The Bug_level 2

di La_Sakura
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 
«A me è sempre piaciuto il calcio, Koshi! - esclamò Sanae, alzando lo sguardo verso il cielo terso - Lo sai che sono stata manager della Nankatsu.»
«Pensavo l’avessi fatto solo per tenere compagnia a Yukari mentre sbavava dietro a quella scimmia di Ishizaki.» la schernì il giovane.
«Non è così, e delle due era più Ishizaki che sbavava dietro di lei. Comunque l’ho fatto anche perché mi serviva un’attività extracurriculare, e almeno lì avevo la compagnia di Yukari.»
«Non fa una grinza.»
Kanda passò il braccio dietro la schiena di Sanae e l’attirò a sé, facendole appoggiare la testa alla propria spalla.
«Hai deciso che fare?»
«No, vorrei prendermi un anno sabbatico, magari lavorare in caffetteria da papà e poi decidere.»
«Almeno una certezza ce l’hai.» disse Kanda, dandole un bacio sulla nuca.
Le scuole stavano per finire, era l’ultimo anno al liceo Nankatsu per Koshi Kanda e Sanae Nakazawa, che facevano coppia fissa dalla prima liceo.
 
Tsubasa Ozora fissava l’orizzonte: il mare calmo della città brasiliana che da quasi otto anni era diventata casa sua aveva la capacità di calmargli i sensi. San Paolo si stava risvegliando in quel momento e lui, come da abitudine, si concedeva la sua corsetta mattutina prima di recarsi agli allenamenti della squadra. Sapeva bene che quell’orizzonte calmo in realtà nascondeva una sfida, la sfida più grande con cui si fosse mai confrontato fino a quel momento: il World Youth. Non era rimasto sorpreso dalla convocazione, i suoi progressi erano sulla bocca di tutti, e nell’aria c’era già l’odore di trasferimento nel Vecchio Continente, la vera patria del calcio giocato, eppure era costante quel brivido che gli percorreva la schiena ogni volta che pensava di trovarsi davanti alla nuova generazione più promettente del mondo intero.
Sapeva dei progressi di Wakabayashi da ciò che leggeva sulle riviste sportive, e dal paese del Sol Levante giungevano spesso notizie fresche riguardanti i ragazzi con cui aveva giocato in quel primo e unico Campionato nazionale giovanile a cui aveva preso parte.
Sembrava passato pochissimo tempo, e invece gli anni erano proprio volati; ripensò al suo trasferimento a Nankatsu, all’arrivo di Roberto, e man mano gli vennero in mente tutti i ragazzi con cui si era sfidato, Wakabayashi, Hyuga, i Tachibana, Misugi… poi la finale col Meiwa, Roberto che fugge e se ne va…
Un sorriso gli solcò le labbra: era stato un ragazzino caparbio e tenace, in quel momento. Dopo un primo momento di angoscia e smarrimento, aveva fatto ai suoi genitori quella richiesta tanto assurda quanto legittima. In fondo, lui aveva fatto ciò che gli era stato chiesto per poter realizzare il suo sogno, di conseguenza gli era sembrato normale chiedere ai suoi di mandarlo in Brasile nonostante la fuga di Hongo.
Una coppietta felice gli passò accanto, mano nella mano: li guardò con tenerezza e anche un filo di invidia. A lui non era mai toccata la gioia di innamorarsi, nessuna ragazza fino a quel momento era riuscita a far breccia nel suo cuore, nonostante le innumerevoli avances che aveva ottenuto (più per il fatto di essere un calciatore di successo che per il suo aspetto fisico in sé). Se doveva essere sincero al 100%, sentiva come se ci mancasse qualcosa, in tutto quello, come se la metà della sua mela non fosse lì ma da qualche altra parte; forse era anche per quello che aveva preso subito in considerazione l’idea di trasferirsi in Europa.
«Dopo il World Youth…» sussurrò alla brezza che lo accarezzò in quel momento.
Dopo il World Youth la sua vita sarebbe cambiata, se lo sentiva.
 



Buonasera, e benvenuti a questo delirio spazio-temporale che è The Bug_level 2. Per qualsiasi lamentela, vi prego di rivolgervi a Melanto, dato che è tutta colpa sua se la mia mente ha partorito questa storia xD
Ovviamente, prima di cimentarmi nella stesura, ho chiesto all’autrice il consenso a prendere spunto dalla sua storia (Vorrei dirle pubblicamente che la ringrazio infinitamente per avermi permesso di scrivere questa storia, fidandosi di me: è stato un bellissimo gesto e te ne sarò per sempre grata!): lungi da me volerla plagiare, solo che mi piaceva l’idea che aveva avuto (se non l’avete mai letta, FATELO!! XD) e ho pensato “E se ci mettessi in mezzo Tsubasa e Sanae, a ‘sto baco, che succederà??”
Bene, eccovi quindi come è nata.
Lungi da me volerla copiare, ci mancherebbe (non ne sarei neanche in grado!) però non escludo che ci siano punti in comune: l’autrice lo sa, spero che comunque il risultato si discosti dalla sua storia, e spero soprattutto che venga apprezzato!
La storia è conclusa, di conseguenza potrò permettermi aggiornamenti precisi: direi che ogni giovedì (salvo imprevisti) sia l’ideale (d’altronde, si sa, ogni giorno ha la sua fiction XD)
Adesso vado a chiamare l’ambulanza, perché se la conosco, al momento OnlyHope sta iperventilando, dopo aver letto il prologo XD non vorrei averla sulla coscienza.
Baci
Sakura

Postilla: è stato un anno particolare e difficile, per me, soprattutto pieno di cambiamenti. Lunedì avrà inizio il prossimo, e spero che possa essere se non definitivo, per lo meno stabile e duraturo. Ringrazio le persone che mi sono state vicino, che mi hanno sorretto, coccolato e bacchettato, da quel maledetto 10 Gennaio 2014 ad oggi. Vi voglio bene, sempre. 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1
 
La curiosità, all’interno di quella stanza, regnava sovrana. Bene o male tutti conoscevano Tsubasa Ozora, alcuni si erano anche scontrati con lui parecchi anni prima, ma da quella volta ne avevano solo letto le gesta sui giornali. La sua ascesa verso il posto di titolare nel San Paolo aveva fatto gridare “Al miracolo!” a molti esponenti del settore, che avevano seguito con attenzione i suoi progressi; in particolare, Katagiri Munemasa era stato uno di quelli che aveva maggiormente tenuto monitorato quel ragazzino caparbio e indubbiamente dotato di qualità calcistiche sconosciute ai più.
«È grazie a lui se sono qui.» Ishizaki pronunciò la frase allungando le gambe sulla sedia davanti a sé e incrociando le braccia dietro la testa.
«Direi più che altro che sia colpa sua.»
Masao Tachibana adorava prendere in giro il difensore, e sapeva bene come farlo innervosire in meno di un secondo.
«Io do un grande apporto alla Nazionale, non è vero Taro?»
«Certo! - esclamò il ragazzo, preso in causa - Tutti diamo un apporto molto importante, anche chi, come te, è destinato alla panchina.»
Tutti scoppiarono a ridere mentre Ryo mugugnava un “Ti ci metti anche tu?” incrociando le braccia e immusonendosi.
«Dai, non te la prendere. In fondo qualcuno in panchina ci dovrà pur stare.» lo consolò Morisaki che, con la presenza di due figure importanti come Wakabayashi e Wakashimazu, era ben consapevole di quale fosse il suo ruolo in quella manifestazione.
Sentirono bussare alla porta e subito tacquero, preoccupati che Mikami arrivasse per far loro il predicozzo sulla confusione che stavano facendo, ma rimasero tutti a bocca aperta quando, esortato da un “Avanti!” pronunciato da Matsuyama, fece il suo ingresso l’oggetto delle loro chiacchiere.
«Tsubasa!» esclamò Ryo correndogli incontro e abbracciandolo come se fosse un fratello perduto e ritrovato.
Il giovane ricambiò l’abbraccio rifilandogli un paio di pacche sulla schiena.
«È bello rivederti, Ishizaki. È bello rivedere tutti voi.»
La nuova generazione del calcio giapponese era davanti a lui, che lo osservava: era ben diverso dal ragazzino che avevano conosciuto, quello che aveva abbandonato tutto e tutti per realizzare il suo sogno. Anche fisicamente, ormai, aveva assunto i connotati di un calciatore di fama internazionale, e persino la sua carnagione, nonostante lui fosse chiaramente giapponese, aveva assunto un colore dorato, segno di numerosi e svariati allenamenti sotto al sole paulista.
«Anche per noi è un piacere, Tsubasa.» Misaki lo accolse col suo solito garbo. Si erano persi, in quegli anni, a causa degli innumerevoli trasferimenti dell’Artista del Campo. Erano riusciti a rimettersi in contatto grazie a Natsuko, una volta che Misaki era rientrato definitivamente a Nankatsu.
Mikami fece il suo ingresso in quel momento, e le chiacchiere furono rimandate a un momento più consono.
 
Sanae finì di pulire la vetrina dei dolci e lanciò lo straccio oltre il bancone: anche per quella sera il suo turno alla caffetteria era finito, ora voleva solo andarsene a casa e rilassarsi con un bagno caldo. Sapeva che Koshi aveva un allenamento supplementare in vista di alcune gare molto importanti, così aveva lasciato un messaggio a casa di Yukari per sapere se le andava di vedersi e scambiare quattro chiacchiere.
«Io vado!» urlò a suo padre, che dal retrobottega le urlò un saluto che non riuscì a decifrare.
Si incamminò verso casa Nakazawa a passo lento, voleva godersi quella temperatura e quell’arietta che le solleticava le gambe. Adorava Nankatsu, era la sua città e ne conosceva tutti i pregi e i difetti.
Era così distratta e intenta a guardarsi intorno che non si accorse di un ragazzo che correva nella sua direzione, pallone tra i piedi. Lo notò quando le passò accanto, fu come se una scossa la percorresse da capo a piedi; probabilmente qualcosa di simile accadde anche a lui perché si arrestò di colpo e la palla rotolò via.
Si voltarono entrambi, l’uno verso l’altra, senza capire cosa fosse successo.
«Ci conosciamo?» domandò quindi lei, sempre cordiale, per rompere l’imbarazzo.
«Io mi… mi chiamo Tsubasa Ozora.»
Lei sgranò gli occhi e sorrise.
«Tsubasa? Veramente! Sono Nakazawa!»
Lui rimase in silenzio per qualche secondo, e quando ricollegò il nome alla ragazzina urlante non poté fare a meno di esclamare il suo soprannome.
«Anego!? Sei proprio tu?»
«Non mi chiamano più così dalle scuole medie. - ammise lei - Ora sono semplicemente Sanae.»
«Ne è passato di tempo…» osservò lui, accarezzandosi imbarazzato la nuca: doveva ammettere che era molto diversa da come se la ricordava, era diventata una donna ormai.
«Non sapevo del tuo ritorno, o meglio, - si corresse lei - non sapevo saresti passato da Nankatsu.»
«Mamma ci teneva, e anch’io sinceramente. - replicò lui - Così potrò stare un po’ con Daichi.»
«L’ho visto non molto tempo fa, tua mamma l’ha portato a fare merenda in caffetteria. Ti assomiglia molto.»
«Già. - sorrise lui - Solo è più scalmanato, io ero molto più docile da piccolo.»
Rimasero entrambi in silenzio, Sanae si sentì pervadere da una sensazione di benessere, come se la vicinanza con quel ragazzo con cui aveva condiviso sì e no un anno e mezzo di scuola fosse la cosa giusta. Si sentiva come se fosse proprio dove doveva essere in quel momento.
«Scusa ma… adesso devo scappare. - ammise a malincuore - Sono appena uscita da lavorare e devo vedermi con Yukari più tardi.»
«Lavori in zona?»
«Lì. - gli indicò la caffetteria - Con i miei genitori. Passa una di queste volte, ti offro un muffin.»
«Muito obridago!* - le rispose - A presto!»
Si voltarono le spalle e presero due direzioni diverse; Sanae si sentì rabbuiare mentre Tsubasa fu colto da un improvviso senso di spossatezza che non si aspettava. Decise così di rientrare per la cena.
 

* Grazie mille in portoghese 


Ed eccoci qui al primo capitolo. Se ve lo state chiedendo, sì, saranno capitoletti relativamente corti, mi sono usciti così, e quando l’ho riletta non ho voluto modificarli per non alterare il senso che mi era uscito.
Insomma, è così, accontentatevi XD
Scherzi a parte, siamo ancora in una fase di “introduzione”, diciamo che si entrerà nel clou verso il terzo/quarto capitolo.
Ora vi saluto, sto scroccando la connessione a mio padre dato che la mia chiavetta è deceduta… e ovviamente il mio caro vecchio NON SA che uso il pc del negozio per pubblicare XD
Grazie a chi ha letto e a chi ha recensito, un abbraccio
Sakura

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
«Ho incontrato Sanae, prima.»
Tsubasa buttò lì la frase a sua madre con molta non chalance. In realtà l’incontro con Anego lo aveva destabilizzato, da che si erano salutati si sentiva inquieto.
«È una gran brava ragazza: ogni volta che andiamo a fare merenda da lei, ci regala qualcosa, vero Daichi?»
Il bambino annuì e iniziò a pronunciare il nome della giovane.
«È cambiata parecchio.»
«È cresciuta, così come sei cresciuto anche tu. Sono passati tanti anni… ricordi come sbraitava il tuo nome dagli spalti?»
Tsubasa arrossì vistosamente mentre Natsuko ridacchiò sotto ai baffi rimembrando come l’allora Anego mostrasse palesemente di essersi presa una cotta per il nuovo arrivato.
«Se ti va, domani ci passiamo, così magari la rivedi.»
Il ragazzo annuì, e si sentì subito meglio al pensiero di rivedere Sanae.
 
«Sanae gracchiava dagli spalti come un corvo per incitare Tsubasa.»
Ryo aveva raggiunto Sanae e Yukari per mangiare un gelato in compagnia, e quando aveva saputo dell’incontro fortuito tra l’ex manager e l’asso del pallone, non aveva potuto fare a meno di prendere in giro l’amica.
«Faccio fatica a immaginarti vestita con il gakuran. - ammise Yukari - E faccio fatica anche a immaginarti col bandierone cucito a mano.»
«E l’hachimaki rosso.» completò lei, arrossendo lievemente ma conscia del fatto che quello faceva parte del suo passato e sinceramente non poteva e non voleva neanche cancellarlo.
«Quanti anni sono passati…» mormorò Ryo, perdendosi con lo sguardo fisso nel suo frappé al cioccolato.
«Siamo diventati adulti. - ne convenne Sanae - Ora dobbiamo prendere in mano le nostre vite e farne un capolavoro.» concluse, parafrasando le parole del Papa.
«Tu piuttosto, - Yukari le diede una piccola spallata - hai deciso che vuoi fare?»
«No, lavorerò dai miei per un po’, poi vedrò. Non ho le idee molto chiare. - bevve un sorso di frappè alla fragola e proseguì - Da quando abbiamo finito la scuola mi sento… come dire… sento come se fossi incompleta, se mancasse qualcosa.»
«Con Kanda tutto bene?» si preoccupò subito la sua migliore amica.
«Sì, sì, assolutamente: lui è sempre molto premuroso, e ha anche appoggiato la mia idea di “anno sabbatico”. È un ragazzo d’oro, non potevo chiedere di meglio per me…»
In quel momento, si sentì un rombo provenire da fuori, e la terra iniziò a tremare sotto ai loro piedi. Durò poco, qualche secondo, ma fu sufficiente a far spaventare tutti gli avventori del locale.
«A… avete sentito?» mormorò Yukari, bianca come un cencio.
«Difficile ignorarlo…» Ryo le passò un braccio intorno alle spalle con fare protettivo.
«Siamo un paese ad alto rischio sismico… - Sanae cercò di dissimulare l’agitazione - Non è una novità.»
«Sì ma ogni volta io vado nel panico, non mi ci abituerò mai.» piagnucolò la Nishimoto, che proprio aveva il terrore del terremoto.
Sanae decise di alleggerire la tensione e chiese a Ishizaki come stava procedendo la selezione dei giocatori per il World Youth: il difensore raccontò di tutto ciò che stavano facendo, e la serata proseguì in maniera più serena, anche se lo spettro di quella scossa tellurica continuava ad aleggiare su di loro.
 
Sdraiato nel suo letto, Tsubasa aveva acceso la luce di cortesia per non disturbare Daichi: il jet lag gli dava ancora un po’ noia, in più rivedere Sanae gli aveva risvegliato dei ricordi che aveva momentaneamente rimosso, o meglio, accantonato. Aveva sentito la scossa di terremoto ma aveva cercato di non farsi prendere dal panico, soprattutto data la breve durata del fenomeno. Natsuko era passata a controllare che il figlio minore stesse ancora dormendo e aveva fatto un cenno col capo al figlio maggiore, il quale le aveva sorriso e aveva mimato l’ok con la mano destra.
Ora era lì, con la lucina a forma di pallone accesa, a sfogliare l’album del primo campionato nazionale: per fortuna in famiglia c’era chi aveva la passione per la fotografia e aveva immortalato innumerevoli scene e azioni, non solo in campo ma anche fuori.
Trovò la foto che stava cercando: Anego, Manabu e tutti gli altri che, dagli spalti, facevano un tifo esagerato. Anego. Sanae. Era completamente diversa, ora: niente gakuran, niente hachimaki. Molto più femminile, molto più… bella. Sentì il cuore sobbalzare e si domandò se fosse quello che si provava quando ci si innamorava di qualcuno. Ripensò alla sensazione di benessere che lo aveva pervaso quando si era fermato a parlare con lei, e al senso di spossatezza quando lei se n’era andata. Doveva assolutamente rivederla, così decise che il giorno successivo si sarebbe recato alla caffetteria dei Nakazawa per fare merenda con Daichi.
 


