Acquamarina

di Diomache
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.Damaged ***
Capitolo 2: *** 2. Proprietà ***
Capitolo 3: *** 3.Ambrosia ***
Capitolo 4: *** 4.Dinosauri da compagnia ***
Capitolo 5: *** 5.Nightmares ***
Capitolo 6: *** 6. Bianco e Nero ***
Capitolo 7: *** 7. A day in a life ***
Capitolo 8: *** 8. Molto oltre la mia immaginazione ***
Capitolo 9: *** Chi sei, dove sei. Dove andrai (perso nel vento) ***
Capitolo 10: *** Blood of my blood. ***



Capitolo 1
*** 1.Damaged ***


ACQUAMARINA

 

 

1.Damaged

 

Ci dividono due misere zuppe.

Non hai fame, lo capisco, eppure continui a portarti il cucchiaio alla tua stupida piccola bocca rosa, apri, ingoi, di nuovo, meccanica, ma deglutisci sì o no?

Senza accorgermene (vivo in semi-incoscienza) sbatto il mio cucchiaio, furioso, sul tavolo. Sobbalzi.

Mi guardi.

I tuoi occhi indefiniti sembrano non vedermi.

Siamo due fantasmi. Sopravvissuti a qualcosa che non abbiamo scelto, sconfitti da una guerra che non c’apparteneva. Umiliati dai vincitori, adesso chi siamo? Che posto occupiamo?

Le nostre famiglie ci hanno distrutto, assetato di potere sin da piccoli, avvelenato con i loro sporchi ideali ci hanno fatti paladini di una causa loro, ma proprio loro adesso possono permettersi il lusso di ritirarsi nella vecchiaia, lontano dal mondo di giusti che li ha sconfitti, e soltanto noi affrontiamo l’infamia a cui ci hanno condannati.

L’ultima beffa è l’idea di questa specie di matrimonio combinato per salvare i nostri due casati, Malfoy e Greengrass, dalla bancarotta.

Mi disgustano.

Sei una stupida pedina anche tu, eppure ti odio.

Dovrei sentirti dalla mia parte ma non ce la faccio.

“Ho capito che non mangi, non c’è bisogno che attiri l’attenzione come un bambino.”

“La tua presenza mi dà la nausea.”

Mi colpisci con uno schiaffo in pieno viso e non me l’aspettavo. Mi riprendo e al volo faccio per vendicarmi ma mesi di insonnia e inappetenza mi hanno reso debole: con un gesto veloce mi sfuggi, svolazzando appena i lunghi capelli castani.

Il matrimonio è tra due mesi.

Ci conosciamo appena da tre e nessuno dei nostri incontri è andato meglio di questo.

Ci osserviamo per un’altra manciata di secondi, i tuoi occhi sono iniettati di sangue e un fuoco caldo ti brucia le guance. Inaspettatamente, urli.

Mi ritiro involontariamente mentre assisto a te che batti i piccoli pugni sul tavolo e trascini la tovaglia a terra e tutto s’infrange in cocci, urla e lacrime.

Io che sono stravolto da quello che vedo, non sembro neppure esistere per te.

È uno sfogo intimo, personale. È chiaro che io faccio parte della tua frustrazione ma in questo momento non ti sono affatto rilevante.

Alla fine ti calmi. Ansimi ancora però, appoggiando la testa al palmo della mano.

È in quel momento che i miei occhi si riempiono di lacrime, qualcosa nel tuo dolore mi strugge. Le trattengo tutte ma la mia commozione non ti sfugge.

Ci guardiamo, forse per la prima volta davvero.

Sto per parlare ma tu non ci stai; scosti rumorosamente la sedia e croccando le scarpe sui vetri del pavimento fai per andartene ma ti afferro velocemente per un polso, alzandomi in piedi.

Sembri quasi stupita, come se ti fossi accorta di me solo in quell’istante. “Che vuoi.”

“Non lo so.”

Mi sento tremendamente idiota.

“Ma non andare.”

Forse i tuoi occhi non sono grigi. Forse sono di uno strano verde.

“Va bene.” Inaspettatamente.  “Ma ti picchierò ancora, ti avverto.”

Non so se è il tuo tono, o il modo di arricciare il naso o la stanchezza di tanta serietà ma ho voglia di sorriderti. “Questa volta non riuscirai a sfuggirmi.”

Di nuovo il tuo sguardo sembra stringere le mie viscere in un pugno.

“è tutto perduto per me.”

Non credo di sbagliarmi nell’udirti dire, sottovoce. “Anche per me.”

Sì, anche per te, Astoria.

 

 

 

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Capitolo 2
*** 2. Proprietà ***


ACQUAMARINA

 

2. Proprietà

 

 

Malfoy Manor.

Decadente e spettrale condanna del mio futuro.  Questo temporale non aiuta.

Non conosco la casa ma non riesco più a starmene a letto. Mi alzo.

Lumos

La camera degli ospiti che mi ha assegnato Narcissa è il posto più inquietante in cui sia mai finita.

Mentre attraverso il corridoio buio osservata dai numerosi quadri degli antenati Malfoy mi chiedo cosa farò della mia vita e se troverò mai il mio posto tra questi altezzosi capelli biondo platino.

Adesso la priorità è trovare dell’acqua. Nuovi tuoni.

Non sono ancora arrivata in cucina ma la luce debole di una candela mi comunica che anche qualcun altro deve aver avuto sete, questa notte. Mi fermo e do una leggera sbirciata.

È Draco.

Sono delusa. Avrei tanto voluto che fosse qualcuno della servitù: nonostante tutto sono molto simpatici e gentili con me e, visto che oltre la sete ho anche smesso di avere sonno, avrei potuto strappar loro una partita a scacchi magici.

Peccato.

Indecisa sul da farsi mi fermo lì. Ho sete ma non ho voglia di parlare con lui e sono decisamente imbarazzata dal fatto che indossi solo dei miseri pantaloni ed abbia il torace nudo.

È rilassato ma i muscoli della schiena sono tutti in perfetta tensione, precisamente delineati e al contempo sottili e armoniosi con la sua figura che complessivamente è slanciata e non massiccia. No, ripensandoci non sono poi tanto delusa che non sia uno dei maggiordomi.

È seduto di spalle sul tavolo di legno nero, davanti ad un calice d’acqua, con una sorta di libro aperto davanti a sé. Draco Malfoy legge?

“Forse dovresti entrare.” Beccata.  “Spiare è maleducazione.”

Fingo noncuranza ed entro a passi svelti. Ho i piedi nudi e il mio pigiama è una leggera sottoveste bianca. Mi rendo conto di ciò che indosso e che forse non è adeguato quando sento il suo sguardo viaggiare sul mio corpo. Mi faccio un bicchiere d’acqua e poi due. “Cosa leggi?”

Il temporale continua e la luce di un fulmine si riflette nei suoi occhi grigi. “Niente.” Chiude il libro che non ha nessuna scritta di copertina. Sembra molto vecchio.

Mi sistemo i capelli davanti: sono lunghi e mi coprono il seno, mi sento infinitamente più a mio agio.

“Perché non dormi? Hai paura dei tuoni?”

Si prende gioco di me. “Mi sembra chiaro che avessi sete.” Rispondo, fissandolo.

Ad Hogwarts ci siamo incontrati mille volte nella sala comune dei Serpeverde, di notte.

Non da soli chiaramente perché i Serpeverde sono molto nottambuli, ma io me lo ricordo perfettamente tutte le volte che l’ho notato ed ho pensato anche lui deve avere un’insonnia da paura. Difficile non notarlo in realtà.

Senza pensarci troppo, glielo dico. La cosa lo fa sorridere.

Iniziamo a parlare di episodi divertenti a cui abbiamo assistito in quelle famose nottate insonni, nel dormitorio Serpeverde, quando ancora ci si poteva permettere il lusso di essere solo dei ragazzi. L’atmosfera è piacevole poi un certo punto qualcosa cambia.

Draco si alza sbrigativamente e senza una parola che giustifichi il suo atteggiamento viene verso di me che sono appoggiata ad un costosissimo mobile di legno nero. Trattengo il respiro quando me lo trovo davanti, così vicino. Ha un’espressione vacua negli occhi ed mi io sento improvvisamente di nuovo troppo scoperta.

Sto per dire qualcosa ma lui mi spiazza, prende repentinamente il mio viso tra le sue mani ed io sobbalzo come un cucciolo impaurito.  “Che stai facendo?”

Sento le sue dita attorcigliate ai miei capelli, sulla nuca. Fa male.

“Draco…”

Provo un po’ a liberarmi e questo deve eccitarlo perché senza che me ne accorga lui copre la piccola distanza che c’era tra di noi con un bacio. Non è proprio un bacio.

Preme forte le sue labbra sulle mie senza pretendere altro e io nonostante l’istinto mi porti a dischiuderle, le tengo serrate, furiosa. Che stai facendo?

Si stacca, mi guarda. Le sue dita tra i miei capelli non fanno più così male. Ansima leggermente e mi accorgo che se mi soffermo troppo ad osservare la perfezione scultorea dei suoi muscoli non ne uscirò viva.

“Draco, io non credo che…”

Terzo tentativo vano: mi bacia di nuovo e questa volta la sua lingua si insinua nella mia bocca ed io non riesco a trovare la forza di resistergli.  Mi trovo ad ansimare con lui, piano piano, e ricambio il bacio mentre le mie mani, tremanti, si permettono di stringergli il collo tornito, di viaggiare sui suoi altezzosi capelli biondo platino.

Una piccola remora si accende in me quando sento le sue mani farsi avide del mio corpo ma sono troppo eccitata per fermarmi e lascio che mi accarezzi quanto e come vuole, le gambe, la vita, finché non solleva la sottoveste e s’impadronisce del mio sedere e mi mette sedere sopra il suo costoso mobile d’arredamento.  

Lo voglio.

Le mi mani torturano il suo torace scolpito e sento che i nostri baci condurranno verso l’unica direzione possibile e che lo vogliamo entrambi, da morire.

Poi sento un potentissimo stop nella testa. Come un déjà-vu.

Insonnia, preoccupazione per Dafne, dormitorio Serpeverde, la gente che chiacchiera, qualcuno beve, noto Draco, come sempre, mai da solo. Mai da solo. Il copione di ogni volta: sempre in compagnia di qualche ragazza, baci furiosi, le sue mani che scivolano sotto la gonna a pieghe, le risatine, poi loro che si allontanano.

Il solito copione.

Anche io sono il solito copione?

Sento una fortissima umiliazione salirmi dallo stomaco.

“Basta.” Lo allontano con una spinta decisa e ci riesco perché non se lo aspettava.

Ha una voce roca quando ribatte. “Che-cosa.” È furioso.

Scendo dal mobile con un saltino e mi aggiusto la veste. “Ho detto di no.”

“Tra due mesi sarai mia moglie.  Tu-Sei-mia.”

Intende di proprietà.

I miei occhi iniziano a bruciare. “Non mi interessa.”

La priorità è scappare ma so già che tenterà di impedirmelo. Inizia una specie di corpo a corpo, lui mi tira per un braccio ed io tento di colpirlo con quello libero e con le gambe di scappare. Non so cosa voglia fare, non so perché insiste a tenermi lì ma so cosa voglio fare io: fuggire.

Alla fine mi immobilizza e finiamo a terra entrambi, lui sopra di me. Io sono allenata ma lui è più forte.

Se vuole, può prendermi, senza problemi, adesso, sul marmo freddo.

“Si può sapere che ti prende?” è ancora furioso, come ogni uomo lasciato a metà.

“Non sarò la tua scopata, questa notte.”

Lui cambia, capisce, mi lascia.

Io arretro un po’.

Non se l’aspettava.

“Che cosa c’entra. Sono cose passate.”

È vero.

I miei capelli sono tutti scompigliati ed ho ancora tanta voglia di piangere. Potevo gemere tra le sue braccia a quest’ora invece di agghiacciarmi il sedere sul marmo. Potevo iniziare davvero qualcosa, questa notte, perché l’avevo visto vicino per una volta e forse era anche autentico nel suo desiderio per me, forse dal sesso sarebbe nato un legame. Che importa se non era amore, dovevamo sposarci un qualche tipo di legame doveva nascere ad un certo punto.

Sono una stupida, orgogliosa, ragazzina.

Lo leggo nei suoi occhi, mentre si alza, e io già sento la mancanza del suo contatto. Come ho fatto a lasciarmelo sfuggire? Perché?

Io sono una Serpeverde, ho sempre cacciato gli uomini fino al mio letto, ho sempre adorato il sesso senza complicazioni, che cosa mi è successo?

Mi prende il panico. Chi sono diventata? Una ragazzina gelosa del passato di un uomo?

Senza pensarci scatto in piedi, mi sfilo veloce la sottoveste. “Hai ragione. Finiamo.”

Draco mi studia.

È avaro di espressioni però perché non riesco a capire i suoi pensieri. Si avvicina e io tento di baciargli la bocca dischiusa ma lui me la fa solo annusare. Bastardo.

“Torna a dormire Astoria.”

Mi precede.

Rimango sola nella cucina, con la biancheria bianca e i capelli castani che mi solleticano la schiena.

Mille pensieri si avvicendano nella mia mente ma io non riesco a focalizzarne nemmeno uno. L’unica idea che mi pare di un certo valore è quella di sostituire l’acqua con l’alcool. Prendo qualcosa di quello che trovo, mi rivesto e torno in camera.

La frustrazione e l’umiliazione sono i sentimenti che si fanno strada maggiormente tra la valanga degli altri e bruciano dentro come carboni ardenti anche se ammetto che l’alcool piano piano, attenua un po’ tutto.

Il temporale è passato.

C’è una notte senza stelle per me, adesso.

Mi infilo sotto le coperte di seta.

Anche tu sei mio.

È il mio ultimo pensiero.

 

 

 

 

NdA: grazie a tutti i lettori e a chi ha messo la storia tra i preferiti/storie ricordate o seguite!

Spero che l’idea di questa raccolta vi piaccia, è una coppia che mi ha incuriosito molto ed ho deciso di approfondiree quello che deve essere stato il loro rapporto prima e dopo il matrimonio in un contesto sociale totalmente nuovo per loro.

Al prossimo aggiornamento, vi abbraccio forte, Diomache.

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Capitolo 3
*** 3.Ambrosia ***


ACQUAMARINA.

 

 

3. Ambrosia

 

 

 

 

 

 

“Quello di cui devo informarti Draco non è piacevole. Tutt’altro.”

 

Le visite di mia madre, di solito molto rare, si fanno leggermente più fitte adesso che al matrimonio manca un mese e mezzo. Lei e mio padre volevano rimanere a Malfoy Manor, dopo la guerra, ma alla fine il nostro consulente ha reputato che per loro fosse più ragionevole un piccolo villino decentrato.

Per ricominciare, aveva detto. Perché la vostra faccia da MangiaMorte non sia ovunque, ne è la traduzione.

Tutte le famiglie in qualche modo redente dai loro peccati di guerra avevano assunto (su consiglio dei piani alti del Ministero della Magia) una sorta di consulente per riabilitare la loro immagine agli occhi dell’opinione pubblica e in effetti sempre del nostro consulente era stata l’idea di farmi sposare una del casato di Greengass.

“Famiglia purosangue e distinta ma senza tangibili legami col signore oscuro. Per rimanere fedele a noi stessi, Draco, e andare avanti.”

Andare avanti?

Mi ricordo di aver quanto mai scrollato le spalle. “Io e Dafne andiamo abbastanza d’accordo.”

“Dafne Greengrass è già promessa, signor Malfoy. Ma c’è Astoria per noi.”

Già, Astoria.

 

 

“Dite, madre. “

Sorseggiamo un tè, in salotto. Difficile dire se mia madre mi manchi o meno.

Ha l’aria appassita e onestamente non credo che stia davvero ricominciando lontano da Malfoy Manor, né tanto meno che lo stia facendo mio padre. Forse è per questo che ha l’aria tanto sbattuta: forse si consumano in lunghe discussioni per reciproci rancori.

Non mi interessa.

Forse ce l’ho con loro anche per questo. Perché se ne sono andati, lasciandomi qui con una ragazzina che non mi parla da quasi tre settimane.

Con i ricordi della guerra fissi ad ogni angolo della casa.

Con la sensazione pungente di avere addosso gli occhi di mia zia Bellatrix che cerca in me un ardore che non ho mai e che non riesco a simulare, con la faccia dello Sfregiato piena di bubboni purulenti e io che mento a tutti, con le grida dei torturati che salgono dalle cantine e la sensazione che le mie budella esplodano da un momento all’altro mentre mi ripeto “sono nemici, sono nemici”.

 

 

“Si tratta di Astoria.”

La cosa mi interessa sempre meno. Ormai, come già detto, ci ignoriamo palesemente e mi sta benissimo così. Dopo quello stupido episodio temevo che venisse da me a chiedermi spiegazioni o a fornirne e non l’avrei retto. Ha avuto il buon cuore della decenza, quanto meno.

 

 

 

“Dite.” Insisto. Vedo che cerca di carpirmi qualche emozione dagli occhi.

Buona fortuna, allora. Non ne ho più.

Una madre normale avrebbe forse indagato sul nostro rapporto: se eravamo in sintonia, se iniziavamo a piacerci e a farci compagnia. Lei non sfiorò l’argomento nemmeno di striscio.

“Beh, tutti hanno notato che non c’è mai.”

Finisco il mio té. “Ci sta bene così.”

“Ci sta bene così.” Ripete. “è una decisione condivisa, dunque?”

“In un certo senso. Ma non c’è stato bisogno di esprimerla a voce.”

Mia madre s’acciglia.

“Non hai alcun controllo su tua moglie.”

Fa sempre effetto sentir parlare una donna di controllo della moglie che non sia in senso dispregiativo. Almeno mi diverte. “Non è ancora mia moglie.”

Narcissa allunga una delle sue bianche mani per prendere la mia ma io l’allontano in tempo: non sono più un ragazzo. Il mio rancore aumenta. “Madre so badare a me stesso…. E anche a lei. Ma in questo momento la nostra tolleranza reciproca è ai limiti storici.”

Mia madre non distoglie i suoi occhi vuoti da me. “Va a cavallo tutti i giorni. Ma questo tu lo sai”

 

“Lo so.” Ammetto. Il consulente me ne ha parlato. Lucius era furioso ma abbiamo deciso di lasciarglielo fare fino al matrimonio, giusto per darle un po’ il gusto di un’abitudine costosa che la famiglia Malfoy può permetterle. Ancora per poco però. “Assecondiamola. I suoi soldi ci servono”

Il modo di parlare al plurale del consulente minaccia sempre di farmi perdere il cervello: un giorno di questi io finirò ln galera e lui sarà stecchito da un Avada kedavra della mia bacchetta.

 

 

Si vede lontano un miglio che mia madre non è soddisfatta.

Aspetto il suo attacco mortale che infatti arriva proprio mentre mi sto versando un goccio abbondante di latte in una nuova tazza di tè.

“Ha un uomo Draco. Oltre te. Lo sanno tutti.”

Sento tante piccole crepe farsi largo nel mio ego fino a sbriciolarlo del tutto. “Tutti chi.”

Mia madre si fa portare il soprabito.

È soddisfatta. Mentre si riveste mi abbozza una risposta vaga che sa mi farà crogiolare di rabbia.

“Tutti quelli che contano. Forse è uno della scuola… lo frequenta fuori casa, quasi tutti i giorni. Ci si fa vedere in giro, in mezzo ai Maghi… ai Babbani…”

Io sono rimasto con la brocca del latte a mezz’aria.

“Te l’ho detto, Draco. Non hai alcun controllo su tua moglie.”

 

 

Ha ragione, ma la cosa che più mi ferisce è la sua non celata soddisfazione. Il rapporto che avevamo un tempo, quello stretto legame di complicità, se n’è andato… non so se per l’usurpazione o la fuga dalla casa che tanto amava, se per il mio passaggio da figlio a uomo ( sempre traumatico per una madre) o semplicemente per il mio patetico ed inconcludente ruolo nella guerra… non lo so. So adesso che il suo sguardo diventa meno vacuo quando mi vede vacillare, so che è in conflitto con se stessa, che cerca ancora di proteggermi per poi ritrarsi, felina, reagendo a qualcosa in me che nota soltanto lei.

Forse iniziano ad emergere in me particolari di Lucius che non ha voglia di ricordare.

 

 

Penso ad Astoria, sforzandomi di essere in collera con lei. Non me l’aspettavo, certo, ma non la biasimo, né si può dire che io non abbia avuto donne da quando ho lei qui in casa. Il mio ego ferito sembra non essere ancora sufficiente per la mia anima impigrita nell’apatia.

Decido di chiederle di farsi discreta.

Ci sposeremo ed ognuno vivrà la sua vita sentimentale, sessuale… quello che sia nella più totale libertà, salvaguardando le apparenze: non sopporterei un altro passo falso di fronte a mio padre e mia madre.

 

 

Un istante dopo la sento rientrare. Uno dei miei maggiordomi le si fa incontro e sento che lei gli parla gentilmente, chiamandolo per nome. Che assurdità.

Prima che oltrepassi il salotto e si diriga in camera la chiamo a me, senza distogliere lo sguardo dalla mia  tazza di liquido bollente. “Astoria, vieni.”

Esita.

Poi obbedisce.

Si pianta di fronte a me, nel posto in cui mezz’ora fa c’era mia madre.

Ma non si siede. Facciamo presto, sembra dirmi.

Così mi alzo anche io, per fronteggiarla. È vestita con un abito preppy nero abbastanza corto, calze coprenti bianche con sopra le parigine (gentile tocco Serpeverde) e oxford nere. I suoi capelli sono sciolti e m’accorgo ora che sono molto lunghi. Le donano.

Attende che io inizi a parlare ma mi sento instabile.

 

 

Dille che lo sai e di farsi discreta. Stop. Dille che lo sai e che deve solo essere più discreta, dille che…

 

 

“Tutto il mondo magico sa che ti fai fottere da un altro.”

Perché? Perché? Non era quello che mi stavo ripetendo. Non era quello il programma.

La vedo incassare il colpo.

Vorrei tornane indietro ma è troppo tardi.

“Tu non lo fai.”

La cosa mi coglie del tutto impreparato. È vero.

 

 

Inadeguato a fare il figlio, il MangiaMorte, l’Assassino, la Spia, a combattere la guerra, anche a fare il marito? Oh no.

Senza pensarci, il mio braccio scatta verso di lei e la schiaffeggio forte in pieno viso. La mano mi prude leggermente e quando gira appena il viso vedo che la guancia è paonazza e sta già iniziando a gonfiarsi. Tutta la servitù si precipita in salotto, farfugliando piano, terrorizzati.

Io sono fuori di me dalla rabbia. “Non tollero che mi si manchi di rispetto, a casa mia. Mi sono spiegato?”

Lei socchiude gli occhi, dimessa, ma non mi basta.

“Chi è.”

“Io non ti chiedo la sfilza delle tue amanti. Temo che dovrai rimanere nell’ignoranza.”

Mi protraggo verso di lei, che mi sfida, per afferrarle il collo con una mano. Non voglio strangolarla solo afferrarla e magari terrorizzarla un po’ (cosa che a parole non mi riesce bene) ma lei è più veloce, si scosta e mi sferra un calcio potente sulla tibia.

La servitù urla.

 

Sia io che lei estraiamo le bacchette.

Inizia un strana lotta in salotto fatta di piume d’oca che svolazzano quando il mio incantesimo colpisce il cuscino blu del divano, di cocci di ceramica cinese quando il suo expelliarmus si infrange sull’anfora preferita di mia madre, mancandomi totalmente. Ci ripariamo dietro i mobili e sferriamo attacchi imprecisi e rabbiosi scambiandoci tutti gli insulti che conosciamo contornati di incantesimi che però sono ancora tra i più fiacchi. Mi sto solo riscaldando.

 

“Ti sei presa quest’impegno ma non sai onorarlo!” le grido e la luce verde di un mio incantesimo le prende una caviglia. Cade in avanti sfiorando con la testa lo spigolo del piccolo tavolino sopra il tappeto persiano.

Ride.

“Senti chi parla! Colui che non ha mai onorato nulla nella vita, nemmeno se stesso!”

 

La ragione ci abbandona entrambi.

Quando ci avviciniamo troppo prevale una sorta di rabbiosa lotta fisica, scopro che sa mordere e anche bene e lei s’accorge che non ho remore nel cercare di schiaffeggiarla di nuovo, come ce l’ho a tiro.

“Parlerò con mio padre, non vi daremo un centesimo! Ti porterò il figlio di un altro come dote!”

“Forse è l’unico modo che hai per farti accettare da qualcuno? Spogliarti nuda?”

Stiamo distruggendo l’appartamento ma la voglia che abbiamo di autodistruggere noi stessi è ancora lontana dal sopirsi; mi viene un’idea e cerco di trascinarla in giardino.

Lì non ha molti nascondigli e lo conosce poco, vincerò in un lampo.

 

Boe, uno dei miei maggiordomi lo intuisce e si mette coraggiosamente in mezzo, concitatissimo.

“Signor Malfoy la supplico, smettetela prima che qualcuno si faccia male!”

 

Vedo un lampo verde balenare dietro la sua testa.

Ecco. La bastarda avrà approfittato del momento di distrazione per sferrare il suo attacco, faccio in tempo a pensare prima che Boe sia già a terra, steso dal suo petrificus.

 

Sono incredulo. Non era per me?

“Questo sia di ammonimento per tutti voi!” è Astoria, che grida, rivolta verso la servitù. “Che nessuno e dico nessuno si metta più in mezzo tra me e mio marito!”

Il brusio scompare di botto.

Il silenzio è riempito solo dai respiri ansimanti di Astoria, sudata, scompigliata, arrossata.

La mia testa è in completo caos.

Me e mio marito.

La guardo.

Qualcosa dentro le mie viscere si rianima. Scorre da piano a veloce, dal basso all’alto, in tutte le direzioni, un’aria nuova mi sazia i polmoni e il sangue che arriva al cervello deve contenere un qualche stimolante perché lo confonde, la saliva aumenta ma è come se avessi disimparato a deglutirla.

Me e mio marito.

 

 

 

 

Nda: un abbraccio e un grazie in particolare a Ra_in! Un saluto a tutti voi! Diomache.

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** 4.Dinosauri da compagnia ***


Un grazie di cuore a tutti coloro che seguono la mia storia e in particolare a echo_42 per la sua recensione. Un abbraccio! Buona lettura, Diomache.

 

 

ACQUAMARINA

 

 

 

4. Dinosauri da compagnia.

 

 

Premessa fondamentale: Ginny Weasley non mi piace.

 

Ma è grazie a lei che ho conosciuto Dean.

 

Ritornando alla Weasley, abbiamo la stessa età. Abbiamo iniziato Hogwarts insieme, nel 92, e il giorno in cui siamo state smistate è stata casualmente la prima persona che mi ha rivolto parola, nella Sala Comune. Io ero minuscola per la mia età e cercavo disperatamente di incontrare lo sguardo di Dafne tra i Serpeverde, lei assomigliava al gatto rosso di mia nonna, arruffatina, un po’ stropicciata, e questo me la rese familiare, credo.

 

“Tu dove vorresti andare?”

 

Io già all’epoca ero poco incline a farmi amicizie e ad iniziare conversazioni spontanee come quella ma ero troppo spaventata e sola per sottrarmi. “Serpeverde.”

“I miei fratelli odiano Serpeverde, sono tutti Grifondoro. Anche io voglio essere Grifondoro.”

“Mia sorella è Serpeverde.”

La nanerottola Weasley aveva spalancato gli occhi: “Io e te siamo uguali al contrario!”

Mi sembrava una grande verità.

“Facciamo un patto.- continuò- se io vengo mandata a Serpeverde e tu a Grifondoro, ci scambiamo”

La sola idea di essere separata da Dafne mi atterriva. “Ci scambiamo!” esclamai.

Lei mi porse la sua mano paffuta, con le unghie un po’ smangiucchiate, e io, dopo una breve ritrosia, gliela strinsi. Ovviamente tutto andò come doveva andare e anche se così non fosse stato nessuna legge di Hogwarts avrebbe sostenuto il nostro tacito accordo.

 

Nonostante tutto ricordo con piacere quella piccola promessa. E anche la stessa Weasley…. Insomma c’era di peggio e mi capitò spesso di avere con lei piccoli contatti: lei che mi raccoglieva un libro scivolatomi per caso dalla borsa e nonostante io non le dicessi nemmeno un grazie sul momento, poi non avevo voglia di unirmi a chi la prendeva in giro e spesso li ammonivo di smetterla.

 

In realtà non avevamo bisogno l’una dell’altra ma in qualche modo ci rispettavamo vicendevolmente, forse in nome di quel piccolo patto che avevamo stretto, nel nostro primo giorno di magia.

Sicuramente aveva una buona testa. Cotta per Potter a parte, aveva dei buoni voti ed un’intelligenza brillante, un vero miracolo se la rapportiamo al resto della sua famiglia.

