Hunger Games

di Lurilala
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Dal Trattato del Tradimento
Come punizione per la rivolta, ogni Distretto offrirà in tributo un ragazzo e una ragazza fra i 12 e i 18 anni in una pubblica "Mietitura".
Quei tributi saranno tutti presi in consegna da Capitol City, quindi trasferiti in una pubblica arena dove si sfideranno in un combattimento mortale finchè rimarrà un unico vincitore.
D'ora in avanti e per sempre questo spettacolo sarà conosciuto come:
Hunger Games




Il palco era illuminato da luci colorate e accecanti.
Il pubblico esplodeva in urli di giubilio.
Il presidente Snow si aprì in un sorriso al gusto di sangue.
-Felici Settantaseiesimi Hunger Games a tutti.- un lampo negli occhi. -Possa la buona sorte essere sempre a vostro favore!-




**
Tic-tac. Tic-tac. Tic-tac. Tic-...
-Kiara!!-
La giovane non si mosse al richiamo della sorella, continuando a fissare le gocce che si infrangevano sul vetro della finestra.
La luce della abat-jour si rifletteva negli suoi occhi elettrici, e il ticchettio dell'orologio si mischiava al rumore apatico della pioggia.
Sospirò, arricciandosi febbrilmente una ciocca di capelli rossastri, agitata.
Una goccia di sudore le scivolò lungo il collo, facendola rabbrividire, mentre Shiva, la sua sorellona, entrava veloce nella stanza.
Si girò lentamente, la più piccola, mentre un sorriso appena accennato e involontario si faceva strada sulle sue labbra sottili.
La più grande accese la luce della stanza, che si illuminò tutto d'un tratto di luce asettica e bianca proveniente dal lampadario appeso al soffitto.
-Che fai ancora qui? Non ti prepari?- Shiva era più grande di Kiara.
Aveva sedici anni, e lunghi capelli neri, belli e lisci, che ricadevano con eleganza lungo le spalle e le conferivano un'aria aristocratica.
A confronto, Kiara avrebbe potuto essere una contadina, con quei capelli rossicci e folti.
L'unica cosa davvero speciale della minore erano i suoi occhi, splendenti come quelli del padre, blu elettrico come quelli della nonna.
-Su, non fare così. Hai già passato una Mietitura, no? Non ha senso deprimersi così.- Le sorrise un po', e Kiara si accorse che quello era un sorriso storto e falso, fatto solamente per tirarla su di morale.
No, decisamente Shiva non era brava a mentire.
La rossa sospirò, senza però parlare.
Allora la maggiore le venne vicino, cingendole le spalle con le braccia, affettuosa e dolce come era sempre il giorno della Mietitura, come non era mai negli altri giorni.
Shiva diventava la più buona sorella del mondo solo in quell'evento, e andava bene così a tutte e due.
-Vieni, Scintilla.- Esclamò scompigliandole i capelli e avvicinandosi all'armadio della piccola, e Kiara sorrise.
Era un soprannome che la maggiore le aveva dato quando erano piccole; ed era anche azzeccato, dato che una volta la rossa aveva quasi dato fuoco alla casa per colpa di una scintilla uscita da un cavo elettrico con cui stava armeggiando.
Shiva spalancò le ante dell'armadio, buttando sul letto, di fianco alla rossa, numerosi vestiti di colori e stoffe svariate.
-Allora, che ti metti?-
Kiara si tirò in piedi, e guardò per qualche secondo i vestiti, prima di scegliere il suo preferito, quello che aveva indossato anche l'anno prima.
Era un abito con una gonna a sbuffo piena di balze che arrivava fino al ginocchio; il corpetto era tempestato di ricami dorati che ricordavano la simmetria del fulmine; le spalline erano sottili, fatte di pizzo.
Quando l'ebbe indossato, aggiunse un paio di scarpette bianche e una collana di perle candide, con un ciondolo a forma di fulmine blu.
"Il fulmine dei tuoi occhi", le aveva detto la madre quando le aveva donato quel gioiello.
Si guardò allo specchio, e si rese conto che quella tredicenne riflessa nello specchio era completamente diversa dalla bambina innocente di un solo anno prima.
Shiva le venne vicino, e le pettinò delicatamente i capelli, silenziosamente.
Kiara continuò a guardare i loro riflessi nello specchio, e si chiese cosa sarebbe accaduto se la maggiore fosse stata selezionata per gli Hunger Games.
Avvertì una stretta alla bocca dello stomaco, e cacciò indietro le lacrime.
No, doveva stare calma.
Non che Shiva stesse meglio, ovvio. La sedicenne aveva occhi lucidi di lacrime, occhi luminosi e limpidi come diamanti, di quel grigio chiaro e prezioso che brillava sotto un velo di disperazione.
Senza accorgersene, Kiara iniziò a parlare. -Non preoccuparti. Devi essere forte. Non sceglieranno te. Te lo prometto. Mi credi, Shiva? Non ti sceglieranno. Ci sarà di sicuro qualche volontario. Ogni tanto c'è qualcuno che si propone. Quest'anno sarà così. Te lo prometto. Non andrai nell'Arena.- E chissà come, quelle parole calmarono anche se stessa.
La mora sorrise appena, prendendo due nastri bianchi dalla tasca e legando i capelli spumosi di Kiara in due code vaporose.
-Andiamo.- E fu solo un sussurro perso nel repentino gesto di spegnere la luce, e abbandonare la stanza ancora illuminata dalla luce soffusa dell'abat-jour, che entrambe si dimenticarono di spegnere.
Si avviarono sotto la pioggia nelle strade cupe del Distretto 3, verso l'imminente Mietitura; solo una luce rimase e rimarrà accesa, adesso e nei giorni che verranno.
La luce della speranza.
...Che gli Hunger Games abbiano inizio.













Yeeehe!! *.*
Ciao mondo, che bello rivedervi!
Okay, okay.
Parliamo della fic.
Come avrete capito è una fic a Oc ispirata ad Hunger Games. Scusatemi, ma ho una fissa per quella trilogia, e adesso che ho iniziato a vedere i film sono completamente impazzita.
Così ho avuto un'illuminazione e... beh, adesso vi tormento.
Avrò bisogno di 11 Oc. Uno per ogni Distretto, visto che la mia è del 3. Uno solo perchè il ragazzo/a di Inazuma che sceglierete sarà l'altro.
Vi premetto una cosa, così non vi fate illusioni. Non ci saranno scene amorose alla mo' di Katniss-e-Peeta, proprio no. Magari un bacio e due, se proprio volete, ma nulla di troppo intenso.
Ne sopravviverà uno solo, e conto di far morire tutti gli Inazumiani.
Quindi, preparatevi psicologicamente.
Come avrete notato, sono i Settantaseiesimi Hunger Games. E Katniss e Peeta hanno giocato i Settantaquattresimi e Settantacinquesimi.
Per semplificare tutto, la rivolta del Distretto 13 non c'è mai stata. Katniss e Peeta non sono mai esistiti (magari sì, ma non hanno partecipato agli Hunger Games).
Beh... Capitol City regna, detto in modo veloce.
Un'altra cosa. Come sapete, non posso far vincere tutti i 12 Tributi. E non voglio sembrare egocentrica facendo vincere la mia.
Così affiderò tutto alla sorte: preparerò i bigliettini e chi viene pescato muore.
Sappiatelo, è tutta colpa della Sorte. *^*
Ah, un'altra cosa. Ho bisogno di un piccolo aiutino. Ecco, io non sono esperta a scrivere di Hunger Games. Quindi le persone che hanno letto i libri mi diano dei consigli.
Almeno mi dicano se Snow ed Effie e quella gente lì è IC oppure no.
Sono terrorizzata, ecco. >.<
Bene, che dire, la scheda ve la manderò nella risposta alle recensioni.
Direi che ho finito.
Buoni Hunger Games a tutti. <3
Lucchan

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***




Distretto 1

Marina fece girare nervosamente lo sguardo.
Dove si era cacciato?!
Trattenne uno sbuffo e incenerì con lo sguardo la ragazza di fianco a lei che la stava guardando incuriosita.
Che andasse all’inferno.
Prese un respiro profondo, mentre il presentatore iniziava a parlare.
Fece girare lo sguardo sopra le teste dei suoi coetanei, e per una volta si disse che essere così alta era il pregio più grande che avesse potuto avere.
E poi, poi finalmente lo vide.
Suo fratello era lì, non stava prestando alcuna attenzione al palco, anzi, tentava di sgattaiolare via.
-Dylan!- Sibilò gelida, afferrando per i capelli il ragazzo.
-Ahia!! Lasciami  Mari! Perché mi hai colpito?- Sbuffò lui, quando si fu liberato dalla presa della ragazza.
Lei avvicinò il suo viso a quello del fratello.
-Tu prova a fare un altro passo e ti stacco il collo. Se provi a fuggire lo faranno i Pacificatori per me.- Ghignò soddisfatta, allontanandosi.
Ma cosa aveva fatto di male per avere un gemello simile?
A volte si chiedeva perché la sorte dovesse esserle sempre così avversa.
Intanto il presentatore si apprestava a estrarre il Tributo femmina.
“Che strano” pensò stupita “Quest’anno non ci sono volontari.”.
E questo, nel Distretto 1, era davvero una novità.
Scrollò le spalle; ma cosa le importava, dopotutto?
Infilò le  mani nei jeans scuri, alzando gli occhi ghiacciati sul palco.
-Marina Haugen!- Squittì allegro il presentatore.
Si udì uno strillo in mezzo alla folla.
E non era Marina ad averlo emesso.
Alzò gli occhi al cielo e maledisse Dylan per tutte le figure orribili che le faceva fare.
Con passo deciso, senza curarsi del fratello, avanzò verso il palco, e un sorriso pieno di stupore le illuminò il viso leggermente abbronzato.
-Bene, facciamo un applauso al nostro primo Tributo!- E seguì uno scroscio di battiti di mano.
Marina sorrise sicura, sistemandosi dietro all’orecchio una ciocca di capelli castani.
-Ora estrarremo il Tributo maschio di quest’anno!-
E nessun volontario neanche qui.
La castana non ebbe il tempo per formulare il pensiero che quella sarebbe stata un’edizione davvero speciale, che il presentatore esclamò il nome.
-Suzuno Fuusuke!- Fu il grido pieno di gioia.
Non ci fu lo sbigottimento generale, altroché.
Tutti si fissarono un po’ stupiti, e un ragazzo pallido uscì dalla mischia.
Aveva occhi sottili e freddi come un lago ghiacciato, capelli corti color brina con un ciuffo a coprirgli la fronte.
Non sorrideva, aveva un’espressione seria e quasi inquietante.
Marina lo osservò incuriosita, mentre si stringevano la mano.
Aveva le mani gelide.
Avvertì un brivido attraversarle la schiena, mentre si stringeva nella sua maglietta azzurra a maniche corte.
Poi un sorriso beffardo fiorì sulle sue labbra: insieme, avrebbero trasformato l’Arena in un campo ghiacciato.

Distretto 2
La piazza era coperta di foschia.
Il Distretto 2 se ne stava avvolto in un manto biancastro e appiccicoso.
La Mietitura era iniziata.
Hikari tirò una boccata di fumo dalla sigaretta che teneva fra le labbra, preoccupata.
Non che la spaventassero i Giochi, altrochè.
Morire nell'Arena sarebbe stata una cosa meravigliosa, in confronto a quel pericolo che stava ubriaco a casa.
Lui non veniva a vedere la Mietitura da tanto, e a quel pensiero tremò.
Tremò, e le dita fuggirono subito ad accarezzare i lividi e le ferite sulle braccia, abilmente coperte dalla maglia nera e aderente che indossava.
La sua mente correva rapida da un pensiero all'altro, facendole girare la testa.
Un filmato intanto era partito, e Hikari non aveva intenzione di ascoltarlo.
Strinse febbrilmente una ciocca di capelli neri e viola sfuggiti allo chignon, deglutendo.
Se fosse tornata a casa, Ikuto l'avrebbe picchiata di nuovo. O peggio.
Scosse la testa, senza focalizzare i suoi pensieri sul "peggio".
Doveva stare calma. Respirò a fondo.
Intanto la presentatrice trillava qualche parola su quanto adorasse i filmati che mandava Capitol City.
Stava per selezionare i Tributi.
Un momento... I Tributi!
Parve illuminarsi in un sorriso beffardo.
Doveva solo darsi volontaria, e non sarebbe tornata a casa dal fratello.
Era così semplice. E se fosse sopravvissuta agli Hunger Games, sarebbe andata a vivere lontano da lui.
Così le parole le scapparono di bocca senza che riuscisse a controllarle, e si stupì nel sentire la propria voce urlare "mi offro volontaria come Tributo".
Era una situazione assurda, si ritrovò a dirsi mentre saliva sul palco, e la cosa la faceva solo ridere.
-Come ti chiami?- fissò interdetta per un attimo la presentatrice, poi ghignò.
-Hikari Katana.-
-Ecco il nostro primo tributo!- Tutti esplosero in un applauso, e la mora si concencesse un risolino soddisfatto.
Che poi svanì quando si rende conto chi era il tributo maschio.
"No." pensò, spalancando gli occhi vermigli. "Non lui."
Ma il giovane era già sul palco, i lunghi capelli neri e gli occhi come topazi che brillavano di luce propria e iridescente.
-Come ti chiami, caro?-
-Desarm.- Ed era solo un sussurro freddo e apatico.
Hikari lo fissò e chiese disperatamente una spiegazione nei suoi occhi, senza che però nessuna parola sfuggisse dalle sue labbra sigillate e contratte in un ghigno maligno.
Strinse la sua mano lattea, e si perse nei suoi occhi.
Ma Desarm non disse nulla, e le sue iridi non parlarono, non le parlarono.
Hikari lo avrebbe schiaffeggiato, ma non lo fece.
-Diamo il benvenuto a Hikari Katana e Desarm, i Tributi del Distretto 2!-

Distretto 3
Kiara sospirò, rabbrividendo.
Avrebbe dovuto mettere in vestito più caldo, dato che quello che indossava era già completamente fradicio.
Cercò con lo sguardo Shiva fra gli altri ragazzi, ma non la trovò.
Quando la presentatrice chiese, avvicinandosi alla boccia contenente i nomi femminili, se c'era qualche volontario, Kiara trattenne il fiato.
Iniziò a pregare dentro di sè che ci fosse qualcuno.
Fece girare lo sguardo, ma tutte le ragazze erano mute e guardinghe.
Si morse le labbra, la rossa, rabbrividendo ancora.
Perchè doveva sempre essere così sfortunata?
Cercò di pensare alle parole della sorella.
Aveva già superato un anno. Avrebbe superato anche questa Mietitura.
Se lo ripetè a bassa voce un paio di volte, mentre la mano della presentatrice spariva fra i biglietti.
Riuscì quasi a convincersene, mentre il cuore le batteva nelle orecchie.
Aveva freddo.
-Kiara Ovuet.- Dichiarò allegramente la presentatrice, e quasi la rossa non se ne accorse.
Si guardò intorno, come se cercasse la ragazza a cui apparteneva quel nome.
Gli altri si scostarono, e Kiara li guardò confusa.
Come in trance, i suoi piedi si mossero fino al palco, mentre lei continuava a chiedersi dove fosse questa Kiara Ovuet.
Appena però sentì tutti applaudire, si risvegliò da quella specie di sogno.
E fu panico.
Spalancò gli occhi elettrici, e le ginocchia iniziarono a tremare.
Prese qualche respiro profondo, molto profondo, e trattenne un gemito disperato.
In quel momento la vide, Shiva, che si era fatta spazio e la guardava disperata, come se le implorasse di scendere da lì.
Kiara si morse le labbra e cercò di pensare ad altro, scostando lo sguardo.
Ma era terribilmente difficile.
Voleva solo piangere, ma lottò contro il bisogno di farlo.
Intenta com'era a cacciare indietro le lacrime e tentare di rimanere seria non si accorse del ragazzo che saliva sul palco con passo lento.
Carnagione olivastra e occhi profondi e magnetici.
-Midorikawa Ryuuji.- Il suo nome le arrivò ovattato, e non sentì la prentatrice chiederglielo.
I capelli color pistacchio erano bagnati e raccolti in una coda, i tratti morbidi.
Doveva avere più o meno la sua età.
Gli strinse la mano e cadde nei suoi occhi profondi e scuri come abissi, lucidi e brillanti.
Sembrò volerle sussurrare qualcosa, ma non disse niente.
-Facciamo un applauso ai Tributi del Distretto 3, Kiara Ovuet e Midorikawa Ryuuji!-

Distretto 4
Il sole era alto e risplendeva fiero nel cielo.
Qualche rada nuvola sfilacciata e biancastra vagava sospinta dalla brezza salata, mentre le onde del mare si infrangevano sugli scogli; se ne poteva sentire il rumore in un attimo di silenzio.
Tutti i ragazzi del Distretto 4 erano riuniti nella piazza, alla Mietitura.
Zoey sorrise scaltra, mentre alzava gli occhi smeraldini verso il sole caldo.
Il presentatore di quell'anno terminò il suo discorso proprio in quel momento, annunciando che avrebbe estratto i Tributi.
A quell'affermazione, l'attenzione della mora tornò sul palco, e strinse i lembi del vestito dorato, trepidante.
Sperò che fosse lei ad essere estratta, lo sperò con tutta se stessa.
Vide suo padre e sua madre scommettere ai lati della piazza, e catturò lo sguardo della donna, che le rivolse un sorriso incoraggiante.
Come se ne avesse bisogno.
-Zoey Jackson.- La voce del presentatore risuonò repentina per tutta la piazza, e in un attimo calò il silenzio.
La mora sentì le onde infrangersi sulla scogliera poco distante, e sorrise.
Si fece largo fra i suoi coetanei, con un sorriso fiero che si espandeva sempre di più sulle sue labbra, il passo deciso e il sole a illuminarle la carnagione pallida e gli occhi smeraldini.
-Bene. Ora estrarremo il Tributo maschio di questa edizione!-
Zoey fece vagare gli occhi sulla folla, e vide suo padre con le scommesse in mano, mentre la madre esultava felice.
Strinse le labbra in un sorriso fiero e brillante.
Finalmente si sarebbe fatta valere negli Hunger Games.
Avrebbe vinto. Ne era sicura.
-Il Tributo maschio di quest'anno sarà... Mac Roniejo!-
Zoey lo vide salire sul palco, con quella pelle scura e gli occhi profondi.
Era bello, non si poteva certo negare.
Anzi, era fra i ragazzi più desiderati del Distretto, e vantava di una certa fama.
Lui le indirizzò un sorriso insicuro, e la mora gli sorrise prontamente.
Era anche gentile.
Quando avvertì la sua stretta sicura sulle sue mani, dedicò qualche secondo in più ad osservare quegli occhi scuri e piccoli, profondi come gli abissi immobili dell'oceano.
Zoey ridacchiò. Quegli Hunger Games si prospettavano interessanti.

Distretto 5
Hakai sospirò, stringendosi nelle spalle.
La piazza era illuminata a festa da numerosi striscioni elettrici con piccole lampadine colorate posizionate in modo da mandare riflessi colorati al centro del palco.
A lei piacevano quelle decorazioni, e Riku, suo fratello, le aveva detto che loro padre sapeva come costruirle.
Erano belle, forse l'unica cosa serena che si presentava alla Mietitura.
Era divertente osservare come ogni anno cambiavano colore e postazione, anche se di solito era più impegnata a sperare che non la scegliessero che prestare attenzione alle decorazioni.
Quell'anno mandavano riflessi blu, bianchi e verdi, che creavano giochi di luce decisamente affascinanti.
Cercò Riku con lo sguardo, e lo trovò qualche fila dietro di lei; le sorrise, e Hakai si sentì più tranquilla.
-Bene, ora vedremo quale sarà la fortunata giovane che rappresenterà il nostro meraviglioso Distretto ai Settantaseiesimi Hunger Games!-
Il cuore della bionda perse un battito.
Affondò le mani sottili nelle tasche dei jeans blu, mentre una folata di vento le scuoteva i lembi della camicia viola che indossava.
-Non me, non me, non me...- mormorò a bassa voce, stringendo gli occhi.
Ci fu qualche secondo di snervante silenzio, in cui solo il vento risuonava apatico.
-Hakai Chinmoku!- Trillò contenta la presentatrice.
Silenzio.
Anche il vento parve essersi fermato.
Il tempo sembrò scorrere a rallentatore.
Hakai sentì le lacrime premere prepotentemente negli occhi, e incastrarsi sulle ciglia, illuminando i suoi occhi azzurro ghiaccio.
-Vieni cara, su! Dove sei? Oh, eccoti qui! Ma come sei bella! Vieni, vieni, non avere paura!- La voce mielosa della donna le arrivò alle orecchie come il rumore di mille proiettili, mentre camminava lenta verso il palco.
Quando salì, si ritrovò vicino alle illuminazioni colorate.
Le osservò come in trance, e una lacrima, una sola, le scivolò lungo le gote.
Appena se ne accorse, la tolse rapida con la manica della camicia e trattenne un singhiozzo.
Notò in quel momento del ragazzo che stava salendo sul palco: aveva magnetici occhi acquamarina e capelli fulvi scossi dal vento.
Non pareva così sconvolto, ma Hakai vide nei suoi occhi il puro terrore.
In qualche modo, lo sentì vicino; dopotutto, condividevano la stessa pena.
Hiroto Kiyama, si appuntò il suo nome nella mente; sembrava un tipo interessante.
Gli strinse la mano, e il rosso forzò un sorriso.
-Ciao.- Le mormorò e Hakai lo osservò stupita.
Poi rispose al saluto con un piccolo sorriso timido.
Si rese conto solo in quel momento che gli occhi magnetici di Hiroto erano riusciti a farle dimenticare la sua orribile sorte.
Inconsapevolmente, arrossì.

Distretto 6
Erano tutti riuniti nella piazza.
I giovani ragazzi, riuniti per età, stavano in un trepidante silenzio.
Hakaikuro stava immobile fra i suoi coetanei, con espressione annoiata in viso.
I suoi occhi freddi riflettevano l'immensità silente della notte mentre se ne stava scocciata fra le file di ragazzi.
Lei odiava la Mietitura. La odiava con tutta se stessa.
Non che avesse paura, altrochè. Avrebbe dovuto essere spaventata da tutti quei ragazzini spauriti che si vedevano in televisione e non sapevano nemmeno tenere in mano un coltello? Ma figuriamoci.
Solo che era una vera scocciatura.
Da quando aveva ucciso la sua famiglia, l'avevano chiusa in quell'odioso istituto, insieme ai bambini tutti moccio e piagnistei.
Magari nell'Arena si sarebbe divertita.
Era da un po' che quell'idea si faceva strada nella sua mente.
Quando avrebbe vinto, si sarebbe ritirata nel Villaggio dei Vincitori, e l'avrebbero lasciata in pace.
Intanto, il presentatore sul palco si perdeva nei soliti discorsi appassionati, quelli che Hakaikuro non ascoltava mai.
Perchè perdere tempo a sentire tante sciocchezze?
Non capiva perchè tutti i ragazzi pendessero da quelle parole.
Sbuffò, buttando dietro alla spalla una ciocca di capelli neri come l'abisso.
Nel suo Distretto di solito non c'erano molti volontari. Magari avrebbe potuto offrirsi lei.
Così, appena il presentatore pronunciò la frase "Prima le signore!", la mora si fece avanti.
-Mi offro volontaria!- Urlò, e un ghigno si fece automaticamente strada sulle sue labbra.
-Oh, ma che ragazza coraggiosa! Vieni cara, vieni.-
Così, accompagnata dalle smielate parole del presentatore, la mora, nel suo completo da ninja nero con sfumature rosso sangue, salì sul palco.
-Come ti chiami?-
Sogghignò.
-Hakaikuro Yamikaze.-
-Facciamo un bell'applauso al nostro primo Tributo!- Trillò l'uomo, e Hakaikuro sentì di star per vomitare.
Ma doveva per forza essere così... zuccheroso, quando parlava?
Il ragazzo che si diede come volontario era alto, un anno più grande di lei, dagli occhi color ghiaccio sporco e un provocante ciuffo castano.
-Come ti chiami, caro?-
-Fudou Akio.- Rispose fiero il diciassettenne, ghignando.
Dopo un caloroso discorso del sindaco, Hakaikuro e Akio si strinsero la mano.
Per un attimo, la mora vide gli occhi del castano brillare, come se un'occhiata di sole avesse illuminato quel lago ghiacciato e sporco.
Mantenne il suo ghigno superbo, ma dentro vacillò.
Quegli occhi la fecero vacillare.
"E' solo uno stupido ragazzino" si disse, anche se il luccichio delle sue iridi l'avrebbe perseguitata ancora per tanto.

Distretto 7
Annalisa sospirò, mentre un'occhiata di sole faceva capolino dalle nuvole plumbee.
Portò una mano a sistemare una ciocca riccia e castana che era sfuggita alla restrizione dello chignon, e distrattamente sentì che le proprie dita profumavano ancora di legno.
A quel pensiero sorrise appena; da quando lavorava con suo padre si era affezionata a quell'odore pungente e penetrante, che sapeva di casa.
Alzò gli occhi verdi sul palco, dove il presentatore si apprestava a scegliere i Tributi.
Come sempre, prima le ragazze.
A volte Annalisa si chiedeva perchè dovesse sempre toccare prima a loro; era insostenibile.
Scosse appena la testa: a Capitol City erano tutti sciocchi e bizzarri, perchè avrebbe dovuto pensare che dessero un motivo all'ordine dell'estrazione?
Infatti, non lo pensava affatto.
Il presentatore sorrise, aprendo il biglietto che teneva fra le mani.
Istintivamente, il cuore della riccia iniziò a martellarle nel petto; afferrò la ciocca di capelli che era di nuovo sfuggita allo chignon, arricciandola convulsamente fra le dita.
-Annalisa Endersoon!- Squillò il presentatore.
Il sole venne coperto dalle nuvole, e la castana avvertì il freddo attanagliarle le braccia.
Deglutii, in preda al panico.
No, no, no, non poteva essere.
Spalancò gli occhi verdi con sfumature nocciola, rabbrividendo.
Si fece lentamente largo fra i suoi coetanei, uscendo davanti a tutti.
Salì sul palco. Inerme, debole, piccola, nel suo leggero vestito color muschio.
Prese un respiro profondo, socchiudendo gli occhi.
Doveva calmarsi; riacquistò la sua dignità da quindicenne, pretendendo di guardare fisso davanti a sè, oltre la folla.
-Ora estrarremo il Tributo maschio di quest'anno!-
Perse lo sguardo fra le montagne dove andava a raccogliere la legna con suo padre, dove cacciava, dove c'era quel familiare profumo di corteccia e resina.
-Gouenji Shuuya!-
Si portò le mani al viso, scoprendo ancora una traccia di quell'odore su di esse, e sorrise debolmente.
Riportò l'attenzione sul presentatore e vide un ragazzo dai lineamenti duri, dai capelli biondi e la carnagione scura salire imperturbabile sul palco.
Non era freddo. Non sembrava uno quei ragazzi senza emozioni, solo stranamente estraniato da tutto.
Forse era un modo per non piangere.
Mh, probabilmente era così.
Quando gli strinse la mano, finalmente li vide.
Occhi sottili, occhi scuri, scuri come il cioccolato, profondi, caldi; ad Annalisa parve di affondarci dentro.
Con la coda dell'occhio vide una bimba dalle trecce castane piangere disperatamente, implorando il nome del biondo.
Forse era sua sorella. Quel pensiero le fece venire l'amaro in bocca. Chissà come doveva stare male, Gouenji.
Poi sospirò.
Ma perchè avrebbe dovuto preoccuparsi di lui? Erano nemici, no? Nell'Arena lui l'avrebbe uccisa senza rimpianti, per tornare da quella bimba.
Però immaginare Shuuya come nemico le riusciva stranamente difficile.

Distretto 8
Misaka fece vagare lo sguardo sui nuvoloni pesanti e cupi.
Era da tanto che nel suo Distretto non si vedeva un'occhiata di sole.
Sbuffò, sistemando le pieghe della corta gonna azzurra; il completo che indossava l'aveva cucito sua madre prima della morte di suo padre.
La mora ci era davvero affezionata; e poi era un vestito comodo, con la gonna azzura che somigliava a quella che metteva a scuola e la camicia bianca.
Prese a giocherellare distrattamente con il ciondolo a forma di fuoco blu che indossava, mentre la presentatrice si apprestava a estrarre il Tributo femmina.
Deglutii, e i movimenti della mano sul ciondolo si fecero più convulsivi, agitati; sentiva i palmi delle mani sudati.
"Calmati" si ordinò, prendendo un respiro profondo.
Fra tutti i ragazzi che c'erano, doveva essere pescata proprio lei?
Certamente no.
Scostò lo sguardo, e i suoi occhi cobalto si posarono su Shu, il cane cecoslovacco che da qualche anno tenevano in casa.
L'aveva trovato che gironzolava davanti al proprio cancello e aveva convito la madre a tenerlo.
Era una bocca in più da sfamare, certo, ma almeno faceva la guardia allontanando i possibili ladri.
-Il Tributo di quest'anno sarà...- E il tentativo di Misaka di pensare ad altro si frantumò pateticamente.
Avvertì i muscoli tendersi, il cuore impazzire dentro al petto, pericolosamente vicino alla gola, la salivazione azzerata e le gambe tremanti.
Non ebbe nemmeno il tempo di sperare che non fosse lei ad essere estratta che...
-Misaka Mikoto!- ...il mondo le crollò addosso.
Panico. Improvviso e letale.
Deglutii, e Shu iniziò ad abbaiare forte, guaiendo.
Si impose di camminare, e tentò con tutta se stessa di non mostrare nulla.
Gelida. Distaccata. Lontana.
Chissà come riuscì nel suo intento.
Salì sul palco, gli occhi azzurri come il cielo poco dopo il tramonto che scapparono subito verso il cane: abbassò appena la testa e Shu, obbedendo al suo comando, si accucciò, emettendo un rantolo di dispiacere.
Intanto la presentatrice estrasse il Tributo maschio.
-Nagumo Haruya!- Fu il grido della donna.
Un ragazzo dal fiero sguardo color miele apparve sul palco, i capelli rossi in una buffa capigliatura che lo faceva somigliare tanto a uno di quei ricconi stravaganti di Capitol City.
Si trattenne dal ridere, e il rosso le scoccò un'occhiata scocciata.
Si strinsero la mano, e Nagumo sogghignò guardandola negli occhi.
Per qualche motivo assurdo, Misaka arrossì.
Arricciò il naso, trattenendosi da tirare un pugno a quello sbruffone.
Cosa voleva dire quell'occhiata?
Si limitò a sbuffare sonoramente, e indirizzargli un'occhiataccia.
Con un compagno del genere, dove sarebbe andata a finire?

Distretto 9
Natsumi roteò gli occhi verdi.
Il sole era oscurato da pesanti nuvole cariche di pioggia.
Almeno, pensò la rossa, i campi ne avrebbero giovato.
Purtroppo il cielo così cupo non era proprio il massimo per il giorno della Mietitura.
In effetti lei avrebbe dovuto essere impaziente di partecipare agli Hunger Games.
Sua madre, Marian Green, famosa vincitrice del Distretto 9, l'aveva preparata a questo evento con tanta gioia.
Eppure Natsumi non voleva partecipare ai Giochi.
Aveva paura. Assurdo a dirsi, ma aveva paura.
Si chiese perchè non avesse ereditato il coraggio della madre.
Sbuffò, arricciando una ciocca di capelli ricci e rossi sulle dita.
-Ora estrarremo la giovane che rappresenterà il nostro Distretto agli Hunger Games!- Annunciò fiero il presentatore.
La rossa si morse le labbra, mentre i suoi occhi verdi diventavano freddi.
Niente emozioni. Solo freddezza.
Prese qualche respiro profondo, giocherellando con i lembi della camicia bianca che indossava.
Catturò con lo sguardo suo padre al lato della piazza prima che la voce squillante del presentatore tornasse.
-Natsumi Kagura!-
Freddo. Fu l'unica cosa che la rossa riuscì a pensare.
Freddo. Mosse i piedi verso il palco.
Freddo. Paura negli occhi.
Freddo. In piedi davanti alla folla.
Freddo. Le ginocchia che smisero di tremare.
Freddo. Iridi che si svuotarono di ogni emozione.
Freddo. Un mezzo sorriso incosciente sul viso.
Freddo. Che improvvisamente svanì.
Sbattè gli occhi e assunse l'espressione più fiera che riuscisse a fare.
Un brivido le attraversò la schiena; una tempesta di emozioni le bruciava dentro ma decise di non darlo a vedere.
-Il Tributo maschio di quest'anno sarà... Kazemaru Ichirouta!- Sembrava il tintinnio di un campanello, quel nome.
Un soffio di vento fra una fessura troppo piccola.
Un ragazzino pallido dai lunghi capelli turchesi e occhi come tazzine di the al limone si fece strada, la paura ben impressa sul viso.
Tutti applaudirono, ma nessuno aveva davvero voglia di farlo.
Improvvisamente Natsumi si ricordò di Kazemaru: frequentavano la stessa scuola ed era un ragazzo molto popolare, ammirato dai ragazzi e desiderato dalle ragazze.
Di sicuro che fosse stato estratto per i Giochi doveva essere un brutto colpo per tutti. Tutti meno lei.
Gli strinse la mano, e il turchese le dedicò un piccolo sorriso rassicurante.
Quel sorriso fu come una folata di scirocco sul viso, calda e affascinante.
Era il vento, quel giovane: il vento che nessuno può comprare, nessuno può placare.
A parte, pensò mentre infilava le mani nelle tasche dei jeans, la stretta inevitabile della morte che fra poco li avrebbe colti.

Distretto 10
 -Andiamo via sorellona...-
La Mietitura era iniziata da poco, e il palco era illuminato da un sole splendente.
Roxie sospirò, chinandosi per vedere in viso Mia, la sua sorellina, che con i suoi soli cinque anni la guardava implorante.
-Io devo stare qui. Forza, vai dalla nonna.-
La bimba la guardò con quegli occhi limpidi come zaffiri, piagnucolando.
La maggiore sospirò.
Odiava vedere Mia piangere, ma non poteva accontentarla.
-Facciamo così.- Propose, sorridendo. - Adesso tu vai dalla nonna e poi ti porto nei pascoli, mh?-
La bambina si riempì le labbra di gioia in un sorriso luminoso, annuendo felice e correndo via.
Roxie sospirò, mordicchiandosi il labbro inferiore.
Era contenta che Mia non partecipasse ancora alla Mietitura; lanciò uno sguardo alla nonna che teneva per mano la piccola al lato della piazza.
-Il Tributo femmina di quest'anno è...-
Roxie sussultò, e le dita andarono a giocherellare col percing che aveva sull'ombelico.
Non poteva essere estratta lei. Mia era troppo piccola per portare al pascolo la mandria di mucche che possedevano, e sua nonna era troppo stanca e vecchia per farlo.
Senza di lei, sarebbero state perdute.
Una folata di vento le scosse i capelli rossi con le punte blu notte, gli occhi smeraldini strizzati dalla paura.
-Roxie Ametista!-
Alzò di scatto la testa; non poteva essere. Doveva esserci un'errore.
Camminò verso il palco con passo cascante e lento, la bocca semiaperta e lo stupore negli occhi.
Era impossibile. Non poteva essere stata estratta. Non era semplicemente possibile.
Il suo sguardo scivolò verso la sua famiglia: Mia era completamente aggrappata alla nonna, e piangeva disperatamente.
L'anziana lanciò alla rossa uno sguardo che Roxie non riuscì a decifrare, e sembrò volerla incoraggiare a combattere.
Non si sarebbe mai aspettata una reazione simile da parte sua.
-Kidou Yuuto!- Si girò di scatto quando sentì la presentatrice dire il nome del Tributo maschio.
Kidou Yuuto... Si rigirò quel nome fra le labbra, assaporandone le lettere, come a volerlo riconoscere.
Le sembrava di averlo già sentito...
Il ragazzo che stava salendo sul palco aveva un'aria adulta: la pelle candida e il profilo aristocratico, i capelli rasta raccolti in una coda e gli occhi vermigli e duri.
Improvvisamente, Roxie si ricordò dove aveva già sentito il suo nome: conosceva Haruna, la sorella di Yuuto, e andava da lei qualche volta per comprare pollame.
Kidou non lavorava con Otonashi, e raramente tornava a casa alla sera, così la rossa non aveva mai avuto occasione di vederlo.
Ma la blu gliene aveva parlato spesso; sapeva che lavorava al centro genetica, un'occupazione decisamente importante.
Lo guardò incantata, mentre si stringevano la mano.
Yuuto sembrava un demone e un angelo insieme: la pelle candida e il portamento elegante, un mantello rosso a cingergli le spalle che gli conferiva un'aria nobile, gli occhi infuocati e freddi.
Aveva una bellezza sottile e affascinante, racchiusa in quelle iridi vermiglie.
Lui le dedicò un fugace sguardo, e sembrò analizzarla.
A contatto diretto con quegli occhi, un brivido l'attraversò.

Distretto 11
Un soffio di vento che portava con sè la primavera.
Improvvisamente, tutto si era ridotto a quello.
Skylin annusò l'aria, avvertendone il profumo dolce.
Fece vagare gli occhi gialli oltre l'orizzonte, sui campi che si vedevano poco distante.
Si mordicchiò l'interno della guancia, agitata.
Portò lo sguardo sul palco, ma per quanto si sforzasse non riusciva ad essere preoccupata: suo fratello Derek si sarebbe sposato a poco, e lei era troppo felice per preoccuparsi della Mietitura.
Con tutti gli altri ragazzi, proprio lei doveva essere estratta?
Scosse la testa e un sorriso appena accennato le increspò le labbra, illuminandole il viso.
E poi, a lei piaceva Sue, la fidanzata di Derek.
Era una ragazza simpatica dagli occhi verdi e la pelle scura, i lunghi capelli ricci e castani che la circondavano come una nuvola.
Avevano raccolto la frutta qualche volta insieme, e si erano scambiate due parole.
Nonostante fosse una ragazza inusuale, era di piacevole compagnia e Skylin era davvero contenta che presto sarebbero state imparentate.
-Il Tributo femmina di quest'anno è...-
E quasi non si accorse della voce della presentatrice, il sole a illuminarle gli occhi dorati.
Si stava già perdendo a immaginare il matrimonio dei due, immaginando gli occhi di Derek brillare come mai avevano brillato e...
-Sue Teenking!-
... e Sue che teneva un mazzo di fiori di campo in mano.
Appena capì quello che la presentatrice aveva detto l'immagine felice della festa si squarciò.
Spalancò gli occhi.
Si era quasi dimenticata che Sue partecipava ancora alla Mietitura: aveva diciotto anni, e quella era la sua ultima volta.
Non pensava proprio che potesse essere estratta in quel momento.
Si fece largo a gomitate fra i ragazzi, Sue che andava verso il palco come se stesse andando la patibolo.
La voce le uscì dalla bocca prima che i pensieri potessero formularsi, le parole più veloci della mente.
-Mi offro volontaria come Tributo!-
Silenzio. Un attimo di stupore.
-Oh, ma che ragazza coraggiosa! Vieni cara, vieni.-
Sue la guardò stupita, ma Skylin non ricambiò il suo sguardo.
Lo mantenne fisso davanti a sè, e le parve che la castana le stesse mormorando un grazie a fior di labbra.
-Come ti chiami?-
-Skylin Florance.- La sua voce non tradì un nodo alla gola, vide Derek farsi strada fra la gente con espressione terrorizzata.
Il vento fece ondeggiare i suoi lunghi capelli scuri e i lembi del vestito color pesca, mentre le persone applaudivano.
Sospirò, senza però scomporsi.
Non si era ben resa conto di quello che era successo: semplicemente ora sapeva che era lì, su quel palco, davanti a tutti gli abitanti del Distretto 11, lei, con quella pelle chiara che l'aveva sempre distinta da tutti gli altri, con mille telecamere curiose puntate su di sè e una dignità da tenere viva.
Ecco.
Il Tributo maschio di quell'anno era Fubuki Atsuya.
Non lo conosceva, ma aveva visto più volte il gemello, Shirou.
L'albino era dolce e gentile, e avevano più volte scambiato due chiacchere mentre raccoglievano la frutta, ma non aveva mai visto Atsuya.
Così non potè fare a meno di stupirsi della pelle candida come la sua, così inusuale nel Distretto 11, degli occhi color polvere brillanti uguali a quelli di Shirou solo più arroganti, dei capelli color salmone che lo differenziavano dal gemello.
Lo fissò ostile, chiedendosi quali segreti l'avrebbero reso un'assassino nell'Arena.
Cercò quasi di scoprirli, mentre lui le rivolgeva un sorriso furbo e presuntuoso.
Skylin gonfiò lo guace. Che arrogante!
Gli strinse la mano con riluttanza e si disse che non avrebbe mai stretto amicizia con un tipo del genere. Mai.
Quel pensiero le sfuggì veloce dalle mani, come un fiocco di neve, come una folata di vento gelido che era Atsuya.

Distretto 12
Il cielo era color piombo.
Pesante, cupo, scuro.
Tirava un vento terribilmente gelido, che sapeva di tempesta.
La piazza, seppur ghermita di ragazzi, aveva qualcosa di desolante. Un misto di abbandono, solitudine e paura.
Amelia respirò quell'aria rarefatta che sapeva di mistero e fuliggine, quella che si posava su ogni cosa come polvere di carbone.
In quel teatro di sconforto, la Mietitura era iniziata, come ogni anno.
La ragazza sbuffò, mentre un sibilio di vento faceva ondeggiare la sua treccia castana.
Leila, sua sorella, si era assicurata che lei venisse, ed era stato a dir poco fastidioso: cosa credeva, che sarebbe scappata?
Non aveva paura degli Hunger Games.
Dopotutto, rischiava di morire ogni giorno. Essere uccisa nell'Arena sarebbe stato qualcosa di... originale, per lo meno.
Ma c'era un altro motivo per cui odiava la Mietitura. Quando era lì, fra quei ragazzi, e la voce di Effie Trinket che risuonava stridula, si sentiva debole.
Debole, davanti alla potenza di Capitol City.
Schiva di quelle leggi, che davanti a quel palco doveva rispettare.
Era una sensazione terribilmente fastidiosa.
Non faceva male, era come una spina piantata nel palmo della mano: più tentavi di toglierla più si infilava all'interno.
Si ravvivò la frangia che cadeva leggermente sugli occhi, mentre le sue iridi azzurre scivolavano subito sulla boccia contenente i nomi femminili.
Che ovviamenete la Trinket estraeva per primi.
Cosa ci trovasse di davvero tanto simpatico nei Giochi, proprio Amelia non riusciva a capirlo.
Comprendeva che gli abitanti di Capitol City erano tutti terribilmente sciocchi, ma quello era davvero troppo!
Non era possibile che un umano potesse essere così stupido.
Sospirò: se tutto non fosse stato così ferreamente comandato dalla capitale, magari i Distretti avrebbero avuto più tempo.
Più tempo da passare con le proprie famiglie, più tempo per pensare a un modo migliore di vivere.
E la sua mente fuggì a suo padre, che in quel momento doveva essere in miniera, le mani forti e grandi che scavavano carbone senza sosta, gli occhi stanchi affaticati dalla quasi totale assenza di luce, i pensieri che correvano alle sue bambine, fuori, costrette alla Mietitura.
Quasi sorrise, Amelia, mentre Effie infilava la mano fra i biglietti.
La sua attenzione tornò però immediatamente al palco, il cuore che contro la sua volontà sembrava voler schizzare via dal petto.
Deglutii, e si impose di stare calma. Chissà come, ci riuscì.
-Amelia Jhons!-
La ragazza sbattè gli occhi cerulei, perplessa.
Una folata di vento scosse i lembi del suo vestito verde smeraldo, mentre, ancora troppo stupita per capire cosa stesse succedendo, camminava verso il palco, sotto lo sguardo attento di tutti.
Debole. Ecco come si sentiva. Impotente, gracile, indifesa.
Com'era odiosa quella sensazione dentro al petto, accidenti!
E improvvisamente se ne rese conto. Che non sarebbe più tornata a casa. Che non avrebbe riso con Leila della capigliatura di Effie, o del suo buffo vestito, come ogni volta. Che non avrebbe più abbracciato suo padre. Che presto sarebbe andata a Capitol City. Che sarebbe morta.
Era un pensiero sfuggevole, però, quasi insignificante, che la sfiorò appena.
Si lasciò prendere dalla paura un solo attimo, e le sue dita sfuggirono a giocherellare con i lembi del nastro bianco che le stringeva il vestito alla vita.
Ma poi il controllo prese il posto del panico, e si disse che forse una possibilità ce l'aveva.
Magari sarebbe tornata a casa. Forse - ma solo forse - sarebbe riuscita a vincere.
Era qualcosa di astratto, però, un concetto inafferrabile.
Scosse appena la testa, e si concentrò su Effie, che intanto aveva estratto il Tributo maschio.
-Fideo Ardena!- Esclamò sorridendo, e seguì un attimo si sgomento generale.
Incuriosita, Amelia si sporse un po' per vedere quel ragazzo castano che usciva dalla folla con passo sicuro e occhi un po' tremanti.
Aveva paura, ed era più che palese.
Non lo conosceva, il che era strano, dato che lei era sicura di conoscere tutti gli abitanti del suo Distretto.
Quando si trovarono faccia a faccia, quando si strinsero la mano e lei avvertì le sue dita calde e forti stringere le proprie, improvvisamente se ne accorse.
Si accorse dei bellissimi occhi che il giovane possedeva.
Non li aveva notati prima, e si diede della sciocca.
Rimase un attimo folgorata: erano grandi ed espressivi, blu come l'oceano, come l'oceano che lei non aveva mai visto, come il cielo nelle giornate estive, azzurri, azzurri, azzurri, così profondi e luminosi che non riuscì a pensare ad altro per qualche secondo.
Ma poi si riscosse, distogliendo lo sguardo seccata, e sbuffando appena.
Fideo sorrise leggermente, e il suo viso chiaro si illuminò di riso, esattamente come quello di un bambino.
Un bambino, che sarebbe morto appena avrebbe messo piede nell'Arena.
Amelia si costrinse a pensare che non le importava.
Appena lui si girò, si sorprese a osservare di sottecchi quegli occhi che l'avevano incantata.
Ma Amelia non sapeva che era già caduta nel suo incatesimo, e che non se ne sarebbe liberata tanto facilmente.




















Ehi mondo! *o*
Finalmente sono riuscita ad aggiornare!
Com'è, vi piace?
Lo so, lo so, è lungo. Troppo, già. Ma volevo dedicare uno spazio a tutte le Oc, e... e niente, io non sono capace a fare le cose brevi.
Bene, ecco gli Oc che sono stati accettati:

Distretto 1: Marina Haugen di Marina Dust99
Distretto 2: Hikari Katana di Lelle10
Distretto 3: Kiara Ovuet di Lullopola
Distretto 4: Zoey Jackson di nibo
Distretto 5: Hakai Chimnoku di Hakai Chimnoku
Distretto 6: Hakaikuro Yamikaze di Jessy_Italy
Distretto 7: Annalisa Endersoon di Annalisa_Nali
Distretto 8: Misaka Mikoto di Electromaster
Distretto 9: Natsumi Kagura di Carillon1726
Distretto 10: Roxie Ametista di stella_cometa_37
Distretto 11: Skylin Florance di FallenAngel 95
Distretto 12: Amelia Jhons di _KyokoElise_24

Okay.
Per gli aggiornamenti non so, cercherò di essere puntuale e di seguire la tabella di marcia che mi sono autoimposta, ma non vi prometto niente. XDD
Ah, un'ultima cosa.
Ogni Distretto, come sapete, ha uno stilista.
Ecco, io nel libro mi sono affezionata da matti a Cinna, quindi volevo dare un po' di rilievo a tutti gli stilisti.
Quindi vi chiedo di darmi un piccolo aiuto: non dovete dirmi molto di questi stilisti, solo... boh, se sono maschio o femmina, nome e cognome.
Se poi volete aggiungere anche due righe sull'aspetto e sul carattere, è ben accetto! ;)
Bene, ho detto tutto.
Ciao ciao, al prossimo capitolo! :D
Lucchan

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


L'inno di Panem terminò.
Tutti i Tributi vennero scortati dai Pacificatori nel Palazzo di Giustizia adiacente.
Vennero condotti in grandi stanze lussuose e lasciati soli.
Un'ora di tempo.
Una sola.
Un'ora per parlare con i loro cari, dire loro addio.
Un'ora per fare promesse che non sanno se riusciranno a mantenere.
Un'ora di tempo per aprire nuovi conflitti e chiuderne di vecchi.
Un'ora che non basta, non basta mai.


Distretto 1

Marina sbuffò, tirando un calcio alla porta.
L'aria in quella grande stanza lussuosa era viziata, e la totale assenza di finestre la innervosiva terribilmente.
Soffocò uno strillo e si lasciò cadere sulla poltrona rivestita di velluto.
Sbuffò sonoramente; odiava i posti chiusi, dove l'aria era calda e soffocante e tutto sembrava volerle precipitare addosso.
La porta si spalancò, e la castana si riscoprì a boccheggiare.
Sull'uscio c'era Dylan.
Roteò gli occhi vedendolo, e si lasciò sprofondare nella poltrona.
-Mari, stai bene?-
-Chiamami Mari e ti stacco il collo.- Soffiò furente. Già essere chiusa lì dentro era orribile, se poi ci si metteva anche Dylan...
Anche se in fondo gli voleva bene. Era sciocco, maldestro e dannatamente infantile, ma era pur sempre suo gemello.
Era una parte di sè; la parte più ripugnante, ma sempre sua.
-Okay.- Si arrese lui. Rimase fermo qualche secondo, poi si fiondò su di lei.
Fu del tutto inaspettato: i suoi capelli biondi che profumavano di miele contro il viso, fu un'abbraccio che la fece raggelare.
Sospirò, sentendo i singhiozzi del fratello.
Lo scostò bruscamente, ma lo capiva: anche lei non era del tutto lucida.
Il tempo stava scadendo, però, allora si disse che doveva muoversi.
-Senti.- Disse. -Questa è una questione di principio. Tu non devi piangere. Mi hai sentito?! Non piangere.- Lo disse con tono seccato, ma negli occhi c'era una supplica disperata. -Dai Dylan. Sappiamo tutti e due che uscirò dall'Arena.-
-Non è vero!-
Marina sussultò, senza riuscire a riconoscere il fratello.
Sembrava più maturo, con quell'espressione seria in viso.
-Non trattarmi come un moccioso! Credi che mi beva tutto quello che dici? Ti sbagli. Tu probabilmente morirai. Credi che non me ne renda conto?!-
-L-Lo so.- Prese un respiro profondo. -Ma io mi impegnerò per tornare da te, d'accordo?- Forse sorrise Marina, e i suoi occhi ghiacciati si sciolsero un po'.
Dylan ebbe il tempo di sorridere che i Pacificatori avvertirono che il tempo era scaduto.
-Mari... Ti voglio bene.-
E la castana non ebbe il tempo di rispondere che già Dylan era stato trascinato via.
Sospirò. Improvvisamente voleva piangere, e la stanza chiusa non sembrava più un pericolo.
Il prossimo a venire fu suo padre.
Quel dannato e ripugnante di suo padre.
Marina non gli parlava da anni, e lo odiava. Lo odiava profondamente.
Eppure lui era lì, un po' impacciato, con quegli occhi azzurri uguali ai suoi.
-Marina... Io... Lo so che mi disprezzi. Ma sei mia figlia e ti voglio bene. Ti prego, vinci gli Hunger Games. Puoi farcela, io lo so.- Ma la castana non rispose, anche se gli occhi le si appannarono di lacrime.
-Volevo...- Continuò l'uomo, un po' titubante. -Darti questa.- Le porse una collana con un ciondolo a forma di dente di squalo. -Era di tua madre. La terrai nell'Arena?-
La castana afferrò il gioiello e se lo fece passare fra le dita. Poi annuì cautamente.
Suo padre l'abbracciò. Marina non si scostò, ma solo perchè era troppo occupata a non piangere.
Mormorò un grazie a fior di labbra, ma l'uomo era già uscito e non la sentì.
Non arrivò nessun altro, e si avviò insieme a Suzuno e una fila infinita di telecamere al treno che l'avrebbe condotta a Capitol City.
L'unica possibilità che aveva prima di morire di chiarire e tornare a voler bene a suo padre era frantumata. Forse voleva piangere.

