Maybe I get drunk again to feel a little love.

di Zola_Vi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** «Pregnant. ***
Capitolo 2: *** «We can do this ***
Capitolo 3: *** «Don't touch me. ***
Capitolo 4: *** «Harry... ***



Capitolo 1
*** «Pregnant. ***


“Harry, come cazzo é potuto accadere?” 

“Questo é un casino. Tu sei nei casini, fino al collo” 

“E se la ragazza ti facesse causa?”

“Ma non hai usato il cervello? Le precauzioni?” 

“Non sapevo neanche della sua esistenza. Chi é?” 

“Come cazzo ha fatto a finire su tutti i giornali?” 

“Harry Styles diventerà presto padre. Riuscirà il ventenne a gestire la situazione anche questa volta?” citò Louis ad alta voce, leggendo una rivista posata sul tavolo, scioccato. 

“Potrebbe essere la fine” 

“Era una fan? Una celebrità?” 

“STATE ZITTI, CAZZO!”

Il ragazzo, che fino a quel momento era stato in silenzio, seduto sulla propria sedia con la fronte corrugata e i capelli spettinati, alzò la voce, facendo tacere tutti quelli intorno a lui. 

Si passò le mani tra i capelli e prese a parlare, cercando di abbassare il tono della voce, invano. 

La notte precedente non aveva dormito. 

La notizia era saltata fuori dal nulla una settimana prima, facendo alterare il suo umore. 

Il suo volto era segnato da terribili occhiaie e i lineamenti, solitamente dolci e rilassati, adesso erano tesi e marcati. 

“Non so come sia successo, ok?”

Si alzò in piedi, facendo tremare la sedia dietro di lui, e uscì velocemente da quella stanza troppo affollata. 

Attraversò il corridoio dell’hotel e si diresse verso la propria camera, sbattendo con violenza la porta e precipitandosi sul proprio letto a peso morto. 

Prese un cuscino e lo lanciò contro il muro, con tutta la sua forza. 

“Cazzo”

Da sempre era stato il membro della band più esuberante e senza controllo, ma adesso aveva superato il limite. 

Stava per diventare padre, per la prima volta. 

E non conosceva neppure la madre, non se la ricordava. 

Sentì bussare la porta, non rispondendo. 

“So che sei lì dentro”

Era Louis. 

Chi altrimenti?

Entrò alcuni minuti dopo, rimanendo attaccato alla parete, guardando l’amico. 

“Ho fatto un casino” 

Il ragazzo di Doncaster sospirò, consapevole dell’affermazione veritiera dell’amico.

“Come può essere accaduto?” 

Era evidente il fatto che il panico lo stava divorando. 

I suoi occhi erano completamente rossi.

 Una lacrima gli scese sul volto. 

“Non lo so. Basterà conoscere la ragazza per capire a cosa andremo in contro” 

“A cosa andrò in contro” sottolineò il ventenne. 

Louis sbuffò, anche lui stanco di tutto quello stress. 

“Siamo come fratelli, Harry. Sei una testa di cazzo, ma non ti lasceremo da solo” 


“Sei tu Lexie?” 
La ragazza, leggermente nervosa, annuì con cautela e seguì l’enorme uomo che le aveva appena posto la domanda. 

Era molto alta, con lunghi capelli mossi e rossi, a tratti neri grazie alle meshes. 

Il suo viso era leggermente paffuto e il carnato molto scuro: i suoi occhi grigi erano circondati da una calcata matita nera.

 Indossava una camicetta bianca, delle all-star dello stesso colore e dei jeans chiari. 

Al suo polso era legato un braccialetto d’oro, con scritto sopra il suo nome. 

Il suo fisico, perfetto e ben tenuto, era frutto di lunghi esercizi in palestra e una dieta ferrea. 

La sua famiglia, dopo aver scoperto del bambino, l’aveva cacciata di casa, buttandola in strada. 

E adesso, Lexie, si trovava in un hotel a Los Angeles, dove i ragazzi della sua band preferita alloggiavano. 

Aveva sempre sognato d’incontrarli, ma sicuramente in circostanze diverse.
Era stata costretta a cercarli, dopo che tutti quelli su cui aveva sempre fatto affidamento l’avevano abbandonata nel momento del bisogno. 

