Don't.

di A Swiftie Life
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** III. ***



Capitolo 1
*** I. ***





 

I.



«Avanti Rich!» 
«No Slav, non te lo dirò» mi fingo interessata alla conversazione che stanno intavolando i miei amici nel bel mezzo del cortile della scuola, seduti sotto il nostro solito abete. 
Slav incrocia le braccia sotto il seno, facendolo risaltare ancora di più. Come se la sua scollatura fino all'ombelico non sia abbastanza. 
Rich si fa scappare un'occhiata lanciata per sbaglio verso le amichette della bionda, ma poi inizia a scuotere vivacemente la testa.
Pesta un piede per terra e poi mi guarda supplichevole; la sua faccia mi spinge ad aprire le palpebre, prima socchiuse, e alzare le mani al cielo.
«Che vuoi che ne sappia io dei suoi amici sfigatelli?» pronuncio pacata, poggiando la schiena contro il fusto dell'albero. Merito uno sguardo omicida da parte di Richard. Beh, in fin dei conti non ho torto. 
Gli amici di Rich sono dei completi idioti, non capisco come faccia ad uscirci insieme. O semplicemente a sopportare la loro non indifferente presenza.
Sospiro iniziando a mettere tutti i miei libri nella borsa, mentre sento Slav iniziare di nuovo a piagnucolare.
«Non capisci Rich! I tuoi amici sono dei grandissimi gnocchi, devo sapere se dicono qualcosa su di me! Anche un commento di merda. Che so, "ha troppe doppie punte", "secondo me ce l'ha alla brasiliana", qualunque cosa!» gesticola convulsamente, cosa che mi fa aggrottare le sopracciglia. Slav è davvero eccentrica.
Dopo aver capito che Richard non le dirà proprio niente, sbuffa e sistema la camicetta bianca di due taglie più piccola. Alzo gli occhi al cielo guardandola. Come dicevo prima, oltre ad essere eccentrica e viziata al massimo, è anche una gran troia. 
Non ho ancora capito come riesco a sopportare il fatto che respiri la mia aria; ma purtroppo siamo "amiche" d'infanzia. Mia mamma mi ucciderebbe se decidessi di mollarla di punto in bianco.
E se ve lo state chiedendo, sì, sa che la odio e che non mi fido per niente di lei. Guardate.
«Slav?»
«Si?»
«Sei una vera zoccola»
Arriccia il naso e poi si gira dalla mia parte opposta, totalmente indifferente a ciò che le ho appena detto. Visto?
Rich ride e si sistema fra di noi, poggiando le braccia rispettivamente sulle mie spalle e quelle della bionda mancata. Si, perché ovviamente non era bionda naturale. 
Iniziamo a camminare verso l'entrata della scuola dato che è appena suonata e tutti sono già entrati. Oggi ho una voglia di apprendere pari a quella che ha un bradipo di staccarsi dal ramo e fare ginnastica. Con la scusa di stiracchiarmi animatamente faccio in modo di staccarmi da quei due e avanzare verso il mio armadietto laccato di verde. Verde, mah.
Lo apro con un colpo di gomito (perché ormai non ricordo più la combinazione, e il lucchetto sta rovinosamente cedendo dato che quasi ogni giorno ci sbatto contro la capocciona gialla di Slav) e prendo il libro di biologia. Lo stringo al petto, pensando a quella maledetta strega della Dawson aka drago viola sputa fuoco che inizia a urlare e a gesticolare per il solito casino della classe. 
«Non c'è niente da dire» mugugna Rich dal nulla. Probabilmente non ho ascoltato la conversazione precedente per perdermi nel mio fatato mondo fatto di marshmallow, Taylor Swift a palla e niente troiette bionde per la scuola. Anzi ripensandoci, niente scuola e niente troiette bionde.
«Odio le bionde!» sbotto senza rendermene conto, facendo quasi cadere il libro di biologia per terra. Slav e Richard mi guardano con un sopracciglio inarcato.
«Guarda che sei bionda anche tu, idiota»
«Senti, i miei capelli non sono biondi. Si avvicinano solo al giallo. E poi non sono di certo da prostituta come i tuoi» le faccio notare con un gesto seccato della mano. 
Ruota gli occhi e poi ritorna a parlare con Rich. 
«Dicevo, non credo che dicano qualcosa su di te. Semmai accennano ai tuoi airbag» continua lui. Slav spalanca gli occhi e porta una mano sul petto -fintamente scandalizzata- abbassando lo sguardo.
«Però ci parlano di me!» sbotta rialzando il viso, euforica. Alzo gli occhi al cielo: questo posto è una gabbia di matti.
«Certo, qualche apprezzamento su di te l’hanno fatto, ma credo che puntino più ad Ali» alle sue parole mi blocco nel bel mezzo del corridoio, spalancando gli occhi. Cosa ha detto?
Lo sento ridere mentre mi volto per guardarlo. Slav è rossa in viso mentre quel depravato di un moretto fa finta di asciugarsi una lacrima dagli occhi. Mi passano affianco.
«Non credo di aver capito bene, Richard» sputo fra i denti, sentendo le guance tingersi. 
Mi si avvicina ridendo, mentre con l'indice e il pollice tira una mia guancia. Sto per perdere la pazienza; e io con la pazienza non scherzo.
Gli rifilo un'occhiataccia.
«Oh andiamo Ali. Sono dei coglioni» mi rassicura mentre viene affiancato dalla bionda, che subito inizia a blaterare per attirare l'attenzione.
«Non starai per caso dicendo che guardano lei invece che me!» urla indicandosi. O meglio, indicando le sue tette al vento. 
Richard alza le spalle e le sorride. «Non è colpa mia se Ali li stende»
«Continuo a non capire!» intervengo, ormai parlano come se non ci sia. Butto di lato quella grattugia maroni e continuo a camminare tenendo gli occhi puntati sul moro che sta sghignazzando. 
«Non c'è niente da capire, vogliono farti» si ferma nel bel mezzo del corridoio per fissarmi negli occhi. «Alla grande»
Porto una mano alla fronte per poi chiudere gli occhi. Non ci posso davvero credere. 
Quei fottutissimi depravati darkettoni gotici satanisti we-love-black hanno fatto apprezzamenti su di me. Su di me.
Sento comunque la risata di Rich. Non so esattamente perché continuo a girare insieme ad un loro amico e ad una zoccoletta che gliela sbatte in faccia. Non lo so davvero.
Per mia fortuna l'aula 24 mi si para davanti e apro la porta senza nemmeno bussare, in tempo per sentire la molto soave voce della Dawson urlar...
«PIERCE!»
Ecco.

