Desperate Housesucrette

di D per Dolcetta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dipendenza ***
Capitolo 2: *** Chi è causa del suo mal pianga se stesso ***
Capitolo 3: *** Salsiccia ***
Capitolo 4: *** Questione di scelte. ***
Capitolo 5: *** Eppure... ***



Capitolo 1
*** Dipendenza ***


- DIPENDENZA –

Autrice Vikctoria
Seconda classificata al concorso di OS di D per Dolcetta

Gli occhi segnati da due ombre nere rivelano le notti insonni che ho alle spalle. La narice destra si arriccia a intervalli costanti, seguita dal polso passato sullo zigomo che comincia a inumidirsi. Quest’ultimo gesto mi fa sempre sussultare. La chiazza rossastra che aleggiava sul punto che sto sfiorando è sparita da tempo. Anche il dolore in realtà. Ma indipendentemente dal fatto che siano ormai passati mesi da quando mi ha colpita, non distinguo più le carezze date dalle mie mani e la violenza del Suo di tocco.

Il riflesso sullo specchio mostra le mie labbra quasi accartocciate su un angolo della bocca. Un piccolo inganno dato dalle fratture sul vetro. L’illusione di un sorriso inesistente. E sento le sue parole echeggiarmi ancora nella testa, insieme al suono dello specchio che si infrange. Le schegge di vetro che volano ad ornare il pavimento – se sono volate: Ero troppo occupata a tapparmi le orecchie con le mani e sigillare le palpebre con forza per notarlo veramente. Non era la prima volta che rompeva qualcosa.

Traccio dei cerchi sulle guance, riesco a sentire quasi perfettamente la forma dei denti con le dita attraverso la pelle… Quello non può essere un viso. Smunto in modo eccessivo, cupo. Non sembrava nascondere alcuna storia nonostante tutto ciò che aveva passato. Un semplice volto privo di vitalità. Di quelli che fa venire voglia di girare lo sguardo appena lo incontri, o di metterti a fissarlo insistentemente. La cosa mi divertiva: sentirmi indesiderabile quando Lui mi pretendeva in modo maniacale.

Del resto ero sempre stata parecchio complicata.

Era la sua scusa preferita per mandare giù i miei rifiuti. L’aggettivo che aveva sempre pronto da tirarmi dietro. Sapeva dargli carattere positivo e negativo a seconda dei casi. Mi ha definita così anche durante le promesse sotto l’altare. Forse le cose sono cambiate proprio quando ha smesso di farlo.

Perché lascio che i ricordi si impossessino dei miei pensieri? Non mi è mai mancato da quando è partito con l’esercito. Non in un modo diverso dal solito almeno, non nel modo in cui avrebbe dovuto. Non riesco a trovare nulla che mi leghi all’uomo partito circa un mese fa, se non la sola sensazione di una sorta di dipendenza. Dettata unicamente dall’idea di non essere niente senza di lui. La vera mancanza che mi perseguita ogni giorno risale a molto tempo prima della sua partenza. Voglio indietro l’uomo che ho sposato… anzi, il ragazzino occhialuto che mi faceva la corte al liceo senza darsi mai per vinto. Quello che lottava – in un modo impacciatamente tutto suo - per avermi, non che pretendeva fossi sua perché era ciò che voleva.

Si è iscritto all’accademia militare per volere di suo padre. Poi ci è tornato di sua spontanea volontà. Ogni anno non faceva altro che dire di stare diventando più forte, più bello, più sicuro di sé. Era sempre più in qualcosa a detta sua. Eppure ai miei occhi erano solo le sue debolezze ad aumentare. Tornava più irruento, tornava urlandomi contro, tornava lanciandomi oggetti...  

Ma se questa volta non tornasse? È un chiodo fisso in questi giorni: un’auto nera che si parcheggia sul mio vialetto. A scendere è un uomo mai visto prima, suonerebbe il campanello. “Suo marito è morto per la patria”, direbbe. O comunque qualcosa di simile. Sarebbe impacciato, come era Lui un tempo. Non capisco perché ad annunciarmi la Sua morte debba essere qualcuno che gli assomigli. Ma non ci do importanza. La cosa peggiore sono io: una semplice figura sfocata che assorbe la notizia passivamente. Non piango, non mi dispero. Forse mi andrebbe bene anche vedermi sospirare di sollievo. Ma non so come reagirei alla notizia della sua scomparsa, ciò che provo pensandoci è confuso come la mia sagoma in quella scena immaginaria.

La sua assenza mi tranquillizza, eppure mi ritrovo ogni giorno in posizione fetale sul suo lato del letto. Le mani che torturano nervose ciocche di capelli sparse sul cuscino. I denti affondati nel labbro che, ormai, ha assunto la loro forma. Mi conficco le unghie nelle braccia con forza di proposito. Ferirmi da sola comincia a venirmi naturale, sento che è ciò che farebbe Lui se fosse qui, di conseguenza è la cosa giusta. Pensavo di poter decidere da sola, che sarebbe stato facile. Ma senza di Lui è come se fossi persa, incapace. In assenza di una sua dritta mi ritrovo a vacillare davanti a tutto. Temo di non disporre dell’autocontrollo necessario per stare da sola. Non più almeno. Non sapendo che lui è da qualche parte pronto a tornare e punirmi. È molto più semplice non provare a prendere le mie decisioni, aspettare a occhi chiusi che lui sia di nuovo qui e riporti l’ordine in questa casa. Non voglio che sia Lui a scendere da quell’auto, ma ne ho bisogno.

Dev’essere un’auto nera, perché in ogni caso porterà con sé cattive notizie.

Se Lui torna, non voglio sprecare fiato parlandogli di cambiamenti. Sono stanca di questo. Riprenderò la mia vita da dove si era interrotta, a poco prima della sua partenza. Tornerà e tirerà oggetti… Tornerà e riprenderà il suo mantenere l’ordine mandando me nel caos. Ma mi accontenterei comunque, perché il poter controllare la mia vita non mi sta aiutando a ritrovare me stessa, mi sento anzi scivolare sempre più lontano da quella che dovrebbe essere la pace interiore. Che mi piaccia o meno, ora è quella la mia vita. E io sono quella donna senza volto che ancora mi punta gli occhi vacui addosso.

Senza di Lui sarebbe tutto diverso, troppo diverso. Non sono pronta a qualcosa di così drastico, non voglio che Lui muoia. E chi mai lo vorrebbe per il proprio marito?

