mani che scorrevano sulla pelle calda e testa sotto l'elastico della tuta. Appoggiò la mano sulla trama nera dei boxer iniziando a muovere il pollice con movimenti circolari sulla protuberanza. 
— C-Cazzo... — gemette piano Julian. Emma, trionfante, appoggiò le mani sulle scapole del ragazzo spingendolo a sdraiarsi sul letto. Si sedette sul ventre del Nephilim, le ginocchia intorno al suo bacino e la mano ancora nei pantaloni. — Fanculo Em... Emma apri gli... — Jules deglutì sonoramente e la sua voce assunse il tono di qualcuno che compie un grande sforzo contro la propria volontà — Apri gli occhi, guardami, ascoltami. — biascicò. 
Emma ubbidì curiosa ed aprì gli occhi incontrando la figura massiccia di Julian sotto di sé che, pur essendo sottomessa a lei continuava a sembrare dominante. Gli occhi verde-azzurro tipici dei Blackthorn brillavano per l'eccitazione al buio e i riccioli castani erano più arruffati del solito - probabilmente era stata lei stessa pochi minuti prima a ridurli in quello stato, e quel pensiero non fece che farla sorridere -, le mani da artista tenevano strette in un pugno il lenzuolo candido. 
"La pena e la grandezza sono il destino dell'artista" si ritrovò a citare Emma mentre osservava la sua opera d'arte preferita. 
— Ascoltami bene. Per una volta fallo. — il suo era stato poco più che un sussurro tremante e insicuro. — Tu non sei la seconda Jace Herondale, o Morgenstern, o Lightwood. Né Wayland. Tu sei Emma Carstairs, la fiera Emma Carstairs. Non mi importa se secondo Jace più dici una parola più questa perde significato, non mi importa e nemmeno a te dovrebbe importare. Va bene, no? Siamo parabatai e faremo l'amore 'sta notte. Dopo che avrò finito di dirti che amo te, non la copia femminile di un pavone — dalle labbra di Emma sfuggì una risata nervosa mente il suo cuore cercava di recuperare i battiti che si era lasciato sfuggire mentre quella bellissima voce rauca diceva "amo te". 
— Sto solo cercando di dirti... — riprese lui — sto cercando di dirti che sei bellissima come sei e quindi non farmi essere un'altra delle tue scopate. Facciamo l'amore, fammi essere la tua prima vera volta. —
Il silenzio aveva parlato parecchi minuti fra loro mente lei fissando gli occhi di lui, ripensava a quello che Jace, il suo mentore, le aveva insegnato per cinque anni e quello che invece l'amore della sua vita era stato in grado di insegnarlo in uno stupido e smielato discorso. Per privare ad una parola del suo valore bastava trovare la persona che l'avrebbe fatta diventare insignificante e Emma ce l'aveva fatta perché più affondava nei suoi occhi più "parabatai" era solo un'altra runa. Alla fine annuì e basta, e una scintilla scattò nelle iridi di Julian e nelle sue pupille più dilatate che mai. Julian, con uno scatto felino degno di un vampiro, l'aveva presa per la schiena e capovolta sotto il proprio corpo, dopo uno sguardo acconseziente di Emma le aveva poi sfilato i pantaloncini, che avano raggiunto il loro posto vicino al reggiseno, e ben presto anche il resto degli indumenti di entrambi giacevano a terra, unici testimoni di ciò che in quella notte di mezza estate stava accadendo tra i due parabatai in una stanza dell'Istituto londinese. 
— Ed ora si... si invertono i r-ruoli, Carstairs —
La pelle argentata di Julian e gli occhi verde-azzurro sempre più cupi. I capelli castani grondanti di sudore. Le guance accaldate e lo strano calore che il suo corpo emanava al solo contatto con quello del ragazzo. Il letto che cigolava quando Julian si spingeva dentro il corpo di Emma in una perfetta fusione di corpo e spirito. 
— Ti... ti amo anche io, comunque — riuscì a sussurrare prima di gemere sonoramente. 
Julian ce l'aveva fatta, aveva preso l'unica verginità che Emma custodiva gelosamente nel proprio cuore, nascondendola a qualsiasi individuo, in attesa di quello perfetto a cui donarla. E quel qualcuno le era sempre stato accanto, lo aveva sempre saputo. 


 

Angolo autrice.
