Do you trust me now?

di Simonne Lightwood
(/viewuser.php?uid=568118)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Che guerra sia. ***
Capitolo 2: *** Un brutto presagio ***
Capitolo 3: *** Ti salverò ***
Capitolo 4: *** Sogni premonitori ***
Capitolo 5: *** La nuova arrivata ***
Capitolo 6: *** Il racconto di Robert ***
Capitolo 7: *** La riunione del Conclave ***
Capitolo 8: *** La decisione di Alec ***
Capitolo 9: *** La runa dell'immunità ***
Capitolo 10: *** Hunton School ***
Capitolo 11: *** Ti fidi di me, ora? ***
Capitolo 12: *** Una nuova conoscenza ***
Capitolo 13: *** Decisioni difficili ***
Capitolo 14: *** Un attacco inaspettato ***
Capitolo 15: *** Il risveglio ***
Capitolo 16: *** 'Salve e addio' ***



Capitolo 1
*** Che guerra sia. ***


Maryse era seduta dietro all'imponente scrivania di ebano nella Biblioteca dell'Istituto. Tra le mani teneva un pezzo di carta stropicciato sul quale c'erano scritte poche righe, ma, dall'espressione affranta sul volto della donna, era evidente che il messaggio riportato in quelle righe l'aveva profondamente turbata. 
Era passata una settimana dalla battaglia contro Sebastian e i suoi seguaci in Irlanda e cinque giorni dal risveglio di Jace. Purtroppo però, la consapevolezza del fatto che suo figlio stesse bene, era l'unica buona notizia. 
Da diversi giorni ormai, Alec si era chiuso in camera sua, mangiava quel poco che bastava a impedirgli di morire di fame e non parlava con nessuno: nemmeno con Jace, nonchè il suo parabatai e amico del cuore da diversi anni. Suo figlio era da sempre un ragazzo introverso e di poche parole, ma Maryse avrebbe giurato di non averlo mai visto in quello stato. Non era semplicemente triste, sembrava.. devastato. Era come se la sua voglia di vivere fosse stata divorata da un demone Behemoth. Maryse avrebbe tanto voluto aiutarlo, se solo avesse saputo il motivo del suo malessere. Ed il fatto che suo marito Robert non fosse ancora tornato da Idris, ora che c'era bisogno di lui, non migliorava la situazione.
I pensieri della Cacciatrice furono interrotti dal fastidioso cigolio della porta della Biblioteca che si apriva, rivelando quattro figure con un'espressione preoccupata dipinta in volto. 
-Mamma, ci hai chiamati: eccoci qui. - disse Isabelle, sistemandosi una lunga ciocca di capelli corvini dietro l'orecchio. Maryse fece segno a Jace, Clary, Alec e Isabelle di sedersi, e i ragazzi presero posto sulle vecchie poltrone color vino, poste in semicerchio accanto al camino spento. 
-Dunque- iniziò la Cacciatrice, appoggiandosi allo schienale della sedia -Vi ho già raccontato di ciò che ho trovato qualche giorno fa sotto il tappetino, proprio in questa stanza.- Alzando lo sguardo verso i ragazzi, vide Clary irrigidirsi, mentre Isabelle giocherellava nervosamente con la collana con il rubino che portava sempre al collo. Maryse sapeva che quella collana un tempo era appartenuta ad una Herondale, diventata una Lighwood dopo il matrimonio, ma non ricordava il suo nome. Era forse Cece? O Cindy? 
-Sebastian ha detto che il suo scopo era quello di creare un nuovo esercito di Shadowhunters con la Coppa Infernale, uccidere angeli e strappare le loro ali non faceva parte del piano. - commentò Jace, con un'espressione disgustata sul volto. 
-Dopo la notizia di cui sono venuta a conoscenza oggi, non sono più sicura di conoscere davvero il suo piano. - disse Maryse, mentre i suoi seri occhi color cielo, così simili a quelli del figlio, si posavano su Jace. 
-Cosa intendi dire?- chiese Clary, con una punta di nervosismo nella voce. Quel giorno indossava un maglioncino azzurro, quello che a Jace piaceva tanto, e le profonde occhiaie che fino a qualche giorno prima le contornavano gli occhi, erano quasi del tutto sparite. 
- Intendo dire che oggi ho ricevuto un messaggio col fuoco da parte di Catarina Loss, dalla quale sono andata per parlare del nuovo.. problema di Jace.- 
Il biondo trattenne il respiro, sapeva benissimo di cosa stesse parlando sua madre. Sapeva che il fuoco angelico della spada dell'Arcangelo con cui Clary lo aveva trafitto si era insinuato nel suo corpo e brillava, di tanto in tanto, sotto la sua pelle, come se avesse ingoiato una Stregaluce.
Quando Maryse aveva saputo che nemmeno i Fratelli Silenti erano in grado di dare una spiegazione logica a ciò che era successo a Jace, aveva deciso di rivolgersi a Catarina, una potente Strega infermiera che aveva secoli di vita e che probabilmente poteva aiutarli a capire come sfruttare il fuoco celeste nel corpo di Jace. La figlia di Lilith le aveva risposto che non sapeva dare una spiegazione così, su due piedi, e che avrebbe dovuto consultare uno dei suoi antichi libri sugli angeli e sul loro fuoco celeste. Si era scusata dicendo che in quel periodo era stanca e stressata, e che era molto preoccupata per le conseguenze che avrebbe avuto l'ultimo piano malefico di Sebastian. Maryse aveva pensato che si trattasse della creazione dell'esercito di Shadowhunters oscuri, ma, quando la Strega le spiegò a quale piano si stesse in realtà riferendo, la Cacciatrice spalancò gli occhi, appoggiandosi al muro per non perdere l'equilibrio. 
-Di cosa si tratta? - chiese Alec, puntando lo sguardo sulla madre. 
-Forse è meglio che ve lo legga - rispose la Nephilim, aprendo il foglio spiegazzato che aveva tenuto tra le mani fino a quel momento. 
Clary allungò istintivamente una mano verso quella di Jace, come alla ricerca di sostegno, e lui gliela strinse con gentilezza.

''Signora Lightwood, mi aveva chiesto di aggiornarla riguardo a ciò che sta accadendo in questi ultimi giorni tra il popolo dei figli di Lilith. 
Stamattina ha iniziato a spargersi la voce che un'altra Strega sia stata rapita dai servitori di Jonathan Morgenstern e che il suo corpo sia stato ritrovato senza vita in un boschetto nella periferia di New York. A quanto pare a Jonathan o, come si fa chiamare ora, Sebastian non è bastato il potere conferitogli   dal sangue del primo Stregone da lui ucciso, il giovane Robliaas, e ha rapito un'altra figlia di Lilith, una donna che doveva avere poco più di un secolo, e quindi dotata di un potere maggiore. Ormai è certo: Sebastian sta cercando una potente Strega o uno Stregone da cui prelevare il sangue e iniettarselo nelle vene, con lo scopo di riuscire a compiere incantesimi e rituali oscuri per conto proprio. 
Riponiamo tutte le nostre speranze in voi Nephilim, gli unici in grado di sconfiggere il figlio di Valentine, affinchè nessun innocente, Shadowhunter o Nascosto che sia, subisca la spietata violenza di Jonathan.
-Catarina''

Ci fu un attimo di silenzio. Clary stava ancora tenendo la mano di Jace, mentre Alec sembrava visibilmente a disagio, dopo aver sentito quel messaggio.
-Non ci posso credere! - esclamò finalmente Isabelle. -Ora Sebastian vuole diventare una specie di Stregone? Non gli basta aver creato un esercito di Shadowhunters assassini che pendono dalle sue labbra? Non gli basta aver trasformato persino Amatis in un mostro?!- La Cacciatrice sembrava sull'orlo di un esaurimento nervoso. 
-Sul biglietto ha scritto che sta arrivando, non abbiamo molto tempo. - Disse Jace in tono rassegnato. 
-C'è bisogno di una riunione del Conclave, il più presto possibile. - detto questo, Maryse si alzò in piedi, lasciando cadere il biglietto sulla scrivania.
-Mamma, chiama papà e spiegagli ciò che sta accadendo, dicendogli di tornare il più presto possibile.- Disse Alec, con un'espressione indecifrabile in viso. -Se è guerra ciò che vuole, che guerra sia. - 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Un brutto presagio ***


Magnus era sdraiato sul suo letto, avvolto in un pesante piumone invernale. Era una notte di novembre particolarmente fredda, e lo Stregone non riusciva ad addormentarsi. 
Protese un braccio verso il comodino accanto al letto, prendendo il telefono per controllare l'ora. Erano le 4.11 del mattino. Magnus sbuffò, infastidito, rimettendo a posto il cellulare. Ormai era era diventata una routine. Dal giorno in cui aveva detto addio ad Alec, nella metropolitana abbandonata di City Hall, non riusciva a darsi pace. 
Andava a letto con la speranza di prendere sonno almeno per un paio di ore, ma ogni suo tentativo si dimostrava inutile. Ogni volta che chiudeva gli occhi, nella sua mente riappariva l'espressione affranta dipinta sul volto di Alec, mentre lo pregava di dargli un'altra possibilità, le sue labbra calde sopra le proprie, mentre lo baciava un'ultima volta, sotto lo strano bagliore della Stregaluce del Nephilim. Come se questi pensieri non lo stessero tormentando abbastanza, lo Stregone ricordava le parole che lui stesso aveva pronunciato, quel giorno. ''Aku cinta kamu'' aveva detto. Forse dire ''ti amo'' ad una persona poco prima di lasciarla non era esattamente la cosa giusta da fare. Ma Magnus non era riuscito a trattenersi: quelle tre parole erano uscite dalle sue labbra in un modo così spontaneo, che quasi lo spaventava. Questa, però, era l'amara verità. Magnus Bane - uno dei più potenti Stregoni, un uomo con secoli di vita, amori e delusioni alle spalle - non riusciva ad accettare il fatto di aver perso Alexander Lightwood per sempre, sebbene fosse stato lui a lasciarlo. 
Si alzò dal letto, dirigendosi verso la cucina per un bicchiere d'acqua, quando vide il Presidente Miao zampettare verso la porta d'ingresso del loft. Il gatto iniziò a miagolare con insistenza, graffiando la porta con i suoi minuscoli unghie artigli. Magnus si diresse verso il micio, guardandolo con stupore. Il Presidente non si comportava mai in quel modo.
E poi lo sentì.
 Il debole suono di passi che si avvicinavano si stava facendo sempre più forte. Erano passi pesanti e coordinati, appartententi ad almeno tre persone.
Lo Stregone non fece in tempo ad iniziare un incantesimo di difesa attorno all'appartamento, che la porta venne buttata giù con un sonoro tonfo. Il gatto sgattaiolò via, spaventato, nascondendosi sotto il tavolo della cucina. 
Fu allora che li vide. 
 Tre alti uomini che indossavano tenute da combattimento color rosso scuro, si stavano avviando a grandi passi verso di lui. I loro occhi neri scintillarono nel buio, mentre un sorriso maligno si formava sulle labbra del più alto tra i tre. 
-Figli di Raziel- disse Magnus, cercando di mantenere la calma -O forse dovrei dire figli di Lilith, per quanto strano possa suonare- tra le dita dello Stregone iniziarono a formarsi scintille azzurre, mentre parlava. -Cosa ci fate qui, nel mio loft in piena notte?- 
Una figura incappucciata si fece avanti, camminando con passi aggraziati verso Magnus. Nonostante il suo volto fosse coperto, quel personaggio suscitava uno strano senso di familiarità nello Stregone. Poi, con un gesto rapido, si abbassò il cappuccio della tenuta rossa, mostrando il viso e facendo sobbalzare Magnus.
In piedi, davanti a lui, c'era Amatis Herondale, con i capelli scuri scompigliati un'espressione divertita dipinta in volto. 
-Magnus Bane - disse la sorella di Luke, in tono cantilenante -Vedo che i tuoi amichetti Nephilim sono riusciti a salvarti, dopo la battaglia ai Sette Siti Sacri. Il nostro signore sarà molto contento di vederti. - 
Detto ciò, la Cacciatrice fece un gesto con la mano agli uomini dietro di lei, che giacevano immobili osservando la scena. Poi uno degli Shadowhunters di mosse verso di lui, portandosi una mano alla cintura. Il figlio di Lilith reagì d'istinto, lanciando una palla di fuoco verde verso di lui, ma l'uomo - con un gesto rapido solo come quelli di Sebastian - lo schivò, lasciando Magnus di stucco. 
Mentre lo Stregone inziava a formarne un altra, sentì qualcosa premere contro il suo naso e la sua bocca. Si trattava di un fazzoletto di stoffa bianco, impregnato di un'odore nauseabondo. Magnus si sentì improvvisamente impotente, sentì le forze che lo abbandonavano mentre Amatis diceva qualcosa agli uomini, ma lo Stregone non riusciva a capire cosa. Le sue palpebre si chiusero, mentre sentiva uno degli Shadowhunters alzarlo di peso e caricarlo sulla spalla. 
E poi più niente.
 Il figlio di Lilith sprofondò in un profondo sonno che lo avvolse come un abbraccio.

Jace era stravaccato su una pila di cuscini, sparpagliati sul suo letto perfettamente rifatto, con un libro sulle ginocchia. Il biondo però, non riusciva a concentrarsi sulla lettura, e la vecchia copia di Great Expectations era rimasta aperta sulla stessa pagina da più di mezz'ora.
La sera prima era andato a caccia di demoni con Clary e Isabelle, al Pandemonium, e avevano fatto tardi. Stranamente, la presenza demoniaca era più intensa del solito. Nella discoteca scovarono ben cinque Eidolon: demoni mutaforma con semblianze umane. 
Inizialmente, aveva pianificato di andare a caccia da solo, ma Isabelle, dicendo di annoiarsi all'Istituto senza niente da fare, aveva deciso di unirsi a lui. Clary aveva insistito per andare con loro e Jace stava per risponderle che sarebbe stato più tranquillo se fosse rimasta a casa, al sicuro, ma poi aveva deciso che non ne sarebbe valsa la pena: Cercare di covincere Clary Fray a non fare qualcosa di pericoloso era come cercare di uccidere un demone Shax con uno stuzzicadenti. Il Nephilim, inizialmente, fu sorpreso di vedere quella ragazza minuta con i capelli rossi e le lentiggini decapitare due dei cinque demoni, poi si diede mentalmente dello stupido. A volte si dimenticava di quanto fosse cambiata Clary da quando l'aveva conosciuta. Si dimenticava di quanto fosse diventata forte, coraggiosa e sicura di sè quella ragazza per cui aveva perso la testa sin dal primo momento in cui l'aveva vista.
I suoi pensieri furono interrotti proprio da Clary, che si trovava in piedi accanto al letto di Jace e lo guardava con un'espressione un po'impaziente. 
-Terra chiama Jace - disse Clary, sventolandogli una mano davanti agli occhi. 
-Clary! Da quanto tempo sei qui? Stavo pensando ad una cosa, non ho ti ho vista entrare, mi dispiace - si scusò Jace, leggermente imbarazzato. 
-Posso sedermi? - chiese lei, indicando il letto su cui era seduto il suo ragazzo. 
-Certo, vieni pure - disse il biondo, spostandosi per farle spazio nel letto.
-E' da cinque minuti che stavo bussando, alla fine sono entrata e ti ho visto fissare il vuoto. A cosa stavi pensando?-
Jace le cinse le spalle con un braccio, avvicinandola a sè. -A ieri sera - disse  -Al fatto che hai ucciso quegli Eidolon come se stessi facendo una passeggiata in Central Park - le rivolse un sorriso sghembo, che gli illuminò il viso come un raggio di sole.
-Oh - Clary sembrò sorpresa - Mi alleno da qualche mese ormai, mi sembra normale riuscire a fare certe cose. Sono una Cacciatrice ora. -
-Sei migliorata molto - osservò Jace -Quando ti ho conosciuta non sapevi nemmeno come tenere una Spada Angelica. - ridacchiò e Clary gli diede un colpetto scherzoso sul braccio. Lui avvicinò il proprio viso al suo e la baciò. Fu un bacio dolce, a fior di labbra.
-Ieri Alec non è venuto con noi, ultimamente è così strano, non esce mai con noi e non ha un bell'aspetto.. ne sai qualcosa? chiese la ragazza, dopo essersi staccata da Jace.
-Non so cosa gli stia succedendo in questi giorni, lui non vuole parlarmene. Ma probabilemente ha a che fare con Magnus. E' da una settimana che non va a trovarlo, e prima si era praticamente trasferito nel suo loft.-
-Povero Alec, mi dispiace per lui. Dopo tutto ciò che è successo ultimamente - la questione di Sebastian, gli Shadowhunters oscuri, Robert che non è ancora tornato - ci mancava solo un litigio con Magnus. Forse dovresti andare da lui, invitarlo ad allenarsi con te o qualcosa di simile per distrarlo, senza chiedergli cos'è successo.. forse..- Clary non fece in tempo a finire la frase perchè fu interrotta dalla vibrazione del suo telefono. 
-Scusa - disse lei, tirando fuori il cellulare dalla tasca del cappotto di velluto verde, regalatole da Luke -è mia madre -
Jace le fece un segno di non preoccuparsi e lei rispose.
 -Pronto, mamma? - ci fu una pausa - Ah si? Di cosa si tratta? - seguì un'altra pausa. -Va bene, tra venti minuti sono a casa. - detto questo, riattaccò e si rimise il telefono in tasca.
Jace la guardò con un'espressione interrogativa. 
-Era mia madre - spiegò Clary - ha detto che Luke ha qualcosa per me. - 
-Se devi andare, vai pure - disse Jace -ma domani ci incontriamo qui alle 9.00 per l'allenamento e a pranzo ti porto in un posto che ti piacerà. - 
Clary sorrise, strinsè a se il Nephilim e gli diede un bacio a stampo. 
-Mi piace come idea. - disse entusiasta - A domani allora. - Dopo aver salutato il ragazzo, si avviò verso la porta. 
Jace si alzò in piedi -Vuoi che ti accomagni? - 
Clary si fermò. -No, tranquillo. Ma pensa ciò che ti ho detto, riguardo ad Alec. - Gli sorrise un'ultima volta, poi uscì dalla stanza, scomparendo dalla vista di Jace. 


Alec era nell'armeria e stava osservando la varietà di armi appese alle pareti di cemento, rigorosamete bianche. Dopo la battaglia in Irlanda, molte armi erano andate perse o rotte. Alec, dalla cima della roccia dalla quale stava colpendo gli avversari, aveva visto uno degli uomini di Sebastian spezzare in due una Spada Angelica come se fosse fatta fatta di legno, anzi che di Adamas, il metallo angelico incredibilmente resistente. L'Istituto si era quindi rifornito di armi nuove. Pugnali, spade, coltelli, lame dei serafini e persino mazze e asce decoravano le pareti della stanza.
Alec aveva fatto di tutto per distrarsi, quel giorno. La sera prima aveva rifiutato l'invito di Jace, Clary e Isabelle di unirsi a loro ed era andato a letto presto. 
La mattina dopo, di conseguenza, si era svegliato prima del solito. Ancora prima di aprire gli occhi, il Nephilim aveva sentito una strana sensazione nel petto, ma non riusciva a capire di cosa si trattasse. Aveva cercato di non farci caso e provato a distrarsi. Si era allenato per un paio d'ore, aveva dato da mangiare a Church, aveva messo in ordine di grandezza le spade dell'armeria e si era persino messo a leggere il primo libro che aveva trovato in Biblioteca: Il ritratto di Dorian Gray, di Oscar Wilde, un racconto cupo come il suo umore. Il libro aveva le pagine ingiallite e l'inchiostro sbiadito dal tempo. Doveva avere qualche decennio, pensò Alec. Sull'ultima pagina, in una calligrafia elegante, c'era scritto un nome: Matthew Fairchild.
 Il Nephilim era talmente concentrato nel tentativo di scacciare quella brutta sensazione che si accentuava sempre di più nel suo petto, che non si chiese nemmeno cosa ci facesse un libro appartenente a qualche antenato di Clary nella Biblioteca dell'Istituto. 
Alec si mise una mano sul cuore, e lo sentì battere più forte del dovuto. Cosa stava succedendo? A questa domanda non riusciva a trovare una risposta. 
Ma ne era quasi sicuro: Magnus c'entrava qualcosa.
Quando Jace era in pericolo, Alec lo sentiva. Sentiva un dolore partire dall'avambraccio, dov'era incisa la runa parabatai, e diffondersi nel resto del suo corpo. Ma questa volta era diverso. Alec sentiva il dolore partire direttamente dal petto ed espandersi, senza dargli tregua. 
Non ce la faceva più. Aveva preso una decisione: sarebbe andato a casa di Magnus a vedere se tutto era a posto. 
In quel momento non gli importava il fatto che lo Stregone lo avesse lasciato, dicendo di non volerlo vedere mai più. Gli importava solo di avere la consapevolezza che una delle persone più importanti della sua vita non fosse in pericolo. 
Senza nemmeno accorgersene, aveva indossato la tenuta da cacciatore, appeso due spade angeliche alla cintura e si stava tracciando sulla pelle le rune: una runa fortis, una dell'agilità, una della velocità, una di silenzio e una runa dell'equilibrio comparvero sulle sue braccia e sul petto scolpito.
Si diresse verso la porta dell'Istituto, e quando fu sul punto di aprirla, venne colto da un dubbio.
E se in realtà fosse tutto un frutto della sua immaginazione? Se Magnus fosse sano e salvo a casa sua? Se stava usando la scusa della strana sensazione solo perchè doveva avere un motivo per presentarsi a casa di Magnus?
No, non era possibile. Alec ne era certo, c'era davvero qualcosa che non andava.
Il Nephilim fece un respiro profondo e si chiuse la porta alle spalle.

''Forse dovresti andare da lui, invitarlo ad allenarsi con te o qualcosa di simile per distrarlo, senza chiedergli cos'è successo.. '' gli aveva suggerito Clary. 
Jace decise di seguire il suo consiglio e si incamminò verso la camera di Alec. Bussò un paio di volte e, quando non ci fu risposta, aprì la porta, trovando la stanza vuota. Decise allora di andare in Biblioteca, dove però trovò solo Maryse, intenta a leggere una lettera. Entrò nell'armeria, poi nella sala degli allenamenti e le trovò entrambe vuote. 
Cosa stava succedendo? Alec non usciva dall'Istituto da cinque giorni e ora era sparito senza nemmeno avvisare?
Dopo un attimo di esitazione, Jace decise di lasciar perdere: conosceva il suo parabatai e sapeva che non era come lui. Non si sarebbe mai cacciato nei guai intenzionalmente.




ANGOLINO DELL'AUTRICE
Salve, popolo (?) inanzitutto, ci tengo a dire che questa è la mia prima ff in assoluto,  quindi ho cercato di dare il massimo. Questo capitolo è venuto più lungo di quanto avrebbe dovuto, ma non me la sentivo di tagliare nessuna parte. Inoltre, non avevo intenzione di dividerlo in tre parti in questo modo, ma va beh. Ringrazio la ragazza che ha recensito la storia e spero che qualche altra buon'anima mi lasci una recenzione. :) Nel prossimo capitolo ho intenzione di inserire un nuovo personaggio, che metterà sottosopra l'esistenza dell'intera famiglia Lightwood. Detto questo, vi saluto, mondani.
-Simo

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Ti salverò ***


Isabelle stava camminando a passi rapidi verso la stazione della metropolitana. Voleva tornare all'Istituto il più in fretta possibile.
Era tardi ormai, e la pungente aria autunnale la stava facendo rabbrividire. Sotto la giacca di pelle da motociclista, indossava un leggero vestito porpora di velluto, che le arrivava a metà coscia. Il suono dei tacchi a spillo, appuntiti come coltelli, dei suoi stivali neri penetrava il silenzio della sera. 
Isabelle stava tornando da un appuntamento con Simon, che, per sua sorpresa, l'aveva invitata a cena nel lussuoso ristorante-trattoria italiano Joanne, nell'Upper WestSide. 
La Cacciatrice aveva deciso di seguire il consiglio di Clary, quando, circa una settimana prima, le aveva suggerito di confessare a Simon ciò che provava per lui. Non era stato facile, per lei, aprire il suo cuore a qualcuno. Ma l'aveva fatto. Per la prima volta, Isabelle Lighwood - spietata Shadowhunter e affascinante rubacuori - era arrossita leggemente, mentre guardava negli occhi Simon e gli chiedeva se avrebbe voluto essere il suo ragazzo.
Simon le aveva detto di si, con un ampio sorriso, prima ancora che la ragazza potesse finire la frase. In quel momento Isabelle si era sentita incredbilmente sollevata e felice allo stesso tempo. Era proprio contenta di sapere che il ragazzo ricambiava i suoi sentimenti. Ma chi avrebbe mai detto di no alla bellissima Isabelle Lightwod?
La Nephilim svoltò l'angolo, era quasi arrivata alla stazione della metropolitana. Tra meno di mezz'ora sarebbe stata a casa, al caldo. 
In momenti come quello desiderava che Simon avesse la macchina e la riaccompagnasse a casa. Sarebbe stato più piacevole che camminare da sola, in una fredda serata di fine novembre, per raggiungere la metropolitana. 
Passando davanti all'ospedale Lenox Hill, sentì uno strano rumore e si fermò, girandosi per vedere di cosa si trattasse. 
Era come se qualcuno, o meglio qualcosa, stesse masticando, facendo un rumore disgustoso. Isabelle seguì il suono, si avvicinò di più e.. sussultò.
Davanti ad un bidone della spazzatura, attorno al quale giacevano numerosi rifiuti, c'era una creatura mostruosa, obesa e ricoperta di dure squame ossee e molteplici bocche munite di zanne, tra le quali erano intrappolati pezzi di carne che aveva l'aspetto di essere marcia.
Isabelle capì in fretta di cosa si trattava: un demone Fame. 
La creatura teneva qualcosa tra le mani grottesche, qualcosa simile ad un animale putrefatto. La Cacciatrice si portò una mano alla bocca, cercando di respingere un conato di vomito. Con un gesto rapido, liberò il pugnale, che fino a quel momento era infilato nel suo stivale.
Il mostro avanzò goffamente verso di lei, con le fauci spalancate. Era talmente grasso che faceva fatica a muoversi. La ragazza approfittò della sua lentezza, lanciando il coltello direttamente contro il suo cuore. La Cacciatrice inorridì, vedendo che la sua arma veniva masticata e ingoiata da una fauce che il demone aveva al posto del cuore. 
-Il mio pugnale nuovo!- strillò Isabelle, irritata. -Hai idea di quanto costino quelli con l'impugnatura di quercia?! - 
Con un altro gesto rapido, tirò fuori dall'altro stivale una spada angelica.
 -Eremiel - disse e la spada emanò un intenso bagliore bianco. 
Il demone indiettreggiò, avvertendo la presenza angelica. La Nephilim gli conficcò la spada in un occhio, accecandolo. Il mostro emise un terribile lamento e intanto Isabelle era già dietro di lui. Decise che lo avrebbe ucciso pugnalandolo alla schiena. Quando la creatura fece per voltarsi, era troppo tardi. Isabelle gli aveva conficcato nella schiena la spada, che era passata attraverso la gabbia toracica e gli aveva perforato un polmone. Vide il demone dimenasi e capì che era ora di liberare Eremiel. Si riprese l'arma, intrappolata tra le costole del mostro. Una pozzanghera di sangue nero si formò ai suoi piedi. Vide il demone rimpicciolirsi sempre di più fino a sparire. 
-Buon viaggio verso il Vuoto, demone. - disse compiaciuta e si avviò verso la stazione, come se non fosse successo niente. 

Maryse era in cucina, intenta a prepararsi una pozione per il sonno. 
Negli ultimi giorni aveva dormito poco e delle profonde occhiaie si erano formate sotto i suoi occhi stanchi. Di notte si girava e rigirava nel letto, pensando a ciò che era successo in quel periodo. Pensava ad Alec e alla sua infelicità. Pensava a Jace e al fuoco intrappolato dentro di lui. Pensava alle ali dell'angelo spezzate. Pensava ad Isabelle e al suo nuovo fidanzato vampiro. 
Cercò di scacciare quei pensieri e di concentrarsi sulla pozione. Maryse aveva preparato alcuni infusi insieme a Hodge, ma da quando lui se n'era andato non aveva più toccato gli ingredienti, per paura di combinare qualche disastro. E ora eccola li, davanti al grande tavolo di frassino, mentre cercava di ricordare il quinto ingrediente della pozione. Aveva già messo le lacrime di belladonna, un cucchiaino di miele, una foglia di menta, una prugna schiacciata, cosa mancava? 
Ad un tratto, davanti agli occhi della donna, comparve dal nulla una fiammella. Capendo all'istante di cosa si trattava, Maryse mise una mano nel fuoco, che però non la scottò, e ne tirò fuori un biglietto piegato in quattro. Era un messaggio col fuoco: il mezzo di comunicazione più rapido ed efficace tra gli Shadowhunters. Lo aprì e iniziò a leggere. 

''Mia cara Maryse, 
ti scrivo questo messaggio per avvisarti che domani sera sarò a casa. Avrei voluto tornare prima, ma, come già sai, alcuni impegni mi hanno trattenuto ad Alicante per più tempo del previsto. Ho saputo ciò che sta combinando Jonathan Morgenstern (sappiamo entrambi che a Idris le informazioni si diffondono in fretta). Non vedo l'ora di rivedere te e i nostri ragazzi. Aspettami per l'ora di cena.
Un bacio, 
Robert''

Il biglietto prese fuoco e si trasformò in cenere non appena la donna lo ebbe appoggiato sul tavolo.
Fece un sospiro di sollievo: suo marito sarebbe tornato l'indomani e non sarebbe più stata sola. Sì, perchè da quando Max -il suo bambino, il minore dei suoi figli - era morto, Maryse si sentiva davvero sola. I suoi figli erano grandi ormai, sapevano prendersi cura di sè stessi e andavano da lei solo quando avevano bisogno di qualcosa. Non aveva più nessuno a cui leggere una storia, cantare la canzone della buonanotte, o rimboccare le coperte la sera. 
La porta della cucina si aprì e sua figlia entrò nella stanza. 
-Mamma, cosa ci fai ancora alzata? E' tardi, pensavo fossi andata a letto. - disse Isabelle, dirigendosi verso il lavandino, per sciacquare una spada angelica sporca di icore demoniaco. 
-Non riuscivo a dormire, così ho cercato di prepararmi una pozione per prendere sonno. - spiegò la madre di Isabelle, abbassando lo sguardo sull'intruglio mal riuscito.  -Poco fa ho ricevuto un messaggio da tuo padre. Ha detto che sarebbe tornato domani. - 
-Finalmente! Stavo iniziando a pensare che si fosse dimenticato di noi. - disse la figlia, con un tono sarcastico.
-Non dire queste cose, Isabelle. Sai che tuo padre è stato molto impegnato ultimamente. - 
Isabelle asciugò la spada con uno straccio. -Impegnato a fare cosa? A cercare di diventare il nuovo Inquisitore senza nemmeno avvisare noi, la sua famiglia? - 
Maryse, per una volta, taque. Non riusciva a trovare una risposta a quella domanda, o meglio, a quell'affermazione. Sapeva che in fondo sua figlia aveva ragione, soltanto che non voleva ammeterlo nemmeno a sè stessa.

Qualche ora prima..
Alec si trovava davanti all'edificio di mattoni rossi in cui aveva trascorso così tanto tempo, nell'ultimo periodo, che gli era diventato familiare quasi quanto l'Istituto. Raggiunse la grande porta di metallo, accanto alla quale c'era una serie di campanelli. Alec si ricordò, con un velo di tristezza, di non avere più le chiavi per l'appartamento. Quando Magnus l'aveva lasciato, gli aveva chiesto di lasciarle nel suo loft. Premette quindi il campanello con su scritto ''BANE''. Aspettò un attimo. Non ci fu risposta. Dopo qualche istante suonò di nuovo, con più insistenza. Silenzio. 
Alec perse la pazienza e decise che avrebbe utilizzato una runa di apertura. Tirò fuori lo stilo dalla tasca dei pantaloni di cuoio e iniziò a tracciare la runa, mentre lo stilo si riscaldava al suo tocco. Poco dopo, la porta si spalancò e il Nephilim entrò. Salì i gradini due a due, colto da uno strano nervosismo. 
Arrivato al terzo piano, sgranò gli occhi nel vedere che la porta dell'appartamento di Magnus era stata letteralmente staccata dai cardini.
Cos'era successo? C'era forse stata una rapina? Ma chi avrebbe mai derubato il Sommo Stregone di Brooklyn? 
Alec entrò nell'appartamento, con il cuore in gola. Si fermò ad esaminare la porta che era stata buttata giù e..sussultò. 
Sul legno di frassino era tracciato uno strano marchio color sangue. Non era una delle aggraziate rune angeliche dei Nephilim. Si trattava di una runa demoniaca, ne era certo. Probabilmente una runa di apertura.
Ad un tratto, gli tornarono in mente le parole del messaggio di Catarina Loss. 
''Sebastian sta cercando una potente Strega o uno Stregone da cui prelevare il sangue e iniettarselo nelle vene''.
Il cuore di Alec si strinse in una morsa, togliendogli il fiato. Erano stati gli uomini di Sebastian a rapire Magnus, non ci voleva un genio a capirlo.
Si diede mentalmente dello stupido per non esserci arrivato prima. Cadde in ginocchio, cercando di riprendere fiato, mentre il cuore gli batteva talmente forte contro la gabbia toracica, che sembrava voler scappare via. 
Fece un respiro profondo e si alzò in piedi, avviandosi verso la camera da letto dello Stregone. Fu sconvolto nel vedere che la stanza era stata messa sottosopra. Magnus non era un fanatico dell'ordine, certo, ma in quel momento regnava il caos più totale. I numerosi libri erano stati buttati giù dagli scaffali ed erano sparsi sul pavimento. Le ante dei cassetti, e perfino quelle dell'armadio, erano spalancate. 
Era evidente che avevano cercato un libro, ma quale? 
Ad un tratto intravide l'ombra di una figura avvicinarsi silenziosamente alla stanza. Si trattava per caso di un altro degli uomini di Sebastian che aveva usato una runa del silenzio ed era lì per ucciderlo? Il Cacciatore sfilò un pugnale dalla pesante cintura di cuoio.
-Chiunque tu sia, esci fuori e combatti! - disse Alec, cercando di parlare con un tono minaccioso. Poi la porta si aprì e davanti al Nephilim comparve...
il Presidente Miao. 
La povera bestiolina lo guardava come se fosse uno psicopatico. Alec fece un sospiro di sollievo e ritirò l'arma, avvicinandosi al gatto.
-Presidente! Che spavento mi hai fatto prendere. - vedendo che il ragazzo aveva ritirato il pugnale, il gatto si lasciò accarezzare. 
-Non puoi rimanere qui da solo, ti porto con me all'Istituto. - disse, some se l'animale potesse capirlo. -E poi andiamo a salvare Magnus. - 
Salvare, sì. Perchè il Nephilim se lo sentiva che lo Stregone, nonostante tutto, fosse ancora vivo e avesse bisogno di lui.
Alec decise che non sarebbe rimasto in quell'appartamento un altro istante. Prese in mano il Presidente, piccolo come un criceto, e uscì dal loft. 
Decise che non sarebbe tornato a casa subito, aveva bisogno di un po' di tempo per riflettere e decidere in che modo intervenire. Avrebbe girovagato per Manhattan per qualche ora. Infondo, è da una settimana che non metteva piede fuori dalle quattro mura dell'Istituto, un po' d'aria fresca non gli avrebbe fatto male. 

-Mi hai portato ciò che ti avevo chiesto, Highfall? - la voce dell'uomo era piatta, familiare.
- Sono m-mortificato, ma n-non sono riuscito a trovarlo, mio S-Signore. L'abbiamo cercato per più di un'ora, ma non siamo riusciti a trova-
-Come sarebbe a dire non siete riusciti a trovarlo?! - ringhiò il primo. -Vi avevo affidato un incarico così facile che avrebbe potuto svolgerlo persino un neonato, con i vostri poteri! - 
Magnus sentiva quelle voci che sembravano così lontane e così vicine allo stesso tempo. Ma cosa stava succedendo? Chi erano quegli uomini? E perchè non riusciva ad aprire gli occhi? Questo non lo sapeva. Tutto ciò che sapeva era che si trovava in un posto freddo e umido, sdraiato su una superficie liscia, che le sue mani erano legate dietro la schiena con qualcosa che sembrava sul punto di lacerargli la carne. Era consapevole del fatto che ci fosse una fonte di illuminazione nella stanza, poteva intravedere la luce attraverso le palpebre chiuse. Cercò di parlare, o meglio di gridare, ma dalla sua gola non uscì alcun suono. Si sentiva debole, molto debole.
-Vi prometto che rimedierò, mio Signore. Tornerò nella casa dello Stregone e troverò il libro. Non vi deluderò una seconda volta. 
-In effetti non ti conviene farlo, Highfall. Perchè se lo farai, non sarò più così comprensivo.
-Ma certo, mio Signore. Sarete soddisfatto di me quando..
Magnus non riuscì a sentire il resto della frase. Nonostante i suoi tentativi di rimanere sveglio e sentire il resto della conversazione, fu sconfitto dal sonno, che ancora una volta ebbe il sopravvento su di lui. 

Alec girò la chiave nella toppa ed entrò nell'Istituto. Fu accolto da un piacevole calore e si tolse gli stivali e la sciarpa. Dopo di che, lasciò il gatto sul tappeto e si avviò verso la Biblioteca, dalla quale, con sua sorpresa, sentiva le voci di sua madre e sua sorella. Il ragazzo fu più che contento di sapere che erano sveglie, doveva assolutamente parlare con Maryse di ciò che era successo. Nel corridoio incontrò Jace, che indossava un paio di jeans e una una camicia firmata. Probabilmente era tornato da poco. 
Il biondo, vedendo l'amico pallido come un fantasma, gli andò incontro.
-Alec! Ti ho cercato oggi pomeriggio. Potevi almeno avvisare che saresti uscito - disse.
 Il moro avvertì che c'era una punta di preoccupazione nella sua voce. 
-Jace, devo dirvi cos'è successo oggi pomeriggio, ciò che ho visto è..-
Alec stava parlando troppo in fretta, e mentre parlava Jace notò che gli tremavano le mani. 
-Alec, calmati. Qualunque cosa sia successa, adesso andiamo in Biblioteca e ne parliamo con calma con Maryse. Sono sicuro che riusciremo a risolvere la questione. Il moro annuì con poca convinzione, si tolse la cintura alla quale erano appese le armi e seguì l'amico in Biblioteca.
Quando Maryse e Isabelle, che erano nel bel mezzo di una conversazione, si accorsero della presenza dei due ragazzi, si voltarono contemporaneamente verso di loro. 
-Jace, quando sei tornato? Non ti ho sentito entrare - disse Isabelle, andando verso il biondo. 
Maryse non gli lasciò il tempo di rispondere e, notando l'espressione affranta di Alec, si rivolse al figlio.
-Alexander, per l'Angelo! Sembra che tu sia tornato da uno scontro con un demone Superiore! - la donna si avvicinò al figlio, posandogli affettuosamente una mano sulla guancia arrossata per il freddo. -Si può sapere cos'è successo? - 
-Mamma, per favore. Non è il momento. - disse il primogenito dei Lightwood, togliendo la mano della madre dalla propria guancia con gentilezza.
-Sono stato a casa di Magnus oggi pomeriggio - iniziò il Nephilim, dopo aver preso un profondo respiro. -La porta dell'appartamento è stata buttata giù con una runa di apertura demoniaca. - 
-Cosa? Com'è possibile? - chiese Isabelle, spalancando i suoi occhi scuri. 
-E'sicuramente opera di Sebastian - disse Jace, con una certa quantità di odio nel pronunciare quel nome. 
Il viso di Maryse si fece improvvisamente pallido. -Allora fa sul serio. - 
-Lui fa sempre sul serio. - commentò Isabelle. 
-Mamma, dobbiamo salvarlo, non c'è tempo da perdere! - Il tono Alec era implorante. 
-Lo so, Alexander, lo so. Ma è l'una meno un quarto di notte- disse Maryse, lanciando un'occhiata all'orologio da polso - e non abbiamo alcun indizio che ci aiuti a capire dove si trovi Sebastian. Di certo non possiamo andare a cercarlo ora, non credi? - 
Dopo un attimo di silenzio, Alec parlò. -Hai detto che avresti convocato il Conclave.. - 
-E lo farò - lo interruppe sua madre. -Li chiamerò domani stesso. Ma ora, tutti a letto. - 

Isabelle fu svegliata dal suono del campanello dell'Istituto. Chi osava disturbare i Lighwood alle sette del mattino?
Protese pigramente un braccio verso il suo malconcio telefono rosa, per controllare l'ora, e fu sorpresa di scoprire che erano quasi le dieci e mezza. 
Il campanello suonò di nuovo e la ragazza rimase un attimo in attesa che qualcuno andasse ad aprire. Quando non sentì il rumore dei passi, sbuffò, dirigendosi verso la porta per vedere di chi si trattava. Di solito non ricevevano visite di sabato.
-Devo sempre fare tutto io - borbottò, mentre camminava a piedi nudi lungo il corridoio.
Poi aprì la porta. Davanti a lei c'era una ragazza alta quanto Clary. I suoi lunghi capelli biondo cenere erano raccolti in una treccia a lisca di pesce. 
Aveva la pelle chiara e i suoi occhi erano di un colore inverosimile. Erano viola. Senza sfumature azzurre o verdi, ma completamente viola. Isabelle pensò che probabilmente portava le lenti. Poi guardò attentamente il suo viso. La fronte e gli zigomi alti, le labbra sottili, il viso ovale.. i tratti di quella ragazza le erano stranamente familiari. Sul suo collo erano ben visibili la runa di blocco e quella dell'agilità. 
Poi lo notò. 
Ai piedi della ragazza c'era un vecchio trolley nero, che aveva l'aria di essere pieno. 
-Ciao, posso esserti d'aiuto? - chiese Isabelle.
-Sì. Sono Taylor Lightwood, non ho un posto dove andare e chiedo di essere ospitata all'Istituto. - 


ANGOLINO DELL'AUTRICE
Eccomi di nuovo qui, con il terzo capitolo :')) devo ammettere che mi piace com'è venuto, in particolare amo il finale *risata malefica*.
Il titolo non è il massimo, ma non sono brava a inventare titoli, siate comprensive. Intanto che il sito si decide a lasciarmi cambiare il nick, sto preparando il prossimo capitolo :) chi sarà Taylor? e che ruolo avrà nella storia? Lo scoprirete soon.
-Simo

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Sogni premonitori ***


Isabelle sgranò gli occhi. La ragazza che aveva davanti aveva appena detto di essere una Lightwood. Ma com'era possibile? Suo padre era figlio unico, sua madre aveva avuto un fratello che però era morto in una battaglia contro i demoni prima che Isabelle fosse nata. Inoltre, non aveva avuto dei figli: era morto a soli diciott'anni. Di conseguenza, lei non aveva cugini. 
-Una Lightwood..? - chiede Isabelle, alzando un sopracciglio.
-Sono la figlia di Annamarie Highsmith e Robert Lightwood. - confessò la ragazza, con un leggero accento francese.
Isabelle sentì il suo cuore fermarsi. Rimase immobile a fissare Taylor per quella che le sembrò un'eternità. Era consapevole di essere diventata pallida come un lenzuolo, ma in quel momento non le importava. Un ricordo risalente a circa una settimana prima, apparì chiaro e limpido come l'acqua nella sua mente. 

