Would you like to see my mask?

di youseewhatyouwant
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01 ***
Capitolo 2: *** 02 ***
Capitolo 3: *** 03 ***
Capitolo 4: *** 04 ***



Capitolo 1
*** 01 ***


Era da più o meno mezz'ora che ero rimasta con lo sguardo fisso sulla punta delle mie scarpe che ciondolavano in su e in giù a pochi centimetri dal pavimento. Odiavo indossare quella tuta bianca dello stesso colore delle pareti. Non sopportavo vedermi passare davanti l'infinita sfilza di dottori con quell'irritante aria saccente. Ma soprattutto detestavo stare chiusa in quella gabbia. Sentivo l'aria mancarmi e il profilo di Gotham che riuscivo a scorgere dalla piccola finestra al lato della cella non aiutava di certo. Era come se mi stesse chiamando.

Il lato positivo era che era vietato condividere quell'adorabile,nauseante,sottospecie di appartamento con nessuno. Non credo che sarei sopravvissuta ad un faccia a faccia con quello psicopatico che adesso fingeva dall'altra parte del corridoio che non esistessi. Si comportava esattamente come un bambino capriccioso. Ecco cos'era. Un bambino che pur di non ammettere di aver sbagliato incolpa gli altri per il proprio fallimento. Non mi aveva rivolto più parola da quando Batman ci aveva scovato con Gordon in quell'ospedale sperduto nella periferia della città. Il mio zuccherino era così bello con quel camice impregnato di sangue e la motosega che in qualche modo risaltava il colore dei suoi capelli. Il sogno di qualsiasi ragazza. Ci stavamo divertendo a giocare all'Allegro Chirurgo con il commissario e quel moralista si era messo di nuovo in mezzo. Come se non bastasse, secondo Joker l'uomo col mantello e quella ridicola maschera nera ci aveva preso nelle mani nel sacco per colpa mia. Ridicolo. L'idea di voler lasciare un biglietto da visita nell'ufficio del nostro momentaneo paziente era stata una sua idea e lui dava la colpa a me. L'unica aggiunta che avevo fatto era stata una mascherina da medico con sopra stampato un enorme sorriso a trentadue denti su cui lui aveva posto la sua firma preceduta da un introduzione.


«Dott. Joker e assistente Harley Quinn

Medico Chirurgo

Specialista in Sorrisi

-J -H»


Okay,forse avevo imbrattato la porta dell'ingresso dell'ospedale con della vernice rossa che ricordava vagamente una bocca sorridente degna di essere paragonata a quella del mio ragazzo,del mio capo, compagno di giochi,o chiunque fosse per me agli occhi degli altri. In ogni caso,pensavo semplicemente che sarebbe stato divertente modernizzare un po' quella catapecchia le cui uniche variazioni di colore erano quelle della muffa.

Era solo la terza volta che finivo ad Arkham e le guardie si erano già abituate ai nostri litigi. Li trovavano spassosi ed era proprio per questo che ci costringevano ad osservarci negli occhi per tutto il giorno quando tutto ciò che entrambi volevamo era scomparire dalla vista dell'altro.Trassi un respiro profondo e scossi con vigore la testa sperando di scacciare via il nome che come un eco continuava a rimbombare nella mia mente. Si trovava esattamente nella stessa cella di alcuni anni fa. Allora non faceva altro che studiare ogni mio più piccolo,insignificante movimento quando mi scorgeva in quella sezione dedicata a coloro che nel gergo medico erano definiti semplicemente «irrecuperabili». Fu il modo in cui mi guardava che piano piano,seduta dopo seduta,mi conquistò. Quegli occhi,che non perdevano mai occasione di incontrare i miei,che ostentavano sicurezza e un luccichio folle,avevano bisogno di me. Mr. J fu la prima persona al mondo ad aver avuto davvero bisogno di me. I pazienti di solito sono convinti che la tua esistenza sia necessaria quanto basti per salvarli con i poteri cosmici scaturiti da quella sottospecie di dio che credono tu sia. Lui non era un paziente qualunque. A lui importava di me quanto a me di lui. Ma nessuno capiva quello che ci legava. Per tutti io ero una bambolina che il capo ostentava per dimostrare che nonostante fosse un pluriomicida con gravi problemi mentali esisteva una persona che lo amasse per quello che era,a differenza di molti altri suoi colleghi. Perfino la sua nemesi pareva non avere qualcuno al proprio fianco o per lo meno qualcuno fisso se non si considerano i mocciosi con cui se ne andava sempre in giro.

Senza rendermene conto mi ritrovai distesa sul letto. Be',a dire il vero tale definizione è talmente errata da apparire quasi un complimento. Si trattava di un materasso rigido quanto un blocco di cemento la cui unica comodità era un cuscinetto più piatto di un frisbee. 

-Cos'è quella cosa che anche se piena non trabocca?- 

Il primo della lunga lista di indovinelli di Edward durante il tragitto dalla cella all'ufficio dell'analista a cui era stato assegnato. Credo si chiamasse Emily Wood. Povera donna. Sapevo come ci si sentiva ad essere tormentati da quei rompicapi. Arrivavi a dubitare della tua intelligenza. Chissà cosa ci trovava nel formulare in continuazione quegli enigmi. Devo ammettere che alcuni tuttavia erano esilaranti. E sottolineo alcuni.

Toc toc toc

Era giunta anche la mia ora. Pur senza allontanare il braccio che tenevo coricato sul viso,sapevo chi mi stava aspettando aldilà della porta di vetro. Joan Leland. La mia psichiatra. Colei che mi teneva costantemente la mente occupata chiedendomi come mi sentivo,com'era stata la mia infanzia,perché avevo voluto giocare all'Allegro Chirurgo e bla bla bla. Anche mia mamma era un'impicciona,ma almeno potevo nascondermi da lei. E poi non mi avrebbe mai domandato cosa mi piaceva fare col mio ragazzo,non si oltrepassa mai la privacy di una persona. 

Con un profondo e sonoro sbuffo mi rizzai seduta e,stiracchiando le braccia verso il soffitto,balzai giù atterrando con un perfetto equilibrio sul pavimento,intrecciando i polsi dietro la schiena.

-Salve,dottoressa Quinzel- mi salutò mostrandomi un sorriso così ampio e professionale da apparire terrificante. E io ne sapevo qualcosa di sorrisi terrificanti.

-Dottoressa Quinzel?- le feci eco quasi scettica nel pronunciare quella parole, -A cosa devo tutta questa formalità?-

Scrutai curiosa la figura in camice davanti a me e inclinai il capo sfiorando la spalla con una guancia intanto che la porta di vetro scompariva dalla mia vista. Due guardie irruppero nella stanza e mi afferrarono per entrambe le spalle. Mi scortarono con uno strattone fuori e per un pelo non inciampai. Anni e anni di corse sui tetti della città aiutano molto a rafforzare il senso dell'equilibrio,specie quando da questi dipende la tua sopravvivenza.

Non farlo,non ti azzardare nemmeno Harl-

Inutile perfino provarci. Non riuscii a fare a meno di lanciare un'occhiata fugace alla sua cella. Doveva guardarmi,anche solo per un istante,anche solo per sbaglio. I miei occhi necessitavano di incontrare i suoi. Ma l'unica cosa che videro furono la cascata di capelli verdi che inondavano il suo viso. Ovviamente finse un improvviso interesse per il pavimento,tipico del Joker. Magari non stava affatto fingendo. Magari stava progettando di bombardarlo e fuggire per i sotterranei. Con lui niente è mai prevedibile. 

All'inizio lo sentii borbottare qualcosa che sembrava una risatina soffocata. Poi afferrai anche le parole che l'accompagnavano. Come me continuava a ripetere quella frase che dal tono che usava appariva più un insulto che un titolo. Dottoressa Quinzel. 

Mano a mano che pronunciava quell'epiteto il volume della sua risata autementava,trasformandosi da un ghigno a malapena udibile ad una risata selvaggia e priva di controllo che risuonò per tutto il corridoio. Giurai di aver notato un fremito di paura nello sguardo degli omaccioni che avevo al mio fianco. 

Mi stupii nel rendermi conto di stare sorridendo con una probabile aria da ebete. Quella risata. 

Eppure incuteva terrore a chiunque. Qualcuno l'aveva giudicata «un rombo di tuono prima dello scoppio di un temporale» per il suo essere così acuta e profonda allo stesso tempo. Per me era semplicemente meravigliosa.

 

-Decima seduta con la paziente 4579...-

-...nota anche come Harley Quinn,proprietà della dottoressa Joan Leland- conclusi quella formuletta di routine che avevo imparato a memoria. Non sopportava non poter compiere per bene il suo rituale e il tic all'occhio che la colpiva in quelle occasioni era esilarante.