***


«A dopo Kirk, ricordati di chiamarmi oggi pomeriggio» saluto l'unica persona normale qui in istituto, a parte me. Kirk è un bravissimo ragazzo irlandese, con i capelli ricci e rossi. Simpaticissimo, odia la Dawson e il pomeriggio si spara almeno quaranta puntate di The Big Bang Theory davanti ad una scodella di patatine. Ecco perché andiamo d'accordo. 
Lui mi fa un occhiolino e mi manda un bacio volante mentre lo supero per uscire dalla mia classe. 
Apro la cartella ad anelli che ho in mano per pescare il foglio degli orari di cui ho bisogno. Nel frattempo un nauseabondo profumo alla fragola selvatica e mora riempie le mie narici, facendomi arricciare il naso. Non faccio caso alla presenza di Slav accanto a me e continuo a camminare indisturbata mentre cerco di sistemare la cartella sotto il braccio senza far cadere il foglio.
«Allora supposta, ho avuto un'idea geniale» inizia con la sua solita eleganza. Non le rifilo nemmeno un'occhiata per il nomignolo.
«Hai pensato di infilare la testa nel cesso e scaricare?» le chiedo con calma, facendo scorrere gli occhi velocemente per beccare la materia della prossima ora.
Sbuffa e mi si avvicina mettendomi un braccio attorno alle spalle per parlarmi nell'orecchio. 
«Ho escogitato un piano malefico per scoprire ciò che quei fighi degli amici di Rich pensano di me» mormora nel mio orecchio come se qualcuno possa interessarsi a quello che lei dice. Alzo gli occhi al cielo.
«Dio, Slav. Cosa cazzo hai mangiato a pranzo? Sterco di maiale?» strillo spostando il suo braccio dalle mie spalle, disgustata dal suo pessimo alito. Magari al povero ragazzo che si è fatta puzzava lo gnomo...
«Ho finito le mie gomme al lampone, e la cotoletta della mensa oggi era parecchio strana. E puoi starmi a sentire per favore!?»
Scusate, ma non riesco a starle vicino. «Dovresti lavarti i denti, sorella. Come farai con il tuo prossimo cliente con quell'orrendo alito?» le chiedo ancora fintamente scandalizzata. 
Si ferma di botto e incrocia le braccia sotto al seno, come fa sempre. «Sto per girare i tacchi, bella»
«Fa' pure»
«Sul serio, Al. Chiudi quella fogna per una buona volta e ascoltami» risponde a tono iniziando nuovamente a camminare accanto a me. 
Ma perché ci passo io di mezzo quando lei si vuole fare qualcuno? 
«Spara. Ma fa' subito perché per colpa tua e delle tue maledette ovaie in subbuglio ho beccato un'altra nota dalla Dawson, e quest'anno non voglio essere bocciat- Ahi!» mi blocco quando mi tira un pugno sul braccio per zittirmi. Okay, questo l'ho meritato.
Si sistema una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio e inizia a parlare. «Allora, ho pensato a questo. Per sapere ciò che pensano potremmo dire a Richard che per via di una scommessa che noi abbiamo fatto, deve chiedere ai suoi amichetti la loro opinione su di me» spiega esaltata dalla sua idea. Sbatto le palpebre.
«Tu ti fai di crack» pronuncio prima di voltarmi e camminare, lasciandola allibita alle mie spalle. La sento mentre mi richiama a gran voce, per poi ritrovarla davanti a me con le mani giunte e una faccia da deviata cronica. 
«E' l'unico modo per poter ricavare qualche informazione! Ti prego, Ali!» inizia a piagnucolare.
Sbatto un piede per terra: sono in ritardo e ho questa grandissima faccia da battona di fronte a me. 
«Senti Barbie versione gigante venuta male, hai abbindolato tutta la scuola con le tue moine da gatta morta, non credo che quel gruppo di pervertiti metallari non cadrebbe ai tuoi piedi!» le faccio notare vedendola quasi in lacrime. Nonostante le rinfacci tutti i giorni le sue movenze da... l'avete capito, proprio non riesce a comprendere quanto sia grave la situazione. 
«Sai cosa bellezza, puoi fotterti ardentemente con il dildo che ti ho regalato a Natale. Sei una merda» sputa, non rendendosi conto di avere qualcuno alle sue spalle.
Spalanco gli occhi e mi trattengo dal ridere quando vedo un fantastico Richard (insieme al suo altrettanto grandioso e colorato gruppetto) sollevare un sopracciglio. Slav si gira lentamente e poi fa un sorrisino accennato.
«Heey, Rich!» è talmente stridula che i miei timpani si sono fratturati. 
«Mh, ciao Slav, Ali!» ricambia lui divertito, mentre i ragazzi dietro di lui stanno evidentemente ridendo per una delle solite scenate di quella capra. Eccoli lì, in tutto il loro splendore, raggianti e colorati come al solito.
I componenti non sono poi così brutti, soprattutto quel tipo lì con la bandana fra i capelli, di cui ora non mi sovviene il nome. Ma non li conosco bene, semplicemente li vedo per i corridoi andare a spasso con il mio amico moretto. 
Non appena il mio sguardo si posa su di loro, ricordo le parole che ha detto Rich un'ora fa.
“Credo che puntino più ad Ali”
“Non è colpa mia se Ali li stende”
“Ti vogliono fare”

Oh, merda, io taglio la corda, belli!
Cerco di tenermi fuori dal cerchio che si è appena creato in corridoio e mi allontano piano da loro senza dare nell'occhio.
«California! Dove vai, tesoro?»
Trattengo un ringhio sentendo il braccio di Slav tirarmi verso di loro, nuovamente. Mi giro con tutta la calma e la buona volontà che una persona come me può possedere e sorrido al moro.
«Ciao Rich»
Lui mi fa un occhiolino e ci passa affianco guardando davanti a sé, seguito dai suoi amici. Noto quel tipo strambo con i capelli rosa chiaro e degli skinny neri stracciati fissare Slav, o meglio, i suoi “airbag”. Credo si chiami Michael, qualcosa di simile. L'altro lo ricordo perfettamente invece: Calum Hood, mia sorella ha una cotta per lui. Moro, tratti asiatici, non male.
Non appena sento un lungo fischio provenire dalla sua boccaccia decido di ritirare ciò che ho appena detto barra pensato. Hood e il fratello minore di Nicki Minaj mi hanno appena mandato un bacio volante e stanno iniziando a camminare sghignazzando.
Dio, li odio così tanto. Nel frattempo Slav ha spalancato la bocca e mi sta guardando con un'espressione furiosa. 
Cosa vuole da me? Non ho mica chiesto loro di venirmi dietro!
Ho una faccia altrettanto scioccata, mentre di fianco mi passa quel tipo con la bandana, che spintona i due seccamente. Rimango per un po' a guardarlo fino a che non mi accorgo dell'ultimo ragazzo di quel gruppo. 
I miei occhi catturano subito le sue mani picchiettare animatamente lo schermo del cellulare, e piano piano inizio a salire.
Quello che mi si para davanti è a dir poco mozzafiato.
E io non dico “mozzafiato” tanto per dire. 
La saliva mi va quasi di traverso mentre osservo dei capelli biondi all'insù, sistemati in una cresta, e un paio di occhi azzurri osservano di sfuggita la strada davanti a lui. Lancia un’occhiata verso noi due. Distoglie lo sguardo per poi continuare a camminare verso i suoi amici che hanno girato l'angolo. Rimango col respiro sospeso e la bocca socchiusa osservandolo. E’ davvero bellissimo.
Mi volto verso Slav, che è ancora incazzata. «Slav, ma non è Hemmings quello?» chiedo indicando il punto in cui è sparito.
«Si che lo è, California. Chi dovrebbe essere secondo te?» risponde evidentemente scocciata. Ritorno a guardare l’angolo del corridoio come se possa riapparire. 
Una domanda preme sulla mia bocca. «Non era tipo un cesso con i capelli stile Justin Bieber undicenne e i brufoli?» me ne esco stridula, non riuscendo a capacitarmi del fatto che Hemmings è diventato davvero un f-i-g-o.
Lei flippa i suoi capelli con la mano e cerca di sistemarli. «Ben svegliata, idiota. E’ da almeno un mese che ha cambiato look, e a dirla tutta è il primo nella mia lista» commenta mentre prende lo specchietto del portacipria e un rossetto rosso fuoco per poi passarlo sulle labbra. Troia.
Sbuffo e lancio un’ultima occhiatina dietro di me, raggiungendo Slav che nel frattempo ha iniziato a camminare. Non posso fare a meno di pensare a Luke Hemmings.
Certo, prima lo vedevo girare per i corridoi con quell’aria da asociale metal, ma non ho mai pensato che possa interessarmi così tanto, soprattutto dopo aver cambiato pettinatura, il che migliora decisamente tutto.
Stringo i libri al petto: non mi ha rivolto nemmeno un’occhiata, se non per guardare Slav di fianco a me. I suoi coglionissimi amici mi fischiano e lui non mi caga di striscio?
Perché mi sento così tremendamente… male? Così tradita.
Pesto un piede per terra cercando di non farmi sentire da Slav, che è già su tutte le furie. Beh, se li tenga pure quei tre citrulli; non mi interessano minimamente.
«Allora suppostina, vuoi muoverti?» mi incoraggia con la mano sulla maniglia porta, in procinto di entrare in aula. 
La seguo senza badare al suo nomignolo.
Tanto quando torniamo a casa ne avrà talmente tante che se le ricorderà per tutta la vita.










