A story of woe

di Starishadow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO
 
L’ambizione della neonata Verona High School, il liceo appena aperto in una cittadina dell’Oregon, era quella di accogliere studenti che normalmente si sarebbero potuti permettere una scuola pubblica e altri che invece avrebbero potuto frequentarne una privata, con l’obiettivo di far incontrare questi due mondi, affinché convivessero pacificamente.
Un idillio, un’utopia, quanto di più lontano dalla realtà possa esistere: non c’era giorno in cui due o più ragazzi finissero dal preside per aver “turbato la quiete pubblica”, per usare le parole degli insegnanti.
«Che cosa devo fare con voi?» sbottò un giorno il pover’ uomo, quando si trovò davanti tre giovani freshmen, quattordicenni appena arrivati in quella scuola e già coperti di lividi e ferite per l’ennesima rissa: due indossavano divise sformate e dalla taglia probabilmente sbagliata, l’altro invece l’aveva tirata a  lucido ed impeccabile.
«Signore, non ho iniziato io!» saltò subito su quello dalla divisa in ordine con un paio di costose scarpe italiane ai piedi «Quei due disgraziati mi sono saltati addosso! Probabilmente volevano rubarmi il Rolex!»
Il preside si trattenne a stento dall’alzare gli occhi al cielo, ormai era ben abituato all’atteggiamento dell’uno e dell’altro gruppo. Spostò lo sguardo sugli altri due ragazzi di cui uno stava in disparte, all’ombra dell’altro, con gli occhi incollati al pavimento e le labbra strette in una linea sottile, l’altro…
«Ma sai dove puoi ficcarti quel Rolex di mer…» il ragazzo si interruppe quando il preside si schiarì leggermente la voce e gli lanciò un’occhiataccia «Signor preside, noi davvero non abbiamo fatto nulla! Stavamo passando per il corridoio e questo ha iniziato ad insultarci, chiamarci “pezzenti” e altre cose, non potevamo non reagire!»
“No, certo che no, ma che scherziamo?” pensò l’uomo ironicamente:
«Non mi rimane altro che chiamare le vostre famiglie» sospirò, e i tre ragazzini rabbrividirono appena.
Il preside aveva appena alzato la cornetta del suo telefono nero dalla scrivania lucida, tinta dello stesso colore, quando la porta si spalancò, e un ragazzo dai capelli rossicci e l’aria bonaria entrò trafelato, i suoi occhi castani subito puntati sui due ragazzi accusati di aver “attentato al Rolex”.
La somiglianza fra i tre (capelli rossi, grandi occhi castani e labbra piene) tradiva una qualche parentela fra di loro.
«Ecco dove eravate… Signor preside, mi dispiace per qualsiasi cosa abbiano fatto i miei fratelli, io…» l’uomo lo interruppe alzando una mano, e il ragazzo tacque, inquieto:
«Questa storia deve finire, Benedict… Non voglio più risse nella mia scuola! È tempo di prendere provvedimenti più severi, visto che voi ragazzi non sembrate capirlo!»
Tutti i ragazzi osservarono l’uomo, chiedendosi cosa avesse intenzione di fare.
Il preside si avvicinò alla scrivania e attivò il microfono per rivolgersi all’intera scuola:
«A tutti gli alunni e i docenti, un attimo di attenzione» disse, e lo ripetè due volte, per essere certo che l’importanza di ciò che stava per dire fosse chiara per tutti «in seguito agli avvenimenti che si sono verificati negli ultimi tempi, e di cui tutti siete al corrente ormai, dichiaro che chiunque venga sorpreso a turbare la quiete pubblica della scuola, con insulti, atti vandalici o risse, verrà immediatamente espulso dalla scuola, indipendentemente da “chi ha iniziato” o “perché ha iniziato”. Spero di essere stato chiaro» chiuse la comunicazione e tornò a guardare il gruppo di ragazzi davanti a sé, a braccia conserte.
La porta si aprì di nuovo, e stavolta entrò un ragazzo dai capelli neri acconciati in un taglio alla moda, lucidi di gel, avvolto nel profumo dell’Abercrombie che invase subito la stanza.
«Signor preside, è scoppiata un’altra rissa?» chiese, fingendo stupore, mentre il ragazzo dai capelli rossi stringeva gli occhi e si allontanava da lui «Sicuramente di nuovo colpa di questi pezzenti»
«Theodore, non tollero più certi atteggiamenti nella mia scuola!» esclamò il preside «Metterò veramente in atto le mie minacce»
Il moro gli rivolse un sorriso affilato, mentre accennava un inchino:
«Ma certo, signor preside»
«Per ora, questi tre si beccano una sospensione di una settimana» le proteste dei ragazzi interessati andarono a vuoto «e se succederà ancora… beh, sarà meglio che iniziate a cercarvi un’altra scuola»
Con quello, il preside congedò il gruppo di ragazzi e sospirò sedendosi sulla sua poltrona di pelle nera.
Quei ragazzi l’avrebbero fatto finire al manicomio, altro che!
«Bah per lo meno adesso non dovrebbero più darmi problemi» borbottò fra sé e sé, allungando una mano verso il libro abbandonato sulla sua scrivania e sorridendo: ora che aveva un momento di pace, poteva tornare alla lettura del suo caro Shakespeare.
 
«Lo sapevo che prima o poi ci avreste messi nei guai, zoticoni» sibilò Theodore mettendo una mano attorno alle spalle del biondino e fissando in cagnesco i tre rossi, che dal canto loro lo ignoravano «Hey, Benedict!»
Il ragazzo si voltò verso di lui, esasperato:
«Che vuoi, Theodore?»
Il ragazzo sorrise, e ancora una volta Benedict si trovò a pensare che somigliava proprio ad un gatto… un grosso, sornione, crudele gatto nero che stuzzica il topo prima di attaccare.
«Oggi pomeriggio… i miei ragazzi insegneranno una lezione a voi topi di fogna»
Benedict stava per dirgli di andare al diavolo quando suo fratello si lanciò contro il moro, e il più grande riuscì ad afferrarlo all’ultimo secondo per il colletto dell’uniforme, ma non fece in tempo a tappargli la bocca:
«Te la daremo noi la lezione, brutto figlio di papà! Vedrai come ti apriremo il cu…»
La mano di Benedict calò sulla bocca del ragazzino e quello lo trascinò via, fra le risate sprezzanti di Theodore e dell’altro ragazzino biondo.
«Ad oggi pomeriggio, feccia» li salutò Theodore, voltando le spalle.
Benedict si morse la lingua e continuò a camminare verso la parte opposta, seguito dai due fratelli.
«Oggi gli faremo vedere chi sono i topi di fogna! Li faremo tornare piagnucolando dai loro paparini, con i culetti fatti a strisce!» esclamò esaltato il più esuberante fra i due, l’altro era rimasto in silenzio tutto il tempo.
«Thomas, dacci un taglio. Tu non farai vedere niente a nessuno, da oggi sei in punizione. Con quel gruppo di imbecilli con la puzza sotto il naso ce la vedremo noi»
Il ragazzino continuò a protestare a lungo, ma vedendosi ignorato dai fratelli, alla fine rinunciò e si limitò a starsene a braccia serrate e con gli occhi bassi.



Nota dell'autrice: ed ecco il mio secondo approccio con un'originale ^^ come ho detto, partecipa ad un contest sulla letteratura, ed è per questo che la storia si rifa un po' a quella di Romeo e Giulietta... anche se ho cercato di staccarmi il più possibile dall'originale.
Spero che vi piaccia e, se trovate qualche errore di battitura/distrazione che è sfuggito alla mia revisione - possibilissimo dato che l'ho riletta alle 23:30 di sera - o volete dirmi qualsiasi cosa, fatemelo sapere! ^^
A presto!
Starishadow