Distretto 2

Hikari era appoggiata al muro, dentro il Palazzo di Giustizia.
Tirò una boccata di fumo dalla sigaretta, picchiettando nervosamente il piede per terra.
Era entrata per la prima volta in quel grande edificio quando erano morti i suoi genitori; in realtà lei non ricordava molto, perchè quando successe era piccola.
Ricordava solo che suo fratello la teneva per mano e che a quel tempo erano solo due bambini, lei aveva quattro anni e lui otto, che avevano disgraziatamente perso i genitori.
Come avesse fatto quel bimbo premuroso a trasformarsi nel mostro che era adesso suo fratello, proprio la mora non lo sapeva.
Sperava solo che lui non venisse a parlarle; passare un'ora appoggiata al muro a fumare non era decisamente interessante, ma non sapeva mai cosa aspettarsi da lui.
Quindi meglio un'ora di noia che un pericolo imminente.
La porta si spalancò.
Hikari trattenne il respiro, stringendo nervosamente la sigaretta fra le dita.
Lui era lì, sulla soglia.
Gli occhi rossi uguali ai propri che brillavano spaventosamente, i capelli biondi, spettinati e sporchi.
Avanzò verso di lei con grandi passi rapidi e furenti, e Hikari istintivamente provò ad indietreggiare, ma trovò solo il muro a bloccarle la strada.
Panico. Improvviso, come un fulmine a ciel sereno.
E poi dolore. La mano del ventenne le colpì il viso, e quasi la mora non cadde a terra.
-Che ti è saltato in mente, eh?! Che credevi di fare?!- Il biondo l'afferrò per i capelli, liberandoli dallo chignon.
Hikari rimase in silenzio, desiderando solo piangere.
Già, cosa credeva di fare? Non lo sapeva nemmeno lei. Voleva fuggire. Solo andarsene, scappare.
Perchè era stata così stupida? Tanto non si sarebbe mai liberata di lui. Mai. Mai. Mai.
-Senti un po', ragazzina.- Hikari era schiacciata contro il muro, le mani grandi del ventenne le stringevano il collo fino a quasi soffocarla. L'alito del ragazzo era nauseante; aveva bevuto qualcosa di decisamente forte.
Sperò solo che il tempo a disposizione finisse in fretta.
-Vedi di tornare. Voglio vivere nel Villaggio dei Vincitori, quindi fai in modo di tornare viva. Mi hai sentito?!-
Lei sussultò, annunendo freneticamente. Le mancava l'aria, sentiva che sarebbe soffocata da un momento all'altro.
Per fortuna il tempo era scaduto, e suo fratello fu portato via a forza dai Pacificatori.
Hikari si lasciò scivolare a terra, portò una mano a tastare il collo, e lo scoprì pieno di lividi.
Non era possibile. Nemmeno firmando la sua condanna a morte sarebbe mai riuscita a fuggire da lui.
Così aveva solo peggiorato la situazione. Sperò di non tornare più a casa. Sperò di morire.
Scoppiò a piangere.
Passò un tempo interminabile, in cui solo i suoi singhiozzi risuonavano nella stanza.
Un'ora passò molto più in fretta di quanto Hikari avrebbe mai creduto, e presto si ritrovò fuori.
Prima che le telecamere potessero catturarla, nei corridoi del Palazzo di Giustizia, si asciugò gli occhi, recuperando il suo aspetto gelido.
Sperava solo che i capitoliani fossero così stupidi da non accorgersi che aveva pianto.
Incrociò Desarm nei corridoi. Lui era calmo, glaciale come al solito; probabilmente era venuto solo Regata Ryuuichirou, un suo vecchio amico d'infanzia.
Hikari lo conosceva di vista, questo Regata, non ci aveva mai parlato.
Quando furono fuori, ostentò uno sguardo sicuro, nonostante gli occhi gonfi, e tirò fuori l'espressione più fredda che riuscisse a fare.
Il treno era già pronto.
Quando furono dentro, e la mora vide la stazione allontanarsi, allora capì di essere perduta. Non avrebbe mai potuto tornare a casa.
Sarebbe stata uccisa da Capitol City.

Distretto 3

Kiara alzò gli occhi verso il soffitto, sospirando.
Chissà come, non sentiva più la disperazione di prima, solo un'uggiosa malinconia.
"Meglio" si disse "Almeno non piangerò."
Non era sicura che questo avrebbe giovato al suo debutto negli Hunger Games, non si era mai interessata abbastanza ai Giochi per sapere come comportarsi.
La prima a venire fu Shiva.
L'abbracciò piangendo, tenendola stretta.
Kiara improvvisamente si sentì al sicuro: avrebbe voluto restare nelle braccia della mora per sempre, senza mai uscire da lì.
Avrebbe voluto tante cose in quel momento, cose che non ricevette mai.
Fu la rossa a consolare la maggiore, come se fosse la mora a dover andare nell'Arena e non il contrario.
Kiara non era mai stata brava a consolare le persone, forse perchè si sentiva sempre così in imbarazzo quando gli altri soffrivano e lei no.
Eppure con Shiva bastò un abbraccio, qualche carezza sui capelli e si calmò; rimasero strette, come a voler recuperare tutti gli anni passati a litigare e burlarsi una dell'altra, senza mai dare spazio a un po' di affettuosità.
Ma pochi minuti non bastano, non bastano mai.
Shiva fu portata via. Dopo di lei, arrivarono i suoi genitori.
La madre l'abbracciò stretta, e Kiara si stupì di quanti abbracci riceveva quel giorno.
-Mamma...- Si sfilò la collana di perle. -Questa è tua. Dato che morirò, te la restituisco.- Sorrise un po', per riempire lo spazio che avrebbero occupato parole che lei non riusciva a dire.
Proprio in quel momento, se ne stavano incastrate fra le labbra e non volevano uscire.
-No, Kiara, no. Tienila tu, ti terrà fortuna nell'Arena.- La donna le posò le labbra sulla fronte, allacciandole la collana.
-Kiara. Rendimi fiero di te.-
La rossa fissò il padre, con quegli occhi lucidi e brillanti e un mezzo sorriso sul volto pallido e scavato dalle ore passate davanti a schermi di computer da collaudare.
Si morse le labbra; lei non era mai riuscita a rendere fiero l'uomo.
Non era brava a scuola, non era elegante e paziente, non piaceva ai ragazzi e spesso era trasgressiva.
Era Shiva quella ligia e precisa, quella che riusciva sempre ad accontentare i genitori.
Ma avrebbe recuperato. L'avrebbe reso fiero, anche se non sapeva come fare.
Sorrise, e i suoi occhi brillarono un po'. Pensò ringraziamenti per non averle chiesto di vincere, ma solo di partecipare con tutta se stessa a quei Giochi mortali, ringraziamenti che non riuscì a dire.
I Pacificatori avvertirono che il tempo era scaduto. La madre uscì subito e il padre la catturò in un veloce abbraccio prima di andarsene.
Rendimi fiero di te... Le sue parole rimbombavano nella testa della tredicenne, assillandola.
Come avrebbe fatto? L'avrebbe deluso ancora? Come tutte le altre volte?
Fu condotta fuori come in trance; Midorikawa aveva pianto tanto, e si vedeva.
La cosa non le importò però; quando arrivò alla stazione concesse un sorriso malinconico alle telecamere e scivolò dentro i vagoni nel treno.
Rimase così, con la bocca dischiusa sulle parole che non aveva detto, e che mai avrebbe avuto la possibilità di esporre. Mai più.

Distretto 4

Appena fu scortata dentro la stanza, Zoey gridò di gioia, prendendo a saltare per la camera, con euforia
Avrebbe partecipato agli Hunger Games, finalmente, finalmente, finalmente!
Non riusciva a crederci.
Era arrivato, il giorno del suo debutto, e la mora era decisa a giocarselo fino in fondo.
Dopo un po' si fermò, il fiato grosso e le labbra aperte in un sorriso radioso.
Prese in respiro profondo, decidendo di calmarsi.
Quando entrarono i suoi genitori, la riccia gli saltò al collo, abbracciandoli.
-Oh Zoey, bambina mia...- Piangeva la madre; ma erano lacrime di gioia, dato che loro avevano sempre sperato che la mora partecipasse e finalmente quel giorno era arrivato.
-Vieni qui, bellissima.- Il padre la intrappolò nelle sue braccia forti, da rematore, stringendola a sè e arricciandole i capelli scuri con le dita scavate dalla salsedine.
-Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato. Tu vincerai di certo, io ci credo.- La allontanò un po' da sè, accarezzandole il viso pallido, con una dolcezza che solo un padre può possedere.
-Ti voglio bene.- Disse solo l'uomo.
-Tu puoi vincere, io lo sento. Sei più furba degli altri Tributi.- Gli fece eco la madre, accarezzandole la schiena.
Sembravano così vicini, in quel momento; in realtà, pensò Zoey, lo erano sempre stati.
Perchè i suoi genitori, nonostante fossero ricchi e fossero spesso impegnati, c'erano sempre per lei, in qualunque momento.
E le volevano bene. Quel pensiero le fece pizzicare gli occhi verdi, che si appannarono di lacrime dolci.
-Anch'io.- Riuscì a pronunciare. -Vincerò. Ve lo prometto.-
-Ancora una cosa, cara.- Esclamò la madre. -Vincent non è potuto venire, ma ti fa i complimenti e dice che ti guarderà in televisione. Ah, e ti lascia questo, da portare nell'Arena. L'ha fatto lui.- Le porse un bracciale d'argento, con un ciondolo a forma di quadrifoglio.
Zoey lo prese fra le dita, accorgendosi che c'era anche una coccinella su quella foglia.
Vincent era il cameriere di famiglia, un suo caro amico; da bambina passava sempre tanto tempo con lui, ed era stato proprio l'uomo a insegnarle a nuotare.
Era una persona di cui potersi sempre fidare, e gli voleva bene.
-Ringrazialo.- Si esibì in un sorriso raggiante, luminoso, e i suoi genitori furono portati fuori.
Forse era stata un po' sbrigativa, pensò con orrore mentre andava verso la stazione, forse avrebbe dovuto dire più cose, ripetere ai suoi genitori che gli voleva bene, perchè non sarebbero bastate milioni di volte per esprimere tutto l'affetto che provava nei loro confronti.
Le dispiacque che Vincent non fosse potuto venire, perchè un abbraccio da lui le sarebbe mancato, ma poi si scrollò quel pensiero dolciastro dalle spalle.
Avrebbe vinto, e di abbracci ne avrebbe ricevuti mille.
Non aveva tempo per fare la sentimentalista.
Quando il treno iniziò a muoversi, Zoey si rese improvvisamente conto che quella forse era l'ultima volta che vedeva la spiaggia, il mare.
Così incollò gli occhi verdi sulla distesa infinita d'acqua salata, quasi a volerla chiudere tutta nel suo cuore.
Respirò l'aria di salsedine dal finestrino aperto.
"Addio, casa."

Distretto 5

Hakai si guardò intorno con occhi vacui.
L'aria, in quella stanza, era fredda, dannatamente gelida, e la sentiva appiccicata alla pelle come colla densa.
Rabbrividì, e si lasciò scivolare sulla poltrona di velluto al centro della stanza.
Strinse gli occhi cerulei, tremando e desiderando sparire.
Com'era potuto accadere? Avrebbe partecipato agli Hunger Games? Sarebbe davvero morta a quindici anni? Cosa aveva fatto di male per meritare tutto questo?
Sentì la porta aprirsi, e sull'uscio apparve Riku, coi suoi capelli dorati e gli occhi castani e profondi, colmi di lacrime.
Dietro di lui, la madre con ancora indosso il vestito da cameriera che indossava quando lavorava nella sua locanda, e il padre, appena uscito dalla fabbrica in cui lavorava, con i guanti sporchi in mano.
Rimasero qualche secondo in silenzio, guardandosi, senza riuscire capire come si fossero ritrovati in quella situazione.
Poi Riku riempì lo spazio che li distanziava e l'abbracciò; Hakai percepì il suo profumo, quell'odore così familiare che aveva colmato i pomeriggi estivi dove l'aria era troppo soffocante e i giochi infantili non soddisfavano più.
-R-Riku...- Riuscì solo a mormorare, con voce strozzata e rotta dal pianto.
-Hakai, sorellina... Io... Tu...-
Gli occhi azzurri di lei si riempirono di lacrime che scivolarono sulle ciglia lunghe e affusolate, bagnando le gote candide e inumidendo le labbra.
Singhiozzò forte fra le braccia del maggiore, senza fermarsi, senza curarsi del tempo che correva inarrestabile, che li aveva portati lì.
Dopo qualche minuto, Riku si fece da parte, e già Hakai avvertì la mancanza della protezione che le braccia del fratello le davano.
Come avrebbe fatto, senza di lui?
-Hakai... Ricordati che io...- Sua madre era davanti a lei, e alla bionda sembrò di essere di fronte a uno specchio: lei e la donna condividevano gli stessi lunghi capelli dorati, i medesimi occhi con la tonalità del ghiaccio e del limpido cielo invernale, la stessa statura minuta e fragilità nello sguardo.
Non seppe più come continuare, la donna, e si bloccò, limitandosi a osservare gli occhi puri della quindicenne.
-Hakai.- Suo padre aveva la voce calma, mentre la intrappolava in un abbraccio forte, e la ragazza avvertì il calore dell'uomo invaderle il corpo. Le mancava, come se fosse già lontano...
-Ricorda che quando prendi la scossa muori. Ti ricordi come si fanno i circuiti elettrici?-
Hakai annuì, anche se in quel momento non si ricordava affatto della conduzione di elettricità insegnatole dal padre.
-Fulmina gli altri Tributi, e torna a casa.- Le accarezzò i capelli di sole, e accennò un sorriso.
-Sorellina.- Riku le venne vicino. -Ho una cosa per te.- Le porse un bracciale che somigliava a una fascia, con una stella fra il tessuto.
-G-Grazie. La terrò.- Riuscì a dire Hakai, stringendo al petto il regalo, e le lacrime che già straboccavano dagli occhi.
-No, piccolina.- La madre l'abbracciò. -Non piangere. Su, sei bellissima. Avrai tantissimi sponsor che ti aiuteranno.-
E forse, riuscì solo a pensare la bionda, mentre i Pacificatori trascinavano via la sua famiglia, quello che aveva detto sua madre era vero.
Magari sarebbe riuscita a conquistare i capitoliani, magari l'avrebbero aiutata.
Quel pensiero la rincuorò un poco, ma solo per qualche misero secondo.
"Cosa possono fare gli sponsor se un Tributo mi accoltella?" si chiese retorica, e un singhiozzo sfuggì alle sue labbra sigillate.
Fu portata verso il treno, e non si curò delle telecamere che riflettevano il suo volto angosciato e bagnato di lacrime; tanto, per quel che valeva.
Salì sul treno, e l'unica cosa che riuscì a pensare era che non avrebbe mai più rivisto le lampadine accendersi alla Mietitura.
Che poi, quell'anno avevano avuto un colore così bello...
Un colore che sapeva di speranza.

Distretto 6

Hakaikuro sbuffò, mettendo stizzita le mani sui fianchi, mentre il rumore della porta che si chiudeva risuonava nella stanza.
Tanto non sarebbe venuto nessuno, e la mora proprio non capiva perchè dovesse stare un'ora lì dentro.
Arricciò il naso, tornando a sbuffare. Non aveva proprio voglia di sprecare un'ora in quel modo.
Fissò con astio la porta chiusa. Che nessun parente in lacrime avrebbe aperto.
Mpf, li aveva uccisi tutti, i suoi parenti.
E poi, anche se ci fossero stati, non sarebbero venuti.
Hakaikuro era sempre stata una bambina di troppo nella sua famiglia: suo padre era un assassino professionista, esattamente come il nonno.
Sua madre non lo era, quando nacque suo fratello maggiore, ma lo divenne col tempo.
Suo fratello di conseguenza imparò l'arte dell'omicidio, e la sua prima vittima fu una maestra di scuola elementare.
Il padre, un uomo crudele e senza scrupoli, era orgoglioso del figlio; rimase con la madre solo per accudire il ragazzo.
Hakaikuro non era figlia di sangue di questo omicida; lei nacque dalla violenza che sua madre subì mentre tornava a casa dopo il lavoro.
La donna non disse niente di quello che aveva subito prima della nascita della bambina. Quando l'uomo lo venne a sapere, uccise la madre davanti agli occhi di suo fratello.
Hakaikuro crebbe in un ambiente teso, in cui una mossa falsa avrebbe portato alla morte; il fratello la disprezzava e il padre non la considerava nemmeno.
Nonostante le prospettive non affatto rosee, la mora imparò subito come comportarsi.
Andava a scuola e cercava di passare il maggior tempo possibile fuori casa, in modo da non rischiare.
Ma poi, compiuti quindici anni, non ce l'aveva più fatta, e li aveva uccisi tutti: il padre, il fratello, i nonni e gli zii.
Non le era rimasto più nessuno; l'unico problema era che lei non era maggiorenne, quindi era stata mandata in un istituto.
Lì la vita era monotona, ma meglio di prima; i bambini la temevano e le istruttrici avevano timore di parlarle.
Hakaikuro sbuffò, e si chiese se le sarebbe piaciuto avere qualcuno.
Era un pensiero spinoso, che lei aveva imparato ad evitare, ma che ogni tanto tornava.
Non si pentiva di aver ucciso la sua famiglia, altrochè, nè la spaventava la solitudine, però ogni tanto le tornava un rivolo di amaro in bocca.
Sospirò; odiava questi momenti, perchè era debole. Debole come quando era bambina.
Si rese conto di desiderare un abbraccio.
Si strinse nelle spalle, attaccata da un improvviso brivido, e scosse rapidamente la testa, accompagnata da una cascata di capelli neri.
Non ci doveva pensare. Stava bene da sola. Se ne convinse un po', anche se nel profondo quel pensiero si dibatteva per tornare a galla. Ma lei sapeva come controllarlo.
Istintivamente la mano corse al ciondolo che portava al collo; raffigurava un serpente dai letali occhi di zaffiro arrampicato su una spada.
Sua madre gliel'aveva lasciato quando era ancora in fasce, prima di essere uccisa.
L'aveva sempre rincuorata il fatto di avere quel ciondolo, un qualcosa da stringere nei momenti di paura, come se racchiudesse tutto l'affetto che la madre non era riuscita a darle.
L'avrebbe tenuto nell'Arena, così avrebbe avuto gli azzurri occhi di un serpente a farle da guida.
La vennero a prendere, e notò una luce compassionevole nello sguardo di un Pacificatore.
Assottigliò gli occhi nero perla, fulminando l'uomo; aveva pietà di lei.
Quella considerazione la fece infuriare, e quando uscì era il riflesso del nervosismo.
Si accorse con soddisfazione che le telecamere la stavano riprendendo, così gli rivolse un occhiata gelida e salì stizzita sul treno.
Non le era mai piaciuto il Distretto 6. Però forse le sarebbe mancato.
Dedicò un'occhiata diffidente alle strade che si allontanavano rapide, e sospirò.
Non voleva più tornare a casa.

Distretto 7

Annalisa si guardò intorno; quella era la stanza più sfarzosa che avesse visto nella sua vita.
Bel modo di accoglierla prima della morte, non c'è che dire.
Ridacchiò un po', forse per commiserarsi; rise di sè, e dei suoi patetici tentativi di tirare fuori un sarcasmo che non possedeva.
Già, perchè lei non era quel tipo di persona che riesce a ridere sfacciatamente in faccia al pericolo, anche se dentro trema.
Lei, se avvertiva la paura crescere, non sapeva mascherarla e farla passare per coraggio. Semmai riusciva a nasconderla, ma non a sostituirla.
La porta si aprì, rivelando suo padre e sua madre. La sua famiglia.
Sentiva che sarebbe scoppiata a piangere. Abbassò gli occhi, senza riuscire a reggere il confronto con quelli dei suoi genitori.
Ma chi voleva prendere in giro? Non riusciva ad ingannare nemmeno se stessa, figuriamoci i capitoliani.
Perchè aveva provato ad illudersi di non avere paura?
Tanto non era capace.
-Annalisa.- La voce del padre era ferma, decisa, potente.
Si costrinse ad alzare gli occhi verdi e nocciola, scontrandoli con quelli smeraldini del padre.
-Cosa stai facendo?- L'uomo fece un passo verso di lei.
Sussultò e prese a tremare.
-Papà. I-Io... Non sto facendo proprio niente.- Riuscì a pronunciare, gli occhi eclissati dalle lacrime.
Perchè non l'abbracciava? Perchè aveva un tono di rimprovero?
-Infatti. Reagisci!- Il padre puntò gli occhi in quelli della ragazza, e Annalisa li abbassò.
-Nali...- La voce dell'uomo si addolcì un po', e prese un gusto di tenerezza.
-Perchè stai piangendo?- Finalmente l'abbracciò, e anche la madre le venne vicino.
-Papà... Mamma...- Ormai le lacrime rigavano il suo volto pallido, mentre singhiozzava forte.
-Ssshh... Non fare così.- La donna le accarezzò dolcemente la schiena, con fare apprensivo.
-H-Ho paura.- Mormorò, prima di abbandonarsi totalmente contro il petto dell'uomo.
-Ma perchè?- Lui sorrideva appena, mentre la stringeva forte. -Sai cacciare, sai usare la scure, sai accendere i fuochi. Basta per vincere.-
-No... Non riuscirò mai ad uccidere...- Annalisa non ce la faceva più, non voleva più nascondere niente.
Basta con la commiserazione, basta con il sarcasmo, basta.
Voleva solo che quell'abbraccio non finisse più.
-Nali...- La ragazza allentò un po' l'abbraccio del padre, girandosi verso la madre.
-Questa è per te.- Le sciolse i capelli ricci, che ricaddero ribelli, e legò una piuma nera e blu a una ciocca castana. Appena le dita della donna lasciarono i suoi capelli, la piuma cadde docilmente contro la spalla.
-E' del primo uccello che abbattei quando ero ragazza.- Sorrise un po', e Annalisa si specchiò negli occhi nocciola della donna.
-Non sapevo che tu avessi cacciato. E' contro la legge.- Ribattè, e un sorriso involontario incurvò le sue labbra rosee, mentre si asciugava le lacrime dagli occhi, perchè lei lo faceva praticamente ogni giorno.
Abbracciò la donna, mormorando un grazie contro i suoi capelli mossi.
I Pacificatori portarono via i suoi genitori, e Annalisa rimase lì, un po' sorridendo e un po' singhiozzando, perchè era da tanto che non parlava così sinceramente con loro.
L'aveva aiutata, ma le sarebbe mancata, nell'Arena, la mano forte di suo padre sulla propria quando non riusciva ad abbattere un albero troppo grosso.
La vennero a prendere poco dopo, e quando fu fuori un'occhiata di sole la colpì in viso, illuminando i segni delle lacrime.
Non se ne curò, e si chiese se anche Gouenji avesse pianto; nei suoi occhi non vedeva alcun segno di rossore, quindi pensava proprio di no.
Salì sul treno con un sospiro, e quando lo sentì muoversi sulle rotaie avvertì un panico bucherellato mozzarle il respiro.
Catturò con lo sguardo i boschi che si estendevano all'infinito fino all'orizzonte, e portò rapida le mani al viso.
Ma non profumavano più di legno. Quel pensiero le macchiò il viso di una nuova consapevolezza.
La sua casa si stava allontanando.

Distretto 8

Misaka trattenne il respiro, mentre la porta si chiudeva.
Rimase senza respirare per una manciata di secondi, come avvolta da una bolla che le impediva di muoversi.
Poi, come se questa bolla fosse scoppiata, si riscosse; si girò, il panico che palpitava nei suoi occhi e scoppiò a piangere.
Si era trattenuta durante tutta la Mietitura, e ora poteva permettere alle lacrime di scendere.
Singhiozzo forte, e cadde in ginocchio, nascondendosi il viso fra le braccia.
Perchè? Perchè lei? Fra tutte le altre ragazze, perchè proprio lei?
Non aveva senso, non era possibile.
La porta si aprì timidamente, ma la mora non alzò nemmeno lo sguardo.
Seguì un silenzio interminabile, e anche il pianto di Misaka si fece più controllato. Non singhiozzava più, ma le lacrime non smettevano di rigare il suo volto pallido.
Un abbaio rubbe quell'atmosfera tesa, e Shu si fece avanti trotterellando, e leccò il viso della ragazza.
La mora sorrise fra le lacrime, abbracciando il cane e affondando il viso nella sua pelliccia folta.
L'animale non aveva smesso di scodinzolare contento da quando era entrato; la madre si avvicinò silenziosa, e poggiò una mano sulla schiena curva di Misaka.
La giovane alzò allora lo sguardo, incontrando gli occhi azzurri della madre. Quegli occhi erano puri, limpidi, bellissimi, di un celeste finissimo, tanto da sembrare il cielo riflesso nel ghiaccio, l'acqua cristallina che scende da una fonte chiara.
E da quella sorgente caddero mille e mille lacrime che rigarono il volto scarno della donna, mentre anche lei cadeva in ginocchio, abbracciando la figlia.
Misaka ricambiò la stretta, e Shu si intrufolò fra le braccia delle due.
Ecco, pensò la mora, la sua famiglia era lì, e la sosteneva.
Forse sarebbe stato più giusto che ci fosse anche un padre, ad abbracciarla, ma l'uomo era stato ucciso dai Pacificatori per essersi ribellato e rifiutato di lavorare.
Suo padre aveva gli occhi neri, una goccia d'inchiostro nelle iridi chiari di sua madre, che aveva creato il cobalto che possedeva lei.
-Mamma...- Mormorò. -Papà aveva i capelli scuri?-
La donna alzò gli occhi, stupita. Perchè parlare di suo padre?
-L-Lui... Sì, aveva i capelli neri come i tuoi.- Rispose tremolante la donna, e Misaka sorrise un po', illuminado i suoi occhi offuscati dalle lacrime.
-Papà era oscuro. Era ribelle.- Disse, mentre lacrime calde tornarono a violare le sue gote arrossate.
-Oh Misaka...- La madre scivolò di nuovo fra le sue braccia, singhiozzando disperata.
Ma la mora ormai non ci pensava più. Si alzò di scatto in piedi.
-Che ne dici Shu? Diventerò come mio padre!- Sentenziò energica, e il cane abbaiò esuberante.
-Misaka, smettila di dire così. Pensa all'Arena, piuttosto. Come farai?-
La mora si rabbuiò.
-Non lo so.- Mormorò scura, gli occhi velati.
-Sai, Misaka, tuo padre voleva partecipare agli Hunger Games.-
-Come?- La ragazza si fece d'un tratto attenta.
-Sì, lui... Lui voleva far capire a Capitol City che non ci stava. Che avrebbe giocato con le regole imposte, e avrebbe vinto. Avrebbe vinto da ribelle. Ma poi, l'anno che aveva deciso di offrirsi volontario, conobbe me. Allora abbandonò il suo sogno e divenne responsabile.- Sorrise amaramente. -Sei proprio come lui, Misaka, esattamente come lui. Sei ribelle, indomabile. Sei tutta tuo padre, cara. E questo...- sospirò. -...mi rassicura e mi preoccupa allo stesso tempo.-
Misaka rise gioiosa, affondando nelle braccia della donna, rassicurata.
Ma il tempo era scaduto e la madre e Shu furono portati via; Misaka li vide uscire, e un velo di malinconia oscurò i suoi occhi.
Avrebbe vinto, come voleva fare suo padre. Da ribelle. Una luce baluginò nel suo sguardo, e si riempì le labbra di orgoglio, in un sorriso fiero.
Fu scortata fuori, e l'aria era calda e buona. Si sorprese a ridere un po'.
Quando fu sul treno, improvvisamente però si sentì ipocrita. Si sentì ingiusta.
Stava ridendo. Stava ridendo mentre la portavano a morire.
A quel pensiero arricciò le labbra in un sorriso contrito. Sempre meglio che piangere.
Sarebbe stata forte.
Decise che l'avrebbe fatto per suo padre, quel padre che non aveva mai conosciuto ma che l'aveva ispirata tutte le volte in cui era in difficoltà.
Sorrise, mentre il Distretto 8 scompariva.

Distretto 9

Natsumi rimase immobile, senza sapere se scoppiare a piangere o ridere.
Era una cosa assurda.
Tutta la paura che aveva avuto sul palco si era dissolta, lasciando spazio a un'euforia amara, dolorosa.
Nelle orecchie sentiva ancora il rumoreggiare della folla, e si lasciò scivolare sulla poltrona di velluto.
Era incredibile. Proprio non riusciva a crederci.
Il sogno di sua madre si era avverato, considerò con un sorriso amaro.
Il problema era che lei non aveva mai desiderato che questo accadesse. Mai.
Prese un respiro profondo. Doveva stare calma.
La porta si aprì, e suo padre avanzò insicuro verso di lei.
Rimasero in silenzio; l'uomo non sapeva cosa dire, anzi, si sentiva a disagio davanti a sua figlia. Lei, dal canto suo, stava tranquilla sulla poltrona.
Ma solo all'apparenza era sicura di sè.
"Perchè non parli? Di' qualcosa, ti prego!" pensò disperatamente, negli occhi nocciola una richiesta palpitante.
L'uomo abbassò lo sguardo.
La rossa rise imbarazzata, portandosi una mano alla nuca. -Che storia, eh?- riuscì a dire, sforzandosi di sembrare contenta.
-Già.- Il padre non accennò ad alzare gli occhi, e Natsumi si sentì ferita. Si sentì tradita.
-Cosa c'è ora?!- Sbottò infatti, alzandosi in piedi e prendendo per le spalle l'uomo. -Non vuoi parlarmi? Di' qualcosa, dannazione!-
Lui tentennò e una lacrima scivolò dai suoi occhi verdi. -Natsumi. Tu... Tu morirai.-
La rossa sbarrò gli occhi, indietreggiando fino a cadere sulla poltrona.
No. Non poteva averlo detto. Perchè? Perchè voleva ferirla?
-Ma...- Mormorò con voce strozzata dal pianto, ma fu interrotta dalla voce insicura dell'uomo, che parlava a testa bassa.
-Non volevo perderti. Quello era il sogno di tua madre e tuo, ma io non l'ho mai desiderato. Ma se a te va bene così... Allora auguri.-
Alzò gli occhi tremolanti e umidi di lacrime, posando sulle ginocchia di Natsumi una rosa secca, avvolta in due strati di pellicola per proteggerla dal tempo.
-Era di tua madre. Del nostro matrimonio. Beh... Ciao.- E uscì dalla porta, con passo lento e occhi bagnati.
La rossa rimase a bocca aperta, in un attimo di sconforto.
Poi lacrime bollenti caddero dai suoi occhi, lacrime trattenute che finalmente uscivano senza restrizioni.
-Non l'ho mai voluto...- mormorò fra i singhiozzi, piegandosi su se stessa come un fiore avvizzito, in preda a un dolore che non sapeva controllare.
Perchè suo padre l'aveva trattata così? Perchè se n'era andato? Perchè non l'aveva abbracciata? Perchè? Perchè? Perchè?
Si chiese se anche sua madre avesse sofferto così. Probabilmente no.
La donna era sempre stata di più di lei. Più sicura, più coraggiosa, più forte.
Era stata il suo idolo da bambina. E poi era morta.
Continuò a piangere ininterrottamente, il dolore che straripava dai suoi occhi, che rompeva la sua anima con ferocia brutale.
I Pacificatori vennero a prenderla e Natsumi lasciò che i suoi piedi si muovessero fino alla stazione, che salissero sul treno e che poi si fermassero.
I suoi occhi gonfi si posarono sui campi coperti di grano, e li fissò come in trance.
La sua mente era rimasta là, piegata a piangere per un destino che le si era rivoltato contro, per un padre che non sapeva capirla e per una madre che era morta troppo presto, che non avrebbe potuto aiutarla.
La mano di Kazemaru si posò sulla sua spalla, ma Natsumi nemmeno la sentì.
Iniziò a piovere.

Distretto 10

Roxie lasciò che la porta si chiudesse alle sue spalle senza muoversi.
Respirò pesantemente.
Piangere era inammissibile: non poteva permettersi debolezza.
Ma per adesso non c'era nessuno; si piegò, il petto stretto da una morsa d'acciaio che le mozzava il respiro, un gemito soffocato che voleva dire lacrime uscì dalle sue labbra socchiuse per il dolore.
Può davvero fare così male, andare incontro alla morte?
Si ricompose, mentre la porta si apriva.
Sua nonna entrò per prima, tenendo per mano Mia.
La piccola corse da Roxie e le si arrampicò in grembo; la rossa la cullò dolcemente, il volto contratto dall'angoscia.
Ma non avrebbe pianto. Mia aveva bisogno che lei fosse forte più che mai.
La piccola singhiozzò forte; la maggiore la strinse, e dietro alla sua spalla incontrò gli occhi verdissimi della nonna.
Occhi che, nonostante avessero visto atrocità indicibili, restavano brillanti.
Roxie aveva sempre ammirato l'anziana: era sempre così coraggiosa, forte, e non si lasciava mai prendere dalle emozioni.
Avrebbe voluto essere come lei, in momenti come questo.
Mia si allontanò un po' da lei, quel che bastava da guardarla in viso.
I suoi occhi limpidi e azzurri luccicavano di lacrime. Una fitta al petto.
No! Troppo dolore. Roxie scostò lo sguardo.
-Tu vinci, vero? Xie, tu vinci?- La voce chiara della bimba la lacerò.
Come avrebbe fatto a dirglielo? Come avrebbe fatto a spiegarle che sarebbe morta?
Serrò i denti. -Sì Mia. Io... Io vinco. O almeno ci proverò.- Abbozzò un sorriso.
La bambina si accoccolò contro il suo petto, mentre Roxie le accarezzava con dolcezza i capelli.
Può davvero fare così male, abbandonare chi ha bisogno di te? e il dolore al petto si fece insopportabile; avrebbe voluto cadere e lasciarsi divorare da quel male fin quando di lei non sarebbe rimasto nulla.
Ma c'era Mia, che necessitava di una protezione che Roxie non sarebbe più riuscita a darle. A quel pensiero, gli occhi le si appannarono di lacrime. Lacrime inutili.
-Nonna...- L'anziana si avvicinò senza parlare, e le posò un bacio sulla fronte, mentre le metteva fra le dita un anello.
Roxie lo guardò incuriosita: era d'oro, e luccicava proprio tanto. All'interno, erano incisi due nomi: "Barbara&Claudio".
I suoi genitori... Un altra fitta al petto.
Può davvero fare così male, ricordare chi non può aiutarti? spostò lo sguardo sulla nonna, tentando si dimezzare quel dolore atroce.
-Xie. Ricorda che anche chi non sembra forte può sopravvivere.- Roxie la guardò stupita, tentennando.
Poi comprese. Comprese che non si stava riferendo a lei, agli Hunger Games. Comprese che voleva dire che ce l'avrebbero fatta, anche senza di lei.
Si morse le labbra, bloccando un singhiozzo che avrebbe rovinato tutto.
-G-Grazie. Lo terrò.- Strinse febbrilmente l'anello, come se avesse paura che potesse scivolarle via dalle dita.
-Ehi, Mia.- Richiamò la sorellina, accarezzandole il visetto candido. -Guardala tu, la mandria. Puoi giocare coi cuccioli, se vuoi. Solo per questa volta, però.- Le donò un buffetto sulla guancia, strizzandole l'occhiolino.
La piccola sorrise un po', un sorriso stravolto dalle lacrime, e i Pacificatori le portarono via. Era scaduto il tempo.
Tempo, tempo... Tempo che non basta mai, tempo che scorre, tempo che fugge, tempo che non c'è.
Il dolore le invase il petto. Come avrebbe fatto? Mia non sarebbe stata più la stessa, senza di lei. Mia aveva bisogno di qualcuno che le facesse vedere un mondo buono e pieno di fantasia. Mia non doveva essere mangiata dal tempo, dagli eventi.
Fu scortata fuori; il sole le illuminò gli occhi verdi, che si colorarono di pagliuzze arancioni.
Respirò l'aria tiepida, e riacquistò un po' di lucidità. Doveva stare calma, se non voleva impazzire.
Entrò nel treno, e avvertì una fitta di nostalgia. Già le mancavano le manine calde di Mia sulle sue. Già le mancava lo sguardo buono e indecifrabile della nonna.
I pascoli scivolarono via dagli occhi, perdendosi all'orizzonte.
Ma un pezzo della sua anima rimase là.

Distretto 11

Skylin sospirò, lasciandosi cadere sulla poltrona.
Passò e ripassò le dita sul tessuto, tentando di calmarsi.
Aveva salvato Sue.
Quel pensiero la fece sorridere, e i suoi occhi brillarono un po'.
Per un attimo l'egoismo prese il sopravvento, e si disse che non avrebbe mai dovuto darsi volontaria.
Ma poi i suoi pensieri caddero sul matrimonio imminente di Derek e Sue e decise che aveva fatto bene.
Sue doveva essere felice insieme a Derek. Però... lei cos'avrebbe fatto?
Non sapeva veramente che fare: il Distretto 11 non era fra i favoriti e non aveva mai vinto in modo tanto clamoroso.
Di sicuro qualche possibilità ce l'aveva, ma lei era così piccola, coi suoi quindici anni che sembravano meno, e non era sicura che avrebbe potuto farcela.
La porta si aprì e Skylin trattenne il fiato.
-Skyl!- Subito Derek le si lanciò incontro, abbracciandola.
Lei ricambiò insicura la stretta, mentre il fratello piangeva. Piangeva per lei, perchè sarebbe morta...
Un dolore al petto le mozzò il respiro. Derek stava male per colpa sua.
La paura irruppe nei suoi occhi gialli, mentre si affrettava ad asciugare gli occhi del ragazzo, mormorando affermazioni sconesse.
-Skyl, tu... Non dovevi offrirti volontaria, no... Non volevo... Io... Tu...-
-Sssh...- Sorrise leggermente. -Va bene così. Tu e Sue dovevate sposarvi.-
-Ma... Ma io...-
-Grazie.- La voce di Sue era chiara e limpida, come il canto delle ghiandaie imitatrici, come lo sciaborio delle sorgenti pure.
Skylin incontrò i suoi occhi e ogni dubbio sparì: aveva fatto bene ad offrirsi volontaria.
-No! Allora è colpa nostra? Ti sacrificata per...- Derek era disperato, la voce rotta e gli occhi colmi di lacrime.
-Per la vostra felicità.- Lo interruppe rapida lei. -Ti prego... Non piangere. Non riesco a sopportarlo.- Abbassò gli occhi, colta da un disagio improvviso.
-Oh sorellina... Mi sento così in colpa...-
Derek sciolse la stretta e Sue l'abbracciò forte.
-Tu puoi farcela.- le mormorò all'orecchio, con voce spezzata.
-Fai felice Derek.- Ribattè piano Skylin, senza scomporsi.
Abbracciò anche i genitori, e pure loro versarono lacrime salate.
Skylin non aveva mai stretto un dialogo particolare con loro, però le sarebbero mancanti; erano pur sempre i suoi genitori.
Ma Derek e Sue, oh, di loro sì che avrebbe avuto nostalgia.
Scosse la testa, mentre i Pacificatori li portavano via, dicendosi che non doveva piangere. Doveva essere un Tributo forte.
Con sua somma sorpresa, la porta si aprì di nuovo.
Shirou avanzò con passò insicuro, un mezzo sorriso imbarazzato e gli occhi gonfi per le lacrime.
Probabilmente aveva pianto per Atsuya. Ma allora perchè era lì?
Skylin gli dedicò uno sguardo interrogativo, mentre lui le si sedeva accanto.
-Skyl... Posso chiamarti così, vero?-
La castana annuì sorpresa, aspettando che parlasse.
-Tu...- sorrise, amaro. -Tu puoi vincere, sai? Quei coltelli che tiri per far cadere la frutta... Non è poi così diverso lanciarli nei corpi degli avversari.-
Un brividò l'attraversò, mentre si faceva guardinga.
-Vincere significherebbe uccidere tuo fratello, lo sai?-
Shirou sorrise radioso. -Lo so. Ma tanto lui non può farcela. E' distrutto e non si concentrerà mai abbastanza. Ma tu...- le prese le mani. -Tu puoi facerla.-
La ragazza sospirò.
-Volevo darti questa.- Lui le porse una buccia d'arancia che era stata evidentemente a seccare sulla stufa e rilasciava ancora un buon odore. Un odore che sapeva di casa. -Per ricordarti che facciamo il tifo per te.-
Gli occhi dorati di Skylin si appannarono di lacrime, ma lottò contro il bisogno di farle scendere.
-Grazie Shirou. Grazie.- L'albino si alzò e l'abbracciò impacciato, poi uscì, sorridendo e piangendo.
Skylin sentiva il cuore rimbalzare in gola, le lacrime che minacciavano di traboccare dagli occhi
Fu scortata fuori dai Pacificatori.
Perchè Shirou era venuto? Perchè le aveva donato quella buccia? Perchè lui? Perchè non ad Atsuya? Perchè?
Salì sul treno e avvertì l'odore superbo di Capitol City entrarle nelle narici. Storse il naso.
Il suo Distretto... Il suo Distretto pieno di colori, e profumi, e fiori... Lo stava abbandonando.
Ostentò un'espressione seria, mentre il treno partiva.
Strinse in mano la buccia d'arancia.
Almeno un pezzo di casa sarebbe stato con lei.

Distretto 12

Amelia lanciò uno sguardo alla porta che si chiudeva.
Prese un respiro profondo, mentre quel gelido senso di debolezza non si decideva ad abbandonare il suo petto.
Lanciò uno strillo arrabbiato. Perchè dovevano trattarla così? Perchè Capitol City doveva essere così forte? Perchè dovevano farla sentire così piccola?
La porta si aprì proprio nel momento in cui la castana lanciava uno gemito di rabbia.
-Amelia.-
I suoi occhi azzurri guizzarono verso Leila, in piedi sullo stipide della porta.
-Dov'è papà?- esclamò, colta da un'improvvisa paura.
Senza l'uomo, sarebbe stata ancora più debole. Aveva bisogno di qualcosa a cui aggrapparsi.
-Qui.- La voce scura del padre le arrivò come un canto di sollievo, mentre lui entrava col viso ancora sporco di carbone.
-Meno male, credevo che non saresti riuscito a venire...- Mormorò in un sospiro, e si rese improvvisamente conto di avere gli occhi pieni di lacrime.
Quel pensiero se possibile la fece infuriare ancora di più. Non doveva piangere.
Aveva smesso di essere debole da quando era morta sua madre; in quell'occasione aveva pianto tutte le lacrime che possedeva, e aveva deciso di non piangere più.
Facevano solo male, i singhiozzi nella gola, le lacrime che infuocavano il viso e la debolezza che si impossessava del petto.
Non era bello. Non avrebbe pianto neanche ora, che stava per andare a morire.
L'abbraccio di Leila fu del tutto inaspettato: le sue braccia intorno al suo collo, il respiro fra i capelli, quel senso di protezione così caldo da togliere il fiato.
-Leila...- Esclamò stupita, ricambiando insicura la stretta.
Le lacrime della maggiore le si infrangevano fra le ciocche scure, bagnandole un po' i capelli.
Si morse le labbra; non poteva certo biasimarla, anche lei sapeva che sarebbe morta. Quel pensiero però non la spaventava: non aveva paura di morire, dopotutto prima o poi sarebbe successo.
Non sapeva che dire, quindi si limitò ad affondare il viso nell'incavo del suo collo e attendere che si calmasse.
Leila sciolse piano l'abbraccio, lasciando che Amelia andasse incontro all'uomo.
Lui la strinse forte, e la castana avvertì il suo profumo penetrante invaderle il naso, quel profumo particolare di polvere di carbone, un po' amaro e un po' pizzicante, come zolfo e peperoncino.
Il padre si allontanò leggermente, accarezzandole le ciocche più chiare fra i capelli scuri.
-Sei diventata così grande, Amelia...- Mormorò con un mezzo sorriso, mentre le sue mani le sfioravano il viso. -Sei diventata bellissima. Tu provaci, okay? A vincere, intendo. Forse puoi farcela. Non voglio ricchezza o altro, solo riaverti a casa. Ci proverai?-
Amelia annuì, considerando che aveva usato lo stesso tono che si utilizza con i bambini quando fanno i capricci.
Quel pensiero la fece sorridere.
-Brava la mia campionessa.- Lui le donò un buffetto sulla guancia, lottando contro le lacrime.
-Tieni.- Disse con un sorriso rassicurante, posandole fra le dita una vecchia ametista luccicante. Amelia percorse la sua superficie, affascinata.
-L'avevo trovata vicino alla recinzione. Ti terrà fortuna.-
La castana gli buttò le braccia al collo, stringendolo forte, come se avesse paura che potesse scivolare via.
Il suo appiglio, suo padre... Lui c'era sempre stato. Gli occhi le si appannarono di lacrime, ma ingoiò il nodo in gola che si faceva sempre più stretto.
Non avrebbe pianto. Avrebbe detto addio alla sua famiglia senza versare lacrime.
-Brava campionessa.- L'uomo le mormorò all'orecchio con voce dolce, prima di voltarsi e andarsene insieme a Leila.
Campionessa... La chiamava così quando era bambina ed era ormai il suo nomignolo ufficiale.
Sorrise teneramente, mentre le lacrime minacciavano ancora di scivolare via dagli occhi.
No! Avrebbe resistito.
I Pacificatori la scortarono fuori, e Amelia mostrò l'espressione più minacciosa che riuscisse a fare.
I capitoliani dovevano vederla come un soggetto difficile da abbattere, potente.
Entrò nel treno e le porte si chiusero sbattendo dietro di lei.
Lanciò uno sguardo al cielo grigio, così familiare nel Distretto 12, inspirò ancora una volta l'odore penetrante del carbone, per tenerlo dentro, per non dimenticarlo mai. Per non dimenticare che il suo Distretto contava su di lei.
Abbozzò un sorriso, mentre il treno partiva verso la morte.



















Ehi mondo!! *.*
Che bello risentirvi amorrrri. <3 <3 <3
Che ne dite di questo capitolo?
Lungo anche questo... 20 pagine e un pezzo, per la precisione. u.u
Non vi prometto che i prossimi capitoli saranno più corti. Io non prometto niente! *^*
Ci ho messo tanto ad aggiornare, e sono anche stata molto assente da Efp, ma questo capitolo era da scrivere. uwu
Qui gli Oc hanno parlato con i loro cari familiari. Aw. <3
Per alcuni so di non aver rispettato appieno il carattere, spero che non si siano offesi per questa trasgressione, ma quando una persona è sconvolta, è sconvolta. ù.ù
O almeno io la penso così. ;)
Un piccolo avviso per Lelle: Hikari riceverà il suo oggetto da portare nell'Arena più tardi, don't worry. ^.^
Niente, spero vi sia piaciuto, perchè è da tanto che ci lavoro. :3
Bien, ora devo andare, che è tardi e voglio mettermi a letto. >.<
Ciao ciao! ^.^/
Lucchan

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***





Distretto 1


Il treno iniziò a muoversi cigolando.
Marina rimase immobile, gli occhi strizzati e il respiro pensante.
Doveva stare calma. Calma. Calma. Calma.
Alzò gli occhi azzurri, facendoli vagare per il treno.
Il suo sguardo si fermò su Suzuno: il ragazzo era tranquillissimo, il viso apatico e gli occhi con una piccola scintilla curiosa malcelata.
Nel Distretto 1 il lusso non era una cosa particolare, erano abituati allo sfarzo, ma quel treno era la cosa più lussuosa che avessero mai visto.
Il loro accompagnatore però non gli diede tempo per osservare, annunciando con voce squillante di prepararsi per la cena; sarebbero arrivati a Capitol verso mezzanotte.
Il viaggio sarebbe stato dunque piuttosto breve.
Marina non se lo fece ripetere, e andò diritta nel suo appartamento; e non esagerava a chiamarlo così, dato che le stanze a lei riservate consistevano in una camera da letto enorme, un bagno personale e armadi pieni di vestiti.
La castana sbuffò, decidendo di farsi una doccia prima di scendere.
L'acqua era calda contro la pelle abbronzata, faceva quasi male e l'aiutò a riacquistare un po' di lucidità.
Marina non aveva paura degli Hunger Games, si sentiva solo stanca. Avrebbe voluto buttarsi nel letto e dormire, cadere nel buio dell'incoscienza, anche se sapeva che non le sarebbe stato concesso un po' di riposo fin quando non sarebbero arrivati a Capitol City.
Socchiuse gli occhi, lasciando che il vapore invadesse la stanza e facendo scivolare via i pensieri.
E poi, eccole, le lacrime, finalmente caddero; si mischiavano con l'acqua e ferivano il suo viso.
Dylan. Suo padre. La sua casa. Tutto le mancava già.
Ma lei non aveva paura, vero? Lei non aveva paura di niente.
Spense di scatto l'acqua, irritata. Non doveva essere debole. Si asciugò in fretta, e indossò un paio di pantaloni e una maglia larga, si legò al collo il dente di squalo e andò diritta nella sala da pranzo.
Suzuno era già lì, e stava ascoltando Cashmere che parlava mentre mangiava.
Marina si scusò per il ritardo e prese posto a tavola.
Cashmere le rivolse un sorriso. -Ciao. Tu sei Marina vero? Posso chiamarti per nome?-
La castana annuì senza voglia. -Certo.-
-Allora, stavo spiegando a Fuusuke che gli Hunger Games non sono poi così difficili da vincere. E' solo che tutti li fanno sembrare così complicati.- Rise un po', e Marina pensò che aveva un carattere decisamente troppo dolce.
Sapeva che Cashmere aveva vinto la 64° Edizione, un anno dopo la vittoria del fratello Gloss.
La castana iniziò a mangiare in silenzio, imitando Suzuno.
-Quindi, vi dicevo. Ricordate che gli altri Tributi non sono l'unico pericolo. Ci saranno molti altri ostacoli nell'Arena stessa. Sapete usare qualche arma?-
-Tiro l'ascia e i coltelli. E me la cavo anche con le trappole.- Marina lanciò uno sguardo stupito a Suzuno. Non poteva essere da meno di lui.
-Io uso la katana.-
Cashmere sorrise. -E' un buon inizio. Cercate subito alla Cornucopia le armi che sapete usare meglio.-
Il dialogo si concluse lì; la cena terminò presto, e Marina avrebbe tanto voluto andare a dormire.
Ma non poteva perdersi l'ingresso a Capitol City.
Doveva tenersi occupata, se non voleva addormentarsi. Girava per il treno, cercando una soluzione, quando sentì una musica profonda provenire da una porta socchiusa.
Incuriosita, la aprì piano; la stanza era piccola, e c'era un pianoforte nero lucido al centro. Suzuno lo stava suonando ad occhi chiusi, rilassato.
-Ehi.- Lo chiamò, avvicinandosi.
L'albino smise di suonare e alzò gli occhi azzurri. -Ciao.-
Marina si sentì a disagio davanti a quello sguardo perforante, ma non lo diede a vedere.
-Suoni bene.- Commentò solo con voce piatta, avvicinandosi.
Lui la squadrò qualche secondo. -Tu sai suonare?-
La ragazza sorrise un po'. -Sì. Da quando ero piccola, per la precisione.-
Allora Suzuno si alzò, facendole cenno di sedersi sullo sgabello di fronte allo strumento.
Era una chiara provocazione; la castana non se lo fece ripetere e iniziò a suonare con gli occhi socchiusi.
Si lasciò guidare dall'istinto; non seppe nemmeno dire che canzone stesse suonando, le sue dita sottili si muovevano veloci sopra i tasti.
Rimasero così, senza parlare. Suzuno, appoggiato alla parete, la guardava e Marina suonava in silenzio.
Quell'armonia di respiri sottili e note ora gravi e ora acute venne interrotta dal rumore del treno che si fermava.
I due andarono subito verso il finestrino più vicino; i capitoliani erano tanti, e folleggiavano davanti alla stazione.
Marina li guardò disgustava, chiedendosi se si sarebbero divertiti così tanto anche quando loro sarebbero morti in una pozza di sangue.
Suzuno lanciò uno sguardo diffidente alla folla, poi si allontanò sparendo fra i corridoi.
Il treno si era fermato; mezzanotte in punto. L'ora in cui inzia l'oblio.