L'ufficio della mia ex collega somigliava molto al mio,con la differenza degli oggetti esposti sulla scrivania. La sua era piena zeppa di libri trattanti la psiche umana con cui era seminascosta la foto di un bambino di origini afroamericane sui cinque anni immortalato in un'eterna espressione comica.

La mia invece un tempo era ornata con un vaso contenente una splendida rosa rossa al cui gambo era legato un biglietto sui cui era scritto con una grafia abbozzata e frettolosa «Vieni a trovarmi qualche volta -J.»

Mi sembrava di potermi inebriare del profumo di quel ricordo,quella sera in cui il mio pasticcino si era intrufolato nel mio studio per lasciarmi quell'invito.

 

-Vorresti spiegarmi come abbia fatto questa ad arrivare nel mio ufficio?-

-Gliel'ho messa io-

-Capisco. Sai,credo che alla dottoressa Leland e alle guardie farebbe piacere venire a conoscenza della tua piccola fuga-

-Harley,Harley,Harley. Mia piccola,innocente Harley. Se lo avessi voluto,lo avresti già fatto da un pezzo-

 

-Dottoressa Quinzel?- mi richiamò Leland.

Era seduta composta sulla sedia di pelle nera munita rigidamente del suo blocco per gli appunti e con la penna impugnata come un arma tagliente fra le dita. Decisi di non rispondere alla sua provocazione e per evidenziare la mia indifferenza accavallai le gambe sopra la scrivania,imitando la disinvoltura del mio capo nelle situazioni mortalmente serie e noiose.

-Quello è tuo figlio?- domandai indicando con un cenno la cornice vistosa che stonava con l'ambiente austero.

-Roger- affermò con dolcezza scarabocchiando sulla pagina che pochi secondi prima era immacolata e una risata fuoriuscì inevitabilmente dalle mie labbra. Il suo nome mi ricordava quello del porcellino d'India che avevo ricevuto da piccola per il mio settimo compleanno. Quando avevo rivelato a Joan la strana somiglianza non la trovò buffa. Si limitò ad alzare gli occhi al cielo e a far danzare l'inchiostro sulla carta bianca.

-Rick continua a non rispondere alle richieste del tuo avvocato?-

-Quinzel,non ho alcuna intenzione di condividere con lei la mia vita privata-

Evidentemente il suo era un no netto. Ammetto che mi dispiaceva per lei. Si era separata da quasi un anno ormai e Rick non le aveva ancora versato nemmeno un assegno di mantenimento. Era convinto che Joan lo tradisse con qualcuno dei suoi pazienti perché trascorreva più tempo al manicomio che a casa loro. Non gli avrebbe mai fatto una cosa del genere. Era troppo occupata a mantere ordine nella sua vita per pensare a flirtare con un pazzo.

-D'accordo,come vuoi- biascicai mettendomi sulla difensiva, -ma smettila di chiamarmi in quel modo-mugugnai contraendo il viso in una smorfia.

-Vuol dire dottoressa?-

Schioccai con disappunto la lingua contro il palato e annuii con decisione. Grazie al cielo la dose di calmanti che avevo assunto poco prima mi fece passare la voglia di agguantare una matita e conficcargliela dritta nella carotide. Per un secondo mi parve di notarla alzare con soddisfazione un angolo della bocca. 

Brutta mossa Harley

-Per quale motivo la infastidisce così tanto il suo precedente titolo?-

-Per quale motivo mi devi trattare come se fossi una vecchia di settant'anni?- L'imitazione della sua voce risultò più quella di una bambina che si è appena morsa la lingua che quella professionale di una psichiatra fastidiosa.

-Harley?- Non si scompose affatto. Si limitò ad inarcare un sopracciglio in un gesto vagamente materno e supplichevole. Era da un paio di sedute che voleva arrivare al punto della mia storia. La ragione del mio soggiorno ad Arkham e dell'attestato che dichiarava la mia insanità mentale. L'origine della mia pazzia.

-Joker- risposi rompendo il silenzio che aveva invaso la stanza per un mio attimo di esitazione e acciuffando contemporaneamente una ciocca di capelli rinchiudendola in una coda improvvisata.

-Cosa intendi?- 

Di scatto sfiorò il registratore per assicurarsi che fosse accesso. Lo custodiva sempre in tasca e lo usava per cogliere ogni mia rivelazione in modo tale che nulla fosse in grado di sfuggirle.

-Mr. J mi ha cambiata. Non sono più Harleen Quinzel,adesso sono Harley Quinn- spiegai scrollando le spalle e abbozzando una breve risata.

-E a te questo sta bene?-

-Perché non dovrebbe?- 

Ora lo scetticismo che provavamo a vicenda era palpabile nell'aria. Pareva che parlassimo due lingue diverse incomprensibili e distanti anni luce.

D'istinto ritirai le gambe per incrociarle al petto e sporgermi verso di lei poggiando i gomiti sulle ginocchia.

-Joan,lui mia reso la vita divertente- proseguii gesticolando per enfatizzare la frase. Nonostante la mia fosse una reazione prevedibile,la donna in camice mi squadrò titubante. Era peggio di dover spiegare ad un poppante perché il cielo è azzurro. Sa già che è di quel colore,non servono ulteriori chiarimenti superflui.

Mi sollevai alla ricerca di un modo per illuminare la mente della mia ingenua terapeuta e atterrai col fondoschiena sopra il ripiano del tavolo ingombro di cartacce e fascicoli su cui figuravano nomi appartenenti a criminali del calibro di Due Facce,Spaventapasseri,Cappellaio Matto,Freezer. 

Ding Ding Ding

La lampadina che sormontava il mio capo fece scintille.

-Vedi,prima di conoscere il mio pasticcino ero costretta ad ascoltare sempre i problemi dei miei pazienti,mai uno che prendesse in considerazione i miei-

-In teoria eri tu a dover aiutare loro,non viceversa- interruppe bruscamente il monologo che mi ero preparata nel sorprendente record di pochi secondi.

-Dettagli irrilevanti- bofonchiai sminuendo all'istante il suo inutile commento per non perdere il filo del discorso.

-Ciò che conta- ripresi riacquistando un portamento piuttosto pacato, -è che è apparso dal nulla e mi ha stravolta. Mi ha mostrato la sua visione di un mondo in cui non esistono gli ipocriti,i moralisti,la coscienza sociale deforme. Un mondo in cui puoi essere quello che vuoi. Vuoi sapere qual'è la parte migliore?- aggiunsi sorridendo e arrivando con le labbra a pochi centimetri dal suo orecchio -Non hai nessun rimpianto-

Spazio autrici
Ebbene sì,siamo in due ad occuparci di questa storia. Diciamo che è una sorta di esperimento. Non abbiamo mai scritto nulla sull'universo per così dire batmaniano e ci giudico quasi delle novelline al riguardo. Solo da un lasso di tempo che considero recente abbiamo iniziato a leggere fumetti DC Comics,ma da sempre siamo interessate al genere. Per tanto,le conoscenze e le fonti di ispirazione sono piuttosto varie fra loro. Per tanto gradiremmo molto critiche circa i personaggi (se per esempio risultano troppo OOC) e la storia in generale. Sono ben accetti suggerimenti e consigli,magari sulla lettura di alcuni fumetti che possano aiutarci a migliorarla. Okay,adesso ho finalmente finito. Yeah!
Felice anno nuovo a tutti

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Capitolo 2
*** 02 ***


Il suono delle sirene pareva scorrerle nelle vene ed invaderle il corpo. La stanza dell'ospedale era oscura e l'unica luce che le permetteva di distinguere una figura familiare provenire dalla finestra era quella delle volanti che circondavano l'edificio. Lo scricchiolio  dei vetri calpestati annunciava la venuta della sua più amata maledizione,il suo incubo migliore. Il suo mantello come un'ala protettiva l'avvolse a sé e lei non poté più trattenersi dal desiderio irrefrenabile di slanciarsi e far combaciare i loro corpi come pezzi di un unico puzzle.

-Owlman!- gemette la giovane Frances gustando il sapore ardente e inebriante delle labbra vellutate del suo cavaliere. Lei,la più grande boss del crimine di Gotham,e lui,l'eroe mascherato. Un amore proibito che non avrebbe mai smesso d'esistere,perché O-Man avrebbe sempre trovato e salvato la sua dama dai capelli biondi nonostante le sue adorabili distrazioni e non l'avrebbe mai accusata di uno sbaglio che aveva commesso come uno stupido ed irritante bambino frignone che se ne andava in giro con quel ridicolo trucco da clown. 

Gne gne,guardatemi tutti,sono un pagliaccio con i capelli verdi a cui piace fare tanto boum boum!