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1
 
La rissa terminò quando le sirene della polizia cominciarono a sentirsi sempre più vicine, e tutti i ragazzi si diedero alla fuga. Benedict correva come un forsennato quando una macchina scura gli parcheggiò vicino e il finestrino del guidatore si aprì, rivelando il viso rugoso e preoccupato di suo zio, Edmund Monar:
«Benedict!» esclamò sorpreso, aprendogli lo sportello posteriore e aspettando che il nipote fosse entrato prima di ripartire, sua moglie accanto a lui si voltò verso il ragazzo e gli rivolse un sorriso tirato «Ho visto che c’è stata un’altra rissa»
Il ragazzo sospirò:
«Theodore Captes ci ha lanciato la sfida stamattina» mormorò.
«Ryan era con voi?» chiese preoccupata la donna, torturandosi le mani che teneva in grembo.
Benedict scosse la testa, guardando sua zia:
«Non l’ho visto nemmeno una volta, credo si sia tenuto lontano dalla rissa… come sempre»
«Bene. Almeno in questo quel ragazzo non mi dà pensiero» sospirò lei, rilassandosi sul sedile «sta sempre per i fatti suoi, parla poco, si chiude in camera al buio… ho paura che si droghi, o peggio» ammise, Benedict si trattenne a stento dal sogghignare. Sapeva lui che faceva suo cugino tutto quel tempo in camera al buio.
«Perché sorridi, Benedict? Sai forse qualcosa su Ryan che noi non sappiamo? Hai idea di dove sia?»
Il ragazzo sospirò e si passò le mani sul viso:
«In effetti l’ho visto nei dintorni della spiaggia. Volete che provi a parlargli?»
E fu così che, poco dopo, si trovava sulla spiaggia inondata dalla luce del tramonto ad avvicinarsi al cugino seduto sulla riva che tirava sassi contro il mare.
«Buonasera, cugino» iniziò, sogghignando, mentre vedeva le spalle dell’altro ragazzo sussultare, e quello si voltò verso di lui, con i capelli castani mossi dal vento che gli finivano davanti ai grandi occhi verdi dall’aria triste:
«È ancora sera?» chiese, sconsolato.
«No guarda, è l’alba… risparmiami le citazioni Shakespeariane, Ryan. I tuoi sono preoccupati per te»
«Per me?» il giovane sembrava realmente stupito «E perché mai?»
«Per me? E perché mai?» gli fece il verso Benedict «Forse perché ti comporti come un depresso che si chiude in camera e non si fa mai vedere? Sei forse diventato un vampiro e non vuoi dircelo?»
Ryan gli rivolse un sorrisetto, prima di tornare a lanciare sassi al mare, il cugino sospirò e si sedette accanto a lui:
«Seriamente, sei ancora in fissa con quella… come si chama? Victoria? Vanessa?»
«Valerie, Benedict… Valerie, Val… ho solo lei in mente, e lei invece? Lei ama un altro!» il tono di Ryan passò da ammirato ad irritato, e un altro sasso trafisse la superficie dell’acqua.
«Beh, è la storia più antica del mondo, Ry… non starci troppo male. Per esempio, perché non ti unisci a me e Mikael stasera? Andiamo a caccia di pollastrelle» gli diede una gomitata, ma in cambio ricevette solo uno sguardo di puro disgusto:
«Come se potessi farmene piacere un’altra così, a comando! Io voglio Valerie!»
Benedict gli fece di nuovo il verso e si alzò, pulendosi i calzoni:
«Come ti pare, piccolo Romeo innamorato… io e Mik oggi ci incontriamo alle nove a casa sua, poi partiamo… se vuoi venire, sai dove trovarci»
Il cugino non gli rispose nemmeno, e lui lo lasciò a cuocere nel suo brodo.
 
«Un’altra rissa? Oh, Theodore! Ma come fate ad essere così… così…»
«Così come? Dai dillo, principessina!»
Theodore si stava facendo curare una ferita sul braccio da sua cugina, Julie, una ragazza esile, dai lunghi capelli dorati e grandi occhi grigi che le davano un’espressione seria. In quel momento, le sue labbra rosee e carnose erano incurvate in un broncio disgustato, la fronte candida attraversata da una ruga sottile mentre tamponava il sangue che usciva dalla ferita con un asciugamano.
«Così deficienti! Ma perché non vi lasciate in pace? Che problema vi dà se quei ragazzi frequentano la vostra stessa scuola?!» sbuffò la ragazza, cacciandosi indietro i capelli con un gesto irritato della mano.
Theodore rise:
«Ma sentiti, parli proprio come una di quelle femminucce contrarie alla violenza! Eppure una volta ti piaceva rotolarti a terra avvinghiata ad altri ragazzini tirando pugni e pizzicotti, se non sbaglio»
Gli occhi della ragazza mandarono un bagliore minaccioso mentre si alzava e si puliva le mani:
«Ero una bambina che giocava alla lotta con te, non conta. Quello che fate voi adesso è… è pura follia!» gli tirò l’asciugamano in faccia e se ne andò, gli stivali col tacco a stiletto che colpivano rabbiosamente il parquet bianco.
«Hey, Julie!» la richiamò Theodore, come sempre divertito dal suo atteggiamento, lei alzò gli occhi al cielo e si voltò, spostando il peso sulla gamba destra e posandosi un pugno sull’anca «Ci vieni al pub stasera?»
Julie si spostò i capelli con un gesto del capo, poi gli sorrise:
«Puoi scommetterci» disse, girando i tacchi e uscendo dalla stanza, andando verso la sua camera.
Theodore rimase sulla sua poltrona ad osservare la sua silhouette longilinea che si allontanava, ridacchiando fra sé e sé.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2
 
Il pub era affollato, per la maggior parte ragazzi immersi nel fumo che occhieggiavano le meno numerose ragazze con occhi carichi di desiderio che sbucavano da sopra il bordo di calici di birra o altri alcolici.
Theodore entrò tenendo stretta Julie, che non sembrava apprezzare la sua mano attorno al fianco fasciato dall’ abitino bianco, a giudicare dal modo in cui continuava a scostarla in maniera irritata.
Appena intravide il loro gruppo di amici si liberò definitivamente della presa del cugino, non prima di sentire la stessa mano di prima scivolarle verso il fondo dell’abitino, e si affrettò verso di loro.
«Julie! Iniziavo a pensare che non saresti più venuta!» esclamò un ragazzo alto più o meno quanto lei, con i capelli biondi acconciati nello stesso modo di Theodore, ma dall’espressione meno feroce di quella che aveva di solito suo cugino.
«Peter» lo salutò lei, regalandogli un sorriso affascinante ma distaccato «non potevo perdermi la serata» replicò.
«Già, quando mai te ne perdi una» commentò Valerie, comparendo anche lei, con i capelli rossicci raccolti sopra la testa e indossando un abitino nero molto corto, piuttosto simile a quello di Julie.
Le due ragazze si sorrisero e si allontanarono dalla compagnia dei ragazzi, anche se Theodore continuò a ronzare sempre intorno a loro.
«Non ti molla proprio mai, eh?» notò la rossa, mentre prendeva una birra e la passava all’altra ragazza «Se Theodore ti vede bere mi uccide» aggiunse.
Julie alzò gli occhi al cielo e prese un paio di sorsi, prima di restituirla all’amica.
«Fa tanto il protettivo, poi è il peggiore» commentò.
E infatti, quella sera, passò più tempo a scrollarsi di dosso suo cugino e le sue mani che a divertirsi come aveva sperato.
All’ennesimo approccio, lo colpì con uno schiaffo e, afferrata la borsa con una mano e il polso di Valerie con l’altra, si avviò a grandi passi verso l’uscita, sorda ai richiami di tutti gli altri e alle proteste confuse dell’amica.
«Julie ma che ti prende?!» chiese quella quando raggiunsero l’uscita e si trovarono sul marciapiede, al freddo «Non mi hai nemmeno fatto prendere il cappotto» si lamentò, pestando i piedi a terra e soffiandosi sulle mani, nel vano tentativo di riscaldarsi.
«Non è poi così freddo. E non sopportavo più Theodore» replicò rapidamente la bionda, stringendosi fra le braccia «dai, iniziamo a muoverci… più avanti ci sono altri pub, manderemo un messaggio a Peter e gli diremo di portarci le giacche lì»
Valerie, come sempre, sospirò e seguì l’amica, rimuginando sul fatto che, pur essendo lontanamente imparentate, non avrebbero potuto essere più diverse: a lei non sarebbe mai nemmeno passato per la mente di dare uno schiaffo a Theodore e uscire dal pub per avventurarsi nella notte… che l’amica fosse completamente priva del senso del pericolo?
«Ma non hai paura?» chiese, accelerando per tenere il passo di Julie «Insomma… gira certa gente a quest’ora» disse, con tono lamentoso «io voglio tornare da Peter»
Julie sospirò esasperata e ruotò gli occhi, sforzandosi di sopportare l’atteggiamento della ragazza:
«Ho lo spray al peperoncino nella borsa… e tu hai un coltellino nella tua, non credere che non lo sappia»
Valerie arrossì e abbassò gli occhi:
«Non avrei il coraggio di usarlo» ammise, Julie la guardò e le rivolse un sorriso molto simile a quello di suo cugino:
«Io sì, in caso. Dammelo»
Rimasero ferme qualche secondo a fissarsi, mentre Valerie si chiese se l’amica fosse seria o stesse scherzando, ma quando la vide restare lì con la mano tesa verso di lei, in attesa, capì che stava facendo sul serio e - recuperato il coltellino dalla borsa - glielo porse.
«Ora smettila di piagnucolare,  laggiù vedo le luci di un bar»
«Ma non eri contraria alla violenza, tu?»
Julie fece una smorfia… colpita e affondata.
«Sì, ma non all’autodifesa» tagliò corto.
E con questo, le due si incamminarono verso quel punto, andando quanto più veloce consentivano loro i tacchi a spillo delle loro scarpe.
 
