N.A.S.

di gaiagrace
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Il giorno del giudizio. ***
Capitolo 3: *** Lo psicologo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


"Non sono un'assassina.", mormorò Alicia tra sè e sè.

"Non sono un'assassina!", ripetè la ragazza con maggior vigore nella voce. Voleva convincere se stessa che non era stata lei, non era stata lei a versare tanto sangue innocente, eppure negava l'evidenza.

Si mise a sedere sul lettino di ferro battuto. Si trovava in una cella, due metri per uno, più o meno. Era uno spazio tetro, angusto, e lei, che soffriva di claustrofobia, si sentiva mancare costantemente l'aria.

Si slegò i capelli. I lunghi ricci le ricaddero lungo le spalle. Si specchiò in un frammento di vetro. Aveva il volto scavato, non mangiava da due giorni. Gli occhi erano spenti, constantemente colmi di lacrime. Aveva paura, non l'avrebbe mai ammesso a se stessa, ma aveva tanta paura.

Si alzò in piedi. Si rivestì, indossò la stessa uniforme che indossava la notte dell'omicidio. Si raccolse i capelli in una coda alta e si sciaquò il viso. 

Se non fosse stata così in preda al panico da non mangiare, nè tantomeno curarsi, Alicia si sarebbe potuta definire una donna incantevole. Aveva un viso dolce e pallido, costellato da piccole lentiggini. I capelli erano ricci e di un rosso fulgido. I suoi occhi invece erano blu, di un blu incredibilmente bello, sembrava come se madre natura le avesse incastonato due zaffiri al posto delle iridi.

Sentì una voce chiamarla dal corridoio. Si avvicinò al porta di ferro battuto e cercò di guardare oltre le grate che la tenevano imprigionata in quel luogo tenebroso. Aguzzò la vista. Un uomo sulla sessantina si stava avvicinando a passo svelto. Aveva i capelli corti e brizzolati, gli occhi erano piccoli e neri, sopra di essi era poggiato un paio di occhiali. Si fermò davanti la cella della donna e senza proferire parola aprì la porta. Alicia ebbe un crollo di nervi, e scoppiò a piangere. Lui la prese per un braccio e la condusse per il corridoio, dicendole di restare calma. Ma come poteva rimanere calma? Stava per essere giustiziata. Qui non c'era in ballo solo la sua carriera da spia, ma la sua stessa vita.

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Capitolo 2
*** Il giorno del giudizio. ***


Alicia stava percorrendo il tetro corridoio che divideva le celle degli assassini dal resto del mondo. Era incatenata. "Ti incateniamo così non puoi scappare.", le avevano detto, ma tanto lei non aveva intenzione di scappare. Se c'era una cosa che aveva imparato nei suoi anni di allenamento per entrare negli N.A.S. era che scappare non serviva a niente, una vera spia doveva affrontare a faccia scoperta gli ostacoli che le si ponevano lungo il cammino. Era anche vero che il suo era un ostacolo troppo grande da saltare.

Due uomini scortavano la giovane, uno dei due era l'uomo che l'aveva prelevata di cella, l'altro un giovane alto e robusto, il suo sguardo gelido era tradito da una nota di spavento, forse dovuta dalla poca esperienza. Lei camminava lentamente, con passi decisi. Non si doveva dimostrare debole, era quello che si era ripromessa. Teneva il capo chino, come in segno di pentimento, in realtà tenere la testa in quel modo le permetteva di avere il viso completamente coperto dai boccoli rossi, così che nessuno si accorgesse del suo pianto disperato e silenzioso.

Dopo svariati minuti, che per Alicia risultarono interminabili, uscirono all'aperto. L'aperto, Alcia non poteva credere di essere finalmente fuori da quelle quattro mura. Respirò a pieni polmoni, questo le bastò per smettere di piangere e dunque poter sollevare il capo. La giovane donna si guardò intorno. Erano in un piazzale, con delle aiuole deliziosamente ornate da fiori. Tra un'aiuoletta e l'altra si trovavano dei percorsi di terra battuta, i quali conducevano a una fontana al centro della piazza. Visto così quel posto non lasciava neanche immaginare le torture inflitte ai vari prigionieri, né tanto meno le personalità malvagie che si trovavano aldilà di quel muro ornato da rose. 

I due uomini levarono le catene a Alicia. Lei si sgranchì le gambe, e poi fissò i segni che le catene le avevano lasciato sui polsi, a quella visione scoppiò nuovamente a singhiozzare, tanto che le due guardie si impietosirono.

Alici venne condotta dentro un sala circolare, sulla parete destra c'era un'imponente cattedra, minuziosamente decorata e intersecata, che andava a stonare con i banchetti semplici e spogli, presenti nel resto della stanza. Forse il compito di quell'enorme cattedra era quello di incutere timore agli imputati, e con Alicia ci stava riuscendo. La donna che sedeva alla cattedra le incuteva ancora più paura. Era alta e allampanata, con i capelli biondissimi e a caschetto e gli occhi piccoli e blu, che la squadravano con fare minaccioso.