Sono sempre stata troppo complicata per prendere decisioni. Per mettere a posto le mie emozioni. È molto più semplice lasciare che qualcun altro lo faccia al posto mio. In ogni caso, non sarebbero mai le scelte giuste per me. Sono troppo complicata per sapere cosa voglio. Il mondo è troppo complicato, perché riesca ad affrontarlo da sola.

Il rombo del motore di una macchina mi trascina all’ingresso, il naso schiacciato contro il vetro della finestra che dà sul vialetto. La narice che ancora si arriccia ai soliti e costanti intervalli di tempo, che segno con un dito sulla parete trasparente.

Tic, tic, tic

L’auto ha i vetri oscurati, le donano un aspetto quasi severo. Anche chi la guida dev’essere di una noia mortale. Spegne la macchina dopo un minuto dall’aver parcheggiato, apre una portiera di qualche centimetro. Poi si ferma, una gamba sollevata che si vede a malapena e non accenna a poggiarsi sul marciapiede. Come se sapesse che io sono lì a fissarlo, che quell’attesa mi sta distruggendo.

Tic, tic, tic

Magari lo sa davvero. Le finestre sono trasparenti, forse mi ha visto e lo fa apposta per infastidirmi.

In contrasto con la studiata lentezza di poco prima, quando esce lo fa di colpo. Ogni sua mossa è stata totalmente priva di tatto: prima lascia che mi crogioli nello strazio dell’aspettare che si mostri, poi mi sbatte la notizia in faccia senza lasciarmi il minimo tempo per prepararmi a elaborarla. Deglutisco rumorosamente, appena ne riesco a osservare la faccia. E la vista di quell’uomo mi mette al corrente di una verità piuttosto scomoda, ma alla quale ormai credo di essere sufficientemente pronta mentalmente.

 

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Capitolo 2
*** Chi è causa del suo mal pianga se stesso ***


Chi è causa del suo mal pianga se stesso

Autrice  Maysun

Terza classificata al concorso di os di D per Dolcetta

Quando hai sposato Alexy non avresti mai immaginato di arrivare a tanto.
Sapevi, sì, che convivere con lui è un’impresa, ma adesso è ancora peggio! Perché tuo marito ha una sola politica, ovvero ‘ciò che mio è mio e ciò che è tuo è mio’, e, da bravo e diligente cittadino, la mette in pratica invadendo la tua porzione di armadio con i suoi jeans multicolor o i suoi calzini a righe, perché, poverino, non sa dove metterli.
E non  solo! Ha persino la straordinaria capacità di buttarti giù dal letto alle due di notte e prendersi tutto il materasso, soprattutto quando è Agosto e si muore di caldo.
Ora, poi, ha deciso di tirare fuori il peggio di sé, assieme a tutti i vostri vestiti. Perché c’è solo una cosa che manda in fibrillazione Alexy più del fare shopping in centro: il cambio di stagione!
Lo vedi ammassare quanti più capi possibili sul letto, mentre borbotta qualcosa sulle tue camicie, a detta sua “decisamente fuori moda”. Se solo potesse darebbe fuoco al tuo intero guardaroba, quell’ingrato!
Come se non bastasse ti ha costretto a provare ogni singolo capo –mutande incluse- riversandoti addosso un vagone di lamenti sul fatto che tu non abbia proprio il senso dello stile, invece di darti dei consigli su cosa puoi tenere o su cosa devi decisamente dare via.
Sono ormai due ore che continuate con questo compito gravoso e state ancora a caro amico, visto che prima che Alexy finirà di passare in rassegna i propri vestiti sarà arrivato Natale. Se tutto va bene.
“Domani andiamo assolutamente ai grandi magazzini per comprarti qualcosa di decente.” annuncia, e il mondo ti crolla addosso “Non prendere appuntamenti, non inventare scuse, non ammalarti, non chiamare Armin per farti salvare e infine non provare a pensare neanche lontanamente di rintanarti in libreria.”
Se non fosse perché di solito è la persona più dolce e comprensiva sulla faccia della Terra, Alexy potrebbe essere un perfetto generale dei marines, questo è poco ma sicuro.
Lasci cadere a terra la maglietta che hai in mano e sgrani gli occhi.
Ti prego, no!

È il giorno della tua condanna.
Ne sei consapevole da quando hai aperto gli occhi e sei salito per fare colazione. Non ti sei perso la luce entusiasta negli occhi di Al e il suo riporre, con altrettanta gioia, la carta di credito nel portafoglio.
Ti viene in mente una frase di  ‘Non ci resta che piangere’, che non potrebbe essere più adatta a questo momento: Ricordati che devi morire!
Se fossi un’altra persona, proveresti compassione per te stesso e ti accarezzeresti la testa, mormorando parole di conforto della serie ‘andrà tutto bene’, anche se sai che non arriverai incolume a fine giornata.
Fino ad ora avete girato solo un quarto dei grandi magazzini e già vi trascinate dietro quattro o cinque buste di roba –tutte di Alexy, si intende.
Al momento ti sei limitato a guardare, consapevole che presto o tardi sarai trascinato a forza in un camerino e ci rimarrai fino a che il tuo aguzzino non avrà deciso che forse bisogna dare un’occhiata al negozio accanto.
Vi imbucate in uno dei negozi preferiti del tuo beneamato compagno e, giusto per farlo contento, sbirci fra i vari capi, notando un paio di jeans stinti a tuo parere eleganti.
Prendi la stampella e te li rigiri fra le mani  “Ehi, Al, secondo te come mi stanno?”
Lui si volta e gli occhi iniziano a brillargli  “Una favola! Aspetta che cerco qualcosa che potresti abbinarci!”
Bella mossa, idiota. Si può sapere perché hai una tale predisposizione al suicidio?
Guardi Alexy frugare fra gli scaffali, alla disperata ricerca di magliette, giacche, camicie, lupetti, cinture e Dio solo sa cos’altro ha intenzione di farti comprare. Le sue sopracciglia turchine sono aggrottate in un espressione concentratissima e ogni tanto le iridi viola guizzano indietro per dare un’occhiata al colore dei pantaloni che tieni in mano da più di tre minuti.
Nei restanti centoventi secondi lo vedi gettarsi sul braccio circa una decina di t-shirt e altrettante giacche, dai colori sgargianti e fluorescenti.
Come vorresti che Armin fosse qui a farti compagnia, almeno non saresti solo tu la musa ispiratrice! Ma la vita a volte sa essere proprio ingiusta e quindi, allo scoccare delle undici, ti ritrovi intrappolato nel camerino- o prigione, come preferisci – sommerso da tutto ciò che tuo marito ha scelto per te.
Inghiotti la disperazione e la valanga di amorevoli insulti che premono per uscire dalla tua bocca e ti appresti ad indossare una maglietta color porpora col logo dei Rolling Stones in bella mostra.
Bocciata.
Ti infili una giacca di pelle nera, ma con i capelli rossi che ti ritrovi potrebbero accusarti di plagio contro Castiel.
Bocciata anche quella.
Ti rigiri fra le mani un cappello da pescatore nero lucido, rendendoti conto che se lo indossassi qualche otaku impazzita potrebbe scambiarti per il cosplay di Laito (*) e stalkerarti fino a che non le concederai una foto (forse potresti travestirti da lui alla prossima fiera del fumetto).
A malincuore bocci perfino il cappello.
Dopo una lunga selezione di abiti in cui decidi di comprare solo un berretto di finto jeans, passi ad una camicia a maniche corte, bianca, sicuramente meno appariscente e più adatta a te.
Ti piace come mette in mostra il tuo fisico asciutto senza esagerare e apprezzi quel po’ di buon senso che ha spinto Alexy a sceglierla, considerando il fatto che è l’unica cosa fra quella montagna di roba che ti piace davvero.
Decidi di prenderla e una volta rimessi i tuoi vestiti esci dal camerino, mollando al pazzo scatenato ciò che non hai gradito- ovvero, quasi tutto. Ti dirigi verso la cassa e paghi, per poi venire trascinato nel negozio accanto, dove vieni sottomesso nuovamente alla volontà di ferro di tuo marito, che è deciso più che mai a farti tornare a casa con almeno tre buste stracolme di capi d’abbigliamento.
Cosa direbbe tua sorella nel vederti succube di un uomo con cui vivi da poco più di un anno, quando lei in ventiquattro anni non è mai riuscita a tenerti in un negozio per più di un quarto d’ora?