*Non voglio che pensiate che sia un'incoerenza del testo dato che prima di "Jace Wayland" ho adoperato il suo vero cognome, ovvero Herondale. Pensavo che però fosse più indicato usare il cognome della sua infanzia perché in un certo senso i cognomi adoperati da Jace sono l'introduzione ad una fase della sua vita. Infatti Jace Herondale è Jace nella sua interezza, nella sua bravura nell'uccidere i demoni e ciò che prova senza rancore, mentre nella sua fase "Wayland" (sembra che sto parlando di un dinosauro o di un Pokémon...) è letteralmente tormentato dalla morte del padre, perciò, come spiega anche Alec a Clary, si sente in dovere di rischiare la vita e battersi per tutto. Spero che abbiate capito. 
Per il resto spero che il rating arancio vada bene; sappiate che è la prima volta che scrivo una scena "spinta" e quindi abbiate pietà della mia povera anima, cercherò di migliorare nel tempo. Vi rendo partecipi del fatto che ho iniziato questa one shot che ho intenzione di trasformare in una fan fiction mentre ero in macchina e grazie al 3G piangevo per un video su Harry Potter e che però l'ho conclusa questa sera alle 07.35 am senza essere mai andata a letto e sì, sono abbastanza distrutta. Con questo non giustifico l'immonda schifezza che vi sto proponendo. Vi prego di recensire - tanto non lo fate mai quindi che lo dico a fare?! - con qualsiasi cosa! Vi ricordo che i pareri dei lettori sono sempre utili, negativi o positivi che siano.  Spero che gli altri due capitoli che già ho programmato (nel secondo Ty ovviamente ci mostrerà quanto intuitivo ed intelligente può essere ma obv, lui è il migliore amico di Shinichi Kudo e Sherlock Holmes che ahimè non esistono nessuno dei tre...) siano migliori del primo alias questo. Vi auguro una buona notte, o un buon giorno per i più mattuinieri. 

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Capitolo 2
*** Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo. ***


La matita slittava sul foglio bianco ed immacolato, dando vita come per magia ad un bellissimo tappeto d'erba verde, la rugiada come ultima testimonianza di un piovigginoso inverno ormai alle spalle, brillava come fosse stata smeraldo sotto al mite sole primaverile, alberi di ciliegio nel pieno della loro fioritura, i fiori rosa come labbra di ragazza e petali che alludevano all'odore di natura bagnata. La corteccia marrone quasi ruvida al tatto. In lontananza un dolce sfondo di verdi colline e tanta, tanta pace. Pace surreale e celante; la sensazione era la stessa di volare nel cielo limpido del dipinto con la consapevolezza che quel volo sarebbe stato seguito da una lunghissima ed angosciante caduta verso il baratro. — Dobbiamo parlare — La matita fermò la sua danza. Voce come tuono. Il ragazzo portò le mani biancastre ed affusolate tra i ricci castani. Era la prima volta che colorava contemporaneamente, in qualche modo, ciò che dipingeva, notò quasi inorridito. Non era quella la tecnica, ma i colori sembravano più veri che mai, più emozionanti e vivi di quanto non fossero mai stati. Non se ne pentì. 
— Arrivo — rispose l'artista prima di dipingere una nuvola nel cielo celeste perché forse l'ingannevole natura aveva preservato per Julian Blackthorn un altro po' di pioggia.


Tiberius se me stava sull'uscio della porta in attesa che suo fratello lo invitasse ad entrare. Anche in una situazione come quella non poteva dimenticare le buone maniere. Julian lo invitò ad entrare con un gesto veloce della mano mentre si allontanava dalla scrivania. Quando finalmente i riccioli castani furono sostituiti dal suo viso Ty rimase tutt'altro che sorpreso nel vedere le occhiaie bluastre sotto i suoi occhi. Come al solito Julian aveva dormito a petto nudo e come ogni singola mattina i suoi ricci erano disordinati e indomabili, la pelle pallida e sporcata da tempera. Come tutte le mattine aveva bevuto il suo caffè forte, ed aveva già fumato due sigarette, o per lo meno così testimoniavano il posacenere trasparente e la tazza vicino a quello. Mentre Julian si sdraiava sul letto - già rifatto - Ty si guardò in giro cercando altre stranezze, ma niente, la grossa finestra era come di consuetudine aperta e lasciava entrare la luce solare nella stanza. Infatti, la luce era spenta, come sempre, perché al fratello piaceva colorare i propri dipinti con una luce naturale. Anche il  dipinto era una cosa usuale, così come tutti gli altri oggetti presenti sulla scrivania bianca. Come il carboncino, le varie matite, i pastelli, le sigarette ed il caffè, i libri. Tutto. Ty fece un resoconto: letto rifatto e occhiaie, poteva inventare qualcosa sulla sua assenza in camera. Sì, i pretesti c'erano. Si avvicinò al letto e rimase in piedi, rifiutando l'invito del fratello a sedersi vicino a lui. "Sei un detective, Tiberius, ora sei un detective tanto in gamba quanto Sherlock Holmes, non il fratello dell'indiziato" ricordò Ty a se stesso. Indurì lo sguardo cercando di non far trapelare l'ansia che minacciava di inquinare le prove, perché Ty voleva bene a Jules; glielo aveva fatto capire Helen quando si erano appena trasferiti dai Penhallow ad Idris, mentre Julian e lei, accasciati sul pavimento, parlavano della partenza della sorella. 