HAHAHAHAHA


 

-Harley,stai bene?- 

-Come?- 

Mi ritrovai davanti il viso interrogativo di Ivy che mi scrutava incerta alternando lo sguardo dai miei occhi al foglio che tenevo poggiato sul tavolo della sala ricreativa. 

Aspetta un momento... 

-Quando siamo arrivate nella sala ricreativa?- boccheggiai spalancando le palpebre e rendendomi finalmente conto di dove ero seduta da quelli che a me sembravano solo pochi secondi.

Il volto di Pammie fu nascosto dal dorso della sua mano e in quel momento la sentii borbottare qualcosa del tipo Cosa ho fatto di male per meritarmi tutto questo? 

La pagina cartacea su cui ero chinata era martoriata dall'inchiostro nero che sporcava anche le mie dita intrecciate attorno ad una penna. Solo allora avvertii un lieve dolore al polso e alle nocche della mano. 

-A qualcun altro in questa stanza irrita la presenza del clown,eh?- domandò riprendendo a solleticare i petali della splendida petunia rosa protetta dalle sue esili braccia. Il suo intento era senza dubbio quello di stuzzicarmi. Sapeva quanto mi dessero sui nervi le volte in cui sbirciava i capitoli del romanzo che Joan mi aveva consigliato di scrivere. Diceva che era un buon metodo per esprimere il mio conflitto interiore e lasciar trasparire la mia vera essenza e tutta quelle sciocchezze che ero costretta a sentire. Se non altro non dovevo vedere un altro di quei film che secondo l'istituto erano consigliati per la riabilitazione. 

L'ultima serata in cui avevano fatto vedere una pellicola ai detenuti non era andata molto bene.

Non tutti avevano preso seriamente la scelta del Titanic. Fra Red che esultava per la morte di quei sacchi-di-carne-divora-piante,Eddie che si prendeva gioco di come il corpo di Jack fosse andando illogicamente affondo e il mio pasticcino che rideva di gusto per l'esilarante barzelletta della nave inaffondabile che -guarda un po'?- affonda,i pochi che si erano commossi (feci del mio meglio per fingere di non notare Tetch che se avesse potuto avrebbe volentieri nascosto la testa dentro il suo adorato cappello) non poterono compiangere in pace il povero Jack.

-Ancora non mi hai detto che ti ha fatto prima che Batman vi catturasse- mormorò non riuscendo a non sorridere alla sua migliore amica dal pollice -stelo e foglie compresi- verde. 

Il fenomeno da baraccone in considerazione era intento a sfidare Due Facce a poker. Solitamente Mr. J si sarebbe appropriato del bottino dell'ingenuo che credeva di poterlo battere ancor prima che questi si rendesse conto di essere rimasto -talvolta letteralmente- in mutande. Aveva sempre un asso nella manica che gli permetteva di vincere o di lanciare qualcosa nella faccia sconvolta -nel caso di Harvey una delle due- del suo avversario.

La sua fronte corrugata in un'espressione concentrata era messa in evidenza dal suo fedele pallore. Non era fresco di trucco. Anzi,a giudicare dai lembi di pelle che si intravedevano e che spiccavano sul perenne bianco che carezzava il suo volto,doveva non aver chiesto in prestito del borotalco a nessuno da quella mattina. Era così che doveva arrangiarsi quando non disponeva dei suoi personali cosmetici circensi. 

Lo preferivo con quella maschera trasandata. Faceva illudere di poter essere un giorno al pari di quel dio del caos quasi irraggiungibile. Lo rendeva più...umano.

Ad un tratto notai un fremito quasi impercettibile aggredire l'angolo destro della sua bocca scarlatta. Ma Dent non poteva farvi caso. Era distratto da quei pozzi profondi color smeraldo che erano i suoi occhi per accorgersi che la sua perdita era ormai segnata. 

-Nulla- soffiai in risposta a Red non appena Harvey,fissando a bocca aperta il suo misero full di sette sbaragliato da una scala reale,sbatté le mani racchiuse in due pugni sul bancone e si rizzò in piedi. Lo vidi poi avvicinarsi a noi con la coda fra le gambe mentre una risata briosa risuonava nella stanza ad ogni passo che Due Facce compiva nella nostra direzione. Una non tentava nemmeno di mascherare l'ira che l'attanagliava,l'altra invece stava accettando la sconfitta. Entrambe però avevano un'aria che lasciava trapelare dell'imbarazzo.

-Signore- ci salutò ammiccante curvando la schiena per arrivare alla nostra altezza e reggersi coi gomiti sulla superficie del bancone. 

-Scordatelo Harvey- borbottai senza degnarlo di uno sguardo. In quel momento la mia attenzione era totalmente rivoltata al cappuccio della mia penna che con una piccola pressione faceva comparire e scomparire la punta. 

Tic tic tic 

Non avevo alcuna intenzione di pagare il piatto al posto suo per due motivi principali. Punto primo,non avevo neanche un soldo addosso. Punto secondo,quel giorno non avrei dato nulla a Joker. 

Tic tic tic

-Smettila con questo baccano- strillò Ivy cessando di rivolgere moine alla sua petunia. 

Tic 

Lasciai cadere la penna sotto lo sguardo inceneritore della ragazza amica delle piante,come la chiamava a volte il mio puddin'.

-Grazie- disse sarcastica. -I vegetali non sopportano i rumori striduli- continuò sfiorando con le labbra le foglie del fiore rosato,inebriandosi del suo profumo. 

-Ma non hanno le orecchie- obiettai d'istinto con la terrificante immagine di un tulipano dalle gigantesche orecchie pelose da coniglio impressa nella mente. Alla mia affermazione Pamela spalancò inorridita la bocca e portò ambedue le mani ai bordi dei petali della petunia in un gesto che ricordava vagamente quello di una madre che tenta disperatamente di non far sentire a suo figlio una parolaccia.

-Ma che ti salta in testa? Ti sembra forse cortese rivolgerti in questo modo ad una piccola Magnoliopsida?-Per chi non lo sapesse -praticamente chiunque non sia un possibile ecoterrorista con un assurda venerazione verso qualsiasi essere vegetale- col termine Magnoliopsida si indica la classe che comprende piante a fiore nel cui seme l'embrione è fornito di due cotiledoni e che...Dio,frequentavo troppo quella donna.

-Signore,qui qualcuno ha dimenticato il problema principale- intervenne Harvey indicandosi con fare concitato.

-Dent,per quale assurdo motivo avresti accettato di giocare a poker se sapevi di non aver alcun soldo qui?- lo rimproverò Red esasperata.

-Perché è uscita croce,piccola hippie. Che domande- brontolò con tono sufficiente e facendo rigirare fra le dita la sua immancabile moneta che,se non fosse stata l'unica ancora a cui poteva aggrapparsi per tenere a bada il suo disagio verso la duplicità,avrebbe sgretolato volentieri. 

-Fossi in te non chiederei l'elemosina ad un'ortica,scellino d'oro. C'è la probabilità che neanche sappia cosa sia il vile denaro- sentenziò la risata che aveva inaugurato l'arrivo di Due Facce. 

Fu in quel medesimo istante che la voce prese forma trasformandosi in una mano che sfiorò la mia spalla in una carezza che presto divenne una presa ferrea. I suoi polpastrelli sembravano bramare incidere la mia pelle ed ebbi la sensazione che il mio cuore avesse mancato un battito o che,al contrario,stesse accelerando il ritmo come se a coordinarlo vi fosse un batterista impazzito che improvvisa un assolo senza alcun preavviso,costringendoti a sentire il suo delirio rimbombarti nelle orecchie.

-Bella battuta,buffone. Questa da dove l'hai presa? Da Krusty il Clown?- sibilò Ivy sputando quell'insulto. Purtroppo non potei cogliere la replica di Joker. Nella mia testa si stava svolgendo un dibattito talmente animato da farmi sentire in una bolla estraniata dal mondo. Desideravo ardentemente assestargli un pugno contro il suo petto che lasciava aderire con una naturalezza irreale alla mia schiena. Prima si dimenticava del tutto della mia presenza nella cella a pochi passi dalla sua e il momento seguente compariva stringendomi a sé per rimarcare il suo possesso. Era convinto che comportandosi da fidanzato protettivo e premuroso avrei dimenticato per l'ennesima volta il modo in cui mi aveva trattata.


 

-Ehi,non ti è piaciuta la battuta? Dimenticala allora. Non infuriarti. Posso fare di meglio-

-Oh,no...ti lascio collaborare per una volta e tu rovini tutto-

-Pensavo fosse divertente...-

-Mi vedi ridere per caso,Harley?-

-N-no ma...puddin'...-

-E non chiamarmi più puddin',quante altre volete dovrò ripeterti che lo detesto?-


 

Se credeva sul serio che il lieve tepore di un suo tocco avrebbe scacciato via l'ultimo briciolo rimanente della mia dignità,allora il pagliaccio poteva cercarsi benissimo una nuova biondina capace di miagolare un insensato Mr. G.