Lo so, anche questo capitolo è cortissimo, non è da me in effetti, ma siamo ancora nella cosiddetta introduzione, quindi dovrete pazientare ancora per entrare nel vivo (che ci sarà, MUAHAHAHAH tremate XD)
Ringrazio di cuore chi mi sta seguendo, scusate se non riesco a rispondervi in tempo reale ma questa nuova vita mi sta assorbendo e devo dare il massimo per tenere duro J
Comunque vi penso sempre e siete il mio raggio di sole
Buona giornata
Sakura

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
 
«Fratellone! - Daichi continuava a saltellargli intorno - Posso mangiare la ciambella alla cioccolata? Posso mangiarla? Posso? Posso?»
«Quando arriviamo là guardiamo cosa c’è di buono, d’accordo?»
«Lo sai che Sanae-chan mi regala sempre una caramella?»
«Ti verrà il mal di pancia con tutti quei dolci, Dai-chan!»
«No, perché io gioco tanto.»
Tsubasa rise divertito dell’ingenuità del fratello, e decise di non proseguire nel discorso, anche perché man mano che si avvicinavano alla caffetteria, il cuore accelerava i battiti.
La raggiunsero dopo poco: Tsubasa avrebbe voluto aspettare un attimo prima di entrare, ma Daichi spinse la porta a vetri e corse verso la vetrina dei dolci, appoggiandoci le mani.
«Ma guarda chi è tornato a trovarci: ciao Daichi.» lo salutò Sanae.
«Non sono solo - ci tenne a precisare il bambino - Guarda!» e con la manina indicò il fratello maggiore che, imbarazzato, avanzava verso di loro con la mano dietro alla nuca.
«Scusalo, non ho fatto in tempo a trattenerlo, ti avrà sporcato tutta la vetrina…»
«Fa nulla. - gli rispose Sanae con un sorriso, prendendo in braccio Daichi - Noi siamo amici, quindi può fare quello che vuole.»
«Evviva!» esultò il piccolo Ozora, alzando le braccia al cielo.
«Non te ne approfittare, cucciolo.» lo riprese il fratello, carezzandogli la testa.
«Che vi porto?» domandò Sanae, rimettendo il bambino per terra.
«Io voglio la ciambella al cioccolato!»
Sanae annuì, conosceva bene i gusti del piccolo.
«A tuo fratello invece porto un muffin, che è la specialità della casa. E da bere succo di frutta, d’accordo?»
I due Ozora annuirono all’unisono e Sanae rise divertita per quanto quei due si assomigliassero: un raggio di sole fece capolino in quel momento dalla vetrata laterale e illuminò i due fratelli. Sanae ebbe un sussulto al cuore vedendo il sorriso di Tsubasa mentre accarezzava la testolina di Daichi, con amore. Voltò immediatamente loro le spalle e si diresse dietro al bancone per preparare la loro merenda: ebbe un attimo di smarrimento quando si accorse che il proprio cuore stava battendo all’impazzata. Possibile? Era vero che Tsubasa era stato l’oggetto della sua prima cotta, ma dopo la sua partenza per il Brasile l’aveva ampiamente accantonato e dimenticato. E poi ora c’era Kanda nella sua vita, da ben tre anni…
Versò entrambi i succhi di frutta nei bicchieri e li posizionò sul vassoio accanto ai due dolcetti e dopo aver inspirato profondamente, si diresse verso il tavolino a cui si erano accomodati i fratelli Ozora.
«Ecco qua! Buona merenda!»
«Non ti siedi con noi?» le chiese Daichi.
«Dai-chan, deve lavorare, non disturbarla.»
Sanae scompigliò i capelli al bambino e si sedette accanto a lui che, tutto felice di aver ottenuto ciò che voleva, affondò il viso nella ciambella.
«Lo sai Sanae - biascicò - che il mio fratellone vive lontano lontano da qui?»
«E tu lo sai che io e il tuo fratellone ci conoscevamo già?»
Daichi appoggiò il dolce sul piattino e la guardò sgranando gli occhi.
«Davvero?»
Lei annuì dolcemente.
«Abbiamo frequentato la stessa scuola per un po’…»
«E lei era veramente scatenata. - disse Tsubasa, che fino a quel momento aveva osservato la scena in silenzio, affascinato dalla ragazza e dal modo in cui trattava suo fratello - Una vera Anego.»
«Evitiamo i particolari, però.» arrossì lei.
«D’accordo, però quando torniamo a casa - fece l’occhiolino al fratello - ti faccio vedere le foto!»
Sanae avvampò.
«Ehi, non è giusto! Dovrebbero prima passare al vaglio della sottoscritta!»
Lui scoppiò a ridere, si sentiva proprio bene con lei, a cuor leggero. Non gli era mai capitato che una ragazza gli provocasse una simile sensazione di benessere.
«Sanae. - il padre della giovane li raggiunse al tavolo - Stasera mentre vai a casa ci sarebbe da effettuare una consegna.»
«Nessun problema. - annuì lei, alzandosi in piedi, poi si accorse degli sguardi sospettosi del genitore e decise di effettuare le presentazioni - Papà, ti presento Daichi, uno dei nostri clienti migliori, e lui invece è…»
«Tsubasa Ozora.» si alzò in piedi e si inchinò leggermente.
Nakazawa-san ci mise tre secondi netti a collegare quel nome al fenomeno del calcio di cui tutti parlavamo, così lo abbracciò e iniziò a rifilargli delle sonore pacche sulle spalle.
«Ragazzo mio! Che piacere conoscerti! Che piacere averti nel mio locale! Ah, che gioia! Tu ci condurrai verso le stelle!»
Sanae, conscia della passione del padre per il calcio, se la rideva sotto i baffi, mentre Tsubasa, una volta libero della stretta, si grattò nervosamente la nuca, imbarazzato.
«Ehm, la ringrazio Nakazawa-san.»
«La merenda è offerta, eh! Non pensare di dover tirar fuori nemmeno uno yen! Ah, quale onore, quale piacere! Sanae, non mi avevi detto di conoscerlo!»
La giovane, tirata in causa, arrossì lievemente.
«Eravamo in classe insieme alle medie, papà, non ricordi?»
Ma l’uomo non diede ascolto alle parole della figlia e continuò nella sua predica.
«Sono così contento che siate amici! Devi venirci a trovare più spesso mio caro! Devo assolutamente presentarti mia moglie, e mio figlio Atsushi! Atsushi è davvero appassionato di calcio, vero Sanae? Ah, la mia dolce Sanae invece, ormai ha altri interessi. Il suo ragazzo è boxeur…»
Non fece in tempo a finire la frase che l’eco di un rombo risuonò nell’aria e fu seguito da una potente scossa di terremoto, della stessa intensità della precedente, ma che durò qualche secondo in più. Daichi si lanciò piangendo tra le braccia del fratello che gli coprì subito la testa e si premurò di far inginocchiare subito anche Sanae e suo padre, per coprirli col tavolino vicino.
Si sentì il rumore di qualche tazza che si infrangeva sul pavimento, poi il nulla. Attesero ancora qualche istante, durante il quale né Sanae né Tsubasa si mossero: erano vicini, l’uno accanto all’altra, potevamo percepire i rispettivi respiri, ascoltare i battiti dei reciproci cuori…
«Pare che sia finito, venite pure…» li chiamò il padre, dopo essersi accertato che fosse tutto in ordine. L’uomo prese subito in braccio il piccolo Daichi che singhiozzava.
«Su, su, non è niente… non piangere… sei forte…»
Daichi fece il gesto di allungare le braccia verso il fratello maggiore, che lo accolse volentieri: gli fece appoggiare la testa al petto e gliela accarezzò per calmarlo.
«Mi spiace…» mormorò Sanae.
«Stai bene?» le chiese lui, ignorandola. Lei annuì e si guardarono negli occhi: la ragazza avvertì le gambe che le tremarono e si sentì terribilmente in colpa nei confronti di Kanda, così distolse lo sguardo.
«Sì, grazie… ti preparo un sacchetto con qualcosa da portare a casa.»
Tsubasa la ringraziò e, dopo aver salutato, si diresse verso casa con Daichi ancora aggrappato a lui.
 
«Tuo padre è proprio entusiasta di questo Ozora! Ma davvero eravate a scuola insieme?»
La domanda di Kanda cadde nel vuoto, Sanae fissava fuori dalla finestra e non la sentì nemmeno.
«Ehi… piccola… tutto bene? Sei ancora sconvolta per il terremoto?»
Sanae riportò l’attenzione al ragazzo e annuì.
«Mi ha messo un po’ di agitazione… ma passerà, tranquillo.»
«Vuoi che mi fermo qui con te, stanotte?»
«Lo sai che i miei non vogliono…» rispose lei, appoggiando la testa alla sua spalla. Lui inspirò profondamente, lo sapeva fin troppo bene.
«Tre anni che stiamo insieme e non abbiamo mai…»
«Lo sai come la penso. - lo zittì lei - Voglio aspettare il momento giusto, che non so quando sarà, so solo che me la sentirò.»
«Sì, lo so… - disse lui, baciandole la fronte - Ma io ti amo, lo sai.»
«Lo so, per questo mi rispetti.»
Lui capì di essersi fregato da solo e non disse altro, limitandosi a un mezzo sorriso di accondiscendenza.
 


Buonasera a tutti!
Eccoci qua, con un nuovo capitolo! Vi lascio con poche parole perché rischio di spoilerarmi da sola XD da tanto che son sveglia. Inoltre causa allagamento nelle mie zone, ho rischiato di saltare l’aggiornamento (la TIM va ancora a tratti, dalle mie parti).
Vi ringrazio per la passione e il calore con cui mi avete accolto, e spero di non deludervi con le scelte che ho compiuto per questa fan fiction.
Vi abbraccio forte
La vostra Sakura

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4
 
Avevano ricominciato ad allenarsi al campo della Nankatsu come ai vecchi tempi, in attesa dell’inizio ufficiale del ritiro. Sembrava che il tempo non fosse trascorso, anche l’armonia con Misaki era sempre la stessa, come se la Golden Combi avesse giocato insieme fino al giorno prima.
I progressi di Tsubasa erano palesi, aveva un senso di gioco invidiabile e una tecnica sopraffina che gli permettevano di bersi gli avversari, con quei dribbling a ritmo di samba che incantavano tutti.
Katagiri osservava l’allenamento non ufficiale con aria soddisfatta.
«Se continuano così, non sarà difficile creare una squadra omogenea. - disse a Mikami, che accanto a lui prendeva appunti di gioco - Ozora diventerà una stella nel firmamento del calcio mondiale.»
«Quel ragazzo è davvero predestinato. - ne convenne il mister, senza nascondere un sorriso soddisfatto - Questa volta ce la faremo.»
Katagiri annuì, portandosi la sigaretta alla bocca per aspirare una boccata di fumo.
 
«Che ne dite di una merenda da Nakazawa?» propose Ishizaki. I ragazzi annuirono entusiasti all’idea di assaggiare i famosi muffin di Sanae.
«Ishizaki, sei fortunato che giochi a calcio, altrimenti saresti davvero un lottatore di sumo.»
«Pfui. - minimizzò il difensore - Ho un metabolismo perfetto. Non vedi?»
Si mise in posa come un discobolo e si rimediò in faccia un asciugamano da parte di Izawa, colui che aveva predetto il suo destino da obeso.
«Ad ogni modo, come in tutte le cose, basta non esagerare.» ne convenne Misaki che in Francia aveva passato un periodo in cui, cambiando alimentazione, si era ritrovato con dei chilogrammi in più nonostante l’attività fisica.
Continuarono a disquisire su metabolismo e chili di troppo come delle donne a ridosso della prova costume fino a davanti il locale: lì, Tsubasa ebbe il solito tuffo al cuore che gli veniva ogni volta che pensava o vedeva Sanae. Tentennò, e Misaki se ne accorse, perché si avvicinò a lui e gli domandò se stesse bene.
«Sì… sì, stavo solo pensando a una cosa… Daichi si arrabbierà quando scoprirà che sono venuto a fare merenda senza di lui.»
«Poco male. - lo esortò l’Artista del campo - Gli porteremo qualcosa a casa.» e, facendogli l’occhiolino, lo sospinse all’interno.
Il padre di Sanae li accolse come si possono accogliere dei figli: li salutò uno a uno, soffermandosi in particolare su Tsubasa, e li fece accomodare nel tavolo migliore. Sanae arrivò a prendere l’ordinazione e Tsubasa si trovò ad adorarla anche quando rideva e scherzava coi ragazzi.
«Sei dei nostri? - gli sussurrò Taro - Mi sa che qualcuno qui sta riscoprendo antiche fiamme sopite…»
«Ma che dici!» esclamò il numero 10 del San Paolo, arrossendo. Misaki ridacchiò divertito dalla timidezza del ragazzo.
«È un peccato che sia già impegnata.» lo avvisò.
«Lo so, suo padre mi ha detto che il suo ragazzo è un boxeur.»
«Ed è anche una testa calda. - lo avvisò - Non sarebbe la prima volta che scatena una rissa perché qualcuno si avvicina a Sanae. Stai in guardia. In tutta onestà - si avvicinò a lui per abbassare ulteriormente il tono di voce - non so cosa ci trovi in lui, una come lei. Ma ormai sono una coppia consolidata.»
Tsubasa si perse ad osservare Sanae: come poteva un tipo così delicato come lei, adattarsi a stare con un rissaiolo? Non se ne capacitava. Ma lui, sarebbe davvero stato migliore per lei?
Caso, destino, fatalità o altro, in quel momento Koshi Kanda fece il suo ingresso nel locale. I ragazzi della squadra si zittirono, cosa che fece a capire a Tsubasa che nessuno di loro lo vedeva di buon occhio. Lui li guardò con aria di superiorità e si diresse verso Sanae, la quale, vassoio alla mano, si stava dirigendo proprio verso il loro tavolo.
«Ciao!» lo salutò lei allegramente, facendo poi per superarlo e continuare nel suo lavoro, ma lui la bloccò posandole una mano sul ventre. Questo la fece sbilanciare e per poco non rovesciò tutto quanto, se Tsubasa non fosse stato abbastanza svelto da prenderla al volo. In questo modo lei si ritrovò con il volto nel petto del calciatore e quando se ne rese conto avvampò come una scolaretta e si scostò immediatamente da lui.
«Chiedo scusa!» mormorò, accennando un inchino.
«Non preoccuparti. - minimizzò Tsubasa - La nostra merenda è salva.»
Si voltò e appoggiò il vassoio sul tavolo, fece per sedersi ma una voce risuonò e lui si bloccò.
«Ehi, Ozora, non lo sai che non si importunano le ragazze altrui?»
Si voltò e si trovò di fronte il volto irato di Kanda, su cui spiccava anche un sorrisino beffardo.
«Non ho importunato nessuno.» rispose lui, mantenendo la calma ma portandosi in posizione eretta, braccia lungo i fianchi e pugni chiusi.
«Hai toccato Sanae. E Sanae è la mia ragazza.»
«Ho preso il vassoio che stava cadendo, e ho impedito che cadesse pure lei e si facesse male. Dovresti ringraziarmi.»
«Non fare lo sbruffone con me, sai? - Kanda avanzò di un passo verso di lui - Non mi fai paura, anzi, tutto il contrario! Sei tu che devi temermi. Lo sai chi sono io?»
«Un rissaiolo?»
Il gruppo di ragazzi alle spalle di Tsubasa sghignazzò, cosa che piacque poco a Kanda: si fece scrocchiare le dita come a prepararsi per un duello, e avanzò di un altro passo.
«Koshi, per favore, non è successo nulla.» Sanae si aggrappò al suo braccio e cercò di convincerlo a fare un passo indietro nelle sue intenzione, ma lui pareva irremovibile. Lui e Tsubasa si fissarono per qualche istante negli occhi con astio, poi fu il calciatore a parlare.
«Non ho nessuna intenzione di battermi con te, Kanda.»
Non appena terminò la frase, la terra tremò per la terza volta in tre giorni, questa volta per un tempo che a loro sembrò infinito: tutto tintinnò all’interno del locale, i cui avventori si affrettarono a nascondersi sotto i tavoli. Koshi e Sanae si rifiugiarono sotto a un tavolino lì vicino, mentre Tsubasa raggiunse i compagni sotto al loro tavolo. Per tutto il tempo, lui e Sanae si fissarono negli occhi, lei trasmetteva angoscia, lui cercava di infonderle sicurezza. Quando tutto fu finito, Nakazawa-san si precipitò fuori dal bancone e uscì dal locale per accertarsi che tutto fosse normale: nulla, nella città, pareva essersi rovinato.
«Ma nessuno dice niente, di questi accadimenti?» chiese Izawa, raggiungendo il padre di Sanae.
«Al telegiornale non ho sentito nulla.»
«Possibile che non ne parlino?» Taro non se ne capacitava.
«Speriamo non sia il preludio a qualcosa di peggio…» mormorò Tsubasa, e nel dirlo il suo sguardo cadde inevitabilmente su Sanae e Kanda.
 
«Sicura di star bene?»
Sanae annuì: erano rientrati a casa dopo la scossa di terremoto, e senza far alcun accenno alla provocazione che Kanda aveva lanciato a Tsubasa. Sanae si era dispiaciuta per l’accaduto ma non era riuscita a scusarsi col calciatore, dato che il suo ragazzo non l’aveva mollata neanche per un secondo, continuando a sostenerla dalla vita.
«Ho solo bisogno di un bel sonno ristoratore, domani sarò in gran forma.» rispose poi, sorridendogli per cercare di essere più convincente. Lui parve crederci e fece aderire il dorso allo schienale della dondola da giardino su cui si trovavano.
«Koshi…»
«Mmh?»
«Avresti davvero fatto a pugni con Tsubasa?»
«Perché ti preoccupi tanto per lui?»
«Mi preoccupo del fatto che hai quasi aizzato una rissa nella caffetteria, davanti a un sacco di persone e davanti a mio padre.»
«Quel cagasotto si è tirato indietro subito, che razza di uomo.»
«Kanda! - lo riprese - Non mi piace questo tuo spirito guerrafondaio.»
«Difendo ciò che è mio.» asserì lui, puntando le iridi scure in quelle castane della ragazza.
«Pensavo che fossimo una coppia, e non proprietario e oggetto da esibire.»
«Hai capito cosa intendo. Quell’Ozora ti divora con gli occhi, non perde un tuo movimento - lei sussultò - e io non voglio che ti gironzoli intorno e che ti faccia il filo.»
«Non mi fa nessun filo, ma che ti credi. Quello vive in Brasile, chissà quante ne ha, laggiù.»
Kanda non rispose, distolse lo sguardo e fissò il cielo che volgeva al tramonto.
«Facciamo passare questo “World Youth” a cui tieni tanto… - mormorò - E poi ci sposiamo. Ti renderò la donna più felice della terra.»
Sposarsi? Sposarsi?? Di tutte le cose a cui Sanae aveva pensato, questa era davvero l’ultima della lista. Fissò il proprio ragazzo con aria stupita e provò ad immaginarsi sposata a lui, con una casa, una famiglia, un cane… Qualcosa dentro di lei le disse che non era ciò che voleva, fu come uno smottamento interiore che le provocò una nausea tremenda.
«Sposarci dici? - mormorò - Forse è un po’ presto, non so se me la sento…»
«Voglio passare la mia vita con te, Sanae. Ci sposeremo e saremo felici, te lo prometto.»
Lei cercò di sorridere, ma dentro le viscere si contrassero.