Di nuovo Potter a parte, notavo continuamente che avevamo più o meno gli stessi gusti in fatto di ragazzi, ad esempio Michael Corner era stato un mio ex prima che loro due si mettessero insieme.

 

Notai Dean quando lo vidi con lei. Prima di allora non ci avevo mai fatto troppo caso, lo ammetto, e non è così strano per una ragazza Serpeverde non interessarsi ai maschi di Grifondoro.

Dean Thomas mi piaceva però, con quel suo fisico asciutto e scuro, i capelli riccissimi.

Non avevo voglia di ragionare sul fatto che fosse Mezzosangue, Grifondoro, amico di Potter… mi piaceva e basta e quando la Weasley lo mollò per seguire il suo eterno amore, trovai il modo di avvicinarlo e baciarlo nella stessa giornata.

 

“E questo che cos’è? Il tuo suicidio sociale?”

 

Ovviamente Dafne aveva scoperto quel bacio quasi prima di Dean stesso. Non aveva tutti i torti, una storia con lui mi avrebbe isolato parecchio all’interno dei Serpeverde, ma a me anche già il termine storia sembrava troppo grande.

 

Non avevo una particolare necessità di sentimenti.

 

Ero sensibile ma piuttosto introversa e mi trovavo molto più a mio agio a cominciare la conoscenza con un ragazzo partendo dal contatto fisico di un bacio piuttosto che da un appuntamento standard.

Questo atteggiamento destabilizzava spesso i ragazzi delle altre casate ma ricordo che Dean ne rimase davvero esterrefatto: la mia audacia lo fece arrossire come un bambino.

 

Ma se da una parte era inorridito dalla mia schiettezza emotiva, dall’altra ne era indiscutibilmente attratto.

Dopo il nostro primo incontro e le nostre uniche tre parole “ehi. Come. Va.”ne seguirono molti altri, quasi tutti organizzati da lui.

Ci incontravano nei luoghi comuni a tarda notte inventandoci mille scuse con tutti e una volta lì ci abbracciavamo forte per primi venti-venticinque minuti, poi, trovato il coraggio di guardarci in faccia, ci baciavamo per il resto del tempo.  Quando eravamo stanchi rimanevamo in silenzio a tenerci per mano o facevamo piccoli discorsi, scambiandoci rare occhiate.

Evitavamo di parlare di tutto quello che poteva dividerci.

Nonostante le nostre precauzioni alla fine lo sapevano tutti, ma quanto è chiacchierona Hogwarts? Ripensandoci forse abbiamo sostato un po’ troppo davanti a certi quadri.

 

Ad ogni modo non durò il tempo necessario perché avvenisse un qualche salto di qualità né sul piano fisico né su quello emotivo.

Quando Dafne giudicò che il mio suicidio sociale presso i Serpeverde stava diventando anche il suo mi trascinò nel bagno di Mirtilla Malcontenta e mi riempì la testa di stronzate sul Sangue Puro, la Famiglia, il Signore Oscuro e poiché vide che non ero ragionevole a quello che diceva minacciò di far intervenire gli scagnozzi di Draco. Già, Draco.

Sapevo che lui e la sua piccola banda paventavano tanto di esercitarsi con il crucio.

 

“Li ho tenuti a bada fino a questo momento ma non intendo farlo oltre se non mi ascolti. Lo sai che ci vanno giù pesante, no?”

“Ma tu te lo ricordi che siamo sorelle io e te?”

“Non essere sciocca, Astoria. Tutto questo è molto più grande di me e di te”

 

 

 

Sì, il ragazzo misterioso di cui si vocifera a Malfoy Manor è proprio lui, Dean Thomas.

 

In questo momento mi trovo in bagno, in una delle tre lussuose sale da bagno della casa, immersa fino al collo di un’acqua calda rilassante aromatizzata alla rosa e cannella, i capelli legati in una cipolla alta, per non farli bagnare. È un’acqua speciale: non ha proprietà solo rilassanti (stesso effetto di una dose di benzodiazepine, pare) ma sta anche facendo effetto sulle mie ferite fisiche e non mi dispiace affatto.

Beh, aveva ragione Dafne: Draco Malfoy non ci va giù leggero. Abbiamo combattuto in maniera estenuante per quasi tutto il pomeriggio quando la stanchezza, maledetta, ha prevalso su di me, ho mostrato il fianco e la sua maledizione è arrivata puntualissima.

Credo di essermi schiantata sul muro di cinta.

Dico credo perché l ‘ultima cosa che ricordo dello scontro è un dolore fortissimo impossibile da localizzare, un grosso fischio risuonarmi in testa e poi nient’altro. Sono svenuta e qualcuno deve avermi portato a letto; quando ho riaperto gli occhi c’era una nuova vestaglia di seta per me e un piccolo bigliettino con su scritto: fai il bagno. Erba medicamentosa.

Ed eccomi qua tra la schiuma, mezza addormentata, drogata (sicuramente sarà molto di più di una dose), stordita dal caldo e dalla voglia di dormire, a ripensare a Dean e a quello che sarà di lui.

 

 

Ci siamo incontrati per caso, io uscivo da un negozio, lui ci entrava.

La sorpresa di rivederci è stata tale che lui mi ha offerto una burrobirra.

Io ero già promessa a Draco. Quando glielo dissi, lui mi baciò.

Sono certa che parte di quel bacio e del resto che seguì fu per Dean una piccola vendetta personale: tutti sanno che fu torturato, a Malfoy Manor; pensava di ripagare Draco con la stessa moneta offrendogli una piccola, personale tortura?

 

La cosa fa solo ridere se consideriamo che proprio Draco ha appena tentato di uccidermi.

 

 

“Non devi farlo, sai.”

 

Complessivamente io e Dean siamo stati insieme solo tre volte, anche se ci vedevamo quasi tutti i giorni. Io non ero convinta di quello che stavamo facendo ma quando insisteva per vederci, domani e il giorno dopo e quello seguente, la sua allegria era tremendamente convincente e la mia voglia di evasione dalle grigie stanze di Malfoy Manor fece il resto.

Inoltre scoprii quasi subito che stare con lui all’aria aperta e alla luce del sole era molto più divertente che frequentarlo di notte, nei corridoi di Hogwarts.

Ma per quanto fosse magnifico, lui non mi riuscì mai a raggiungermi.

La sua vicinanza mi regalava calore e affetto nello stordimento del mio imminente matrimonio, come un dolce anestetico che ti allontana ma non ti guarisce, neanche un po’.

 

“Sposare Draco, intendo.”

 

“Perché non dovrei?”

 

Avevamo appena fatto l’amore. Io fissavo il soffitto con i capelli sparpagliati e il volto pallido, lui sembrava un Bronzo di Riace tra le coperte di seta.

 

“Perché…. Meriti di meglio. Draco è un buco nero, Astoria. È una persona incompiuta e profondamente egoista, non sarà capace di starti accanto né di renderti felice. Puoi ricominciare, se vuoi. Tu sei diversa.”

 

“Invece no.”

 

 

Forse mi sono leggermente addormentata perché quando sento bussare forte alla porta del bagno, sussulto, nella vasca. “è occupato!” rispondo, ma la porta si apre ugualmente. “Ma che …!”

“Stai tranquilla non sono venuto per darti il colpo di grazia, se è quello che pensi.”

Si tratta di Draco, ovviamente.

“Non te l’ha insegnato nessuno che è maleducazione entrare quando qualcuno risponde occupato?”

Sogghigna e si siede sul water, con noncuranza. Noto con piacere che anche lui ha dipinto in faccia qualche ricordino del nostro recente scontro: una leggera bruciatura proprio sopra il sopracciglio destro.

Vorrei fargli una sagace battuta su quanto assomigli a Potter, in questo momento, ma la ricaccio velocemente in gola: non so quanto possa essere saggio provocarlo adesso che sono solo una testa che emerge da un mare di densa schiuma bianca.

“Ti prendo qualche minuto solo per comunicarti le ultime news.” Rilancia lui abboccando da una sigaretta che poco fa non avevo notato. Nell’altra mano, ha una bottiglia di vino rosso, appena aperta.

“Fai in fretta, sono occupata

“Ho parlato con mio padre… il contratto prematrimoniale che hai firmato è abbastanza chiaro in fatto di tradimenti. Cara, stupida Astoria, visto che ci sono diversi testimoni che possono dichiarare di averti vista con quello stronzo di Dean Thomas…”

“Ti assicuro che quando scopavamo eravamo soli. Dubito che i tuoi testimoni possano dire qualcosa in merito.”

Lo vedo irrigidirsi e ammetto di sentire un brivido arrampicarsi sulla mia schiena. Improvvisamente l’acqua del bagno mi sembra così fredda e malsana che vorrei solo scappare dalla sua morsa gelida.

Perché lo sto provocando di nuovo? Mi ha quasi rotto l’osso del collo ed ero armata, cosa può farmi ora che sono inerme?

 

Draco posiziona rumorosamente la bottiglia di vino per terra e fa un altro paio di tiri. È vestito con dei jeans e una camicia nera, i biondissimi capelli spettinati sulla fronte.

“Non è corretto. La locandiera che vi ha accompagnato verso la stanza dell’ultima sveltina avvalorerà la mia ipotesi, tu che dici?” Non posso che restare in silenzio “Dunque, ritornando al nostro contratto, se io denuncio il tuo tradimento alle nostre famiglie rendendo ufficiale la rottura dell’accordo da parte tua… con tutti i testimoni del caso, ovviamente, io ho diritto ad intascare la tua dote senza doverti più sposare.”

È finita.

Il cuore manca di un battito e sono sicura di stare praticamente a bocca aperta. È finita. Sono libera?

“Voglio… voglio uscire dall’acqua.”

 

Stranamente, Draco mi accontenta. Con un gesto scattoso tira la tendina per lasciarmi la mia privacy e quando intuisce che sono in piedi mi porge un accappatoio color glicine per coprirmi.

I miei movimenti sono afinalistici. Non riesco a pensare.

La tendina si apre nuovamente.

Draco fuma ancora ma ogni tanto intervalla con un sorso di vino. È ancora seduto sul water, con le gambe leggermente aperte.

Io appoggio il sedere al bordo della vasca. “Passami la bottiglia.”

Lui ghigna. “Non c’è nulla da festeggiare. Non ho intenzione di scindere il contratto.”

Non so perché ma mi esce una delle mie risate isteriche da stress. “Oh questa è bella. Cos’è, sei impaurito dalla reazione di mamma e papà? Ti vergogni troppo ad ammettere che non sei stato in grado di tenerti una donna in casa? Non c’è problema! Lo farò io, Malfoy! Denuncerò io la cosa ai nostri genitori.”

“E poi che farai? Scapperai con quello stronzo di Dean Thomas per riabilitarti al mondo?”

 

Onestamente ci ho pensato tante volte: Dean non sarebbe mai stato l’amore ma è nello schieramento giusto, con lui potevo ricominciare. Ha dei sentimenti sinceri per me, niente del dominio e possesso coniugale di Draco e io col tempo avrei imparato ad apprezzare la sua gentilezza e il nuovo slancio sociale che sposare un vincitore mi avrebbe portato.

Ma adesso che sento il mio progetto uscire dalla sua bocca, mi rendo conto di quanto sia assurdo.

“Non è questo.” Mento. “È che… non dobbiamo farlo, sai? Non dobbiamo sposarci per forza. Abbiamo l’opportunità di rompere tutto... Dai, che senso ha sposarsi? Noi ci odiamo!”

Scrolla le spalle. “Sei tu che mi disprezzi”

Mi fissa con i suoi occhi grigi, cupi, alla ricerca di una risposta che mi muore in gola. Lo odio? Lo disprezzo davvero?

Fa un nuovo sorso di vino e io lo imito.

So a che si riferisce. Durante lo scontro gli ho gridato che nella vita non ha mai onorato nessuno, nemmeno se stesso.

Non posso negare di pensarlo ma nemmeno posso negare che non sia un’affermazione che non si addica anche a me. O alla maggiorparte dei Serpeverde che conosco.

Improvvisamente mi sento tremendamente in colpa per quelle parole.

“Non rompiamo niente.” Dice infine. “Ci sposiamo e basta. Dimentica di Dean Thomas o anche il mondo si dimenticherà di lui.”

È una minaccia. “Che gli hai fatto?”

“Io niente, ma tuo padre ha trovato il modo di fare pressioni affinché venga trasferito come Auror di frontiera. Non c’è bisogno che lo saluti, mi sono assicurato che sapesse che gli dicevi ciao

Chissà quale reazione si aspettava da me.

Torna a scrutarmi con i il suo sguardo progressivamente meno lucido alla ricerca di ogni più piccolo indizio sui miei pensieri.

“Okay.”

È l’unica cosa che riesco a dire.

“E adesso basta con tutte queste stronzate.”

Con un gesto iracondo, Draco mette mano alla cinta del mio accappatoio, disfà velocemente il nodo e, violentemente, lo spinge all’indietro, facendolo cadere sul freddo pavimento di marmo.  Io resto di nuovo inerme sotto il suo sguardo, con il cuore che martella ad un ritmo inquietante nella testa, così forte che potrei svenire di nuovo.

Fa l’ultimo tiro alla sua sigaretta, la spegne alla bell’e meglio e mette mano ai suoi vestiti, slacciando velocemente la camicia nera. È abbastanza ubriaco, lo capisco da come fatica a passare da un bottone all’altro.

Rotto per rotto, penso che tutto sommato non farà male nemmeno a me un po’ di vino e seppur temendo un effetto additivo con i tranquillanti, mi attacco alla bottiglia ingurgitando sorsi abbondanti dell’aspro liquido scuro. Quando mi stacco, Draco mi è già addosso.

Non faccio quasi in tempo a rendermi conto che sia nudo visivamente, ma lo sento al tatto e la cosa mi fa tremare. È ben diverso da quella sera in cucina, quando avevamo solo voglia di fare un po’ di sesso per allentare la crescente tensione tra di noi, questa volta è un incontro più amaro, tra due persone volutamente stordite che fanno appello alla fisicità per trovare un appiglio, un punto di partenza.

 

Draco vuole farmi sua ed è arrabbiato perché pur potendo, pur avendomi lì da un mese non l’ha mai fatto (e nel frattempo qualcun altro è arrivato a me) e pure io ce l’ho con lui, forse proprio perché ha aspettato così tanto.

Pensava di lasciarmi a digiuno per sempre? Di sposarmi e farlo solo dopo? Che non fossi abbastanza donna per lui?

È chiaro che l’ebbrezza e la passione stordiscono i miei ragionamenti. Mi stupisco quasi che sia ancora possibile per il mio cervello formularne, mentre la bocca di Draco imprime violenti marchi sul mio collo.

Lo sento premere sul mio ventre e la lucidità scompare del tutto dalla mia mente.

Mi stringo forte a lui premendo i miei seni arrossati dalle sue mani al suo torace, lui mi solleva, prova a prendermi, in piedi, ma l’alcool lo rende incerto sulle gambe, così mi sposta a terra, sul marmo color ghiaccio del suo lussuosissimo bagno e finalmente accade.

Finalmente sono sua. Non so dire se mi piace o no. È un incontro strano, abbiamo tutti e due il sensorio alterato ma l’alcool non può nulla sua virilità, Draco sembra confermare la sua fama di amatore ma in realtà posso dire solo sembra perché mi gira forte la testa e quasi non riesco a reggere il piacere che mi procura.

Penso che a breve si staccherà ma mi sbaglio perché quando arriva al culmine lui stringe forte le sue mani intorno ai miei fianchi e resta dentro di me, fino alla fine. È una cosa nuova per entrambi, questa, e leggo anche nei suoi occhi che non si aspettava che fosse così totalizzante.

Siamo sfiniti. Ansima ma noto che sta riacquistando lucidità perché è in imbarazzo e cerca con lo sguardo la bottiglia di vino, per allontanarla di nuovo.

No.

Questa volta no.

Faticosamente mi tiro su a sedere e gli blocco la mano prima che la raggiunga. Lui mi guarda ed ha un’espressione che non ho mai e, giuro, dico mai visto sul suo viso. Quel genere di espressioni che ti sciolgono dentro e da cui diventerei dipendente.  “Voglio bere.” Mi dice ma io accorcio le distanze e lo bacio.

Mi allontana.

Lo immaginavo.

Un bacio al di fuori della passione per lui non ha modo di esistere. Cerca di allontanarmi di nuovo ma io, seppur delusa, non mollo. Lo prendo per mano e gli faccio cenno di entrare in vasca. Cambio l’acqua (quella mia, con il tranquillante infuso, scende lungo lo scarico) e di nuovo lo invito ad entrare, senza pronunciare parole.

Sento che ormai siamo entrambi a pieno contatto con la realtà e la cosa rende l’aria veramente imbarazzante. Ma se lo lascio andare adesso, sento che non lo recupererò più. Non posso puntare sulla tenerezza (per ora), allora ritorno sul sesso. È ora che anche io dimostri qualcosa.

Nonostante tutto, vuole sposarmi. Potevamo recidere tutto, poteva riprendersi con un soffio la sua vita e la sua casa, tutta per sé, eppure non lo vuole.

Quasi non riesco a capirlo e non capisco nemmeno me stessa, che mi sento sollevata dalla sua decisione.

Una volta in vasca, siamo molto distanti. L’imbarazzo è palpabile ed io cerco di accorciare le distanze con un piccolo massaggio sul suo torace, con una delle magnifiche spugnette che ho scovato durante questo mese, e mentre le mie mani viaggiano delicate lungo il suo corpo tornito, sento la tensione sciogliersi e la sua muscolatura rilassarsi.

Io non ho il coraggio di guardarlo negli occhi, invece sento il suo sguardo che mi fissa intensamente.

Alla fine, quand’è il momento, ci amiamo di nuovo. Sono io a condurre, seduta sopra di lui, lo sento gemere sotto di me e le sue mani stringono rabbiosamente il mio corpo ancora una volta.

 

 

 

È mattina.

Il sole illumina la mia stanza e il mio corpo nudo stretto tra lenzuola color lavanda. No, io e Draco non abbiamo passato la notte insieme. Ci siamo amati di nuovo, però, nel mio letto e lui deve aver aspettato che io m’addormentassi prima di ritornare nel suo, perché l’ultima cosa che ricordo è proprio il suo viso, schiacciato al mio cuscino.

Mi sento completamente distrutta, non c’è un muscolo che non reclami una di quelle pozioni magiche che ci davano ad Hogwarts quando l’attività fisica ci spezzava le gambe.

Improvvisamente noto qualcosa vicino a me.

Sobbalzo.

Sembra un uovo, è grande almeno quanto uno di struzzo ma color cremisi. “Ma che diavolo….”

C’è un biglietto.

 

“è un Compsognathus, un piccolo dinosauro, viene dalla Romania. Ti ho lasciato in cucina tutta la documentazione per allevarlo. È domestico. Per te. ”

 

Sorrido.

 

 

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Capitolo 5
*** 5.Nightmares ***


Eccomi al nuovo aggiornamento! Grazie a tutti coloro che mi seguono, vi abbraccio fortissimo! Questa volta il ringraziamento speciale va a anna weasley per la sua recensione!

Un bacio! Diomache.

 

ACQUAMARINA

 

 

 

5.Nightmares

 

“… è un lavoro ben pagato, interessante sotto molti punti di vista e non dovrai per forza tornare ad Hogwarts se non vuoi. Dopo il tempo necessario potrai fare domanda anche alle altre scuole di magia, come apprendista per un periodo di tempo e poi come insegnante.”

Blaise finisce pazientemente la frase e poi addenta il suo cornetto un po’ troppo voracemente inondando l’aria e se stesso di zucchero a velo.

Ci troviamo a WhiteCoffee, locale sulla seconda strada aperto da un ex studente TassoRosso di cui non riesco a ricordare il nome. Il posto tradisce comunque un certo stile e mi piace, sembra un’ottima location per parlare di affari.

Sì, Blaise mi sta offrendo un lavoro. L’ho contattato io la settimana scorsa dopo che mi sono accorto che il lavoro che mio padre aveva scelto per me rischiava di frantumarmi i nervi e qualcos’altro in meno di un mese.  Era sicuramente un posto di prestigio, al Ministero, e sebbene fossi davvero ammirato dalla capacità di mediazione di mio padre (un ex-mangiamorte come lui poteva ancora dire una parola per raccomandare il figlio ed essere preso sul serio?) non intendevo sommergermi tra un milione di scartoffie burocratiche, fotocopie ed dover essere sempre e comunque degno debitore di Lucius, a vita.  

                                                                                           No, grazie.

Blaise per me ha prospettive decisamente più interessanti.

“Dove si trova il laboratorio?” domando dopo l’ultimo sorso di caffè.

Blaise è in ottima forma. Veste bene, con un cappotto nero di buona foggia, una sciarpa di seta attorno al collo e perfino un accenno di bastone da passeggio, anche se si tratta solo di un ombrello anti nebbia. La cosa che noto di più è che ha uno sguardo sereno.

“Oh appena fuori Londra, ci ti teletrasporti in un secondo. Una volta assunto ti danno la loro personale polvere magica per trasportarti. Ti serve solo per il lavoro, per carità, ma ci arrivi subito “

“Dirigi tu il laboratorio?”

“Ah magari. Mi dà dell’altro caffè, per favore? No, Draco. Sono loro ovviamente. Sono dappertutto ormai.”

Sbuffiamo, quasi all’unisono. “Che meraviglia.”

“è il punto più ostico del nostro discorso, in effetti.” Ammette e sorseggia di nuovo la bevanda. “Fa visita una volta a settimana, si appunta ciò che va e che non va e poi torna ad Hogwarts, lavora lì ormai. Non dovrai averci a che fare più di tanto.”

“Il fatto che tu mi stia volutamente nascondendo il soggetto di questa frase non è un buon segno, immagino.”

“No, infatti. È la Granger.”

Un pugno allo stomaco avrebbe fatto meno male. Lo guardo cercando di capire se c’è la remota possibilità che mi stia prendendo per i fondelli ma è ovvio che non è così. Credo forse di aver letto anche la notizia, qualche mese fa, del loro inserimento nella società che conta.

“Ho già detto, che meraviglia?”

Blaise ride e non so perché noto solo ora che ha un anello all’anulare sinistro.

“Mi venga un colpo, ti sarai mica sposato senza invitarmi brutto stronzo?”

Ridiamo.

“Vacci piano vecchio mio…. È solo un anello di fidanzamento. Ci sposeremo dopo di te, sia mai che tu possa arrivare secondo in qualcosa.”

“Poche stronzate, lei chi è.”

“Cho Chang.”

“Bella.” Commento alzando la mia tazza a mo’ di brindisi. Immaginavo qualcun’altra per lui, onestamente, magari qualcuna che non fosse già stata con quello scemo di Potter ma non ho alcuna voglia di imbarcarmi in questo argomento. “E va tutto bene, immagino.”

Lui è raggiante, su questo non c’è dubbio. “Assolutamente. E tu? Astoria, Pancy, la sorella di Kain Montague, come si chiama? Ah già, Kim!” sembra molto divertito e mi dà una sonora pacca sulla spalla.

“Sì...”

Lui scuote la testa. “Non cambierai mai. Dai voglio qualche dettaglio.”

Scrollo le spalle. “Mi sposo tra tre settimane. Ma questo già lo sai.”

“Con lei come va.”

Domanda di riserva? “…Bene.” rispondo ma sono tutto fuorché convinto. Sono talmente confuso su questo punto che non saprei nemmeno da dove iniziare. Io e Astoria non stiamo andando né avanti né indietro e io mi sto perdendo dentro il buco nero della mia testa.

Vedere Blaise (e dico Blaise) perso per una ragazza, contento e quasi soddisfatto di tutto, mi disorienta. E forse anche disgusta.

“L’ho vista l’altro giorno, in un negozio. È bellissima, non puoi lamentarti.”

Sì, è bellissima. È una scoperta che ho fatto di recente. Credo di averla sempre considerata una ragazza gradevole ma vicino a Dafne tendeva un po’ a scomparire e se mi avessero chiesto la mia preferita tra le due non avrei avuto alcun dubbio. Eppure adesso mi trovo decisamente dell’opinione opposta. È bellissima e quasi mi chiedo come sia possibile che tutti se ne stiano accorgendo, quel Thomas che la corteggia e adesso Blaise la commenta, se a me c’è voluto così tanto tempo. A loro piace e non hanno mai visto il suo sguardo la mattina, appena sveglia, quando si stropiccia gli occhi di fronte al caffè-latte e non hanno idea di come si morda il labbro quando io mi infilo nel suo letto.

La sua pelle ha qualcosa di divino e spostare i capelli dalla sua schiena o dal suo collo, per poterlo baciare è qualcosa a cui non riesco più a rinunciare.

Non parliamo molto, perché probabilmente ci ritroveremo in giardino con le bacchette in mano, ma sul sesso non ho niente da dire.

“Sì, è vero.”

“E Pancy come sta?”

Sa benissimo che mi vedo con lei. E da quello che ha detto poco fa, sa benissimo anche che sono andato a letto con Kim Montague anche se è attualmente sposata con Jack Sloper. Niente di serio, lei voleva togliersi uno sfizio per punire il marito ed io quella sera avevo bevuto troppo, nel BlueHalo. Esperienza del tutto deludente se vogliamo proprio dirlo e senza nessuna conseguenza.

Con Pancy è diverso. Lei non vuole niente da me ed io non mi sono mai preso la briga di interessarmi realmente a lei. Mi conosce però, sa quello che mi piace, quando sono in ansia e le cose non smettono di complicarsi, sfogarmi con lei mi dà una certa sicurezza. Non è niente di che, lo ammetto. Non è particolarmente bella e nemmeno particolarmente brava ma non ho paura di essere me stesso e tanto mi basta, in determinati giorni.

“Bene.” Questo interrogatorio mi ha stufato. “Possiamo tornare a parlare di lavoro o pensi che indorerai la pillola facendomi parlare di scopate?” Non me la cavo mai male ad essere evasivo.

Blaise è comunque deluso.

“Sì, il punto Granger non è un gran ché. Ma vorrei che tu accettassi comunque, tutto lo staff del laboratorio è stato entusiasta quando ho fatto il tuo nome. Come pozionista non sei mai stato male, sai? E poi anche per Astoria se un giorno vorrà un impiego, le farà comodo avere il nome del marito in laboratorio di prestigio.”

“Non abbiamo mai parlato di questo ma non credo che debba lavorare.”

In realtà non ho alcuna opinione in merito. Ho ripetuto a memoria quella di mio padre perché la conosco talmente bene che nei momenti di vuoto mentale posso sempre rispondere con quello che pensa lui, ma sui miei pensieri ammetto di essere ancora molto indietro. Come l’altro giorno quando lei mi aveva chiesto perché non volessi scindere il contratto di matrimonio dopo che avevo scoperto la sua tresca con Thomas.

C’erano molti motivi a questo proposito ma alla fine mi ero comportato proprio come faceva sempre Lucius nei momenti di empasse: si fa così perché lo dico io. I motivi erano semplici in realtà:

1-non voglio un altro fallimento

2-comunque mi dovrò sposare, cercare un’altra moglie non ha senso se ne ho già una

3- era a casa mia, nella mia vasca, davanti a me. Ero eccitato. Non credo che sarebbe finita allo stesso modo se le avessi detto “ok non sposiamoci più”.

 

Ma nella loro semplicità non erano comunque ripetibili ad alta voce.

 

“Vorrà lavorare anche lei, fidati. Ormai la società gira così. Cosa le piace? Ha qualche attitudine particolare?”

Vuoto totale. Mi accorgo di non sapere niente di lei.

“Accetto il lavoro.”

 

 

 

 

Quando torno a casa è sera. Ho fatto diversi giretti affettando la nebbia di Londra che nel frattempo è finita ad arrivarmi persino nelle ossa. Ho comprato diversi libri di Pozioni e Affini da poter studiare nel frattempo che il lavoro non si concretizzi nel contratto e possa andare in laboratorio. Uno in realtà ne avevo già di testo, da leggere, un vecchissimo libro appartenente alla mia famiglia da secoli ma è di difficile lettura e ci vado piano.  

Appena varco la soglia di casa mi rendo subito conto che c’è un’atmosfera diversa.  La servitù ha la faccia contenta mentre mi saluta “Bentornato Signor Malfoy!”

“Che succede qui?” taglio corto.

“è nato! Il cucciolo di drago!”

“Dinosauro.” Correggo distrattamente ma sono troppo curioso per fermarmi a questo. “dov’è?”

“Nella stanza della signora Astoria. Questo pomeriggio l’uovo si è schiuso nell’incubatrice e il draghetto è zompato fuori correndo per tutta casa.”

Dinosauro.

Mi avvicino ed inizio a sentire Astoria che fa una stupida vocina. “Piccolo… dolce…”

Non appena mi vede tace di colpo. Sul suo grembo un piccolo rettile delle dimensioni di un grosso gatto, con la struttura fisica di un velociraptor, coda lunga, corpo snello, le zampe anteriori più piccole di quelle posteriori che invece reggono tutto il peso. È davvero un bell’esemplare, nato da un incrocio con un piccolo Drago Cinese, ma selezionato perché diventi addomesticabile e di dimensioni compatibili con quelle di un’abitazione: alto circa un 70 cm e lungo un metro.