Distretto 2

Hikari prese un respiro profondo, scambiandosi un'occhiata con Desarm.
Lui le sorrise un po', avvicinandosi.
-Stai bene?- Domandò dolcemente, cingendole i fianchi con le braccia.
Normalmente si sarebbe abbandonata contro il suo petto, magari piangendo, ma era troppo irritata per farlo. Desarm le doveva delle spiegazioni.
-No, non sto affatto bene. Perchè ti sei offerto volontario?- Sbottò infatti, liberandosi dalla sua presa.
-Ti ha picchiata?-
-Non sviare il discorso!-
Desarm sorrise. Hikari era sempre la stessa, anche adesso che la morte si avvicinava.
-Non potevo lasciarti sola.- Si avvicinò di nuovo, accarezzandole il viso e fissandola diritta nei suoi occhi scarlatti, con quello sguardo che solo lui sapeva fare.
Desarm le scostò una ciocca riccia dietro all'orecchio, sempre sorridendo.
-Eh-ehm! Potete anche smetterla di flrtare come galline in calore.-
I due sciolsero l'abbraccio e le guance di Hikari si tinsero di un lieve rossore.
La loro mentore li fissava infastidita: pelle abbronzata, lunghi e lisci capelli castani legati in una coda, occhi felini e scuri. E poi gli spaventosi denti affilati che la distinguevano. Era Enobaria.
Hikari roteò seccata gli occhi, sbuffando.
Non aveva proprio voglia di stare a sentire quella squilibrata che parlava degli Hunger Games. Tanto lei era sicura che non avrebbe mai squartato la gola a un avversario coi denti, come la loro mentore aveva fatto.
La loro accompagnatrice ruppe quell'atmosfera tesa, dicendogli di prepararsi per la cena.
Hikari si avviò svogliatamente nel suo scompartimento; una volta dentro, si sciaquò via i segni delle lacrime e si guardò riflessa nello specchio che stava sopra il lavandino.
Occhi rossi. Capelli ricci mori con ciocche viola. Seno prosperoso. Labbra carnose.
Come l'avrebbero trasformata, a Capitol City?
Sapeva che una volta arrivati lì veniva assegnato ad ogni Tributo uno stilista e uno staff di preparatori. Cosa le avrebbero fatto?
Cercò quasi di immaginarlo, fissando con insistenza il suo riflesso.
Poi la sua attenzione cadde sul livido che si stava formando sulla guancia, dove la mano di Ikuto l'aveva colpita.
Sospirò e distolse lo sguardo.
Solo Desarm sapeva quello che gli faceva suo fratello. Lui lo sapeva e l'amava comunque.
Scosse rapida la testa, e raccolse i capelli in uno chignon.
Poi uscì dalla stanza senza cambiarsi, lasciando la sua immagine riflessa nello specchio dietro la porta.
Raggiunse la sala da pranzo, già apparecchiata.
Enobaria era seduta e mangiava già, senza aspettarli.
Hikari sbuffò sonoramente, lasciandosi cadere sgraziatamente sulla sedia.
Gli occhi scuri e diffidenti della mentore la seguirono mentre iniziava a mangiare, ma la ragazza non ci fece caso.
-Dov'è Desarm?- Chiese distrattamente la mora, facendo tintinnare le dita contro il bicchiere.
-Il tuo fidanzatino? Ha detto che non voleva mangiare.- Sorrise malignamente Enobaria, e Hikari le scoccò un'occhiata di fuoco.
Poi si alzò, lasciando il suo pasto a metà.
-Vado a cercarlo.- sussurrò sparendo dietro la porta.
Errò per i vagoni senza meta, facendo correre il suo sguardo negli angoli più bui del corridoio.
E poi lo vide; era appoggiato alla parete, lo sguardo perso sul Distretto 1 che spariva all'orizzonte.
-Ehi.- Lo chiamò, avvicinadosi. -Perchè non sei venuto?-
Lui la guardò qualche secondo, soffermandosi sul livido nel viso.
-Non avevo fame.- mormorò distrattamente, portando le dita fredde ad accarezzarle il punto offeso.
Hikari si abbandonò contro il suo petto, lasciandosi abbracciare come una bambina.
C'era silenzio intorno a loro, un silenzio caldo e familiare, come i loro corpi vicini, rotto dallo sferragliare lontano del treno sulle rotaie che somigliava a una ninnananna.
-Ehi, Hikari.- bisbigliò Desarm, mentre la stringeva forte.
-Mh?- Lei si tirò su, allontandosi un po'.
-Tieni.- Le prese il polso, allacciandole un bracciale l'argento con decorazioni rosse. -Per ricordarti che io ci sono sempre.- Le cinse la vita con le braccia.
Hikari sorrise, per la prima volta sinceramente in quella giornata, avvicinandosi alle labbra del ragazzo.
Il vagone venne avvolto nel buio di una galleria, mentre i due Tributi si baciavano dolcemente, in una stretta che sapeva di promessa.
Quando la luce tornò, si staccarono, guardando entrambi fuori dal finestrino: Capitol City era immensa, accesa di luci d'ogni tipo, festosa anche a notte inoltrata, più maestosa di quando l'avessero mai potuta immaginare.
Le loro mani si strinsero.

Distretto 3

Kiara sbattè gli occhi.
Si sentiva avvolta da un sogno.
Tutto era dannatamente lento, solo i suoi pensieri correvano.
Voleva cadere, scivolare via. Magari in un limbo dove c'erano Shiva e mamma e papà.
Si guardò intorno con occhi vitrei, colta da un brivido.
Trovò lo sguardo preoccupato di Midorikawa, poi si avviò con passo lento verso il proprio scompartimento.
Era tutto troppo sfarzoso, in quel treno, tutto troppo distante dalla sua realtà. Tutto troppo dannatamente diverso da casa.
Si buttò sul letto senza nemmeno chiudere la porta.
Persino le coperte avevano un odore strano, l'odore di Capitol City.
Kiara storse il naso, reprimendo un singhiozzo. Non era il momento per piangere.
Si tolse il vestito della Mietitura, indossò i primi abiti che trovò nell'armadio e uscì dalla sua stanza.
Con passo cascante e stanco arrivò alla sala da pranzo.
Beetee e Ryuuji stavano parlando tranquillamente.
Prese un respiro profondo, sorrise in modo falso e li salutò squillante sedendosi.
-Di che stavate parlando?- chiese, fingendosi la persona più felice del mondo.
-Tattiche.- Beetee le rivolse uno sguardo indagatore dietro le spesse lenti d'occhiale e Kiara abbassò lo sguardo imbarazzata.
Midorikawa sorrise forzatamente. -Allora Beetee, quando arriveremo nell'Arena...-
-Allontanatevi il prima possibile dalla Cornucopia. Non cercate mai lo scontro diretto se non siete certi di poter vincere facilmente.-
-Ma se non prendiamo niente alla Cornucopia come facciamo a sopravvivere?- Ribattè scettica la rossa.
Beetee sorrise. -Credevo che fosse ovvio. Prova a pensare.-
I due ragazzi rimasero in silenzio qualche secondo, scambiandosi uno sguardo confuso di tanto in tanto.
-Rubiamo quello che ci serve agli altri Tributi? Ma se non abbiamo armi, come facciamo?- azzardò Ryuuji.
-Esattamente. Ragazzo, si può uccidere una persona anche senza un coltello. Basta usare la testa. Sapete usare qualche arma?-
Il verde alzò le mani, come in segno di resa. -Mai toccata una lama in vita mia. Ma me la cavo con i circuiti elettrici.-
-Io tiravo i sassi con la fionda. Potrei tirare qualcosa di più pericoloso.- propose Kiara.
Beetee li squadrò qualche secondo. -E' un buon inizio. Ora andate a riposarvi, arriveremo a Capitol verso l'alba.- Detto questo si alzò, sparendo fra i corridoi.
Kiara e Ryuuji si guardarno qualche secondo, prima di imitare l'uomo e uscire dalla stanza, fianco a fianco.
-Brrr... Beetee mi mette i brividi.- Esordì ad un certo punto il verde.
Kiara ridacchiò. -Secondo me è affidabile. Davvero non hai mai toccato una lama?-
-Davvero non hai mai fatto una trappola elettrica?- ribattè retorico lui, sorridendo con aria di sfida.
-Okay, okay.- La rossa alzò le mani arresa, senza smettere di sorridere. -Diciamo che non ne ho mai fatte di così eccellenti, ma funzionavano. E tu?-
-Mio fratello aveva iniziato ad insegnarmi come lanciare i coltelli. Non ero poi così bravo, ma per lo meno so centrare il bersaglio.- sorrise anche lui.
Entrambi smisero di camminare e rimasero qualche secondo in silenzio.
-Hai sonno?- Esclamò con voce sottile Kiara, puntando i suoi occhi in quelli oscuri del ragazzo.
Midorikawa scosse la testa, e sorrise di nuovo; le sue iridi scintillarono e la rossa percepì qualcosa di caldo trapassarle il petto.
Si perse nei riflessi di quella sensazione piacevole, e si ritrovò a sorridere come un'idiota. Un'idiota felice.
-Okay. Pensi di riuscire a resistere fino all'alba?- Ribattè ancora Kiara.
-Se parliamo sì.-
C'era una provocazione bella e buona in quella frase, in quegli occhi brillanti, in quel sorriso sbarazzino; la rossa la colse al volo.
-Allora parliamo. Qual'è il tuo colore preferito?-
E inziò una lunga serie di domande e risate un po' trattenute, e sorrisi luminosi e occhi che si scontravano giocando.
Più andavano avanti a parlare, più in Kiara cresceva la sensazione di star sbagliando tutto.
Sentiva di starsi affezionando a quella luce speciale nelle iridi di Ryuuji, e questa era la cosa peggiore che avrebbe potuto fare.
Perchè voleva farsi male? Midorikawa sarebbe morto, come lei, probabilmente.
Quindi perchè lo stava conoscendo? Sarebbe stato più difficile accettare la sua morte.
Forse perchè appena aveva incrociato i suoi occhi aveva sentito quel caldo pizzicore al petto, e non era più riuscita a farne a meno.
Quando il sole si affacciò sui finestrini del treno, e Capitol City apparve ai loro occhi immersa nella luce crescente, i due Tributi erano stanchi ma contenti.
Nessuno dei due aveva perso quella sfida che si erano lanciati; erano riusciti a restare svegli.
Era una cosa da bambini, ma andava bene così a tutti e due.
Si lanciarono uno sguardo orgoglioso, e Kiara sentì ancora quel calore espandersi nel petto.
No, non avrebbe potuto più farne a meno.

Distretto 4

Zoey rimase così, con gli occhi fissi sul sole che andava calando fuori dal finestrino e l'odore di salsedine che pian piano scompariva del tutto.
Quando il mare sparì all'orizzonte, allora si allontanò dal vetro, sospirando.
Incontrò gli occhi neri e insicuri di Mac.
Lui stiracchiò un sorriso gentile, e lei scostò lo sguardo, incrociando le braccia al petto.
Quegli occhi la imbarazzavano. Avevano qualcosa di terribilmente dolce.
Per fortuna, il loro accompagnatore esclamò con voce squillante che la cena stava per iniziare e che avrebbero fatto bene a prepararsi.
Zoey fu felice di sottrarsi agli occhi penetranti del ragazzo, e scivolò rapida dentro il suo scompartimento.
Non riusciva ancora a crederci. Era tutto troppo bello per essere vero.
Emise un verso che somigliava a uno squittio di gioia e si lasciò cadere sul letto morbido, ridacchiando come una bambina.
Avrebbe potuto morire. Ma avrebbe anche potuto vincere.
Era sicura delle sue possibilità, ed era altrettanto certa che Mac non sarebbe stato una minaccia.
Lui era gentile. Era buono. Quel pensiero si conficcò come una spina nel suo petto.
Era buono. E lei si affezionava inevitabilmente ai buoni.
Scosse rapida la testa, scacciando via quel pensiero. Non doveva affezionarsi a Mac. Per prima cosa, si appuntò di chiamarlo per cognome.
Si alzò e andò diritta verso la sala da pranzo, senza nemmeno togliersi il vestito dorato.
Quando si sedette a tavola, notò con grande dispiacere che era Mags il loro mentore.
Sbuffò. Avrebbe preferito di gran lunga Finnick Odiar.
Durante la cena non parlarono molto.
Mags provò anche a intrattenere un discorso, ma Zoey era così irritata che rispondeva a monosillabi, rendendo praticamente impossibile parlarle.
Così il pasto si concluse in fretta e i due Tributi si alzarono.
Lei perse di vista il ragazzo, ma non andò subito nella sua camera. Girovagò per i corridoi, distrattamente, lasciandosi soffocare dalla malinconia.
Non credeva che la sua casa avrebbe potuto mancarle così tanto.
Non aveva nemmeno sonno. Voleva solo abbracciare qualcuno.
Forse fu questa considerazione a farla avvicinare quando vide Mac appoggiato alla parete vicino al finestrino.
-Ehi, Rionejo.- Si ricordò appena in tempo di chiamarlo per cognome.
Lui alzò stupito gli occhi. -Ciao Jackson.- Eccolo di nuovo, quello sguardo.
Rabbrividì.
-Che ci fai qui?- Chiese con voce provocatoria, appoggiandosi anche lei al finestrino.
Lui piegò le labbra in un sorriso. -Guardavo il Distretto 3. E' appena sparito.- Indicò con un cenno del capo il paesaggio buio che correva rapido.
-Mh, che passatempo eccitante.- Sbuffò lei, arricciando una ciocca nera fra le dita.
Non sapeva come continuare il discorso, e gli occhi di Mac la stavano tormentando.
Perchè doveva guardarla in quel modo? Era terribile.
-Tu hai qualche idea migliore?- ribattè sorridendo lui, divertito.
-Io andrei a dormire.- Sbottò Zoey. Le dava fastidio, la tranquillità di Rionejo. Non era giusto che lui riuscisse ad essere così sereno e lei no.
Il castano alzò le spalle. -Vai.- disse solo, ma non distolse lo sguardo.
-C-Cos'hai da guardare?!- esclamò la riccia, arrossendo appena.
-Hai degli occhi bellissimi.- rispose semplicemente lui, e il viso della ragazza di tinse di tonalità sempre più intense. Mac non ci fece caso.
-Non ho mai visto un verde così intenso.- sorrise ancora, e Zoey si sentì sciogliere.
Perchè le faceva quest'effetto? Zoey non era mai arrossita, nonostante di complimenti ne avesse ricevuti tanti. E non era certo la prima volta che qualcuno lodava i suoi occhi.
Ma allora, perchè lo sguardo di Mac la imbarazzava? Perchè quegli occhi neri, così luminosi, che scrutavano il suo viso con attenzione e dedizione, le sembravano così belli, tutto d'un tratto?
Scosse la testa.
-Tu hai proprio bisogno di dormire.- borbottò con voce cupa e fece per andarsene.
-Jackson?-
-Sì?- La sua voce uscì più tremolante di quanto avesse voluto.
-Buonanotte.-
Spalancò gli occhi smeraldini, un brivido le attraversò la schiena.
-B-B-Buonanotte, Rionejo.- e fuggì via più veloce di quanto avesse voluto.
Entrò nella sua camera, in preda a un imbarazzo caldissimo.
Tolse il vestito dorato e indossò una semplice camicia bianca e un paio di jeans.
Rimase seduta sul bordo del letto, con la testa fra le mani.
Senza accorgersene si addormentò, con la voce di Mac che le rimbombava nella mente.
Aprì gli occhi solo quando sentì il treno stridere sui binari e i raggi dell'alba ferirle il viso.
Si costrinse ad uscire, anche se il pensiero di incontrare di nuovo Mac la terrorizzava.
Ma poi il suo sguardo cadde su Capitol e tutto sparì. Era bella, grande, bella, luminosa, bella, fiorente, bella, ricca, bella, bella, bella.
Non riusciva a pensare altro.
Più meravigliosa di quanto avesse mai potuto immaginare.
Uscì dal treno e un sorriso nacque involontario sulle sue labbra, quando vide la folla di capitoliani che era accorsa per vederli.
Alzò la mano in segno di saluto e la folla impazzì.
Anche il suo cuore impazziva nel petto, ma solo perchè Mac l'aveva presa per mano.

Distretto 5

Hakai aveva il volto chino, le lacrime che rigavano silenziose le sue gote arrossate.
Freddo, caldo, freddo. E caldo sulle guance. E freddo sulle braccia. E caldo nella gola. E freddo dentro al petto.
La bionda si costrinse ad alzare gli occhi quando la voce di Hiroto la chiamò.
Si scontrò contro quegli occhi acquamarina scuro, quegli occhi luminosi, quegli occhi belli impreziositi da quel colore indefinibile a parole.
Hakai sentiva che sarebbe potuta restare a guardarlo all'infinito.
-Ehi...- Kiyama sorrise amaro. -Perchè piangi?- La voce del ragazzo era calda, morbida; le mani di lui le accarezzarono il viso, togliendo le lacrime dai suoi occhi azzurri.
Per tutta risposta Hakai rimase immobile, spiazzata, confusa, distratta da quegli occhi da cui non riusciva a staccare lo sguardo.
Fu la loro accompagnatrice a rompere quell'attimo, annunciando un po' insicura, con quell'accento capitoliano assurdo, che era pronta la cena e che dovevano andare a prepararsi.
Lei non se lo fece ripetere e andò diritta nel suo appartamento, le gote tinte di rosso per l'imbarazzo.
Improvvisamente non c'era più traccia di freddo. Solo caldo, caldo, caldo, ed era ancora più soffocante.
Deglutii, e si accorse di star ancora stringendo fra le mani il bracciale datole da Riku.
Fissò quell'oggetto come in trance, un oggetto come tanti altri, che poteva persino essere definito inutile, ma che significata tanto, troppo.
Si costrinse a cacciare ancora le lacrime in fondo agli occhi, e allacciò al polso il bracciale.
L'avrebbe tenuto con sè sempre. Ogni cosa avesse fatto, Riku sarebbe stato con lei in quel piccolo regalo.
E forse, pensò mentre si avviava verso la sala da pranzo, era proprio lui a rendere speciale quell'oggetto.
Si sedette vicino a Hiroto, e lui le sorrise; Hakai arrossì e distolse lo sguardo.
Lo spostò sul loro mentore, un uomo dalla folta barba scura che continuava a trangugiare bicchieri di liquore con sguardo torvo.
Ma sentiva gli occhi di Kiyama su di sè e questo la rendeva rigida e agitata; ma doveva proprio fissarla così?
Mangiò silenziosamente, lanciando sguardi alternati al mentore e a Hiroto, giusto per vedere se il primo smetteva di bere e se il rosso smetteva di fissarla.
Kiyama non mangiò nulla, rimase col viso appoggiato al palmo della mano, fissandola con occhi attenti.
Ogni secondo che passava, Hakai arrossiva di più.
Sentiva che sarebbe scoppiata d'imbarazzo. Che poi, non sapeva nemmeno perchè fosse così imbarazzata.
Così si alzò di scatto, annunciò che si sentiva poco bene e corse subito via dalla stanza.
Si ritrovò a girovagare per il treno, le guance ancora bollenti.
Non sapeva più dove fosse il suo scompartimento, quindi si lasciò scivolare lungo la parete del corridoio, in ombra e a contatto con il pavimento gelido.
-Stupida...- si disse sospirando, gli occhi puntati a terra.
Perchè Hiroto le faceva questo effetto? Proprio non riusciva a capirlo. Solo pensare al ragazzo la faceva arrossire.
Il sole era ormai calato da un pezzo e fuori dal finestrino tutto era buio.
Il vagone era illuminato a giorno da lampade calde, così Hakai si coprì il viso con le braccia, stanca e disturbata da tutta quella luce.
Senza accorgersene, si addormentò.
Fu una voce a ridestarla. Una voce calda con un lieve timbro di preoccupazione.
Furono due braccia che la scuotevano delicatamente a ridestarla. Braccia forti e spaventosamente candide.
Appena aprì gli occhi, venne a contatto con il viso di Hiroto, poco distante dal suo.
Arrossì vistosamente, alzando si scatto la testa e picchiando la nuca contro la parete.
Lanciò un gemito soffocato e Kiyama rise.
Hakai era ancora frastornata: quel risveglio brusco e l'improvviso imbarazzo l'avevano scombussolata. Poi quella botta era servita solo per confonderle le idee.
Riuscii solo a pensare che Hiroto aveva una risata davvero bellissima. Cristallina.
-Che succede?- Mormorò con voce impastata dal sonno, stropicchiandosi gli occhi.
-Si è fermato il treno. Dobbiamo scendere. Ah, hai saltato la colazione.-
La ragazza mugugnò; la colazione era l'ultimo dei suoi problemi in quel momento.
Kiyama la fissò intensamente per qualche istante e dischiuse le labbra insicuro.
-Mi... Mi ricordi Kui.-
-Eh?- Hakai si alzò, lanciando uno sguardo incuriosito al ragazzo mentre tentava di pettinarsi con le dita i lunghi capelli biondi.
-La mia sorellina.- spiegò lui. -In realtà di aspetto non le somigli molto. Ma avete lo stesso sguardo un po' infantile e smarrito.- tentennò. -Hai... Hai degli occhi bellissimi.- sorrise e la bionda arrossì un po', sorridendo a sua volta.
-Hai tanti fratelli?- chiese lei, mentre si avviavano verso l'uscita.
-Sì, tutti più piccoli di me. E tutti maschi, a parte Kui, Reina e Kii. Ma Kui è la mia preferita.-
-Anche io ho un fratello, si chiama Riku.-
-Te l'ha dato lui?-
Hakai seguì lo sguardo del rosso; stava guardando il suo bracciale.
Annuì e sorrise.
La bionda guardò la folla che si era radunata davanti all'uscita del treno e deglutii.
-Hiroto...-
-Mh?-
-Posso... Tenerti la mano?- domandò, ma abbassò subito lo sguardo, arrossendo.
Kiyama sorrise. -Certo.-
E uscirono insieme, le dita intrecciate in una stretta calda e rassicurante.

Distretto 6

Hakaikuro rimase a fissare il finestrino, come incantata.
Il Distretto 6 svanì all'orizzonte e la mora rimase ancora qualche secondo a fissare il paesaggio che correva.
Poi si riscosse e sbuffò.
-Come siamo nervosi, neh, Haka-chan?-
La ragazza spalancò gli occhi neri, voltandosi verso Fudou.
Il giovane si piegò appena in avanti, interpretando un fare bambinesco, un sorriso sarcastico su quella faccia da schiaffi.
-Sta zitto, razza di testa da bowling che non sei altro!- Esclamò furente lei, facendo un passo verso il ragazzo..
-Oh oh, che paura...- rise Akio, sogghignando.
-Ma vai a fa pettinare una scimmia, idiota!- Mollò un ceffone sul viso del Tributo, poi se ne andò stizzita nel suo appartamento.
Era troppo, troppo, troppo!
Tirò un calcio allo stipide della porta.
Fudou era troppo stupido, idiota, maledetto, ---
-Argh!!- Soffocò un grido rabbioso, lasciandosi cadere sul letto.
Quanto lo odiava. Aveva fatto proprio bene a tirargli uno schiaffo come si deve.
Si tirò di scatto a sedere e tirò un calcio alla porta che si richiuse con un tonfo.
Non aveva proprio voglia di andare a cenare e incontrare di nuovo quella sottospecie di verme strisciante.
Aveva bisogno di calmarsi e parlare di nuovo con quel coso non era proprio indice di tranquillità.
Che poi, pensò Hakaikuro mentre si infilava nella vasca colma d'acqua bollente, Fudou era riuscito a farla arrabbiare con una sola battuta. Una battuta piuttosto scema, ma nemmeno una delle peggiori che aveva sentito.
Ma forse, si disse, non erano state le sue parole in sè a farla arrabbiare, ma quello sguardo: quegli occhi di ghiaccio impolverato che ridevano, ridevano di lei.
Non sopportava di essere presa in giro, per di più da uno stupido come Akio!
Sbuffò, e poi si rilassò, lasciando che il tocco caldo dell'acqua le lavasse via la rabbia.
Chiuse persino gli occhi, respirando il vapore che iniziava a riempire la stanza.
C'era silenzio, intorno a lei, un silenzio tiepido che cancellò ogni sua remora, lasciando spazio a una tranquillità innaturale.
Rimase immobile fin quando le dita non furono grinzose dal troppo contatto con l'acqua; allora uscì dalla vasca e si asciugò con calma.
Indossò un jeans scuro e una camicia rossa, i primi abiti che aveva trovato nell'armadio.
Non le era mai importato molto di quello che indossava.
Uscì dal suo scompartimento e arrivò in fretta nella sala da pranzo.
Fudou stava ridendo.
La sua risata arrivò alle orecchie di Hakaikuro come il rumore di mille proiettili. Letale. Ma bella.
Veloce come era arrivato, però, questo pensiero fu soppresso dal buon senso della mora.
Si lasciò cadere sgraziatamente sulla sedia di fianco ad Akio, che le indirizzò uno sguardo incuriosito e divertito.
La ragazza notò con una certa soddisfazione che sul suo viso era rimasto il segno rosso della propria mano.
Ghignò.
-Oh, è arrivata Haka-chan...!- esclamò con falsa voce dolce Fudou, sogghignando.
-Oh Hakaikuro, eccoti. Noi abbiamo finito di cenare, ma se vuoi ti faccio portare...- iniziò il loro accompagnatore, ma fu subito interrotto dalla ragazza.
-Non ho fame. Volevo solo vedere il nostro mentore.-
-Il nostro mentore? Quel vecchio morfaminomane pazzo che non si regge neanche in piedi?- Soffiò ironico Akio.
Hakaikuro ghignò. -Già, lui. Chissà, magari mi dà una mano a spaccarti la testa e vedere se c'è un cervello dentro.-
-Sembra un'operazione interessante. Ma credo che per convincerlo avrai bisogno di grandi scorte di morfamina.- stette al gioco il ragazzo, ricambiandole uno sguardo divertito.
-Mh, purtroppo ne sono sprovvista. Allora mi sa che dovremo rimandare l'operazione.-
-Che peccato, eh?-
Un ultimo scambio di occhiate rapide e commenti taglienti.
Mentre tornava nel suo scompartimento, Hakaikuro riuscì solo a pensare che forse Fudou non era così male, se preso per il verso giusto.
Appena posò il viso sul cuscino si addormentò, e sognò un hovecraft che volava nel cielo, sopra il Distretto 6, e faceva cadere bombe, radendolo al suolo.
Si svegliò di soprassalto, sudata e col fiatone.
Uscì subito dalla stanza; era mattina.
Incontrò Akio nei corridoi, che la salutò con un mezzo ghigno.
Fecero colazione, e la mora notò che c'era una strana collaborazione fra lei e Fudou, come se avessero istituito una pace temporanea.
Scosse la testa, perchè era un pensiero sciocco.
E poi il treno si fermò.
Quando uscì e venne a contatto con sole capitoliano, fu come svegliarsi da un sogno, affacciarsi su un mondo parallelo.
Gente che li acclamava. Parrucche variopinte. Vestiti osceni. Palazzi enormi.
Capitol City, lì, davanti a lei. Immensa, luminosa, bella e... terrificante.
Perchè avrebbe riso davanti alla sua morte.

Distretto 7

Annalisa si allontanò delusa le mani dal viso; non c'era più traccia del familiare odore di legno.
Si morse le labbra, rabbrividendo.
Doveva farsi forza: prese un respiro profondo e alzò gli occhi.
Gouenji le lanciò un'occhiata strana, che la riccia non riuscì a capire, che sapeva di curiosità e un pizzico di rimprovero.
Ricambiò quello sguardo con un sorriso che conteneva una sicurezza velata dalla timidezza.
Il biondo spostò gli occhi, disinteressanto.
La incuriosiva, ma ne era al contempo intimorita: non riusciva a capire cosa provasse, le sue iridi erano troppo scure per riflettere le sue emozioni.
Il loro accompagnatore li spedì a prepararsi per la cena.
Entrò nel suo scompartimento, e le si mozzò il fiato: era tutto troppo bello e sfarzoso per lei. Tutto quel lusso la imbarazzava.
Si sedette sul letto dopo aver chiuso accuratamente la porta di mogano; si passò distrattamente una mano fra i capelli e le sue dita vennero a contatto con la piuma datole dalla madre.
La slegò dai capelli, e la osservò bene: era lunga più o meno dieci centimetri, nera con affascinanti riflessi bluastri.
L'uccello che la possedeva doveva essere bellissimo; provò addirittura ad immaginarlo, ma poi rise, perchè era una cosa sciocca.
Sospirò, alzandosi di nuovo in piedi e allacciandosi la piuma nella stessa ciocca in cui l'aveva legata la madre.
Uscì dalla stanza e si avviò verso la sala da pranzo.
Si sedette di fianco a Gouenji e rimase a fissarlo per qualche secondo, provando ancora una volta a scorgere qualcosa nei suoi occhi. E in effetti qualcosa vide.
Era una luce, una luce triste e bellissima. Sapeva di rimpianto, malinconia e un pizzico di rancore.
Era la cosa più spettacolare che avesse mai visto.
Sorrise; per adesso andava bene così.
Blight li guardava sorridendo dall'altro lato del tavolo; Annalisa abbozzò un sorriso di convenienza, davanti a quegli occhi scuri.
-Allora...- iniziò il mentore con aria gioviale. -Come state?-
La riccia lo fissò stupita. Non si aspettava una domanda del genere.
Gouenji scrollò le spalle. -Potrei stare peggio.- disse solamente, socchiudendo gli occhi.
Aveva una voce calda e profonda, bellissima.
-E tu, piccoletta?-
Annalisa si accigliò. -Piccoletta? Ho 15 anni!- Sbuffò, incrociando le braccia al petto e lasciandosi scivolare sullo schienale della sedia.
Blight rise. -Comunque non sembrate così sconvolti. E' un ottima cosa.- Bevve un sorso di vino.
La castana sbuffò di nuovo. Certo, quell'appellativo l'aveva infastidita tantissimo, ma Blight sembrava un tipo simpatico.
-E basta? Non ci dici altro?- ribattè il biondo, con una nota di incredulità nella voce.
-Shuuya, cosa vuoi che vi dica? Quello che dovete fare nell'Arena? Non posso certo dirvelo io. Vi dirò solo una cosa: pensate. Dovete pensare, anche durante i Giochi. L'importante è non perdere mai di vista l'obbiettivo, cioè vincere.- alternò lo sguardo sui due Tributi. -Okay?-
I due ragazzi annuirono.
-Bene. Ora andate a riposarvi.-
Gouenji si alzò e uscì dalla stanza senza parlare.
Annalisa invece tentennò un po'. -Blight? Posso chiederti una cosa?-
-Certo.- sorrise l'uomo.
-E' difficile vincere gli Hunger Games? Dimmelo seriamente.-
Lui sorrise. -Dipende se usi la testa. Ricorda che la tua arma migliore è questa.- posò un dito sulla fronte della ragazza, e la riccia annuì.
-Ti consiglio di correre dietro a Shuuya se vuoi parlargli.- Le strizzò l'occhiolino e Annalisa arrossì un po', ma poi corse subito fuori.
Attraversò veloce i corridoi, e vide che il biondo stava per entrare nel suo scompartimento.
-Gouenji, aspetta!-
Lui si fermò, la mano sulla maniglia, e si girò verso di lei.
Annalisa arrivò davanti a lui, e rimase un attimo piegata a riprendere fiato.
Poi alzò il viso e non seppe più che dire.
Non sapeva perchè l'aveva fermato, veramente.
Rimase immobile come un'idiota, sotto lo sguardo perquisitore di Shuuya.
-Ehm... Io... Volevo chiederti... Se... Ecco...- Balbettò, arrossendo.
Il ragazzo inarcò un sopracciglio, scettico.
Annalisa parlò senza rendersene conto.
-Tu lotterai per vincere gli Hunger Games, vero? Lo farai per la tua sorellina?-
Il biondo sussultò appena. -Sì.- si fermò un attimo, forse per trattenere un tremito nella voce. -E tu, Endersoon? Per chi vuoi vincere?-
La ragazza rimase a bocca aperta. Per chi voleva vincere? Per i suoi genitori. Per i suoi amici. Per tornare a casa.
-Voglio riuscire a sentire ancora una volta l'odore di legno.- disse in un sorriso amaro. -Ora devo andare... Buonanotte, Gouenji.-
E si allontanò, entrando nel suo appartamento.
Si buttò sul letto e inevitabilmente pianse.
Versò tutte le lacrime che possedeva, senza controllo.
Le mancava sua madre. Le mancava suo padre. Le mancavano i boschi, il dolce frenire degli insetti e il rumore delle scuri che abbattevano gli alberi.
Si addormentò, e il suo sonno fu popolato da asce che tagliavano le gole di persone anonime, e sangue, tanto sangue, che schizzava ovunque.
Quando si svegliò, la prima cosa che fece fu correre in bagno e vomitare.
Poi si buttò nel letto e pianse di nuovo; era già iniziato un incubo, ma questa volta era vero.
Uscì dalla sua stanza e girovagò come un'ombra per i vagoni. Aveva freddo.
Appena vide Gouenji, senza pensare, lo abbracciò, singhiozzando senza lacrime.
Lui non disse nulla, le accarezzò semplicemente i capelli ricci, socchiudendo gli occhi e mormorando parole che Annalisa non sentì ma che la rassicurarono comunque.
Poi il treno si fermò e i due Tributi furono costretti a sciogliere quell'abbraccio.
Il sole le ferì il viso. C'era freddo e caldo e una folla che li acclamava.
E poi l'incubo di quella notte che ancora vedeva nitido come presagio del futuro.

Distretto 8

Misaka sorrise.
Doveva essere positiva. Avrebbe fatto di testa propria e forse avrebbe vinto. Come sempre, d'altronde.
-Allora... Ti chiami Haruya, neh?-
Nagumo sbuffò e solo in quel momento la bruna notò che il ragazzo continuava a rigirarsi fra le mani un pezzo di stoffa.
Il rosso ficcò in tasca il tessuto, lanciandole un'occhiataccia.
-E tu ti chiami sono-qui-per-rompere-le-scatole-a-chiunque-passa, neh?- ribattè acido lui, scimmiottando il tono di Misaka.
La ragazza mise le mani sui fianchi, infastidita.
Stava per ribattere a tono, ma le vide, le lacrime negli occhi dorati del ragazzo.
Lacrime, tante lacrime, incastrate fra le ciglia.
Avrebbe voluto restare in silenzio, ma sputò parole avvelenate senza realmente volerlo.
-Ma sta zitto, tulipano in fiamme!-
-Tulip... Cosa?!- esclamò lui, infuriato. Le lacrime sparirono improvvisamente dai suoi occhi.
Misaka sogghignò. -Oh-oh, il fiorellino si arrabbia...- continuò con voce arrogante.
-Parla quella che ha pianto tutto il tempo. Cos'è, ti manca la mammina?-
-Io non ho pianto!- sbuffò la mora, incrociando le braccia al petto e sviando lo sguardo. Sperava solo che non si accorgesse dei suoi occhi gonf---
-Ma davvero? Hai gli occhi gonfi e rossi.-
Ecco, appunto.
-Sta zitto, idiota!- detto questo, andò diritta nel suo appartamento.
Entrò, tirò un calcio alla porta e cadde seduta a terra.
Lanciò un verso stizzito.
Possibile che un ragazzo fosse in grado di farla arrabbiare così tanto?
Sbuffò di nuovo, tirando un pugno sul pavimento.
Si portò istintivamente le mani a toccare il ciondolo a forma di fiamma che aveva al collo.
Improvvisamente, tutta la rabbia si volatilizzò.
Con una delicatezza innata e un sorriso timido sulle labbra, sganciò il gioiello e se la fece passare fra le dita osservandolo meglio.
Era l'unico ricordo che le era rimasto di suo padre. L'uomo aveva comprato quel ciondolo quando Misaka era nata, poco prima che lui morisse.
L'unico regalo che era riuscito a farle, e per lei significata tanto.
Ogni volta che sfiorava quel gioiello era come se suo padre le fosse vicino.
Abbozzò un sorriso, alzandosi in piedi e togliendosi il vestito della Mietitura.
Lo piegò con cura, e si infilò un paio di jeans acquamarina e una camicia blu.
Prese un respiro profondo e poi uscì, avviandosi nella sala da pranzo.
L'accompagnatrice stava tranquillamente parlando con la loro mentore, una donna dai fluenti capelli castani e occhi mori.
Misaka si sedette e lei la salutò calorosamente.
La bruna rimase a fissarla mentre parlava con l'accompagnatrice, cercando di ricordare chi fosse.
Poi improvvisamente le venne in mente: era Cecelia Sànchez, che aveva vinto i 58° Hunger Games.
Misaka l'ammirava; dopo che la donna aveva vinto i Giochi, aveva avuto la forza di rialzarsi e costruirsi una vita, con un marito e tre figli.
-Allora Misaka, come stai? Mi dispiace molto che ti abbiano estratta. Sai, io andavo a scuola con tuo padre.- sorrise materna la mentore.
La ragazza rimase interdetta un attimo.
-Come? Conoscevi mio padre, Sànchez?-
La donna rise. -Chiamami Cecelia, per favore. E sì, lo conoscevo molto bene, eravamo amici prima che partecipassi ai Giochi. Ho saputo che è deceduto prematuramente, mi dispiace.-
-E' stato ucciso dai Pacificatori.- puntualizzò Misaka. -E com'era?-
Cecelia sfoggiò un sorriso luminoso, che però si smontò in fretta. -Non l'hai conosciuto, vero? Lui... era combattivo, un po' prepotente e molto arrogante, ma buono. Solo che odiava essere debole. Un po' come te, da quel che vedo.- ridacchiò e Misaka sentì tanto caldo al petto.
Stava per ribattere ma entrò Haruya e dovettero interrompere il discorso.
Mangiarono in silenzio per un po', ma la mentore continuava a lanciare occhiate alla bruna, che rispondeva con un sorriso appena accennato.
-Uff...! Certo che siete pesanti!- Sbuffò ad un certo punto Nagumo. -Cecelia, tanto so che hai già scelto di tenere in vita lei e lasciar morire me. Non so perchè, ma lo vedo. Almeno dimmelo chiaro!-
Misaka si strozzò con l'acqua che stava bevendo.
-Ma sei scemo?! Cercherà di tenere in vita entrambi, è questo che fa un mentore!- esclamò inorridita la bruna.
Certo, però il ragionamento di Nagumo filava...
-Beh, tanto il vincitore può essere solo uno! E non fare tanto la saputella, ragazzina spocchiosa che non sei altro!- sputò velenoso lui, rifilandole un'occhiataccia.
-Ma vedi di tenere la bocca chiusa, altrimenti te la cucio io, tulipano in fiamme!-
-Stai zitta tu, altrochè! E vedi di--- -
Ma prima che Haruya potesse continuare Misaka prese un bicchiere colmo d'acqua e lo versò in testa al ragazzo.
-Ecco, ora abbiamo spento il tulipano!- dichiarò soddisfatta, per poi uscire dalla stanza a passo di marcia.
Entrò nella sua stanza e si buttò nel letto.
Pianse, e pensò a suo padre e a Cecelia e a sua madre e a Shu, poi si addormentò.
Sognò tulipani che ardevano di un fuoco blu e lacrime che cadevano dal cielo come pioggia.
Si svegliò di soprassalto e uscì dalla sua camera, stanca.
Girovagò per i corridoi, non aveva affatto fame quindi decise di non fare colazione.
Nagumo finse di non vederla per tutto il resto del viaggio e Misaka si sentì offesa da quel comportamento infantile.
Decise di fare lo stesso, ma si sentiva in colpa e voleva scusarsi con lui.
Però l'orgoglio prese il sopravvento, e allora la bruna rimase in silenzio.
Quando il treno si fermò, fu il panico quello che colse la giovane.
Panico, perchè c'era Capitol City fuori dal treno.
Panico, perchè ogni istante che passava era un passo in più verso la sua morte.
Quando sentì il sole di Capitol sulla pelle, fu come ardere di un fuoco freddo.
Un fuoco blu.

Distretto 9

Natsumi chiuse gli occhi. I campi di grano erano spariti. La sua casa era sparita.
Era tutto un incubo. Voleva svegliarsi.
Strinse i pugni, strizzò talmente tanto le palpebre che iniziarono a farle male.
Ma non era un sogno. E lei lo sapeva benissimo.
Quando era bambina, era così facile illudersi. Era facile perchè c'era sua madre.
Fu il pensiero della donna a costringerla ad aprire gli occhi.
Doveva essere forte. Come Marina Green, la vincitrice degli Hunger Games.
Presto anche il suo nome avrebbe potuto essere seguito da quella definizione.
O vincitrice, o morta.
Dischiuse gli occhi nocciola, e, con delicatezza, sciolse il pugno in cui erano chiuse le sue mani.
La prima cosa che avvertì fu il picchiettare della pioggia.
Poi il treno sfarzoso in cui si trovava. E infine sentì la mano di Kazemaru posata sulla sua spalla.
Si scostò diffidente, catturando gli occhi castani del ragazzo.
Il turchese la guardò con occhi feriti che la sconbussolarono. Occhi indifesi. Occhi traditi. Occhi in lacrime. Occhi bellissimi.
Scosse rapida la testa, sbuffando un po'.
Era così stanca... Sentiva tutto il peso di quella giornata su di sè, voleva solo sprofondare nel sonno.
Così, appena il loro accompagnatore li invitò a prepararsi per la cena, Natsumi scivolò nel suo appartamento.
Era grande. Troppo. Era lussuoso. Troppo. Era diverso da casa. Troppo.
Si trascinò in bagno e si lavò il viso con l'acqua gelida.
Faceva quasi male e le fece tornare un po' di lucidità.
Osservò il suo riflesso con attenzione, cercando di scorgere in quegli occhi nocciola, così simili a quelli di sua madre, un brandello del coraggio che possedeva la donna.
No, non c'era. Era inutile cercare quella innata vocazione al rischio.
Natsumi era prudente. Natsumi era fredda.
Sua madre, invece, lei era così vivace e sprezzante del pericolo che Natsumi si sentiva scomparire ogni volta che tornava il ricordo della donna.
Strinse forte la rosa avvolta nella pellicola. Doveva essere forte.
Scosse la testa e uscì dal suo scompartimento, non aveva più voglia di stare a pensare a qualcuno che non c'era. Non aveva voglia di pensare alla morte.
Entrò nella sala da pranzo, ma era inevitabile che il ricordo di sua madre tornasse.
Si sedette, iniziando a mangiare in silenzio con la rosa posata di fianco al piatto.
Ignorò lo sguardo di Kazemaru, ma quello del suo mentore era impossibile da sviare.
L'uomo si chiamava Daniel Bernhardt; la ragazza non ricordava di preciso quali Hunger Games avesse vinto.
Rimasero in silenzio per un po', poi lui si decise a parlare. -Natsumi Kagura, vero?-
La rossa alzò lo sguardo, leggermente imbarazzata.
-Io...- continuò il mentore, titubante. -Conoscevo tua madre.-
Fu come una pugnalata diritta nel petto. Fu come una lancia che le trapassò il cuore.
Sbarrò gli occhi, sentendo un nodo sempre più stretto serrarle in gola.
Si alzò e corse via, prima di fare qualcosa di stupido come mettersi a piangere.
Entrò nel suo scompartimento e si buttò sul letto.
Scoppiò in lacrime per la seconda volta in quella giornata, lasciandosi travolgere dalla disperazione.
Il sole ormai era calato e la stanza era avvolta nel buio.
Natsumi, senza rendersene conto, entrò in un torpore caldo e familiare che precede il sonno, con ancora le lacrime incastrate fra le ciglia.
Fu in questo dormiveglia che lo sentì entrare.
-Natsumi, Natsumi aspetta! Hai dimenticato...-
Alla rossa parve di percepire la voce di Kazemaru, poi cadde nel buio dell'incoscenza.
Sognò di dimenticare tutto. Sognò di perdere oggetti per strada. E cercava freneticamente quello che aveva dimenticato. Una rosa. Un pavimento di pellicola. Ma ovunque si girasse c'era il volto di sua madre. Ovunque si girasse c'era il sangue della donna. Una lancia che trapassava il proprio petto, una, due, dieci, cento, mille volte. E sangue che schizzava, mischiandosi a quello di sua madre.
La mattina si svegliò sudata e col cuore che martellava nel petto.
Fece girare freneticamente gli occhi per la stanza.
La rosa. La rosa che le aveva dato suo padre. Dov'era? Dove l'aveva lasciata?
Poi la vide. Era posata sul comodino.
Rimase interdetta. Era sicura di non averla portata lei.
Poi si ricordò di Kazemaru che aveva sentito parlare prima di addormentarsi.
Prese un respiro profondo, acchiappò la rosa e uscì dalla stanza.
Incontrò il turchese nella sala da pranzo, mentre faceva colazione.
Si sedette di fianco a lui, in imbarazzo. Non sapeva come ringraziarlo per averle portato la rosa.
Si morse le labbra, mentre lui la scrutava stranito.
Poi si decise a parlare con la lingua secca. -G-Grazia Ichirouta. Per avermi portato la rosa.-
Lui sorrise. -Di nulla. Tu sei la figlia di Marina Green, vero?-
Natsumi si irrigidì, e i suoi occhi si riempirono di gelo. -Esatto.-
-Non le somigli molto.- commentò semplicemente il turchese, tornando a sorridere.
La rossa avvertì un calore strano all'altezza del petto. Era piacevole, e si diffondeva per tutto il corpo.
Si costrinse a non sorridere, anche se si sentiva stranamente felice.
Forse era stato il sorriso di Ichirouta. Forse era stata la sua voce.
Il treno si fermò e improvvisamente il calore scomparve, lasciando spazio a un freddo letale.
Si alzò, avviandosi verso l'uscita, seguita da Kazemaru.
Sentiva il gelo avvolgerla da ogni parte.
Non pioveva, a Capitol City. C'era un sole alto e tanta gente che folleggiava.
Natsumi sentì una rabbia cieca trapassarle la mente; sfoggiò l'espressione più gelida che riuscisse a fare, mentre scendeva.
"Che gli Hunger Games abbiano inizio, Capitol City. E io vincerò."

Distretto 10

Roxie trattenne il fiato, mentre il treno partiva con uno sbuffo.
Non era mai salita su un treno prima d'ora; era vietato girare nei Distretti senza una carica particolare.
E poi, quel treno era una versione in miniatura di Capitol City: tantissimi vagoni sfarzosi e ultramoderni, porte in mogano, soprammobili costosissimi.
Si sforzò di sorridere, anche se una fitta lancinante al petto le fece stringere appena gli occhi smeraldini con lievi pagliuzze arancioni, ma passò subito.
Guardò incuriosita Kidou, che aveva le mani in tasca e sguardo diffidente, come chi si trovasse in un campo minato nemico.
E forse non era una reazione così esagerata.
La loro accompagnatrice li invitò a prepararsi per la cena, e Roxie andò tranquilla nel suo appartamento.
Si sentiva stranamente calma, anche se quando i suoi pensieri cadevano su Mia il petto le si stringeva in una morsa dolorosa.
Era una tranquillità mesta, rassegnata, ma colorata di tinte curiose e allegre.
Era una sensazione stranissima.
Infilò le mani in tasca, dove trovò l'anello del matrimonio dei suoi genitori.
Si infilò l'anello al dito, scuotendo la testa, e uscì dalla stanza, avviandosi verso la sala da pranzo. Si sedette e iniziò a mangiare in silenzio.
La sua accompagnatrice e la sua mentore parlavano fra loro, sorridendo con gentilezza.
Roxie fissò intensamente il posto vuoto accanto a sè e si sentì mancare il fiato.
Dov'era Yuuto? Dov'era quel ragazzo dall'espressione indecifrabile e dagli occhi di cui era riuscita a fidarsi?
-Dov'è Kidou?- Chiese, il viso in una smorfia perplessa.
-Ha detto non che voleva mangiare, quel tesoro. Sta guardando le repliche delle Mietiture, fra poco andiamo anche noi a vederle. Poverino, era così sconvolto...- cinguettò l'accompagnatrice.
Roxie si alzò senza nemmeno salutare e andò diritta nel vagone adiacente.
Appena aprì la porta, sentì qualcosa tagliare l'aria.
Trasalì, quando un coltello si pianto a pochi centimetri dal suo viso, nella sottile fessura fra la parete e la porta.
La stanza era avvolta nel buio, illuminata solo dalla televisione accesa; Roxie deglutii, indugiando sulla figura di Kidou che aveva lanciato, senza nemmeno voltarsi, il coltello.
-S-Sono io.- fece qualche passo insicuro verso il ragazzo.
Yuuto non la guardò. Aveva davanti molti fogli sparsi e il viso pallido illuminato dalla luce asettica della televisione.
-Che fai?- Domandò allegramente, sedendosi di fianco a lui.
Il castano le rivolse un'occhiataccia. -Studio gli altri Tributi.- ribattè con una nota indifferente e la fissò qualche istante, poi abbassò il viso, annotando qualcosa su un foglio.
Roxie si morse il labbro inferiore, arricciando fra le dita una ciocca di capelli rosso scuro.
-Come sono, simpatici?- esclamò, portando lo sguardo sullo schermo.
Stavano facendo vedere il Distretto 6; Kidou si soffermò a studiare le loro espressioni, per poi ributtare il viso sul foglio.
-Haruna mi ha parlato molto di te.- ammiccò la rossa. -Dice che sei molto intelligente.-
Lui le rifilò un'occhiata. -Haruna-chan mi ha detto che tu sei molto espansiva e preposta al dialogo; molte volte però sei anche impicciona.-
Roxie gonfiò le guance, ma poi sorrise dolcemente. -Ah. Sono un avversario pericoloso?- Tentò di sbirciare sui fogli del ragazzo, ma lui li tolse dal pavimento, sistemandoli in ordine.
-Potresti esserlo. Dipende quanto mi lascio ingannare dai tuoi occhi.- detto questo si alzò, lasciando la ragazza di sasso, e uscì.
Roxie sbattè perplessa le palpebre.
"L'ha detto davvero? Non me lo sono immaginata?" si girò stupefatta verso la porta, un sorriso che nasceva sul viso.
Si limitò ad arrossire piacevolmente, un calore bello nel petto.
Non capiva molto bene quello che aveva voluto intendere Yuuto, ma era un complimento.
Si alzò ridacchiando fra sè, non aveva proprio voglia di guardare il resoconto delle Mietiture. Quindi scivolò nel proprio appartamento, buttandosi nel letto e rotolandosi contenta fra le lenzuola candide.
Si sentiva dannatamente felice. E non capiva perchè.
Si addormentò con il sorriso sulle labbra e non ebbe incubi, quella notte.
Si svegliò solo quando la voce squillante della sua presentatrice la intimò a prepararsi alla fermata a Capitol City.
Si alzò sbadigliando e uscì con passo assonnato dirigendosi alla sala da pranzo.
Yuuto -come c'era da aspettarsi- era fresco e riposato come una rosa, che continuava a guardare i fogli della sera prima sboccellonando un biscotto.
-Buongiorno genio... Come va con la tua immensa ricerca?- borbottò assonnata, sbadigliando subito dopo e lasciandosi cadere sulla sedia.
-Non molto bene, le mie probabilità di vittoria sono molto basse, a dire il vero. Le tue, già un po' più alte.- abbozzò un sorriso davanti all'espressione stupita della rossa.
-Interessante...- uno sbadiglio. -E pensi che ti basti una prima occhiata per capire tutto?- si stropicciò un occhio, addentando una brioche.
-No, assolutamente. Avrò bisogno di ricerche più approfondite, ma non penso che il risultato finale cambi molto.- sistemò un fogli e le rivolse un'occhiata divertita. -Non dovresti pettinarli, quei capelli?-
Roxie alzò le spalle, e Kidou la guardò un attimo incerto. -Posso pettinarteli io, se vuoi.- propose sulla difensiva, e la rossa si stupì di nuovo. -Certo.-
Allora il ragazzo si alzò e con delicatezza iniziò a pettinarle i capelli, sciogliendo i nodi con dita abili ed esperte.
-Pettinavi i capelli ad Haruna?- domandò Roxie, pulendosi le dita su un fazzoletto.
-Sì, ero io a fare le sue acconciature alla Mietitura. E anche quelle delle sue amiche.-
Sorrisero a vincenda e Yuuto si allontanò un po', imbarazzato.
-C-Credo che vada meglio...- disse incerto, e al sorriso luminoso di Roxie arrossì lievemente.
Il treno si fermò proprio in quel momento.
Kidou si fece improvvisamente serio, prendendo i propri fogli e avviandosi con sguardo scuro verso l'uscita.
La rossa lo seguì col cuore in gola; improvvisamente tutta la serenità di prima si era dissolta, lasciando spazio a un timore logorante.
Il sole la colpì come olio bollente. Persino la luce sembrava diversa, a Capitol.
Ma niente sarebbe stato più come prima.
Roxie lo avrebbe capito presto.