"Ty mi odia. Mi fa costantemente la guerra" aveva detto Julian con fare sconsolato, una nota di preoccupazione nella voce, come se il solo pensiero potesse farlo star male.  Tiberius che era nel letto quasi sobbalzò, ma si trattenne per ascoltare più a lungo la conversazione tra i due. "Ty ti vuole bene, dorme con l'ape che gli hai regalato, non fa che osservarti. Vuole essere come te. È solo... dura" aveva ribattuto Helen. Da una parte aveva ragione, perché se una persona come Tiberius Blackthorn dormiva con un ape peluches, una ragione doveva esserci e stranamente era qualcosa di emotivo, non dettato dalla ragione. Però non voleva essere come suo fratello maggiore, perché si andava bene com'era e perché di Julian doveva essercene solo uno, il migliore e l'unico, perché non gli sarebbe piaciuto vivere con le sue responsabilità e le sue insicurezze. Però non aveva fatto niente per fargli capire che si sbagliava, così tra loro era rimasto quello strano rapporto: si volevano bene ognuno a modo proprio; Jules nel modo più semplice e totalitario mentre Ty amava diversamente, amava razionalmente. Un genere d'amore difficile da coltivare, da capire e da accettare ed in qualche modo Jules, che non lo capiva e non lo coltivava, lo accettava. — Dove sei stato ieri notte? — la domanda uscì dalle sue labbra fredda e mirata, proprio come risuonava nella sua mente. I muscoli del corpo di Julian si tesero, gli addominali, contraendosi, fecero la loro comparsa sul ventre scoperto. Una ruga si dipinse tra i suoi occhi. Ty annotò tutto sul suo taccuino mentale. Non sembrava totalmente sorpreso. — Ero nella stanza di Emma — Una scossa d'adrenalina attraversò il corpo dell'improvvisato detective. Suo fratello non era bravo a mentire, lo sapevano tutti, e questo non faceva di lui un indiziato facile. Tutt'altro. Avrebbe detto la verità e sarebbe stato devastante. Ty annuì — Lo so. — sorrise tradendo la sua appartenente impassibilità, eccitato, pronto a sferrare il colpo fatale — È così, dunque — aveva riacquisito il suo tono piatto — che ti sei procurato quei graffi sulla schiena? — E poi niente, Ty sentì una fitta di delusione quando l'unica reazione da parte di Jules fu la totale immobilità. Un luccichio  gli aveva attraversato gli occhi del colore verde-blu del mare in tempesta come una lama di coltello. Alzò il braccio indicandosi il collo con l'indice. Sorrise anche lui. — Lo vedi? Siamo parabatai. —. Sussultò. Era vero, Julian ed Emma erano parabatai, lo erano da quando avevano tredici anni e nonostante fossero passati quattro anni e lui, allora, ne avesse undici, se lo ricordava quel giorno. Nessuno, per qualche strano motivo, fu felice. Emma e Jules non si erano parlati per tutto il giorno, poi era venuta l'ora di recarsi alla Città di Ossa. Li avevano accompagnati Tiberius, Mark, Helen e zio Arthur. Livia, Drusilla e Octavian erano rimasti all'Istituto di New York col Console. C'erano molti altri loro amici: Aline Penhallow e Isabelle Lightwood parlavano sottovoce,eccitate perché anche loro stavano per diventare parabatai. Lo stesso accadeva fra Clarissa Morgenstern e Simon Lewis. Emma se ne stava in silenzio, mano nella mano con la rossa, intenta ad ascoltare quello che i due amici d'infanzia avevano da dirsi. Lo sguardo freddo e calcolatore come sempre, ma qualcosa in più negli occhi. Come un misto di dolore, paura, consapevolezza che li facevano sembrare più simili che mai a quelli di Jonathan Herondale. Julian discuteva animatamente con questo e con Alexander Lightwood, parlando di quanto le leggi dell'Enclave fossero insensate, offendendo Alec che queste cose le prendeva molto sul personale. Jace aveva riso. Poi tutti e tre si erano calmati, perché Julian aveva detto qualcosa. Jace aveva scosso la testa, Alec aveva annuito per poi lanciare uno strano sguardo a Magnus, al quale Ty era in parte, che parlava con Catarina Loss. Anche loro, si era ritrovato a pensare, sarebbero stati perfetti parabatai. Poi nient'altro, erano entrati Simon e Clary, poi Aline e Isabelle ed infine Julian ed Emma. Questi si erano presi per mano saldamente, ancorando gli occhi