«Ooooh allora Ryan? Non ti sei dimenticato quella Valerie dopo stasera??» chiese Mikael ridendo come un matto mentre sfrecciavano lungo la strada nella sua auto mezza scassata.
Ryan lo fulminò con un’occhiataccia:
«Come se potessi dimenticarmela!!» protestò.
Benedict, dietro di loro, sospirò:
«Oh no, lui è fedele… ne vuole una e una soltanto! Vuole la sua Valerie! Oh Valerie, Valerie! Perché sei tu, Valerie!!» scoppiò a ridere, e Mikael con lui, Ryan si incupì:
«Non sei divertente»
«Sei tu che non hai senso dell’umorismo» fu l’allegra risposta di Mikael.
«Provate ad innamorarvi, poi ne riparliamo!!»
Benedict si sdraiò sui sedili posteriori, in preda alle risate più sfrenate, Mikael si spostò i riccioli neri da davanti al viso e continuò a prendere in giro il suo migliore amico:
«Santo cielo, da come la metti tu, l’amore è una malattia terminale!» lo colpì con un pugno su una spalla «Ma sei innamorato! Frega le ali a Cupido e inizia a svolazzare in giro come lui!»
Benedict rise di nuovo all’idea di un Ryan che volava da una parte all’altra nudo con delle aluccie e un arco rosa… forse aveva esagerato con l’alcool, o forse erano semplicemente i suoi amici ad essere ridicoli..
«Fai presto a parlare, tu, mica sei stato ferito dall’amore» si imbronciò Ryan, ben deciso a non dar retta al suo amico.
Mikael aveva l’abitudine di non prendere mai nulla sul serio, ogni problema diventava inesistente per lui, se poteva riderci su, e questo poteva essere un bene… se non si era dell’umore di Ryan in quel momento.
«Oh mio Dio! “Ferito dall’amore!” sentitelo, parla come il personaggio di una tragedia!! Hai diciotto anni, cazzo! Se lei non te la dà, ce ne sono altre dieci dietro che si son già tolte le mutande…»
«Ma piantala!!» sbottò Ryan, colpendolo a sua volta, stavolta trattenendo un sorriso… accidenti a Mikael, era impossibile restar seri con lui!
E se poi in sottofondo c’era Benedict che se la faceva addosso dalle risate, la cosa era anche più complicata.
«Va  bene, va bene… continua pure a fare l’eroe mortalmente ferito dalle frecce di Cupido o visitato dalla regina Mab, intanto io e Ben stasera ce la spassiamo, ok?»
Benedict rispose con un grido entusiasta, rimettendosi a sedere, Ryan alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, rassegnato. Con una manovra azzardata, Mikael parcheggiò l’auto in mezzo ad altre due ed inchiodò, facendo sbattere la testa ad entrambi i passeggeri.
«Ah! Perché ti hanno dato la patente, Mik?» si lamentò Benedict, scendendo strofinandosi la nuca.
«Se non ti va bene come guido, puoi pure andare a piedi, Bennie»
«Non chiamarmi Bennie!» esclamò il ragazzo, afferrando Mikael e incastrandogli il collo sotto al braccio, per poi iniziare a strofinargli le nocche dell’altra mano sulla testa.
Ryan li lasciò fare ed entrò nel pub, accolto subito dal calore e dal vociare delle persone all’interno. Fece in tempo a lasciare la sua giacca di pelle malandata sull’appendiabiti sbilenco all’ingresso, e subito Benedict e Mikael lo raggiunsero, dandogli due pacche sulla schiena:
«Allora Ryan… noti qualcuna che ti faccia passare dalla mente la focosa Valerie?» chiese Mikael, sorridendo, ma gli occhi verdi dell’amico erano spalancati e fissi su qualcosa in lontananza «Però, che rapidità» commentò divertito, prima di seguire il suo sguardo ed imprecare «questo non me lo sarei mai aspettato»
Incuriosito, Benedict cercò di capire cosa stessero fissando, prima di bloccarsi nella stessa posa ed espressione degli altri. E loro che ci facevano lì?
Valerie Captes, una delle ragazze più ricercate della scuola, nipote di uno dei più importanti dirigenti dell’Oregon, era lì, in un pub squinternato frequentato da gente come loro, accompagnata da una ragazza di cui riusciva a vedere solo la chioma dorata e mani dalle unghie curate che circondavano il bicchiere di birra posato sul tavolinetto davanti a loro.
Sembrava una visione surreale, eppure erano realmente sedute in un divanetto, a parlare, bere, ridere…
«Accidenti» disse, ridendo imbarazzato «Ryan, forse conviene andare, possiamo sempre andare all’altro…» il cugino lo zittì con un gesto.
«Magnifico, l’abbiamo perso» commentò Mikael con un gesto stizzito quando il ragazzo si allontanò e si incamminò verso le due ragazze «ma che accidenti sta facendo?!»
Ryan sembrava in trance mentre si avvicinava a Valerie, il cuore che gli batteva nel petto e minacciava di uscire fuori.
Fu a quel punto che lei si spostò, rivelando l’altra ragazza che era con lei.
Gli occhi del ragazzo si spalancarono anche di più, se possibile, e le sue labbra si dischiusero per la sorpresa.
Se fino a quel momento aveva pensato che non potesse esistere una bellezza superiore a quella di Valerie, ora era pronto a correggersi… Valerie e tutte le altre ragazze lì presenti erano come corvi scuri e sgraziati, di fronte al candore di quella ragazza, diafana e delicata come una colomba.
Fece dietrofront e tornò da Benedict e Mikael.
«Beh, eccolo qui che torna con la coda fra le gambe» ridacchiò Mikael, incrociando le braccia sul petto.
«Sembri sconvolto» notò Benedict, alzando un sopracciglio. Ormai nulla di suo cugino poteva sorprenderlo.
Boccheggiando per un po’ come un pesce, Ryan riuscì finalmente a dire:
«C-Chi è la ragazza che è con lei?»
Mikael allungò il collo e tentò di scorgere la persona di cui parlava, quando la vide scoppiò a ridere:
«Ah beh, se con Valerie non avevi mezza speranza, con quella ne hai pure di meno! Sono più alte le probabilità che un meteorite ti cada in testa e metta fine alle tue sofferenze» disse.
«Perché?»
«Julie Captes, la figlia del proprietario di mezza città, Ryan. Lontana parente di Valerie, è la cugina di Theodore, e pare che suo padre sia tanto geloso di lei da averla mandata in una scuola per solo femmine sin dalle elementari» spiegò Benedict, guardando con aria dispiaciuta il cugino «forse dovresti abbassare il tuo standard, Ry. Ci sono tante belle ragazze anche fuori da quella cerchia, sai?»
Mikael, a cui si era intanto attaccata una ragazza dai capelli chiari, più nuda che vestita, rise:
«E se non belle, per lo meno generose»
«Io la amo»
Sia Benedict che Mikael emisero versi di esasperazione e iniziarono a sfotterlo:
«Hai mica l’innamoramento un po’ facile, Ryan?» chiese Mikael.
«Sul serio, sei impossibile» sospirò Benedict.
«No davvero! Se ho mai amato prima di ora, i miei occhi hanno appena smentito il mio cuore! Quella era a malapena una cotta!» fece un gesto con la mano come a voler scacciare il pensiero di Valerie e congedarlo come se nulla fosse.
«Io rinuncio a capire questo ragazzo!» dichiarò Mikael, alzando in aria le braccia e poi tornando a darsi da fare con la ragazza «Voi fate come vi pare, io non butto la mia serata… ci vediamo!» e sparì nella folla.
 