Non vi nego che mi è costato un occhio della testa. Comprarlo è stata un’idea folle ma avevo voglia di fare qualcosa. Per lei. Ho scelto un rettile perché mi sembrava abbastanza appropriato e perché non avevo nessun elemento per andare di più sul personale. Ah, poi c’era anche la dritta che mi aveva fornito la cameriera riguardo una certa enciclopedia di Creature Magiche che aveva dovuto sistemare in camera sua.

“Ciao.” Mi saluta, con un sorriso accennato. “Hai visto la meraviglia?”

A quelle parole il piccolo dinosauro gira il muso verso di me emettendo un rauco ruggito che mi strappa un sorriso. “Spero che gli insegnerai anche a stare fuori.” Volevo aggiungere ci distruggerà la casa sennò ma non ho il coraggio di dirlo. Suona troppo intimo, forse.

“Oh certo. Ma non ancora, vero?- non chiede a me, ma al cucciolo.- Il piccolo Slyter ama stare al calduccio.”

“Nome appropriato.”

“Sapevo che ti sarebbe piaciuto.” Continua lei fissandomi con i suoi occhi verdi. Lascia il piccolo rettile sul letto (che si lamenta per questo) e si dirige verso di me.  “Che hai fatto oggi?”

È una domanda semplice ma mi sento a disagio nel rispondere.

 “Ho comprato alcuni libri, per il mio nuovo lavoro. Lavorerò in un laboratorio di pozioni, domani ho il contratto ed inizierò la settimana prossima.”

Sembra veramente stupita. “Non me ne avevi parlato.”

“Perché?”

Arriccia un sopracciglio. “Cosa vuol dire perché? Perché… credo … di voler conoscere i tuoi progetti.”

“Li hai appena ascoltati, no?” Inizio ad agitarmi, non lo nego.

“D’accordo. A cena magari parleremo meglio di tutto.” Cerca di essere conciliante ma inizia ad agitarsi anche lei. “Magari anche di me.”

“Di te?”

“Sì, di me.” La tensione inizia a salire. Perché ci siamo messi a parlare e non l’ho spogliata, invece? “Anche io ho dei progetti.”

“Il tuo progetto è fare figli, di sangue puro, con me. Occuparti della casa, del tuo rettile e di fare in modo che tutto funzioni”

Non ho avuto il tempo per un’opinione. E attraverso la mia bocca Lucius non ha mai lasciato Malfoy Manor.

“Non sei tu che decidi dei miei progetti, Draco.” La sua voce è bassa e molto più calma mentre la sua piccola manina stringe il mio polso. Osservo quello che ha fatto ed osservo lei.

Che cosa ha in mente di fare?

“Però possiamo parlarne insieme.”

“Che fai, mi parli piano e fai le vocette come alla tua bestiolina? Ti do una notizia Astoria Greengrass: io non sono addomesticabile.” Alzo leggermente la voce alla fine della frase e questo non piace al dinosauro che si alza leggermente col busto e socchiude i suoi occhietti nella mia direzione.

“E che cosa pensavi, di poter addomesticare me?”

“Pensavo che potevi essere in grado di fare semplicemente la moglie.”

Lo so che sono parole dure. Ne leggo l’impatto nelle sue iridi e quasi mi rammarico nel vederle che si allontanano da me, inesorabilmente, sempre di più.

Forse capisce adesso che non ci ameremo mai.

Che quello che ci legherà sarà solo un nome, un tetto sulla testa e qualche marmocchio urlante, se riusciremo a farne.  Che io non sarò mai l’uomo dalla faccia contenta, come Blaise, mentre parla di lei, in un bar. Perché io non so niente di lei.  È come un universo nero che mi attrae e mi spaventa, quando stiamo insieme a fare l’amore in un qualunque angolo della casa, io mi sento bene, caldo, a posto, ma quando manca il contatto fisico tra di noi, ammetto di essere disorientato da lei.

 “Questo lo so già.” Le sue parole paiono misurate. Mi fronteggia, come sempre. “Non mancherò ai miei doveri di moglie, ne abbiamo già parlato. E… anche tu stai facendo la tua parte. “Arrossisce lievemente. “È inutile cercare di tornare indietro o di cambiare le cose, allora andiamo avanti.”

Mi prende entrambe le mani.

La fisso negli occhi, senza capirla.

“Non scappare.” Mi sussurra.

I miei piedi sono piantonati al terreno ma intuisco quello che intende.  Il cuore inizia a battere un ritmo cadenzato nel petto che non riesco a reggere, lei è vicina e mi sento di nuovo strano e fuori posto.

“Che cosa vuoi da me.” Le sussurro di rimando, arrabbiato con lei per avermi trascinato in questa situazione in cui non so gestirmi. Lei si alza sulla punta dei piedi e le sue labbra lasciano un piccolo contatto sulla mia bocca. Noto di nuovo che è bellissima.

“Pensavo che potremmo andare a cena fuori, questa sera. “

Alzo un sopracciglio. “Come tutte le coppie vere, immagino.”

Il mio sarcasmo spegne il suo sorriso. “Senti, io ci sto provando, d’accordo?! Ci sto provando sul serio! A parte il sesso siamo due automi e tra poco saremo marito e moglie e io… sto provando a conoscerti, a capirti! E tu l’unica cosa che fai è scoparti Pancy Parkinson o rifilarmi le frasi fatte di tuo padre!”

Il dinosauro si è alzato sulle zampe posteriori ed attende la mia risposta, come se fosse l’ultimo segnale per saltarmi addosso.

Immagino che sapesse di Pancy da tempo ma non credevo che fosse arrivata a capire dove finiva mio padre e dove iniziavo io. È arrabbiata, offesa, e questo, non so perché, mi ricarica. Sento che tutto sta tornando al suo posto.

“Io sono questo, Astoria! Questo!” urlo alzando le braccia e sono stupito che Slyter non attacchi.

Ma lo fa lei. “Non è vero!” rimanda. “Questo è quello che… puoi essere! Non quello che vuoi!”

La servitù, dietro la nostra porta, inizia ad accorrere, inquieta.

“Ti accontenti di tutto quello che era tuo padre e non sai niente di quello che sei o non sei, di quello che vuoi o no! È arrivato il momento di avere il coraggio di sapere chi sei!” mi punta addosso il sguardo infuocato. “Sei un vigliacco?”

La rabbia gonfia il mio petto. “Allora lo vedi che ho ragione? Lo vedi che mi disprezzi?”

“Rispondi!” urla di rimando piantandosi ad un centimetro da me.

Vorrei con tutto il cuore rispondere Si. Perché lo sono stato sempre, da tutta la vita. Ma il mio orgoglio me lo impedisce. “No.”

Lei deglutisce, ha gli occhi rossi. “È venuto il momento di prendere il toro per le corna, Malfoy. Perché non hai ucciso Silente?”

Quelle parole riaprono il vaso di Pandora. Me nel cortile di fronte a tutta la scuola, mio padre che mi chiama affinché passi dalla loro parte, io che rimango pietrificato, quello che avrei dovuto fare, quello che mi avrebbe salvato, tirare fuori la bacchetta contro di lui, rispondere “No” e invece io che avanzo, vigliacco, stretto nell’abbraccio del Signore Oscuro, con il cuore batte lentamente fino a spegnersi del tutto, nel mio petto. Forse è così che è andata, io che cerco fino alla fine di uccidere Harry Potter, lui che mi risparmia nella stanza delle Necessità salvandomi dalle fiamme che avevano inghiottito Tiger ma io che muoio per sempre, quando rinnego l’unica cosa che avevo capito di me, obbedendo di nuovo, al mio distruttore.

“Questo non ti riguarda.”

“Invece sì! Sei un assassino? Un Mangiamorte? Si o no? Si o no?”

Il dinosauro ringhia sopra il letto, a fauci spalancate.

Si o no, Draco.

“Sei un assassino?” insiste mentre calde lacrime le rigano le guance.  

La risposta è lì davanti a me. “No.” Parlo, rauco. Il no che dovevo a mio padre non l’ho mai pronunciato, per tutta la vita. Mi sento estremamente sollevato nel dire questo, adesso.

“Non ho ucciso Silente perché non sono un assassino.”

Sento di nuovo tutto il peso dell’ultimo sguardo di Silente, dedicato a me, mentre precipitava e mi ritorna nello stomaco l’ansia di quelle notti insonni, quando ero in gabbia, quando non sapevo che fare, quando dovevo uccidere Silente per riscattare la mia famiglia, quando mio padre era in prigione eppure continuava a tenermi in pugno, quando tutti ed io volevamo altro da me stesso ma io non avevo abbastanza di niente: ardore, coraggio, pena. Niente.

Lei non smette di fissarmi. Sono pronto nel vedere la delusione, nei suoi occhi.

Non c’è. Non capisco. Sono abituato a notare il rammarico negli occhi delle persone con cui si affronta questo argomento ma non ne trovo nei suoi e la cosa mi turba ma mi rilassa allo stesso tempo.

“Allora basta con quella parola

“che…?”

“Nessuno dirà più purosangue a casa mia.”

Annuisco, in silenzio.

Vorrei dirle tante cose.

Raccontare a lei, che sento così simile a me, adesso, tutto quello che ho passato. Di quel ragazzino che un giorno si è svegliato uomo e che non ha più saputo cosa fare della vita. Qualcuno gli ha detto che era un Mangiamorte e lui non aveva nemmeno capito dove quell’etichetta l’avrebbe condotto.

Ma forse questo è accaduto anche a lei. A lei che rideva delle nostre battute sui Babbani, lei che però alla battaglia finale magari ha trovato il suo angolo di salvezza, di riscatto, magari ha trovato il coraggio di riguardarsi di nuovo allo specchio ed accettarsi diversa, di prendere le difese di qualcuno che stava per morire o semplicemente di dire il suo “no” al momento giusto.

Io ho mancato quell’occasione.

“Credo che i muri di questa casa si nutrano proprio di quella parola.” Dico ad un certo punto con una piccola nota di ironia. “E di molte altre di quel genere.”

“Allora spero che si sgretolino seppellendoci tutti.”

Risponde lei con piccolo sorriso di humor nero.

“Già”.

 

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Capitolo 6
*** 6. Bianco e Nero ***


NdA: Mi trovo come sempre a ringraziare tutti coloro che mi seguono. È una storia strana, lo so, esploriamo solo cose che ci immaginiamo e pensieri e sentimenti che non abbiamo vissuto, crescite interiori che minacciano sempre di minarmi l’IC. Spero comunque che vi piaccia.  

Un abbraccio, Diomache.

 

ACQUAMARINA

 

 

6. Bianco e Nero

 

 

Astoria’s POV

 

Non voglio dire che con Draco vada bene, eh. Solo, non va più così male.

Stiamo assumendo entrambi un comportamento molto più maturo.  Va beh molto forse è esagerato.

Giornata tipo: (la sua) si alza dal mio letto – dove ogni tanto rimane, cedendo al sonno- o dal suo, facciamo colazione insieme –solo se riesco a svegliarmi all’impercettibile fruscio che fa alzandosi dalle mie lenzuola o se sento lo sbatti di qualche pentola in cucina o lo sfrigolio delle uova- e va al laboratorio. Non ho ancora capito se e come va con la capa Granger ma sembra disteso quando torna e anche se spontaneamente parla poco di sé – si fida altrettanto poco, di me – quello che riesco a scucirgli sono monosillabi di soddisfazione.

Poi ceniamo assieme, quando ho voglia ( se non ho voglia io lui non si metterà di certo a fare il chiacchierone) cerco di intavolare una discussione e lui mi segue abbastanza nei ragionamenti dimostrando sempre una sorta di sorpresa mista a curiosità per quello che dico: pensava fossi decorticata?

Comunque il dopo cena è sempre abbastanza standard, in un modo o nell’altro ci troviamo a fare l’amore e tutto ricomincia il giorno dopo. Solo una volta me l’ho trascinato al cinema che sì, è una cosa Babbana, ma una cosa Babbana bella e nonostante le sue imprecazioni – l’ho dovuto ricattare a suon di pozioni e sesso, che bassezza ahaha!- ho visto che alla fine guardava avido il grande schermo. “Sei una manipolatrice non mi trascinerai più in un coso del genere!” ma io lo so che si è divertito. Per compensare dopo siamo stati in un locale dove si gioca a freccette magiche o biliardo incantato e altri giochi che furono brevettati ed inventati dai Tiri Vispi Weasley , quelli li abbiamo evitati,  e l’ho quasi visto contento.

Sempre un po’ turbato ma dai lineamenti più lisci, mi ha persino offerto una burrobirra e, appoggiati al bancone del bar, mettendomi una ciocca di capelli dietro alle orecchie, ha perfino cercato di dirmi qualcosa di importante. Mi ha guardato intensamente negli occhi ma sull’ultimo gli è mancato il coraggio ed ha ripiegato su un “Non è male questo posto, avevi ragione. Ma non mi esprimerò su quel coso gigantesco babbano, perché mi andrà di traverso la burrobirra, altrimenti.”

“Draco, posso ricordarti che eravamo sotto effetto della pozione Polisucco ed abbiamo assunto l’aspetto dei tuoi servitori per andarci?” sì, l’abbiamo fatto. “Eddai, è stato divertente!”

“Ma se qualcuno….”

Gli avevo stoppato quelle parole inutili sfiorandogli le labbra con le dita. Basta, con queste cazzate. “Qualcuno… cosa.” Gli ho sussurrato, nella confusione del locale. “Qualcuno… chi. Non dobbiamo giustificarci più di niente. Facciamo quello che ci pare, Draco. Siamo liberi.”

Sembrava sotto effetto di un incantesimo prodotto dalle mie parole.

Non ho mai scoperto quello che voleva dirmi e la conversazione non è andata oltre. Ha ordinato un’altra burrobirra e poi di nuovo finchè, più allegri che mai, abbiamo riparato  a Malfoy Manor dove ho, con piacere, pagato il mio tributo in coccole.

Qualche volta sotto le coperte gli estorco qualche ragionamento in più. Lo faccio ridere, non sempre ci riesco, ma ogni tanto noto che è sinceramente preso quando mi stringe tra le braccia, prima di sgusciare fuori dalle mie coperte.

Personalità irrisolta e contorta, il mio futuro marito.  Su qualcosa cede, su qualcosa ancora mente. Mentiva ad esempio quando mi aveva quasi concesso l’abolizione di quel purosangue che gli era sfuggito di bocca. Avevo avuto l’impressione che avesse stancato anche lui.

Invece gliel’ho sentito usare altre volte e altre ancora, unito ad imprecazioni sui bei tempi quando potevano schiavizzare gli elfi (creature che odio, ma è un’altra storia) o lamentandosi che perfino un babbano sarebbe stato meglio dell’incompetenza dei suoi camerieri.

Su qualcos’altro invece non mentiva. I prossimi giorni mi accompagnerà ad un colloquio di lavoro.

Si tratta di Creature Magiche World,  un allevamento un po’ distante da Londra che offre un corso di cura, allevamento e guarigione delle Creature Magiche, l’iscrizione è limitata da un colloquio, la speranza è di passarlo, ottenere l’abilità, fare tutti i tirocini ed avere, un giorno, un impiego dipendente o privato tutto mio. Uno studio in solitario o in associato.

Ho dovuto faticare un po’, lo ammetto, ma alla fine ha ceduto e io non ci speravo.   

  Sono ancora sovrappensiero quando sento la porta della camera bussare energicamente. “Avanti!”

È Daphne. “Si può?” la sua testa bionda sbuca dalla porta e senza ricevere risposta si inoltra nella stanza. “Ehi, hai fatto miracoli qui dentro.” Commenta riferendosi probabilmente all’arredamento cambiato e al fatto che tutto quanto ha dei tenui colori verde acqua e nessuna traccia di grigio.

Le sorrido mentre si siede sul letto accanto a me. “Grazie. Ti trovo in forma.”

Daphne è sempre stata bellissima. “Io invece trovo che tu sia impazzita. Che diavolo hai fatto ai capelli, Astoria?”

“Li ho tagliati. Mi sento più adeguata, così.”

“Ti sposi tra una settimana, lo sai vero???? Avevi i capelli che ti arrivavano alla vita, hai IDEA della MIRIADE di decorazioni che potevano uscirci? Tu devi avere in testa qualcosa che non va, Astoria, credimi!”

 

 

“Tu devi in testa qualcosa che non va, Astoria.”

“Madre, se solo potessi spiegare…”

“Io … non voglio immaginare, non voglio immaginare! Qualcuno ti ha visto, hai capito!? TU che diavolo facevi lì dentro? Perché non eri fuori con tutti gli altri ragazzi Serpeverde, perché?!”

Il cuore mi esplodeva nel petto. Perché non sono morti? Perché non sono morti insieme agli altri?

“Madre io…”

“Taci!!! Ti hanno vista, hai capito? È finita…. È finita… nessuno della nostra stirpe ti sposerà più. Hai qualcosa che non va in testa…. Hai un demone o qualcos’altro!? Cosa c’è che non va in te?”

Le sue urla mi entravano dentro come coltelli. Ma non potevano ferirmi. Io ero lontana.

“Io…”

“Quella maledizione.” I suoi occhi erano limpidi come il ghiaccio. “Voglio che tu me lo dica. Hai lanciato un incantesimo di protezione, non t’è riuscito, e allora hai lanciato l’Avada Kedavra.” Le sue mani, le sue unghie attorno al mio polso. “Per chi era, Astoria.”

Ora tocca me pugnalarla.

“Augustus Rookwood.”

“La protezione, giusto? Lo scudo protettivo era per lui!”

 “No.” Due lacrime mi rigarono le guance. “Nient’affatto.”

Mi afferrò la gola con la velocità di un serpente. “Per chi, allora ...”

“Fred…Weasley.”

Fu il colpo di grazia. Stravolta, lasciò piano la presa.

Che immensa rivincita i suoi occhi confusi e persi, come quelli di una bambina smarrita in un bosco in piena notte. Come i miei, per tutta la vita, al suo cospetto.

“Hai ucciso uno dei nostri, Astoria? Mia figlia ha…?”

“Si.”

 

 

 

“Probabilmente è così. – sorrido -  o tu non saresti mia testimone di nozze, ti pare?”

Daphne nemmeno mi ascolta intenta a giocare con i miei capelli e ad immaginare i mille diversi modi di acconciarli. “Ma sì, non sono così corti. Cadono sulle spalle, infondo….. possiamo farli così… oppure…. OH SANTO CIELO!”

Slyter è appena trotterellato nella stanza e i suoi occhietti piccoli sembrano non mostrare gradimento per l’invasione di campo di Daphne. “CHE DIAVOLO è quella roba.”

“Un regalo di Draco. Ti presento Slyter, vieni piccolo….” E mia sorella schizza via dalla parte opposta del letto gattonando in maniera ridicola nel suo completo blu.

“Non farlo avvicinare!!!! Non farlo!!” ma le sue grida hanno incuriosito il rettile che nonostante i mei ammonimenti si avvicina a lei, perlustrandola con le piccole zampine e ahinoi le fauci aperte e questo basta per farle schizzare il cervello di paura. Urli di ogni genere si diffondono nella stanza da una parte quelle umane di Daphne, terrorizzata e dall’altra quelle eccitate di Slyter , tutto incuriosito dal suo nuovo gioco.

Prima che la situazione precipiti del tutto a malincuore faccio uscire Slyter dal suo rifugio preferito, camera mia, e mi tengo l’altro rettile, mia sorella.

Potendo scegliere avrei fatto diversamente.

È ancora sconvolta e sembra profondamente offesa. “Draco deve odiarti o volerti morta per regalarti un coso del genere.”

“In realtà le cose stanno andando meglio tra noi.”

“In realtà è da Pancy tutti i giorni.” Ribatte, sistemandosi il trucco, sbirciando la propria disgustosa immagine su un piccolo specchio.

Non chiedetevi perché una sorella dovrebbe dire questo all’altra. È Daphne. È sempre stata così: invidiosa di tutto, distruttrice, ossessiva.

La fisso ma lei non ricambia il mio sguardo. Sapevo di aver scelto il rettile sbagliato.

“Sei ben informata, vedo. I sui suoi spostamenti ti interessano o non hai di meglio da fare?”

“Sento Pancy spesso, lo sai che siamo amiche.” Torna finalmente a fissarmi. “Astoria, Draco non è un uomo che ci si tiene facilmente e credo che… con lei si diverta di più tutto qua.“ Pensa forse di avermi ferita così allunga una mano per stringere la mia. “Questo non vuol dire che non sarà un ottimo marito.” Il suo sorriso falso condisce l’affermazione.

Il mio sguardo non recede di un passo e la cosa la disorienta un po’, forse pensava di aver colto più nel segno o forse, semplicemente, come la mamma, non ha ancora capito che quando voglio posso essere impenetrabile alle loro cattiverie. Forse sono solo molto più cattiva di loro.

“Posso vedere il tuo vestito da sposa?”

“Certo.”

Modestia a parte è la cosa più bella che mente umana abbia creato nell’ultimo secolo in fatto di vestiti.

A sirena con uno piccolo strascico, il corpetto pieno di pietre incastonate che non si individuano nella loro singolarità ma se ne apprezza solo l’effetto lucentezza generale che quale viene sfumandosi nella parte inferiore per poi scomparire del tutto sulla coda dove lascia spazio al candore lucente della seta. “Mmmh! Non male!” Commenta lei ma i suoi occhi tradiscono un coinvolgimento maggiore. “Ma sei magra abbastanza per entrarci? Questo potrebbe stare a me.”

“Tsè, una volta forse” rido, mordicchiandomi il labbro e scoprendo una sua occhiataccia.

“Non sei divertente. Lo sai che ho un problema di salute.”

“Non è proprio questa la definizione di gravidanza.”

Lei sospira, tenendosi il ventre. “Non sono riuscita a sottrarmi…. Tutti ad incoraggiarmi di come questo… questo coso sia una delle grandi gioie del matrimonio!- rotea gli occhi al cielo, cercando un posto in cui sedersi.- e poi, lo sai, Theodore era assolutamente entusiasta… dice che ormai rimarremo pochi purosangue al mondo e che sarebbe nostro dovere fare figli.”

“Assolutamente.” Il mio sarcasmo non viene colto.

“E poi la mamma è così turbata ultimamente… l’idea di questo coso le dà gioia. Oggi ad esempio non le ho detto che venivo da te per non crearle ancora più ansia. Poverina, il solo sentirti nominare le dà la nausea.” Eccola, la mia Daphne. All’attacco.

Stringo le coperte del letto sotto le dita. “Prova con una cura drastica, parlale di me tutti i giorni! O le esplode il cervello o si riassesta qualche circuito, visto mai?”

“Da quando in qua sei così sarcastica?”

“E tu da quando in qua nomini la mamma nella speranza di infastidirmi? Hai finito le cartucce, Daphne?”

Accusa il colpo. Giocherella con un lembo del vestito. “Nomino la mamma per farti risvegliare un minimo di coscienza, cara sorella. Dimentico sempre che sei senza cuore.”

“Una cosa del genere, sì.” La parola coscienza dalla bocca di mia sorella è una di quelle cose che potrebbe friggermi il cervello e fammi colare liquor dal naso. Devo restare calma. “Non tornerò su questa decisione: non la voglio al mio matrimonio. Fine.”

“Certo, adesso hai un’altra famiglia, un’altra madre verso cui riferire, no? La cara mamma Narcissa”

Mi lascio sfuggire una risata isterica. “Penso di non averle detto niente oltre al buongiorno, in tutto questo tempo.” Per qualche strano motivo, queste parole hanno un effetto tranquillizzante su Daphne. I suoi lineamenti si rilassano e smette di tormentarsi i capelli biondi tra le dita. “Dici sul serio?”

Questo mi stupisce, sono sincera. “Beh, sì.”

Addirittura sorride. Ed è vera, questo è il peggio. “Oh lo sapevo che non eri del tutto scema! Astoria tu e Draco dovete allontanarvi il più possibile dai suoi genitori! È inammissibile avere a che fare con Lucius e Narcissa Malfoy, un disonore totale!”

Per una volta sono d’accordo con lei. Non sono i miei personaggi preferiti. Grigi anche nell’animo, né bianchi né neri o meglio, bianchi o neri a seconda dei comodi, neri per il Signore Oscuro ma di nuovo bianchi nella battaglia di Hogwarts, li ricordo come fosse ieri che fuggivano via come topi per salvare la pelle. Troppo codardi per tutto, anche per vivere la strada che avevano scelto, fino alla fine.

“Non piacciono nemmeno a me.” Qualcosa mi dice che abbiamo motivazioni diverse ma lascio correre, voglio proprio vedere dove andrà a parare.

“E ci credo! Ma lo sai che sta facendo quel porco di Lucius?- nego.-  lo sai perché non l’hanno ancora messo ad Azkaban e buttato la chiave? Perché collabora. Per ottenere tutto quello che vuole, soldi, ancora qualche prestigio, lui collabora, capito?! Ha fatto decine di nomi! Verme infame!”

Non è facile riaversi dall’impatto di quelle parole. Di nuovo con quest’altalena, dunque. Maledice i vincitori in casa, nero, collabora con loro fuori, bianco.

Dafne si sbilancia di nuovo a prendermi la mano.

Noto che è un tipo di contatto che le piace molto forse l’ha preso dalla mamma. Anche lei nei momenti di maggiore cattiveria sia fisica che verbale cerca sempre un qualche tipo di contatto fisico, nello specifico le piace o afferrare più o meno dolcemente il polso o mettere la propria mano a scudo su quella di un altro, per essere più rassicurante. Forse lo faccio anche io, ogni tanto. 

Daphne comunque le somiglia molto, sia fisicamente, con quello sguardo limpido e bello, i colori nordici e il fisico asciutto, sia caratterialmente, “velenose come tutte le donne Greengrass!!!” ridevano insieme quando eravamo in più piccole e giocando loro si rendevano sempre complici in qualcosa. E io anche in queste forme sciocche di gioco, ero esclusa.

La mamma l’aveva sempre capito che c’era qualcosa di diverso in me, ero meno bella e meno recettiva di Daphne, più introversa e più sola, meno popolare e con meno voglia di esserlo. Un po’ come il papà, taciturno e austero con la sua pipa in bocca.

Così io, senza la pipa, ma in un angolo ad osservare la mia famiglia come attore non protagonista della stessa, come la figlia un po’ mmh, la mia figura né formosa né magra, i capelli senza personalità e anche quei tratti delicati del viso che mi hanno sempre reso così glaciale ed impenetrabile agli altri erano solo fonte di derisione continua, a casa.

“Cielo, Astoria, fai un sorriso ogni tanto! Ma chi l’avrà messa al mondo una figlia così musona? Giuro che se non l’avessi partorita non avrei mai detto che è mia!”

Piccole croniche ferite nell’autostima lesa di una bambina semplicemente tranquilla, rifiutata dalla madre che non la considerava alla sua altezza e poco avvicinata anche da un padre che semplicemente non si poneva il problema. Solo col tempo avevo imparato di essere qualcuno anche io e che non tutto quello che mi rendeva unica e diversa da Daphne rappresentava un problema.

In tutto questo, proprio Daphne era il mio punto fermo. Da piccola era il mio mito, poi da ragazzina il mio faro quando non sapevo come comportarmi perché tutto ciò che facessi era fonte di disapprovazione, guardavo lei e seguivo semplicemente le sue orme, rendendomi spesso ridicola nella mia patetica imitazione, finché finalmente non ho iniziato ad accettare di pensarla diversamente, ad accendere qualche neurone e a crearmi impronte tutte mie. Ed è stato lì che ho perso anche lei.

Se ho capito qualcosa di Draco, questo è l’opposto di ciò che è capitato a lui.

 Io una famiglia che mi disprezzava, lui una famiglia che l’ha esaltato a tal punto da fargli pretendere dal mondo un posto che non gli spettava affatto, un posto di notorietà e potere che era per lui di diritto, di nascita, un posto che nel suo immaginario occupava Harry Potter, in modo fraudolento.

Ed è questo e solo questo il motivo del suo astio. Un odio personale. Non ideologico. A trasformarlo in ideologia, ci ha pensato Lucius, un padre che lui ha preso a modello per tutta la vita. E io so bene come ci si sente quando capisci la verità in fondo alle cose, quando il cielo si squarcia e tutti i tuoi modelli cadono a terra, come marionette.

E tu pensi, per tutta la vita chi sono stato? Un fantoccio anche io?

“Daphne, bevi qualcosa?”

“Dopo forse – è troppo concitata anche per bere.- Astoria, dissociatevi da loro. Dillo anche a Draco. Dobbiamo restare uniti, capito? Siamo pochi, purosangue. La maggiorparte si stanno mischiando … è il delirio più totale.”