 
Zan-zan-zan!
E così c’è stato il primo grande incontro tra i nostri due maschioni! Ed è finito… in tremolii XD
E questa proposta alla fine… eh eh eh ^^ chissà cosa si sarà inventata l’autrice… ah già, sono io XD
Vorrei dirvi che siamo arrivate al clou della storia ma manca ancora un capitolo al botto… che detta così suona malissimo, dati tutti i terremoti che stanno accadendo, ma state tranquille, non ci saranno vittime… per ora MUAHAHAHAHAHAH
Grazie ancora per l’affetto e scusate se ancora non vi ho risposto personalmente alle recensioni, ma con la connessione ballerina e gli impegni della real life sono messa un po’ così.
La sola consapevolezza di avere la storia lì, conclusa e terminata, pronta per essere data in pasto ai vostri occhi famelici, mi fa aspettare con ansia il giovedì, per vedere se, in qualche modo, riesco a farvi passare un po’ di tempo in spensieratezza.
Grazie di cuore
Sakura
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5
 
Il giorno successivo durante l’allenamento, Tsubasa si dimostrò subito distratto: già durante i giri di campo Taro si accorse che non era lì con la testa, così gli si avvicinò per parlare.
«Tutto ok?»
«Uh?»
«Hai la testa fra le nuvole.»
«Ah. - sorrise - Quello sempre.» si giustificò.
«Non è che stai pensando a una certa persona?»
Tsubasa non rispose: si limitò a rabbuiarsi e la mente andò immediatamente alla scossa di terremoto del giorno prima, e ai loro sguardi fissi l’uno nell’altro. Cos’era successo? Cosa gli era scattato dentro, da impedirgli di pensare ad altro che non fosse Sanae, il suo sorriso, i suoi occhi, quegli occhi che aveva visto pieni di angoscia e terrore mentre la terra tremava sotto ai loro piedi.
«Tsubasa?»
«Scusa, Misaki, ma davvero non so che dire… non ho mai provato nulla di questo tipo.»
Sentiva di potersi fidare, della metà della Golden Combi: fra tutti, era quello con cui da subito aveva legato di più, e nonostante la lontananza poteva affermare che l’amicizia tra loro due era immutata.
«Beh, a vederti così si direbbe che ti sei preso una bella cotta. - vide l’amico arrossire e gli diede una pacca sulla spalla - Preferisco di gran lunga te, a Kanda, accanto alla mia amica Sanae. Chissà che non sia il destino che vi ha messo di nuovo l’uno di fronte all’altra.»
«Che intendi?»
«Beh… - Misaki rallentò il passo - Quando ti sei trasferito a Nankatsu è stata una delle prime persone che hai incrociato, no? - Tsubasa annuì - E quando ci sei tornato ora, dopo otto anni, non è stata una delle prime in cui ti sei imbattuto? A parte noi, ma era un incontro programmato, quindi non vale.» concluse Misaki facendogli l’occhiolino.
Tsubasa abbassò lo sguardo sull’erba che stavano calpestando: ormai stavano facendo una corsetta senza impegno.
«Non sono mai stato innamorato, non so se ciò che provo è…» non terminò la frase.
«Scoprilo.» e così dicendo, Misaki riaccellerò il passo e raggiunse gli altri ragazzi intenti a fare stretching.
«Fosse facile.» sospirò il campione del São Paulo, scuotendo la testa e raggiungendo anch’egli il cerchio di centrocampo.
 
«Oniisan!!» urlò Daichi, raggiungendo Tsubasa di corsa e gettandoglisi addosso.
«Ciao Dai-chan, che ci fai qui?»
«Mamma mi ha promesso che andavamo a fare merenda insieme! Ci andiamo, Tsu-chan? Ci andiamo?»
«Ma tutte queste merende ti faranno bene?» esclamò prendendolo in braccio.
«Fanno meglio a te, così vedi Nakazawa!» lo schernì Ishizaki, riuscendo a farlo arrossire e scatenando l’ilarità generale. Lui non rispose e cerco di dissimulare l’imbarazzo, con poco successo. Fece scendere il fratellino e lo prese per mano.
«Vieni, Dai-chan, andiamo via. Questi non ci meritano.»
Il commento di Ishizaki si perse grazie a Taro che, prontamente, gli posò una mano sulla bocca.
«Non esagerare, Ryo. Ne converrai con me che non è di certo una situazione facile.»
Il difensore rimase a fissare il centrocampista a bocca aperta, poi annuì.
Durante tutto il tragitto fino alla caffetteria, Tsubasa lasciò che il fratellino lo rimbambisse di chiacchiere. Non si accorse nemmeno che la madre li aveva lasciati soli, forse con la scusa che finalmente potevano passare del tempo insieme, o forse proprio per via di Sanae. Sta di fatto che quel giorno lui era più pensieroso del solito, e l’ex Anego lo notò subito.
«C’è qualcosa che non va? - gli chiese, appoggiando il muffin sul tavolo - Sei pensieroso…»
«Sì, scusa… ho altro per la testa…»
Mal interpretando il suo pensiero, Sanae si rabbuiò appena, e si sedette accanto a Daichi che continuava a reclamare la sua attenzione.
«Ti manca qualcosa che hai lasciato a San Paolo.»
«Là non ho nulla di più di ciò che ho qui, dato che qui ho la mia famiglia…» sollevò lo sguardo e nella sua mente si formò una nuvoletta in stile fumetto contenente un “E te” che però non disse, ritenendolo altamente fuori luogo. Il solo fatto di aver pensato a una cosa simile lo fece arrossire.
«Beh, racconta, com’è il Brasile.» lo incalzò lei, appoggiando i gomiti sul tavolo e prendendosi il viso tra le mani. Lui sorrise entusiasta e iniziò a raccontarle del suo arrivo, della difficoltà a integrarsi, di quanto fosse stato difficile imparare il portoghese. Risero un sacco sugli aneddoti scolastici del povero Ozora, che comunque nonostante le difficoltà era riuscito ad ottenere un diploma.
«E dopo il World Youth?»
«Raggiungerò il Vecchio Continente e cercherò una squadra per poter continuare a giocare a calcio e migliorarmi ancora. E cercherò di portare il Giappone sul tetto del mondo.»
«Un sogno ambizioso…»
«Lo sono sempre stato…»
Si fissarono negli occhi, per qualche istante. E fu come se il mondo intorno a loro si fermasse. Tsubasa si immaginò di alzarsi, girare attorno al tavolo, andare da lei e baciarla. Ma lo immaginò solo, non lo fece. Non lo fece nonostante ogni cellula del suo corpo vibrasse in funzione di Sanae.
Continuarono a fissarsi, fino a quando Daichi interruppe la magia e per i due fratelli Ozora arrivò il momento di tornare a casa.
 
Tsubasa non si accorse subito che c’era qualcosa che non andava, quella mattina. Si alzò svogliatamente e si diresse in bagno per sciacquarsi il viso, prima di scendere a far colazione.
Al piano di sotto, nulla sembrava cambiato, tranne…
«Mamma?»
«Buongiorno caro. Dimmi tutto.»
«Che ne è della coppa?»
«Quale coppa?» Natsuko si avvicinò a lui e fissò la mensola a cui suo figlio si riferiva.
«Quella che era lì… con la foto della Nankatsu…»
«Ti sbagli, la foto di Nankatsu è là.» e gli indicò un’altra mensola su cui troneggiava una foto dall’alto della città in cui vivevano.
«Non DI Nankatsu, mamma! DELLA Nankatsu! La squadra di calcio!»
La donna spalancò gli occhi e si avvicinò a lui come un felino: gli poggiò una mano sulla fronte per saggiarne la temperatura.
«No, non hai la febbre.»
«Ma che febbre!»
«Allora hai bevuto! Ah, lo sapevo, non posso mai fidarmi di te.»
«Mamma, ma che stai dicendo! Ti ho solo chiesto…»
«Mi hai chiesto dove si trova una coppa di una squadra di… hai detto? “Calcio”? Che diamine è il calcio, Tsubasa!»
Per poco non svenne: fece giusto in tempo a sorreggersi al bracciolo del divano con entrambe le mani.
«Tesoro, ma stai bene? Sei sbiancato all’improvviso…»
«Co… come sarebbe a di… dire che non sai cos’è il calcio… - mormorò - E io a cosa gioco?»
«Mio Dio, è più grave di quanto pensassi… tu non giochi proprio a niente, Tsubasa. Ti sei appena diplomato e a breve inizierai l’università. Hai scelto Ingegneria Navale…»
«Ho scelto COSA!? Ma io sono una capra a scuola!»
«Oh, non dire così. Giochi con le navi da quando sei piccolo. Sei sempre stato l’orgoglio mio e di tuo padre.» lo liquidò tornando in cucina.
«È un incubo… non c’è altra spiegazione… solo in un incubo avrei potuto scegliere Ingegneria Navale!»
Raggiunse la madre e il fratellino e si sedette accanto a quest’ultimo, mentre Natsuko gli porse davanti una tazza di tè verde.
«Ti farà bene, vedrai.» gli disse con amore. Lui annuì, sperando di risvegliarsi quanto prima.
 
Invece che sentirsi riposata, a Sanae sembrava di essere più stanca di quando si era coricata. Si alzò e decise di farsi una doccia per riprendersi, dato che avrebbe dovuto affrontare il turno di mattina alla caffeteria.
«Sanae! Sei sveglia? - le gridò la madre dal piano di sotto - La colazione è pronta!»
«Arrivo!» rispose lei, infilandosi sotto al getto bollente della doccia. Adorava farla così, nonostante il caldo: le generava una sensazione di benessere che la faceva stare bene per tutto il giorno, e dopo la notte quasi in bianco che aveva passato, era ciò che le ci voleva. Cercò di ripensare ai sogni strani che aveva fatto: l’unica cosa che ricordava era che il personaggio principale era Tsubasa. Sicuramente era dovuto al fatto che l’aveva rivisto dopo tanti anni e che la cosa l’aveva scombussolata, forse perché era stato proprio lui l’oggetto della sua prima cotta. Ripensò con affetto a quel periodo in cui sventolava la bandiera che aveva orgogliosamente cucito a mano, da sola, a come si era sentita fiera del fatto che la Nankatsu avesse vinto il titolo contro quelli del Meiwa. Poi Tsubasa se n’era andato, aveva seguito Roberto (nonostante questi fosse fuggito lasciandogli una semplice lettera), e aveva iniziato a percorrere la via per realizzare il suo sogno… le venne un po’ di tristezza a pensare che lei, Sanae, non aveva mai avuto un sogno da realizzare, non aveva mai perseguito uno scopo, un obiettivo tutto suo. Anche adesso, che la scuola era finita e che doveva decidere che fare della propria vita, aveva tentennato scegliendo di tergiversare per un anno. E in più, Kanda le aveva chiesto, anzi, le aveva annunciato che si sarebbero sposati… come se la sua opinione non contasse nulla…
Tolse la condensa dallo specchio con una mano e si osservò. No, così non andava bene. Doveva davvero prendere in mano la propria vita e farne un capolavoro. Doveva parlare con Kanda.
Si vestì velocemente e scese le scale, depositò un bacio sulla guancia della madre e si sedette per fare colazione.
«Sei di buon umore stamattina.» osservò la signora Nakazawa.
«Voglio decidere che fare del mio futuro.»
«Mi sembra una buona cosa. - ne convenne la donna - Per quanto non mi dispiaccia il fatto che tu ti dedichi alla caffetteria, è giusto che tu decida autonomamente che strada percorrere.»
«Ti adoro, mamma.» disse lei, addentando una brioche.
«Ricordati che oggi sei a cena a casa Kanda: prendi una torta, mi raccomando.»
Sanae smise momentaneamente di masticare e osservò la genitrice con aria perplessa.
«Perché non me lo ricordavo?»
«Sciocchina, hai sempre voglia di scherzare.» la ignorò.
«Mamma, non sto scherzando… non ricordavo di dover andare a cena a casa di Koshi.»
«Sanae, vuoi dirmi che non ti ricordavi della tua cena di fidanzamento?»
Per poco la giovane non sputò il tè che stava bevendo.
«Cena di COSA?!»
La donna guardò la figlia come se avesse appena visto un marziano.
«La cena di fidanzamento, Sanae-chan. Koshi Kanda ti ha chiesto di sposarlo e tu hai accettato, non ricordi? Avete anche già deciso la data, Ottobre di quest’anno.»
«Impossibile: giocano il World Youth e se il Giappone arriva alle fasi finali non avrò né Ryo né Yukari.»
«Chi?»
Un fulmine attraversò la mente di Sanae, che solo in quel momento si accorse che dal mobile della cucina mancava la foto di lei e Yukari alla cerimonia del diploma.
«Che sciocca. Ho fatto tardi e adesso non ho più tempo! - si alzò e diede un altro bacio a sua madre - Ci vediamo più tardi, vado al lavoro!»
Uscì di casa di corsa e lungo al tragitto verso la caffetteria provò a pensare a cosa poteva essere successo. Probabilmente Koshi aveva chiamato sua madre e le aveva raccontato della loro conversazione, infiocchettandola e facendola passare come una richiesta di nozze accettata. Ma la foto? Impossibile che sua madre non riconoscesse Ryo e Yukari, avevano passato l’ultimo periodo della scuola gomito a gomito per studiare, molto spesso proprio a casa sua… e la foto, perché l’aveva spostata? Forse per far pulizia? No, impossibile… e se le fosse venuta qualche malattia grave, tipo Alzheimer? Non ci voleva nemmeno pensare…
Sospirò entrando in caffetteria, decisa a parlarne col padre che sicuramente le avrebbe detto che mamma era solo un po’ stanca ma… si bloccò quando si accorse che l’arredamento della caffetteria era cambiato. Invece che i soliti colori scuri, era tutto decorato in un rosa pastello, tipo casa delle bambole.
«Per l’amor del cielo…» mormorò, entrando lentamente e dirigendosi verso il bancone.
«Ecco la mia bambina! Buongiorno!»
«Papà ma… che è successo alla caffetteria?»
L’uomo si guardò intorno.
«Perché? C’è qualcosa fuori posto?»
«Ma… l’arredamento…»
Suo padre scoppiò a ridere.
«Lo so che vorresti qualcosa di più sobrio, ma ne abbiamo già parlato: a me piace così.»
«Ma ieri non era così… ne sono sicura…»
«Certo che era così, ieri. E anche ieri l’altro. E la settimana scorsa. Sono quindici anni che è così, da quando abbiamo aperto.»
Sanae si sentì mancare: non poteva credere alle sue orecchie. Cos’era, uno scherzo? Di cattivo gusto, pure. La caffetteria era diventata tremendamente kitsch, e la cosa peggiore era che lei era l’unica ad essersene accorta. I clienti, che erano quelli abituali, non si lamentavano per quel cambio repentino, né per i colori scelti.
Indossò il grembiule (di un tremendo rosa shocking) e cominciò con le sue mansioni: se era un brutto sogno, presto si sarebbe svegliata.
 
Buongiorno e ben trovate!
Ed eccoci qui, il colpaccio è arrivato: il calcio pare sparito dalla vita di Tsubasa *lol*
Come si comporterà il ragazzo che ha sempre vissuto in funzione del calcio? Non sarà facile per lui. E Sanae? Che ruolo avrà (a parte cercare di cambiare l’arredamento della caffetteria?)? E gli altri ragazzi?
Troppi, troppi, troppi quesiti.
Vi lascio alle vostre elucubrazioni e mi rinchiudo nella mia torre d’avorio per attendere i vostri commenti, le vostre impressioni e, perché no, anche gli insulti XD
Vi voglio bene
Sakura
PS: per chi fosse a Lucca, potrà trovarmi sabato. Sarò quella con addosso una maglietta che ricorda INEQUIVOCABILMENTE Tsubasa!
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6
 
Aveva girato tutta la città in cerca di un pallone: nulla.
Si era diretto al campetto della Nankatsu: al suo posto c’era un parco giochi.
Era andato in edicola per comprare una rivista sportiva: nessun accenno al World Youth, anzi, peggio ancora, nessun accenno al calcio.
Gli sembrò di essere finito in un mondo parallelo in cui il suo sport preferito non esisteva: un vero incubo per uno come lui, che ne aveva fatto la sua disciplina di vita.
Vagava da ore per Nankatsu senza meta, indeciso sul da farsi. Aveva appurato che non si trattava di un sogno in quanto dandosi un pizzicotto aveva sentito un male atroce, e adesso aveva il livido sull’avambraccio sinistro, così decise di consolarsi con un muffin di Sanae. Almeno lì si sarebbe sentito a suo agio.
Entrò nella caffetteria e subito gli saltò all’occhio l’arredamento (impossibile non notarlo, con tutto quel rosa); il padre di Sanae lo salutò cordialmente ma non con lo stesso calore del giorno precedente: era chiaro che in un universo in cui il calcio non esisteva, lui era uno Tsubasa Ozora qualunque.
Solo, gli parve che Sanae lo osservasse con aria strana, quasi curiosa: si avvicinò alla vetrina e ordinò un muffin.
«Come quello di ieri.» le disse.
«Quindi tu ti ricordi di ieri?»
Tsubasa alzò lo sguardo e la osservò stranito.
«Ehm, sì… dipende da cosa intendi.»
Lei strinse gli occhi e si affacciò sopra alla vetrina, avvicinandosi a lui.
«Di che colore era l’arredamento ieri, qui?»
«Se ti dico color mogano, ti metti a urlare?»
Lei non rispose: si tolse il grembiule e lo lanciò alla rinfusa.
«Papà devo andare, un impegno improvviso, sta male e devo accompagnarlo in ospedale!»
«Ma io sto benis… OOUCH!»
Non aveva perso tempo e gli aveva strizzato i lombi mentre lo spingeva fuori, impedendo al padre di muovere qualunque obiezione.
«Ma sei impazzita? Già ho un livido enorme qui.»
«Come te lo sei fatto?»
«Pensavo di essere in un incubo e ho provato a svegliarmi… ehi, che c’è. Non è carino ridere di me.»
Sanae non aveva potuto farne a meno: era scoppiata a ridere all’idea che il ragazzo si fosse messo a pizzicarsi da solo per cercare di capire se fosse sveglio oppure no.
«Comunque ti capisco, anche per me questa… “realtà” - mimò il gesto delle virgolette - è un incubo tremendo. A quanto pare stasera andrò a casa di Koshi a ufficializzare il nostro fidanzamento e a Ottobre ci sposeremo… così sarà durante il World Youth e né Ryo né Yukari potranno essere presenti.»
«Fossi in te non mi preoccuperei di questo… - Tsubasa lo disse convinto e non si fermò davanti allo sguardo perplesso della giovane - Non ci sarà nessun World Youth. Non ci sarà più nulla. È come se il calcio non esistesse più.»
«Che cosa?!» esclamò lei, sconvolta, ricollegando però il tutto alla strana reazione della madre quella mattina.
«Stamattina mia madre mi ha detto che mi sono iscritto a Ingegneria Navale… proprio io, che ho copiato i compiti dai miei compagni di banco fino all’ultimo giorno.»
Non c’era molto da ridere, ma a Sanae venne spontaneo: Tsubasa Ozora in un mondo senza calcio, questa sì che era una battuta di spirito.
«Almeno - disse, cercando di riprendere il controllo - avrò i miei testimoni di nozze.»
«Ma davvero ti vuoi sposare?»
A quella domanda, Sanae si bloccò e lo guardò come se gli avesse posto la domanda più assurda del mondo.
«Come?»
Tsubasa si voltò e la osservò stranito.
«Oddei, che ho detto? Ti ho solo chiesto se ti vuoi sposare con quel Kanda.»
Sanae ci rifletté. Voleva farlo?
«Io e Koshi stiamo insieme da tre anni.»
Lui inarcò un sopracciglio.
«Quindi ti sposi perché ci stai insieme da tre anni? Belle premesse per il vostro matrimonio, complimenti.»
«Ma che vuoi, come ti permetti di giudicarmi!» esclamò lei, infuriandosi.
«Guarda che sei tu che mi hai trascinato fuori.»
«Già. - Sanae si sovvenne in quel momento del motivo per cui era uscita dalla caffetteria con lui - Quindi tu ti ricordi di ieri?»
«Pensavo di essere l’unico a ricordarmi di quello che è successo negli ultimi otto anni.»
«Ma com’è possibile?»
«Ah non ne ho idea. - disse Tsubasa, sedendosi su una panchina - Fino a prima di rivederti pensavo di essere in un incubo. Almeno adesso siamo in due a darci supporto.»
«Possibile che non ci sia nessun altro? Proviamo ad andare da Yukari!»
Il ragazzo annuì e la seguì: tentare non avrebbe nuociuto.
 