-Dimmelo - aveva ordinato Isabelle a Joselyn, mentre erano di ritorno dalla città di Diamante. 
-Dirti cosa? - le aveva chiesto la donna, non capendo a cosa si riferisse la ragazza.
-Chi era. Chi era la persona con cui mio padre ha avuto una relazione. Tu non capisci: ogni volta che vedo una donna dell’età di mia madre, mi chiedo se è lei. La sorella di Luke. Il Console. Tu…
-Annamarie Highsmith. - aveva confessato infine Joselyn. -È morta nell’attacco di Valentine ad Alicante. Dubito che tu l’abbia mai incontrata. -

Isabelle ci mise qualche istante per realizzare di avere di fronte la figlia che suo padre aveva avuto con un'altra donna. Con una perfetta sconosciuta che aveva frequentato mentre era da tempo sposato con sua madre, che all'epoca era incinta di lei. Ma Maryse non le aveva mai detto che suo padre aveva un'altra figlia. Glielo aveva tenuto nascosto per non ferirla più di quanto non avesse già fatto, con quella notizia? O forse suo padre non gliel'aveva mai detto? I suoi pensieri furono interrotti dalla voce di Taylor, che era visibilmente a disagio nel vedere la sorellastra immobile come una statua.
-Isabelle..per favore, dì qualcosa. Qualsiasi cosa. Senti, mi dispiace di essermi improvvisamente presentata di fronte a casa tua, di sabato mattina, e di averti appena rivelato che..-
-Ti dispiace?! - la interruppe bruscamente l'altra. -Hai idea di come io mi senta, dopo questa rivelazione? Hai idea di come possa sentirmi, dopo aver scoperto che mio padre non solo è stato con un'altra donna mentre mia madre portava me in grembo, ma ha pure avuto una figlia illegittima con quella donna? Una figlia della quale io non sapevo assolutamente niente, fino a questo momento?! - Isabelle cercò di abbassare il tono di voce, per non svegliare il resto della sua famiglia, ma era difficile non urlare, in quel momento. 
La ragazza minuta che aveva di fronte sembrava sull'orlo del pianto. 
-Ti prego - mormorò con voce spezzata -dammi un'ora. Un'ora per ascoltare ciò che ho da dirti, per spiegarti cosa ci faccio qui, per farti cambiare l'orribile prima impressione che ti sei appena fatta di me. - La ragazza fece una pausa, guardandosi le scarpe. Sapeva che se avesse alzato lo sguardo, non sarebbe riuscita a sopportare quello di Isabelle su di se. -So che adesso vorresti solo che io sparisca dalla tua vista. Vorresti dimenticare di avermi conosciuta e non vedermi mai più. Ma se dopo quest'ora non riuscissi a farti cambiare almeno parzialmente opinione su di me, allora me ne andrò. E non ti disturberò più. - Taylor prese coraggio e alzò lo sguardo verso la sorellastra. Con sorpresa, notò che Isabelle non la stava più guardando con disprezzo. I suoi occhi ora erano seri e inespressivi, ma non più pieni d'odio. 
-Va bene - disse la mora, dopo quella che all'altra ragazza sembrò un'eternità. -Ti concedo quest'ora, solo perchè non vedo l'ora di vederti sparire dalla mia vista. - Gli occhi di Taylor si accesero di speranza. Lo avrebbe fatto. Avrebbe fatto cambiare idea ad Isabelle Lightwood in quei sessanta minuti. 
-Ti ringrazio, non ti farò perdere tempo. Lo prometto. - 
-Vieni, andiamo a fare un giro nel vicinato, non vorrei che qualcuno della mia famiglia ti vedesse. - disse la mora, ignorando ciò che aveva appena detto l'altra. 

Magnus si guardò intorno. Attorno a se riusciva a vedere solo alberi fitti e spogli, talmente alti che sembravano perforare il cielo completamente nero. Lo Stregone alzò lo sguardo, sperando di vedere la luna o le stelle, ma non trovò nessuna fonte di illuminazione in cielo. Sembrava che i corpi celesti fossero stati inghiottiti dal buio. Cercò di non farsi prendere dal panico: sicuramente c'era una via d'uscita da quel posto così inospitale. La foresta in cui si trovava era avvolta da un silenzio inquietante. Magnus non riusciva a sentire niente, a parte il rumore dei suoi passi, mentre cercava disperatamente di trovare una via d'uscita. Ad un certo punto si fermò, spalancando gli occhi per la sorpresa. A qualche metro di distanza da lui c'era una figura che emanava un intenso bagliore bianco, talmente forte da coprire il volto dello sconosciuto. Dalla sua schiena spuntavano due grosse ali, le cui piume erano color oro e argento. Magnus ne era certo, quello era un angelo.
Cosa stava succedendo? Era morto? Gli uomini che lo avevano rapito lo avevano ucciso e ora si trovava in Paradiso? Ma com'era possibile che il Paradiso fosse un luogo così inospitale?
L'angelo fece qualche altro passo verso di lui, poi si fermò e il bagliore che lo circondava diminuì gradualmente, scoprendo i suoi luminosi occhi color zaffiro. Fu allora che Magnus lo riconobbe: quello era Alec.
-Alexander! - esclamò il figlio di Lilith, cercando di correre verso il ragazzo. Ma, con suo stupore, notò che le sue gambe non gli volevano ubbidire.
-Magnus - disse l'angelo. La sua voce familiare uscì dalle sue labbra in un sussurro. -Vieni da me. - Il ragazzo gli protese una mano, con il volto colmo di speranza. 
Magnus cercò di allungare un braccio verso di lui, ma sembrava che anche quello si fosse paralizzato. Perchè il suo corpo non voleva rispondere alla sua mente? 
-Magnus, ti prego, afferra la mia mano. Non c'è tempo. - la voce di Alec era implorante. 
Lo Stregone fece un ultimo disperato tentativo di avvicinarsi al ragazzo, di prendere la sua mano, ma anche questa volta fallì miseramente.
-Alec, non ci riesco. - Percepì la disperazione nella sua stessa voce. Il ragazzo che amava era di fronte a lui e gli chiedeva di seguirlo e lui se ne stava imbambolato a fissarlo con adorazione, senza riuscire a muovere nemmeno un dito. Imprecò ad alta voce, dal momento che non poteva fare nient'altro.
-Non c'è tempo. - ripetè il ragazzo-angelo, con un'espressione ferita in volto. La luce che fino a poco prima riempiva i suoi occhi sparì e il bagliore che lo avvolgeva si intensificò di nuovo. Poi l'angelo si trasformò in un raggio di luce e salì in cielo, scomparendo dalla vista di Magnus.

-Stai..stai dicendo sul serio? - Isabelle guardava la sorellastra con incredulità.
-Mentire non è mai stato il mio forte. - replicò la bionda, regalando all'altra un sorriso amaro.
-Come faccio a sapere che non stai mentendo? - chiese la Nephilim, scrutando attentamente la ragazza con cui stava parlando.
-Hai detto che tuo..che nostro padre - si corresse - sarebbe tornato stasera. Chiedigli di raccontarvi tutta la storia davanti a me, dubito che avrà il coraggio di mentire.
-Senti.. ho ascoltato attentamente ciò che mi hai raccontato e quello che mi hai detto mi ha colpita. Non sto dicendo che d'ora in poi mi fiderò di te, ma voglio almeno fare un tentativo, voglio provare a conoscerti. - disse Isabelle, grattando via lo smalto rosso da un'unghia. 
-Tuttavia - proseguì -dubito che mia madre e i miei fratelli la prenderanno così bene. Maryse sarà furiosa. Sei davvero sicura di volerli conoscere? E se per caso..- 
-Isabelle - la interruppe l'altra -ho pianificato tutto questo da tempo. Ho pagato uno Stregone per farmi arrivare qui con un portale. Non avendo mai visto l'Istituto con i miei occhi, al momento del viaggio con il portale ho visualizzato un'immagine di New York, una di quelle che compaiono sulle cartoline, hai presente? - Isabelle fece per rispondere, ma Taylor non le lasciò tempo. - Non avevo idea di dove si trovasse l'Istituto. Ho camminato per ore e ho cercato di capire quale dei tanti imponenti edifici della città fosse quello che cercavo. - 
La mora la guardava in modo strano. Nel suo sguardo c'era per caso..apprensione? 
-E ora che finalmente vi ho trovati, non me ne andrò tanto facilmente. Casa mia è stata distrutta durante l'attacco di Valentine. Come ti ho già detto, dopo che mia madre è morta, ho vissuto a casa di mia zia, la mia unica parente da parte di mia madre. Ma un mese dopo lei morta. Si è tolta la vita, non riuscendo a sopportare il fatto che tutte le persone che le erano care fossero state uccise. E io non avevo nessun'altro da cui andare. - 
Isabelle poteva notare il dolore negli occhi della sorellastra e si sentì in colpa per essere stata così sgarbata con lei all'inizio. 
-Va bene, allora. - La Cacciatrice fece un respiro profondo -Entriamo dentro, che i presento alla mia famiglia. Qui fuori si gela. 

Non c'è tempo. Quelle tre parole gli risuonavano nella mente come se fossero state pronunciate un centinaio di volte, una dopo l'altra.
Magnus fu svegliato dal rumore di una pesante porta di metallo che di si apriva e dal suono di passi che si avvicinavano a lui. 
Quindi la foresta oscura, l'angelo.. era tutto un sogno? Per quanto tempo era rimasto senza sensi? Un giorno? Due? O forse solo qualche ora? 
Inizialmente fu contento accorgendosi di essere riuscito ad aprire gli occhi. Ma la felicità durò solo qualche istante. Con orrore, si accorse di trovarsi al centro di una gabbia le cui pareti erano fatte di un intenso e quasi accecante bagliore bianco. Si guardò attorno e vide quattro spade conficcate in corrispondenza dei quattro punti cardinali, che univano tra loro le pareti di luce. L'oggetto che gli cingeva le mani dietro la schiena gli provocava dolori atroci nei polsi. 
-Magnus Bane. Ti sei svegliato, finalmente. - la voce vagamente divertita attirò la sua attenzione. Magnus alzò lo sguardo, sapendo già chi avrebbe visto. 
In piedi, davanti a lui, c'era Sebastian. Lo Stregone non lo vedeva chiaramente, i suoi lineamenti erano sfocati, da dietro la parete di luce.
-Morgenstern. - pronunciò quel nome come se fosse veleno. 
-Il sonnellino è stato di tuo gradimento? - chiese il ragazzo coi capelli bianchi, senza essere davvero interessato alla risposta.
-Puoi spiegarmi che diavolo ci faccio qui? - sbottò l'altro.
-Vedo che vai al sodo, Stregone, e mi sembra giusto che tu riceva spiegazioni. - Mentre parlava, Sebastian camminava nervosamente avanti e indietro.
-Sei qui per tre motivi, tutti collegati l'uno all'altro. - Il giovane fece una pausa, mentre Magnus lo guardava con impazienza. 
-Inanzitutto, ti ho fatto portare qui perchè ho bisogno del tuo sangue. Mi serviva il sangue di un potente figlio di Lilith, al fine di potermelo iniettare e assorbire il tuo potere. - 
-E sentiamo un po', perchè mai vuoi i miei poteri? - chiese Magnus in tono gelido. 
-Bella domanda. - Sebastian ridacchiò -Voglio compiere un incantesimo. Un potente incantesimo su una persona che dev'essere mia o di nessun altro. 
Ti chiederai perchè non ho semplicemente pagato uno Stregone per farlo al posto mio, ma la triste verità è che non c'è nessun figlio di Lilith disposto ad aiutarmi, nemmeno in cambio di una più che modesta somma di denaro. Questo perchè tutti pensano che io sia come mio padre, che il mio obiettivo sia quello di massacrare i Nascosti. Di conseguenza hanno paura di me. Quindi, ahimè - allargò le braccia in modo teatrale -mi tocca farlo da solo. - 
-Qual'è il terzo motivo? - Chiese il figlio di Lilith, cercando di non mostrare troppo la paura che era sicuramente evidente nei suoi occhi felini.
-Il Libro Bianco. Quel libro è indispensabile per aiutarmi a compiere l'incantesimo. So che tu, Stregone, non lo faresti nemmeno se minacciato a morte, quindi posso fare affidamento solo su me stesso. Quell' ingenua di mia sorella te l'ha consegnato ad Alicante, senza nemmeno sapere ciò che stava facendo. Ho bisogno di quel Libro per per fare un incantesimo su Clarissa, voglio che lei sia mia per sempre. E lo troverò. In un modo o nell'altro, lo troverò. -
A quelle parole Magnus fece una smorfia d'orrore. -Ti serve un'incantesimo per far innamorare Clary di te!? Ma è tua sorella, è assurdo! -
-Cosa ci sarebbe di tanto assurdo? Tu, figlio di demone, te la sei spassata con un Nephilim, un prescelto dall'Angelo e per di più un maschio. - Sebastian pronunciò le ultime due parole con una smorfia disgustata. - Le rune demoniache di cui disponiamo ora non comprendono una runa dell'amore e della fedeltà. Le rune di possessione sono efficaci, ma non permanenti. Mi è giunta voce che oggi Maryse Lightwood abbia convocato il Conclave per una riunione che si terrà domani, all'Istituto. È il momento ideale per fare la mia apparizione e annunciare che, se entro una settimana non mi avranno consegnato Clarissa, io ti ucciderò. -
Magnus rise amaramente.  -Credi davvero che baratterebbero Clarissa con me? Lei ha un sacco di persone che le vogliono bene e che farebbero di tutto per lei ma io.. io non ho nessuno. -
-Fossi in te, non ne sarei tanto sicuro. - Disse Sebastian. Dopo di che, si voltò e se ne andò via, lasciando Magnus solo nella sua prigione.

ANGOLINO DELL'AUTRICE
è lungo, perdonatemi. Non parlato di Alec solo perchè altrimenti il capitolo sarebbe venuto ancora più lungo, ma rimedierò nel prossimo capitolo, giuro. La battaglia per salvare Magnus si sta avvicinando.. :)
-Simo 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** La nuova arrivata ***


Alec era seduto al grande tavolo rotondo, in cucina, e stava girando da ormai cinque minuti il cucchiaino nella sua tazza di caffèlatte ancora piena.
Aveva fatto uno strano sogno, quella notte, e stava ancora cercando di capirne il significato. 

Si trovava in cielo, in mezzo a decine di angeli dalle ali dorate. Attorno a se vedeva gli imponenti castelli abitati dai simili di Raziel, che si innalzavano in tutta la loro maestosità nel cielo sconfinato. Sembravano i castelli delle fiabe che i mondani raccontavano ai loro bambini, aveva pensato Alec, ma erano fatti di adamas. Fiumi di fuoco celeste, simile a lava azzurra, serpeggiavano tra i castelli, estendendosi all'infinito. 
Il ragazzo si era guardato attorno, nel tentativo di riconoscere qualche volto familiare e, quando finalmente aveva trovato la sua famiglia e i suoi amici, nessuno di loro sembrava accorgersi della sua presenza. Jace e Clary ridevano e ballavano al ritmo di una melodia che sembrava provenire dal nulla. Entrambi avevano un paio d'ali, come quelle degli altri angeli, che spuntavano dalle scapole. Alec chiamò più volte Jace, cercando di attirare la sua attenzione, ma i suoi occhi sembravano vedere solo Clary, sentire solo la sua voce, avvertire solo la sua presenza. Poco più in là vide Isabelle, con le stesse ali angeliche, ballare con Simon, che invece le ali non le aveva, ma sembrava comunque felice e spensierato in compagnia della ragazza. C'erano pure Jordan e Maia, che si rincorrevano zigzagando tra i castelli, ridendo come dei bambini. Nessuno lo aveva degnato di uno sguardo. Alec abbassò lo sguardo e gli mancò il fiato nel vedere i grattacieli di New York dall'alto. Più in la c'era Brooklyn, rappresentata dal suo magnifico ponte. Lo sguardo del ragazzo si soffermò su un edificio di mattoni rossi, che aveva un aria così familiare.. Alec si accorse di provare l'assurdo desiderio di tornare sulla terra e ciò che più lo preoccupava era il fatto di non sapere il perchè. Era in paradiso, tra magnifici angeli danzanti, lontano dai demoni contro i quali aveva combattuto tutta la vita, dal sangue, dalle guerre, da ogni forma di dolore. Eppure non era felice, lassù. Sentiva che gli mancava qualcosa, che una parte di lui era rimasta sulla terra e che non poteva fare a meno di essa. Era come se un'enorme mano invisibile stesse cercando di trascinarlo giù, verso il basso..
 
-Alexander! - Il Nephilim alzò lo sguardo dal caffèlatte che si ormai raffreddato e si accorse dei due sguardi puntati su di lui, che sembravano attendere una risposta. -È la terza volta che ti chiamo - Maryse era in piedi davanti ai fornelli, con i capelli raccolti in uno chignon ordinato e un piatto di pancake fumanti in una mano -Vuoi degnarmi almeno di una risposta? - 
Sentì Jace ridacchiare, mentre addentava il terzo pancake che aveva nel piatto. 
-Scusa, mamma. Stavo pensando ad una cosa e.. non ho sentito ciò che hai detto. - si scusò Alec, arrossendo leggermente.
Maryse alzò gli occhi al cielo -Ultimamente sei sempre immerso nei tuoi pensieri. Sono proprio curiosa di sapere cosa frulla nella tua testa. - 
Alec abbassò nuovamente lo sguardo sulla sua tazza -Beh, ecco.. in realtà io.. - 
-Non importa, lascia perdere. - Disse sua madre, rassegnata -Comunque, ti ho chiesto se volevi un pancake. Ultimamente mangi poco e niente, sto iniziando a preoccuparmi. Sei per caso malato? Devo chiamare i Fratelli a venire a farti una visita o.. -
-Mamma - la interruppe il figlio -sto bene. Non ho fame, ma stai tranquilla. Non sono malato, non devi preoccuparti. -
-Se Alec non ha fame, lo mangio io il suo pancake - propose Jace, entusiasta. 
Alec abbozzò un sorriso divertito. A volte si dimenticava del fatto che suo fratello poteva mangiare come un maiale, senza mettere su un grammo.
Dopo un attimo di esitazione, Maryse staccò gli occhi dal figlio. -E va bene. Ma finita la colazione, dovete aiutarmi a sparecchiare. - Disse la donna, mettendo il pancake nel piatto del biondo. 
-A proposito, dov'è Izzy? - chiese Jace, parlando mentre masticava.
-Probabilmente è ancora a letto. - Rispose il moro -Era stanca, ieri sera. Dopo l'appuntamento col vampiro si è imbattuta in un demone Fame e l'ha fatto a pezzi. -
Il suo parabatai fece una smorfia di disgusto. -Luride creature, i Fame. Inghiottono tutto ciò che incontrano sul loro cammino. -
Mentre Alec stava per replicare, la porta della cucina si aprì ed entrò Isabelle, seguita da una ragazza minuta, bionda, con due grandi occhi viola. Se non gli piacessero i ragazzi, Alec pensò che probabilmente l'avrebbe trovata carina. 
Ma chi era quella sconosciuta? E cosa ci faceva a casa loro di sabato mattina? Jace e Maryse si voltarono verso di lei, con uno sguardo interrogativo.
-Vedo che abbiamo un'ospite - disse la madre dei tre fratelli, con un sorriso cortese sulle labbra.
Vedendo che Taylor stava leggermente tremando, Isabelle le appoggiò una mano sulla spalla, in segno d'incoraggiamento. 
-Salve, signora Lightwood. Mi chiamo Taylor - disse la bionda, dopo aver preso il coraggio di parlare -Taylor Lightwood. Vi chiedo di ospitarmi qui, all'Istituto, per un certo periodo. Non ho nessun altro posto dove andare. - 

Venti minuti dopo..

-Mamma? Mamma, stai bene? - Isabelle era inginocchiata di fronte alla madre, seduta su uno sgabello in cucina. 
Man mano che Taylor andava avanti con il suo racconto, la donna era diventata sempre più pallida, fino ad assumere l'espressione di chi ha visto un fantasma.
-No, non sto bene. Non sto affatto bene - la donna si coprì il volto con le mani, come per cercare di nascondere ai suoi figli la sua angoscia.
Jace e Alec, scioccati, spostavano lo sguardo dalla madre alla nuova arrivata e poi viceversa. Taylor se ne stava in un angolino, giocherellando nervosamente con l'anello che portava al dito. Forse era stato tutto uno sbaglio. Forse non sarebbe mai dovuta andare a New York a cercare di farsi accogliere all'Istituto da persone che la odiavano ancor prima di averla conosciuta. Ma cos'altro avrebbe potuto fare, nella situazione in cui si trovava?
-Ti senti male? - chiese la figlia, in tono allarmato. -Vuoi che vada a prendere la cassetta con le medicine? Se vuoi posso..-
-Isabelle, sto bene.. fisicamente. - la interruppe Maryse, spazientita.  -Non posso credere a ciò che ho appena sentito. Non posso credere che mio marito abbia avuto una figlia con quella.. - si morse la lingua, lasciando la frase in sospeso. Non voleva dire parolacce davanti ai suoi figli. Lei avrebbe dovuto essere un esempio per loro.
-Perchè non ce l'hai mai detto? Perchè non ci hai mai detto che Robert ti ha tradita?- chiese Jace, alzandosi dallo sgabello -Io e Izzy abbiamo sedici anni, Alec ne ha diciotto. Non pensi che siamo abbastanza grandi per saperlo? - 
Alec spostò lo sguardo sulla sorella, che sembrava particolarmente interessata alle proprie pantofole e, vedendo che lei era l'unica a non sembrare sconvolta da quella notizia, si alzò bruscamente dallo sgabello. 
-Isabelle! Tu lo sapevi. Tu sapevi che papà ha tradito mamma e non ci hai mai detto niente! Come hai potuto?! - 
-Sentite, mi dispiace. - Disse infine Isabelle -La mamma mi aveva chiesto di non dirvi niente, e non volevo disubbidirle. E anche se ve lo avessi detto, cosa sarebbe cambiato? Avrebbe solo peggiorato le cose. -
-E tu pensavi che la verità non sarebbe venuta a galla prima poi? - Chiese Jace, alzando la voce.
-Basta così. - Il tono di Maryse non accettava repliche. -Se non ve l'ho mai detto era solo per il vostro bene.Non volevo causarvi ulteriori preoccupazioni. -
-Sentite, ho capito di non essere gradita qui. - Disse infine Taylor, che si era evidentemente stancata di quella discussione. -Ora prendo le mie cose e me ne vado. Non era mia intenzione farvi litigare, vi porgo le mie scuse. Volevo solo avere un posto in cui essere ospitata finchè non avrei trovato un altro alloggio e sono venuta qui perchè desideravo conoscere i miei fratelli. Ma non importa, ora me ne vado. - la bionda si incamminò verso l'attaccapanni, per prendere il suo cappotto. 
-Aspetta - la fermò Maryse, facendola voltare verso di lei -non posso semplicemente cacciarti via da qui. Per legge, l'Istituto deve offrire asilo a tutti i Nephilim in difficoltà o che non hanno un posto dove andare. -
-Vuoi dire che rimane qui, con noi? - Alec guardava sua madre come se fosse pazza. 
-Siamo tenuti ad ospitarla, Alexander. Non abbiamo altra scelta. Avere problemi con il Conclave, in questo momento, è l'ultimo dei miei desideri. -
Per qualche secondo, nella cucina calò un silenzio imbarazzante. Fu Taylor a parlare per prima. 
-Non voglio essere un peso per voi, e vi prometto che non lo sarò. In cambio della vostra ospitalità vi offro il mio aiuto. So che vi state preparando per affrontare Jonathan Morgenstern. Io ero presente, quella notte, nella pianura di Brocelind, quando Valentine ha mandato il suo esercito di demoni contro i gli Shadowhunters. Ho ucciso una decina di demoni in quella battaglia, ma non sono riuscita a salvare mia madre. - la voce di Taylor si spezzò, nel pronunciare le ultime parole. 
I Lightwood ora erano tutti in piedi e la stavano guardando in attesa che proseguisse.
-So che il figlio di Valentine è molto simile a lui. Forse non ha lo stesso obiettivo, ma è altrettanto determinato e spietato.Lasciate che vi aiuti contro di lui.-
Jace rise. -Pensi davvero di esserci d'aiuto? Per tua informazione, biondina, io sono uno dei migliori Shadowhunters sulla faccia della terra. Isabelle è altrettanto brava e in più abbiamo a disposizione tutti i membri del Conclave..-
-Non essere sgarbato, Jace. Non ci si rivolge così a una ragazza, dovresti saperlo. -Disse Maryse, più per educazione che per altro.
-Io non metterei in dubbio le mie capacità senza ancora aver visto ciò che so fare, Jace Herondale. - Taylor stava guardando il biondo con espressione di sfida. L'imbarazzo che colmava i suoi occhi fino a pochi minuti prima sembrava sparito e le sue labbra erano atteggiate in un sorriso malizioso. 
Alec e Isabelle, intanto, stavano osservando la scena con interesse. 
-Mi stai per caso sfidando, biondina? - Jace era sorpreso e divertito allo stesso tempo. Nessuna ragazza, a parte Clary, gli aveva mai parlato in quel modo. Di solito si limitavano fissarlo con adorazione, spesso senza nemmeno avere il coraggio di avvicinarlo. 
-Si, ti sto sfidando a un duello. Prendi la tua spada e andiamo nella sala degli allenamenti. -
-Oh, per l'Angelo - borbottò Maryse. 
-Se riesco a disarmarti per prima, mi lascerete venire con voi in battaglia ogni volta che lo vorrò. - propose Taylor.
-E se dovessi essere io a disarmarti per prima -cosa che molto probabilmente accadrà - cosa succederà? - Chiese Jace, avvicinandosi alla ragazza con una movimento aggraziato.
-In quel caso.. ammetterò che non sono una combattente in gamba come credevo e non insisterò per combattere insieme a voi. - 
-Ci sto - rispose semplicemente Jace -andiamo in armeria a prendere le spade. - 

Qualche ora dopo..

-Ventitre secondi. - ripetè Jace, stuzzicando con la forchetta la crepe alla nutella che aveva nel piatto. 
-Lo hai già detto tre volte, Jace, possiamo cambiare argomento, ora? - chiese Clary, abbassando lo sguardo sulla sua tazzina di caffè quasi vuota.
Quel pomeriggio si erano messi d'accordo per incontrarsi da Taki. Clary aveva voglia di vedere il suo ragazzo, ma era sottinteso che Jace non fosse il benvenuto a casa sua. Dopo quello che Lilith aveva fatto a Jace, circa un mese prima, Joselyn aveva proibito a Clary di continuare a vederlo, dicendole: ''Non ho alcuna intenzione di permettere a mia figlia di frequentare un ragazzo posseduto dal demonio!''.
In realtà Joselyn sapeva bene che ciò che era successo non era colpa di Jace. Clary era convinta che sua madre usasse questa scusa perchè il Nephilim non le era mai piaciuto, in quanto figlio di Valentine. 
-Ma è assurdo! Lei è solo una ragazzina, e in più è venti centimetri più bassa di me, è impensabile.. - 
-Jace - Clary posò la propria mano su quella del ragazzo -Non vuoi proprio accettare una sconfitta da parte di una ragazza, eh? - la Cacciatrice rise, e Jace intrecciò le loro dita.
-È strano pensare a lei come a un nuovo membro della famiglia. - Disse lui, cambiando argomento. - Voglio dire, tre mesi fa abbiamo perso Max ed ora veniamo a scoprire che Alec e Izzy hanno una sorellastra.-
Jace aveva raccontato a Clary ciò che era successo, quella mattina. Le aveva parlato dell'arrivo improvviso di quella ragazzina timida, ma allo stesso tempo determinata, della sua rivelazione, della reazione di Maryse, del duello tra i due. Le aveva anche raccontato del fatto che Taylor lo avesse disarmato dopo soli ventitre secondi, lasciando a bocca aperta non solo lui, ma anche il resto della famiglia. Ma non le aveva detto che Alec e Isabelle, dopo aver assistito alla scena, lo avevano preso in giro per il resto della mattinata, sotto lo sguardo divertito di Taylor. 
-È assurdo, lo so. Ora però mi hai fatto incuriosire, vorrei conoscerla. -
-Abbiamo fatto un patto io e lei, prima del duello. Se lei fosse riuscita a disarmarmi le avremmo concesso di venire a caccia con noi e seguirci in battaglia ogni volta che lo avesse desiderato. Quindi, sta tranquilla, la conoscerai presto. -
-Sai per quanto tempo resterà all'Istituto? - chiese Clary, giocherellando con l'anello dei Morgenstern, appeso alla catenina che portava al collo.
-No, non si sa ancora. Probabilmente fino al momento in cui troverà un altro posto dove stare. È Robert il colpevole di questo casino, e sarà lui ad occuparsi di sua figlia. - 
-Stasera torna a casa, giusto? Gli verrà un bel colpo nel vedere voi, insieme a Taylor,  ad aspettarlo tutti insieme a tavola. - disse Clary, in tono sarcastico. 
Jace rise. -Non vedo l'ora di vedere la sua faccia. Maryse farà una scenata memorabile. -

Mezz'ora dopo, Jace era sulla metropolitana, diretto all'Istituto. Avrebbe voluto restare con Clary, ma proprio non poteva. Il mattino seguente sarebbe arrivato il Conclave per l'assemblea e Maryse aveva ordinato ai ragazzi di aiutarla con le pulizie. Sapeva quanto sua madre tenesse ad avere la casa pulita. 

Quella sera..

Jace, Alec, Isabelle, Taylor e Maryse erano seduti a tavola. Nella cucina si era diffuso lo squisito aroma della pasta al ragù e Jace sentiva il suo stomaco brontolare. Le due donne stavano conversando tra di loro, Alec era silenzioso e stava masticando lo stesso grissino da cinque minuti. In momenti come quello, Jace avrebbe proprio voluto sapere a cosa stesse pensando. Il moro aveva chiesto a sua madre a che ora sarebbe arrivato il Conclave già tre volte, quella mattina. Sembrava che non vedesse l'ora di affrontare l'argomento Sebastian.
Taylor era seduta di fronte a lui, visibilmente a disagio. Jace non poteva biasimarla, tra poco sarebbe arrivato suo padre, che di certo non si sarebbe aspettato di trovarla lì.
 Jace sentì il suono di una chiave che veniva girata nella serratura, il cigolio della porta che si apriva, il familiare rumore di passi del suo padre adottivo e il miagolio di Church, che aveva riconosciuto il suo padrone. Poi la porta della cucina si aprì e Robert fece il suo ingresso. 
Maryse, che teneva un calice di vino in una mano, fu la prima a parlare. -Bentornato, mio caro. Ti stavamo aspettando. - 

ANGOLINO DELL'AUTRICE:
Non ci sono i Malec, lo so. Ma vi prometto che rimedierò nei prossimi capitoli, in particolare nel settimo o nell'ottavo.. :)
-Simo

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Il racconto di Robert ***


-Simon, smettila di insistere. Non mi farai cambiare idea. - Clary era seduta sul suo letto, con un album da disegno appoggiato sulle ginocchia. Non aveva niente da fare, quella sera, e aveva deciso di chiamare al telefono il suo migliore amico, per fare quattro chiacchiere con lui. 
-Perchè no? Ho già combattuto diverse volte insieme a voi, perchè non posso farlo di nuovo? - Clary sentiva una voce maschile di sottofondo: quella di Jordan, che stava conversando con qualcuno. Probabilmente si trattava di Maia, pensò la ragazza.
-Perchè no? Davvero non ci arrivi da solo? - chiese Clary, esasperata. -Perchè non hai più il marchio di Caino a proteggerti! Hai detto che Raziel te l'ha tolto in cambio della spada dell'Arcangelo Michele. -
-E quindi? Solo perchè non ho più la protezione assicurata non significa che devo starmene rintanato in casa tutto il giorno, mentre tu ti esponi a tutti i pericoli possibili e immaginabili. - 
Clary fece un sospiro. Ogni volta che lei e Simon avevano una discussione, nessuno dei due voleva mai arrendersi. Era lei la più testarda tra i due, ma anche il suo amico non scherzava. 
-Sono stanca di essere protetta, non lo capisci? Jace darebbe la vita per me. Mia madre e Luke darebbero la vita per me. E so che anche tu lo faresti, me lo hai già dimostrato. - disse Clary, scarabocchiando la runa del potere angelico sull'album.  -Non voglio che la gente che amo si sacrifichi per me. -
-E io non voglio che la mia migliore amica parta per un'altra missione suicida senza di me. Clary, io sono un vampiro. Forse non sono più invulnerabile, ma ho dei nuovi poteri ora. Sono veloce, forte e ho due zanne da far paura. Lascia che ti aiuti, permettimi di..-
-Simon, ti prego. Complichi solo le cose in questo modo. - disse Clary, spostando il telefono nell'altra mano. -Voglio che tu stia a casa tua al sicuro. Hai già fatto abbastanza per me. Vivo nella paura di perdere Jace in battaglia, non voglio perdere anche te.-
Ci fu una pausa. -Non c'è verso di farti cambiare idea? - 
-No, toglitelo dalla testa. - disse la ragazza, con decisione.
-Ma.. - 
-Niente ma, Simon. La questione è chiusa. Ora devo lasciarti, mamma mi ha chiamata per dirmi che è pronta la cena. - mentì Clary. -
-Cosa? Sono le nove meno un quarto, tu mangi alle sette e mezza! - Ma la ragazza aveva già attaccato.
-Clary?! Dannazione. -

Robert si era fermato allo stipite della porta e non riusciva a credere ai suoi occhi. Cosa diavolo ci faceva Taylor lì?
Sua moglie e i suoi figli erano seduti a tavola e lo stavano fissando, in attesa di una reazione.
-Cosa c'è, papà? Non vuoi salutare la mamma e i tuoi cinque figli? - Chiese Isabelle, sottolineando la parola cinque. 
-I-io non.. io.. - Robert cercò di formulare una frase di senso compiuto, ma fallì miseramente.
-Che c'è? Ti sei mangiato la lingua? - Il tono di Alec era acido.
-Alexander, non parlare così a tuo padre. - Intervenne Maryse, che ci teneva alle buone maniere.
-Ciao papà, non sei nemmeno un po' contento di vedermi? - L'espressione di Taylor mentre parlava era seria, distaccata. I suoi occhi viola erano freddi.
-Taylor - riuscì finalmente a dire Robert -per l'angelo, cosa ci fai tu qui? -
-Sono venuta a far visita ai miei fratelli per un certo periodo. Ti dispiace? - 
-M-ma tu dovresti essere a Idris. Come..- l'uomo era pallido come un lenzuolo.
-Come sono arrivata fin qui? È una lunga storia. - disse la bionda, i cui occhi viola erano piantati su quelli del padre come dei chiodi.
-Ora che sei qui, abbiamo tutto il tempo del mondo, no? Siediti e parliamone tutti insieme, come una vera famiglia. - L'espressione di Jace era seria, ma nella sua voce c'era un che di sarcastico.
-Immagino di dovervi delle spiegazioni. - disse l'uomo, sedendosi a tavola.
-Immagino di sì. - Rispose Isabelle, abbassando lo sguardo sul piatto di spaghetti che la madre aveva appena servito a tutti loro.
-Cosa volete sapere per primo? - chiese il padre dei ragazzi, spostando lo sguardo dall'uno all'altro. 
-Tutto. - Rispose Maryse. -Fin dall'inizio, dalla prima volta che mi hai tradito. - 
Robert fece un sospiro profondo e iniziò il suo racconto. 
-Tutto è iniziato quando ti ho conosciuta, Maryse. All'epoca tu eri nel Circolo, io mi ero innamorato di te decisi di unirmi a voi. All'inizio tutto sembrava perfetto, Valentine ci faceva credere di essere dei paladini della giustizia, con le sue idee rivoluzionarie. Ma poi man mano le cose iniziarono a cambiare. Valentine si rivelò per quello che era, ovvero uno psicopatico con il folle obiettivo di sterminare i Nascosti. Io fui uno dei primi, se non addirittura il primo, ad accorgermi del suo cambiamento. Nonostante le numerose crudeltà che fece quell'uomo, tutti voi sembravate pendere dalle sue labbra, credendo alle sue parole incondizionatamente. Poteva massacrare un branco di fatine indifese davanti ai nostri occhi e voi lo avreste difeso con la scusa ''oh, poverino, sta solo cercando di vendicare l'assassinio di suo padre.'' 
Ho cercato di convincerti a lasciare il Circolo, ma tu non volevi darmi retta. Non volevi accettare il fatto che il vostro adorato Valentine non fosse il ragazzo per cui si era presentato all'inizio. Sono rimasto nel Circolo solo per te, perchè sapevo che se me ne fossi andato tu non mi avresti seguito. Avevamo già avuto Alec, e non volevo complicare le cose. Tutto ciò che potevo fare era sperare. Sperare che Joselyn e Lucian, le due persone più care a Valentine, potessero aiutarlo, fargli capire di essere nel torto. Ma non è stato così. Niente e nessuno lo avrebbe mai fermato. 
E poi.. poi c'è stata la rivolta. Quello è stato probabilmente il giorno più brutto della mia vita. Quasi tutti i nostri amici sono morti nella battaglia contro i Nascosti ed è stato un miracolo se noi ne siamo usciti vivi. Ma una delle persone a cui volevo più bene - il mio parabatai, il mio compagno di battaglia: Michael Wayland - è morto e, come se non bastasse, Valentine ha bruciato il suo corpo e quello di suo figlio, facendoci credere che fossero il suo e quello di Jonathan. 
Poco prima che il Conclave prendesse la decisione di punirci, mettendoci a capo dell'Istituto, io decisi che volevo dare un taglio alla corda. Ero furioso con te per quello che era successo, addossai tutta la colpa su di te. Volevo sparire per un paio di giorni, chiarirmi le idee e prendermi del tempo per perdonarti. Così decisi di uscire, quella sera. Andai in un locale a bere qualcosa, sapevo che un bicchiere di vodka non mi avrebbe fatto male, per una volta. Mentre ero seduto da solo, a tavola, una giovane donna mi avvicinò. Si chiamava Annamarie. Era minuta con i capelli biondi, a caschetto, più chiari di quelli di Taylor. Ricordo che aveva gli occhi di un colore inverosimile, un viola scuro simile al colore degli occhi di Elizabeth Taylor. Avrà avuto due o tre anni meno di te. Si sedette accanto a me e mi chiese cosa c'era che non andava, dicendo che non avevo un bell'aspetto. Non so come, nè perchè, ma le raccontai tutto ciò che era successo negli ultimi mesi. Le parlai della mia iniziale amicizia con Valentine e del successivo disprezzo nei suoi confronti. Le parlai di ciò che era successo nella rivolta, della perdita del mio parabatai, della mia rabbia verso di te. 
E lei mi ascoltò, dall'inizio alla fine, senza mai interrompermi. Mentre parlavo bevevo un bicchierino dopo l'altro e lei faceva lo stesso, per farmi compagnia. 
Dopo aver finito il mio racconto mi sono sentito meglio. Non mi ero accorto di sentire il bisogno di sfogarmi con qualcuno. 
Nel frattempo ci eravamo ubriacati e, tra uno sguardo, un sorriso, un bicchiere di vodka.. abbiamo finito per fare quello che non avremmo mai dovuto.
Il mattino seguente mi svegliai, nella stanza di un Motel, e mi ricordai con orrore ciò che era successo la notte precedente. Spostai lo sguardo sulla donna che dormiva tranquilla accanto a me e mi sentii subito in colpa. Mi chiesi come avevo potuto fare una cosa del genere a mia moglie e a mio figlio, quindi scrissi un biglietto di scuse ad Annamarie e tornai a casa. 
Quando tu mi vedesti, iniziasti ad urlarmi contro. Mi incolpasti di averti abbandonata, mi dicesti che non mi importava di te. Iniziai ad alzare la voce anch'io e finimmo per litigare per un'ora. 
Il giorno dopo non ci rivolgemmo la parola. Quel pomeriggio ricevetti un messaggio col fuoco da parte di Annamarie, che chiedeva di vedermi. All'inizio decisi di ignorarla, sentendomi in colpa per quello che avevo fatto, ma poi pensai al nostro litigio, il giorno prima, e accettai di rivederla.
Ci incontrammo di nuovo, quella sera, e per la seconda volta mi sentii rilassato, tranquillo, in sua presenza. Era come se i miei problemi non esistessero più, quand'ero insieme a lei. Ricordo di averle chiesto se era sposata o fidanzata, e lei mi rispose che non aveva un compagno. 
Ci vedemmo una terza volta, dato che le cose con te non miglioravano. Tuttavia, non sono mai stato innamorato di Annamarie e, in ogni caso, non ti avrei lasciata per lei. Non avrei mai potuto abbandonare mio figlio e, nonostante quello che stavamo passando, io non avevo smesso di amarti.
E poi tu mi dicesti di essere incinta. Dopo quella rivelazione, le cose tra di noi iniziarono a sistemarsi. 
Il giorno prima della nostra partenza per New York, vidi una coppia, che si teneva per mano, passeggiare in riva al fiume. Poi la donna si fermò, abbracciò l'uomo con un gesto affettuoso e lo baciò. Riconobbi subito quella donna: era Annamarie. Rimasi spiazzato nel vederla con un altro, mi aveva detto di non avere un compagno, pochi giorni prima. Ma ormai non mi importava più. Volevo solo che le cose tra me e te tornassero come prima, non solo per il nostro bene, ma anche per quello di Alec, che all'epoca aveva due anni, e di Isabelle che era ancora nel tuo ventre.
Lasciammo Idris e ci trasferimmo a New York. All'inizio tutto sembrava andare per il verso giusto, ma il periodo di pace e serenità non durò a lungo.  
Due mesi dopo, ricevetti da parte di Annamarie un messaggio col fuoco, nel quale diceva di essere incinta di una bambina. Io non le credetti, ovviamente. Quella donna mi aveva mentito dicendomi di essere single quando invece non lo era, perchè avrei dovuto crederle? E comunque, tutti sanno che dire a un uomo di essere incinta è solo una grossa bugia per convincerlo a rimanere con lei. Annamarie non cercò di contattarmi mai più.
Ma poi, tre mesi fa, la nuda e cruda verità si presentò davanti ai miei occhi, senza alcun preavviso. 
La mattina seguente alla battaglia nella pianura di Brocelind, a Idris, tutti i corpi degli Shadowhunters morti vennero disposti in fila, per essere identificati e contati. Vidi una ragazzina dai capelli biondo cenere che piangeva sul cadavere di sua madre e, quando mi avvicinai per vedere di chi si trattasse, rimasi sconvolto. Quel cadavere era di Annamarie. Nonostante fossero passati sedici anni dall'ultima volta che l'avevo vista, lei era rimasta quasi uguale, se non fosse stato per le rughe che le erano comparse sul volto. 
Il mio cuore iniziò a battere furiosamente, mentre mi avvicinavo all'uomo che nel frattempo aveva appoggiato una mano sulla spalla della ragazza, come per cercare di consolarla. Quando gli chiesi chi fosse la ragazzina, lui mi disse che era la sua figlia adottiva e l'unica figlia di Annamarie. 
Inizialmente non volevo crederci, mi rifiutavo di accettare il fatto che per sedici anni non ho mai saputo di avere un'altra bambina. Mi maledissi per non aver creduto ad Annamarie, quando mi rivelò di essere incinta. Prima ancora che avessi il tempo di decidere cosa fare, l'uomo mi riconobbe. ''Io ti conosco. Tu sei Robert Lightwood, uno dei pochi componenti sopravvissuti del Circolo,  nonchè il padre di una bambina di cui non ti sei mai interessato. '' mi disse.  
Non potendo negare la realtà dei fatti, lo presi da parte e gli raccontai tutta la storia. Lui mi disse di essere Derek Whitelaw, il marito di Annamarie, e di essersi preso cura di mia figlia al posto mio, per tutto questo tempo. Mi disse che, due anni prima, lui e la moglie avevano rivelato a Taylor di essere figlia di un altro uomo, che forse non avrebbe mai conosciuto. 
Quel giorno fui obbligato a presentarmi a mia figlia, capendo che non potevo semplicemente dimenticarmi dell'accaduto e lavarmene le mani. 
Lei era furiosa, e aveva ragione. Mi disse di lasciarla in pace e di non cercarla mai più. Ma io non le diedi ascolto. Decisi che dovevo assolutamente fare qualcosa: passare del tempo insieme a lei, spiegarle il perchè della scelta che avevo fatto sedici anni prima, farle capire che non era mia intenzione stare lontano da lei per tutto questo tempo. 
Così, quanto tu e i ragazzi tornaste a New York, alla fine dell'estate, io rimasi con lei, con la scusa di avere degli impegni importanti ad Alicante.
Derek Whitelaw fu chiamato con urgenza all'Istituto di Praga e lei rimase a casa di sua zia Coraline, l'unica persona a lei cara sopravvissuta alla battaglia Mortale. Casa sua era stata distrutta e lei non aveva un altro posto dove andare. Avrei tanto desiderato avere una casa ad Alicante, in modo che potesse stare da me. Trascorremmo del tempo insieme, come ogni padre e figlia.
Un mese dopo, capendo che ero davvero pentito di ciò che avevo fatto, lei smise di essere acida con me e decise di darmi una possibilità. 
Ad un certo punto, però, capii che non potevo andare avanti in quel modo. Tu e i ragazzi stavate aspettando il mio ritorno a New York, mentre Taylor sperava che io rimanessi ad Alicante insieme a lei. 
Ero molto stressato in quel periodo, non sapevo cosa fare. Non potevo semplicemente mandarti un messaggio per dirti che avevo scoperto di avere una figlia dell'età di Isabelle e chiederti se per te fosse un problema che io rimanga con lei, per un po' di tempo. 
Poi mi venne un'idea. Aldertree era stato ucciso e il Conclave cercava un sostituto. La sede dell'Inquisitore è a Idris, ma lui può spostarsi quando vuole. Quindi decisi di candidarmi per diventare il nuovo Inquisitore. In questo modo avrei avuto un valido motivo per rimanere ad Alicante, ma sarei venuto a trovarvi spesso. Ero davvero soddisfatto di aver trovato una soluzione.
Ma poi venni a sapere che Jonathan Morgenstern era miracolosamente rinato, che girava a ruota libera e che Jace era diventato suo complice. 
Quando fui informato del piano malefico del figlio di Valentine e della battaglia in Irlanda, decisi che non potevo restare a Idris. 
La mia famiglia aveva bisogno di me. Taylor era al sicuro da sua zia, e non avevo un motivo di preoccuparmi, al momento. 
Le dissi che dovevo tornare a New York, spiegandole il perchè. Lei mi chiese di portarla con se, ma non potevo farlo. Come avrei potuto tornare da te portando la figlia di Annamarie insieme a me? Mi avresti buttato fuori di casa.
Dissi a Taylor che sarei tornato, tra qualche mese, ma lei non la prese bene. Mi accusò di abbandonarla per la seconda volta. Ma cos'altro potevo fare? Feci le valigie ed ora eccomi a casa. Non avrei mai pensato di trovare Taylor qui. -
Robert si sentiva la gola secca, dopo ave finito di parlare. Aveva un disperato bisogno di bere un bicchiere d'acqua. 
Prese la caraffa, al centro del tavolo, e si riempì il bicchiere. Nella stanza regnava un silenzio di tomba. Tutti avevano ancora lo sguardo puntato su di lui. La bocca di Alec e Isabelle era aperta per la sorpresa, il volto di Taylor era impassibile. Maryse era immobile, Jace era l'unico che stava mangiando. 
-Beh? - chiese infine Robert, quasi compiaciuto. -Ora siete voi che vi siete mangiati la lingua? -