No,Harley Quinn non sarebbe stata più il suo burattino. Non avrebbe più continuato a negare i suoi irrequieti e improvvisi sbalzi d'umore.

Eppure...

Eppure il suo somigliava tanto al modo in cui i ragazzi chiedono perdono alle loro ragazze per una stupidaggine commessa. Magari non era abituato a proferire un semplice scusa e questa era l'unica maniera in cui riusciva a dimostrare di essere pentito.

-Tu cosa ne pensi,bimba?- mormorò ilare al mio orecchio. Le sua dita non avevano ancora smesso di percorrere il profilo del mio braccio e adesso si trovavano a pochi centimetri dalle mie,proprio come il suo viso dal mio. Il che non contribuiva a farmi un'idea di cosa stesse discutendo quell'improbabile trio. 

Ne ero certa,stavo per entrare in iperventilazione. 

Aprii la bocca pregando che un monosillabo appropriato mi salvasse da quella situazione,ma quando mi voltai per guardarlo in faccia dalla mia gola non uscì nemmeno un suono strozzato. La vista di quelle labbra screziate di rosso non mi permise di pensare a qualsiasi altra cosa che non includesse il baciarle fino ad avvertire i polmoni bruciare in cerca di ossigeno.

È impossibile che io ti ami pur odiandoti così tanto sancii in silenzio.

-Devo andare- mi affrettai a rispondere non appena un brivido solleticò la mia colonna vertebrale risvegliando la lucidità mentale che si era persa nella selva oscura dell'irrazionalità.

Scivolai dalle sue tenaglie e mi allontanai il più velocemente possibile da quel l'incubo vivente che non avrebbe mai smesso di perseguitarmi e dare un senso alla mia esistenza. Dopo essermi accertata di non essere più nella sua visuale,iniziai a correre verso la mia gabbia. I miei piedi si muovevano autonomamente e non mi curavo di evitare di urtare gli altri detenuti ricevendo in cambio un'infinita lista di epiteti non proprio gentili. 

Dovevo nascondermi da lui. Dovevo riprendermi per non lasciargli vincere quella battaglia di cui avevo la consapevolezza aver già perso in partenza.

Arrivata finalmente alla mia meta,le forze che mi avevano aiutato ad andare avanti mi abbandonarono e precipitai sopraffatta al suolo. Chiusi le palpebre e mi sforzai di ricordare come si respirasse. Dopo qualche tentativo l'affanno che mi aveva assalita si affievolì e un sorriso incorniciò il mio volto. 

Va tutto bene Harley,ce l'hai fatta 

Più udivo questa frase e più accresceva la prepotenza con cui una vocina mi smentiva.E l'orrore che mi ero augurata di aver lasciato fuori dalla porta in vetro penetrò quella barriera invisibile per impossessarsi ancora una volta di me. 

Cercai disperatamente nelle tasche della tenuta bianca il mio piccolo tesoro e non trovai altro che aria. 

Poi ricordai che non si era mai mosso da quel bancone.

Era rimasto lì dove lo avevo lasciato. Nella sala ricreativa. Con lui

Colpii decisa il pavimento gelido con le nocche,eppure nulla cambiò. Il mio quaderno non comparì magicamente in una nuvola soffusa e l'attacco di panico non si acquietò. Mi rannicchiai su me stessa e coprii il capo con le braccia,soffocando un grido di esasperazione serrando la bocca. Imprecai per più volte parole al vento.

Avevo servito su un piatto d'argento i miei pensieri cartacei ad un sociopatico che non avrebbe perso tempo a sfruttarli contro di me. 

Ero spacciata. 

Non va affatto tutto bene.


 

Spazio autrice

Innanzitutto,credo sia d'obbligo spiegare che con Mr. G mi riferisco al nomignolo attribuito alla sosia/sostituta di Harley in un episodio della serie animata. In maniera più specifica,il settimo della prima stagione,"L'eredità"
In secondo luogo...

Buooondì a tutti!

Esattamente dopo un mese....sono riuscita a pubblicare qualcosa!

Un applauso a me

clap clap clap

Felice mesiversario (?)

Oookay,parlando del capitolo. Lo so,lo so benissimo che non è successo quasi nulla di particolarmente importante per il proseguimento della storia. Ma -c'è un bel ma- qualcosa è successo. Joker ha scoperto il quaderno di Harley dove è raccontana la profonda e passionale (?) storia d'amore di Frances e di Owlman.

Wow

Devo dire che l'idea di questo ipotetico romanzo della nostra Arlecchina l'ho un po' presa da un fumetto. Non so esattamente quale sia,ho semplicemente trovato alcune immagini su Internet ad esso relative e ho pensato ma perché no?

Per il resto è leggermente introspettivo. Più che altro la mia testa è stata assalita da una lunga serie di scene svolte ad Arkham e che includevano una buona cerchia di detenuti. Diciamo che è una sorta di esperimento.

Se non è apprezzato tornerò a focalizzarmi più sulla trama principale,giurin giurello

Altre novità:


 

1) Finalmente ho ripreso il pc e ho potuto sistemare lo stile della scrittura,viva il Verdana!

2)Credo che si sia scoperto il motivo dell'inserimento della storia nella categoria film. Come molti altri anche prima di me,per certi versi mi ispiro al Joker di Heath. Ho adorato e soprattutto adoro la sua interpretazione del pagliaccio principe del crimine. Mi auguro solo di fargli onore e di non far diventare il clown OOC


 

Inoltre se qualcosa non va bene sarei più che felice di accogliere suggerimenti e critiche costruttive,davvero.

Va bene,ora mi dileguo.

Adios

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Capitolo 3
*** 03 ***


Chiedere aiuto non sarebbe servito a nulla. Se Joker aveva in mente uno dei suoi piani non si sarebbe fermato davanti a niente e nessuno. 
A questo punto mi erano rimaste due possibili soluzioni: nascondermi per l'eternità dentro la mensa di Arkham o scappare in Antartide.

Freeze avrebbe potuto insegnarmi qualche tecnica per sopravvivere al gelo e fare amicizia coi pinguini. Il pensiero di un esercito composto da quegli adorabili piumini viventi mi rallegrò inevitabilmente.

-Ticche tacche,tignolina,a che cosa sei vicina?- canticchiava intanto Jervis con un certo nervosismo dimostrando apertamente il suo disinteresse verso i miei piani particolarmente articolati. Era intento a cercare delle bustine di tè in mezzo alla miriade di sportelli e armadietti ripieni di prodotti di prima qualità offerti generosamente da Bruce Wayne. Il riccone però sembrava essersi dimenticato della presenza di un teinomane all'interno dell'istituto.

Ogni pomeriggio alle sei in punto sentiva l'impulso irrefrenabile di bere del tè. Si capisce bene che nessun medico lì agognasse assistere alle perfomances di un detenuto che aveva assunto una considerevole quantità di caffeina,il cui divieto ci donava un Cappellaio Matto più matto del solito. Sia chiaro,non matto inteso come diverte,ma come nevrotico più ansiaso e voglioso di una donna incinta.

Così giornalmente ci incontravamo lì,lui per sorseggiare un po' della bevanda tanto amata ed io per sgraffignare i biscotti con le scaglie di cioccolato che Crane teneva gelosamente custoditi dentro un cassetto a doppio fondo. Era certo che nessuno sapesse dove scovarli e per questo di norma invogliava le menti più deboli a sottoporsi ad alcuni dei suoi trattamenti in cambio di una calorica e dolce ricompensa. Povero illuso,non ci sarei cascata una seconda volta.

-Dici che la pianta di Ivy non può aver divorato il mio quaderno?- domandai contemplando il barattolo in vetro dopo aver sgranocchiando voracemente uno dei suoi tesori e acchiappatone alla svelta un secondo.

-Voli e voli sopra il mondo...eh? Oh,temo proprio di no,mia cara...ticche...tacche...-mugugnò infilando la testa in un ripiano. Forse si augurava di rintracciare l'odore di foglie secche. -E ti pregherei di non parlare con la bocca piena. Non si addice ad una fanciulla dalle buona maniere...ticche tacche,ticche e tacche...- aggiunse poi con una nota d'isterismo che non potè controllare. La sua cantilena stava assumendo un ritmo sempre più incalzante. Non era un buon segno.

Mi limitai a masticare lentamente il pezzo addentato attenta a non emettere il minimo rumore. Meglio non correre il rischio di essere colpiti da un set in ceramica.