«Val, hai visto i tre appena entrati?» chiese Julie, inclinando la testa con gli occhi che brillavano di interesse.
«Oh oh, conosco quello sguardo…» disse Valerie, ridacchiando «Julie ha scovato un nuovo obiettivo» si voltò «chi?»
«Quello laggiù, vicino al pel di carota e al ragazzo con la pelle un po’ più scura…»
«Uhm scusami, ma mi sono fermata al ragazzo mulatto…» commentò Valerie, passandosi la  lingua sulle labbra tinte di rosso, Julie sospirò:
«Naturalmente quello è il tuo genere. Ti sei già dimenticata di Peter?» rivolse uno sguardo ironico all’amica, poi tornò ad osservare il ragazzo che aveva notato lei, quello alto, con i capelli in disordine quasi non si pettinasse da giorni e gli occhi verdi.
«Accidenti… Caffelatte è stato preso» notò tristemente Valerie «si prendono sempre i migliori!»
Julie ridacchiò e diede un colpetto divertito all’amica.
«Puoi ancora recuperarlo… andiamo?» Julie si alzò e, dopo essersi risistemata le pieghe del vestito, sorrise e tese una mano verso l’altra. Valerie ricambiò lo sguardo e si lasciò sollevare.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3
 
«Dov’è quel libro? Dov’è?» chiese a mezza voce Julie, mentre si spostava da una parte all’altra della biblioteca. Erano circa le due di notte, e lei vagava senza sosta nella vasta stanza dalle pareti coperte di scaffali gonfi di libri, per la maggior parte testi giuridici e saggi storici impolverati.
«R… Rabelais… Richardson…  S… Sartre… Shakespeare!» trovato l’autore che cercava, iniziò a scrutare i titoli. Non aveva propriamente bisogno di cercare quel libro e controllare la citazione: anche se non l’avrebbe mai ammesso la sapeva quasi a memoria, ma non le sembrava vero che un ragazzo le avesse citato proprio…
 
«“S’io profano della mia mano indegna codesta santa reliquia, il peccato è soltanto gentile”…» una mano aveva sfiorato il dorso di quella di Julie, e una voce dolce  e musicale le aveva sussurrato quelle parole vicino all’orecchio. Voltandosi, si era trovata a fissare il paio di occhi verdi che aveva giù attirato la sua attenzione in precedenza, ribelli capelli castani che andavano in ogni direzione, e un sorriso gentile.
La ragazza aveva riconosciuto subito la citazione e i suoi occhi si erano illuminati per un momento di sorpresa e piacere, ma poi aveva visto Peter entrare nel pub alle spalle del ragazzo sconosciuto, e iniziare a cercarla. Nel panico, si era voltata e aveva iniziato a camminare verso un angolino più appartato, nascosto da un pannello, e non si era accorta che il ragazzo che le aveva parlato l’aveva seguita fino a quando lui non aveva iniziato a ridacchiare:
«Non pensavo saresti subito fuggita con me»
«Non stavo fuggendo con te, infatti, magari scappavo da te» aveva replicato senza troppa emozione nella voce.
Osservandolo meglio, Julie aveva avuto modo di apprezzare anche i suoi lineamenti regolari, morbidi nei punti giusti e più marcati dove serviva, il colorito roseo delle labbra e delle guance, le ciglia lunghe che gli lanciavano ombre sottili su di esse…
«So che hai riconosciuto la citazione» aveva sorriso lui, Julie aveva fatto un sorrisino furbo:
«No, non so di cosa tu stia parlando…»
 
Sfogliando le pagine, Julie raggiunse finalmente quella che le interessava: la scena del ballo casa Capuleti, Romeo e Giulietta si incontravano per la prima volta… sorrise trionfante, mentre dentro di sé sentiva un calore nascere. L’aveva già sentito prima, mentre parlava con quel ragazzo, Ryan…
Il loro incontro, fatto di semplici parole e commenti pungenti ma divertiti, era stato interrotto da Valerie, che l’aveva raggiunta di corsa e, con aria preoccupata, le aveva detto che se non fossero tornate subito con Peter, Theodore sarebbe andato a cercarle personalmente.
Julie non aveva mai detestato tanto suo cugino come in quel momento.
«Julie! Che ci fai ancora in piedi a quest’ora? E ancora agghindata! Non dirmi che sei tornata adesso»
La ragazza sussultò e per poco le cadde il libro dalle mani, ma lo riafferrò e se lo strinse al petto, mentre il suo cuore rallentava e tornava ad un ritmo normale, la persona che aveva parlato accese una abat-jour su uno dei tavolini della biblioteca.
«Lucy, mi hai spaventata» ammise la bionda, sorridendo a quella che era la migliore amica di sua madre, che viveva con loro da che lei riuscisse a ricordare.
Non aveva mai saputo la storia completa, ma le avevano detto che sua madre e Lucy si erano conosciute al college e si erano sposate più o meno nello stesso anno, ma mentre le nozze della prima erano andate a gonfie vele, la seconda non era stata altrettanto fortunata, e quando finalmente aveva ottenuto il divorzio, la sua migliore amica aveva insistito affinché vivesse con lei in casa sua, e lei aveva accettato, chiedendo di potersi sdebitare occupandosi della piccola Julie, all’epoca poco più di una neonata.
«Perdonami, ma tu hai spaventato me… ti sembra questa l’ora per starsene in biblioteca, al buio, con un abitino inguinale e dei tacchi vertiginosi?» chiese la donna, rivolgendole un sorrisino malizioso «Torna in camera, signorina… è ora della nanna»
Julie rise:
«Non sono più una bambina, Lucy!»
«Bambina o nonna, non ha importanza: è ora di dormire, hop, hop!» la donna batté le mani e Julie si affrettò, camminando in punta di piedi per non far fare rumore ai tacchi e stringendosi il libro al petto; Lucy le diede una spintarella giocosa e la indirizzò verso la sua stanza.
 