Quello che sta dicendo è talmente grottesco se lo uniamo al tono serio e alla grave espressione del viso.

“Ne ho piene le scatole di tutto questo, Daph.”

Lei non si stupisce troppo, inarca un sopracciglio dorato. “Figurati, sei un’indolente.”

Questa poi. Ecco, adesso davvero mi uscirà il liquor dal naso. “Vado a prendere qualcosa da bere o le tue cazzate mi prosciugheranno il cervello.”

Senza attendere risposte apro la porta della stanza per uscire e dietro ci trovo il piccolo Slyter che mi aspetta, dolce tesoro, accoccolato per terra. Come mi vede si rialza e mi punta il muso sulla gonna poi capisco che ha voglia di entrare in camera perché è lì che ha la cuccia ( sì, non è mai stato in giardino, alla facciaccia di Draco) e io, sogghignando, non glielo impedisco.

Mi allontano con la dolce voce di mia sorella nelle orecchie, via via sempre meno intensa.

“Astoria… ASTORIA! Riprenditi quel coso… Vieni a prendertelo!!!”

“Non ti agitare, Daph! Che fa male alla tua malattia!

 Il pensiero va alla pancia di mia sorella, già al secondo o terzo mese, dove piano piano inizia a scalciare una vita.

Una nuova vita.

Tutto questo non finirà mai.

 

 

Draco’s POV

 

È una notte stellata e forse per questo ancora più fredda me ne accorgo perché uscendo dall’abitazione il mio fiato ha subito prodotto una densa nuvoletta bianca davanti alle mie labbra. Non ho fatto che pochi passi quando l’uscio da cui sono appena uscito si riapre violentemente.

“Draco! Non abbiamo ancora finito tu ed io.”

Non mi volto. “Pancy torna nella tua cazzo di casa e lasciami stare..”

Sento i suoi passi sulla ghiaia dello stradino, veloci, verso di me. Mi afferra per un braccio e mi obbliga a guardarla. È stravolta, il viso rigato di lacrime scure, il rossetto bordeaux che deborda dalla cornice delle sue labbra. Vestita soltanto di una leggera vestaglia nera, è l’immagine del grottesco. Me ne rendo conto adesso come sempre, solo che adesso, a differenza di sempre, mi è venuta a noia.

“Tu… lurido bastardo! Tu non puoi… non puoi lasciarmi!”

Rido, gelido, e di nuovo creo vapore acqueo a circondarmi il viso. “Io non posso, COSA.” Le afferro io adesso il braccio ma la mia stretta è forte e le fa male, a giudicare dalle sue teatrali smorfie. “Lasciare te? Cosa c’è da lasciare, Pancy? Siamo stati qualcosa tu ed io? Non- stringo più forte- mi- di più- risulta.” La lascio con uno scatto e lei indietreggia fino quasi a cadere.

Si riempie la bocca di saliva e sputa a terra, davanti ai miei piedi. “Ti meriti di tornare da quella frigida di Astoria Greengrass. Ti sei fatto mettere il guinzaglio da quella stupida sciacquetta, eh Draco? Ma che cosa sei diventato?” avanza qualche passo verso di me socchiudendo gli occhi. “I tuoi genitori stanno imbarazzando tutti quelli che nella comunità Magica ancora capiscono qualcosa, tu lavori dalla SporcaMezzosangue e la tua futura moglie è una stupida Traditrice del suo sangue!”

Qualcosa dentro di me smette di funzionare. La spingo forte a terra con uno scatto rabbioso, sento il suo gracile corpo toccare la breccia e il freddo della strada e a quel punto estraggo la bacchetta. Sei morta, Pancy. È terrorizzata. “Ma che vuoi fare?”

Le sono sopra e la mia bacchetta piantona la sua gola. “Rimangiati tutto quello che hai detto. “

È un’ammissione di colpa, me ne rendo conto non appena ho finito di pronunciarlo. Lei se ne accorge e sorride, con un sorriso folle in cui una parte di me ritrova Bellatrix Lestrange. I suoi occhi da pazza che mi fissano, “Guarda bene, Draco… è o non è Harry Potter?”

“Ti ho detto di rimangiarti tutto, stronza.”

Lei rabbrividisce, è molto freddo ed è quasi nuda. “è la pura verità… lo pensano tutti. I tuoi genitori…”

“Che cazzo vuol dire quello che hai detto su Astoria.”

“Oh, poverino, non lo sai? - tenta di rialzarsi ma la pressione della mia arma puntata la obbliga a restare dov’è. - beh circolano voci strane sul suo conto. Su qualcosa che avrebbe fatto durante la Battaglia di Hogwarts.”

“Tu ne sai molte, Pancy, di battaglie.”

“So quello che conta per sapere da che parte stare.” Continua, gli occhi iniettati di sangue. “Quella troia ha..”

“Basta. Il tuo stupido tentativo di tenermi ancora legato a te è talmente patetico che si riassume guardandoti. Sei una povera disperata senza nessuno, senza futuro e, da adesso senza nemmeno qualcuno che verrà a trombarti, ogni tanto.” Abbasso la bacchetta e mi volto, mentre ribatte. “Tu tornerai da me, Draco. Lo sai benissimo”

Un piccolo turbamento si fa strada in me. Mi rendo conto che non posso escluderlo, neppure volendolo. Non posso escluderlo perché Pancy per me rappresenta una sorta di libertà, un lasciapassare verso la trasgressione e un piccolo angolo di me quando mi sento perso.

Mi conosce quel che basta da accettarmi come sono senza dover indorare la pillola, qualcuno che mi adora senza nessuno sforzo e verso cui non devo nulla. È sempre una prospettiva allettante, non ne ho mai fatto a meno e non so se sarò in grado di smettere davvero, in futuro. Fare sesso con Astoria è bello ma è sostanzialmente diverso.

C’è una patina di diffidenza tra noi, sento forti le sue aspettative, sento ed ho paura che potrei spezzarla, ferirla, umiliarla e qualcosa dentro di me mi porta ad andare cauto, a starci con la testa, a chiedere permesso, a spiare le sue reazioni prima di fare ogni cosa.

Non l’ho mai fatto con nessuna e la cosa mi turba, sento che non so più chi sono, nemmeno in quello. Per questo ho bisogno di Pancy, per ricordarmi che io sono Draco Malfoy e che non ho bisogno di chiedere scusa.

“Addio Pancy.”

“La pagherai cara Malfoy.” La sua voce trema di rabbia.

“E come, di grazia? Credi che mi ingelosirò se scoperai con tutta Londra?” continuo a scimmiottarla e non mi giro più, nemmeno per un secondo, finché non salgo in macchina.- Al diavolo.”

Credo di sentirla piangere mentre mi grida ancora “La pagherai per tutte.” Ma la mia macchina s’è già alzata in volo e io sono via in un lampo.

 

 

 

Quando arrivo a casa sono ancora travolto dalla rabbia. Il tragitto è stato breve ma non abbastanza da impedirmi di ragionare su tutto quello che Pancy mi ha vomitato addosso, sui miei genitori, su me stesso e su Astoria. Non ci cavo un ragno dal buco.

È vero ma allo stesso tempo vorrei che non lo fosse.

Come quando mi trovo a parlare con la Granger e a pensare che non sia male. C’è una sorta di senso di colpa ancestrale, un vergognarsi di base ma non so rispetto a chi, un disagio interiore che cresce, irrazionale, fa a cazzotti con la ragione che non accetta quei nuovi pensieri, come si potranno mai incastrare in quelli vecchi?

Apro l’uscio ed ignoro, uno dietro l’altro tutti i miei servitori che mi danno la buonasera o mi annunciano la cena in tavola, Slyter che corre allegro verso di me, e prima che Astoria possa entraci sbatto veloce la porta della mia stanza.

Sono furioso ed ho bisogno solo di bere e di dimenticarmi quella troia e nient’altro.

La porta si apre alle mie spalle. “Fuori. Mi sembrava che il mio atteggiamento fosse chiaro.”

“è chiaro ma non è abbastanza per chiudermi fuori.” Avanza e va a sedersi sulla sedia del mio studio.

“Astoria, vattene.” La guardo per un istante e colgo che è furiosa anche lei. Con me? “Che c’è” continuo.

Scrolla le spalle. “Daphne è stata qui, oggi.”

“E allora?”

“La detesto.” Dice semplicemente e vedo che è vero. I suoi occhi verdi sono gelidi come muschio invernale. “E sai che cos’altro detesto? Che mio marito torni con la patta aperta.”

Mi guardo istintivamente il pube e scopro che mi ha fregato. La zip è chiusissima. Quando la osservo ha un ghigno sul viso. “Non sono affari tuoi.”

“Che cos’ha più di me.” Sibila, come un serpente. Ripenso alle parole di Pancy e mi rendo conto di quanto siano false. Come può una donna, così tanto serpeverde essere una traditrice? Questo mi attira, verso di lei, come una falena. Improvvisamente un’altra immagine mi balena la mente, lei in quel pub che mi sussurra un siamo liberi.  Siamo liberi.

“Niente.” Rispondo, cercando un sorso dalla bottiglia di liquore che tengo sempre in camera.

“Niente” ribatte lei, scimmiottandomi. “Forse circa un centinaio di malattie veneree. Riconosciamo a Pancy i suoi meriti, no?” Ghigna, come una leonessa, e io mi sento improvvisamente complice della sua ilarità. È o non è in collera con me?

Si avvicina, felina, e mi prende la camicia tra le dita. “Io sono tua, Malfoy.” Dice tra i denti. Mi aspettavo un’aggressione, non questo. “Sono tua” ripete. La sua lingua accarezza le mie labbra e i miei denti. “Solo tua.” Cerco di stringerla ma fa un repentino passo indietro.

“Tra sette giorni ci sposiamo, bisogna che iniziamo subito.”

“Che cazzo stai dicendo? Non ti seguo.”

Con uno scatto rabbioso si priva del vestino giallo che indossava fino a quel momento. Sono sicuro che qualche bottone sia saltato. È completamente nuda sotto, indossa solo un piccolo perizoma verde acqua.

“Insegnami.”

 

 

 

 

 

Nda bis: qualcuno potrebbe riconoscere in quest’ultima scena un riferimento ad una scena di un vecchio telefilm. Per coloro che l’hanno fatto, sappiate che il riferimento era voluto :D

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Capitolo 7
*** 7. A day in a life ***


Nda: ciao a tutti! Eccomi tornata! Approfitto come sempre per ringraziare di cuore chi mi segue e coloro che hanno scelto la mia storia come preferita, raivo per la sua recensione ( <3) e anche tutti quelli che l’hanno solo letta! È un nodo importante della narrazione, questo capitolo, spero che mi facciate sapere che ve n’è parso ;)

Un abbraccio, Diomache.

 

 

ACQUAMARINA

 

7.A day in a life.

 

 

Astoria’s POV

 

Sapete riconoscere il momento più importante di tutti? Quello che cambia l’espressione sul viso, l’ora di seguito, l’intera giornata e quando ti guardi indietro ti accorgi che ha cambiato tutto quanto. L’avete riconosciuto al momento giusto?

Io non lo so se questo cambierà tutto. So solo che questo ha cambiato l’espressione sul mio viso e che adesso monopolizza i mie pensieri. Adesso che sto seduta qui assieme ad altre trenta ragazze che ripassano forsennatamente grossi libri di Creature Magiche, io sono lontana. Quant’è vero che questa dovrebbe essere la mia occasione, io non sono qui.

“Ehi.”

Una nuova ragazza si è seduta al mio fianco. Siamo in un corridoio stretto di un palazzo antico e rimaneggiato di moderno, niente di più osceno. Lei ha un’aria familiare, capelli molto lunghi e di un biondo sbiadito, gli occhi che sembrano perennemente interrogarsi su qualcosa che non si aspettava. Ah già. Loony-Faccia-di-pesce.

Mi ha appena salutato e mi chiedo il perché. Forse ho dipinto in faccia un’espressione rassicurante, forse è rimasto il sorrisetto ebete di questa mattina e il mondo pensa di approfittarsene. “Ehi” rispondo cercando di mimare un’aria infastidita, giusto per compensare.

Ovviamente nulla può fermare Lovegood-occhi-di-fuori quando decide che ti vuole parlare. “Ti piacciono le Creature Magiche… chi l’avrebbe detto?- non trovo nulla da rispondere.- sei l’unica persona che conosco qui.”

Non lo dubitavo. “Anche io non conosco nessuno. Ti chiami Luna, se non sbaglio.”

“Buffo, no? Io Luna, tu Astoria. I nostri genitori dovevano amare il cielo.”

“O la notte.”

A guardarla non sembra nemmeno che siano passati cinque anni. Penso che a momenti potrebbe dondolare le gambe o fare qualcosa tipo parlare dei Nargilli… tutto sembra molto Hogwarts qui. Vorrei farlo notare anche a Draco, condividere con lui questi attimi vuoti ma non posso. Non è venuto. Ha detto che doveva passare assolutamente in laboratorio a controllare che le sue pozioni facessero plin plin in modo corretto per non lasciare niente in sospeso prima del matrimonio.  Mi ha salutato presto con una carezza imbarazzata e nemmeno mezza parola.

Certo, la sua motivazione è plausibile. Ma non posso fare a meno di pensare che questa per lui doveva essere una piccola resa e che la sua assenza voglia proprio comunicarmi questo. Okay ma sbrigatela da sola.

“Ripassiamo qualcosa?” la Lovegood ha tirato fuori un libro dalla sua pittoresca borsa di pelle lilla. “ Ti va?”

“Beh, sì.- rispondo accennando, mio malgrado, un piccolo sorriso.- non ho studiato molto.”

“Non serve, sai. È tutto intuito e testa- dice indicandosi la tempia- noi pensiamo di imparare ma è così maledettamente tutto intuitivo, ad un passo da noi.” Stranamente non mi pare un discorso privo di senso. “Cerchiamo solo di riguardare qualche nome. Poi se ti va posso farti vedere quelli che io e mio padre abbiamo scoperto negli ultimi anni… pensa siamo andati anche in Andalusia!”

“Beh, limitiamoci ai principali, per il momento” ci vado piano, mi accorgo che non voglio farla dispiacere.

“Sai che stai proprio bene? Hai una faccia diversa”

 

“Draco…”

“Signorina, il Signor Malfoy è uscito. È andato in laboratorio! Ma lei si prepari, o farà tardi!”

“Olga mi sento male… credo di dover vomitare.”

La corsa in bagno, il contenuto acido dei miei succhi gastrici che centra per un pelo il water, la testa che gira, un dubbio che si insinua, quando ho avuto l’ultimo ciclo? Tre settimane fa o quattro? O cinque?

“14-21-28…” conto mentre faccio pipì sulla pozione magica che mi ha dato Olga. Basta fare pipì ed aspettare qualche secondo eppure l’eternità non è mai stata così lunga. Prima che Olga rimanga abbastanza in bagno con me, la spingo dolcemente fuori, prendo la pozione chiusa in una piccola anfora, senza sapere nemmeno io cosa augurarmi e cosa no, la serro nel palmo della mano appoggiando la schiena alla porta e scivolando piano verso il pavimento. “ 7.. 14…21…28”

Apro gli occhi. Ha cambiato colore.

“Olgaaa!” chiamo spalancando la porta come se dovessi farla venire dalla fine del mondo, ma lei era già lì per me. “Olga guarda, cosa vuol dire?”

Le urla della donna sono la risposta.

Vengo travolta da quattro abbracci, stretta nelle loro congratulazioni, nell’affetto di chi siamo abituati a considerare niente e senza nemmeno uno sguardo di  coloro che pensiamo siano tutto.

 

“Grazie.” Rispondo, ai suoi grandi occhi vitrei.

 

 

Draco’s POV.

 

In queste tre settimane ho imparato che non c’è niente di più rilassante del lab’s vuoto e silenzioso, completamente plasmabile sotto le mie mani.

La polvere magica ti teletrasporta in una piccola baita in mezzo al niente, esci e c’è solo un piccolo bosco, siamo fuori Londra, a circa due ore di volo di scopa da casa mia. Con la polvere magica nemmeno cinque secondi. La baita è un luogo estremamente frugale, sembra un vecchio e abbandonato rifugio di pastori e credo sia fatto apposta affinché chi piombi qui per caso non abbia voglia di stare troppo a curiosare.

Uscendo dalla porta principale bisogna imboccare la strada verso il bosco ma senza arrivarci; poco prima, vicino ad un grosso Salice Contento ( specie rara), c’è a terra una piccola botola.

Basta salircisi sopra, accertarsi di non essere visti e con la formula giusta la botola si trasforma in un piccolo ascensore che ti trascina sotto terra in una grande caverna di pietra: il cuore del labs’.

Il contenuto di pozioni ed ingredienti presenti qui non è immaginabile. Molto spesso sono talmente entusiasta di quello che trovo o che scopro che se non avessi ( come ho) un buon autocontrollo rischierei di farlo trapelare agli altri e di passare da completo imbecille. Ad ogni modo è palese che lavorare qui è la cosa migliore che potesse capitarmi: non di rado devono ricordarmi di staccare e mangiare un boccone e anche oggi è una sorpresa per me notare che l’Orologio magico è diventato blu scuro ( cambia colore a seconda delle ore del giorno e prima che qualcuno lo schiantasse, anche a seconda del meteo…. Ma era diventato ingestibile il suo metallico tic tic tic tic che riproduceva la pioggia)… non era giallo due secondi fa?

Amo stare qui da solo, è l’ideale soprattutto se sei un po’ agitato e devi concludere procedimenti difficili. E sì, anche per staccare un po’ dal matrimonio. Cerco di non pensarci troppo ma la data si avvicina pericolosamente rendendomi nervoso ed insicuro.

È proprio perché sono sicuro di essere solo che quando sento il rumore della botola che si aziona, sobbalzo, e mi aggrappo istintivamente alla bacchetta nascosta nelle pieghe dei miei abiti neri e la punto sulla faccia contrita della Granger, appena apparsa. “Nervoso, Malfoy?”

La mia espressione è un ghigno e mi sento improvvisamente scemo, davanti alle mie venti boccette e caldoroncini fumanti.

“Non ti aspettavo, Granger. Abbiamo già avuto il piacere di averti qui due giorni fa, o sbaglio? Sarà mica già passata una settimana?!”

Il viso rimane di un’espressione grave, mentre avanza. “Non è il momento di scherzare, Malfoy. Smetti quello che stai facendo, dobbiamo parlare.”

Dannazione. “Temo che dovrai attendere il tuo turno, Granger. I pungiglioni di vespa vanno monitorati mentre bollono, se passano di un secondo sono inutilizzabili. Non vorrai mica farmi sprecare i vostri preziosi soldi? Che cos’è tutta quest’urgenza?”

Lei tace mentre fruga nella borsa. Io ne approfitto per fare qualche aggiustatina di polvere di Ibris, agitando appena la bacchetta perché cada a pioggia e non tutta d’un colpo. Torno a guardarla.

Ha un aspetto diverso dai tempi di Hogwarts. È cresciuta ed ha visto la guerra, la morte, la paura, come tutti, e s’è tolta dalla faccia quell’espressione irritante da stupida so-tutto-io. A vederla adesso si direbbe perfino che fosse una persona diversa, quella che alzava saccentemente la mano a lezione ogni volta che il professore di turno sillabava “C’è qualcuno per caso che sa…”

Quando ritengo che le lingue di drago possano aspettare “Agua” – pronuncio, e dalla mia bacchetta escono gocce d’acqua che le avvolgono completamente.-  “Allora?”

Mi porge una busta nera, grande come quelle che normalmente contengono le lettere. È stata aperta ma la ceralacca che la chiudeva è verde ed è stata plasmata con lo stemma della casa Serpeverde. “Che roba è?”

“Speravo che fossi tu a dirlo a me.”

“Non sono mai stato un tipo da letterine d’amore, Granger.”

“Conosci l’Idra di Lerna? È un mito greco.”

“L’unica cosa che so è che mi stai veramente facendo innervosire. E s’è fatta anche una certa ora.”

“Malfoy è una cosa seria.”

“E allora dimmi le-cazzo-di-cose-serie.” Ho battuto lievemente il palmo della mano, per condire l’affermazione. Lei ha sobbalzato leggermente. Stare con lei in questo piccolo buco di pietra così, con la notte fuori e dentro, è surreale. Fa quasi dimenticare chi siamo realmente.

“Appartiene ad un gruppo di studenti Serpeverde. È stata ritrovata tre anni fa ristrutturando Hogwarts ma solo recentemente siamo riusciti ad aprirla.- inarco un sopracciglio—beh non penserai che fosse della comune ceralacca! Era stregata. Pesantemente, stregata.”

La cosa inizia ad avere un interesse maggiore dei pungiglioni di vespa. “Continua…”

“Questa è una copia. L’originale è custodita nel Ministero della Magia … quindi aprila, guarda tu stesso.”

Dentro c’è un foglio di pergamena su cui è inciso un bizzarro disegno. È un mostro con un unico corpo a più teste, ognuna con le fauci spalancate. “è l’idra.- spiega lei.- un mostro mitologico. Leggi sotto.”

Obbedisco. “Il corpo non rinneghi mai l’anima che lo possiede. Il corpo è unico ma ha delle membra, più membra libere e pensanti. Esse fanno parte del corpo ma non sono assoggettate ad esso. Esse sono il corpo.” Lo scritto delirante è finito. “poi sotto ci sono solo parole senza senso.”

“Pensiamo che siano anagrammi. Anagrammi di nomi.”

“Senti Granger, sto seriamente perdendo la pazienza.” Uno dei piccoli calderoni smette in quell’istante di bollire ed io sono costretto ad interrompere l’arringa per controllarlo.

“Malfoy, abbiamo ragione di pensare che si tratti di una ...associazione. Ma, credimi, non è questo il momento di addentrarsi in discorsi lunghi.”

“Associazione, che genere di associazione?”

Lei alza le spalle, scuotendo appena la sciarpa di seta rosa che indossa. “Studenti Serpeverde che durante l’ultimo anno hanno… dato una mano a Neville e gli altri.” Non è facile parlarne. L’aria diventa satura del nostro imbarazzo. “Ribelli…. Credo.”

“E?” è l’unica cosa che ho trovare da dire nella nebbia della mia testa, per cercare di farla andare avanti, al punto della questione.

“è stata una cosa segreta per tutti. Non sono mai arrivati direttamente né a Neville né a Ginny o Luna, collaboravano con Anthony Goldstein che è morto a Hogwarts quindi non può dirci nulla. Sua madre però c’ha dato le sue cose e i suoi appunti contenevano annotazioni di … aiuti, dritte che gli forniva l’Idra e che lui riportava agli altri. Ma non siamo stati i soli ad andare dalla Signora Goldestein a chiedere di Anthony.” mi fissa intensamente negli occhi adesso, come a volerci leggere dentro a tutti i costi. “Alcuni....”

“Sì, ho sentito.” Dico distrattamente. Me ne aveva parlato Lucius con un certo ardore: c’era ancora qualcuno e si stavano organizzando. Senza il signore oscuro, è chiaro, non sarebbero mai stati più che un branchetto di delinquenti ma avevano intenzione di farsi sentire, aveva detto.

Io sono vecchio ormai ma tu che sei giovane dovresti metterti in contatto con loro e capire se possono esserti utili o no.

“Cosa sai?”

“Quello che uno dei vostri Auror ha detto a mio padre, durante un interrogatorio. Quali sono le loro intenzioni?”

“Non lo sanno nemmeno loro. Sono confusi, pochi, arrabbiati e senza una guida. Vogliono fare qualcosa e partiranno da loro. Dall’Idra. Hanno scoperto di aver avuto una serpe in seno e vogliono vendicarsi. Non mi dire che non hai sentito dell’incidente Miles Bletchley?”

“Vuoi che dire Miles…”

“Guarda qua”. Sotto quello strano scritto delirante su membra e teste c’è una piccola lista di lettere senza senso. Anagrammi, li aveva chiamati lei. “Revelo!” Le lettere iniziano a muoversi e sotto i nostri occhi si compongono sette nomi. Uno strano Otaria’s si muove fino a comporre Astoria. “Non sarei venuta qui se non fosse per… questo”

Pansy occupa la mia mente. Lei lo sapeva. Lei l’ha chiamata traditrice.

“Io… non lo sapevo.” Do una smanata a quella stupida pergamena e appronto le mie cose per andarmene. “Non capisco comunque perché sei venuta da me. Io e lei non siamo ancora sposati quindi non avrei il diritto di sapere queste cose. E visto che non siamo amici tu non dovresti avere nemmeno il dovere di dirmele, no?”

“è scomparsa.”

Esce dalla sua bocca come l’ultimo fiato dei morti. Mi volto. “Che cosa?”

“Harry e gli altri la stanno cercando ovunque, bisogna metterla in un programma di protezione. Ma non sanno dove trovarla e al Manor è da questa mattina che non torna. Sappiamo che non ha buoni rapporti con la famiglia e infatti non è da loro, ma per il resto non sappiamo come muoverci. Devi aiutarci! Dove può essere? Ha un’amica…. Aveva impegni particolari per oggi?- io la fisso senza parlare.- Non possiamo aspettare che torni a casa, Malfoy, potrebbe essere troppo tardi!”

“Aveva … un incontro di lavoro. Un colloquio, voglio dire”

“Bene, bene…” sono comparse nelle sue mani penna d’oca e carta e lei lo sta furiosamente appuntando. “E dove?”

“Creature Magiche … o qualcosa del genere.”

“Ah, c’è anche Luna! Ma devono aver finito da un pezzo!- mi rendo conto che dovrei interloquire di più ma sono congelato, come se fossi sepolto in mezzo alla neve. Tutti i miei muscoli sono contratti per tenermi in vita e salvarmi dall’assideramento. – Non importa, inizieremo da lì. Malfoy tu…”

“Vengo con voi.”

Nega con il capo facendo svolazzare i capelli. “ Non puoi! Vai al Manor e contattaci se torna!”

“Non ci siamo capiti, Mezzosangue. Ho detto vengo con voi.”

La vedo contrarre i muscoli del viso. Un’espressione aspra accompagna il suo “Va bene”

 

 

Astoria’s POV.

“Sono proprio contenta che tu mi abbia portato qui” dice Loony sognante mentre osserva, dispersa, uno degli scaffali pieni di libri. “Come sapevi che c’era una biblioteca così grande?”

“L’ho scoperta l’altro giorno quando sono venuta qui a prendere istruzioni per il colloquio.- rispondo riponendo uno dei volumi che stavo guardando io.- è molto antica e potrà tornarci utile.”

“Ora che abbiamo il lavoro, sì.” Conclude Lovegood facendo un saltino per prendere un libro troppo in alto. Con un mezzo sorriso “accio libro” l’aiuto.

“Oh, grazie. A volte cerco di non usare la magia… è un esercizio che fa spesso anche mio padre, dice che ci rende meno arroganti e ci avvicina di più al mondo semplice dei Babbani.”

“Mi sembra che renda solo le cose complicate.” Commento, annoiata. Ma che cavolate tocca sentire? “Ma se vuoi posso spostarlo in cima a tutti gli altri per farti esercitare meglio nell’arrampicata.”

Mi rendo conto di essere stata troppo dura dai suoi occhi sporgenti, che si velano di delusione. “No, per favore.” Dice, aprendo il libro e fingendo di concentrarsi su quello.

Anche io fingo di fare dell’altro. Sebbene la giornata sia stata lunga e odi profondamente le mie scarpe alte o la gonna a tubino che mi sono infilata stamattina cercando perdutamente di apparire più professionale (Loony, invece, più furba, sapendo che ci aspettavano diverse prove e che non saremmo tornate prima di sera, veste con un morbido abito verde chiaro e delle ballerine marrone sporco.) non ho comunque tanta voglia di tornare a casa. Slyter si chiederà dove sono, ma solo lui, temo.

Faccio un altro giro per gli scaffali della gigantesca libreria cercando qualcosa che mi interessi anche se, onestamente, col mal di testa che ho non mi interesserebbe niente se non un incantesimo di relax.

Improvvisamente la Lovegood mi si fa vicina. Ha un’espressione strana in viso. “Astoria, c’è qualcuno che ci sta seguendo.”

“Come?”

“Sì. È da qualche minuto che guarda quello che facciamo. Non ti ho detto nulla perché prima volevo essere sicura che non fosse un Lumacuccino. Sai, possono comportarsi così.”

Sorvolo alla grande sul Lumacosa mentre un piccolo rumore alla nostre destra conferma le parole di Loony. È proprio sveglia, altro che Loony. “Che cosa facciamo?”

“Hai dei soldi con te? Forse sono ladri.” Nel frattempo noto che la biblioteca è completamente vuota. C’erano almeno altre dieci persone fino a poco tempo fa “No.” Rispondo.

“Sai combattere?” a questa domanda non faccio a tempo a rispondere perché un uomo alto e vestito di nero compare alle spalle di Luna, con in faccia una specie di maschera a gas. “Stupeficium!”  urlo e l’uomo vola in fondo al corridoio.