-Nigma potrebbe fornirmi un giubbotto termoriscaldato- ragionai dopo essermi curata di aver ingoiato fino all'ultima briciola di quel biscotto.

-Ticche e tacche,come un bricco grosso...-

-Pensadoci,i pinguini mi scambierebbero per una di-

-E TONDO!- esultò d'un tratto alzando il tono di voce di qualche ottava facendomi quasi strozzare con un boccone che mandai giù battendo con forza una mano sul petto.

Piegò le ginocchia e saltò giù dalla sedia mostrandomi trionfante il suo trofeo.

-Jervis,non puoi fare così ogni volta che vedi una dannata bustina di tè!- sbottai guardandolo di sbieco.

Estasiato si sbrigò a riempire la teiera con dell'acqua calda per immergervi l'estratto per preparare la tisana il cui solo odore già mi nauseava.

-Secondo te cosa dovrei fare?- chiesi arricciando il naso per il terribile odore proveniente dal contenitore decorato a motivi floreali.

-In tutta onestà?- disse osservandomi di sottecchi mentre versava il contenuto della teiera in una tazzina appositamente poggiata su di un piattino.

Vistami annuire energicamente,soffiò e bevve un sorso della bevanda che a giudicare dal colorito rosso delle sue labbra e dalla smorfia in cui si contrassero doveva essere ancora bollente.

-Fossi in te sceglierei il Messico- affermò scrollando le spalle e sorseggiando imperterrito la tisana. Stavolta però si scottò la lingua e imprecò scagliando al suolo la povera tazza che si infranse in mille pezzi,esattamente come il sogno di Tetch di godersi in pace un buon tè senza essere spinto dalla premura di finirlo prima dell'arrivo delle guardie.

Immediatamente tre rintocchi secchi colpirono la porta. Era un messaggio in codice utilizzato da Steve per ammonirci. I suoi compari si erano insospettiti e presto avrebbero fatto irruzione in cucina.

 

Grandioso,un'altra settimana in isolamento

 

Come travolti da una scossa elettrica ci rizzammo in piedi,ognuno andando alla ricerca di un nascondiglio. Io avevo optato per l'armadietto delle dispense all'angolo,ma a quanto pareva era stato già occupato da un omino di un metro e sessantacinque con in mano alcuni cocci rotti di ceramica.

L'unica altra tana era il tavolo in legno ricoperto da una tovaglia che arrivava a stento al pavimento. Di norma non ero una credente assidua,eppure in momenti del genere era impossibile non rivolgere una preghiera o due al cielo. Accompagnata comunque da un'imprecazione o due.

Nel silenzio della stanza un cigolio risuonò nitido come uno sparo nella notte ed un'ombra nuova fu rispecchiata dalle mattonelle. Man mano che si avvicinava al mio rifugio questa accresceva sempre di più esattamente come l'affanno che in quei pochi secondi aveva scartavetrato i miei polmoni.

 

Un passo,due passi,tre passi...

 

Era un continuo crescendo che sembrava non finire mai. Strinsi le palpebre e le labbra in una morsa che si rafforzava con l'accorciamento della distanza fra me e la figura anonima. Quando si stagliò di fronte alla mia visuale mi chinai d'istinto fino a sfiorare il suolo col mento e celai il viso con le braccia. Attesi senza muovere un solo muscolo di essere colta con le mani nel sacco. Tuttavia non sentii alcun urlo di vittoria. Nessuna ramanzina o insulto. Regnava il silenzio. A quel punto tesi un orecchio alla ricerca di uno scricchiolio che non fui in grado di captare. Pregai che fosse Johnny,l'inserviente con qualche problema alla vista e all'udito che a giorni sarebbe andato in pensione, e con estrema lentezza aprii un occhio. Quel che vidi fu il nulla. 
L'ombra si era dissolta nell'aria senza lasciare traccia. Mi voltai osservando l'intero perimetro del tavolo. Stessa identica situazione.
Forse era davvero Johnny.
Mi girai puntanto nuovamente lo sguardo in direzione della porta e gettai un urlo che fu prontamente soffocato da una mano impastricciata di bianco. 
Le labbra scarlatte erano tese in un sorriso accentuato dalle cicatrici e un dito vi si posò intimandomi di tacere. 
-Shhh,non vorrai che Steve giochi a nascondino con noi- cercò di mormorare abbassando il tono di voce di natura acuto e strozzando un ghigno mentre si infilava sotto la tovaglia per estraniarsi dalla mensa.
Le braccia scattarono verso l'ostacolo che mi impediva di parlare ovattando ogni mia parola ma il clown fu più svelto di me nell'immobilizzarle stando ben attento ad impedirmi al contempo di formulare frasi comprensibili.
-Harleen,so che preferiresti giocare al dottore,ma francamente non credo che lui si unirebbe a noi- mi rimproverò scuotendo il capo con un'aria seria tradita subito da una risata che tramortì il suo corpo. 
In preda alla collera andai ad incidere coi denti la carne del palmo della sua mano che,vittima di un'ulteriore corrente di ilarità,allontanò senza oppore resistenza. 
-Joker!- sputai dando un senso al mormorio che non avevo smesso un secondo di pronunciare.
-Dove?!- esclamò sconvolto iniziando a girare su se stesso come in cerca della sua ombra.
Un colpo assestato a quella che pareva essere una superficie lignea gli fece abbandonare per un po' il desiderio di sghignazzare incurante di rendere nota la sua presenza.
-Fila via Bianconiglio o giuro che non rivedrai mai più la tua tana- 
Jervis colse al volo la minaccia e si precipitò fuori dalla porta canticchiando istericamente-È tardi,è tardi,è tardi!- il che fu per Mr. J come assistere alla messa in scena della barzelletta più spassosa del mondo.
Riacquisito il controllo di se stesso e accertatosi di essere rimasti da soli,intrecciò l'indice attorno ad una ciocca di capelli ricaduta sulla mia spalla. 
-Perchè sei qui?- soffiai trattenendomi dal marchiare segni rossi che sarebbero esaltati sul pallore della sua mano. Mi aveva lasciata fare la prima volta,la seconda non sarebbe stato così clemente.
-Sono venuto a riprendere la mia Alice dal Circolo del Cucito e del Tè- rispose lui sollevando il mento permettendo ai nostri sguardi di incrociarsi. 
-Hai letto il mio quaderno,non è così?-
Non si crucciò,nè tanto meno si rabbuiò. 
Rise. Rise incapace di mostrare un sentimento che non riflettesse il sorriso che avrebbe per sempre segnato la sua bocca. 
Mi allontanai di un passo e l'istante dopo mi ritrovai il clown a cavalcioni sopra di me. 
Si accovacciò intrappolando le mie gambe affinchè non potessi tentare di fuggire e si sostenne facendo ricadere il peso corporeo sulle braccia che appoggiò ai lati del mio volto.
-Sai,bimba,non è educato fare una domanda ed andarsene via senza aver prima ascoltato la risposta- Fece ondeggiare un dito a destra e a sinistra in segno di disappunto e schioccare la lingua sul palato. 
-Sì,l'ho letto- ammise poi squadrandomi e carezzandomi uno zigomo. -Stile fluido- continuò mentre i polpastrelli scorrevano sulla guancia e scendevano oltre la mandibola fino a raggiungere il mio collo, -trama avvincente,atmosfera cupa…e scelta dei personaggi davvero pessima- 
-Mr. J,ascoltami,non è come-
-Silenzio,sto parlando io- si lamentò pressando con forza radicale ambedue i pollici sulla trachea. 
-Stavo dicendo…Oh,sì,la scelta dei personaggi- affermò avvolgendomi attorno le restanti dita che provai inutilmente a cacciare via. 
-Mi hai spezzato il cuoricino,sai?- 
In quel preciso momento avrei voluto spezzargli qualcos'altro. 
In un moto di rabbia rigai con le unghie qualsiasi tratto di pelle che avvertivo sotto il palmo,ma la gloria non durò a lungo. Mr. J mi afferrò con violenza per i polsi e l'incrociò sul mio petto. Ne approfittai per riempire i polmoni di tutto l'ossigeno che fui in grado di aspirare e per sputargli in faccia.
Sghignazzando gettò la testa in avanti e si affrettò a pulirsi quel miscuglio di sangue e liquido biancastro che si mescolò facilmente al borotalco che gli fungeva da cerone.
-Harley,riesci sempre a far nascere un sorriso sul mio volto- mi rivelò riprendendo fiato e tirando il mio labbro inferiore con un dito. -E la tua favoletta mi ha anche fatto venire un'idea-

-Di che diavolo stai parlando?- borbottai agitando le gambe per svincolarmi dalla sua presa che si fece più ferrea.

-Tu devi proprio rendere tutto più difficile- mormorò rivolgendo per un momento gli occhi verso l'alto.