Ora quei cinque ragazzi l’odiavano, ne era certa. 

Ma non le importava più, ormai. 

Doveva crescere: adesso non poteva più pensare a se stessa.

Strinse con delicatezza il suo grembo, che ormai da un mese ospitava un nuovo arrivato. 

Quel gesto le donava sicurezza. 

All’inizio era stata spaventata: tutte le sue certezze erano crollate, ogni singola cosa che aveva pianificato era stata distrutta. 

Ma adesso era diventata forte, decisa, indistruttibile. 

Lexie avrebbe lottato con tutte le sue forze per il bene del piccolo. 

“Finalmente ti conosciamo” 

Tre ragazzi, che lei aveva studiato sempre molto attentamente con le sue amiche, le comparirono di fronte non appena l’uomo enorme le disse di rimanere lì ferma, sul ciglio della porta di una stanza. 

Sorridevano, ma erano visibilmente agitati. 

Si avvicinarono a lei e le strinsero la mano, cercando di essere educati. 

Lexie sapeva che tutto quello che stavano facendo era solo un modo per cercare di farla stare buona e tranquilla: non volevano altri scherzi.

Molto probabilmente pensavano l’avesse fatto apposta, di rimanere incinta. 

Lei li guardò solamente, in silenzio. 

“Harry e Louis non ci sono al momento” 

La ragazza guardò attentamente la stanza: era spaziosa e due finestre enormi, sporgenti su un terrazzo altrettanto grande, regalavano luce alle pareti arancioni. 

Loro le fissavano la pancia, scambiandosi occhiate nervose ogni tanto. 

“Vi starete chiedendo perché non ho optato per l’aborto” 

La sua voce risuonò calma, forse solo leggermente acida. 

Liam scosse il capo, sorridendole. 

“Veramente, mi stavo solo chiedendo perché tu sia venuta qui da sola” 

Lexie lo guardò, cercando d’interpretare il suo sguardo.

“Era la cosa giusta da fare” 

Per fortuna, quel giorno, nessun paparazzo l’aveva vista o fermata: si era messa un cappellino nero in testa e degli occhiali da sole. 

Non sapeva, in realtà, come la notizia si fosse diffusa così velocemente. 

Molto probabilmente le sue due migliore amiche, Sophie e Steffi, l’avevano detto a qualcuno. 

Non era stata abbastanza cauta e riservata, avrebbe dovuto immaginarselo. 

Ma adesso i giochi erano fatti, non poteva cambiare nulla. 

“Hai fame? Vuoi mangiare qualcosa?” 

Scosse la testa. 

Non era decisamente il momento adatto per fare uno spuntino: l’appetito l’aveva abbandonata da un bel pezzo, ormai. 

Il ragazzo biondo prese, dal tavolino basso accanto a lui, una pizzetta con due olive e la mise sotto i denti. 

“E’ leggermente strano tutto questo”ridacchiò, cercando di sciogliere la tensione. 

Zayn lo guardò decisamente male. 

Lui indossava una camicia rossa a quadri blu, con dei pantaloni beige e delle blazer grigie. 

Era stramaledettamente bello, pensò Lexie. 

“Dove hai conosciuto Harry?” chiese il ragazzo di Wolverhampton, cercando evidentemente di far sentire a proprio agio la ragazza.

“In un pub, ero con amici”

Lei rispondeva con risposte brevi, ma concise: non voleva intrattenerli con lunghi discorsi. 

Sapeva che, in fondo, a loro non interessava nulla. 

Volevano solo far finire questa storia il prima possibile. 

“Non cerco soldi, se é questo quello che immaginate” 

Le loro facce s’incupirono, visibilmente. 

Forse Lexie aveva colpito nel segno. 

“So che é ciò che tutti quanti penserebbero in una situazione come questa” 

I tre ragazzi non risposero, continuando a fissarla. 

“Non volevo nemmeno venire qui, da lui. Sono stata costretta, non ho avuto altra scelta” 

“Io ti credo” 
Le parole di Zayn, inaspettate e sincere, colpirono Lexie a tal punto da concedergli un tenue sorriso. 