<< Alicia Loren Mercur, lei lo sa perché si trova qui, giusto? >>, la donna guardo Alicia sfoderando un disgustoso sorriso.

<< Si, signora. >>, la ragazza sembrava decisa.

<< Bene, do ufficialmente via al processo. Alicia Mercur è accusata della morte di ben ventitré persone, e in più è accusata di alto tradimento verso la N.A.S. >>, annunciò la donna. Tutti i presenti si girarono verso Alicia, che intanto teneva il capo chino per la troppa vergogna. Era stata costretta a uccidere quegli uomini, e forse se lo sarebbe anche perdonata, ma "L'alto tradimento verso la N.A.S.", quelle poche parole le rimbombavano nella mente, e la stravolsero a tal punto che ricominciò a singhiozzare di nuovo.

<< Non piangere, non ci impietosisci. Sei solo un'assassina, Alicia Mercur. >>, disse un'altra donna. Era piccola, minuta, ma aveva due occhi dorati che incutevano terrore.

<< Non..non sto tendando di impietosirvi, non ho bisogno della vostra pietà. >>, affermò la ragazza strofinandosi gli occhi rossi dal pianto.

<< Bene, allora arriviamo alla fatidica domanda. Alicia Loren Mercur, cos'hai da dire a tua discolpa? >>, domandò la donna dagli occhi celesti.

<< Nulla. >>, esclamò semplicemente Alicia, sotto lo sguardo dubbioso di molti presenti. Si alzò piano e silenziosamente lasciò l'aula. Aveva ammesso le sue colpe, era riuscita a non scappare. Questo le faceva onore, ma allo stesso tempo significava solo una cosa, avrebbe dovuto passare anni e anni della sua vita chiusa dentro una cella. Ma aveva ammesso agli altri e prima di tutto a se stessa le sue colpe, quindi poteva dire che l'ostacolo era riuscita a saltarlo.

 

Spazio autrice.

Buona sera!!

Come avevo promesso il capitolo è arrivato, lo so, non è niente di che, ma spero che possa piacervi.

Il prossimo dovrebbe arrivare entro mercoledì della settimana prossima, se tutto va bene.

Mi dispiace dover tenere tempi di pubblicazione così lunghi, ma sarà solo per un breve periodo, lo prometto.

Recensite la storia, mi fa un immenso piacere leggere i vostri complimenti e le vostre critiche.

Ciao!!:3

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Capitolo 3
*** Lo psicologo ***


Erano trascorsi tre mesi dal giorno in cui la giovane Alicia era stata condannata; "Trascorrerai i prossimi vent'anni in questa buia e desolata prigione", le aveva riferito, ridendo, Cristal, vicecapo della N.A.S. e colei la quale si divertiva a mettere dietro quattro sbarre svariate persone, anche quelle innocenti. A Cristal, Alicia non era mai stata a genio, e per questo era contenta quando la ragazza era stata imprigionata. La giovane donna sospettava e temeva che dietro al suo ingiusto incarceramento ci fossero proprio le spie ai vertici della N.A.S., perché intimorite dalla rapida ascesa al potere che lei stessa stava riscontrando nella società segreta fino al giorno dell'incidente che le cambiò la vita. Ma ovviamente queste erano solo sue supposizioni, l'unica cosa certa era che era lei quella in carcere, quella che veniva vista come una traditrice, e non aveva alcuna prova per dimostrare il contrario.

Quella mattina Alicia si svegliò stranamente positiva; erano tre mesi che non accennava una minima emozione, mentre quella mattina, quella mattina si sentiva insolitamente felice e turbata allo stesso tempo, il suo sesto senso le diceva che sarebbe successo qualcosa che le avrebbe cambiato nuovamente la vita. Si fece una doccia, "per lo meno questo mi è concesso", pensò, ridendo malinconicamente. Mangiò quel poco che le era stato portato, ovvero una zuppa di cose non classificate, un tozzo di pane, e un bicchiere d'acqua. Poi si sedette sul suo letto, scostò la tendina bianca e lilla dalla minuscola finestra della cella, ed iniziò a guardare fuori, immaginando di essere in un altro posto, ovunque, basta che lontano da quelle malinconiche celle.

Saranno state circa le undici meno un quarto quando un rumore distolse Alicia dai suoi malinconici pensieri: qualcuno stava bussando alla porta della sua cella. Strano, pensò la giovane, non succedeva mai che qualcuno la venisse a trovare. Si affacciò e vide Jean, il guardiano della prigione, un uomo dall'animo buono, costretto a svolgere un lavoro che non faceva per lui, e che lo faceva soffrire. Salutò Alicia con lo stesso sorriso compresivo che le rivolgeva ogni mattina, era l'unico che continuava a sostenerla e che in cuor suo sapeva che lei non avrebbe mai potuto compiere l'azione di cui era stata incolpata. 