-Già una volta sei riuscita ad abbindolare il bel tenebroso con la tua faccetta da povera ed innocente ragazzina in cerca di aiuto per sconfiggere il pagliaccio brutto e cattivo che le ha rubato le caramelle- disse passando con facilità da una voce stridula ad una più roca e profonda a cui seguitò una pausa che immaginai essere d'effetto.

-Entrambi sappiamo che il principino della notte non crederebbe mai ad una mia redenzione- constatò con amarezza,deluso dall'infondata mancanza di fiducia dimostrata dal suo amichetto mascherato.

-Ma in te...vede qualcosa- mi indicò aggrottando la fronte. -Potresti diventare il mio piccolo Batarang nella manica-

 

 

 

 

Spazio autrice

Per la vostra gioia stavolta sarò breve perché devo correre ed arrivare in tempo a teatro. Chiedo umilmente perdono per l'estremo ritardo degli aggiornamenti ma l'ispirazione se ne va a spasso per mesi e torna tutta in una volta in tre giorni.

Ad essere onesta la mia intenzione era quella di spiegare il piano di J in questo capitolo ma è uscito fuori così dalla mia mente bacata.

I'm sorry

Prometto che nel prossimo tutto sarà ben delineato. O quasi.

Ringrazio ancora chi legge la storia,chi la segue e chi la recensisce. Migliorate la mia giornata.

Ora scappo via,adios

 

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Capitolo 4
*** 04 ***


Il piano non era poi così complicato.
Be', perlomeno la prima parte.
Fase uno, uscire da Arkham.
Usare la cesta dei panni sporchi non avrebbe funzionato. I ciuffi biondi sarebbero risaltati sulle tenute bianche con chiazze preferibilmente non identificabili dei detenuti. Già provato. Mi era costato una doppia dose di anestetici che mi aveva resa la Nauseabonda Addormentata nel Manicomio per oltre una settimana.
Arricciai il naso a quel ricordo e mi scostai di un passo insieme al vassoio scheggiato che tenevo saldamente in mano subito dopo aver ricevuto il solito bicchiere di acqua previsto ad ogni pasto. Peccato che fosse mista a quelle pillole disgustose che una volta avevo sputato in faccia alla dottoressa Leland. Sapevano di piedi sporchi immersi in una vasca di ammoniaca e, come se non bastasse, riuscivano a stendermi per un buona manciata di ore. Fu un riflesso involontario il mio e, per quanto rivoltante, non me ne pentivo affatto. Vedere la sua faccia sempre pacata e impassibile essere presa da un nervosismo inaspettato che le fece smuovere convulsamente il labbro superiore, lasciando intravedere l'incisivo, fu qualcosa di impagabile ed estremamente divertente.

Da allora la mia terapeuta aveva deciso che l'opzione più appropriata al mio caso fosse quella di nascondermi i farmaci nel cibo. Un po' come faceva mia mamma con il cane che avevo da bambina. A differenza mia, però, Spike era stato capace di fuggire via di casa. Quanto lo invidiai mentre fissavo l'asticella di plastica che pendeva dal bordo del recipiente.
Almeno Debbie si era ricordata della mia adorazione verso le cannucce.
-Harley, mi hai sentita?- domandò ad un tratto una voce di natura suadente.
Alzai appena il mento verso la sorgente di quel suono e sbattei confusa le palpebre, pensando alla svelta ad una risposta decente che non si riducesse ad un eeemh.
-Eeemh…piante?- azzardai inarcando un sopracciglio.
Gli smeraldi di Red furono adombrati da un minaccioso abbassamento delle palpebre.
-Hai tirato ad indovinare- sbottò altezzosa assecondando i movimenti della fila alla mensa, distogliendo lo sguardo.
-Come stavo tentando di spiegarti prima, ho intenzione di elaborare un piano per fuggire da qui che includa l'aiuto della famiglia di calea che ho in cella- mormorò avvicinandosi a me per non essere udita dagli altri presenti in sala.
-Per soffocare le guardie con i loro steli?- domandai puntando gli occhi sulla vetrina che mostrava le offerte del giorno.
-Non proprio- rispose Ivy aggrottando la fronte, quasi stesse prendendo in considerazione l'idea.
-Quella che avevo in mente era una soluzione più discreta. Pensavo di sfruttare le proprietà allucinogene della mia bambina per spedirle nel mondo dei sogni senza futili grida di terrore che possano spaventarla- affermò accentuando la voce e sventolando teatralmente una mano per aria.
Erano già finite le alette di pollo. Non ne era rimasta nemmeno una.
Nigma.
Era di sicuro lui il responsabile.
Premei con maggior vigore i polpastrelli contro i manici del vassoio. Era l'unico ad amarle quanto me. Stavolta non l'avrebbe passata liscia.
Mi sarebbe toccato di nuovo il tacos con pezzi di carne suina, salsa piccante e peperoni verdi che mi ricordavano gli insipidi e saccenti occhi di Ed intento a degustare le mie alette di pollo.
Quello stramboide irritante quanto l'ortica di Pammie doveva solo ringraziare la sua buona stella che in quel momento non lo avessi a portata di tiro.
Raggiunsi a grandi passi il nostro solito tavolo all'angolo della mensa nel tentativo di sopprimere la rabbia e presi posto accanto a Tetch il quale, con la bocca ancora ripiena di quello che sembrava un boccone di pasta alla bolognese -o una sua imitazione-, mi regalò un gran sorriso pur deglutendo quando il suo sguardo si posò su di me. Doveva  essere ancora un po' scosso dall'incontro a tre del giorno precedente.
Ricambiai il saluto e strappai un pezzo del mio pranzo con le dita prima di avvicinarlo alle labbra.
-Se non sono indiscreto, cosa ti affligge, Pamela?- domandò con fare innocente il nano dai capelli biondi notando il suo inusuale silenzio. Di norma quello era il momento della giornata in cui avrebbe criticato qualunque nostra scelta culinaria che includesse prodotti provenienti dai suoi ben amati bambini, come ad esempio il rosmarino sul sugo di pomodoro del Cappellaio.
-Crede di poter scappare usando una sua amichetta come incenso- minimizzai osservandola conficcare in profondità la forchetta nel suo pasto.
-In verità-
-In verità il tuo progetto è anche più facile da risolvere dell'enigma che recita quale carne è contenuta all'interno del tuo pasticcio misterioso?- rispose Edward ponendosi a sedere accanto alla rossa.
-Per inciso, è l'avanzo del coniglio del lunedì agreste di quattro giorni fa- mormorò soddisfacendo una domanda che nessuno aveva pronunciato e riuscendo incredibilmente a non farsi udire da Jervis che si sarebbe trasformato immediatamente nella Regina di Cuori se avesse saputo di quell'affronto al Bianconiglio.
-Come se tu avessi un'idea migliore- sibilò Red corrucciata spingendo con falsa incuranza la pietanza a causa della quale il languore che le faceva ruggire lo stomaco parve dissolversi nel nulla.
-Ti è mai passato per la testolina il pensiero che io voglia restare qui?- chiese quasi retoricamente Nigma congiungendo le mani e puntellando i gomiti sul ripiano ligneo.
-E quale sarebbe la motivazione?-
-Semplice.- Scrollò le spalle e agguantò ambedue le posate. -Non spreco parte del mio prezioso tempo a coordinare ogni azione di quei trogloditi dei miei uomini accompagnandoli per la manina e lo sfrutto per elaborare un nuovo piano degno del miglior detective del mondo- schernì Brat-Man vomitando quell'epiteto affibbiatogli dalla società.
-Dicono tutti così- bofonchiai facendo eco al giudizio di Ivy che ora fissava di sottecchi la mia mano salire e scendere dalla mia bocca unta di olio.
Nell'esatto momento in cui mi voltai per accertare quella che era solo una mia ipotesi, Red lasciò andare elegantemente il capo fra le dita e cominciò ad osservare la forchetta con cui stuzzicava quella poltiglia che si raffreddava minuto dopo minuto.
-Cosa c'è, Harleen? Il pennuto ti ha mangiato la lingua?- chiese sornione il moro inclinando il capo e degustando il suo pranzo, gesto che fu accompagnato da un verso di piacere simile a quello che avrebbe emesso se fossi stata in grado di assestargli un colpo in mezzo alle natiche.
-Molto divertente, Rebus.- Imitai una risata palesemente ipocrita e addentai un pezzo di tortilla grugnendo.