La delusione nel constatare che non solo Yukari non la conosceva, ma non l’aveva neppure in simpatia dato il modo in cui la liquidò, fu tale che Sanae passò l’ora seguente a piangere sulla spalla di Tsubasa, che non sapeva che dire, né che fare. Si limitò a passarle dei fazzolettini che si era premurato di comprare al supermercato più vicino.
«Siamo state migliori amiche per tre anni, e questa non mi riconosce nemmeno! Le sono stata vicino, abbiamo condiviso tutto e adesso non sa chi sono!»
«Devi ricordarti che siamo in una realtà diversa… magari non avete neanche frequentato la stessa scuola…»
La giovane singhiozzò sommessamente, era proprio quello che la faceva stare male: come caspita c’erano finiti in quella realtà diversa, ma soprattutto… perché proprio con Tsubasa Ozora? Non se ne capacitava.
«Devo rientrare… ho la cena a casa dei genitori di Koshi…»
«Ti riaccompagno: almeno se ti vedono in questo stato, puoi dire che è stata colpa mia.» ironizzò lui. Lei lo osservò con gratitudine e gli sorrise.
«Non credo che saresti mai in grado di far piangere una donna… non volontariamente, per lo meno.»
Una farfalla variopinta passò in mezzo a loro due: svolazzò prima davanti al naso di Sanae, poi girò attorno a Tsubasa, e infine volò via.
«Bellissima…» mormorò lui.
«So spread your wings and fly, butterfly…» canticchiò la giovane, continuando a seguire il volo della farfalla. Si sentì osservata e si voltò, Tsubasa aveva puntato il proprio sguardo su di lei e non accennava a toglierlo.
«Che… che c’è?» chiese, imbarazzata.
«Adoro quella canzone…»
Per un istante fu come se il tempo si fermasse, se non ci fosse nient’altro che loro due al mondo. Davanti ai loro occhi apparve l’immagine di un ragazzo e una ragazza, alla fermata di un autobus, i loro sguardi innamorati persi l’uno nell’altra, poi un bacio, un saluto militare, un pallone da calcio, e il mezzo che si allontana accompagnato da un fiume di lacrime.
Tornarono alla realtà di quel momento completamente spaesati: Sanae si alzò in piedi e si allontanò correndo, Tsubasa rimase lì fermo come un ebete ripensando a come quel bacio, che aveva solo visto, sembrasse reale e veritiero.
 

 



 
 


Se ve lo state chiedendo, sì. La citazione è da Butterfly, di OnlyHope. E ora vi spiego anche perché.


Volevo un qualcosa che riconducesse alla storia originale del manga.
Una scintilla che permettesse ai due di avere quel flash della partenza di Tsubasa.
Ma più rileggevo il manga e più, ahimé, maledicevo Takahashi. Perché non c’era nulla che mi ispirasse. Al che,
ho pensato alla storia di OnlyHope. E lì, ho avuto l’illuminazione: perché è si una fan fiction, ma a mio avviso copre un buco che il Taka ha lasciato e soprattutto crea spunti interessanti per tutti gli amanti di questa coppia.



Ad ogni modo, quella farfalla fa riaffiorare una specie di ricordo nei nostri due protagonisti: che ne sarà di loro? Come si comporteranno, ora che pare siano soli al mondo?


Ne sapremo di piùsettimana prossima su Rieduchescional Ciannel. ‘mbuto.


Sakura

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7
 
La cena le era sembrata infinita, aveva sorriso e chiacchierato amabilmente ma dentro si sentiva morire: non aveva nessuna intenzione di sposare Koshi, e in quel momento le sembrava più chiaro che mai… come aveva potuto accettare una cosa del genere? E soprattutto, come faceva a non ricordarsi di averlo accettato?
Si rigirò nel letto per l’ennesima volta, conscia che la maggior parte dei crucci veniva da ciò che aveva immaginato lì al parco con Tsubasa. Ma lo aveva immaginato, o era vero? Era successo in qualche realtà diversa dalla loro? Una realtà in cui non c’era Kanda?
Puntò lo sguardo sul soffitto e ripensò all’immagine della fermata dell’autobus: erano lei e Tsubasa, indubbiamente. Più grandi di quando lui era partito per seguire Hongo, ma più piccoli rispetto ora. Provò a ripercorrere tutta la scena per notare qualche particolare, ma immancabilmente finiva per fossilizzarsi su quel bacio, così delicato, così pieno d’amore e di sentimento.
«Possibile…» mormorò. Possibile che lei e Tsubasa…
Chiuse gli occhi per scivolare tra le braccia di Morfeo, e sognò di un altro campionato nazionale giovanile in cui Nankatsu e Toho condividevano la vittoria, e Tsubasa e Hyuga issavano lo stendardo insieme…
 
Si svegliò con una strana angoscia addosso: si guardò intorno, la stanza senza i poster sul calcio non sembrava nemmeno la sua, ma non era quello a farlo sentire a disagio. Si voltò per cercare Daichi e l’angoscia aumentò quando notò che il suo lettino non c’era.
«No…» mormorò, schizzando fuori dal letto e scendendo le scale di corsa. In cucina, Natsuko stava preparando la colazione. Di Daichi nessuna traccia. Niente cuscino sulla sedia. Niente foto dei primi giorni di scuola. Niente foto con lui sulla spiaggia in Brasile.
«No…» mormorò di nuovo, rendendosi conto che, in una realtà dove non c’era il calcio, e di conseguenza nemmeno il suo trasferimento in Brasile, non esisteva neppure Daichi…
«Tesoro, tutto bene?» Natsuko gli carezzò una guancia.
«Perché mi hai fatto figlio unico…?»
Natsuko scoppiò a ridere e lo abbracciò.
«Adesso sta a te darmi un nipotino, altro che fratellino, Tsu-chan!»
Cercò di non piangere per non far preoccupare la madre, ma fece colazione al volo e uscì di corsa per recarsi da Sanae in caffetteria. Sperando che non sia sparita anche quella! pensò mentre, con la bicicletta, sfrecciava per le strade di Nankatsu.
Con sua somma gioia, la caffetteria dei Nakazawa era sempre lì, purtroppo sempre rosa, ma era comunque un porto sicuro. Gettò la bici davanti all’ingresso ed entrò, ansante e con gli occhi lucidi.
«Per l’amor del cielo, Tsubasa! - esclamò Sanae, andandogli incontro - Che succede?»
«Daichi non c’è più…»
La ragazza sbiancò e si appoggiò a un tavolino per sorreggersi.
«È… morto?»
Lui scosse la testa in senso di diniego.
«Non è mai esistito. Almeno, da oggi…»
Sanae si portò una mano sul petto e provò ad immaginare come si sarebbe sentita se, al risveglio, avesse scoperto che Atsushi non era mai esistito, e gli occhi le si inumidirono a tempo di record.
«E adesso?» gli domandò, sconvolta.
«Non ne ho idea… - mormorò lui, passandosi una mano tra i capelli - Non capisco cosa stia succedendo, perché stia succedendo, e soprattutto…»
«… perché siamo gli unici due a rendersene conto…» concluse lei.
«Forse dovremmo parlarne con qualcuno, tipo…»
«Misaki!» esclamò lei.
«No, non credo che Taro…»
«Non hai capito! - lo prese per un braccio e lo trascinò verso l’uscita della caffetteria - Ho appena visto passare Misaki da qui davanti! Prova ad andare a parlarci, vedi come reagisce, se ti conosce, vai!» e, dopo aver aperto la porta, lo lanciò fuori.
«Aehm… Misaki?»
Il giovane si voltò e osservò Tsubasa con aria interrogativa.
«Sono… aehm… Tsubasa. Tsubasa Ozora. Eravamo in classe insieme…»
«Tsubasa… stai bene?»
«S… sì, perché?»
Taro si avvicinò a lui e gli posò le mani sulle spalle.
«Sono anni che frequentiamo la stessa classe, Tsubasa. Da quando sono rientrato a Nankatsu con mio padre.»
Il giovane guardò l’amico con aria smarrita, poi un sorriso imbarazzato gli nacque sulle labbra.
«Eh eh eh… - ridacchiò, cercando di dissimulare - Ci sei cascato. Dai vieni, andiamo a mangiare qualcosa, ti va?»
Lo trascinò dentro alla caffeteria e lo fece sedere quasi a forza su un divanetto: Sanae li raggiunse immediatamente.
«Che vi porto?»
«Ciao Sanae, aehm… - Taro aprì il menù e lo lesse velocemente - Portami un frullato di frutta.»
Sanae annuì annotandolo sul block notes, poi si voltò verso Tsubasa.
«E per te?»
«Ah, il solito.»
Taro sgranò gli occhi.
«Solito? Mi sono perso qualcosa?»
I due si guardarono con aria smarrita, si erano completamente scordati che non sapevano assolutamente nulla di quella realtà.
«Ah… ehm… sì, è una nuova specialità! Si chiama “Solito”, l’ha creato papà, eh eh…» Sanae si allontanò lasciando i due ragazzi soli, e Tsubasa la maledì mentalmente per averlo lasciato nei guai.
«Allora tu e Nakazawa avete fatto pace?»
«Uh… ah-ha…»
«Sai… dopo quella volta…»
Tsubasa prese un tovagliolino di carta e cominciò a torturarlo.
«Beh… sì… sai… col tempo…»
«Bene, mi dispiaceva sapere che per colpa di Kanda non vi parlaste più.»
«Kanda?» la cosa si faceva interessante.
«Ma sì, quella volta che ti ha sfidato perché pensava che ci provassi con lei. Meno male che ti sei rifiutato di batterti, non oso immaginare le conseguenze…»
«Beh, mi conosci… - nicchiò Tsubasa - La violenza non è nelle mie corde…»
«Sì, poi c’è stato quel terremoto che definirlo provvidenziale è un po’ drastico, ma almeno ha smorzato le acque tra te e quel pallone gonfiato.»
Tsubasa si fece tutt’orecchie e giunse le mani davanti al viso.
«Terremoto?»
«Sì, non ricordi? - Taro lo osservò stranito - Stavate discutendo e a un certo punto la terra ha iniziato a tremare. Quando la scossa è terminata, ci siamo sparpagliati tutti e chi s’è visto s’è visto. In vita mia, mai avevo avuto a che fare con un sisma del genere, te lo assicuro.»
«Interessante…»
«Adesso ti interessi alla Sismologia? Niente più Ingegneria Navale?»
«No… beh… - arrossì non sapendo che dire - Quella è sempre stata la mia passione… lo sai… no?»
Provvidenzialmente Sanae arrivò a portare l’ordinazione, e dopo averla depositata sul tavolo, si sedette accanto a Misaki.
«Allora, di che parlavate?»
«Sì, beh… Taro-kun è felice che ci siamo riappacificati dopo la mia discussione con Kanda…»
«Quale disc… ah! Quella! - si interruppe subito, sotto lo sguardo attento del figlio del pittore - Beh… sai com’è… siamo amici da tanto…»
«Certo! È per questo che mi era dispiaciuto quando avevi dato la colpa a lui di tutto. - Taro bevve un sorso del suo frullato e continuò - In tutta onestà, sai bene come sono andate le cose. Poi ovvio che con gli occhi dell’amore difendi Kanda perché è così che deve anda…»
Il tavolino tremò.
La vetrata accanto a loro si infranse.
L’edificio scosse così forte da cigolare.
Rumori sinistri invasero la caffetteria, accompagnati dalle urla dei clienti.
I tre ragazzi si rifugiarono svelti sotto al tavolo, mentre un campanello di allarme si accese nella testa dell’ex calciatore futuro ingegnere navale.
 
Far sparire Daichi è stata la cosa più difficile che abbia dovuto fare. (beh, dopo quello che gli feci in Questa è la mia vita, questo è nulla, direte voi) Ma qui è solo un bambino ç__ç
A quanto pare, un altro punto fisso nella vita di Tsubasa è l’amicizia con Taro, che non è stata intaccata dalla non-presenza del calcio. Molto bene, direte voi. Muahahah, dico io.
Al prossimo capitolo, un capitolo a cui tengo particolarmente, per vari motivi, uno su tutti… muahahahah.
E per la gioia di Melanto… ‘mbuto
Sakura
 
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8
 
Quando quella mattina Tsubasa aprì gli occhi, ebbe il terrore di cosa poteva essere sparito dalla circolazione. Si alzò e scese le scale in maniera furtiva, quasi fosse un ladro in una casa non sua.
Non notò nulla di diverso dal giorno precedente, così andò in cucina convinto che i rumori di spignattamento fossero dovuti a sua mamma che preparava la colazione, ma…
«Ciao oniisan! Dormito bene?»
Tsubasa spalancò la bocca osservando la ragazza ai fornelli: oniisan? Cioè, lui era suo fratello? Quindi lei era sua sorella?
«Oh caro, ti sei già svegliato! Sakura voleva farti una sorpresa e prepararti una bella colazione alla francese.»
La giovane annuì e con un cenno del capo indicò la padella in cui stava cuocendo le crêpes.
«Sa… Sakura?!»
Osservò la sua presunta sorella e dovette convenire che assomigliava molto a Natsuko, con lo stesso colore di capelli e la stessa corporatura minuta. Aveva gli occhi di un castano intenso e chiaro, screziati di verde.
«Sì lo so, ti stai chiedendo che ci faccio ai fornelli. Ma ho imparato una ricetta nuova e volevo fartela assaggiare! Sono le crêpes suzettes
«Ha… hai fatto proprio bene.» mormorò lui, sedendosi. La sorella si avvicinò a lui e gli posò nel piatto la prima crêpes.
«Avanti, Tsu-chan. Dimmi com’è.»
Lui ne assaggiò un angolino, non avere un feedback su come cucinava sua sorella di certo non lo aiutava, ma se ne rese conto subito: sua mamma aveva gli occhi spalancati, quasi preoccupati, segno che attendeva da un momento all’altro la sua reazione di disgusto. Che però, non venne. Caspita, erano davvero buone.
«È buonissima.»
«Davvero?!» esclamarono madre e figlia, sebbene con due tonalità di voce differenti. Sakura fulminò la madre per la poca fiducia che mostrava in lei.
«Non puoi immaginare mamma, è davvero buonissima.»
La donna l’assaggiò e dovette convenire col figlio.
«Vi stupisco con effetti speciali.»
Sakura tornò ai fornelli e Natsuko e Tsubasa si scambiarono uno sguardo sollevato.
 
Non sapendo come gestire una sorella, dato che fino al giorno prima non esisteva, Tsubasa si lanciò chiedendo informazioni sull’unica cosa che aveva captato: in cucina era un disastro.
«Mamma era molto sorpresa del risultato delle tue crêpes.»
«Mamma non ha fiducia in me, lo sai.» rispose lei, sdraiandosi sull’erba accanto a lui.
«Non dire così…»
«Ormai me ne sono fatta una ragione, e accetto il mio destino: diventerò una casalinga provetta, così sarà finalmente fiera di me.»
«E invece che vorresti fare?»
Lei si sollevò sui gomiti e fissò il cielo.
«Mi piacerebbe tanto viaggiare… sono la migliore della classe, in inglese… mi piacerebbe imparare altre lingue, vedere il mondo, confrontarmi con culture diverse…»
«Ti vedrei bene con Misaki… - mormorò lui, sovrappensiero, salvo poi pentirsene quando la vide scattare a sedere e fissarlo con uno sguardo tra il terrorizzato e il colpevole - Che c’è?»
«Lo sai…»
«Lo so cosa?» adesso era davvero terrorizzato di aver fatto una gaffe epocale.
«Che sono innamorata di lui dalla prima volta che è arrivato qui a Nankatsu!»
«Aaah… sì… - rispose, come se se ne fosse ricordato solo in quell’istante - Che è stato… poco dopo il nostro arrivo… giusto?» chiese, cercando di far collimare gli avvenimenti del suo mondo con quella realtà distorta.
«Sì, qualche mese dopo… non ricordo di preciso quando, però stavo già meglio.»
Tsubasa si voltò verso la ragazza e la fissò con aria interrogativa.
«Tsu-chan, ma sei connesso oggi? Mi sembri su un altro pianeta. Ci siamo trasferiti a Nankatsu perché c’è il mare, per me… sai, lo iodio…»
«Sì, certo che lo so, solo che non avevo collegato che ci fosse voluto così poco per farti stare meglio.» cercò di difendersi. Sakura se la bevve e tornò a fissare davanti a sé.
Tsubasa ridacchiò, cercando di capire che effetto gli facesse che sua sorella fosse innamorata del suo migliore amico: conosceva bene Taro, mentre di lei non sapeva quasi nulla, ma non si considerava uno di quei fratelli gelosi e oppressivi che mettono i bastoni tra le ruote.
«Che hai da ridere? Tu sei messo molto peggio di me, sai?»
«Ah sì?»
«Sì, caro il mio Tsu-chan. Non capisco cosa aspetti ancora per dichiararti a Nakazawa-senpai.»
Tsubasa la fissò sgranando gli occhi.
«Credi che non me ne sia accorta? Non sono mica scema. Quando andiamo a fare merenda in caffetteria hai lo sguardo trasognato. E non mi raccontare la solita stupidata del “Siamo solo molto amici” perché non attacca!»
«Ti sbagli.» disse lui, convinto.
«Sarà. Ma a scuola gira già voce che adesso che voi senpai avete finito la scuola, Kanda-san le chiederà di sposarlo.»
«E tu come lo sai?»
«Ho le mie fonti tra i kohai.» rispose lei, con l’aria di chi la sa lunga.
Tsubasa si fermò a riflettere: dunque, anche se la versione della realtà era cambiata nuovamente, l’unica costante erano Kanda e Sanae. Ne doveva parlare con la ragazza, ma temeva di insospettire la sorella, soprattutto perché non sapeva che tipo di rapporto intercorreva con lei.
«Dai, oggi ti porto a far merenda alla caffetteria Nakazawa, contento?» gli disse la giovane, dandogli una piccola spallata affettuosa. Lui annuì e le sorrise dolcemente.
 