Quello non era nè ferro, nè acciaio, nè bronzo, nè tantomeno adamas. 
Le pareti, alte e senza soffitto, di quella specie di gabbia in cui era rinchiuso Magnus erano fatti di un materiale -se così si può definire - che lo Stregone non sapeva identificare. Aveva letto il Libro Grigio e conosceva la struttura di gran parte delle trappole degli Shadowhunters.
Ma non aveva idea di cosa fosse quella prigione di luce. Inizialmente aveva pensato che si trattasse di una delle gabbie utilizzate dal Conclave per rinchiudevi i Nephilim fuorilegge e i Nascosti criminali, ma quella.. cosa non era opera del Conclave, in questo caso, bensì del malvagio fratello di Clary. 
Le pareti emanavano un bagliore bianco che inizialmente aveva infastidito la vista sensibile di Magnus, ma il figlio di Lilith aveva passato così tanto tempo ad osservarle, nel tentativo di capire come abbatterle, che ormai i suoi occhi felini si erano abituati a quella luce. 
Un'ora prima, il figlio di Valentine era tornato da lui per cercare di fargli rivelare dove teneva nascosto il Libro Bianco. 
Magnus si era aspettato che tornasse da un momento all'altro per dissanguarlo, ma poi aveva capito il motivo per cui non lo aveva fatto. 
Jonathan aveva paura del potere che il sangue di Magnus gli avrebbe conferito. Essere uno Stregone non è facile come può sembrare. Alcuni dei figli di Lilith muoiono giovani, incapaci di controllare i loro poteri. Sebastian aveva bisogno di quel libro per imparare a compiere gli incantesimi, perchè altrimenti il suo potere non gli sarebbe servito a molto. 
Magnus non era riuscito a credere alle parole del ragazzo, quando gli aveva detto che il motivo principale per cui voleva il Libro Bianco era far innamorare Clary di se. Poteva avere tutte le ragazze che voleva - perchè infondo, bisogna ammetterlo: è un tipo affascinante con i suoi capelli quasi bianchi, le ciglia smisurate e gli occhi neri - perchè voleva proprio sua sorella? Questo lo Stregone non era riuscito a spiegarselo. 
In ogni caso, non gli avrebbe mai rivelato dove teneva nascosto il prezioso libro, anche a costo di rinunciare alla propria vita. Una vita che ormai non gli dava più alcuna soddisfazione. Da quando era stato costretto a rinunciare ad Alec, era come se non gli importasse più di niente. 
Prima di essere rapito, nel bel mezzo della notte, passava le giornate a cercare di recuperare il sonno che di notte non ne voleva sapere di arrivare. Non usciva, mangiava poco, a volte si metteva addirittura a riordinare la casa, per cercare di distrarsi. 
Magnus era del tutto convinto che sarebbe morto, in quella prigione luccicante. Forse sarebbe stato ucciso da Jonathan, forse sarebbe morto di tristezza e solitudine. Alec gli aveva salvato la vita due volte, ma questa volta era diverso: loro due non stavano più insieme e probabilmente Alec lo odiava per averlo lasciato. Perchè mai avrebbe dovuto cercare di salvarlo? 
I pensieri di Magnus vennero interrotti dalla sensazione di un liquido saldo che scendeva dai suoi polsi e macchiava il pavimento. L'oggetto che gli teneva i le mani legate dietro la schiena gli aveva lacerato la carne e ora stava sanguinando.
Magnus chiuse gli occhi. Forse non poteva abbattere le pareti della gabbia, ma avrebbe potuto almeno liberarsi i polsi. 
Si ricordò di quando era piccolo e il suo patrigno aveva cercato di affogarlo, pur di sbarazzarsi di quel figlio del diavolo. Magnus, con la sola forza del pensiero, lo aveva carbonizzato sul posto. 
Era o non era il Sommo Stregone di Brooklyn, infondo? Si concentrò e dopo qualche istante avvertì il calore delle scintille che si formavano intorno ai suoi polsi. Ce l'aveva quasi fatta. Sentì la stretta dell'anello di fuoco allentarsi e poi sparire definitivamente, liberandolo.

ANGOLINO DELL'AUTRICE
Raga, sono sopravvissuta a questo capitolo (?) Il racconto di Robert è stato impegnativo da scrivere, ma spero che lo abbiate apprezzato almeno un pochino. In questo periodo sto scrivendo come una pazza perchè non ho altro da fare lol
come al solito, le recensioni sono benvenute. Ditemi che ne pensate, accetto le critiche costruttive :)

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** La riunione del Conclave ***


Il sole era calato da diverse ore, a New York. Dalla finestra della cucina dell'Istituto si potevano vedere le luci della città che non dorme mai, la fila di taxi gialli parcheggiati davanti a una discoteca e i giovani che entravano e uscivano dal locale. 
L'orologio appeso alle parete segnava le dieci e un quarto. 
-Robert, io.. io non pensavo che le cose stessero in questo modo, io credevo che..- Maryse, ancora scossa dalla rivelazione del marito, stava cercando le parole giuste da dire in quella situazione, senza però riuscire a trovarle.
-Non ho mai voluto ferirti, mai. - disse Robert. Sul suo volto erano evidenti i segni della stanchezza. L'uomo, come il resto della sua famiglia, aveva avuto una giornata lunga e intensa. -Ora capisci perchè non ti ho mai detto niente. Spero che tu possa perdonarmi, non ti chiedo altro. -
Il volto della donna era una maschera di emozioni. Era rimasta colpita dal racconto del marito. Era arrabbiata per i tradimenti di Robert, ma contenta che la verità fosse venuta a galla, finalmente. 
-Mamma, papà, è stato tutto un grande equivoco. - Era stata Isabelle a parlare. -Nessuno di voi due, in realtà, è colpevole per ciò che è successo. È successo è basta. -
-Izzy ha ragione - intervenne Jace, che aveva ascoltato con attenzione la storia -E, in ogni caso, non possiamo cambiare il passato. -
-Tuttavia - disse Alec, puntando lo sguardo su Taylor -C'è una cosa che non mi è ancora chiara di questa storia. -
-Di cosa si tratta? - chiese la bionda, capendo che il fratello si stava rivolgendo a lei. 
-Papà ha detto che tu avevi un posto dove stare, a Idris. Casa tua è stata distrutta, ma tua zia ti ha ospitata. - 
La ragazza abbassò lo sguardo sulla tovaglia a quadretti. Alec si accorse della tristezza nei suoi occhi e capì di aver toccato un tasto dolente. Era sul punto di dirle che, se non voleva, non era obbligata a parlarne, ma la ragazza lo sorprese, parlando prima di lui. 
-Mia zia è morta. Si è tolta la vita, dopo la misteriosa scomparsa del suo unico figlio. Non è riuscita a sopportare tutte quelle perdite, una dopo l'altra.- Gli occhi di Taylor erano lucidi, ma la sua voce era ferma. 
-Com'è successo? Chiese d'impulso Isabelle.
-Isabelle! - la rimproverò la madre -Ti sembra il caso di..-
-No, Maryse, lasciami parlare. Avete il diritto di sapere la verità, è il minimo che vi devo per avermi ospitata. - Alzò lo sguardo dalla tovaglia e lo rivolse ad Isabelle. -Gira voce che Jonathan Morgenstern abbia ordinato ai suoi seguaci di andare a Idris e rapire degli Shadowhunters innocenti per trasformarli con la Coppa Infernale. Da quel che ho capito, Morgenstern aveva già una quarantina di uomini -un tempo fedeli a suo padre - pronti a sottomettersi a lui, ma erano troppo pochi. Così ha mandato i suoi uomini ad intrufolarsi nelle case delle persone per rapirle, nel bel mezzo della notte. Alcune delle vittime hanno combattuto, non si sono arrese tanto facilmente. Ma pare che il figlio di mia zia -mio cugino - non sia riuscito a cavarsela contro di loro.. potrebbero averlo portato via dal suo letto senza che non se ne accorgesse nemmeno. Quando mia zia è venuta a sapere che suo figlio potrebbe essere diventato un servitore di Jonathan, ha deciso che non ce la faceva più ad andare avanti. Aveva già perso sua sorella e suo marito circa un mese prima, non ce l'ha fatta a sopportare anche la perdita del figlio. -
-Ma è orribile!- esclamò Isabelle, inorridita. -Povera donna. Mi dispiace per lei, anche se non la conoscevo. -
-È per questo che hai lasciato Idris e sei venuta qui? - chiese Robert, che era rimasto in silenzio fino ad allora.
-L'ho fatto per tre motivi. - confessò la bionda. -Sono venuta qui perchè non avevo un posto dove andare, non potevo restare a vivere da sola a casa di mia zia, e non sapevo quando sarebbe tornato Derek. Ma l'ho fatto anche perchè volevo vendicarmi di te per avermi abbandonata per la seconda volta. -
-Qual'è il terzo motivo? - chiese Maryse, guardando con interesse la ragazza. 
-Ve l'ho già detto: volevo conoscere i miei fratellastri. Non ho mai avuto altri fratelli.-
Taylor notò con piacere che sui volti dei Lightwood c'era apprensione. 
-Basta così. -disse infine Maryse. Sul suo viso erano evidenti i segni della stanchezza. -Sono le undici meno un quarto, devo ancora sparecchiare e domani mattina, alle dieci e mezza, arriva il Conclave. È ora di andare a letto. Taylor, tu dormirai in una delle tante stanze vuote dell'Istituto, scegli tu quella che preferisci, anche se sono tutte uguali.  - Aggiunse Maryse, vedendo l'espressione spaesata di Taylor. La diretta interessata annuì, rivolgendo un sorriso alla matrigna. 
I ragazzi si alzarono e Robert fece per imitarli, ma sua moglie lo prese per il polso, facendolo sedere. 
-Tu non vai da nessuna parte, caro. Non finchè non mi avrai aiutato a sparecchiare. - disse la donna, in un tono che non ammetteva repliche.
-Va bene, tesoro, come vuoi. - Rispose il marito, rassegnato.
-Ah, e stasera dormi sul divano. Non ti ho ancora perdonato. -

Alec fu svegliato dal suono delle campane, proveniente dalla chiesa che si trovava a una decina di minuti a piedi dalla cattedrale abbandonata in cui vivevano i Lightwood. Si mise lentamente a sedere, grato di non aver fatto sogni strani, quella notte. Si tirò indietro la ciocca corvina che gli copriva gli occhi e lanciò un'occhiata all'orologio appeso alla parete: erano le sette e mezza. Tirò un sospiro di sollievo. Poteva vestirsi con calma, non c'era fretta.
Si infilò un maglione grigio topo, senza accorgersi del buco che aveva sulla manica, in corrispondenza del gomito. Se ci fosse stato Magnus, avrebbe sicuramente fatto qualche commento sarcastico sul suo orribile modo di vestire, in contrasto con la sua bellezza. 
Ma Magnus non c'era più, si ricordò Alec, sentendo una fitta nel petto. Lo aveva perso per colpa di uno stupido, fatale errore. Aveva perso l'unica persona che lo avesse mai amato, che lo avesse mai guardato come se fosse l'ottava meraviglia del mondo, che lo avesse stretto a sé come se fosse un tesoro da custodire.  
Alec sentì qualcuno bussare alla porta. 
-Avanti - disse e qualche istante dopo vide Jace entrare nella sua stanza. Il biondo aveva i capelli scompigliati, era a petto nudo e indossava i pantaloni del pigiama. Forse una volta Alec sarebbe arrossito come un pomodoro alla vista di Jace mezzo nudo, ma ora le cose erano cambiate.
-Sei già vestito? È ancora presto e non abbiamo nemmeno fatto colazione. - Osservò Jace, chiudendo la porta e sedendosi sul letto del suo parabatai. 
-Non ho molta fame, in realtà - borbottò il moro, spostando lo sguardo sul suo letto da rifare.
-Tu non hai mai fame, ultimamente. Mi chiedo come fai a sopravvivere. -
-Senti, non lo so perchè non ho fame. Perchè siete tutti fissati con questo argomento? - volle sapere Alec, con una punta di irritazione nella voce.
-Perchè vogliamo capire cosa diavolo ti sta succedendo, proprio non lo capisci? - gli chiese Jace, come se stesse parlando con un bambino piccolo.
-Cosa? Non mi sta succedendo niente, io..- 
-Ah no? Chi pensi di prendere in giro, Alec? - Jace stava perdendo la pazienza. -Te ne stai tutto il giorno chiuso in camera tua con lo sguardo perso nel vuoto, non vieni mai a caccia con noi, non mangi. Se è per la scomparsa Magnus, ti abbiamo promesso che ne avremmo parlato con il Conclave, che sta per arrivare tra poche ore. In fondo Magnus è il Sommo Stregone di Brooklyn. Se la caverà, vedrai che andrà tutto bene..-
-Ah, certo. È facile per te da dire, dato che non si tratta di Clary. - Alec aveva alzato lo sguardo sul fratello, i suoi occhi azzurri inchiodati su quelli di Jace. 
-Alec, io non intendevo.. - cercò di giustificarsi il biondo.
-Se lei fosse sparita avresti messo sottosopra il mondo, pur di trovarla, non é vero? - il tono del moro era freddo, distaccato, un tono che non usava quasi mai con il suo parabatai.
Jace fece per parlare, ma poi cambiò idea. 
-Proprio come pensavo. - disse Alec, con una punta di soddisfazione nella voce. -Quindi non venire a dirmi che non mi devo preoccupare per una persona che amo. - Il ragazzo diede le spalle all'amico e uscì dalla stanza, lasciando Jace a fissarlo mentre spariva dalla sua vista, con l'evidente senso di colpa dipinto in volto.

-Clarissa! Per l'Angelo, vuoi darti una mossa?!- La voce di Joselyn, proveniente dal piano inferiore, era impaziente. -Guarda che io Luke ti lasciamo a casa, se non ti sbrighi. -
-Arrivo, mamma! Dammi solo il tempo di mettere la giacca. - Urlò Clary, per farsi sentire.
Quel mattino, mentre si stava lavando i denti, una runa era improvvisamente apparsa nella mente di Clary, chiara e limpida come l'acqua di un ruscello. Si trattava di un marchio particolarmente aggraziato, simile a un quadrifoglio. La ragazza era sicura di non aver mai visto quella runa, prima di allora. 
Aveva sputato il dentifricio, era corsa in fretta e furia in camera sua, si era seduta sulla scrivania e aveva disegnato la runa sul suo album da disegno, esattamente come l'aveva vista. Clary poteva percepire la potenza di quella runa, guardandola. La prima parola che le aveva associato, nell'istante in cui era comparsa nella sua mente, era ''immunità''. Non sapeva a cosa le sarebbe servita, nè in che occasione l'avrebbe usata, ma una cosa era certa: le sarebbe stata di grande aiuto. 
Clary si infilò lo stilo e il telefono nella tasca della giacca e scese al piano di sotto, facendo scricchiolare i gradini di legno sotto di sé.
-Eccomi qui, non era mia intenzione metterci così tanto.- Si scusò la figlia di Joselyn, col fiatone per la fretta.
-Su, muoviamoci. Ci aspetta una lunga mattinata. - disse Luke, aprendo la porta e uscendo dal suo appartamento, seguito da Clary e da sua madre.

Arrivati nella Biblioteca dell'Istituto, Clary notò che la stanza era già affollata. Una quindicina di Cacciatori -alcuni dei quali indossavano la tenuta - chiacchieravano tra di loro, perlopiù in gruppetti. 
-Clary, io e Luke andiamo a salutare un vecchio conoscente. - disse Joselyn, guardando un uomo dall'aspetto poco familiare. 
-Va bene, io vado a cercare Jace. - rispose Clary, cercando il suo ragazzo tra la folla, mentre sua madre e Luke si allontanavano.
-Clary! Eccoti qui, finalmente. - Clary si voltò e dietro di sé vide Isabelle, che indossava un semplice abito nero e un paio di stivali bassi. Non erano state molte le volte in cui aveva visto la Cacciatrice con addosso abiti sobri, ma l'Istituto in fondo era casa sua, come si aspettava che si vestisse?
-Ciao, Izzy! Perdonami, non ti avevo vista. - Si scusò Clary, abbracciando l'amica.
-Se stavi cercando Jace, è salito un attimo al piano di sopra. - Disse Isabelle, come se avesse letto nella mente di Clary.
-Oh, ecco perchè non lo trovavo. - Farfugliò la ragazza, staccando lo sguardo dalla folla e rivolgendolo alla mora.
In quel momento, vide una ragazza alta quanto lei andare verso di loro. 
-Finalmente ti ho trovata, Iz. Un'attimo prima eri accanto a me e un attimo dopo non ti ho più vista. - 
-Scusami, ho visto questa mia amica -la ragazza di Jace- e sono venuta a salutarla. - si giustificò Isabelle, rivolgendo un sorriso a Clary.
Clary posò lo sguardo sulla sconosciuta. Bassa, magra, capelli biondo cenere intrecciati in modo complesso, sguardo attento. Clary non potè fare a meno di rimanere affascinata dai suoi occhi color ametista. Una persona comune avrebbe definito quel colore con il banale aggettivo ''viola'', ma lei, in quanto artista, sapeva distinguere una tonalità da un'altra.
-Tu devi essere Taylor Lightwood, la nuova arrivata. - Disse Clary, guardando con interesse la ragazza. Non l'aveva mai vista in vita sua, ma c'era qualcosa in lei che le dava una strana e piacevole sensazione di familiarità
-In persona. - Taylor le sorrise, porgendole la mano. -Quindi sei tu la famosa Clary. Sono qui da soli due giorni ma posso garantirti che Jace parla sempre di te. -
-Ah si? Mi fa piacere! - rispose Clary, stringendole la mano.
-Sentite, io vado a salutare Aline e Helen. Alec sta parlando con loro, mentre io mi sono accorta della loro presenza solo adesso. - Disse Isabelle, annoiata per essere stata tagliata dalla conversazione.
Le due ragazze annuirono mentre la mora si allontanava da loro. 
-Ho sentito dire che hai sempre vissuto a Idris e che sei stata addestrata dal miglior trainer di Alicante. - Clary era proprio curiosa di vedere Taylor in azione, dopo che Jace le aveva detto che lo aveva disarmato in soli 23 secondi.  
-Il mio patrigno è il fratello del capo dell'Istituto di Idris - spiegò la bionda -ho passato un sacco di tempo ad allenarmi li, dal momento che non avevo altro da fare nel mio tempo libero. Alicante sarà bella, ma è incredibilmente noiosa. - 
-Qualche volta dovremmo allenarci insieme, allora. Magari potresti essermi d'aiuto. Io sono una frana con le spade! - Confessò Clary, facendo ridere Taylor. 
-Ma certo, mi piacerebbe. Ma ti confesso che le spade non sono nemmeno il mio forte. - disse, sorprendendo Clary.
-Ma..Jace ha detto che lo hai disarmato in pochi secondi. E lui è il più bravo Cacciatore che io conosca.. - la Nephilim era confusa.
-Ti confesso una cosa, ma prometti di non farne parola con Jace. - Il sorriso di Taylor era svanito e la sua espressione si era fatta seria. 
-Io.. - Clary era esitante, perchè mai quella ragazza le avrebbe chiesto di nascondere qualcosa al suo fidanzato?
-Quando io e Jace abbiamo combattuto, io avevo le rune del combattimento. Quella mattina, prima di arrivare all'Istituto, mi ero imbattuta in un paio di demoni. Avrei potuto ucciderne uno o due senza problemi, ma in quel caso avevo bisogno dei marchi ad aiutarmi. Mi nascosi in un angolino e mi coprii le braccia con rune di velocità, tenacia, agilità, forza e precisione. Quando sono arrivata all'Istituto, il loro effetto non era ancora svanito. Mi sono accorta di averle addosso solo alla fine del duello, e mi sono sentita incredibilmente in colpa. - 
Taylor fece una pausa, aspettandosi di vedere Clary arrabbiata, ma lo sguardo della ragazza non sembrava giudicarla.
-Per favore, non dirgli niente. Non voglio che pensi che mi sia presa gioco di lui. - Gli occhi di Taylor cercavano comprensione.
-Stai tranquilla, non gli dirò niente. - Disse Clary, e l'altra tirò un sospiro di sollievo.
-Ma - continuò - promettimi che se Jace dovesse mai chiederti qualcosa a riguardo gli dirai la verità. -
-Lo prometto. - 
-Un attimo di attenzione, prego. - La voce di Robert fece voltare tutti gli Shadowhunters verso di lui, mentre prendevano posto attorno ad un enorme tavolo rotondo, utilizzato per le riunioni del Conclave. Clary si sedette accanto a Taylor, e finalmente vide Jace, seduto tra Aline e Isabelle.
-Come già sapete, siamo qui riuniti per affrontare l'argomento Jonathan Morgenstern. - 
Robert indossava un elegante completo blu scuro, che faceva sembrare le sue spalle ancora più larghe. La prima volta che Clary lo aveva visto, era rimasta colpita da quell'uomo così alto e robusto, dalla sua sicurezza e dal suo aspetto autoritario. 
-Dieci giorni fa, alcuni di voi hanno combattuto contro i seguaci di Jonathan, in Irlanda. Siamo stati fortunati che non ci siano stati morti. Ma in quel momento Morgenstern di certo non si aspettava un attacco. Non era pronto a combattere, e voi ne avete approfittato. Ma ora le cose sono cambiate. Jonathan è in cerca di vendetta e sta arrivando. Dobbiamo aspettarci un attacco da un momento all'altro. -
-E se fossimo noi i primi ad attaccare? - Era stato un uomo sulla cinquantina a parlare. 
I Nephilim iniziarono a borbottare tra di loro, confrontando la loro opinione con quella di chi avevano accanto, e un mormorio di voci si diffuse nella Biblioteca.
-Silenzio! Un po' di collaborazione, per favore. - Maryse era seduta accanto al marito e stava fulminando con lo sguardo chi stava parlando.
-Gli Shadowhunters che hanno bevuto dalla Coppa Infernale sono troppo forti per noi. - Proseguì Robert -Hanno il sangue di Lilith in persona nelle loro vene, ora. -
-E con ciò? Prima o poi dovremo affrontarli, in ogni caso. - Disse una donna seduta accanto ad Helen Blackthorn. -Lui potrebbe coglierci impreparati, se ci attaccasse. Ma se lo facessimo noi per primi avremo un leggero vantaggio. -
-Tre giorni fa, Jonathan ha rapito uno Stregone -il Sommo Stregone Magnus Bane-, per impossessarsi del suo sangue. - Intervenne Maryse.
 A quelle parole Alec sussultò, diventando improvvisamente pallido.
 -Potrebbe averlo già fatto. Potrebbe disporre di poteri di cui noi non disponiamo. - Proseguì Maryse.
-Non lo ha fatto. - Disse Alec, con una sicurezza che di solito non mostrava. 
-Come fai a saperlo? - chiese Elizabeth Merrywish, un'amica di famiglia dei Penhallow.
-Jonathan non sarebbe in grado di gestire quel potere. Avrebbe bisogno di tempo, e soprattutto di libri di incantesimi per imparare a controllarlo. - La voce di Alec era ferma, le sue mani strette in pugni sotto il tavolo, per nascondere il loro lieve tremore. -Probabilmente cerca il Libro Bianco, il più potente libro di incantesimi in circolazione. -
-E tu hai un'idea di dove possa trovarsi questo libro? - Chiese Aline, attirando tutti gli sguardi su di sè.
-Aline, sai che non ti è permesso parlare. Sei ancora minorenne. - Le ricordò Robert, lanciandole un'occhiata severa. 
-Si, lo so. - Disse Alec, suscitando la sorpresa dei presenti. Clary lanciò un'occhiata a Jace, che però era impassibile. Alec gliel'aveva detto, pensò. 
-Si trova qui, in Biblioteca. -
 Dopo questa affermazione, tutti iniziarono a conversare animamente tra di loro, lanciando occhiate accusatorie ad Alec, per non averlo detto prima.
Robert e Maryse, infastiditi dal disordine che si era creato, dovettero cercare nuovamente di attirare l'attenzione dei presenti.
-E cosa ci fa il prezioso libro dei figli di Lilith nella Biblioteca dell'Istituto? - chiese una donna dalla voce gracchiante, dopo che i presenti si furono ricomposti.
-Quando sono andato a casa di Magnus per vedere cosa stava succedendo, ho trovato la porta buttata giù con una runa demoniaca e tutti i libri sparsi per la casa. Era evidente che i responsabili stavano cercando un libro. Magnus era sparito e in casa ho trovato solo il suo gatto. L'ho preso con me per non lasciarlo lì da da solo, e quando.. -
-Cosa c'entra adesso il gatto dello Stregone?! - Chiese la stessa donna dalla voce sgradevole, lanciando uno sguardo spazientito ad Alec da dietro le spesse lenti dei suoi occhiali.
-Josephine, evita di rivolgerti a mio figlio in quel modo, per favore. - Intervenne Maryse, mentre Alec arrossiva per l'imbarazzo. Aveva diciotto anni, non c'era più bisogno di essere difeso da sua madre.
-Alexander, continua. - Lo incoraggiò Robert.
-Dopo averlo portato all'Istituto, mi sono accorto che al collo portava un collare al quale era appesa una pallina d'argento, simile a un campanellino che però non emetteva alcun suono. Notando che era pesante, decisi di provare ad esaminarla, e la aprii. All'interno c'era un libro bianco in miniatura, chiuso con un lucchetto. Appena lo vidi, lo riconobbi all'Istante. Era il Libro Bianco. - 
Il mormorio di voci si alzò nuovamente, ma questa volta Maryse non cercò di imporre il silenzio. Perchè Alec non le aveva detto niente riguardo al libro? Era sua sua madre, la persona di cui dovrebbe fidarsi di più.
-Smettetela di guardare il povero ragazzo in quel modo - Disse Joselyn, rivolgendosi a coloro che stavano lanciando occhiate torve ad Alec.
 -Il libro è al sicuro qui, a Jonathan non verrebbe in mente di cercarlo proprio all'Istituto. - La mamma di Clary indossava un completo elegante e i suoi lunghi capelli rossi le ricadevano in riccioli sulle spalle. Molte persone di voltarono verso di lei, mentre parlava. Nei loro sguardi c'erano rispetto e persino un po' di ammirazione. Infondo lei è la donna che ha avuto il coraggio di voltare le spalle a Valentine.
-Mai sottovalutare il figlio di Valentine Morgenstern. - Disse Robert, con la voce carica di preoccupazione.
Alec stava iniziando a stufarsi di quella riunione. Erano lì da mezz'ora e non avevano ancora concluso niente. Lanciò un'occhiata ad Isabelle, che sembrava analizzare i suoi capelli, alla ricerca di doppie punte. Allora non era l'unico ad annoiarsi, pensò, sollevato.
Prima che qualcuno potesse replicare all'affermazione di Robert, l'aria circostante iniziò ad addensarsi, dando origine ad una figura irriconoscibile. Poi la figura, inizialmente trasparente, iniziò a prendere colore. I suoi capelli si tinsero di bianco, la tenuta che indossava di rosso, e gli occhi di nero. Era come se un artista avesse finito di disegnare e ora stesse colorando il suo disegno.
Gli Shadowhunters sussultarono, sgranando gli occhi per accertarsi che ciò che avevano di fronte era reale. 
Maryse si era irrigidita, mentre Robert aveva la bocca aperta per la sorpresa. Isabelle, con un gesto quasi involontario, strinse il polso del fratello seduto accanto a lei. In piedi, a qualche metro di distanza dal tavolo di legno, c'era Jonathan Morgentern.

ANGOLINO DELL'AUTRICE: ecco, l'ho fatto di nuovo. Ogni volta continuo a ripetermi che devo riassumere di più, perchè so che volete rivedere i Malec insieme. Ma alla fine finisce sempre allo stesso modo. Anyway, sabato parto per la Francia con la scuola e sto lì sei giorni, quindi inizierò il capitolo successivo appena torno. Spero che la storia non vi abbia stufato lol
-Simo