«Incredibile, in-cre-di-bi-le!! Se non l’avessi visto con questi miei occhi non ci avrei creduto!» esclamò Mikael, ridendo come un matto, Benedict diede una spinta a Ryan, ancora nel mondo dei sogni:
«Hai abbordato Julie Captes! E lei non ti ha versato un cocktail in faccia!» rise.
«Uomini di poca fede» replicò Ryan, facendo un sorrisino di superiorità, che però sparì subito.
Mikael sospirò:
«Oh no, è tornato il suo malumore cronico! Che c’è adesso?! Almeno ti ha dato il suo numero?»
Ryan scosse la testa, e Mikael imprecò:
«Sei il più gran coglione che io abbia mai conosciuto. Non te la sei fatta, non ti sei fatto dare il numero, a malapena l’hai baciata - e sono sicuro che non ci fosse nemmeno la lingua - ma che avete fatto quasi tutta la sera? Discusso la fame nel mondo?!»
Ryan non lo sentiva nemmeno più, guardava fuori dal finestrino e pensava a quella ragazza che, per tutto il tempo, aveva cercato di fingere di non cogliere i riferimenti a libri romantici che le faceva, eppure ogni volta i suoi occhi si illuminavano nel riconoscere le battute. L’aveva anche preso in giro, ma in maniera bonaria, con battutine sarcastiche simili alle sue. E poi, come Cenerentola allo scoccare della mezzanotte, era scappata via, senza dargli nemmeno il tempo di dire “ciao”.
Un sospiro abbandonò le sue labbra, e fu in quel momento che vide il cancello della villa dei Captes. Julie… Julie forse era lì!
«Ferma la macchina»
«Eh?»
«Mikael ferma la macchina!»
Il ragazzo inchiodò, confuso, e Ryan scese praticamente al volo, dirigendosi di corsa verso la villa, e sia Mikael che Benedict spalancarono gli occhi:
«Ma è impazzito!» esclamò il secondo, portandosi le mani ai capelli «Mik, fai qualcosa!»
«E che faccio? Mi metto ad evocarlo come se fosse uno spirito?»
«Torna indietro!»
Nel tempo in cui i due amici litigavano fra di loro, Ryan era riuscito a raggiungere il muro della villa e ad eludere le telecamere di sorveglianza mentre si arrampicava su esso, sfruttando l’edera che era cresciuta lungo la parete.
Probabilmente era impazzito, e quello sarebbe stato il più grande sbaglio della sua vita, ma era anche convinto che per poter vedere di nuovo Julie - in un modo o nell’altro - ne valesse la pena.
Quando si trovò oltre il muro, sempre coperto dal buio della notte, si spostò silenziosamente fino all’unica finestra illuminata: era aperta, e sul davanzale coperto di cuscini era seduta una ragazza con un libro sulle ginocchia.
Ne riconobbe i capelli biondi, i lineamenti delicati e le curve morbide, e rimase immobile ad osservarla mentre, nel silenzio della notte, la sua voce sottile recitava quietamente parole a lui ben conosciute:
«Oh Romeo, Romeo! Perché sei Romeo?Rinnega il padre tuo e rifiuta il tuo proprio nome» un sorrisino amaro increspò le labbra simili a boccioli di rosa di Julie nel leggere quelle parole. Andò avanti nella lettura sussurrando le parole, ora più forte e ora più piano, come nella melodia di un pianoforte, e Ryan riusciva a sentire quello che diceva solo quando la sua voce cresceva diventando qualcosa di un po’ di più di un sussurro «Oh, sii qualche altro nome! Che cosa c’è in un nome? Quella che noi chiamiamo rosa…»
«Allora lo conosci davvero Shakespeare!» commentò tranquillamente Ryan, uscendo dal suo nascondino all’ombra e mettendosi sotto la luce che veniva dalla camera, Julie trasalì violentemente e trattenne un grido spaventato quando, voltandosi, riconobbe Ryan:
«T-tu!»
«Io!»
Gli occhi grigi di lei si spalancarono tanto dalla sorpresa quanto dal piacere, mentre anche le sue labbra riconoscevano quel ragazzo e si tendevano in un sorriso incredulo:
«Sei impazzito? Se mio padre ti trova qui ti ammazza!» sussurrò.
«Devo risponderti come fa Romeo? Potrei, sai»
Julie rise leggermente:
«Oh no, grazie. Non c’è bisogno. E comunque… non farti strane idee, non stavo leggendo “Romeo e Giulietta” perché tu me l’hai citato stasera, io… ehm…» le sue guance si tinsero di rosso e lei si morse le labbra, incapace di trovare una scusa abbastanza plausibile.
«Ah certo, dopotutto anche io mi metto sempre a leggere tragedie sul davanzale di casa mia alle tre di notte» ghignò Ryan, infilandosi le mani in tasca «è perfettamente normale» il suo ghigno aveva qualcosa di irriverente, e Julie non aveva mai visto un sorriso più affascinante.
«Come è perfettamente normale comparire sotto le finestre della gente a quest’ora e interromperle rudemente mentre leggono il Bardo» rispose, incrociando le braccia sul petto e regalandogli la stessa espressione di scherno.
Ryan finse di pensarci strofinandosi la nuca:
«Mmm in effetti stavo pensando di portare una chitarra e cantarti la canzone dei Dire Straits, ma scalare il muro con una chitarra sulle spalle non è l’ideale...» Ryan finse di abbassare la voce e prendere un atteggiamento cospiratorio «Per non contare che non credo i vicini avrebbero apprezzato, c’è chi dice che canto come un gatto sofferente»
Julie tentò di trattenere le risate, ma era difficile con Ryan, se ne era già accorta quella sera:
«Perché sei venuto qua?» chiese.
«Non mi hai dato il tuo numero!» ribatté il ragazzo, piccato come se lei avesse compiuto qualche orribile mancanza nei suoi confronti, e lei non riuscì ad impedirsi di nuovo di sorridere:
«Tu sei pazzo»
«Forse. Ma non sono forse i migliori ad essere pazzi?»
“Che faccia da schiaffi” pensò divertita Julie mentre scuoteva la testa e si posava le mani sui fianchi, cercando di prendere un piglio severo:
«Ora passi ad Alice in Wonderland? Ma non le usi mai le parole tue, tu?»
Lo sguardo di Ryan si fece più serio in quel momento, quasi avesse raccolto la sfida che lei gli aveva involontariamente lanciato:
«Vuoi che usi parole mie, Julie? Va bene… se devo usare parole mie nel dirti che mi sono innamorato di te, direi che… mi sono innamorato come ci si addormenta, prima lentamente, poi…»
Una spazzola gli arrivò quasi addosso:
«Non credere che non riconosca John Green, farabutto!» esclamò la ragazza a mezza voce, ridendo, lui prese la spazzola e se la portò davanti alla bocca come fosse un microfono, e la fissò seriamente:
«D’accordo, basta citazioni. Questa era solo una prova. Mi sono innamorato di una ragazza, stasera. So che forse nessuno si immagina che sia possibile innamorarsi nel giro di una serata, nemmeno io a dire il vero, però… a me è successo, forse per colpa dei suoi occhi, o del suo modo di muoversi, della sua voce… o magari era colpa delle tre o quattro birre che mi ero bevuto» Julie si finse offesa a quelle parole, ma lui le sorrise dolcemente e andò avanti  «le facevo citazioni di ogni genere e lei fingeva di non capirmi, perché doveva giocare la sua parte, della bella e impossibile. Le sono sbucato nel giardino come un ladro, nel cuore della notte, e l’ho trovata a leggere Shakespeare alla finestra, il che me l’ha fatta piacere ancora di più, ma lei è anche la cugina di uno dei miei peggiori nemici, e in più è troppo “in alto” per me… ma non ho intenzione di farmi ostacolare da una cosa del genere. E lei invece? Cosa ne pensa la “dolce” Julie?»
“La dolce Julie” ebbe bisogno di un paio di secondi per recuperare l’uso della facoltà di articolare pensieri e frasi, poi sorrise intimidita:
«I-io… non credevo possibile innamorarmi nel giro di una serata, ma è successo. E non ho intenzione di lasciarmi portar via questo imprevedibile folle che mi sbuca nel giardino alle tre di notte e mi spia mentre leggo. Quindi no, non voglio farmi ostacolare da nulla, soprattutto non da qualcosa di così stupido come i soldi… o mio cugino»
Rimasero a fissarsi in silenzio, l’unica cosa udibile il battito dei loro cuori, rapido e forte, quasi volesse sfidare il segreto di quell’incontro e la notte che lo proteggeva. Poi si sentì un applauso lento ed ironico, Julie spalancò gli occhi e si guardò attorno, Ryan si fece scivolare di nuovo nell’ombra, ma ormai era troppo tardi.
«Veramente commuovente e romantico» commentò Lucy, comparendo alla finestra sopra quella di Julie, e la ragazza si fece scivolare con un gemito esasperato lungo il davanzale, fino a sparire lasciando visibile solo lo chignon scarmigliato che aveva in testa «un tantino smielato e scontato, ma non male»
Ryan continuò a restare nascosto, ma poi sentì Julie sussurragli di non preoccuparsi.
«È solo Lucy, la donna che mi ha cresciuta, praticamente. Sa mantenere un segreto» mormorò la ragazza, tornando ad affacciarsi «anche se è un tantino impicciona» ruotò il capo e lanciò un’occhiataccia all’altra, che salutò divertita agitando le dita della mano destra.
«Beh, tesoro mio, certo che hai buon gusto, non c’è che dire»
Julie sparì di nuovo, fingendo di singhiozzare, mentre le sue guance si tingevano di rosso, Ryan sogghignò e ringraziò la donna.
«Ma rimane il fatto che sei un giovanotto nei guai, mio caro… potrei non essere l’unica ad aver sentito»
Un brivido corse lungo la schiena ai due giovani innamorati, erano stati così persi l’uno nell’altra da non mettere in conto quella possibilità.
«Non ci avevate pensato, vero?» sussurrò ironicamente la donna.
«No, ma tu stai facendo più casino di noi due messi insieme» sibilò irritata Julie, lanciando un altro sguardo di ghiaccio a Lucy, che intanto se la rideva di gusto fra sé e sé.
Ryan non sapeva bene cosa pensare, quella donna non sembrava una minaccia ma… se ci fosse stato qualcun altro nell’ombra, ad ascoltare?
E poi… quella l’aveva sentito dichiarare così apertamente i suoi sentimenti?! Le sue guance parvero prendere fuoco, e le sue mani iniziarono ad avvertire l’irrefrenabile impulso di mettersi a scavare per terra e seppellirsi lì. Che vergogna.
«Suvvia, Juju, non sto facendo tanto rumore, di sicuro meno di quanto ne avrebbe fatto il giovanotto laggiù se si fosse messo a cantare»
“Datemi una pala” pensò Ryan, sempre più rosso.
«Finiscila, Lucy… e non chiamarmi Juju!» la ragazza si coprì con il libro di Shakespeare e iniziò a picchiettarselo sulla fronte, esasperata.
«Va bene, va bene… sentite, non per fare la guastafeste, ma suggerirei ad entrambi di andare a dormire adesso, specie tu, Julie, non vorrei tua madre notasse le occhiaie domani mattina»
La bionda arricciò il naso in una smorfia:
«Va bene» sospirò.
Per qualche minuto rimasero tutti e tre fermi ed in silenzio: Lucy era affacciata alla finestra ad osservare la scena con un sorriso sornione, Julie era in piedi davanti al davanzale, le braccia incrociate, il libro in una mano e una gamba che tremava di irritazione , e Ryan là fuori, con le mani dietro la schiena e il capo chino, il piede sinistro che scavava un solco per terra mentre lui lo strusciava avanti e indietro, intimidito.
Julie si schiarì la voce e si affacciò di nuovo, ruotando il capo verso Lucy e facendole una smorfia che significava “allora? Te ne vai?”
La donna cadde dalle nuvole:
«Ops! Scusatemi» ridacchiò «buonanotte, piccioncini!»
«’Notte, signora» replicò garbatamente Ryan, soffocando una risatina, Julie alzò gli occhi al cielo e trattenne un sorriso mentre le faceva un cenno con la mano.
Appena la donna fu sparita, i due tornarono a fissarsi negli occhi e a pendere l’uno dalle labbra dell’altra.
«Beh… buonanotte, allora» sorrise Ryan, ancora in soggezione per la paura che Lucy li stesse ancora ascoltando.
«Mille volte buonanotte» sorrise Julie, mandandogli un bacio, lui le fece un sorriso sghembo:
«Mille volte mala notte, invece, ora che la tua luce mi viene a mancare…» sospirò.
«Oh dai, ora non fare il melodrammatico… ci rivediamo domani?»
«Certamente!»
Una luce dall’altra parte della casa si accese, e i due ragazzi si nascosero ancora, finchè quella non si spense di nuovo.
«Devo andare, mia madre si era svegliata. Buonanotte!» sussurrò concitata Julie, prima di correre via dalla finestra e spegnere la luce.
«Aspetta!» sussurrò Ryan, invano «Alla fine non mi hai dato il tuo numero» sospirò sconsolato.
Voltò le spalle e stava per andarsene quando sentì uno “pssss!”, tornò a guardare verso la finestra di Julie, ma non vide nessuno.
«Più su, giovanotto!» ridacchiò la voce.
«Oh s-salve signora» balbettò con un filo di voce Ryan, chiedendosi cosa dovesse dirgli la donna.
«Tieni, quella sbadata di Julie se ne era scordata… e vedi di non farmene pentire»
E con quello, un foglietto accartocciato arrivò ai piedi del ragazzo, che lo raccolse e - illuminandolo con il cellulare - riconobbe un numero di telefono. Sorrise e ringraziò di cuore la donna, poi corse via verso l’alba che avanzava.
 