del colore del mare in quelli con l'oro incandescente ed allora altro che tempesta, Giovanni si era sbagliato, l'Apocalisse erano loro. Fu come se stessero pronunciando un loro patto eterno, qualcosa che, in qualche modo, andava oltre la runa che li stava per unire unire per il resto della loro vita. Andava oltre all'Angelo, a tutte le rune ed i patti impartiti agli Shadowhunters dall'Enclave e di tutte le leggi dettate dal Conclave. Loro, in fondo, erano un po' così: insieme erano più forti di tutto. Per il resto della giornata non avevano parlato né  mangiato, erano rimasti entrambi in camera di Jules mentre lui dipingeva e lei restava sdraiata sul letto. Sull'Istituto  londinese veleggiava tanta tristezza, ed andava bene così. — Cos'hai chiesto a Jace e ad Alec il giorno della tua cerimonia parabatai? — Tiberius si sedette, decidendo di cambiare strategia. Jules aggrottò la fronte, forse ripensandoci — Uhm, — disse dopo un po' — gli ho chiesto se si fossero mai pentiti di essere diventati parabatai. — una gocciolina di sudore sul collo nudo e i nervi in tensione spinsero Tiberius a continuare più rudemente. — Perché tu già ti pentivi di essere là. Un tredicenne è già in grado di comprendere ciò che prova per la propria amica d'infanzia, sbaglio? — Jules smise i sorridere e guardò serio suo fratello. Ty per qualche motivo sentì che i ruoli si erano invertiti. Per una volta era lui l'indiziato. — Tibs, perché me lo stai chiedendo?  So badare a me stesso. Lo sai, ho sempre rispettato le leggi del Conclave e dell'Enclave. Siamo diventati parabatai per un motivo e... — Il momento giusto per la fatidica domanda, per la deduzione esatta. Ty non ascoltava più le altre balle che Jules diceva, perché chiese: — Perché, per quale motivo siete diventati parabatai? — Fatta. Era fatta, aveva chiesto a Jules di parlare di Emma e di quello che li aveva uniti più di quanto qualsiasi altra cosa lo avesse unito a chiunque altro, chiedendogli qualcosa che lui solo sapeva, lui e la sua migliore amica. Gli aveva chiesto di parlare di loro e lui lo avrebbe fatto,  aprendogli mente e cuore perché era sempre così, quando si parlava di Emma. Tiberius sentiva in qualche modo che potesse essere sbagliato, era come chiedere ad un Jules ubriaco di non ridere, era in qualche modo sbagliato perché tutto di Emma doveva essere solo di Jules e tutto di Julian doveva essere solo di Ems. Era sbagliato perché tutti lo sapevano, ma Tiberius era l'unico ad amare razionalmente e toccava a lui impedirgli di amare in modo passionale. Gli occhi di Julian brillavano umidi mentre la luce del sole si riversava in loro. Ty quasi poté vedere il cuore gonfiarsi smisuratamente uscire fuori dal suo petto. — Perché me l'avrebbero portata via — la voce carica di rabbia e amarezza, — Perché lei non avrebbe mai saputo cos'è successo ai suoi genitori e non sarebbe mai stata in pace con se stessa ad Idris. Tibs tu lo sai com'è, si sarebbe colpevolizzata per le azioni compiute da un pazzo, da un demone. Si sarebbe accollata colpe che non le appartengono e ciò l'avrebbe distrutta. Non ce l'avrei fatta senza lei. — La consapevolezza investì Ty come un treno in corsa quando le lacrime scese sulle guance del fratello gli bagnarono il sorriso triste — Ho persino pensato di essere io sbagliato, o pazzo, perché il colore "occhi di Emma" non esiste, ma io continuavo a mescolare colori sulla tavolozza per crearlo. Ho studiato giorno e notte il legame parabatai ed ho sperato di non essere ricambiato, perché sarebbe stato legale, perché è la cosa più bella che sia mai stato in grado di provare e non poteva essere giuridicamente insana. Non può. — La sua voce sembrava il suono del mare in tempesta e Ty rabbrividì guardando gli occhi di Jules, capendo cosa intendeva dire quando aveva accennato al colore degli occhi della parabatai, perché erano colore "occhi di Jules" in quel momento gli occhi del fratello, nient'altro. — Però non è così, nel senso, lei ricambia credo, quindi... — Il Nephilim si arrestò all'istante, le iridi prive della pupilla la quale sembrava uno spillo. — Tibs, lo dirai allo zio? — Disperazione. 