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** La decisione di Alec ***


Nella Biblioteca dell'Istituto regnava il panico. Alcuni dei presenti si scambiavano occhiate inquiete tra di loro, altri invocavano l'Angelo, altri ancora stringevano a sè i propri bambini con fare protettivo, come se la proiezione di Jonathan potesse far loro del male.
-Cosa sono quelle facce, miei cari compagni? Sembra quasi che abbiate davanti Lucifero in persona. - L'espressione di Jonathan era divertita, le sue labbra sottili leggermente incurvate all'insù, ma i suoi occhi erano inespressivi e neri come il Vuoto. 
-T-tu sei figlio di V-Valentine e sei qui p-per ucciderci. - L'uomo che aveva parlato, o meglio balbettato, si era alzato in piedi e stava indietreggiando verso la porta della Biblioteca, con lo sguardo colmo di paura inchiodato su Jonathan. 
-Quella è una proiezione, Thomas. Non può farti del male. - Intervenne Robert, irritato dalla reazione dell'uomo, il quale tornò al suo posto con il viso arrossito per l'imbarazzo.
-Che cosa ci fai qui, Jonathan? Cosa vuoi da noi? - Il tono di Luke era freddo come il ghiaccio. I suoi occhi azzurri, come il mare in una giornata estiva, in quel momento ricordavano l'oceano in tempesta.
Il figlio di Lilith avanzò con eleganza verso il tavolo di legno, attorno al quale erano seduti i Nephilim, godendosi le espressioni spaventate dei suoi simili.
-Cosa voglio da voi? Proprio non ci arrivate da soli? - Il Nephilim rise, ma la sua risata era priva di allegria. I suoi occhi incrociarono quelli di Luke, colmi di disprezzo nei confronti di quell'essere malvagio.
-No, non ci arriviamo da soli. - Era stata Maryse a parlare. Le sue unghie laccate di rosso tamburellavano sulla superficie liscia del tavolo: si trattava di un evidente segno di nervosismo. -Sai che non è educato presentarsi in casa altrui nel bel mezzo di una riunione importante, senza aver ricevuto un invito? Vedo che tuo padre ti ha insegnato tutto tranne che le buone maniere. -
Jonathan strinse le mani in pugni, infastidito da quell'affermazione. -Come ti permetti di parlarmi così, razza di..-
-Non un'altra parola, Morgenstern. - Alec, che fino ad un momento prima stava stringendo gentilmente la mano della sorella, si era bruscamente alzato in piedi. -Non ti permetterò di rivolgerti in quel modo a mia madre. - 
La risata di Jonathan riecchieggiò nella sala. -E saresti tu a impedirmelo, ragazzino? Sai a malapena tenere in mano una spada. Sei un pochino scarso come Shadowhunter. -
-Devo per caso ricordarti che il ragazzino scarso ha fatto fuori la metà dei tuoi uomini, in Irlanda? - Sbottò Isabelle, che non avrebbe permesso a nessuno di criticare le capacità di suo fratello in battaglia. 
-Per l'Angelo, la volete smettere?! - Intervenne Robert, esasperato. -Vi state comportando come dei bambini. -
-Robert ha ragione. - Disse Joselyn, stufa di quella sciocca discussione. -Non mi sembra il momento di discutere sulla tecnica di combattimento di Alexander. Piuttosto dicci perchè sei qui, Jonathan? - chiese a quel figlio che non sarebbe mai dovuto nascere.
-Sono qui per prendermi ciò che mi appartiene. - Rispose il Nephilim, guardando dall'alto verso il basso sua madre.
-Qui non c'è niente che ti appartiene, schifoso demone. - Sibilò Jace, che fino a quel momento era rimasto in silenzio.
-Come mai questa reazione, Herondale? Pensavo fossimo amici. - Rispose l'altro, in tono pacato. 
-Quella bastarda di tua madre mi ha legato a te con una runa demoniaca. Io non potrei mai essere tuo amico, mai. - Aline teneva Jace per il polso, per impedirgli di saltare addosso a Sebastian. Il biondo, infatti, aveva portato la mano alla cintura di cuoio a cui erano appese le armi, e stava sfiorando un pugnale.
-Quando io e il mio esercito vi avremo massacrati tutti, angioletti, ti pentirai di esserti messo contro di me, Jace. - Disse lo Shadowhunter oscuro. Le parole gli uscirono dalla bocca corrosive come il veleno. -Mi avete chiesto cosa ci faccio qui e cosa voglio da voi. - Proseguì il Nephilim -Ve lo dirò subito: sono qui per Clarissa. -
Il caos, sostituito per un paio di minuti dal silenzio carico di angoscia dei presenti, tornò a regnare nella Biblioteca. Gli Shadowhunter bisbigliavano tra di loro e lanciavano sguardi preoccupati a Clary, la quale era rimasta immobile, con il cuore che le martellava nel petto. Sentiva le voci di sua madre e dei suoi amici chiamarla, ma non prestò attenzione a nessuno. Gli occhi neri di suo fratello erano puntati su di lei e le sue labbra erano di nuovo incurvate in quel sorrisetto odioso che Clary avrebbe voluto cancellargli dalla faccia con uno schiaffo. Probabilmente l'avrebbe fatto, se Jonathan non fosse stato solo una proiezione.
-Non toccherai Clary con un dito, a meno che tu non voglia morire infilzato dal mio pugnale una seconda volta. - Gli occhi di Jace ardevano come due fiamme, mentre parlava. Improvvisamente la sua pelle abbronzata iniziò a brillare. Fiamme celesti attraversavano le sue vene e si espandevano nelle sue braccia, nel collo, nel torace. Persino i suoi occhi dorati per qualche istante divennero azzurri. 
Isabelle e Aline, che erano sedute accanto a lui, si alzarono di scatto, allontanandosi di qualche passo dal Nephilim. 
-Per l'Angelo, Jace! Stai per caso.. bruciando!? - Isabelle guardava il fratello con incredulità. Aveva visto qualche debole fiammella attraversare le braccia di Jace dopo che si era svegliato dal coma, una decina di giorni prima, ma da allora non era più successo. Lei, Alec, Maryse e persino i Fratelli Silenti e Catarina avevano creduto che l'effetto del fuoco della spada dell'Arcangelo fosse svanito, ma evidentemente si sbagliavano. 
Ora Jace era in piedi, a qualche metro di distanza da Sebastian e ardeva come una torcia, sotto gli sguardi increduli dei presenti, ma non sembrava nemmeno accorgersene. L'aria attorno a lui si era riscaldata e la temperatura, all'interno della Biblioteca, si era alzata di almeno cinque gradi. 
Jace si voltò verso Isabelle per chiederle di cosa stesse parlando, poi posò lo sguardo sulle proprie mani e finalmente vide anche lui ciò che avevano visto tutti. -Ma che diavolo..?! - borbottò tra sè e sè, con la bocca semiaperta per la sorpresa.
Per un breve istante, un lampo di stupore attraversò gli occhi di Sebastian, ma il Nephilim si ricompose in fretta.
-E sentiamo un po', perchè mai dovremmo consegnarti mia figlia!? - Chiese Joselyn, che in quel momento non desiderava altro che Jonathan fosse davvero lì, per potersi scagliare contro di lui e tagliargli la gola con una spada angelica. Nessuno avrebbe toccato sua figlia.
-Perchè se non lo farete, ucciderò lo Stregone che non avete fatto altro che sfruttare. Sapete benissimo di chi sto parlando. - Disse Jonathan, posando lo sguardo su Alec. Un'espressione compiaciuta comparve sul suo volto spigoloso quando vide il ragazzo irrigidirsi e i suoi occhi riempirsi di rabbia e paura. -Ho intenzione di prelevare il suo sangue, si, ma non morirà dissanguato. I Nascosti guariscono in fretta. -
La risata di Robert riecchieggiò nella stanza. -Pensi davvero che baratteremmo una di noi -una prescelta dall'Angelo con un dono enorme - con uno Stregone? Cos'è? Una battuta di cattivo gusto? - Il marito di Maryse sembrava infastidito dalla proposta di Sebastian. Si stava forse prendendo gioco di loro? È ovvio che non avrebbero mai scambiato Clary con uno Stregone.
-Sei libero di credere quello che vuoi, Lightwood. - Disse Sebastian, camminando nervosamente avanti e indietro con le mani dietro la schiena -Ma non pensare che dopo aver ucciso lo Stregone mi fermerò. Non vi lascerò in pace finchè non avrò ottenuto ciò che mi appartiene. Io e il mio esercito vi uccideremo senza pietà, uno dopo l'altro. Sta a voi decidere se sacrificare una sola Shadowhunter o morire tutti. -
Nella Biblioteca c'era un silenzio angosciante. I Nephilim lanciavano occhiate a Clary, pallida come un lenzuolo e stretta tra le braccia di Jace, che le stava dicendo qualcosa all'orecchio. Gli occhi del biondo erano tornati del loro vero colore, ma le scintille erano ancora ben visibili sotto la sua felpa bianca.
Maryse aveva appoggiato una mano sulla spalla del marito, come per cercare di confortarlo, dato che Robert si era irrigidito dopo aver capito che Jonathan parlava sul serio.
Vedendo che i presenti non erano ancora riusciti a prendere una decisione, Jonathan continuò. -Dato che oggi sono di buonumore, sarò buono vi darò tre giorni per decidere cosa fare. Se entro mercoledì non mi avrete consegnato Clay, ucciderò lo Stregone. Dopo di che arriverò all'attacco, quando meno ve lo aspettate. Potrei arrivare in ogni momento: tra una settimana, un mese o un anno. - 
-Se mai decidessimo di consegnarti la ragazza, dove dobbiamo venire a cercarti? - Chiese lo stesso uomo che poco prima aveva cercato di scappare, alla vista della proiezione di Sebastian. Jace gli lanciò uno sguardo omicida e l'uomo abbassò lo guardo. 
Che vigliacco pensò il biondo, e nella sua mente riapparve l'immagine di Hodge.
-Hunton School. È una scuola elementare abbandonata nel Lower East Side. Vi consiglio vivamente di non cercare di attaccarmi. Il Conclave non ha speranze contro il mio esercito. Avete visto quanto sono forti i miei Shadowhunters, in Irlanda. - Disse Sebastian, con aria di superiorità.
-Intanto tu sei sparito nel nulla, lasciandoli da soli a combattere contro di noi, razza di codardo! - Sbottò Clary, che non ce la faceva più a trattenere la rabbia.
-Che caratterino ribelle. - disse Jonathan, in tono cantilenante. - Mi piaci sempre di più. Sei proprio come me. Noi due siamo fatti per stare insieme, non lo capisci? Ci completiamo a vicenda. -
-Tu sei pazzo. - Sbraitò Jace, che aveva lasciato andare Clary, dopo essersi accorto che la ragazza sarebbe soffocata dal caldo, se fosse rimasta abbracciata a lui. -Clary non ti ama e non ti amerà mai, vuoi mettertelo in testa?! Lei è fatta per stare insieme a me, tu devi starle alla larga. -
-Taci, Herondale. Non hai alcun diritto di dirmi cosa devo o non devo fare. - Disse Sebastian, in tono irritato. -Piuttosto, perchè non lasciar decidere Clary cosa vuole fare? Forse lei preferisce venire con me piuttosto che veder morire tutte le persone che ama. -
Prima ancora che Clary potesse rispondere, Jonathan la interruppe con un gesto della mano. 
-Mi state facendo perdere tempo, quindi finiamola qui. Avete tre giorni di tempo, non uno di più. - Detto questo, i suoi occhi, la tenuta e i capelli iniziarono a perdere colore, diventando sempre più trasparenti. Era come se qualcuno stesse cancellando con una gomma il colore da un disegno. Qualche istante dopo, Jonathan era scomparso, lasciando i Nephilim a fissare il vuoto.
Per quella che sembrò un'eternità, nella Biblioteca calò un silenzio imbarazzante. Tutti fissavano Clary, in attesa della sua reazione.
Vedendo l'espressione sconvolta della sua ragazza, Jace cercò di tranquillizzarla. -Clary, tu non devi assolutamente fare ciò che.. - 
-No, Jace. Non posso permettere che voi moriate per me. Forse, se accettassi di seguire Sebastian, lui non mi farà del male. Forse dopo che avrà ottenuto ciò che vuole si fermerà, magari..- 
-Clary - la voce di Joselyn era carica di angoscia. -Lui non si fermerà mai. Una volta che avrà ottenuto ciò che vuole, vorrà qualcos'altro, e poi qualcos'altro ancora e così via. Conosco troppo bene Valentine e suo figlio è molto simile a lui, purtroppo. -
-Ma se non consegniamo la ragazza a Jonathan, lui ci ucciderà tutti. Non lo capite? Volete davvero morire per lei? - Chiese Elizabeth Merrywish, che non conosceva Clary e, di conseguenza, non le importava molto di lei.
-Sentite, fate quello che volete. - Alec, con le braccia incrociate contro il petto, aveva osservato la scena senza commentare, fino a quel momento . I presenti si voltarono verso di lui, con un' espressione sorpresa in volto.
-Cosa vuoi dire, Alexander? - Maryse era preoccupata. Perchè suo figlio si stava comportando in quel modo? -Non ti interessa ciò che ci succederà? -
Alec alzò gli occhi al cielo, frustrato. -Sapete una cosa? Sono stufo del vostro egoismo. Non fate altro che pensare a voi stessi, non vi preoccupate minimamente di chi non è un Nephilim come noi. Magnus Bane mi ha salvato la vita due volte, ha salvato Jace quando era in fin di vita, dopo che lo abbiamo liberato dalla Città Silente, ha combattuto accanto a noi più volte, rischiando la propria vita. Tutto completamente gratis. E ora non fate altro che pensare a una soluzione per salvare contemporaneamente voi stessi e Clary, senza curarvi minimamente di lui. Mamma, papà, sapete che noi due stavamo insieme, vero? Fino a pochi giorni fa eravamo felici. Io avevo finalmente trovato una persona che mi amasse e si prendesse cura di me, accettandomi per quello che sono. Poi io combinato un casino e ora lui non vuole vedermi più, ma non mi importa. Questo non cambia ciò che provo per lui. - 
Gli Shadowhunters fissavano Alec con incredulità. Il ragazzo era rimasto in silenzio per quasi tutto il tempo e quasi nessuno gli aveva prestato attenzione. Ma, soprattutto, nessuno si era davvero interessato al destino di Magnus. 
Fu Robert a rompere il silenzio, dopo lo sfogo del figlio. -Alexander, è normale che pensiamo al nostro destino. Dobbiamo prima di tutto salvare la nostra pelle e quella dei nostri compagni, dopo di che penseremo allo Stregone.. -
Le parole del padre non fecero che infastidire Alec ancora di più. -Io vado a salvare Magnus, con o senza di voi. -
Il mormorio di voci si diffuse per l'ennesima volta nella stanza. Alec sentiva gli sguardi degli Shadowhunters puntati su di sè. Alcuni di loro lo guardavano come se fosse un pazzo fuggito dal malincomio. Negli occhi di altri, invece, il Nephilim poteva vedere comprensione e persino un po' di orgoglio. 
Isabelle si avvicinò al fratello e lo avvolse in un abbraccio affettuoso. Il ragazzo ricambiò il gesto, accarezzando i capelli della sorella. 
-Io vengo con te. - Gli disse. 
Jace si avvicinò al moro e gli diede un'amichevole pacca sulla spalla. -Sto dalla tua parte, Alec. Sono o non sono il tuo parabatai? - 
-Dove va Jace vado anch'io. - Disse Clary, rivolgendo un timido sorriso al suo ragazzo. 
-Veniamo anche noi - esclamarono in coro Joselyn e Luke, che scoppiarono a ridere poco dopo. 
-Sono qui anche per aiutarvi in battaglia, no? Non andate da nessuna parte senza di me.  - Disse Taylor, ricevendo un sorriso da parte dei suoi compagni.
In men che non si dica, anche Maryse, Robert Aline, Helen e le loro famiglie avevano accettato di aiutare Alec, sul cui volto era finalmente apparso un sorriso. Forse quella sarebbe stata la loro battaglia. Forse sarebbe riuscito a salvare Magnus. Forse lo Stregone lo avrebbe perdonato. 

ANGOLINO DELL'AUTRICE
I'm baaack (?) *risata malefica*
Il capitolo è un po' noioso, ma dovevo scriverlo. Fa parte della storia. Sto pensando di inserire uno spoiler della Principessa, nei capitoli successivi, giusto per rendere un po' più interessante la ff. Ma allo stesso tempo non vorrei spoilerare il libro a chi non lo ha ancora letto, quindi ditemi voi. :)
Alla prossima,
-Simo

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** La runa dell'immunità ***


L'orologio, appeso alla parete rigorosamente bianca della camera da letto, segnava mezzanotte meno un quarto. 
Le persiane delle finestre erano abbassate e l'unica fonte di illuminazione nella stanza era un fascio luce, proveniente dal corridoio, dal momento che la porta della stanza era stata lasciata semiaperta.
Alec era disteso sul suo letto, sotto le coperte, con lo sguardo rivolto verso il soffitto. Il ticchettio costante dell'orologio e il respiro regolare del ragazzo erano gli unici suoni udibili, dal momento che tutti erano andati a letto. 
Era stata una giornata intensa per i Nephilim dell'Istituto, che avevano deciso di andare a dormire un po' prima del solito. L'assemblea del Conclave era durata più del previsto a causa dell'improvvisa apparizione di Sebastian, il quale aveva minacciato a morte tutti gli Shadowhunters che si fossero opposti alla sua volontà. 
Alec non poteva fare a meno di ripensare a quello che era successo quella mattina, dopo che Sebastian se n'era andato. Dal momento che ai componenti del Conclave non interessava altro che salvare la propria pelle e quella di Clary, Alec aveva deciso che sarebbe andato a liberare Magnus da solo. Il Cacciatore non si sarebbe mai aspettato di ricevere l'appoggio di tutta la sua famiglia, dei suoi amici e di persone che conosceva a malapena, come la famiglia Blackthorn, o i Carstairs. Per lui era stata una più che piacevole sorpresa e non aveva nascosto la sua gioia, rivolgendo -per la prima volta dopo la sua rottura con Magnus - un sincero sorriso carico di speranza e gratitudine alle persone che si erano offerte di aiutarlo.
Alec sentì una porta chiudersi e il lieve suono di passi avvicinarsi sempre di più alla sua stanza. Poi qualcuno bussò alla porta, nonostante fosse stata lasciata semiaperta. 
-Jace? Sei tu? - Chiese Alec, aspettandosi di vedere la sagoma dell'amico fare capolino dalla porta. 
Invece ad entrare fu sua madre, che indossava una camicia da notte bianca ed era scalza. I suoi lunghi capelli neri, così simili a quelli di Isabelle, erano sciolti e le ricadevano sulle spalle, arrivando quasi fino al ventre. In mano teneva una pietra di Stregaluce, che emanava un familiare bagliore azzurro.
-No, Alec. Sono io. -Disse la donna, avvicinandosi con cautela al letto del figlio. 
-Mamma? Cosa ci fai qui? Pensavo stessi dormendo. - Chiese il ragazzo a voce bassa, per non svegliare il resto della famiglia. Poi si mise a sedere, facendo spazio a Maryse, la quale si sedette sul bordo del letto, appoggiando la pietra di Stregaluce su un cuscino.
-Stai tranquillo, sono sicura che quasi nessuno stia dormendo. - Lo tranquillizzò lei. -Tuo padre è sceso in cucina a prepararci una pozione per il sonno, Jace è nella sala delle musica che sta suonando il piano. Forse tu non lo senti da qui, ma da camera mia riesco a sentire ''Per Elisa'' di Mozart. - Disse lei con un sorriso. Alec sapeva quanto sua madre amasse sentire Jace suonare, dal momento che il talento musicale dei Lightwood era pari a zero.
-Ma Izzy e Taylor? Anche loro sono sveglie? - Alec era sorpreso, pensava di essere l'unico ancora sveglio, a fissare il soffitto, immerso nei suoi pensieri.
-È da mezz'ora che sento Isabelle rigirarsi nel suo letto, sai che lo fa quando non riesce a dormire. Per quanto riguarda Taylor, mi ha detto di soffrire d'insonnia. Da quando ha perso sua madre dorme pochissimo, neanche quattro ore. Non potevo non crederle dopo aver visto le sue occhiaie.- 
-Oh. - Alec un po' era dispiaciuto per quella ragazza. Aveva perso tutta la sua famiglia eppure si stava impegnando a costruirsi una nuova vita, ad andare avanti. 
-Alexander.. ti volevo parlare di ciò che è successo oggi. - Disse Maryse, mentre il suo volto tornava serio. -Sei consapevole di aver fatto una scelta molto imprudente, vero? - 
Alec fece un respiro profondo. -Sì, mamma. Fidati, so cosa mi aspetta. -
-Allora sai anche cosa aspetta tutti noi, dal momento che abbiamo deciso di aiutarti? - 
Il ragazzo serrò la mascella. Maryse stava per caso cercando di fargli cambiare idea? Voleva convincerlo a rinunciare al suo tentativo di salvare Magnus?
-Non sono stato io a chiedervi di aiutarmi. - Disse, frustrato. -Vi siete offerti di vostra spontanea volontà di venire con me, devo forse ricordartelo? -
-Ma non avevamo altra scelta! - Esclamò lei, esasperata. -Pensi che io e tuo padre vi avremmo davvero lasciati partire da soli per questa missione suicida? Per quanto siate in gamba, Jonathan Morgenstern è troppo forte per voi. - Il volto di Maryse era teso, Alec poteva leggere la preoccupazione nei suoi occhi. -Ho già perso un figlio, per colpa di quel mostro, non posso permettere che..- 
-Mamma - disse con gentilezza Alec, prendendo le mani tremanti di sua madre tra le proprie e costringendola a guardarlo negli occhi. -Ti prometto che sarò prudente. Tutti noi lo saremo. L'odio verso quell'essere ci rende più forti e più uniti. Abbiamo avuto la meglio su di lui già una volta, chi ti dice che non ci riusciremo di nuovo? - Fece una breve pausa e, vedendo che negli occhi azzurri di sua madre c'era ancora un velo di incertezza, andò avanti. -Noi siamo i Nephilim, i prescelti dall'Angelo, i paladini della giustizia. Combattere il male è il nostro dovere e sacrificare le nostre vite per gli innocenti dovrebbe essere un onore. Affronteremo Jonathan, combatteremo con tutte le nostre forze e non ci arrenderemo mai. Non ci faremo sottomettere da lui, perchè i figli di Raziel non si sottomettono a nessuno. - Disse, accarezzando le nocche ruvide della madre.
Quando finì di parlare vide con sollievo che Maryse aveva accennato un sorriso e i suoi occhi celesti, uguali a quelli di Alec, brillavano nell'oscurità della stanza. Poi la donna si protese verso di lui e lo abbracciò, stringendolo forte, come non faceva da molto tempo. Alec ricambiò il gesto, sorridendo tra sè. 
-Ti voglio bene, Alexander e sono fiera si te. Non dimenticarlo mai, qualsiasi cosa accada. - Gli sussurrò lei all'orecchio, poco prima di sciogliere l'abbraccio e dirigersi verso la porta. 
-Ti voglio bene anch'io, mamma. Non ti deluderò, lo prometto. - Rispose Alec, poco prima che Maryse sparisse dalla sua vista, chiudendosi la porta alle spalle. 
Alec si rimise sotto le coperte, abbracciando il cuscino. L'indomani stesso sarebbero andati al rifugio di Sebastian. Non c'era più tempo: Sebastian avrebbe potuto impossessarsi del sangue di Magnus da un momento all'altro. Il moro scacciò quell'orribile pensiero dalla sua mente e chiuse gli occhi, cercando di prendere sonno, che questa volta non tardò ad arrivare. Alec si addormentò, cullato dal ticchettio incessante della lancetta dei secondi e dal lontano suono del piano, che il ragazzo avrebbe potuto ascoltare per ore e ore.
 
Nella Biblioteca dell'Istituto l'atmosfera era carica di tensione. C'era un continuo viavai di Shadowhunters che entravano e uscivano, tornando nella Biblioteca con armi prese in prestito dall'armeria. In fondo stavano andando a combattere contro il figlio del demone più antico e potente, senza nessuna ricompensa. Prestare le proprie armi ai Nephilim che si sono offerti di aiutarli era il minimo che i Lightwood potessero fare, per ringraziarli.
In fondo alla stanza c'era un gruppo di Nascosti che chiacchieravano tra di loro, gesticolando. Si trattava perlopiù dei licantropi del branco di Luke, che non ci avevano pensato due volte e avevano accettato di combattere al fianco del loro capo. Insieme a loro c'erano anche Jordan e Maia, che stavano parlando con uno dei Figli della Luna.
Clary, seduta sul divano rosso, era stretta tra le braccia muscolose di Jace, ma non riusciva a godersi la compagnia del ragazzo che amava, in quel momento. La tua mente era affollata da mille pensieri, uno più brutto dell'altro. 
E se attaccare Sebastian fosse un grande errore? E se lui si fosse già impossessato dei poteri di Magnus? E se qualcuno di loro rimanesse gravemente ferito, o peggio ancora morisse?
-Clary!? - I pensieri della Nephilim furono bruscamente interrotti da Jace, che la guardava con aria interrogativa. Dalla sua espressione capì che il ragazzo doveva averla chiamata più di una volta, ma lei era troppo distratta per accorgersene.
-Scusami, Jace - mormorò lei, imbarazzata -stavo pensando a ciò che ci aspetta tra poco e non ho sentito ciò che mi hai detto. -
-Devi smetterla di pensare che succederà qualcosa di terribile a tutti i costi. - Le suggerì lui, in tono paziente. -La preoccupazione e l'angoscia non faranno altro che peggiorare le cose. - Disse, mentre le sue lunghe dita da pianista giocavano con i riccioli della ragazza. 
Clary annuì, cercando di scacciare quei pensieri. -Cosa mi avevi detto prima, quando non stavo ascoltando? -
-Ti avevo chiesto se hai preso il tuo stilo. Non lo vedo appeso alla tua cintura. - Disse lui, indicando il cinturone di cuoio di Clary, dal quale pendevano due spade angeliche e un pugnale. 
-Lo stilo! - Esclamò lei, accorgendosi di non averlo preso. -Che sciocca che sono, l'ho lasciato a casa. - 
Jace sfilò il proprio stilo dalla cintura e lo porse a Clary. -Prendi il mio. Ti serve per guarirti le ferite che potresti ricevere in battaglia. Non ti lascerò andare senza. -
-Ma Jace, non posso. - Protestò lei. -Tu ne hai bisogno quanto me. Se dovessi rimanere ferito.. -
-Prendilo e basta. - Ordinò lui, in un tono che non ammetteva repliche. -Preferisco rimanere ferito io piuttosto che veder sanguinare te. -
Clary non era d'accordo, ma in quel momento discutere con Jace era l'ultimo dei suoi desideri. Prese lo stilo dalla sua mano e se lo infilò nella cintura.
In quel momento, la porta si aprì di nuovo e ad entrare fu Taylor. I suoi lunghi capelli erano di nuovo raccolti in una treccia, arrotolata in uno chignon ordinato. Evidentemente non le piaceva tenere i capelli sciolti, pensò Clary. Sotto i suoi occhi erano evidenti le occhiaie scure, nonostante avesse cercato di coprirle con il correttore. Come gli altri Nephilim, la ragazza indossava la tenuta da Cacciatrice ma, al contrario di tutti gli altri, dalla sua cintura pendeva una sola spada, infilata accanto allo stilo. Clary le fece un gesto con la mano, invitandola a raggiungerli, e fu solo quando la ragazza si girò verso di loro che Clary vide l'arma appesa al cinturone di cuoio. La rossa spalancò gli occhi per la sorpresa. Dalla cintura di Taylor pendeva un'ascia lunga quasi un metro, con una robusta impugnatura di legno e la lama lucidata e splendente, sulla quale erano incise tre rune del potere angelico, una accanto all'altra. Quell'affare doveva pesare un quintale! Ecco perchè aveva preso una sola spada. 
-Ciao Jace. Ciao, Clary. - Li salutò lei, quando li raggiunse.
-Ciao, Tay. Allora hai deciso di venire anche tu con noi? - Chiese Jace, nonostante conoscesse già la risposta.
-Certo che sì. Non vorrete mica lasciarmi a casa? - Chiese lei, incrociando le braccia contro il petto e mettendo un finto broncio, facendo ridere il fratello. 
-Clary, va tutto bene? Sembri perplessa. - Osservò Taylor, notando l'espressione sconvolta della Cacciatrice.
-Tu.. t-tu davvero..- bofonchiò Clary, indicando la cintura della bionda. 
-Oh, ti riferisci a questa? - Chiese lei, abbassando lo sguardo e, con un sorriso, sfilò l'ascia dalla cintura e iniziò a giocarci, spostandola da una mano all'altra come se fosse una pallina da tennis. Clary rimase a bocca aperta. Quella ragazza era alta -o meglio bassa - e magra quanto lei. Aveva l'aspetto di una bambola porcellana con i suoi lunghi capelli biondi e gli occhioni ametista, eppure combatteva con un'ascia lunga solo una cinquantina di centimetri meno di lei? Clary aveva sempre creduto che le armi ''alternative'' come le mazze e le asce fossero usate dagli gli omoni alti e muscolosi, come Robert, ad esempio. Evidentemente si sbagliava. 
-Ma io credevo che.. - balbettò Clary, osservando la spada che Taylor faceva roteare come se pesasse quanto un'arancia.
-Ti ho detto che le spade non sono il mio forte, non che non fossi specializzata in un'arma. - Disse lei, con un sorriso orgoglioso.
-Quindi il tuo strumento di battaglia è l'ascia? - Chiese Jace, che era sorpreso quasi quanto Clary, ma cercava di non darlo troppo a vedere.
-Sì. Ho iniziato a preferire l'ascia alle spade da quando avevo dodici anni. È un'arma molto efficace se sai come usarla. -
Taylor si sedette sul divano accanto a Clary, e la ragazza si guardò attorno. Nella Biblioteca c'erano più persone rispetto al giorno prima. Vide sua madre parlare con i genitori di Alec e Isabelle, mentre Luke stava dando indicazioni al suo branco, poco più in là. Da più di dieci minuti, ormai, nessuno era più entrato in Biblioteca. Evidentemente erano arrivati tutti. Mancava poco, pensò tra sè e sè, con una fitta allo stomaco. 
Taylor sembrò accorgersi della sua agitazione e le strinse gentilmente la mano, come per cercare di rassicurarla, mentre Jace si alzava per andare da Alec e Isabelle. La stretta gentile della bionda sembrò tranquillizzare Clary, che si rilassò e sorrise alla ragazza, la quale ricambiò il sorriso.
Una voce femminile, a pochi metri di distanza da loro, attirò l'attenzione di Clary.
-No, Emma. Tu non verrai con noi. Quante volte devo ripetertelo? - Una donna dell'età di Jocelyn era inginocchiata di fronte a una ragazzina che doveva avere non più di dodici anni. 
-Ma mamma, non è giusto! - si lamentò Emma, i cui capelli biondi erano in contrasto con i suoi occhi marroni. -Helen e Mark ci vanno. - 
-Helen e Mark sono entrambi più grandi di te. Hai da poco iniziato l'allenamento, non importa quanto tu sia in gamba nel combattimento. - Insistette la donna.
-Uffa! Non mi lasciate fare mai niente. - Bofonchiò la ragazzina, mettendo il broncio.
-Sei l'unica che si lamenta qui. - Le fece notare la madre. - Prendi esempio da Julian: lui non ha mai fatto tante storie per venire a combattere con noi. - 
La biondina non disse niente, ma continuò a tenere il broncio. 
-Senti, Emma. - Continuò la donna, dopo aver fatto un respiro profondo. -Combattere non è sempre piacevole come credi. Lo sai che dopo questa battaglia io e tuo padre potremmo non tornare più, non è vero? - 
La ragazzina annuì e il suo broncio si trasformò in un miscuglio tra paura e tristezza.
-Voglio che tu rimanga a casa al sicuro, insieme a Jules e ai suoi fratelli. - Disse la madre, nel cui tono severo c'era anche dell'affetto.
Emma non protestò, invece diede un bacio sulla guancia alla madre e si incamminò verso un ragazzino che doveva avere la sua età. I suoi capelli castani erano scompigliati e sporchi di vernice e il suo viso serio si accese quando Emma lo raggiunse. Clary ci mise un paio di secondi per riconoscerlo. Quello era il fratellino di Helen Blackthorn, che circa due settimane prima le aveva chiesto se era triste perchè non aveva fratelli. 
Clary sorrise tra sè e spostò nuovamente lo sguardo sulla donna, che ora stava parlando con Helen e un'altro ragazzo, simile a lei.
-Quindi è lì che rimarranno i bambini mentre noi andiamo a combattere. - Disse lei. 
Clary corrugò la fronte. Non aveva sentito la prima parte della frase.
-Nostra madre ha detto che va bene, non c'è problema. - Disse Helen, con un sorriso. 
-Mancano pochi minuti alle undici. - Osservò il ragazzo accanto a Helen. -Tra poco chiameranno la figlia di Jocelyn per aprire il portale. -
Clary non potè non notare la sua particolare bellezza. Era alto, forse anche più di Jace, era muscoloso e aveva i suoi stessi capelli biondi, ma ciò che colpì Clary maggiormente furano i suoi occhi bicolore. Il ragazzo aveva un occhio dorato e l'altro azzurro. La Cacciatrice non aveva mai visto niente di simile e ne rimase meravigliata. Le sue orecchie erano leggermente a punta, come quelle di Helen. Aveva sentito dire che nella famiglia Blackthorn scorresse sangue di fata. 
La donna lanciò un'occhiata all'orologio appeso sopra la scrivania sorretta da angeli e annuì. Nel frattempo, il presunto fratello di Helen si era girato verso di loro e stava fissando Taylor con interesse, ma la ragazza non sembrò nemmeno accorgersene, dal momento che era impegnata ad ascoltare la discussione tra due licantropi, dall'altra parte della stanza. 
-Mark, vai a chiamare Livia e dille cos'abbiamo deciso. - Disse Helen e il biondo raccolse la balestra che aveva lasciato momentaneamente tra i suoi piedi e si diresse dall'altra parte della stanza, sparendo tra la folla. 
In quel momento, la profonda voce di Robert interruppe le chiacchiere dei presenti, attirando su di sè la loro attenzione.
-Sono le undici in punto. - Disse, dopo aver lanciato un'occhiata all'orologio -È giunta l'ora. - 
Non c'era bisogno di aggiungere altro, i presenti sapevano benissimo a cosa si riferisse. 
Jocelyn e Luke, dall'altra parte della stanza, lanciarono uno sguardo d'incoraggiamento a Clary, ancora seduta accanto a Taylor. La rossa si alzò e si diresse verso l'unica parete del tutto spoglia della Biblioteca, per disegnare la runa che avrebbe aperto il portale per la Hunton School. Ma, mentre sfilava lo stilo dalla cintura, nella sua mente apparve una runa. Questa volta non si trattava di una runa nuova: era lo stesso marchio che aveva visto il giorno prima, quello simile a un quadrifoglio. La runa dell'immunità. Clary sentì un brivido percorrerle la schiena: era come se la runa le stesse gridando ''usami!''
-Clary, va tutto bene? - Le chiese Maryse, preoccupata, vedendo che la ragazza era rimasta immobile con lo stilo in mano.
-Io.. - iniziò Clary, attirando gli sguardi incuriositi di Nephilim e licantropi su di sè. Fece un respiro profondo e proseguì. -Ieri ho visto una runa  -annunciò -una runa che non avevo mai visto prima. Dal momento in cui è apparsa nella mia mente ho percepito la sua potenza e ho capito che sarebbe stata indispensabile non solo per me, ma anche per altri. Sento che questo è il momento di usarla.- 
Nella Biblioteca era calato il silenzio. Tutti erano curiosi di sapere a cosa servisse questa runa. Dal giorno in cui Clary aveva creato la runa dell'Alleanza, nella Sala degli Accordi, nessuno aveva mai più dubitato delle straordinarie capacità della ragazza. 
-Di cosa si tratta? - Chiese la donna che poco prima aveva convinto la ragazzina a non andare in battaglia con loro. 
-È una runa dell'immunità. - Spiegò Clary. -Sento che ci proteggerà da qualcosa, anche se non so esattamente da cosa. Ho bisogno che vi fidiate di me e vi lasciate marchiare, vi prometto che è per il vostro bene. -
Ci fu un attimo di esitazione, poi Jocelyn si fece avanti, rimboccandosi la manica della tenuta e porgendo il braccio a Clary, con un sorriso di incoraggiamento. Clary appoggiò la punta dello stilo sul braccio della madre, chiuse gli occhi e iniziò a disegnare. Quando ebbe finito, aprì gli occhi e guardò il suo lavoro: la runa era uguale a come l'aveva vista. 
Pochi istanti dopo, si era formata una fila di Cacciatori e Nascosti che aspettavano di essere marchiati da Clary. La Nephilim fece un respiro profondo, si rimboccò le maniche e iniziò a disegnare la runa sulle braccia di tutti i presenti, uno dopo l'altro.
Quando ebbe finito, diede un'occhiata alla folla che ammirava soddisfatta l'opera di Clary, e sorrise tra sè. 
-Allora è vero - disse Taylor, sorridendo alla rossa -tu sei la creatrice. -
-La creatrice? - Chiese Clary, confusa.
-La creatrice di rune. - Spiegò la bionda. -È così che ti chiamano a Idris. -
-Allora sono io, in persona. - Ammise Clary, ridendo. Dopo di che si voltò e inziò a disegnare un'altra runa sulla parete. Clary sapeva dove si trovava la Hunton School. Era la scuola che un tempo aveva frequentato la sorella di Simon, e per la Cacciatrice non fu difficile visualizzarla nella propria mente. 
I Nephilim e i Nascosti indiettreggiarono di qualche passo, mente il bagliore del portale che si stava aprendo aumentava. Mentre il vortice nero si espandeva, Clary fece un passo indietro. Poi prese il coraggio e si tuffò nel vuoto, seguita dagli altri.
 
ANGOLINO DELL'AUTRICE
Ho inserito un piccolo spoiler di alcuni personaggi di TDA perchè non vedo l'ora di leggerle la trilogia.
Comunque, spero che il capitolo vi sia piaciuto :))
Dovrò scervellarmi parecchio per scrivere il prossimo perchè le idee le ho ma il problema è metterle per iscritto. Ma dal momento che non ho una vita sociale è così che passo il mio tempo libero, quindi vado a mettermi al lavoro.
-Simo

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Hunton School ***


Clary aveva sperato che prima o poi si sarebbe abituata alla sgradevole sensazione che si prova viaggiando con un Portale. Ma, mentre veniva risucchiata per l'ennesima volta in un vortice oscuro che la faceva girare come una trottola nel vuoto, togliendole il respiro, capì non sarebbe mai successo.
D'un tratto sentì un dolore acuto nel gomito. Quando riaprì gli occhi -che aveva chiuso per evitare che la massa d'aria fredda le facesse finire i capelli in faccia, annebbiandole la vista - si rese conto di trovarsi per terra, sdraiata a pancia in giù sul freddo asfalto.
Mentre si stava rialzando in piedi, ripulendosi la tenuta dalla ghiaia, sentì un tonfo sordo, seguito da un lamento. Si voltò e vide Isabelle, accucciata per terra, a qualche passo di distanza da lei.
-Questo affare mi fa venire la nausea ogni volta! - Sbottò la mora, mentre raccoglieva da terra la frusta di elettro, che le si era srotolata dal polso.
-Allora siamo in due, Iz. - Cercò di confortarla Clary, porgendole la mano per aiutarla a rialzarsi.
Prima che la mora potesse rispondere, un altro corpo venne catapultato sul marciapiede: quello di Aline, che -al contrario di Isabelle e Clary - era riuscita ad atterrare in piedi. 
-La prossima volta che avrò voglia di divertirmi, anzichè andare al Luna Park mi farò un giro in un Portale - scherzò Aline -è peggio del Sombrero! - 
In quel momento, il Portale emanò un intenso bagliore dorato e una massa di corpi si riversò sul pavimento. Poi gli Shadowhunters si rialzarono goffamente in piedi, lamentandosi per il brusco atterraggio, mentre il Portale si chiudeva alle loro spalle.
Clary guardò di fronte a sè. Una scuola a due piani, dipinta di giallo e di arancione, si trovava poco distante da loro. Bastava attraversare la strada per raggiungerla. Nonostante l'edificio fosse avvolto in uno strato di nebbia -dal momento che dicembre era alle porte e le giornate soleggiate diventavano sempre più rare, man mano che l'inverno si avvicinava - Clary riusciva a vedere i fiori di carta pesta e i disegni dei bambini ancora appesi alle finestre.
Rabbrividì al pensiero che quella che una volta era una scuola elementare, affollata da centinaia di bambini, ora era diventata il covo del suo fratello tanto malvagio quanto psicopatico.
-Clary - la ragazza sentì un braccio muscoloso cingerle le spalle. Non dovette voltarsi per capire di chi si trattava, lo sapeva già.  -Sai che non sei costretta a farlo. Non hai alcun obbligo di entrare là dentro e affrontare tuo fratello. Potresti sempre tornare all'Istituto mentre noi.. -
-Non se ne parla nemmeno. - Lo interruppe Clary, impedendogli di finire la frase. -Abbiamo già affrontato questa conversazione, Jace. Mi sembra di essere stata chiara sul fatto che voglio combattere con voi e affrontare il mio destino, qualunque esso sia. È me che vuole Sebastian, e non ho alcuna intenzione di stare qui a girarmi i pollici mentre voi vi fate ammazzare al posto mio. - Clary si voltò e i suoi occhi incontrarono quelli di Jace. Il ragazzo esitò un attimo, cercando qualche segno si insicurezza negli occhi di Clary, ma non ne trovò nessuno. 
-Va bene, allora. - Disse, arrendendosi. -Però stammi vicina. -
Clary annuì e si voltò verso gli altri, accorgendosi che stavano aspettando solo lei. Prese il coraggio e si incamminò verso la scuola, seguita da una ventina di Shadowhunters e lupi mannari che marciavano in silenzio, come dei soldati, dietro di lei. 
Il quartiere in cui si trovava la Hunton School era quasi disabitato da anni e, di conseguenza, avvolto in un silenzio che non era tipico della frenetica New York. Gli unici suoni che Clary poteva sentire erano il rumore dei passi dei suoi compagni che calpestavano le foglie secche del cortile della scuola e il fruscio del vento, che la faceva rabbrividire. Aprì la porta d'ingresso con una runa di apertura ed entrò nell'edificio, seguita dagli altri, che cercavano di fare meno rumore possibile. L'interno della scuola era caratterizzato da una hall non molto ampia,  pareti dipinte di giallo e arancione - una combinazione di colori che Clary non avrebbe mai approvato - e dall'aria pesante, in quanto le finestre non venivano aperte da anni. 
-Io e il mio branco andiamo a perquisire il secondo piano - annunciò Luke a bassa voce, per non farsi sentire dalle eventuali sentinelle di Sebastian -voi Nephilim date un'occhiata alle aule qui sotto, d'accordo? -
Gli Shadowhunters annuirono, poi si diressero verso la prima aula, mentre i licantropi salivano le scale per raggiungere il secondo piano. La classe era completamente vuota: non era rimasto più niente. Nè un banco, nè una sedia, nè la cattedra. Persino le lavagne erano sparite.
Con il cuore in gola, Clary seguì gli altri, che si stavano avviando verso la seconda aula. Anche questa era vuota come la prima. Proseguirono con la terza e poi la quarta e così via, trovandole tutte deserte, finchè Isabelle non perse la pazienza.
-Si può sapere dove diavolo è finito quel bastardo?! - Sbottò -Abbiamo perlustrato quasi tutte le classi, Alec e Taylor sono andati a controllare persino nei bagni e Luke non ci ha ancora dato alcun segno. Ciò vuol dire che non hanno trovato niente. E se si stesse prendendo gioco di noi? -
-Abbi pazienza, Isabelle. - La rimproverò Robert -È di Clary che si tratta. Se ci ha detto di venirlo a cercare in questa scuola, è sicuramente qui. -
-Ma è assurdo. Stai insinuando che Sebastian stia giocando a nascondino? - Chiese la ragazza, guardandosi nervosamente attorno. 
-Non lo so. - Disse Robert, con un sospiro. -So solo che dobbiamo controllare se anche l'ultima aula sia vuota. Se lo è, allora c'è davvero qualcosa sotto. -
In quel momento, i licantropi scesero al piano di sotto, raggiungendo i Nephilim. 
-Non c'è nessuno di sopra - disse Luke -abbiamo cercato dappertutto, persino nell'aula Magna. -
-A noi manca solo un'aula - rispose Jocelyn -anche se dubito che Jonathan sia lì, dal momento che non si sente alcun suono proveniente dalla classe.-
-Dare un'occhiata non ci costa niente. - Disse Robert, avviandosi verso l'ultima classe infondo al corridoio, seguito dagli altri, che bisbigliavano tra di loro e stavano iniziando a perdere la pazienza. Robert aprì lentamente la porta e.. trovò la classe vuota. Di Sebastian non c'era nemmeno l'ombra.
Un boato si voci si alzò.
-Non ci posso credere, ci ha solo fatti perdere tempo! - esclamò Alec.
-È inammissibile. - Aggiunse Aline.
-Forse è colpa nostra. Non dovevamo fidarci di lui. - Disse Jocelyn, sconsolata. -Sappiamo tutti che ai demoni piace mentire. E Jonathan è senz'altro più demone che umano.-
Jace diede un calcio alla porta, perdendo la pazienza. -Quel bastardo me la pagherà. Eccome se me la pagherà. Appena si va vivo, giuro sull'Angelo che.. -
-Jace - intervenne Maryse, appoggiando una mano sulla spalla del figlio -risparmiati la fatica di insultarlo, dal momento che non è qui. Evidentemente è troppo codardo per affrontarci. -
-Andiamocene, qui non c'è più niente da cercare. - Disse Robert, uscendo dalla stanza. Gli altri, frustrati, fecero per seguirlo, ma il suono di una voce li fece fermare all'istante, immobilizzandoli sul posto.
-Non così in fretta, angioletti. - La voce era familiare e calma come il mare in una giornata estiva.
Gli Shadowhunters si voltarono contemporaneamente e liberarono le armi dalle cinture in un batter d'occhio.
-Pensavate che non mi sarei presentato? Sono una persona d'onore, io, proprio come mio padre. - Sogghignò. 
Con orrore, i Nephilim videro che Sebastian era circondato da scintille azzurre, che lo avvolgevano e giravano freneticamente attorno a lui. 
-Jonathan Morgenstern - la voce di Luke suonava tremante alle sue stesse orecchie -si può sapere da dove diavolo sei sbucato fuori? Un attimo fa l'aula era completamente vuota! - 
Sebastian rise e la sua risata riecchieggiò nella stanza. -Sciocchi Nephilim. Credevate che stessi scherzando quando dissi che il sangue del vostro Stregone mi sarebbe stato utile? - 
Un lampo di rabbia attraversò gli occhi di Alec. -Cosa gli hai fatto, razza di mostro?! - Sibilò, portando la mano verso una spada angelica infilata nella cintura.
Senza nemmeno dargli il tempo di liberare l'arma, Sebastian alzò una mano e lanciò una sfera di scintille contro di lui, sollevandolo da terra e facendolo schiantare contro il muro. Il ragazzo urlò di dolore, accovacciandosi a terra.
-Alec! - Esclamò Isabelle, correndo verso il fratello per aiutarlo a rialzarsi. 
-Se non sbaglio avevamo un accordo. - Disse Sebastian a denti stretti. -Voi mi consegnate Clarissa e io, forse, e sottolineo forse sarò così buono da liberare il figlio di Lilith. -
Jace rise, irritando il fratello di Clary.  -Te lo puoi scordare, Morgenstern. Se vuoi Clary allora dovrai passare sul mio corpo. E ora, se sei un vero guerriero, liberati di quelle scintille da fatina e combatti contro di me. - 
Sebastian esitò un attimo, poi schioccò le dita e improvvisamente una trentina di uomini e donne, con indosso tenute da combattimento color sangue, apparvero magicamente nella stanza. Gli Shadowhunters sussultarono, ma non si tirarono indietro. Sfoggiarono le loro spade dei serafini e un coro di voci che invocavano nomi angelici riempì la stanza.
-È guerra ciò che volete, angioletti? - Chiese Sebastian, in tono cantilenante. -Vedrò di accontentarvi allora. - 
Sfoderò una spada dalla lama nera e si lanciò contro Jace, dando inizio alla battaglia.
Clary non esitò neanche per un attimo. Con la spada saldamente impugnata in una mano, attaccò una donna dagli occhi neri, uguali a quelli del fratello. I movimenti rapidi della nemica la mettevano in difficoltà: non ara abituata ad affrontare Shadowhunters così agili e veloci, dal momento che Jace, durante i loro allenamenti, si adattava ai suoi limiti. Tuttavia non si fece scoraggiare e, dopo un paio di colpi mancati, infilzò la donna in un fianco, dal quale colò un rivolo di sangue nerastro. La donna imprecò e si scagliò contro Clary, la quale schivò il colpo per un pelo, con un sospiro di sollievo. 
Nel frattempo, Jocelyn e Isabelle stavano combattendo schiena contro schiena contro tre omoni alti quasi due metri. Con un rapido movimento del polso, Isabelle avvolse la sua frusta attorno al gomito di uno degli uomini, il quale sbarrò gli occhi, cercando di ritrarsi. 
La mora sorrise con malizia, tenendo salda la presa. -Dì addio al tuo braccio, tesoro. - disse, e tirò la frusta verso di sè, staccando il braccio dell'uomo. Lo Shadowhunter oscuro emise un grugnito orrendo, quasi disumano, accasciandosi a terra. 
-Ben fatto, Isabelle! - Esclamò Jocelyn, che nel frattempo aveva rotto il naso ad un altro nemico con un pugno in faccia, dal momento che l'uomo era talmente veloce da riuscire a schivare tutti i suoi colpi di spada. La mora sorrise, compiaciuta, mentre la sua frusta si avvolgeva al collo di un'altra donna in tenuta rossa.
Anche Taylor era circondata da tra uomini, che avanzavano minacciosamente verso di lei. La ragazza li studiò, mentre faceva roteare l'ascia attorno a sè, per guadagnare tempo. Due di loro erano troppo alti. Non sarebbe riuscita a decapitarli facilmente. Ma ce n'era uno alto solo una ventina di centimetri in più di lei. Strinse forte l'impugnatura dell'arma con entrambe le mani, decidendo di approfittarne. Sollevò le braccia in alto e, con un gesto rapido come pochi, tagliò la testa dell'avversario, la quale rotolò per terra come un pallone da calcio. I compagni del malcapitato, tuttavia, non si fecero intimorire e puntarono le loro spade contro di lei, facendola indietreggiare. Taylor spostò rapidamente lo sguardo da una parte all'altra, alla ricerca di una via d'uscita. Senza neanche accorgersene, era rimasta schiacciata tra il muro e la punta di una spada affilata puntata sulla sua gola. 
-Che c'è, biondina? La tua arma letale non ti è più d'aiuto? - L'uomo rise, premendo la punta della spada contro l'incavo del collo di Taylor, che aveva le pupille dilatate e la gola secca. Sarebbe morta, pensò. Uccisa da un figlio dell'Angelo a cui era stato iniettato sangue di demone. 
Prima che l'uomo potesse affondare l'arma nel collo della ragazza, Taylor vide una spada trapassare il suo torace. Poi, con un gesto brusco, il proprietario ritirò la propria spada e la bionda vide l'uomo cadere a terra. Il sangue nerastro si espandeva in una pozzanghera attorno a lui, mentre la vita abbandonava i suoi occhi. Taylor, pallida come un lenzuolo, alzò lo sguardo e vide Clary, in piedi davanti al cadavere, che le sorrideva con la spada insanguinata in mano. 
-Forza, Tay. Andiamo a dissanguare un po' di bastardi. - Disse con euforia e Taylor ricambiò il suo sorriso. Un istante dopo, le sue mani facevano di nuovo roteare con disinvoltura la pesante ascia. 