Oh, come vorresti fingere di avere un gran mal di testa e convincere Alexy a tornare a casa, ma lo sai, caro mio,  che non lo infinocchierai mai con una tanto banale bugia!
Le vetrine specchiano il tuo viso stanco ed esasperato, mostrandoti una faccia così distrutta da far paura persino a te.
Tuo marito esce fuori dalla porta a vetri di un bar e ti porge un milk-shake alla fragola  “Bene, possiamo andare a casa!” annuncia e finalmente puoi tirare un sospiro di sollievo.



Ti infili sotto le coperte, talmente stanco che a malapena ricordi chi sei e quanti anni hai.
A pancia in su, ti copri gli occhi col braccio, sperando con tutto te stesso che Alexy non abbia voglia di chiacchierare.
Fa freddo questa sera e i nuvoloni neri che hai visto poco prima di abbassare la serranda fanno presagire una gran bel temporale, forse con tanto di grandine.
Hai voglia di estate, di mare, di sole, ma soprattutto hai voglia di una bella lettura sotto l’ombrellone, con la brezza a muovere le pagine e l’odore della salsedine.
E poi, d’estate Alexy è troppo preso a fare la salamandra sul lettino e a cercare di abbronzarsi, e tu puoi startene in pace con i tuoi pensieri.
Stai per scivolare nel mondo dei sogni, quando Al si gira verso di te  “Martin?”
Sbuffi  “Sì, piaga della mia vita?”
“Mi sono dimenticato di comprare una sciarpa…non è che domani mi accompagni al centro?”
Ti volti e lo vedi sbattere le palpebre con un fare da angioletto e un sorriso innocente.
“Scordatelo.”
“E dai! Il giuramento diceva che mi saresti rimasto accanto sempre: in salute, in malattia…”
“Ma non menzionava nulla riguardante lo shopping.” lo interrompi, sperando con tutto il cuore di averlo zittito.
“Per favooooreee!”
E invece no!
“Mi rifiuto.”
“Sei crudele, Martin, davvero crudele!” l’ingrato si lascia sfuggire una lacrimuccia e abbassa gli occhi come un cane bastonato, sapendo che non puoi resistergli quando fa così, perché se lo facessi ti sentiresti in colpa per i prossimi quindici giorni.
“Lo sai che sei un gran bastardo, vero Alexy?”
“Ti adoro!” senti le sue braccia cingerti il collo e ti lasci scappare un sorriso.
Chiudi gli occhi e Morfeo torna a prenderti, ma, ovviamente, non ci riesce.
“Martin?”
“Cosa vuoi ancora, rompiscatole che non sei altro?”
Al si accoccola contro di te e mormora un ‘grazie’ a voce talmente bassa che quasi credi di essertelo immaginato.
“Per cosa?”
“Per essere qui.”
Le vostre labbra si incontrano e ti lasci andare in un bacio delicato, così diverso da quei pochi che vi concedete di tanto in tanto.
Lo sapevi che Alexy ti avrebbe cambiato la vita, lo sapevi sin da quando ti ha rovesciato addosso il cappuccino tre anni fa. Lo sapevi quando ti ha presentato i suoi genitori, lo sapevi quando vi siete dati la mano sulle montagne russe prima del giro della morte.
L’hai sempre saputo, ma come si dice?  Chi è causa del suo mal pianga se stesso.

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Capitolo 3
*** Salsiccia ***