"Esatto Tiberius, o meglio Sherlock, lo dirai all'Enclave?". Poteva far finta di niente ed andarsene, come avrebbe preferito fare, sarebbe stato più facile per tutti, ma forse a lungo andare quella decisione avrebbe causato dei danni. Non si trattava più di Tiberius che si improvvisa Sherlock Holmes, ora era Tiberius Blackthron che doveva scegliere il meglio per la sua famiglia, e avrebbe preferito essere il protagonista del romanzo di Conan Doyle. Quindi davvero poteva lasciare la stanza, perché amava Emma e Jules, ma, ricordò a se stesso, doveva amarli in modo razionale. "Non ce l'avrei fatta senza lei". Julian aveva sofferto così tanto, si era preso cura dei suoi fratelli e di Emma in assenza di Helen e Mark, aveva rinunciato alla persona che amava per poterla tenere vicina a sé. — Devi promettermi che non accadrà mai più. Julian promettimelo. — si ritrovò a ripetere disperato Tiberius. Non era abituato a mettere in ballo i sentimenti nelle sue indagini, non gli piaceva. Guardò Julian sperando che si accorgesse dell'urgenza nel suo sguardo, ma questo fissava attonito le coperte bianche del suo letto — Te lo prometto. — mentì alla fine, senza via d'uscita. Gli occhi trapelanti di Ty si ancorarono in quelli di Julian come se volessero scavare nella sua anima. — Giura sull'Angelo. — azzardò. Un brivido di freddo percorse la schiena del maggiore facendolo rabbrividire. Scosse la testa — No. No che non lo giuro sull'Angelo. È successo una volta, chi ti dice che possa essere stata l'ultima? La carne è debole, Tibs. Non chiedermi di giurare sull'Angelo. Per favore. — Tiberius si alzò dal letto esasperato, cercando di riacquisire il suo tono saccente e pieno di sé, la voce fredda e impassibile come se stesse parlando di una persona estranea alla sua vita, alla sua famiglia. Come se un canone familiare non lo avesse mai unito a Julian — Parabatai è un legame che unisce due guerrieri Shadowhunters, la cerimonia assume di fronte all'Enclave il valore di un sacrificio, il giuramento di porre la vita dell'altro davanti alla propria. In tutta la vita il vincolo può essere stretto una volta sola e con una sola persona, tra i dodici e i diciotto anni d'età. Due parabatai non si possono sposare per un fattore culturale, ma è anche perché il legame dei parabatai si suppone debba essere qualcosa che vada oltre le emozioni umane. Dev'essere un'unione separata da cose come la gelosia, perché se si dovessero innamorare e poi quel sentimento dovesse svanire, i due resterebbero comunque legati per l'eternità. Tuttavia è concesso ad un parabatai di invaghirsi del proprio compagno purché il sentimento non sia ricambiato o che tra i due non ci siano altri vincoli che quello eretto dalla runa, appunto, parabatai. — Julian si alzò dietro al fratello, visibilmente disagio, e Ty si sentì addosso come uno strano macigno. Anzi, più macigni. Ne aveva sulle spalle, sul cuore, sullo stomaco, in gola. Ne aveva persino in testa e attaccati alle caviglie e pesavano. Quei macigni pesavano davvero tanto e minacciavano di portarlo verso il basso, più in basso della cantina e del centro del mondo. Minacciavano di portarlo nell'oblio più buio, più buio del buio nella Fossa delle Marianne. Era come se già un po' di buio avesse cominciato a circondarlo insieme al fratello, ed era arrabbiato, indignato, incazzato col fratello che si rifiutava di capire e che lo spingeva a tanto. Jules davanti a lui sembrava elemosinare aria — Lo so... Lo so cos'è il vincolo parabatai. — 
Ty gli rivolse il suo sguardo più severo ignorando le sue parole. Stava funzionando, lo vedeva. Lo sentiva. —Esistono però diversi modi per tagliare il vincolo del parabatai. — continuò, attirando questa volta la totale attenzione dello Shadowhunter di fronte a lui. — C'è la morte, ci si può trasformare in Nascosti o entrare nella Fratellanza. Più cruento è il modo in cui il vincolo viene reciso più la persona soffre. — Uno strano luccichio negli occhi di Julian e la consapevolezza nel cuore di Tiberius di aver appena enunciato la condanna a morte del fratello. Sperò non avesse colto tra le righe il significato celato dietro al testo che aveva imparato a memoria su un libro antico e che gli aveva ribadito. — Mi... mi stai dando il permesso di farlo? — la voce di Julian era uscita dalle sue labbra timida e timorosa. Tiberius stette in silenzio, non sapendo cosa dire. No, probabilmente. Non doveva dargli il permesso di uccidersi. Ma sì, gliel'aveva dato. Alla fine uscì dalla stanza senza proferir parola. Aveva solo quindici anni, non poteva sopportare altre responsabilità. — Allora è così — capì Julian prima che Ty uscisse dalla sua traiettoria — È così che ti alleni. — Tiberius sorrise compiaciuto. — Saresti un ottima fata, Julian. — rispose prima di scomparire dietro la porta.  