Pensa a cose felici, Harley, o a differenza di quello che crede Peter Pan il piatto volerà dritto su quel ghigno

Le iridi di Pammie puntarono di nuovo con discrezione al boccone che avevo in pugno.
Sospirai rassegnata. Mi era impossibile ignorarla. Tolsi le tracce di origano visibili al suo occhio attento e lasciai cadere sul suo vassoio la metà di tacos che aveva attirato la sua attenzione, fingendomi distratta.
Senza pensarci due volte Ivy acciuffò quello che era divenuto il suo pasto e, incurvando riconoscente un angolo delle labbra all'insù, mise a tacere il demone che regnava nel suo torace.
-Cosa non dovrebbe mangiare un'ebrea dall'appetito analogo a quello dell'animale in questione e ha il sapore della sconfitta?-
Fui trattenuta dall'avventarmi contro la sua faccia saccente e farla divenire parte del mio pranzo messicano solo quando fra le mie braccia si materializzò un oggetto morbido che non riconobbi all'istante, diverso com'era dall'ultima volta che l'avevo visto.
-Mr. JJ!- esclamai al culmine della felicità stritolando il pupazzo di pezza dal viso pallido e dal sorriso sanguigno. Letteralmente sanguigno, a dire il vero.
Nascosi il naso fra quell'ammasso di capelli verdi e ne aspirai l'odore.
Non era il migliore del mondo, tutt'altro. Puzzava di petrolio ed era ricoperto di fuliggine, ma profumava di casa.
Un dubbio affiorò allora nella mia mente. L'ultimo posto al mondo in cui doveva trovarsi era Arkham.
-Piaciuta la sorpresa, cupcake?-
Lui.
Ecco la ragione.
Deglutii cercando di sopprimere la sensazione di vertigine che si stava diramando nella mia testa e strinsi la morsa a tenaglia esercitata dalle mie braccia attorno al piccolo pagliaccio. Se non le avessi tenute occupate si sarebbero avvinghiate attorno al collo del vero Mr. J, ora seduto al mio fianco. Per abbracciarlo o farlo morire di asfissia, immagino. O magari per entrambe le cose.
Aveva ambedue le mani posizionate una sopra l'altra sotto il mento in un'imitazione caricaturale di una ragazzina che fissa intensamente il tizio per cui ha la sua prima cotta, battito insistente delle ciglia compreso.
Senza volerlo le mie labbra iniziarono ad essere solleticate dallo stimolo di una risata, desiderio che si volatilizzò quando mi resi conto che quella ragazzina ero io.
Io non mi comportavo affatto in quel modo con lui.
-Un po'- concessi cacciando a fatica le parole fuori dalla gola, sollevando il naso e girando il busto in direzione opposta alla sua prima di accavallare le gambe. Per farlo sbattei il ginocchio contro il bordo del tavolo, ma la bocca serrata mi aiutò a soffocare un gemito di dolore e allo stesso tempo a rendere la mia recita credibile.
-Mr. JJ?- Ivy inarcò scettica un sopracciglio e scoccò un'occhiata al clown di peluche.
-Mr. Joker Junior- risposi con un mugolio che mascherai alzando il tono di voce di un'ottava ispirandomi al timbro nasale che Edward assumeva quando sciorinava a tutti informazioni indispensabili ad innalzare il suo ego.
-Non ti chiedi come faccia ad averlo?- domandò d'un tratto J rubandomi il bicchiere, come se non avesse notato il mio tentativo estremo di dimenticarmi della sua presenza in quella sala.
L'attimo in cui si accorse che lo stavo osservando di sottecchi, sorrise divertito e bevve un sorso dalla cannuccia che fu presto preda dei suoi denti.
-Diciamo che ho i miei mezzi qui- affermò vago e con un'espressione contrariata non appena le sue papille gustative furono attraversate da quel veleno.
-Bimba mia, se avessi saputo che spacciavano questa roba in mensa avrei saltato meno pasti- si interruppe aggrottando le sopracciglia e lasciandosi andare ad una breve ma sommessa risata.
Constatando la mia indifferenza alla sua battuta, si rabbuiò, ma si sforzò di non farlo notare.

100 punti al Grifondharley

Anche Red parve soddisfatta della mia momentanea vittoria.
-Immagino tu ti sia accorta che abbia approfittato dell'ora nella sala ricreativa per dare una sistemata al piccolo JJ- terminò il suo soliloquio allargando il proprio sorriso.
Solo allora mi accorsi delle nuove cuciture che percorrevano gran parte di quello che rimaneva del pupazzo. Il lavoro di restauro del mio povero pagliaccio era stato fatto in maniera grossolana e apparentemente frettolosa. I fili usati nei punti di sutura non rispecchiavano quelli dei vari tessuti e spesso ne era stato utilizzato più di uno su un'unica zona per riparare ad un errore di valutazione.
-Pammie, tutto bene? Hai un'aria...verde- commentò Joker ilare notando che Red non aveva ancora smesso di analizzare da lontano la mia bambola.
-Dovresti aggiornare il tuo repertorio, clown- controbatté Ivy con tono intimidatorio.
Detto ciò, la conversazione di gruppo in sviluppo prima dell'arrivo di J riprese a vivere e scoppiò quella bolla che aveva isolato me e Mr. Risata dal mondo.
È buffo. L'universo continua ad andare avanti anche senza di te. Non gli importa che tu possa inciampare e far ritardare gravemente la tua tabella di marcia. La Terra non smetterà di girare, le stelle non esploderanno, l'energia vitale non cesserà di rigenerarsi solo per la tua assenza.
Scossi il capo e arricciai il naso. Pensare a cose del genere con calmanti ed altre medicine della Leland in circolo nel sangue mi faceva venire l'emicrania.
Inoltre mi era sempre più difficile rimanere vigile. Se avessi chiuso le palpebre e contato le pecore avrei raggiunto Jervis nel Paese delle Meraviglie.
-Sta' tranquilla, pumpkin pie. Presto arriverà un'esplosione di felicità e tutto questo sarà finito- mi assicurò la sua voce all'orecchio.
I suoi occhi come i miei rimasero incatenati ai disegni tracciati su Mr. JJ.






Incrociai le caviglie ancorandomi alla ringhiera del letto e rilasciai un sospiro afflitto. I miei capelli ondeggiarono con disappunto. Nemmeno mettermi a testa in giù mi aveva aiutato a dare una risposta a quello strano indovinello e il pagliaccio di pezza si ostinava a guardarmi triste dalla sua posizione capovolta rispetto alla mia.
-Non fissarmi in quel modo- mugugnai imbronciata e sul punto di lanciarlo contro il muro per danzare sui resti di quell'essere diabolico. Era fisicamente impossibile sopravvivere alla collaborazione di due clown il cui fine era quello di farti impazzire -si fa per dire- per il loro compiacimento.
Corrugai la fronte. Le opere di J di solito erano piuttosto accurate.
A dire la verità avevo già una teoria.
No, era impossibile. Dove avrebbe potuto procurarsi tutta quella roba?
Inclinai il viso fino a toccare la spalla con la guancia. Però era riuscito a recuperare Mr. JJ dalla Funhouse. Era capace di qualsiasi cosa.
Sì, ma era capace anche di quello?
Con un gesto dettato dalla frustrazione, gettai la bambola sul pavimento e caddi di faccia contro il cuscino dopo essermi accovacciata sopra il materasso.
Perché ero così  restia dal credere che il suo fosse un semplice regalo?
Sospirai e pian piano rilassai i muscoli del mio corpo che si erano contratti a guscio.
Semplicemente perché J non faceva mai regali a nessuno. Be', perlomeno non del tipo che non potessero nuocere.
Fu in quel momento che ebbi l'illuminazione.
Spalancai gli occhi e mi misi a sedere reggendomi con le dita al lenzuolo.

Presto arriverà un'esplosione di felicità

Il mio sguardo volò subito sul pupazzo di pezza. Con prudenza poggiai uno ad uno i piedi per terra e a gattoni mi feci strada verso Mr. JJ al quale era tornato il gran sorriso tronfio di sempre.
Giunta al suo cospetto, studiai a fondo la sua figura in cerca di indizi, stavolta senza nemmeno sfiorarlo.
 Dall'esterno nulla lasciava presagire che da un momento all'altro quella bambola avrebbe fatto saltare in aria tutto ciò che la circondava.
Che avesse usato della dinamite? No, non sarebbe stato in grado di controllarla. Certo, avrebbe potuto aver collegato il detonatore ad un orologio, ma non era a conoscenza di se e quando sarei rientrata in cella.
E poi faceva troppo vecchia scuola. Le sue tecniche erano più raffinate e divertenti, per non parlare del fatto che quello rientrava più nello stile di Willy il Coyote che nel suo.
Dovevo mantenere la calma. Nel caso in cui mi fossi abbandonata al panico lui avrebbe vinto e avrebbe ritirato ghignando il suo premio acclamato dagli applausi dell'esplosione.
Non c'era alcun motivo di preoccuparsi. J aveva calcolato tutto e non mi avrebbe fatto fare la fine di un popcorn. Se mi avesse voluto morta mi avrebbe ucciso con le sue stesse mani, no? In fin dei conti era questo il suo modus operandi nei miei confronti.
Intanto Mr. JJ non accennava a muoversi e protraeva la sua derisione che aveva come oggetto la sottoscritta.
Iniziavo ad odiare quello stupido pupazzo.
Uno stupido pupazzo che aveva qualcosa che sporgeva sul polso dalla giacca viola.
Era una carta. Un asso di picche per l'esattezza.
Il suo asso nella manica. Ovviamente.
Ero sul punto di gettare via quello scherzo, se non fosse stato per la scritta che scorsi annotata sul bordo bianco.