DesperateHsucr.Dake



Desperate Housesucrètte


Autore: Gozaru
Rating: Rosso





Eri andata a letto con l'intenzione di dormire, quella sera, e... invece no!
Dovresti sapere, ormai, che tuo marito non ti ha mai permesso di chiudere occhio senza le sue dolci labbra ad accompagnarti nel mondo dei sogni.
Ti bacia dolcemente sulla spalla scoperta dalle sottili spalline della vestaglia. Senti il suo respiro sulla pelle farsi sempre più affannato. Una sua mano si posa sulla tua coscia accarezzandone la forma, scostando il leggero tessuto che la copre e, salendo, si infila sotto di esso. I baci si intensificano e le tue labbra volutamente serrate non riescono a trattenere un gemito che subito cerchi di dissimulare in una specie di grugnito infastidito.
Da quanto siete sposati? Otto
anni, tre mesi e diciotto giorni; e tu davvero pensi che, dopo tutto questo tempo, lui non riconosca le tue reazioni? E tu, allo stesso modo, lo conosci meglio di te stessa.
Tieni gli occhi chiusi, ma l'oscurità profonda della stanza comunque non ti avrebbe aiutata, eppure percepisci un minimo movimento dei suoi muscoli facciali che riesci incredibilmente a tradurre in un suo sorrisino. Ah, quanto vorresti vederlo, vero? No, non ne hai bisogno: l'immagine del volto di tuo marito è stampata a fuoco nella tua memoria; ogni sua espressione, ogni suo dettaglio. Tutti i dettagli.
Uno di questi comincia a premere prepotente contro i tuoi lombi quando decide che è ora di accoccolarsi di più a te. La prima cosa a cui pensi, comunque, è che il suo corpo è incredibilmente caldo, ma, nonostante la temperatura non sia esattamente dalla vostra, il contatto non ti da per niente fastidio. L'abitudine, ti dici. E se invece fosse altro?
Le sue labbra lasciano posto ai denti, sulla spalla. Piccoli e stranamente delicati morsi che non ti fanno male e... sì, sappiamo tutti qual è l'effetto che ti provocano. Muovi quasi involontariamente le gambe, sfregando l'interno coscia; ti morsichi il labbro superiore ma non fermi l'avanzata della mano del tuo compagno che, con lentezza e dedizione, è finalmente arrivato sotto ai tuoi seni. Inarchi la schiena creando uno spazio tra il tuo corpo e il lenzuolo di modo che l'altra mano di lui, poverina, possa finalmente prendere parte al gioco.
Le sue braccia ti avvolgono, protettive, stringendoti contro il suo corpo; la sua voglia sempre più pressante. Lasci che un sospiro sfugga dalla tua gola, ormai al sicuro nel suo abbraccio. Le sue labbra passano attraverso i capelli, baciandoti il collo; un contato che ti fa rabbrividire. Lo adori, semplicemente, e lui adora sentire il tuo corpo fremere a quelle coccole che ti dona. Ti accarezza dolcemente il ventre prima di afferrare con possessività uno dei tuoi seni. Li ha sempre adorati, a dir poco perfetti per le sue mani, anche se tu li hai sempre trovati in qualche modo troppo piccoli rispetto ai suoi precedenti standard; ma no, lui li trova perfetti così, amandoli per come sono. Li stringe con forza, fermandosi subito prima che la tua soglia del dolore venisse oltrepassata, il giusto, insomma, per schiudere le tue labbra per far uscire la tua voce che da ore brama di ascoltare. Lo invoglia, tutto questo, a procedere con sempre meno pazienza finché la mano prima abbandonata non decide di riscattarsi del tutto, scivolando veloce fin dentro il tuo intimo. Lo sapevi, già ti aspettavi quella mossa, eppure non riesci a non trovare quel contatto dannatamente piacevole, come fosse la prima volta. Un po', ogni volta, per voi, può essere la prima, in qualche modo...
Hai notato ormai da tempo come ogni bacio non sia mai l'esatto calco di uno precedente e ti chiedi come sia possibile in un così limitato brandello di pelle, trovare quel microscopico cambiamento che fa sembrare tutto diverso. Lui ci riesce, lo ami per questo. Ed è per questo che, ogni sera, finisci per affondare le tue mani tra i suoi capelli ancora biondi e portarlo a spingersi sempre più in là.
Hai abbandonato ogni resistenza -la domanda è, l'hai mai avuta?- ormai, e le tue labbra sempre più rosse accompagnano alle orecchie di tuo marito gemiti di piacere che istigano la sua erezione a sfondarti la schiena. Vuole che sia tutto perfetto, come sempre, per renderti soddisfatta più della volta precedente. Attende, fino a che non sei tu stessa che, con le dita tremanti, ti attacchi al suo braccio ancora così muscolosamente sexy e gli chiedi di proseguire oltre. Le sue due dita non ti bastano più; vuoi altro, vuoi lui.
D'altronde, come biasimarti? Non ti sei forse presa una sbandata già dalla prima volta che hai incrociato il suo sguardo?
Quegli occhi verdi, nel buio della notte, riescono comunque ad incontrare i tuoi. Il tempo che si stacchi da te che subito ti è sopra. Non ci sono raggi di luna che penetrano dalle tapparelle non troppo chiuse, né fonti di luce in giro, ma sai esattamente dove sono i suoi occhi, sai che stanno guardando i tuoi e vedi scintillare le sue iridi in tutto quel nero.
Lo baci, finalmente, su quelle labbra gonfie per tutto ciò che ti hanno già regalato; la scia sulla spalla e sul collo ancora brucia per tutto l'amore che ci ha messo dentro. Le tue mani stringono possessive il suo volto; la paura di rovinargli i connotati, spostandogli con troppa intensità quelle guance morbide lascia spazio alla voglia di tenerlo sempre più vicino, sempre più unito -non che lui voglia allontanarsi, sia chiaro.
Non ha bisogno di chiederti niente che le tue gambe sono già aperte; delle mutandine non resta che il ricordo, sbattute chissà dove per la stanza -probabilmente le ritroverai domani mattina sul tuo comodino a ricordo della nottata appena passata e ti chiederai, ancora una volta, come abbia potuto centrare con così tanta precisione, una piccola statuetta a forma di delfino, prendendo esattamente la testa del mammifero con l'indumento, come quei vecchissimi giochi da lunapark in cui devi prendere un bersaglio con un cerchietto di plastica per vincere.
Lui? Che domande: è sempre pronto. La sua incontenibile voglia si dirige senza esitazione sulle tue altre labbra, ma aspetta con pazienza che sia tu ad aprire la 'porta'. Con un movimento del bacino lo inviti ad entrare e lui, senza farselo ripetere due volte, ti penetra senza mezze misure. Odi quando fa così: sa benissimo che in qualche modo la cosa ti fa sempre male, ma soffochi la protesta nelle sue labbra, avvolgendo le braccia attorno al suo collo affinché possa non allontanarsi più. Ormai il danno è fatto... Continua la sua entrata fino a che non raggiunge il limite; solo allora inizia il vero divertimento.
I suoi movimenti sembrano seguire un ritmo ben preciso, ma la verità è che cerca solo di farti sentire più piacere possibile. Si muove lentamente, con dolcezza, staccando le labbra dalle tue, pur mantenendole vicine di modo che a te basti solo allungarle di mezzo centimetro per riaverle indietro. Sincronizza il suo respiro con il tuo e finalmente anche lui ti rende partecipe del suo piacere. Certamente è lui a dettare il ritmo, ma sei tu che dirigi i giochi; lui sale sull'ottovolante, ma non può certo deciderne la traiettoria.





Sono sposata con... Dake!