SIMMER DOWN, SIMMER DOWN!

Ciao belle! Sono tornata con una nuova FF.
Vorrei chiarire una cosa; io non scrivo fanfic su Luke perché sono terribilmente in fissa con il suo irresistibile piercing, le sue bellissime labbra, i suoi capelli fantastici biondi, i suoi strabilianti occhi azzurri e le sue meravigliose spalle larghe. No no.
Dopo questa premessa, possiamo tornare alla storia.
Allora, per iniziare non ho la più pallida idea se il nome Slav esista, ma ne dubito visto che la mia mente è partita dal momento in cui è cominciata la scuola *sigh*.
Se è per questo non so nemmeno se il nome California sia usato per le persone, ma fa niente, lo adoro.
E dato che siamo in un Paese democratico, e ognuno può dire o fare ciò che vuole -compreso saltare addosso a Michael Clifford, imbavagliarlo e nasconderlo nell'armadio fino a quando non avrà diciotto anni per sposarlo- posso chiamare la ragazza California.
Nel prossimo capitolo metterò una descrizione più dettagliata di Ali, ma nel frattempo potrete immaginarla come Jennette McCurdy, la amo.
Sorvolando, vorrei spiegarvi un po' della storia: in pratica la particolarità è che durerà pochi capitoli, intendo circa cinque o sei. Questo perché inizialmente ero partita con una OS, ma dato che in un solo capitolo mi sarei dilungata troppo, ho deciso che sarebbe venuta meglio così.
Come sempre chiedo la vostra opinione sui miei capitoli, magari per sapere se c'è qualcosa che non va o per delle critiche costruttive.
Fatemi sapere se vi piace questa tecnica dei 'cinque capitoli', lol. Ma non è detto, possono anche essere dieci, dipende solo da quello che la mia testolina partorisce.
Bene, detto questo, vi invito -se siete nuove- a passare dalla mia fanfic, "Just a second of summer", sempre su Luke ma va.
Ringrazio chi è arrivata fin qui con la lettura e non si è suicidata lol.
Non voglio tenere adolescenti sulla coscienza *sigh*
Okay basta, mi sto dilungando decisamente troppo.
Addddddio!


 

ecco a voi California ewe.

 

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Capitolo 2
*** II. ***






II.