«Questa è bella!» esclamò Sanae quando Tsubasa, lontano dalle orecchie di Sakura, le aveva raccontato di quella mattina.
«Tu invece hai novità?»
Lei scosse il capo.
«Atsushi c’è ancora, e i miei sono entusiasti del fatto che io Kanda ci sposeremo.»
«Mia sorella dice che è solo una voce, quindi ha già ufficializzato?»
«Sì… - rispose Sanae in un sospiro - E la cosa tremenda è che… più va avanti questa storia e meno mi sento convinta. Forse perché mi ci sono trovata e non ho potuto decidere.»
«Una versione di te l’ha sicuramente deciso, intendo… in questa dimensione. Forse adesso la Sanae di questo mondo è nel nostro mondo e sta già organizzando il matrimonio.»
«Qui ho scelto te e Misaki come testimoni…»
«Sakura dice che siamo molto amici.»
«Sul serio? Chissà… - aggiunse poi la ragazza, fissando la giovane Ozora - Magari sarebbe andata davvero così, se tu non fossi partito per il Brasile.»
«Chi può dirlo? Nel nostro “mondo” ho compiuto questa scelta e ne sono stato molto contento…»
Un rombo preannunciò quello che ormai Sanae e Tsubasa avevano iniziato a riconoscere: la scossa di terremoto partì piano e salì di grado e intensità, fino a far tremare il locale e far cadere piatti e tazzine.
«Giù!» esclamò il ragazzo, chiamando a raccolta la sorella e aiutando sia lei che Sanae a nascondersi sotto un tavolino.
«Tsu-chan…»
Nei suoi occhi rivide lo spavento di Daichi, cosa che fu come una stilettata al cuore per lui: le passò un braccio attorno alle spalle e la attirò a sé, facendole posare la testa sul proprio petto.
Quando l’evento finì, per fortuna nessuno ne uscì ferito, i tre giovani uscirono da sotto al tavolo.
«Non ne posso più di queste scosse. - si lamentò Sakura, incrociando le braccia davanti al petto - ormai è quasi una settimana che andiamo avanti così, e nessuno ha dato spiegazioni.»
Tsubasa e Sanae si fissarono negli occhi, smarriti: quasi una settimana? Cioè praticamente da quando lui era rientrato a Nankatsu.
«Beh? Che avete? Ehi, dico a voi!»
«È successo qualcosa che ti ha colpito quando sono iniziate le scosse?» Tsubasa lo chiese senza distogliere lo sguardo dagli occhi di Sanae.
«Uhm… non mi pare… a parte… aspetta… però… - Sakura si morse il labbro inferiore - Forse è meglio che  ne parliamo in privato, Tsu-chan.»
«No. - la esortò lui - Parla pure.»
«Ecco… - iniziò a mordicchiarsi nervosamente - Misaki mi ha detto che tu e Kanda avete avuto una discussione e che… ecco… lui ti ha accusato di provarci con Sanae.»
«Che cosa?!» esclamarono i due all’unisono. Sakura arrossì e abbassò lo sguardo.
«Non ti arrabbiare con Taro, Tsu-chan. Avevo sentito la voce da una kohai e l’ho costretto a raccontarmi la versione dei fatti.»
«E che ti ha detto?» la incalzò il fratello.
«Che Kanda non era d’accordo sul fatto che voi due foste i testimoni di nozze di Sanae, però non poteva farci nulla, che però ti avvertiva di stare lontano da lei altrimenti ti avrebbe reso la vita un inferno.»
Sanae alzò un sopracciglio.
«Il Kanda di questo mondo è parecchio nervoso, pare avere poca fiducia in me.»
«Anche nell’altro mondo mi ha attaccato, pensando che ci provassi con te.»
«Pensi che…»
Sakura li osservò con gli occhi sbarrati: questo mondo?
«Mi sono persa qualcosa?»
Tsubasa la osservò e si intenerì a osservare lo sguardo smarrito della sorellina. Si avvicinò a lei e le posò una mano sulla spalla.
«Che rapporto abbiamo, io e te, Sacchan?»
«Fino a ieri avrei detto perfetto, ma oggi… non ti riconosco più. Inizio a pensare che stanotte tu abbia battuto la testa.»
Lui annuì, si guardò con Sanae e tornò ad osservare la sorella.
«D’accordo, ti spiego tutto…»
Seduti in un angolo della caffetteria, lontano da occhi indiscreti, Sanae e Tsubasa raccontarono alla giovane Ozora tutto quello che stavano vivendo da una settimana circa a quella parte. Quando ebbero finito, la ragazza rimase in silenzio per un po’ prima di parlare.
«Quindi nel “vostro mondo” - mimò le virgolette con le dita - io non esisto?»
Lui non rispose, si limitò a osservarla con aria colpevole.
«Beh, almeno non sei solo. Chissà che guai combineresti. - cercò di sdrammatizzare - Ma voi credete che i terremoti siano collegati a tutto questo?»
«A questo punto tutto è possibile…» mormorò Sanae, sconsolata. Tsubasa passò lo sguardo da lei alla sorella, quindi sospirò: era proprio un bel guaio.
 
Bene, ecco a voi la mia piccola Sakura Ozora.
Mi sembra doveroso introdurla: Sakura nasce nel lontano 1990, suppergiù, dalla fervida immaginazione di una bimbetta innamorata follemente di Holly&Benji.
Nel corso degli anni è evoluta (tipo Pokémon xD), è cambiata, è cresciuta, si è tolta di dosso i panni della MarySue ed è diventata ciò che è ora.
Su EFP ha fatto poche apparizioni, per lo più dalla penna gentile di Agatha e Karon, mentre su ELF potete trovare già più tracce di lei, in alcuni sprazzi che ho pubblicato nei mesi scorsi.
È una parte di me, siamo cresciute insieme e insieme abbiamo pianto per la partenza di Tsubasa per il Brasile, gioito per la vittoria del World Youth, e stiamo aspettando trepidanti la nascita dei nipotini XD Taka-sensei permettendo.  
Perché introdurla nella storia? Perché il What if riguarda Tsubasa, e questo è il mio personal canon, quindi ho pensato “Perché no? Magari li aiuta”
Grazie per il vostro sostegno, vi voglio bene, sempre
Sakura ;)

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9
 
Si sollevò di scatto e si guardò intorno: aveva sognato o era tutto vero? Si passò una mano sulla fronte madida di sudore e cercò di calmare il respiro affannoso. L’orologio sul comodino segnava le 8:45, così decise di anticiparne il suono e alzarsi per raggiungere la madre a fare colazione.
Scese le scale strofinandosi gli occhi e raggiunse la cucina strascinando i piedi sul pavimento.
«Buongiorno tesoro. Che brutta cera, dormito male?»
Annuì, sedendosi a tavola senza guardarla.
«Incubi.»
«Va tutto bene?»
Sakura annuì nuovamente, passandosi una mano tra i corti capelli castani, tagliati a caschetto.
«Tsubasa?»
«Si è alzato presto ed è andato a correre, vuoi raggiungerlo?»
«Sì, finisco colazione e vado.» immaginava dove trovarlo.
 
Lo raggiunse e si sedette accanto a lui sull’erba fresca: rimase in silenzio rispettando i suoi tempi, fino a quando lui sospirò.
«Non sono il tuo Tsubasa...»
«Lo sei. Sei comunque mio fratello. Da qualunque “realtà” tu provenga. Forse… - si rabbuiò, abbracciandosi le ginocchia - Forse è più difficile per te da digerire… intendo… avere una sorella…»
Le scompigliò i capelli e le sorrise dolcemente.
«Affatto. Penso che sia meraviglioso. E secondo me andiamo anche molto d’accordo.»
«Mmh… dipende.»
Lui inarcò un sopracciglio e la fissò, dubbioso.
«Ah sì?»
«In realtà sei un po’ geloso…»
«Io?!» esclamò esterrefatto. Non poteva proprio crederci. Lei sorrise e si mise a giocare con dei fili d’erba.
«Si perché quando Misaki è entrato a far parte della mia vita ti sei sentito un po’… messo da parte…»
«Wow… - mormorò, sinceramente colpito - Chi l’avrebbe mai detto che sarei stato un fratello pedante e rompiscatole?»
Lei scoppiò a ridere e lo abbracciò.
«Ti voglio bene, Tsu-chan.»
Arrossendo, ricambiò l’abbraccio, e le depositò un bacio sulla fronte.
«Ora cerchiamo di risolvere il tuo problema, anzi, il “vostro” problema. - disse lei con fare sornione, aumentando l’imbarazzo del fratello - Dobbiamo capire qual è stato l’errore che vi ha trascinato in questo vortice.»
«Errore?»
«Sì! Ci ho pensato stanotte, mettendo insieme i pezzi della storia. - disse lei, alzandosi in piedi e togliendosi l’erba in eccesso dalla gonna - Credo che tutto sia scaturito da un errore di sistema, sai, come nei computer. Un bug.»
«E tu come… lasciamo stare.» scosse poi la testa. Lei gli sorrise.
«Al corso di informatica sono la prima della classe! Andiamo, ti racconto tutto strada facendo.»
 
Sanae stava svogliatamente spolverando il bancone: il suo corpo era lì, ma la mente vagava altrove. Rivoleva la sua vita, i suoi amici, la sua routine. Si sentiva intrappolata in un vortice senza fine, anzi, la fine c’era, era il suo matrimonio con Kanda.
Aveva riflettuto molto sulla sua relazione col boxeur, e se i primi tempi le erano sembrati tutti rosa e fiori, se ripensava all’ultimo anno, aveva avuto un sacco di tentennamenti, che però aveva accantonato dandosi della sciocca ragazzina per aver solo pensato certe cose.
In realtà non era stata sciocca. Voleva sì bene a Kanda, ma… non lo amava, non più per lo meno.
La domanda successiva era palese: era stato rivedere Tsubasa che le aveva instillato il germe del dubbio?
Sì e no. Sicuramente lui aveva giocato un ruolo chiave, la sua prima cotta importante, il primo ragazzo che ti fa battere il cuore e che ti fa capire cosa sono i sentimenti… ma credeva davvero di averlo accantonato dopo la sua partenza…
E se non fosse mai partito? Se fosse rimasto lì? La fermata dell’autobus… quel bacio… ripensare a quella scena le provocò un’accelerazione dei battiti del cuore. Si portò una mano al petto, cercando di fermarli, ma era evidente che il suo cuore aveva già capito ciò che la sua mente cercava ancora di respingere.
«Stai pensando a me?»
Kanda era appoggiato al bancone, lei non si era neanche accorta della sua presenza.
«Koshi… ciao…»
«Ciao piccolina. - si allungò per accarezzarle una guancia, e lei abbassò lo sguardo sentendosi colpevole per ciò che aveva appena finito di pensare - Ehi, tutto bene?»
«Sì, sono solo un po’ stanca…»
«Stasera ce ne stiamo un po’ soli, eh? Ti va?»
Lei annuì, mantenendo lo sguardo basso e cercando di ostentare sicurezza e padronanza di sé. Cosa che le venne meno quando il tintinnare della porta scorrevole indicò l’ingresso di due nuovi clienti, gli ultimi che in quel momento avrebbe voluto avere sotto al naso.
«Guarda, guarda, i fratelli Ozora.» Kanda li accolse con un ghigno e incrociò le braccia con fare supponente.
«Ciao, Kung fu Kanda!» lo salutò Sakura.
«Ti ho detto di smetterla di chiamarmi così, kohai. Sei irrispettosa.»
«Non ho nessun motivo per portarti rispetto - rispose lei, seccata - dato che tu non ne porti a mio fratello.»
«Quell’ameba senza spina dorsale?»
Sentendosi chiamare con quell’appellativo, Tsubasa si voltò verso di lui giusto in tempo per vedere Sakura lanciarglisi contro: riuscì a fermarla un attimo prima che la sua mano destra atterrasse sulla guancia del ragazzo.
«Sacchan. No.»
«Tu non vuoi reagire, Tsu-chan, ma io non intendo lasciargli dire tutto ciò che vuole. Non si deve permettere di chiamarti così.»
«Va tutto bene. - le disse lui, nel tentativo di calmarla - Se ha un cervello grande come una nocciolina, non è colpa tua.»
Kanda, che già pregustava la vittoria, spalancò gli occhi.
«Come hai detto, scusa?»
«Hai capito bene. - Tsubasa lo fissò con astio, non sapeva cos’era successo, ma vedere la reazione di Sakura era stato come la classica goccia che fa tracimare il vaso già colmo fino all’orlo - E lascia in pace mia sorella.»
«Ozora, vuoi prenderle? Già una volta ti sei rifiutato, sappiamo tutti che sei un codardo.»
«Perché no? Magari una bella lezione è quello che ti ci vuole.»
Un rombo lontano ruppe il silenzio che era calato sui quattro: Sanae e Sakura non potevano credere alle proprie orecchie, mentre Kanda e Tsubasa continuavano a fissarsi negli occhi, nessuno dei due sembrava intenzionato a cedere.
«Dici sul serio, Ozora?»
«Mai stato più serio di così.»
«Che sta succedendo qui? - la voce di Misaki, giunto in caffetteria in quel momento insieme al padre, non distrasse i due conflittuari - Sakura? Sanae?»
La minore degli Ozora gli si avvicinò e gli sussurrò in un orecchio cos’era successo: lui sbiancò e si avvicinò all’amico, posandogli una mano sulla spalla.
«Non farlo.»
Un lampo squarciò il cielo cupo.
«Devo.»
E mentre pronunciava quelle parole, si rese conto che avrebbe dovuto farlo molto tempo prima.
 
Et voilà! Lo scontro è servito! Beh, dai, non ancora… vi lascio giusto giusto sulle spine una settimana, chissà se se le suoneranno di santa ragione, o se Misaki riuscirà a far desistere Tsubasa ^^
Nel frattempo, rinnovo il mio affetto per voi, vi ringrazio per continuare a seguirmi e sostenermi e per aver accolto così bene l’arrivo della mia Sacchan.
Vi abbraccio forte
Sakura

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10
 
A nulla erano valse le proteste di Misaki: Kanda e Tsubasa erano usciti dalla caffetteria, seguiti anche dalle ragazze, e si erano recati nel parco adiacente.
«Ok dai, abbiamo capito, siete forti e siete due maschi alfa. Adesso potete smetterla?» provò a dire Misaki, ma la sua voce fu sovrastata da quella di Sakura che incitava il fratello.
«Dai Tsu-chan, fagli vedere chi sei, rincalciagli il culo!»
«Sakura!» la ammonì Taro, lanciandole un’occhiata di biasimo. Lei si limitò a sorridergli e, per rabbonirlo, gli posò un bacio su una guancia.
«Poi ne parliamo.» disse lui, tornando a concentrarsi sui duellanti, che per il momento si stavano studiando.
«E così, Ozora, importuni la mia ragazza. Ho capito la tua tattica, sai? Fai l’amico, per poi portarmela via alla prima occasione!»
«Non sono il tipo, Kanda, anche se devo ammettere che faccio fatica a capire cosa ci possa trovare in te una come lei.»
«Siamo innamorati, e ci sposeremo. Mettiti il cuore in pace. Hai perso.»
«Ne sei sicuro?»
L’ennesimo lampo illuminò i volti dei due ragazzi, entrambi seri e concentrati. Sakura si aggrappò al braccio di Taro mentre Sanae iniziò a preoccuparsi per l’esito di quello scontro.
«Sanae. - la sorellina di Tsubasa attirò la sua attenzione - Sei fondamentale, ora. - lei non capì, allora Sakura si staccò dal braccio di Taro e le si pose davanti, mani sui fianchi e sguardo serio - Da che parte stai? Chi vuoi che vinca?»
«Io… non lo so…»
Lampo. Tuono. Tremolio della terra.
«Sanae, sei l’ago della bilancia.»
«Si può sapere che vuoi da me? Che stai dicendo!»
Sakura osservò Misaki, che la guardò di rimando con aria smarrita, quindi sospirò e decise che doveva metterlo al corrente, non poteva e non voleva tenergli nascosto nulla. Aveva imparato che, se voleva portare avanti una relazione stabile e duratura col ragazzo dei suoi sogni, doveva necessariamente essere sincera al 100% per evitare fraintendimenti e malintesi. Lo osservò e gli prese una mano.
«Taro… è una situazione un po’ complicata e… strana…»
«Inizio a rendermene conto.»
«Questi Tsubasa e Sanae che vedi qui, non sono gli stessi che conosci tu. Sono convinta che ci sia stato una sorta di… bug del sistema, come se… come se esistessero varie realtà ecco, che si sono sovrapposte a causa di un evento che ha scombinato la realtà principale. Hai presente quella teoria per cui ogni volta che prendi una decisione, che compi una scelta, si apre un universo parallelo in cui tu stesso hai preso la decisione opposta? Potrebbe essere considerata un’appendice della teoria dei multiversi, se vuoi. Ma io non sono molto ferrata in fisica, dico solo quello che mi è venuto in mente dopo che mi hanno raccontato la loro storia.»
«Posso saperne di più?» chiese Misaki, incuriosito.
«Certo che sì. - Sakura fece mente locale per partire dall’inizio - Dunque, nel loro universo iniziale, chiamiamolo Universo base, esiste uno sport chiamato calcio, e per via di questo sport Tsubasa, a 11 anni, si è trasferito in Brasile per diventare un calciatore preparato… non ridere, ci giochi anche tu, nel loro universo! - lui si interruppe subito, cercando di immaginarsi a praticare uno sport - Se non ricordo male, il tutto è iniziato con una serie di terremoti, che sono coincisi col rientro di Tsubasa a Nankatsu. - Sanae annuì - Bene. L’evento sismico più grosso c’è stato durante lo scontro alla caffetteria, dico bene Sanae?»
«Kanda ha sfidato Tsubasa, che si è rifiutato…»
Misaki trasalì.
«Vuoi dire che al rifiuto della sfida è seguito un terremoto? - le ragazze annuirono - Ma è la stessa cosa che è successa qui!»
«Esattamente! Il primo giorno dopo la sfida fallita si sono svegliati, e mancava il calcio. Universo 1. Poi mancava Daichi, fratellino minore di Tsubasa, di cui io non sono a conoscenza. Universo 2. Nell’Universo 3 ha trovato me.»
«Vuoi dire che tu non…»
«No… - rispose lei, con un sorriso melanconico - Io sono frutto di una qualche decisione di Natsuko e Koudai, in un qualche multiverso… ma non importa. - aggiunse - Adesso che mi seguite, vediamo di trovare il punto di rottura, il bug che ha generato tutto.»
«La sfida.» annuì Misaki.
«Esattamente. Ma Tsubasa non ha motivi per accettare la sfida di Kanda.» Sakura sembrava molto sicura di sé.
«Perché?» chiesero gli altri due. Lei sorrise vittoriosa.
«Perché non è innamorato di Sanae. O meglio - si corresse - non vuole ammetterlo. Teme che così facendo, si crei uno squilibrio che rovini la coppia Kanda-Nakazawa, senza sapere che in realtà, è proprio quella coppia alla base del bug. Ovviamente io parlo per il “mondo” in cui vivo io, ma se è stato quello l’evento che ha portato al crash, non credo di sbagliarmi di molto.»
«Kamisama…» mormorò Sanae.
«È da lì che partono i multiversi? Cioè… sappiamo che la teoria dei multiversi prevede che ogni misura quantistica faccia sì che l’universo si divida in tanti universi paralleli, uno per ogni risultato possibile*. Non mi guardate così, avete mai visto The Big Bang Theory? Tu pensi che sia valido per le decisioni personali. Ma questo implicherebbe l’esistenza di un numero incalcolabile di universi.»
«Hai un’ipotesi migliore?» chiese lei, piccata.
«No, mi va benissimo, ma voglio sapere come vuoi far tornare ognuno di noi nel proprio universo.»
«Facendo accadere ciò che deve accadere. Nello specifico: il terremoto è scaturito dal rifiuto di Tsubasa alla sfida di Kanda. Ergo, si devono sfidare.»
Un lampo illuminò nuovamente la radura.
«Avete finito di confabulare, voi tre? - esclamò irato Kanda - Ci sarebbe in atto una sfida, qui.»
«Rien ne va plus….» mormorò Sakura.
Kanda decise che aveva atteso abbastanza e si fiondò verso Ozora. Lo colpì in pieno con un pugno alla bocca dello stomaco: il ragazzo si piegò in due dal dolore ma cercò di non abbassare la guardia, e riuscì a schivare il colpo successivo. Kanda si sbilanciò appena, non immaginando che il suo avversario fosse in grado di difendersi, e fu colpito in pieno volto da un gancio di Tsubasa.
Il seguito fu molto confuso: ci fu un lampo di luce, che abbagliò i cinque occupanti della radura, dopodiché un rumore enorme, come di uno scoppio, e poi, il silenzio.
 
