Ricordo di un'estate

di lapoetastra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Christopher Chambers ***
Capitolo 2: *** Gordon Lachance ***
Capitolo 3: *** Teddy Duchamp ***
Capitolo 4: *** Vern Tessio ***



Capitolo 1
*** Christopher Chambers ***


Che io poi non li ho neanche mai rubati, quei soldi.
Solo che, come tutte le volte quando sparisce qualcosa, è sempre colpa mia, di quel ladro di Christopher Chambers.
Ora però avrei desiderato che mi avessero sbattuto in riformatorio, o in collegio, o addirittura in prigione.
O comunque in qualche posto che mi avesse impedito di trovarmi qui, adesso.
Guardo il ragazzo morto tra le fronde, a pochi passi da me, e mi vengono i brividi.
Sarei benissimo potuto essere io, uscito di casa come faccio spesso per andare a raccogliere bacche nel bosco.
E poi come lui magari anche io non mi sarei accorto del treno che arrivava.
Fisso i miei occhi lucidi di lacrime nei suoi privi di vita, e sento dentro di me che qualcosa si spezza in modo irreparabile.
Forse è questo che si prova quando si ha uno shock: il mondo intorno a te sembra sbiadire di colpo, rimanendo solo uno sfondo indistinto nel cui preciso centro si colloca l'orrore più grande a cui tu abbia mai avuto la sfortuna di assistere.
E vorresti piangere, ed urlare, ma rimani in silenzio, consapevole del fatto che la tua vita non sarà mai più la stessa.
È esattamente quello che mi sta succedendo ora, con il cadavere di Ray Brower che mi guarda come se volesse mettermi in guardia dal compiere il suo stesso errore.
E, per la prima volta da quando sono nato, ho paura.
Non di lui, perchè so che ormai non può e non mi può fare assolutamente niente, ma di me stesso.
Perchè non avrei mai creduto di poter soffrire in tal modo per una persona, ed adesso non ho la più pallida idea di come il mio corpo e la mia mente reagiranno.
Cadrò, forse.
O forse riuscirò a rimanere in piedi.
Non lo so proprio.

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Capitolo 2
*** Gordon Lachance ***


Denny? Denny, sei tu?
Perchè te ne sei andato, Denny?
Perchè mi hai lasciato?
Avevi giurato che saresti rimasto sempre accanto a me, che mi avresti visto crescere e dato consigli su come conquistare le ragazze.
Ma erano tutte bugie, perchè ormai tu non ci sei più, Denny.
Portato via da quello stupido incidente con l'automobile che adoravi tanto che però è diventata la tua tomba.
Ho visto che ti seppellivano, e ho pianto per te.
Allora perchè adesso sei qui?
Non sei tu, Denny.
È quel ragazzo che io ed i miei amici abbiamo trovato tra le fronde nel bosco, quello che è stato vittima di un incidente ferroviario in cui è rimasto ucciso sul colpo.
Proprio come è successo a te, Denny, fratello mio.
Nei suoi occhi sbarrati, privi di vita, rivedo i tuoi, quando ti ho guardato per l'ultima volta prima che chiudessero il coperchio della bara, portandoti definitivamente via da me.
Non posso fare a meno di domandarmi se anche la famiglia di Ray adesso sta piangendo fino ad esaurire le lacrime, proprio come ha fatto la nostra alla tua morte.
O se magari spera che il ragazzo torni a casa sano e salvo e che l'assenza di questi giorni sia dovuta solo al fatto che si era spinto un po' troppo oltre nel bosco e si era perso.
Chissà se i suoi parenti sanno che non è più parte di questo mondo.
Forse i suoi genitori credono ancora di poterlo riabbracciare.
Forse suo fratello, se ne ha uno, lo sta aspettando proprio adesso con il cappello da baseball in mano per andare a vedere la partita della loro squadra preferita.
Proprio come me e te, anche se non ci siamo mai andati, alla fine.
Perchè per quanto il tempo passi, lento o veloce, anche Ray non tornerà più, se non in una fredda e spoglia bara.
Proprio come hai fatto tu.
< Denny... >, sussurro, rompendo il silenzio ovattato che mi circonda, ed il vento primaverile rapisce le mie parole portandole lontano, forse fino al luogo dove ti trovi ora.
E per un singolo e fugace istante mi sembra di vedere Ray farmi l'occhiolino, proprio in quel modo che ti caratterizzava, Denny, fratello mio.