Il modo più raccapricciante per cominciare la settimana scolastica è ritrovarsi l’ora di quella prostituta della Dawson alla prima. Può sembrare una cosa idiota, ma per me è da suicidio.
Come prima cosa, entra in classe con quel suo corpicino da donna ventenne non sposata, senza figli e con un lavoro indecente per la sua faccia. La cosa più strabiliante è che Jenna Dawson non è una ventenne, ma i suoi anni sono avviati verso i sessanta. Già. 
Per questo la prima volta che la vidi fu veramente traumatico. Tolgo la mano a pungo da sotto il mento mentre guardo la mia professoressa di algebra e biologia (purtroppo) vaneggiare alla lavagna con la sua solita parlantina flash. Il suo modo di spiegare è questo: scrive un esercizio alla lavagna, lo risolve in 0.0000000000001 secondi e lo cancella non dando il tempo nemmeno di prendere la penna per appuntare. Indovinate? E’ anche bionda! La mia scuola è un buco di battone bionde, solo io e la mia ingenua testa gialla ci salviamo.
Distolgo lo sguardo da quella troietta che sbatte il suo sedere in faccia a Rich, che sta al primo banco, e lo porto sulla mia manicure. 
Non riesco a seguire questa lezione, e l’unica cosa a cui sto pensando è che voglio tornare a casa e sprofondare nel tepore delle mie lenzuola.
Vedo un altro amico di Rich, Tyler, seduto al primo banco vicino al mio migliore amico, che mi lancia un’occhiata divertita per poi iniziare a picchiettare la matita sul banco.
Lo guardo interrogativa, alzando un sopracciglio. Ma ritorno a contemplare le mie unghie laccate di rosso.
Ho la mente troppo affollata per dedicare i miei pensieri a quel moretto con gli occhi verdi. 
«Pierce, ha capito cos’ho appena detto?» pronuncia la voce di Jenna-sono-una-sessantenne-con-facebook. Alzo lo sguardo, annoiata.
Noto che non è arrabbiata, ovvero non ha i suoi canini da vampiro esposti e il registro a mo’ di freesby per lanciarmelo addosso, ma è semplicemente neutra. Cerco di sembrare calma e pacata, per cui apro un po’ più gli occhi socchiusi e annuisco vivacemente col capo. 
Ottengo uno sguardo soddisfatto da parte sua. Che abbia scoperto gli antidepressivi?
Comunque, do un’occhiata veloce al cellulare che ho nascosto nell’astuccio e noto tristemente che sono passati solo dieci minuti dall’inizio della lezione. Lascio andare la schiena contro lo schienale di metallo della sedia. 
Non faccio caso al rumore che echeggia nella classe qualche secondo dopo. Sarà sicuramente il bidello Geronimo, cinquantenne e obeso, che spalanca la porta dell’aula col solito affanno per aver fatto due passi senza l’aiuto di una sedia girevole con le rotelle e si lamenta del fatto che noi ragazze fumiamo nei bagni della scuola.
Macché, non ci riduciamo a questo per fumare una sigaretta. Io ad esempio mi affaccio dalla finestra della classe per farlo.
Scherzo, io non fumo in classe. E neanche a scuola. E neanche a casa. E neanche da qualche altra parte.
Diciamo che ho un certo terrore di fare un tiro e affogarmi con la mia stessa lingua, dato che non sono molto abile nell’arte di fumare solo per finire sul giornalino della scuola.
La voce della Dawson mi distrae dal mio flusso di pensieri. 
Quando alzo lo sguardo noto che è effettivamente il nostro caro Geronimo, ansimante e sudato come al solito, con un foglio bianco in mano e un’espressione scocciata.
«Buongiorno, professoressa Dawson. Ho accompagnato il ragazzo che ha cambiato corso, ehm…» si sporge verso l’uscio e afferra qualcosa. 
Quel qualcosa è la spalla di un ragazzo, che è stato quasi scaraventato all’interno dell’aula. Geronimo gli chiede qualcosa nell’orecchio per poi annuire.
«Hemmings» annuncia dopo aver ascoltato la risposta. Alzo di scatto il volto che avevo abbassato per totale disinteressamento, quasi sento che le vertebre della mia schiena si sono staccate e stanno ballando la macarena. Il mio cuore fa un balzo quando riconosco i suoi capelli biondi sparati in aria così perfettamente e i suoi bellissimi occhi perlustrare la zona seccamente. 
La Dawson lo squadra dalla testa ai piedi, togliendo gli occhiali da troia vista dal naso. Si avvicina a lui mentre Geronimo le consegna la circolare che deve firmare per l'ammissione al corso. Mentre la prof è impegnata e tutta la classe è piombata in un silenzio tombale (cosa relativamente rara nell'ora di algebra/biologia), non posso fare a meno di osservare il profilo del ragazzo che è lì in piedi e che un mese fa era definito dal mio cervello “Hemmings l'asociale total black”. 
Ovviamente ho in serbo altri nomignoli per i componenti del gruppo, ovvero “Michael lo strambo”, “Clifford my little pony”, “Calum l'afgano”, e molti altri. Purtroppo l'ultimo non mi viene concesso di utilizzarlo in casa poiché mia sorella quindicenne Page è fortemente convinta che i tratti di Hood siano meravigliosamente asiatici, essendo nato però in Australia. Grazie a quella ragazzina conosco tutta l'anatomia di Calum Hood, la sua fedina penale, ergo la sua biografia e anche il giorno fisso in cui lava i capelli. Martedì. 
Sono talmente assorta dai miei pensieri folli, riguardanti quell'essere moro e la mia assurda e imbarazzante sorella, che non mi accorgo che il bidello ha già chiuso la porta facendola sbattere. 
Alzo gli occhi e vedo che quel drago viola aka Samara-tra-sette-giorni-morirai sta indicando con un ampio gesto del braccio l'aula. Corrugo la fronte nel tentativo di capire cosa sta blaterando. Quando vedo Hemmings camminare verso i nostri banchi disposti per due capisco che gli ha indicato di sedersi in uno di quelli vuoti. Con un sussulto mi accorgo che il banco affianco al mio è uno di quelli vuoti e subito lo stomaco mi si chiude. Probabilmente ho già la bava alla bocca, gli occhi spalancati e l’espressione di una in procinto di avere un attacco di diarrea. Se non avete capito la mia metafora, ho una faccia da censurare in questo momento, sul serio. Cerco di non guardare la scena di lui, bellissimo anche se in total black, che cammina in modo figo verso la sua meta. 