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4
 
Per giorni, i due ragazzi continuarono ad incontrarsi di nascosto, o lontano dalla città, o di notte sotto la finestra di Julie, che Ryan riusciva a raggiungere arrampicandosi.
L’unica persona a sapere della loro relazione era Lucy, che faceva del suo meglio per favorire gli incontri dei due giovani e mantenerne il segreto, e per qualche tempo le cose andarono per il meglio.
Ma il meglio non può durare a lungo, naturalmente.
Una notte, mentre Julie aiutava Ryan a scavalcare il davanzale per entrare, la porta della sua camera si era spalancata e, con errore di entrambi, sulla soglia si era stagliata la sagoma di Theodore.
«TU!» aveva urlato, mentre si scagliava contro il ragazzo, Julie si intromise e tentò di bloccare il cugino, ma alla fine quello la spinse malamente via, facendola cadere a terra.
In men che non si dica, Theodore si era avventato su Ryan, e i due erano finiti a colpirsi in quella che sembrava la loro ennesima rissa, e come ogni volta, era Theodore quello che sembrava avere la meglio; per quella sera, Julie riuscì a separarli, ma come Ryan fu sceso dalla finestra e sparito oltre il muro, Theodore ricomparve nella camera della cugina.
«Dimmi che non è vero»
«Cosa non deve essere vero?» Julie alzò il mento e osservò Theodore con aria di sfida, e i loro sguardi si incatenarono in quella che sembrava una gara di sguardi che nessuno dei due era disposto a perdere.
«Tu e quel… quel pezzente, quel topo di fogna, quel… quel… sai che viene dalla parte  bassa della città, non è vero?» chiese Theodore, con aria disgustata, la rabbia contenuta a stento, a giudicare da come gli tremavano le mani.
Julie non era meno furiosa di lui, e dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo per non reagire come avrebbe voluto fare:
«So da dove viene Ryan, grandissimo idiota» replicò freddamente «e non me ne può importare di meno» aggiunse, con un gesto stizzito del capo.
Il cugino emise una risata cattiva:
«A te forse non importa, ma ai tuoi genitori non farà certo piacere trovarsi certa feccia in casa»
Julie ridusse gli occhi a due fessure:
«Non glielo dirai»
«Mettimi alla prova» replicò il ragazzo con un ghigno, e prima che lei potesse fare qualcosa, lui la aveva afferrata e spinta sul letto.
Julie spalancò gli occhi:
«Che cazzo vuoi fare?!» esclamò, colpendo le sue dita che giocherellavano con i bottoni della maglia del suo pigiama.
Il sorriso di Theodore aveva qualcosa di animalesco ora.
«Se quel cane può avere quello che vuole da te, perché non posso io? E sta’ ferma!» con una mano le bloccò entrambi i polsi sopra la testa, con l’altra iniziò a toccare il corpo della cugina, che si divincolava e gli intimava di smettere.
L’ultimo bottone cedette sotto le dita ruvide di Theodore, e fu in quel momento che Julie sollevò le ginocchia con tutta la sua forza: la stretta attorno ai suoi polsi sparì e lei ne approfittò per allontanarsi dal cugino.
«Tu sei pazzo» sibilò, mentre con una mano si allacciava di nuovo i bottoncini e teneva l’altra tesa davanti a sé «non provare ad avvicinarti»
Theodore non si scompose: superato il dolore, si rialzò e le sorrise nello stesso modo in cui aveva sorriso a Ryan prima di colpirlo un’ultima volta:
«Certo che non sei divertente, cuginetta… una volta eri più… aperta»
«Fuori da camera mia» scandì lei, la mascella serrata dalla rabbia e dal disgusto.
Passando, Theodore emise una risatina ed uscì:
«È stato un piacere conoscere il tuo ragazzo, Julie… sarò felice di incontrarlo ancora… domani mattina»
 
Il giorno dopo, a scuola, Theodore e altri due ragazzi aspettarono all’ingresso della scuola che Ryan arrivasse, ma lui continuava a tardare.
Al suo posto, comparvero Benedict e Mikael.
«Oh mamma, ehy Ben, guarda chi c’è!» esclamò il secondo appena li vide, un sorriso sarcastico sul viso «volete qualcosa, piccole scimmie ammaestrate?»
Il ragazzo alla sinistra di Theodore fece per avanzare, ma il ragazzo lo bloccò.
«Per una volta non voglio rogne con te, Mikael. Stanne fuori. È Ryan che voglio… devo insegnargli a restare fra quelli come voi, e a non immischiarsi con le nostre ragazze»
«Oh non vuoi rogne con me? Beh… allora temo di doverti dare una brutta notizia: per arrivare a Ryan, devi vedertela con me. Anche perché, come puoi ben notare, del tuo avversario non c’è traccia. E poi… mica è colpa nostra se le vostre ragazze preferiscono l’uomo povero, dalla vita più dura e più duro sotto la vita»
E quello diede inizio alla rissa che avrebbe cambiato tutto: i colpi furono più pesanti del solito, le ferite furono più gravi, e quando gli insegnanti intervennero, un ragazzo rimase a terra, esanime.
Benedict lo fissò, gli occhi sbarrati dall’orrore.
«M-Mikael?» sussurrò, avvicinandosi a lui e scuotendolo delicatamente con una mano.
Niente.
Quando lo girò sulla schiena, tutti poterono vedere il vuoto nei suoi occhi sbarrati.
Alcuni amici di Benedict si avvicinarono e tirarono via il ragazzo, un po’ per allontanarlo da quella vista, un po’ per impedirgli di balzare addosso a Theodore che stava correndo via.
Urlargli dietro non servì a nulla.
«Ben… Ben ascolta! Gliela faremo pagare… stanotte, a casa sua…»
Fu tutto quello che sentì, prima di correre lontano da lì.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