«Sì, ok, e poi?»
Il tono curioso di Alexy non ammette repliche. Avete presente i bambini capricciosi che devono avere tutto e subito? Uguale; ed è per questo che non vuoi avere figli: ne hai già uno, di trentatré anni, che abita dall'altra parte della strada.
Ti mordi il labbro inferiore, chiedendoti se sia il caso di rispondergli. In fondo, quando mai gli hai tenuto nascosto qualcosa? Dentro di te alzi le spalle convinta che, tanto, è meglio sputare subito il rospo prima che sia lui a ficcarti la mano in gola per tirartelo fuori. Metaforicamente parlando, ovvio.
«E poi al solito, Alex. Mi ha fatta godere come una dannata ragazzina» confessi arrossendo visibilmente. È dolce vedere come, nonostante gli anni siano passati, il rapporto con tuo marito rimane quello di sempre; è una sorta di certezza, di tradizione, forse.
Il tuo amico, dai bizzarri capelli azzurri -non capisci perché, nonostante la sua età, non abbia voluto riportarli al nero naturale- sbuffa visibilmente, mettendo una mano sui fianchi. Con fare teatrale scuote la testa da una parte all'altra cercando sicuramente le parole più adatte per esprimere il concetto in maniera pomposa. Cosa che, ovviamente, non gli riesce, finendo per optare al suo vocabolario quantomai colloquiale.
«Cazzo, e te ne lamenti?!»
Il suo sguardo ti perfora all'altezza dello stomaco; riesci a percepire l'invidia mista a disprezzo per ciò che hai lasciato intendere da un'unica frase.
«Vorrei avere io un uomo che mi scopa così!».
Chiudi gli occhi, un secondo. Vuoi immaginarti il vicinato che, tranquillamente alle prese con le sue faccende quotidiane, si ferma e posa lo sguardo su casa tua dopo l'uscita decisamente più teatrale -più per il volume della voce decisamente alto che per il tono- di quello che pensavi essere il tuo migliore amico. E in fondo sai che lo è davvero: non ti ha mai rubato il marito.
«È stancante, Alex...» e dopo una breve pausa capisci che tanto il discorso si può solo arenare nella sua folle convinzione che tutto sia bello «E comunque non mi sembra che Jade ti lasci a secco». Ottima mossa, ragazzina; quando l'attenzione viene spostata su di lui sai che non si fa ripetere le cose due volte, la prima donna. Ti scappa una risata quando la sua espressione cambia, corrucciandosi. Quella rughetta in mezzo agli occhi gli spunta solo quando sa che hai ragione.
«Seh, seh... Però non è la stessa cosa!»
«Ah no?» e come non ricordarsi di tutte quelle volte che, bussando alla sua porta, notasti un cappello da giardiniere sulla maniglia? Non c'è stato mai bisogno di spiegare a che servisse, né hai mai voluto approfondire la questione: certe cose è sempre meglio non saperle, ma Alexy non sembra essere della tua stessa opinione.
Ed è mentre è intento a spiegarti come anche la singolare e sempre diversa forma di un pene può cambiare totalmente le sensazioni provate in un rapporto sessuale, cercando ancora una volta di sapere dettagli che, in quasi un decennio non hai mai voluto rivelare, che la porta si apre e si richiude velocemente. La tua dolce metà sfonda l'atmosfera leggermente imbarazzante creatasi in cucina e, senza degnare altri di uno sguardo, si fionda su di te, sulle tue labbra, baciandoti appassionatamente e senza riserve.
Oh, sì, decisamente ami quando lo fa; cioè ogni giorno. Ti abbraccia possessivo e voglioso, lasciandoti intendere che lui è pronto a ricominciare quando vuoi, stuzzicandoti comunque con quella mano spavalda che finisce sempre sul tuo sedere.
Alexy si lascia sfuggire un falsissimo colpo di tosse per attirare la vostra attenzione; cioè, l'attenzione di tuo marito che, sempre più spesso, tende a non considerare la sua presenza. Sarà forse colpa di quel discorso uscito durante la grigliata dell'anno precedente in cui cominciò a fare apprezzamenti troppo evidenti sui suoi addominali e, più generalmente, sui suoi muscoli? Può darsi...
Quel sorriso -vagamente, eh- tirato che gli compare sul volto non può che contenere una certa frustrazione. Lo saluta, com'è ormai solito fare. Un cenno della testa, un amichevole domandina sulla giornata appena trascorsa per poi riportare l'attenzione su di te non appena si rende conto che la risposta del tuo amico è terminata. Ti da un ultimo bacio, più lento e appassionato dei primi, sussurrandoti poi all'orecchio un 
«Non farmi attendere troppo» con quel tono malizioso che solo lui riesce a fare, con il quale, solamente, è capace di farti sciogliere.
«Allora... ehm» soppesa le parole, per paura che qualche d'una di più possa essere fraintesa «Io vado a farmi una bella doccia! Alexy» con un altro cenno del capo e un sorriso decisamente più rilassato «Ci vediamo presto!».
Sparisce dietro il primo muro che porta alle scale per il piano di sopra mentre non ti lasci sfuggire la visuale dei suoi glutei strizzati in quel completo a dir poco elegante -forse fin troppo per lui e per l'idea che ormai ti sei fatta di lui. Non ti è nemmeno sfuggita quella ormai familiare protuberanza sul davanti e... non sei l'unica. Il suo amico si distende completamente sul tavolo della cucina fino a raggiungere, per quanto gli è possibile, il tuo orecchio.
«Ti odio» ti sussurra con un pizzico -o decisamente di più- d'invidia nella voce. Sembrerebbe tornato un bambino viziato ma sai benissimo che ciò che hai visto non l'ha lasciato del tutto indifferente.
«Spero che Jade sia disponibile, altrimenti...» non finisce la frase che si morde il labbro e, facendo ciò, scaccia tutte le idee malsane che si sono formate in quella testolina perversa. Un po' ti dispiace per lui, all'apparenza sempre così insoddisfatto, ma sai meglio di lui quanto quella sia solo una facciata a proteggere una felicità stabile che non pensava sarebbe mai riuscito a raggiungere.
Al suo «Vorrei avere un uomo così», leggermente biascicato, ti giri verso il frigorifero e, aprendolo, ne tiri fuori una confezioni di insaccati.
«A questo proposito...» ti giri verso di lui e gliela allunghi, mostrandola dalla parte decorata. Uno sfondo per lo più trasparente che lascia intravedere la plastica bianca di base, con in mezzo una scritta, il suo nome su sfondo rosso, a risaltarlo. Sopra, un riquadro bianco con la descrizione sommaria del prodotto e sotto uno blu con il marchio della casa principale e altri dettagli 'utili'.
Sai che Alexy, per certe cose, è davvero sveglio.
«Sono quattro, ecco. Divertiti!»