“Grazie” 


Ehi ragazze C: 
Ciao <3 
Volevo informarvi che questa storia é nuova di zecca e non so quando la continuerò perché ne sto scrivendo anche un'altra, chiamata "Piccola Peste" che ha già 24 capitoli e dovrò aggiornare molto spesso:3 
Questa l'ho pubblicata con l'intenzione d'incuriosirvi! Ma, premetto, che non so quando la continuerò: non appena potrò, certamente, ma ha la precedenza l'altra mia storia. 
Se vorrete essere avvisate del continuo magari mettetela tra le storie "preferite" o "seguite", così potrò contattarvi ed informarvi <3 
Mi farebbe piacere ricevere le vostre opinioni, così avrò il tempo di elaborarle e pensarci attentamente C: 
Grazie mille per aver letto e spero di avervi incuriosite :3 
Ciao bellezze mie e un bacio, 
-Zola. 

 

 

 

 

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Capitolo 2
*** «We can do this ***


“Harry vorrebbe vederti” 

Da giorni, ormai, Lexie era rinchiusa in hotel, sorvegliata da due enormi uomini della sicurezza. 

Era rimasta chiusa in camera sua, praticamente non mangiando niente, a leggere e scrivere. 

Si era sentita come un topo in trappola: adesso non poteva più fare di testa propria. 

Sapeva che, prendendo treni come questi, non c’era possibilità di scendere.

Quando era arrivata tutti le avevano mostrato gentilezza e premura, ma era conscia del fatto che presto tutto quello sarebbe stato solo un lontano ricordo. 

Harry Styles, il padre del suo bambino, non l’aveva ancora incontrata: solo dopo giornate d’attesa interminabili aveva deciso di rivolgerle la parola. 

Lexie, ancora ignara di quello che le stava per accadere, aveva sperato nel meglio, ma senza illudersi troppo. 

Quando Jaime, la sua nuova guardia del corpo, l’aveva guidata fino alla camera del cantante, il cuore della ragazza aveva tremato velocemente, ansioso e impaziente. 

“É lei” poi disse l’uomo. 

Chiuse la porta dietro di lei e la lasciò in compagnia del londinese, da sola.

Il suo corpo era eretto e composto, posizionato di fronte alla finestra di vetro che circondava la sua stanza.

Le stava dando la schiena, non preoccupandosi nemmeno di apparirle amichevole. 

Lexie decise di non proferire parola, non le conveniva. 

“Tutti, compreso Simon, vorrebbero che noi due andassimo d’accordo”  

Emise un sonoro ghigno, quasi terrificante e spaventoso. 

Ma Lexie non si scompose. 

“Ce l’ hanno ordinato, in pratica”

A quel punto, il ragazzo di Holmes Chapel, si girò. 

I suoi occhi erano quasi chiusi in due fessure minuscole, che studiavano attentamente la figura della ragazza di fronte a loro. 

Indossava una camicia bianca e dei pantaloni neri e stretti. 

Il suo viso, visibilmente stanco e frustrato, non era come se l’era ricordato Lexie. 

La sera in cui le aveva offerto un drink, il ragazzo le aveva sorriso come mai nessuno aveva fatto prima. 

La sua voce e il suo portamento erano stati dolci e lenti, il suo comportamento impeccabile.

Lexie era stata impressionata perché si era presentato esattamente come sempre se l’era immaginato: divertente ed esuberante, gentile e ben educato.

Di fronte a sé, in quel momento, invece, non riconosceva nulla in lui. 

“Ma non é quello che vuoi tu” 

Harry corrugò la fronte, rimanendo in silenzio. 

“Tu mi hai incastrato” 

“E’ questo quello che pensi?” 

“Si” 

Lexie annuì, constatando che le sue teorie erano fondate: lui la odiava, senza dubbio. 

“Puoi pensare quello che vuoi, ma la colpa di tutto questo é mia quanto tua” 

Dopo alcuni istanti, lasciando in sospeso il discorso senza farsi troppo problemi, il ragazzo riccio si spostò in direzione del corpo di Lexie, avvicinandosi notevolmente.

“Era troppo difficile resistermi?” le chiese, sorridendole in modo beffardo. 

“Potrei chiederti la stessa identica cosa” controbatté lei. 

Era testarda, caparbia, orgogliosa, sicura di sé: almeno quanto lui. 

Non si sarebbe fatta prendere in giro. 