Alec si guardò attorno: il corridoio era deserto. Accellerò il passo, allontanandosi dall'aula in cui stava avendo luogo la battaglia. Il moro era uscito dalla classe poco dopo l'inizio del combattimento, mentre tutti erano impegnati a massacrare i nemici e non si erano accorti della sua assenza.
Mentre stava camminando, si accorse che gli tremavano le mani.
Nel momento in cui aveva visto Sebastian circondato da quelle scintille azzurre che gli erano così famigliari -e che col tempo aveva imparato ad amare- aveva sentito il suo cuore fare un salto dal petto e spostarsi in gola, togliendogli il respiro. Sapeva che era egoista da parte sua abbandonare la sua famiglia e i suoi amici nel bel mezzo di una battaglia, ma Magnus, in quel momento, aveva bisogno di lui più di chiunque altro. 
Si fermò, rendendosi conto che stava girovagando per la scuola senza una meta. Pensa, Alexander. Comandò a sè stesso. Dove si potrebbe tenere prigioniero qualcuno, all'interno di una scuola elementare? Avevano già perlustrato tutte le aule del primo piano e Luke aveva detto di non aver trovato niente neanche al piano di sopra, e nemmeno nell'aula Magna. Cos'altro c'è in una scuola per bambini? Si chiese, sentendosi uno stupido subito dopo. Essendo Shadowhunters, lui e i suoi fratelli non erano mai andati a scuola. Avevano sempre studiato all'Istituto, con Hodge come unico maestro.
La mattina si allenavano nella sala degli allenamenti, poi studiavano in Biblioteca e all'ora di pranzo mangiavano... 
D'un tratto ebbe un'illuminazione. Una mensa. Doveva esserci una mensa, da qualche parte. Come aveva fatto a non pensarci prima? Scese nuovamente al primo piano, con il cuore che gli martellava nel petto. Non c'era nessun altro posto in cui nascondere un prigioniero, in un edificio così piccolo. 
Si guardò attorno fino a quando una rampa di scale che portava piano sotterraneo attirò la sua attenzione. Scese di corsa i gradini, ignorando il suo respiro affannoso e le gocce di sudore che gli colavano dalla fronte. Quando i gradini furono terminati, si ritrovò davanti a una pesante porta di metallo, sulla quale era incisa una runa di chiusura demoniaca. Alec non fece fatica a riconoscerla, dal momento che era molto simile alla runa di apertura che aveva trovato sulla porta di Magnus, il giorno in cui era andato a vedere cosa stava succedendo. 
Tirò fuori lo stilo e, con mano tremante, disegnò una runa di apertura, cercando di essere più preciso possibile. Dopo qualche istante, la porta cadde a terra, con un tonfo sonoro. Un intenso bagliore ferì gli occhi di Alec e, dopo essersi progressivamente abituato alla luce, vide con orrore la fonte di quel bagliore intenso. Quattro spade, conficcate in corrispondenza dei quattro punti cardinali, formando un'impenetrabile gabbia di luce senza soffitto.
Si trattava senza dubbio di una configurazione Malachi: un'invenzione del Conclave.
Alec si avvicinò lentamente alla gabbia luminosa e al suo interno scorse una figura, accovacciata in un angolino con la testa appoggiata alle ginocchia. 
Alec trattenne il respiro. Quello era Magnus. 

ANGOLINO DELL'AUTRICE
Tre giorni per scrivere questa cosa. Complimenti, Simona.
Forse l'unica parte che si salva è quella finale. Devo smetterla di recensirmi da sola.
Ok, la smetto. 
Alla prossima,
-Simo

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Ti fidi di me, ora? ***


Due occhi felini, color giada dorato, si spalancarono, rivelando le pupille verticali del loro proprietario.
Magnus, rannicchiato sul freddo pavimento di cemento, si mise lentamente a sedere. I rumori provenienti dal piano di sopra portarono lo Stregone a chiedersi cosa diavolo stesse succedendo. Con il suo sensibile udito felino riusciva a sentire ogni cosa: le urla, i tonfi, l'inconfondibile suono di una frusta in azione, un pesante oggetto si che si conficca nel cemento, seguito dal raccapricciante suono di ossa che si spezzano. Si trattava per caso di.. un'ascia?  Si domandò il figlio di Lilith, rabbrividendo.
Probabilmente i servitori di Sebastian si erano stufati di essere i suoi burattini e avevano deciso di ribellarsi, pensò Magnus. A chi altro verrebbe la pessima idea di attaccare Jonathan Morgenstern nel pieno delle sue forze?
Magnus ricordò con orrore ciò che era successo la notte precedente. Sebastian aveva fatto irruzione in quella specie di cantina in cui si trovava, aveva attraversato la prigione di luce senza subire il benchèminimo danno fisico -forse grazie a una runa di protezione - e, senza alcun preavviso, aveva tirato fuori una grossa siringa, conficcandogliela nel collo prima ancora che lo Stregone avesse il tempo di capire cosa stesse facendo. Mentre la più grande siringa che avesse mai visto si riempiva del suo sangue, Magnus sentì le forze abbandonarlo, e si rese conto che stava perdendo i sensi.
Si diede dello stupido per aver pensato che Jonathan Morgenstern fosse intimorito dal potere, inizialmente incontrollabile, che il suo sangue gli avrebbe conferito. Infondo, è del figlio di Valentine che si tratta. Magnus si chiese se c'era qualcosa, sulla faccia della terra, di cui il figlio di Lilith potesse avere paura.
Un suono proveniente dall'esterno attirò l'attenzione dello Stregone. Qualcuno stava scendendo le scale. Sebastian pensò Magnus, con una fitta nel petto. 
Chiuse gli occhi e si raggomitolò su sè stesso, con la testa appoggiata sulle ginocchia, cercando di concentrarsi. Si sentiva debole: il suo organismo stava usando tutta la sua energia per rifornirlo del sangue che aveva perso. Magnus strinse i pugni, sentendo il calore delle scintille -più deboli del solito, ma comunque presenti - solleticargli i palmi delle mani. 
Questa volta avrebbe reagito. Non avrebbe lasciato che Sebastian lo toccasse un'altra volta, sfruttandolo, per poi rinchiuderlo di nuovo in quella prigione nella quale gli sembrava di stare da mesi. Alla sua entrata, gli avrebbe lanciato addosso una sfera di fuoco. Non gli importava di essere debole. Forse non lo avrebbe ucciso, ma avrebbe almeno provato a ferirlo. Meglio debole che del tutto impotente.
La porta cadde a terra con un tonfo sonoro, facendolo sobbalzare. Perchè mai Sebastian aveva deciso di buttare giù la porta, dal momento che poteva aprirla normalmente? 
Il suono di passi lenti e indecisi incuriosì Magnus ancora di più, e lo Stregone alzò lentamente lo sguardo verso la sagoma che si stava avvicinando ad una delle pareti della configurazione. Nonostante la luce, che gli impediva di vedere chiaramente il volto del ragazzo, Magnus vide, con sollievo, che quello non era Sebastian. Era vestito di nero e i suoi capelli spettinati erano dello stesso colore della sua tenuta. Il Nephilim fece un altro passo in avanti e Magnus vide finalmente i suoi occhi, azzurri come il cielo e splendenti come due zaffiri.
-Magnus? - chiese il ragazzo, la voce tremante colma di speranza.

Clary scattò di lato, sfuggendo alla lama affilata di un uomo in tenuta rossa, con una folta barba nera. Fino a quel momento, aveva messo K.O. sei degli uomini di Sebastian, e Taylor ne approfittava per decapitarli con la sua ascia, assicurandosi che non si rialzassero più. Con sorpresa si era accorta che  i suoi movimenti e quelli della bionda erano perfettamente coordinati. Si sentiva a proprio agio combattendo con l'altra ragazza. Si guardavano alle spalle e si aiutavano a vicenda nei momenti di difficoltà, cercando di non perdersi d'occhio per troppo tempo. Era come se fossero nate per combattere insieme.
-Clary, Girati! - gridò Taylor e la rossa si voltò all'istante. Ciò che vide le fece raggelare il sangue nelle vene. In piedi davanti a lei, c'era una donna di mezza età, con lunghi capelli castani, occhi neri e vuoti, un pugnale in mano e un ghigno malvagio dipinto sulle labbra. Avrebbe potuto essere una sosia di Bellatrix Lestrange, se al posto del pugnale avesse una bacchetta.
La vista di quella donna non avrebbe sconvolto Clary più di tanto, se lei non fosse stata Amatis Herondale: la sorella di Luke, la donna che l'aveva aiutata quando era in preda ai deliri, che l'aveva ospitata quando non un aveva un altro posto dove andare, che aveva sofferto tutta la vita per un uomo che le era stato strappato dalle braccia da suo padre. 
Clary fece un passo indietro, abbassando la spada che stringeva in pugno. Forse, se avesse parlato con Amatis, la donna si sarebbe ricordata di lei. Forse sarebbe riuscita a farle capire che stava commettendo un grave errore, stando dalla parte di Sebastian. Forse, se l'avesse portata da Luke..
Prima che Clary avesse il tempo di decidere cosa fare, vide Amatis piegare le ginocchia e portare la mano con cui stava stringendo il coltello all'altezza della spalla. Era sul punto di attaccare. Clary si gettò a terra, schivando il colpo dell'avversaria.
In quel momento, non potè fare a meno di essere grata delle rune di velocità e agilità che ornavano le sue braccia. 
Amatis però sembrò non aver gradito la mossa di Clary e si lanciò contro di lei, con il pugnale che puntava al suo cuore. La rossa sentì qualcosa colpire le sue caviglie e un momento dopo si ritrovò per terra, atterrando sulle ginocchia. Ancora una volta Amatis aveva mancato il colpo.
Clary si voltò per vedere chi l'aveva fatta cadere e rimase sorpresa di ritrovarsi davanti Isabelle.
-Iz! - Esclamò la rossa, indispettita -Mi hai appena fatto lo sgambetto?! - 
-Se non l'avessi fatto, saresti rimasta lì imbambolata mentre Amatis ti trafigge con un coltello. - Si difese la mora. -È questo che volevi? - chiese, alzando un sopracciglio.
Clary scosse la testa. -Non posso farle del male - spiegò -non è colpa sua se ora è diventata.. quello che è diventata - concluse, non riuscendo a trovare il termine adatto. -E poi, se la uccidessi, Luke non mi perdonerebbe mai. -
Isabelle le mise una mano sulla spalla. -Clary, gli faresti solo un favore togliendole la vita. Chi ti dice che, dopo aver ucciso te, non provi a fare altrettanto con Luke? È mezzo demone, adesso. Non è più la stessa persona che era una volta. - 
Clary esitò un istante, mordicchiandosi il labbro. -Ma io voglio salvarla, Iz. Lei l'ha fatto con me, una volta. - 
Isabelle sospirò, ormai abituata alla testardaggine dell'amica. Per un attimo si guardò attorno, come se stesse cercando qualcosa che potesse aiutarle, poi il suo sguardo si accese. -La runa che hai creato nella sala degli Accordi! -
Clary la guardò senza capire -Intendi la runa dell'Alleanza? Non credo che in questo caso..-
-No, non quella. Ti ricordi quando sei salita sul podio, per dimostrare a Malachi di essere capace di creare rune nuove? Hai creato una runa che permetteva a ognuno di vedere in te la persona che ama di più. Appena ti ha vista, Amatis è corsa verso di te, ripetendo il nome di Stephen. Dovresti rifarlo. Forse, in questo modo, riusciresti a tenerla buona per un paio di minuti e a portarla via di qui. -
Clary non era del tutto convinta. -Ma adesso lei è in parte demone, Iz. Chi ti dice che questo trucco funzionerà? Forse non è più in grado di amare. -
-Clary, lei non è un demone. - Insistette l'altra. -Ha ancora un'anima. La quantità di sangue demoniaco che ha nelle vene è senz'altro inferiore rispetto a quello a quello umano-angelico. E poi sono convinta che il suo amore per Stephen sia più forte del demone che si è insidiato in lei. Forse non è così, forse ho torto, ma provare non ti costa niente. -
Le labbra di Clary si incurvarono in un sorriso. -Forse hai ragione. Sei la migliore, Izzy. Cosa farei senza di te? -
-Saresti spacciata. - Scherzò la mora, senza troppa modestia. -E ora sbrigati, io devo tornare a combattere. - Disse e pochi istanti dopo era sparita dalla vista di Clary.
Non c'era tempo da perdere. Clary si voltò verso Amatis e vide che la donna si stava avvicinando, i suoi occhi maligni puntati su di lei.
-Che fai, ragazzina? Continui a scappare? Sappi che non riuscirai a sfuggirmi. - Ghignò Amatis.
 Mentre la donna si stava chinando a terra per raccogliere la sua spada, -che probabilmente le era stata tolta di mano - Clary ne approfittò per tirare fuori lo stilo. Appoggiò la punta dello strumento sull'avambraccio destro, e con la mano sinistra iniziò a disegnare una runa, cercando di essere rapida e precisa allo stesso tempo. Nel momento in cui finì di disegnare, si accorse che la punta affilata della spada di Amatis era puntata sul cuore. È troppo tardi, sta per uccidermi pensò, mentre il suo respiro diventava irregolare e i suoi battiti cardiaci accelleravano. Si coprì il volto con le braccia: non voleva assistere alla propria morte. 
Poi sentì un verso strozzato, seguito da un rumore metallico. Abbassò le braccia, scoprendo il viso, per vedere di cosa si trattasse. La spada di Amatis giaceva di nuovo a terra, ai suoi piedi, e la donna si era coperta la bocca con la mano. I suoi occhi neri, che erano stati vuoti e inespressivi fino a pochi secondi prima, erano spalancati per la sorpresa. -Stephen? - 
Clary si ricompose: doveva stare al gioco. -Amatis - disse, allungando la mano verso la donna -sono io.-
La Cacciatrice protese la mano, sfiorando quella di Clary. -Ma tu sei.. - farfugliò Amatis, incredula.
-Qui per te. - Concluse la frase Clary. Sperava davvero che il potere della runa non svanisse troppo in fretta. 
E ora? Cosa avrebbe potuto fare? L'unica soluzione era quella di portarla fuori dall'aula e cercare di tenerla buona per un po', facendo in modo che non faccia del male a nessuno. Ma poi cosa avrebbe fatto con lei? L'avrebbe lasciata nelle mani di Sebastian? 
-Non c'è tempo da perdere, Amatis. Devi seguirmi. - Disse, prendendo per mano la donna e avviandosi verso la porta. Fu contenta di vedere che la sorella di Luke non cercò di opporre resistenza.
Ma il suo piano di portarla via da lì fallì presto. Clary sentì un grido di dolore dietro di sè e si voltò. Ciò che vide le fece rizzare i capelli della nuca.
Aline era in piedi, con una spada insanguinata in mano. Amatis era a terra ai suoi piedi e una pozzanghera di sangue si stava allargando attorno a lei. Dalla postura della ragazza Clary potè capire che si stava preparando a sferrare il colpo finale.
-Aline, non farlo! - Esclamò Clary, mettendosi tra lei e la donna ferita.
-Ma che ti prende, Helen? Questa tizia sta dalla parte di Sebastian. -
Helen? Ah, giusto. Ora tutti vedevano in lei una persona diversa. 
-Sono Clary, Aline. Ho usato una runa e ora ti appaio come la persona che ami di più. - Spiegò frettolosamente la rossa -L'ho fatto per ingannare Amatis, ma ora non c'è tempo per le spiegazioni. La donna che hai appena infilzato con la spada è la sorella di Luke Garroway, che hai già avuto l'opportunità di conoscere. Non ucciderla, Aline, ti prego. - La supplicò Clary.
-Per l'Angelo, Clary, sono mortificata! Se l'avessi saputo non l'avrei ferita. - Si scusò la mora, a disagio.
Clary si guardò nervosamente attorno. Tutti erano troppo concentrati sul proprio avversario per fare caso a loro. 
Jocelyn stava pugnalando con un kinjal una donna in tenuta rossa, Jordan e Maia stavano facendo a pezzi un uomo di cui non riusciva a vedere il volto, Taylor stava tirando un calcio alla testa tagliata del malcapitato che aveva dovuto vedersela con lei e Jace.. Jace stava agilmente schivando i colpi di Sebastian, ma Clary notò con una fitta al cuore che il suo viso era sporco di sangue e la sua unica arma era un pugnale. Sebastian doveva averlo disarmato di entrambe le sue spade. 
Vide Isabelle avvicinarsi da dietro a Sebastian, con la frusta in mano. Il suo braccio scattò all'indietro e l'arma colpì la schiena di suo fratello, lacerando la sua tenuta. Sebastian gridò -più di rabbia che di dolore - voltandosi verso la mora. Isabelle alzò il braccio per sferrare un altro colpo, ma il Cacciatore fu più veloce di lei. Le strinse il polso, piegandolo con tanta forza da slogarlo. La ragazza lanciò un urlo di dolore e la frusta le cadde a terra. Sebastian approfittò del momento di debolezza e la strinse a sè con un braccio, mentre con l'altra mano le puntava una spada alla gola. 
-Mi sono stufato dei tuoi giochetti, Jace. - La sua voce era tagliente come un rasoio. -Se ora non vi arrendete e non mi consegnate Clary, giuro su Lilith che taglio la gola alla tua sorellina. -
A quelle parole, tutti gli Shadowhunters e i lupi si voltarono verso Sebastian. Maryse, pallida come un lenzuolo, sembrava sul punto di svenire alla vista di sua figlia, impotente tra le grinfie del figlio di Valentine. Isabelle stava scalciando e si stava divincolando con tutte le sue forze, ma la presa di Sebastian era salda su di lei.
D'un tratto, il fuoco celeste che ardeva dentro Jace venne sprigionato. Un fiume di scintille si espanse rapidamente in tutto il suo corpo, facendolo brillare come una pietra di Stregaluce.
-Lascia andare mia sorella, Morgenstern. - Jace scandì bene le parole, il suo tono non era mai stato così minaccioso. 
-Altrimenti cosa mi fai, lucciola? - Lo provocò l'altro.
Mossa sbagliata. Nessuno poteva prendere in giro Jace Lightwood.
La temperatura dell'aula iniziò ad alzarsi bruscamente, tanto che gli uomini di Sebastian dovettero allontanarsi da Jace, il cui corpo emanava un calore soffocante. I Nephilim e i lupi, però, sembravano non accorgersi di niente, e lanciavano occhiate interrogatorie agli Shadowhunters oscuri, senza capire cosa stesse succedendo. 
Mentre il viso di Sebastian si contraeva in una smorfia d'incredulità, il Cacciatore indiettreggiò, senza lasciare Isabelle. 
Improvvisamente, sul pavimento accanto a Jace si formò una fiammella azzurra. Appena la notarono, i Nephilim iniziarono a scambiarsi occhiate irrequiete, bisbigliando tra di loro. Poi la fiammella si estese, formando un cerchio di fuoco attorno a Jace, che ora ardeva come una torcia, sotto gli sguardi increduli dei presenti.
Il fuoco si espanse sempre di più, senza lasciare scampo agli Shadowhunters oscuri, che bruciarono, uno ad uno. Mentre un coro di grida sofferenti si diffondeva nell'aula, i Nephilim e i licantropi si accorsero con sorpresa che il contatto col fuoco non provocava loro il benchèminimo dolore. 
Jocelyn sollevò il braccio, con il polso rivolto verso l'esterno. -La runa! - Gridò -Guardate la runa che Clary ci ha disegnato! - I Nephilim si voltarono verso Jocelyn e rimasero a bocca aperta. Sul polso della donna videro la runa dell'immunità brillare dello stesso colore del fuoco degli angeli. Poi posarono gli occhi sul proprio marchio, e finalmente capirono: la runa dell'immunità di Clary li aveva salvati dal fuoco. 
Prima che le fiamme potessero raggiungerlo, Sebastian lasciò andare Isabelle, mentre i suoi occhi ardevano come due carboni per la rabbia. Poi, dopo aver lanciato un'ultima occhiata irrequieta ai suoi seguaci che bruciavano nelle fiamme, schioccò le dita, sparendo nel nulla.

Magnus rimase immobile per qualche istante prima di reagire. Alec era davvero lì, a pochi metri da lui, o se lo stava immaginando? Lo Stregone aveva sognato il Nephilim così tante volte, da quando lo aveva lasciato, che vederlo di nuovo gli sembrava un sogno. Forse tutta quella luce gli stava facendo venire le allucinazioni. 
-A-Alexander? - Magnus si alzò in piedi, avvicinandosi al bordo della configurazione. Protese la mano verso di lui, come per accertarsi che fosse reale, ma la abbassò subito dopo, ricordandosi che sarebbe morto carbonizzato, se avesse toccato la parete.
-Cosa ci fai qui? - chiese con voce tremante. 
-Cosa pensi che sia venuto a fare qui, Magnus? Prendere il the coi biscotti insieme a Sebastian? -
Magnus esitò. Non riusciva a trovare una spiegazione logica al comportamento del Nephilim. 
-Sei venuto qui per me? Ma io ti ho lasciato. Ti ho spezzato il cuore. Ti ho detto di non volerti vedere mai più. Dovresti odiarmi. - 
-Mi stai dicendo che dovrei odiare l'unica persona che mi abbia mai amato? Non potrei odiarti neanche se lo volessi. -
A quelle parole, Magnus sentì il suo cuore sciogliersi come un cubetto di ghiaccio al sole. 
In tutta la sua vita, nessuno aveva mai cercato di salvarlo. Nessuno si era mai interessato davvero a lui, a parte Catarina, la sua unica amica. A nessuno era mai passato per l'anticamera del cervello l'idea che anche lui, pur essendo uno stregone, potesse avere bisogno di aiuto .
Ma Alexander Lightwood non era nessuno. Gli aveva dimostrato in diverse situazioni di essere diverso dai suoi simili, da quei Nephilim che gli sembravano soltanto degli individui prepotenti e spietati. 
-Magnus? - La voce di Alec interruppe i suoi pensieri -Sei ancora arrabbiato con me? Vuoi che me ne vada? Se vuoi, dopo averti liberato me ne posso an..-
-Non pensarci nemmeno. - Lo fulminò Magnus. -Alexander, hai idea di quanto sia stata dura per me dirti addio? Quando ti ho detto che non avrei voluto vederti mai più ho mentito. Eccome se ho mentito. Quella è stata probabilmente la più grande bugia che io abbia detto in vita mia. -
Lo sguardo di Alec si accese, e le sue labbra si incurvarono in un sorriso che gli illuminò il volto. -Dici sul serio? Non sai quanto mi sei mancato, io..-
-Alexander..- lo interruppe Magnus -non voglio rovinare l'atmosfera, ma non credi che sarebbe meglio riprendere il discorso dopo che.. ehm.. sarò uscito da qui? -
-Oh. Giusto. - Farfugliò il Nephilim, mentre le sue guance si coloravano di rosso per l'imbarazzo. Era così emozionato all'idea di salvare Magnus che non aveva pensato a come salvarlo. E ora si trovava di fronte ad una configurazione Malachi - una delle invenzioni più astute del Conclave - dalla quale era impossibile evadere, se non facendo salti mortali.
Alec ripensò a Jace, intrappolato in quella gabbia di luce. Non era stato difficile per lui trovare una soluzione, in quel caso. Aveva visto Jace muoversi in battaglia centinaia di volte. Conosceva a memoria le sue mosse e aveva visto il suo migliore amico saltare giù dal sesto-settimo piano di un edificio senza farsi un graffio. Aveva semplicemente consigliato a Jace di saltare il più in alto possibile, aggrapparsi alla trave appesa al soffitto e tornare a terra. Ma in questo caso non sarebbe stato così facile. Magnus non era uno Shadowhunter in grado in grado di fare salti mortali. Doveva trovare un'altra soluzione.
-Non ci avevi pensato, non è vero? - Chiese Magnus, intuendo i pensieri del Nephilim. -Scommetto che non sei venuto qui da solo. Possiamo sempre chiedere aiuto a..-
-No. Devo essere io a tirarti fuori da qui. -
Magnus non replicò. Il tono di Alec era deciso come non mai.
Alec scrutò attentamente la configurazione Malachi. Come diavolo avrebbe fatto ad abbattere qualcosa che non si poteva nemmeno toccare? 
Sentì il sudore imperlargli la fronte, cosciente del fatto che probabilmente Magnus pensava che fosse uno stupido. Alec non poteva biasimarlo. Aveva insistito tanto per andare a liberarlo e ora che finalmente l'aveva trovato se ne stava lì impalato a fissare l'ostacolo che lo separava da Magnus senza la minima idea di cosa fare. Sono un idiota. Sono un grandissimo idiota. Pensò il ragazzo, sconsolato.
Clary era riuscita a liberare Jace dalle celle della Città Silente e lui non riusciva a trovare un modo per disattivare una stupida configurazione.
Abbassò lo sguardo verso il figlio di Lilith, impotente, e si accorse che lo stava guardando in attesa di una sua reazione.
Forse Magnus aveva ragione. Forse doveva tornare dagli altri e chiedere aiuto a qualcuno, magari a sua madre, che -essendo un membro del Conclave- probabilmente sapeva cosa fare, oppure a..
D'un tratto, gli venne un'idea, tanto assurda quanto geniale.
Con la mente, tornò indietro di un paio di mesi, quando l'Inquisitrice aveva sbattuto Jace nella prigione della città di Ossa. Tutti sanno che è impossibile liberare un prigioniero dalla cella, dal momento che persino la runa di apertura del Libro Grigio è impotente, in quel caso. Eppure Clary era riuscita a distruggere le sbarre utilizzando una runa creata da lei. Quella scena era rimasta impressa come un chiodo nella mente di Alec, così come la runa che aveva utilizzato: una runa mai vista prima. Il Nephilim aveva osservato attentamente la mano di Clary mente disegnava il marchio che avrebbe liberato il suo migliore amico. 
Tra i suoi fratelli, Alec era quello che imparava più facilmente. Gli bastava leggere qualcosa una o due volte per impararla. Sapeva a memoria i diciassette nomi di Lilith e riusciva a memorizzare anche la runa più complessa dopo averla vista una volta.
Sfilò lo stilo dalla cintura di cuoio: avrebbe usato la runa creata da Clary per abbattere la configurazione.
Si chinò a terra, appoggiando la punta dello strumento sul cemento, a pochi centimetri di distanza dalla prigione di luce. 
-Alexander, cosa stai fa..-
-Fidati di me, Magnus. So quello che sto facendo. - Lo zittì il più giovane.
Alec chiuse gli occhi e cercò di concentrarsi. Lo stilo iniziò a muoversi sul cemento, tracciando linee sinuose, riscaldandosi sotto il tocco del suo proprietario. Quando ebbe finito, aprì gli occhi, osservando il suo lavoro. Aveva disegnato la runa esattamente come se la ricordava.
Alzò lo sguardo sulla configurazione. Per una manciata di secondi -che ad Alec parvero interminabili - non successe niente, e poi.. l'esplosione.
La configurazione andò in milioni di frammenti, come se fosse fatta di vetro. Alec vide Magnus coprirsi il volto per proteggersi gli occhi da quella luce accecante, fino a quando il bagliore iniziò a farsi sempre meno intenso, fino a scomparire del tutto.
Lentamente, Magnus si scoprì il viso, alzandosi in piedi e percorrendo i pochi metri di distanza che lo separavano dal Cacciatore.
-Magnus, io - Alec sentiva il proprio cuore battere come un tamburo, mentre lo Stregone lo avvolgeva in un abbraccio, stringendolo a sè con una tale disperazione da fargli mancare il fiato. 
-Shh. Hai già parlato fin troppo. - Sussurrò, mentre il suo sguardo felino si inteneriva e le sue labbra si avvicinavano pericolosamente a quelle del Nephilim. Alec non esitò neanche per un attimo. Chiuse gli occhi, lasciando che le sue labbra incontrassero quelle del ragazzo che aveva sognato di baciare di nuovo per tutti quegli interminabili giorni. La lingua di Magnus accarezzò le labbra del suo amante, chiedendo il permesso, che non tardò ad arrivare. 
Alec sentì in bocca quel sapore di fiammifero bruciato, tipico dei figli di Lilith, che col tempo aveva imparato ad amare. 
Dopo quella che gli sembrò un'eternità, si staccò finalmente da Magnus, sorridendo alla vista delle sue labbra rosse e gonfie. 
-Giuro sull'Angelo che non farò mai più un errore simile a quello che ho commesso. - Disse, dopo aver ripreso aria. -Ho imparato la lezione e ho capito che non potrò mai essere felice senza te. Ti fidi di me, ora? - Gli chiese, mentre la sua mano di spostava, esitante, sulla guancia dello Stregone, accarezzandola con dolcezza.
Magnus lo guardò negli occhi, in quegli occhi azzurri nei quali era contenuta tutta la bontà, la purezza, l'innocenza e il coraggio del mondo.
-Si, Alexander. Mi fido di te. - Rispose, spostando la mano calda del ragazzo dalla sua guancia e baciandola con affetto. 


ANGOLINO DELL'AUTRICE
Ed eccolo qui. Il capitolo che ho faticato tanto a scrivere. Non so cosa vi aspettavate, ma spero di non avervi deluse. A questo punto, non manca molto alla fine della ff, anche se devo ancora decidere quanti capitoli scrivere. Le sorprese non sono ancora finite. :)
Nel prossimo mese, sarò impegnata con la scuola e non avrò molto tempo per scrivere. Mi ero pure promessa di finire la trilogia di Divergent entro giugno ma mi sa che non ci riuscirò :(
Comunque, non ho idea di quando posterò il prossimo capitolo. Nel peggiore dei casi tra circa due settimane.
Vi ringrazio di nuovo per le vostre recensioni, siete dolcissime. <3
A presto, 
-Simo

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Una nuova conoscenza ***


Nel momento in cui Sebastian sparì nel nulla, Jace cadde a terra, esausto e dolorante. Il suo corpo bruciava ancora, mentre le fiamme che avvolgevano l'aula si spegnevano lentamente. Cosa diavolo era successo? Aveva provocato un incendio con la sola forza del pensiero? 
-Jace! - Vide Clary corrergli incontro, facendosi largo a spintoni tra la folla. I suoi capelli rossi erano scompigliati, il sudore le imperlava la fronte e aveva un taglio sull'incavo del collo. Jace la scrutò da capo a piedi, alla ricerca di altre ferite più gravi, e fu sollevato di non trovarne nessuna.
-Clary.. - la sua voce era debole, stanca -Stai.. stai bene? -
La ragazza si sedette accanto a lui e lo abbracciò, cingendogli la vita con le braccia. Jace non esitò a ricambiare il gesto e strinse Clary a sè, sistemandole con una mano una ciocca ribelle. Clary si staccò di qualche centimetro da lui. Il suo corpo era ancora troppo caldo: era come abbracciare un termosifone.
-Tu hai preso fuoco come una fenice, sei diventato una torcia celeste, il tuo corpo scotta ancora e stai chiedendo a me se sto bene? - Clary gli prese il volto tra le mani, accarezzandogli le guance con il pollice. -Non smetterai mai di stupirmi, Jace Lightwood. - Aggiunse, sorridendo.
-Tu vieni prima di tutto. Lo sai, vero? - Chiese il biondo, godendosi il tocco delicato di Clary. Le mani della ragazza erano quasi fredde in confronto alla pelle scottante di lui.
-Per una volta dovresti smetterla di preoccuparti per me e pensare un po' a te stesso. - Vedendo lo sguardo contrariato di Jace, Clary continuò -Io sto bene. Sei tu quello che ha preso fuoco. Come ti senti? - 
-Sto bene. - Disse lui, cercando di sembrare convincente, senza successo.
-Jace. Non mentirmi. - Lo rimproverò lei. -Appena torniamo all'Istituto dobbiamo..raffreddarti. In ogni caso, sei stato fantastico. Senza il tuo intervento probabilmente avremmo fatto una brutta fine. - Gli prese le mani tra le proprie, intrecciando le loro dita.
Jace ridacchiò e Clary gli lanciò un'occhiata interrogativa. -Mia piccola, ingenua Clary. Io per poco non vi ho uccisi. Se tu non avessi marchiato tutti con la tua nuova runa, probabilmente sareste morti per colpa mia. -
-Ma non è successo. - Cercò di rassicurarlo lei, vedendo la preoccupazione nei suoi occhi. -Senti, non pensiamoci più, va bene? Siamo tutti sani e salvi, gli uomini di Sebastian sono morti nell'incendio e lui è.. -
-Sparito, scomparso, scappato. Me lo sono lasciato sfuggire un'altra volta. - Jace battè con rabbia un pugno contro la parete a cui si era appoggiato. 
-Quando ha detto che avrebbe usato il sangue di un figlio di Lilith per acquisire un nuovo potere, quasi non ci ho creduto. Ho pensato che lo stesse  dicendo per minacciarci, per spaventarci ancora di più. Mi sono sbagliata. - Sospirò, abbassando lo sguardo sulle loro dita intrecciate.
-Non possiamo permettere che metta in atto il suo piano malefico. I suoi uomini sono morti, ma non ci metterà molto per formarsi un nuovo esercito. Dobbiamo fermarlo. Devo andare a cerc..- 
-Tu non vai da nessuna parte. - Lo interruppe Clary. -È da quando ci siamo incontrati che non abbiamo un po' di pace. Non te ne sei accorto? Abbiamo passato mesi a preoccuparci di come sconfiggere Valentine, Lilith e ora Sebastian. Per quanto io abbia imparato ad apprezzare il pericolo e l'adrenalina, nel corso di questi mesi, non posso negare di essere stanca. Sono stufa di dormire con occhio aperto per colpa di Sebastian. Sono stufa di non poter stare con te come una coppia normale. Sai Jace, a volte vorrei soltanto addormentarmi accanto a te, la sera, senza dover pensare a sangue o spade o Shadowhunters oscuri. - Fece un breve pausa per riprendere fiato. -Quello che ti sto chiedendo è di lasciar perdere Sebastian, almeno per un certo periodo, e concentrarti su di noi. - Alzò lo sguardo sul volto del ragazzo. -Che ne pensi? -
Jace non rispose subito. Clary lo guardò attentamente, cercando di decifrare i suoi pensieri, invano. Il suo volto era serio, ma dai suoi occhi poteva capire che stava riflettendo sulla sua proposta, cercando di decidere ciò che era meglio fare.
-E va bene. - Disse lui infine. -Sai, forse hai ragione. Tutto questa questa pressione non fa bene a nessuno di noi, nemmeno a me. E non credere che io non muoia dalla voglia di passare un po' di tempo con te. Ma la decisione finale spetta al Conclave, dovresti sape..-
Prima che potesse finire la frase, sentì le labbra di Clary premere contro le sue. Sorrise tra sè: non pensava che ne sarebbe stata così contenta. Ricambiò il bacio senza esitare. Le labbra di Clary erano screpolate e mordicchiate e sapevano di burrocacao ai frutti di bosco. Jace non avrebbe mai interrotto quel bacio. Strinse Clary a sè e rimasero abbracciati, come se nessuno potesse mai dividerli.

Non appena Luke aveva visto Amatis, distesa in una pozza di sangue, si era precipitato verso di lei.
La testa della donna era appoggiata alle gambe di Aline, inginocchiata a terra e con le mani sporche di sangue nerastro.
-Amatis! - Esclamò Luke, e Aline alzò lo sguardo verso di lui. Aveva il labbro spaccato e il naso sanguinante, come se fosse stato preso a pugni, ma le sue condizioni non erano pessime.
-Luke, i-io.. mi dispiace, io non volevo.. - farfugliò Aline, abbassando lo sguardo, incapace di sostenere quello dell'uomo.
Accorgendosi che la ragazza stava singhiozzando, Luke le appoggiò una mano sulla spalla.
-Ehi, calmati. Non c'è bisogno di entrare nel panico. Puoi spiegarmi cos'è successo? - Le chiese, abbassando lo sguardo sulla sorella ferita.
Dopo aver fatto un respiro profondo, Aline prese il coraggio di parlare. -Ho cercato di ucciderla. Ho visto la sua tenuta rossa e i suoi occhi neri e l'ho infilzata con la spada. Non sapevo che fosse tua sorella. L'avrei uccisa se Clary non mi avesse fermata. -
-Oh. Questo spiega tutto. -Disse Luke. Sollevò il braccio della sorella, premendo contro il suo polso con l'indice. -È ancora viva. -Annunciò con sollievo -Ma se non ci sbrighiamo a portarla all'Istituto non le resta molto tempo. -
-Potremmo provare con un iratze - propose la mora, tirando fuori lo stilo.
-No. Non è più una Shadowhunter come noi. Le rune angeliche non hanno alcun effetto su di lei. - Disse Luke, sconsolato.
Aline abbassò lo sguardo sulla donna priva di sensi, sentendosi inutile.
-Aspetta un attimo. - Disse Luke -Lei, in teoria, sarebbe dovuta morire nell'incendio. Come ha fatto a salvarsi? -
-Clary le ha fatto la runa dell'immunità nel momento in cui ha visto i primi Shadowhunters bruciare tra le fiamme di Jace. -Spiegò la ragazza, indicando la runa sul collo della donna. 
Luke annuì. Poi si alzò in piedi. -Vado ad avvisare i Lightwood. Dobbiamo portarla all'Istituto per salvarla. - Detto questo, si avviò verso Maryse, che in quel momento stava facendo un iratze sul polso di Isabelle. 
Poco distante da loro, Robert era in ginocchio di fronte a Taylor, più bassa di lui di una trentina di centimetri. 
-Sei sicura di star bene? - Le chiese per l'ennesima volta, scrutandola da capo a piedi, alla ricerca di ferite. 
-Te lo ripeto per la centesima volta: sto bene. Non ti preoccupare per me. - Rispose Taylor, frustrata. La splendente ascia che aveva preso in prestito dall'armeria ora era zuppa di icore demoniaco mischiato a sangue di Nephilim. 
-Taylor! - La bionda si voltò e vide Clary venirle incontro. 
Taylor rivolse un sorriso stanco all'amica. -Ehi, Clary. Tutto a posto? - 
-Io si, ma poco fa Izzy mi ha fatto notare che Alec è sparito. L'hai per caso visto? - Chiese la rossa, guardandosi attorno.
-L'ho visto uscire poco dopo l'inizio del combattimento, ma ero talmente concentrata sulla battaglia che non mi sono nemmeno chiesta dove stesse andando. - Rispose l'altra, leggermente imbarazzata.
Clary fece un sospiro di sollievo. -Grazie a Dio! Stavamo iniziando a pensare che Sebastian l'avesse preso con sè. Non so, magari come ostaggio. -
Taylor rise. -Non credo proprio. Era troppo impegnato a svignarsela come un vigliacco, per pensare agli altri. -
Clary fece una smorfia disgustata. Suo fratello non solo era perfido ma si era pure rivelato un codardo.
-Comunque sei stata fantastica, prima. - Aggiunse Taylor, cambiando argomento. Era evidente che a Clary non piaceva parlare di suo fratello. -Ci hai salvati tutti con una semplice runa! -
Clary sorrise. -Non mi devi ringraziare. Ho semplicemente fatto ciò che era giusto fare. -
In quel momento, Alec e Magnus fecero il loro ingresso nell'aula, mano nella mano. Magnus era particolarmente pallido, i suoi capelli -di solito acconciati con cura - erano arruffati, come se si fosse appena alzato. Ma non era tutto: sembrava dimagrito. Il suo volto appariva più spigoloso, come se non avesse mangiato da giorni, e i suoi jeans attillati.. non erano più così attillati.
Alec, dal canto suo, non era messo molto meglio. Da quando Magnus lo aveva lasciato aveva quasi smesso di dormire, tanto che i suoi occhi sembravano.. spenti, privi di ogni luce. Senza contare il fatto che erano contornati da occhiaie scure da giorni.
Ma in quel momento c'era qualcosa, in loro due, che faceva sembrare questi segni di stanchezza poco rilevanti. Il volto di Alec era sereno e rilassato, come non era stato da giorni. Camminava con una disinvoltura che non era tipica da lui e teneva per mano Magnus come se non gli importasse di trovarsi in mezzo ai membri del Conclave, che di certo non vedevano di buon occhio la relazione tra uno dei figli dell'Angelo con uno Stregone eccentrico, e per di più un maschio. 
Magnus, invece, aveva gli angoli della bocca incurvati all'insù. Non stava esattamente sorridendo, ma chiunque avrebbe potuto notare la gioia nei suoi occhi.
Appena Isabelle li vide, corse verso di loro, gettandosi tra le braccia del fratello.
-Alec! - Esclamò, con la faccia premuta contro il petto del fratello. 
Alec sorrise, stringendo la sorella. Aveva creduto che nessuno si sarebbe accorto della sua assenza. Evidentemente si era sbagliato.
-Potevi almeno avvisarmi, prima di sparire così! - Esclamò la mora, indispettita. -Stavo iniziando a preoccuparmi, sai? -
-Scusami, Izzy - disse Alec, dopo che la mora si fu staccata da lui. -avevo qualcuno da salvare. - Rivolse un sorriso a Magnus e Isabelle si voltò verso di lui.
-Magnus! Scusami se non ti ho salutato. Ero preoccupata per Alec e.. - farfugliò, leggermente imbarazzata.
-Non devi scusarti, ti capisco benissimo. - Disse lo Stregone, senza staccare gli occhi da Alec, che abbassò lo sguardo, arrossendo per le attenzioni del ragazzo.
-Alexander! - Alec si girò e vide Robert venire verso di loro. -Si può sapere che fine avevi fatto?! Stavamo per venire a cercarti. -
-Ecco, io ero.. - 
Il padre lo liquidò con un gesto della mano. -Lascia stare, non importa. Clary sta per aprire il portale per l'Istituto, quindi iniziamo a metterci in fila per entrare. - Disse, spostando lo sguardo da Alec a Isabelle.
-Andate pure senza di me. - Disse Alec, prendendo di nuovo per mano lo Stregone. -Io torno a casa con Magnus. -
Magnus lanciò uno sguardo sorpreso ad Alec. C'era sicurezza nella sua voce, mentre parlava. Una sicurezza che non era tipica di lui.
Robert parve accorgersi solo in quel momento della presenza di Magnus. Si voltò verso di lui e lo squadrò senza troppo interesse, senza sforzarsi di essere gentile. 
-Da quando preferisci un Nascosto alla tua famiglia? - Chiese in tono piatto, tornando a concentrare la sua attenzione sul figlio.
Magnus strinse i pugni. Un semplice Nascosto? Era questo ciò che il padre di Alec pensava di lui, dopo tutto quello che aveva fatto per suo figlio? Si era forse scordato del fatto che, quando gli era stato riferito che Alec era stato attaccato da un demone Superiore, lui si era precipitato all'Istituto per curarlo? Per salvare la vita ad un ragazzo che aveva incontrato una volta sola? Questa volta gli avrebbe fatto un bel discorsetto.
-Stammi a sentire, Light..- iniziò, stringendo la presa sulla mano di Alec.
-Magnus, per favore. - Lo interruppe il Nephilim, con un'occhiataccia -Non mi sembra il momento adatto per discutere. Non qui, davanti a tutti. -
Ci fu un attimo di silenzio, carico di tensione e di occhiate gelide tra i due uomini.
-Allora hai preso la tua decisione? - Chiese infine Robert.
-Si. Penso che rimarrò a dormire da Magnus, stanotte. Abbiamo alcune cose di cui parlare e.. -
-Come ti pare. - Lo interruppe Robert, rivolgendo l'attenzione a Isabelle, che aveva preferito non intromettersi. -Vieni, Isabelle, è ora di andare. - 
La mora si sporse per salutare il fratello con un abbraccio. -Allora, ci vediamo domani? - 
-Puoi contarci. - Rispose Alec, con un sorriso. -
Dopo aver abbracciato anche Magnus, Isabelle si diresse verso il gruppetto che si era radunato attorno a Clary, che stava disegnando una runa sulla parete. Quando il Portale fu aperto, gli Shadowhunters ci entrarono dentro, sparendo uno dopo l'altro. Prima che potesse chiudersi, Alec vide Luke entrare nel buco nero con una donna sanguinante in braccio e Jace girarsi verso di lui, salutandolo con un cenno della mano, che Alec ricambiò.
E poi il vortice iniziò a rimpicciolirsi sempre di più, fino a diventare un puntino nero sul muro e poi sparire del tutto.
Quando furono rimasti da soli, Alec cinse la vita del suo ragazzo con le braccia. 
-E ora che facciamo? - Chiese. Non vedeva l'ora di passare un po' di tempo con lui.
-Ora andiamo a casa. - Rispose Magnus, prendendo per mano il Cacciatore, e avviandosi verso la parete per aprire un Portale.