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Capitolo 4
*** Questione di scelte. ***


Questione di Scelte.
 
Autrice: Paradichlorobenzene_
 
Quando Sylvie andò da Claire quasi alle cinque del mattino sapeva che la sua amica si sarebbe aspettata tutto – o quasi, tranne lei, con la faccia di chi è appena stato travolto da un uragano.
« Non ce la faccio più!» urlò la ragazza, in piena crisi isterica. Claire, avvolta nella sua morbida vestaglia azzurra e con gli occhi ancora impastati dal sonno, le fece cenno di entrare e sedersi, conscia del fatto che avrebbe capito meglio la situazione dopo essersi quantomeno sciacquata il viso. Sylvie, che intanto si era seduta al posto del tavolo della cucina che occupava sempre ogni qualvolta andava a visitare l’amica, guardò la casa di quest’ultima e la trovò sotto infiniti aspetti diversissima da quella sua. Era ordinata e spaziosa per una sola persona, arredata prevalentemente in nero, bianco e varie sfumature di verde. Quella che lei condivideva con il marito era grande abbastanza ma, nonostante tutti gli sforzi di Sylvie per mantenerla anche in ordine, almeno il salotto e la camera da letto – e anche il bagno, almeno al mattino - erano sempre sprofondati nel caos. Casa sua, già da un po’, non le sembrava più tranquilla. Spesso, tornando a casa da qualche commissione, l’assaliva una grandissima ansia, apparentemente infondata. «Allora? Avete litigato di nuovo?» Chiese Claire, presentandosi poco dopo con due tazzine di caffè fumante. «Diventano sempre più frequenti …» Rispose Sylvie, facendo ruotare l’indice sul bordo della tazzina, poiché lei il caffè bollente non riusciva a berlo « … Non sarebbe una bella cosa farci l’abitudine.»
Bevve appena un sorso caffè, pallida e visibilmente preoccupata, uno strano blocco alla gola le impediva di bere il resto, che rimase a raffreddare nella tazzina. Claire sospirò tra sé e sé, abituata ai litigi che si erano susseguiti nei sei anni di matrimonio dell’amica, sposatasi a vent’anni e completamente impazzita a ventisei appena compiuti. Tuttavia era capitato solo una volta che venisse a cercare rifugio da lei, e quella volta erano appena le sei del pomeriggio.
«Cos’è successo questa volta? …» «… In quella casa … No ci voglio più stare.» Claire era abituata al comportamento, spesso infantile quanto il suo aspetto, dell’amica.
« … Non c’è mai. Sta sempre chiuso in quel suo studio dall’altro lato della città e, quando torna, la maggior parte delle volte puzza d’alcool in modo incredibile. Spende metà di quel che guadagna in sigarette e tinta per capelli nemmeno avesse ancora diciotto anni ed è sempre attorniato da ragazze. Sai cosa vuol dire essere sposata con uno che fa ancora il cascamorto con le altre?» Claire l’ascoltava pensando che, fin li, non ci fosse niente di strano. Perlomeno non tanto da spingerla da scappare dalla sua stessa casa all’alba. « Ma … La cosa più presente di tutto è la sua assenza. La sento talmente forte che sembra schiacciarmi e non voglio più starci da sola in quella casa enorme, ad annegare tra i suoi vestiti e il suo profumo. Non voglio più sperare di svegliarmi una mattina sperando di essere la sua maglietta per poterlo seguire, per non dover stare più con l’ansia del non sapere cosa fa o con chi è, quando non è al lavoro. Non risponde mai al telefono, sta fuori intere notti. Cammino per casa e l’unica delle sue cose in ordine è la sua chitarra, ma poi c’è di tutto, ovunque. Si rifiuta categoricamente di fare progetti per il futuro, in questi sei anni abbiamo sempre vissuto alla giornata – eccezion fatta per quando doveva organizzare i tour, allora iniziava anche con sei mesi d’anticipo. Si dimentica tutto, compleanni, anniversari e visite mediche. Quando è tornato a casa, due ore fa, gli ho chiesto dove fosse stato fino a quell’ora, mi ero appena alzata, non l’avevo nemmeno aspettato. Mi ha detto di farmi i cazzi miei, come se questi non lo fossero. L’odore dolciastro dell’assenzio si sentiva a metri di distanza, e non può spacciarmelo per anice. Aveva gli occhi troppo lucidi, secondo me non ragionava nemmeno più. Se ti faccio tanto schifo vattene, mi ha detto. Ho fatto come voleva lui, sono in grado di sopportare, ma dopo anni a combattere contro una storia che si ripete quasi ogni sera ugualmente … Non so più cosa fare. »
Sylvie gesticolava nervosamente mentre parlava e, quando posò le mani sulla tazza del caffè, Claire notò che le tremavano visibilmente. Quest’ultima pensò alla situazione, poco pratica di litigi matrimoniali dal momento che la sua storia con Dake era al momento molto libera. «Sai, Sylvie … Secondo me dovresti parlarci. Insomma, so che stiamo parlando di Castiel e che sarebbe come dare testate ai muri, ma non avrebbe mica sposato chiunque, così presto tra l’altro! … »
«Lo conosco abbastanza bene da sapere che non vorrà nemmeno vedermi, figuriamoci ascoltarmi.»
«Non essere così negativa, magari intanto gli è passata!» Sylvie, che ne dubitava fortemente, non risposte. Sentiva qualcosa di simile all’odore del fumo provenire dalle finestre aperte – la sigaretta mattutina di qualcuno – e trattenne a stento un altro conato. «Vedi, Claire … Non è questa la mia unica preoccupazione.» «Quali sarebbero le altre, allora?»…
 