Stringo gli occhi: ecco, tra poco lo sentirò accanto a me, aprirò gli occhi e vedrò il suo splendido sorriso. Mi porgerà una mano e dirà un molto sexy “Piacere, sono Luke”: dopo di che potremo sposarci e partire per la Grecia per la luna di miele. Apro solo un occhio, terrorizzata al pensiero che possa sul serio trovarsi affianco a me. Lo dicevo io che avrei dovuto frequentare quel corso di respirazione per donne incinte, nel periodo in cui mia zia Shelly aspettava la piccola Lexy. Mi ci aveva trascinato solo una volta, perché diceva che si sentiva idiota in mezzo a una decina di donne sovrappeso. 
Mi sarebbe d'aiuto in questo momento; ho dimenticato come si espira, e credo di non possedere la capacità dei detentori del record di rimanere in apnea per un'ora. Ovvero fino alla fine di questa straziante lezione. Sto ancora divagando con la mente, ma mi accorgo lo stesso che tra i due banchi vuoti che c'erano in classe (il mio e quello di Mary, un’altra in fissa col total black che io personalmente definisco “Bloody Mary”) lui sceglie proprio quello della emo-guardo-film-horror-e-la-notte-non-dormo. Ho un occhio aperto quaranta centimetri mentre l'altro è completamente chiuso. 
COSA?! 
Mi giro completamente verso di loro, in stile non-mi-faccio-notare. Il banco di Bloody Mary è all’ultima fila, e la vedo guardare con sufficienza quella fusione tra Brad Pitt, Matt Bomer e Johnny Depp, i miei idoli nonché uomini più belli sulla faccia della terra. Lui le lancia un’occhiatina, ma poi si concentra sul cellulare che inizia subito a maneggiare. Strabuzzo gli occhi: quella ragazza è completamente fuori. E non lo dico solo perché credo che io e Kirk siamo le uniche persone decenti in questa scuola, ma perché ha al suo fianco l’arcangelo Gabriele e non si degna neppure di guardarlo negli occhi. Non che io sappia se l’arcangelo Gabriele sia un figaccione paragonabile a Hemmings, ma il punto è quello.
«Bene Hemmings, ci vuole dire perché ha cambiato corso?» chiede amorevolmente la prof., sorridendo. Ho ancora gli occhi spalancati, ma riesco a girarmi nuovamente verso di loro, questa volta senza rischiare di spezzarmi la schiena. Luke mette il cellulare sotto il banco e allunga le gambe. Sono tentata dal chiedergli di rifarlo, perché è veramente sexy mentre allunga le gambe fasciate dagli skinny neri. 
«A quanto pare io e la Holmes non andavamo d’accordo» risponde lui pacato. Sento Richard e Tyler ridacchiare nella direzione dell’amico, che subito fa un sorrisino complice.
La Dawson arriccia il naso. «Sul serio? Qual era il problema?»
«Divergenze di opinioni, niente di eclatante» taglia corto infine, tirandosi con l’indice e il pollice quel fantastico piercing nero che ha al labbro. 
Mi volto mooolto lentamente verso la lavagna, cercando di non sembrare una maniaca con il mio sguardo poco formale. 
Quando la prof. riprende la sua spiegazione, cerco di seguire il più possibile. Ma è praticamente un’impresa da titani dal momento che la parte deficiente del mio cervello ha constatato che la presenza di Luke Hemmings in questa classe rende difficile anche la respirazione. 
«Pierce, le dispiacerebbe venire alla lavagna per risolvere questo esercizio?» domanda lei, con il gessetto in mano mentre fa segno di alzarmi e afferrarlo. 
Ora la parte intelligente del mio cervello mi ricorda che sono una schiappa in algebra e che farò una figura di merda apocalittica non solo davanti a tutta la classe, ma davanti a lui.
Mi muovo a disagio sulla sedia. «Veramente mi dispiac-»
«Venga
Sbuffando impercettibilmente mi alzo per afferrare quel gesso bianco dalle sue mani (che sicuramente afferrano cose più grandi). Mi piazzo davanti alla lavagna nel tentativo di capire cos’è quel segno che somiglia vagamente ad un triangolo e cosa c’azzecca una y tra tutti quei numeri. 
Lancio un’occhiata a Rich, la cui innata indole di matematico potrebbe essermi utile in questo momento. Nella speranza che possa suggerirmi qualcosa, gesticolo senza farmi notare dalla prof., fino a quando lui non si accorge del mio SOS e annuisce. Inizia a dettarmi il procedimento dell’esercizio sottovoce ma, grazie stavolta alla mia rarissima abilità di percepire anche il suggerimento più silenzioso, riesco a concluderlo in fretta. Mi giro verso il resto degli alunni, notando che, chi attentamente, chi distrattamente, mi sta fissando. Tranne uno.
Sta disegnando ghirigori sul banco con la punta del dito, completamente e malvagiamente disinteressato. 
Ma perché non mi guarda? Nemmeno un’occhiatina lanciata di sfuggita, un dito medio, uno sguardo di disgusto, qualcosa!
Mi sento così idiota.
Dopo aver ricevuto un sorriso soddisfatto da parte della professoressa ritorno al mio posto a grandi falcate. 
Ho il morale a terra da giorni, persino Slav si è accorta che sto soffrendo. E la domanda che mi sorge spontanea è questa: perché? Perché mi comporto come una depressa socialmente apatica in stile Hemmings? Dev’essere colpa sua, con tutta quella sua stramaledetta indifferenza. Almeno nei miei confronti. 
E la cosa più scomoda, è che non capisco cos’ho di male. Non so, forse quando mi ha vista per la prima volta mi stava colando il naso, o gli ho bestemmiato in faccia senza neppure conoscerlo, o gli ho investito il cane con il mio imbarazzante maggiolino. 
Non capisco davvero. 
Sento gli occhi pizzicarmi: ora, non pensate a me come una che incassa tutto facendo finta di niente, anzi. Semplicemente è così frustrante il fatto che i suoi amici mi trovino “carina”, mentre lui non mi guarda neanche in faccia. Un momento…
Ma io non so ancora quello che lui dice su di me nel gruppetto!
Volto il capo istintivamente verso Rich. Lo sorprendo mentre sta già guardando nella mia direzione, e gli faccio segno che dopo avremmo parlato.
Annuisce con un ghigno divertito per poi continuare a seguire la lezione.
Qualcosa mi dice che scoprirò un bel po’ di cose sul biondino di nome Luke.