Distretto 11

Skylin strinse febbrilmente la buccia d'arancia, mentre il Distretto 11 scompariva.
Ingoiò un singhiozzo e si costrise ad alzare gli occhi.
Posò lo sguardo su Atsuya.
Fubuki le indirizzò uno sguardo curioso, che si indurì quando arrivò sulla buccia che la castana teneva in mano.
La loro accompagnatrice li invitò a prepararsi per la cena e la ragazza si ritirò nel suo appartamento.
Quando entrò, si limitò a sedersi sul letto e fissare il cielo che si tingeva di scuro scorrere fuori dal finestrino, stringendo la buccia, come se avesse paura di perdere l'unico contatto che ancora aveva con il suo amato Distretto.
Pensò a Derek e Sue, e sorrise; ormai il loro matrimonio era l'unico pensiero che riuscisse a darle un po' di serenità.
L'ombra di un sorriso accarezzò il suo volto, illuminando i suoi occhi di luce pallida.
Sospirò e si alzò, posando la buccia sul comodino.
Dedicò ancora uno sguardo a quell'oggetto e sorrise dolcemente ripensando al sorriso piangente di Shirou.
Forse lui era stato l'unico amico di cui si sarebbe mai potuta fidare.
E magari, anche con Atsuya sarebbe stato lo stesso.
Ma poi si corresse: Atsuya non era Shirou. Doveva ricordarselo.
Attraversò i corridoi, ed entrò nella sala da pranzo.
Seeder le sorrise, mentre si sedeva; la castana notò che Atsuya non c'era.
Scosse la testa con un sospiro e si disse che era meglio così; non aveva voglia di vederlo e pensare a Shirou.
Così concentrò la sua attenzione sulla donna: Seeder aveva vinto i 33° Hunger Games e, a differenza di molti, non era sprofondata nell'alcool o nella morfamina.
-Beh... Ciao.- iniziò impacciata la castana, abbozzando un sorriso.
Seeder le indirizzò uno sguardo cordiale. -Ciao Skylin.-
La ragazza iniziò a mangiare, improvvisamente imbarazzata.
-Sei stata coraggiosa, alla Mietitura. Quella ragazza era tua sorella?-
-No, era la fidanzata di mio fratello. Si sarebbero sposati a breve, e io non volevo che il loro matrimonio andasse a rotoli.- rispose sinceramente la ragazza.
Seeder la squadrò qualche secondo, come se volesse capire qualcosa.
La mentore sorrise. -Hai una luce bella negli occhi.- disse solo, per poi riportare lo sguardo sul piatto.
Skylin la guardò confusa, senza riuscire a capire cosa c'entrassero i suoi occhi con quel discorso.
Il suo sguardo doveva essere proprio buffo, perchè Seeder ridacchiò.
-Lascia perdere. Ora vai a riposarti, arriveremo a Capitol City domattina.-
Ancora perplessa, la castana si alzò e uscì dalla stanza.
Non aveva voglia di guardare le repliche delle Mietiture, ma nemmeno di andare a dormire.
Così si appostò a un finestrino; iniziò a canticchiare una vecchia canzone popolare, per ingannare il tempo.
Una voce, dietro di lei, cantò le ultime strofe al suo posto; Skylin si girò di scatto e incontrò gli occhi divertiti di Atsuya.
-Ah, sei tu.- sospirò la castana, e poi sorrise. -Perchè non sei venuto?-
Lui alzò le spalle, socchiudendo gli occhi. -Non ne avevo voglia. Tu invece, uccellino, perchè non sei a fare la nanna?-
La ragazza arricciò il naso, infastidita dal soprannome. -Non ne avevo voglia.- ribattè, scimmiottando il tono del ragazzo.
Lui rise e Skylin rimase interdetta, frastornata dal suono della sua risata, così cristallina.
Ma poi pian piano quella risata si spense e gli occhi cenerei del ragazzo tornarono a fissarla.
La castana spostò lo sguardo fuori dal finestrino, senza riuscire a reggere quello dell'altro.
-Che vuoi?- sbuffò dopo un po', ma la risposta che ricevette la lasciò senza parole.
-Allora è vero. Shirou è dalla tua parte.- Atsuya aveva un tono amaro, rassegnato. Rise un po', incrociando le braccia sopra la testa e poggiandosi alla parete. -Ma avrei dovuto aspettarmelo. Sempre a darmi per morto, quel fratello degenere.-
-Come fai a saperlo?- chiese Skylin, incuriosita.
-Ma sappi, uccellino- continuò Atsuya, ignorando la sua domanda. -che io vincerò. Quindi guardati le spalle.-
La castana incrociò le braccia al petto. -E' una sfida? Stai dicendo che credi che io muoia?-
-No, piccoletta. Sto dicendo che sono sicuro che tu muoia.-
-Piccoletta?! Ho quindici anni, razza di albero di Natale ambulante!- esclamò furiosa Skylin.
-Oh, ma davvero? Allora vedi di crescere un po', uccellino.- le prese il mento fra le dita, avvicinando il viso della ragazza al proprio. Skylin arrossì, specchiando i propri occhi in quelli del giovane. -Altrimenti non c'è gusto a sfidarti. Beh, buonanotte.- Atsuya la lasciò andare e sparì fra i corridoi.
La castana rimase immobile, ancora rossa in viso e scombussolata dal tono seducente del ragazzo e dai suoi occhi così belli e luminosi.
Ma si riscosse in fretta; l'aveva sfidata? Bene, avrebbe giocato al suo stesso gioco.
Perchè non bisognava mai sfidare Skylin Florance. Peccato che Atsuya non lo sapesse.
Anche se, si disse mentre entrava nel suo appartamento, non era sicura che sarebbe riuscita ad ucciderlo.
Scosse la testa e si lasciò cadere fra le coperte.
Rimase immobile, cullata dallo sferragliare del treno sulle rotaie; pensò a Shirou e a Seeder e agli Hunger Games.
Senza accorgersene, si addormentò.
Fu la voce dell'accompagnatrice a ridestarla, annunciandole con timbro squillante che fra poco sarebbero arrivati a Capitol City.
Skylin era frastornata, e non aveva alcuna voglia di alzarsi. Pensare che fra poco avrebbe messo piede sul suolo capitoliano le faceva venire voglia di vomitare.
Con uno sbuffò si liberò delle coperte ed entrò in bagno.
Si fece una doccia veloce e uscì dalla stanza con passo lento; ogni istante che passava l'avvicinava di più al momento in cui sarebbe entrata nell'Arena.
Fece svogliatamente colazione, scambiandosi battute al veleno con Atsuya sotto lo sguardo attento di Seeder.
Il buio di una galleria li avvolse e poi Capitol City apparve immensa.
Era piena di palazzi altissimi che brillavano sotto la luce del sole, era enorme e dannatamente letale.
Skylin continuò a fissarla fin quando il treno non si fermò alla stazione e improvvisamente tutta la curiosità che l'aveva colta si dissolse.
Con le gambe rigide dalla paura, uscì di fianco ad Atsuya; una folla di capitoliani rumoreggiò alla loro apparizione, ma la castana tenne lo sguardo sul cielo.
Era azzurro. Ma era strano, era diverso. Diverso da casa.
Era un celeste crudele.
Letale come tutto quello che l'avrebbe aspettata da quell'istante in poi.

Distretto 12

Amelia rimase così, con un sorriso bloccato sulle labbra e un singhiozzo che premeva prepotentemente per uscire dal petto.
Abbassò gli occhi celesti, stringendo i lembi del vestito. Doveva calmarsi. Non aveva senso piangere ora.
Si costrinse ad alzare lo sguardo e si esibì in un'espressione consapevolmente fiera.
Fideo aveva lo sguardo vuoto, distante; probabilmente stava pensando a cosa avrebbe dovuto subire a Capitol.
La ragazza sistemò con uno sbuffo una ciocca di capelli dietro l'orecchio; lei non avrebbe mai fatto scene così patetiche. Non le importava quello che avrebbe dovuto sopportare, tutto il sangue e la morte che avrebbe dovuto vedere.
Perchè lei aveva una corazza abbastanza spessa per resistere. Perchè lei sarebbe tornata come vincitrice, per suo padre.
Gliel'aveva promesso, e lei mantiene sempre le promesse.
Effie li invitò a prepararsi per la cena, e Amelia si accorse solo in quel momento di quanto la presenza dell'accompagnatrice la infastidisse.
Quel senso di debolezza le attanagliò di nuovo il petto..
Entrò nel suo scompartimento, sbattendo la porta irritata.
Non voleva sottostare a quello che Capitol City diceva. La Trinket aveva detto di presentarsi per la cena? Lei non l'avrebbe fatto.
Sogghignò fiera, dopotutto non le importava nulla di quello che avrebbe potuto pensare.
Si tolse il vestito verde, piegandolo con cura, e posò l'ametista datole dal padre sul comodino.
Poi si avviò in bagno ed entrò nella doccia. Sorrise inconsapevolmente, appoggiandosi alla parete e lasciando che l'acqua le lavasse via tutti i pensieri.
Ma appena l'orgoglio se ne andò, arrivarono le preoccupazioni e iniziò a tormentarsi.
Come avrebbe fatto a vincere? Come sarebbe riuscita a conquistare i capitoliani? Avrebbe dovuto allearsi. Ma chi si sarebbe voluto alleare con lei? Magari Fideo. Ma lui le sarebbe stato d'aiuto? E sarebbe bastato un solo alleato?
Strizzò gli occhi cerulei, mordendosi le labbra. Era tutto troppo complicato.
Uscì dalla doccia e si asciugò con calma. Poi indossò un jeans blu e una maglia attillata e rossa; scivolò fuori dalla stanza.
Doveva cercare Haymitch e costringerlo -anche con la forza- a svolgere il suo compito di mentore.
Non aveva assolutamente intenzione di morire perchè quell'idiota si era ubriacato.
Si fermò davanti alla porta della camera dell'uomo e bussò.
Non ricevette risposta, allora provò ad aprire, ma era chiusa a chiave.
Iniziava già spazientirsi, così iniziò a tirare pugni sulla porta gridandogli di uscire subito da lì.
-Che fai?- sussultò, girandosi.
Fideo la osservava con un sorriso divertito sulle labbra.
Amelia sbuffò, incrociando le braccia al petto. -Haymitch non mi apre.- esclamò seccata.
Il ragazzo ridacchiò. -Sarà talmente ubriaco da non sentirti.-
-Allora sfonderò la porta.- ribattè ovvia lei, tirando un altro pugno sul legno.
-Domani dovrà uscire di sicuro, ti consiglio di aspettare.- il castano abbozzò un sorriso cordiale, e Amelia sentì qualcosa smuoversi all'altezza del petto.
Qualcosa di caldo e piacevole.
Sbuffò, scostando lo sguardo. -Allora a domani, Ardena.- si girò e fece per andarsene.
Lui rimase interdetto per un attimo, poi sorriso di nuovo. -Buonanotte Amelia.-
E la castana non potè fare a meno di pensare che il suo nome, detto da Fideo, aveva un suono celestiale.
Entrò nella sua camera, confusa Non le era mai capitato di fare queste considerazione su un ragazzo.
Eppure gli occhi di Fideo erano così belli. La sua voce così chiara. Il suo viso così perfetto. Il suo sorriso così dolce.
Scosse la testa, infilandosi sotto le coperte.
Era così sciocco essere attratti da un ragazzo che ti avrebbe ucciso. Lei lo sapeva benissimo.
Non riuscì a dormire quella notte. Continuava ad agitarsi nel letto, e lo sferragliare del treno di certo non aiutava. E poi aveva fame. Era stata proprio stupida a non andare a cenare.
Quando i raggi dell'alba entrarono dal finestrino, Amelia scattò in piedi, desiderosa di uscire da quella stanza.
Entrò in bagno e si lavò velocemente il viso; legò i capelli in una coda laterale e poi, mentre stava per uscire, si ricordò di una cosa.
Prese la sua ametista dal comodino e la accarezzò delicatamente.
La infilò in tasca e uscì frettolosa. Non aveva proprio voglia di perdersi nei ricordi.
Quando entrò nel vagone ristorante si stupì di trovare Fideo già in piedi intento a ricoprire di marmellata una fetta di pane.
Lo salutò scontrosamente, sedendosi davanti a lui e azzannando letteralmente una brioche.
Rimasero in silenzio per un po', poi Amelia si costrinse a parlare. -Non ti facevo così mattiniero.-
Lui sorrise. -Non riuscivo a dormire, questo treno è infernale. E tu?-
-Mh.- rispose lei, mordendo un panino.
Calò di nuovo il silenzio, e la castana studiò un po' il ragazzo. Sembrava in imbarazzo.
Se doveva propogli un alleanza, questo era il momento giusto.
-Proverai a vincere, Ardena?- mormorò fredda, gli occhi fissi sulla sua tazza di caffè.
-Credo di sì.- rispose lui, leggermente stupito.
-Mi ucciderai?- questa volta Amelia alzò gli occhi, puntandoli in quelli color cielo del ragazzo.
-No.- fu la sua risposta candida, ma sul suo viso non c'era ombra di un sorriso.
-Ma allora non vincerai.-
Lui sorrise amaro. -Allora non lo so. Forse morirò.- rise un po', e Amelia rimase a fissarlo attentamente, chiedendosi perchè la sua risata, anche se rotta da un tono triste, era così bella.
-Potremmo allearci.- esclamò, per poi accorgersi che il suo tono era troppo speranzoso. -Certo, se non preferisci morire solo.- aggiunse acida, sperando di rimediare.
-Mi sembra una buona idea. Certo, se non preferisci contare solo su di te.- rispose sorridendo lui.
Questa volta, anche Amelia si sciolse in un sorriso accennato. Fideo era davvero bravo, a farla sorridere.
-Tsk.- ingollò la tazza di caffè, contenta. Cercava di accantonare il più possibile il pensiero che uno solo sarebbe uscito dall'Arena.
Voleva godersi il sorriso del ragazzo ancora un po'.
Uscì dalla stanza, e girovagò per i corridoi senza meta, per sbollire quella felicità innata.
Non capiva perchè fosse così contenta. Forse perchè Fideo le aveva detto sì. Forse perchè le aveva sorriso.
Perse la cognizione del tempo ed errò per i vagoni per ore, fin quando il treno non si fermò.
Fu come uscire da un sogno. Tutta la contentezza si volatilizzò, lasciando spazio a un'ansia che la lasciava senza fiato.
Attraversò i corridoi a ritroso, raggiungendo l'uscita.
Quando il sole di Capitol City la illuminò, avvertì di nuovo un incredibile senso di impotenza.
Si sentiva piccola e debole davanti a quei palazzi enormi e luccicanti.
E non le piaceva per niente.
Ma gli Hunger Games erano inziati.
E non avrebbero lasciato nulla dietro di loro.

















30 pagine, Tributi miei, 30 pagine...!
Ehm, ciao!
Okay, non chiedetemi con che faccia arrivo qui dopo quasi un mese, perchè non lo so!
Non ho scusanti, ecco. <.<
Però ho scritto un capitolo proprio lungo, questo dovete riconoscermelo. u.u
Va bene, non sono per niente sicura di come ho trattato i mentori.
Aiuto, ho paura di averli headcanonati (?) troppo! >.<"
Ditemi cosa ne pensate, perchè io ho sinceramente paura! ç.ç
Poi, so benissimo che molte volte più vincitori facevano i mentori insieme, ma è già complicato trattarne 12, figuriamoci di più! >O<
E niente, spero vi piaccia.
Adesso devo andare, cieu, spero di riuscire ad aggiornare prima! ;)
Ciao ciao!
Lucchan

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Distretto 1

Marina roteò gli occhi seccata, sbuffando.
Era arrivata a Capitol City e le era stato concesso di dormire; appena si era svegliata era stata subito "data fra le mani" di quel dannato gruppo di preparatori.
I tre capitoliani l'avevano spogliata, lavata, profumata, unta, truccata e un sacco di altre cose di cui Marina non aveva capito l'utilità.
Una donna grassoccia dai capelli rosso fuoco le aveva proposto eccentrica di tingersi i capelli di biondo platino e la castana si era limitata a lanciarle uno sguardo gelido.
La preparatrice non sembrava essersene accorta e aveva continuato a ciarlare su quanto andasse di moda il platino e roba simile.
Marina aveva smesso di ascoltarle da tempo.
Dopo ore e ore di tortura, finalmente fu libera di infilarsi l'accappatoio e aspettare che i suoi preparatori andassero a chiamare il suo stilista.
Sospirò, passandosi una mano fra i capelli castani, scoprendoli più morbidi di quanto avesse mai creduto possibile.
I suoi preparatori erano più sciocchi di quanto Marina avesse potuto immaginare: erano così fastidiosi, che ronzavano intorno al suo corpo come mosche.
Sperava solo che il suo stilista non fosse stupido come tutti i capitoliani.
Ma quando la porta si aprì, rivelando il famigerato stilista, allora Marina si disse che le sarebbe andato benissimo uno stupido capitoliano.
Perchè quello che aveva davanti era Christian Euden, un suo vecchio compagno di classe.
Certo, avevano sei anni di differenza, ma avevano frequentato qualche corso insieme e si erano spesso aiutati con lo studio.
Come mai faceva lo stilista? Da quando lui si era trasferito a Capitol avevano perso i contatti, ma insomma! Questo era decisamente troppo.
-Oh, Mari che bello rivederti!- esclamò lui, avanzando a grandi passi e abbracciandola.
La castana rimase immobile, aspettando che Christian la fisse con quelle smancerie.
L'uomo si allontanò, sempre sorridendo come un vero idiota.
Lo stilista iniziò a parlare di quanto gli mancasse il Distretto 1, di quanto Capitol fosse bella ma caotica e bla bla bla.
Marina dedicò più attenzione al suo viso: si accorse con grande piacere che non aveva apportato modifiche al suo corpo come la maggior parte dei capitoliani.
Era una persona relativamente normale: capelli biondi e folti, pelle chiara, occhi azzurri e luminosi.
Ovvio, per chi lo conosceva era tutto meno che normale, ma questi erano dettagli.
-Allora Mari, sei contenta di partecipare ai Giochi? Sono così felice per te! Ma non perdiamo tempo, voglio che tu sia la più bella di tutti!- Christian aprì le braccia con fare plateale, sorridendo.
-Ti piacciono i diamanti, Marina?- chiese, ammiccando.
La ragazza inarcò scettica un sopracciglio. -Eh? Cosa c'entrano i diamanti?-
-Ecco, sai, con la stilista di Fuusuke avevamo pensato di trasformavi in diamanti. Il Distretto 1 si occupa della lavorazione dei beni di lusso e delle pietre preziose, e poi i diamanti non sono bellissimi? Così luccicosi...- rimase un attimo con lo sguardo sognante rivolto all'orizzonte.
Marina roteò gli occhi sbuffando, anche se in realtà era una buona idea.
-Basta che non mi trasformi in qualcosa di osceno.- acconsentì dopo un po', incrociando le braccia al petto.
-Non preoccuparti zucchero, sarai stupenda!- Christian le strizzò l'occhiolino ridacchiando.
Dopo qualche ora, Marina si ritrovò addosso il vestito più strepitoso che avesse mai indossato.
Era lungo fino al ginocchio, senza spalline, interamente fatto di morbido velluto; era color ghiaccio, iridescente e coperto di strass e rifletteva la luce.
I suoi capelli erano lasciati sciolti lungo le spalle, coperti di brillantini che li facevano scintillare. Non era truccata molto pesantemente: aveva un rossetto blu chiaro e gli occhi erano circondati di tonalità di azzurro, dal più scuro vicino alle ciglia fino a diventare così chiaro da confondersi con la pelle.
Dovette considerare che Christian non se la cavava poi così male coi vestiti.
Vedendo la sua espressione stupita, l'uomo ridacchiò.
-Ti piace Mari?-
Pensò solo che lo stilista era decisamente antipatico quando se ne usciva con quei "Mari" sdolcinati.
-Sì, è accettabile.- rispose vaga, girandosi.
Accompagnata dallo staff di preparatori che lanciava strilli eccitati, fu scortata fuori.
Quando vide Suzuno rimase a bocca aperta: il ragazzo era un diamante, come lei.
Indossava un completo elegante ricoperto di spray argento e la sua espressione fredda era decisamente una cosa perfetta per quell'abito.
Tentò di non fissarlo troppo mentre scendevano nell'anfiteatro cittadino per la sfilata coi carri, dove i Tributi venivano presentati alla folla.
Salirono su un carro bianco trainato da quattro cavalli candidi; dato che il loro era il primo Distretto, avrebbero aperto la sfilata.
Marina prese un respiro profondo.
-Cosa ne pensi, di questi costumi?- chiese a Suzuno, senza girarsi per guardarlo.
-Potrebbero essere una buona idea.- rispose lui, rivolgendole un'occhiata.
La castana sentì un brivido attraversarle la schiena, ma lo nascose.
La musica d'apertura iniziò e il loro carro iniziò a muoversi.
Marina alzò il mento, un'espressione fredda sul viso.
La folla ruggì.

Distretto 2

-Oh Hika-chan, ma come ti sei ridotta così?-
Hikari non ne poteva più. Erano ore che era entrata nel Centro Immagine e ancora non era pronta ad uscirne.
E poi, i suoi preparatori non potevano risparmiarsi quei commenti zuccherosi sulle frustate che aveva sulla schiena?
Non era certo sua intenzione raccontare ai quattro venti come se li era fatte, quelle ferite, ma le tre donne erano insistenti.
La più giovane delle tre, dai capelli fuctsia e tatuaggi rosa su tutto il corpo, continuava a squittire cercando di nascondere le ferite che la mora aveva sulla schiena.
Hikari restava immobile, sopportando silenziosamente.
Voleva solo essere abbracciata da Desarm e mandare al diavolo tutto il mondo.
Le dava fastidio, il modo spudorato in cui il suo staff le levigava ogni centimetro del corpo con sapone e unguenti di ogni tipo.
-Oh cara, chissà cosa ti è successo... Spero nulla di grave, perchè sei così bella!- trillò la donna che le stava sistemando le unghie, applicandoci sopra uno smalto nero e lucido.
-Infatti, hai dei capelli talmente belli! Sono poco curati però, ma stai tranquilla, quando uscirai di qui sarai davvero stupenda!- cinguettò la donna dietro di lei, dalla pelle con una lieve sfumatura rossastra, che le stava pettinando i capelli.
"Quando uscirò da qui" pensò Hikari "sarò più morta che viva, non stupenda."
La mora decise di smettere di ascoltare, tanto quei commenti la stavano solo infastidendo.
Ci misero meno del previsto a terminare il loro lavoro e nel giro di un paio d'ore fu pronta.
Indossò l'accappatoio e quei tre avvoltoi dei suoi preparatori uscirono, lasciandola finalmente sola.
Hikari sbuffò, picchiettando nervosamente il piede per terra con le braccia incrociate al petto. Voleva solo che tutta quella buffonata finisse in fretta.
Perchè ai capitoliani non bastava che i Tributi si ammazzassero fra loro, no, dovevano anche subirsi tutta quella pagliacciata coi costumi e le sfilate.
La porta si aprì, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
Rimase stupita dall'aspetto umano del suo stilista: aveva lunghi capelli neri e numerosi ciuffi incorniciavano il suo viso, coprendo l'occhio sinistro. Gli occhi erano grigio argento, prezioso e brillante, luminoso. Aveva un sorriso appena accennato e decisamente rassicurante.
Sembrava un tizio simpatico, allora Hikari abbozzò un sorriso.
-Ciao Hikari, piacere di conoscerti. Mi chiamo Arata Tasho, e sono molto fiero di essere il tuo stilista.- disse lui, con tono cordiale, porgendole la mano.
La mora la strinse insicura. -Beh... Ciao.-
-Facciamo due chiacchere, okay?- propose, e Hikari annuì.
Era scombussolata dalla normalità del suo stilista per concentrarsi su altro. Era talmente umano da essere disarmante.
Entrarono in una stanza con due divani verde muschio, dove si accomodarono.
-Allora Hikari, come ti senti? Spero che Kita, Moko e Taary non ti abbiano strapazzata troppo.-
-Mi hanno distrutta, veramente.- sbottò acida la mora, incrociando le braccia al petto.
Si accorse solo dopo di aver detto qualcosa di probabilmente offensivo, ma Arata sorrideva divertito.
-Lo so, sono molto invadenti. Ma non sono cattivi.- sorrise. -Allora Hikari, come ben saprai il tuo Distretto si occupa della produzione di muratura ed armi.-
La ragazza annuì appena, mentro l'uomo si alzava.
-Io e la stilista di Desarm avevamo pensato di farvi indossare qualcosa che rispecchi la forza del Distretto 2. Quindi non indosserai gonne o vestiti pieni di strass.-
Hikari tirò un sospiro di sollievo e Arata rise.
-Allora sarò ricoperta di lame?- domandò subito preoccupata la ragazza, ma lui scosse la testa.
-Vedrai.- disse solo, sempre sorridendo.
Un'ora dopo, Hikari si ritrovò un vestito che mai avrebbe pensato di indossare per una sfilata.
Aveva dei pantaloni neri che si allargavano sulla caviglia, e ai piedi scarpe da ginnastica dello stesso colore.
La pancia era scoperta e lasciava vedere il percing che aveva sull'ombelico e il tatuaggio sul fianco destro.
La maglia si chiudeva con una cerniera sul petto ed era anch'essa nera; le maniche erano tirate su fino al gomito e un cappuccio le copriva i capelli, lasciando intravedere alcune ciocche.
Il suo viso era intermente ricoperto di trucco: intorno agli occhi c'era uno spesso strato di nero, che pian piano sfumava fino a diventare grigio acciaio sulle gote e sulla fronte. I suoi occhi rossi sembravano carboni ardenti su tutto quel colore uniforme.
Hikari considerò stupita che quel costume ricordava una pistola o un cannone pronto a sparare; abbozzò un sorriso, girandosi verso Arata.
-E' bello.- proferì solo e l'uomo sorrise.
Con il suo staff fu scortata fuori e diretta all'anfiteatro cittadino.
Appena vide Desarm, lo abbracciò e rimase stretta a lui anche mentre salivano sul loro carro.
Hikari sentiva il bisogno impellente di sentire che il suo ragazzo era vicino a lei, e lo sarebbe sempre stato.
Non le importava di sembrare debole, voleva solo averlo vicino.
-Stai bene?- domandò Desarm sorridendo appena e lei annuì, sciogliendo quell'abbraccio.
Gli strinse la mano, però, intrecciando le proprie dita con quelle del ragazzo.
La musica partì trionfale e la mora trattenne il fiato, mentre il carro del Distretto 1 partiva.
-Sorridi, Hikari.- sentì Desarm sussurrarle all'orecchio prima che il loro carro iniziasse a muoversi.
Sorrise, e il sole l'avvolse.

Distretto 3

Kiara strinse in denti, mentre la spazzola strappava via impietosa i nodi dei suoi capelli.
-Oh, scusa!- esclamò una donna dalle orecchie a punta e capelli a forma di stella. -Abbiamo quasi finito, okay?- Il tono della capitoliana doveva essere qualcosa di vagamente simile a un incoraggiamento, ma era proprio una riproduzione patetica, con quello stridulo accento capitoliano.
La dodicenne roteò gli occhi, sbuffando un po'.
-Non potresti fare un po' più piano?!- sbottò irritata, aggrappandosi al bordo del tavolo davanti al quale era seduta, tentando di trattenere un gemito di dolore quando la donna strattonò di nuovo la spazzola, tirando via una manciata di capelli annodati.
-Sei stata così brava, resisti ancora un po'! Ti prometto che finisco presto!- cinguettò la donna, facendo sbuffare di nuovo Kiara.
Dopo altri dieci minuti buoni, finalmente la donna posò quell'oggetto infernale chiamato spazzola.
Intanto altre due si stavano occupando rispettivamente delle unghie e del viso.
-Oh, era da così tanto che non ci capitava un Tributo così bello!- esclamò una donna dai tatuaggi verdi sul viso, applicandole uno strato di smalto metallizzato sulle unghie.
"Ma perchè diamine devono inziare tutte le frasi con ?!" pensò esasperata la ragazza, guardando malissimo la donna davanti a sè.
Dopo un'ora di trattamenti, finalmente Kiara fu lasciata sola.
Indossò l'accappatoio e sbuffò, guardando le pareti bianche; si portò una mano ai capelli, scoprendoli setosi e privi di increspature.
Lei odiava pettinarli, era una cosa lunga e dolorosa, ma il suo staff non era in grado di capirlo.
La porta di aprì, mentre Kiara sbuffava di nuovo.
Una donna su alti tacchi a spillo e i capelli giallo evidenziatore fece il suo ingresso nella stanza, con un sorriso da vera idiota sul viso.
"Andiamo bene." pensò sarcastica la ragazza, roteando gli occhi.
-Oh, ma ciao Kiara! Io sono Waaka Momadus, e sarò la tua stilista!- esclamò trillando; la rossa pensò che forse era una cosa genetica di Capitol City, parlare con quel tono stridulo e tintinnante.
-Sei davvero bellissima, cara! Forza, forza, adesso pensiamo al lavoro!- esclamò, andando sull'acuto verso la fine della frase e girandole intorno in una specie di ballo.
Kiara inarcò scettica un sopracciglio, osservando Waaka come si osserva un'alieno.
Che poi, la stilista era così poco umana da essere volentieri scambiata per un extraterrestre.
-Cara, ti piacciono i computer?-
-Puoi smetterla di chiamarmi cara?!- sbottò irritata la ragazza, fulminando la donna con lo sguardo.
-Oh, cara come sei simpatica!- rise Waaka e Kiara sospirò sconsolata.
Era impossibile tenere un dialogo con quella pazza.
-Stai tranquilla cara, il tuo vestito sarà bellissimo! Guarderanno tutti te, sì sì!- si fermò davanti alla rossa dopo averle girato intorno per tutto il tempo, aprendo le braccia con fare plateale. -Forza, al lavoro!-
E dopo un paio d'ore, Kiara si ritrovò addosso un vestito che non avrebbe mai neppure potuto immaginare.
I pantaloni erano lunghi e attillati, bianchi con lievi sfumature azzurre; indossava un corpetto celeste e bianco, che scendeva formando due specie di code, che somigliavano ad ali ripiegate e brillavano di azzurro e bianco.
Alle mani aveva un paio di guanti abbinati al vestito e i capelli erano legati in due code da un nastro bianco con i bordi celesti, che si intrecciavano sulla fronte.
E poi, la cosa più spettacolare: aveva quattro spessi fili, due su ogni fianco, che somigliavano a tentacoli e fluttuavano in aria, appena sopra le ali ripiegate, e brillavano di azzurro e bianco. A completare il tutto, un paio di stivali coordinati e comodi.
Non aveva un trucco molto pesante, solo uno strato di azzurro che le circondava gli occhi e una spruzzata di bianco sulle gote.
Kiara non riusciva a crederci. Quel costume era fantastico, non si sarebbe mai aspettata di indossarlo.
Si girò stupefatta verso Waaka, che gongolava contenta del risultato ottenuto.
In quel momento entrò il suo staff di preparatori, che iniziò a congratularsi con la stilista, che sorrideva fiera godendosi quelle acclamazioni.
Fu scortata all'anfiteatro; Midorikawa indossava un costume simile al suo.
Quando si trovarono sul carro, rimasero a fissarsi per un paio di minuti, prima di scoppiare a ridere senza controllo.
Erano così nervosi per l'esito della sfilata da non riuscire a pensare in modo sensato.
-Mi sento stupido con questo coso addosso!- rise il verde, seguito a ruota da Kiara.
-Però è davvero bello. Secondo te i tentacoli danno la scossa?- domandò la rossa sorridendo e poi risero di nuovo.
Quell'atmosfera serena fu rotta dalla musica che partì dando inizio alla sfilata.
Il carro del Distretto 1 partì e Kiara prese un respiro profondo.
-Se cado dal carro mi tieni?- domandò a Ryuuji, che ridacchiò.
-Sì, ti acchiappo io. Non vorrei che il tuo bel faccino fosse rovinato da una caduta.- lo sguardo del ragazzo si addolcì e la rossa arrossì.
Il loro carro iniziò a muoversi e Kiara prese un respiro profondo.
"Si va in scena."

Distretto 4

Zoey sospirò, rilassando i muscoli tesi.
Era compostamente seduta e tre preparatrici le zampettavano attorno, armate di spazzole, pinzette, smalti e profumi.
Non era poi così terribile, essere preparata da quei capitoliani.
Certo, avrebbe dovuto sentirsi in imbarazzo, completamente nuda con quelle tre che le giravano attorno, ma le preparatrici erano così poco simili a umani da non destarle alcun imbarazzo.
Chiuse gli occhi, mentre una donna le pettinava i capelli ricci e mori.
Era quasi piacevole essere circondata da tutte quelle chiacchere: infatti lo staff non aveva smesso un attimo di parlare da quando lei era entrata.
Il fatto buffo era che le rivolgevano delle domande, ma andavano avanti col discorso senza darle il tempo di rispondere.
Così Zoey dopo un po' si era arresa e aveva lasciato che parlassero senza ascoltare; dopottutto, era rassicurante quel brusio di sottofondo mentre la preparavano.
Riaprì gli occhi verdi e abbozzò un sorriso falsamente riconoscente.
-Grazie, siete state bravissime.- disse con una voce dolce che diede il voltastomaco persino a se stessa.
Le tre però non se ne accorsero e squittirono un "prego" in coro, per poi dileguarsi a chiamare il suo stilista.
Zoey ridacchiò, infilandosi l'accappatoio.
Erano così buffi i capitolini, così divertenti; sembravano così sciocchi e facili da prendere in giro, affettuosi come bambini.
Che persone strane, pensò abbozzando un sorriso.
Non le davano fastidio, lei aveva sempre desiderato confrontarsi con Capitol e i suoi abitanti; essere lì circondata da capitoliani era un sogno che si avverava.
La porta si aprì e Zoey si sporse curiosa per vedere il famigerato stilista.
La donna che era entrata era piuttosto anziana, dai tratti austeri e i capelli rosso spento legati in una coda bassa.
La stilista camminò sulle scarpe bianche senza tacco, fermandosi davanti a lei e osservandola con aria critica coi suoi occhi verdi e acquosi.
Indossava un vestito blu scuro lungo fino alle ginocchia; Zoey consiederò stupita che non aveva nulla dell'eccentricità di Capitol.
Era piuttosto bassina e di carnagione pallida; dopo qualche istante i suoi tratti rugosi si dischiusero in un sorriso soddisfatto.
-Ciao Zoey, piacere di conoscerti. Mi chiamo Victoria Hacktamal.- disse con tono inaspettatamente gentile.
La mora sorrise di rimando. -Piacere di conoscerla, signorina Hacktamal.- disse cordialmente, come le avevano sempre insegnato da piccola.
La donna le girò intorno per un po', osservandola; poi si fermò, sempre più soddisfatta.
-Bene, sei proprio bella, Zoey. Ti adoreranno.- sorrise, corrugando il viso rugoso.
-Solo con il suo aiuto, signorina Hacktamal.- rispose la mora, sorridendo gentile.
Non era proprio da lei essere così cordiale e nauseabonda, ma doveva prima capire quanto poteva sbilanciarsi con quella donna.
Pareva una persona piuttosto irascibile, e Zoey non voleva che si arrabbiasse con lei.
-Sei una brava ragazza, meno male. Il Tributo dell'anno scorso era così antipatico!- sbuffò Victoria, ma poi si ricompose. -Su su, ora al lavoro. Hai mai visto il mare al tramonto Zoey?-
La mora rimase un attimo interdetta a quella domanda. -Certamente.-
-Benissimo. E hai mai osservato la spuma sulla cresta delle onde? E' bianca e rossa, un accostamento meraviglioso. E' su questo tema che voglio basare il tuo vestito. E poi, il rosso è anche il colore del sangue, della morte che nell'Arena porterai. Il sangue e l'eleganza, che si sposano in un abito perfetto.- gesticolò la donna, poi rimase immobile con sguardo sognante.
La mora rimase a bocca aperta per un attimo, poi sorrise. -Che bell'idea.-
Victoria ridacchiò. -Infatti! Su su, al lavoro.-
Dopo un paio di ore, Zoey osservò a bocca aperta il suo riflesso.
Indossava un abito bianco lungo fino alle ginocchia, con un enorme fiocco rosso alla vita; le scarpe vermiglie avevano un po' di tacco e aveva degli orecchini d'oro.
I suoi capelli erano sciolti e ricadevano ricci lungo la schiena, morbidi e leggeri; aveva un rossetto rosso e un leggero trucco azzurro sugli occhi.
Il tessuto del suo abito aveva qualcosa di particolare, che lo rendeva alla vista leggero e poroso, come la spuma.
-E'-E' bellissimo.- mormorò e questa volta era sincera.
-Niente smancerie, andiamo.- esclamò burbera la stilista, voltandosi e sfuggendo ai complimenti dello staff di preparatori.
Zoey ridacchiò e li seguì. Durante il tragitto verso l'anfiteatro, a loro si unirono Mac e il suo staff.
La mora rimase a bocca aperta; se lei era il mare al tramonto, lui era il mare di notte.
Indossava un vestito nero e blu che sembrava riflettere i luccichii indistinti delle stelle sui flutti marini.
Lui le sorrise dolcemente e Zoey scostò lo sguardo, imbarazzata.
Salirono sul carro e la ragazza si lasciò andare in un sospiro agitato.
-Sei davvero bella, con quel vestito.- esclamò Mac, sempre sorridendo.
La mora arrossì e scostò lo sguardo, tentando di nascondere il suo palese rossore.
-Sei proprio stupido, Rionejo.- al che il giovane rise, e i suoi occhi brillarono.
-Possiamo smetterla con queste formalità? Chiamami Mac, Zoey.-
E la ragazza si disse che ormai era fregata. -Okay, M-Mac.- stava balbettando come una stupida, se ne rendeva conto, eppure proprio non riusciva a tenere la voce ferma, con gli occhi premurosi del castano su di sè.
La musica d'apertura la salvò da quella situazione imbarazzante, e i carri iniziarono a muoversi.
Quando quello del 3 fu fuori e il loro iniziò a muoversi, Zoey prese coraggio e afferrò la mano di Mac, stringendola forte.
Il sole la colpì, dando inizio alla sfilata.

Distretto 5

Hakai trattenne il respiro, mentre l'ultima striscia si staccava dalla sua pelle tirando via i peli che ci stavano sotto.
Intorno a sè, tre donne agghindate in gingilli e colori esuberanti continuavano a parlare di quanto lei fosse bella e di quanto questa edizione di prospettasse interessante.
Hakai non trovava nulla di interessante, in tutta quella faccenda.
Ma non disse nulla e si limitò a stringere i denti e attendere che finissero.
Era imbarazzatissima, e aveva caldo, tanto caldo. Probabilmente, pensò, era arrossita.
Ma le capitoliane non sembravano averlo notanto, continuavano tranquillamente a chiaccherare.
La bionda strinse i pugni, mentre le tre donne si allontanavano soddisfatte per ammirare il loro lavoro.
Resistette all'impulso di incrociare le braccia al petto, raccogliendo i frammenti di quel poco pudore che le era rimasto.
Dopo aver passato ore completamente nuda con quelle tizie intorno, ne era rimasto davvero poco.
Lo staff si dileguò e Hakai pensò, arricciando il naso, che Capitol non conosceva l'imbarazzo.
Con un sospiro osservò l'accappatoio; non valeva la pena metterselo, dopotutto il suo stilista gliel'avrebbe di sicuro fatto togliere.
Si arricciò agitata una ciocca bionda fra le dita, gli occhi cerulei socchiusi in una smorfia infastidita; quanto avrebbe voluto tornare a casa!
La porta si aprì; Hakai alzò lo sguardo allarmata e perse un battito.
L'uomo davanti a lei aveva un sorriso dolce e cordiale, occhi azzurri come un lago limpido e pulito e i capelli biondi e mossi che sfioravano le spalle.
-Ciao Hakai. Mi chiamo Yuujirou Shiramatsu, piacere di fare la tua conoscenza.- disse senza smettere di sorridere e la bionda si riscosse.
-C-Ciao.- balbettò. E ora? Che doveva fare?
-Ti metti l'accappatoio, così parliamo un po'?- domandò rassicurante lui, e Hakai annuì, infilandoselo.
-Bene cara, come stai? Ti piace Capitol City?- chiese di nuovo, e la bionda distolse lo sguardo.
-Sto bene...- mormorò solo.
Come poteva dirgli che in realtà lei stava malissimo e che voleva tornare a casa? Dopottutto lui era capitoliano, non avrebbe capito.
-Sono contento.- lui sorrise ancora, passandosi una mano fra i capelli e ammiccando. -Su, adesso al lavoro. Sarai la più bella di tutte... E ovviamente l'abito che farò sarà il più bello di tutti!- esclamò trionfante e Hakai gli lanciò un'occhiata di traverso.
Sospirò, mentre Yuujirou iniziava a tessere lodi sulla sua infinita magnificenza e bla bla bla; doveva aspettarselo, dopottutto era capitoliano.
-Ma non perdiamoci in chiacchere!- esclamò ad un certo punto lui, facendola sobbalzare dallo spavento.
-Cara... Ti piacciono le scintille?- domandò con un sorriso smagliante lo stilista, e Hakai lo guardò curiosa.
Aveva proprio voglia di vedere cosa sarebbe riuscito a fare...
Dopo un paio d'ore, ebbe la risposta.
Osservò stupita il suo riflesso, quasi stesse guardando un'altra: indossava un abito verde, lungo fino ai piedi e senza spalline, lucido e brillante.
Guardandolo bene, si poteva notare, fra i riverberi della luce, qualcosa che ricordava la simmetria spigolosa del fulmine, come se lei si stesse accendendo della letale luce dell'elettricità.
I suoi capelli erano lasciati sciolti e creavano un contrasto interessante con la stoffa verde del vestito; sembravano anche loro parte di quel fulmine che era diventata.
Aveva uno spesso strato di verde elettrico intorno agli occhi e due fulmini smeraldini disegnati sulle gote candide.
Si girò verso Yuujirou, e lui sorrise.
-Un vestito bellissimo, non è vero? Modestamente, sono un genio.- socchiuse gli occhi con fare teatrale, e proprio in quel momento la porta si spalancò; entrò il suo staff di preparatori che cominciarono a riempire di complimenti lo stilista, che sorrideva soddisfatto.
Hakai ridacchiò davanti a quella scena buffa, dicendosi che in realtà Shiramatsu non era così male, per essere un capitoliano.
Fu scortata verso l'anfiteatro, e un nodo le serrò la gola davanti a quella grandezza, a quella potenza.
Capitol era potente e lei era solo una ragazzina vestita di verde che tentava di restare viva come meglio poteva.
Ingoiò l'agitazione, rivolgendo uno sguardo a Hiroto, di fianco a lei su quel carro instabile.
Kiyama aveva un'impenetrabile espressione seria: i suoi occhi acquamarina erano fissi sulla porta chiusa, oltre i carri davanti a loro.
-A-Allora... C-Come va?- balbettò incerta, spiazzata davanti a quello sguardo così letale che non aveva nulla della dolcezza dimostrata sul treno.
Ma quando il rosso si girò, quella freddezza svanì dal suo volto, lasciando spazio a un sorriso tiepido.
-Sei davvero bella.- disse solo, gli occhi puntanti nei suoi.
Hakai arrossì irrimediabilmente; fu la musica d'apertura a salvarla.
Trasse un sospiro, rabbrividendo. Fuori da quell'atrio c'era Capitol City, quella Capitol City che l'aveva condannata a quella morte e quella Capitol City che avrebbe applaudito appena lei sarebbe apparsa davanti a loro.
Sentì la mano di Hiroto sulla sua spalla e si girò repentinamente, trasalendo.
-Ehi Hakai, stai tremando. Ti senti bene?-
-S-Sì. Ho solo paura...- mormorò, stringendosi nelle spalle.
Kiyama sorrise dolcemente, accarezzandole i capelli. -Non ti preoccupare. Ti proteggo io.-
La bionda arrossì e pensò che sì, Hiroto l'avrebbe protetta. Anche se non poteva farlo, anche se non doveva farlo, anche se questo avrebbe voluto dire la morte per lui. Non seppe cosa le suggerì quel pensiero; semplimente, fu una certezza.
Il carro iniziò a muoversi e il panico si impossessò di Hakai.
Ma strinse la mano di Kiyama e riuscì a restare ferma. Riuscì persino a sorridere, mentre Capitol esplodeva in urla festose che sapevano solo di morte.

Distretto 6

Hakaikuro strinse i denti, sbuffando sonoramente.
Tre capitoliane trillavano intorno a lei chiaccherando come vere idiote, e lei non ce la faceva più.
Sentiva il nervosismo crescere circondata da quelle tre pazze che sembravano più buffi alieni colorati che umani.
-Giù le mani dai miei capelli!- gridò, spostandosi quando le mani verdognole di una donna dai capelli azzurro fluo si posarono sulle ciocche more.
-Scusa Haka-chan, però...- la donna era visibilmente spaventata dalla reazione della ragazza, ma ad Hakaikuro non importava affatto.
Che andassero al diavolo, con quei capelli assurdi e quelle manie idiote per la moda!
-Non me ne frega niente, tu...- sibilò, ma fu interrotta dalla porta che si apriva.
Le tre donne si girarno simultaneamente verso l'uomo che era apparso sulla soglia, lanciandosi verso di lui.
-Akatama, Akatama!- strillarono in coro, e Hakaikuro sbuffò, incrociando le braccia al petto.
E chi era adesso quel moretto? Il suo stilista?
-Che succede?- domandò lui, senza guardare lo staff di preparatrici ma tenendo gli occhi blu elettrico su di lei.
-Succede- esclamò seccata la mora. -che la devono smettere di cinguettarmi intorno. Mi è venuto mal di testa, da quanto strillavano!-
Lui scosse la testa, al che i capelli mori gli solleticarono il viso. Poi avanzò verso di lei.
Hakaikuro sostenne il suo sguardo senza battere ciglio, infastidita.
-Andate pure.- disse poi lui, e le tre donne si dileguarono repentinamente.
La mora si lasciò andare in uno sbuffo, sprofondando nella poltrona in cui era seduta con le braccia incrociate al petto.
-Piacere di conoscerti Hakaikuro, il mio nome è Akatama Yamitami.- disse gelido lui, senza smettere di fissarla.
-Il piacere è tutto tuo.- sibilò lei assottigliando gli occhi neri con astio.
Restarono qualche attimo in silenzio, a studiarsi come due predatori prima di un duello.
Fu Akatama a rompere il silenzio. -Forza, sbrighiamoci. Il tuo Distretto si occupa dei trasporti, come tu sai. Per te e Akio avevamo in mente qualcosa di letale, credo che ti piacerà.-
Hakaikuro si limitò a sbuffare, dicendosi che no, qualunque cosa le avessero fatto indossare non le sarebbe piaciuto affatto.
Però, poche ore dopo, dovette ricredersi.
Indossava un'armatura blu elettrico così particolare che non avrebbe saputo immaginarla; i pantaloni erano neri, con dei ganci blu che le percorrevano le gambe intrecciandosi. Gli stivali erano alti fino al ginocchio, bianchi con la parte superiore blu. Dalla vita in su il corpetto era d'acciaio, che si intrecciava abilmente con la stoffa blu elettrico fino a creare le spalline larghe e d'acciaio. Le braccia erano coperte da una maglia nera, con dei guanti di metallo bianchi e blu elettrico. Sulla fronte, aveva una specie di elmo: aveva due corna d'acciaio nere e blu. A completare il tutto, un lungo e largo mantello blu elettrico percorso da scosse letali e brillanti.
I suoi capelli erano sciolti e spruzzati di brillantini dello stesso blu brillante dell'armatura. Non aveva un trucco pensate, e questo lei non poteva che apprezzarlo.
Nel complesso, era davvero entusiasmante indossare un abito del genere.
Con un ghigno si girò verso Akatama. -Bel lavoro, Yamitami.-
Lui sorrise leggermente. -Faccio del mio meglio.-
Furono poi scortati verso l'anfiteatro dove si sarebbe svolta la sfilata e Hakaikuro si ritrovò sul carro insieme a Fudou.
-Allora, testa da bowling, sei sopravvissuto?- sogghignò lei, divertita.
-Uh, potrei farti la stessa domanda, Haka-chan.- rispose di rimando lui, una luce bella negli occhi impolverati.
-Tsk.- Hakaikuro distolse lo sguardo, senza smettere di ghignare.
Fudou, chissà come, riusciva a metterla di buon umore. Non le era sembrato, la prima volta che l'aveva visto, ma ora, ora, sentiva che erano molto più simili di quanto lei sarebbe mai stata in grado di ammettere.
-Se ti spingo giù dal carro che fai?- chiese all'improvviso lui, e la reazione della ragazza fu fulminea. Si girò e afferrò per il colletto dell'armatura Akio.
-Ti taglio la gola.- esclamò con un ghigno, a un soffio dal suo viso.
Rimase qualche secondo a fissarlo; gli occhi di Fudou brillavano, e Hakaikuro pensò che era davvero bello.
"Voglio baciarlo", ma quel pensiero fu subito soppresso dal buon senso della mora.
Lo lasciò andare, scostandosi bruscamente.
No, no, no, no, non doveva innamorarsi di lui. Assolutamente no. Non aveva il minimo senso logico.
La musica l'apertura iniziò potente, e Hakaikuro rimase con lo sguardo nero fisso davanti a sè, sui carri degli altri Distretti che partivano.
Il carro del Distretto 5 sparì inghiottito dalla luce, e anche il loro iniziò a muoversi.
Fu così che i Guerrieri Oscuri del Distretto 6 si affacciarono su Capitol City.

Distretto 7

Annalisa strinse i denti, rabbrividendo.
Era in nel Centro Immagine da ore, completamente nuda con quelle tre capitoliane che le giravano intorno; e aveva freddo, dannazione.
-Tranquilla cara, abbiamo quasi finito!- squittì una donna dai capelli rosso fuoco, ridendo come una iena.
La castana chiuse gli occhi, e rabbrividì di nuovo.
-Samanta farà un lavoro meraviglioso con te!- trillò un'altra donna, con le orecchie da topo.
Annalisa scostò lo sguardo, disgustata, ma poi si costrinse a parlare con voce falsamente dolce.
-Grazie, siete state bravissime.- mormorò.
Si sentiva così stupida. Certo, lei era dolce per natura, ma in quel momento sentiva solo un pensante senso di frustrazione.
Come se tutti la stessero prendendo in giro.
Cinguettando qualcosa, le tre donne uscirono per andare a chiamare la sua stilista.
Quando la porta si chiuse, Annalisa sospirò stancamente.
Era nervosa, odiava quel posto. Odiava quella gente stupida e superficiale.
Si arricciò una ciocca di capelli fra le dita e incontrò la piuma di sua madre.
In tutta quella confusione di unguenti e profumi, non l'avevano toccata.
La strinse febbrilmente, aggrappandocisi quasi, per paura che quell'unico pezzo di casa se ne andasse.
Fu in quell'istante che la porta si aprì: entrò una bizzarra donna dai capelli verde fluo tagliati a forma di fiore, con alcuni ciuffi che cadevano ribelli sulla fronte.
-Ma ciao, ciao!- esclamò eccentrica, avanzando verso di lei fino ad arrivare ad un soffio dal suo viso, per poi ritirarsi e continuare a ripetere quel saluto.
Annalisa rimase interdetta, osservando la stilista con un sopracciglio alzato.
Quando la donna ebbe l'ardore di fermarsi, la ragazza la scrutò meglio: il suo viso era candido, e in mezzo a tutto quel biancore spuntavano due occhi rosa confetto, luminosi e luccicanti, truccati con pesanti colori verdi.
-Mi chiamo Samanta Hale, piacere di conoscerti Annalisa.- trillò contenta, sorridendole.
Anche la riccia abbozzò un sorriso. -Il piacere è mio, signorina Hale.-
-Chiamami Samanta, cara!- rise quella, passandosi una mano sui ciuffi che ricadevano sulla fronte.
Iniziò a parlare, ma Annalisa non la ascoltò; inaspettatamente però, era piacevole rimanere a sorbirsi tutte quelle chiacchere sciocche.
Samanta era diversa dalle altre capitoliane, le metteva fiducia.
-Su bellissima, adesso lavoriamo!- esclamò, prendendole le mani. -Allora cara, tu avevi già iniziato a lavorare nei boschi?-
Annalisa annuì, specchiando i suoi occhi smeraldini in quelli rosa della donna.
-Perfetto!- trillò la Hale. -Perfetto!- ripetè, facendo una piroetta su se stessa. -Allora sarai felicissima del vestito che ti darò, sì sì.- continuò allegra, senza smettere di volteggiare.
Ridendo, Annalisa arrivò a chiedersi come facesse Samanta a girare così sui tacchi a spillo che aveva.
Fra chiacchere e volteggi, passarono le ore e presto la castana fu pronta per la sfilata.
Indossava un vestito nero, lungo fino alle caviglie, e delle zeppe blu elettrico alte quasi due centimetri e mezzo. La parte inferiore del vestito era ornata da croci di legno dello stesso colore delle scarpe, che sembravano quasi scoppiettare. Ai polsi portava dei bracciali neri e blu, e i suoi capelli sciolti cadevano ricci lungo la schiena.
Annalisa rimase a bocca aperta quando Samanta accese un occhio di bue su di lei e il vestito si illuminò si tratti grigi e lucenti, che risaltavano molto sul nero del vestito.
I suoi occhi erano truccati da un pesante strato di nero nelle palpebre, con dei riflessi blu.
La ragazza pensò solo che quel vestito sembrava un presagio di morte. Una morte nera, fatta di scintille elettriche della notte e croci di legno a segnare il suo passaggio.
Si girò verso Samanta, senza parole. -E' bellissimo.- riuscì solo a dire, emozionata.
-Non devi ringraziarmi tesoro, è il mio lavoro.- la stilista le scompigliò maternamente i capelli, sorridendo. -Su, fagli vedere quanto sei bella. Tieni su la testa e sorridi, mi raccomando.-
E dopo queste parole si avviarono con il suo staff di preparatori verso l'anfiteatro cittadino, dove si sarebbe tenuta la sfilata.
Quando mise piede sul carro e dette uno sguardo agli altri Tributi, Annalisa sentì l'agitazione torcergli lo stomaco.
Deglutii, quando sentì il boato della folla fuori dalla porta chiusa; no, non sarebbe mai riuscita a sfilare davanti a tanta gente.
Si girò istintivamente verso Gouenji, per cercare in lui un appoggio: il ragazzo, dal canto suo, stava con le braccia conserte e si guardava intorno.
Annalisa provò ad imitarlo, sperando di riuscire a trovare un po' di conforto; quando si girò verso il carro del Distretto 10, la ragazza che ci stava sopra le sorrise, facendole un cenno di saluto con la mano.
Stupita, la riccia ricambiò, insicura.
-Si può familiarizzare con gli altri Tributi?- chiese senza voltarsi, anche se la ragazza aveva già spostato lo sguardo.
-Non è vietato e può essere vantaggioso.- rispose semplicemente Shuuya, allora Annalisa si voltò, sorridendo.
-Anche due dello stesso Distretto possono familiarizzare?- chiese, senza smettere di fissarlo negli occhi.
Il ragazzo le ricambiò un'espressione divertita. -Certo. Siamo sempre due Tributi, anche se dello stesso Distretto.-
-Allora non è strano se ti chiedo di tenermi per mano?- chiese dopo un attimo di esitazione, con un sorriso imbarazzato.
Si accorse solo in quel momento di quanto si sentisse a suo agio con Shuuya.
Lui sorrise sghembo. -Hai paura di cadere, per caso?-
-Tutto può essere.- alzò le spalle, divertita.
-Mh, allora va bene. Ma solo per questa volta, bambina.- rispose lui, stringendo la sua mano.
Annalisa gli fece la linguaccia, infastidita e divertita dal soprannome; la musica d'apertura irruppe in quella scena.
Ma la ragazza non era più nervosa: ora Shuuya la teneva per mano. Sentiva che con lui accanto avrebbe potuto fare qualsiasi cosa.
Il suo carro partì, verso Capitol City.
E forse fu per questo che non pensò a quel calore dolce che le attanagliava il petto.