Quella sera..
-Quindi non dobbiamo più preoccuparci? È fuori pericolo? - Chiese Maryse, per l'ennesima volta.
Si, è fuori pericolo. Ma questo non significa che al suo risveglio tornerà come prima. La voce di fratello Zaccaria era calma e pacata, nella sua mente.
Maryse annuì, rabbrividendo.
Si trovavano nell'infermeria dell'Istituto: una stanza lunga e bianca che ospitava venti letti, dieci da una parte e dieci dall'altra. Infondo alla stanza c'era un grosso tavolo sul quale erano riposte decine di farmaci, pomate, bende e disinfettanti. 
Maryse abbassò lo sguardo sulla donna che giaceva priva di sensi su uno dei letti. Amatis era sdraiata sulla schiena, con le braccia distese lungo i fianchi. Il suo petto si alzava e si abbassava regolarmente e le sue palpebre erano immobili. Chiunque avrebbe potuto pensare che stesse semplicemente dormendo, se non avesse visto le bende sanguinanti che le fasciavano il ventre.
Maryse non fece domande sull'affermazione di fratello Zaccaria. Sapeva perfettamente di cosa stesse parlando.
-Tu credi che.. che quando si sveglierà il suo primo istinto sarà quello di attaccarci? - 
Non credo. Ha perso molto sangue, non avrà la forza di attaccare. E poi, senza Jonathan che le dice cosa fare, si sentirà smarrita.
-Avrei voluto chiamare uno Stregone per curarla oggi stesso. Ma Catarina è al lavoro fino a tardi e Magnus Bane è.. ehm.. occupato. - La donna abbassò lo sguardo, imbarazzata. Sapeva benissimo chi faceva compagnia al figlio di Lilith, quella sera, e la cosa non la faceva sprizzare di gioia, anche se col tempo aveva dovuto abituarsi al fatto che suo figlio frequentasse un ragazzo, e per di più uno Stregone. 
-So che ci vuole un Figlio di Lilith di grande talento per ripulire il suo sangue. Sicuramente è una procedure che richiede una grande dose di concentrazione, e soprattutto di magia. - Aggiunse, ricomponendosi.
Sai che io non posso aiutarla più di quanto non abbia già fatto, Maryse. Sono un Fratello Silente, non uno Stregone. 
-Lo so, e non ti sto chiedendo di restare. Hai già fatto abbastanza per noi. - Disse, gesticolando con frenesia. Non è questo che voleva dire e di certo non voleva sembrare un'ingrata.
Allora forse è ora che io vada. Vorrei avere il potere di ripulire il sangue di Amatis, ma non ce l'ho, purtroppo. Ti consiglio di rivolgerti a Catarina Loss al più presto. Disse lui, avviandosi silenziosamente verso la porta.
-Lo farò - disse Maryse, alzandosi con l'intenzione di accompagnarlo.
Ma in quel momento la porta venne aperta e Clary e Taylor entrarono nella stanza. 
-Salve, Fratello Zaccaria. - Lo salutò Clary. Lo aveva già incontrato una volta, lui era stato gentile con lei e non si sentiva più intimorita dalla sua presenza.
Ciao, Clary. Rispose lui.
Maryse incrociò le braccia, rivolgendo uno sguardo di disapprovazione alle due amiche. -Ragazze, cosa ci fate qui? Mi sembra di essere stata chiara quando vi ho detto che Amatis non avrebbe dovuto essere disturbata dopo l'intervento di Fratello Zaccaria. -
Clary abbassò lo sguardo, a disagio. Era tardi ormai, e credevano che il Fratello Silente se ne fosse andato. 
-Mi dispiace, Maryse. Sia io che Aline volevamo sapere le sue condizioni. Aline si sente davvero in colpa per ciò che è successo. -
-Ha detto che verrà a trovare Amatis non appena sarebbe guarita. E sapete cosa intendo con guarita.- Aggiunse Taylor, evitando di guardare Fratello Zaccaria. Non amava i Fratelli Silenti. Li trovava davvero inquietanti con quelle cavità vuote al posto degli occhi, le labbra cucite e il viso rovinato da rune e cicatrici. Per non parlare delle loro voci così fredde e piatte da mettere i brividi. 
-Non dovete preoccuparvi per lei. Fratello Zaccaria ha detto che si riprenderà entro un paio di giorni. In quanto ad Aline, non deve sentirsi in colpa. Ha semplicemente reagito d'istinto. -
Con la coda dell'occhio, Taylor vide che il fratello Silente la stava guardando. Aveva il cappuccio abbassato sul volto e i suoi occhi erano nell'ombra, ma il suo viso era rivolto verso di lei. Stranamente, le sue labbra non erano cucite. 
Maryse si accorse della curiosità con cui la bionda guardava l'incappucciato e decise di fare le presentazioni, per quanto strano potesse sembrare.
-Fratello Zaccaria, questa ragazza è nuova arrivata all'Istituto, viene da Idris e si chiama.. -
Taylor Lightwood, meglio conosciuta come Taylor Whitelaw. Figlia di Robert Lightwood e Annamarie Highsmith, in seguito adottata da Derek Whitelaw. Non c'è bisogno di fare presentazioni, Maryse. Noi Fratelli Silenti sappiamo tutto sui Nephilim. 
-Oh. Giusto. - Farfugliò la donna, a disagio.
Taylor rabbrividì. Non sapeva che i Fratelli Silenti avessero tutte quelle informazioni.
Senza preavviso, Fratello Zaccaria abbassò il cappuccio della sua tunica color pergamena, lasciando di stucco la bionda. 
Non era affatto come se lo immaginava. Gli occhi ce li aveva eccome, ed erano pure stranamente espressivi. Taylor lo guardò attentamente: sembrava abbastanza giovane, anche non avrebbe saputo dargli un'età. Eppure quegli occhi da giovane sembravano celare una saggezza acquisita nel corso di anni e anni. Quando sbattè le ciglia, per un attimo le sembrò di scorgere un filo d'argento in quelle iridi scure come il caffè. Sarà a causa della luce, pensò. I suoi zigomi erano segnati dalle rune nere e profonde tipiche della Fratellanza, in contrasto con la sua pelle chiara. I suoi capelli erano neri come la pece e lisci come la seta e le sue labbra rosee spiccavano in quel viso pallido e spigoloso. Non era affatto inquietante come i suoi confratelli. Era quasi.. bello. 
Si morse il labbro con forza. Lui era un Fratello Silente, come le era saltato in mente di pensare certe cose?
-Taylor? - Clary le diede un pizzicotto sul braccio, distraendola dai suoi pensieri. 
-Ahia! - Esclamò l'altra, indispettita. -E questo per cos'era?! - Chiese, cercando di sembrare offesa.
Clary ridacchiò. La bionda era proprio buffa quando faceva finta di mettere il broncio. -Niente, ne parliamo dopo. - 
Taylor la guardò. Dalla sua espressione divertita era evidente che aveva intuito i suoi pensieri. Non sapeva se sentirsi imbarazzata per aver fissato Fratello Zaccaria come se fosse qualche rara specie di fiori, sotto lo sguardo divertito di Clary, o essere compiaciuta del fatto ci sia qualcuno che riesca a decifrare così facilmente i suoi pensieri. Optò per la seconda.
Maryse era in piedi, a qualche passo da loro, e le guardava con un sopracciglio sollevato. -È tardi, ragazze. Non è ora di andare a letto? - 
Clary alzò lo sguardo sull'orologio appeso alla parete. Mezzanotte meno dieci.
Jocelyn e Luke le avevano dato il permesso di dormire all'Istituto quella notte, ma solo perchè Luke aveva bisogno di rimanere aggiornato sulle condizioni di Amatis, dal momento che i Nascosti come lui non possono stare all'Istituto, se non per le faccende importanti come le riunioni del Conclave.
Taylor lanciò un ultimo sguardo a Fratello Zaccaria -che in quel momento era seduto accanto ad Amatis, con una mano sulla sua fronte -prima di venire trascinata verso la porta da Clary. 
-Si, ora ci andiamo. - Disse Taylor.
-Buona notte ad entrambi. - Disse Clary.
Buona notte, ragazze. La voce di Fratello Zaccaria era gentile nelle loro menti. Le due Nephilim uscirono, chiudendosi la porta alle spalle.

ANGOLINO DELL'AUTRICE
Ok, avete tutto il diritto di tirarmi addosso i pomodori e le melanzane e l'insalata e tutto quello che volete (?). È un capitolo di passaggio e non è niente di che.
 Scusate se non aggiorno più ogni 3 giorni, ma i capitoli così lunghi sono impegnativi. 
Alla prossima settimana,
-Simo

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Decisioni difficili ***


Era una fresca notte di novembre, a New York. Anche se le finestre della camera da letto erano chiuse, dall'esterno si sentiva l'incessante ticchettio della pioggia che si riversava sulle strade della grande mela.
Un tuono ruppe la quiete della notte, svegliando Chairman Meow. Il gatto emise un miagolio spaventato, saltando giù dalla veranda su cui si era appisolato e decidendo di trovarsi un posticino più comodo, ovvero il letto del suo padrone. Si arrampicò goffamente sul copriletto zebrato, zigzagando tra i cuscini colorati, e acciambellandosi sulla pancia di Magnus. 
Lo Stregone, dal canto suo, era sveglio. Ma non erano stati i tuoni a svegliarlo, nè tantomeno la palla di pelo che si era rannicchiata sulla sua pancia.
Erano stati i pensieri. Pensieri che si erano insinuati nella sua mente come un dei virus e che lo avevano tormentato per ore, rifiutando di lasciarlo riposare. Continuava a pensare e ripensare agli eventi di quella giornata: ai passi che aveva sentito nello scantinato, la pesante porta che veniva buttata giù, un ragazzo che si avvicinava a lui, un paio d'occhi azzurri dietro la parete di luce, lo sguardo pentito di Alec, la configurazione Malachi che andava in frantumi, le sue labbra contro quelle del Nephilim. 
Aveva ripensato a quando erano tornati a casa, quel pomeriggio. Nel momento in cui la porta del loft era stata chiusa, Magnus aveva spinto il suo ragazzo contro il muro e lo aveva baciato, stringendolo con tanta forza da lasciare Alec senza fiato. Il Lightwood era rimasto sorpreso da quel gesto improvviso, ma non si era di certo tirato indietro, anzi, aveva ricambiato il bacio senza esitare. Ed erano rimasti li, avvinghiati contro la porta per quella che ad entrambi era sembrata un'eternità. Un'eternità fatta di baci e morsi e gemiti e respiri irregolari. Entrambi erano stanchi e sudati, i loro vestiti erano coperti di sangue e i loro occhi contornati da occhiaie, ma nessuno dei due sembrava farci caso. Erano di nuovo insieme ed erano felici. Questo era tutto ciò che importava.
Quando finalmente si erano staccati, Alec era arrossito e - senza preoccuparsi di nascondere il sorriso che si stava formando sulle sue labbra - aveva chiesto a Magnus qual'era il motivo di quel bacio inaspettato. Lo Stregone aveva ricambiato il sorriso, un sorriso che faceva apparire i suoi occhi ancora più luminosi, e aveva semplicemente risposto: ''Perchè tu non smetti mai di sorprendermi, Alexander Lightwood''. Ed era così. Magnus non si sarebbe mai aspettato che il suo ex fidanzato, che aveva lasciato in modo così crudo due settimane prima, sarebbe andato a liberarlo senza esitare, rischiando la propria vita e quella dei suoi cari per salvare qualcuno che gli aveva detto ''ti amo'', seguito da ''non voglio mai più rivederti''. Non avrebbe mai pensato che Alec avrebbe disubbidito al padre per lui, nonostante quello che era successo. Anche se aveva cercato di non darlo a vedere, il figlio di Lilith era rimasto colpito dal tono deciso del ragazzo quando aveva detto a Robert Lightwood che sarebbe tornato a casa con lui. Magnus aveva visto gli occhi dell'uomo accendersi di rabbia e incredulità alle parole del figlio, ma il suo Alec era rimasto impassibile e aveva sostenuto lo sguardo gelido del padre, fino a quando quest'ultimo non aveva ceduto. Magnus aveva secoli di vita alle spalle e aveva conosciuto più Shadowhunters di quanti potesse contarne, ma non aveva ma conosciuto nessuno di così forte, coraggioso e altruista come Alec.
Quella sera Magnus aveva fatto comparire dal nulla del cibo italiano. Avevano mangiato con calma e passato la serata accoccolati sul divano a parlare di quello che era successo nelle ultime due settimane, delle loro speranze e delle loro paure. Quando era calata la sera e aveva iniziato a farsi buio, Alec si era alzato per accendere la luce ma Magnus lo aveva fermato. Aveva passato tre giorni in una configurazione Malachi, intrappolato tra quattro mura di luce e i suoi occhi chiedevano pietà. Alec aveva proposto di accendere le candele, e così avevano fatto. Magnus aveva schioccato le dita e nella stanza erano comparse decine di candele profumate che brillavano come lucciole nel buio della stanza, riscaldando l'atmosfera. Poi, verso la mezzanotte, Alec si era addormentato, mentre Magnus non era riuscito a prendere sonno. 
Magnus si sistemò su un fianco, lasciando scivolare il gatto sul materasso, e i suoi splendenti occhi felini si posarono sul ragazzo che dormiva pacificamente accanto a lui. Le persiane delle finestre erano alzate, permettendo alla luce lunare di accarezzare il volto del giovane. Le labbra di Alec erano lievemente dischiuse, le sue lunghe ciglia nere tremolavano appena, i capelli scompigliati gli ricadevano sul volto.
Magnus lo guardava rapito: persino dopo mesi che stavano insieme, non si era mai stancato di ammirare la delicata bellezza di Alec. Si trattenne dall'impulso di toccarlo -dal momento che non voleva svegliarlo dopo una giornata così stancante - ma le sue dita fremevano dal desiderio di accarezzare quelle guance che arrossivano per le sue attenzioni e di sfiorare con le dita quelle labbra che sembravano urlare ''baciami!''. 
Dato che il sonno non ne voleva sapere di arrivare, decise di andare in soggiorno, e magari portarsi avanti con la traduzione di un testo scritto in ctonio antico. Era un lavoraccio, ma qualcuno doveva pur farlo. Spostò la coperta di lato, facendo per alzarsi.
-Magnus - la voce di Alec lo fece sussultare. Si voltò e vide che il ragazzo lo guardava con i suoi occhi celesti che splendevano nel buio. 
-Dove stai andando? - Chiese con la voce impastata nel sonno, protendendo un braccio verso di lui.
Magnus si fermò, esitante. Guardò il suo ragazzo che si protendeva verso di lui, lasciando che il lenzuolo scoprisse la sua schiena pallida e decorata da rune. Rune di tenacia, forza, maestria, equilibrio. Marchi eleganti e delicati che simboleggiavano il coraggio di Alec e i pericoli che doveva affrontare quotidianamente. Il figlio di Lilith sorrise a quella visione, rivelando i suoi denti leggermente appuntiti, simili a quelli di un gatto. Ad un tratto gli era passata la sete.
-Da nessuna parte - disse, tornando sotto le coperte. Sentì Alec mugugnare qualcosa, mentre le braccia del Nephilim avvolgevano la vita di Magnus e il suo viso affondava nel collo del più grande. 
-Non andartene, Magnus. - Lo Stregone sentiva le labbra di Alec solleticargli il collo, mentre pronunciava quelle parole e sentì una fitta nel petto. 
-Non mi lasciare..- Disse, stringendo possessivamente il suo ragazzo a sè. Magnus fu scosso da un'ondata di tenerezza e tristezza e gli accarezzò affettuosamente i capelli, poi la sua mano si spostò sul collo del giovane e infine scese sulla sua schiena, lasciando che vagasse sulla sua pelle candida. 
In quel momento, stringendo il Nephilim a sè e sentendo il cuore del ragazzo battere contro il proprio petto, si chiese con che coraggio fosse riuscito a lasciarlo quel giorno, alla stazione della metropolitana. Gli sembrava un atto di pura follia. 
-Non ti lascerò, Alec. - Gli sussurrò all'orecchio -Non fino a che il tuo cuore continuerà a battere. -
Magnus aspettò che Alec dicesse qualcosa ma, non ricevendo nessuna risposta, abbassò lo sguardo sul volto del Nephilim. I suoi occhi erano chiusi. Si era riaddormentato. Il moro sorrise a quella visione. Avrebbe potuto guardare Alec dormire fino all'alba, ma tra uno sbadiglio e l'altro si rese conto di avere sonno anche lui. Risistemò meglio la coperta su di loro e chiuse gli occhi, lasciando che il buio lo avvolgesse. Dopo non molto si addormentò, con la testa di Alec sul suo petto e le braccia di Magnus avvolte intorno al corpo esile del ragazzo. 

Catarina si asciugò la fronte con un fazzoletto, mentre si lasciava sprofondare nella poltrona di pelle accanto al letto. Era stanca e sudata e tutto ciò che voleva fare in quel momento era tornare a casa, tuffarsi sul letto e dormire per il resto della giornata. Ma, per sfortuna, la vita dei figli di Lilith non era così semplice. Dovevano lavorare sodo per guadagnarsi da vivere, e a volte il loro lavoro includeva anche cercare di riportare alla normalità una Shadowhunter che era stata trasformata in una specie di mostro con la Coppa Infernale da Jonathan Morgenstern. 
Catarina guardò sconsolata la donna che giaceva immobile sul letto. I lunghi capelli castani erano sparpagliati sul cuscino e le braccia distese lungo ai fianchi. La Strega fece un respiro profondo prima di allungare con incertezza la mano verso il viso di Amatis e alzarle la palpebra destra verso l'alto, scoprendo un occhio nero come il Vuoto. La donna gettò il fazzoletto a terra, sconsolata. Da quando era arrivata all'Istituto, quasi tre ore prima, aveva provato tutti gli incantesimi possibili e immaginabili per cercare di riportare la sorella di Luke alla normalità. Aveva persino preso in prestito il Libro Bianco, che ora si trovava nella biblioteca dell'Istituto, sperando di trovare un incantesimo adatto al suo caso. Ma neanche in un libro di incantesimi importante come quello c'era scritto qualcosa riguardo a come curare una Shadowhunter che ha bevuto il sangue di uno dei demoni più potenti del mondo e ora si è trasformata in una specie di demone anche lei. 
Catarina aveva passato tre ore a cercare un incantesimo che potesse aiutare Amatis, non solo perchè Luke Garroway le aveva promesso una ricca ricompensa se ci fosse riuscita, ma anche perchè provava pietà per la povera donna. Non era mai stata vicina ai Nephilim quanto lo era stato Magnus, lei preferiva lavorare con gli umani, ma conosceva la storia della sorella di Luke. Sapeva che era stata costretta a divorziare da suo marito, dall'uomo che amava più di chiunque altro solamente perchè a Valentine non andava a genio il fatto che Stephen fosse sposato con la sorella di uno sporco lupo mannaro. Amatis non aveva potuto fare niente per evitarlo: era stata costretta a vedere la sua runa del matrimonio venire brutalmente strappata dal Conclave e rassegnarsi al fatto che Stephen avrebbe sposato un'altra donna solo perchè uno psicopatico aveva deciso così. Sapeva che Valentine le aveva fatto il lavaggio del cervello, facendole credere che suo fratello fosse diventato un mostro dopo la trasformazione e che tutta la sua umanità gli fosse stata strappata. Le aveva fatto odiare il suo fratellino, sangue del suo sangue, l'unica famiglia che le era rimasta. 
Catarina si arrotolò una lunga ciocca di capelli bianchi come la neve attorno a un dito, cercando di decidere cosa fare. Era ovvio che se non era riuscita a trovare una soluzione nel Libro Bianco, non l' avrebbe trovata da nessuna parte. Fece una sintesi delle opzioni che le rimanevano: poteva chiedere aiuto a Magnus, oppure rassegnarsi e annunciare a Luke che purtroppo non c'era niente da fare. Scartò l'opzione di parlarne con i Fratelli Silenti. Maryse le aveva detto di aver parlato con Fratello Zaccaria, la sera prima, e che lui le aveva detto che i Fratelli erano impotenti contro quella che era evidentemente una forma di magia nera. Tutto quello che era riuscita a fare era farle ingoiare una pozione che l'avrebbe tenuta buona per un altro paio di giorni, simile a quella che Jocelyn aveva bevuto all'arrivo degli uomini di Valentine, mesi prima. 
Chiuse il libro che aveva sulle ginocchia, rassegnata. Non si era mai sentita così impotente, e questa sensazione non le piaceva affatto. 
Qualcuno bussò alla porta e la Strega smise subito di giocare con i suoi capelli.
-Avanti- disse e quando si voltò vide Luke venire verso di lei. La sua barba e i suoi capelli erano più lunghi rispetto all'ultima volta che lo aveva visto. I suoi occhi azzurri erano carichi di preoccupazione. Catarina pensò che il colore degli occhi di Amatis fosse simile al suo, prima che venisse trasformata e le si formò un nodo allo stomaco, al pensiero.
-Catarina. Ho interrotto qualcosa di importante? Mi dispiace, è che non ce la facevo più ad aspettare in biblioteca. Avevo bisogno di vedere mia sorella. -
Luke si incamminò verso il letto di Amatis, sedendosi sul bordo. 
-Non hai interrotto niente, in realtà. Non preoccuparti. - Catarina si sforzò di sorridere, ma quando lo fece si rese perfettamente conto che il suo sorriso sembrava più una smorfia. Si mordicchiò nervosamente un'unghia. Era giunta l'ora di dare a Luke la cattiva notizia. 
Luke prese la mano della sorella tra le proprie, poi si voltò verso la Strega. 
-Allora, come.. come procedono le cure? - Le chiese. I suoi occhi erano seri ma colmi di speranza. Questo rende le cose ancora più difficili, pensò Catarina. 
-Non bene - disse, evitando di guardare Luke negli occhi. -Luke, io.. ho cercato di trovare un incantesimo adatto al caso di Amatis, ma non ho trovato niente. Ho persino guardato nel Libro Bianco. - Disse, indicando il libro sul bracciolo della poltrona. Non ci sono incantesimi, nè pozioni in grado di eliminare una quantità così grande di sangue demoniaco dal corpo di uno Shadowhunter senza ucciderlo. Forse nessuno stregone si è mai occupato di trovarne una perchè non è mai successo niente di simile prima d'ora. Sia noi figli di Lilith che i Fratelli Silenti siamo impotenti. - Prese il coraggio e alzò lo sguardo verso l'uomo. Si aspettava di vedere stupore o persino rabbia nei suoi occhi, ma tutto ciò che trovò fu la rassegnazione.
-Come pensavo - disse lui, e lei alzò involontariamente un sopracciglio bianco come i suoi capelli. 
-So che sei brava nel tuo mestiere, Catarina. Se dici che è così, allora mi fido di te. Non hai nessuna motivo per mentire. - Luke spostò con gentilezza una ciocca dal volto della sorella, lasciando la sua mano. 
-Mi dispiace tanto. Avrei davvero voluto aiutarla, ed ero sicura di riuscirci ma.. non è andata così. -
Luke fece un respiro profondo, poi sorrise. Non era uno di quei sorrisi che ti illuminano il volto, era un sorriso triste. Il sorriso di un uomo che aveva perso una delle poche persone importanti della sua vita. 
-Non abbiamo avuto un'infanzia facile. - Disse lui e Catarina si sistemò meglio sulla poltrona.
-I nostri genitori ci hanno abbandonati quando eravamo ancora molto giovani. Una cosa del genere è piuttosto insolita in una famiglia di Shadowhunters, no? - 
Lei annuì e aspettò che andasse avanti. 
-Amatis si è sempre presa cura di me. Era il tipo di sorella che dormiva per terra accanto al mio letto quando c'erano i temporali, perchè sapeva che mi facevano paura, e che mi portava il the caldo ogni due ore quando ero malato. - La nostalgia nella sua voce spinse Catarina ad appoggiargli una mano sulla spalla, nel tentativo di consolarlo. 
-E poi.. poi io sono stato trasformato e Valentine le ha riempito la testa di cazzate, facendole credere che io fossi diventato un mostro e consigliandole di fare finta che fossi morto. Dopo l'ennesimo grande litigio, non ci siamo più visti per anni. Mi ero rassegnato all'idea che non l'avrei mai più rivista, fino al giorno in cui Clary ha deciso di intrufolarsi a Idris per seguire i suoi amici. Ha ingoiato l'acqua del lago Lyn e ha iniziato ad avere febbre e allucinazioni. Non sapevo cosa fare, nè da chi portarla. Stavo iniziando ad andare in panico. Poi mi è venuta in mente mia sorella. Sapevo che mi odiava e che non voleva più vedermi, ma era l'unica speranza che avevo di salvare Clary. Così mi sono buttato. Ho suonato al campanello di casa sua e le ho chiesto aiuto. E lei ha accettato, mi ha aiutato nonostante tutto. Ha curato Clary e l'ha accolta a casa sua, senza sapere nemmeno chi fosse. Si è fidata di me, come ogni sorella si fida del proprio fratello. -
Luke abbassò il capo, ma Catarina vide che aveva gli occhi lucidi. Non sapeva nemmeno cosa dirgli per consolarlo. Non era una bella sensazione. 
-Oh, Luke. Mi dispiace così tanto. Non solo non sono riuscita a trovare una cura per tua sorella, ma non sono nemmeno brava a consolare le persone. Sono una frana. - Disse, e con sua sorpresa, Luke sorrise. -Non sei una frana, e non è colpa tua se non esiste un'incantesimo in grado di aiutare Amatis. Non puoi mica inventartelo? - 
Catarina fece un respiro e abbassò lo sguardo sulle sue mani, che in quel momento avevano assunto una tonalità di blu più chiaro. 
-E allora cosa facciamo? - Gli chiese. 
Per un momento lui non rispose, rimase immobile con lo sguardo perso nel vuoto, poi lentamente alzò gli occhi su di lei. 
-C'è solo una cosa che possiamo fare, a questo punto. - 
Catarina spalancò gli occhi. Forse non era brava a consolare le persone, ma era brava a leggere negli occhi della gente e ciò che vedeva negli occhi di Luke in quel momento non le piaceva affatto. 
-Non stai pensando a ciò che penso che tu stia pensando, vero? - Chiese lei.
-Invece sto pensando proprio a quello. - Rispose lui, serio più che mai. Catarina aveva senza dubbio capito ciò che voleva fare.
-Cosa?! Lo sai che potresti cacciarti in guai seri? - La Strega si spostò e il Libro Bianco cadde a terra.
-Lo so, ma è l'unica opzione che ho. L'unica possibilità che ho di salvarla. Non ti sto coinvolgendo nel mio piano, Catarina, tu non sei di certo obbligata ad aiutarmi, anche se te ne sarei grato se lo facessi. -
La figlia di Lilith scrutò la sua espressione un'ultima volta con la speranza di trovare un velo d'incertezza nei suoi occhi, ma fu delusa. Luke aveva preso la sua decisione e non aveva intenzione di tirarsi indietro. 
-Ti aiuterò, invece. Ho promesso a Maryse che lo avrei fatto e lo farò. -

Taylor lasciò cadere il libro per terra, sbuffando. Non era uscita dall'Istituto tutto il giorno e non sapeva più cosa fare per scacciare la noia. 
Quel mattino il padre adottivo di Clary era andato a fare visita a sua sorella, una Cacciatrice che era stata trasformata in una Oscura da Jonathan, da quello che aveva capito, e che Aline aveva accidentalmente ferito il giorno prima. Clary era venuta all'Istituto con lui, ma non le era stato permesso di vedere Amatis. Solo Luke poteva entrare. Allora era andata da lei, dopo aver salutato Jace e Izzy ed erano rimaste in camera sua a parlare per circa mezz'ora. A Taylor aveva fatto piacere vedere Clary, come al solito, ma quel giorno la rossa sembrava di cattivo umore. Ciò che era successo ad Amatis l'aveva turbata più di quanto pensasse. Taylor non poteva biasimarla. In fondo, era come se fosse sua zia. 
Quel pomeriggio, Isabelle era uscita con il suo fidanzato vampiro - che la bionda non aveva ancora avuto la possibilità di conoscere -, mentre Alec era era ancora a casa di Magnus. Clary era tornata a casa per fare da supporto morale a Luke e pure Jace era uscito, anche se non sapeva dove fosse andato. 
Taylor si annoiava e si sentiva sola. E lei odiava stare da sola. Un romanzo drammatico di seicentotrentacinque pagine, che finiva con la morte di entrambi i protagonisti, non le era d'aiuto in quel momento. 
Dalla finestra sopra il suo letto entrò un debole raggio di sole, che fece scintillare l'anello d'argento che Taylor portava sempre. Si trattava dell'anello di famiglia dei Whitelaw, che il suo padre adottivo le aveva regalato quando aveva compiuto tredici anni. All'epoca lei non sapeva ancora di non essere la figlia di Derek Whitelaw. Se il suo patrigno le aveva regalato quell'anello, sapendo benissimo di non avere nessun legame sanguigno con lei, probabilmente le voleva davvero bene. Si chiese se avrebbe mai ereditato l'anello dei Lightwood. Probabilmente no. Lo avrebbero dato ad Alec, essendo il primogenito.
Taylor fece un sospiro. Le mancavano i suoi genitori, le mancava la sua casa e la sua amata Idris. Si trovava piuttosto bene all'Istituto, ed era davvero contenta che i suoi fratelli fossero riusciti ad accettarla come una di loro, ma non c'è nessun posto come la propria casa. Si chiese se avrebbe mai rivisto Derek Whitelaw. 
In quel momento, qualcuno bussò alla porta con due decisi ''toc toc''. Poteva essere solo una persona.
-Avanti - disse Taylor, sedendosi sul letto a gambe incrociate. 
Suo padre entrò. Indossava una semplice maglia grigia e un paio di jeans. A Taylor faceva uno strano effetto vederlo indossare vestiti che non fossero la tenuta o la divisa da Inquisitore, altrettanto nera.
-Ciao, Taylor. Stai.. ehm, è tutto a posto? - Le chiese, avvicinandosi al suo letto. 
Lei annuì e gli fece cenno di sedersi. Sembrava a disagio, e lo era anche a lei. Anche se vivevano sotto lo stesso tetto da una settimana ormai, le faceva ancora uno strano effetto stare da sola con lui.
-Devi dirmi qualcosa? - Chiese lei, notando che non la stava guardando in faccia. Sembrava agitato. 
Robert si passò una mano tra i capelli corvini. Taylor conosceva bene quel gesto; lei lo faceva spesso quando era nervosa. Ecco da chi aveva preso. 
-Si, in realtà. Taylor, sai che ti voglio bene. Sei mia figlia e voglio bene a te quanto ne voglio ad Isabelle e Alec. Tuttavia, come ti ha già detto mia moglie il giorno in cui sei arrivata, non puoi restare a vivere qui per sempre. Gli Istituti hanno il dovere di ospitare temporaneamente gli Shadowhunters in difficoltà, ma non di regalare loro una nuova casa. -
Taylor lo fissava a bocca aperta, incredula. La stava sbattendo fuori di casa? Dopo solo una settimana? Dopo che li aveva aiutati nella battaglia contro Sebastian? La bionda scattò in piedi.
-Non ci posso credere! Sono passati solo sette giorni e vi siete già stufati di avermi attorno?! -
-Taylor, per favore, abbassa la voce..-
-No che non la abbasso! - disse lei, gridando ancora di più. -Mi stai dicendo di andare a vivere in mezzo alla strada? Sai che non ho un posto dove andare. -
-Certo che no! - Si affrettò a dire lui, alzandosi a sua volta. -Non lascerei mai che mia figlia vivesse in mezzo alla strada. Per chi mi hai preso?! -
Taylor rimase in silenzio per un momento. -E allora.. dove hai intenzione di mandarmi? -
-Ho trovato un appartamento in affitto a pochi isolati da qui. Non è molto grande, ma è davvero accogliente. Potrai venire ad allenarti qui ogni giorno e passerai comunque del tempo con i tuoi fratelli e con Clary, non ti sto allontanando da loro. Dal momento che sei minorenne, l'affitto lo pagherò io, per questo non ti devi preoccupare. E inoltre..-
-Non mi stai dicendo la verità. - Lo interruppe lei, con le braccia incrociate contro il petto e il viso rosso per la rabbia. 
Robert la guardò senza capire. -A cosa ti riferisci? -
La bionda alzò gli occhi al cielo -Mi stai dicendo che il Conclave ti impedirebbe di lasciarmi vivere qui? Non solo sono tua figlia, la figlia del Capo dell'Istituto, e non una Shadowhunter qualsiasi, ma tu sei l'Inquisitore: il più importante esponente del Conclave insieme al Console! Non venire a dirmi che non puoi tenermi qui per legge, perchè sei tu che fai le leggi. Inoltre il Console è Jia Penhallow e i Penhallow sono amici di famiglia dei Lightwood. Dubito che Jia abbia qualcosa contro di me. Quindi risparmiati le bugie, papà. Il motivo per cui non vuoi che resti qui è un altro, ammettilo. - Taylor aveva parlato, o meglio gridato, in fretta e le bruciava la gola, ma i suoi occhi erano ancora inchiodati in quelli del padre. Non si sarebbe arresa così facilmente.
Robert la guardò per un attimo senza dire niente. La bionda sorrise tra sè. Suo padre non si aspettava una reazione simile. Poi fece un respiro profondo, si passò nuovamente una mano tra i capelli e parlò.
-In realtà io non ho niente contro il fatto che tu viva qui, Taylor. Anzi, mi fa piacere che ti trovi bene qui e che vai d'accordo con i miei i figli. È solo che, essendo l'Inquisitore, la mia sede è a Idris. Questo significa che non rimarrò qui per molto. Sono venuto qui per aiutarvi ad affrontare Sebastian, ma ora che tutti i suoi uomini sono morti ieri, dubito che si farà vivo presto. Il Conclave ha bisogno di me e non so per quanto tempo resterò qui. Inoltre Maryse.. ehm, come dire.. lei non ha ancora accettato il fatto che io abbia avuto una figlia con un'altra donna, e non è molto contenta del fatto che..-
-Ah, eccolo il vero motivo. - Disse Taylor in tono piatto. -Maryse non mi vuole. Ci voleva tanto a dirlo?-
-Mi dispiace, Taylor. - Disse lui, e la ragazza notò che sembrava davvero dispiaciuto. -Non volevo ferirti. Non dopo tutto quello che ti è successo. -
-Sai papà, preferisco le verità amare piuttosto che le bugie a fin di bene. Questa è una cosa che devi sapere di me. Entro quanti giorni me ne devo andare? - 


Scusate, scusate, scusate se ci ho messo così tanto. 😫
Probabilmente pensavate che fossi morta, non vi biasimo per questo. Ho iniziato a scrivere questo capitolo poco prima dell'uscita di cohf, poi il libro è uscito e ho deciso di finire di scriverlo dopo averlo letto. Per chi non avesse ancora letto il libro: vi farà morire di feels. 😝
Vi dico già nei prossimi capitoli prenderò un po' spunto da cohf per continuare a scrivere, ma non metterò spoiler. ☺

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Un attacco inaspettato ***


«Come sarebbe a dire glie l'hai detto?!» Gracchiò Maryse, fulminando con lo sguardo il marito.
Robert si alzò dal letto su cui erano seduti lui e sua moglie, allontanandosi da lei. Odiava quando le persone gli urlavano contro, soprattutto se era Maryse a farlo. 
«Vuoi spiegarmi qual'è il problema?» chiese, esasperato. «Io cerco di farti un favore e tu reagisci così? Sai Maryse, a volte proprio non ti capisco.»
Le parole di Robert non fecero che infastidire la donna ancora di più e quest'ultima si alzò di scatto dal letto.
«Pensavi davvero di farmi un favore andando da tua figlia a dirle ciò che io avrei dovuto dirle?» 
Robert serrò la mascella. Doveva mantenere la calma. «Non pensavo che per te sarebbe stato un problema.»
Maryse era in piedi davanti a lui, con le braccia incrociate contro il petto, mentre aspettava la sua spiegazione.
«Credevo che, parlando con Taylor al posto tuo, ti avrei tolto un peso dalle spalle. Ma evidentemente mi sono sbagliato.» Aggiunse. «Mi ero dimenticato che tu non sei il tipo di persona che apprezza i gesti che la gente fa per aiutarti.»
Maryse emise un verso strozzato. Questo non avrebbe dovuto dirlo. «Non cercare di girare la frittata! Ti costa tanto ammettere di essere nel torto!?» Sbottò, indignata dalla risposta del marito. 
«Certo, perchè sono sempre io quello nel torto, no? Da quando sei venuta a sapere che ti ho tradita non fai altro che addossarmi la colpa di tutto ciò che succede. È comparsa una macchia sul tuo prezioso tappeto persiano? È colpa mia. I nostri figli non ti danno ascolto? È colpa mia. Cerco di renderti le cose più facili parlando con mia figlia al posto tuo? È colpa mia, quando mai non lo è?»
«Non ti è passato per l'anticamera del cervello che ora Taylor penserà che ho mandato te a parlarle perchè io non ne ho il coraggio? Che razza di idea si farà di me ora?!» Disse Maryse, coprendosi il viso con le mani.
Robert tacque. Dunque era quello il motivo per cui sua moglie era così irritata dal fatto che lui avesse parlato con sua figlia del suo trasloco senza dirle niente. Si era dimenticato di quanto fosse orgogliosa la donna che aveva sposato. Ciò che più odiava al mondo era essere considerata una codarda. A Maryse importava ciò che le persone pensavano di lei e la infastidiva terribilmente quando la gente si faceva un'impressione errata di lei. Anche se, in questo caso, la persona in questione era una sedicenne, figlia di suo marito e nata per errore.
«Senti, Robert. So che stai facendo il possibile per farti perdonare e lo apprezzo, davvero, ma questa volta hai fatto la mossa sbagliata. Taylor ha avuto il coraggio di venire fin qui da sola, di bussare alla porta di casa nostra e presentarsi come tua figlia, pur sapendo che i ragazzi avrebbero potuto odiarla. Pur sapendo che io avrei potuto odiarla. Ha avuto il coraggio di iniziare una nuova vita qui con noi, lasciandosi alle spalle il passato e di combattere contro Jonathan insieme a noi, rischiando la vita. So che non dovrebbe importarmi ciò che pensa di me, dal momento che lei non è nessuno per me, ma credo proprio di doverle delle spiegazioni sul perchè non voglio che rimanga a vivere qui. È una ragazza in gamba e giuro sull'Angelo che non la odio, ma.. non è mia figlia, capisci?»
Robert la guardò per un attimo, riflettendo sulla sua risposta, poi annuì. «Su questo.. hai ragione. Forse non avrei dovuto intromettermi.»
Se Maryse aveva apprezzato le scuse del marito, non lo diede a vedere. «No, non avresti dovuto.» Disse invece. «E ora vado a parlare con lei, si starà chiedendo che diavolo sta succedendo.» Aggiunse, incamminandosi verso la porta. Ma nel momento in cui sfiorò la maniglia, un urlo agghiacciante la fece sussultare e si voltò di nuovo verso il marito.
«Che.. che cos'è stato?» Chiese d'istinto, pur sapendo che lui sapeva la risposta a quella domanda quanto lei.
«Non lo so. Ma non proveniva da lontano.» L'uomo si alzò, dirigendosi verso la finestra della camera da letto. Tirò la tenda e dopo pochi istanti spalancò gli occhi dall'orrore. Maryse lo raggiunse e guardò a sua volta fuori dalla finestra, curiosa di vedere ciò che aveva fatto impallidire suo marito in quel modo. 
Non ci mise molto a vedere il gruppo di ragni giganti che avevano circondato due ragazzini e si stavano avvicinando minacciosamente a loro. Come se non bastasse, uno dei due era una bambina, a terra e con un ginocchio sanguinante.
«Oh mio dio!» Esclamò la donna, sconvolta. «Quelli sono..»
«Demoni Kuri. Ragni succhiasangue che vengono attirati dall'odore del sangue. Qualcuno deve essersi fatto male, ma finirà ancora peggio se non interveniamo.» Disse Robert, senza staccare gli occhi dalla finestra. 
I demoni erano cinque. I due non sarebbero riusciti ad ucciderli tutti da soli, anche perchè presto ne sarebbero arrivati altri. I Kuri sono come api attirate dal profumo di un fiore, ma molto, molto più pericolosi delle api.
«Preparati e chiama Jace, Izzy e Taylor» disse lei, prendendo il telefono dal comodino «io chiamo Alec e gli chiedo di raggiunger..»
Ancor prima di finire la frase, Maryse vide il marito uscire dalla stanza a passi decisi. 