Tiberius aveva sentito il fruscio di una maglia, il tintinnio solito che producevano le spade angeliche scontrandosi, passi veloci scendere di fretta le scale e la porta dell'Istituto sbattere. Aveva fatto la cavolata e ne era felice, in un certo senso. Andò in camera sua e si sdraiò sul letto. Le pareti blu iniziavano ad annoiarlo, ma lo aiutavano a studiare meglio. Per il resto la sua camera conteneva l'essenziale: un armadio bianco, lo stesso colore della piccola scrivania. E una sedia, oltre al letto. Nient'altro. I gialli che amava tanto ordinati sulla scrivania, con una versione di Shakespeare in latino. una lente d'ingrandimento nel cassetto ancora aperto, vicino ad una pipa finta e ad un cappellino a bombetta a fantasia scozzese marrone e verde. Sul cuscino, di fianco alla sua testa, l'ape sorridente che gli aveva regalato il fratello anni addietro. Ed Emma seduta in terra davanti alla finestra. 
Ed Emma seduta in terra davanti alla finestra. 
— Co-cosa? — Ty si alzò velocemente dal letto con tutti i muscoli del corpo tesi per la sorpresa. Emma non gli faceva spesso visita se non quando lui e qualcuno dei suoi fratelli litigavano, allora si sedeva ai piedi del letto e parlavano un po' di Blackthorn, e qualche volta riusciva anche a farle dire qualcosa dei suoi genitori. Ne andava fiero, solo con Julian ne parlava, oltre che con lui. — Possibile che non ti sia mai innamorato, Tibs? — la voce della ragazza suonava stanca e la domanda esasperata. Tiberius indietreggiò di scatto, quasi sentendosi colpito, tradito, dalle sue parole. Non potevano parlare di sentimenti come l'amore anche loro due, soprattutto non in quella situazione, non dopo quello che Tiberius aveva detto perché ne era sicuro, Emma aveva sentito tutto. — Em... Emma io... —. Cosa avrebbe dovuto dire? Sì, forse si era innamorato, ma di certo non glielo avrebbe detto, non a lei e non con Julian che girovagava per Londra in cerca di chissà qualche banda di Nascosti. E poi non erano lì per parlare di Tiberius, ne era consapevole, il discorso andava sempre a parare a Julian, così lo Shadowhunter tagliò corto il discorso impugnando tre spade angeliche e impugnandole con saldezza, fingendo nonchalnce. — Io credo che lento com'è lo troveremo fuori dalla porta dell'Istituto — Emma rise, forse felice, forse sollevata o semplicemente divertita. Tiberius non poté che sorridere — Vedo che tu sei già in tenuta. Te lo aspettavi? — Sia lui che la Nephilim di fronte a lui erano tornati seri. Ora lei si ergeva in piedi di fronte a Ty; erano alti uguali, nonostante la differenza d'età di due anni, e nonostante Emma fosse minuta e Ty avesse già abbastanza muscoli per poter battere il fratello maggiore senza troppi problemi Ty si sentì minacciato ancora una volta da quegli occhi color oro colato, forti e spietati. Gli piacque quella sensazione d'intesa. Forse anche loro due, si ritrovò a pensare, sarebbero stati perfetti parabatai. — Sei intelligente, Tiberius, da te dovevo aspettarmelo, no? —. 