CAPITOLO 5
 
Quella notte, Julie era riluttante a lasciar andare Ryan, ma alla fine la stanchezza ebbe la meglio su di lei, che finì con l’addormentarsi mentre lui la guardava sorridendo prima di scendere.
La ragazza aveva l’impressione di essersi appena addormentata quando si sentì svegliare da qualcuno che la scuoteva in modo concitato.
Spalancò gli occhi e scattò a sedere, trovandosi davanti una Lucy arruffata dal sonno e fuori di sé dalla paura.
«Che succ…» iniziò a dire, con voce smorzata dal sonno, ma la donna le mise comunque una mano sulla bocca e le indicò di tacere, quindi la ragazza optò per l’esprimere la sua domanda con gli occhi.
La stanza era buia, illuminata a malapena dagli ultimi raggi di luna che passavano dalla finestra, ma come Julie fece per allungare la mano verso l’abat-jour sul suo comodino, Lucy le colpì leggermente il dorso e scosse la testa, allungandole qualcosa che dapprima non riconobbe, poi identificò lentamente come una torcia.
«Che sta succedendo?» chiese in un soffio, alzandosi e strofinandosi gli occhi.
«C’è qualcuno in casa» rispose Lucy con lo stesso tono, mentre iniziava ad affaccendarsi e prendere qualcosa in giro e infilarlo in una sacca, che poi le porse «vai alla finestra» le ordinò, spingendola piano, i piedi nudi della ragazza incespicavano nel buio e nei pantaloni del pigiama.
Quando la donna la aprì, Julie la guardò come se fosse impazzita, opponendo resistenza alle mani che le si erano appoggiate sulle spalle e sembravano spingerla.
«Julie!» esclamò a bassa voce Lucy «non è molto alto, devi saltare giù e correre via da qui il più velocemente possibile»
«M-ma… dove sono mamma e papà?» chiese Julie, ribellandosi ancora e - una volta sfuggita dalla presa - correndo verso la porta.
«No!» Lucy tentò invano di riafferrarla, ma la ragazza era già uscita dalla stanza.
 
Julie corse fino alle scale, da cui riuscì a sentire delle voci e il suono di qualcosa che veniva colpito duramente. Si nascose dietro il corrimano in marmo e si spostò lentamente, trattenendo il respiro e cercando di fare meno rumore possibile.
“Non è possibile, queste cose succedono agli altri, non a noi” pensò, continuando a scorrere, e finalmente riuscì ad ottenere una visione abbastanza buona dello spettacolo al piano di sotto: i suoi genitori erano legati a due sedie della sala da pranzo, di fronte a loro due grosse sagome incappucciate che ridevano, gli chiedevano dove trovare dei soldi, e ogni tanto li colpivano.
Quando vide una mano guantata di nero calare sulla pelle delicata del viso di sua madre, sentì una rabbia incontrollabile crescerle in petto, insieme all’impulso di scagliarsi addosso a quell’uomo e colpirlo tante volte da farlo pentire di aver messo piede in casa sua, ma allo stesso tempo era dolorosamente consapevole del fatto di non potersi permettere un simile atto: se l’avesse fatto, nella migliore ipotesi avrebbe ricevuto lei i colpi che avrebbe voluto dare, nella peggiore…
Prima ancora di realizzarlo, Julie si trovò a correre in silenzio verso la camera che si trovava dalla parte opposta alla sua, una in cui mai si sarebbe sognata di entrare di sua spontanea volontà nel cuore della notte.
Aprì la porta e si premette le mani contro la bocca per non urlare di paura quando si trovò a fronteggiare la canna di una pistola.
«Cazzo, Julie» sussurrò Theodore, abbassando l’arma e tirandola per un braccio.
«Ero venuta a chiederti quella» rispose lei, praticamente comunicando solo con il labiale, Theodore parve sorpreso, poi scosse la testa e alzò gli occhi al cielo:
«Esci… usa la finestra» anche lui la spinse verso il davanzale, senza staccare gli occhi dalla porta, ma con lui le proteste della ragazza non servirono a molto.
«È troppo alto» mormorò Julie, seduta con i piedi che penzolavano nel vuoto, serrando gli occhi.
«No, fidati, l’ho fatto altre volte. Salta»
Inspirando a fondo e trattenendo le lacrime, la ragazza deglutì, poi si diede una spinta. Avvertì la sensazione di vuoto all’altezza dello stomaco, la paura che le stringeva l’addome, e poi sentì l’impatto dei suoi piedi con il suolo, e nonostante avesse tentato di ammortizzare il colpo, rimase qualche momento stordita dal dolore, mentre le sue gambe protestavano violentemente.
“Ti prego, fa che non mi sia rotta nulla” implorò fra sé e sé, lottando per alzarsi. Quando una fitta più forte delle altre alla caviglia destra interruppe i suoi tentativi, Julie capì che perdere tempo in quel modo sarebbe stato inutile e rischioso, quindi optò per lo strisciare nel buio fino al capannone degli attrezzi, dietro al quale riprese i suoi sforzi e - finalmente - riuscì ad alzarsi, il dolore che lentamente diminuiva.
Frugò nella sacca che le aveva dato Lucy e fu felice di ritrovarci il cellulare, lo prese con mani tremanti dal freddo e dalla paura e digitò il numero 911 il più in fretta possibile.
Era al telefono con il centralinista quando da dentro la casa arrivò il rumore di due spari; i suoi occhi si sgranarono nella notte e le sue gambe cedettero sotto di lei, facendola finire nuovamente a terra, ma stavolta non fece nemmeno il minimo tentativo di rialzarsi.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


CAPITOLO 6
 
Ryan raggiunse la scuola con passo baldanzoso e un sorrisino sulle labbra, ma tutto il suo buon umore andò in fumo quando vide la polizia davanti all’ingresso che mostrava qualcosa ad ogni ragazzo che passava di lì. Cercò di fermare qualcuno per saperne di più, ma d’un tratto tutti sembravano avere una gran fretta di trovarsi da qualche altra parte.
Alla fine raggiunse l’ingresso:
«Ma che succede?!»
Un paio di ragazze erano in lacrime e corsero via, tranne una che lo guardò con rabbia:
«Ma come hai potuto?!» sbottò, per poi allontanarsi a sua volta.
“Come ho potuto cosa?” si chiese lui, sempre più confuso. Fu a quel punto che si sentì afferrare alle spalle e, voltando il viso, vide un agente dall’aria torva squadrarlo in silenzio.
«P-posso fare qualcosa per lei?»
«Sì» replicò quello ironicamente «sì, in effetti puoi: seguimi» con quello, lo strattonò fino alla volante, ignorando le sue richieste confuse.
Una volta raggiunta la centrale, si ritrovò in una stanza per gli interrogatori, con sbirri che lo osservavano da vicino, alcuni con espressione neutra, altri con un’aria irritata…
Ma che cosa stava succedendo?
«Perché sono qui?» chiese, guardando dal basso verso l’alto l’uomo che camminava davanti a lui, e sembrava sul punto di colpirlo.
«Perché sei qui? Perché sei qui? Fa pure finta di non sapere nulla!» sbottò il poliziotto, sbattendo le mani sul tavolo che li separava, Ryan tentò di allontanarsi e scivolò nella sedia, tentando di sottrarsi al suo sguardo furioso «Va bene ragazzino, se sei in vena di giocare, giochiamo: conosci la villa dei Captes?»
Il cuore di Ryan perse un colpo: ecco perché era lì! L’avevano visto quella notte!
«Io… sì ok ero lì stasera, è questo che volete sapere?»
Parole sbagliate, evidentemente, perché lo sbirro parve montare su tutte le furie, e un suo collega entrò nella stanza a sua volta e dovette intervenire.
«Non capisco perché sono qui… insomma, mica ho fatto male a nessuno o rubato qualcosa, stavamo solo parlando» mormorò il ragazzo, impaurito, mentre si torturava le mani bloccate dalle manette.
«Solo parlando? Non hai rubato nulla? Il nome Theodore Captes ti dice qualcosa?»
Ryan reagì come se gli avessero dato uno schiaffo.
Cosa c’entrava Theodore adesso?
 