*(The Many-Worlds Interpretation of Quantum Mechanics, abbreviata in MWI)
 
 
Lo ammetto, io di fisica non capisco una cippalippa. Ergo, quando ho dovuto dare una spiegazione al casino che avevo combinato, mi sono affidata a Santa Wikipedia XD che mi ha aiutato con questa cosa fantastica dei Multiversi, di cui non ero a conoscenza ufficialmente, ma in cui, sotto sotto, ho sempre creduto. E difatti, ho messo in bocca a Taro e Sakura tutto ciò che ho pensato. Perché loro due? Perché Sakura, come avrete già immaginato, è la chiave di volta, ha già dato un paio di input non indifferenti. E adesso? Adesso ci risentiamo giovedì prossimo J
Baci dalla vostra Sakura, più vecchia di un anno ma non per questo più rimbambita XD (sicuri?? XD)

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11
 
Sanae si rotolò nel suo letto e si ritrovò faccia alla finestra. Un timido raggio di sole le illuminò il volto, così aprì gli occhi e si ritrovò nella sua camera. Sua. La foto della squadra della Nankatsu faceva capolino sulla scrivania: spalancò gli occhi per la sorpresa e si fiondò giù dal letto per prendere in mano la cornice. C’erano tutti! Ma allora Sakura aveva avuto ragione!
Corse giù per le scale e irruppe in cucina.
«Oh ciao tesoro, tutto bene?» la salutò la madre. Lei gli si lanciò tra le braccia dopo aver visto che la foto con Yukari era al suo posto.
«Oh mamma, ti voglio bene!»
La donna rise e ricambiò la stretta della figlia.
«Come mai tutto questo affetto mattiniero? L’idea di andartene da casa ti fa diventare più affettuosa?»
«Andarmene? Io non me ne vado!»
La risata della signora Nakazawa aumentò di livello, e Sanae si allontanò da lei per osservarla in volto.
«Mia cara - le carezzò una guancia con affetto materno - dubito che tu e Koshi veniate a vivere qui. Dovete crearvi il vostro mondo, fuori dal nido dei genitori.»
Mondo? Ma allora non era cambiato niente. Sanae era così confusa che non seppe che rispondere, così la donna la abbracciò nuovamente e lei rispose meccanicamente.
 
«Siete seri, stamattina. Avete litigato?»
Nessuno dei due fratelli Ozora rispose alla madre, entrambi si guardavano e non capivano cosa fosse andato storto. Erano ancora lì, avevano perso conoscenza dopo la sfida e si erano risvegliati solo quella mattina, sempre nello stesso universo, con l’unica differenza che era ricomparso il calcio.
«Abbiamo dimenticato qualcosa. C’è un dettaglio che ci sfugge.» mormorò la giovane non appena la madre si allontanò da loro.
«Comunque la tua idea ha funzionato, sono ricomparsi sia il calcio che il World Youth.»
«Sì ma siamo ancora qui. Cioè. Se ci sono io siamo ancora nell’Universo 3, no?» iniziava a confondersi pure lei.
«E se fossimo passati a un Universo 4 in cui ci sei anche tu? - lei alzò le spalle sconsolata - Comunque oggi ho allenamento, ne riparliamo più tardi. Passa a prendermi una volta finito, così andiamo in caffetteria insieme.»
«D’accordo…» mormorò lei, poco convinta e anche un po’ triste del fatto che la sua teoria avesse funzionato solo a metà.
Solo quando Natsuko tornò in cucina si rese conto che, in un universo dove esisteva il calcio lei non ci aveva mai vissuto… quindi doveva essere per forza cambiato qualcosa… quindi…
«Mamma?»
«Dimmi, tesoro.»
«Quanto tempo è passato da quando ci siamo trasferiti qui?»
La donna si bloccò e si voltò verso la figlia.
«Avevi 10 anni. Non ti ricordi più?»
«Mh.» mormorò lei, bevendo un sorso di tè verde.
«Nankatsu ti va stretta, eh piccola mia?» le depositò un bacio sulla nuca, la giovane non ribatté ma capì che doveva essere molto cauta.
 
Durante gli allenamenti, Tsubasa si era trattenuto dal parlare troppo: era vero che il calcio era tornato, ma ora aveva la variabile della sorella, e non sapeva come gestirla. Inoltre aveva avuto la sensazione che Taro lo evitasse, e gli era venuto il sospetto che c’entrasse proprio Sakura, dato che nel cosiddetto Universo 3, tra i due c’era del tenero.
«Cavoli, Tsubasa! - lo apostrofò Jito, avvicinandoglisi e dandogli una pacca sulla spalla - Tua sorella diventa sempre più bella, sei sicuro che siate parenti?»
Si voltò verso la panchina e la vide muovere una mano in segno di saluto verso di lui, quindi si staccò dal gruppo e corse verso di lei.
«Che informazioni hai ottenuto?» le chiese.
«Ci siamo trasferiti qui otto anni fa per la tua passione per il calcio, hai vinto il campionato e sei partito per il Brasile per seguire il tizio che ti aveva promesso di farti diventare una stella del calcio.»
«Roberto.»
«Sì, lui. Sei appena tornato per disputare il World Youth, poi probabilmente ti trasferirai in Europa. Coincide.»
«Pare di sì ma… che hai? Sembri giù di morale. Vedrai che ce la faremo a risistemare le cose.»
«Non è questo… - disse lei, abbassando lo sguardo - Siamo in un Universo 4 in cui io e Taro ci siamo lasciati.»
Una lacrima le solcò il volto e lui si trovò spiazzato da quella reazione: la prese per le spalle e la attirò a sé, circondandola in un abbraccio dentro al quale lei scoppiò a piangere.
«Ehi, che succede…?» Ryo, che come tutti gli altri aveva assistito alla scena, si era avvicinato e ora la osservava con aria preoccupata.
«Niente… - mormorò lei, asciugandosi le lacrime col dorso della mano - Scusate, vado a… controllare quella cosa.» disse al fratello, che annuì.
«Ti raggiungo tra un attimo.»
«Ma che aveva tua sorella? Di solito è sempre allegra e sorridente…» domandò Morisaki.
«Problemi di cuore.» si limitò a dire lui, lanciando un’occhiataccia a Misaki e dirigendosi verso gli spogliatoi.
Si fece una doccia in fretta e furia e uscì di corsa per raggiungere Sakura e Sanae alla caffetteria: doveva cercare di capire quanto si fossero mescolate le varie realtà. Stava per uscire dalla struttura quando una voce lo fermò.
«Tsubasa!»
Misaki gli stava correndo dietro, evidentemente aveva bisogno di parlargli.
«Dimmi.»
«Ho… notato la tua reazione, prima… credevo ci fossimo chiariti sull’argomento e…»
«Non mi piace vedere mia sorella in lacrime, tutto qui.»
«E sei sicuro che c’entro io?»
«Ah, andiamo! Se c’è una cosa che so di lei, è che è innamorata di te dal primo giorno.»
Il centrocampista abbassò lo sguardo.
«Non è facile, Tsubasa. Lei non è facile. La situazione non è…»
«Facile, sì lo so. Cioè, lo immagino. Però se stai male anche tu, vuol dire che forse la decisione presa è sbagliata, no?» disse vago, non sapendo di preciso cosa fosse successo tra i due.
Punto sul vivo, Misaki alzò lo sguardo e puntò le sue iridi nocciola nelle sue.
«Il bue che dà del cornuto all’asino.»
«Come, prego?»
«Hai lasciato Sanae a Kanda, e fai la morale a me.»
«Io non… kami…»
Fu come se un flash gli attraversasse la mente: si rivide fare a pugni con Kanda, ma non erano nella radura, erano… erano a scuola? Ed erano più giovani? Ma che… trasalì alla scena successiva, come se stesse guardando un film di cui era protagonista, ma che non aveva mai vissuto.
«Ho capito.»
«Hai capito?» Misaki non comprese.
«Devo andare da Sanae!»
Percorse il tragitto verso la caffetteria correndo, con il borsone a tracolla che gli tagliava il collo e gli rimbalzava sui lombi, ma non se ne curò. Aveva ricollegato il discorso fattogli dalla sorella, e ora gli era chiaro che il nodo della questione non erano Sanae e Kanda, bensì lui e Sanae. Come il flash che avevano avuto entrambi di loro due alla fermata. Come quel flash che aveva appena avuto di loro due dopo la scazzottata con Kanda. Non sapeva come, perché o quando, ma c’era una realtà, un ulteriore universo diverso da quello base da cui provenivano, in cui loro due stavano insieme.
Entrò nella caffetteria ansante, Sakura e Sanae erano al bancone che parlavano, la maggiore delle due che consolava l’altra. Si voltarono in contemporanea verso di lui e lo osservarono sconvolte.
«Beh?» gli chiese la sorella, ma si zittì subito quando vide comparire Misaki alle sue spalle.
Tsubasa non rispose, si avvicinò a Sanae, fissandola negli occhi. Lei non disse nulla, perdendosi in quelle iridi scure. Quando fu davanti a lei, le prese il viso tra le mani e, incurante della presenza degli avventori nonché dei genitori di lei, le depositò un casto bacio a fior di labbra.
Sakura esclamò un “Oh!” di sorpresa ma le sue labbra si incurvarono subito in un sorriso soddisfatto. Taro, che si era avvicinato, sospirò mormorando un “Finalmente!” che in pochi udirono. Ma la magia del momento venne interrotta. Qualcuno sbattè a terra un bicchiere. Quel qualcuno era Koshi Kanda.
Si udì un “Io ti ammazzo!”, e in un baleno Kanda fu sopra Tsubasa: cominciò a tempestarlo di pugni e calci senza che questi riuscisse a difendersi, colto troppo alla sprovvista.
Taro immobilizzò Sakura, che scoppiò a piangere e iniziò a chiamare il nome del fratello, mentre Sanae era troppo shockata per poter parlare. Fortunatamente Nakazawa-san intervenne e prese Kanda per un braccio, riuscendo a spostarlo.
«Non tollero queste scene nella mia caffetteria, Koshi. Vattene a casa, e fatti una doccia fredda per calmarti. Ne riparleremo a mente lucida.» e lo indirizzò verso l’uscita del locale
Il giovane si ricompose, ma prima di uscire si voltò e alzò il dito verso Tsubasa, che nel frattempo era stato soccorso dalla sorella e dall’Artista del Campo.
«Non finisce qui.»
«Siamo nei guai…» mormorò Sakura, tamponando il naso sanguinante del fratello.
«Può darsi… - mormorò lui - ma intanto splende il sole…» aggiunse, indicando il cielo terso.
 
Povero il mio Tsu, le ha prese di brutto a ‘sto giro. Ma non tutti i mali vengono per nuocere, il sole splende, come ha ben notato lui.
Speriamo che farsi legnare di brutto da Kung fu Kanda sia servito a qualcosa!
Grazie di cuore a tutti voi che ancora continuare a seguirmi, vi voglio sempre più bene J
Un abbraccio
Sakura 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12
 
Avevano passato il resto della giornata in ospedale, dove avevano fatto le lastre a Tsubasa. Il risultato era un paio di costole incrinate, il setto nasale rotto e il World Youth a rischio. Spiegarlo a Natsuko era stato semplice; Katagiri era stato un po’ meno comprensivo e già con Mikami si parlava di denunce. Ma Tsubasa si era rifiutato, non voleva denunciare Kanda, avrebbe messo in mezzo Sanae e la sua famiglia, e questa era l’ultima cosa che voleva.
La sera, dopo cena, i genitori di Sanae si presentarono a casa Ozora con un presente per il ragazzo, dichiarandosi dispiaciuti per l’accaduto: Natsuko aveva fatto gli onori di casa e li aveva fatti accomodare. Si erano voluti sincerare di persona delle condizioni del giovane perché Sanae, una volta rientrata dall’ospedale, si era chiusa in camera, così aveva raccontato la madre, e non ne era scesa nemmeno per la cena.
«Dev’essere sconvolta, povera cara… - il tono di Natsuko era sinceramente preoccupato - Anche il gesto di Tsubasa deve averla colta alla sprovvista.»
«Dovrebbe essere più sconvolta per ciò che ha fatto il suo ragazzo. - il padre di Sanae era davvero arrabbiato - Io non ho parole. Posso capire la rabbia ma… sembrava una furia.»
«Non l’abbiamo mai visto così…» sospirò la moglie, abbassando lo sguardo.
«Tsubasa si riprenderà, state tranquilli.»
«Ma potrà giocare…?»
«Non lo sappiamo. Ma confido in lui. Mio figlio è una forza della natura, quando si tratta di calcio.»
«E quando si tratta di Sanae.»
I tre si voltarono verso l’ingresso del salotto, dove Sakura li osservava, appoggiata allo stipite. Aveva gli occhi rossi e gonfi dal pianto.
«Come sta?» chiese Natsuko, facendole cenno di avvicinarsi a lei.
«Si è addormentato…»
«Noi vi salutiamo, togliamo il disturbo. Ozora-san, ancora, ci dispiace…»
La donna sorrise gentile e li accompagnò alla porta: quando se ne furono andati, vi si appoggiò e sospirò.
«Tsubasa, figlio mio… che hai combinato…»
 
Non aveva chiuso occhio tutta la notte, impegnata com’era a vegliare il sonno di Tsubasa. Così, quando si accorse che c’era qualcuno nella stanza, e che quel qualcuno stava russando, per poco non le venne un colpo.
«Tsu-chan… - lo chiamò, scuotendolo appena - Tsu-chan!»
«Mmmh, ancora cinque minuti…» e si voltò a pancia in giù. Sakura alzò un sopracciglio: dov’erano finiti i cerotti sul volto? E non gli facevano male le costole a stare a pancia in giù? Si sollevò appena sui gomiti per controllare sul comodino e vide che le medicazioni erano sparite.
«Ah, maledizione! Un nuovo fottutissimo universo
A quelle parole, Tsubasa spalancò gli occhi e si sollevò sui gomiti.
«Che hai detto?»
«Non vedi che stai bene? Non hai più nemmeno un graffio! E c’è qualcosa, o meglio, qualcuno che dovresti vedere…»
In quel momento, il piccolo Daichi Ozora si svegliò, si strofinò gli occhi e non appena mise a fuoco i due fratelli maggiori, sorrise apertamente e si fiondò sul loro letto per abbracciarli stretti.
«Siamo in vena di coccole stamattina, eh Daichi?» Tsubasa gli carezzò la testa con amore, felice di ritrovarlo lì: gli era mancato davvero tanto.
«Oggi c’è la conferenza e mi avete promesso di portarmi con voi!»
«Ah, sì? - rispose il giovane, ingenuamente, salvo poi rettificare una volta ricevuta una gomitata nello sterno dalla sorella - Ah, sì!»
«Coraggio, vai a fare colazione, noi ti raggiungiamo!» lo esortò Sakura, cercando di rimanere sola con Tsubasa per poter fare un punto della situazione. Lui si sedette sul letto e, alzando la maglietta, constatò che era realmente come se non fosse successo nulla.
«La trama si infittisce…» mormorò lei, sedendosi per terra.
«Vorrei andare da Sanae… - confessò lui, senza vergognarsi - Vorrei vedere come sta, come si son messe le cose con Kanda, cos’è cambiato… ho perso il conto del numero di universi, maledizione!»
Si alzò e con rabbia si diresse verso il bagno: Sakura osservò la porta chiusa per qualche istante, prima di scendere le scale per raggiungere madre e fratellino.
 