È l’inizio. (o la fine?)  Io e Luna scappiamo attraverso gli scaffali, prima di farlo, mi tolgo con uno scatto i miei tacchi e la seguo a ruota. Ci copriamo le spalle vicendevolmente mentre le maledizioni ci piombano addosso come pioggia. “Per di là!” la conduco attraverso un altro piccolo corridoio e prima che uno di loro possa raggiungerci ho schiantato anche lui. Luna è brava a combattere, è veloce e precisa e non so se la sua sia realmente una bravura fuori dal comune o l’impressione così positiva derivi dal fatto che mai te la saresti aspettata, guardandola. Il rifugio ci dura ben poco e siamo costrette a scappare altrove, con loro alle calcagna, facendoci scudo, scaffali e  libri che volano sotto gli incantesimi.

“Ma chi sono?” ne schianto uno proteggendomi per un soffio da una maledizione, ma non faccio in tempo a schivarne un’altra che mi prende in pieno petto. “Crucio” esce dalla sua bocca e la ritrovo nelle mie vene, le mie membra si sgranocchiano come carta appallottolata, come cubetti di neve ghiacciata sotto le scarpe. Mi accascio a terra, la testa tra le mani, in un fascio di tremiti.  Poi finisce. Quando torno ad aprire gli occhi vedo l’uomo volare lontano. “Grazie.” Luna mi aiuta ad alzarmi.

“Presto, andiamo!” scappiamo, lei guida la fila io le copro le spalle, sentiamo un’esplosione provenire dall’ingresso della biblioteca. “Lunaa!” sembra… sembra…

“Harry!” risponde lei. “Harry siamo qui!”

Fantastico.

“Chi l’ha chiamato?” grido io duellando contro l’ultimo ma prima che possiamo finire questi se ne va, assieme agli altri, smaterializzandosi lontano. È finita.

“Oh lui sa sempre chi è in pericolo.”

Posso vomitare?

Sentiamo dei passi venirci incontro e poco dopo eccoli, i due Auror senza macchia e senza paura, Sfregiato Potter e il donnolo Weasley. Non sembrano sorpresi di vedermi. “State bene?” chiede; lui e Luna iniziano a parlare, io mi limito ad annuire.

I miei vestiti sono ridotti ad un colabrodo e non so se troverò più le mie scarpe.

La biblioteca è conciata peggio. Molti scaffali hanno buchi grossi come tane di volpi, altri sono carbonizzati e con delle piccole fiamme vive che scoppiettano innocue.

“… hai l’aria pallida.” Commenta Weasley rifilandomi uno dei suoi sguardi confusi. “Beh non che tu non lo sia sempre, comunque.”

Ma che cazzo dice?

“Andiamo – ci incita lo Sfregiato, tenendo in mano una bacchetta che non gli è servita.- prima che piombi qui la stampa. Hermione sta arrivando, ci raggiunge al Ministero”

“Io vado a casa” Mi guardano tutti con aria interrogativa, come se non immaginassero che potessi esprimere anche io la mia.

“Astoria, se te la senti, dobbiamo parlare. Questa notte.” Potter ha un’aria grave e rassicurante insieme. Capisco perché è un leader. Ci sa fare con le persone ma senza dare loro l’impressione che volga comandarle; ha sempre sulla faccia dipinto quello sguardo da come stai-stai bene-tutto ok e non so se sia onesto nei suoi sentimenti, sincero nella sua preoccupazione infinita per gli altri. Ad ogni modo in sua compagnia è facile sentirsi importante, perché è lui che ti fa sentire tale.

“Okay, vengo con voi.”

Ci incamminiamo verso l’uscita della biblioteca ma io non riesco a varcarne la soglia. Una potentissima sensazione di caldo e freddo mi pervade la schiena seguita di nuovo da quella sensazione fortissima di contrattura, la testa si riempie di fischi, le gambe sono instabili sotto al mio peso, una morsa invisibile, un gigantesco cappotto fatto di spilli mi sta avvolgendo stretta, stretta, stretta…

“Astoria! Che c’è?” urla Luna tenendomi un braccio. “Ti senti male?”

“Fatelo smettere!” è l’unica cosa che riesco a dire. “ce n’è un altro, ce n’è un altro….!”

“Non c’è nessuno, Astoria! – vedo Potter scambiarsi uno sguardo con Weasley il quale torna nella biblioteca a grandi passi- Ron sta andando a vedere…”

Il dolore corre forte come se dovesse raggiungere il traguardo di una maratona io lo seguo perché non posso farne a meno e sento che diventa sempre più forte più forte… finchè si spegne. Come un maratoneta che ha tracciato il traguardo e rallenta, si ferma, così, mi lascia, piano piano, scivola dalle mie membra dilaniate. Sento lontana la voce dello Sfregiato confabulare con Luna. “Dobbiamo portarla in ospedale.”

“Nella biblioteca non c’è nessuno.” Weasley è appena tornato. “Miseriaccia, sei ferita, Greengrass!”

Puntellandomi con la mano di Loony riesco a raggiungere la pozione eretta e mi rendo conto di avere le gambe rigate di sangue.

“Accidenti! Luna spogliala dobbiamo vedere dov’è l’emorragia e fermarla, intanto chiamate il SanMungo!”

“No” faccio qualche, incerto, passo indietro. “State indietro… io…”

“è per il tuo bene!” Luna insiste ma io la scaccio.

“Non sono ferita…” Il sangue che è scivolato dalle mie cosce ha rigato le gambe ma non è arrivato ai piedi. È stata una cosa breve, tutto sommato. “Io credo di aver avuto un aborto.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** 8. Molto oltre la mia immaginazione ***


Un abbraccio a tutti i miei lettori, in particolare a Raivo che continuo a ringraziare per la sua recensione! <3 Questo è un capitolo che mi è uscito più lungo e anche più vicino temporalmente rispetto al precedente, avevo troppa inspirazione e non potevo fermarmi! Se vi va, lasciatemi un commento ;)

Diomache.

 

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8. Molto oltre la mia immaginazione.

 

Draco’s POV

 

La stanza bianca del SanMungo è fredda come la morte. La riscaldano, certo, ma quello che ti rimane addosso è solo l’amara sensazione di incubo, la tacita idea di essere tra persone non vere, rinchiuso tra spettrali idee di abbandono e solitudine.

Non so da quanto tempo la sto guardando dormire. Non so nemmeno se vada bene che lei dorma così tanto. Il matrimonio doveva essere oggi. Legarsi per sempre ad una persona che non conosci in genere non è una buona cosa, ma Astoria Greengrass esce da qualsiasi tentativo di classificazione.

Di nuovo, come sempre, mi trovo a non sapere nulla di lei. Solo la dolce superficie, i suoi sorrisi appannati e radi, i suoi occhi lontani, le sue piccole mani fredde che si stringono alle mie, i suoi fianchi che sembrano cingermi, il suo fiato mentre all’orecchio mi sussurra “Ancora.”

Mi sarebbe bastato questo per sposarla. Quante volte ho maledetto mio padre, per questa decisione? Quante volte ho odiato mia madre? Adesso l’unica cosa che avrei voluto è che le cose fossero andate come preventivate. Niente di più. Lei nel suo abito da sposa, io con le fedi e nella sua pancia… il futuro. Una nuova vita. Casa.

Il braccio mi trema mentre mi passo il dorso della mano sul naso e sugli occhi. Non posso farmi vedere in questo stato, da nessuno. A momenti loro saranno qui ed io non voglio che vedano questo. È l’unica cosa che posso controllare.

Prima che la portassero in sala operatoria per il raschiamento era così agitata che hanno dovuto sedarla. Io sono arrivato per un soffio e lei s’è aggrappata alla mia mano come se fosse l’ancora di salvezza dal burrone in cui stava cadendo.  “L’ho scoperto questa mattina… perdonami” ovviamente il dottore mi aveva già avvisato di ciò che stava accadendo, mi aveva detto che il bambino era morto e che portavano lei in sala perché aveva la pressione un po’ troppo bassa e volevano vederci chiaro, sapevo già tutto ma i suoi occhi carichi di dolore avevano spezzato il mio cuore. Qualcosa che non avevo mai sentito prima, nemmeno nei maggiori momenti di dispiacere, un dolore ancestrale, scotta sotto la pelle come un vestito in fiamme che non puoi toglierti.

“È andato tutto bene. La sua fidanzata sta bene signor Malfoy e non c’è segno di sofferenza d’organo; tube, utero e ovaio sono integri e sani. Mi dispiace molto per il bambino, nelle primissime fasi della gravidanza, purtroppo... non è raro.”

“Quando si sveglierà?”

“Abbiamo usato una pozione potente perché era molto agitata. Le mamme che subiscono questo trauma hanno bisogno di riposare più che della veglia. Almeno possono non pensare. Domani dormirà profondamente e domani l’altro inizierà a destarsi”

Improvvisamente si muove. È sveglia. Scatto in piedi ma non oso ancora avvicinarmi al suo letto.

Vedo i suoi occhi puntati su di me. Mi sembrano grigi, oggi, come i miei. Lontani e dispersi occhi grigi, quante cose avete ancora da nascondermi?

“Draco…” la sua voce è roca e flebile. Se la schiarisce e tenta si mettersi seduta. Al terzo tentativo ce la fa.

Orgogliosa.

Mi avvicino con la circospezione con cui ci si avvicina ad una belva sconosciuta; prima di tutto la cautela.

“Draco” ripete e sento la supplica nella sua voce.

“Sono qui.”

“Avvicinati, per favore.”

Mi muovo lentamente ma alla fine mi ritrovo ad un passo da lei. Sembra sempre la stessa. Pelle diafana, la bocca piccola e rosa, i capelli un po’ disordinati e negli occhi lo sguardo fiero che non ha dismesso un attimo. “Come stai?” le chiedo, mentre la mia mano si muove ad accarezzarle un ciuffo di capelli sparso sul cuscino.

“Quanto ho dormito?”

“Quasi due giorni.”

“D’accordo.” Si passa una mano sugli occhi, stropicciandoli. “Ho una fame incredibile.”

 “Presto ti passerà, Fotter e i suoi stanno per arrivare.”

Le strappo un sorriso. “Dio mio” mugugna. “Ho sognato tantissimo… così tanto che se mi fossi svegliata a casa e non qui, se non avessi avuto bisogno del ricovero… avrei faticato a credere che fosse tutto vero. Non avrei creduto a questo incubo.” Il suo sguardo ritorna perso, lontano. “ah… ho ottenuto il lavoro.”

Il lavoro? È forse il momento di parlare di lavoro?

Sbuffo “okay.”

“Stai tranquillo, puoi anche concederti un po’ più di entusiasmo, non mi illuderò mai che la cosa ti importi.”

Sospiro. “Scusami se non sono interessato al tuo stupido lavoro, abbiamo altre cose di cui parlare o sbaglio?”

“Ma eri troppo interessato al tuo, per accompagnarmi.”

“Vuoi dire che è colpa mia? Sei tu che ti sei messa a giocare alla bambina ribelle!”

La sua testa affonda nel cuscino. “Non sto dando la colpa a nessuno, accidenti! Ma non mi giustificherò per questo. Ci hanno tirato su come burattini sapendo che siamo deboli e che abbiamo paura. Ma non avranno più ragione su di me: io non sarò più debole.”

“Non ho mai creduto che fossi debole.”

“Tu non hai mai creduto che fossi capace di pensare, è diverso.”

Touché.

“Ammettilo, Draco. La pupetta graziosa in casa tutto il giorno e la notte a scaldare il letto. Ottime ambizioni.”

“Anche se fosse? Non c’è niente di male a desiderare una vita normale.”

“Nemmeno a desiderare che quella vita sia vera.” Mi afferra la mano, di nuovo, come se fosse l’unica cosa per non cadere, e i suoi occhi mi agganciano come un cavallo al lazzo. “Dannazione, Malfoy. Io… io credo di amarti.”

È come se un immenso gong suonasse nella mia testa. Distolgo lo sguardo in fretta perché sento che non lo reggo, che per me è troppo e che annegherei. “Senti… ti stanno iniettando robe pesanti, sfruttale per calmarti, non per straparlare.”

Credo sia la prima volta che affrontiamo apertamente l’aspetto sentimenti. In tanti mesi non l’abbiamo mai fatto. Credo ci fosse un tacito accordo tra noi, come l’ammissione implicita che non ci saremmo amati mai.

“Lascia stare.” La sua voce è amara. “Non voglio niente da te. Avevo bisogno di dirlo ad alta voce… perché fosse reale.”

“Da quando in qua sei un’esperta di sentimenti?”

Astoria ha gli occhi rossi. Sembra una fiera pronta all’attacco. “Gli esseri umani ne provano, Draco. Tutti i giorni.”

“Non pensavo tu li sentissi… per me. Ma non è l’unica cosa che non so di te, a quanto pare. Non sapevo del bambino. Non sapevo di questa storia dell’Idra, io non so niente di te Astoria, niente. Non… so chi sei”

Le parole si denocciolano da sole tra lingua e palato. Deglutisco. Ho deciso poco fa di non cedere a certi sentimenti e non lo farò adesso.

Sentiamo dei passi in avvicinamento. “Sono loro”

“Che fai?”

“Voglio vestirmi. Non mi va che mi vedano mezza nuda in questa specie di pigiama lercio”

“Aspetta… non è una buona idea, sei ancora debole. Vieni, faccio io.” Mi posiziono davanti a lei, prendo le sue caviglie e le tiro al lato del letto. Lì vicino ci sono dei pantaloni griffati che devono essere suoi, piano piano, glieli infilo, e quando sono arrivato alle ginocchia, dico “Ora dovresti scendere.” Lei lo fa, con un piccolo saltellino. Io glieli tiro su facendoli passare oltre il sedere e do un ultimo strattone finale per aggiustarli, poi chiudo la zip e il bottone.

Un’infermiera s’affaccia in quell’istante. “Signor Malfoy… posso?”

“Vada pure.” Rispondo, freddo. “Ci penso io a mia moglie.”

Lei torna a guardarmi.

“Oggi potevamo essere sposati.” Le faccio scivolare il pigiama dell’ospedale da sopra la testa e la infilo in un maglione. “Oggi potevamo avere un figlio.”

Mi fermo.  

“lo volevo questo figlio!” mi grida addosso sbattendo i pugni sulle mie braccia. “Lo volevo”

Non resisto. La trascino tra le mie braccia, violentemente, circondando il suo corpo esile con il mio, affondandola finché possa entrarmi dentro, dentro di me dove nessuno può più farle del male, dove ci sarò sempre io a proteggerla.  “Pagheranno per questo. Te lo giuro.”

Mia piccola dolce ribelle, libera ed indomita ragazzina dalla faccia pulita. Che leonessa nascondi dietro le tue ciglia da serpe? Che abisso ho ancora da scoprire su di te?

Due piccoli tocchi alla porta ci annunciano che gli eroi sono arrivati. A malincuore la lascio andare e lei prima di staccarsi si pulisce in fretta e furia il viso; a quanto pare nemmeno a lei piace che la vedano piangere.

“Scusate…. Noi”

“Entrate pure.” Dico, evitando di guardare Fotter in faccia. “Ma evitate di stancarla.”

Dentro la piccola stanza ci sono Potter, la Granger e il suo cencioso fidanzato.

“Astoria, dobbiamo farti qualche domanda. Ma prima… ecco… condoglianze. Per la vostra perdita.”

Sento la mano di Astoria stringersi attorno al mio braccio. Capisco che vuol dire, significa Stai calmo. Non dire niente. Lo so che non ci meritiamo la loro compassione ma stai calmo.

“Grazie.” Risponde lei, con un sorriso opaco.

Si siedono su delle piccole sedie trovate nella stanza e destinate ai familiari dei ricoverati. “Bene, iniziamo” annuncia lo Sfregiato con un sorrisetto idiota che non ha mai cambiato da quant’è che lo conosco. “Ma forse Astoria preferisce restare sola, Malfoy”

“E tu che cosa nei sai di ciò che preferisce o no mia moglie, Potter?”

“Non è ancora tua moglie. Legalmente…”

Sento di nuovo la gentile stretta di Astoria intorno al mio braccio. “Draco può restare. Non ci sono segreti tra me e mio marito

La Granger gli lancia uno sguardo (Sì, beh, capisco che sia un po’ confusa. Meno di due giorni fa le avevo ammonito di non sentirsi in diritto a riferirmi i fatti privati di Astoria, proprio perché non era mia moglie.) e Potter continua. “Okay allora parlaci dell’Idra.”

Astoria si accomoda seduta sul letto. “Che volete che vi dica. Innanzitutto non posso dirvi i nomi.”

“Li conosciamo quelli. Abbiamo trovato la pergamena.”

Fa una smorfia. “E l’avete aperta subito immagino. Non mi meraviglio, ho sentito che avete superato maledizioni peggiori delle mie. ”

“Astoria, l’hai incantata tu? Ci sono voluti mesi!” esclama la Granger, visibilmente stupita. “Che formula hai usato?”

“Oh non vi piacerà saperlo. È magia Oscura… sì non fate quelle facce. Non c’è bisogno che vi dica che era della massima importanza non farci scoprire e nessuno di noi è famoso per essere uno che ci va leggero. C’era anche un incantesimo punitore per chi rivelava i nomi degli altri… l’idea c’è venuta dalla fronte di Marietta- sogghigna un po’- ma il nostro era peggiore… chi lo rivelava aveva un personale demone che lo avrebbe torturato nel sonno… l’incantesimo si chiama erinni e anche questo non è tra quelli che si insegnano.”

Quasi sogghigno anche io quando vedo la faccia di Weasley rabbrividire “Ci andate giù pesante, voialtri. E per quanto tempo l’erinni… insomma, ti tormentava?”

“Nessuno l’ha mai saputo, Weasley. Anche tutta la vita, chi lo sa. Contavamo proprio che la paura serrasse le nostre bocche nei momenti di difficoltà.”

“E, com’è nata?”

Astoria scrolla le spalle. “Dal malcontento. Voi non potete capire perché nonostante tutto quello che predicate siete molto più rigidi e classisti di noi…”

“Greengrass non divagare” La interrompe la Granger, infastidita.

“Sta bene.” Continua. “il fatto è che l’idea di purosangue è stata deviata. Purosangue non vuol dire superiore. Insomma sì, lo è, per definizione, ma dalla teoria non discendono quelle conseguenze. Perfino Salazar non seppe gestire le sue convinzioni e sbarellò di testa. Per noi essere gli eredi di importanti famiglie di maghi vuol dire essere i custodi della magia. Vuol dire che possiamo essere – cerca le parole.- dei fari, ok? Qualcuno a cui gli altri debbano poter riferire come esempi di bravura, ambizione, destrezza ed intelligenza. I mezzosangue ci saranno sempre perché la gente si innamora tutti i giorni. – il suo sguardo cade su di me, per un secondo - che senso ha escluderli? O dire alla gente di chi innamorarsi? E i Babbani? D’accordo, a me non piacciono va bene? Non mi piacciono e non mi interesso di loro. Ma non li voglio morti! E non voglio nemmeno che i loro figli vengano esclusi dal nostro mondo, se sono maghi!”

Tutti pendono dalle sue labbra, me compreso.

“Ma questo loro non l’hanno capito. Hanno avuto la bella idea di insegnarci le loro stronzate sin da piccoli… riempendoci la testa di concetti deviati, partoriti interamente da loro. E nessuno poteva ribellarsi o saresti stato solo uno sporco traditore del tuo sangue. E noi non volevamo tradire le nostre origini… ma nemmeno potevamo screditare le nostre convinzioni…”

“Così è nata l’Idra.” Sospira Potter, visibilmente colpito. “Sappiamo dei vostri accordi con Anthony…”

“Sì. Forse Paciock non l’ha mai saputo, Goldestein è sempre stato un mediocre, si sarà preso i meriti di tutto. Ma va bene così, eh. Io non ce l’ho con te, Potter, ma non mi vergogno di dirti che non mi è mai balzato nella testa di combattere per te. Noi combattevamo per noi stessi. Per rivendicare la nostra identità, perché ci faceva schifo essere assoggettati al Signore Oscuro. Per la nostra libertà di scelta.”

Il silenzio cala nella stanza. A me ritorna in testa il siamo liberi che mi aveva sussurrato al pub.

“Beh, avete fatto un ottimo lavoro. Dagli appunti di Anthony emergono tantissime soffiate. Avete salvato la vita a molte persone.”

“E se non avessimo trovato quegli appunti e questa lettera non avremmo mai saputo, né noi né il mondo, del vostro coraggio” continua la Granger senza nascondere il suo stupore.

Astoria sbuffa. “Nonostante la storia di Piton non avete ancora capito che il vero coraggio non è di coloro che lo decantano al mondo?”

Il rosso scatta in piedi, infuriato, ma la Granger lo ferma prendendolo per una mano, e lui si risiede, paonazzo.

Mi sento così orgoglioso di lei che potrei persino ammetterlo, davanti a tutti.

“Stai calmo Ron.” Continua Potter. Ha cambiato espressioni più volte in questa conversazione che in una vita intera: stupito, arrabbiato, ancora stupito, ammirato, frustrato. Gli si fonderà il cervello.

“Parliamo dell’aggressione. Luna ci ha detto che non avete fatto in tempo a vedere nulla, giusto?- annuisce.- hai dei sospetti?- nega- lo immaginavo. Per questo credo che sia necessario inserirti in un programma speciale di protezione.”

“Se è come quello che ha protetto i tuoi genitori, Potter, penso di potermela cavare da sola.”

Questa volta è troppo, lo Sfregiato perde il controllo, scatta in piedi sfoderando la sua bacchetta contro di lei ed io non ci vedo più, mi frappongo tra i due, nascondendo Astoria anche dalla sola vista di questo omuncolo con gli occhiali. “Che diavolo credi di fare, Sfregiato? Allontanati” Weasley gli è accanto in un secondo ma la Granger riprende la situazione in mano. “Diamoci una calmata, tutti quanti!”

Lentamente, abbandoniamo le posizioni. Dentro di me, non posso che ridermela della grossa. Farli arrivare al limite dei nervi è sempre stata una cosa che m’ha fatto impazzire.

“Anche tu, Astoria! Capisco che sei sotto shock ma…”

“Andiamo Granger, non ho bisogno di essere giustificata. Mi dispiace, sono stata una stronza.” La situazione si distende, anche se le due donne rimangono vigili nei loro sguardi di sfida. “Che cos’è questo programma di protezione?”

“I dettagli devono ancora essere definiti. Sostanzialmente vorremmo solo capire se sei disposta ad accettare il nostro aiuto e in cambio collaborare per quello che sai.”

Lei gira i suoi grandi occhi verso di me, forse interrogandomi. Forse per dirmi che se non sono d’accordo è questo il momento di dirlo o deciderà di testa sua. “Ve lo faremo sapere”

“Spero che facciate del vostro meglio.” Sento una rabbia che non riesco a contenere. “Perché mio figlio è morto, in tutto questo.” Il tocco gentile di Astoria non tarda ad arrivare; ma questa volta non vuole fermarmi. Vuole solo toccarmi. Esserci.

“Ovviamente, Malfoy. Astoria, grazie del tuo tempo, scrivici appena puoi. Ti lasciamo riposare.” Il trio si sta muovendo verso l’uscita, quando Weasley si ferma sull’arco della porta. “Avete combattuto, la notte di Hogwarts?”

Questa volta Astoria pare in difficoltà. Distoglie lo sguardo. “No… non era nei piani dell’Idra

“E allora perché Aberforth sostiene di averti vista? E anche Percy lo dice. L’incantesimo che ha ucciso Rookwood l’hai lanciato tu, lui ti ha vista. Ha detto che si è girato a vedere chi l’aveva lanciato perché i nostri di solito non combattevano con l’Anatema Che Uccide.”

“Sì, beh… te l’ho detto non ci siamo mai andati sul leggero. Adesso vattene Weasley, per favore”

Lo straccione ha gli occhi gonfi. La Granger gli è accanto. “Andiamo Ron.”

Non aspetto quasi che siano nemmeno usciti. “Che cosa significa. Non fare quella faccia e dimmi che cosa significa.”

Astoria affonda di nuovo la testa nel cuscino. “Sono stanchissima, Draco. Voglio dormire.”

“Mi stai liquidando?- sembra davvero molto stanca ma non è un problema, al momento- voglio sapere tutto anche di questo. Cazzo, te la facevi con lo spilungone morto? Hai appena detto di amarmi o mi sbaglio? Abbiamo perso nostro figlio, mi dici che m’ami e adesso salta fuori questo?”

“Questo, questo cosa? Stai vaneggiando? Non c’è niente da sapere su me e Fred, eravamo quasi amici punto e basta. Fine della storia. E risale tutto a troppi anni fa perché possa importarti!”

“Hai. Detto. Che. Mi. Ami.” La testa mi sta scoppiando “suona un po’ … importante, non trovi? Io non capisco un cazzo di sentimenti ma l’amore è proprio una di quelle cose per cui torni indietro, t’addentri in una guerra e diventi un’assassina, o mi sbaglio?” di nuovo quel dolore. Antico. Odore di sangue e morte. Perdita. Pelle che scotta. “Amavi lui, adesso ami me”

“Io non lo amavo! Eravamo solo amici!”

“Avevo proprio ragione a pensare che straparlassi. E sai cos’altro penso? Penso che tu abbia pescato un po’ troppo dai Grifondoro per essere una Serpeverde.”

“E tu hai pescato un po’ troppo e basta”

Torniamo a guardarci, come due felini. Mi rendo conto che devo vomitare. “Ti lascio dormire.”

A grandi falcate percorro la stanza per andarmene. Lei mi riacciuffa mentre sto per varcarne la soglia. “Ci sarai quando mi risveglierò?”

Fisso lo sguardo davanti a me, uscendo dalla stanza. Nessuna risposta.

 

 

Astoria's POV

L’immagine si apre sui giardini posteriori, vicino ai Salici Piangenti. Sotto uno di questi, protetta da lunghe fronde come tende, una giovane Astoria, col naso in un libro aperto tra le mani e altri due sparsi sull’erba vicina, i capelli che le ricoprono la schiena scivolano in risposta al vento, come i rami leggeri del Salice.

Tre. Due. Uno.

Un grosso polpo nero apparso dal nulla le plana addosso atterrandola con la schiena sull’erba, stretta nei suoi tentacoli, ricoperta in un secondo da uno strano gel incolore. “Ma che diavolo….!!!!”

All’unisono compaiono, uno per lato, i gemelli Weasley . “Hai visto?Funziona !”

“Aspetta a dirlo, non si è ancora azionato! Ehi faccia-di-sale non dimenarti così o farai inceppare Magig-Polpo!”

“Come Magic-polpo! Non avevamo detto di chiamarlo Gelatina-Tris?”

“GELATINA TRIS? Liberatemi da questo cazzo di….” Urla la piccola Serpeverde cercando con lo sguardo amici che non accorrono in suo aiuto. “Stupide pertiche lentigginose!”

“Si, Medusa,- ride Fred, braccia contorte.- lo vedrai subito perché… TRIS!” e sotto le risate del gemello il polpo improvvisamente si stacca dalla malcapitata preda, fa tre passi in dietro e dalla gigantesca bocca emette, a tre ondate, piccoli pezzettini di carta colorata che invadono completamente l’aria appiccicandosi irrimediabilmente alla Greengrass.

Le loro risate sommergono le imprecazioni della ragazza. “Io lo… lo dirò alla Umbrige” dice mentre tenta di pulirsi il viso con mani ancora più sporche di gel e coriandoli, con risultati grotteschi.

“Oh non prendertela-faccia-di-sale, vorrà dire che avrai cambiato espressione… per una volta!” la scimmiotta George. Il duo si scambia il cinque e si allontana, progressivamente disinteressato alla ragazzina coperta di gel e cartoncini che, la beffa, rappresentano i colori di Grifondoro.

“Fred, diventeremo i più grandi inventori della storia!”

 “Ehi, voi due!- gli grida dietro Astoria dopo aver sputato una manciata di coriandoli- Inventatevi questo!” il dito medio chiude l’affermazione.

 

Un pranzo o una cena qualunque, sala comune, davanti ad un dolce, in un tavolo semi-vuoto, un’Astoria silenziosa con i suoi occhi verdi puntati su una piccola foto di due figure in movimento che non le sorridono: mamma e papà. In effetti l’unico movimento delle figure nella foto è dato dal loro gatto, anch’esso incluso, che è stato immortalato durante uno sbadiglio.

 Improvvisamente davanti a lei si siede un ragazzo, alto, con un’abbondante ciuffo di capelli rossi sulla fronte ed uno altrettanto spruzzo di lentiggini in faccia.

La cosa la prende talmente alla sprovvista che, per difendersi, impugna il cucchiaino del dolce a mo’ di bacchetta. “Che diavolo vuoi!”

Fred Weasley fa uno scatto indietro con le schiena, alzando le mani. “Oddio ti prego non uccidermi!”

Sul viso gelido della ragazza balena un piccolo sorriso. “Forse” sibila, abbassandolo. “Se te ne vai all’istante!”