Distretto 8

Misaka sbuffò, trattenendosi dal rifilare un'occhiata di fuoco alla donna davanti a lei.
Era al Centro Immagine da più di due ore, ma la sua stilista non sembrava intenzionata a farsi vedere fin quando quelle tre oche delle sue preparatrici non avessero finito con lei.
Ritirò seccata la mano, sottraendola dalle dita fini della donna che le stavano dipingendo le unghie.
-Cara, potresti ridarmi la mano?- chiese con un sorriso smagliante da vera idiota la preparatrice, fissandola coi suoi bizzarri occhi arancioni.
La bruna sbuffò di nuovo, mentre la capitoliana ricominciava a disegnare sulle sue dita.
Aveva applicato così tanti strati di smalto che Misaka aveva perso il conto.
Dopo quello che le era parso un millennio, in cui le mani delle altre due avevano insaponato e levigato ogni centimentro del suo corpo, la donna che si stava occupando delle sue dita si degnò di lasciarle andare.
La ragazza sbuffò di nuovo; il colore che che si era raggiunto dopo ore di lavoro era un rosa aranciato con una lievissima tendenza al viola.
Nonostante fosse stata una tortura, doveva ammettere di non avere mai visto un colore così ben fatto.
-Tu aspetta qui, cara, noi andiamo a chiamare Lucy.-
Misaka fulminò con lo sguardo le tre donne, chiedendosi perchè dovessero chiamarla sempre "cara".
-Avrei anche un nome, io!- non si trattenne dal gridare, sperando che fossero riuscite a sentirla.
Finalmente sola, fu libera di alzarsi e sferrare un pugno contro la parete candida.
Non ne poteva più di stare seduta fra profumi e trucchi, lei voleva tornare a casa! E per farlo doveva combattere.
Aveva deciso che si sarebbe fatta valere, in un modo o nell'altro. Quindi ora era solo impaziente di entrare nell'Arena, per capire finalmente se era suo destino vincere o morire.
La porta si aprì e Misaka si girò insoddisfatta.
La nuova arrivata aveva lunghi capelli color vaniglia, legati in due code; ricadevano lungo le spalle a forma di cavatappi, arrotolati su se stessi.
I suoi occhi erano viola, grandi e luminosi; indossava un vestito rosa pieno di brillantini che a Misaka fece venire la nausea.
-Ciao tesoro! Mi chiamo Lucy McGarden, e sono molto molto molto molto felice di conoscerti!- esclamò con voce squillante e incredibilmente acuta, avvicinandosi.
La bruna la guardò con aria di sufficenza, inarcando un sopracciglio.
-Sei proprio bella, Misaka!- trillò di nuovo, girandole attorno e osservandola attentamente.
Imbarazzata, la bruna incrociò le braccia al petto, coprendo così il seno, con un espressione infastidita sul viso.
-Ma vieni ora, facciamo due chiacchere!- continuò incurante Lucy, trotterellando verso un'altra porta.
Misaka si infilò l'accappatoio e seguì la donna, che continuava a parlare e parlare e parlare...
Non smise nemmeno quando si sedettero in un divano di pelle rossa al centro della stanza; e parlava, parlava, parlava...
Dopo un po' la bruna iniziò a chiedersi dove fosse l'interruttore per spegnerla.
-Okay okay, non m'interessa.- la interruppe, sull'orlo di una crisi di nervi per averla sentita parlare così tanto. -Ora pensiamo al mio costume?- propose conciliante, anche se avrebbe tanto voluto strangolarla.
-Oh certo!- squittì allegra Lucy, balzando in piedi. -Allora Misaka, come ben saprai il tuo Distretto si occupa del settore tessile.- continuò, con voce inaspettatamente molto più seria di prima. -E di recente è stata lanciata da uno stilista del Distretto 8 la moda delle maschere.-
Misaka si fece attenta, appoggiando il mento sui palmi delle mani e i gomiti sulle gambe.
-Quindi con la stilista di Haruya avevamo pensato di farvi indossare un abito che rispetti la regola di questa nuova moda, che io personalmente A-D-O-R-O!- esclamò contenta, girandosi verso di lei. -Cosa ne pensi?-
-E' una buona idea, Lucy. Sono nelle tue mani.- commentò semplicemente Misaka, abbozzando un sorrise.
-E non te ne pentirai!- rispose allegra la donna, facendo un piccolo salto sui suoi tacchi a spillo.
Poche ore dopo, Misaka fu libera di guardarsi allo specchio.
Al lato del viso, posizionata di lato, aveva una maschera che rappresentava un lupo, con suggestivi tratti blu a delinearne i lineamenti e piccoli fiori azzurri le ornavano la fronte.
Indossava una lunga giacca bianca lasciata aperta, impreziosita dai bordi argentati e dai bottoni dorati. Sotto di essa, c'era un vestito con una scollatura ampia, decorato da astratti ricami floreali azzurri.
Poco più in basso del seno, una fascia nera le copriva la vita; dopo di essa, c'era una gonna blu acceso che si fermava poco prima delle ginocchia.
Un fiocco bianco con fiori azzurri era legato sulla gonna, e dava un tocco esotico all'abito.
Indossava poi delle calze nere lunghe fino al ginocchio e degli stivaletti aperti e argentati con un tacco abbastanza alto.
Infine, alla vita aveva legata una katana; Misaka la estrasse dal fodero, osservandola affascinata. Non aveva mai visto armi così belle.
-Aspetta, manca qualcosa.- esclamò Lucy con un sorriso, legandole al collo la propria collana con il ciondolo a fiamma.
Misaka rimase stupita da quel gesto; non pensava che le avrebbero fatto mettere il suo portafortuna per la sfilata.
Infilò la katana al suo posto, e fece per andare, quando la donna la fermò.
-Forza Misaka, adesso fai vedere a Capitol chi è il vero lupo, okay?- chiese la stilista, sorridendo.
-Grazie.- rispose pronta la bruna e poi fu scortata fuori.
L'anfiteatro cittadino era affollato, ma anche i piani sotterranei da dove i carri sarebbero usciti non erano sgombri.
Le coppie di Tributi erano già sui loro carri, e gli staff si riunivano in piccoli gruppi per parlare e consultarsi fra loro.
Misaka sospirò, agitata.
-Paura, ragazzina?- chiese Nagumo, con un ghigno strafottente.
La bruna alzò il viso furente, pronta a dirgliene quattro, ma davanti al suo volto le parole le morirono in gola.
Lei era un lupo blu, che corre nella notte. E lui era un leone rosso, che ruggisce contro il sole.
Rimase interdetta per un attimo, indugiando sulla maschera al lato del suo viso e su quel costume così simile e diverso dal suo.
-Lo so, sono meraviglioso. E' normale che tu sia senza parole.- rise Haruya, facendola tornare in sè.
-Meraviglioso? E' la tua bruttezza a lasciare senza parole.- sbuffò arrabbiata, incrociando le braccia al petto e distogliendo lo sguardo.
Però mentiva. Nagumo era così bello. Lei proprio non riusciva a capire perchè tutto di lui sembrasse così maledettamente affascinante.
Gli occhi, le labbra, i capelli, la voce, le mani, tutto. Persino il suo carattere strafottente e malizioso aveva un fascino particolare.
Si irrigidì, sussultando. No, perchè stava pensando questo? Haruya non le piaceva affatto. Era solo brutto e antipatico.
Tentò di convincersene, anche se in fondo sapeva che non sarebbe mai riuscita a crederci per davvero.
La musica d'apertura iniziò, rimbombando prepotente per tutta la sala e strappandola dai suoi pensieri.
Non aveva tempo per ragionare su cosa fosse Haruya per lei. Ora c'era una sfilata da mandare avanti.
Si sentì chiamare mentre i primi carri partirono; si girò verso Lucy, senza capire.
Lei le fece segno di prendere la mano di Nagumo.
Misaka rimase un attimo stupita da quell'imposizione, poi sbuffò e prese riluttante la mano di Haruya.
Lui le lanciò un'occhiata stranita.
-Ordini della stilista.- spiegò irritata e il ragazzo ridacchiò.
-Allora va bene.- e le strinse di più la mano, provocandole un brivido.
Perchè il contatto con Nagumo le faceva quest'effetto?
Il loro carro si mosse verso l'uscita, e a Misaka le si mozzò il respiro.
Il Lupo e il Leone apparirono per la prima volta uniti contro Capitol City.

Distretto 9

Natsumi prese un respiro profondo, imponendosi di stare calma.
Doveva respirare. Strinse gli occhi nocciola, concentrandosi solo su quello, tentando di ignorare le chiacchere dello staff.
Da quando era partita per Capitol sua madre era ovunque.
In quella stanza, nelle bocche delle preparatrici, nell'aria. Sembrava essere improvvisamente diventata qualcosa di indispensabile.
Era un ricordo che la soffocava e che tutti sembravano impazienti di rievocare.
Ma Natsumi l'aveva già deciso: lei non avrebbe giocato come sua madre.
Perchè lei non era come la donna. Era decisa a non lasciarsi soffocare nel suo ricordo.
Dopottutto, doveva pensare a se stessa. E a come uscire viva da lì.
-Oh cara, sei bellissima!- trillò improvvisamente una donna dalle orecchie a punta, facendola sobbalzare.
Natsumi le rifilò uno sguardo gelido, che però non sembrò avere alcun effetto.
-Noi andiamo a chiamare il tuo stilista, aspetta qui!- esclamò di nuovo la preparatrice, per poi correre fuori con le altre due.
"Come se potessi andare da qualche parte" pensò ironica la rossa, mettendo le mani sui fianchi e sbuffando.
Sperava solo che questo famigerato stilista non considerasse la nudità come l'ultimo grido della moda.
Perchè non sarebbe riuscita a sopportare l'imbarazzo di sfilare nuda davanti a Capitol.
E, pensò con orrore, in un'Edizione era successo.
In quel momento la porta si aprì; entrò un uomo alto e magro come uno stecco, dai capelli bianchi con un ciuffo sull'occhio sinistro.
Natsumi lo fissò con un sopracciglio inarcato; indossava un lungo mantello rosso e un cappello a punta che ricordava quello che usavano i maghi nelle fiabe.
"Andiamo bene" pensò sbuffando la ragazza, esasperata.
-Ciao Natsumi, mi chiamo Xerxes, piacere di conoscerti!- esclamò trillante, per poi infilarsi in bocca una caramella gommosa.
La ragazza si limitò a fissarlo come si osserva una cosa parecchio idiota, senza espressione.
Xerxes continuò per un po' infilarsi in bocca i dolcetti senza parlare, poi, sentendosi osservato, le rivolse un'occhiata innocente.
-Caramella?- chiese, porgendole una pallina di zucchero rosso.
Natsumi si limitò a sbuffare, accettando la caramella. Sapeva di ciliegia.
-Cosa significa il tuo nome?- domandò distrattamente Xerxes, frugando nel sacchetto che teneva nascosto sotto il mantello per trovare una caramella al limone.
-Estate. In una lingua popolare.- rispose la rossa, senza interesse, continuando a fissarlo.
Quando l'uomo trovò il dolcetto che gli era gradito, alzò la testa sorridendo come un bambino. -Bene! Il tuo costume si abbina con il tuo nome!- esclamò con voce incredibilmente acuta, facendo una piccola giravolta.
Natsumi gli rivolse un'occhiata scettica, stupita da quel comportamento sciocco e infantile.
-Forza raggio di sole, dobbiamo lavorare!-
-Raggio di sole?-
-Non ti piace come soprannome?-
La rossa sbuffò, scuotendo la testa.
Però era proprio curiosa di sapere cosa sarebbe riuscito a fare questo sciocco.
Dopo un'ora di caramelle e trattamenti, Natsumi fu pronta.
Indossava un abito dorato, che sembrava diviso in chicchi come una spiga di grano: il corpetto era diviso in due parti, e dalle spalle partivano dei fili dorati che si rizzavano verso l'alto, come le frange del grano.
Le maniche erano anch'esse dorate e lunghe fino al gomito.
La gonna era lunga fino al ginocchio, divisa in piccoli chicchi addossati l'uni agli altri, di un dorato luminoso.
I capelli rossi erano racchiusi in una coda da un elastico dorato; poi degli anelli d'oro massiccio, ogni paio di centimentri, si stringevano intorno ai capelli, in un'acconciatura elaborata ma semplice, fine ed elegante.
Si girò verso Xerxes e fu come se avesse sentito il rumore del vento fra le spighe.
-Ricorda Natsumi.- sorrise lui. -Sii dolce e sorridi.- le premette contro le labbra una caramella e la rossa la ingoiò. Era al gusto di miele.
Osservò confusa la figura dello stilista che si avviava verso l'anfiteatro, per poi avviarsi dietro di lui, praticamente trascinata dal suo staff di preparatori.
L'anfiteatro era colmo di gente d'ogni tipo e Natsumi fu ben contenta di entrare nell'umido sotterraneo da cui poi sarebbero usciti i carri.
Salì sul proprio, insieme a Kazemaru.
Rimasero qualche secondo in silenzio, con un imbarazzo palpabile e ingiustificato nell'aria.
-Come va?- disse poi Ichirouta, sorridendo un po', insicuro.
Natsumi stava per rispondere quando le tornarono in mente le parole di Xerxes.
"Sii più dolce e sorridi", insieme a quel gusto di miele sulla lingua.
-Bene. Cioè... Potrebbe andare peggio.- rispose imbarazzata, girandosi verso il turchese.
Lui stette un po' in silenzio. -Sei proprio bella. L'oro ti dona.- disse, una luce calda e morbida negli occhi castani.
Natsumi arrossì, distogliendo lo sguardo. -G-Grazie.- mormorò, a disagio.
Perchè Kazemaru le faceva tutti questi complimenti? Perchè sorrideva così? Perchè i suoi occhi brillavano?
La ragione le diceva che era tutta una strategia per poi ucciderla più facilmente.
Il cuore le diceva che doveva fidarsi della sincerità del suo sguardo.
Così lei rimaneva combattuta senza sapere cosa fare, imbarazzata come una ragazzina alla sua prima cotta.
La musica d'apertura irruppe prepotentemente nei suoi pensieri, rompendoli in schegge dolorose.
Prese un respiro profondo, mentre i carri iniziavano a muoversi.
-Quanta gente...- mormorò Kazemaru, gli occhi fissi sul cancello dal quale uscivano gli altri Tributi.
Natsumi ridacchiò, nervosa. -Già.-
E il loro carro iniziò a muoversi cigolando, trainato da quattro cavalli biondi.
Il sole la colpì e il suo abito si illuminò di luce dorata, facendola brillare come grano maturo.
Improvvisamente, si mischiarono freddo e caldo e una folata di vento dolce come il miele.

Distretto 10

Roxie strinse gli occhi verdi.
Quello era troppo. Troppo.
Potevano portarla via da casa, potevano strapparla dalla sua famiglia, potevano buttarla in un'arena a morire, ma non potevano torturarla così.
Non era leale nei suoi confronti.
Perchè doveva subire le sciocchezze di un trio di capitoliane idiote?
Che poi, che senso aveva far sfilare i Tributi come se fosse tutto un concorso di bellezza?
Roxie proprio non capiva.
-Oh cara, chissà come deve essere brutto, nel tuo Distretto... Non avete motivi per farvi belli, che strazio!- esclamò apprensiva una donna dalle lunghe ciglia verde fluo, mentre le pettinava con cura i capelli rossi, soffermandosi sulle punte blu notte.
La ragazza sbarrò gli occhi smeraldini, guardandola malissimo. Oh, se uno sguardo potesse uccidre, quella donna sarebbe morta più di mille volte.
Si trattenne dal tirare un pugno sul quel patetico visetto incipriato; prese un respiro profondo, tentando di calmarsi.
Un Tributo poteva uccidere una preparatrice? Non le sembrava che ci fosse qualche regola che lo vietava...
Per fortuna le tre donne si allontanarono un po', per ammirare il suo aspetto e si dileguarono, facendo evaporare gli istinti omicidi di Roxie.
Quando fu finalmente sola, si concesse di sospirare rumorosamente, stringendo i pugni fino a far sbiancare le nocche.
Non ne poteva più. Voleva uscire da quella gabbia di matti, tornare a casa, andare da Yuuto, parlargli, guardarlo, e---
Si bloccò improvvisamente. Yuuto? Che c'entrava Yuuto?
Si tirò uno schiaffo in viso, e si fece pure male. Che cosa stava facendo?
Non doveva affezionarsi a Kidou. Mai e poi mai.
Però lei non era brava a mantenere le promesse.
La porta si aprì ed entrò una giovane donna, bassina, dai tratti morbidi.
Aveva due trecce biondo cenere, piuttosto infantili; i suoi occhi color nocciola, truccati di un delicato azzurro pastello, erano grandi e vivaci.
-Ciao Roxie. Piacere di conoscerti. Mi chiamo Leila Chron, ma puoi chiamarmi Leila.- disse, e la sua voce non era come quella di tutti gli altri capitoliani, non era squillante, ma resa insicura da qualcosa che la rossa ci mise qualche secondo ad indentificare.
Sorrise, quando ci arrivò. Quella che increspava le labbra della stilista in un sorriso accennato era... timidezza?
-Il piacere è mio Leila. Chiamami Xie.- esclamò, sorridendo in modo caldo.
-Mi sembra che tu stia bene.- cominciò la donna e Roxie annuì con foga. -Spero che la tua permanenza a Capitol sia piacevole... P-Per quello che vale, ovviamente.-
La ragazza rimase stupita da quella affermazione. Per quello che vale?
Rimase a bocca aperta; la stilista aveva gli occhi bassi e si torturava i lembi del vestito azzurro pastello che indossava.
-Dai, ora parliamo del mio costume!- esclamò concitata Roxie.
Aveva deciso che Leila meritava la sua fiducia. Non sapeva veramente perchè, solo vederla così impacciata e timida le aveva suggerito che era buona.
Non avrebbe trovato un altro capitoliano così a pagarlo oro, quindi era meglio tenersi stretta Leila per il tempo che avrebbe passato lì.
Inaspettatamente però, la stilista parve animarsi; una luce calda, dettata dalla passione, illuminò i suoi occhi castani, e il suo sorriso si espanse ancora di più.
-Ragazzi, andate via!- esclamò autoritaria, voltandosi verso lo staff di preparatori che era sulla soglia.
-Ma...- provò a contrabbattere una donna dai capelli azzurri, ma Leila le gridò di andarsene in fretta; le tre donne sparirono senza fiatare.
Roxie era a bocca aperta: che fine aveva fatto la ragazzina timida che aveva visto all'inizio?
-Su su, smettila di guardami con l'aria da pesce lesso. Abbiamo un lavoro da fare, se non te fossi accorta!- la rimproverò Leila, facendole cenno di venirle incontro.
-Come sai, il tuo Distretto si occupa dell'allevamento. Di solito i Tributi vengono vestiti da animali ma puah!, roba vecchia ormai. C'è bisogno di innovazione per attirare l'attenzione del pubblico. Qualcosa di moderno, ecco.-
-Ah, adesso mi ascolti tu! Se hai intenzione di farmi indossare una gonna sappi che non la metterei nemmeno se me lo ordinerebbe il presidente Snow in persona!- sbuffò Roxie, stanca di essere trattata come una ragazzina.
-Puah! Gonne, roba vecchia anche quella! Ho detto innovazione, se non l'avessi sentito! Su, adesso al lavoro!-
E la rossa non potè fare a meno di sorridere e pensare che Leila era davvero una donna particolare.
Particolare come il vestito che si trovò indosso qualche ora dopo.
Indossava una cosa piuttosto semplice in realtà, ed era proprio la sua "banalità" a renderla così particolare: aveva dei pantaloncini bianchi con del pizzo al lato. La maglia era larga e corta, verde prato, con il segno della pace, e aveva la pancia scoperta e delle scarpe da ginnastica beige.
Guardandosi allo specchio Roxie rimase un attimo spiazzata, poi, pian piano, il senso di quel costume gli arrivò chiaro: ormai anche gli allevatori si erano evoluti. Ormai anche la mucca nel prato è da temere. Anche se all'apparenza non sembra, tutto può essere pericoloso. E poi, i colori richiamavano quelli dei pascoli.
Intanto il suo staff di preparatori era rientrato e tutti guardavano Leila, aspettando che dicesse qualcosa.
La donna aveva lo sguardo basso, imbarazzata. -Scusatemi tutti, mi sono fatta prendere la mano.- disse, alzando gli occhi e facendo sorridere Roxie.
-Tsk. Andiamo, dai.- rise, per poi avviarsi verso l'anfiteatro.
Tutto era incredibilmente imponente a Capitol; sembrava che gli edifici svettanti e le costruzioni colossali fosse state costruite per intimidire chi passava.
Roxie si trovò sul carro di fianco a Yuuto. Aveva voglia di parlargli, dirgli qualcosa, ma si morse la lingua impedendoselo.
Non doveva legare con lui se voleva vincere. Allora fece vagare lo sguardo per gli altri carri. Tutti i Tributi erano impassabili e parlavano fra loro. Tutti meno uno.
Il carro del Distretto 7. Una graziosa ragazza dai capelli ricci e castani, con indosso uno splendido vestito nero guardava dalla sua parte.
Alzò la mano in segno di saluto, sorridendo. La vide sussultare, a disagio, e rispondere insicura.
Ridacchiò, per poi girarsi verso Kidou che la guardava esterefatto.
-Che c'è?- chiese, senza smettere di sorridere.
-Che stai facendo?- domandò a sua volta il ragazzo, incredulo.
-Saluto la ragazza del 7.-
Lui ci pensò un attimo, crucciato. -Annalisa Endersoon, 15 anni.-
-Sì sì, non mi interessa.- rispose lei, muovendo la mano come a scacciare le parole dell'altro.
La musica d'apertura iniziò in quell'istante, facendo sobbalzare i due Tributi.
I carri inziarono a muoversi e Roxie prese un respiro profondo.
-Ah, che ansia!- esclamò, senza riuscire ad impedirsi di sorridere. Con Kidou accanto, tutto diventava tremendamente bello.
Yuuto si strinse nelle spalle, senza parlare.
Quando il loro carro iniziò a muoversi, poco prima che la luce li inghiottisse, il ragazzo si girò verso Roxie, sussurrandole all'orecchio.
-Si va in scena.-

Distretto 11

Skylin socchiuse gli occhi, sospirando.
Erano ore che era entrata nel Centro Immagine, ed era sicura di non aver mai curato tanto il suo corpo.
Nel suo Distretto non aveva senso usare tutti quei cosmetici, dopottutto non aveva importanza com'eri di aspetto ma quanto riuscivi a raccogliere in una giornata.
Probabilmente, riflettè, a Capitol era il contrario: se tu non andavi in giro vestito come se fosse Carnevale eri strano.
Nonostante disprezzasse i capitoliani, non riusciva ad odiare il suo staff di preparatori: erano dei tali idioti...
Scosse un po' la testa, ridacchiando. Era felice, però.
Non riusciva a spiegarselo, dopottutto sarebbe dovuta essere spaventata e a disagio, ma era tranquilla.
Il pensiero di dover sfilare su un carro davanti ai capitoliani, stranamente, la entusiasmava tantissimo.
Sentiva una buffa euforia caldissima che la faceva sorridere. Aveva voglia di cantare.
-Noi andiamo a chiamare Naigel, Skyl. Ciao ciao!- esclamò una donna dai capelli arancioni, dandole un buffetto sulla guancia e correndo via con le altre due.
La castana rimase a fissare la porta per qualche istante, sorridendo; poi balzò in piedi, euforica.
Chissà che impressione avrebbe fatto sui capitoliani, chissà che vestito avrebbe indossato, cosa avrebbe fatto, detto, sentito...
Intonò un la, seguito da un si e un re, per poi salire sempre di più sull'acuto arrivando a superare di una manciata di ottave il suo tono normale.
Fece una giravolta, continuando a cantare, poi si fermò per riprendere fiato.
-Complimenti, davvero un'ottima performace.- sentì dire dietro di sè, dopo un breve applauso.
Si voltò di scatto, incontrando due sorridenti occhi grigio argento.
L'uomo che aveva davanti era piuttosto giovane, dalla pelle chiara e i capelli di tutti i colori intrecciati con foglie e fiori.
Vedendolo, Skylin rimase un attimo sconcertata.
Lui rise. -Scusa, non volevo spaventarti. Mi chiamo Naigel.-
La ragazza sorrise, stringendo la mano che lo stilista le aveva porso.
-Beh Naigel, che si fa?- domandò tranquilla, senza smettere di sorridere.
L'uomo le dava un senso di protezione davvero speciale. I suoi occhi d'argento erano così densi e caldi e rassicuranti che le facevano venire voglia di sorridere.
-Skyl, posso chiamarti così, vero?, ora pensiamo al tuo costume, okay? Ovviamente tu avrai partecipato al raccolto, no?-
La ragazza annuì e Naigel continuò. -Di recente sono andato nel tuo Distretto per una questione un po' complicata, ma non importa. Ecco, lì ho visto tutte quei fiori e quei frutti che stavano maturando. Così ho pensato di ispirare a questo il tuo costume.- e sorrise semplicemente.
Skylin annuì con foga, con fare infantile. -Allora iniziamo subito a lavorare?- domandò.
Non vedeva proprio l'ora di indossare l'abito di cui Naigel aveva parlato.
Chissà come aveva interpretato la primavera nel Distretto 11 quel capitoliano strampalato.
E la risposta la lasciò spiazzata.
Il vestito che indossava era verde, lungo fino al ginocchio e attillato.
Era intrecciato con piante ancora acerbe e boccioli prossimi a schiudersi. Sembrava che quel costume stesse aspettando di maturare; istintivamente sorrise.
-Ehi, non credere che sia tutto qui Skyl. Durante il girone il tuo costume fiorirà.- spiegò tranquillamente Naigel e la ragazza si girò stupita.
-Fiorirà? In che senso?-
-Tutti i frutti e i fiori devono maturare. Voglio che ti guardino e un costume che resta uguale durante la sfilata è un po' noioso, non trovi?- rispose l'uomo, strizzandole l'occhiolino.
Skylin rise, spensierata. Oh, da quanto non si sentiva così bene?
-Dai, ora andiamo.- lui le tirò un buffetto amichevole sulla spalla, ridacchiando.
Insieme al suo staff di preparatori, si avviarono verso l'anfiteatro.
La castana non vedeva l'ora che la sfilata cominciasse. Come avrebbero reagito i capitoliani? Si sentiva emozionata come una bambina.
-Ehi, uccellino.- Atsuya la chiamò, riscuotendola dai suoi pensieri.
Fubuki salì sul carro, arrivando così di fianco a lei. -Paura, piccoletta?- domandò sfrontato, facendo storcere il naso infastidita alla ragazza.
-No, affatto.- esclamò con tono di sfida, incrociando le braccia al petto.
-Tsk. Vedi di non fartela sotto durante il girone, mi raccomando.- sogghignò lui.
-Uh, attento a non spaventarti troppo tu. Sarebbe poco galante per un gentiluomo come te.- sbuffò sarcastica Skylin, fulminandolo con lo sguardo.
Atsuya aveva sempre quella luce negli occhi, la ragazza se ne accorse.
Era lo stesso luccichio che aveva visto sul treno; era così speciale, così bello, i suoi occhi erano belli, grigio polvere, così brillanti. Ogni volta che li osservava sentiva il cuore rimbalzare nel petto.
Le piaceva, come sensazione, anche se avvertiva che era sbagliata. Avvertiva che si sarebbe sentita vuota se non avrebbe potuto più vedere quello scintillio.
Si strinse nelle spalle, distogliendo gli occhi.
Improvvisamente, non aveva più voglia di uscire da lì. Non voleva farsi vedere da Capitol.
Poi si maledisse per quei pensieri così sciocchi, perchè ormai era lì e sarebbe stata forte.
La musica d'apertura rimbombò nelle pareti della stanza, trionfale.
La sfilata era iniziata.
I carri corsero via veloci, sparendo inghiottiti dalla luce che proveniva da fuori.
In men che non si dica, la sera divorò la luce, colorando tutto di arancione e grigio.
Fu in quel momento che il carro del Distretto 11 partì.
Skylin si sentì avvolta da un'ondata di calore e fece appena in tempo a vedere Naigel che le sorrideva che fu fuori.
Capitol era grande e ruggiva. Ma non faceva paura.
Skylin sorrise e fiorì.

Distretto 12

Amelia strinse i denti.
Non ne poteva più. Quanto avrebbe voluto tirare un pugno in faccia a quelle dannate capitoliane che le trillavano attorno.
Parlavano ininterrottamente e le avevano fatto venire il mal di testa.
Sbuffò, quando sentì una donna dietro di lei tirarle i capelli con un aggeggio che li arricciava.
Ebbe solo il tempo di pensare che i suoi poveri capelli sarebbero stati definitivamente rovinati da quel coso malefico, che un altro strattone le fece serrare i denti per trattenere un gemito.
"Ma un po' di delicatezza mai, eh?" pensò roteando seccata gli occhi azzurri e sbuffando di nuovo.
Sentì i ciuffi che le stavano sopra la fronte tirati indietro con delle spillette e mugulò irritata.
Che odio, dannazione... Non credeva che sarebbe arrivata ad odiare così tanto una persona.
Per fortuna, quella tortura finì presto. Imprecando mentalmente, Amelia lasciò che le tre capitoliane uscissero per andare a chiamare la sua stilista.
Incrociò le braccia al petto, nervosa, lanciandosi occhiate guardinghe intorno.
Non ne poteva davvero più di tutta quella pagliacciata: che la portassero a morire senza fare tante cerimonie, dai!
Tanto lei lo sapeva, che sarebbe morta. E questo non la spaventava affatto.
Però, se c'era una cosa che lei non sopportava, erano le cose superflue. E, per quel che la riguardava, la sfilata era una cosa decisamente superflua.
La porta si spalancò proprio in quell'istante, mentre Amelia sbuffava.
Una donna dagli eccentrici capelli rosa fluo, acconcianti con mollette e cerchietti, entrò starnazzando nella stanza.
I suoi occhi blu erano intensi, grandi e luminosi, sembravano specchi d'acqua profonda e infinita.
La castana rimase un attimo a osservarli affascinata, prima di riscuotersi e osservare diffidente la donna.
-Ciao Amelia! Mi chiamo Elise Meibely, e sono felicissima di conoscerti!- esclamò la stilista, prendendole la mano e stringendola con forza.
La ragazza si liberò sbuffando, senza rispondere e distogliendo gli occhi.
Elise prese a parlare di quanto fosse contenta di essere la sua stilista e bla bla bla.
Tanto Amelia lo sapeva, che probabilmente non vedeva l'ora di essere spostata a un'altro Distretto.
-Quindi cara, non perdiamo tempo! Voglio che il tuo costume sia IN-DI-MEN-TI-CA-BI-LE!- trillò la rosa, sorridendo furiosamente.
Amelia si limitò a inarcare un sopracciglio scettica, guardandola come si guarda una gallina starnazzante.
Sospirò. Che pena.
-Sì.- rispose vaga, incrociando le braccia al petto.
Non vedeva l'ora che quella stupidaggine fosse finita.
-Già! Bene bene bene, allora, il tuo Distretto si occupa dell'estrazione di carbone, come saprai.- esclamò deliziata Elise. -Quindi il tuo costume sarà incentrato su quello. Ma sarà una cosa moooooolto particolare, vedrai!- trillò conciliante, strizzandole l'occhiolino.
"Molto stupida, altrochè" pensò Amelia, sbuffando.
Un'ora dopo, però, dovette ricredersi.
Indossava una calzamaglia attillata e nera, con una cerniera che partiva dal collo e arrivava in mezzo alle gambe. Aveva degli stivali, anch'essi neri, con delle frange abbastanza lunghe e un tacco piuttosto basso. Su tutto il costume erano sparse delle tracce astratte, che somigliavano a fiamme, grigie e brillanti.
Sembravano fuoco di pietra, come se fosse rimasto fossilizzato nel carbone per millenni e fosse ancora lì, scoppiettante nell'immobilità eterna.
I capelli ricci erano sciolti e i ciuffi che le ricadevano sulla fronte trattenuti con delle spillette nere.
Rimase a bocca aperta per un po', fissando il suo riflesso nello specchio come se non ci credesse.
Era decisamente buffo pensare che una squilibrata come Elise fosse riuscita a creare un abito del genere.
-E'... bello.- disse solo, sinceramente stupita e positivamente meravigliata.
-Ah grazie cara, sei troppo buona! Dai, adesso andiamo a vedere se piacerà anche ai capitoliani, dai! Voglio che tu sia indimenticabile.- sorrise dolcemente la stilista, intrappolandola in un goffo abbraccio.
Amelia rimase stupita. Non si sarebbe mai aspettata un gesto del genere.
Si allontanò scontrosamente, ma quel gesto le aveva fatto piacere.
Stranamente, aveva voglia di sorridere.
Si avviarono insieme al suo staff verso l'anfiteatro cittadino: tutta quella grandezza non impressionò affatto Amelia, che non degnò di uno sguardo quello che aveva intorno fin quando non fu sul proprio carro di fianco a Fideo.
-Ehi, alleata.- le sorrise lui, facendola sobbalzare.
Si era quasi dimenticata dell'alleanza che aveva stretto con Ardena.
-Ciao.- mormorò solo, fissandolo attentamente. Fideo aveva un sorriso caldo come sempre, sereno nonostante tutto.
Pensò che forse aveva sbagliato ad allearsi con lui, dopottutto nell'Arena avrebbe dovuto contare solo su se stessa.
Però il pensiero di dover probabilmente uccidere quel ragazzo la lasciava terribilmente male. Si sentiva trafitta ogni volta che lo pensava.
Quindi scosse la testa, tentando di attenuare quel dolore che le aveva preso il petto.
Non era il momento, quello. Non era affatto il momento per pensare a cose del genere.
-Pronta per la sfilata? O hai paura?- chiese divertito Fideo, osservandola sorridendo.
"Non farti abbindolare da quel sorriso" pensò Amelia, socchiudendo gli occhi.
-Non ho affatto paura, alleato.- rispose, sorridendo con aria di sfida.
Lui le ricambiò il sorriso, divertito, e la castana si sentì stupidamente bene, stupidamente tranquilla, stupidamente felice.
Pensò solo che quel calore dentro al petto era così immensamente dolce che le toglieva il fiato, poi la musica d'apertura ruppe l'incanto.
Sussultò appena, ritornando subito seria.
La sfilata era iniziata. I Tributi del Distretto 1, scintillanti come diamanti, uscirono sul loro carro bianco come la neve.
Il tempo passò in fretta e il tramonto irruppe con la sua magica tonalità di arancione e oro, ricamando il cielo con luce sfuggente.
Il suo carro iniziò a muoversi e avvertì la mano di Fideo stringere la sua.
Trasalì, irrigidendosi, ma non si scostò.
Non ebbe il tempo di pensare nulla, e Capitol City la inghiottì.














Ehi mondoH! *O*
Finalmente ci si rivede, neh?
Davvero, non sapete quanto mi vergogni dei miei tempi lentissimi.
E' passato un mese dal mio ultimo aggiornamento, un mese! >o<
Uff, spero che il capitolo vi ripaghi dell'attesa. <.<

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Distretto 1

Marina rimse immobile, lo sguardo fisso davanti a sè.
Eppure tutto intorno esplodeva, urlava, gridava.
Fiori volavano sul loro carro e c'erano solo i loro nomi che le vorticavano intorno.
Sentiva una strana euforia che le sobbalzava nel petto, ma che riuscì a contenere.
Non doveva voltarsi verso il pubblico. Lei non avrebbe avuto pietà per nessuno, lei, un gelido diamante, non si sarebbe abbassata a ricambiare quelle acclamazioni.
Finalmente una cosa che le riusciva bene; era soddisfacente.
Sentiva il vento caldo del pomeriggio scuoterle i capelli e i lembi del vestito, ma non se ne curò.
Avrebbe potuto continuare per ore quel giro; la musica incalzante e le grida di giubilio del pubblico le stavano entrando nel sangue, tanto era potenti e luminose.
Si sentì una stella, una bellissima stella.
Era piacevole come sensazione, e dovette ricordarsi che quella gente che li acclamava era la stessa che li avrebbe mandati a morire.
Purtroppo tutto finì in fretta. La musica si dissolse quando completarono il giro.
Ormai era sera: il tramonto si stava gentilmente spegnendo, lasciando spazio all'oscurità che divorava delicatamente tutto l'arancione del cielo.
I dodici carri riempivano l'anello dell'anfiteatro e Marina prese un respiro profondo.
Le tremavano un po' le gambe, ma riuscì a controllarsi.
E mentre l'ultime occhiate di sole facevano risplendere il suo costume di luce preziosa, il presidente Snow si affacciò dal balcone che sovrastava l'anfiteatro.

Distretto 2

Hikari rimase paralizzata per un attimo.
C'era troppo rumore, attorno. Troppe grida, troppe luci, troppo.
Strinse la mano di Desarm più forte che potè, trattenendo il fiato.
Poi, pian piano, sorrise. Sentì una sensazione dolce sciogliersi nel petto quando finalmente lasciò che le labbra si incurvassero verso l'alto.
Alzò una mano, salutando il pubblico; i capitoliani andarono fuori di testa, iniziarono ad urlare e saltare e lanciare fiori.
Più il tempo passava più Hikari si sentiva elettrizzata: tutti la chiamavano, tutti volevano i suoi saluti.
Sussultò quando sentì la mano di Desarm scivolare via dalla sua e il suo braccio circondargli le spalle.
Il pubblico andò in delirio a quel gesto; Hikari ridacchiò, continuando a salutare e sorridere, perchè era tutto troppo entusiasmante.
Il ragazzo non salutava, si limitava a stringerla un po' più forte quando le acclamazioni si facevano più rumorose, come a volerla proteggere.
La mora rimase a crogiolarsi nella deliziosa sensazione dell'abbraccio di Desarm e di quelle grida di gioia che le riempivano il viso di felicità.
Forse sarebbe riuscita a conquistare i capitoliani. Forse avrebbe vinto.
E cercò di non pensare che dall'Arena sarebbe uscito uno solo. Cercò di non pensare che se avesse vinto non ci sarebbe stato Desarm ad accoglierla in un abbraccio.
Voleva solo godersi quella soddisfazione fittizia, voleva accarezzare ancora quella sensazione di euforia così calda da mozzare il fiato.
E--
-Ti amo.- mormorò voltandosi verso Desarm, che le sorrise, stringendola di più e posandole un bacio all'angolo della bocca, al che tutto il pubblico parve esplodere in grida ancora più forti.
Il giro terminò e i carri si posizionarono in un anello che riempiva l'anfiteatro.
Desarm non sciolse l'abbraccio, continuò a tenerla stretta e Hikari non avrebbe potuto chiedere di meglio.
Perchè adesso quella felicità stava evaporando. Adesso aveva solo paura.
Dal balcone che sovrastava l'anfiteatro, il presidente Snow si affacciò.

Distretto 3
Kiara trattenne il fiato, mentre il carro prendeva velocità.
Serrò la mano intorno a quella di Midorikawa, il pubblico intorno ruggiva.
All'inizio rimase rigida, gli occhi spalancati, inghiottita da tutto quel rumore che si mischiava alla musica incalzante.
Poi, pian piano, la paura si sciolse, lasciando spazio a un'euforia che bruciava tutto il resto, e la ragazza si lasciò andare in un sorriso caldo, che colorò la sua espressione di felicità.
L'eccitazione le scorreva nelle vene facendo battere il suo cuore all'impazzata; e forse fu proprio quella sensazione a spingerla ad alzare la mano e salutare con imbarazzata indecisione.
Le grida la investirono; Kiara si lasciò travolgere dall'emozione, e iniziò a lanciare saluti e baci in mezzo al pubblico.
Anche Ryuuji stava salutando, e sorrideva tanto; la ragazza si girò verso di lui, sorridendo.
L'euforia bruciava tutto il resto, tutte le altre emozioni, ma nulla, nemmeno il suo nome urlato dai capitoliani, riuscì a distoglierla dagli occhi di Ryuuji.
Erano così... brillanti. Solo vederli le mozzava il respiro.
Lui rise, e si voltò verso il pubblico, lanciando un bacio che tutti cercarono di prendere con le mani come se fosse una cosa concreta; la rossa rise, perchè era tutto terribilmente divertente.
Strinse ancora di più la mano di Midorikawa, mentre mostrava sorrisi luminosi ai capitoliani; chissà, magari uno di loro era ricco.
La speranza cresceva veloce dentro di lei; magari ce l'avrebbe fatta, magari avrebbe vinto. Dopotutto, perchè considerarsi persa in partenza? Con un po' di cibo in più, o l'arma giusta, avrebbe avuto qualche possibilità.
Tutto quel rumore, quella musica, quel muoversi concentrico del carro la stava mandando in confusione, ma ciò la faceva solo ridere.
In un attimo, si fece sera e le lingue arancioni del sole morente la accarezzarono; i carri, accompagnati da un virtuosismo finale della musica, si fermarono, riempendo l'anfiteatro.
Solo in quel momento Kiara si accorse di aver stretto tanto la mano di Ryuuji da avergli quasi bloccato la circolazione; sciolse la stretta, imbarazzata, ma il verde le riprese subito la mano.
-Ti prego, non lasciarmi andare. Sento che cado giù da questo coso se mi lasci.- esclamò Midorikawa, senza smettere di sorridere con una luce bella negli occhi.
Kiara gli sorrise di rimando, annuendo.
La ragazza prese un respiro, mentre tutto si feceva terribilmente silenzioso.
Il presidente Snow era apparso sul balcone che sovrastava l'anfiteatro.

Distretto 4

Zoey rimase a bocca aperta.
I capitoliani erano tanti: folleggiavano, impazzavano, urlavano, ruggivano.
Luci colorate, musica incalzante, tutti gli occhi puntanti su di lei; fu come essere travolti da un'onda troppo forte.
La mora si soffermò un poco su quel pensiero, e dovette ammettere che stare sopra quel carro era come essere in apnea nel mare.
Era rilassante ed eccitante al tempo stesso; sentiva l'adrenalina scorrerle nelle vene, ma si limitò a sorridere con forza, fiera.
Il suo sogno si era finalmente realizzato e la ragazza era decisa a viverlo al meglio.
Tutto quello che aveva intorno, tutte quelle grida, quella musica, non erano un sogno; anche la mano di Mac stretta alla sua era reale, e la fece arrossire.
Nonostante tutto, presa da un momento di coraggio, non interruppe il contatto come normalmente avrebbe fatto.
Era piacevole; sentiva un calore soffice partire dalla mano del castano e pervaderle il corpo, mischiandosi con l'esaltazione della sfilata.
Tutto si intrecciava splendidamente, in un groviglio di sentimenti esplosivi, adrenalina, felicità, un pizzico di paura, unite alla musica e alle grida di giubilio del pubblico, e alla mano stretta a quella di Rionejo.
Zoey si sentiva inebriata da quella sensazione del tutto nuova e inaspettata; si sentiva avvolta da un sogno, un sogno dannatamente bello da cui non voleva svegliarsi.
La sera rubò la luce del pomeriggio, sporcando il cielo di arancione. In quel momento, il suo abito sembrò volersi confondere col firmamento.
La mora era stanca, ma felice. Le facevano male le guance perchè aveva sorriso per ore intere, ma non aveva affatto intenzione di smettere.
Non fece nemmeno caso allo sguardo curioso di Mac.
I suoi occhi verdi salirono più su, sul balcone che sovrastava l'anfiteatro.
Eccolo, il presidente Snow. Era diverso, visto dal vivo.
Un brivido le percorse la schiena, ma non smise di sorridere.

Distretto 5

Hakai trattenne il respiro.
Troppe urla. Il panico le esplodeva nel petto come fuochi d'artificio.
Si costrinse a sorridere; dopo qualche attimo di smarrimento, però, riuscì ad abituarsi a quel frastuono e il sorriso si allargò sulle sue labbra.
Era entusiasmante: non aveva mai provato una sensazione simile. Si sentiva fiera, brillante, felice di essere lì.
Una rosa bianca venne lanciata sul carro e Hakai la afferrò al volo; studiò i petali per qualche istante, e poi alzò la mano, come in segno di ringraziamento.
Il pubblico ruggì festoso, e la bionda ridacchiò, nervosa ed eccitata.
Si dimenticò di tutto: degli Hunger Games, di Hiroto, di Capitol. Tutto sembrava essersi ridotto a urla di gioia e fiori e luci colorate.
Il viso di Riku riaffiorò nella sua mente e Hakai sorrise di più.
"Mi vedi, Riku? Sono qui, e sto brillando. Stanno chiamando me, lo senti Riku? Sono bellissima. Posso vincere, ma solo se tu mi guardi. Non distogliere lo sguardo dalla televisione Riku, e sarà come averti con me."
Hakai prese un respiro profondo, annegando in un fiotto di malinconia; a destarla da quel torpore in cui era entrata fu Hiroto, che allungò un braccio e le circondò la vita, stringendola a sè con un sorrisetto malizioso.
La bionda arrossì, voltandosi verso Kiyama senza capire; il rosso sorrise di più, e lanciò un bacio in mezzo al pubblico, ormai in delirio.
Solo quando venne sera e il tramonto divorò con la sua dolce malinconia l'anfiteatro, Hakai ebbe il coraggio di parlargli.
-Sei pazzo.- sbuffò a bassa voce, ma poi dovette considerare che stare fra le braccia di Hiroto non era poi così male.
Lui rise. -Come se non ti piacesse.- ribattè, senza smettere di sorridere con luce bella negli occhi.
La bionda non seppe cosa rispondere, quindi si limitò ad arrossire e sospirare.
Intanto i carri avevano terminato il loro giro e riempivano l'anello dell'anfiteatro.
Il presidente Snow si affacciò dal balcone che sovrastava tutti, e Hakai rimase immobile, senza respirare, senza distogliere lo sguardo dall'uomo.
Rabbrividì e si strinse di più a Hiroto.

Distretto 6

Hakaikuro non si mosse.
Tutta la frenesia intorno a lei non la intaccò minimamente; sentiva solo il battito del suo cuore, sempre più forte.
Era divertente. Molto più di quanto si sarebbe aspettata.
Si intravide nei megaschermi situati durante il percorso: gelida, crudele, invincibile.
Una vera combattente.
Si lasciò sfuggire un sorriso compiaciuto.
Non avrebbe mai pensato di sentirsi così bene: il cuore le rimbalzava nel petto, pericolosamente vicino alla gola, e un calore seducente le pizzicava il viso, facendola sorridere.
Sentiva l'euforia scorrere nelle vene, come veleno, impossibile da fermare, che si diffonde in tutto il corpo.
E che la faceva sentire dannatamente forte.
Rivolse di sfuggita uno sguardo a Fudou: sorrideva, arrogante come sempre, gli occhi affilati e letali che vagavano fieri sul pubblico.
Occhi in cui per un attimo si perse, temporeggiando su quel colore speciale e brillante: si riscosse subito, e riportò lo sguardo sul pubblico, turbata.
Improvvisamente, tutta l'euforia era scomparsa, lasciando spazio a uno strano amaro in bocca.
Non capiva perchè Akio la attraesse così tanto. Non le era mai successo prima, di sentirsi così confusa davanti a un ragazzo.
Non voleva innamorarsi. Non ora, non in quella situazione.
Era terribilmente insensato.
Cercò di non pensarci, mentre l'azzurro del pomeriggio sfumava in arancione, dando vita a un tramonto colorato.
La musica terminò, trionfale, e i carri si posizionarono in cerchio che riempiva l'anfiteatro.
Prese un respiro profondo, tentando disperatamente di restare fredda.
Spostò gli occhi neri sul balcone che sovrastava l'anfiteatro: il presidente Snow si affacciò in quel momento, apparendo davanti a tutti.
Hakaikuro trattenne il fiato. Era arrivato il momento X.

Distretto 7

Annalisa sorrise.
Semplicemente, spontaneamente.
Entrare nell'anfiteatro fu come affacciarsi su un mondo tutto nuovo, fatto di urla festose e musica incalzante e luci accecanti.
Si sentiva solamente felice, come se tutto il nervosismo che aveva accumulato prima si fosse volatilizzato.
Strinse di più le dita intorno a quelle di Gouenji, ma non aveva più paura.
Accanto a lui, con quel calore dolce che le attanagliava il petto, avrebbe potuto sfidare tutto il mondo senza esitare.
Era un'idea folle, ma non le costava niente crederci.
Tenne il viso alto, senza smettere di sorridere, come le aveva detto di fare Samanta.
Alzò la mano, salutando esaltata il pubblico, che andò in delirio, urlando e saltando.
L'eccitazione la invase, troppo improvvisa, troppo violenta, troppo forte.
Si lasciò scivolare in un sorrisi sempre più ampi e saluti e baci lanciati in mezzo alla folla; non riusciva a smettere, ero tutto troppo intenso.
Annalisa non riusciva a credere che tutte quelle acclamazioni fossero per lei, che avesse davvero attirato tutta quella attenzione.
Una speranza timida germogliò dentro di lei, luminosa: forse avrebbe avuto qualche possibilità di vincere, forse non sarebbe morta.
Voleva riuscirci, provarci almeno, a sopravvivere.
In quel momento, però, non riusciva a pensarci seriamente, circondata da tutte quelle urla festose e acclamazioni e il suo nome e quello di Gouenji intrecciati splendidamente.
Passarono le ore, circondate deliziosamente da tutta quella euforia, e la sera arrivò così in fretta che Annalisa quasi non se ne accorse.
I carri riempirono l'anello dell'anfiteatro e la musica terminò con un virtuosismo, in un finale grandioso.
Per la ragazza fu come uscire da una specie di incoscienza: tornò in sè solo quando il loro carro si fermò.
Il suo sorriso si fece più timido, più contenuto, ma non svanì. Gli ultimi residui di euforia la attraversavano ancora come scariche elettriche.
Lanciò uno sguardo a Shuuya e lo scoprì ad osservarla; appena il biondo incontrò i suoi occhi, scostò lo sguardo.
Annalisa rimase a fissarlo per qualche attimo, incuriosita da quella reazione; ma non ebbe tempo per pensarci seriamente.
L'apparizione del presidente Snow sul balcone le fece spostare lo sguardo: i suoi occhi verdi fissarono la figura dell'uomo, e il suo sorriso si smontò.
La sfilata era finita.

Distretto 8

Misaka fece girare lo sguardo sul pubblico.
Non riusciva quasi a distinguere le persone: tutto sembrava un'infinito fiume di colori e grida; quel frastuono le rimbalzava nel petto, facendola sussultare.
L'euforia nell'aria era palpabile e alla bruna non era mai capitato di sentirla così tangibile, così afferrabile.
Le sembrava quasi di respirarla, quell'allegria rumorosa.
Inaspettatamente, però, era piacevole: era tutto dannatamente eccitante, e davvero la ragazza non capiva perchè improvvisamente avesse voglia di sorridere.
Cercò di trattenersi: dopotutto, lei era un lupo, un lupo spietato che corre nella notte e divora tutto quello che trova nel suo cammino.
Come metafora, era interessante.
Misaka non riuscì però a non abbozzare un sorrisetto brioso, stringendo furiosamente la mano di Nagumo.
Il ragazzo, dal canto proprio, disperdeva sorrisi maliziosi a destra e manca, accettando di buon grado tutte quelle acclamazioni.
La bruna non ci fece troppo caso, però; si limitò a guardare diritto davanti a sè, decisa ma sorridente, in un bel contrasto di euforia e determinazione.
Perchè lei avrebbe vinto. O almeno ci avrebbe provato.
Non che facesse molta differenza, in effetti. Se il suo destino era di morire, sarebbe morta. E questo non sarebbe cambiato, qualunque cosa lei avrebbe fatto.
La fortuna non era mai stata dalla sua parte, ma era riuscita ad andare avanti comunque, e anche questa volta ce l'avrebbe fatta senza l'aiuto di una stupida dea bendata.
Racchiusa nei suoi pensieri, con un sorriso accennato e potente sul volto, quasi Misaka non si accorse che il pomeriggio era volato via sulla scia del vento, lasciando spazio a un tramonto infuocato che andava spegnendosi pian piano nelle turbinose acque della notte.
I carri terminarono il loro giro, riempendo l'anello dell'anfiteatro; la musica si spense con un virtuosismo, lasciandola senza fiato.
La bruna sospirò. Aveva superato questa sfilata, ce l'aveva fatta.
Il presidente Snow si affacciò dal balcone che sovrastava tutti e istintivamente la mano di Misaka corse al manico della katana. Si fermò in quel momento, rimanendo in allerta, pronta a tirare fuori l'arma dal fodero.
Ma in cuor suo sapeva che qualunque cosa avesse fatto non sarebbe mai riuscita a ferire il presidente.
Strinse i denti, e rimase immobile.