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Capitolo 3
*** Teddy Duchamp ***


Fin da quando ero piccolo ho sempre desiderato entrare nell'esercito americano.
Ero affascinato dalle armi, e prenderne una in mano era il mio più grande sogno.
La possibilità di una guerra non mi spaventava, ma anzi mi faceva partire una scarica di adrenalina lungo la spina dorsale e mi faceva sentire vivo.
Perché, in fondo, non ci si sente davvero vivi solo quando si è vicini alla morte?
E se anche il tristo mietitore fosse venuto a prendermi sul campo di battaglia, ero sicuro che non avrei avuto paura.
Avrei accettato di partire con lui per il mio ultimo viaggio e non mi sarei voltato indietro, perché credevo non ci fosse morte più onorevole se non quella di un uomo che si sacrifica e che lotta fino allo stremo delle forze per il proprio paese.
Come ero stupido, allora!
Pensavo che la vita fosse solo un gioco: se si vinceva e si poteva continuare a respirare, tanto meglio.
Se però si perdeva, anche a causa di sciocchi errori di concentrazione e valutazione, bisognava chinare il capo ed accettare la sconfitta come dei veri sportivi.
Oggi ho capito che non è così.
Sono qui, e sto fissando il corpo esanime di Ray Brower che giace scomposto a pochi passi da me.
Era poco più grande di quanto lo sono io, quando è passato all’altro mondo.
Per che cosa?
Per volere di un destino avverso?
No, per un ingenuo sbaglio.
Non aveva sentito arrivare il treno, che se l’è portato con sé nel suo ultimo lungo viaggio.
Uno sciocco, uno stupido errore che Ray ha dovuto pagare con la vita.
Proprio come potrebbe capitare a me se mi arruolassi nell’esercito e fossi costretto ad andare in guerra.
Non posso permetterlo.
Così, mentre lo guardo con le lacrime che contro la mia volontà hanno preso a rigarmi le guance come torrenti in piena, penso che dovrò rivedere i miei piani per il futuro.

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Capitolo 4
*** Vern Tessio ***


Sacro Santo.
Quel ragazzo non sta dormendo.
E non è solo svenuto.
È morto.
Io non avevo mai visto un cadavere, prima, ed ora vorrei non averlo fatto.
Vorrei non aver mai sentito la conversazione di mio fratello Billy e del suo amico, giù in veranda.
Desidererei non essere mai venuto qui con i miei tre amici a cercare il corpo semiputrefatto di Ray Brower.
So che dovrei distogliere lo sguardo dalla sua pelle che sta iniziando a marcire, dalle sue labbra gonfie e viola, dai suoi occhi bianchi e spenti.
Ma non ci riesco.
Rimango in silenzio a fissarlo, troppo spaventato anche solo per piangere.
Poi la vedo.
Una scarpa di Ray si trova a qualche passo di distanza dal suo corpo privo di vita, come se no gli appartenesse più, lasciando il piede ormai freddo coperto unicamente da una leggera calza di cotone insozzata dal fango estivo.
Probabilmente l’impatto con il treno gliel’ha sbalzata via.
Non so bene perché, ma quella vista è come se facesse scattare un interruttore dentro di me, quello dell’autodistruzione.
E allora inizio a piangere a dirotto, lasciandomi travolgere dalla disperazione più assolutizzante che abbia mai provato.
Piango, per lui, che è stato costretto troppo presto a lasciare il nostro bellissimo mondo.
Piango, per me, che sono stato vittima di tale ingiustizia senza che potessi fare qualcosa, qualsiasi cosa, per evitarla.
Piango, per tutta questa situzione orribile.
Perché Ray è morto.
Non è svenuto.
Non sta dormendo.
E non credo che ci riuscirò più neanche io, d’ora in avanti.
 

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