“Vuoi ridurmi in sale per lo scherzetto dell’altra volta?”

“No, non sarebbe una punizione sufficiente!” ribatte lei nascondendo prontamente la foto in un quaderno e prendendo il mantello. “Ho sputato cartoncini per una giornata e… non sai dove non sono finiti!”

Fred ride, con una risata fresca che avvolge tutto il ricordo. “Almeno hai riso.”

“Non mi pare proprio di aver riso, ho bestemmiato intere generazioni di Troll. E poi che cos’è questa storia che non sorrido? Io sorrido, eccome!”

“Mmm mi dispiace sorriso di Medusa, dato non pervenuto.”

“E… Medusa?”

“Perché hai uno sguardo assassino”

“Ti piace questo come sguardo assassino?”

“Questo è un sorriso.”

 

“Dicono in giro che stai con Dean Thomas!” ancora Fred e ancora Astoria, davanti all’aula di pozioni. “Non ci credo e non è esplosa la Sala Comune Serpeverde? Non si è aperta una gigantesca voragine grigia in cui Salazar relega gli innamorati inappropriati?”

Astoria sorride. Si è abitata a farlo, da quando lo conosce. “È inutile, Weasley, che la meni tanto, lo sappiamo entrambi che voi Grifondoro siete molto più classisti di noi Serpeverde!”

“Godric! salvala perché non sa cosa dice!”

“… e anche più ipocriti! Scommetto che ad una decina di voi scemi sono caduti i peli pubici alla notizia, ma non lo ammetterete nemmeno sotto crucio!”

“Medusa, non obbligarmi a testimoniare quello che un uomo può vedere in uno spogliatoio di Quiddich!”

 

“L’hai lasciato, eh.”

“..già.” Non ci sono sorrisi adesso. È sera e si trovano davanti al quadro dei Serpeverde.  “Se sei venuto per lui risparmia il fiato.” La sua voce nel silenzio è più tagliente di quanto volesse.

“Su, sta calma serpioncina. Lo sai, no, qual è il nostro patto: io non ti ridicolizzo con i miei scherzi e tu mi risparmi la vita non trasformandomi in una statua di sale.”

“Credevo che i tuoi amici non ti consentissero di parlare con una come me. E George dov’è? Pensavo che non poteste nemmeno defecare, uno alla volta.”  Ha gli occhi pieni di lacrime amare come le sue fredde, inutili, cattive parole. Letale, come ogni Serpeverde. “Che cosa sei venuto a fare, Weasley?”

“Hai presente cosa fanno gli amici, nei momenti di difficoltà? Questo.”

“Io non ho bisogno di amici.”

“Sì, mi sono accorto che non ami circondartene… senti a parte tutto, vuoi vedere il mio ultimo scherzo?” tira fuori dalla tasca quello che sembra un semplicissimo fiorellino di campo. “È un Non-ti-Scordar-di-Me”

“Un cosa?”

“Il nome l’abbiamo preso da alcuni fiori Babbani… - spia la sua reazione ma lei non ne ha di nessun tipo, e prosegue- si chiamano così perché sono praticamente ovunque… ed è l’idea di base, quella di non dimenticarsi di loro e di quello che contengono. Guarda, premilo.”

Astoria lo prende in mano. È delle dimensioni di una margherita. “Sembra vero” commenta saggiandone la consistenza. “Dove devo premere?”

“Oh dove vuoi, ma credo che se premi la corolla funzioni meglio. E poi parla.”

Astoria preme. “Non succede niente.” Difatti l’unica differenza che nota è un leggero cambiamento di colore nei petali, da azzurro spento sono diventati di un bel blu cobalto. “Che devo fare?”

Fred s’avvicina a lei, chinando la bocca verso il fiore. “Mi chiamo Medusa Greengrass e sono un mostro mitologico. Non ho nessuna utilità di alcun tipo ma essendo una creatura mitologica me la credo da matti.” Esclama ridendo sotto l’incredulità della ragazza. I petali del fiore tornano azzurro spento.

“Ma che diavolo…?”

“Adesso premi di nuovo.”

Obbedisce e il fiore ripete, “Non succede niente! Che devo fare? Mi chiamo…”

“È la cosa più stupida che io abbia mai visto! Non puoi pensare che qualcuno paghi per avere questi ciaffi!”

“Oh sì, ben dodici galeoni! Ma per questa volta visto che sei una ricca spilorcia, te lo regalo. Così se un giorno ti dimentichi chi sei puoi fare un veloce ripasso. Anche se non ti dovresti dimenticare facilmente di essere una creatura malvagia.”

“Dici che i malvagi sanno di esserlo?”

“Non lo so, tu lo sai che puoi contrarre i muscoli del viso non solo per ringhiare ma anche per sorridere? Ecco così! Secondo me prima non sapevi di poterlo fare. Alcune cose superano la nostra immaginazione.”

“E tu sapevi di poter venire qui a rompere le scatole ad una Serpeverde, davanti alla sua Casa, con un fiore in mano?” è così abituato, Fred Weasley, a stupire gli altri, che non immagina che tocchi a lui, per una volta, stupirsi. Né che sia quell’eterea ragazza di ghiaccio a farlo.

Eppure accade, lei si sporge verso di lui, si alza sulle punte dei piedi ed aggrappandosi alle sue spalle, lo bacia. È un bacio semplice, breve, scoccato su una guancia con l’accenno di una timida barba. L’ultimo. Per lui.

“… Decisamente …molto oltre la mia immaginazione.”

 

La notte di Hogwarts. Gli studenti Serpeverde insieme a tutti quelli che non erano stati arruolati a combattere sfilano ordinatamente fuori dalla scuola. La lunga fila di ragazzi si incrocia con alcuni dell’Ordine della Fenice. Fred, tra tutti gli altri, trova lo sguardo di Astoria. Lei cerca di parlargli ma lui la ignora, senza nascondere uno sguardo schifato. “Non è come pensi.” Gli mima, con il labiale, ma lui ha già distolto lo sguardo.

 

La battaglia è iniziata. Astoria corre dentro Hogwarts impugnando la bacchetta, evita i combattimenti più palesi ma schianta uno o due Mangiamorte che si frappongono al suo obbiettivo. Deve trovare Fred e spiegargli che non è una Mangiamorte anche lei. Deve rivedere il suo amico e dirgli che è dalla sua parte. Lo cerca ovunque ma non sembra trovarlo e l’affanno e l’angoscia crescono in lei. Dov’è? Quelli dell’Idra hanno scelto di non combattere perché sarebbero stati troppo esposti e lei con il suo atteggiamento mina la serenità di tutti i membri dell’associazione segreta. “Mi serve solo un secondo.”

E così è stato. Ha avuto solo un secondo. L’ultimo secondo di Fred.

Pattugliando i passaggi segreti si imbatte finalmente nei due alti gemelli rossi, che li difendono. “Fred!” sussurra, individuandolo, ma prima che possa chiamarlo, vede anche altro. Vede Rookwood e capisce quali sono le sue intenzioni, in un secondo. “Fred!!!! Attento!!” Urla, con tutto il fiato di cui dispone, ma il fragore dei combattimenti è troppo alto, la guerra urla più di lei.

Fred fa in tempo a voltarsi per mezzo secondo, la vede mentre lei grida “Protego!”

Il rombo dell’esplosione invade tutto. L’energia che si libera la scaraventa a terra assieme a decine di altri. Come riesce, si drizza in piedi. “Fred?” mugugna cercando di trascinare le sue quattro ossa nella sua direzione.

Ma si blocca. Qualcosa di lei si blocca per sempre in quell’attimo.

Rookwood, rialzatosi, si sta allontanando dal fragore. Alcune persone piangono. George non riesce a parlare. Qualcuno della sua famiglia non se n’è ancora accorto.

Aberforth cerca di schiantare Rookwood ma lo manca, Piercy si lancia all’inseguimento.

Non lo prenderanno mai. Stupidi buoni, pensa Astoria.

Al momento giusto bisogna ricordarsi anche di odiare. Esce dal suo nascondiglio. “Avada Kedavra.”

Lei ha sempre avuto un’ottima mira.

 

 

Quando mi sveglio mi rendo conto di averlo urlato. Nella mia stanza ci sono due infermiere, entrambe con le mani alzate verso l’alto, come se potessi minacciarle nel sonno. “Per il nome di Salazar che diavolo state facendo?”

Una di loro, la più piccola, s’avvicina, timidamente. “Signora, ha un sacco di incubi. Ha urlato tutto il tempo.”

“ E poi ha detto… quell’incantesimo…”

“Dov’è il signor Malfoy” mi tiro su a fatica. “Chiamatelo, per favore, devo parlargli di una cosa.”

“Mi dispiace, signorina. Non è più tornato da ieri pomeriggio.”

Boom. Nella mia testa, nel mio cuore, poco importa. “E che ore sono adesso?”

 “ Le cinque del mattino, signora Greengrass”

Secondo Boom. Questo lo localizzo bene. È sulla croce degli occhi, proprio da dove inizia il mio mal di testa preferito. Ringraziandole, liquido le infermiere in pochi secondi. Rimango sola. Non so se il termine rimanere sia appropriato forse va usato se qualcuno prima era in compagnia e solo in seguito rimane solo, e non per una persona che è sola sempre ma lo realizza solo ogni tanto.

Gli ultimi stralci di conversazione con Draco hanno segnato i miei sogni: ho visto e rivisto Fred per tutto il tempo. Fred e la notte di Hogwarts, soprattutto, perché quella scena s’è ripetuta tante di quelle volte, nella mia mente… quella maledetta notte in cui ho cominciato a perdere tutto.

Ecco, questo avrei dovuto dire a Draco quando diceva di non sapere chi fossi. Astoria Greengrass, la donna che si perde le persone come sabbia tra le dita. La mia famiglia- m’ha detto ciao non appena ha capito che non ero della loro stessa stoffa- Daphne – vedi sopra- Fred- potevo salvarlo e non ce l’ho fatta.- mio figlio­- vedi sopra- Draco Malfoy- per avergli detto ‘Ti amo’.

Noto anche una certa ricorrenza nelle motivazioni; sono pure noiosa, aggiungiamoci.

In ogni caso, qualsiasi cosa fosse, sento di essere peggiorata da quella notte. Cazzo, è proprio vero che l’Anatema Che Uccide scortica la tua anima. Uccide il tuo aggressore ma anche te che lo lanci, solo più lentamente, come un’erinni, goccia dopo goccia, assaporando l’odore della sanità mentale che scivola via dal naso come fumo espirato. L’ho colpito vilmente, senza che potesse combattere, sulla schiena, proprio come un verme. Gli altri mi hanno guardato come a volermi rimproverare di questo. Il mio migliore amico era saltato in aria come un sacco di cacca, ed io dovevo sentirmi in colpa se quel porco di Rookwood non aveva avuto una chance?

Si vede proprio che non sono tra i buoni. E da qualche parte, in una borsa, un fiorellino targato Weasley me lo ricorderà per sempre.

Cerco di elaborare qualche cosa ma la mia testa resiste ai ragionamenti, forse è per questo che in ospedale dopo un po’ si diventa pazzi o forse, al contrario, estremamente consapevoli di se stessi. Nessuna delle due cose coincide con la felicità, comunque. Mamma e papà. Daphne. Fred. Draco. Il bambino.

Mamma e papà. Daphne. Fred. Draco. Il bambino.

Il bambino.

Ripenso soltanto adesso che non ho mai pianto, per nessuno di loro. Non sono una persona che si lascia andare facilmente alle lacrime, mi hanno educato così, a non mostrare mai il fianco a nessuno e per nessun motivo. In realtà con Draco ho pianto, qualche volta. Lacrime di rabbia e frustrazione che mi sono scivolate via come falle nel sistema, senza una vera volontà.

Ma adesso che mi ha lasciato, non ha più importanza. Perché Draco mi ha lasciato, è inutile che ci rimuginiamo sopra. Gli ho detto ti amo e se n’è andato. E se non mi ha lasciato, è comunque troppo tardi, la sua assenza adesso… no, è troppo per me. Davvero troppo, questa volta. Non potrà più fare niente. È troppo tardi per tutto, oramai.

Per cui, Astoria, da brava, piangi i tuoi lutti e ricomincia da capo. Piangi per il tuo bambino.

Ma, beffa assurda, non succede niente. I miei occhi avari di tutto, non mi concedono nemmeno le lacrime… forse sono le pozioni che mi danno, non lo so. “Che posso fare…” domando a me stessa in attesa che il niente di quella stanza mi sotterri del tutto. Poi ho un’idea. Prendo la bacchetta e faccio comparire tra le mani piuma d’oca e pergamena.

 

All’Ordine della Fenice.

Sono pronta ad entrare nel programma di protezione, purché si inizi subito. Mandate qualcuno a prendermi all’ospedale e qualcuno a casa a prendere il mio borsone, per favore.

AG

 

 

Contestualmente scrissi anche un altro biglietto affinché Olga o chi per lei me ne prepari uno con le cose essenziali. Spero che capisca da sola che tutto ciò che è Chanel è indispensabile.

“Posso scappare.” Ecco la risposta.

E di nuovo, per far sì che tutto sembri più reale, ad alta voce “Addio” mentre una mano scivola sul mio ventre (vuoto). Posso finalmente piangere, adesso.

 

 

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Capitolo 9
*** Chi sei, dove sei. Dove andrai (perso nel vento) ***


Sono tornata!!!! Scusatemi tantissimo per l’attesa, purtroppo tra esami e tesi di laurea è stati un momento in cui anche volendo avere tempo non avevo proprio la testa di continuare a scrivere. Però eccomi qua.

Cercando di farmi perdonare, almeno un pochino, ho scritto un capitolo più lungo degli altri (me ruffiana :P)

Bene, bando alle ciance. Ringrazio di cuore chi ha recensito l’ultimo capitolo, cioè: clo_smile, raivo, fanny94 e chi ha aggiunto la storia tra i preferiti.

Spero che questo capitolo vi piaccia e che sia valso, almeno un po’, l’attesa.

A presto! Un bacio, D.

 

 

ACQUAMARINA

 

9. Chi sei, dove sei. Dove andrai (Perso nel vento)

 

Astoria’s POV

 

Chi sei, dove sei. Dove andrai.

Nei momenti di panico dicono che sia utile ricordarsi di se stessi, di smetterla di fantasticare sulle paure angoscianti e di piantare i piedi per terra. Cose concrete. Chi sei, dove sei. Il dove non è da indicarsi puramente con una connotazione geografica, è più un posto dell’anima, dove sei nel tuo percorso di donna o uomo, o una cosa del genere. Ma in presenza di confusione estrema può andare bene anche qualcosa di più fisico.

Tipo: mi chiamo Astoria Greengrass e mi trovo al numero dodici di Grimmauld Place.

Dove andrai. È la parte difficile e anche questa volta non è una coordinata sul mappamondo.  Ma  continuiamo ad accontentarci delle latitudini, per cui adesso è TempleX. Andrò a TempleX.

L’ultima volta che mi sono trovata in camera con la testa tra le mani in preda ad un attacco di panico, la risposta era Malfoy Manor.

 

Era il giorno del mio fidanzamento con Draco.

Ricordo che c'era il sole e che mia madre ne era entusiasta perché "con il sole è tutto più bello". Il significato ovviamente era che sotto il sole anche io avevo la speranza di apparire decente.

Avevo dormito bene la notte ma la mattina mi ero svegliata in preda all’ansia e solo dopo aver passato una buona mezz’ora in bagno a ripetermi stronzate ero riuscita a calmarmi. 

L’idea di incontrare Draco mi rendeva instabile. Ma non perché fossi già invaghita di lui (tutt’altro, godeva ben poco della mia stima, l’unico aspetto che potevo passargli era quello fisico) piuttosto perché la mia testa –meschina- si era fatta un’idea del tutto sbagliata della situazione.

 Mettiamola così: in qualche modo il mio cervello non accettava che i nostri genitori si prestassero alla più antica delle cazzate (il matrimonio combinato) e l’alternativa era fantasticarci su. Mi ero immaginata che anche a Malfoy Manor fosse scoppiato il pandemonio, che Draco avesse tentato di opporsi con tutte le sue forze e che alla fine, non potendo uscirne in nessun modo, avesse accettato con la sola clausola che fossi io la sposa.

Cioè, avevo immaginato che lui mi volesse. Visto che io non potevo scegliere niente mi ero augurata che almeno l’avesse fatto Draco, che almeno piacessi a Draco, che almeno qualcuno volesse tutto ciò. Si può essere così ingenui?

"Almeno voglio che sia Astoria Greengrass!" o qualcosa del genere.

Sì una cosa molto sciocca e romantica e senza alcun possibile riscontro con la realtà dei fatti.

(Nella realtà Draco Malfoy non si era opposto se non minimamente all’idea del matrimonio combinato e quando Lucius  gli aveva proposto il mio nome per la garanzia economica che ancora Greengrass rappresentava  lui aveva risposto “Ok” e basta. Fine.)

Quella mattina però io non potevo ancora saperlo.

Adesso, anche alla luce di tutto quello che è successo dopo, fatico quasi a riconoscermi nella scema con la testa vuota di quella mattina.

Nemmeno fossi sotto imperio, avevo finito per accettare tutto quello che la gente intorno a me continuava a propormi, che Daphne scrivesse per me una piccola pergamena con frasi da dire a Draco, che mio padre mi raccomandasse di sorridere tanto e parlare poco, e in ultimo perfino che arrivassimo a casa Malfoy con l'autista (abitudine che odiavo e che tra l’altro non ci permettevamo da mesi, per risparmiare. Ma rimanendo nell'ambito delle cazzate preistoriche, dovevamo esibire una ricchezza non posseduta, no?)

In nome della dissociazione mentale che avevo, feci scegliere a mia madre anche il vestito: un abito con la gonna a pieghe e lo scollo all'americana, calze coprenti, capelli legati alti ed un trucco inesistente acqua e sapone. Come le vergini di buona famiglia (anche se non lo sei).

Mi stavo presentando a casa di Draco come l'ultima delle sceme ma non perché effettivamente fossi brutta, semplicemente non c'era niente di me in quel look. Me ne accorsi (forse ero veramente sotto imperio) proprio quando l'autista concluse il viaggio atterrando davanti al Manor con il dolce sottofondo di mia madre che mi rimproverava perché ero silenziosa.

Guardandomi velocemente su una superficie riflettente vidi quella brava ragazzina che stavo interpretando ed avvampai di vergogna "Come diavolo mi hai conciato?" e senza badare a quel che facevo sciolsi rapidamente i capelli e misi più o meno il kajal arabo intorno agli occhi. Il risultato fu grottesco, lo ammetto: un'accollatura alta si sposava male con un capello sciolto e il kajal applicato a caso non era mai una buona idea.

Ma quando mia madre mi disse "Sei proprio una stronza" io capii che ero molto più vicina all’essere l’Astoria di sempre.

Nel frattempo si apriva per noi l'imponente cancello in ferro battuto del Manor e, varcandolo, notai che la rugiada mattutina, che non si era completamente sciolta, scrocchiava sotto i miei passi, uno dei miei rumori preferiti. Lo trovai di buon auspicio.

Ricordo che Narcissa Malfoy ci venne incontro tutta cerimoniosa e mentre mia madre l'adulava in complimenti non necessari (e non sentiti, conoscendola), il sole s'oscuro e si levò un vento tiepido che diede una ruotata alla mia gonna la quale si alzò, maleducata, mostrando più di quello che una ragazza-perbene-purosangue-non-attraente-come-la-sorella poteva permettersi. Così mentre Narcissa e mia madre ridevano nervose ed io lasciavo che quel vento capriccioso facesse di me ciò che voleva, sentii all’improvviso che l’impressione che avevo avuto fino a quel momento, di essere osservata, era reale.

Strizzando gli occhi potevo intuire il profilo di un ragazzo in piedi dietro una grande porta finestra, non potevo scorgerne granché i dettagli ma potevo benissimo immaginare i suoi piccoli occhi grigi puntati nei mei. Draco.

Inaspettatamente non mi colse alcuna timidezza.

Mi piaceva l'idea che il vento mi scompigliasse e che lui mi vedesse così. Era l'immagine più vera di me.

L’illusione che aveva mosso il mio deretano fino a lì, ad ogni modo, finì prima di quanto immaginassi.

“Draco” mi disse, una volta dentro, porgendomi la mano.

“Sì, so come ti chiami…”

“Anche io so chi sei, Asteria, ma mi sembrava normale presentarci, in una simile occasione.”

Fine dell’illusione.

Feci un passo indietro. Da lui e da tutto il resto, compresa la me stessa ancora illusa e speranzosa di tutto. “Astoria.” Dissi, con voce roca. “Mi chiamo Astoria.”

“Ah. Me l’hanno detto sbagliato. Vedi che serviva presentarsi.”

 

“Ehi.” Una voce femminile alle mie spalle mi desta dai miei pensieri catapultandomi in questa stanza grigia e poco illuminata, in questo letto dalle molle consumate, a grimmauld place.

 Non mi volto, l’ho riconosciuta. “Dimmi, Granger.”

“Ci chiedevamo se scendessi per cena.”

“No, vorrei prima fare questa.” lo sguardo mi cade sulla boccetta blu che ho in mano da un tempo indeterminato. Forse tutto il pomeriggio.

“Ma ci vorranno almeno tre o quattro ore, forse è meglio se mangi qualcosa prima”

“No, credo che lo farò subito.”

Il mio tono è un po’ ruvido e non ammette repliche; sento la Granger allontanarsi senza aggiungere altro.

Un po’ mi rammarico, per la cena, perché sicuramente a stomaco vuoto non si ragiona gran chè bene ma questa magia mi fa ansia e non mi piace rimandarla ancora. Inoltre questa sera ( a differenza dei giorni precedenti) a cena ci sono soltanto loro tre del trio meraviglie, che ci faccio io in mezzo a loro?

Non abbiamo argomenti, non abbiamo niente da dirci e, in ultimo, non sono così stronza come sembro; nonostante tutto sono grata a questi tre scemi e non ho voglia di rovinare l’atmosfera di questa cenetta di ritrovo. 

Da quello che ho capito questa era la casa della famiglia Black ( Draco e la sua famiglia mi perseguitano, a quanto pare), e Sirius Black, padrino di Potter, l’ha designata come covo dell’Ordine, quindi devono aver passato diverso tempo, tutti e tre, tra queste mura. Lo si capisce subito dal modo nostalgico con cui guardano tutto, a differenza degli altri.

Con un salto scendo dal letto, accompagnata da un cliiick delle molle usurate.

“A noi due, boccetta blu”

 

 

Draco’s POV

 

È passata da poco la mezzanotte. Non ne sono sicuro ma ad occhio e croce non deve essere molto tardi perché volando in macchina ho ancora incrociato qualcuno, per strada, tipo persone che portano a spasso il cane o chi butta l’immondizia. Questo per lo meno è quello che sono riuscito a registrare finché ho mantenuto un minimo di lucidità, dopo il livello di burrobirra è sceso velocemente dal boccale per salire veloce nel mio sangue e tutta la scorta che avevo in macchina se n’è andata in capo ad un’ora, un’ora e mezza.

Sono completamente ubriaco. Adesso posso aggiungere anche sbronzo alla lista di tutti gli aggettivi che mi posso aggiudicare, dallo stronzo allo stanco morto, dall’idiota al disperato. Adesso c’è anche sbronzo, dicevo, ed è quello che ci voleva perché dopo quasi 48 ore di rabbia e di fumo, adesso è venuto il momento dell’alcool; l’alcool non arriva subito o ti blocca del tutto, arriva alla fine quando hai l’ultima possibilità ma sai già che sarà vana ed hai bisogno di un aiuto per reggere il suono del crollo di tutte le tue speranze.

Freno forte a mezz’aria e mi calo con una manovra poco accorta sul marciapiede davanti a casa Potter, davanti al suo giardinetto mediocre e il cancello in ferro battuto nero. Tutto molto modesto perché lui anche se ha guadagnato due lire non può certo comprarci una casa decente, oh certo che no, avrà evoluto tutto a qualche organizzazione no-profit che fabbrica grattaculo per gnomi o robe di questo tipo, tutto è misurato ed umile nella sua persona, tutto così insopportabilmente patetico.

Apro la portiera ed esco, appellandomi ad automatismi più che ad una reale possibilità di movimento, facendomi leva sulle mani, mentre il mondo attorno a me o ruota o rimane troppo sfocato.

Forse ho esagerato. Parlo dell’alcool. Ho calcolato male i tempi, adesso dovrei affrontare Potter con più sale in zucca e invece vedo il suo bruttissimo portone mogano obliquarsi davanti a me. Maledizione.  

 

“Signor Malfoy, la chiamo dalla segreteria del San Mungo.”

“… Che c’è. È successo qualcosa alla signorina Greengrass?”

“Assolutamente no, Signor Malfoy, volevo solo avvisarla che per il pagamento della degenza della signorina Greengrass c’è tempo fino alla fine del mese. Chiamiamo lei perché ha firmato lei il consenso al ricovero quando la signorina…”

“Sì, va bene, va bene. Mandatemi il conto quando la dimetteranno”

“Signore, la signorina Greengrass è già stata dimessa.”

“Che cosa.”

“Da almeno 48 ore.”

 

Con un po’ di fortuna riesco addirittura a camminare dritto fino alla loro porta di casa, una porta di legno – come ho già detto - rosso mogano, che non solo è di cattivo gusto, ma è anche una maleducata: prima appariva obliqua, adesso si è raddrizzata ma non smette di prendermi per il culo: se mi avvicino io pare che si allontani, se sto fermo si avvicina lei. Boh.

Non è il momento di pensare alla porta comunque. Anche perché lei a parte, mi sento più solido, forse sto meglio, sto-meglio. Non so se mi sto autoconvincendo ma da qualche parte dovrei avere dell’acqua, ah si? Sono così lucido da portarmi dell’acqua in giro? No, aspetta, per quale motivo ho dell’acqua e non la burrobirra nella bisaccia? Avrò mica finito la burrobirra? Ma quanta ne ho bevuta?

Sono fuori casa da almeno 5 ore. Senza criterio, ho viaggiato per tutta la Londra Magica, sono andato dalla sua famiglia, non che sperassi di trovarcela, sono andato da Daphne, ma niente…  ho cercato di evitare di coinvolgere i miei genitori ma l’hanno saputo subito e subito hanno dovuto dire la loro opinione: che ero uno scemo a cercarla, che era meglio così, che era una traditrice, e che meritava di essere scomparsa nel nulla. Mia madre, disperata, per avermela messa in casa, mio padre risoluto nel volerla sapere il più lontano possibile dal nostro nome. Chiacchiere a parte da loro ho trovato un indizio: traditrice. L’aveva detto Pancy e me n’ero dimenticato.

Sono corso da lei, altro buco nell’acqua: la sua casa era vuota ma non il suo frigorifero. Da lei mi sono rifornito di burrobirra e anche qualcosa di più forte trovata nella sua dispensa segreta di cui ho ancora le chiavi. Quella scema di Pancy non le ha nemmeno chieste indietro.

Ad ogni modo non ho niente in mano. Niente se non quest’ultima chiacchierata, niente se non la certezza che la tengano loro da qualche parte, come le avevano proposto. Io l’ho lasciata sola, in quella stanza, a combattere contro i suoi demoni, con il suo utero vuoto e l’anima a pezzi, non… volevo, ma non potevo fare altrimenti perché avevo bisogno di gestire i miei, di demoni. L’idea che lei fosse davvero mia, non solo nel letto, aveva acceso in me qualcosa di sopito, un’ebbrezza che non conoscevo, che mi confondeva, piacevolmente, le membra, e non ho retto la doccia fredda di quel racconto.

La possibilità che il suo cuore non fosse realmente mio, diviso nell’amore per quella pertica rossa, un rivale scorretto perché morto (e non per mano mia) combattendo (come lei) nel giusto (mentre io scappavo).

Ho scelto di odiarla, prima che di capirla. Ho scelto l’orgoglio ( e lei la fuga).  

 

“Signor Malfoy, il dinosauro… piange, è fuori controllo.”

“Lasciatemi in pace.”

“Ma Signore, ha completamente distrutto la sua camera e piange disperatamente la sua padrona. Se solo poteste chiedere alla Signorina Astoria di passare un attimo al Manor…”

“… Ha distrutto la sua stanza?”

“E quel vestito, Signore.”

“Non importa. Lasciatelo fare.”

 

Una mano leggermente tremante, la mia, scorre sulla fronte sudata e porta indietro i capelli, stropiccia gli occhi nel tentativo di ridurre le immagini sovrapposte ad una unica figura, fruga nella bisaccia per avere di nuovo un sorso d’acqua, acqua che passi nelle mie membra febbricitanti d’alcool.

Che cazzo sto facendo.

La testa martella il ritmo di un cuore sfiancato ogni volta che cambio direzione in modo troppo repentino, vuole ricordarmi che sono lento e flaccido stasera, che sono un omuncolo vestito griffato, solo come un cane.