۞                                        ۞                                        ۞

Quando i Lightwood arrivarono nel luogo dell'aggressione, dovettero dividersi i compiti. Isabelle sarebbe andata a soccorrere i due bambini mentre gli altri avrebbero affrontato i demoni che, attratti dall'odore di sangue giovane e fresco, avevano ormai invaso la piazza. Per fortuna quella non era una parte animata della città e non c'era quasi nessuno in giro.
 Non c'era tempo da perdere. Se non fossero intervenuti subito, i Kuri avrebbero  seminato il terrore nella città, portando morte e distruzione nel mondo dei mondani. E il compito degli Shadowhunters é quello di impedire che questo accada ad ogni costo, mettendo come sempre le vite dei mondani prima delle proprie.
Isabelle vide i suoi genitori correre verso un demone-ragno piuttosto agitato. Quando la creatura avanzò minacciosamente verso Maryse, Isabelle vide suo padre sfoderare la sua spada e mettersi tra il demone e sua moglie, facendo da scudo alla donna, senza pensarci due volte.
Quel semplice gesto colpì la giovane come un secchio d'acqua fredda in faccia. Perchè si comportavano quasi come se fossero due estranei da quando suo padre era tornato ma erano pronti a sacrificare la propria vita per l'altro senza esitazioni? 
Isabelle si sentiva egoista ad ammetterlo persino a sè stessa, ma in fondo al cuore desiderava che le cose potessero tornare come una volta. Quando lei era ancora piccola e ignara di tutto. Quando credeva di avere una famiglia perfetta, con due genitori che si amavano e un padre onesto verso i suoi figli e sua moglie. Quando era convinta di avere solo due fratelli biologici. Isabelle, al contrario di Taylor, preferiva le bugie a fin di bene alla cruda verità. Avrebbe preferito vivere una vita costruita su una menzogna, senza scomode verità venute a galla e con due genitori che avrebbero finto di amarsi, pur di vederla felice. Ma le cose non erano così semplici. Isabelle sapeva che niente sarebbe più stato come una volta.
Qualcosa ai suoi piedi attirò la sua attenzione. Abbassò lo sguardo e vide qualcosa di lungo, nero e peloso che giaceva a terra. La zampa di un Kuri. Si voltò e vide Taylor armeggiare con la sua ascia. Pur con una zampa mozzata, il Kuri non sembrava intenzionato ad arrendersi facilmente e avanzava goffamente verso la bionda, emettendo suoni minacciosi.
Isabelle fece per srotolare la frusta dal suo polso e andare ad aiutarla, ma poi si ricordò del suo compito: i ragazzini da salvare. 
Indecisa su cosa fare, si guardò attorno e fu sollevata di vedere pezzi di ragni sparsi ovunque. Più che uccidere demoni, Taylor sembrava giocare a fruit ninja.
Sorrise. Anche senza Clary ad aiutarla, sua sorella se la stava cavando piuttosto bene. 

Le due piccole prede dei demoni non erano più nel punto in cui Maryse e Robert li avevano visti, ma Isabelle non fece fatica a trovarli.
Mentre stava correndo lungo la strada - con il fiatone e il cuore che le batteva sempre più forte nel petto per la corsa - qualcosa attirò la sua attenzione. Un suono debole, appena audibile, simile ad un lamento. Si fermò, rimanendo immobile per cercare di individuare la fonte di quel suono. Poi ricominciò a correre, ignorando il dolore che gli stivali dai tacchi a spillo -più adatti ad una serata in discoteca che ad una corsa frenetica per le strade di New York - le stavano provocando, rallentandola. Emise un verso di frustazione. Perchè diavolo si era messa quegli stivali?
Seguendo i lamenti soffocati, si ritrovò in una stradina semideserta, dove gli imponenti grattacieli sparivano, dando posto ad una serie di casette di mattoni, vecchie e malconce.
E finalmente li trovò: nascosto tra un cespuglio e due bidoni della spazzatura, c'era un ragazzino magro e biondo che stringeva tra le braccia una bambina dal ginocchio sbucciato e sanguinante. Un rivolo di sangue colava sulla pelle candida della bambina in lacrime. Erano rannicchiati sul pavimento e stavano singhiozzando talmente forte che non si accorsero nemmeno della ragazza che si era inginocchiata di fronte a loro. Isabelle allungò con esitazione una mano verso la ragazzina, la quale sussultò e si ritrasse subito dal tocco della Nephilim. 
Isabelle ritirò la mano, mordendosi il labbro. «Scusatemi, non volevo spaventarvi» disse, sorridendo alla bambina dai capelli castani e spettinati, che stava cercando di era nascondersi tra le braccia del maggiore.
Il ragazzo alzò lo sguardo verso la mora. I suoi occhi verdi erano arrossati per il pianto. 
«Tu.. c-chi sei?» le chiese, mentre il suo sguardo vagava sui vestiti neri della ragazza, per poi posarsi sulla cintura di cuoio dalla quale pendeva una spada. Sgranò gli occhi nel vederla e Isabelle aprì la bocca per parlare. Avrebbe voluto rassicuralo, dirgli che non voleva fare del male a nessuno dei due, che era lì per aiutarli, per salvarli dai demo-.
«Sei uno dei Power Rangers??» 
A quella domanda, la bambina piangente tra le sue braccia alzò lo sguardo verso di lei, incuriosita dalla domanda del fratello.
Isabelle sbattè le ciglia, confusa. «Un power che?» Chiese, pentendosene nel momento in cui vide spegnersi la luce di speranza negli occhi dei due ragazzini.
«Un Power Ranger! Indossano divise colorate, combattono con spade fosforescenti e uccidono mostri giganti con voci metalliche.» Esclamò il biondo con entusiasmo.
Isabelle inarcò un sopracciglio.«Tesoro, non una power danger o-»
«Ranger. Power Ranger, non danger.» La corresse lui, con una punta di irritazione nella voce.
«Si, come vuoi» rispose lei, spazientita. Era lì per salvarli, non per perdersi in chiacchiere con un mondano che aveva non più di dodici anni.
«Ma allora chi uccidi con quella spada?» Chiese la bambina, parlando per la prima volta da quando Isabelle era arrivata. Almeno aveva smesso di piangere. Era un buon inizio.
Isabelle esitò un attimo prima di rispondere. Sapeva bene che era assolutamente vietato agli Shadowhunters rivelare la loro identità ai mondani. Poi si accorse che le persone con cui stava parlando erano praticamente due bambini, e si rilassò. Se fossero andati in giro a raccontare di aver incontrato dei demoni ragno giganti e una cacciatrice di demoni con una spada nella cintura, nessuno ci avrebbe creduto. Gli adulti avrebbero probabilmente dato la colpa alla televisione.
«Demoni. Uccido demoni.» Rivelò la mora.
«Ma i demoni non esistono!» Obiettò il biondo. Dall'atteggiamento che stava mostrando in quel momento, sembrava essersi del tutto ripreso dal pianto.
«E i mostri giganti con voci metalliche si, invece?» Sbottò lei. Stava davvero discutendo con un dodicenne sull'esistenza delle creature che affrontava ogni giorno per proteggere quelli come lui? 
Prima che qualcuno potesse rispondere, Isabelle sentì dei passi avvicinarsi. Si irrigidì, sperando che chiunque fosse non li notasse. Se un mondano dovesse scoprire la sua identità, finirebbe nei guai. Grossi guai. Ma i passi si fecero più vicini e Isabelle vide due lunghe gambe avvolte in pantaloni rosa shocking camminare nella loro direzione.
«Isabelle..?» 
La mora alzò lo sguardo ed emise un sospiro di sollievo nel nel vedere Magnus. Aveva decisamente un aspetto migliore rispetto all'ultima volta in cui l'aveva visto. I suoi capelli erano di nuovo cosparsi di glitter e i suoi occhi erano più luminosi che mai. Isabelle era rimasta colpita dagli occhi dorati di Magnus dal momento in cui l'aveva visto per la prima volta e lo spesso strato di eyeliner che li contornava in quel momento li rendeva ancora più accattivanti, ma la mora avrebbe giurato che che non era il trucco a dare agli occhi dello Stregone quella luce. Era qualcos'altro. Era la libertà. Era la felicità. Era l'amore. Era Al-
«Quello è il mago di Oz?» 
La bambina scoppiò a ridere. Isabelle lanciò ad entrambi un'occhiata torva. Quel bambino stava mettendo alla prova la sua pazienza. Tuttavia si morse la lingua e non disse niente. A quello ci pensò Magnus.
«Il mago di Oz?!» Sbottò Magnus, offeso e incredulo. Poi puntò un dito contro il biondo. «Senti, marmocchio. Non ti permetterò di prenderti gioco del magnifico, splendido, amatissimo e potentissimo sommo Stregone di Brooklyn. Si, hai capito bene. Io sono l'alto Stregone della città, il più temuto, il più invidiato, il più-»
«Magnus» lo interruppe la Nephilim, che in quel momento avrebbe preferito andare a combattere contro un esercito di Kuri piuttosto che discutere con il marmocchio per un altro minuto. «È solo un bambino mondano. Risparmiati la fatica.»
Lo Stregone fece per obiettare, ma l'occhiataccia che gli lanciò la ragazza gli fece cambiare idea.
«Okay, allora. Passiamo alle cose importanti. Se ti stai chiedendo cosa ci faccio qui, quando Alec ha ricevuto la chiamata dall'Istituto ho insistito per venire con lui. Voleva che restassi a casa a riposarmi, ma non me la sentivo di lasciarlo rischiare la sua vita senza che potessi fare niente per aiutarlo. Quando siamo arrivati e non ti ha vista, ha iniziato a preoccuparsi e gli ho detto che sarei venuto a cercarti. E ora, potresti spiegarmi chi sono questi due marmocchi nascosti dietro a due bidoni della spazzatura?» Disse, indicando con la mano i due ragazzini che li guardavano confusi. Alec? Istituto? Ovviamente non capivano di cosa stessero parlando.
«Sono stati loro ad attirare i demoni qui. I Kuri si nutrono di sangue e cacciano le loro prede in gruppi. Come vedi, la bambina è ferita, seppur lievemente.» Spiegò lei. Poi si rivolse verso i due. «Potreste spiegarci cos'è successo?»
Capendo che il momento delle battute era finito, il ragazzino assunse un'espressione seria. «Io e mia sorella  stavamo facendo un giro sulla mia bici. Ho cercato di farle capire che era troppo piccola per andare su una bici da grandi, ma lei ha insistito. Ad un certo punto è spuntato fuori dal nulla un cane. Non volevo investirlo e quindi ho frenato bruscamente e Kate è caduta dalla bici sbucciandosi il ginocchio.»
Isabelle lanciò un'occhiata al ginocchio della bambina. Aveva smesso di sanguinare e il sangue stava iniziando a seccarsi. 
«E poi sono arrivati i Kuri? Cioè, i ragni giganti?» Chiese Magnus.
«Si. Stavo giusto aiutando Kate a rialzarsi quando ad un tratto sono spuntati fuori due ragni enormi. Io e mia sorella eravamo terrorizzati. Non avevamo mai visto niente di simile. Stavano venendo verso di noi e quindi abbiamo iniziato a correre. Eravamo talmente in preda al panico che ci siamo dimenticati della bici. Kate si lamentava perchè le faceva male il ginocchio e ho dovuto trascinarla. Stavo correndo senza sapere dove stavo andando. Volevo solo seminarli. Quando entrambi eravamo troppo stanchi per continuare a correre, ci siamo fermati e ci siamo nascosti qui, sperando che non ci trovassero.» Spiegò lui, mentre sua sorella annuiva in silenzio.
Isabelle si alzò in piedi. «Fidatevi di me, non verranno a cercarvi.»
I due annuirono di nuovo. C'era qualcosa nell'espressione e nella voce della ragazza che li induceva a fidarsi delle sue parole.
«Ma adesso cosa facciamo?» Chiese la bambina, guardando Isabelle con aspettativa.
«Adesso io devo tornare ad aiutare altri.» Disse lei, rivolgendosi a Magnus e cercando il suo consenso nei suoi occhi. Lo Stregone annuì. Isabelle si girò di nuovo verso i ragazzini.«Il mago di Oz si occuperà di voi.» Disse, con un sorriso sorriso giocoso a Magnus.
«Ora ti ci metti anche tu?!» Esclamò lui, dandole un colpetto sul braccio.
Isabelle rise, ma tornò seria subito.«Occupati di loro, Magnus. Sai cosa devi fare.»

۞                                        ۞                                        ۞

Jace si pulì frettolosamente la faccia con una mano, cercando di togliersi di dosso quello schifoso liquido nerastro. Il suo viso si contorse in un'espressione di disgusto mentre altro icore demoniaco schizzava dall'arto peloso del demone-ragno e finiva sui suoi riccioli dorati. 
Approfittando del momento di debolezza del mostro, il biondo affondò la spada in uno dei tanti occhi rossi e privi di pupille del demone, il quale emise un suono stridulo che fece venire a Jace la pelle d'oca. 
Il Kuri iniziò a contorcersi dal dolore, strillando e agitandosi, mentre altro icore colava dal suo occhio. 
Jace alzò gli occhi al cielo. I demoni-ragno erano creature talmente stupide che ucciderli era fin troppo facile. O almeno lo era per il leggendario Shadowunter Jace Lightwood.
«Mi hai stufato, bestiaccia. Mi stai facendo perdere tempo, quindi facciamola finita.» Disse Jace, annoiato,  saltando in groppa al ragno gigante prima ancora che questo potesse accorgersi del movimento fulmineo del biondo. Impugnò saldamente la sua Samandriel e trafisse la schiena della creatura, centrando senza difficoltà il cuore. Il demone Kuri emise un ultimo lamento sofferente prima che il suo corpo iniziasse a contorcersi in preda agli spasmi, rimpicciolendosi sempre di più, fino a sparire nel nulla.
Jace si guardò attorno. Aveva ucciso il terzo demone, ora gliene mancavano altri.. dieci? Quindici? Ormai aveva perso il conto. Quando erano arrivati ce n'erano pochi e Jace aveva sperato che sarebbero riusciti a farli fuori in fretta in poco tempo, ma i Kuri erano accorsi come un branco di avvoltoi affamati che dall'alto intravedono la carcassa di un animale morto. Erano in tanti, si, ma almeno avevano la fortuna che quel tipo di demoni non fosse particolarmente intelligente. Dovevano solo stare attenti alle loro fauci, perchè quelle erano fatali. 
Quando rialzò lo sguardo, i suoi occhi incrociarono quelli rossi e iniettati di sangue di uno dei simili della cosa che aveva appena ucciso. Il biondo sollevò l'arma verso la creatura pronta ad attaccare.
«Su, bello. Fatti avanti.» Disse Jace, facendo roteare velocemente la spada tra le sue mani per disorientare il demone. Il giochetto non fece altro che infastidire la creatura, che attaccò senza esitare, ma non appena il Kuri spalancò le fauci, rivelando una fila di denti giallastri, sottili e appuntiti come aghi, il cui corpo si irrigidì e presto cadde a terra con un tonfo, sibilando e contorcendosi. 
Jace inarcò un sopracciglio, sorpreso, e vide che nella schiena della creatura vi era conficcata una freccia. 
Sorrise. Non aveva bisogno di alzare lo sguardo per vedere chi aveva deciso di occuparsi del suo avversario al posto suo. Lo sapeva  già. Tuttavia lo fece. Guardò in alto, verso la figura scura in piedi sul tetto di una casa vicina. Alec stringeva il suo arco in una mano e una freccia nell'altra e, anche se si trovava a diversi metri da lui, Jace poteva vederlo sorridere. Fu contento di rivedere finalmente quel sorriso raro ma gentile del suo migliore amico, in grado di portare un po' di luce anche nelle giornate più buie. Quel sorriso che Jace non aveva più visto per parecchi giorni, e che ora si era di nuovo fatto largo sul volto del ragazzo, illuminandolo. E Jace era sicuro di conoscere la ragione di quel sorriso. Una ragione dagli occhi color giada dorato che portava il nome di Magnus.
Jace decise di fingersi offeso. «Non c'era bisogno di portarmi via la preda, sai?» Disse, incrociando le braccia contro il petto in modo teatrale.
Alec tirò fuori un'altra freccia, preparandosi al tiro successivo.
«Beh, forse la tua preda mi piaceva più delle altre» rispose il moro, in tono giocoso. 
Jace sorrise all'amico. Normalmente Alec avrebbe risposto ad una sua battuta con un'occhiata torva o qualcosa del genere. Evidentemente il suo parabatai era di buonumore, quel giorno. 
«Jace!» 
Il biondo si voltò e il suo sorriso svanì nel vedere l'espressione tutt'altro che divertita di Isabelle. La mora stava cercando di affrontare due Kuri contemporaneamente, ma dai suoi muscoli tesi e dal sudore che le colava dalla fronte, Jace capì che aveva bisogno di aiuto. Del suo aiuto.
«Volete anche del the coi pasticcini mentre chiacchierate tranquillamente nel bel mezzo di un'orda di demoni che non vede l'ora di farci a pezzi!?» Gracchiò Isabelle, tirando un colpo di frusta in pieno volto a uno dei demoni-ragno, il quale strillò, accovacciandosi a terra. La Nephilim lanciò un'occhiata di disprezzo alla creatura ai suoi piedi, prima di sferrare un altro colpo. 
Jace si sentì come un bambino che veniva sgridato dalla maestra perchè non aveva fatto i compiti. Isabelle aveva ragione: quello era tutt'altro che un momento buono per distrarsi e chiacchierare con il suo amico. 
Impugnò la spada e si lanciò contro il primo demone che si trovò davanti.

۞                                        ۞                                        ۞

Pozzanghere di liquido nero grosse quanto stagni, ragni agguerriti e Shadowhunter sempre più stanchi. Questo era ciò che Alec vedeva dall'alto, in piedi sul tetto di una casa. Vide Isabelle indietreggiare, mentre un Kuri avanzava verso di lei, con le fauci che si aprivano e chiudevano come un paio di forbici. 
No. Quella viscida creatura non avrebbe sfiorato la sua sorellina. Alec non ci pensò due volte. Prese la mira e scoccò l'ennesima freccia, la quale finì nel fianco del un demone. Isabelle alzò lo sguardo verso di lui e gli sorrise con entusiasmo, poi tornò a concentrarsi sugli altri demoni. 
Alec scrutò con lo sguardo la piazza e il suo cuore perse un battito nel vedere sua madre circondata da ben quattro.. no, cinque demoni. Prima che il moro potesse chiedersi perchè i demoni avessero preso di mira proprio Maryse, il ragazzo vide con orrore del sangue colare dal braccio della donna. 
Questa non ci voleva pensò Alec, con il cuore in gola. Tirò il braccio indietro per prendere un altra freccia ma ad un tratto sentì qualcosa colpirlo alla schiena. Senza nemmeno accorgersene, Alec stava precipitando giù dall'edificio. Imprecò mentalmente. Un Kuri si era arrampicato sul tetto e lo aveva buttato giù. Non c'era nessun'altra spiegazione. Si sarebbe rotto qualcosa e avrebbe dovuto sprecare del tempo a farsi iratze anzi che aiutare sua madre. 
Ma, con sua sorpresa, il suo corpo non toccò mai il cemento. Un paio di braccia magre ma forti lo stavano reggendo. Aprì gli occhi che non si era accorto di aver chiuso e il suo sguardo incrociò quello divertito di Magnus. 
«Hai messo la tua vita nelle mie mani, guanciotte dolci. Letteralmente.» Scherzò il maggiore, mentre Alec arrossiva per l'imbarazzo.
«I-io non..un demone..» balbettò, cercando di dare una spiegazione a ciò che era appena successo.
Lo Stregone tornò serio. «Cerca di non cadere di nuovo dal tetto, Alec. Rischi di romperti qualcosa. E io ti voglio integro.. per stasera.» Magnus sussurrò le ultime due parole nell'orecchio del giovane, facendolo arrossire ulteriormente. 
Erano in una piazza assediata da demoni succhiasangue e Magnus lo stava stuzzicando. Alec sorrise. Magnus non smetteva mai di sorprenderlo.
«Ora mettimi giù però, sembriamo una coppia di sposini e il momento è alquanto inopportuno» disse Alec e Magnus mise il broncio. 
«Non mi merito qualcosa per averti salvato la vità, stella cadente?»
Il moro rise al soprannome e circondò la vita del suo ragazzo con le braccia. 
«Vedo che qualcuno ha bisogno di attenzioni..» mormorò, facendo sfiorare le loro labbra.
Magnus non rispose. In ogni caso non sarebbe riuscito a formulare una frase di senso compiuto con le labbra di Alec così vicine alle proprie. Annullò del tutto la distanza tra di loro, coinvolgendo il Nephilim in un lungo bacio e presto si ritrovò la lingua di Alec in bocca. Inutile dire che Magnus apprezzò il gesto. Amava vedere il suo ragazzo prendere l'iniziativa. Rimasero lì a baciarsi, dimenticandosi per un attimo di essere circondati da demoni-ragno succhiasangue giganti. Era così ogni volta. Tutte le volte che i due ragazzi si baciavano, il resto del mondo spariva. 
Magnus e Alec erano all'oscuro del fatto che c'era qualcuno che li stava guardando in quel momento. Qualcuno che aveva cercato di ignorare la loro relazione per molto, troppo tempo. Qualcuno che in quel momento stava combattendo contro i sentimenti contrastanti che la visione di quel bacio così intenso gli aveva provocato. Qualcuno che aveva finalmente deciso di parlare con Magnus.

۞                                        ۞                                        ۞

Erano in troppi. Non ce l'avrebbe fatta da sola. Si guardò attorno, mentre il suo battito cardiaco accellerava. Vide suo marito, in groppa a una delle creature mentre cercava di colpirla mortalmente. Vide Isabelle e Jace che combattevano fianco a fianco. Isabelle sembrava esausta. Vide Taylor, impegnata a ridurre in mille pezzi un Kuri probabilmente già morto. Le si strinse il cuore nel petto. Solo poche ore prima, Robert era andato a dirle che doveva andarsene, che la sua presenza all'Istituto non era gradita da tutti. Maryse era convinta che Taylor avrebbe rifiutato di unirsi insieme a loro contro i demoni. Perchè mai avrebbe voluto combattere insieme a qualcuno che voleva sbarazzarsi di lei? E invece era lì, con l'ascia tra le mani e un mucchio di pezzi di demone-ragno ai piedi, intenta ad uccidere altri demoni come se non ci fosse un domani. 
Il gesto della ragazza rendeva le cose ancora più difficili per Maryse. Ora sarebbe stata davvero dura guardarla negli occhi e dirle che no, non poteva rimanere a vivere all'Istituto, neanche dopo aver accettato di combattere insieme a loro senza esitazioni.
Maryse era circondata. I Kuri avanzavano velocemente verso di lei. Decine di occhi iniettati di sangue erano puntati su di lei. Dalle fauci aperte dei mostri colavano rivoli di bava. Maryse si mise una mano sulla bocca, per non vomitare. Aveva provato a coprire il taglio che si era fatta accidentalmente con la spada sul braccio, ma l'olfatto ultrasviluppato dei demoni li aveva attirati come una calamita verso di lei. Maryse si maledì per la sua sbadataggine e strinse la presa sulla sua la sua spada. 
Senza nemmeno accorgersene si ritrovò faccia a faccia con un Kuri affamato e impaziente. Il suo muso era pericolosamente vicino al viso della donna e i suoi occhi grossi quanto chicchi di grano le sembravano enormi in quel momento. Con mano tremante, Maryse alzò la spada per attaccare, ma il demone fu più veloce di lei. Spalancò le fauci, rivelando due file di denti giallastri e appuntiti, simili a quelli dei vampiri ma tre volte più grossi, e la Nephilim si rese conto che era troppo tardi per reagire. 

۞                                        ۞                                        ۞

Taylor era stanca. O meglio sfinita. I muscoli delle braccia le facevano male e il peso dell'ascia sembrava aumentare sempre di più nelle sue mani. Cadde in ginocchio, troppo stanca persino per reggersi in piedi. Attorno a lei, i corpi dei demoni uccisi stavano scomparendo, uno dopo l'altro, lasciando pozzanghere di icore nero e puzzolente. Chiuse un attimo gli occhi, cercando di regolare il suo respiro. Respira, espira. Respira, espira. Respi-
«Taylor!»
La bionda si girò verso la direzione da cui proveniva la voce. Vide Isabelle che indietreggiava mentre un Kuri avanzava verso di lei e si accorse con terrore che la ragazza era disarmata. La sua frusta giaceva a terra a un paio di metri da lei. Taylor abbassò lo sguardo sulla cintura, dove avrebbe dovuto esserci una spada che però non c'era. Scattò in piedi, correndo verso di lei con l'ascia in mano, ma la ragazza la fermò con un gesto della mano. Per un attimo Taylor rimase immobile, guardando la sua sorellastra senza capire. Poi Isabelle indicò qualcosa con la mano. O meglio qualcuno. Taylor vide Maryse, circondata da un gruppo di demoni, uno dei quali era pericolosamente vicino a lei.
«Aiutala» disse, mentre cercava di recuperare la sua frusta e di schivare i colpi del demone contemporaneamente.«Per favore.» 
Taylor si morse il labbro. Nella voce di Isabelle c'era disperazione.
Per un momento, cercò di ignorare la sua rabbia verso Maryse. Cercò di ignorare la frustrazione e la stanchezza che stava provando.
 Chiuse un attimo gli occhi e nella sua mente apparve il viso di sua madre. L'immagine della donna era talmente nitida nella sua mente da far male. I suoi capelli sempre pettinati con cura, le fossette che le apparivano ai lati della bocca quando sorrideva, i suoi occhi viola scuro, così simili ai propri. E la sua voce. Quella voce che non sentiva ormai da mesi ma che non avrebbe mai dimenticato. Per nulla al mondo.
Non esitare neanche un attimo ad aiutare una persona in difficoltà. Non importa che ruolo abbia quella persona nella tua vita. Non importa che sia una persona a te cara o uno sconosciuto. Non importa che sia uno Shadowhunter, mondano o Nascosto.  Aiutare qualcuno che ne ha bisogno è il miglior gesto che tu possa fare. Non dimenticarlo mai, Tay.
Furono quelle parole a dare a Taylor la forza di rialzarsi in piedi. Senza nemmeno accorgersene, stava correndo in direzione di Maryse, e la determinazione prese il sopravvento sulla rabbia. In quel momento non stava salvando la donna che voleva separarla dall'unica famiglia che le era rimasta. In quel momento stava salvando una persona che aveva disperatamente bisogno di aiuto.
Le fauci del demone-ragno erano spalancate, i denti pronti ad affondare nella carne della donna, immobile e con gli occhi chiusi, pronta a morire.
Taylor sollevò le braccia in aria e affondò l'ascia nella schiena della creatura, cogliendola di sorpresa.
Il demone urlò. Fu un urlo assordante, uno di quelli che ti fanno venire la pelle d'oca. Maryse aprì gli occhi di scatto, sorpresa nel vedere il demone che cadeva a terra e si contorceva su sè stesso. Poi il suo sguardo si posò su Taylor, la sua salvezza. La donna sbattè le ciglia un paio di volte, incredula. Per qualche istante, il suo volto rimase inespressivo mentre cercava di realizzare ciò che era appena successo. Poi le sue labbra si allargarono in un sorriso. Ma quel sorriso così sincero non durò a lungo. Lo sguardo della donna si spostò improvvisamente su qualcos'altro, qualcosa alle spalle di Taylor e presto il sorriso si trasformò in una smorfia di orrore. 
«Taylor! Dietro di-» 
Taylor spalancò gli occhi. Un dolore acuto che partiva dalla spalla si diffuse rapidamente in tutto il suo corpo. Denti. Denti lunghi e appuntiti trafissero la sua carne prima che lei avesse il tempo di girarsi. Taylor urlò, accasciandosi a terra, incapace di reggersi in piedi. Chiuse gli occhi, sforzandosi di non piangere. Gli Shadowhunters non piangevano in battaglia. Il dolore era insopportabile e lei si sentiva sempre più impotente. 
Un altro urlo si diffuse nell'aria, ma questa volta non era il suo. Non sapeva di chi fosse. Non riusciva nemmeno a pensarci. Tutto ciò a cui riusciva a pensare era la sua morte. Taylor sapeva quanto fosse letale il veleno dei demoni Kuri. In quel momento si sentiva come un topo che è stato morso da un serpente, il quale aspetta solo che che la sua vittima muoia avvelenata per mangiarsela. Una morte lenta e dolorosa.
Il veleno del demone si sarebbe diffuso in ogni cellula del suo corpo, uccidendola poco a poco. 
Un debole sorriso si formò sulle sue labbra. Almeno sua madre stata sarebbe fiera di lei. E forse persino suo padre. 
Poi sentì dei passi. Erano sempre più vicini. Qualcuno stava correndo verso di lei, ma la bionda non aveva nemmeno la forza di girare la testa per vedere chi fosse. Il suo corpo ormai non rispondeva più ai comandi.
Sentì qualcuno ripetere il suo nome. Una, due, tre, quattro volte. Ad un certo punto Taylor perse il conto. Un paio di braccia forti la sollevarono da terra e presto sentì un altro corpo premere contro il proprio. Quello di suo padre. Le stava dicendo qualcosa, ma la ragazza non riusciva a seguire il filo delle sue parole.
«..-aylor.. non -iudere gli occhi.. -evi resistere.. tutto a posto.. Istituto.. -telli silenti..starai bene..»
La voce di suo padre sembrava sempre più lontana.. sempre più distante. Taylor avrebbe pensato che Robert si stesse allontanando, se non fosse per le braccia ancora saldamente avvolte intorno a lei, che la cullavano come se fosse una bambina. E poi sentì qualcosa di caldo e bagnato posarsi sulla sua fronte. Una goccia. Stava piovendo? No, la pioggia era fredda. Una lacrima. Si, quella doveva essere una lacrima. Robert stava davvero piangendo per lei? Non pensava nemmeno che ne fosse capace.
Taylor cercò di dire a suo padre di non piangere, di rassicurarlo in qualche modo, ma dalla sua bocca uscì solo un debole suono sofferente.
E poi la forza la abbandonò del tutto e la ragazza sprofondò nel sonno. Un sonno da cui forse non si sarebbe mai risvegliata.


Sono schifosamente in ritardo. Di nuovo. 
Uno schifo. Ecco cos'è questo capitolo. Uno schifo di 17 pagine di word. 
Non mi stupirei se smetteste di seguirmi dopo questa schifezzina, anche se spero che non lo facciate, perchè ho delle belle sorprese in serbo per voi nei prossimi due capitoli. 
Qualcosa di importante succederà ai malec, ma non vi anticipo niente. E non è detto che sia necessariamente qualcosa di bello. Basta, sto zitta.
Purtroppo ho una brutta notizia per voi. Il 10 parto e sto via per un mese. E nel posto in cui vado non c'è il wifi. Un mese senza wifi, piango solo al pensiero. Tuttavia mi porterò il computer dietro e scriverò i prossimi capitoli, anche perchè dovrò pur fare qualcosa per non morire di noia. 
Sempre se qualcuna di voi avrà ancora voglia di continuare a leggere sta cosa dopo aver letto cohf.
Ora vado, amours. Recensite pls. Anche se il capitolo vi fa schifo.
Un bacio,
-Simo ♥

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Il risveglio ***


Le persiane erano state abbassate, la porta chiusa a chiave e le luci spente. Il soggiorno del piccolo appartamento nel cuore di Manhattan era illuminato solo da una lanterna arruginita, che emanava quella poca luce che bastava alla donna per vedere ciò che stava facendo.  
La Strega non voleva correre rischi. Doveva agire con cautela. Si trattava di un'operazione estremamente pericolosa.
Non poteva assolutamente permettere che qualche mondano si insospettisse, vedendo lo strano bagliore che presto avrebbe riempito il soggiorno. Qualcuno avrebbe sperperato in giro ciò che aveva visto, la voce si sarebbe diffusa in fretta e lei sarebbe finita nelle grane. E l'ultima cosa che voleva era dover dare spiegazioni alla polizia mondana. Il Conclave e le sue infinite accuse verso i figli di Lilith erano più che sufficienti. 
Si alzò in piedi, lasciando che il bastone di biancospino, con il quale aveva attentamente tracciato le rune sul pavimento di marmo, la sorreggesse. Era talmente stanca che non riusciva nemmeno a stare in piedi senza un supporto. Aveva le gambe e la schiena indolenzite a forza di stare piegata in quella scomoda posizione per ore. Asciugando il sudore che le imperlava la fronte con il dorso della mano, abbassò lo sguardo sul suo lavoro. Il pentacolo di evocazione era stato disegnato e le rune demoniache erano state tracciate nei punti necessari. 
Protese la mano libera verso il libro aperto che giaceva sulla sedia lì accanto ed esaminò con attenzione l'immagine stampata sulla pagina ingiallita. Poi spostò nuovamente lo sguardo sul suo lavoro e si lasciò sfuggire un piccolo sorriso. Il pentacolo e le rune che aveva passato il pomeriggio a disegnare erano la copia sputata dell'illustrazione nel libro sull'evocazione di demoni. 
Per molti stregoni, evocare un demone era una cosa semplice, quasi un gioco da ragazzi. Molti di loro vivevano grazie ai soldi che guadagnavano evocando demoni su richiesta di Shadowhunters o di mondani tanto intrepidi quanto stupidi. Ma ciò che distingueva Catarina Loss dalla maggior parte dei figli di Lilith, compreso il suo caro amico Magnus, era il fatto che lei non amava usare la magia per arricchirsi. Già da giovane, la Strega aveva preso la difficile -e, ammettiamolo, assurda - decisione di allontanarsi dal mondo Invisibile, per vivere come una semplice mondana. Catarina aveva passato la maggior parte della sua vita tra le mura bianche e verdi di un ospedale, usando i suoi poteri per salvare persone in fin di vita, curando malattie incurabili, combattendo per salvare la vita dei suoi pazienti come se fosse la propria. Tutto questo perchè era stanca di vivere nel mondo corrotto di Shadowhunters e Nascosti, nel quale tutto ciò che contava erano la legge e le alleanze.
Seduto su una poltrona di pelle piuttosto malconcia c'era Luke, che tamburellava nervosamente con le dita sul bracciolo del mobile. Da quando lui e Catarina erano arrivati a casa della Strega, il capobranco dei lupi mannari di New York non riusciva a darsi pace. Tutto il coraggio con cui aveva preso la sua decisione finale, il giorno precedente, stava lentamente svanendo, dando posto alla paura e all'incertezza. E se qualcosa andasse storto? E se lui e Catarina stessero commettendo un grande errore? E se la situazione, anzi che migliorare, peggiorasse ulteriormente? Luke non sapeva dare una risposta a nessuna di queste domande.
L'uomo protese il braccio verso il tavolino di vetro, afferrando la tazza di porcellana che si ormai era raffreddata. Ma quando se la portò alle labbra, rimase deluso nel vedere che era ormai vuota. Tutto ciò che era rimasto del suo caffè erano solo pochi granuli neri rimasti sul fondo. Frustrato, posò l'oggetto sul tavolino. 
Lanciò un'occhiata alla donna che giaceva immobile sul divano poco distante da lui, pentendosene quasi subito. Amatis stava dormendo tranquillamente, rannicchiata in posizione fetale e avvolta nella pesante coperta come un fagotto. Sembrava così normale, mentre dormiva. Così umana.
Ma Luke sapeva che le sue palpebre chiuse nascondevano due occhi di un nero opaco e impenetrabile. Quel nero che aveva inghiottito tutto l'azzurro, eliminando ogni traccia di umanità dall'anima di sua sorella. Con esitazione, l'uomo prese una delle mani di Amatis tra le proprie. Il contatto lo fece rabbrividire. Era fredda. Come un morto. 
«Ci siamo quasi?» chiese Luke, girandosi verso Catarina, assorta nel suo libro di demonologia. 
«È la sesta volta che me lo chiedi da quando ho iniziato il rituale. Non riesco a concentrarmi se continui a disturbarmi.»
Luke la guardò in cagnesco. «Scusami tanto se sono preoccupato per il destino di mia sorella!» Sbottò. Ma si pentì ben presto di aver usato un tono brusco con l'unica persona che stava cercando di aiutarlo. La Strega aveva lavorato ininterrottamente per ore, e tutto questo per cercare di salvare una donna che per lei non era altro che un'estranea. Si rese conto di doverle delle scuse.
«Catarina, io.. non volevo off-»
«No, hai ragione.» Lo interruppe lei, alzando finalmente lo sguardo dal libro e guardando il suo amico da dietro la montatura degli occhiali. «Non avrei dovuto risponderti in quel modo. Ma cerca di capirmi, Luke. Sono preoccupata quanto te. Sammael è un demone molto potente, ed è-»
«Uno dei principi dell'Inferno, lo so. E so anche che una volta che lo avremo invocato, non potremo più tirarci indietro.» Disse lui, percependo il peso delle proprie parole.
«Si, è così.» La figlia di Lilith si sistemò meglio gli occhiali sul naso. «È giunta l'ora dell'invocazione.» Annunciò. «Sei pronto?» 
Luke lanciò un'ultimo sguardo alla sorella addormentata. «Si, sono pronto.»
Catarina fece un respiro profondo e tornò a concentrarsi sul libro. 
Luke si strinse nel suo cappotto mentre ascoltava la Strega pronunciare un fiume di parole in una lingua demoniaca a lui sconosciuta. In realtà, più che parlare, Catarina stava sussurrando. L'uomo vide una gocciolina di sudore scendere lungo le tempie della donna, mentre dalle sue labbra uscivano suoni impronunciabili. D'un tratto, le rune all'interno del pentacolo iniziarono a brillare, e una nube bianca si formò attorno ad esse. L'aria nella stanza diventò gelida. La fiamma dell'unica candela accesa iniziò a tremolare. Catarina fece un passo avanti, senza mai staccare lo sguardo dal libro. La nube iniziò a condensarsi, dando forma ad una figura apparentemente umana. A quel punto, Catarina concluse la sua cantilena e prese il coltellino che faceva da segnalibro al pesante volume dal quale aveva recitato l'invocazione. Lasciò cadere il libro a terra e fece scivolare la lama del coltello sul palmo della sua mano. Poche gocce di sangue caddero all'interno del pentacolo e la Strega indietreggiò lentamente, osservando la figura che stava al suo centro. 
Un uomo alto e magro, con i capelli bianchi come la neve e gli occhi rossi come il sangue la scrutava attraverso un sottile strato di nebbia. 
Catarina deglutì. Si sentiva la gola secca. 
«Figlia di Lilith» disse Sammael, guardando la donna con aria indifferente, quasi annoiata. «Noi non ci conosciamo, vero? Non ricordo di essere mai stato evocato da te.» 
La Strega prese la forza di parlare. «No, non ci conosciamo. Questa è la prima volta che ti convoco.»
«E vediamo un po', cosa devi chiedermi di così importante da permetterti di disturbare il mio lavoro, giù negli inferi?» Chiese, visibilmente irritato. Il demone non era di buon umore. Iniziamo bene, pensò la Strega.
«Catarina non c'entra. Sono io che ti devo chiedere un favore, Sammael.» 
Luke, che era stato in disparte fino a quel momento, si fece avanti. Le assi di legno scricchiolarono sotto i suoi piedi mentre si avvicinava al bordo del pentacolo. Catarina indietreggiò, facendogli spazio.
Il demone, che non si era nemmeno accorto della presenza dell'uomo, sollevò un sopracciglio. «Un favore? Dici sul serio? Se hai bisogno di un favore, caro lupetto, sappi che ti stai rivolgendo alla persona sbagliata. Che ne dici del termine 'sacrificio'? Suona molto meglio.»
Luke, che non aveva voglia di perdersi in chiacchiere, arrivò subito al punto. «Ho bisogno che tu faccia una cosa per me. In cambio, ti darò ciò che vuoi.»
Le labbra di Sammael si incurvarono in un sorrisetto divertito. «Pensi davvero di potermi dare qualcosa che sia degno del mio interesse, Nascosto?»
Luke arricciò le labbra. «Io.. posso darti i miei ricordi. I momenti più felici della mia vita. So che voi demoni ve ne nutrite.»
Catarina, intanto, se ne stava rannicchiata in un angolo buio del salotto e osservava la scena in silenzio.
L'attenzione del demone si spostò sulle proprie dita artigliate. «Ricordi, eh? E sentiamo un po', cosa vuoi in cambio?»
Luke indicò con la mano Amatis, addormentata e del tutto inconsapevole di ciò che stava succedendo.
«Quella è mia sorella. Jonathan Morgenstern l'ha fatta bere dalla Coppa Infernale. Ora è in parte demone. Le ha strappato l'umanità e l'ha strappata via da me.» Spiegò, mentre il demone continuava a guardare i propri artigli come se fossero la cosa più interessante del mondo.
«E con ciò?» Chiese, con lo stesso tono annoiato.
«Rivoglio indietro mia sorella. Lei è la mia famiglia. Siamo stati separati per troppi anni, e ora che è tornata a far parte della mia vita, non voglio perderla di nuovo.» 
«Che discorso strappa lacrime.» Ironizzò Sammael. «Sono commosso.» 
Luke perse la pazienza. «Allora, accetti o no la mia offerta?»
Ci fu un breve attimo di silenzio. Poi la risata del principe dell'Inferno riecheggiò tra le quattro mura del salotto, facendo venire i brividi ai due Nascosti. Catarina rivolse all'uomo uno sguardo preoccupato, ma lui lo ignorò.
Rosso come un pomodoro per la rabbia e la frustrazione, Luke aprì la bocca per parlare, per chiedere al demone cosa c'era di così divertente, ma quest'ultimo lo superò. 
«Davvero pensi di poter barattare la salvezza di tua sorella con dei semplici ricordi? Forse è il caso di ricordarti con chi hai a che fare. Io sono il principe Sammael, il sovrano dell'Inferno. Potrei ridurre il vostro piccolo e insignificante pianeta in polvere, se lo volessi. Se rivuoi indietro la tua sorellina, dovrai fare una sacrificio molto più grande.»
Per un attimo, Luke sentì il suo cuore fermarsi. Si diede mentalmente dello stupido. Come aveva potuto essere così ottimista e sicuro di sè? Forse Catarina aveva ragione. Arrivare a patti con Sammael non sarebbe stato facile. E, come aveva detto lui stesso, dopo averlo invocato non ci si poteva più tirare indietro. Il respiro di Luke si fece più pesante. Il suo battito cardiaco accelerò. Il suo sguardo era perso nel vuoto mentre pensava a una possibile soluzione, ma avvertiva gli occhi di Catarina e Sammael puntati su di sè. Occhi azzurri pieni di preoccupazione. Occhi rossi pieni di aspettativa.
Cosa avrebbe voluto Sammael da lui? La sua vita? O, peggio ancora, quella di Jocelyn? O di Clary? No, Luke non avrebbe mai sacrificato le due persone che amava di più. 
«Allora, Nascosto? Non ho tutto il tempo del mondo.» Gracchiò il demone, incrociando le braccia contro il petto.
Luke si schiarì la voce. «Non avrai la mia famiglia, Sammael. Non farai loro del male. Se è la mia vita che vuoi-»
Il demone fece una smorfia. «La tua vita? Pff. Cos'è, un sacrificio agli dei dell'Olimpo? No, ho deciso che voglio qualcos'altro.»
Il Nascosto strinse i pugni. «E sentiamo un po', cosa vuoi?»
Qualcosa nel sorriso malefico che Sammael gli rivolse, gli fece passare la voglia di saperlo. Gli occhi del demone brillavano di malizia. 