 
***


Infilo la chiave della macchina nella toppa per poi girare e aprire lo sportello. Un grido alquanto stridulo e fastidioso riempie le mie orecchie, ma lo ignoro.
Sistemo i libri tra le mie braccia mentre cerco di poggiare lo zaino sul sedile dell’auto. Auto si fa per dire; trappola di ferro è più specifico.
«Cali!» urla Slav dietro di me, facendomi sobbalzare, con il risultato che i libri e gli appunti che prima avevo in mano cadono per terra. Inspiro molto lentamente e cerco di ricordare che non voglio finire in un riformatorio femminile dove degli idioti costringono pazze isteriche ad indossare un’orrenda tuta grigia e attribuiscono la loro rabbia repressa a dei problemi familiari. Beh, la rabbia repressa ce l’ho, ma purtroppo non posso sfogarla su Slav tutti i santi giorni. Per rispetto delle mie mani che entrano a contatto con la sua ehm… pelle profanata.
Quindi mi limito ad abbassarmi per raccogliere le mie cose, maledicendo tutti questi capelli biondi che mi coprono gli occhi. Li mando indietro con uno scatto della mano e alzo il busto.
Guardo la bionda di fronte a me seccata. «Qual buon vento, Slav?» 
Scuote leggermente il sedere facendo sventolare la gonna, segno che è entusiasta di quello che sta per dire. «Torno a casa con te» annuncia sghignazzante mentre fa il giro della macchina per raggiungere il posto del passeggero. Reprimo l’istinto di far cadere di nuovo i libri.
Con uno sbuffo entro, chiudendo lo sportello alla mia sinistra. Accendendo il motore penso che non ho visto nemmeno di sfuggita Rich dopo l’ora di algebra. L’ho cercato dappertutto alla fine delle lezioni; neanche durante l’intervallo si è fatto vedere. 
Slav mette i piedi sul cruscotto e prende un pacco di sigarette estraendone una.
«Prova solo ad accendere quella sigaretta nella mia macchina e giuro che qualcosa prenderà fuoco comunque» la avverto ingranando la marcia. Lei sbuffa e rimette la sigaretta nel pacchetto. Sì, lei è una di quelle che ha imparato a fumare a dodici anni solo per farsi notare dai ragazzi. Ma questo non è un motivo valido per farmi intossicare.
Sa che se mi disobbedisce la sua faccina verrà sbattuta contro il vetro, quindi non prova nemmeno a contrariarmi.
Il viaggio è più che silenzioso (se per silenzio si intende una furiosa California che preme il clacson contro un idiota che le ha tagliato la strada). Fermo il maggiolino sotto casa di Slav.
«Aspetta qui» dice uscendo di fretta dall’auto per entrare in casa sua. 
Passano minuti, ore, anni, secoli, e Slav ancora non c’è. Potrei crepare.
Quando ritorna ha in mano un borsone gigante che carica nel cofano. Ho la mascella che ha raggiunto la Cina.
«Si può sapere cosa diavolo stai facendo?» chiedo alquanto stridula una volta che lei si è seduta in macchina. 
Mi sorride vittoriosa. «Non lo sai? I miei sono in Nebraska dai miei zii, quindi rimango da te per due settimane» spiega allegra. 
Oh, porca vacca.











SIMMER DOWN, SIMMER DOWN!

Loool, ben trovate ragazze! So, eccomi qui, scusate per l'attesa ma la scuola è una tortura.
Comos vas(?).
C'è una cosa che ho dimenticato di dirvi, anche se è praticamente irrilevante, è giusto per informarvi.
Questa storia è tratta da un episodio reale, ergo qualcosa che sta succedendo a me in questo periodo.
Ovviamente l'unica sfigata a cui poteva capitare una cosa del genere potevo essere solo io, no?
Quindi, immaginate California nei miei panni. Poverina, eh? 
Luke che non la caga di striscio e i suoi amici che le sbavano dietro. Ennò, non ci siamo.
Ma vabè, afferrato questo, passiamo ad altro.
Ieri è stato il mio compleanno, yee. Anche questo è irrilevante, ma vabbè.
Avevo intenzione di postare ieri ma ho studiato fino a tardi e il capitolo non era ancora pronto del tutto, sooo... niente ahaha
Dedico questo capitolo a Laura che lo aspettava con ansia e bulabulabula. Saluto tiedyemichael, spero che possa passare di qui <3
Sentite, corro perché devo andare a lavarmi i capelli ed è già tardissimos.
Baci!

p.s. aggiorno a 3 recensioni!
p.p.s. vi avevo detto che avrei messo una descrizione di Cali, sorry ma il 2° doveva essere così muahah

Au.



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Capitolo 3
*** III. ***







III.