Fragile

Fragile?

Inconsciamente diedi le spalle alla bambola per scoccare un'occhiata al clown che si godeva la scena da dietro la porta a vetro posta al lato opposto del corridoio.

Da quando le bombe sono fragili?

Non ebbi il tempo per comprendere l'idiozia di quella domanda.
Tutto divenne più luminoso, tanto da non distinguere più forme e colori.
Una folata di vento e un rumore sordo mi spinsero contro un muro della stanza. Lo ricordo perché improvvisamente avvertii un bruciore tremendo che dalla schiena raggiunse gran parte del corpo.
L'inferno durò un istante, ma bastò a farmi credere di averlo raggiunto sul serio.
Fiamme percorrevano i miei arti e dei chiodi mi impedivano di compiere anche il minimo movimento.
Mi tranquillizzai solo quando trovai il coraggio e la forza di aprire gli occhi per scoprire che molte di quelle sensazioni erano il frutto delle scottature che rivestivano i tratti di pelle scoperti dalla tuta, ridotta ora ad uno straccio.
Acquisita un po' di lucidità decisi di risolvere il problema più urgente: constatare se fossi viva.
Adagiai una mano sul lato destro del petto e mi concentrai traendo un gran respiro che mi costò quanto una lama infilzata fra i polmoni.
Non sentii nulla.
Riprovai e il risultato non variò.
Incominciai ad agitarmi. Ero troppo giovane, avevo ancora una vita davanti a me e mille progetti. Comprarmi una villa con piscina e camino, sposarmi col mio puddin' in una cerimonia tenuta da B-Man che avrebbe coinvolto tutti i cittadini di Gotham -ben stretti con delle corde alle loro sedie-, vedere i nostri eredi correre per casa e schizzarsi contro acido con le pistole d'acqua e poi realizzai che il muscolo cardiaco tende a sinistra.
Oops
Il cuore non aveva smesso di battere. Aveva un ritmo piuttosto alterato, ma almeno non si era spappolato come un'anguria.
Quindi ero viva e non mi trovavo nel regno dei morti. Non era un'illusione. Bene.
Esalai un sospiro di sollievo e percorsi con le dita il profilo del petto.
Probabilmente una costola o due rotte, nulla di irreparabile.
Fortuna che ebbi l'istinto di proteggermi il viso e il torace con le braccia. E di non sbattere la testa ed andare incontro ad un'emorragia interna che mi avrebbe condotta a morte certa. Immagino questo sia stato il vero colpo di fortuna.
Spinsi i palmi delle mani sulle mattonelle e piegando le ginocchia esercitai la forza necessaria ad ergermi in piedi, gesto di cui mi pentii immediatamente.
Con alta probabilità mi ero procurata anche una bella storta alla caviglia.
La giornata cominciava splendidamente.
La stanza ruotò per un po' e fui costretta a far aderire le spalle alla parete dietro di me per sostenermi e non perdere l'equilibrio.
Sbattei le palpebre per schiarire la vista e studiai l'ambiente attorno a me.
La detonazione aveva sfondato la lastra di vetro che era andata a schiantarsi contro la cella posizionata di fronte alla mia, creando un passaggio che le collegò in una frazione di secondo.
Barcollante mi incamminai verso quella direzione, fermandomi quando notai delle crepe percorrere una delle sbarre che costituivano la ringhiera del letto.
Un po' di prudenza non mi avrebbe fatto male. E poi magari si sarebbe rivelato persino divertente.
Al terzo calcio che sferzai contro l'asta metallica riuscii a brandire la spranga con cui mi sarei fatta strada fra la folla e un braccio si avvolse attorno al mio bacino intimandomi con insistenza di seguirlo.
-Ora che hai trovato un nuovo giochino è meglio che inizi a correre, o le guardie si uniranno alla nostra festa- mi ordinò Joker rivolgendomi un'occhiata della durata di un battito di ciglia.
Tenevo il suo passo a fatica e più volte fui sul punto di inciampare sui miei stessi piedi mentre sagome di quelle che sembrarono miriadi di celle scorrevano accanto a noi.
Le sentinelle del manicomio non tardarono ad accorgersi della nostra fuga e presto il segnale d'allerta strillò richiamando all'attenzione l'intero edificio.
Questo voleva dire che anche Pam aveva scoperto il nostro piano e mi avrebbe accusata di non averla portata con me.
-Dobbiamo andare a prendere Ivy- gridai per sovrastare il suono ad intervalli regolari che rimbombava dagli altoparlanti e puntai i piedi per terra per frenare la corsa che fungeva da benzina al fuoco indomito che bruciava sul mio piede zoppicante.
-Harley, non abbiamo tempo- mi rimproverò lui nascondendosi dietro ad un muro e costringendomi ad imitarlo nonostante i miei sforzi.
Aveva gli occhi puntati sull'ingresso dell'ala degli irrecuperabili e dalla sua risposta evasiva ebbi la sensazione che non avesse nemmeno ascoltato la mia lamentela.
-Ivy ha bisogno di me- ribadii fermamente strattonando la sua mano che si ostinava a reggermi per la vita. Era stata l'unica cosa che mi aveva permesso di non cadere sul pavimento, tuttavia in quel momento preferii di gran lunga quella parete alle sue sudicie dita.
-Zuccherino, se non chiudi quella dannata bocca sarò costretto a cucirtela io-
Era così concentrato. Ad un tratto la sua fronte corrugata si rilassò e sorrise quasi ghignando.
Incuriosita osservai con maggiore scrupolosità il punto da lui studiato e finalmente capii.
Era strano. Erano già trascorsi dieci minuti e ancora non vi era l'ombra di un secondino.
Nessuno ci stava cercando. Come era possibile?
-Avevo detto a Sam di sviare le guardie, ma, sai, non ci si può mai fidare di un uomo con una pistola. Così ho optato per il piano B. Far trovare il suo cadavere nell'ufficio della tua cara terapeuta- spiegò rallegrandosi ad ogni parola che pronunciava.
Quelle iridi avvolte dall'oscurità e segnate da un luccichio che trapelava felicità. Era una di quelle rare occasioni in cui, se eri colto dalla fortuna, avevi la possibilità di notare le venature verdi solitamente celate dal buio eterno di quegli occhi, in attesa di essere scoperte. Erano bellissime.
-Oh-
Fu tutto ciò che mi venne in mente. Uno stupido, insensato oh.
Quello era decisamente più nel suo stile. Avrei dovuto prevederlo.

Stupida, stupida Harley

-Saluta le telecamere, bambina- disse ridendo e afferrando il mio polso per scuotere le nostre mani verso il marchingegno elettronico che ci spiava a poca distanza dalle nostre teste prima di precipitarsi fuori e perdersi in una delle sue crisi di risa.
Nel giro di un'ora avevo perso il mio pupazzo e la mia spranga nuova di zecca. Dalla mia bocca non uscì il suono di un solo ghigno mentre venivo trascinata via da Arkham.

 




Spazio autrice

Hola mes amis!

Sono risorta dal regno dei morti, un po' come Harley.

Credo che in ogni spazio autrice saranno inserite delle scuse per il tremendo ritardo, ma questo è una sorta di mia hamartia.

Chiedo scusa per il mio tremendo ritardo. La pigrizia in estate regna sovrana e colpisce anche l'ispirazione.

Spero solo che non abbia compromesso troppo la qualità del capitolo che è decisamente più lungo rispetto ai precedenti ma, ehi, salvo non sia un'agonia insopportabile e senza fine, dovevo trovare il modo di farmi perdonare. A tal proposito, mi piacerebbe sapere se è preferibile la lettura di un capitolo di una stesura più o meno simile a questo o quella di uno più corto.

Ringrazio di cuore tutti coloro che seguono la storia, chi l'ha messa fra le seguite/preferite, i lettori silenziosi, e chi ha lasciato un commento, mi avete reso le giornate migliori, davvero.

Prego che il prossimo aggiornamento non arrivi fra due mesi.

Adios

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