 
Camminava per le vie deserte della periferia, immersa nella tenue luce che precede l’alba. L’aria fredda le pungeva le guance rendendole rosse, benché affondate nello scollo della felpa. Nella fretta, aveva dimenticato il giubbotto a casa.
Teneva gli occhi bassi sulla strada, e il nero dei suoi occhi lucidi sembrava riflettere il grigio del marciapiede. Non aveva perso la malsana abitudine di uscire ai primi chiarori del giorno, anche d’inverno, rischiando di prendere un raffreddore quasi ogni volta. Rientrò presto, quella volta, perché la strana sensazione del post-abbandono (o almeno, quella che lei chiamava così), quella nostalgia inquieta e inspiegabile, questa volta l’aveva assalita più prepotente del solito. Si chiuse la porta alle spalle, una volta entrata, e si guardò attorno. Era rimasto tutto come tre mesi prima, la giacca di Castiel buttata per terra, in un angolo dell’ingresso. La ciotola in cui teneva gli snack sul tavolino del salotto, macchiato dell’impronta dei bicchieri sempre colmi di birra. Il posacenere con un paio di mozziconi di sigaretta sul tavolo della cucina, le sue riviste, la sua chitarra che stranamente non era tornato a riprendere. Tre mesi senza vederlo, senza avere sue dirette notizie. Lysandre, che ogni tanto la chiamava per assicurarsi che stesse bene, cercava di rassicurarla dicendole che Castiel stava bene e che, prima o poi, sarebbe tornato da lei.
Lei però non stava più aspettando nessuno, e aveva un’altra cosa a cui dedicarsi. Appoggiò la schiena alla porta, scivolando fino a terra, con le gambe leggermente portate verso il petto. I capelli biondi le caddero sul viso come una volta il suo velo da sposa. Una mano a cingere le ginocchia, l’altra ad accarezzare la pancia che stava iniziando ad essere prominente, con sguardo triste e un sorriso malinconico.
Chissà se i suoi occhi somiglieranno di più ai miei o ai suoi, pensò Sylvie.

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Capitolo 5
*** Eppure... ***





- Eppure... -

Autrice: Myaku

Pairing: LysandreXDolcetta




Lei è sposata con Lysandre.

Lo ama e lui ricambia esattamente come il primo giorno che si sono conosciuti.

Eppure...

Possibile che dopo tutti questi anni, non saprebbe neppure dire quanti, lui dimentichi ancora cose tanto fondamentali?

Lei è una donna paziente, lo è sempre stata, ma ha dei limiti e suo marito ha la capacità più unica che rara di farglieli superare. Sempre.

Ad esempio oggi: si è di nuovo scordato il suo quaderno da qualche parte.

Lei lo sta cercando da ore. Sa bene che, senza quell'ammasso di carta, Lysandre si sente perso. Al fine di evitare crisi isteriche e traumi da non-so-dove-appuntare-i-miei-pensieri-come-farò-a-sopravvivere, lei ha messo a soqquadro l'intera casa.

Non ha trovato nulla. In compenso, ha scoperto che qualcuno ha scordato di pulire sotto al divano come gli avevo chiesto, facendo accumulare un sacco di polvere, briciole, qualche bottone e delle monetine, ma nessuno stupidissimo quaderno nero.

Sa benissimo che quel coso riapparirà quando meno se l'aspetta, precisamente ai suoi piedi, precisamente nel momento peggiore, al solo scopo di farla cadere come un sacco di patate. Guai a gettarlo via o dargli fuoco nel caminetto: Lysandre non si darebbe più pace e, soprattutto, non darebbe più pace a lei.

Sospira, rialzandosi faticosamente dalla posizione assunta per esplorare i meandri del divano. La schiena le chiede pietà e, con una smorfia di dolore, si stiracchia.

"Caro... Mi spiace, ho cercato per tutta la casa, ma non trovo il tuo quaderno."

Invia il messaggio di malavoglia, già immaginandosi l'angoscia di Lysandre quando tornerà a casa. Le toccherà cercare assieme a lui, costringendolo a fare mente locale. Probabilmente se l'è scordato su una panchina al parco, a casa di Castiel, oppure a lavoro.

Accantona la questione, per il momento non p fare altro.

Sarà meglio, piuttosto, iniziare a stirare quella schifosissime camicie. Si dice che prima inizia, prima se le leverà dalle scatole.

Già.

Era affascinante, il suo Lysandre, con quegli stravaganti abiti vittoriani. Lo trovava originale, distinto, principesco.

Dopo il matrimonio ha dovuto imparare a lavarli e stirarli, quegli abiti, e ha concluso che l'epoca vittoriana fa schifo.

"Amore, non vorrai mica usare la lavatrice, vero? Guarda che è tutta seta!

Ricordati il detergente alla vaniglia del Guatemala!

Inamida il colletto con Mr. Appretto Facile.

I polsini stirali bene, che l'ultima volta faticavo ad allacciarli!

Già che ci sei mi lucideresti anche i gemelli? Ma con quella cera speciale..."

Fottiti, Lysandre. Tu, e tutte le tue camicie da frocio vittoriano!

Raggiunge la lavanderia e, sconcertata, non trova alcuna traccia delle odiate camice, né tantomeno degli altri abiti vittoriani.

Cerca in camera loro. Apre gli armadi e trova solo una manciata di vestiti normalissimi, di cui nemmeno ricorda la provenienza.

Oh, mio Dio... Cos'avrà combinato suo marito questa volta? Se li sarà dimenticati da qualche parte? Starà girando per la città completamente nudo?

Prende il cellulare.

"Tesoro, dove hai messo tutte le camice... E il resto dei tuoi vestiti?"

Vorrebbe aggiungerci un'imprecazione, ma si trattiene inviando il messaggio così com'è. Sperare che Lysandre lo ricordi e pressoché inutile, ma tanto vale provare.

Sospira pesantemente e decide che è ora di andare a nutrire i conigli.

Nonostante vivano in una modesta villetta in pieno centro, Lysandre ha deciso di non poter rinunciare alla compagnia di quegli animaletti pelosi che tanto gli ricordano la sua infanzia in campagna.

Campagna.

Non città.

In città nessuno tiene una decina di conigli in casa. Quei cosi puzzano, Cristo santo! Ma a lui non sembra importare e passa gran parte del suo tempo libero accarezzandoli, oppure osservandoli saltellare e abbuffarsi con un mezzo sorriso dipinto sul volto, di solito mentre appunta pensieri e frasi nel suo fedele quaderno.

Sono passati anni, lei non saprebbe neppure dire quanti, ma Lysandre è rimasto sempre lo stesso sognatore e questo lato di lui, quando non la esaspera, le fa quasi tenerezza.

Pensa stizzita, non per la prima volta, che Castiel si accontenta di un cane. Vecchio, pulcioso e burbero (un po' come lui), ma un cane è un animale che p comprendere. I conigli invece... Lei non capisce cosa ci trovi, suo marito.

Apre la porta che da sul retro del giardino e rimane per qualche secondo a contemplare il recinto.

Vuoto.

Si avvicina alle gabbiette, trovandole abbandonate, solo qualche filo di paglia rinsecchita a testimoniare che sono effettivamente state usate.

"Amore... Che fine hanno fatto i conigli?"

Lysandre non ha ancora risposto agli altri messaggi ma, conoscendolo, avrà perso il cellulare da qualche parte.

