Narra: Lexie.
Quella notte, a causa dei troppi ricordi e pensieri, non riuscii ad addormentarmi.
Continuavo a rigirarmi nel letto, cercando di spegnere il cervello e finalmente riposare.
Ma nulla.
Tutto fu vano.
Così, non volendo continuare a fissare il tetto della mia stanza, inutilmente, decisi d’ infilarmi una semplice felpa blu e farmi un giro per l'hotel.
Durante il giorno, troppe persone, per i miei gusti, correvano qua e di là per i corridoi di quel posto, cercando le superstar del momento.
Infatti, per lo più del tempo, quando il sole era ancora alto in cielo, mi segregavo in camera mia per riposare.
Non avevo altra scelta.
Ancora, dopo ben un mese e mezzo, non mi facevano uscire senza permessi straordinari.
E io, sebbene in un primo tempo mi fossi ribellata, adesso ubbidivo senza esitare.
Di problemi ne avevo abbastanza: non ne volevo aggiungere degli altri.
Una volta recatami nel piano più alto dell’edificio, mi sedetti di fronte all’ enorme vetrata cristallina che s’affacciava sulla pista di pattinaggio di New York, davanti all’ hotel.
La luna era talmente chiara da abbagliare i miei grandi e sognanti occhi grigi.
E le stelle, brillanti e luminose, catturarono la mia attenzione per molto tempo.
La notte, scura e silenziosa, aveva sempre attirato il mio interesse e il mio stupore.
Da piccola, quando mi trovavo, durante le vacanze estive, in campagna, amavo sdraiarmi sui prati profumati e ammirare la maestosità del buio.
Potente e forte.
Ma solo nel mio triste e solitario periodo di “prigionia” imparai a studiarlo e conoscerlo per davvero.
I pensieri era come se prendessero vita.
Come se mi parlassero.
E li ascoltavo, ogni notte di ogni giorno.
Stavo pensando al nome da poter dare al mio bambino quando, ad un tratto, vidi una scura figura traballante entrare nell’hotel.
Corrugai la fronte, pensando di chi si potesse trattare.
Alla fine, non resistendo alla curiosità, decisi d’andare ad investigare.
In un punta di piedi, scesi le scale dell’edificio, fino ad arrivare alla hall.
Il ragazzo, evidentemente tale perché troppo alto e muscoloso per essere una donna, era adesso seduto su una poltroncina, con il viso incappucciato.
Forse dormiva.
Mi avvicinai al suo corpo, attenta a non fare il minimo rumore.
Mi fermai, non appena emise un colpo di tosse, roco e forte.
Saltai in aria, essendo presa alla sprovvista.
Scontrando un piccolo tavolino lì accanto a me.
Alzai gli occhi al cielo, imprecando contro me stessa e la mia poca attenzione.
Poi, mi misi la mano alla bocca, avendo il fiato lungo e non volendo che il ragazzo di fronte a me lo sentisse.
“Sono ubriaco, non sordo”
Decifrai la voce.
Come non avrei potuto?
Anche se leggermente alterata, sarei sempre stata in grado di riconoscerla.
Fu solo in quel momento, che la figura davanti al mio corpo, alzò il volto per guardarmi negli occhi.
“Che ci fai tu qui?”
Ovviamente, non fu gentile ed educato, con me, neanche quella volta.
Il suo tono sprezzante e duro mi fece rivoltare lo stomaco.
“Non sono affari tuoi”
Mi gelò con lo sguardo.
Gli dava ancora fastidio non essere trattato da me come la persona più famosa e speciale del mondo.
Dopo breve tempo sorrise.
Non dolcemente.
Ma amaramente, quasi brutalmente.
“Allora perché sei venuta a cercarmi?”
“Non sapevo fossi tu”
Era vero.
Ma egocentrico e presuntuoso com’era, non ci credette.
“Vai a dormire, Harry. O domani sarai conciato peggio del solito” sospirai.
Così, senza aggiungere altro, gli voltai le spalle.
Decisi di tornare in camera mia, chiudendomici dentro per leggere il miliardesimo libro di quel mese.
Ero nel corridoio, stretto e lungo, quando la mia mano fu stretta violentemente, senza alcuna grazia.
“Dove credi di andare?”
La puzza d’alcool e di sudore inondò il mio corpo, disgustandomi oltremodo.
La bocca del ragazzo, asciutta e tendente ad un sorriso malizioso, era davvero vicina alla mia.
Accigliai lo sguardo, tirandogli uno schiaffo.
“Non toccarmi”
Emise un ghigno, piuttosto divertito dalla mia frase.
“Non dicevi così la notte in cui…”
Lo strattonai, allontanandolo definitivamente dal mio corpo.