All’ennesimo sorso d’acqua mi decido ad agire. Questa stupida, vecchia porta da quattro soldi è l’ultima risorsa che ho. Muovere ritmicamente il braccio per bussare mi pare quasi faticoso come riemergere da questa sbronza che potevo risparmiarmi. Busso diverse volte ma nessuna reazione dall’altra parte. Dannazione, possibile che non ci sia nessuno? Possibile che stiano tutti all’Ordine, anche nel cuore della notte?

Mi faccio più irruento e busso di nuovo, la mano mi fa davvero male e le nocche stanno diventando rosse ed insensibili quando sento dei piccoli movimenti dall’altro lato. Allora ci sei. Arrivano giusto in tempo perché sto attirando troppo l’attenzione, qualche finestra buia si accende, nel vicinato.

“Andiamo, Potter!- mi sforzo di non urlare- Apri questa cazzo di porta, devo parlarti immediatamente! Apri ti ho detto!”

Il rumore di un chiavistello che si disinnesca. L’uscio che si muove verso di me, lentamente, lasciando una fessurina buia tra questo e il capostipite. Un triangolo di luce si irradia sul marciapiede ma la figura che ne emerge è troppo esile perfino per essere Potter. È la Weasley.

Dannazione.

“La tua famiglia è una persecuzione, lo sai Weasley?”

Ha i capelli legati e lo sguardo allucinato, indossa una vestaglia da camera allacciata stretta in vita e nella destra impugna la bacchetta, lo so perché la porta alta, verso di me, e si ferma solo quando raggiunge il mio mento. “Che cazzo vuoi Malfoy”

“Voglio parlare con Potter.” Deglutisco forzatamente e mi schiarisco la voce.

La faccia di Ginny Weasley mi appare sfuocata ma non più doppia: è già qualcosa.

Abbassa la bacchetta “Harry non c’è per cui vattene immediatamente.” La porta fa per chiudersi e io mi lancio in avanti. “Aspetta!!!” appena in tempo per fermarla. “Parlerò con te, allora.”

“Oh che gentile concessione, peccato che io non ne abbia nemmeno la più pallida intenzione!”

“Solo un secondo...” biascico un po’, passandomi un’altra volta la mano sul viso. Sento il suo sguardo giudicarmi dalla testa ai piedi, tipico di questi piccoli ipocriti sempre nel giusto. “Solo un secondo, ti chiedo.”

Serra la mandibola e stringe gli occhi. “Sei ubriaco. Puzzi d’alcool in modo indecente.”

“Sì, beh, nemmeno tu sei una visione.” La porta mogano minaccia ancora di chiudersi bruscamente e sono costretto a pregarla di nuovo. “Ferma! Senti si tratta di Astoria… dimmi dov’è e me ne vado.”

In qualche modo, mi sembra che cambi espressione. “La Greengrass.” La sua mano sembra stringere più forte la sua bacchetta, sempre a mezz’aria. “Dovrei aiutarti a trovarla? Perché? Non sono una sua fan ma sicuramente mi piace molto di più di quanto mi piaccia tu.” La punta della sua bacchetta scende fino a toccarmi il petto ma non come prima, questa volta preme come a volermi arrivare al cuore. Come se ci fosse rimasto qualcosa.

“Devo ritrovarla.”

“Sì questo l’avevo capito.”

“Io…” È l’unica cosa che riesco a dire. La mia testa brulica di confusione, la burrobirra, sadica, mischia episodi accaduti ed altri solo sperati, tracce di conversazioni sussurrate sotto le lenzuola ad immagini, il suo modo di inarcare il sopracciglio quando non è d’accordo, la sua naturale espressione un po’ altera, i capelli e il modo in cui si intrecciano fra le mie dita o gli starnuti che faccio se mi finiscono nel naso, Sliyter che piange la sua assenza e quel vestito da sposa rimasto in una stanza vuota, appeso ad un modellino di plastica senza testa, a brandelli. Come tutto il resto.

“E perché? Per farle ancora del male? Per comunicare ai tuoi amichetti dov’è e farla fuori?” lei alza la voce, deliberatamente; forse non si sente tranquilla a parlare con un ex-mangiamorte nel cuore della notte, ed ottiene quelle vuole, alla fine molte altre luci si accendono nelle casette vicine, qualcuno, curioso, sporge addirittura fuori la testa per vedere che succede.

“Io …no… ma che cazzo dici.”  Io però parlo sempre basso, non abbocco al suo gioco. “Lo sai sì che noi dovevamo sposarci e che…”

“Poche chiacchiere.” È molto più incisiva di come ricordassi. Non ha la testa vaga dei fratelli. “Ha scelto l’Ordine e non ha incluso anche te. Ha scelto noi, Malfoy. – non ha idea di come quel noi scavi nella mia mente – Fatti da parte.”

“… aspetta. Ti ha detto lei queste cose?”

 

“Se n’è andata, Signore. Ha chiesto di essere dimessa ed ha firmato contro parere medico”

Nella stanza che ha lasciato intonsa nemmeno un biglietto, un indizio, nemmeno un insulto per ricordarmi che sono una bestia, un codardo, che non la merito, che ne ha abbastanza. Niente.

 

“IO ti ho detto di andartene e tanto deve bastarti.”

Un nuovo capogiro, più forte degli altri, rischia di togliermi qualsiasi possibilità di ragionamento.  Ho bisogno ancora di acqua, la cerco mettendo mano alla cintura per arrivare alla bisaccia ma la Weasley, prevenuta, deve aver pensato che cercassi la bacchetta perché alza di nuovo la sua alla mia gola.

“Non-muoverti.”

“Sei proprio una scema, Weasley, io…” faccio un passo indietro per cercare di calmare i suoi sospetti ma improvvisamente non ho più terreno sotto i piedi.

L’ultima cosa che registro è l’impatto forte con il suolo che ha il suono di una gigantesca saracinesca che si chiude sulla mia coscienza confusa dagli effluvi della burrobirra e l’alcool che mi tira nel suo sonno rassicurante molto prima dei tempi previsti. 

 

“Ci sarai quando mi sveglierò?”

 

 

Astoria’s POV

 

Non mi sono ancora guardata.

Sono uscita dall’acqua da alcuni minuti ma non ho ancora sbirciato il mio aspetto. Non ho il coraggio.

Lo specchio che ho di fronte è ancora completamente appannato dal vapore acqueo che il mio lungo bagno di bellezza ha prodotto e non ho nessuna voglia di pulirlo. Mi trovo in un piccolo bagno, all’ultimo piano della casa, da circa quatto ore.  L’ho scelto io, tra tutti i bagni, perché gli altri tre mi davano l’angoscia, troppo simili alle magnificenti sale da bagno di Malfoy Manor; non c’è da stupirsi, in quel periodo d’oro le famiglie di quella generazione di citrulli hanno costruito tutte case molto simili tra loro, tra purosangue bisogna sapersi riconoscere. Solo la mia famiglia e poche altre hanno mantenuto abitazioni più modeste, ma i motivi non sono i più nobili: semplicemente mia madre amava manifestare il suo status economico più con gioielli e vestiti delle ristrutturazioni.

Due piccoli tocchi sulla porta mi destano leggermente dai miei pensieri.

“Che c’è.” Rispondo, con la voce roca, rabbrividendo leggermente alla ricerca di un accappatoio.

“Sono io.” Risponde dall’altra parte.

“Ah, sei tu.”

 È Teddy, un piccolo moccioso di cinque o sei anni, è orfano, qualcuno ce l’ha in affido ma non ho ancora capito chi, so soltanto che sta qui più che a casa propria ed io c’ho fatto amicizia quasi subito. Sono arrivata da quasi due giorni e lui è stato l’unico con cui mi sono sentita di parlare volentieri. I membri dell’Ordine hanno la superbia di coloro che sanno di aver avuto ragione ma io non sono disposta a dismettere la mia abituale alterigia, nemmeno per un po’.  Il risultato è che parlano solo di me e mai con me, in ogni occasione.

“Che vuoi mocciosetto.”

“Datti una mossa. Discutono che è quasi ora.”

“Chi? Il trio?”

“No sono arrivati tutti. Spicciati!”

 “E che altro dicono?”

Sento il bambino ridacchiare. “Non fare la furba.”

“Umh. Okay.”

Sento i suoi passi allontanarsi velocemente. È il figlio del professor Remus Lupin e di un’altra di cui non conosco il nome, entrambi morti durante la battaglia. Sembra che il suo essere orfano gli abbia davvero dato una marcia in più o forse ha preso dalla madre, non lo so. Dubito che abbia preso dal padre, da quel che mi ricordo il professor Lupin aveva l’aria da uomo buono e coglione, mentre suo figlio ha un guizzo vivace negli occhi. Talmente sveglio che ha subito intuito che avevo bisogno di sapere tutto ciò che i chiacchieroni dell’Ordine dicessero alle mie spalle ed è stato ben felice di origliare per me; a pagamento, s’intende. Gli do cinque penny per ogni informazione valida. 

Lo so che suona meschino, ma non riesco a fidarmi più di nessuno. Dovrei fidarmi di loro ma non li conosco, mi tengono a distanza nemmeno avessi la peste, mi dicono mezze parole e Potter mi fissa da sopra i suoi occhiali, parlandomi come si parlerebbe ad un animale pericoloso. Non mi stupirei se da un momento all’altro usasse il serpentese per rivolgersi a me.

Adesso però devo sbrigarmi. È venuto il momento di vedere cos’era davvero, la boccetta blu.

Senza pensare, senza anestesia, do una manata veloce allo specchio che ho di fronte: l’impronta lucida della mia mano sull’opacità dello specchio restituisce la mia nuova immagine.  “Per Salazar” sussurro mentre con una certa foga pulisco tutto lo specchio per vedermi intera.

Quasi non riesco a credere a ciò che vedo. “… sembro mia madre.”

Sì, ho l’aspetto di una donna di almeno senssant’anni. La pozione in cui ho fatto il bagno e che prometteva di cambiare il mio aspetto e renderlo diverso per il viaggio non ha tradito le aspettative. Adesso i miei capelli sono più grigi che neri, il mio viso ha diverse rughe e tutto il corpo ha perso la tonicità che possedeva, a partire dal collo la cui pelle cede leggermente alla gravità.

Sospirando all’ennesima umiliazione di questi cazzo di Auror, inizio a vestirmi con quello che mi hanno preparato: biancheria dozzinale e troppo grande per la mia taglia, una gonna panna a tubino con delle scarpe nere col tacco basso ed una camicia marroncina (nessuno al mondo se non loro avrebbe fatto quest’abbinamento), completiamo il quadro raccogliendo i capelli con il pesce più brutto che siano riusciti a trovare ( e devono essersi impegnati davvero, nella ricerca) un filo di perle ( manco a dirlo che sono false) e un volto senza trucco.

“Resisti, Astoria. Resisti.”

Ovviamente quando hanno detto aspetto diverso non hanno aggiunto che mi avrebbe regalato la visione della me stessa a 60 anni portati male, ovviamente, ma avrei dovuto forse intuirlo da sola quando Teddy mi ha riferito che quella scema di Angelina Johnson sghignazzava come una iena caldeggiando per quest’incantesimo.

È stata lei a venirmi a prendere al San Mungo, ha controllato i bagagli che mi erano arrivati (preparati gentilmente da Olga) dal Manor come se si aspettasse che nascondessero chissà cosa e per qualche strana ragione mi ha energicamente consigliato di gettare tutti i miei vestiti preferiti. “Devi essere il più anonima possibile!” e quando le ho fatto notare che ci sono persone che risulterebbero anonime anche se Chanel in persona le preparasse la mattina, ha messo su un muso che le ha impedito qualsiasi forma di conversazione fino a Grimmauld place.

Ovviamente l’ostilità nei miei confronti non si è placata col susseguirsi delle ore, tutt’altro; nelle animate discussioni che sono sorte con Potter e gli altri lei s’accaniva contro il mio punto di vista in modo esagerato e palesemente ostile, tanto da essere richiamata perfino dalla Granger. Ad un certo punto, in una delle discussioni, sono sbottata in un “stai zitta, Johnson!” e lei mi ha corretto con uno sguardo superbo “….Weasley, vorrai dire!” e tu no, completava la frase ma questo l’ha solo pensato ovviamente.

“è gelosa.” Mi ha spiegato Teddy, poco dopo, “Tutti dicono che si sia accontentata del gemello sopravvissuto”

“Che c’entro io?”

“Io questo non lo so, sono solo un bambino.”

Mannaggia a te, Fred. Questo deve essere l’ultimo dei tuoi tiri, farmi lasciare dal mio futuro marito e farmi travestire da vecchia decrepita per soddisfare le frustrazioni della tua spasimante della scuola.

Esco dal bagno e trovo Teddy ad aspettarmi. “Sei bruttissima!” esclama scoppiando a ridere di gusto. Reazione prevedibile ma non posso certo biasimarlo. “Piantala o non vedrai nemmeno un penny, parola mia.”

Ma lui continua a ridacchiare trotterellandomi accanto mentre scendiamo di sotto, passando per le scale di servizio in legno, lui è più veloce e scattante di me che devo ancora adeguare la mia andatura alle nuove calzature.

Ad onor del vero sono molto preoccupata. È per questo che cammino piano.

In una manciata di giorni ho perso completamente il controllo della mia vita e delle mie azioni, ho cambiato più volte umore che d’abito passando dalla disperazione assoluta, una volta arrivata qui dal San Mungo, con Teddy che mi tirava i pop corn quando mi sentiva singhiozzare con la faccia premuta sul cuscino, ai tentativi di autoconvincimento di forza ed euforia “ce la farò, ce la farò, ce la farò”, alla psicoanalisi spicciola per placare l’ansia (mi chiamo Astoria Greengrass…) all’attuale terrore puro all’idea di ciò che mi aspetta.

Nessuno dell’Idra è qui con me. Le persone che sono state intercettate faranno più o meno il mio stesso percorso ma con modi e mezzi diversi, per disperdere un po’ le tracce, anche se alla fine dovremmo trovarci tutti allo stesso posto, a TempleX (nome in codice). Il pericolo è concreto, comunque.

Sembra sia sorta un’illegale organizzazione clandestina che raggruppa ex-mangiamorte scappati alla Legge, buoni a nulla e vecchi biliosi nostalgici, pronti a vendicarsi, a loro dire, dei torti subiti. Chiaramente noi al momento siamo un bersaglio facile, forse l’unico e sembrano molto ben organizzati visto che da quello che mi hanno detto (sempre col contagocce), uno dell’Idra è quasi morto in un loro attentato.

L’unica cosa che mi rende tranquilla è l’idea che per lo meno il mio viaggio sarà a metà tra il treno e il nottetempo e non dovrò volare o prendere mezzi di fortuna. E anche che la base Auror a TempleX è quella dove lavora adesso Dean.

Non credo che sarà felice di vedermi considerando che è stato mio padre (o Draco?) a spedirlo lì ma sono comunque sollevata all’idea di avere una faccia conosciuta tra le tante argute menti Auror. Quanto meno se lui mi odierà sarà per qualcosa di concreto e non per antipatia aprioristica o per gelosie assurde su persone morte anni fa.

Mi blocco per qualche frazione di secondo ma Teddy non lo avverte e va avanti spedito. Tutto in continuazione mi riporta a lui. Così tanto che non potrei sopportarlo ancora. come se la mia mente non potesse fare a meno di farlo, periodicamente, come una tortura a cui non posso sottrarmi, la mia testa ritorna su Draco. Già, Draco.

Ho sperato tutti i giorni di avere sue notizie, in qualche modo, o che qualcuno dell’Ordine riferisse cose di lui che mi riguardavano, che mi aveva cercato, che era impazzito di dolore, che mi voleva ancora. Niente. Forse era solo questo il pettegolezzo che volevo che Teddy mi riferisse.

Arrivo all’architrave del salone dove i cervelloni mi attendono, Teddy si ferma qualche passo prima di me. “Io non entro o penseranno che io e te ci parliamo.”

Sorrido notando che ha i capelli di nuovo diversi rispetto a prima. Cambiano colore, di tanto in tanto.

“Greengrass hai un aspetto orribile!” esclama Paciock allargando le braccia e ridendo bonariamente accompagnato dalle risate generali di tanta altra gente, dalle più sguaiate di Angelina a quelle un po’ più a mezza bocca della Granger.

Il salone principale dove avvengono i momenti di discussione è una grande cucina che condivide l’aria decadente di tutta la casa. Abbiamo il pienone questa sera, solo pochi assenti della famiglia Weasley (George, Ginny e i capifamiglia), per il resto, ci sono persone che non ho mai visto in questi giorni, probabilmente nuove leve ex Corvonero e TassoRosso, credo. (Nessuno studente novellino è più ammesso)

 Comunque mi unisco al gaudio generale salutando tutti con un mezzo sorriso e mi siedo al loro tavolo di legno coperto di scartoffie con mappe e disegni di pennarello rosso intervallati da cestini pieni di dolci che qualcuno mangia lasciando briciole ovunque. 

“Dai Astoria mangia qualcosa, questi li ha fatti Luna!”

Incrocio il suo sguardo vacuo dall’altra parte della stanza. Mi sorride e mi fa ciao con la mano, è la prima volta che la vedo da quando sono qui. Da quel maledetto giorno.

Draco. Di nuovo. Mi manca. Posso sentire ancora il tocco del suo sguardo sulla mia pelle, quando per la prima volta avevamo realizzato entrambi che non stavamo più giocando a fare la coppia in procinto di diventare una famiglia, ma lo eravamo diventati davvero. Per una manciata di minuti. 

Ma è troppo tardi ormai, anche per i rimpianti.

“Grazie non ho tanta fame” rispondo, benevola, sforzandomi di apparire comunque serena nei panni di un’ultrasessantenne. Ma che sorrida o meno non cambiano le cose, che faccia finta di apprezzare i loro piani strategici e le loro protezioni, non importa in realtà: le mie reazioni, quello che dico, le mie espressioni sembrano sempre troppo poco a loro, lo percepisco.

Anche adesso che il mio stomaco è una morsa d’ansia, loro hanno già deciso che sono una maleducata.

“non hai nemmeno cenato, dovrai pur mangiare qualcosa” insiste una tipa di cui ricordo a malapena il nome. Nonostante l’ora un po’ tarda tutti sgranocchiano dolciumi vari, comunque, tutti tranne Cho Chang, in disparte con un bicchiere d’acqua in mano e lo sguardo sempre fisso su Potter. Mio Dio, ancora dopo tutto questo tempo?

“Dai Greengrass, cominiciamo.” È proprio lui, Potter, a prendere parola. Ha lo sguardo autorevole di chi vuole trasmettere ottimismo e forza d’animo, ma continua ad avere un’aria circospetta, con me.

“Ricapitoliamo tutto il viaggio un’altra volta. Tappa dopo tappa, ok?”

 

 

Draco’s POV

 

È una scena che ricordo come familiare. Deve essere accaduta un sacco di volte. Io all’inizio tornavo sempre troppo tardi, non prima delle dieci di sera, molto spesso essendo già sbronzo ed avendo già scopato, ma sempre inquieto e pronto a combattere qualsiasi cosa. Anche a casa. Anche lei.

Ma prima di contagiarla, sempre, con la mia rabbia aprioristica, prima di dire qualsiasi cosa, appena tornato, c’era un istante che amavo tenere per me soltanto, il momento esatto in cui la vedevo e lei non s’era ancora avveduta della mia presenza. La maggiorparte delle volte la coglievo nel grande salone a leggere qualcosa, con la sottoveste color limone addosso, e Slyter accucciato (senza nessun ritegno, per un dinosauro) sulle sue gambe. Una delle sue mani a reggere il libro, l’altra che spesso scendeva ad accarezzare il rettile.  Un piccolo cameo di perfezione incontaminato da qualsiasi rancore o discussione, lei che per qualche miracolo era lì nel mio salotto.

Come adesso.

“Astoria?” Possibile che sia davvero qui? Provo a chiamarla di nuovo ma lei non alza gli occhi dal libro, chiamo Slyter a me ma sembrano non vedermi nemmeno. Corro verso di loro, la prendo fra le braccia “Astoria, sei tornata?” e nel momento stesso in cui lei alza finalmente lo sguardo su di me…

“Aaaah!”

“Aaaaaaaaaah! Ginny!”

Un trambusto generale fatto d’urla, di un cuore saltato in gola ed uno scatto dal divano ( non mio), una donna in piedi, bionda, con in braccio una figlia entrambe urlanti alle mie urla.

“Che diavolo succede qui!?” è l’ennesimo urlo, questa volta della Weasley, la riconosco, appena accorsa nel mio campo visivo. “Fleur! Che c’è! Che ha fatto? Mi hai fatto prendere un colpo, stavo mettendo su il latte per la piccola”

“Oh nionte, Ginny scusami, mi sono avvicinata porchè delirava ma lui mi ha urlato!”

“Ed hai pensato bene di urlare anche tu!”

“Che potevo fare! Non lo vedi che ho Victoire in broccio?”

Che-diavolo-sta-succedendo.

Lentamente (perché in qualsiasi altro modo sarebbe impossibile) cerco di tirarmi su con la schiena, faticando contro la gravità che mi rivorrebbe a quattro di spade su quello che sembra un divano. Due pesi impediscono i miei movimenti ed entrambi riguardano la testa (e non è un bene, ad occhio e croce) cioè: un mal di testa sordo a cerchio che parte da una tempia ed arriva all’altra non risparmiando gli occhi, ovviamente, e un dolore a fitta che viene dalla nuca. Passandoci una mano sento un piccolo bernoccolo duro che mi dà dello scemo perché sono caduto all’indietro sul giardino di casa Potter.

Ah già. Casa Potter?????

“Stai calmo Malfoy, non agitarti.” La Weasley mi scruta dall’alto, a braccia conserte. “Ben svegliato, eh”

Non è sola. In questa stanza che non conosco, ad occhio e croce devo trovarmi sul loro stupido divano e il loro stupido salotto, c’è anche un’altra donna con lei, alta e bionda con una pupetta in braccio di pochi anni. Ha un’aria familiare ma non mi prendo il disturbo di ricordarmi di più.

“Che… che cos’è successo?” Ho la gola riarsa “Posso avere un po’ d’acqua?”

“Sci penso io.” Dice la bionda con uno strano accento e con il braccio libero mi passa un bicchiere già pieno.

“Sei caduto nel mio giardino come un sacco di topi di morti e mezzo vicinato m’ha aiutato a trascinarti qui. Non sanguinavi, per questo non abbiamo chiamato il guaritore. Sei pensante comunque e non sembra a vederti.”

L’acqua scorre fredda nella mia gola in un mix di sollievo e bruciore. Mi sento a pezzi come se un gigante mi fosse stato seduto addosso fino a due secondi fa. “Bene.” tossisco. “Che ore sono”

“è mattina, Malfoy. Almeno le nove.”

Connessioni neurali prima appesantite da alcool e sonno sembrano improvvisamente collegarsi alla vista dell’abbondante luce gialla filtrare da qualsiasi finestra ed invadere il pavimento, ma l’unico messaggio che compongono in testa è un ansiogeno “è tardi!”, per cui faccio per alzarmi ma un piccolo capogiro del buongiorno intorpidisce la mia determinazione e ricado da dove ero venuto.

“Stai formo.” Mi ammonisce la bionda. “delirovi continuamente, non sei lucido per alzarti”

“Tzs” grugnisco io, bevendo ancora.

Noto che la Weasley è parecchio nervosa di avere la bionda tra i piedi. “Fleur, puoi venire un secondo?” La prende per un braccio e la trascina in un’altra stanza, uscendo entrambe dalla mia vista. Era ora.

 


“Allora, che sei venuta a fare? Non mi piace che Victoire…”

“Oh non preoccuporti, cara, sono venuta ad aggiornarti…”

 

 

Parlano piano, sommessamente, agitate, dalla stanza di fianco. Posso sentire abbastanza bene ciò che si dicono, farei di meglio se non avesse questo martellante mal di testa, ma tant’è.

 


“Ah… ma non volevo che ti disturbassi tu, il gufo era per Harry.”

“Beh l’ho letto prima di lui e sono arrivota”

“E a lui non l’hai fatto leggere?”

“….. no! Tanto l’avevo letto io!”

 

 

Andiamo bene, anche questa è completamente scema.

Disinteressato, cautamente, mi alzo. Le gambe sono molto più stabili adesso e anche i capogiri (ora che mi sono mosso con lentezza) mi lasciano in pace. Un’angoscia nera si fa largo tra le mie visceri. Astoria. Dove sei. Prenderei la porta e mi fionderei fuori in tre secondi ma non avrei nessuna meta possibile.

Ho bisogno di sapere.

È in quell’istante anche altri brandelli di conversazione arrivano alla mia attenzione.

 

“E dopo? Ha funzionato?”

“Siiii! Terrible, ginny! Quella boscetta blu era…”

“E l’hanno accompagnata?”

 

Il mio cuore si ferma. Un ultimo battito e poi più niente. Fa silenzio, per farmi sentire meglio.

 

“Oui.Tutto è andato bene!”

“Maman, maman…!”

 

La sovrapposizione di voci della bambina non aiuta. Muovendomi piano come un felino in attesa mi sposto cautamente verso di loro, cercando di non urtare niente, nemmeno l’aria, al mio passaggio.

 

 

“Voleva sapere dove si trovava lei…”

“E tu ponsi di dirglielo?”

“Ovvio che no, Fleur! È Draco-Malfoy”

“Oui, Ginny, so chi è lui! ma dovevi sontirlo, come delirova! La chiamava, hai capito? Cosa sc’è Victoire? Fai un secondo la brava a maman…”

“La bambina ha fame? Tra poco il latte sarà pronto ed ho anche un po’ di biscotti se vuoi, se li mangia”

“Quali sono, quelli di sciucca che ha fatto Molly?”

“Maman!”

“Sciucca? Aaah no no, quelli alla carota, non di zucca, e li ho fatti io ieri”

 

 

Sto per vomitare. Astoria si allontana da me ogni secondo di più e loro parlano di biscotti di zucca. Anzi di sciucca.

Non finisco di lamentarmi che la situazione peggiora e le mie condizioni uditive crollano drasticamente sepolte dal pianto della bambina. Merda. Sono costretto ad avvicinarmi di più.

 


“… va beh, l’importante è che la questione sia risolta. Adesso lo sbattiamo fuori e via.”

“e una volta lì, quanto ci resteronno? Shhh, basta Victoire!”

“nessuno lo sa”

 

 

Per Salazar, mi basta una parola. Un appiglio, un indizio, solo una parola.

 

 

“…..a Windlost*, mi pare, il primo cambio. Ma avevo mal di tosta e loro continuavano a fare domande e sovrapporsi, quella comunque è un’antipotica..”

 

 

Eccola. Windlost. Raggiungibile da Londra in treno. Primo cambio.

Incurante di fare rumore, di qualsiasi cosa, mi attivo. In uno scatto corro a recuperare la mia bacchetta e la mia bisaccia lasciate dalla Weasley sopra un mobile, lontane dal divano che aveva custodito il mio svenimento e corro verso la porta, urtando un soprammobile, forse due. (La coordinazione dei miei movimenti non è ancora perfetta). Sono quasi arrivato all’uscio quando le sento muoversi, dietro di me.

“Malfoy, fermo!”

Mi volto, bacchetta impugnata. Loro sono disarmate. La bambina, in braccio alla bionda, urla come un’ossessa. Giuro che mi sono voltato per schiantarle. Al muro, con lo stesso rumore che ha accompagnato la mia caduta dal giardino, stonk, e poi un bell’incantesimo per conoscere tutta la storia e non una frase mozzicata tra una stronzata e l’altra. La rabbia che ha gonfiato le vene del mio collo, però, si dissipa davanti alla faccia rossa di quella bambina.

Abbasso la bacchetta. A parte la mocciosa, nella stanza, nessun respiro.

“Grazie di tutto, Weasley”.

Il rumore forte dell’uscio che si richiude alle mie spalle, i miei passi veloci e un po’ sconnessi che scroccano di rugiada mattutina, la macchina volante che mi aspetta, un unico nome in testa: Windlost.

 

 

 

 


Fine nono capitolo.

 

 

Windlost*= corrispondente alla località babbana di Windsor.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Blood of my blood. ***


Sono tornata con un nuovo capitolo! Buona lettura, miei cari **

Diomache

 

 

ACQUAMARINA

 

 

Capitolo 10: Blood of my blood

 

 

 

 

Astoria’s POV

 

Quando mi sono guardata allo specchio per la prima volta, dopo la trasformazione, li ho odiati tutti, dal primo all’ultimo. Come una ragazzina, lo ammetto. Quando stai rischiando la vita, quando tuo figlio è morto nella tua pancia dovresti avere altre priorità, non dovresti pensare che il tuo contorno occhi è rugoso, né che hai i denti ingialliti dagli anni che non hai vissuto. Credo che se ne siano accorti tutti, che avrei preferito trasformarmi in un rospo piuttosto che nella versione ultravecchia di me stessa e penso che tutti abbiano pensato la stessa cosa, cioè che sono un’idiota, vanesia, una sciocca serpeverde.