«Ma non hai tipo dei nonni? Una baby-sitter? Un cane da guardia?» chiedo strozzata mentre cerco di trascinare su per le scale quella valigia che somiglia più a un carro armato nazista. E conoscendo Slav, potrebbe essere molto probabile che lo sia. «Perché devi stare proprio da me?» continuo guardando quella deficiente che se ne sta sulle scale, aspettando che vengano liberate dalla sua ambigua borsa. Guarda attentamente le sue unghie alquanto interessata, poi mi degna di un’occhiata.
«Ti ricordo che l’ultima volta che i miei genitori hanno lasciato la loro unica figlia sola a casa, al loro ritorno hanno automaticamente trovato due camion dei pompieri fuori dall’aiuola e una lettera dal sindaco che esprimeva le lamentele del vicinato a causa del volume alto dello stereo -scocca la lingua al palato- che ne dici?»
Alzo gli occhi al cielo per la sua affermazione. Vivere con Slav è un fottutissimo inferno: ricordo quando i miei decisamente troppo apprensivi genitori mi avevano mollata a casa sua per un intero giorno. Fu un completo massacro, avevo anche cercato di evadere dal seminterrato e dalla finestra, con scarsissimi risultati. Riesco a scalare l’ultima delle due rampe e lascio cadere il borsone per terra. La mia schiena sbatte contro una spalla, facendomi sobbalzare.
«Sta’ più attenta, California!» urla Page, scocciata. La guardo mentre flippa i suoi capelli biondo cenere e scende le scale freneticamente. Come fa a scenderle così velocemente senza rischiare di cadere e rompersi l’osso del collo? Io faccio ancora finta di essere una principessa barra modella di Victoria’s Secret barra attrice che scende le scale di un palazzo con grazia ed eleganza per raggiungere il suo Award. 
«Ciao anche a te, cara sorellina!» rispondo sarcastica, mentre faccio segno a Slav di seguirmi in camera. Una cosa positiva di mia sorella Page è che odia profondamente Slav; e non solo perché è convinta che voglia portarsi a letto il suo Calum, ma è stato un odio a pelle, sin dalla prima volta che la vide. Io invece non riesco a ricordare il mio primo pensiero sulla bionda; la prima volta che la vidi era ancora un embrione sanguinante. Scuoto la testa nel tentativo di scacciare quei pensieri del tutto inutili. Una volta entrata in camera mi lancio sul mio letto, atterrando sulle coperte spiegazzate. Ah, finalmente a casa! La bionda prende possesso della sedia girevole azzurra e inizia ad abbassarla e alzarla con la manopola sotto di lei. Tipico, mi chiedo come faccia quella povera sedia a rimanere ancora così integra. Affondo la faccia nei cuscini morbidi.
«Cali! Dov’è la mamma?» sento urlare dal piano di sotto quella isterica di mia sorella. Con un lamento mi ricordo che la mamma oggi è a lavoro in ufficio, e ciò implica che dovrò alzare il culo dal letto e preparare qualcosa per sfamare l’enorme bocca di Slav. Come non detto. Riesco a raggiungere il piano di sotto senza rischiare di sbattere volontariamente la testa rotolando giù dalle scale, ed entro in cucina, dove vedo una Page accigliata con in mano il post-it che ci ha lasciato nostra madre. 
«Cucini tu?» le chiedo mentre inizio a tirar fuori i piatti. 
«Andiamo California. Lo sai che non so cucinare neanche una misera frittata» mi ricorda seccata. «Io voglio la pizza»
«Bene, allora se vuoi la pizza porta le tue chiappette minuscole fuori di qui e vai a comprarla» dico invece io, pacata. Chiedere a Page di fare qualcosa che richiede re-infilarsi i jeans e le ballerine funziona sempre per raggirarla. So bene che non si scomoderà mai per niente. Come previsto, sbuffa e prende la padella dal ripiano vicino al frigorifero. Sorrido soddisfatta tra me e me, e rinuncio direttamente a chiamare Slav dal piano di sopra. 
«Ti vanno delle uova?» propongo io immaginandole ripiene con del bacon, le mie preferite. 
«Sono finite ieri sera - mi ricorda mentre da un’occhiata in frigo - qui dentro non c’è un bel niente!» aggiunge sbattendo l’anta. Possibile che quella donna ci abbia lasciate in casa senza nemmeno una briciola di… qualcosa da mangiare? 
«Slav!» urlo cercando di farmi sentire da quella deviata. La sua improbabile risposta viene coperta dal suono del campanello, che in questo momento sta trillando fastidiosamente.
Io e mia sorella aggrottiamo le sopracciglia. Mi avvio verso l’ingresso di casa e apro la porta, per poi scoprire la figura di Richard, sorridente e gnocco come al solito. La sua immagine non fa altro che incuriosirmi, per questo piego la testa da un lato mentre lo osservo.
«Richard?»
«Cinese a domicilio!» esclama mentre tira fuori dal nulla due buste piene dalle quali proviene un profumino molto invitante. Mi sono tanto concentrata sul cibo che non sto pensando alla domanda più logica e plausibile da fargli. Perché è qui con del cinese e un sorriso smagliante? Ma istintivamente afferro una busta e mi precipito dentro, premurandomi almeno di lasciare la porta d’ingresso aperta per farlo entrare.
«Evito di chiederti come hai fatto ad azzeccare anche questa volta il momento giusto per comparire dal nulla» dico mentre poggio il cinese sul tavolo. Senza essermene resa conto, ho anche fatto un purissimo e casualissimo riferimento a stamattina, quando è sparito dalla circolazione per circa tutta la giornata. 
«Perché?» chiede lui ridendo mentre inizia a togliersi la giacca, poggiandola poi sulla sedia. 
Scrollo le spalle. «Mia madre ha deciso di lasciarci qui a morire di fame» spiego con molta nonchalance, tirando fuori i contenitori. 
«Rich!» quasi urla mia sorella non appena lo vede. Beh, da qui si può benissimo capire come Page sia completamente andata per quel pakistano, dal momento che ogni volta che Rich viene a casa mia, inizia a tartassarlo di domande su Calum. E’ fortemente convinta che possa mettere una buona parola su di lei. Quando sentii questa affermazione testuale da parte di mia sorella, scoppiai in una risata isterica; dopo essermi calmata avevo obiettato precisando che probabilmente Calum non sapeva nemmeno dell’esistenza di questa ragazzina aka presidente del club Calum Hood lovers, ma lei mi aveva zittita ficcandomi la prima cosa che aveva tra le mani in bocca. La sua fascia per capelli.
Comunque, vi risparmio la scena in cui lei inizia a parlare e parlare e parlare - mettendo il mio amico in evidente imbarazzo - e passiamo direttamente al solenne arrivo di Slav in cucina. 
Stiamo mangiando stranamente in silenzio. Le opzioni sono due: il cibo è troppo buono, o nessuno ha voglia di raccontare la sua penosa giornata scolastica. Sto ancora pensando a cosa dovrei dire a Rich una volta che potrò parlargli in privato di quella cosa. Insomma, devo ammettere che sono più in ansia che mai. E non ci sto ancora parlando. Mollo la forchetta sul piatto, producendo un rumore fastidiosissimo.
«Mh… Com’è andata la giornata, Page?» chiedo mentre mi stiracchio. Lei alza gli occhi dal piatto e mi guarda. «Bene» pronuncia annoiata, iniziando a percorrere con la punta del dito il bordo del bicchiere di vetro. Che allegria. La voce di Richard mi fa sobbalzare. «Uh, Slav, hai sentito ch-»
Lo blocco immediatamente. «Non parlare! Ti prego, sto cercando di memorizzare il momento in cui per l’unica volta nella sua vita ha la bocca chiusa» strillo afferrando involontariamente l’avambraccio del mio amico. Appena me ne accorgo, levo la mano. Vedo sia Slav che lui alzare gli occhi al cielo, mentre mia sorella ride sotto i baffi. Ogni tanto Page è utile, devo dire.
«Se proprio devi parlare Rich, dimmi che fine hai fatto stamattina dopo l’ora di algebra» proseguo indisturbata, alzandomi dalla sedia per portare il mio piatto nel lavello. Si mette sull’attenti e posa la forchetta nel suo piatto. 
«Avrei voluto dirtelo, ma mi hanno praticamente trascinato via» dice prima di lasciarsi andare contro lo schienale della sedia. «Essendo io presidente del gruppo di attività scolastiche - piccolissima parentesi. Si, Richard è presidente di quel ridicolo club da quest’anno, e non può fare altro che esserne fiero. Lo costringe ad assentarsi il più delle volte e a saltare delle ore di lezione per occuparsi di assemblee e cose varie. Ed ecco il motivo per cui è sparito dalla circolazione questa mattina - sono stato costretto a partecipare ad una riunione che hanno organizzato all’ultimo minuto» inizia gonfiando il petto. Alzo un sopracciglio nel tentativo di capire dove vuole arrivare.
«C’è qualche novità?» chiede Slav, continuando ad ingozzarsi. Il mio amico le fa un occhiolino.
«Assolutamente. Il gruppo sta organizzando una bella festa scolastica. Stiamo pensando di collocarla in un posto molto particolare, non nel solito hotel da quattro soldi o a casa di Cooper»
Arriccio il naso. «Ray Cooper dava delle feste grandiose» protesto ricordandomi delle fantastiche feste in cui c’erano dei giochi di intrattenimento diversi da obbligo o verità, o altre cose che mi danno il voltastomaco. 
«Mh, ma quest’anno vi assicuro che sarà completamente diverso» sorride malizioso. Beh, speriamo bene. Le feste che organizza la scuola solitamente sono penose, ma dall’arrivo di Rich tutti pregano che cambi qualcosa. E cioè che non sia la solita palla mortale.
«Ce la farai Rich» gli assicuro mentre mi sporgo per prendergli il piatto e riporlo nel lavello. Mi afferra un passante del jeans e lo tira scherzosamente per ‘ringraziarmi’. Richard è sempre stato un ragazzo decisamente troppo affettuoso; o almeno ha un modo tutto particolare per dimostrarlo.
«Certo che ce la farà» si intromette ovvia quella rompipalle di Slav. La ignoro.
«Oh Cali, ora che ci penso, cosa volevi dirmi a scuola?» chiede Rich voltandosi verso di me. Mi blocco sul posto.
Ho ancora il piatto ed il bicchiere in mano, ma non riesco a fare altro che deglutire e lanciarli, quasi, nel lavello, rischiando persino di romperli.
«M-Magari ne parliamo dopo» rispondo balbettando come una perfetta idiota. 
«Sembrava abbastanza urgent-»
«HO DETTO CHE NE PARLIAMO DOPO» 
Tutti e tre spalancano gli occhi, spaventati; poi Rich alza le mani innocentemente e sussurra un “okay”.
Anche se sono convinta che sia solo una mia impressione, credo che questa faccenda di Hemmings e il suo ciuffo biondo mi stia leggermente sfuggendo di mano.
***