Tsubasa era nervoso, si vedeva dal modo in cui camminava. Sakura e Daichi lo seguivano a qualche passo di distanza, il piccolo Ozora aveva dato la mano alla sorella maggiore e si guardava intorno con aria serena. La giovane, dal canto suo, era dispiaciuta per il fratello maggiore, ma sapeva di poter fare ben poco. Era già un miracolo che fossero riusciti ad instaurare un’intesa così forte nonostante la situazione strampalata, in più lui si era ritrovato a fare dei conti con dei sentimenti nuovi verso una persona che conosceva appena.
Arrivati davanti all’albergo presso cui si sarebbe svolta la conferenza, Tsubasa si fermò di colpo: Sakura e Daichi non se ne accorsero, e la giovane sbatté contro di lui.
«Ahi, ma che…»
«Ciao…» sentì.
Si spostò verso destra per osservare meglio: Sanae era davanti a loro, proprio di fronte all’ingresso. Indossava un tailleur elegante che le lasciava scoperte le ginocchia, e una camicetta con lo scollo a V da cui si intravedeva la curva del seno. Tsubasa la fissava a bocca aperta, così Sakura parlò per lui, sogghignando del suo imbarazzo.
«Sanae! Caspita, stai benissimo! Che ci fai qui?»
«Mio padre, stamattina, mi ha ricordato della conferenza e mi ha lasciato a casa dal lavoro… non me la sarei persa per nulla al mondo.» le rispose, senza distogliere gli occhi da quelli del calciatore.
«Ottimo! Allora noi andiamo dentro a prenderci i posti migliori, ti aspettiamo lì!» e, facendo un occhiolino complice al fratello, si trascinò dietro un recalcitrante Daichi e sparì nella hall dell’albergo.
«Vedo che… stai bene. E che Daichi è tornato.» gli sorrise Sanae. Tsubasa si avvicinò e si fermò a un passo da lei.
«Siamo passati a un nuovo universo, a quanto pare. Tu stai bene?»
«Sì, anche se…» abbassò lo sguardo a terra.
«Kanda?»
«Mi spiace per quello che ti ha fatto, vorrei poter giustificare il tutto con un “non era il mio Koshi”, ma… so benissimo di che pasta è fatto, e… pensavo, sì insomma… che potesse essere quello giusto per me, ma…»
Tsubasa la interruppe posandole le mani sulle spalle, inducendola così ad alzare lo sguardo verso di lui.
«Non è colpa tua, e a tutto c’è rimedio, come vedi. Io sto bene.»
Le sorrise cercando di infonderle calore e sicurezza, al che la giovane annuì e gli sorrise a sua volta.
«Andiamo a vedere che ci riserva questo universo
Entrarono nella raffinata hall e notarono subito che c’era qualcosa che non andava: tutti gli sguardi si puntarono su di loro, quasi come se fossero stupiti di vederli insieme.
«Che c’è stavolta.» sbuffò il capitano del San Paolo, contrariato.
«Ne so quanto te… però… forse essendo molto vicini al nostro universo base, il fatto di vederci arrivare insieme li ha un po’ stupiti.»
«Ah, eccoti. - Ishizaki si avvicinò al ragazzo e lo prese sottobraccio, trascinandolo via - Lo sai che se ti becca il suo ragazzo…» gli sussurrò poi, quando furono abbastanza lontani da Sanae.
«Ci siamo incontrati qui di fronte.» rispose lui, secco, e anche infastidito da questo continuo nominare quello che era definitivamente diventato il suo rivale in amore.
«Lo so ma… lo sai com’è lui, no? Pensavo che Taro ti avesse prevenuto.»
«Sì, certo. A proposito, non lo vedo, dov’è?»
«Si sarà attardato. - gli rispose il difensore e, con uno sguardo ammiccante, gli diede un paio di gomitate sul braccio - Capisci che intendo, no?»
«No.» rispose quello, abbastanza confuso. Sua sorella era lì, quindi impossibile che… a meno che…
«Ieri è arrivata la sua “amica” - e sottolineò il concetto mimando le virgolette con le dita - Azumi dalla Francia, e credo che avessero molto di cui parlare…»
Sentendo quelle parole, Tsubasa ebbe l’impulso di andare a prevenire sua sorella, ma non fece in tempo perché proprio in quel momento l’Artista del Campo fece il suo ingresso accompagnato da una biondina. Si voltò subito verso Sakura e la vide fissare la coppia con stupore, salvo poi dedicarsi di nuovo al fratellino che scalpitava sulla sedia.
Fece per dirigersi verso di lei ma Katagiri lo intercettò e chiamò a raccolta tutti i ragazzi della Nazionale per dare il via alla conferenza stampa.
 
«Ma perché vuoi farmi andare in caffetteria anche oggi che ho il giorno libero, Ishizaki!» sbottò Sanae, alzando gli occhi al cielo.
«Perché adoro i dolcetti che sfornate te e tuo padre! - rispose lui, avvicinandosi a lei con aria sorniona - Per non parlare dei tuoi milk shake, o dei frullati di frutta, o…»
«Ok, ok, ho capito, maledetto d’un Ishizaki. Sei goloso da far schifo. - lo schernì lei, ben contenta però di ricevere tanta approvazione - Non sperare però che ti offra nemmeno una briciola, tirchio che non sei altro!»
«Ma come! Io sono un giocatore della Nazionale giovanile giapponese! Dovresti essere onorata di avermi nella tua caffetteria!»
«Sei un approfittatore, Ryo…» lo ammonì bonariamente Taro, posandogli una mano sulla spalla.
«Beh, intanto siete tutti ben felici di venire a mangiare le leccornie dei Nakazawa.» si difese lui, incrociando le braccia e mettendo il broncio.
Tsubasa approfittò del momento per avvicinarsi alla sorella, che si stava ancora occupando di un Daichi ben felice di potersi sbafare la sua adorata ciambella al cioccolato.
«Tutto bene?»
Lei annuì, mantenendo lo sguardo basso.
«Sono solo un po’ stanca per la notte in bianco e… un po’ scossa ancora per questi continuo cambi di Universo… - alzò lo sguardo e Tsubasa notò che aveva gli occhi lucidi - Rivorrei la mia stabilità… giuro che non mi lamenterò più della monotonia della mia Nankatsu!»
Tsubasa scoppiò a ridere, sinceramente divertito dal commento della ragazza, che non poté fare a meno di sorridere a sua volta.
«Sanae! - Sakura la chiamò a gran voce - Ci sono le ciambelle al cioccolato, vero? Altrimenti io e Daichi non veniamo!» le disse, sorridendole felice. La ragazza ricambiò il sorriso e si avvicinò, prendendo in braccio il piccolo Ozora.
«Per te ci sono e ci saranno sempre, piccola peste.»
Tsubasa adorò il modo in cui Sanae coccolò Daichi, facendogli anche un po’ di solletico per farlo ridere: in realtà, adorava Sanae, sotto ogni aspetto, e più passava il tempo, più capiva di essere destinato a lei. Non si sarebbe fatto fermare da Kanda, non gliene importava niente di lui: voleva solo stare con lei, abbracciarla, baciarla, amarla. Tutto il resto non contava. Si avvicinò e le carezzò una guancia, sorridendo a Daichi che allungò le braccia per farsi prendere da lui.
«Ozora! - una voce tuonò - Stai lontano dalla mia ragazza!»
Tutti si voltarono verso l’altro lato della strada in cui Kanda, gambe divaricate e pugno alzato, fissava con astio l’appena nominato capitano della Nazionale giovanile.
Tsubasa fece scendere Daichi e lo spostò leggermente dietro di sé a mo’ di protezione, facendo lo stesso con Sakura e Sanae, mentre il boxeur attraversava la carreggiata di corsa: quando furono l’uno di fronte all’altro, il boxeur fece per parlare ma Sanae lo fermò, alzando la mano verso di lui e intimandogli il silenzio. Il gelo calò sul gruppetto.
«Sono stufa, Koshi. Sono davvero stufa di questo tuo atteggiamento rissoso e cafone. Mi hai stancata con i tuoi ripetuti attacchi, non fai altro che prendertela con Tsubasa ogni volta che mi si avvicina! - un punto interrogativo comparve sul volto del suo ragazzo ma lei non ci fece caso, solo Tsubasa ridacchiò sotto i baffi perché aveva capito che lo sfogo di Sanae era dovuto all’alternarsi degli universi in cui Kanda non aveva fatto altro che aggredirlo - Non ce la faccio più, basta. È finita.»
La sensazione che pervase tutti fu come di una gabbia di vetro che si rompe e lascia uscire il contenuto: tutti erano attoniti, mai avrebbero pensato che Sanae compisse una scelta del genere, per giunta comunicandola davanti ad altra gente.
Kanda si riscosse e balbettò.
«Tu… mi… stai… lasciando?»
«Proprio così. È finita. Non posso stare con una persona che mi tratta come un oggetto, e tu nell’ultimo periodo non hai fatto altro che esibirmi come uno dei tuoi stupidi trofei. Sono stanca, non ne posso più, basta, vattene via.»
Si voltò per dargli le spalle: nessuno fiatò, tantomeno Tsubasa, che però continuò a scrutare il volto del suo rivale per sincerarsi delle sue intenzioni. Non gli piaceva e non gli sarebbe mai piaciuto.
«Tu. Non. Puoi. Lasciarmi - scandì, e avvicinandosi di un passo, le afferrò il braccio - È chiaro? Non ne hai nessun diritto!»
«Ahia! Mi fai male!»
Tsubasa non ci vide più: si avventò su Kanda e gli sferrò un destro in pieno volto, quindi prese Sanae per mano e iniziò a correre. Quando il boxeur si riprese, imprecò contro il calciatore e iniziò a rincorrerli: Sakura volle seguirli ma Taro, prontamente, la fermò, e le indicò un Daichi preoccupato e sul punto di piangere. L’istinto prevalse e, chinandosi verso di lui, gli carezzò la testa.
 
Aveva il cuore che batteva a mille mentre, nascosto dietro quella colonna, pregava con tutto sé stesso che Kanda non li scoprisse. Aveva chiaramente perso la testa, e loro erano in pericolo. Sanae era aggrappata a lui, gli occhi pieni di lacrime e paura, si mordeva il labbro inferiore per cercare di calmarsi. Lui le accarezzò la testa e cercò di rassicurarla col sorriso.
Con la coda dell’occhio vide Kanda uscire dall’edificio, poi sentì il rumore della sua moto che si allontanava e finalmente si rilassò, esalando un respiro.
«Credi che tornerà?» sussurrò lei, riacquistando un po’ di lucidità.
«Non lo so… ma penso sia meglio rimanere nascosti, almeno per stanotte. - notò un angolo seminascosto da dei cartoni e ci si diresse - Meglio che niente.» le sorrise, indicandoglielo.
«Vuoi che io dorma… lì??» esclamò lei inorridita.
«Hai un’idea migliore?»
Sanae ripensò allo sguardo infuocato di Kanda, al suo rincorrerli senza fermarsi, al cercarli per tutta Nankatsu a bordo della sua moto; scosse la testa in senso di diniego. Lui scostò i cartoni, controllò che fosse tutto relativamente in ordine e la fece accomodare.
Si sedettero l’uno accanto all’altra, e il silenzio scese su di loro: Tsubasa accese la torcia a dinamo che aveva rimediato e la mise al centro di quella capanna improvvisata.
«Hai freddo?» le chiese, notando che si era abbracciata le ginocchia.
«No… - mormorò - Pensavo a tutta questa situazione… come ci siamo finiti?»
«Non lo so… non ne ho idea, Sanae…»
«Che poi mi chiedo… perché tu ed io? Che cosa abbiamo in comune? Insomma…»
«Beh, tu avevi una bella cotta per me, alle elementari.»
Lei avvampò, non si aspettava una frase così diretta.
«Beh, che c’entra. Se è per questo tu non disdegnavi le mie attenzioni. - Tsubasa scoppiò a ridere - Non è divertente, sai?»
«Avrei dovuto capirlo subito che avresti giocato un ruolo importante nella mia vita. Quando ti sei presentata con quel bandierone cucito a mano…»
Lei avvampò, se lo ricordava? Beh, effettivamente sarebbe stato difficile dimenticarsi del caos che generava sugli spalti.
«Eri… diverso dagli altri. Avevi una luce negli occhi quando giocavi a calcio che brillava come una stella. Eri… felice, rendevi felici gli altri, non so… mi avevi colpito.»
Lui sentì le gote riscaldarsi, nessuno gli aveva mai parlato in questi termini: sapeva che il calcio era tutta la sua vita ma non credeva di essere riuscito a trasmettere le sue emozioni anche all’esterno, ai tifosi… ora che ci pensava, che si soffermava a ricordare i suoi primi mesi in Brasile, doveva ammettere che a volte lo sguardo gli cadeva sugli spalti e si immaginava di vederla fare il tifo per lui. Però, col tempo, il ricordo si era affievolito, causa anche dei suoi sporadici viaggi in Giappone, e quella lieve malinconia verso gli amici appena sconosciuti era stata scalzata dalla gioia di aver raggiunto traguardi importanti in ambito calcistico.
«Se non avessi insistito per partire… se fossi rimasto in Giappone… sarebbe stato tutto diverso…» osservò lui, abbassando lo sguardo, e per la prima volta Sanae capì che quel suo gesto di tanti anni fa non era stato un capriccio di un bambino, bensì la volontà di inseguire un sogno, pagato però a caro prezzo. Si era allontanato dalla famiglia e dagli amici, non aveva visto nascere e crescere suo fratello, non aveva vissuto tappe importanti dell’adolescenza concentrato com’era su quell’obiettivo che si era prefissato, inculcatogli anche da Roberto. Istintivamente gli posò una mano sulla spalla e gli sorrise.
«Ci vuole fegato per fare quello che hai fatto tu, Tsubasa. Non è da tutti. Ed è ammirevole l’impegno che ci hai messo e che ci metti tuttora per raggiungere il tuo obiettivo. Almeno tu ne hai uno da perseguire.»
«Tutti nella vita ne abbiamo uno.»
Un sorriso amaro nacque sulle labbra della giovane.
«Non tutti… - rimase in silenzio qualche istante, abbassando lo sguardo - Io non so ancora cosa voglio fare “da grande”. - e mimò il gesto delle virgolette - Ho passato gli ultimi tre anni a pensare solo a Kanda, e alla scuola, e adesso… - continuò, appoggiando il mento alle ginocchia - Adesso non so proprio che fare.»
«Cos’è che ti piace fare? Che ti riesce bene?»
Sanae si soffermò a rifletterci.
«A me piace tanto stare in cucina, in caffetteria. A volte, quando papà prepara delle ricette nuove, sto lì ad aiutarlo, e insieme sperimentiamo. Mi sento…»
«Viva?»
«Esatto! - esclamò lei, sollevando lo sguardo verso di lui e sorridendo felice - Non è tanto impastare, o mischiare gli ingredienti, è più il dare il tocco finale alle cose, questa o quella decorazione, la pasta di zucchero piuttosto che la crema al burro…»
«È la tua strada, ti brillano gli occhi quando ne parli.» le sorrise di rimando.
«Dici?»
«Dico…»
Si fissarono. Occhi negli occhi. Nessuno dei due riusciva a distogliere lo sguardo dall’altro. Illuminati dalla fioce luce della lampadina, i loro cuori iniziarono a battere all’unisono: quale emozione, quale sentimento li stava smuovendo in quel momento?
Tsubasa alzò una mano e la poggiò sulla guancia di lei, che socchiuse gli occhi solo per un attimo, beandosi di quel contatto. Li riaprì subito e lo fissò ancora, quasi come a incoraggiarlo. Lui si avvicinò lentamente, forse temendo un rifiuto, ma quando le sue labbra si posarono su quelle di lei, fu come un’esplosione di colori, tutto sembrava perfetto, come se fosse così che doveva andare.
Si avvicinò ulteriormente a lei e il suo corpo entrò in contatto con quello esile della ragazza: la attirò a sé e quando sentì la mano di lei sui pettorali fu come se una scarica elettrica lo percorresse. Approfondì il bacio e lei non si oppose, anzi, lo ricambiò, rendendolo più intimo.
Nella mente di Sanae vorticavano mille pensieri, non riusciva a spiegarsi l’attrazione per quel ragazzo, il suo sentirsi così inerme di fronte a lui e comunque attratta. La sua cotta pre-adolescenziale aveva covato sotto le ceneri per anni e adesso aveva divampato come un fuoco che brucia un covone di fieno.
Lo voleva, lo desiderava, in quei giorni passati a stretto contatto con lui si era accorta di quanto fosse gentile, premuroso e con la testa sulle spalle. Non era un pallone gonfiato, non si era montato la testa con la fama e la notorietà acquisita in Brasile. Era sempre lo stesso ragazzino che, correndo per Nankatsu palla al piede, aveva fatto breccia nel suo cuore.
E lo desiderava come mai aveva desiderato qualcuno nella sua vita. Nemmeno Koshi era riuscito a farle provare quel brivido necessario ad approfondire il loro rapporto. Tsubasa sì. In men che non si dica aveva acceso la sua passione. E lo voleva.
Si aggrappò a lui e lo baciò con più insistenza, con veemenza quasi, affondando le mani in quei capelli scuri ingellati in quel modo che tanto lo caratterizzava: lui la sollevò appena e la fece sedere sopra le proprie gambe.
Ardito, Tsubasa fece scivolare le mani sotto alla camicetta, indugiando appena come se temesse una reazione negativa che però non arrivò: continuò allora a baciarla accarezzandole la schiena, e stringendola a sé, quasi avesse paura che le scappasse.
Sanae si fermò un attimo per riprendere fiato e lo abbracciò forte, carezzandogli la testa: il cuore le batteva all’impazzata, era Amore? Non lo sapeva, ma di una cosa era certa: se non era riuscita a lasciarsi andare con Kanda era perché non lo amava. O, per lo meno, non come amava Tsubasa.
«Sanae…» mormorò lui, baciandole una spalla.
Lei si sollevò appena per tornare a fissarlo negli occhi, sorridente e felice.
«Non lo so. - disse lei, come rispondendo a una tacita domanda di lui - Non lo so cosa sia successo, non lo so da dove arrivi tutto questo… - fece aderire la propria fronte a quella di Tsubasa e chiuse gli occhi - Ma so che non sono mai stata più felice in vita mia.»
Di slancio, la baciò nuovamente. Ma stavolta era un bacio dolce, delicato, pieno d’amore.
La fece sdraiare sotto di sé e continuò a baciarla dolcemente: lei insinuò le mani sotto la sua maglietta e la sfilò, appallottolandola e gettandola alla rinfusa. Quando entrambi furono nudi, Tsubasa tentennò, temendo di correre troppo, di esagerare, in fondo non si conoscevano, avevano solo 19 anni, cosa stavano facendo? Ma gli bastò guardarla negli occhi per capire, capire che sì, era lei, era quella giusta. E che c’era un motivo se, prima di allora, non si era mai innamorato di nessun’altra.
 