Non è solo questo. È come se mi fossi improvvisamente accorta che la mia paura più grande era lì, davanti ai mi occhi, a fissarmi, e non è la paura di invecchiare. È la paura di trovarmi grande, anziana, alla fine del mio cammino e di essere di nuovo sola. Di non aver combinato nulla di buono nella vita, di non essere stata in grado di capire chi sono realmente, cosa mi piace realmente, di non aver protetto chi amo.

Poi le cose sono andate molto velocemente e non ho avuto il lusso di concedermi ancora questi vittimismi.

Tra i vincitori, chi preferisco è Paciock. Uno gnocco di patata che si è trovato leader, talmente tanto benvoluto e capace che se solo Potter fosse meno leggendario, lo temerebbe sul serio. D’altra parte, credo di aver letto su un libro di Rita la giornalsita (non ricordo il nome) che uno strano scherzo del destino ha prescelto il primogenito Potter e non il primogenito Paciock. Una cosa davvero curiosa.

Mentre Potter mi ha parlato guardingo tutta la notte, Neville Paciock si è seduto al mio fianco con naturalezza, come se ci conoscessimo da sempre. Mi ha detto “Mi dispiace per la tua perdita” e nelle sue parole ho sentito l’eco delle urla che gli risuonano nella mente, rinchiuse nelle ale più buie del San Mungo.

 

“Hai capito il percorso, Grengrass?”

“Me lo avete spiegato talmente tante volte che potrei sbagliarlo appositamente giusto per darvi noia” aveva sorriso, Paciock, divertito. “L’ho capito, l’ho capito, Paciok. Diamone, siamo noi Serpeverde quelli svegli non dimenticatelo”

“Abbi cura di te, allora.” Aveva detto, scostando la sedia in modo un po’ rumoroso.

“Ehi, aspetta.” Si era quasi fermato a mezz’aria. “Cosa?”

“Voglio essere messa a conoscenza di quello che sapete anche voi. È un mio diritto. Chi c’è dietro tutto questo?”

Il suo volto si era accigliato. Da quando si era sposato (appena qualche mese) si era lasciato crescere la barba e avevo notato che quando era pensieroso se la lisciava con fare serio. Prese a lisciarsela come se fosse realmente combattuto o stesse semplicemente cercando il modo migliore per liquidarmi. “No. Mi dispiace.”

Io annuii appena. “Non è nulla. Tanto mi troverò faccia a faccia con loro presto o tardi.”

“Se tutto va come nei piani, non dovrai farlo. Saranno gli Auror ad occuparsi di loro. Fai buon viaggio, Astoria Greengrass, tieni a mente i tempi delle trasformazioni, e, di nuovo, abbi cura di te.”

Le parole che volevo dirgli mi morirono in gola. Non avrebbe capito comunque e sarebbe nata una discussione sulla vendetta buona solo a sottrarci del tempo prezioso. E solo gli dei sanno, quanto poco ne avevo. Quando risposi la mia voce suonò molto più gutturale del solito. “Okay”.

 

Oltre a lui, sono contenta di aver conosciuto Teddy. Piccolo furfantello dai capelli colorati. Prima di andarmene gli ho lasciato tutti i soldi che avevo, tenendo per me il necessario per cibo e viaggio, e l’unica cosa che avevo in borsa che potesse essere di qualche senso per un bambino: la biglia magica di Slyter. Non essendo lui un animale da compagnia che ama rincorrere biglie che non si fanno prendere appositamente ( è questa la sua magia), dubito che trarrà tanto gusto nel giocarci ma per tutto il tempo che sono stata a Grimmauld Place mi ha dato il tormento per averla e alla fine non me la sono sentita di negargliela.

E Slyter chissà se lo rivedrò mai più. Ora che ci penso bene, forse non vedrò mai più nemmeno Teddy. Mi ha salutato distrattamente con un ciao, di quelli che si rifilano alla zia rompiscatole, ed io ho, non so perché, represso l’impulso che avevo di baciarlo sulla guancia. Che idiota che sono.

Altro capitolo aperto, Angelina Johnson. Come d’accordo, è stata lei a scortarmi con la sua scopa fino ad una delle fermate dell’impevedibile Nottetempo. Dicono che senta dove fermarsi e chi racimolare dai cigli della strada. Fare la strada con lei è stato silenzioso e strano, stringere il mio corpo raggrinzito al suo, snello e forte, anche di più. Mi ha fatto sentire fragile e bisognosa, e non volevo esserlo. Sentivo la sua ostilità, la respiravo come il venticello fresco delle ore più buie della notte. Tutti i miei muscoli erano in all’erta perché dentro di me fiutavo la tensione vibrante che precede un attacco. Ma la Johnson non mi avrebbe attaccato, non ne aveva motivo. No?

 

“Dovrei dirti grazie, credo”

Eravamo rimaste in silenzio per tutto il tempo, lo ruppi solo quando vidi sbucare a tutta velocità il Nottetempo dal fondo della strada. Lei non rispose subito, gli occhi fissi anche lei sull’autobus. “No, non dovresti.”

Mi voltai a fissarla. I suoi grandi occhi erano carichi di dolore ed odio, un odio che non ero più abituata a reggere. La mia bocca si spalancò per dire qualcosa ma il fischio della frenata dell’autobus frenò tutto quanto (di nuovo). Mi chinai per prendere la mia borsa e mentre pensava non la vedessi, notai Angelina asciugarsi velocemente gli occhi con il palmo tremante della mano sinistra. “Io…” dissi poi cercando parole che non esistevano nella mia mente. “…non capisco.”

“Vai.” Disse lei, con un cenno del capo.  

E io andai.

 

La fermata per Windlost è la prossima.

Mi trovo su un treno passeggeri da quasi due ore, alla stazione ci sono arrivata col Nottetempo e poi io e le mie grinzosissime chiappe ci siamo precipitate qui dopo aver ripetuto l’immancabile rituale magico del passaggio attraverso il muro, tra i binari 9 e 10, e ricacciato dentro il magone adolescenziale dell’ansia della scuola, l’odore di calca e libri, le grida di Daphne e gli sguardi severi di papà.

Avrei dovuto riposare per essere più attiva e lucida ma sono stata in bilico tutto il tempo tra la necessità del riposo e la possibilità di incontrare i fantasmi del mio quotidiano (mamma, papà, Daphne, Draco…) una volta chiusi gli occhi, sempre pronti a tormentarmi nel sonno, in queste ghiotte situazioni. Alla fine ho scelto le paure reali piuttosto che quelle oniriche.

Ho passato il tempo mangiando gallette e spiando le rughe del mio viso, cercando di memorizzarle per vedere se poi, da vecchia, le avrei ritrovate uguali.

Sì, forse sarebbe stato più dignitoso litigare con la mamma nel sonno. Considerando che visto come stanno le cose diventare vecchia non mi sembra tra gli scenari futuri più probabili.

Ad ogni modo il viaggio è andato avanti serenamente, l’unico momento divertente è stato quando un uomo più vecchio di me si è avvicinato ed ha sporto la testa all’interno della mia cabina, verso le otto del mattino; quando ha notato che tenevo la mano sulla bacchetta pronta ad usarla, ha replicato che era pronto anche lui a farlo (ovviamente non intendeva quella bacchetta). L’avrei schiantato se non m’avesse offerto una sigaretta babbana. Ho capito come si tira solo al quarto o quinto tiro, ho tossito per i prossimi tre, ho iniziato a prenderci gusto solo quand’era pressoché finita.

Il vecchio m’ha preso un po’ in giro poi se n’è andato lasciandomi tutto il pacchetto come regalo. Alla fine era un buon diavolo.

Osservando le mie mani noto che le macchie senili che la pozione vi aveva fatto crescere sono molto meno scure rispetto a prima. Sta già cambiando? Questo tipo di trasformazione non dura tantissimo, mi ha detto la Granger, al massimo tredici ore ed effettivamente facendo un paio di conti dovremmo quasi esserci. Dovrebbe coprirmi giusto il tempo di effettuare il cambio di treno a Windlost, uno dei momenti più critici vista la marasma di persone che ci sono sempre alla mattina, in stazione.

Per il resto del viaggio ho pronta una polisucco da prendere in caso di emergenza. E basta.

Un leggero vuoto allo stomaco mi comunica che il treno ha terminato la parte in cui è sospeso in aria e si sta riabbassando per atterrare sulle rotaie che babbani e mondo magico condividono. Stringo tra le dita la tracolla della borsa, sospirando ci siamo, e di concerto l’andatura del treno si fa più quieta, dalle finestre inizia a filtrare più sole (non siamo più protetti dagli incantesimi magici che ci nascondono dalla vista del mondo babbano), inizia il brusio tra i corridoi, le mamme chiamano a sé i figli e gli amici si ritrovano perché ci siamo davvero, è il momento di scendere. Inizia la frenata.

 

 

Draco’s POV

 

La stazione è gremita di persone. Ci sono arrivato in auto ma ad un certo punto il canale magico era terminato ed ho dovuto poggiare la macchina al suolo e proseguire per strada come un babbano qualunque. Arrivato sono stato immerso nella folla di persone che con un andirivieni pazzesco sale e scende, guarda, parla tra di loro o con uno strano coso nero appoggiato all’orecchio; sono davvero noiosi ed inquietanti, una massa di semi-automi che fissano il vuoto con delle strane cose appoggiate alle orecchie e tenute da un cerchietto.

Ho trovato subito, grazie a Salazar, il passaggio per il binario magico, proprio mentre uno stormo di ragazzine squittenti aveva iniziato a notarmi, apostrofando il mio mantello e ridendo tra loro. Le avrei schiantate volentieri tutte e pietrificato la stupida che ad alta voce mi chiedeva se fossi Dracula – chi cazzo è Dracula? - ma come ho detto, il passaggio magico si è rivelato ai miei occhi proprio in quei secondi ed ho preferito che si fottessero vicendevolmente piuttosto che perdere altro tempo.

La situazione dal versante magico non è tanto diversa comunque.

Cambiano l’abbigliamento, i discorsi, le facce, gli animali – curiosamente quasi assenti nel mondo babbano- ma non il numero delle persone. Mi trovo immerso in una folla chiacchierona ed affaccendata che parla forte e lascia poco spazio alla voce del pappagallo che annuncia i treni che vanno e che vengono. Spingo qualcuno, inciampo quasi sulla gabbietta di un gufo di una ragazzina che mi grida addosso di stare attento e per qualche secondo la sua stupida voce Mariot piccolo mio, stai bene? Sì? Ma certo che sì, quello stupido non ti ha fatto troppo male, vero? È nelle mie orecchie e si sovrappone a quella gracchiante del pappagallo.

“Treno in arrivo binario … craac…bina..ario”

Accidenti!

Una grossa frotta di persone invade il binario su cui mi trovo, vengo spinto in disparte e mi rifugio dietro una delle colonne in mattoncini rossi della stazione. Sono quelli scesi dall’ultimo treno arrivato e noto che sono subito distinguibili dagli altri della stazione: sono più eleganti, gli uomini hanno tutti bastoni da passeggio e mantelli ampi e drappeggiati con orli magistralmente definiti, le donne indossano cappelli da strega arricchiti con piume colorate, secondo l’ultima moda di Londra, le loro gonne sono spesso in tono col colore di quelle piume e il suono dei loro stivali riproduce quello che normalmente si sente a Diagon Alley il sabato mattina, giornata di shopping. Sì, devono essere i Londinesi.

“Scusi… Scusi!” domando ad un uomo barbuto e distinto appena sceso. “Da dove viene questo treno?”

Aggrotta il sopracciglio, spiandomi con un il suo monocolo “Da Londra, figliolo!”

Cazzo, avevo ragione. Non ho un secondo da perdere.

Cerco di spiare i loro volti ma ne ho già persi di vista una marea, Astoria potrebbe essermi passata sotto il naso mille volte, senza contare il fatto che è risaputo che il trio ama mascherarsi, e se l’hanno camuffata? Okay che per preparare una polisucco servono 22 giorni e loro non li hanno avuti ma potrebbero avere… che ne so, delle scorte, qualcosa di già pronto.

L’agitazione inizia a sconvolgere le mie viscere, parte da dentro e arriva alla pelle, mi rende nervoso, inizio a sudare leggermente e la ferita che ho riportato alla nuca battendo sulla terra del giardino Potter inizia a pulsare, confondendo i miei ragionamenti. E se non fosse per l’adrenalina che in questi casi prende il completo controllo dell’organismo, il mio stomaco ruggirebbe dalla fame. Sono ore che non metto qualcosa sotto i denti e l’alcool ha sicuramente peggiorato la situazione.

Impossibilitato dallo stare ancora fermo, inizio a girare velocemente, cercando di non farmi sfuggire nessun viso, girando a forza una o due donne che erano voltate e lasciandomi i loro commenti indignati alle spalle, poi proseguo veloce verso il prossimo gruppo, verso la prossima donna che, si volta, non è Astoria.

E se l’hanno tramutata in un uomo? Dovrei spiare gli occhi di tutti, sperare che qualcuno tradisca una movenza, anche lieve, femminile, notare segni di una trasformazione che si sta revertendo magari. Perché sono venuto da solo? Controllare tutti è impossibile, avrei potuto portare i miei servi, loro amano Astoria l’avrebbero cercata volentieri o perché no anche Slyter stesso! Chi meglio di un cucciolo fiuta la sua mamma? Idiota, idiota che sono!

Prendo dell’acqua dalla borraccia e mentre bevo veloce qualche sorso, sento su di me lo sguardo di qualcuno. È una sensazione breve ma intensa e mi volto subito in quella direzione: nessuno. Solo un branco di bambini urlanti intorno ad una scimmietta rossa rame che grida frasi sconce.

Con poca gentilezza li oltrepasso ed è solo in quel momento che vedo una donna che sta per impegnare il sottopassaggio: ha un aspetto diverso ma familiare ed un’andatura da cerva altera che riconoscerei tra mille. Scatto in avanti, rischio di perderla un paio di svolte ma la riaggancio, poi quando è finalmente nel sottopassaggio ed io con lei, corro per raggiungerla, lei aumenta il passo, svolta l’angolo e quando lo faccio anche io una gomitata ben assestata mi arriva tra la mandibola e la gola.

È poco potente e non basta a farmi perdere l’equilibrio ma non me l’aspettavo per cui arretro tra i colpi di tosse. “Che cazzo…”

“Allora ci avevo visto bene. Sei proprio tu!”

Rosso in viso, alzo lo sguardo. Ha la guardia in posizione e la bacchetta nella destra, l’aspetto di una donna anziana, i capelli strati di grigio e bianco, indossa vestiti modesti ma questo non mi impedisce di riconoscere la luce che emana dai suoi occhi cangianti, incastonati tra due palpebre dalla pelle spenta.

È lei.

Io tossisco ancora “Astoria… Devi...”

La sua espressione cambia velocemente. Abbassa la bacchetta ma non ha più lo sguardo incantato di poco fa, la freddezza che conosco, in lei, è calata nel suo viso mascherato. “Devo?” ripete “Cosa.”

Un ultimo colpo di tosse e un sorso d’acqua mi rimettono in sesto. Lei continua a guardarmi di sottecchi, tamburellando un piede a terra. “Il mio treno sta per partire, se hai da dirmi qualcosa ti consiglio di farlo ora.”

Si vede che si sforza di mantenere un’aria autoritaria. Sicuramente la sua maschera la aiuta, le vecchie hanno il dono innato della severità ma un tremolio sottile nella sua voce tradisce una qualche emozione. Che conosco bene.

“Se non mi avessi colpito non avrei bisogno di tossire. – le dico di rimando, a bassa voce- ad ogni modo…” mi blocco, fissandola negli occhi.

“Cosa, Draco?”

“Andiamo, parleremo meglio a casa.” Mi sporgo per prenderle un polso ma il suo braccio guizza via prima che possa afferrarlo.

“Stai scherzando, spero”

“Ti sembro in vena di scherzi? Diamoci una mossa, stiamo dando spettacolo.”

È vero. Molti passanti stanno iniziando a guardarci, incuriositi, e ci degnano di profonde occhiate prima di passare oltre. Stiamo rischiando. Se in stazione c’è un cazzo di stronzo che vuole farla fuori questo è il modo migliore per mettersi in mostra e un sottopassaggio il luogo ideale per lasciarci le penne. E lei lo sa.

“No” dice mordendosi un labbro. “Non lo farò”

“Nessuno ha chiesto la tua opinione”

“Vai al diavolo”

Si volta di scatto e sale velocemente i gradini che la portano al binario successivo con un’agilità che non apparterrebbe mai ad una signora di quell’età. Stupida ragazzina che non sa reggere nemmeno una parte.

Imprecando, la inseguo. Salgo con le i gradini e sul binario veniamo accolti dal gracchiante pennuto rosso “Treno Bristolage**! Par-ten-za! Tre minuti! Tre minuti! Craa”

“Accidenti” la sento imprecare ed accelera il passo verso il treno parcheggiato sulle rotaie, disperdendosi tra la folla che pure sta cercando di salire. Ma non le permetterò di farlo. L’afferro per un polso e, a forza, la costringo ad arretrare di alcuni passi, con me, la allontano dalla folla e la costringo a voltarsi.

È tra le mie braccia adesso. E non le abbandonerà tanto facilmente.

Le sue guance sono rosse di rabbia e noto che sono più distese di poco prima: la trasformazione sta cedendo. “Dobbiamo muoverci, ti stai trasformando - le ringhio, all’orecchio- ho la macchina qui fuori saremo lì in un istante… stai tranquilla” lei si dimena, nella mia stretta.

“Draco, lasciami. Non hai il diritto di farmi questo!”

“Ti sto salvando il culo, Greengrass, abbi un po’ di gratitudine” inizio a farle percorrere la strada a ritroso, quasi trascinandola, protetti dall’indifferenza totale degli astanti, completamente presi nei loro affari.

“No, io non voglio essere salvata, non voglio tornare a Londra, voglio andarmene dove loro mi hanno detto, io devo...”

“Tu devi venire con me, fine delle stronzate. Non mi frega un cazzo delle cose che t’hanno messo in testa”

Punta i piedi, ci ferma entrambi. Mi fissa, ansimante. “Lasciami” è un ordine a cui non obbedirò e lo sa. “Andiamo”

“Ti ho detto di lasciarmi, dannazione… perché sei venuto? Perché devi rovinare tutto!”

“Ti ho già detto che ti sto salvando.”

“Londra è troppo pericolosa per me.”

Mi arresto, per qualche secondo. Abbiamo quasi percorso tutti i gradini. “Al Manor starai al sicuro.” Una gomitata più forte delle altre riesce quasi a liberarla.

“Perché” mi dice, fissandomi negli occhi. Le rughe sul suo viso se ne stanno andando. I capelli si stanno scurendo. Ancora pochi minuti e la copertura salta.

“Sei mia moglie” è l’unica cosa che mi viene da dire.

“Non è vero.” I suoi occhi si fanno lucidi. “Io non sono niente per te. Non abbiamo nessun legame giuridico … né sentimentale. Lo sai che non hai il diritto di portarmi a casa tua contro la mia volontà”

“Treno Bristolage*! Par-ten-za! Un minuto!”

Il pappagallo rinnova la mia ansia. “Lo farai comunque. Verrai con me” le riaggancio le spalle e continuo a spingerla per le scale.  “Prova a dimenarti di nuovo e ti scaglio addosso l’imperio più grosso della tua esistenza, arriverai alla macchina camminando sui palmi delle mani, se mi andrà di fartelo fare”

“Io non obbedirò più a nessuno”  

Improvvisamente, facendo perno sulle mie braccia che la tengono stretta solleva le gambe e da un calcio nello stomaco ad un passante qualunque. “Che cazzo fai?” le domando, sapendo benissimo, in realtà, quello che aveva in mente di fare.

L’uomo rimbalza a terra ma è parecchio grosso e si solleva subito col busto “Che diavolo succede qui?”

E come mi aspettavo, non faccio in tempo a coprirle la bocca, a maledirla con un incantesimo, a trovare le parole giuste per convincerla, perché lei grida, ormai completamente se stessa, “Aiuto!!!”

In due si avventano su di me.

“Ragazzo, che stai facendo? Lasciala subito andare!” mi prendono per le braccia e lei si svincola, veloce come un’anguilla. Qualcuno mi restituisce il favore del colpo allo stomaco. Un pugno in faccia ed uno all’addome mi tolgono l’aria e faccio in tempo soltanto a vedere, dalla mia posizione, la sua figura risucchiata dal treno in partenza.

 

 

Astoria’s POV

 

Il treno è partito.

Quando sono entrata devo aver avuto un aspetto stravolto perché avevo decine di occhi puntati addosso; mi sono nascosta nel primo bagno che ho trovato. È un posto per lo più malsano e sporco ma non mi importa, ho chiuso la maniglia, ho messo il chiavistello ed ho pianto come una scema appoggiata alla porta, cercando di vincere la voglia che avevo di lasciarmi scivolare per terra.

Poi mi sono lavata la faccia e mi sono costretta a guardarmi, eccomi qua, di nuovo me stessa, riflessa in questo specchio opaco. La voce, le immagini, le mani di Draco tormentano la mia mente. Mi faccio forza, decido di non pensarci, mi prendo due secondi. I vestiti sono quello che sono, ma voglio truccarmi e sistemarmi i capelli, tiro fuori lo spazzolino per lavami i denti e poi mi tolgo la camicetta per rinfrescarmi.

Questa piccola toletta non cura i miei malanni e anche quando ho finito realizzo che l’unica cosa che vorrei è rimettermi a piangere. Astoria, basta con queste stronzate.

Un bel respiro; ma quando cerco di uscire la porta del bagno è bloccata.

“Oddio…” mugugno, cercando di ripetere con tranquillità i movimenti fatti per chiuderla. Sollevo la maniglia, il chiavistello, spingo… e niente.

I peli delle mie braccia iniziano a sollevarsi nella tipica orripilazione che precede il panico. Tasto la porta in metallo bianco e sento che c’è un peso appoggiato a bloccarla, che c’è qualcuno che la tiene chiusa, da fuori, con il suo corpo. “Dannazione…”

Mi passo una mano tra i capelli e sussurro, verso la serratura. “Apri immediatamente, stronzo, o la faccio brillare con la magia e salterà in aria il treno intero”

È chiaramente un bluff. Una cosa del genere avrebbe sul serio messo a repentaglio la vita dei passeggeri. Un’esplosione avrebbe potuto far deragliare il treno e farlo precipitare dai binari sospesi fino a cadere a terra, addirittura sopra interi villaggi babbani. Migliaia di vittime.

 È così chiaro che sia un bluff che lo stronzo non si sposa di un millimetro.

“D’accordo allora” carico contro la porta con una prima spinta. Nella seconda ci metto più forza e lo sento cedere appena, con un lieve lamento, e questo mi incoraggia, vado con la terza spinta e poi, sudata, inizio la quarta ma questa volta la mia forza incontra una resistenza inesistente.

Improvvisamente porta si apre senza quasi nessuno sforzo ed io mi sbilancio, cado miseramente a terra, ai piedi dell’uomo che la stava bloccando.

Ho battuto il seno e il gomito sul pavimento del treno e il sopracciglio nell’incontro con una delle sue scarpe.

“Pari.”

Non posso crederci.

Faccio per rialzarmi ma è lui stesso a prendermi per le braccia e a sollevarmi come fossi di piuma. I nostri occhi si incontrano di nuovo e le sue mani sono di nuovo intorno alle mie spalle: Draco.

L’orbita del suo occhio destro mi testimonia che anche lui deve aver avuto un incontro ravvicinato con qualcosa. Sotto i suoi occhi arroganti, mi sistemo la camicia e la borsa a tracolla. “Mi sono fatta male” gli dico, deglutendo.

“Per questo ho detto pari

Rido amaramente. “Certo.”

“Forza, cerchiamo la tua cabina”

 “Draco, stai esagerando. Io non mi muovo di un passo.” gli dico, fissandolo. “Che cosa cerchi di fare, Malfoy. Vuoi ammazzarmi?”

“Sei tu” sibila. “Che vuoi ammazzarci tutti. Andiamo nella tua cazzo di cabina e lì parleremo”

“Non scenderò dal treno prima della mia fermata e non tornerò a Londra con te.” Gli ringhio sottovoce, di rimando.

Perde la pazienza. Mi spinge in bagno ed io, colta di sorpresa, arretro finché non sono dentro, quindi chiude la porta e tira il chiavistello, a forza. “Bene, allora parleremo qui. Puzza di fogna ma è già da un pezzo che frequenti le fogne, vero Greengrass?”

Mi mordo il labbro “Da quando ho lasciato il Manor, ho smesso, in realtà”

Lui ride e si avvicina a me. “Perché hai fatto quella scenata?” grida “potevamo tornare a casa e invece adesso siamo su uno schifoso treno diretti in un buco di culo del regno Unito!”

“Perché questo è il piano! Si tratta delle mie decisioni e tu da quando sei uscito da quella stanza- avrei voluto contenerle, ma due lacrime sfuggono dal mio controllo- non ne sei più parte.”

“Ah no” sibila, come un serpente. “Io sono tornato, in quella stanza.”

“Bugiardo.”

“… tu non c’eri.” La sua destra scatta intorno al mio polso. “Non-chiamarmi-bugiardo”

Il treno aumenta di velocità. Rimanere in piedi come se nulla fosse risulta essere faticoso. “Hai avuto paura”

                                                                           “Detto da miss-in-fuga, poi”                                       

“D’accordo. Non parleremo più di quella stanza d’ospedale.” sentenzio. “È chiaro che ognuno ha la sua verità- lui non mi contraddice, ed io proseguo – e adesso lasciami il polso, continui a farmi male.”

Lentamente le sue dita mollano la presa ma scendono più in basso a stringere la mia mano. La osserva, come se fosse qualcosa che non aveva mai visto prima. “Quindi non era vero.”

Un lieve capogiro mi coglie e i ragazzi biondi vestiti di nero diventano due, in questo piccolo bagno. “A che cosa ti riferisci…”

“Lascia perdere. L’hai detto tu, no? Di non parlare più di quella stanza. Beh non lo faremo. Non ne parleremo più.”

Draco si è calmato. Con il palmo della mano si asciuga delle piccole gocce di sudore che gli hanno solcato la fronte. “Sta bene, faremo come dici tu. Andremo fin dove cazzo devi andare con questo lurido treno.”

Ammetto di essere un po’ spaesata. “Non devi farlo per forza. Questa è la mia fuga, non la tua…Hai il tuo lavoro e…”

“Non andrò da nessuna parte e non ho voglia di perdere tempo a parlarne. A meno che non sia questo il vero problema. Forse tu non mi ritieni capace.”

Come se il vero treno avesse cambiato direzione e mi avesse travolta. “Cosa?”

“Sei corsa da loro perché non pensavi che io potessi proteggerti e nemmeno adesso che sono qui, che ho fatto…”

“Sono corsa da loro perché pensavo di essere sola.” Inconsapevolmente, quasi, stringo la sua mano che ancora indugiava nella mia. Lui fa per togliere la sua mano, ma io glielo impedisco, la stringo, forte, tra le mie dita, finché il contatto con le sue ossa mi fa quasi male.

Qualcuno bussa alla porta. Dobbiamo uscire ed io lo precedo nella camminata verso la mia cabina, sotto lo sguardo indignato della signora che aveva bussato e che reggeva in braccio una bambina col moccio al naso.

“Svergognati.”

 

 

Draco’s POV

 

Dorme da un’ora, con la testa appoggiata alle mie gambe. Il sole opaco sta scendendo. Abbiamo appena un’ora di viaggio prima di scendere. No, non è Bristolage la nostra meta, è North Wessex.

La fisso ancora un po’ giocherellando con una ciocca dei suoi capelli.

Una smorfia di dolore mi fa ricordare che forse dovrei chiederle di cambiare posizione, così piano la sposto e mi tiro su la manica della camicia per scoprire il  punto dell’avambraccio che sento tanto indolenzito.

Pulsa terribilmente. La pelle sa di fuoco, dov’era il Marchio.

Il male non muore mai.

 

 

now take off your shoes and relax
sell by auction all your regrets
remember you are not yet born

welcome my boy to babylon!

[A toy Orchestra]

 

 

Fine decimo capitolo.

 

 

 

 

*citazione, da una delle mie serie preferite.

** corrisponde alla città babbana di Bristol

Mi sono presa molto (forse troppo)tempo per pensare a come poteva evolvere questa storia e alla fine sono arrivata alla conclusione che una vera e propria conclusione non ci sarebbe mai stata. Il Male farà sempre parte di Draco, perchè è nella sua pelle, ma sceglie Astoria, la insegue e a suo modo, la supporta nella sua fuga. Ci saranno sempre nuove battaglie, nel mondo dei maghi, e non sempre sarà semplice per lui decidere la parte giusta, ma ha scelto lei, e su questo non tornerà indietro.

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