Non volli ascoltare la fine di quella frase.
Così, incenerendolo con lo sguardo, gli tirai un lieve pugno sulla pancia, incitandolo a smettere di parlare.
“Credi basti così poco per fermarmi, Lex?”
Odiavo quando mi chiamava così.
Non ero nulla per lui.
Non poteva pronunciare il mio nome in quel modo, come se fossi il suo cagnolino.
Ressi il suo sguardo, cercando di apparire più dura e tosta di quanto credesse.
“Sei un idiota se pensi che mi farò trattare come una merda per sempre”
Per la prima volta da quando l’avevo conosciuto, non controbatté.
Abbassò il volto, portandosi indietro i capelli, che gli cadevano sul viso continuamente.
E come se nulla fosse, dopo molto tempo e successivamente ad avermi guardata un’ultima volta, superò la mia figura e proseguì nel corridoio, muto e solitario.
I miei nervi cedettero, di nuovo.
Era scomparso dalla mia vista, quando decisi d’inseguirlo.
Corsi per raggiungerlo.
Non poteva fare sempre così: o ignorarmi o insultarmi.
Questa volta, fui io a prendergli il polso.
La temperatura del suo corpo era calda, quasi scottante.
Si fermò.
Io ripresi fiato.
Bruscamente, dopo alcuni minuti di immobilità, mi tenne ferma con entrambe le braccia muscolose, bloccandomi la schiena al muro.
Per un ignoto motivo, non opposi resistenza.
Fissai il mio sguardo sui suoi meravigliosi occhi smeraldo, dimenticandomi, per una volta, la situazione in cui mi ero cacciata.
La sua mascella era visibilmente tesa e la sua espressione scura e concentrata.
“Lasciami in pace, Lexie”
Corrugai la fronte, infastidita da quella parole.
Ma anche sorpresa.
Per la prima volta in tutta la sua vita, si era ricordato il mio nome e l’aveva pronunciato correttamente.
Perché doveva essere così complicato, se dopotutto sapeva comportarsi anche semplicemente?
Quello che era accaduto, era accaduto.
Non aveva più senso ripartire da capo e cercare di andar d’accordo?
Non risposi alla sua frase.
Continuai ad ascoltare il mio cuore battere all’impazzata.
Forse sarebbe potuto esplodermi dal petto, da un momento all’altro.
“Tu non sei in pace, Harry… Ti rovini perché non lo vuoi ammettere” bisbigliai, cercando di apparire più tranquilla.
I suoi occhi, scuri e severi, s’addolcirono, come per magia.
Allentò la presa sul mio corpo.
Guardò con attenzione il mio grembo, sfiorandolo con la propria mano destra.
Per lunghi istanti stemmo fermi.
L’uno accanto all’altra.
Sentendo il flebile respiro di ognuno.
“E’ ancora troppo presto, non lo sentirai calciare” sorrisi, notando che, in fondo, voleva stare accanto al bambino.
E non lo odiava, come voleva far credere.
Lui detestava solamente me.
Potevo conviverci con questa consapevolezza, in fin dei conti.
“Che fate voi due là?”
Una voce, più squillante, sebbene assonnata, rimbombò in lontananza.
Era Louis, senza dubbio.
Harry alzò le spalle, allontanandosi immediatamente da me, scattante.
Io arrossii, sentendomi a disagio.
“Andate a dormire, va! Domani dobbiamo spostarci a San Francisco. Sarà una giornata lunga”
Lo sguardo di Louis era ambiguo: forse aveva pensato stessimo facendo qualcosa di strano…
Lì, insieme, così vicini.
Lanciò un’occhiata all’amico, che sghignazzò come un bambino, “sotto i baffi”.
Era la prima volta che lo vedevo sorridere, per davvero.
E, senza farlo apposta, mi ritrovai a farlo anch’io.
Poi Louis se n’andò, proprio come era arrivato.
“La mia stanza é al piano di sopra” dissi, senza pensare se gli interessasse o meno.
Non volevo rovinare l’atmosfera di pace che si era creata.
Magari, una volta sciolta la tensione, avremmo potuto parlare, un minimo, come due persone in circostanze normali.
Tornò serio, non appena mi sentì pronunciare quella frase.
Ma fece un cenno di capo.
Così, sebbene senza fiatare, mi accompagnò alla mia camera.
“Cosa vuoi che ti prepari?”
Il sorriso di Liam, ogni mattina sempre presente, mi rallegrava le giornate.
Inoltre, era un ottimo cuoco e si divertiva sempre a cucinare per la sottoscritta nuove ricette.
“C’é qualcosa che non puoi mangiare a causa del tuo…?”
“Non sono malata, Niall. Sono solo incinta” risi.