Lei si massaggia le tempie. Anche se non ha combinato molto, mi sente parecchio stanca, quindi si trascina verso la cucina, lasciandosi cadere su una sedia.

In qualche modo, sembra che si sia liberata dei conigli. Non le mancheranno, ma capire come sia successo sarebbe d'aiuto.

Guardando l'orologio, lei attende con pazienza che Lysandre torni a casa. Sono sposati da tanti anni, non riesce proprio a ricordare quanti, e sa bene che a momenti lui busserà alla porta (si dimentica sempre le chiavi, da incorreggibile smemorato qual è), si scuserà per la propria sbadataggine, quindi la saluterà con un bacio e le chiederà cos'ha preparato per cena.

Accidenti, la cena!

Si alza di scatto, soffocando una mezza imprecazione quando le ginocchia, ancora doloranti da prima, protestano.

C'è poco tempo e ormai crede di potergli cucinare solo una frittata veloce. Meglio di nulla.

La frittata è pronta, un po' bruciata perché ad un certo punto l'ha dimenticata sul fuoco, ma crede sia mangiabile.

Di suo marito, tuttavia, nessuna traccia.

Ricontrolla il cellulare, che però non segnala nessun nuovo messaggio.

"Amore, dove sei finito? Sei in ritardo e la cena è pronta."

Scrive. Invia. Uno strana angoscia le attanaglia la bocca dello stomaco.

Il quaderno, i vestiti, i conigli, il ritardo... Lysandre non le risponde ancora. Perché?

Sono sposati da così tanto (da quanto?)... Eppure non si era mai comportato così. Si chiede se abbia fatto qualcosa di sbagliato. Oppure è successo qualcosa al suo Lys?

Cerca di non pensarci, ma i minuti passano e diventano mezzora, poi un'ora, poi due ore e di lui nessuna traccia.

"Amore, inizio a preoccuparmi."

"Amore, chiamami appena puoi."

"Amore, hai perso ancora il cellulare?"

"Amore, c'è qualcosa che non va?"

"Amore, mi diresti se c'è qualcosa che non va, vero?"

Due ore e mezza dopo, una lacrima le solca la guancia. Se n'è andato? Perché?

Lei lo ama, credeva che anche lui...

Qualcuno bussa alla porta.

Corre ad aprire ignorando il dolore fisico.

Lysandre le sorride, ma il suo sorriso si spegne appena scorge le sue lacrime.

- Ehi - mormora entrando in casa. - Che succede?

Lei lo abbraccia. - I tuoi vestiti sono spariti, così come i conigli e tu... Tu non rispondevi al cellulare. Pensavo mi avessi lasciata - ammette soffocando un singhiozzo.

Lui la stringe, cullandola dolcemente. - Non potrei mai lasciarti. Il mio cellulare è rotto, non ricordi?

Rotto? Ah, l'aveva rotto due giorni fa.

Che idiota.

Se n'è dimenticata.

Sente cedere le gambe per il sollievo. Lysandre se ne accorge e la conduce verso la loro camera, aiutandola a sdraiarsi sul letto.

- Stamattina ti ho lasciato un biglietto sul comodino - prosegue indicando il foglietto con la mano. - Ho scritto che sarei tornato tardi.

Ora se ne ricorda. L'avevo letto solo poche ore prima, eppure l'aveva completamente scordato. 

Com'è possibile?

Com'è...

D'improvviso rammenta e la rivelazione le mozza il respiro.

I vestiti: Lysandre li ha dati via, tutti quanti, e se n'è comprati di più semplici. L'ha fatto per lei, perché faticava ad occuparsi dei suoi appariscenti vestiti vittoriani.

I conigli: Lysandre li ha regalati ad alcuni bambini del vicinato. L'ha fatto per amor suo, perché sapeva bene quanto tempo impiegasse a pulire tutte le gabbie e sfamarli.

Il quaderno: Lysandre se n'è disfatto anni fa, dopo che, per cercarlo, hanno litigato furiosamente e rischiato di lasciarsi. Ha detto che non voleva mai più rischiare di perderla per una sciocchezza simile.

Sono sposati da cinquantaquattro anni, tre mesi, sei giorni.

I suoi dolori dipendono dalla vecchiaia.

Lei spesso dimentica.

A causa degli anni, dimentica tutto. Continuamente.

Non come succede e succedeva a Lysandre: la sua è una malattia.

Ogni giorno è un po' più difficile ricordare, ogni giorno lei è un po' più persa.

Lysandre, però, le rimane a fianco.

Lysandre si occupa di lei, ripetendo ogni sera le stesse parole, come una cantilena, sperando che così lei non dimentichi.

Ripete anche ora, rassicurandola dolcemente. - Non importa se dimentichi, ricorderò io per te - dice carezzandole il viso, incurante di tutte le rughe. - Tu l'hai fatto tanti anni per me, quando eravamo più giovani. Ora è il mio turno - s'interrompe per stringere la sua mano sottile fra le proprie. - L'unica cosa che non devi scordare mai, mai, è che io ti amo. Capito? Ti amo e non ti abbandono.

La guarda con una tale intensità, un tale amore e una tale disperazione che lei sente stringersi il cuore.

- Mi ami- ripete, e lui annuisce. -E io amo te - Conclude lei baciandogli il dorso di una mano.

Chiude gli occhi.

Si dice che questo è tutto ciò che deve ricordare.

Lei è sposata con Lysandre.

Lo ama e lui la ricambia esattamente come il primo giorno che si sono conosciuti.

Eppure...

Possibile che dopo tutti questi anni, non saprebbe neppure dire quanti, lui dimentichi ancora cose tanto fondamentali?

 

Note dell'autrice: e questo è quel che succede quando parto con l'idea di scrivere una one shot comica... O___O''

Tralasciando la mia coerenza, ci tengo a far sapere che la seguente parte del testo mi è stata suggerita da Kiritsubo durante una messaggiata su Skype:

"Amore, non vorrai mica usare la lavatrice, vero? Guarda che è tutta seta!

Ricordati il detergente alla vaniglia del Guatemala!

Inamida il colletto con Mr. Appretto Facile.

I polsini stirali bene, che l'ultima volta faticavo ad allacciarli!

Già che ci sei mi lucideresti anche i gemelli? Ma con quella cera speciale..."

Fottiti, Lysandre. Tu, e tutte le tue camicie da frocio vittoriano!

Arigatou Kiri-senpai! U_U

In quanto a voi lettrici, perdonate la pesantezza di questa one shot che non mi soddisfa ma era in cantiere da questa estate quindi o la pubblicavo o mi davo all'ippica.

 

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