Distretto 9

Natsumi trasalì, quando avvertì la luce scontrarsi con il suo abito.
Il vestito pareva essersi illuminato improvvisamente, di una luce calda e reale, che ricordava il grano illuminato dal sole.
Abbozzò insicura un sorriso, alzando la testa, fiera.
I capitoliani folleggiavano, sciocchi e bizzarri, ricamando di euforia l'aria; le grida di giubilio si mischiavano alla potenza della musica, mandandola in confusione.
Era bello, però; dannatamente imbarazzante, ma bello.
Sorrise un po' insicura, sulla lingua ancora il dolce retrogusto di miele, mentre un'eccitazione calda le scuoteva il petto.
Il vento le faceva ondeggiare la coda sulle spalle e scuoteva i fili che partivano dalle spalline del vestito, portando calore e profumo con sè.
Un'occhiata di sole fece brillare i suoi occhi castani di sfumature verdi, e Natsumi trovò il coraggio di alzare una mano, sorridendo spumeggiante.
Era terribilmente imbarazzata, tutti la stavano guardando, ma non poteva restare ferma come una statua di sale; gli altri Tributi attiravano l'attenzione e lei non poteva permettersi di essere da meno.
Natsumi non avrebbe perso gli Hunger Games: doveva giocare? E allora avrebbe giocato, con tutte le carte che possedeva.
E per farlo avrebbe dovuto mettere da parte l'imbarazzo, cercando di risultare più attraente possibile.
Non poteva deludere sua madre, che l'aveva allenata con tanto impegno e dedizione. Doveva renderla fiera, e tornare a casa. E poi lei non voleva morire.
Furono queste convinzioni a spingerla a salutare con un sorriso sempre più grande sul volto, un sorriso che mischiava euforia e imbarazzo e un pizzico di insicurezza.
Tutta quell'esplosione di colori e grida andò a sfumare quando il tramonto giuse al termine; la musica si spense trionfalmente, e pian piano tutte le voci si zittirono.
I carri riempivano l'anello dell'anfiteatro, e Natsumi sospirò, tesa.
Kazemaru le rivolse un sorriso e la rossa distolse lo sguardo, arrossendo leggermente.
Non era il momento di farsi prendere dall'imbarazzo, la ragazza se lo ripetè come una mantra.
In quel momento, il presidente Snow si affacciò dal balcone che sovrastava l'anfiteatro; Natsumi lo guardò e per la prima volta in quella giornata si sentì del tutto impotente.
Si sentì solo una debole, piccola, stupida ragazzina che tentava di essere forte.
"Non finirò nelle tue mani, serpente. Non mi arrenderò alla tua potenza come mia madre. Io ti dimostrerò che sono più forte." La sua espressione si indurì e pensò che quella era l'unica promessa che le era rimasta.
E si sarebbe impegnata a mantenerla.

Distretto 10

Il rumoreggiare del pubblico investì Roxie appena si affacciò su Capitol.
Rimase un attimo scombussolata da quelle acclamazioni, mischiate con la musica incalzante e i fiori che volavano sui carri; respirò una boccata di euforia e sorrise, alzando una mano e salutando energica i capitoliani che impazzavano ai lati del percorso.
L'eccitazione si impossessò delle sue labbra, facendola sorridere tanto, forse troppo, con entusiasmo.
Tutto quel rumore e quella musica la divertivano, si sentiva incredibilmente a suo agio circondata da tutte quelle acclamazioni.
C'era aria di festa e Roxie sentì quella sensazione di brio entrare nel sangue, scorrere nelle vene, diventare una parte di lei.
Rise, cristallina e sincera, inspiegabilmente felice, e per la prima volta da quando era stata portata a Capitol si sentì libera.
Sentì che in fondo stava andando tutto bene, che non c'era niente da temere.
Fu come se tutto fosse scomparso, lasciando spazio a euforia e grida di gioia, un qualcosa di frizzante che la inebriava.
La rossa mandò un bacio in mezzo al pubblico, mentre il vento scuoteva i suoi capelli e un'occhiata di sole fece risplendere i suoi occhi smeraldini di paiuzze arancioni.
In quel momento, percepì chiaro il senso di potenza e forza che le invase il petto, facendo battere il suo cuore all'impazzata.
Fece vagare incuriosita lo sguardo fra i capitoliani che folleggiavano; uno di loro sarebbe stato disposto a sponsorizzarla?
Le sarebbe bastato poco, in fondo, un po' di acqua o cibo, una medicina, qualche arma.
Roxie sapeva benissimo che c'erano Tributi molto più forti di lei, ma era altrettanto certa delle sue possibilità.
Sorrise; Kidou aveva detto che aveva alte probabilità di vittoria, e lei si fidava.
Il pomeriggio passò in fretta e le tinte calde del tramonto andarono a spegnersi nella cenere della sera, sfumando nel buio.
I carri si posizionarono riempendo l'anello dell'anfiteatro, e la musica terminò con un virtuosismo.
Improvvisamente, tutti i rumori si spensero, e crebbe un silenzio irreale; Roxie prese un respiro profondo, e un brivido l'attraversò.
Il presidente Snow si affacciò dal balcone che sovrastava l'anfiteatro e la rossa avvertì il gelo penetrare nel suo petto appena incrociò quegli occhi affilati.
Istintivamente, cercò la mano di Yuuto di fianco a sè e la strinse forte.
Il ragazzo le lanciò un'occhiata stupita, ma ricambiò la stretta, e Roxie si sentì improvvisamente e stupidamente al sicuro.
Per il momento, bastava così.
Ma tenersi per mano non li avrebbe salvati dalla morte.
Lo avrebbero capito molto presto.

Distretto 11

Skylin sorrise, respirando quell'aria calda e densa sporca di tramonto.
Il fresco della sera stava lentamente sostituendo il calore del sole, creando un contrasto curioso fra il freddo e il caldo, mischiati al tramonto che si stagliava a perdita d'occhio nel cielo.
Fu in quel momento che la ragazza fiorì; pian piano, le corolle dei fiori iniziarono a tremare, illuminate leggermente, e ad aprirsi pian piano, suscitando la meraviglia dei capitoliani.
Anche Skylin si sentì fiorire: lo sconforto e la felicità che l'avevano attraversata prima non avevano più importanza, ora c'era solo quell'euforia che cresceva, sbocciando nel suo petto.
Increspò le labbra in un sorriso bello e inafferrabile, e le sembrò quasi di percepire davvero il dolce profumo dei fiori e i frutti maturi. Le sembrò quasi di essere tornata a casa.
Alzò la mano, salutando senza smettere di sorridere il pubblico, un'eccitazione che sapeva di casa che la scuoteva da capo a piedi.
Tutto vorticò spaventosamente, in un miscuglio indefinito di felicità, e acclamazioni, e musica, e luce, e poi fiori e frutti.
Primavera, solo quello fu il pensiero di Skylin.
Ma la primavera non fiorisce per nessuno. La primavera fiorisce solo per se stessa.
Invece lei stava sbocciando per conquistare i capitoliani. L'incanto si spezzò.
Una rabbia muta la colpì come la folgore, ma continuò a sorridere pur odiando tutto quello che la circondava.
E a niente servirono le grida di gioia e le rose che venivano lanciate sul carro.
Conservò questa collera dentro al petto, in fondo, schiacciandola fra l'euforia e la debolezza, cercando di farla diventare meno aggressiva.
In quel momento, avrebbe potuto insultare il presidente Snow in persona senza pensarci due volte.
La musica terminò quando ormai il tramonto andava spegnendosi, colorando di grigio le sue ultime sfumature; i carri riempivano l'anello dell'anfiteatro e Skylin strinse i pugni, digrignando i denti, rabbiosa.
-Uccellino, ti senti bene? Quell'espressione arrabbiata non si addice al tuo visetto dolce.- sogghignò Atsuya, ridacchiando.
Lei gli scoccò un'occhiata di fuoco. -Non sono dell'umore giusto per litigare. Potresti seriamente rischiare di essere picchiato, quindi taci.- sentenziò lapidaria, senza guardarlo, a denti stretti.
-Umpf.- lui incrociò le braccia al petto e distolse lo sguardo a sua volta, diventando improvvisamente serio.
Lo sguardo di entrambi era sul balcone che sovrastava l'anfiteatro: il presidente Snow si era affacciato e guardava tutti dall'alto.
Skylin avvertì l'odio che aveva faticosamente represso durante la sfilata pervaderla di colpo, e i suoi occhi dorati brillarono di rabbia.
E fu in quel luccichio spietato che crebbe il silenzio.

Distretto 12

Amelia non riuscì a pensare a niente per una manciata di secondi.
Avvertiva solo la stretta calda della mano di Fideo sulla sua e le urla del pubblico; per una attimo rimase rigida, guardandosi intorno guardinga.
Prese un respiro profondo e guardò davanti a sè, senza più fissare la folla.
Un'agitazione ingiustificata, mischiata a un senso di potenza e forza, le fece battere il cuore talmente tanto forte che lo sentì rimbombare nelle orecchie.
Il rumoreggiare della folla la inghiottì, mentre il sole andava morendo all'orizzonte, sporcando il cielo del suo sangue arancione e delle lingue dorate della sua disperazione.
Amelia non chiuse gli occhi.
La gente del Giacimento doveva sempre avere gli occhi aperti, perchè bastava una distrazione per condurre a settimane di fame.
La gente del Giacimento doveva sempre avere gli occhi aperti, era quello che suo padre le aveva sempre ripetuto.
La gente del Giacimento doveva sempre avere gli occhi aperti, e Amelia questo lo sapeva.
Sapeva che, adesso più che mai, non poteva distrarsi. Doveva tornare a casa e sarebbe tornata.
Era una promessa, e lei mantiene sempre le promesse.
Rimase impassabile, persa nelle proprie riflessioni, mentre intorno il rumoreggiare della folla esplodeva.
Il tramonto iniziò a sfumare quando la musica si spense con un virtuosismo, e i carri andarono a posizionarsi in un anello che riempiva l'anfiteatro.
Il presidente Snow si affacciò dal balcone che sovrastava l'anfiteatro e Amelia non si rilassò; il vero nemico era appena giunto e lei lo sapeva benissimo.
Strinse forte la mano di Fideo, senza spostare lo sguardo azzurro, trattenendo il fiato.
Improvvisamente, tutta la potenza che l'aveva persava scomparve, lasciando posto a un amaro senso di debolezza. Una debolezza che la fece infuriare.
Il suo sguardo si tinse d'odio e strinse i denti, rabbiosa. Ormai non c'era più tempo per scherzare.
La sfilata era finita. Si iniziava a giocare sul serio.

Il presidente Snow salutò il pubblico, che dopo qualche ultimo grido si zittì.
Tutti gli occhi erano puntati su di lui.
Tutti gli occhi dei Tributi, coloro che vedevano nel suo volto da serpente l'artefice della loro morte.
-Benvenuti.- disse con voce potente.
-Tributi, vi diamo il benvenuto.- fece una piccola pausa, osservando il pubblico.
-Rendiamo onore al vostro coraggio e al vostro sacrificio.
Vi auguriamo felici Hunger Games. Che possa la fortuna essere a vostro favore.-
















Ehilà Tributi!
Vi sono mancata? :3
Sì, è un mese che non aggiorno, lo so.
Ma ormai dovreste aver capito i miei tempi lunghissimi. uu
Allora, come avrete notato questo capitolo è più breve degli altri; è un capitolo di passaggio, dal prossimo finiranno i capitoli di questo genere.
Non si inizia a combattere dal prossimo capitolo, quindi non fatevi illusioni.
Ci vorrà ancora un po' prima di entrare nell'Arena. **
Ora.
Ringrazio MarinaDust99, perchè mi ha sostenuto nella scrittura di questo capitolo e perchè se lo merita. <3
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, come al solito sono molto insicura. >.<
Va boh, vi lascio.
Ciao ciao <3
Lucchan

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Kiara sospirò, stringendo nervosamente una ciocca di capelli; l'ascensore scendeva veloce, diritto nelle sale di addestramento.
Subito dopo la sfilata, lei e Ryuuji erano stati condotti nel Centro di Addestramento, una torre in cui i Tributi e il loro staff avrebbero sostato fin quando non fossero iniziati gli Hunger Games.
Aveva dodici piani, uno per ogni Distretto.
Erano le dieci di mattina e avrebbero iniziato il loro programma di addestramento; avevano discusso con Beetee sulle vari aree che avrebbero seguito nei tre giorni in cui si sarebbero allenati, e stavano scendendo nelle sale adibite all'addestramento vero e proprio.
Kiara era nervosa; nonostante avesse fatto una bella figura alla sfilata, non era certo la sola ad aver attirato l'attenzione.
Il suo Distretto non era fra i Favoriti, nonostante il più delle volte ne facesse parte. E poi, lei aveva solo dodici anni e la maggior parte dei Tributi era più grande di lei.
Le porte dell'ascensore si aprirono su una palestra molto spaziosa, piena di armi e ostacoli.
Tutti i Tributi erano raggruppati in cerchio, e avevano un quadrato di stoffa appuntato alla maglia con sopra scritto il numero del loro Distretto.
Midorikawa le rivolse un sorriso nervoso, e Kiara ricambiò, agitata, mentre si avvicinavano agli altri ragazzi.
La capoistruttrice, una donna atletica di nome Atala, iniziò a spiegare cosa prevedeva il programma di addestramento, e la rossa si concesse di osservare gli altri Tributi.
Erano quasi tutti più grandi, e i ragazzi e le ragazze dei primi Distretti erano alti praticamente il doppio di lei.
Un brivido la attraversò e la sua attenzione fu catturata dalla ragazza dell'1, l'unica che non sorrideva sprezzante.
La fissò qualche secondo, ma quando incrociò i suoi occhi azzurri fu costretta a distogliere lo sguardo, arrossendo imbarazzata.
La ragazza inarcò un sopracciglio, ma non disse niente.
Appena Atala smise di spiegare, il gruppo si sciolse e i vari Tributi si avvicinarono alle postazioni.
Anche Ryuuji si allontanò, avvicinandosi a una postazione quasi vuota.
Kiara si guardò intorno dubbiosa, indecisa sul da farsi. Poi pensò che era meglio iniziare a maneggiare un'arma.
Lei era abbastanza brava a tirare i dardi con la fionda, ma quella non era un'arma vera e propria e non poteva essere sicura che ci fosse nell'Arena.
Perciò si avvicinò alla postazione di lancio, e iniziò a seguire le lezioni primarie su come tirare un coltello o una scure.
Decise di provare e guardò indecisa i numerosi pugnali appesi sulla parete.
Si morse le labbra e ne prese uno; lo soppesò un poco, cercando di capire quanto potesse essere difficile lanciarlo.
Spostò lo sguardo sulla postazione.
Molti Tributi si erano radunati lì; la maggior parte tirava già quei pugnali alla perfezione, e la rossa si sentì parecchio stupida.
La sua attenzione fu poi catturata da una ragazza che stava entrando in quel momento.
Il viso della giovane era dolce, la sua espressione seria aveva una traccia di tranquillità innata, gli occhi dorati, grandi e vivi; i capelli erano scuri e mossi, e ricadevano dolcemente sulla schiena.
La ragazza, senza scomporsi minimamente, si avvicinò alla parete e iniziò a fissare i coltelli senza degnare di uno sguardo Kiara.
Dal canto suo la dodicenne la fissava ammirata; la castana scelse un coltello e si avvicinò alla postazione di lancio, sempre sotto lo sguardo attento della più piccola, e tirò il pugnale, che si conficcò preciso e potente al centro del bersaglio.
Kiara battè le mani, sorridendo entusiasmata. -Sei bravissima!- esclamò, senza pensare quanto questo potesse essere infantile.
La giovane, stupita, si girò verso la rossa, i suoi occhi dorati illuminati dalla curiosità. Poi sorrise e il suo viso si illuminò.
-Grazie.- rispose allegramente, scendendo dalla postazione. -Mi chiamo Skylin Florance.- le sorrise come si sorride a un'amica.
Per un attimo, Kiara si chiese se familiarizzare in quel modo fosse una cosa giusta, ma poi si disse che avere un'alleata non l'avrebbe di sicuro svantaggiata.
-Kiara Ovuet. Hai fatto un tiro fantastico!- esclamò, prendendo le mani di Skylin e fissandola diritta negli occhi, giallo contro blu.
La castana rise. -Grazie. Se vuoi ti insegno.- propose, senza smettere di sorridere con quella luce che faceva risplendere il suo viso.
La più piccola annuì convinta, e afferrò un coltello. Avrebbe imparato a combattere.

**

Midorikawa sospirò, stringendo febbrilmente quel pezzo di corda.
Non c'era nessuno a fare nodi in quella postazione, ed l'ultima cosa che lui avrebbe voluto era stare fra le gente.
L'istruttore era abbastanza simpatico e si era subito meravigliato della sua destrezza con i nodi.
Ryuuji passava interi pomeriggi fra fili di vario genere, a far correre l'elettricità da un cavo all'altro, quindi fare nodi e collegare corde era una cosa familiare per lui.
Proprio in quel momento era concentrato su un filo di ferro da intrecciare; cercava di capire quale fosse il punto migliore di presa quando due ragazzi si avvicinarono.
Il verde alzò gli occhi, incontrando lo sguardo dei due. Il primo, dai capelli rossi e i misteriosi occhi acquamarina, era del Distretto 5; il secondo veniva dall'8 e aveva anche lui i capelli fulvi, ma le sue iridi erano color miele.
Il secondo non sembrava affatto contento di essere in quella postazione, infatti continuava a borbottare che sarebbe stato decisamente più conveniente andare ad allenarsi con la spada.
Midorikawa tornò a concentrarsi sul suo filo, mentre i due prendevano posizione; non erano molto esperti di nodi, anche se imparavano in fretta.
Il ragazzo del 5 fissò un po' scettico una corda annodata in modo decisamente ambiguo e provò a tirarla, ma tornò subito liscia, come se quel nodo non fosse mai stato fatto.
Ryuuji ridacchiò leggermente. -Hai sbagliato. Si fa così.- mormorò sorridendo appena, e facendo velocemente il nodo che il rosso stava provando a fare.
-Ah.- anche lui abbozzò un sorriso. -Mi chiamo Hiroto Kiyama, e lui è Nagumo Haruya.-
-Midorikawa Ryuuji. Il tuo amico non sembra molto contento di fare nodi.- ribattè il verde, un filo di malizia nel tono, scoccando un'occhiata ad Haruya.
-Infatti.- Nagumo roteò seccato gli occhi. -Io vado ad allenarmi seriamente, non ho tempo da perdere qui.- si alzò, lanciò un'occhiataccia a Hiroto, che non accennava a muoversi e si allontanò.
-Vi siete alleati?- chiese Midorikawa, tentando di sembrare più disinteressato possibile.
-Può essere. Io però devo proteggere la ragazza del mio Distretto, quindi direi che qualunque alleanza stringerò non sarà destinata a durare.- ribattè Kiyama, senza distogliere lo sguardo dalla propria corda.
Ryuuji non commentò e continuarono a fare nodi uno vicino all'altro, senza dirsi più nulla, lanciandosi solo fugaci sguardi ogni tanto.
In certo senso, Midorikawa sentì di essersi già affezionato a lui.

**

Hakai prese in mano il pugnale, studiando la lama con attenzione.
Strinse le labbra, serrando le dita sottili intorno all'impugnatura, e poi alzò gli occhi azzurri verso il manichino.
Osservò il centro segnato di rosso, e alzò la mano, che tremava leggermente.
Doveva concentrarsi. Il solo pensiero che avrebbe dovuto uccidere una persona con quel coltello la bloccava.
Se voleva restare viva, però, doveva imparare. Prese un respiro, con rinnovata decisione, e fissò il manichino.
Stava per tirare, quando un pugnale, sfrecciando vicino al suo viso, andò a conficcarsi al centro del bersaglio.
Trattenne il fiato, trasalendo; se la mira fosse stata sbagliata quella lama l'avrebbe presa in pieno.
-Scusa! E' che volevo tirare.- una ragazza corse verso di lei, e le si fermò davanti, con un bel sorriso.
Hakai la squadrò qualche secondo; aveva capelli rosso scuro, con punte blu notte, abbastanza lunghi, e occhi verde scuro che ridevano. Il labbro inferiore era carnoso ed era mediamente alta e magra. Nel suo quadrato era elegantemente ricamato un 10.
-Mi hai spaventato a morte.- ammise leggermente infastidita, arricciando il naso davanti a quel sorriso luminoso. Come faceva ed essere così serena?
-Scusami! Però non ti ho colpito.- sorrise ancora di più. -Mi chiamo Roxie Ametista.-
-Hakai Chimnoku. Hai una bella mira.- abbozzò un sorriso timido, stringendo le dita fini intorno all'impugnatura del coltello. -Io non riesco a centrare il bersaglio.- ammise dopo, voltandosi la postazione; c'erano pugnali disseminati un po' ovunque, che testimoniavano i tiri andati a vuoto.
-Tentenni troppo prima di tirare. Prendi e lancia, senza pensarci troppo.- le consigliò Roxie, prendendo un coltello da terra e tirandolo verso il manichino; la lama si piantò a fondo, e mancò poco che lo trapassasse.
-Ci proverò.- sorrise, contagiata dall'allegria della rossa, e si disse che in fondo erano già amiche. Non seppe cosa le suggerì quell'idea, ma guardando gli occhi verdi di Roxie le sembrava di essere a casa.

**

Amelia sospirò concentrata, la frangia spettinata che le sfiorava gli occhi, ostacolandole la vista.
Scostò i ciuffi con una mano e si asciugò il sudore dalla fronte, poi alzò lo sguardo azzurro; strinse entrambe le mani intorno al manico della mazza chiodata, tesa.
L'arma era pesante; prese un respiro profondo e non ci riflettè più.
Scattò, e le sue braccia si alzarono, roteando la mazza; sentì la palla di ferro tempestata di spessi aculei girare sopra la propria testa, mentre correva verso il manichino.
Gridò e la sfera si abbattè sulla testa dell'obbiettivo, trapassandolo con gli spuntoni di metallo.
Sorrise vittoriosa, fiera di essere riuscita a tirare un colpo preciso e potente. Una persona, ricevendo un tiro del genere in testa, sarebbe morta di sicuro.
Staccò la mazza chiodata e la posò a terra, prendendo un respiro profondo e spostando indietro i capelli lisci che erano ricaduti sul viso.
Si prese un attimo per guardare intorno a sè e notò in quel momento che c'era aria di tempesta.
Molti Tributi infatti si erano raggruppati intorno a qualcosa; incuriosita, Amelia si avvicinò.
-Cosa succede?- domandò, sperando che qualcuno fosse così gentile da risponderle.
-Stanno litigando.- le disse una ragazza, dagli splendidi occhi verdi con affascinanti sfumature nocciola e capelli ricci e castani che ricadevano lunghi nelle spalle. Un 7 era ricamato sul suo quadrato.
Amelia inarcò un sopracciglio. -Chi sta litigando?- domandò di nuovo, cercando di vedere qualcosa attraverso l'ammasso di gente.
-Il ragazzo dell'11 e quello del 6.- rispose un'altra ragazza avvicinandosi, dai folti capelli rosso fuoco mossi e gli occhi nocciola con impercettibili sfumature smeraldine, con un elegante 9 disegnato sul quadrato.
-Ah.-
Le risse erano una cosa a cui Amelia era abituata; non era affatto raro che a scuola i ragazzi si picchiassero nel cortile e anche lei alcune volte aveva preso parte a queste lotte di gruppo.
Però negli Hunger Games era severamente vietato fare a botte prima di entrare nell'Arena. Se quei due avessero deciso di picchiarsi, avrebbero passato grossi guai.
Poi Amelia considerò che quello non era affatto un problema suo e stava per tornare alla sua postazione, quando la ragazza del 7 la chiamò.
-Ehi Jhons. Ho visto che hai molta forza nelle braccia, saresti brava a usare la scure.-
Amelia si girò, squadrandola senza capire. -Cosa vorresti dire, Endersoon?- ribattè diffidente, ricordandosi appena in tempo il suo cognome.
La riccia abbozzò un mezzo sorriso. -Io ti insegno a usare la scure e tu mi insegni a usare la mazza.-
La ragazza ci riflettè un attimo, poi scrollò le spalle. -D'accordo.-
Le due si allontanarono fianco a fianco, lasciando la ragazza del 9 a fissarle.
La rossa assottigliò gli occhi. Sarebbe riuscita ad entrare nella loro alleanza, in un modo o nell'altro.

**

Natsumi camminò con passo deciso fino alla postazione del tiro con l'arco.
Dedicò uno sguardo ad Amelia e Annalisa, poco lontane, che si destreggiavano con la scure.
Le fissò qualche attimo, gli occhi nocciola attenti e freddi, e poi distolse lo sguardo.
Doveva fare solo in modo che la notassero. Afferò l'arco e lo impugnò saldamente.
Sua madre l'aveva allenata tanto per questo momento, e quell'arma era praticamente un'estensione naturale del suo braccio.
Incoccò e dopo aver individuato il bersaglio scoccò; la freccia si conficcò precisa e veloce.
Questione di pochi tiri e poi i bersagli divennero mobili; era divertente, abbatterli tutti. Si dimenticò quasi che era lì solo per farsi vedere dalle ragazze del 12 e del 7.
Dopo aver fatto cadere l'ennesimo bersaglio scrollò le spalle e alzò lo sguardo, soddisfatta: aveva completato al sessione di allenamento alla perfezione.
Si passò una mano fra i capelli e spostò lo sguardo; catturò gli occhi di Annalisa, che la stava guardando e sorrise fiera.
Vide la riccia chinarsi su Amelia e mormorarle qualcosa all'orecchio, al che anche lei la guardò.
Le due parlarono per un po', poi si avvicinarono. Natsumi sorrise: era fatta.
-Ehi, Kagura.- Amelia la guardò, gli occhi diffidenti e svelti.
-Sì?- rispose la rossa, tentando il maggiore disinteresse possibile.
-Una lezione coi pugnali per una lezione con l'arco.- la castana le tese una mano, senza perdere la sua espressione distaccata.
-Ci sto.- Natsumi strinse senza esitazione la mano dell'altra, e Annalisa, appena un passo dietro l'alleata, sorrise.
Le tre si avviarono verso la postazione di lancio e la rossa si concesse un risolino soddisfatto; Annalisa e Amelia avevano la testa sulle spalle ed erano avversari abbastanza pericolosi.
Quindi averle come alleate non avrebbe che giocato a suo vantaggio.

**

Hikari strinse la presa sull'estremità del nunchaku, concentrata.
Fece scivolare la stretta sulla mano sinistra e poi su quella destra, facendo roteare i due pezzi di legno dell'arma, acquisendo una velocità sempre maggiore.
Quando raggiunse il culmine della velocità scagliò l'arma, che, senza smettere di roteare, andò a mozzare la testa del manichino e tornò nelle mani della mora.
Hikari sorrise soddisfatta, tornando a stringere il manico con le mani sudate.
Sentì due braccia circondarle i fianchi e si girò di scatto, incontrando gli occhi di topazio di Desarm.
-Siamo proprio bravi, neh?- mormorò lui con voce roca, a un soffio dalle sue labbra.
La mora arrossì e il ragazzo si sporse, dandole un bacio fugace, e poi si allontanò un po'.
Hikari gonfiò le guance, delusa da quel bacio che era durato così poco.
-Non fare quella faccia, dai.- rise lui, e allora anche lei sorrise.
-Faccio tutte le facce che voglio.- rispose piccata, voltandosi e tornando a roteare il nunchaku.
Questa volta se lo passò dietro alla schiena, circondadosi la vita per un attimo e poi facendolo roteare sopra la testa, con gesti fulminei e precisi.
Desarm le depositò un bacio sul collo e poi si allontanò, avvicinandosi a un'altra postazione.
-Bleah, fate vomitare.- una voce sprezzante richiamò la sua attenzione e subito si voltò, interrompendo il suo esercizio.
Incrociò gli occhi nero perla di una ragazza alta, dai lisci capelli mori che riflettevano inquietanti sfumature rosse, le labbra sottili arricciate in un sorriso maligno. Individuò un 6 ricamato sul suo quadrato.
-Qualcuno ha chiesto il tuo parere?- sputò acida, l'odio ben marcato nella voce.
La giovane rise sarcastica, chinandosi a prendere una katana da terra. Percorse con le dita sottili e pallide le lama tagliente e poi alzò gli occhi neri, senza smettere di sorridere malignamente.
-Siete davvero penosi.- esclamò ancora, totalmente incurante della domanda dell'altra. Sferrò un colpo con la katana e la testa di un manichino volò a terra.
-Tu, brutta...- Strinse i pugni e pensò che le avrebbe volentieri tirato il nunchaku in testa. Già, l'astinenza dal fumo le faceva uno strano effetto.
-Ehi, non ti scaldare gioiellino.- la ragazza del 6 si girò di nuovo verso di lei, un sorriso da perfetta bastarda sul viso. -Sto solo dicendo la verità.- dichiarò poi candidamente e Hikari sentì chiaramente le mani prudere.
Oh, quanto avrebbe voluto picchiarla.
Poi pensò a come avrebbe reagito Desarm e prese un respiro, tentando di calmarsi.
-Tu non sei nessuno per commentare il nostro rapporto. Anzi, io dico che sei gelosa.- un sorriso provocante le increspò le labbra carnose, gli occhi che ridevano.
La ragazza spalancò gli occhi e si avvicinò a grandi passi a lei.
Per un momento, Hikari pensò che volesse picchiarla; la giovane però la prese solo per il colletto della maglia.
-Mi chiamo Hakaikuro Yamikaze. Guardati le spalle, perchè sarò il tuo peggiore incubo.- le sussurrò all'orecchio con voce gelida, così tanto che un brivido le attraversò la schiena.
Poi la ragazza del 6 la mollò e se ne andò; Hikari prese un respiro profondo, tornando a serrare le dita intorno al nunchaku.

**

Marina sferrò un fendente e la lama sottile e affilata della katana squartò in due parti il manichino, producendo un sibilo.
La castana assottigliò gli occhi celesti, stringendo le dita affusolate intorno all'impugnatura: non era ancora perfetto.
Come ogni adolescente del suo Distretto, anche lei era stata allenata per combattere negli Hunger Games.
Non aveva mai desiderato così ardentemente di partecipare ai Giochi, anzi, ne avrebbe fatto volentieri a meno, ma questo non voleva dire che non eccellesse nel combattimento.
La katana era sempre stata la sua arma preferita, sottile e tagliente, che spezzava l'aria con quel suono così familiare.
Portò entrambe le mani a stringere il manico, mentre con gli occhi studiava la lama curva e scintillante.
Scattò e la testa del manichino volò a terra, recisa dalla lama tagliente.
Marina si girò di scatto, squartando il petto di un'altro manichino dietro di lei, per poi tirargli un fendente decisivo che fece cadere il fantoccio di cotone dal piedistallo.
Un sorriso accennato sbocciò sulle sue labbra, mentre soddisfatta scostava i capelli che le erano finiti sul viso durante la sessione.
Si guardò intorno, notando la ragazza del 2 dall'altro lato della postazione. Si voltò dall'altra parte, per niente interessata.
La sua attenzione fu catturata da due ragazze che si stavano avvicinando in quel momento: la giovane del 3, dai folti capelli rossi legati in due bizzare code, e quella dell'11, dai lunghi capelli scuri e mossi e i grandi occhi dorati.
Fingendo casualità, Marina le osservò.
Le due ragazze, parlando e ridacchiando fra loro, iniziarono a seguire le prime lezione su come usare una spada e la ragazza dell'1 sogghignò leggermente.
Quelle due la incuriosivano, ma erano davvero delle principianti.
Tornò a concentrarsi sul suo esercizio, ma continuò a lanciare fugaci sguardi alle altre, che intanto si allenavano senza averla notata.
Non sapeva perchè, ma si sentiva davvero attratta da loro.
-Guarda Skyl, là c'è il tuo compagno di Distretto!- esclamò la ragazza del 3, indicando una postazione poco distante.
Anche Marina si voltò. Un ragazzo alto dai buffi capelli color salmone stava parlando con un'altro, con la testa rasata se non per un ciuffo ribelle e moro.
Sembravano nel mezzo di una discussione abbastanza accesa, anche se non riusciva a sentire cosa stessero dicendo.
Quando il ragazzo dell'11 prese per il colletto della maglia l'altro, la giovane dagli occhi dorati sussultò.
-Ma che sta facendo quell'idiota? Avanti Kia, andiamo a vedere.- esclamò, avviandosi verso la postazione dei due litiganti, seguita dalla rossa.
Marina temporeggiò indecisa: lasciar predere il suo addestramento e andare a vedere oppure continuare ad esercitarsi?
Anche lei era curiosa di capire cosa stesse succedendo, ma dopotutto non c'entrava niente con la discussione dei ragazzi.
Però... Se voleva allearsi con quelle due questa era una buona opportunità.
Scosse la testa e scese dalla sua postazione; per una volta voleva dare ascolto all'istinto, anche se non era sicura che fosse la scelta migliore.
-Che sta succedendo qui?- domandò alle due ragazze una volta arrivata al luogo del litigio.
Fu la ragazza del 3 a risponderle. -Non lo so.- esclamò con un nota preoccupata nel tono.
Doveva essere più piccola di lei, dato che la superava di parecchi centimetri.
Osservandola, non potè fare a meno di pensare che fosse proprio una bambina. Non avrebbe dovuto essere lì a combattere in una sfida mortale.
Strinse i pugni e distolse lo sguardo, decisa a lasciar perdere quei pensieri spinosi.
Molti altri Tributi, incuriositi da tutto quel trambusto, si erano avvicinati a osservare i due litiganti, che però continuavano a scambiarsi battute acide senza degnare di uno sguardo tutti quegli "spettatori".
La ragazza dell'11 continuava a dare spintoni a tutti quelli che si erano accalcati intorno ai litiganti, tentando di raggiungerli.
-Comunque io sono Kiara Ovuet, piacere.- la rossa si voltò verso Marina, sorridendo.
La castana rimase sbigottita da tutta quella tranquillità, ma non lo diede a vedere. -Marina Haugen.- rispose distogliendo lo sguardo.
-Lei invece è Skylin Florance. Quelli che si stanno picchiando sono il suo compagno di Distretto e il ragazzo del 6.- continuò candidamente Kiara, e il suo sorriso si smontò.
Sylin riemerse dalla folla con uno sbuffo esasperato. -Se continuano così finiranno per picchiarsi.- si lamentò, incrociando le braccia al petto e soffiando via dal viso una ciocca scura, con disapprovazione.
-E cosa ti importa?- domando Marina, con l'ombra di un sorriso maligno nella voce.
La ragazza dell'11 le indirizzò un'occhiataccia. -Mi importa perchè è il fratello del mio migliore amico e io gli voglio bene!- esclamò piccata.
Marina inarcò un sopracciglio e Skylin, appena si rese conto di quello che aveva detto, arrossì.
-C-Cioè... N-Non voglio dire che... I-Io...- balbettò e Kiara rise.
-Oh Skyl, dovresti vedere la tua faccia!- esclamò fra le risa. Ancora una volta, ascoltando quella risata, Marina pensò che Kiara era solo una bambina, candidamente infantile.
Serrò le labbra e stette in silenzio.
-Forza, andiamo a fermarli prima che si picchino.- propose la rossa quando ebbe smesso di ridere. -Vieni anche tu, Marina?- le domandò e la castana le dedicò un'occhiata di traverso.
-No.- dichiarò infastidita, e la dodicenne fece spallucce.
-Come vuoi. Andiamo Skyl.-
Le due ragazze si addentrarono nella folla dando spintoni a destra e manca per farsi spazio.
Marina, rimasta sola, incrociò nervosamente le braccia. Non riusciva proprio a capire perchè i sorrisi di Kiara la spiazzassero tanto. Perchè guardandola non riuscisse a pensare ad altro che a quella infantile luce che rischiarava i suoi occhi.
Dopotutto, non le sarebbe dovuto importare niente. Dopotutto, avrebbe dovuto ucciderla appena entrate nell'Arena.
Con l'amaro in bocca si girò, per tornare ad allenarsi; già, eppure sapeva che non sarebbe mai riuscita a ferire Kiara.
Strinse i denti e camminò più in fretta.

**

Skylin tirò una gomitata a un ragazzo, senza nemmeno guardarlo in viso.
Voleva solo arrivare da Atsuya e dirgli che era un idiota.
Un vero e proprio idiota.
Come poteva pensare di mettersi a picchiare un ragazzo in questo momento?!Che aspettasse di entrare nell'Arena, accidenti!
Non sentiva più Kiara dietro di lei, ma non si voltò. Probabilmente l'avrebbe raggiunta.
Quando finalmente riuscì ad uscire dalla folla e arrivare davanti ai due litiganti, si avvicinò con passo deciso al Fubuki e, con sguardo truce, lo prese per un braccio.
-Smettila di fare l'idiota, idiota.- sbottò, iniziando a tirarlo.
Lui non si mosse e assottigliò gli occhi. -Stanne fuori Skylin.- sibilò, la voce e lo sguardo freddo, liberandosi con uno strattone dalla ragazza.
Il ragazzo del 6 rise, esclamando qualcosa che la castana non sentì, troppo impegnata a sbuffare e incrociare nervosa le braccia al petto.
Stava per dire qualcosa, ma il moro la precedette. Con uno slancio, la folla che nascondeva il suo gesto ai Pacificatori, si avventò su Atsuya, tirandogli un pugno in viso.
Il ragazzo dell'11 stette fermo un secondo, uno solo, troppo teso per sentire dolore, stupito. Poi si riscosse e saltò a sua volta sul moro, prendendolo a schiaffi.
La folla emise un boato, di approvazione o disapprovazione Skylin non lo capì; la ragazza afferrò Atsuya per il colletto della maglia, costringendolo a tirarsi in piedi.
Il ragazzo del 6 aveva il viso rosso e un fiotto di sangue usciva dal naso. Si pulì infuriato e avrebbero ricominciato a picchiarsi se non fosse stato per i Pacificatori, che intervennero in quel momento.
Skylin fu abbastanza svelta da trascinare via Atsuya prima che potessero beccarlo e punirlo.
Ignorando i suoi lamenti lo portò in una postazione lontana.
-Adesso tu mi spieghi cosa stavi facendo!- sbottò la castana, gli occhi lampeggianti di rabbia.
Lui incrociò le braccia al petto, assumendo un'espressione offesa. -Nessuno aveva chiesto il tuo aiuto e io non ti devo nessuna spiegazione.-
Skylin era sull'orlo di una crisi isterica e stava per urlargli contro cose abbastanza disdicevoli. Con lo spavento che le aveva fatto prendere, era il minimo!
Ma fu interrotta da due ragazzi che si avvicinarono in quel momento.
-Sei stato tu a picchiare Fudou, vero? Sei stato un grande, chissà che soddisfazione!- esclamò un ragazzo dai lunghi capelli turchesi legati in una coda e gli occhi castani, con un 9 ricamato sul suo quadrato.
-Si meritava che qualcuno lo picchiasse a dovere.- concordò l'altro, del Distretto 4, dai capelli castani e gli occhi scuri, annuendo.
-Tsk, era solo un'idiota sbruffone.- Atsuya sogghignò soddisfatto.
-L'unico idiota sbruffone qui sei tu!- sbuffò invece Skylin, arrabbiata. Non poteva ignorarla in quel modo!
-Stai calma, uccellino.- Atsuya le dedicò un'occhiata di traverso e la castana notò che il livido sulla guancia stava iniziando a gonfiarsi.
Questo se possibile la fece infuriare ancora di più. Ma, prima che potesse dirgliene quattro, una ragazza fece la sua apparizione.
Skylin sbuffò. Volevano lasciarla parlare o no?!
-Ehi, ma che stava succedendo?- la ragazza era slanciata, dai capelli bruni e spettinati con alcuni ciuffi che ricadevano ribelli sulla fronte e gli occhi cobalto, grandi e decisi. Un elegante 8 era ricamato sul suo quadrato.
-Questo idiota stava facendo l'idiota, come al solito.- sbuffò Skylin, esasperata.
La bruna ridacchiò. -Mi chiamo Misaka Mikoto, piacere.- si esibì in un bel sorriso.
-Skylin Florance.- borbottò irritata la castana. -E adesso dov'è finita Kiara?!- sbottò, guardandosi intorno.
Aveva bisogno del sostegno dell'amica, altrimenti era sicura che avrebbe avuto una crisi isterica.
Oh, in quel momento avrebbe voluto picchiarlo lei, Atsuya!
-Quella ragazzina dai capelli rossi?- domandò Misaka, inarcando un sopracciglio.
-Sì! Dov'è?- Skylin si avvicinò di scatto alla bruna.
-Stava parlando con il ragazzo del 10 e la ragazza del 4.-
Appena Misaka finì di parlare, Skylin stava già correndo verso una postazione poco lontana.
Aveva bisogno di sfogarsi con Kiara, non poteva resistere. Mentre correva, pensò che la rossa era diventata un po' come la sua sorellina.
Sorrise con tenerezza e sentì una tristezza dolce attanargliarle il petto.
Poi la vide. Kiara era girata di schiena; davanti a lei, c'era una ragazza dai capelli ricci e scuri e gli occhi smeraldini, con un 4 ricamato sul quadrato.
-Kia!- trillò e la rossa si voltò, stupita e sorridente.
-Skyl!- esclamò a sua volta, correndole incontro e abbracciandola.
Quel contatto la lasciò spiazzata. Rimase immobile, sotto lo sguardo scettico della ragazza del 4 e di un ragazzo dai capelli a rasta e i diffidenti occhi rossi.
Kiara si allontanò, senza smettere di sorridere. -Mi stavo giusto chiedendo dove fossi finita!- esclamò, avanzando verso i due ragazzi, seguita dalla castana.
-Ti presento Zoey Jackson e Kidou Yuuto. Ragazzi, lei è Skylin Florance, la mia alleata.-
La castana sobbalzò quasi. Alleata? Non le dispiaceva affatto come idea, ma non ci aveva mai pensato sul serio. Davvero lei e Kiara erano alleate? Era un'idea strana. Quasi quasi preferiva considerarla solo un'amica, anche se pensarla come un'alleata le avrebbe fatto molto meno male.
-Così il ragazzo del tuo Distretto si stava picchiando con Fudou.- disse Kidou, incrociando le braccia al petto.
Skylin arricciò il naso. -Già. E' un'idiota.-
Si sentiva a disagio davanti a quei due. Voleva allontanarsi il prima possibile.
-Allora Kiara, possiamo allenarci insieme. Sono brava coi coltelli.- cambiò discorso Zoey, esibendosi in un sorriso fiero.
La castana assottigliò gli occhi. -No. Kiara ha già me come insegnante.- sibilò sprezzante, gli occhi puntanti in quelli verdi della ragazza del 4.
La riccia le rivolse un'occhiata di traverso. -Nessuno ha chiesto il tuo parere.-
-Oh, sì invece! Non ti ricordi, bellezza? Io e Kiara siamo alleate.- detto questo afferrò per un braccio la dodicenne, trascinandola via.
Prese un respiro carico d'odio. Nessuno poteva permettersi di portarle via Kiara. Lei era la sua amica, la sua sorellina. Non avrebbe permesso che una stupida ragazzina spocchiosa gliela portasse via.
-Calmati Skyl. Avrei rifiutato.- esclamò Kiara, fermandosi e facendo bloccare anche l'amica.
-Ma non l'hai vista?! Grr... Se penso alla faccia che aveva quell'oca...- scosse la testa, stringendo i pugni fino a farsi male. -Non devi fidarti dei Favoriti.-
La rossa sbuffò. -Lo so. Non sono una bambina.- abbassò gli occhi. -E comunque a me non era sembrata così cattiva...- mormorò a voce più bassa, ma Skylin la sentì comunque.
Sospirò e circondò le spalle di Kiara con un braccio. -Non permetterò che ti uccidano. Te lo prometto.-
E sapeva benissimo anche lei che era una promessa stupida, ma non le importava.
















Ehilà Tributi! **
Ahahaha yes, adesso inizio a chiamarvi così uwu
Premetto che questo capitolo non mi convince per niente. Argh >.<
Ah, non odio nessun Oc XD
So che alcuni hanno fatto proprio un'impressione non proprio rosea, però keep calm, recupererò più avanti ;)
E dai, sono riuscita ad aggiornare in un tempo più o meno decente **
E' un record, ammettetelo uu
Ovviamente non posso accontentare tutti per le alleanze, ma cercherò di rispettare quello che mi avete detto ;D
In questo capitolo si capisce più o meno chi si allea con chi (?), ma niente paura, molte alleanze si creeranno nell'Arena.
E non preoccupatevi se la vostra Oc non ha grande contatto con il proprio ragazzo, l'Arena aiuterà tutti i vostri amanti sventurati (?)
Yes yes, dopo aver detto una cavolata dopo l'altra è meglio che tolgo il disturbo xD
Ciao **
Lucchan

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Passarono i giorni dediti all'addestramento.
Verso l'ora di pranzo del terzo giorno, incominciarono le sessioni private con gli Strateghi.
Ogni Tributo veniva chiamato per dimostrare il suo talento.
Alla fine delle sessioni private, gli Strateghi avrebbero comunicato a tutti un punteggio per ogni Tributo.
Più il proprio punteggio era alto, più persone sarebbero state disposte a sponsorizzarti nell'Arena.
Era il momento X. Il momento che poteva fare la differenza.


Marina stava in silenzio, seduta da sola nel tavolo della mensa.
Suzuno era stato appena convocato e la sedia di fianco a lei era vuota.
La castana strinse le dita intorno al bicchiere di plastica.
Non aveva mangiato niente. Le succedeva sempre, quando era agitata.
Sospirò. Doveva stare calma. Dopotutto lei era una Favorita. Dopotutto lei era stata allenata sin da piccola. Dopotutto eccelleva nel combattimento.
Tenne gli occhi socchiusi, tentando di estraniarsi da tutto il chiacchericcio che riempiva la stanza.
Rimase così, a rimuginare sulle sue possibilità e a perdersi nei pensieri più sciocchi, nel vano tentativo di distrarsi.
Doveva ottenere un punteggio alto. Solo così avrebbe potuto vincere.
Dopo un quarto d'ora, chiamarono il suo nome.
Si alzò con gesti meccanici. Si passò una mano fra i capelli, pettinandoseli, e si sistemò le pieghe della maglia.
Ostentando un passo sicuro, entrò nella palestra.
Gli Strateghi erano attenti, freschi e riposati. Ogni suo errore sarebbe stato visto.
Prese un respiro e si attenne al programma, impugnando saldamente la katana.
Non l'aveva usata spesso, durante l'addestramento, dato che era il suo punto di forza.
Osservò un istante i riverberi di luce sulla lama affilata, poi alzò gli occhi celesti.
Uno scatto. La sua espressione non mutò un'istante. Fulminea, tagliò la corda che sosteneva un sacco da boxe e, mentre quello stava ancora cadendo, ci si avventò sopra, spezzandolo in due con un fendente preciso.
Non si fermò e batuffoli di imbottitura volarono in aria, incastrandosi fra i suoi capelli.
Non ci fece caso e si voltò di scatto, lanciando la katana. Un gesto avventato. L'arma non era fatta per essere scagliata e quello era una mossa da professionisti.
Ma lei era una professionista. La katana, fendendo l'aria con un sibilo, andò a tagliare di netto la testa di un manichino, colpendo in una maniera talmente precisa da spezzarlo in modo millimetrico e andando a conficcarsi nella parete.
La ragazza si fermò, l'imbottitura ancora impigliata fastidiosamente fra i capelli.
Gli Strateghi parvero soddisfatti e la congedarono.
Marina si inchinò e uscì, con passo deciso, senza che la sua espressione fredda mutasse.
Entrò nell'ascensore e approffittò del breve viaggio per togliersi dai capelli i residui di imbottitura.
Ce l'aveva fatta.

**

Hikari sospirò stancamente.
La ragazza del 6, quella che l'aveva minacciata durante l'addestramento -Hakaikuro, le pareva che si chiamasse- non aveva fatto altro che fissarla con aria truce tutto il tempo.
Era riuscita anche a sopportarla, finchè Desarm era stato al suo fianco.
Ma lui era stato chiamato da poco dagli Strateghi e lei era sola; posò la fronte sul tavolo freddo, gli occhi strizzati.
Si tirò a sedere, stizzita e scomoda; giocherellò un poco con il bracciale regalatole da Desarm, distratta.
Voleva distrarsi, voleva non pensare che questa era la prova decisiva, che il risultato che avrebbe ottenuto adesso era quello definitivo, che avrebbe influito molto sulla sua morte.
Aveva salutato Desarm con un bacio; se lei doveva morire, voleva che fosse lui a vincere.
Un quarto d'ora passò troppo in fretta. Chiamarono il suo nome e allora, dopo un profondo respiro, si alzò, scostando rumorosamente la sedia.
Sistemò un poco i capelli ricci e si passò le mani sul volto; era pronta.
Entrò nella palestra, decisa e sicura come non mai. Gli Strateghi la studiarono con i loro occhi perforanti, ma Hikari non ci fece caso.
Afferrò il nunchaku e lo strinse saldamente. Un brivido l'attraversò e iniziò a rotearlo.
Ne afferrò un'estremità e disegnò un otto in aria, per poi lanciarlo e riafferrarlo al volo.
Se lo passò intorno alla vita e intanto si guardò intorno, continuando a rotearlo; cosa fare per rendere la sua performace più interessante?
Un'idea le balenò in mente e si avvicinò ai pesi con un sorriso furbo.
Gli Strateghi si fecero più attenti mentre Hikari legava i pesi ai pezzi di legno del nunchaku.
Quando lo prese di nuovo in mano, pesava quasi il doppio.
Decisa, iniziò a rotearlo; era più impacciata, ma il suo esercizio era comunque eccellente.
Dopo aver passato il nunchaku sotto le braccia, decise di finire in grande stile; lanciò l'arma con forza e quella, nonostante i pesi, roteò fulminea in aria, andando a mozzare la testa di un manichino.
Si fermò, alcuni ciuffi scuri appicciati alla fronte sudata, il fiato grosso.
Gli Strateghi la congedarono, soddisfatti.
Dopo essersi inchinata, Hikari uscì, inaspettatamente felice.
Entrò nell'ascensore e sorrise. Finalmente tutto stava andando nel verso giusto.

**

Kiara sorrise.
Skylin e Misaka stavano battibeccando allegramente, la prima seduta di fianco a lei e l'altra davanti a sè.
Era felice di aver conosciuto le due; con loro si sentiva libera, inaspettatamente serena, come se niente avesse potuto turbarla.
Ormai mancavano pochi giorni al suo ingresso nell'Arena; voleva vivere allegramente quel tempo che le restava, senza nessuna remora o rimorso.
Ryuuji era stato chiamato da poco, la rossa lo aveva visto alzarsi poco tempo prima; era rimasto seduto due tavoli davanti a lei, insieme al ragazzo del 5 e quello dell'8.
In un certo senso, era gelosa. Avrebbe voluto allearsi con lui, ma in realtà non aveva assolutamente motivo di sentirsi tradita. Erano solo "nemici-quasi-amici", confidenti per convenienza.
Però Midorikawa era quanto di più vicino a un fratello avesse in quel momento e voleva che stesse con lei.
Era un pensiero sciocco ed egoistico, ma non ci fece caso.
La chiamarono proprio in quel momento, destandola dai suoi pensieri.
Sospirò, alzandosi, e Skylin l'abbracciò. Ricambiò con un sorriso.
-Vai Kia, facciamo il tifo per te.- le diede un buffetto sulla guancia, sorridendo teneramente.
-Falli fuori, mi raccomando.- Misaka le fece l'occhiolino, alzandosi a sua volta per venirla ad abbracciare.
Sembrava che stessero per separarsi per sempre e quel pensiero la fece ridacchiare.
Entrò nella palestra con ancora un sorriso accennato sulle labbra, che subito svanì.
In realtà, non aveva la più pallida idea di cosa fare. Rimase immobile qualche secondo, sotto lo sguardo indagatore degli Strateghi, e arrossì un poco.
Prese coraggio e avanzò con un passo sicuro ma che traballava un po', tradendo la sua agitazione.
Fece vagare lo sguardo per la palestra e individuò una cerbottana appoggiata alla parete, all'angolo. Con maggiore disinvoltura possibile, la prese e la caricò.
Si allontanò di cento metri e colpì perfettamente il centro del bersaglio. Duecento, il tiro si conficcò preciso. Trecento, bersaglio centrato, ma iniziava a mancarle il fiato. Quattrocento, cinquecento. I tiri erano sempre perfetti e la sua notevole mira iniziava ad attirare gli Strateghi.
Decise di tentare il tutto per tutto. Ottocento metri. Erano davvero tanti. Assottigliò gli occhi azzurri, tentando di mettere bene a fuoco il centro del bersaglio. Doveva centrare perfettamente. Se avesse sbagliato questo tiro avrebbe dovuto scordarsi un punteggio positivo.
Prese un respiro, le gote arrossate dall'emozione e dalla fatica, il fiato grosso.
Soffiò nella canna con tutta la forza che aveva. Il dardo partì a una velocità impressionante, fendendo l'aria. Per un attimo, Kiara fu colta dalla paura di aver sbagliato tutto.
Ma poi il dardo si conficcò preciso al centro, con un po' meno forza dei precedenti ma sempre perfetto. Dentro di sé esultò, ma si limitò a un sorriso soddisfatto.
La congedarono e la rossa si inchinò, mentre un brivido le trapassava la schiena.
Salì sull'ascensore e si concesse un sospiro. Ormai quello che era fatto, era fatto.