۞                                                                              ۞                                                                              ۞

Buio. Tutto ciò che Taylor riusciva a vedere era il buio. Niente angeli dalle ali candide in vista, nè nuvole bianche simili a batuffoli di cotone. E lei non si sentiva affatto leggera come l'aria. Che razza di paradiso era quello?
Si accorse che qualcosa di morbido sotto la sua testa le provocava dolore al collo. Si rigirò su sè stessa, cambiando posizione, ma le cose non fecero altro che peggiorare. La ragazza fu scossa da un intenso dolore alla spalla ed emise un debole lamento. Nemmeno da morta posso riposare in pace, pensò tra sè.
D'un tratto, sentì qualcosa di freddo e liscio premere leggermente contro la sua fronte. Una mano? Si domandò, confusa.
Aprì gli occhi, sbattendo le palpebre un paio di volte per far sì che i suoi occhi si abituassero alla luce del giorno.
Un viso maschile pallido e aggraziato, nel quale spiccavano due occhi color caffè fu la prima cosa che vide, al suo risveglio. Taylor aveva visto quel volto soltanto una volta, ma l'aveva memorizzato nei dettagli. Era quello di Fratello Zaccaria.
La bionda lo guardò confusa. Dunque non era morta. Non era morta perchè lui l'aveva curata. Si guardò attorno. Mura bianche, letti con lenzuola bianche, tende nere, scaffali colmi di sciroppi ed erbe varie. Quindi, l'avevano riportata all'Istituto.
Aveva la gola stoppo secca per parlare, ma non poteva di certo starsene lì a fissare il Fratello Silente senza aprire bocca come un babbeo. 
«Fratello Zacc-»
Shh. Non sprecare energie. Sei ferita, devi riposarti. disse lui, togliendole la mano dalla fronte.
Taylor cercò di mettersi a sedere e Zaccaria la aiutò. La ragazza si accorse che i responsabili del suo dolore al collo erano un paio di cuscini impilati sotto la sua testa. Non era abituata a dormire con più di un cuscino.
Il Fratello Silente si sedette sulla poltrona accanto e la guardò preoccupato. 
Come ti senti? Non pensavamo che ti saresti svegliata.. così presto.
La breve pausa che fece prima di dire ''così presto'' la fece rabbrividire. Dunque pensava anche lui che sarebbe morta. 
«Ho male dappertutto.» Disse, liberandosi di uno dei cuscini che aveva dietro la schiena. «Ma è una buona cosa, giusto? Almeno significa che sono ancora viva.»
Zaccaria sorrise, mostrando i suoi denti dritti e bianchi e Taylor rimase a fissarlo con curiosità. Come poteva un Fratello Silente sorridere in quel modo? Perchè non era pelato e con gli occhi cavati e le labbra cucite come gli altri? Le avrebbe reso le cose più facili.
Non sapevamo se saresti sopravvissuta al veleno del Kuri. Spiegò lui. Quando ti hanno portata all'Istituto avevi la febbre a quaranta e stavi delirando. La tua intera spalla era diventata viola. 
Taylor abbassò lo sguardo sulla sua spalla bendata. Le bende erano così tante che le sembrava di portare del gesso. Cercò di muovere il braccio, ma si accorse di avere i movimenti limitati. 
Sei stata davvero forte e coraggiosa. Aggiunse lui. Hai salvato la vita a una persona.
Questa volta toccò a lei sorridere. «Mi hai curato tu? Da solo?»
Il Fratello Silente si tirò indietro il cappuccio della tunica, rivelando una chioma di capelli neri e lisci, leggermente arruffati. 
La finestra era stata aperta per cambiare l'aria e dall'esterno si sentiva il fruscio del vento.
Beh..si. È il nostro compito curare gli Shadowhunters feriti o malati, questo lo sai. Spiegò lui, in modo del tutto spontaneo. Ciò che disse dopo, non fece che allargare il sorriso sulle labbra della bionda.
Sai, volevano mandare un mio confratello a curarti al posto mio, ma il primo giorno in cui ci siamo incontrati ho avuto l'impressione che.. non ti sentissi a tuo agio in presenza dei Fratelli Silenti, quindi ho insistito per venire al posto suo. Ho pensato che, avendomi già visto, ti saresti sentita più tranquilla in mia presenza.
Taylor non potè fare a meno di trovarlo adorabile. Si era accorto che non andava pazza per i suoi confratelli  e aveva fatto il possibile per metterla a suo agio.
«Ed è così. Grazie, davvero. Apprezzo molto il tuo gesto.» 
Senza nemmeno pensarci, Taylor prese una delle mani del ragazzo nella propria. 
Lui si irrigidì per un attimo, colto di sorpresa da quel gesto così spontaneo, ma non tirò indietro la mano. Anzi, la strinse timidamente, quasi con timore. I contatti fisici tra Shadowhunters e Fratelli Silenti erano qualcosa di piuttosto raro. Nessuno mostrava mai affetto ai guardiani della Città di Ossa. Forse perchè loro sembravano immuni all'affetto.
«Come stanno gli altri? I miei fratelli? Chiese lei, ricordandosi di ciò che era accaduto durante la battaglia contro i Kuri.
Stanno tutti bene, non preoccuparti. Cercò di rassicurarla lui. La maggior parte di loro ha qualche ferita superficiale, solo la ragazza con la frusta-
Taylor scattò in avanti. «Izzy?! Cosa le è successo? È grave??»
Il Fratello Silente si pentì di aver nominato la ragazza.
Oh, no. Si tratta solo di una slogatura alla caviglia. Un paio di iratze sono bastati a rimetterla a posto. Ti assicuro che sta già meglio.
Taylor si rilassò. Zaccaria sorrise di nuovo e la bionda gli lanciò un'occhiata interrogativa. 
«Cosa c'è?» Gli chiese.
Ti preoccupi per tua sorella, ma da quando ti sei svegliata non mi hai ancora chiesto niente riguardo alle condizioni della tua spalla. Ti ricordo che sei stata morsa da un velenosissimo demone-ragno.
 «Ah» la sua spalla, giusto. Se n'era quasi dimenticata. «Tra quanti giorni.. portò togliere le bende?»
Tra una settimana, se stai a casa a riposarti. 
Taylor aprì la bocca per la sorpresa. Doveva stare chiusa nell'Istituto per sette giorni? Ma neanche per sche-
E ovviamente in questi giorni il tuo ingresso nella sala degli allenamenti è severamente vietato.
«COSA?» Sbottò lei, saltando giù dal letto. «Stai scherzando, spero!»
Sono serissimo, invece. Obiettò lui, incrociando le braccia contro il petto. E ora rimettiti a letto, devi recuperare le forze. Altrimenti guarirai tra un mese.
Alla fine, tra una lamentela e l'altra, Taylor si arrese e lasciò che Zaccaria la aiutasse a rimettersi a letto.
Sconfitta, la bionda mise il broncio. «Ma mi annoio, qui da sola.»
Il Fratello Silente si alzò in piedi e si girò verso la porta. Se vuoi posso andare a chiama-
«No» lo interruppe lei, trattenendolo per il polso prima che potesse allontanarsi. Sorpreso dalla sua reazione, Zaccaria si fermò alzò un sopracciglio.
Taylor arrossì. «Non voglio vedere nessuno, per ora. Però..» Si mordicchiò il labbro, evitando il suo sguardo.
Lui si sedette di nuovo sulla poltrona e le posò gentilmente una mano sulla spalla.
Però..?
«Ti dispiacerebbe restare ancora un po' qui, con me? Mi fa piacere averti qui» confessò lei timidamente.
Il ragazzo ci pensò su un attimo, poi sorrise. E va bene, ma entro stasera devo essere di nuovo nella città Silente. Conosci le regole.
La ragazza annuì, soddisfatta. «Allora, cosa facciamo?»
Lui si passò una mano tra i capelli. Beh, non abbiamo molta scelta dal momento che tu devi rimanere a letto. Cosa proponi di fare?
Per un attimo, a Taylor parve di vedere un filo argentato nei suoi occhi scuri.
Allora non me lo sono immaginata, l'altra volta.
Ci pensò un attimo, poi disse: «parlami di te. Della tua vita prima di entrare nella Fratellanza.»
In un primo momento, lui la guardò senza dire niente, sorpreso dalla sua richiesta. Aprì la bocca un paio di volte, per poi richiuderla. Da quando era diventato un Fratello Silente, nessuno gli aveva mai chiesto di parlare di sè. Ciò che la maggior parte degli Shadowhunters pensavano, era che i Fratelli Silenti non avessero mai avuto una vita normale. Di solito lo chiamavano quando avevano bisogno di aiuto e, una volta che aveva svolto il suo compito, lo salutavano educatamente e lo lasciavano tornare alla Città di Ossa. Cosa ci trovava questa ragazzina di tanto interessante in lui da fargli una domanda del genere? Zaccaria aprì la bocca per dirle che non c'era niente da dire. Voleva dirle che gli incantesimi della Fratellanza avevano cancellato tutti i suoi ricordi della sua vita da Shadowhunter, ma qualcosa lo fermò.
La ragazza lo guardava con occhi pieni di aspettativa. Qualcosa gli diceva che non avrebbe accettato un no come risposta. Prese un sospiro e iniziò il suo racconto.
Avevo dodici anni quando arrivai all'Istituto di Londra. La prima persona con cui feci amicizia era un ragazzino di nome Will. Will Herondale. Abbiamo iniziato ad allenarci insieme, diventando sempre più attaccati l'uno all'altro, tanto che un giorno...

۞                                                                              ۞                                                                             ۞

I tavoli del nuovo ristorante cinese, in una delle zone più animate di Brooklyn, erano quasi tutti occupati alle otto di sera.
I clienti chiacchieravano allegramente tra di loro, mentre le giovani cameriere orientali, che indossavano i Kimono tradizionali decorati con motivi floreali, sfrecciavano da un tavolo all'altro per prendere le ordinazioni. 
Ad un tavolo un po' appartato per due sedevano Magnus e Alec, decisi a ripararsi dagli sguardi indiscreti dei mondani. 
«Vorrei proprio capire cosa ci trovi di tanto buffo.»
Alec mise il broncio e lasciò le bacchette sul tavolo, guardando il suo cibo scoraggiato.
Magnus, intanto, ridacchiava sotto i baffi, divertito dall'incapacità del suo ragazzo di usare le bacchette cinesi. 
Alec gli lanciò un'occhiata omicida e lo Stregone si mise una mano davanti alla bocca, soffocando una risata. 
«Suvvia, occhi blu. Non te la prendere. Imparerai anche tu .. prima o poi.»
«Non è giusto, però.» Obiettò Alec. «Tu hai avuto secoli di tempo a disposizione per imparare a mangiare con sti pezzi di legno.» Disse, rimettendo le bacchette a posto e prendendo la forchetta, senza troppo entusiasmo. I suoi spaghetti di soia stavano iniziando a freddarsi.
Dispiaciuto di vedere Alec di malumore per degli stupidi spaghetti, Magnus gli prese la mano e Alec alzò lo sguardo dal suo cibo. Il figlio di Lilith gli posizionò le bacchette tra le dita, sorridendo. 
«Ecco, è così che devi tenerle.» Gli spiegò. 
Alec fissò un attimo le bacchette nella sua mano, chiedendosi come diamine le aveva tenute, fino ad allora. 
Poi le immerse negli spaghetti e si riempì in bocca.
«Fono buoniffimi!» bofonchiò con la bocca piena, tra un boccone e l'altro.
Magnus sorrise, soddisfatto del risultato che aveva ottenuto. Si sentiva come se avesse appena insegnato ad un bambino ad andare in bicicletta.
«Sul serio, Magnus. Devi assolutamente assaggiarli!» Esclamò il Cacciatore, protendendo la mano in cui teneva le bacchette lungo il tavolo, con l'intenzione di imboccare il maggiore. Quest'ultimo aprì la bocca, accogliendo il cibo. 
«Te l'avevo detto che questo nuovo ristorante era ottimo.» Disse lo Stregone, contento della sua nuova scoperta. «E ti avevo anche detto che non è così difficile usare le bacchette.»
Alec alzò gli occhi al cielo. «Preferisci continuare a blaterare o lasciarti imboccare dal tuo ragazzo, mister te l'avevo detto
Prima che Magnus potesse rispondere, un'aggraziata cameriera con due grandi occhi a mandorla e i capelli scuri arricciati con cura si fermò al loro tavolo, con in mano un vassoio sul quale c'era un piatto fumante.
«Ecco il Soondae che avete ordinato» disse, con un adorabile accento, posando il piatto di fronte a Magnus.
Quest'ultimo rivolse alla ragazza uno dei suoi sorrisi smaglianti. «Grazie, Taeyon. Ha proprio un profumo invitante. Ah, e questa nuova acconciatura ti sta d'incanto.»
La cameriera arrossì e ringraziò Magnus facendo un piccolo inchino. Dopo di che sparì in cucina.
Quando Magnus si girò nuovamente verso Alec, si accorse che il Cacciatore lo stava guardando con un'espressione poco divertita.
«Cos'ho fatto di male per meritarmi questo sguardo truce, guanciotte dolci?» Gli chiese, versandosi del vino nel bicchiere, per poi riempire anche quello del compagno.
Alec lo guardò incredulo. «A proposito, questa nuova acconciatura ti sta d'incanto.» Disse, facendogli l'eco. Magnus per poco non si strozzò con il vino. «Alexander! Stavo solo cercando di essere gentile. Ti sembra il caso di farmi la scenata?»
«E a te sembra il caso di flirtare con la cameriera che sembra uscita da un manga davanti ai miei occhi?»
Magnus alzò gli occhi al cielo. «Non stavo flirtando con lei. Dovresti sapere che non ti farei una cosa del genere. Per chi mi hai preso?»
Alec tacque e abbassò lo sguardo sul suo piatto di spaghetti, ormai mezzo vuoto. 
«Ho davvero solo cercato di essere gentile.» Puntualizzò lo Stregone. «Taeyon è l'unica ad essere carina con me, qui. L'unica che non mi guarda come se fossi qualche strana creatura anomala. E se non sei ancora convinto, posso garantirti che non è il mio tipo.»
Alec alzò un sopracciglio. Taeyon era davvero carina. Se fosse stato etero, probabilmente avrebbe avuto una cotta per lei.
«Ha gli occhi grossi come due biglie.» Aggiunse Magnus e Alec sorrise. 
Il più giovane prese la mano dello Stregone nelle proprie. «Scusami, Magnus.» Disse, guardandolo negli occhi. «È solo che..sai come sono. La gelosia è probabilmente uno dei miei peggiori difetti. Ti prometto cercherò ti controllarmi d'ora in poi, va bene?»
Magnus strinse la sua mano. «Va bene, Alec. Ma te la faccio passare liscia anche questa volta solo perchè sai che odio litigare con te.»
Il Nephilim annuì e si sporse per baciare Magnus, ma quando le loro labbra si toccarono, quest'ultimo interruppe il bacio. 
Alec lo guardò allarmato. «Cosa c'è? Ho fatto qualcosa di male?»
Magnus rise. «No, è che sai di gamberi e soia.»
Alec gli tirò un calcio sotto il tavolo. «Scemo. Mi hai fatto spaventare!»
I due passarono il resto della serata a mangiare, chiacchierare, ridere e scherzare. Tutto sembrava andare al meglio, ma man mano che la serata si avvicinava al termine, Alec notò che Magnus diventava sempre più teso e silenzioso. All'inizio, cercò di non farci caso, dando la colpa alla stanchezza dovuta a ciò che era avvenuto nei giorni precedenti. Ma anche all'arrivo del dolce, Magnus sembrava avere la testa tra le nuvole.
«Magnus, per l'Angelo, vuoi dirmi cosa c'è che non va?» Chiese finalmente Alec, che stava morendo dalla voglia di sapere cosa passava per la mente del suo ragazzo.
Magnus smise di giocare con il suo gelato intoccato e incrociò lo sguardo preoccupato di Alec.
Fece un sospiro. Doveva assolutamente dirglielo. Non poteva, nè voleva rimandare ulteriormente.
«Vedi, Alec, io.. è da un po' di tempo che ho preso una decisione.»
Alec posò la forchetta sul tavolo. D'un tratto, gli era passato l'appetito. Il tono improvvisamente serio con cui stava parlando Magnus non gli piaceva affatto. Quel tono non prometteva niente di buono. 
Alec era stanco di problemi e preoccupazioni. Aveva accettato di uscire con Magnus quella sera per distrarsi. Per un paio d'ore, non voleva pensare alle condizioni della sua sorellastra, nè preoccuparsi per lo stato psicologico di sua madre che continuava a darsi la colpa per quello che era successo. Tutto ciò che chiedeva era una serata pacifica insieme al suo compagno. E ora, guarda un po', era proprio Magnus quello che lo stava facendo sudare per la preoccupazione.
«Di cosa stai parlando?»
Magnus iniziò a giocare nervosamente con un bottone della sua giacca di pelle borchiata.
«Ho deciso di fare una cosa pericolosa, Alec. Molto pericolosa.»
Alec sentì un nodo formarsi nella sua pancia. «Quanto pericolosa?»
Dopo una pausa, che al Nephilim sembrò infinita, Magnus parlò di nuovo.
«Tanto pericolosa da potermi uccidere.»


A/N: Salve, Nephilim! 
Vi sono mancata? Spero di si. 
In teoria avrei dovuto aggiornare circa una settimana fa, in pratica quest'estate ho cazzeggiato troppo e scritto poco, lo ammetto. 
Sapete che quando ho avuto l'idea di scrivere questa ff, il capitolo finale doveva essere quello che porta il nome della storia? Non so nemmeno perchè l'ho continuata. Forse perchè sono stupida e mi piace complicarmi la vita (?)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Fatemi sapere che ne pensate, vi prego. 
Alla prossima,
Simo

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** 'Salve e addio' ***


 

«Assolutamente no.»

Il tono di Alec era categorico. Quando Magnus gli aveva finalmente svelato cos'era quel qualcosa di ''talmente pericoloso da poterlo uccidere'', il Nephilim era rimasto shockato e aveva guardato il suo ragazzo come se lo Stregone gli avesse appena rivelato di volersi buttare da un grattacielo, usando come un paracadute un ombrello.

Magnus sospirò, stanco di quella conversazione che stava andando avanti da più di venti minuti. Appoggiò la schiena allo schienale della sedia, con l'impressione che quest'ultima fosse diventata più scomoda, nel corso degli ultimi due quarti d'ora.

Attorno alla coppia, gli ultimi clienti si stavano alzando dal loro tavolo per uscire dal locale, portando via con sé la serenità e il buon umore e lasciandosi dietro un ristorante nel quale l'atmosfera era carica di tensione.

Poco più in là, una giovane cameriera asiatica stava sparecchiando un tavolo, lanciando di tanto in tanto qualche occhiata curiosa a Magnus e Alec, che erano talmente assorti dalla loro discussione da non accorgersi che si era ormai fatto tardi, e che tra non molto il locale avrebbe chiuso.

«Alexander, a volte proprio non ti capisco.» Iniziò lo Stregone, esasperato. «Un mese fa, pur di rimanere con me in eterno, hai cercato di togliermi l'immortalità su consiglio della mia malvagia ex, mentre ora che prendo io stesso la decisione di diventare mortale, tu reagisci in questo modo? Fattelo dire, sei davvero incredibile.»

Alec lo guardò sbalordito.«Co-cosa?! Io sarei incredibile?» sbottò il Nephilim.

Magnus gli diede un calcio sotto il tavolo. «Abbassa la voce, o finiremo per farci cacciare via.»

«No che non la abbasso!» Insistette Alec.

«Alec-»

«No, Magnus. Tu hai già parlato abbastanza, ora stammi a sentire.» Disse Alec in un tono che non ammetteva repliche. «Quando ho preso in considerazione la proposta di Camille ero disperato e geloso. Fin troppo geloso. E mi sono comportato da egoista.» Ammise a malincuore. «Ho sempre messo la salvezza e la felicità delle persone che amo prima della mia, ma quella volta non l'ho fatto. Non riuscivo ad accettare il fatto che col tempo sarei invecchiato e poi morto, mentre tu saresti rimasto per sempre giovane, e che dopo la mia morte mi avresti rimpiazzato con qualcun altro e mi avresti dimenticato.»

«Alec, io non ti avrei mai dimen-» cercò di obiettare Magnus, ma Alec gli fece cenno di fermarsi.

«Ho rischiato la vita per te. Ho rischiato di farmi ammazzare da Sebastian e dal suo esercito di soldatini telecomandati per tirarti fuori da quella dannata configurazione Malachi. E appena torniamo insieme e riusciamo finalmente a mettere da parte i nostri problemi di coppia, tu cosa fai? Decidi di suicidarti con una pozione che hai trovato nel Libro Bianco!»

Magnus alzò gli occhi al cielo. «Alexander, non sto cercando di suicidarmi, voglio solo-»

«Ah no?! L'hai detto tu stesso che c'è il cinquanta percento di probabilità di non sopravvivere alla pozione! Il rischio è troppo alto, Magnus, scordati il mio consenso. È un sacrificio troppo grande e io.. non lo merito.»

Magnus prese uno stuzzicadenti dal tavolo e lo spezzò in due. Questa discussione gli stava facendo venire il mal di testa. Alec gli stava facendo venire il mal di testa.

Magnus conosceva i Lightwood dal 1700. Alcuni di loro erano arroganti, altri presuntuosi, altri ancora erano fin troppo orgogliosi, ma nessun Lightwood era testardo come Alec. Se Magnus fino a quel momento era convinto del fatto che la testardaggine fosse una caratteristica tipica degli Herondale, forse era giunta l'ora di ricredersi.

Sistemandosi meglio sulla sedia, Magnus decise che ci avrebbe riprovato un' ultima volta.

«Alec, ho preso questa decisione il giorno in cui sei venuto a salvarmi, una settimana fa. Dopo che mi hai restituito il Libro Bianco, ho passato ore a cercare un incantesimo, o una pozione, o una qualsiasi stregoneria in grado di rendermi mortale. Sapevo che questa forma di magia nera esisteva, dovevo solo trovarla. E dopo un'intera notte insonne, ce l'ho fatta. L'ho finalmente trovata. Ho subito pensato al nostro futuro insieme. Ero così euforico, così felice all'idea di poter esaudire il tuo più grande desiderio, che ho deciso che avrei corso il rischio e avrei preparato la pozione, costi quel che costi. E lo sai il perché?» chiese il maggiore, cercando lo sguardo del Nephilim.

Alec non rispose. Si limitò a fissare in silenzio il suo tovagliolo di stoffa che giaceva sul tavolo.

«Perchè sei l'unica ragione della mia felicità. Perchè sei entrato senza preavviso nella mia vita triste e monotona e sei stato capace di risvegliare il mio cuore dopo un lungo letargo con i tuoi sorrisi, il tuo affetto, la tua innocenza. Perchè non voglio vederti invecchiare e morire ed essere costretto a continuare la mia miserabile esistenza senza di te. Non avrò la forza di ricominciare tutto da capo, dopo che la morte ci avrà separati.»

Magnus vide le labbra del Cacciatore incurvarsi in un sorriso triste.

«È inutile che cerchi di convincermi, Magnus. Come puoi aspettarti che io approvi la tua decisione dopo che mi hai detto che potresti morire?!»

«Non è detto che morirò» ribattè il maggiore.

«Ma non è detto che sopravviverai» insistette Alec.

Magnus rimase in silenzio per un attimo e Alec, per un istante, sperò che il ragazzo avesse cambiato idea, che avesse capito che stava per commettere un gesto folle, irresponsabile, fin troppo pericoloso e assolutamente-

«Mi dispiace, Alec.» Disse il maggiore, allungando il braccio verso la sua giacca sulla sedia accanto e frugando in una delle tasche.

Il Nephilim lo guardò spaesato. «Aspetta, cosa stai facendo?» Gli chiese, allarmato. «E perché dici che ti dispiace?»

Magnus tirò fuori il portafoglio e appoggiò sul tavolo una banconota.

«Mi dispiace di non essere riuscito a convincerti. Ci ho provato, davvero.» Disse, alzandosi in piedi e rimettendosi la giacca. «Non voglio continuare a discutere con te. In questo modo non faremmo alto che rovinarci ancora di più la serata.»

Alec lo afferrò per il polso prima che iniziasse ad abbottonarsi la giacca.

«Aspetta, te ne stai andando!? Non puoi andartene, non senza avermi promesso che non berrai quella pozione! Promettimi che non lo farai, Magnus. Fallo!»

Magnus si liberò dalla presa del minore.

«Ho già preso la mia decisione, Alec. Mi dispiace.» Detto questo, diede ad Alec un veloce bacio d'arrivederci sulla guancia. Prima di andarsene, però, gli sussurrò un'ultima frase all'orecchio.

«Quando avrò perso la mia immortalità, ti prometto che tornerò da te sano e salvo e tu mi sarai grato per il mio sacrificio.»

Dopo di che, si voltò e si diresse verso l'uscita, senza mai voltarsi indietro.

Ma nonostante apparisse paurosamente sicuro di sé agli occhi di Alec, Magnus, in fondo al cuore, era consapevole del fatto che quella avrebbe potuto essere l'ultima volta che vedeva il Nephilim dagli occhi azzurri.

 



 

Taylor aprì lentamente gli occhi e si guardò attorno. La stanza era buia. Qualcuno aveva abbassato le tapparelle, notò.

Rivolse uno sguardo alla sedia accanto al suo letto e aggrottò la fronte. La sedia, che fino a poche ore prima era occupata da Fratello Zaccaria, era vuota. Lei era di nuovo sola.

O forse il Fratello Silente non era mai andato a farle visita ed era tutto un sogno? ..No, non poteva essere. Sembrava tutto così reale.. La melodiosa voce mentale del ragazzo mentre le parlava della sua vita, i suoi occhi scuri che si accendevano quando nominava il suo parabatai, le sue labbra pallide che si incurvavano timidamente in un sorriso di tanto in tanto.

Era tutto vero, Taylor ne era sicura. Com'era anche vero che si era addormentata mentre il Fratello Silente era nel bel mezzo del suo racconto. Dio mio, che vergogna, pensò la Cacciatrice. Come ho potuto addormentarmi in quel modo?! Zaccaria si sarà sicuramente offeso. Non lo biasimo se non vorrà più rivolgermi la parola. Eppure, un attimo prima lo stavo ascoltando affascinata e un attimo dopo.. stavo dormendo. È successo tutto così in fretta. Strano.

Con il volto rosso per l'imbarazzo, la giovane decise che sarebbe stato meglio scacciare quei pensieri.

Si mise a sedere e il gesto le fece girare la testa. Doveva aver dormito troppo, pensò, facendo una smorfia. A Taylor non piaceva dormire. Non di giorno. Pensava che dormire di giorno fosse un'attività tipica dei mondani pigri e fannulloni, non adatta ai Nephilim come lei. Raziel aveva dato agli Shadowhunters il compito di proteggere i mondani dal male ad ogni ora, non di sonnecchiare mentre la terra veniva invasa dei demoni e gli umani massacrati.

Scese dal letto e la sensazione del cemento freddo sotto i suoi piedi nudi le fece venire i brividi.

Si avviò verso lo specchio dall'altra parte della stanza e si fermò ad osservare il proprio riflesso.

Non fu una sorpresa per lei vedere che aveva il viso giallastro, gli occhi spenti e i capelli che sembravano un nido di uccelli. Wow, sembro proprio uno zombie. Ecco perchè Fratello Zaccaria se n'è andato, pensò amareggiata.

D'un tratto sentì qualcuno bussare piano la porta. Senza nemmeno mettersi qualcosa sopra il pigiama, Taylor disse: «Chi è?»

«Sono Maryse» rispose la persona dall'altra parte.

Taylor corse verso il letto e ci si buttò sopra, poi si tirò su la coperta.

«Entra pure.»

La porta si aprì e la mamma di Alec e Isabelle entrò nella stanza. Indossava un lungo vestito nero che sembrava appartenere ad un'altra epoca.

«Posso sedermi?» Chiese, sfiorando il bordo della sedia accanto al letto.

Taylor annuì.

Ci fu un momento di silenzio imbarazzante, durante il quale la giovane Nephilim notò che la donna stava evitando di guardarla, grattandosi via lo smalto rosso da un'unghia come una scolaretta durante un'interrogazione.

Fu Taylor la prima a parlare. «Io.. mi dispiace» disse.

Sbalordita, Maryse alzò lo sguardo sul suo viso. «Cosa? Ti.. ti dispiace?»

Questa volta toccò alla più giovane abbassare lo sguardo. «Si, insomma.. avrei dovuto iniziare a preparare la valigia e invece me ne sto qui a dormire. Lo so che tra qualche giorno me ne devo andare, mio padre me l'ha detto.»

Maryse la guardò come se avesse appena detto che il cielo è viola e fatto di porcospini.

«Tu.. tu ti stai scusando? Con me

«Credevo che è ciò per cui fossi venuta.» Rispose la bionda in tono neutro.

Maryse aggrottò le sopracciglia. Aveva un'espressione quasi sofferente, notò Taylor con stupore.

«Cosa?! No! No, sciocchina. Se mai quella che si deve scusare sono io.»

La bionda la guardò senza capire.

«Taylor, tu mi hai salvata. Ti sei sacrificata per me. Avresti potuto morire!»

«Sacrificarsi per gli altri è qualcosa che tutti gli Shadowhunters fanno, no?»

Dalle labbra di Maryse uscì una breve risata amara. «Purtroppo, non tutti lo fanno.» Disse la donna e Taylor vide un lampo di rabbia accendersi nei suoi occhi azzurri. Ma esso scomparve così in fretta che Taylor si chiese se non se lo fosse immaginata.

«Mi sono comportata male con te, Taylor. Ti ho praticamente cacciata dall'Istituto e tu, nonostante questo, hai rischiato la vita per me. Non sai quanto ti sono grata. Sono stata ingiusta con te. Mi dispiace davvero tanto.»

Taylor si grattò un braccio. Non si sarebbe mai aspettata dei ringraziamenti e delle scuse da parte di Maryse Lightwood. Faceva uno strano effetto.

«Non c'è di che» ripose semplicemente.

Taylor credeva che dopo averla ringraziata, la Nephilim se ne sarebbe andata, ma non fu così.

«Non credere che io abbia finito qui» disse, sorridendo per la prima volta da quando era entrata nella stanza.

Taylor sollevò un sopracciglio. «Hai qualcos'altro da dirmi?»

«Si, in verità. Per dimostrarti quanto ti sono grata, ti propongo di restare all'Istituto. So che non hai un posto dove andare e non potrei mai costringerti a andartene dopo ciò che hai fatto per me. Sarei un mostro se lo facessi.»

Taylor sgranò gli occhi. Non avrebbe più dovuto andarsene! Avrebbe potuto rimanere con i suoi fratelli!

«Dici davvero? Posso restare per tutto il tempo che voglio?»

Maryse sorrise, divertita dell'espressione incredula della ragazza.

«Per tutto il tempo che vuoi.» Confermò. «E poi Alec, Isabelle e Jace già di adorano. Se ti mandassi via, terrebbero il broncio per giorni.»

«Per l'Angelo! Grazie, Maryse!» Esclamò Taylor e protese un braccio verso la donna, come per abbracciarla, ma lo ritirò indietro. Magari Maryse non avrebbe gradito.

La Nephilim però capì le intenzioni di Taylor e la abbracciò senza esitare. L'abbraccio le ricordò quelli di sua madre, quand'era viva, e Taylor provò un miscuglio di nostalgia e gioia.

«Quando hai voglia, vieni al piano di sotto.» Disse Maryse dopo aver sciolto l'abbraccio. «Izzy e Jace vogliono vederti, ma non sono venuti a trovarti perchè non volevano svegliarti.»

«Va bene, mi vesto e scendo.»

La Nephilim annuì e si avviò verso la porta.

«Ehm.. Maryse?»

«Si?» Disse la donna, girandosi.

Taylor si morse un labbro. «Fratello Zaccaria..»

«Se n'è andato perchè glie l'ho chiesto io. Quando sono venuta per vedere come stavi, ho sentito che ti stava parlando della sua vita: cosa che i Fratelli Silenti non dovrebbero fare. Così gli ho chiesto di addormentarti con una pozione e tornare un'altra volta.»

Taylor si lasciò sfuggire un sorriso. Allora Fratello Zaccaria non se n'era andato perchè era infastidito dal suo aspetto orribile.

 



 

Era quasi mezzanotte e per strada non c'era quasi nessuno, a eccezione di un barbone che dormiva rannicchiato su una panchina e qualche vampiro che si nascondeva nell'oscurità della notte. Le finestre illuminate erano poche, e una di queste era la finestra dell'appartamento di Catarina Loss.

Luke era in piedi di fronte a Sammael. La sua postura era rigida, le mani tremanti nascoste dietro la schiena, ma la sua voce era ferma quando parlò.

«E sentiamo un po', cosa vuoi?»

Sammael sorrise, mostrando i denti appuntiti. Il suo era uno di quei sorrisi che non promettevano niente di buono.

«Mi hai chiesto se voglio la tua vita e io ti ho detto che volevo qualcosa di più.»

«Sono tutto orecchie» disse in Nascosto.

«La tua anima.» Disse il demone. «Dammi la tua anima e la tua cara sorellina tornerà del tutto normale. Ti prometto che continuerà la sua vita come se non fosse successo niente.»

Luke deglutì a fatica. «La mia anima? È questo che vuoi?»

«Il prezzo della salvezza di un'anima è la dannazione di un'altra, mio caro Nascosto. Queste sono le leggi dell'Inferno.» Gracchiò Sammael.

Catarina scattò in piedi. «Luke, ti prego, non farlo!» Gridò. Il suo viso era una maschera di terrore. Quando Luke si voltò verso di lei, la donna vide la disperazione nei suoi occhi.

«Catarina..»

Luke lasciò la frase in sospeso, ma per la Strega non fu difficile completarla. Non ho altra scelta, avrebbe detto.

«Mi dispiace» riuscì soltanto a dire, con gli occhi lucidi e la voce incrinata.

«Allora accetti o no?» chiese Sammael, senza degnare Catarina di uno sguardo.

Luke esitò. «Cosa ne farai della mia anima?»

«La porterò con me all'Inferno, dove verrà rinchiusa nella prigione delle anime.» Spiegò il demone, tutto contento. «La nostra prigione delle anime è come la pyxis dei Nephilim, ma ovviamente, anzi che contenere spiriti demoniaci, contiene le anime dei dannati e di quelli come te, che hanno deciso di sacrificarsi per salvare una persona che amano.»

Luke sentì il suo sangue raggelarsi nelle vene. «Quindi la mia anima rimarrà in una scatoletta per sempre?»

«Si, resterà intrappolata per l'eternità, a meno che..»

«A meno che cosa??» Lo incalzò Luke.

«Non capisco per quale motivo dovrei dirtelo. E, in ogni caso, sono sicuro che i tuoi amici Nephilim lo sappiano. Dovrebbe esserci scritto nel loro prezioso Codice. Se tengono davvero a te, saranno in grado di liberare la tua anima. Nel frattempo te ne starai rinchiuso all'Inferno.» Spiegò Sammael.

Catarina si avvicinò a Luke e gli toccò la spalla. «Sei ancora in tempo a rifiutare.»

L'uomo sospirò. «No. Non sono un codardo, Catarina.»

La Nascosta iniziò a singhiozzare. «Ma Luke, non puoi farlo! Cosa ne sarà di Jocelyn? E di Clary? Cosa faranno quando verranno a sapere della tua morte?»

Lo sguardo di Luke si incupì. Immagini di Clary e Jocelyn apparvero vivide nella sua mente. Rivide sé stesso mentre spingeva sull'altalena una Clary di cinque anni che rideva mentre l'altalena saliva sempre più in alto.

Rivide una Jocelyn tutta macchiata di tempere colorate mentre gli mostrava fiera il suo ultimo dipinto e gli chiedeva se gli piacesse.

Ricacciò indietro le lacrime. Un tempo era stato un Nephilim, e i Nephilim non piangevano.

«Catarina, potresti fare un'ultima cosa per me?»

«Quello che vuoi» disse la Strega con le guance bagnate di lacrime, rassegnata al fatto che Luke aveva preso la sua decisione e lei non sarebbe riuscita a salvarlo.

«Quando tutto sarà finito, riporta Amatis a casa, al sicuro. E dì a Clary e Jocelyn che le amo più di ogni altra cosa al mondo.»

Catarina annuì energicamente. «Lo farò senz'altro.»

Sammael si schiarì la voce. «È tutto molto commovente, ma vi ricordo che non ho tutto il tempo del mondo. Gli inferi ci aspettano.»

Luke incrociò le braccia. «Prima di morire voglio vedere mia sorella tornare normale.»

Sammael alzò gli occhi al cielo. «Come vuoi».

Il demone allargò le braccia e dalle sue mani iniziarono a formarsi scintille rosse che avvolsero il corpo di Amatis, come un ragno avvolge un moscerino nella sua ragnatela. I due Nascosti indietreggiarono.

Il Principe dell'Inferno iniziò a recitare con enfasi un incantesimo in una lingua demoniaca. Alcuni oggetti iniziarono a tremolare: era come se ci fosse un terremoto. Una foto incorniciata e appesa al muro cadde a terra.

Per un istante nella stanza divampò una forte luce rossa.

E poi più nulla.

Luke corse da sua sorella e si inginocchiò accanto a lei. La donna sembrava ancora immersa nel suo lungo sonno.

«Amatis? Amatis, mi senti?» Disse Luke, scuotendo la sorella per le spalle.

«È ora di dire addio a questo mondo, Lucian Graymark.»

Con queste parole, Sammael avvolse Luke nella sua rete di scintille rosse, sotto lo sguardo addolorato di Catarina.

Luke sentì la forza abbandonarlo lentamente e il suo cuore battere sempre più piano.

L'ultima cosa che vide fu il volto di Amatis, mentre la donna apriva gli occhi, neri come il Vuoto. Ma quel nero opaco presto fu sostituito da un azzurro cielo, che sembrò comparire dal nulla e si espanse velocemente nell'iride fino a riempirlo del tutto.

Amatis, cercò di dire Luke, ma era troppo tardi. Le labbra del Nascosto si incurvarono in un debole sorriso, poi Luke sprofondò in un sonno eterno.

 

 

Dopo tre mesi e mezzo ce l'ho fatta ad aggiornare, finalmente!

Credevate che fossi morta, vero? Ahimè, non lo sono.

Mi dispiace tantissimo per l'enorme ritardo, ma nel periodo ottobre-dicembre non avevo mai voglia di scrivere. E poi ho avuto un blocco e non sapevo come risolvere la situazione in cui si trovava un certo personaggio.

Spero di non aver perso le poche recensitrici che avevo, ci tengo tanto a sapere le vostre opinioni :((

 

Se vi interessa, questa è la mia 'nuova' (iniziata a settembre) ff :''Queen of the Night''  http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2813957&i=1  che aggiornerò prima di pubblicare il prossimo capitolo di DYTMN :)

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2524932