Sono emozionata e agitata allo stesso tempo. Perché con questo capitolo raggiungo il climax della narrazione e vederli così mi commuove *_*
Spero di generare in voi le stesse emozioni che sono nate in me nel rileggerlo per ripubblicarlo.
Vi ringrazio ancora, e ancora, e ancora per seguirmi, lo so, sono pessima e non riesco a rispondere alle vostre recensioni ma sappiate che vi porto nel cuore
Un bacio
Sakura 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13
 
Sanae si mosse appena, iniziando a svegliarsi. Tsubasa aveva già aperto gli occhi da una mezz’ora abbondante e l’aveva passata a contemplare il sonno della ragazza. L’amava, non c’era alcun dubbio. Sorrise quando lei sollevò la testa e lo guardò, con gli occhi ancora semichiusi.
«’Giorno…»
«Ciao…»
Le baciò la fronte, e la strinse ancora a sé. Sapeva che, una volta usciti dal loro nascondiglio, le cose non sarebbero state così semplici, soprattutto per via di Kanda, e del pensiero di trovare il modo di tornare all’universo base. Ma in quel momento voleva ancora bearsi del calore dell’abbraccio di Sanae.
«Dici che dobbiamo alzarci?» fu come se lei gli avesse letto nel pensiero.
«Vorrei poterti dire di no, ma…»
«Facciamolo, allora. - con un’insolita carica si sedette e iniziò a vestirsi - Prima affrontiamo la questione, prima ci lasceremo tutto alle spalle. - poi, rendendosi conto di che le sue parole avrebbero potuto essere fraintese, si sporse verso di lui e gli posò un bacio a fior di labbra - Andrà tutto bene, Koshi ci lascerà in pace, vedrai.»
Uscirono dal cantiere mano nella mano, il sole faceva capolino all’orizzonte spazzando via il buio della notte, come succedeva dall’alba dei tempi.
«Avremo cambiato di nuovo universo?» chiese lei, preoccupata di dover rompere di nuovo con Kanda: non che non fosse convinta della scelta, ma il pensiero di dover riaffrontare il ragazzo la rendeva molto inquieta.
«Non credo… spero di no. Non avevo mai preso a pugni qualcuno e adesso l’ho già fatto… non so quante volte!»
Sentirono un’auto inchiodare dietro di loro, e mentre si voltavano videro Sakura scendere e dirigersi di corsa verso di loro.
«Mi avete fatto morire di preoccupazione!» esclamò, abbracciando il fratello e scoppiando a piangere.
Dall’utilitaria scesero Misaki e Azumi, visibilmente sollevati di aver ritrovato la coppia sparita.
«Allora, Romeo e Giulietta, - li schernì l’Artista del Campo, avvicinandosi e abbracciando Sanae - avete terminato la vostra fuga d’amore?»
«Che è successo?» sviò Sanae, indicando la giovane Ozora che non accennava a smettere di piangere, protetta dall’abbraccio fraterno.
«Si è presentata a casa mia in lacrime un paio d’ore fa: ha passato la notte a cercarvi in giro per la città, senza alcun risultato. Ha blaterato frasi senza senso come “Devo tornare nel mio mondo”, “So che non mi ami più”…»
«Dev’essere sconvolta, povera cara.» aggiunse Azumi.
Sanae sorrise amorevolmente pensando a ciò che Sakura aveva dovuto passare in quegli svariati passaggi di universi, dato che nel suo universo originale tra lei e Misaki andava tutto a gonfie vele, mentre lì, a quanto pareva, non erano mai stati insieme.
«Vi riaccompagno a casa.» sentenziò Taro, e li fece accomodare nei sedili posteriori.
«Temevo che Kanda vi trovasse e… sembrava proprio… non voglio nemmeno pensarci! Se vi fosse successo qualcosa, io… cioè, ormai sono di casa, no? Anche se vengo da chissà dove, se non ci conosciamo… kami, sto straparlando. Non ho chiuso occhio.»
Fu Tsubasa a prendere la parola, sempre sottovoce.
«Siamo nello stesso universo di ieri?»
«Assolutamente sì. Non è cambiato nulla. Mamma sarà preoccupatissima.»
«Tranquilla, a quello ci penso io.»
Taro scaricò prima Sanae a casa, dove Tsubasa si attardò a parlare con lei lontano da loro, poi riaccompagnò i fratelli Ozora.
«Ci vediamo all’allenamento, allora.» disse al neo capitano, prima di allontanarsi.
«Coraggio, ora andiamo a sorbirci il predicozzo di mamma…» sospirò Tsubasa, portandosi entrambe le mani sulla nuca e immaginando già ciò che Natsuko avrebbe detto loro, partendo dall’aggettivo “irresponsabile” e finendo con altri epiteti irripetibili. Entrati in casa, però, furono accolti dal silenzio: in salotto trovarono la genitrice sul divano, addormentata. Entrambi furono colti da un moto di tenerezza, nel vederla così, cercarono quindi una coperta e gliela misero, per poi andare nella loro stanza, dove Daichi dormiva profondamente.
«Un nuovo giorno… e sono ancora qui…» mormorò Sakura, gettandosi stancamente sul letto. Tsubasa le si avvicinò e la coprì col lenzuolo.
«Riposati, Sacchan… son due notti che non dormi, e sono successe tante cose… ne riparleremo a mente lucida, ok?»
«Tu dove vai?» chiese lei, una nota d’ansia nella voce assonnata.
«Ad allenamento! Almeno mi mantengo in forma e sgombero la mente. Ci vediamo più tardi.»
Le posò un bacio sulla fronte e quando si voltò per chiudere la porta, lei stava già cadendo nel mondo dei sogni.
 
Il messaggio di Sanae era stato strano, molto strano. Quasi criptico.
Gli aveva ordinato di correre in caffetteria una volta terminato l’allenamento, cosa che lui stava facendo. Era preoccupatissimo che fosse successo qualcosa, che ci fosse un ennesimo cambiamento, un nuovo universo, un nuovo fottutissimo universo, o che altro… ma quando entrò in caffetteria capì immediatamente di che si trattava.
«Mogano…» mormorò.
L’arredamento era tornato quello del loro universo base. Tutto, all’interno, era come l’universo base.
«Quando sono entrata qui, stamattina, e ho visto l’arredamento… ho realizzato che eravamo tornati a casa…»
Sanae gli si era avvicinata e gli aveva sorriso, pronunciando quelle parole.
«Ne sei… sicura? No, perché ne abbiamo viste talmente tante che…»
«Kanda ha chiamato i miei, dicendo che le nozze erano annullate, e mia madre gli ha risposto che neanche sapeva che mi aveva chiesto di sposarlo. Ci è rimasto talmente tanto male che ha riattaccato senza aggiungere altro.»
Lui la osservò in volto, vi si leggeva la gioia e l’amore che stava provando in quel momento.
«Adesso tocca a te…» aggiunse lei, sorniona.
Lui subito non colse, ma quando la vide sghignazzare arrossì vistosamente, ma non si fece cogliere impreparato. Si inginocchiò, le prese una mano e alzando volutamente il tono di voce per attirare l’attenzione di tutti, esclamò:
«Sanae Nakazawa, posso avere l’onore di uscire con te?»
La ragazza avvampò, mentre i pochi avventori del locale iniziarono ad applaudire, e il padre di Sanae si asciugò una lacrimuccia che era sbucata. Lei, dopo essere arrossita come una scolaretta, aveva annuito e si era lasciata abbracciare e sollevare da terra da uno Tsubasa al settimo cielo.
Proprio mentre stavano per festeggiare, con Nakazawa-san che correva avanti e indietro per la caffetteria a dire a tutti che “sua figlia frequentava il miglior calciatore del mondo”, al calciatore in questione venne in mente un dettaglio non da poco.
«Sakura…» mormorò.
Sanae si rabbuiò, pensando alla giovane.
«Siamo tornati dove siamo partiti, e ce la siamo trascinata dietro… come faremo a…»
«Vado a casa a parlarle.»
«Vengo con te! - esclamò Sanae di getto - Ormai… mi sono affezionata a lei. È una brava ragazza e ha fatto tanto per noi. Mi ha aperto gli occhi…»
Tsubasa annuì, e insieme si diressero a casa Ozora.
Entrarono salutando Natsuko che era ai fornelli, la quale non si stupì di vederli arrivare insieme, si limitò a sorridere e annuire a più riprese. Con una strana sensazione addosso, Tsubasa salì le scale e aprì la porta della camera.
«Sa... kura…»
Della ragazza non c’era traccia. Né i vestiti lasciati in disordine sul tappeto, né i portagioie, o i libri di scuola. Come se non fosse mai esistita.
Il calciatore si guardò intorno, spaesato: riempì i polmoni e nemmeno si accorse che nell’espirare gli era uscito un singhiozzo. Sanae gli si avvicinò e gli appoggiò una mano sulla schiena.
«Tsubasa… lo sai…»
«Sì… - rispose lui, abbassando lo sguardo - era così che doveva andare…»
 
Ed eccoci qui… tornati al punto di partenza dopo un viaggio che è sembrato quasi infinito. Ogni cosa è tornata al suo posto, e anche Sakura è tornata lì dove deve essere, nella fantasia di fanwriter che l’ha creata. Ma è stato bello farvela conoscere, grazie per l’affetto che le avete riservato.
E grazie anche per avermi seguito, per aver congetturato con me in tutti questi universi, per aver corso dietro a Tsubasa, aver inveito contro Sanae e aver pensato “Kanda, ma che…?”
Ci vediamo settimana prossima, con l’epilogo di questa avventura
Buon Natale, mie dolci lettrici, spero che Babbo Natale abbia esaudito i vostri desideri, materiali e non J
Sakura 

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Capitolo 15
*** Epilogo ***


Epilogo
 
Erano passati tre anni. Tre anni intensi, difficili, con una lontananza da gestire, ma che comunque aveva dato buoni frutti.
Tsubasa, dopo la vittoria del World Youth, era tornato in Brasile e dopo poco aveva iniziato a ricevere offerte da prestigiosi club europei. In seguito a un sogno di Sanae, si era trasferito a Barcellona, aveva faticosamente conquistato un posto in prima squadra e si stava impegnando a fondo per diventare sempre più bravo.  
Sanae, dal canto suo, aveva finalmente deciso che fare del suo futuro: si era iscritta a una scuola di alta pasticceria e aveva conseguito il diploma, per poi specializzarsi in decorazione. Aveva svolto un tirocinio di un anno in una famosa pasticceria della capitale e adesso era pronta per trasferirsi in Spagna dal suo fidanzato. Pardon, quasi-marito.
Gli si avvicinò silenziosamente e lo osservò qualche istante, prima di abbracciarlo da dietro e posargli la fronte contro le scapole.
«Come facevi a saperlo?»
«Che ti avrei trovato qui? Sei prevedibile, Tsubasa-kun. - lo schernì lei - Non è da qui che hai calciato il pallone a villa Wakabayashi con la sfida per Genzo? Tutto è iniziato da qui… compresa la nostra storia…»
Il ragazzo si voltò e la abbracciò a sua volta, baciandole i capelli e chiudendo gli occhi per assaporare il suo profumo.
«Hai dei ripensamenti?»
«Assolutamente no. - rispose lui, sicuro - Pensavo solo a quanto è cambiata la mia vita negli ultimi anni. Sono tornato in Giappone per ottenere un titolo mondiale… e oltre a quello ho conquistato la vittoria più bella.»
La sentì sorridere nonostante avesse il viso affondato nella sua felpa azzurra.
«Tsubasa… - lei alzò lo sguardo e lo fissò - ci stai ancora pensando?»
Il ragazzo non rispose, non ce n’era bisogno: da quando Sakura era sparita dalle loro vite (nella realtà dei fatti, non era mai esistita), lui aveva sentito come un vuoto dentro, e Sanae ne era consapevole. Ne avevano parlato, e lui più e più volte si era chiesto il perché in quell’universo, nel loro universo base, non ci fosse stato posto per lei.
«Dovresti parlarne con Natsuko.»
«E cosa le dico? “Sai, mamma, ho incontrato una sorella, in un universo parallelo, e mi chiedevo come mai non ne ho mai avuta una”.»
Lei scoppiò a ridere, e lui si beò del suono della sua risata argentina.
«È una madre, basta che introduci l’argomento in qualche modo, il resto… verrà da sé. Ora andiamo, o ci daranno per dispersi. Stasera vogliono tenerci separati, lo sai.»
«Per l’ultima volta. Da domani sarai la signora Ozora, per sempre.»
«Per sempre.» ripeté lei, alzandosi in punta di piedi per baciarlo.
 
Natsuko entrò nella camera del figlio e lo trovò davanti allo specchio, intento a contemplare la propria immagine.
«Sei bellissimo…»
«Mamma… non ti ho sentito entrare.»
«Nervoso?»
«Pensieroso, è da un po’ che…»
Si grattò la nuca: era il giorno delle sue nozze, e lui continuava stupidamente a pensare a quella sorella che non c’era. Non sapeva come definirla, quella sensazione: forse era un senso di colpa per non averla nemmeno potuta salutare, per non averle nemmeno potuto dire che le era grato per ciò che aveva fatto per loro. Era merito suo se lui e Sanae stavano insieme.
«Tu e papà non avete mai pensato a fare altri figli, oltre a me e Daichi?»
Natsuko Ozora sobbalzò leggermente, e si sedette sul letto del figlio: dal piano inferiore giungevano chiare le voci dei parenti e degli amici, radunati per accompagnare Tsubasa fino in chiesa.
«Eri talmente piccolo che ovviamente non ti puoi ricordare… - gli fece cenno di sedersi accanto a lei - Ma prima che tu compissi un anno, io rimasi incinta. Eravamo al settimo cielo perché nonostante fossimo consapevoli che due bambini piccoli a così poca distanza l’uno dall’altro sarebbero stati un impegno non indifferente, sapevamo che avresti avuto qualcuno accanto per il resto della tua vita, che ti avrebbe accompagnato passo dopo passo, con un legame di sangue indissolubile.»
«Oh…» mormorò Tsubasa, immaginando già il finale.
«Non arrivai nemmeno alla fine del secondo mese, ebbi un aborto spontaneo. I medici mi dissero che poteva capitare, e mi incoraggiarono a riprovare, ma io ero talmente distrutta dal dolore che non ebbi più il coraggio. Poi tu sei cresciuto, mi hai riempito d’amore - gli carezzò amorevolmente la testa - il resto lo sai.»
«Se fosse stata una femmina, come l'avreste chiamata?»
Natsuko sorrise, di quei sorrisi malinconici che ti fanno capire che quell'argomento non è accantonato, bensì vivo nella mente.
«Sakura. Era stata concepita a primavera.»
Il cuore del ragazzo sussultò, e non poté fare a meno di sorridere a sua volta. Il sorriso della sorella, quella che aveva conosciuto e, ne era sicuro, che sarebbe stata, gli comparve davanti.
La madre lo lasciò da solo, scendendo in salotto dai parenti in attesa dello sposo. Il ragazzo rimase seduto sul letto per un istante, prima di accorgersi che la finestra della camera era aperta: si alzò per chiuderla e una folata di vento lo colse, facendo volteggiare dei petali di ciliegio fino a lui. Uno di essi, fluttuando, si posò sulla sua mano appoggiata al davanzale.
«Sakura... - mormorò sorridendo di gratitudine - Sakura Ozora...»
 
Appendice
«Sei sicura di non voler cambiare il nome? In fondo adesso questa è la tua pasticceria!»
Sanae incrociò le braccia e fissò con aria soddisfatta l’insegna del locale, marrone su sfondo crema, che riportava il nome scelto dai precedenti proprietari.
«Perché? Mi piace. Darà un senso di continuità. E poi all’interno ho fatto aggiornare i menù.»
Estrasse dalla borsa un foglio plastificato che riportava i colori scelti per l’interno. Tsubasa lo prese e lesse ad alta voce.
«Gatsby’s by Sanae. Mi piace!» esclamò lui.
«E non hai ancora visto il meglio, vieni!»
Lo prese per un braccio e lo portò all’interno, dove un paio di persone si stavano attardando per ultimare i lavori necessari alla riapertura. Sanae li salutò calorosamente e portò il marito di fronte al bancone, spalle alla sala.
«Sei pronto?»
«Inizio a preoccuparmi.»
Lei ridacchiò e lo fece voltare: la parete sul fondo, quella accanto alla vetrata d’ingresso, rappresentava Nankatsu, la sua baia, il monte Fuji alle spalle, il tutto contornato da delicati fiori di ciliegio che incorniciavano il dipinto.
«Misaki-san è stato qui e ha dipinto la parete in pochissimo tempo. Gli ho chiesto io di aggiungere i fiori, e lui ne era entusiasta. Che dici, ti piace?»
Ancora piacevolmente sorpreso per l’idea avuta dalla moglie, Tsubasa le passò le braccia intorno al collo senza distogliere lo sguardo dal dipinto.
«È bellissimo. Tu sei bellissima. E io ti amo, Sanae.»
Lei appoggiò la testa sulla sua spalla e sorrise.
«Mi amerai ancora anche quando sarò grassa come una balena?»
Le labbra dell’uomo si incurvarono in un sorriso dolcissimo, mentre posava la mano sul grembo della donna.
«Ti amerò anche di più, se mai sarà possibile.»
 
Fine.
Per davvero.
Questo epilogo è servito a dare un po’ di spazio in più alla mia piccola Sakura per darle un giusto commiato, e per ricongiungermi con il manga.
L’appendice è nata dopo che Melanto ha postato una foto di un locale che si chiama, appunto, Gatsby’s, e da lì mi è venuta l’idea di aggiungere queste poche righe per dare una degna conclusione al percorso intrapreso da Sanae, che no, non è la donna zerbino, perché se nasci Anego, lo rimani per sempre. *alzapugno*
Qui, con gli auguri di un felice e sereno 2015, vi saluto e vi ringrazio per l’appoggio e il sostegno e tutte le belle parole che avete speso per me. Vi ringrazio per aver ritagliato spazio da dedicare alla lettura della mia storia, per me è stato un piacere e un onore compiere questo cammino con voi.
Speriamo in un 2015 da dedicare in pieno alla scrittura e a CT, con un bel progetto che sta nascendo, e vi invito a cercarci su Facebook “EndLess Field- Captain Tsubasa Italian Fan Club”
Vi aspettiamo
Baci, Sakura chan
 

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