Oh, se la aspettava... 
Erano passati circa venti minuti da quando lei e Tiberius erano usciti alla ricerca di Julian, protetti dalla vista dei mondani, armati di spade angeliche e varie armi - tra cui, ovviamente, non mancava Cortana la quale era fieramente impugnata da Emma - e altre rune, della velocità, del silenzio e della forza, a ricoprire il corpo di entrambi. Di Julian, però, ancora nessuna traccia. Avevano persino preso in considerazione di farsi aiutare dal Sommo Stregone di Londra, ma Ragnor Fell era morto anni prima, e nessuno dei due giovani Nephilim si fidava del giro d'affari losco che girava tra stregoni di quei tempi. Chissà con quale clan di vampiri avevano avuto da fare. Chissà quanto avrebbero pagato i vampiri per del sangue di Nephilim! Alla fine avevano semplicemente telefonato a Magnus che però, non avendo niente di Julian, non poteva rintracciarlo. Si era scusato più e più volte, non si era nemmeno fatto spiegare niente, gli erano bastate le parole "Julian vuole diventare un Nascosto" per fargli scattare la lampadina rossa, così aveva detto che avrebbe mobilitato qualche clan affidabile di stregoni suoi amici in zona "Theresa Gray potrebbe aiutarvi" aveva farfugliato prima di riattaccare, ed Emma e Tiberius avevano deciso che perdere tempo a cercare Tessa avrebbe potuto fare la differenza tra la vita e la morte di Jules, quindi avevano continuato le indagini da soli. — Non senti niente? Quella stupida runa non ti aiuta per niente? — urlò esasperato Ty ad un certo punto. Emma sussultò per la sorpresa: non era abituata a vedere Tiberius scattare a quel modo. Scosse la testa e i boccoli biondi le balzellarono davanti al viso, li spostò dietro le orecchie e si mise entrambi i palmi delle mani sul viso. — Sento solo che non è morto, Tibs, nient'altro... —. Era esasperata, avevano cercato in tutte le vie, le strade londinesi, le abitazione di Nascosti e mondani, avevano persino usato dei messaggi in codice tra i passanti che li avevano guardati male. Quel pomeriggio pioveva, pioveva dopo una settimana di sgargiante sole. Tutti credevano che sarebbe arrivata la primavera di lì a poco, ma a quanto pare si sbagliavano tutti. — Emma! Emma apri gli occhi! — ma non fu la voce allarmata di Ty a farle aprire gli occhi, nemmeno la visione del suo parabatai che correva fuori da un viottolo con un fiotto di sangue che gli colava dal petto. Fu il dolore che provava lei stessa sul petto, in mezzo alle costole. Si tastò il punto dolente, esattamente sotto al seno, ma lei stava bene, non come la runa sul suo collo che bruciava in modo anormale. Era Julian, sentiva il suo dolore. Scattò in avanti, attenta a bilanciare il peso sul bacino per non cadere in caso un demone o un Nascosto le si dovesse parare davanti. Non doveva scaricare il peso su piedi e gambe, così le aveva insegnato Jace. Corse veloce e sentì il vento smuoverle i capelli mentre di fianco a lei Tiberius correva alla stessa velocità lanciandole ogni tanto sguardi d'intesa. Aveva già sguainato una spada angelica mentre Emma, con Cortana a farle come estensione del braccio, superava Julian che nel frattempo si era accasciato a terra. Il petto ancora bruciante. Avrebbe voluto fermarsi e curarlo, alzarlo da terra per riportarlo a letto e tracciargli tutti gli iratze che gli servissero, ma li vedeva bene: licantropi. Correvano, metà uomini metà lupi, alla luce del sole mentre i mondani terrorizzati correvano ovunque. Una donna col bambino in braccio si era buttata a terra e Tiberius era corso ad aiutarla e portarla in salvo mentre la Nephilim lanciava shuriken alle zampe dei grossi lupi. Le facce ancora umane. Vide di sfuggita una ragazza lentigginosa che le ricordava molto Clary, nonostante avesse capelli color platino e occhi neri. Un altro ragazzo era la copia identica di Jace, e c'erano anche Simon, Isabelle, al quale il biondo platino non donava per niente, al suo fianco Alec, Magnus, Tessa, Jem e c'era persino lei, Tibs, Dru, Helen, Aline e Julian. Parevano esserci tutti i suoi conoscenti però con occhi color pece e capelli dello stesso color della neve. Occhi spietati persi nel vuoto, come se fossero stati lobotomizzati. Dalle loro zampe saettavano scintille di ogni colore e i loro canini erano lungi e appuntiti, veramente molto lunghi e appuntiti, come quelli dei vampiri. Eppure quelle zampe... dovevano per forza essere lupi mannari. — Corri! Emma corri! — Emma si risvegliò dalla specie di trans in cui era caduta accorgendosi solo allora di essersi fermata, vedeva in lontananza Tiberius che si metteva un braccio di Julian intorno alla spalla — Ibridi! — aveva gridato disperatamente verso la ragazza — Non sono lupi mannari, sono ibridi! Corri Emma! —. Così aveva corso. Aveva corso ancora velocemente, con i boccoli biondi che il vento le spingeva in bocca e le lacrime agli occhi per quella visione distorta del suo Julian. E i suoi genitori. Sangue. Nemmeno l'Angelo aveva visto così tanto sangue. Così tanto icore in una volta sola. 