-Salve Ali.-, disse l'anziano uomo, aprendo la porta della cella.

-Buongiorno a te, Jean.-, sorrise mestamente la giovane, per poi aggiungere,-A cosa devo il motivo di questa visita?-

-Il suo psicologo è qua.-, rispose semplicemente l'uomo. Alicia strabuzzò gli occhi, il suo psicologo, certo, ora la credevano anche pazza. Intanto una figura incappucciata alta e snella si avvicinò, saluto la giovane e Jean con un cenno di capo, ed invitò Alicia a seguirla dentro la cella; la ragazza si voltò un'ultima volta verso Jean, come per cercare di decifrare ciò che stava succedendo, l'anziano guardiano, per tutta risposta, le strizzò l'occhiolino, un occhiolino che sapeva di speranza.

Una volta entrata nella cella la losca figura aspettò alcuni minuti prima di proferire parola, iniziò ad ispezionare la cella e a guardare, con aria sospetta, il corridoio esterno ad essa, come per accertarsi che nessuno le stesse spiando. Una volta portato a termine il suo lavoro di ispezione la figura si accomodò sul letto di Alicia ed invitò la ragazza a sedersi accanto a lei. Dopo di che si sfilò, con un gesto rapido e preciso, il cappuccio. La figura si rivelò essere un uomo giovane e bello, alto e dal fisico atletico, con i capelli biondi mediamente lunghi e dei profondi occhi verdemare. Alicia si sentì mancare e per poco non svenne; iniziò a piangere a dirotto e si gettò, senza alcuna esitazione, tra le braccia dell'uomo. Erano Christian Shewood, l'ex capo di pattuglia di Alicia, quando lei faceva ancora parten della N.A.S.

-Smettila di piangere Ali-, disse lui con voce tenera ed autoritaria allo stesso tempo.

-Oh Chris, per la prima volta nella mia vita credo di essere felice di vederti-, singhiozzò la giovane, l'uomo fece un sorrisetto sghembo, dopo di che la sua espressione tornò seria.

-Sicuramente ti starai chiedendo come mai il caro Jean mi ha presentato come il tuo psicologo.-, affermò l'uomo, Alicia annuì, smise di piangere e iniziò ad ascoltarlo.

-Dobbiamo far credere alle autorità che tu sia pazza, e trasferirti in manicomio.-, spiegò Chris.

-In manicomio?! Ma voi siete uno più pazzo dell'altro!-, sbottò Alicia alzandosi in piedi di scatto.

-Calma! Non andrai davvero in manicomio, insomma, non chiedere altre spiegazioni, ti fidi di me?-, concluse lui, tagliando corto. La giovane si sedette, guardò turbata l'uomo, e dopo di che iniziò a riflettere sul da farsi.

-Sei d'accordo con Jean, vero?-, chiese la ragazza. 

-Certo, senza di lui non andiamo da nessuna parte.-

-Va bene, mi fido, ma fatemi uscire da qua il prima possibile.-

-Fidati di me, sarà fatto. Dopo domani torno a farti visita e molto probabilmente ti porto via con me.-, sentenziò l'uomo, rimettendosi il cappuccio e uscendo dalla cella.         

Alicia rimase nuovamente da sola; da sola ma con la speranza di poter presto uscire da quella gabbia dov'era imprigionata.

Nel frattempo la bellissima quanto crudele Cristal attendeva fuori dalla cella di Alicia, abilmente nasconta dietro una colonna di cemento grezzo. Le era stato riferito che Alicia aveva un incontro con uno psicologo, ma la donna ci credeva poco. Era decisa a capire chi l'identità celata dietro il cappuccio nero, dopo tutto fino a quindic'anni prima era stata anche lei una spia, una delle più famose e richieste per giunta, ed anche se in quel momento era "solo" l'addetta alle spie recluse nei carceri, la sua abilità nel risolvere i misteri non era svanita, così come la sua bellezza. La donna uscì dal suo "nascondiglio" e si recò nel suo ufficio. Si sedette sulla sedia dietro la sua scrivania di legno ed inizio a sorseggiare un bicchierino di cognac. Raccolse i suoi lunghi capelli neri in una coda di cavallo alta, e poi con i suoi bellissimi occhi blu iniziò a scorrere la sua rubrica telefonica. Compose un numero, il telefono iniziò a squillare e durante l'attesa Cristal picchiettò nervosamente sulla scrivania con le sue unghie smaltate d'oro; se c'era una cosa che odiava era attendere.

-Pronto?-, mormorò con voce impastata qualcuno dall'altro capo del telefono.

-Moody, fai in modo che la carcerata numero 134 delle prigioni segrete della N.A.S. non venga mai, e ripeto mai, allontanata dalla sua cella.-,

 

*spazio autrice*

dopo secoli sono tornata a scrivere, e sinceramente non so cosa ne sia uscito.

Fatemi sapere cosa ne pensate, saluti. 

 

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