Le domande dell’irlandese erano sempre buffe.
Sembravano quasi fatte da un piccolo bambino dolce e innocente.
“Vorrei: due uova con la pancetta e una cioccolata calda” sorrisi al ragazzo castano.
Louis stava leggendo tranquillamente il giornale, magari per vedere se era stata scritta qualche altra stronzata o menzogna su me ed Harry.
“Dove sono…?”
“Zayn e Harry?” domandò Liam.
Feci un cenno di capo, dolce e aggraziato.
“Oggi devono registrare: torneranno questo pomeriggio tardo”
Dopo essere stata informata di quel fatto, mi concentrai su Niall, che tentava inutilmente di vincere un giochino sul telefono.
Alzai gli occhi al cielo, dopo un po’, stufa e annoiata.
Focalizzai la mia attenzione sul panorama che l’enorme finestra offriva davanti a sé.
Malinconica, ricordai i giorni in cui l’aria del vento mi scompigliava i capelli e faceva rabbrividire la mia pelle.
“Potremmo uscire” sentenziò Louis, che da qualche minuto fissava il mio volto intensamente.
Probabilmente, al suono di quelle parole, mi s’illuminarono gli occhi.
“Dici davvero?”
Mosse il capo in avanti, sorridendomi.
“Non so se sia una buona idea” s’intromise Liam, corrugando la fronte.
“Sai quello che si dice in giro, Louis”
Quella frase non la capii.
E mi incuriosì, parecchio.
Accigliai lo sguardo, confusa.
“Sarebbe a dire?” domandai, insistentemente più volte.
Nessuno mi rispose.
“Ehi!”
Niente.
Fu come parlare con dei muri.
Così, decisi di uscire da quella stanza.
“Dove vorresti andare?” sentii urlare Liam.
“Via da qui!”
Corsi nella mia stanza, mi legai i capelli con una lunga coda di cavallo, indossai una gonna e una maglietta di pizzo nera e uscii subito da quel luogo stretto e chiuso.
Furtivamente, cercando di passare inosservata, mi recai nella hall.
Forse tutte le guardie si erano abituate alla mia tranquillità e nessuno ormai si preoccupava più dei miei tentativi di fuga: così, nessuno s’ accorse della mia presenza.
“Non crederai d’andare da sola, vero?”
La mano di Louis, appoggiata alla mia spalla, mi diede conforto.
Era strano uscire da un hotel per prendere una boccata d’aria.
Avevo quasi paura di rivedere la luce del giorno e il cielo sopra la mia testa.
“Se noti che qualcuno ci fissa, fai finta di niente e prosegui senza il minimo interesse, ok?”
“Ok”
Così, vicini e come se nulla fosse, iniziammo ad infiltrarci nelle strade di San Francisco, cercando di goderci quei pochi momenti di normalità.
“Non so come voi facciate a vivere in questo modo” sospirai, esprimendo quello che realmente pensavo.
“I paparazzi potrebbero tempestarvi di domande in ogni singolo momento e le fans caricarvi come pazze. E’ stressante. Senza contare il fatto che non potete camminare senza un cappellino in testa o degli occhiali da sole in faccia per paura di essere riconosciuti da qualcuno”
Lui sorrise, dolcemente.
Per un po’ non rispose, guardandosi intorno felice.
“Dovrai fare lo stesso anche tu, d’ora in poi, Lexie”
Abbassai lo sguardo, consapevole della notizia.
“Con la differenza che, però, a voi tutti vi amano, mentre a me tutti mi odiano” sghignazzai, emanando però dalla mia voce un velo di tristezza.
Inarcò le sopracciglia, sentendo la mia frase.
“E’ quello che Liam voleva tenermi nascosto, non é vero?”
Il ragazzo di Doncaster non rispose, facendomi capire che ci avevo azzeccato.
“Mi sono cacciata io in questa situazione. E io dovrò uscirne”
Mi prese la mano, stringendomela all’improvviso.
“Io ti aiuterò”
“Lo so” sorrisi.
Ehi ragazze, ciao a tutte!
Non so perché, ma oggi mi sentivo particolarmente ispirata per continiare questa storia :3
Ed eccola qui, finalmente.
Spero davvaro vi abbia incuriosite <3
Mi farebbe piacere se me lo faceste sapere: consigliatemi, ditemi cosa devo migliorare, esprimeti i vostri dubbi sul mio lavoro.
Fatevi sentire, perché sono curiosa di conoscervi *0*
Inoltre, se avete tempo e voglia, passate a leggere l'altra mia storia "Piccola Peste"! Ci tengo particolarmente, ho lavorato tanto per renderla bella :3
A presto ragazze e un bacione enorme,
-Zola.
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