Alla fine si era voltata guardando le teste mozzate che le giacevano ai piedi, circondate dall'oro del sangue d'angelo e i capelli di ognun viso tornare del proprio colore, come i loro occhi. Julian ora aveva ancora capelli castani e occhi color verde-blu. Maia i suoi occhi color nocciola e lei e Jace avevano riacquisito quello strano colore simile, che in natura dubitava esistesse. Forse ne aveva visto la versione simile in un quadro del parabatai. — Ems... — la voce del ragazzo arrivò roca e debole ad Emma, che si era precipitata di fronte a Jules, steso in terra ai piedi del fratello. Lo guardava e lo accarezzava, era intatto, a parte la ferita superficiale sul petto, la sua testa era attaccata al collo, poteva smettere di accarezzarlo e gridare, ma appena si girava e vedeva tutti quei cosi... quegli ibridi, le sembrava di vedere i suoi genitori ritrovati in mare fatti a brandelli. — Forse dovevo decidere di entrare nella Fratellanza, di certo sarebbe stato tutto più calmo — Emma rise ancora, in parte felice che Julian fosse vivo, sollevata e divertita. — Emma, guarda questo... — Julian sussultò mentre il fratello estraeva la punta del pugnale dal suo petto. Emma lo prese in mano rabbrividendo. Sul pugnale vi erano impressi due serpenti che si mordevano la cosa a vicenda e sul manico troneggiava scarlatta un'incisione: Flectere si nequeo superos, Acheronta movebo. 
Se non posso muovere i celesti, smuoverò gl'Inferi. 



 

Angolo autrice. 

Avevo detto, nelle recensioni, che avrei aggiornato prima, ma purtroppo - o per fortuna - esiste qualcosa che si chiama "scuola" che Carlo Magno ebbe la brillante idea di istituire parecchi anni fa (che importava a lui? Tanto tra poco moriva, mica se la doveva subire sei giorni su sette!). Comunque, eccolo qua il nuovo capitolo! Spero davvero di non essere stata troppo smielata o di non essermi suffermata troppo sulla prima parte alias il discorso tra Julian e Tiberius e troppo poco su tutto il resto della vicenda, come a me sembra. Sapete che ogni consiglio, critica o apprezzamento è sempre ben accetto quindi recensite! Venghino signori venghino! Comunque, Tiberius il detective innamorato proprio non me lo immagino, ma ehi, magari sotto sotto anche lui è un romanticone sentimentale come il fratello. Mi sto trattenendo davvero molto per non spoilerarvi niente, ma davvero non ce la faccio quindi, chissà, se l'ispirazione continua a portarmi su questa rotaia potrei riportare in scena una vecchia conoscenza che io amo ma in molti odiano, ah c'est la vie. By the way ( ma sì, passiamo dal francese all'inglese) spero di aggiornare decisamente prima il terzo capitolo di quando abbia fatto con questo e, se non avete letto le origini e non volete altri spoiler più significativi degli scritti della Clare, leggetevele prima di continuare la fan fiction. Mi sento un po' in colpa per come mi sono sbarazzata di Cristina Rosales, ma credo che anche le avrà un suo momento di gloria. Dato che io pubblico le mie storie sempre ad un'ora improponibile e che domani mi aspettano due ore di algebra, ho deciso di farvi aspettare un altro giorno e pubblicare domani appena tornerò a casa. Mi raccomando, recensite e nafing - si dice così, "io ho sempre ragione, anche se dico che il cielo è viola e fatto di porcospini" - buonanotte Shadowhunters, ed eventuali Nascosti. 

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