**

Zoey era seduta da sola, in un angolo della mensa.
Aveva ignorato con la maggiore disinvoltura possibile le occhiatacce che Skylin continuava a lanciarle, cercando di distrarsi.
Appoggiò la testa alla parete, dondolandosi sulla sedia; i suoi occhi smeraldini corsero per la stanza, tracciando il solito itinerario che seguivano da quasi un ora.
Il suo sguardo si fermò al tavolo appoggiato alla parete sinistra, quasi opposto al suo; Mac era seduto a quel tavolo con il ragazzo dell'11 e quello del 9 e chiaccheravano allegramente.
Zoey gonfiò le guance, gelosa; avrebbe voluto avvicinarsi a loro, stare vicino a Mac, sentire il suo sguardo dolce su di sè, magari stringergli la mano e--
Arrossì di botto, stupendosi dei suoi stessi pensieri.
Ma cosa andava a pensare? Mac era suo nemico. Avrebbe dovuto ucciderlo. Lei era una Favorita, non poteva permettersi certi pensieri smielati.
Strinse i pugni, seguendo con gli occhi i movimenti del ragazzo, che si era alzato in quel momento per entrare nella palestra.
Avrebbe dovuto attendere ancora per poco e poi avrebbe potuto andarsene da quella mensa chiassosa.
Iniziò a disegnare distrattamente spirali sul tavolo con le dita, gli occhi catturati dal movimento ritmico della mano.
Il suo sguardo cadde sul bracciale d'argento che Vincent le aveva regalato, allacciato al polso.
Una fitta di nostalgia le attanagliò improvvisamente il petto, mentre studiava attentamente il quadrifoglio con sopra una piccola coccinella, che era allacciato nell'intreccio d'argento del laccio.
Per la prima volta da quando era arrivata a Capitol City avvertì chiaramente la nostalgia di casa, la voglia di rivedere i suoi genitori, i suoi amici, Vincent.
Scacciò quella sensazione attanagliante scrollando la testa, accompagnata da una cascata di capelli ricci.
A sottrarla da quei pensieri affilati fu il suo nome, che venne chiamato in quel momento.
Si alzò, senza traballare, fiera, lo sguardo freddo e il passo sicuro, mentre si avviava nella palestra.
Quando fu entrata, fece correre lo sguardo per tutta la grandezza della stanza.
Ebbe l'accortezza di non incrociare gli occhi degli Strateghi e afferrò decisa un coltello.
Serrò le dita affusolate sul manico di pelle, in una stretta ferrea ed esperta; sicura come non mai, si avvicinò con calma glaciale a un manichino.
Rimase immobile. Il silenzio era palpabile. Nulla si mosse per istanti che parvero interminabili.
Poi scattò. Affondò il coltello nel petto del manichino e saltò, dandosi slancio sulle spalle del fantoccio. Tenne il pugnale fra i denti, mentre si aggrappava con le mani ai ganci appesi al soffitto.
Dondolandosi con esperienza, percorse tutta la palestra a mezz'aria, arrampicandosi, scattante e sicura.
Ad un certo punto, senza preavviso, si lasciò cadere; trattenne il respiro e mollò la stretta dei denti sulla lama del coltello, che afferrò al volo. Atterrò precisamente di fianco a un manichino e piantò il pugnale nel suo cranio, con violenza dirompente.
Gli tirò un calcio e il fantoccio cadde a terra.
Zoey si fermò, sudata e col fiatone. Alzò gli occhi smeraldini per incrociare quelli affilati degli Strateghi.
La congedarono e la mora si inchinò, trattenendo il fiato.
Uscì ed entrò nell'ascensore; un sorriso sbocciò sulle sue labbra e i suoi occhi si riempirono di gioia.
Mancavano ancora pochi giorni al suo ingresso nell'Arena ed era sicura che tantissimi sponsor l'avrebbero aiutata.
Ne era certa.

**

Hakai sospirò, gli occhi fissi sul piatto ancora pieno.
Non aveva fame, sentiva l'agitazione scorrere gelida nelle vene.
Hiroto era appena entrato nella palestra. Oh, le mancava già sentire la sua risata.
Il rosso era rimasto seduto con il ragazzo dell'8 tutto il tempo, ma le aveva sempre lanciato occhiate sorridenti.
La ragazza non aveva potuto non arrossire, però le piacevano le attenzioni che lui le dedicava.
Avrebbe voluto dirglielo, ma sarebbe stato stupido, inutile e molto fraintendibile.
E poi ora doveva concentrarsi solo sulla sua sessione.
-Ehi Hakai! Cos'è sul muso lungo?-
La bionda alzò lo sguardo, incontrando gli occhi sfavillanti di Roxie.
-Xie, ciao.- esclamò e un sorriso nacque sul suo viso.
La rossa la squadrò qualche secondo, poi scoppiò a ridere.
-Neneh, ti manca già Hiroto?- disse con un sorriso malizioso e la voce cantinelante.
Hakai arrossì di botto. -N-No! C-Che cosa vai a pensare... I-Io... No... N-Non stavo pensando a lui!- balbettò, scuotendo le mani e la testa, negando.
-Ceeeerto, come no.- la quattordicenne le strizzò l'occhiolino, allungando le vocali in maniera esasperante.
La bionda incrociò le braccia sotto il seno, socchiudendo gli occhi azzurri.
Roxie non aveva tutti i torti. Però ammettere che non riusciva a stare senza Kiyama era davvero troppo, significava che per lui provava qualcosa di decisamente forte.
E non era così... vero?
Arrossì di nuovo, sotto lo sguardo scettico della rossa, che sospirò sorridendo.
-Eh già, la nostra Hakai è proprio cotta...- ridacchiò e la bionda si imbronciò.
-Vogliamo parlare di te e Yuuto? Guarda che si consuma a forza di mangiarlo con gli occhi!- sbuffò e godette nel vedere il rossore espandersi sulle gote dell'altra.
-M-Ma no!- provò a protestare la rossa, ma fu sopraffatta dalla risata dell'altra, a cui preso anche Roxie si unì.
Il nome di Hakai fu chiamato in quel momento e la bionda parve gelarsi sul posto.
Sospirò, cercando di tenere a bada l'agitazione che all'improvviso aveva iniziato a roderle il petto.
-Vai e scaglia diritta i tuoi coltelli.- la incoraggiò Roxie, sorridendole.
Hakai ingoiò un mezzo sorriso ed entrò nella palestra.
Gli Stateghi le lanciarono occhiate indagatrici e la ragazza si strinse leggermente nelle spalle.
Prese una decina di pugnali e si posizionò davanti al bersaglio.
Sospirò e strinse le dita fini intorno all'impugnatura di un coltello. Alzò gli occhi, senza tremito.
Il primo tiro. Per suo padre.
Il secondo tiro. Per sua madre.
Il terzo tiro. Per Riku.
Il quarto tiro. Per il suo Distretto.
Il quinto tiro. Per Roxie.
Il sesto tiro. Per Hiroto.
Il settimo tiro. Hiroto. Hiroto Kiyama.
L'ottavo tiro. Per i suoi occhi acquamarina e quel sorriso speciale.
Il nono tiro. Per la sua risata, bella, cristallina, affascinante.
Il decimo tiro, il più potente. Per quel sentimento che non conosceva e che li legava.
Si fermò, gli occhi freddi e letali, le gote leggermente arrossate.
Gli Strateghi parvero soddisfatti e la congedarono.
Hakai si inchinò con un sorriso e uscì, improvvisamente pervasa da una strana adrenalina bruciante.
Salì sull'ascensore e si sentì inspiegabilmente felice.

**

Hakaikuro socchiuse gli occhi scuri, sbuffando.
Non aveva proprio voglia di starsene ferma di quella sedia scomoda, voleva mettere le mani sulla sua katana.
Su ordine di quell'idiota del suo mentore non l'aveva usata spesso durante l'addestramento ed era rimasta a bramarla durante tutti i tre giorni.
Ora voleva solo tirare qualche bel fendente e magari tagliare la testa agli Strateghi, molto casualmente.
Emise l'ennesimo sbuffo, facendo sollevare una ciocca di capelli bruni che era ricaduta sul viso e lasciandosi scivolare sullo schienale.
C'era troppo rumore, troppa gente che starnazzava.
Solo a vederli mangiare si capiva che erano bestie da macello, nient'altro. Lei, invece, ne aveva di possibilità di vittoria.
Sperava solo che quegli idioti degli Strateghi capissero subito le sue doti, dopotutto lei era l'unica ad avere esperienza nell'uccidere in quella stanza.
Fudou era già entrato nella palestra da quasi dieci minuti, non ne poteva più di aspettare; portò distrattamente le mani ad accarezzare la testa del serpente di ardesia che era arrampicato sul suo ciondolo e il suo sbuffo si tramutò in un sospiro.
Aveva già addocchiato le persone che pensava potessero esserle utili nell'Arena, perciò aveva già in mente di proporre qualche alleanza, giusto per non essere colta di sorpresa da persone potenzialmente pericolose.
Non aveva assolutamente intenzione di morire, per di più durante uno spettacolo che veniva trasmesso in tutta Panem.
Sarebbe stato un disonore troppo grande per lei.
Il suo nome venne chiamato e Hakaikuro si alzò con uno sbuffo che stava a metà fra lo scocciato e il sollevato.
Voleva solo uscire da lì e buttare a terra qualche manichino.
Dopotutto, pensò mentre entrava nella palestra, non le serviva un'esibizione da grande talento, solo qualcosa di veloce ed efficace.
Come se stesse uccidendo per davvero.
Sorrise provocatoria e guardò i manichini come se fossero esseri umani.
Afferrò la katana e non degnò di uno sguardo gli Strateghi, che iniziavano ad essere distratti dopo dodici sessioni.
Passò un dito sulla lama sottile e leggermente curva e dalla carne iniziò a stillare un po' di sangue.
Sogghignò e la impugnò saldamente; la sua espressione mutò totalmente da quando era entrata.
Il suo sorriso acquistò sfumature di malignità, il suo viso somigliò in tutto per tutto a quello di un assassino.
Prese un barattolo di vernice rossa dal reparto di mimetizzazione e ci immerse la lama dell'arma; tagliò di netto la testa di un manichino, con velocità invidiabile e una potenza impressionante, mentre il liquido cremisi schizzava su tutto il fantoccio come sangue.
Squoiò undici manichini senza mai fermarsi, il pavimento sporco di gocce rosse, l'atmosfera improvvisamente tesa.
Gli Strateghi si erano fatti attenti; non era difficile per loro notare quella luce spettrale negli occhi della ragazza, quella ferocia che cercavano in ogni Tributo.
Hakaikuro si concentrò sul dodicesimo manichino, l'ultimo; lacerò viso di cotone senza tagliare la testa e poi si concentrò sul petto.
Lo buttò a terra e con impeto affondò più e più volte la lama vermiglia, fin quando il manichino non fu ridotto a un'ammasso di stoffa e imbottitura.
Afferrò il barattolo di vernice e lo rovesciò sopra il fantoccio, per poi lanciarlo in aria, in modo che gli ultimi schizzi cadessero come pioggia di sangue intorno a lei.
Si fermò, affannata ma soddisfatta, sogghignante nella sua attività preferita.
Gli Strateghi la congedarono, stupiti da tanta ferocia; Hakaikuro li fissò sprezzante e uscì, senza inchinarsi.
Una volta entrata nell'ascensore si concesse una risata, mentre i suoi occhi brillavano di luce spettrale e sui capelli bruni scintillavano le gocce cremisi di vernice come presagio di morte.

**

Annalisa si arricciò annoiata una ciocca di capelli ricci sulle dita, guardandosi intorno svogliatamente.
Natsumi e Amelia, sedute accanto a lei, confabulavano sottovoce e lei non si sentiva di partecipare al discorso.
Si stava annoiando terribilmente; non era agitata per la sessione privata, anzi, quella era la sua ultima preoccupazione.
Essere così tranquilla non era da lei, ma la ragazza non ci fece poi molto caso.
Gouenji era appena entrato nella palestra e Annalisa lo aveva seguito con gli occhi fin quando non era sparito dietro alla porta.
Avrebbe voluto parlargli, anche se in realtà non aveva la più pallida idea di cosa dirgli.
-Nali? Hai sentito quello che ho detto?-
La ragazza sobbalzò e si girò verso le due alleate, che la guardavano in attesa.
-Ehm... No.- rispose abbozzando un sorriso di scuse; Amelia sospirò sconsolata e Natsumi ridacchiò leggermente, mormorando un rimprovero amichevole.
-Stavo dicendo- riprese Amelia lanciandole un'occhiataccia. -che volevo proporvi un'altra alleanza con il ragazzo del mio Distretto.-
La riccia si sporse un po' verso l'altra, incuriosita.
-Mh? Chi, quel bel castano?- rispose con un sorrisetto, indicando con un cenno del viso Fideo, seduto tre tavoli avanti a loro con il ragazzo del 10.
-E' carino...- commentò, lanciando un'occhiata maliziosa verso Amelia.
La castana arrossì leggermente, spostando piccata lo sguardo. -Certo certo, tutto quello che vuoi. E' furbo e questo mi basta. Vediamo come andrà nella sessione privata, ma ho il presentimento che il suo punteggio sarà alto.-
Natsumi si scambiò un'occhiata d'intesa con Annalisa e poi ridacchiarono all'unisono, facendo arrossire ancora di più l'altra.
-E questa risata cosa vorrebbe dire?!- sbuffò incrociando punta nel vivo le braccia al petto, cercando di ignorare il rossore che le copriva le gote.
Annalisa soffocò un sorriso; Amelia non sarebbe cambiata mai.
Il suo nome venne chiamato in quel momento e la riccia si alzò, sorridendo verso le altre, senza che l'agitazione la sfiorasse minimamente.
-Allora... Ci vediamo nell'Arena.- disse e le ragazze annuirono.
Annalisa alzò la mano in segno di saluto, avviandosi verso la palestra.
Tutto stranamente sembrava andare per il verso giusto e lei non avrebbe potuto chiedere di meglio.
Circondata da amiche come Natsumi e Amelia persino gli Hunger Games parevano meno minacciosi; era così strano che la loro amicizia fosse nata così, un fiore in mezzo ai rovi.
Entrò nella palestra e notò vari schizzi di vernice rossa per tutto il pavimento; mise da parte lo scettismo e impugnò la scure.
Strinse saldamente il manico, arricciando le labbra carnose in un espressione concentrata.
Chiuse gli occhi smeraldini e tutti i giorni nel bosco con suo padre le passarono davanti come un film. Doveva solo ripetere quei movimenti tanto familiari, come se stesse abbattendo un albero in un pomeriggio qualunque di una giornata qualunque.
Con uno scatto repentino aprì gli occhi e sollevò l'arma, affondandola poi con potenza letale nella sua custodia.
Il legno si incrinò con un schianto secco e varie scheggie si alzarono dall'oggetto.
Colpì la custodia della scure ancora e ancora, facendo saltare pezzi di legno ovunque, nel violento modo che suo padre chiamava "barbaro".
Se si spezzava legno in quella maniera non lo si avrebbe mai potuto vendere e Annalisa ricordava le volte in cui l'uomo glielo ripeteva stenuamente.
Però a rompere così violentemente quell'oggetto provava una soddisfazione innata; quasi non riusciva a credere di possedere tanta forza.
Si fermò solamente quando non ci fu più nulla da rompere. Pezzetti di legno erano disseminati disordinatamente per il pavimento, troppo piccoli per essere tagliati ancora.
Annalisa alzò lo sguardo con freddezza e lanciò la scure senza spostare gli occhi dagli Strateghi; l'arma si conficcò nella parete, rimanendo a mezz'aria.
Godendosi le loro espressioni stupide, la riccia si inchinò e uscì, i capelli spettinati e le gote arrossate, ma un sorriso soddisfatto sul volto.
Già, non avrebbe potuto andare meglio di così.

**

Misaka affondò il viso fra le braccia, sospirando.
Aveva passato il tempo a chiaccherare con Skylin e a lanciarsi occhiate sporadiche con Nagumo, che se n'era stato in un altro tavolo per tutto il tempo.
Però ora Haruya non era più seduto là, a scoccarle occhiate spavalde con i suoi splendidi occhi color miele, ma era entrato nella palestra per la sua sessione privata.
Alzò gli occhi cerulei, insoddisfatta, cercando di incrociare lo sguardo dorato di Skylin, magari un sorriso su quelle labbra sottili.
Ma la castana non la stava guardando; seguendo la traiettoria dei suoi occhi, Misaka capì che stava fissando il ragazzo del suo Distretto. Fubuki, le pareva si chiamasse.
Era rimasta molto colpita dal suo gesto durante l'addestramento; era intervenuta per bloccare la rissa e quindi salvare quel ragazzo da una punizione severa.
La bruna non sapeva che lei avrebbe fatto lo stesso per Nagumo; probabilmente no, anche se non ne era sicura.
Non comprendeva perché Skylin avesse rischiato di finire in mezzo a quella storia per un suo nemico, non aveva senso.
-Ehi Skyl.- la chiamò e la castana sussultò, distogliendo lo sguardo dal Fubuki e girandosi verso Misaka.
-Sì?- rispose incerta, gli occhi dorati che bramavano di incastrarsi di nuovo con quelli color argento del ragazzo.
La bruna scosse la testa con un mezzo sorriso. -Nulla.- e si disse che era ovvio il motivo per cui Skylin aveva salvato Fubuki.
Il perché risiedeva nelle loro iridi, in quel dolcissimo luccichio pervadeva i loro occhi quando si incrociavano. Forse -si disse- c'erano occhi che erano destinati a rimanere incatenati e quando si incontravano quella luce speciale li illuminava.
Chissà se anche lei aveva nelle iridi quel bagliore quando guardava Haruya.
Non si chiese perché proprio Nagumo, ma in un certo senso sperava che anche i suoi occhi brillassero per lui.
Il suo nome venne chiamato in quel momento e Misaka si alzò, stiracchiandosi come un gatto.
-Ci si vede.- disse facendo un cenno a Skylin, che le sorrise caldamente, salutandola.
Entrò nella palestra con un sospiro, tentando di togliersi di dosso quella malinconia appiccicosa. Non era il momento per farsi prendere da pensieri tanto stupidi.
Scoccò un'occhiata stizzita agli Strateghi, che dopo sedici sessioni iniziavano ad essere più attratti dal banchetto che era stato allestito per loro che dai Tributi.
Raccolse una katana non molto lunga, stringendo febbrilmente il manico.
Tirò qualche fendente ai manichini, frustrata; rivolse uno sguardo sdegnato agli Strateghi, che però non sembravano assolutamente considerarla.
Sentiva l'ira montare dentro al petto e le tornò in mente suo padre, quel sognatore ribelle dagli occhi scuri che lei non aveva mai conosciuto.
Buttò arrabbiata un manichino a terra e scagliò in un angolo la katana, che scivolò per il pavimento con un triste clangore metallico.
Prese un coltello e attese un attimo, gli occhi cobalto che fissavano insistentemente gli Strateghi.
Le dedicarono solo qualche occhiata per nulla interessata e quella reazione fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Misaka, senza pensare, scagliò il coltello contro il loro tavolo; si udì un sibilo e tutta l'aria intorno al banchetto sembrò criptare, poi la lama venne sbalzata indietro dal campo di forza.
La bruna si chinò repentinamente e il pugnale andò a piantarsi nella parete; gli Strateghi la guardavano, chi spaventato e chi stupito.
La ragazza si alzò, con gli occhi ancora colmi di disprezzo; senza inchinarsi uscì, mentre una soddisfazione prepotente le invadeva il petto.
Sperava solo che quel gesto avventato non le sarebbe costato troppo.

**

Natsumi sospirò, borbottando qualcosa riguardo al fatto che in quella mensa ci fosse davvero troppo caldo.
Si passò una mano fra i capelli quasi ricci, tentando di dissipare la calura che la circondava.
Le luci dei lampadari asettici le davano il mal di testa; con un sospirò si lasciò scivolare sul tavolo, godendosi l'impatto fresco del suo viso accaldato contro la superficie, mentre Amelia ridacchiava della sua espressione sconfitta.
La rossa sentì qualcosa sfiorarle la spalla e alzò curiosa gli occhi nocciola; fece appena in tempo a vedere una chioma di capelli turchesi che si allontanava verso la porta.
Rimase a guardare stupita il punto in cui Kazemaru era sparito; l'aveva... toccata.
Le aveva posato una mano sulla spalla e poi era andato via. Arrossì piacevolmente, mentre un mezzo sorriso incosciente si faceva spazio sul suo volto.
La risata di Amelia la fece sobbalzare, si era quasi dimenticata della sua presenza.
-Dovresti vedere la tua faccia!- rise la castana e Natsumi arrossì ancora di più, tirando una gomitata alla coetanea.
-Questa è la mia faccia.- esclamò seccata, incrociando le braccia.
-Non ti ha baciata Natsu, ti ha solo toccato la spalla! Non mi sembra il caso di fare tutto queste scene, potrebbe averti sfiorato anche per sbaglio.- ribatté Amelia con un sorrisetto, ignorando totalmente il suo commento.
La rossa sentì di essere cascata dalle nuvole. La castana aveva ragione e lei era una vera e propria stupida.
Voltò il viso da un'altra parte, con espressione delusa; non aveva motivo di esaltarsi tanto per un contatto così minimo, se ne rese conto solo in quel momento.
E poi, non aveva motivo di agitarsi. Kazemaru l'aveva toccata, e allora? Non era certo la prima volta che qualcuno le sfiorava le spalla. Ichirouta era esattamente come chiunque altro, un nemico qualunque.
Sbuffò, stanca di rimuginare su argomenti così idioti.
Amelia era girata verso il tavolo di Fideo e lo guardava con uno sguardo dolce e attento, che mai la rossa le aveva visto fare.
Sogghignò leggermente: la prendeva tanto in giro, ma anche lei non scherzava! Sembrava volesse mangiarsi con gli occhi quel ragazzino.
Si scostò di nuovo i capelli dal collo, ricordandosi improvvisamente di avere caldo.
A salvarla da quella calura fu il suo nome, che venne chiamato in quel momento, richiamando anche l'attenzione di Amelia.
-Ciao, eh.- la castana le diede un buffetto sulla spalla, facendola sorridere leggermente.
Entrò nella palestra con sguardo freddo. Non era agitata, dopotutto sapeva benissimo cosa fare. Gli Strateghi non avrebbero potuto che stupirsi davanti alla sua mira.
Impugnò l'arco e incoccò, facendo vagare lo sguardo alla ricerca di qualche bersaglio interessante.
Se voleva essere considerata, doveva attirare subito l'attenzione su di sé.
Abbozzò un sorriso vittorioso, notando numerosi dardi conficcati in un bersaglio nella posizione di lancio.
C'era una distanza sottilissima fra loro e chi li aveva lanciati -forse la ragazzina del Distretto 3- doveva possedere una buona mira, ma poca esperienza.
Natsumi sorrise e scoccò; la freccia schizzò nell'aria e andò a conficcarsi nel leggerissimo spazio fra due dardi vicini.
I seguenti tiri furono tutti dimostrazioni di una padronanza innata dell'arma; era andata così da subito, dato che aveva dimostrato un talento speciale per il tiro con l'arco da quando aveva pochi anni.
Sua madre era sempre stata compiaciuta di questa sua passione per l'arco e Natsumi l'aveva assecondata, un po' per non deluderla e un po' perché quell'arma la affascinava tantissimo.
Ormai l'arco era un'estensione naturale del suo braccio, una parte di sè; perciò tirare frecce in spazi sottili era una passeggiata per lei.
Stava per lanciare l'ultima freccia, quando gli Strateghi la interruppero e congedarono.
Insoddisfatta, la rossa la scagliò verso l'alto; la freccia fendette l'aria e andò a conficcarsi nel lampadario a neon sopra di lei, rompendolo.
Una cascata di scintille si riversò a terra e Natsumi sorrise, esibendosi in un inchino spavaldo e uscendo.
Gli schizzi di luce di quella sessione le rimasero dentro, imprigionati fra un sorriso e una consapevolezza scarlatta.

**

Roxie si dondolò distrattamente sulla sedia, soffocando uno sbadiglio annoiato.
Dopo che Hakai se n'era andata, la rossa non aveva fatto che annoiarsi a morte.
La mensa ormai si stava svuotando; rimanevano solo lei e Yuuto, i due dell'11 e quelli del 12.
La stanza era molto più silenziosa e la quattordicenne proprio non si trovava in un ambiente del genere; si sarebbe sentita molto più a suo agio circondata da chiacchere e rumore.
Si alzò dalla sua sedia, con l'intento di andare a sentire cosa dicevano Kidou e il ragazzo del 12.
Gofiò le guance; si sentiva offesa dal comportamento del castano, che l'aveva ignorata per tutto il tempo.
Purtroppo però non fece in tempo a raggiungerlo che lui si alzò, salutando quel moretto seduto affianco a lui e avviandosi verso la porta.
-Aspetta Yuuto!-
Il ragazzo si fermò, senza girarsi. -Ci vediamo dopo, Roxie.- disse, scostandosi quando la giovane provò a mettergli una mano sulla spalla e allontanandosi.
La rossa rimase immobile, seccata ed esterefatta.
Sentì qualcosa di fastidioso pungergli il petto, mentre gonfiava le guance e incrociava le braccia; perché l'aveva trattata con tale freddezza?
Lei non aveva fatto niente dopotutto!
Si lasciò cadere offesa sulla prima sedia che le capitò davanti, attirando l'attenzione dei presenti.
Roxie li ignorò; Yuuto non voleva parlarle? Allora neanche lei lo avrebbe pensato.
Però era molto più difficile di quanto immaginasse; tentava di concentrarsi su altro, di pensare a cosa avrebbe fatto durante la sua sessione o a cosa avrebbe detto ad Hakai nell'Arena, ma Kidou era presente in ogni singolo pensiero e non riusciva a scacciarlo.
Il suo viso dai tratti aristocratici le tornava in mente ogni volta, facendola arrossire stupidamente.
Un quarto d'ora passò talmente lento che le sembrarono anni; appena il suo nome fu chiamato, saltò giù dalla sedia, impaziente di concentrarsi su altro e sfuggire al pensiero dolcissimo di Yuuto.
Entrò nella palestra e fece vagare i suoi occhi smeraldini per la stanza; lanciò uno sguardo scettico al lampadario rotto con una freccia spaccata ancora conficcata dentro, ma la sua attenzione fu presto attratta da altro.
Come c'era da aspettarsi, gli Strateghi erano concentrati su tutto meno che su di lei.
Roxie sbuffò seccata e si avvicinò con passo deciso al sacco da boxe; uno giaceva a terra spaccato e circondato da batuffoli di imbottitura, ma il secondo era ancora intero.
Si sfregò le mani, sorridendo furbamente.
Non era una ragazzina indifesa qualunque, lei. A scuola, le capitava molto spesso di fare a botte con i maschi che la infastidivano ed era inutile dire che era lei a vincere ogni volta.
Essendo rimasta orfana all'età di nove anni, con una sorellina in fasce, aveva imparato da subito a badare a se stessa. E se c'era una cosa che aveva appreso, era che saper picchiare chi provava a provocarla era indispensabile.
Sferrò un pugno al sacco, senza nemmeno mettersi i guantoni; l'oggetto ondeggiò traballante e la ragazza iniziò a tempestarlo di pugni e calci.
Con uno scatto afferrò un coltello e tagliò la corda che lo sosteneva; ci tirò un pugno potente, facendolo rotolare sconfitto a terra.
Quello che seguì fu solo un feroce confondersi di pugnalate e calci, che il sacco incassava sfracellandosi per terra, fin quando non rimase che una poltiglia di imbottitura e stoffa.
Scagliò il coltello, colpendo un manichino distante in testa.
Gli Strateghi, colpiti da tale forza, la congedarono e Roxie rivolse loro un'occhiata fredda, per poi esibirsi in un inchino strafottente e uscire con passo spedito.
Quando fu dentro l'ascensore, scoppiò a ridere. Si era sfogata colpendo quel sacco da boxe e non era più arrabbiata con Yuuto; adesso voleva solo abbracciarlo.
Sorrise, in balia di una felicità frizzante.

**

Skylin sospirò, socchiudendo gli occhi.
Dopo che anche Misaka era entrata nella palestra, lei era rimasta sola.
Era stanca di stare lì ad attendere e il pensiero di cosa avrebbe fatto per dimostrare il suo valore la logorava.
Per di più, Atsuya continuava a fissarla e questo non la tranquillizzava per niente.
Si sentiva arrossire ogni volta che incrociava quegli occhi, avvertiva i palmi delle mani sudare ed era tesa come una corda di violino.
Non capiva perché Fubuki le facesse questo effetto e non era veramente sicura di volerlo scoprire.
Alzò timidamente lo sguardo e i suoi occhi si incatenarono a quelli del ragazzo.
Atsuya era seduto dall'altra parte del tavolo, le gambe accavallate e le braccia incrociate dietro la testa, con uno splendido sorriso spavaldo sul volto.
Arricciò il naso alla vista di quell'espressione; non poteva prendersi gioco di lei in quel modo.
Incrociando le braccia al petto, si lasciò sprofondare nello schienale, senza distogliere più gli occhi dai suoi.
Era una sfida? Non sarebbe stata lei a perdere.
Così rimase a guardare le infinite sfumature di quegli occhi presuntuosi, dal taglio arrogante, di quello splendido color argento scuro, che sembrava il colore della polvere e delle nuvole che portavano pioggia; le loro iridi erano legate, lei, un raggio di sole nella tempesta degli occhi di lui.
Quel magico incanto fu però spezzato dal nome di Atsuya che fu chiamato.
Fubuki si alzò tranquillamente e le passò accanto per dirigersi verso la palestra.
-A dopo uccellino.- sussurrò, facendola arrossire appena.
Skylin rimase a fissare come una sciocca la porta dove lui era sparito, quelle parole appena mormorate che le rimbombavano in testa, in un dolcissimo eco infinito.
Un brivido l'attraversò e distolse offesa lo sguardo.
Atsuya non faceva altro che farla arrabbiare; era lui, con quel modo di fare insofferente, con quella fastidiosissima strafottenza, con quegli occhi che avevano il potere di stregarla.
Passò il tempo a ripetere nella sua mente le note di una canzone popolare che Sue le aveva insegnato, facendo intanto correre le dita sul tavolo.
Il suo nome fu chiamato quasi all'improvviso, senza che lei se lo aspettasse.
Accompagnata da un polveroso senso di stanchezza, entrò nella palestra.
Non c'era nulla di particolare e quindi niente che attirasse la sua attenzione nella stanza.
Rassegnata, Skylin si attenne al programma, camminando verso il punto dove erano appesi i pugnali.
Fissò qualche secondo le lame e le note della canzone le danzarono nella mente con insistenza.
"Complimenti, davvero un'ottima performace" le parole di Naigel le tornarono in mente e subito le fu chiaro cosa avrebbe dovuto fare. Dopotutto, doveva solo dimostrare il suo talento.
E quasi non se ne rese conto, quella melodia uscì dalle sue labbra con una naturalezza innata.
Fece qualche passo aggraziato per la palestra, cantando con un tono di voce sempre più alto, raggiungendo note talmente acute da fare male alle orecchie.
Ma non si fermò, continuando a tracciare semplici passi di danza, una voce così alta che molti Strateghi si dovettero premere le mani sulle orecchie.
Arrivò al culmine dell'altezza che avrebbe potuto raggiungere, prolungando una nota acutissima e alzandosi sulle punte dei piedi, come a voler andare ancora più in alto.
Qualcosa fendette l'aria e ci fu uno scoppio. Il campo di forza che circondava gli Strateghi si spaccò e Skylin fu sbalzata indietro, finendo a terra.
Confusa, la ragazza fu congedata e uscì, ancora frastornata.
Dentro l'ascensore, si disse con un sorriso che aveva fatto davvero combinato un pasticcio. Però la cosa la faceva solo ridere e quindi rise, libera come un usignolo che si libra nel cielo.

**

Amelia sospirò, arricciandosi una ciocca di capelli fra le dita.
Lanciò uno sguardo a Fideo e si alzò, avvicinandosi a lui.
Il ragazzo non si voltò, gli occhi fissi su alcuni fogli che stringeva attento fra le mani.
La castana stette in silenzio qualche secondo, aspettando che lui si girasse.
Se voleva parlargli, doveva farlo ora, prima che la ragazza dell'11 finisse e lui veisse chiamato.
Tossì un poco, per richiamare l'attenzione del ragazzo. Odiava essere ignorata.
-Amelia, ciao.- disse lui tranquillamente, senza nemmeno girarsi a guardarla.
La giovane sospirò, tentando di rimanere calma.
Per qualche strano motivo, il comportamento di Ardena la irritava terribilmente.
Si lasciò cadere sulla sedia affianco a lui e si decise a parlare.
-Ho proposto un'altra alleanza.- esclamò tentando di rimanere disinteressata, battendo distrattamente le dita sul tavolo e nascondendo gli occhi sotto la frangia.
Fideo alzò stupito lo sguardo e Amelia si sentì investita dal blu intenso dei suoi occhi.
-Oh.- disse solo lui, poi tornò a sorridere compiaciuto. -Anch'io.- rispose, altrettanto noncurante.
La castana rimase interdetta e sbattè un paio di volte gli occhi. Come? Fideo aveva proposto un'altra alleanza? E senza chiedere il suo parere?!
Arricciò infastidita le labbra, assottigliando gli occhi, nonostante il suo pensiero fosse molto incoerente.
-Ah. Hai fatto tutto da solo, senza dirmi niente.- sibilò, senza pensare che anche lei aveva fatto tutto da sola.
-Yuuto è un buon alleato. E' furbo, prova a guard-- - ma fu interrotto da Amelia, che strabuzzò incredula gli occhi.
-Kidou Yuuto?! Quel ragazzetto insignificante?!- sbottò, battendo furiosa una mano sul tavolo. Un'alleanza con quello svitato! Fideo doveva proprio essere uscito di testa. Aveva osservato quel ragazzino durante l'allenamento e poteva dire con certezza che non valeva nulla.
Purtroppo però non poterono continuare la conversazione e il nome del castano fu chiamato.
Ardena si alzò, un'espressione accigliata sul viso, nascondendo i fogli che prima stava leggendo in tasca.
-Ti ricrederai.- disse solo, uscendo.
Amelia rimase immobile. Non si sarebbe alleata con Kidou Yuuto.
Era pronta a scommettere che non sapesse nemmeno tenere in mano un coltello.
Ridacchiò. Se Fideo voleva fare comunella con lui, lei non lo avrebbe seguito.
Convita di questa decisione, passò i seguenti quindici minuti a dondolarsi sulla sedia, pensando ad altro.
La chiamarono prima di quanto avesse immaginato.
Si alzò ed entrò sicura nella palestra. Non aveva paura di quei palloni gonfiati che erano gli Strateghi.
Quello che vide la lasciò perplessa. Sembrava che fosse esploso qualcosa, dato che tutte le attrezzature erano buttate negli angoli e il capanello di uomini e donne attorno al banchetto sembrava molto agitato.
Amelia si trattenne dal ridacchiare, chiedendosi chi fosse riuscito a far arrabbiare tanto gli Strateghi.
Prese la mazza chiodata, che ora riusciva a usare perfettamente. Annalisa le aveva insegnato come utilizzare armi pesanti e adesso non aveva più alcun problema.
Strinse sicura le dita intorno al manico e fece roteare la palla di ferro tempestata di aculei sopra la sua testa, per poi piantarla con forza dentro il corpo di un manichino.
Continuava a colpire bersagli e improvvisamente il pensiero di Leila tornò a galla.
Si chiese cosa avrebbe detto la sua sorellona, vedendola destreggiarsi in quel modo con un'arma. Leila, la ragazza che l'aveva sempre sgridata per i suoi modi scostanti e che spesso ricadevano nelle maniere forti.
La maggiore aveva sempre disprezzato la violenza e messo in primo piano il dialogo; chissà cosa avrebbe fatto lei, se fosse stata al suo posto.
Per la prima volta da quando era arrivata, pensò che era un bene che fosse stata estratta lei e non Leila.
Strinse leggermente gli occhi, sottraendosi a quei pensieri dolorosi.
Con un grido, scagliò la mazza chiodata, che roteò pericolosamente in aria e andò a conficcarsi nel muro.
Amelia rimase stupita; il suo tiro doveva essere stato davvero potente per far rimanere la mazza inchiodata al muro.
Prima che potesse riprenderla però, gli Strateghi la congedarono.
La castana fu tentata di tirargli addosso l'arma, ma poi declinò quell'idea e uscì, stizzita per essere stata interrotta dopo così poco.
Ora, pensò con un sospiro mentre l'ascensore saliva, doveva affrontare Fideo.













... *spunta da dietro un muro*
Ehm... Ciao ^^"
Ci ho messo mesi per scrivere questo capitolo, lo so.
Scusatemi tanto! >.<
Però fra compiti, vacanze, pigrizia e caldo non ho potuto scrivere!
Cercherò di essere più puntuale in futuro, lo prometto ç.ç
Ora, questo capitolo.
Inizialmente avevo idea di farlo più lungo e aggiungerci ancora dodici parti, ma poi mi sono detta che vi avevo fatto aspettare anche troppo.
Ringrazio chiunque continua a seguirmi nonostante abbia tempi indecenti, arigatou **
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, ora vi lascio ;)
E sappiate che anche se non recensisco o aggiorno più, io ci sono e vi osservo... *colonna sonora da film horror (?)*
Ehm già, ora è meglio che la finisco di dire cavolate xD
Ciao ciao <3
Lucchan

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Marina si portò l'ultimo cucchiaio di zuppa alle labbra, tenendo gli occhi fissi sul piatto vuoto.
Dopo che era arrivata nel piano dedicato al suo Distretto, era subito andata in camera, non volendo subire i commenti maliziosi di Cashmere e Christian.
Erano riusciti a convincerla a uscire dalla sua camera solo per consumare la cena.
Non che la castana avesse fame; era terribilmente agitata per il punteggio che le avrebbero dato e il cibo era il suo ultimo pensiero. Quasi avrebbe preferito non sapere che impressione aveva fatto.
I risultati erano espressi in una scala di numeri che andava dall'1 al 12.
L'1 era il punteggio peggiore impossibile e il 12 il migliore e irraggiungibile. Non capitava quasi mai che dessero come risultati gli estremi della scala, però, come si era detta la ragazza, c'è sempre una prima volta.
Suzuno, seduto di fianco a lei, non sembrava particolarmente agitato. Ma la ragazza aveva passato tanto tempo ad osservarlo durante l'addestramento e sapeva riconoscere i suoi modi di reagire, quindi poteva dire con certezza che anche lui era preoccupato. Si muoveva in modo troppo meccanico per essere tranquillo.
Quando tutti ebbero finito di mangiare, andarono a vedere i risultati alla televisione; lei e Fuusuke si sedettero sul divano, vicini.
Le loro mani si sfiorarono e Marina si irrigidì, voltandosi verso l'albino.
Lui le rivolse un'occhiata e alla castana parve di affogare in quegli occhi che sembravano fiumi limpidi di ghiacciai irraggiungibili.
Deglutii e cercò di concentrarsi sulla televisione.
I loro risultati erano i primi ad essere trasmessi; sullo schermo venne proiettata la foto di Suzuno e dopo qualche attimo un 9 apparve, con gli squisiti commenti del presentatore.
Avvertì Fuusuke rilassarsi accanto a lei e Marina si sentì sinceramente contenta per lui, anche se in realtà un punteggio alto per il ragazzo significava che lei era in svantaggio.
La sua foto apparve sullo schermo subito dopo e la castana trattenne il respiro.
I secondi di attesa furono snervanti; sentiva il cuore battere in gola e quasi non si accorse nemmeno che Suzuno le aveva stretto la mano.
Un 8 apparve volteggiando e la voce del presentatore disse qualcosa che la ragazza non sentì.
Sospirò, sentendosi improvvisamente leggera.
Beh, non era andata così male. Dopotutto, 8 era un punteggio positivo, molto positivo.
Si concesse un piccolo sorriso alle congratulazioni della mentore e degli stilisti.
Christian la catturò in un abbraccio affettuoso a cui sfuggì il prima possibile e Cashmere, ridacchiando allegra, si complimentò con loro, pur avvertendoli che il punteggio ottenuto non decretava la vittoria.
Il loro accompagnatore li spedì a dormire, dicendo che domani li aspettavano tantissime cose da fare.
Marina fu molto felice di sottrarsi a tutti quei complimenti; si ritrovò a camminare per il corridoio che portava alla sua stanza di fianco a Suzuno.
Il silenzio fra loro sapeva di imbarazzo; la ragazza gli rivolse uno sguardo, indecisa se parlare o meno.
Quando arrivarono davanti alla camera di lei, Fuusuke alzò lo sguardo, abbozzando un mezzo sorriso.
-Complimenti. Sei stata brava.- disse e Marina sorrise leggermente, di rimando.
-Tu di più. Non ti devo sottovalutare, già.- socchiuse gli occhi celesti, liquidando i complimenti dell'altro con un gesto fluido della mano.
-La trasparenza dei tuoi occhi è stupefacente.- esclamò tranquillamente l'albino e la ragazza lo guardò stupita.
Cosa voleva dire? Le sembrava un'osservazione totalmente fuori luogo.
Lui scosse leggermente la testa alla sua espressione confusa; si inchinò, baciandole la mano come un lord fa con la sua dama in una fiaba qualunque.
Marina arrossì stupidamente, senza sapere cosa fare, gli occhi fissi sul ragazzo.
-Buonanotte.- mormorò Fuusuke, alzandosi e sparendo in fondo al corridoio.
La castana rimase immobile, la bocca semiaperta su parole non dette; si guardò la mano dove le labbra di lui si erano posate e arrossì ancora di più.
Si ritirò velocemente in camera, prima che qualcuno potesse vederla.
Si lasciò scivolare fra le coperte; si sentiva così confusamente felice.
Odiava non capire cosa le stesse succedendo, ma sentiva che voleva scoprire il mistero che si celava dentro alle iridi di Fuusuke.
Voleva capire il suo comportamento, l'enigma del suo sguardo. Voleva comprendere cosa aveva inteso Suzuno quella sera, con quella frase e quel bacio sulle dita.
Quasi si dimenticò dell'8 preso nella sessione privata, come se non le importasse più.
Stranamente, il pensiero di Fuusuke sembrava più forte di quello della sua esistenza.

**

Hikari tintinnò le posate sul bordo del piatto ancora pieno.

Non aveva toccato cibo e non aveva intenzione di farlo.
La felicità inaspettata che l'aveva colta appena dopo l'addestramento si era volatilizzata, lasciando spazio a una morsa gelida che le stringeva lo stomaco.
Alla mora piacevano le sfide, le erano sempre piaciute. Non aveva paura di essere giudicata, anche perché sapeva che era andata bene.
Però un giudizio qualunque era diverso da un numero che poteva decidere sulla sua sorte.
Si torse agitata le mani e avvertì distrattamente gli occhi di tutti su di sé.
-Non mangi, cara?- le chiese con un sorriso spazientito la sua accompagnatrice e Hikari strinse le labbra sibilando qualche insulto.
Arata rise, attirando l'attenzione su di sé. -Juliette, dai, lasciala stare. E' normale che sia agitata.-
La ragazza si alzò, ringraziando mentalmente lo stilista.
Non aveva assolutamente intenzione di subire i rimproveri di quella oca capitoliana, per di più quando aveva addosso un stress del genere.
Eppure, quando si sedette e posò il viso sulla spalla di Desarm, tutto le apparve stranamente leggero e facile.
Intrecciò le sue dita con quelle del ragazzo e lui le circondò i fianchi con un braccio; Hikari socchiuse gli occhi in quell'abbraccio, ignorando i commenti sarcastici di Enobaria sul loro comportamento.
La voce mielosa del presentatore commentò i risultati dei Tributi del Distretto 1.
La sedicenne socchiuse gli occhi cremisi, osservando distrattamente i visi di quei due; sembravano pericolosi, molto pericolosi, con le loro espressioni fredde.
Ma stranamente questo non la agitò. Voleva restare in quell'abbraccio per sempre.
La foto di Desarm apparve sullo schermo e Hikari osservò con dolcezza il suo viso. Un 8 danzò affianco al suo volto e la ragazza strinse ancora di più le dita intorno a quelle del giovane, sentendolo sorridere.
Anche lei sorrise: 8 era un bel punteggio, andava assolutamente bene.
Poi si concentrò sulla televisione e i residui dell'agitazione di prima la sfiorarono, ma non troppo.
Osservò senza espressione la sua foto e poi rimase ferma, crucciando il viso senza credere al punteggio che era apparso: 10.
10? Doveva essere un sogno. Uno splendido e meraviglioso sogno.
Ci mise qualche attimo ad assimilare che aveva ottenuto un voto altissimo e allora balzò in piedi, esultando.
Anche Desarm esultò con lei e la baciò, suscitando le esclamazioni degli adulti -disgusto per alcuni, tenerezza per altri-.
Ma a Hikari non importava un bel niente.
Fuggì il prima possibile dalla stanza e si rintanò nel buio freddo del corridoio.
-Sei stata bravissima, principessa.- le sorride Desarm, baciandola.
La mora gli pizzicò sorridendo il braccio. -Ti ho detto mille volte di non chiamarmi principessa.- mormorò, senza nemmeno fingere di essere offesa.
-Buonanotte, principessa.- esclamò divertito lui, calcando sull'appellativo e facendo sbuffare la ragazza.
Hikari entrò nella sua stanza canticchiando una vecchia canzone d'amore.
Si lasciò scivolare nelle coperte, felice e serena come non era mai stata.
Si addomertò subito, con il 10 che le lampeggiava sotto le palpebre e la sensazione delle labbra di Desarm sulle sue.

**


Kiara socchiuse gli occhi, soffocando uno sbadiglio e tentando di riprendere il filo del discorso.

Aveva finito la sua zuppa da alcuni minuti e aveva rinunciato ad unirsi alla conversazione con Ryuuji e Beetee da più o meno mezz'ora.
Sentiva lo stomaco chiuso dall'agitazione e si era costretta a consumare la cena solo perché Waaka l'aveva guardata talmente male appena aveva provato a posare il cucchiaio da gelarla sul posto.
E poi, il colore dei capelli della stilista non l'aiutava di certo a contenere la nausea.
Attese ancora qualche attimo, dondolandosi sulla sedia e cercando di ascoltare il resoconto di Ryuuji sulla sua sessione.
Rinunciò subito; non riusciva a concentrarsi.
Sentiva un'agitazione febbrile attanagliarla; quel senso di iperattività la rendeva nervosa e insoddisfatta.
Fu più che contenta di alzarsi per andare a vedere i risultati delle sessioni.
Mentre si accomodava sulla poltrona, si chiese cosa stessero provando in quel momento Skylin e Misaka. Pensare alle sue alleate la fece sorridere.
Il programma iniziò e la voce leziosa del presentatore iniziò a commentare.
Kiara osservò curiosa Marina, la fredda ragazza dell'1, quella con cui aveva scambiato qualche parola durante le sessioni, quella che l'aveva fulminata con quegli occhi color ghiaccio così brillanti e cupi al tempo stesso.
Rimuginò un poco su quello sguardo, che era rimasto impresso a fuoco nella sua mente; come scordare quelle iridi luccicanti di fredda irritazione?
Non prestò la minima attenzione al resto dei Tributi, continuando a pensare a quegli occhi; si accorse che erano arrivati al suo Distretto solo quando vide il viso di Ryuuji apparire nello schermo.
Quando vide quella foto, si vergognò; non gli aveva nemmeno chiesto come era andata, come si sentisse. Lei, che prima aveva tanto desiderato la compagnia di Midorikawa, ora lo ignorava in quel modo?
Alzò gli occhi azzurri e incrociò un 7 che danzava sullo schermo; rivolse al ragazzo un sorriso, il più luminoso che avesse nel suo repertorio, come per farsi perdonare, e il verde ricambiò, uno scintillio negli occhi.
Kiara si sentì arrossire, ma cercò di dissimulare l'imbarazzo volgendo di nuovo gli occhi verso la televisione.
La sua foto comparve sullo schermo e la rossa trattenne stupidamente il respiro, tesa come una corda di violino; poco dopo, un altro splendido 7 roteava leggiadro, mentre la voce del commentatore faceva da vacuo sottofondo.
Si rilassò improvvisamente, una frizzante felicità che le solleticava il petto; andava tutto bene, 7 era un ottimo punteggio per lei, di sicuro non avrebbe potuto aspettarsi di meglio e tutto sommanto era anche alto.
Un 7, più la bella figura che aveva fatto alla sfilata, più qualche sorriso convincente durante l'intervista, sarebbero bastati per darle un po' di sponsor?
Ma dopotutto, lei non era così promettente. C'erano Tributi molto più impressionanti di una ragazzina mingherlina e sorridente.
Si alzò, improvvisamente restia dal stare in compagnia; dedicò uno sguardo al televisore, che rifletteva i punteggi dei ragazzi del Distretto 5, chiedendosi se valeva la pena di aspettare per vedere i risultati di Misaka e Skylin.
Si disse che tanto non sarebbe importato; però, mentre si incamminava nel corridoio freddo, si sentì un po' come se le stesse tradendo, come se fosse una ripugnante doppiogiochista.
Sospirò stancamente, appoggiandosi alla parete; questi sbalzi d'umore non erano da lei, affatto. Si lasciò scivolare lungo il muro, il volto nascosto fra le braccia e le ginocchia tirate al petto.
Rimase in quella posizione per minuti interminabili, scanditi dal ticchettio di un orologio appeso alla parete.
Quel silenzio innaturale fu rotto dal rumore dei passi che rimbombavano nel corridoio; Kiara non ebbe nemmeno bisogno di alzare lo sguardo per vedere chi fosse.
-Kiara.-
La sua voce era bassa, roca, ma così calma da irritarla e tranquillizzarla insieme.
-Che vuoi, Ryuuji?- il suo tono uscì molto più brusco di quanto avesse voluto; alzò gli occhi, incatenandoli a quelli del verde.
Midorikawa alzò un sopracciglio e la osservò per qualche secondo dall'alto, poi sbocciò in un sorriso che fece battere il cuore alla giovane.
-Dai, abbiamo preso più della sufficienza.- le porse la mano per aiutarla ad alzarsi e la rossa accettò la sua presa, confusa da quella frase.
-Come se fossimo a scuola.- precisò lui, vedendo la perplessità della ragazza.
Kiara scoppiò in una risatina priva di allegria. -Ma dai.- disse solo, in un sibilo.
Non aveva voglia di parlare con lui, non voleva stargli vicino; era strano, di solito si era sempre trovata in simpatia con il ragazzo, ma ora la sua presenza la metteva in soggezione.
Deviò lo sguardo da un'altra parte e la cosa non sfuggì a Midorikawa, che sbuffò.
-Senti, cos'è successo? Com'è che improvvisamente non mi parli più?- sbottò irritato il giovane, guardandola arrabbiato. -Credevo fossimo amici.- borbottò deluso e si affrettò ad andarsene, gli occhi lucidi di lacrime di frustrazione.
La rossa rimase a fissarlo mentre sbatteva la porta della sua camera e, in una sorta di apatia infetta, si avviò verso la propria.
Si mise il pigiama e infilò sotto le coperte con gesti meccanici, senza pensare.
Poi, vennero le lacrime. Non voleva litigare con Ryuuji, non sapeva neanche lei cosa le era preso.
E dopo le lacrime, inevitabilmente, venne il sonno, che l'accompagnò nell'oblio.

**


Zoey teneva lo sguardo basso, l'espressione crucciata e offesa.

Non vedeva l'ora di uscire da quella stanza.
Si era rifiutata categoricamente di mangiare: era sicura che avrebbe vomitato se avesse provato a ingoiare qualcosa.
Questo comportamento non era tanto dovuto all'ansia per la sua sessione -tanto era sicura di avere fatto un'ottima impressione-, tanto più a quello che era successo appena era uscita dall'ascensore.
Aveva visto Mac -no, Rionejo- confabulare con Mags e gli stilisti, con un'aria parecchio complice; appena lei aveva fatto il suo ingresso, si erano zittiti e si erano voltati a guardarla. L'avevano accolta come se non stessero parlottando fra loro come un attimo prima.
Zoey si era sentita quasi tradita da questo comportamento; era ovvio che Mac stava progettando qualcosa e la mentore era in combutta con lui.
E visto che si parlava di Hunger Games, la mora era certa che questa complicità la metteva in grande svantaggio; se Mags avesse aiutato solo il ragazzo, le sue probabilità sarebbero state molto meno.
L'entusiasmo della prova riuscita alla perfezione era scivolato via in men che non si dica, lasciando un profondo senso di abbadono mischiato a ribrezzo per il loro comportamento.
La giovane era crucciata e, oltre al senso di tradimento che l'aveva pervasa, doveva fare i conti con una curiosità davvero lancinante.
Voleva sapere cosa stavano borbottando alle sue spalle, che progetti tanto misteriosi aveva Rionejo.
Con amarezza, pensò che non avrebbe più dovuto dargli la grande confidenza che gli aveva riservato; per quanto i suoi occhi fossero dolci, lui era pur sempre determinato a vincere.
Si alzò e seguì gli altri verso il televisore, dove i risultati sarebbero stati emessi; ma Zoey era troppo immersa nelle sue riflessioni per prestare tanta attenzione.
Osservò lo schermo con occhi vacui, le parole del presentatore come sottofondo indistinto; la sua espressione non mutò nemmeno quando il 9 di Rionejo apparve scintillando di fianco alla sua foto.
Non riuscì comunque a impedire al suo cuore di iniziare a battere contro la cassa toracica con forza dolorosa, nei pochi secondi d'attesa che la separavano dal sapere il suo punteggio.
E infine, uno splendido 10 danzò allegro sullo schermo.
La mora si concesse un sorriso di vendetta, mentre una strana allegria maligna le sobbalzava nel petto; sapere di essere in vantaggio sul ragazzo le aveva fatto accantonare i problemi che la tormentavano -anche se per poco-, concendendole di assaporare quella piccola vittoria personale.
Dopotutto, lei aveva sempre saputo di essere migliore di Rionejo.
Dopo una decina di minuti di chiacchere e commenti, i due Tributi furono spediti a letto dal loro accompagnatore e si ritrovarono soli nel corridoio freddo.
Zoey esibiva un sorriso sornione tutto denti e fu sorpresa dal veder sorridere anche il ragazzo.
Le dava fastidio il fatto che lui riuscisse sempre a confonderla; però, decise, era il momento di prendere il coltello dalla parte del manico.
-Sei stato bravo, Rionejo.- lo adulò con disinvoltura, senza suonare civettuola o troppo soddisfatta. Semplicemente tranquilla, come a lei piaceva apparire.
Un lampo guizzò nello sguardo di lui. -Tu di più, Zoey. Ma io l'ho sempre detto, che sei un fenomeno.-
La mora si trattenne dal lanciargli un'occhiataccia per averla chiamata per nome. "Calma." si disse.
-Non esagerare. Conto solo sull'effetto sorpresa.- cercò di suonare modesta, mentre gli strizzava l'occhiolino, facendo scintillare i suoi occhi verdi nella penombra.
-Beh, è tardi. Direi di andare a dormire, se no domani non ci alziamo più.- le sorrise gioviale lui e a Zoey venne in mente un modo infallibile per vedere quell'espressione serena rompersi e cadere in mille pezzi.
Sì, quando voleva sapeva essere davvero sadica.
Gli si avvicinò, con il miglior sorriso enigmatico che sapeva fare, e posò le labbra sulla guancia scura del giovane, che diventò improvvisamente calda a quel contatto.
Sorrise leggermente, sentendolo arrossire così.
-Buonanotte.- gli sussurrò all'orecchio e poi si allontanò, nascondendo un sorriso di pura vittoria.
Entrò in camera, senza smettere di sorridere.
Un bacio, niente di meglio per cambiare le carte in tavola. Un bacio sulla guancia, certo, ma sarebbe bastato per scombussolare quell'equilibrio.
Rionejo aveva passato tutto quel tempo a confonderla, fra sorrisi e complimenti, e ora toccava a lei tenere le redini di quel gioco di sguardi.
E Zoey sentiva che avrebbe vinto.