Porto una patatina alle labbra e la mordo, irritandomi non appena il solito ‘crack’ dei miei stessi denti rimbomba nelle orecchie come un martello pneumatico, impedendomi così di sentire ciò che trasmette la televisione. Impreco in aramaico. Sono sola in casa: Slav è uscita con una sua collega di lavoro barra zoccoletta, per bere un caffè barra troieggiare in centro, Page è a ripetizioni di chimica da un suo compagno di classe e infine Rich è andato via poco fa. Se ve lo state chiedendo, sì, abbiamo parlato e no, non è andata bene per niente. Il mio amico è rimasto per dieci minuti d’orologio a fissarmi con la bocca spalancata non appena ho confessato la mia penosa infatuazione, per poi scoccare la lingua al palato e dire “ma Hemmings è un imbecille”. Ora, tralasciando la parte in cui gli è arrivato un cuscino nello stomaco e quella in cui ho cacciato Slav che cercava di origliare dal corridoio, la conversazione è stata principalmente secca. Sono arrivata dritta al sodo e ho chiesto a Rich di dirmi qualcosina su di lui. Ovviamente si è rifiutato perché mi ritiene “davvero troppo vergine per quei quattro coglioni cronici”. A quanto pare crede che mi farei volentieri mettere i piedi in testa da un metallaro solo perché ha quel bel faccino: perché beh, ha capito benissimo. Al che l’ho supplicato, fino a quando non mi ha rivelato che Luke è l’unico di loro che non dice assolutamente niente a proposito della sottoscritta. Alle spiegazioni che ho chiesto riguardo a questa dolorosa scoperta, Rich ha risposto con un sincero “Luke non commenta praticamente mai, tranne per quella volta in cui sottolineò il fatto di volersi portare a letto Slav”. In quel momento il mio povero cuore è ceduto completamente, frantumandosi in mille pezzi. Fortunatamente lui è andato via, così ho potuto dare libero sfogo al pianto che avevo trattenuto dal momento in cui ho sentito le parole “Slav”, “letto” e “mai”. Non sono certa di aver mai vissuto una cosa del genere, ma sta di fatto che mi preoccupa, e non poco. Cioè, sono abituata ai ragazzi che notano prima la bionda invece che me, ma sicuramente non potevo veramente aspettarmi che… che… non lo so. L’unica cosa che so è che sono a pezzi. Per questo sto affogando i miei dispiaceri nelle patatine (mamma dovrebbe essere fiera di me) e in The Big Bang Theory. Comunque, vedendomi sull’orlo di una crisi, Richard ha concluso il discorso dicendo che avrebbe fatto il possibile per in qualche modo elogiarmi davanti al suo strambo gruppo di amici. Sono stata restia rispetto a questo, ma ho accettato lo stesso. Cos’ho da perdere? Sento già lo stomaco che ribolle al pensiero di Richard che parla di me davanti a lui. Insomma, è davvero una situazione imbarazzante, e d’altra parte non sono mai scesa così in basso per un ragazzo. Sospiro pesantemente e mi sistemo sul divano, stringendomi nella coperta di lana che ho addosso. Dopotutto non potrò mai scendere più in basso di Slav, penso. E poi Luke è bellissimo. Sobbalzo quando la maniglia della porta si abbassa di scatto. Mi volto e vedo Page e Richard rientrare.
Mi acciglio. «Cosa ci fai qui, Rich?» 
Scompiglia un po’ i capelli di mia sorella. «L’ho trovata per strada mentre stava tornando a casa e le ho dato un passaggio» risponde pacato, mentre lei sghignazza. Lei mi da un bacio sulla guancia e vola di sopra, facendo gli scalini tre a tre manco fosse la Ferlito. La guardo sprizzare eccitazione e felicità da tutti i pori.
«Guarda che io non sono contraria alla marijuana, ma non credi che mia sorella sia un po’ troppo piccol-» non faccio in tempo a finire la frase che Rich mi scoppia letteralmente a ridere in faccia, mettendo una mano sulla pancia.
«Non capisco che hai da ridere» commento impassibile, tornando a interessarmi alla nuova puntata della mia serie preferita.
«Non ho fatto fumare tua sorella. Abbiamo solo incontrato Calum e gli altri al parco. Dovevi vedere la faccia di Page quando gliel’ho presentato!» esclama lui ridendo, gettandosi a peso morto sul divano accanto a me. Alzo un sopracciglio.
«RICHARD!? - urlo - Cosa ti salta in mente? Mia sorella e quel-, mio Dio, sei pazzo?» gesticolo animatamente. Non posso credere che l’abbia fatto. Calum Hood è già abbastanza inquietante di suo, se poi ci mettiamo anche le canne che si fa giornalmente e le ragazze che si porta a letto non ne usciamo!
«Rilassati Cali, li ho solo presentati» risponde lui prendendo una patatina dalla scodella che ho sulle ginocchia. 
Ho un occhio largo quanto la circonferenza del culo di Nicky Minaj e l’altro grande quanto il raggio di un elettrone.
«M-ma i tuoi amici sono…»
«Hey, ma non eri tu quella pazza di Hemmings? Non mi sembri nella posizione per dire a tua sorella di lasciar perdere uno di quelli» distende le gambe e si sistema meglio sul divano.
Non è per niente divertente, Sparks. Borbotto un “fanculo” e mi alzo. Beh, ha ragione. Non sono nella posizione di far si che Page non “frequenti” Hood (ammesso che lui la ritenga accettabile). E poi io non sono pazza di Hemmings! Raggiungo a passo di bradipo la cucina e, poggiandomi di spalle al lavello, lego i capelli in uno chignon disordinato da cui non possono evitare di uscire ciuffi ricci. Sembro una perfetta barbona così. Lavo le mani e le asciugo con un panno. Nel frattempo sento il campanello trillare, e già so che mia sorella non ha intenzione di scendere le scale per adempiere ad uno dei suoi miseri compiti che le affibbio e Richard non si alzerà mai dal divano. Così, con tutta la buona volontà che ritrovo (non so come) in me stessa, percorro il corridoio e vado ad aprire la porta. Quando realizzo chi posteggia sul mio decisamente troppo californiano portico, mi blocco. Prima è meglio se vi fornisco una panoramica del mio look e dei miei capelli: sono in tuta, una tuta molto imbarazzante – blu scuro, con una canotta bianca – calzini gialli antiscivolo che sostituiscono le mie sperdute pantofole e, come ho detto prima, una cipolla bionda in testa. Ah, ho anche l’asciugamano in pieno stile casalinga in mano. Credo di non avervi ancora detto chi ha suonato al campanello. Clifford my little pony mi sorride - ghigna - e si passa una mano tra i capelli. Dietro di lui c’è quel maledetto tipo con la bandana di cui non ricordo mai il nome. Sono passati quasi cinque minuti di orologio, e io ho ancora un enorme cipiglio sulla fronte. Getto l’asciugamano alla mia destra, probabilmente è finito sulla testa di Rich, ma poco mi interessa dato che due dei più strambi e pervertiti ragazzi della mia scuola hanno bussato alla mia porta. Tutto questo silenzio è imbarazzante.
«Salve, c’è Rich?» chiede cortesemente lo strambissimo. Ha cambiato colore di capelli? Ora sono rosso fuoco. Sono tentata dal chiedergli cosa lo spinge a tingersi i capelli, ma forse devo decidere cosa fare. Così mi trovo davanti a tre scelte: urlare, chiudere la porta e chiamare il 911; rimanere ferma immobile mettendo in scena una paralisi facciale; rispondere e fare la cortese.
«Ehm… Ciao. Rich è dentro» rispondo titubante. Ciao. Ciao. Non può esserci davvero un saluto migliore di un imbarazzante e andicappato ‘ciao’. Neanche mia cugina Lexy saluta così. 
‘Cos’ha di male il ciao?’, zitta vocina interiore scassa palle. Gli apro di più la porta, permettendogli di entrare. Michael coso Clifford mi rivolge uno sguardo ammiccante ed entra, mentre quel tipo lì rimane fuori, nel tentativo di gridare di sbrigarsi a qualcuno in lontananza. Mi affaccio leggermente dall’uscio e vedo il ragazzo con la bandana che ride in un modo stranissimo; quando inizia ad incamminarsi e mi fa un sorriso per poi entrare, riesco a intravedere chi sta camminando a passo svelto verso casa mia.
Datemi una L, datemi una U, datemi una K, datemi una E. Anzi, datemi un altro polmone perché in due non ce la fanno. Cammina, cammina velocemente. Verso casa mia. Casa mia. Ho la tachicardia, e so già che sono rimasta in piedi, sull’uscio con una faccia da completa deviata cronica. Perché. Loro. Sono. A. Casa. Mia? Raggiunge il mio portico, sale i quattro scalini che precedono l’ingresso, e mi si para davanti. Nell’arco di questi quindici secondi in cui tutto è accaduto, il mio stomaco è stato bombardato da Bin Laden in stile 11 settembre, il pancreas e il fegato si sono scambiati di posto, e infine il mio cuore è scivolato molto lentamente e dolorosamente in un buio abisso. Fino a quando non è risalito d’un botto perché quei bellissimi occhi azzurri si sono posati su di me e mi guardano interrogativi. Ah già, e il mio corpo è ancora in stato ‘off’. Sotto shock e completamente stordita, apro la porta anche a Brad Johnny Bomer. Lui alza un angolo di quella bocca perfetta in una sottospecie di sorriso dimezzato ed entra, biascicando un “ciao”. Oh Dio. Mi ha detto ciao. Lo ha detto a me, California Pierce. Luke Hemmings mi ha detto ciao. Senza che io l’abbia costretto o gli abbia puntato contro una pistola. Senza che… Un attimo, sto divagando. Chiudo la porta, rendendomi conto di non aver risposto al suo perfetto saluto completo di ‘sorriso’. Chissà perché, da lui il ciao esce meravigliosamente. Ora mi sento Page, devo smetterla sul serio. Vedo Rich alzarsi dal divano e dare forti pacche sulle spalle ai suoi amici, coloro che fino a poco tempo fa erano definiti ‘innominabili’ da me stessa. Dovevo pur trovare un nomignolo da affibbiare loro per non rischiare di essere colta in flagrante. Sto ancora cercando di realizzare che tre degli amici di Richard sono qui, e che tra questi c’è uno dei più bei ragazzi che io abbia mai visto in vita mia, se non il più bello, ma la voce del moretto interrompe i miei pensieri.
«Credevo non avreste trovato la strada» dice con molta naturalezza. Troppa naturalezza. Il mio cervello elabora tutto e sforna la brillantissima intuizione che li abbia invitati qui di proposito, senza avermi detto niente. Ho una gran voglia di tirarlo per le orecchie e prenderlo a sprangate nelle gengive, non solo perché loro sono a casa mia, ma perché sono vestita come una disgraziata che vive sotto i ponti e vive di elemosine, con questa cipolla in testa e i calzini gialli antiscivolo. Così, sono ancora impalata nell’ingresso di casa, con i pugni stretti.
«Vorresti rimanere lì tutto il giorno, genio?» se fossi in te, caro il mio Richard, starei molto ma molto attenta alle parole.
Faccio un lungo sospiro, e mi preparo per un lungo, lunghissimo pomeriggio in balìa di Rich e la sua pazza gang degli innominabili.






 
SIMMER DOWN, SIMMER DOWN!


Oddio, salve ragazze!
Lo so, SCUSATEMI! OMG ho voglia di fucilarmi e seppellirmi da sola, senza magia, come Dobby l'elfo libero. No, non merito nemmeno la sepoltura di Dobby tanto faccio schifo. E poi il capitolo è orribile, mi fa schifo, non succede niente di eclatante e vaffanchiulo.
Mi odio, profondamente.
Okay, lanciatemi addosso pomodori, acciughe, lattuga e magari tutte le padelle che avete in casa.
MI SCHIFO.
Non pretendo niente da voi oggi, come potrei?
Basta autocommiserazione, dios.
Non ho molto da dire, devo scappare e ho fatto in tempo solo a farmi schifo da sola, per cui, spero che non mi mandiate a fanculo e continuiate a seguirmi.
Io scappo, fuggo, volo!
Adieu.


AAAAAAAH IL BANNER FA CAGARE I PICCIONI, PERDONATEMI

Moltissimi baci,
Au.

 

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