«Lucy, Lucy devo parlarci! Lasciami!»
«Sta’ ferma Julie, hai una gamba rotta… e sei sotto shock»
Le due donne erano in una stanza d’ospedale, e Julie non aveva la benché minima intenzione di restare ferma nel lettino su cui era sdraiata con una gamba ingessata tenuta in alto grazie a dei cuscini.
Per essere saltata giù da quattro metri, se l’era cavata piuttosto bene con la frattura di una gamba, la slogatura di un polso e qualche graffio sul resto del corpo.
Per quanto riguardava i suoi genitori, entrambi erano stati liberati dalla polizia quando era arrivata, a terra, davanti a loro, erano stesi due corpi: il primo era quello di uno dei rapinatori, l’altro…
Julie si pietrificò mentre realizzava quello a cui ancora non aveva avuto modo (o il coraggio?) di pensare fino a quel momento.
«Juju?» la chiamò Lucy, preoccupata, mentre le posava una mano sulla spalla.
Gli occhi della ragazza erano fissi sul vuoto, e lentamente diventavano lucidi.
«Theodore» sussurrò.
Sebbene suo cugino le desse sui nervi metà delle volte, e sebbene avesse un pessimo carattere, e non avesse nascosto certo cosa desiderava da lei, erano pur sempre cresciuti insieme, lui le aveva insegnato a difendersi, aveva giocato con lei quando erano piccoli, si era preso le sue colpe per non farla finire in punizione… aveva creduto di odiarlo negli ultimi tempi, ma non avrebbe mai voluto vederlo morto.
«Mi dispiace, Julie…»
«È… è…» la ragazza continuò a singhiozzare «dov’è Ryan?» chiese d’un tratto «Non penseranno davvero che sia stato lui??»
Lucy sospirò, pentendosi di aver lasciato che Julie venisse a sapere dell’arresto del ragazzo:
«Le telecamere hanno ripreso solo lui»
«M-Ma Lucy, noi… noi sappiamo che non è stato lui! Posso spiegare perché era entrato! Ti prego, Lucy!» la ragazza le afferrò il braccio e lo strinse con tanta forza da farle male, i suoi occhi carichi di disperazione la imploravano «Ti prego, ti prego» pianse «non anche Ryan!»
Furono quelle parole che spinsero la donna ad annuire, si alzò e corse fuori dalla stanza.
Julie si coprì il viso con le mani, senza cercare di nascondere le sue lacrime e i suoi singhiozzi disperati. Prima qualcuno entrava in casa sua e torturava i suoi genitori, poi uccideva suo cugino e adesso la polizia, invece che cercare quel bastardo, andava a prendersela con Ryan…
Ma davvero il destino ce l’aveva con loro due, allora!
Alzando lo sguardo al cielo, Julie lasciò andare due parole in un sospiro, mentre le lacrime continuavano a rotolarle lungo il viso:
«Ti prego»
Continuò a ripeterlo nella sua mente mentre si sdraiava di nuovo, portandosi il braccio libero dalle flebo davanti agli occhi.
Quanto ci metteva Lucy? Dove avevano portato Ryan? La sua spiegazione sarebbe bastata?
Con quelle domande, Julie scivolò lentamente nell’oblio di un sonno opaco e privo di sogni.
 
«Julie… Julie svegliati»
Richiamata dalla voce familiare, Julie aprì gli occhi e trattenne il fiato, prima di sorridere:
«Ryan» mormorò, cercando di sollevarsi a sedere, lui la aiutò subito, stringendola delicatamente mentre la tirava su.
«Fa male?» chiese a bassa voce, con tono preoccupato, e le guance della ragazza si tinsero di rosso mentre lei scuoteva la testa e, per la prima volta in vita sua, si sentiva pienamente consapevole di come doveva apparire: arruffata, con una camicia da notte dell’ospedale, una gamba ingessata e gli occhi rossi e gonfi dal pianto… un impiastro completo.
Ryan le stava sorridendo, ma c’era qualcosa nei suoi occhi che la mise in allarme… avrebbe capito la preoccupazione e la paura, dopo quello che anche lui doveva aver passato, ma quella che vedeva era… tristezza.
«Cosa c’è che non va?» gli chiese, sfiorandogli una guancia, lui chiuse gli occhi e nascose il viso nel suo palmo, quasi esitasse a risponderle «Ryan?» incalzò.
Lui biascicò qualcosa, con le labbra sempre nascoste dalla mano di Julie, che la tolse e lo guardò confusa:
«Cosa?»
Un sospiro, poi un altro, e alla fine Ryan si decise a parlare, tenendo gli occhi bassi:
«Sono ancora in arresto, Julie»
Lei sussultò violentemente:
«Perché?!» sbottò «Lucy non ha spiegato la situazione??»
Un sorrisino amaro increspò le labbra del ragazzo:
«Oh sì, ed è stata anche molto persuasiva, ma a loro non basta. Pensano che io - dopo aver parlato con te - sia rimasto dentro casa e… e che sia stato io»
«Ma è una stronz…» Julie si trattenne a stento, ma il fuoco che lampeggiava nei suoi occhi e la smorfia che sfigurava il suo viso esprimeva tutta la sua rabbia «non conta nulla quello che diciamo?» chiese, guardandolo implorante, come se lui potesse fare qualcosa.
«Non ho un alibi» sospirò il ragazzo «i miei dormivano quando sono tornato, e gli erano già a casa loro… e poi, c’è il fatto che lui aveva ucciso Mik» tentò di tenere un tono neutro nel dirlo, ma il dolore dietro a quelle parole era evidente.
«E ora che facciamo?» mormorò Julie nascondendosi il viso dietro le mani, Ryan gliele prese e le allontanò delicatamente, rivolgendole un sorrisino esitante:
«Per ora sono qui» disse, facendolo suonare come una proposta, e la ragazza rimase a guardarlo per un momento, prima di azzerare la distanza fra i loro volti, premendo le sue labbra contro quelle del ragazzo e baciandolo, prima disperatamente, come se non ci fosse più tempo, poi più lentamente, come se esistessero solo loro e tutto il mondo fosse scomparso.
«Non lasciarmi» implorò lei, quando Ryan fece per tirarsi indietro, il ragazzo mise entrambe le mani sul viso di lei e tornò a baciarla, asciugando l’unica lacrima che le era sfuggita.
E fu in mezzo a quel bacio, fra quel continuo incontrarsi di labbra e lingua che ebbe un’idea.

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Capitolo 8
*** Epilogo ***


EPILOGO
 
Lucy era seduta sui gradini della sua casa, un fazzoletto premuto sul viso e il corpo scosso da violenti tremiti.
Erano giorni che piangeva, soffocando grida di dolore in fazzoletti sbrindellati; la gente ormai era tanto abituata a quel suono che non ci faceva più nemmeno caso, le passava vicino e non sprecava nemmeno uno sguardo di commiserazione per lei.
Ciò che creava in lei tanta pena recente, per gli altri era già passato, un’altra storia da leggere la mattina sul giornale, commentare al bar con gli amici, a cena con la famiglia, e poi da dimenticare.
Nessuno le chiese più il motivo di tanto dolore, di tante lacrime, nessuno ebbe più la voglia di sedersi accanto a lei e sentirla raccontare la storia di Ryan e Julie, dei due innamorati che venivano da due mondi diversi, che avevano sfidato il destino per poter stare insieme.
Se qualcuno si fosse degnato di ascoltarla, avrebbe saputo la storia della loro fuga: di come Ryan aveva approfittato della poca libertà che gli era stata concessa per salutare la ragazza ed era scappato dai poliziotti che avevano il compito di riaccompagnarlo in centrale, di come Julie - ignorando il dolore fisico e la paura per quello che stava per fare - aveva aspettato il suo ritorno nella notte radunando quel po’ che aveva con lei; avrebbe anche scoperto del furto della macchina, e di come i due ragazzi erano partiti di nascosto, coperti dalla notte, già loro complice in passato. E
magari - sempre se qualcuno avesse avuto voglia di ascoltare - avrebbe sentito il rumore delle sirene della polizia che li aveva trovati e inseguiti. Forse, con uno sforzo d’immaginazione, l’ascoltatore avrebbe potuto vedere l’espressione spaventata di Julie, lo sguardo determinato di Ryan… e forse, sarebbe anche riuscito a sentire le grida dei due ragazzi quando - complici la pioggia e l’alta velocità tenuta nel tentativo di scappare - l’auto si era scontrata a tutta velocità con il guardrail che separava la strada dal burrone pieno di rocce e alberi sotto di essa.
Lucy era disposta a raccontare questa storia a chiunque avesse voglia di ascoltarla, nonostante il dolore che le causava, ma nessuno trovava il tempo.
E fu così che, finite le lacrime e gettati i fazzoletti, la donna scelse di alzarsi, entrare in casa e prendere un foglio bianco ed una penna nera.
Se nessuno voleva più ascoltare, forse qualcuno avrebbe voluto leggere.
 
For never was a story of more woe
Than this of Juliet and her Romeo



Nota dell'autrice: grazie infinite per aver letto questa storia, mi auguro che vi sia piaciuta!
Se volete farmi sapere cosa ne pensate, lasciate pure una recensione, sarò felice di leggere qualsiasi opinione! ^^
Buona giornata/serata/nottata!

Baci,
Starishadow
 

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