**


Hakai era troppo concentrata sulla cena per prestare attenzione alla conversazione.

L'adrenalina che l'aveva catturata dopo la sua sessione non si era ancora esaurita; la bionda sentiva l'impellente bisogno di sorridere e non aveva motivo per non soddisfarlo.
L'agitazione la sfiorava ben poco e non era dell'umore giusto per tormentarsi con pensieri negativi.
Era bello, dopo un pomeriggio così intenso, poter mangiare del cibo sostanzioso e sorridere.
Hakai si sentiva avvolta da un sogno. Era una sensazione stranissima.
Il sapore salato della zuppa le riempiva la bocca, mentre la voce di Hiroto che chiaccherava con Yuujirou faceva da dolce sottofondo.
Appena la bionda era uscita dall'ascensore, il rosso l'aveva abbracciata e le aveva chiesto com'era andata. Hakai si era sentita felice e completa come non mai.
In quel momento, non la preoccupava il fatto che legarsi a Kiyama fosse la cosa più stupida che potesse fare. Ormai aveva poco tempo e non aveva intenzione di sprecarlo negandosi attimi di spensieratezza.
Terminò soddisfatta di cenare e tutti i presenti a tavola si alzarono per andare a vedere i punteggi alla televisione.
Hakai non si dette nemmeno la pena di lanciare un'occhiata di rimprovero al loro mentore, ubriaco fradicio come al solito.
Si sedette sul divano con Hiroto accanto; lui le passò un braccio intorno alle spalle e la bionda si sentì inebriata dal profumo di muschio bianco del ragazzo.
Sorrise, semplicemente. Non aveva bisogno d'altro.
I volti dei Tributi scorrevano sullo schermo, accompagnate da numeri che gli occhi azzurri di Hakai non registravano e la voce del presentatore che la ragazza sentiva come un brusio incomprensibile.
Si accorse di avere sonno. E si accorse anche che avrebbe potuto addormentarsi fra le braccia di Hiroto senza nessuna preoccupazione.
Arrossì leggermente e si allontanò a malincuore da quell'abbraccio, leggermente a disagio.
Non ebbe tempo di prestare attenzione al suo cuore che batteva violento contro la cassa toracica, però: la foto di Kiyama danzò sullo schermo e Hakai si rese conto di avere i palmi delle mani sudati.
Probabilmente, si disse, sto impazzendo.
Quasi non vide l'8 che apparve nello schermo subito dopo la foto del ragazzo.
Con altrettanta indifferenza vide il suo viso volteggiare con grazia nello schermo.
Osservandosi, si ritrovò a pensare che sembrasse incredibilmente fragile; quel pensiero la infastidì un poco.
E si disse che era altrettanto fastidioso quel 7 che comparve subito dopo, come a confermare la sua grazia e fragilità.
Le sembrò di sentire la voce di sua madre ripetere dolcemente che più un fiore è bello, più è fragile.
Ma a un fiore, pensò quasi nel panico Hakai, non serve a niente la bellezza se il suo stelo non riesce a resistere alle intemperie.
Si alzò di scatto, richiamando l'attenzione dei presenti. Sentì la loro accompagnatrice chiederle cosa aveva, ma non la considerò. Uscì dalla stanza, come in trance.
Si bloccò solo a metà del corridoio, quando sentì dei passi affrettati seguirla.
Fu come risvegliarsi da un sogno. Quel profumo di muschio bianco la invase e fece dissolvere il panico. Hakai si guardò intorno quasi spaesata, chiedendosi lei stessa cosa le era preso prima, che l'aveva fatta uscire così.
Si sentì arrossire e abbassò lo sguardo.
Inaspettatamente, Hiroto sorrise e la bionda si sentì sciogliere. Confermò la sua ipotesi di prima: stava impazzendo.
-Hai paura, fiorellino? Dai, 7 è un buon punteggio.- le chiese il rosso, un tono divertito e uno strano sorriso.
Hakai si perse fra i riflessi del suo sguardo.
Le mani di Kiyama le accarezzarono con dolcezza i capelli. -Non avere paura.- la sua voce era profonda, ipnotica. -Non permetterò che ti uccidano. Sei la mia principessa, ti proteggerò. Te lo prometto.-
E tutto perse senso quando le labbra di Hiroto si posarono sulle sue, in un contatto magico e folle. La giovane non capiva niente di quello che stava succedendo, ma non le importava. Si ubriacò di quel profumo e si aggrappò alla camicia del ragazzo, mentre lui le cingeva i fianchi con le braccia.
Hakai riuscì solo a pensare che quello che era il suo primo bacio. Eccolo, l'abbraccio dell'oblio.
Dopo qualche attimo però Kiyama si allontanò e le baciò la fronte, come a chiedere scusa per quel bacio proibito.
Dopo, la bionda si ritrovò in camera, avvolta nelle coperte e non seppe dire come ci era arrivata. Tutto era diventato confuso dopo quel bacio: l'unica cosa che riusciva a rievocare era il dolcissimo sapore delle labbra di Hiroto, come se dopo quell'attimo la sua mente avesse smesso di ragionare.
"Hiroto Kiyama mi ha baciata" riuscì solo a pensare e quelle parole si ripeterono come una mantra, fino a dissolversi nel torpore del sonno.
Si addormentò.

**


Hakaikuro si dondolò distrattamente sulla sedia, socchiudendo seccata gli occhi.

Appena era uscita dall'ascensore era stata letteralmente placcata dal loro accompagnatore e costretta a raccontare cosa avesse fatto, sotto lo sguardo divertito di Fudou.
La mora non vedeva l'ora di potersene finalmente andare da quella stanza.
Non le importava neanche di vedere i risultati; dopotutto, i giudizi di quel branco di idioti non la preoccupavano.
Conosceva le sue potenzialità e i suoi difetti e non aspettava certo che fossero gli Strateghi a dirglieli.
Era veramente annoiata: l'addestramento era stata una perdita di tempo - dopotutto, se uno è incapace, resta incapace - e il resto di stupidi eventi capitoliani ancora di più.
Mancavano ormai pochi giorni all'entrata nell'Arena e l'eccitazione cominciava a brulicare dentro di lei.
Finalmente il suo momento di gloria sarebbe arrivato! Era deliziata al solo pensiero di tutta quella sciocca marmaglia di ragazzini che avrebbero tremato di fronte a lei.
Ma ora non poteva fare altro che fremere su quella sedia e costringersi a deglutire una zuppa troppo salata per i suoi gusti e fantasticare.
Si sentiva come una bestia in gabbia in attesa di essere liberata.
In effetti, considerò soffocando uno sbadiglio, era un paragone azzeccato.
Appena le fu concesso, Hakaikuro si alzò di scatto, avviandosi di fretta verso la televisione e lasciandosi cadere sul divano.
Voleva andarsene al più presto da quella stanza.
Akio si chinò su di lei. -Dopo dobbiamo parlare.- le sussurrò all'orecchio, poi si andò a sedere dall'altra parte del divano, quanto più lontano possibile da lei.
La mora inarcò incuriosita le sopracciglia aguzze, chiedendosi cosa avesse di tanto importante da dirle.
Fudou Akio era quanto di più affascinante avesse mai incontrato, riflettè fra sè mentre il programma iniziava, anche se ammetterlo le costava bruciare buona parte di orgoglio.
Ebbene sì, il ragazzo la attraeva come nessuno aveva mai fatto. La mora non conosceva quella sensazione a cui non era sicura di voler dare un nome.
Quella situazione la infastidiva molto. Quando lui era vicino, una crescente agitazione e confusione la attanagliava. Hakaikuro aveva adottato la strategia dell'indifferenza: se erano lontani, tanto meglio, se erano vicini, gli parlava il minimo indispensabile ed evitava accuratamente di incrociare i suoi occhi.
Era davvero un comportamento umiliante per una combattente come lei, ma non poteva fare altrimenti.
Si sottrasse a forza da quelle considerazioni, concentrandosi sullo schermo.
Akio aveva preso un 9; davvero ottimo, anche se Hakaikuro questo lo sapeva già. L'aveva osservato molto durante l'addestramento e aveva concluso che non era niente male.
Guardò freddamente lo schermo, fissando senza interesse la propria foto. Il 10 che ne seguì la lasciò abbastanza indifferente, anche se non riuscì ad impedire che una sensazione di trionfo la pungolasse.
Se lo aspettava, dopotutto. Si sarebbe sorpresa per un punteggio minore di quello che le era stato assegnato; dopotutto lei era l'unica ad avere un'esperienza nel campo.
Subì passivamente i complimenti e il lungo discorso congratulativo dell'accompagnatore. Si scambiò uno sguardo esasperato con Akatama e provò quasi pena per lo stilista, costretto a subirsi ogni anno quello sciocco lezioso del capitoliano.
Provò un enorme sollievo quando si ritrovò nel corridoio deserto, lontano da quella voce troppo acuta e dal calore eccessivo della stanza.
Rimase appoggiata al muro, mentre Fudou la raggiungeva. Attese che fosse lui a parlare e si limitò ad osservare i giochi di ombre che le luci soffuse e asettiche del corridoio disegnavano sulla pelle d'alabastro del ragazzo.
-Complimenti, hai ottenuto un ottimo punteggio.- esclamò lui con un'ombra ironica nel tono; la mora assottigliò seccata gli occhi onice.
-Basta con i convenevoli, Fudou. Che vuoi?- ribattè gelida, continuando a fissarlo. Un sorrisetto si disegnò sulle labbra del ragazzo, facendole apparire misteriosamente invitanti agli occhi della giovane.
-Cosa voglio, dici? Ti voglio nella mia squadra.- rispose tranquillamente lui, mantenendo quel sorrisetto divertito.
Hakaikuro inarcò stupita le sopracciglia. Era l'ultima cosa che si sarebbe aspettata. -Prego?- domandò infatti, scettica.
-Chiariamo subito la faccenda. Io non ti sopporto, tu non sopporti me. La cosa è reciproca.- sibilò e la ragazza non potè che trovarsi d'accordo. -Però devo ammettere che sei una valida avversaria. I Favoriti mi hanno invitato nel loro gruppo e io ho proposto anche te nell'alleanza.- concluse e alzò gli occhi argentei, per puntarli in quelli oscuri della ragazza.
Per un attimo, la mora fu infastidita dal fatto che Fudou avesse già deciso per lei. Poi, la portata di quell'alleanza la raggiunse ed la esaltò.
-Favoriti, eh?- un sorriso maligno lampeggiò sulle labbra sottili della ragazza. -Mi piace.- disse in un sussurro e anche Akio ghignò, porgendole la mano.
-Allora ci stai?- domandò e Hakaikuro scorse uno strano brillio nei suoi occhi, una luce che le mandò i brividi lungo la schiena.
-Sì.- e strinse quelle dita fredde, suggellando un'alleanza che andava oltre all'unione delle loro mani. Era un vincolo, una promessa. Considerare Akio un'alleato appianava molte delle sue divergenze sentimentali e le risparmiava scomode elucubrazioni. I Favoriti erano i lupi che divoravano gli altri Tributi, in quei Giochi maledetti, e la mora non desiderava altro che quello.
Quella notte, Hakaikuro non ebbe incubi. Il pensiero che finalmente lei e Fudou erano legati da qualcosa tenne a bada i fantasmi e la cullò in un dolce oblio.

**


Annalisa se ne stava appoggiata alla sedia, le braccia incrociate e le labbra arricciate in un sorriso leggero.

Sì, era così che si sentiva. Leggera. Non allegra, o felice, soltanto leggera.
Dopo la sua sessione tutto era filato liscio come l'olio; aveva passato la sera a chiaccherare, nascondendosi dietro a un sorriso sbarazzino.
Non voleva che quella sensazione di serenità si spaccasse, perché dopo tanti giorni di angoscia e inquietudine quella felicità se la meritava.
Le spettava di diritto, dopotutto. E aveva paura che con un passo falso quella bramata tranquillità le scivolasse via di mano.
La ragazza socchiuse gli occhi smeraldini, facendo scorrere lo sguardo sui presenti fino ad arrivare a Shuuya.
Oh, Shuuya. Era il suo più grande enigma, l'entità che minacciava più di tutte la sua serenità.
Il resto dei suoi problemi riusciva ad abbatterli, più o meno facilmente, aiutata anche dal pensiero che Amelia e Natsumi erano sue alleate e non l'avrebbero abbandonata.
Ma Gouenji era qualcosa che andava oltre alla paura di morire. Era un problema totalmente diverso. Un problema che aveva a che fare con battiti troppo accellerati del cuore e rossore sul viso.
Non sapeva come gestire quella sensazione nuova. L'unica esperienza simile che aveva mai avuto era stata la classica cotta per il ragazzo più grande che aveva avuto ad undici anni ed era durata sì e no qualche mese.
Erano un po' gli stessi sintomi di quella volta, solo molto più intensi.
E non andava bene.
Solitamente, la riccia avrebbe riso in faccia a quest'ultima considerazione, ripetendosi che gli altri se la sarebbero fatta andare bene, questa situazione.
Però in questo momento non erano gli altri a preoccuparla. A non voler accettare la cosa era lei, questa volta.
Il fatto era che con il biondo nelle vicinanze Annalisa sentiva vacillare tutte le sue certezze. Sentiva, nell'antro più pericoloso del suo cuore, che per quegli occhi profondi avrebbe donato anche la sua stessa vita.
Arricciò il naso, increspando le labbra. Non aveva intenzione di perdersi di nuovo in quei pensieri sottili che finivano solo per confonderla.
Fu lieta di potersi alzare e concentrarsi su qualcos'altro che non fosse Gouenji.
Si avviarono verso il televisore e Annalisa si sedette trepidante.
Pian piano, riuscì a seppellire i suoi dibattiti interiori, concentrandosi su cose più presenti, più concrete. E arrivarono le preoccupazioni.
Come era andata la sua sessione? Strinse nervosamente la piuma di sua madre, mordicchiandosi le labbra piene.
I primi Distretti, come al solito, ottennero risultati eccellenti. Mentre i visi dei Tributi scorrevano sul televisore e un commentatore capitoliano faceva squillare la sua voce dall'accento stupido, la castana si chiese per la prima volta nella serata se quello che aveva fatto nella palestra sarebbe bastato.
Si chiese se spaccare la custodia della scure aveva dimostrato qualcosa, agli occhi degli Strateghi. Si chiese se sarebbe mai riuscita ad apparire letale davanti a loro.
Non era mai stata brava a sopravvalutarsi, però non credeva che sarebbe andata così male.
Non le sembrava di essere così debole, ma, dopotutto, chi era lei per giudicarsi?
Quando finalmente arrivarono al suo Distretto, Annalisa fece guizzare preoccupata gli occhi sullo schermo.
Shuuya aveva preso un 8; la riccia attese guardando quasi implorante la sua foto, come se potesse darle delle risposte.
E poi, alla fine, uno scintillante 7 apparve sullo schermo, strappandole un sospiro di sollievo.
Avrebbe potuto andare molto peggio. Il suo era un risultato positivo e dignitoso, nè troppo alto nè troppo basso. Mediamente buono, come era sempre piaciuto a suo padre.
Nel pensarlo, la castana sorrise. Era vero: l'uomo aveva sempre detto che troppo poco non andava bene, ma nemmeno esagerare era giusto.
Si chiese se lo stesse dicendo anche in quel momento, sorridendo e chiamandola "la mia Nali".
I due Tributi attesero fino alla fine del programma, chiaccherando con Blight e Samanta dei loro risultati.
Quando la loro accompagnatrice li spedì a letto, si ritrovarono per la prima volta soli in quella serata.
Annalisa avvertì un leggero imbarazzo nell'aria e si morse a disagio le labbra.
Cosa poteva dirgli? Non lo sapeva. Cosa si dice, di solito, a un tuo nemico mortale che però ti piace?
Non si era mai posta questa domanda e si accorse solo dopo di aver ammesso a se stessa che Shuuya le piaceva.
-Allora... Sono in vantaggio.- fu lui a parlare per primo, sorridendo sghembo e con un divertito tono di sfida.
Lieta che fosse stato il ragazzo a inziare il discorso, Annalisa gli sorrise di rimando.
-Ancora per poco. Troverò un modo per rovesciarti dal tuo trono, caro il mio principino.- ribattè con lo stesso tono la castana, facendogli la linguaccia.
Si guardarono qualche secondo e poi una scintilla illuminò gli occhi di lui; sfruttando l'effetto sorpresa, afferrò la ragazza per i fianchi, tirandola in un goffo abbraccio.
-Se io sono il principe, allora tu sei la mia principessa.- le soffiò all'orecchio, facendola rabbrividire. Annalisa arrossì e alzò lo sguardo per ribattere, ma Shuuya fu più veloce.
Posò le sue labbra su quelle della ragazza, che spalancò gli occhi smeraldini.
Fu questione di pochi attimi e Gouenji, mantenendo quel sorriso magnetico, la lasciò andare, senza mancare però di scompigliarle i capelli.
Le sussurrò la buonanotte con tono divertito e sparì nella sua stanza, lasciandola a bocca aperta nel corridoio.
La riccia si portò le dita alle labbra, dove quelle del biondo si erano posate.
Gouenji Shuuya l'aveva... baciata?
Fu scossa da un brivido e si rintanò in camera, sotterrandosi sotto le coperte.
Era confusa. Non poteva negare a se stessa che quel bacio le era piaciuto, e anche tanto, però non era giusto. Non poteva essere innamorata di lui, semplicemente non poteva.
Affondò nel sonno precipitando, sottraendosi ai pensieri e cullandosi nel buio familiare dell'incoscienza.

**


Misaka sedeva al tavolo con l'espressione imbronciata di chi vorrebbe essere in qualunque altro posto meno quello in cui è.

La frustrazione e rabbia che l'avevano colta durante la sua sessione continuavano a roderle il petto; si era chiusa in un silenzio assoluto e rifiutata categoricamente di mangiare.
Cecelia aveva provato a strapparle qualche parola sulla sua sessione, ma la bruna non aveva affatto collaborato, limitandosi ai monosillabi e agli sbuffi. Dopo molte di quelle risposte insoddisfacenti, anche la mentore si era stancata e l'aveva lasciata in pace.
La ragazza era seccata. Odiava gli Strateghi. Odiava Capitol City. Odiava quegli stupidi Hunger Games. E odiava più di tutti il giudizio idiota che da lì a poco le avrebbero dato.
La rabbia le rodeva lo stomaco. Ignorarla in quel modo! Come si erano permessi?! Il loro unico compito era guardare i Tributi, non potevano non farlo!
L'idea di essere stata surclassata da un banchetto era abbastanza deprimente.
Non si pentiva affatto di aver scagliato quel coltello verso gli Strateghi. Non potevano farle niente, dopotutto a Capitol City serviva un Tributo femmina del Distretto 8. Al massimo, pensò facendo distrattamente tintinnare le dita sul bicchiere di cristallo, l'avrebbero uccisa in modo cruento nell'Arena.
Venne ridestata dalla risata di Haruya; alzò frastornata gli occhi cobalto, cercando quelli dorati del rosso.
Non stava seguendo il discorso del ragazzo con Lucy, ma quel suono la ipnotizzò.
Sbuffò. Aveva già abbastanza problemi da sola, senza che ci si mettesse anche Nagumo a confonderle le idee. La malinconia che l'aveva presa prima della sua sessione era stata completamente spazzata via dalla rabbia per essere stata ignorata e non aveva intenzione di farsela tornare.
Haruya e gli scintillii potevano anche aspettare. Ora il suo problema più grande erano i risultati delle sessioni.
Per quando potesse non importarle, erano importanti. Il numero di persone disposte a sponsorizzarla sarebbe stato in gran parte determinato da quel voto e l'idea di essersi giocata gli sponsor per la sua dannata testa calda era inammissibile.
Si disse, quasi per consolarsi, che almeno suo padre sarebbe stato fiero di lei e del suo animo ribelle.
Quando tutti ebbero finito di cenare, si alzarono per andare a vedere i risultati alla televisione.
Cecelia le dette un buffetto sulla testa e Haruya sbuffò visibilmente, lasciandosi cadere sul divano e lanciandole un'occhiataccia.
Misaka ricambiò sfacciatamente quello sguardo; non poteva farci niente, lei, se la mentore le voleva bene. Che Nagumo si adattasse! Non era un problema suo.
Si sedette accanto al ragazzo, con cui scambiò uno sguardo al veleno.
No, si disse, non brillava nessuna scintilla in quegli occhi color miele.
In un'altra occasione, quella considerazione l'avrebbe rattristata, ma non era dell'umore adatto per dar peso a certe sottigliezze.
Il programma partì e i risultati iniziarono ad essere trasmessi. Misaka si sporse e individuò il voto di Kiara.
Tsk, quella bimbetta non era mica da sottovalutare! Si sentì quasi orgogliosa mentre lo pensava, come se fosse merito suo.
Attese svogliatamente, osservando i Tributi sfilare davanti ai suoi occhi.
Vide Nagumo esultare silenziosamente per il buon voto di quel Hiroto Kiyama, il ragazzo del 5. Misaka non potè impedire a una punta di gelosia di pungolarla, capendo che Nagumo aveva stretto un'alleanza con quell'altro rosso.
Il loro Distretto arrivò troppo presto per i suoi gusti. Cercò di assumere un'aria indifferente, ma non era brava a mascherare le emozioni.
Una goccia di sudore freddo le scivolò lungo il collo, mandandole un brivido.
Nagumo aveva preso 9; lui le indirizzò un'occhiata vittoriosa e Misaka alzò infastidita il mento, mandandolo mentalmente al diavolo.
Quei secondi di attesa furono logoranti; non voleva perdere quella sfida con Haruya, anche se dentro di sè sentiva che non doveva farsi false speranze.
Un brivido. Poi, un brillante 10 volteggiò per lo schermo, lasciandola a bocca aperta.
Quando realizzò che aveva preso un voto altissimo, proruppe in un grido di gioia, scattando in piedi.
Il volto di Nagumo si oscurò, forse per la rabbia di essere stato battuto. La bruna lo guardò con aria di superiorità, mentre Lucy trillava elogi verso di lei e Cecelia l'abbracciava stretta.
10! Era un voto così alto che quasi le toglieva il fiato, specialmente perché il suo non era un Distretto fra i Favoriti ed era raro che raggiungesse vette così alte.
L'orgoglio la invase come un fiume in piena, facendola sorridere, sorridere, sorridere. Si dimenticò totalmente della frustrazione che prima l'attanagliava.
Rimase nella stanza a sentire le complimentazioni degli adulti fino alla fine del programma. Sarebbe rimasta anche oltre; il sonno non la sfiorava minimamente e il successo le mandava brividi di adrenalina per la schiena, invogliandola a sorridere ancora di più.
Però la loro accompagnatrice li spedì a letto e i due Tributi non poterono che obbedire.
Misaka voleva burlarsi di Nagumo, voleva prenderlo in giro e ridere di lui.
Si sentì quasi in colpa mentre lo pensava, ma scacciò quella sensazione con un sorriso di vittoria. Dopotutto, aveva il diritto di essere orgogliosa.
Ma inaspettatamente, Haruya sogghignò verso di lei. -Ti sei montata la testa, eh? Povera, piccola illusa.- ridacchiò e un ombra oscurò gli occhi cerulei della bruna. Si impose di non insultarlo.
-Tsk, lo dici solo perché ti ho battuto.- esclamò altezzosa, incrociando le braccia al petto.
La risata di Haruya ebbe il potere di farle mancare la terra sotto ai piedi. Dannazione, perché doveva essere così bello mentre rideva?
-Aspetta e ti ricrederai. Perché sai, Misaka, tutti abbiamo qualche asso nella manica.- e l'unica cosa che la bruna riuscì a pensare, fu che il suo nome era bellissimo pronunciato dalla voce del ragazzo.
Si limitò a guardarlo sospettosa, senza riuscire a pensare a un modo per rispondergli.
Haruya si avvicinò fino ad essere a un palmo dal suo viso e sfregò il naso contro al suo, facendola arrossire furiosamente.
-C-Che diavolo fai?!- esclamò lei, indietreggiando imbarazzata.
Lui rise ancora. -Ricordati che ho sempre io il coltello dalla parte del manico. E non sarà uno stupido 10 a cambiare qualcosa.- ammiccò e, con uno strano bagliore nello sguardo, sparì dietro la porta della sua camera.
Misaka rimase immobile nel corridoio, le guance ancora bollenti d'imbarazzo.
-Vai al diavolo...- bofonchiò sottovoce per poi correre dentro la sua camera.
Haruya riusciva sempre a confonderla ed era una cosa veramente odiosa. Non riusciva a sopportare il potere che il rosso aveva sulle sue emozioni.
Sprofondò fra le coperte e si addormentò di schianto, con l'immagine del viso di Haruya, così vicino e invitante.

**


Natsumi appoggiò il viso al palmo della mano, assottigliando annoiata gli occhi.

Aveva mangiato di malavoglia, giusto per accontentare il loro accompagnatore; non aveva intenzione di parlare con Daniel, men che meno con Kazemaru, quindi non le restava che aspettare il momento in cui sarebbe uscita da quella stanza.
Affondò le mani nei capelli, sospirando leggermente; aveva evitato totalmente ogni contatto con il turchese, non volendo subire di nuovo la sensazione che l'aveva scossa prima della sua sessione.
Sul serio, di illudersi non ne aveva più voglia. Si era presa una stupidissima cotta per Ichirouta e, si disse, era arrivata l'ora di ammetterlo a se stessa.
La cosa, stranamente, le lasciava una fastidiosa irritazione al centro del petto, non la classica marea di preoccupazioni che di solito aveva provato quando si era innamorata.
Era avvolta in una stanchezza pressante che la rendeva insofferente a qualsiasi cosa. Decisamente, non vedeva l'ora di poter affondare nelle coperte e dormire, lasciare che i suoi pensieri venissero divorati dall'incoscienza.
Ecco come si sentiva: stanca di pensare.
Era paradossale, perché era quello il momento in cui si sarebbe dovuta affrettare a pensare all'intervista che presto avrebbero fatto, ma non aveva voglia di pensare più a nulla.
Ancor meno a Ichirouta e la sua cotta adolescenziale. Con una dolorosa freddezza, aggiunse che probabilmente sarebbe stata la sua ultima cotta adolescenziale. Il secondo pensiero avrebbe dovuto colpirla, ma la lasciò indifferente.
Quando tutti ebbero finito di mangiare, si alzò e si andò a sedere sul divano, davanti al televisore che fu prontamente acceso da Xerxes.
Lo stilista le strizzò l'occhiolino e le lanciò una caramella dal suo inseparabile sacchetto. Natsumi osservò la carta colorata e la strinse nel palmo, senza aprirla.
Il programma iniziò e la stanza si riempì dei commenti del presentatore. La sua voce era una fastidiosa nenia indefinita alle orecchie della rossa.
Registrò con assoluta indifferenza l'alto punteggio di Annalisa e il lampo di vittoria sul viso di Kazemaru quando vide il risultato del ragazzo del 7 non sfuggì ai suoi occhi attenti.
Probabilmente, aveva stretto un'alleanza con quel biondino dallo sguardo profondo. Era un pensiero che avrebbe dovuto esserle indifferente come gli altri, ma che la pungolò leggermente.
Stizzita, riportò l'attenzione sullo schermo: Kazemaru aveva preso un 7.
Rimase gelidamente immobile, senza riscontrare reazioni. A volte, la sua freddezza era così tranquillizzante... Voleva dire che andava tutto bene.
E fu piacevole sentire che anche il suo 9 non intaccò l'aura fredda che l'aveva avvolta.
9... Era alto. Ma dopotutto non si aspettava certamente un voto basso, lei che era stata addestrata sin da bambina.
Attese fino alla fine del programma, per non perdersi il punteggio di Amelia.
Le congratulazioni del gruppo di capitoliani non la sfiorarono minimamente. Si limitò a stringere più forte la caramella e scambiarsi un'occhiata con Xerxes. L'uomo le sorrise calorosamente e Natsumi distolse lo sguardo.
Davanti a quel sorriso, si sentiva a disagio, anche se non sapeva spiegarsi perché.
Il silenzio del corridoio vuoto, come aveva immaginato, fu tranquillizzante.
Ma la sensazione di serenità sparì in fretta, quando la rossa si rese conto che ora niente poteva salvarla dallo scontro con Ichirouta.
Arrossì, cercando disperatamente una via di fuga. Non voleva parlargli, non ora che era così confusa!
Il sospiro del turchese la fece gelare sul posto.
-Chissà come deve essere bello, avere un genitore che ha vinto gli Hunger Games.-
Natsumi rimase ferma. Non sapeva cosa rispondere e Kazemaru di certo non si aspettava che lei dicesse qualcosa.
-Ti invidio tanto, sai? Per te è sicuramente tutto facile. Sei avvantaggiata, in confronto agli altri. Anche io scommetterei su di te, se potessi farlo. Con un po' di fortuna, hai la vittoria in tasca. Chissà come deve essere bello e semplice, per te.-
Kazemaru alzò lo sguardo, incatenando i loro occhi. Natsumi non disse niente. Si sentì sconfitta, sfinita. Era stanca, stanca di fingere, stanca di giocare, stanca di pensare, stanca.
Prese un profondo respiro che sapeva di polvere.
-Tu non capisci.- mormorò solo, distogliendo lo sguardo. -Io... Io non volevo essere qui. Era il sogno di mia madre e io lo sostenevo per non deluderla. Ma non l'ho mai voluto.- Era l'unica cosa che le era venuta in mente. Ed era vera.
Finalmente l'aveva detto a qualcuno. Prima che riuscisse a fermarla, una lacrima scivolò sulla sua guancia.
La asciugò brutalmente. Era una stupida.
Kazemaru l'abbracciò. Profumava di bei sogni. Affondò il viso nei suoi capelli e pianse.
Non sapeva per cosa stava piangendo. Piangeva per tutto. Piangeva per le parole mai dette e per la paura. Piangeva, semplicemene.
Era liberatorio e poi Ichirouta aveva un così buon odore. Pianse anche per quello, per quell'amore sciocco che l'avrebbe distrutta. Lo sapeva.
Rimasero fermi, i due Tributi, dondolandosi in quell'abbraccio per un tempo infinito. Il turchese le sussurrò all'orecchio parole che Natsumi non sentì, ma che ebbero l'effetto di calmarla.
Si allontanarono piano, lentamente, quasi avessero terrore di rompersi se si fossero staccati troppo in fretta. Si guardavano negli occhi.
Kazemaru le sistemò una ciocca fulva dietro all'orecchio, con un sorriso intenerito che fece battere il cuore alla giovane. Le labbra di Ichirouta le sfiorarono la guancia umida e, sussurrandole la buonanotte, il turchese sparì nella propria camera.
Natsumi entrò nella sua barcollando, distrutta. Si lasciò cadere fra le coperte, ma non pianse. Aveva pianto abbastanza, per quella sera. Strinse solo la caramella di Xerxes, ancora intatta.
Sprofondò nel sonno con una dolcezza che sapeva di disperazione, con le cicatrici delle lacrime ancora impresse nelle gote.

**


Roxie si dondolava sulla sedia, sorridendo allegra.

Appena era uscita dall'ascensore aveva provato ad attaccare bottone con Yuuto. Purtroppo, Kidou non era molto propositivo: era rimasto con il naso affondato nei suoi dati anche durante la cena, suscitando l'irritazione della loro accompagnatrice.
La rossa era amareggiata, ma cercava di non darsi per vinto; il comportamento del castano era ingiusto e le lasciava in bocca il gusto amaro della delusione.
Non sapeva precisamente cosa si aspettava; però, dopo le chiacchere sul treno, pensava... Non lo sapeva neanche lei cosa pensava, cosa sperava di aver creato con il ragazzo.
Era tutto così confuso: l'unica cosa che sapeva per certo era che non voleva essere ignorata in quel modo da Kidou.
Si sentiva anche abbastanza stupida, per essersi illusa. Come una bambina sciocca a cui è stata negata la caramella prima promessa.
Che poi, quel paragone era stupido: Yuuto non le aveva promesso assolutamente niente, aveva fatto tutto da sola. Era un pensiero così triste...
Però non si sarebbe affatto arresa; avrebbe parlato con Kidou dopo, anche a costo di spingerlo contro un muro e cavargli le parole a forza.
Nascose dietro al cucchiaio di zuppa una risatina che quella situazione immaginaria le aveva fatto salire in gola.
Non era dell'umore giusto per farsi le paranoie. Per quelle, aveva tutta la notte a disposizione.
Passò la cena chiaccherando del più e del meno con Leila; i manicaretti capitoliani erano deliziosi e ne mangiò fin quando non le fece male la pancia. Dopotutto, chissà quando, nell'Arena, avrebbe fatto un pasto decente. Il minimo che poteva fare era abbuffarsi finché ne aveva la possibilità!
Appena tutti ebbero finito di mangiare, si spostarono davanti alla televisione per vedere i risultati delle sessioni private.
Roxie non era per niente preoccupata; non era mai stata brava a sottovalutarsi e conosceva le sue capacità.
-Ta-ta-ta-taaaannn...- momorò appena si fu seduta, per smorzare la tensione, imitando il suono grave del pianoforte e muovendo le dita in aria come se stesse premendo dei tasti.
Kidou, di fianco a lei sul divano, scosse la testa, in un modo che doveva essere sconsolato, ma si tradì con un sorrisetto divertito e alquanto rassegnato.
A quella reazione, la rossa si rilassò e gli sorrise di rimando.
Era felice di riuscire a farlo sorridere, perché la luce che gli brillava negli occhi vermigli quando lo faceva era semplicemente meravigliosa.
Il programma iniziò e Roxie passò in rassegna di ogni Tributo man mano che le loro foto sfilavano sullo schermo.
I punteggi era molto alti, per tutti. Iniziava a sentire una leggera tensione attanagliarle la gola.
Fu felice per il 7 di Hakai. Non avevano stretto una vera e propria alleanza, in realtà, ma le piaceva pensare alla bionda come a un'amica.
Arrivarono al Distretto 10 troppo presto; si era ripromessa di non agitarsi, ma avvertiva l'ansia crescere, mentre la foto di Yuuto appariva sullo schermo.
I commenti del presentatore erano inascoltabili per lei, niente di più che un misero sottofondo.
Il 9 di Kidou la fece sorridere e si premurò di stringere la mano al ragazzo per comunicargli la sua allegria. Il castano arrossì lievemente a quel contatto e le dedicò uno sguardo strano, che la giovane non riuscì a decifrare.
Il suo volto apparve subito dopo; stranamente, i secondi di attesa non furono logoranti e il suo 8 ebbe solo l'effetto di sciogliere quel nodo d'ansia che le si era creato in gola.
Le sue labbra carnose si dischiusero in un bellissimo sorriso soddisfatto; era da tanto che il suo Distretto non otteneva punteggi così alti!
L'allegria le montò nel petto con una velocità disarmante e si ritrovò a festeggiare con gli adulti.
La loro accompagnatrice aprì una bottiglia di champagne e brindarono al successo del loro Distretto.
Per quei minuti, Roxie dimenticò totalmente di essere delusa, amareggiata e in collera con Kidou.
Sentiva solo una grande voglia di sorridere, come se tutto andasse e sarebbe sempre andato bene.
Era una bella sensazione, tutto sommato. Presto però furono mandati a letto dal buon senso di Leila, che non voleva avere i Tributi stanchi, la mattina dopo, quando avrebbe dovuto prepararli per l'intervista.
Nel fresco del corridoio si lasciò sfuggire un sospiro stanco, ma contento. Era felice che la sessione privata fosse andata bene; iniziava a vedere delle possibilità di tornare a casa da Mia e la nonna e ciò bastava a farle dimenticare tutto.
Tutto, meno un piccolo conto in sospeso con Yuuto.
Stava per parlare, ma, con sua somma sorpresa, fu Kidou ad andare verso di lei.
La guardò un attimo e le parve terribilmente indeciso, terribilmente fragile; Roxie si crucciò, chiedendosi che cosa turbasse in questo modo il castano.
Lui aprì bocca un paio di volte, ma la richiuse subito.
-Tutto bene?- domandò con voce sommessa la ragazza, posando una mano sulla spalla di Yuuto.
Il giovane sospirò e le prese le mani, depositandoci dentro un bracciale.
La rossa lo guardò perplessa; non capiva il nesso fra il comportamento del ragazzo e quell'oggetto.
-Me... Me l'ha dato Haruna.- disse lui, sommessamente, per poi scuotere leggermente la testa. -Ma tu lo meriti più di me. Eri sua amica e lei si fidava di te. Tienilo.- parve sul punto di aggiungere qualcosa, ma poi si voltò e sparì nella sua camera.
Roxie rimase immobile, stupita e confusa. Guardò il braccialetto; era intrecciato a mano con lo spago chiaro, insieme a perline colorate che formavano una gradevole sequenza. A tutte le bambine insegnavano, a scuola, a fare bracciali come quelli; Mia gliene aveva regalati a centinaia.
Se lo allacciò al polso, assorta, per poi entrare in camera.
Sentiva che sotto le parole di Kidou c'era qualcosa, un significato che non riusciva ad afferrare.
Quella notte prendere sonno fu tremendamente difficile.

**


Skylin sorrise.

Per tutta la cena, non aveva fatto che quello.
Trovava la situazione buffissima, paradossale: aveva rotto il campo di forza che proteggeva gli Strateghi... cantando?
Ridacchiò sommessamente. La piccoletta del Distretto 11 che li faceva sfigurare in questo modo! Dovevano vergognarsi moltissimo in questo momento.
Era certa che questo fatto non si sarebbe divulgato, però Skylin, nel suo piccolo, si sentiva tremendamente soddisfatta, come se avesse già una piccola vittoria nella sua collezione.
Non vedeva l'ora di raccontare a Kiara e Misaka com'era andata.
In realtà, era parecchio strano: non pensava che i campi di forza si potessero rompere con le onde sonore eccessivamente acute. Non era mai stata un genio nelle materie scientifiche, però le sembrava una cosa da fantascienza.
Non che le desse fastidio aver arrecato tanti danni ai capitoliani, anzi. Solo che era incredibile, quasi ridicolo.
Aveva ignorato totalmente Atsuya, che continuava a lanciarle occhiate indagatrici. Probabilmente, pensò la castana sorseggiando la zuppa, stava pensando che lei fosse pazza, dato che continuava a sorridere come una sciocca.
Pensare al ragazzo le provocò una fitta alla bocca dello stomaco. Da quando era uscita dall'ascensore, aveva notato che l'arancione aveva un'aria parecchio soddisfatta. Un'aria che confermava i suoi peggiori sospetti.
Durante l'addestramento, l'aveva tenuto d'occhio - sopratutto dopo la zuffa con il ragazzo del 6 -.
Non le era ancora andata giù quella questione, perché Fubuki non aveva il diritto di comportarsi da incosciente in questo modo. Comunque, a preoccuparla non era la sua propensione a fare a botte, ma le alleanze che sembrava aver stretto.
Non era sicura, ma Atsuya aveva passato molto tempo con i Favoriti e Skylin era spaventata dalla possibilità che lui si fosse unito al loro gruppo.
Il loro Distretto non era mai fra i Favoriti, però capitava che venisse accolto in quell'alleanza anche qualche Tributo particolarmente bravo.
Era terrorizzata all'idea che Fubuki fosse un Favorito, anche se non sapeva bene perché.
La voce di Naigel che la chiamava la riscosse. Non si era nemmeno accorta che tutti i presenti si erano spostati davanti alla televisione.
Andò a sedersi di fianco ad Atsuya e, vedendo quella luce fiera brillargli nello sguardo, fu certa che i suoi peggiori sospetti fossero veri.
Gonfiò le guance e incrociò le braccia al petto, sprofondando nel divano; non riusciva a crederci.
Il programma iniziò e Skylin provò inutilmente a concentrarsi; registrò con passività i punteggi delle sue alleate e guardò apaticamente tutti i visi dei Tributi.
Forse, mentre i risultati dei ragazzi del Distretto 10 scorrevano sullo schermo, la sfiorò il pensiero che, avendo distrutto il campo di forza, gli Strateghi avrebbero potuto decidere di darle il punteggio più basso nella storia degli Hunger Games.
Ma era un'idea sfuggevole e volò via quando il 9 di Atsuya brillò sullo schermo.
La castana guardò quel numero con aria crucciata: effettivamente, quello era un punteggio da Favoriti.
Represse un sospiro e osservò in attesa la sua foto; sembrava più piccola di quanto fosse in realtà e quel pensiero la irritò leggermente.
I secondi che seguirono furono snervanti, corrosivi: poi, un 10 accecante balzò sullo schermo.
Skylin battè gli occhi dorati, come se fosse colta da un'allucinazione. 10? Dopo quello che aveva fatto? Dopo aver distrutto il campo di forza?
L'esclamazione di vittoria le crebbe in gola più tardi del previsto, ma fu comunque accompagnata dai complimenti degli adulti.
10! Non si vedeva un punteggio così alto nel suo Distretto da chissà quanto.
Rise, mentre Seeder le scompigliava i capelli e dava un buffetto ad Atsuya, complimentandosi con loro.
L'euforia, comunque, le scivolò ben presto di dosso e tornarono le preoccupazioni. Doveva parlare con Fubuki, confermare i suoi sospetti.
Per questo non perse un momento, appena furono soli nel corridoio freddo.
-Fubuki.- esordì e l'arancione la guardò con un sorrisetto ironico.
-Quindi...- incrociò le braccia al petto, la voce fredda, traboccante di risentimento. - ...ora te la fai con i Favoriti.-
Non era una domanda, ma nemmeno un'affermazione. Sembrava una constatazione che voleva essere smentita. Ma Atsuya si limitò a scrollare le spalle.
-E tu te la fai con la piccoletta del 3 e la bruna dell'8. E allora?-
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Skylin non credeva di essere sul punto di scoppiare, ma quel "e allora" la colpì troppo forte.
-E allora?!- strillò infatti, gli occhi spalancati e furenti. Lo inchiodò al muro, stringendogli il colletto della maglia nelle mani. -I Favoriti! Ma lo sai cosa sono i Favoriti?! Per anni hanno ucciso i nostri Tributi e ora tu hai il coraggio di dirmi "e allora"?!- avvertì la voce diventare eccessivamente acuta e le mani tremare, come se fosse sul punto di piangere. -Ma tu non ci pensi?! Non ci pensi a Shirou? Shirou non l'avrebbe mai fatto! Lui... Lui avrebbe...- la voce le si ruppe e non continuò più. Ora sì che stava per piangere.
Questa volta furono gli occhi di Atsuya ad incendiarsi. Si liberò dalla stretta della ragazza con uno scrollone.
-Shirou ti avrebbe abbracciata e consolata e protetta come una principessa! Ma...- la voce di Fubuki tremò. -Ma io non sono Shirou! Smettila, smettila di paragonarmi a lui! Io non sono e non sarò mai come Shirou! Mettitelo bene in testa! Io voglio sopravvivere e sopravviverò, a qualunque costo. Anche a costo di allearmi con i Favoriti!- si fermò, il fiato grosso, gli occhi luccicanti di lacrime o forse di collera.
Skylin non disse niente. Era troppo frastornata, troppo impegnata a trattenere le lacrime per dire qualcosa.
-Mettitelo bene in testa, Skylin. Io non sono Shirou.- sibilò Fubuki con voce fredda e poi sparì dentro la sua camera.
Forse la castana sentì l'eco dei singhiozzi, dietro quella porta, ma non entrò mai per controllare. Si voltò e camminò, fin quando non cadde fra le lenzuola profumate del suo letto.
E pianse. Pianse fino a quando le illusioni non furono finite. Pianse fin quando le lacrime non smisero di scendere. Pianse fino a cadere nel sonno.

**


Amelia era sdraiata supina sul letto.

Aveva amabilmente ignorato i richiami di Effie e si era premurata di chiudersi a chiave in camera, in modo da non farla entrare. Non aveva assolutamente intenzione di mangiare, né di presentarsi a tavola.
Certo, avrebbe dovuto trascinarsi fuori da lì per vedere i risultati delle sessioni private, ma ci avrebbe pensato dopo.
Osservava il soffitto con aria assorta, le mani strette intorno all'ametista che le aveva regalato suo padre.
Aveva percorso talmente tante volte i bordi sbeccati e le fenditure della pietra preziosa che ormai le sue dita ne conoscevano a memoria tutte le insenature.
Tracciò con le unghie una crepa. L'ametista non era più fredda, ma era stata vagamente riscaldata dal tepore delle sue mani.
Doveva parlare con Fideo. Già. Il solo pensare al ragazzo la faceva ribollire di rabbia.
Come aveva potuto proporre un'alleanza senza nemmeno consultarla? In un angolo della sua mente, un'odiosa vocina le diceva che anche lei aveva fatto lo stesso, ma la zittì prepotentemente.
Era il ragazzo in torto, non lei. E poi, Natsumi e Annalisa erano ottime combattenti, mentre quel Kidou...
Non voleva litigare con l'alleato, assolutamente no. Però non poteva neanche accettare questa decisione a priori.
Sospirò, pensando che Leila l'avrebbe sgridata per essere così prevenuta nei confronti di Kidou. Forse, quel ragazzo aveva dei lati nascosti.
In effetti, se ci pensava bene, non era nemmeno così male. L'aveva visto di sfuggita durante l'addestramento e aveva fatto una trappola così avanzata che anche l'istruttore era rimasto impressionato.
Un fastidioso senso di colpa le pizzicò il petto, facendola ringhiare. No, non sarebbe andata a scusarsi con Fideo, ben che meno con quel Kidou.
Ne andava del suo orgoglio.
Si mise a sedere stizzita e diede un'occhiata all'orologio. Il programma doveva essere iniziato da poco.
Si stiracchiò e andò in bagno a sciaquarsi il viso, con tutta calma. Osservò allo specchio le sue gote arrossate dall'acqua calda e si legò i capelli spettinati in una treccia.
Poi uscì e attraversò il corridoio con passo di marcia.
Appena entrò nella sala, le reazioni a catena furono sorprendenti. La Trinket squittì e iniziò a sgridarla per il suo comportamento ineducato, Haymitch, del tutto ubriaco, se ne uscì con uno dei suoi commenti di pessimo gusto, Elise la salutò con la mano e Fideo la guardò, nascondendo una risatina.
Amelia rimase un attimo ferma all'ingresso, forse valutando l'idea di andarsene, poi andò a sedersi di fianco al castano ignorando totalmente tutti i presenti.
Incrociò le braccia e guardò la televisione.
Erano arrivati al Distretto 6. Fu sollevata, perché era arrivata in tempo per vedere i risultati di entrambe le sue alleate.
Una volta che anche il 9 di Natsumi fu sparito dallo schermo, lanciò un'occhiata di superiorità a Fideo, che le indicò con un cenno lo schermo, senza ribattere.
Quando vide che quel Kidou, quello che lei aveva definito insignificante, aveva preso un 9, fu attraversata da una scarica di frustrazione.
Sprofondò nel divano, imbronciata. Era molto meglio di quanto pensasse, quel ragazzetto.
Il punteggio di Fideo le fu del tutto indifferente: un 7, buono per uno dei Distretti più mediocri.
La sua foto fu seguita da un 8. Amelia rimase a fissarlo per un po', prima di riuscire ad abbozzare un sorrisetto orgoglioso. Beh, era sempre un punto in più di Fideo. "E uno in meno di Kidou" ci tenne a ricordarle l'odiosa vocetta nella sua testa.
I complimenti che seguirono furono la cosa più snervante della serata; Amelia voleva solo uscire da quella stanza, parlare con Fideo, spuntarla su di lui e ritirarsi nella sua camera.
Dopo quella che le sembrò un'eternità, riuscì ad uscire. Il corridoio era fresco ed illuminato dai lampadari asettici.
I due Tributi rimasero fermi e in silenzio per un po', fin quando Fideo, stanco di dondolarsi sui talloni, abbozzò un sorriso.
-Sei molto bella con la treccia.- disse candidamente, ma la ragazza non cambiò minimamente d'espressione.
-Non ho cambiato idea e non la cambierò con i tuoi complimenti.- dichiarò fredda, scoccandogli uno sguardo di rimprovero.
Fideo sospirò. Doveva raccontarle tutta la storia, allora. Si appoggiò alla parete e Amelia fu quasi intimorita dall'espressione seria del suo volto.
-Sai, io ho una sorellina.- quelle parole, bastarono a far correre un brivido sulla schiena della ragazza.
-Ha sette anni ed è bellissima. Ha i capelli biondi come il grano e una risata candida. I suoi occhi... sono spettacolari. Non sono occhi del Giacimento. Sono verdi, verdi come il sole attraverso le foglie, verdi e brillanti come smeraldi. Si chiama Rushe.- un sospirò scivolò dalle labbra del ragazzo. -La mia sorellina è cieca.-
Quell'affermazione colpì Amelia come un pugno nello stomaco. Conosceva Rushe di vista, perché di bambine bionde e con occhi così verdi ne esistevano poche, nel Distretto 12. Quella bimba era nota per la sua allegria; vedeva del bello in tutto.
-Una rara malattia agli occhi l'ha colpita l'anno scorso. Si potrebbe guarire, ma... i costi sono troppo elevati.-
La ragazza annuì. Lo sapeva fin troppo bene. Quando sua madre si era ammalata di cancro, sarebbe stato possibile guarirla all'inizio, con alcuni interventi a Capitol City. Ma le cure mediche di questo tipo costavano troppo per quasi tutte le famiglie del loro Distretto.
Fideo alzò lo sguardo e lo puntò su di lei. Amelia si sentì affogare in quegli occhi profondi come l'oceano. -Se vincessi, potrei pagarle l'operazione e la mia Rushe tornerebbe a vedere. E' per questo che voglio assolutamente vincere. E' per questo che ho bisogno di Yuuto. Non chiedermi scusa, se costa troppo al tuo orgoglio, ma accettalo nell'alleanza.-
La castana trattenne il fiato. Non se lo aspettava. Si morse le labbra e deglutii. -D'accordo.- mormorò piano. -D'accordo.-
Fideo le dedicò un sorriso bellissimo, che la fece vergognare per il suo comportamento egoista. Dopotutto, lei voleva vincere solo per sopravvivere, solo per se stessa.
Lui le augurò la buonanotte ed entrò nella sua camera. Amelia si appoggiò al muro e sospirò rumorosamente.
Non poteva farsi coinvolgere in questo modo. Non avrebbe mai più dovuto lasciarsi commuovere da queste storie. Lei doveva tornare a casa.
"Scusa Rushe" pensò, mentre entrava nella sua camera e si lasciava sprofondare nel letto. "Ma io voglio sopravvivere".
















Beh... Eccomi qui.
Scusate per i mesi di assenza; non voglio cercare scuse, quindi dirò la verità. Ero troppo pigra e impegnata con i compiti per terminare questo capitolo.
Ora però ce l'ho fatta.
Mi dispiace, ma state certi che non abbandonerò questa long. Ci tengo troppo.
Volevo solo ringraziare tutti i coraggiosi che ancora seguono questa fanfic.
Grazie, è solo per voi temerari che continuo a scrivere.
Spero di riuscire ad aggiornare più spesso e non sparire per così tanto, in futuro.
Un ringraziamento speciale va a MarinaDust 99, la mia neechan, che finalmente oggi ho incontrato.
Grazie, grazie, grazie tesoro. Non credo che sarei riuscita ad aggiornare se tu non me l'avessi continuamente ricordato.
Questo capitolo è dedicato a tutti voi, ma proprio tutti, che ancora si ostinano a seguire i miei aggiornamenti, nonostante sparisca per molto tempo.
Sperando di essere più puntale, nel nuovo anno,
Lucchan

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