Lui si allontanò, andando a distendersi sul suo letto, in mezzo alla stanza. 

“Pensi davvero volessi questo figlio anche io, Harry?” 

“Non ti conosco, non posso saperlo” 

“Però lo stai insinuando” 

“Si” 

Lexie trattenne il fiato per alcuni secondi, cercando di mantenere la calma. 

Ma era tutto tranne che facile. 

“Cazzo, sei davvero uno stronzo”

Lui chiuse gli occhi, come per fingere di non averla sentita. 

Invece lo aveva fatto e il suo petto si era stretto, come preso da una fitta di dolore lancinante. 

“Come ti chiami?” 

Lei sospirò, quasi esasperata. 

Sembrava che la mente di quel ragazzo non volesse ricordarla neanche con il massimo sforzo. 

“Vorrai chiedermelo anche di fronte al bambino tra quindici anni? O pensi di poter memorizzare un nome entro qualche ora?” 

Era odioso, secondo Lexie, il fatto che la trattasse come una persona insignificante. 

Lei non lo era, affatto. 

E voleva urlarglielo, sbatterglielo in faccia. 

Invece, con suo dispiacere, si limitò a continuare a guardarlo. 

“Non sono bravo a ricordarmi ciò che non mi piace”

La tentazione più grande della ragazza sarebbe stata quella di prendere il vaso vicino al proprio corpo e di lanciarglielo sulla testa violentemente, ma alzò semplicemente una volta gli occhi al cielo. 

“Mi sa che, oltre a canticchiare qualcosa, tu non sia bravo a fare niente” 

Lui alzò il suo corpo, sistemandosi i capelli e iniziando a fissare Lexie. 

“Questo non lo puoi sapere”

“Come tu non puoi sapere qualcosa su di me, quindi non giudicarmi” 

Sorrise. 

Sembrò compiaciuto da quella frase. 

Forse bastava tenergli testa: magari non era abituato a sentirsi in competizione con qualcuno, aveva sempre tutto facile da quando era diventato famoso, e quella sensazione lo divertiva. 

“Tu mi hai giudicato, Lex”

“Lexie, per te. Non Lex” 

Sghignazzò, maggiormente divertito dal fatto che avesse trovato un modo per infastidirmi. 

Si alzò, lentamente e con comodo. 

“Tu eri una mia fan?”

La ragazza dubitò nel rispondere. 

Non voleva dargli quella soddisfazione, ma doveva dirgli la verità. 

Annuì, leggermente. 

“E, adesso, pensi lo meritassi?” 

Lexie scrollò le spalle, già sicura sulla risposta da dare.

“Non posso saperlo” 

Harry corrugò la fronte, sorpreso.

Si aspettava una risposta assolutamente negativa. 

L’aveva trattata male dal momento in cui era entrata in quella porta: come poteva ancora rimanere così calma e non insultarlo?

“Ho accettato solo dopo un mese il fatto di diventare presto madre. Non posso pretendere che tu lo faccia in soli pochi giorni. E’ normale che tu ti comporti in questo modo, anche se ritengo sia da stronzi e scorretto” 

Lui abbassò lo sguardo, ammirandole il ventre ancora magro. 

“Siamo sulla stessa barca, noi due” sussurrò Lexie, cercando di fare entrare, lentamente, quelle parole nella mente di Harry. 

“Non proprio” riuscì solo a dire lui, incupendo maggiormente il volto.

Lexie avrebbe voluto capire, leggere i suoi pensieri. 

“Non dico dobbiamo essere una coppia, ma…”

Lui la fermò prima che continuasse, gelandola con lo sguardo. 

“Dovremmo farlo, davanti alle telecamere” 

“E dietro?” 

“Dietro sarà come se noi due non ci fossimo mai conosciuti” 

“Puoi imparare a farlo, se é questo il problema” disse lei, tranquilla. 

“No”

“Perché?” 

“Non voglio”

Lexie aggrottò le sopracciglia, perplessa. 

Al suo interno, quel ragazzo, celava verità troppo remote per essere scavate e distrutte con solo una chiacchierata.

“Ci vediamo stasera, a cena con gli altri” disse, alla fine.

La rossa capì immediatamente che quello fu il suo modo di salutarla e mandarla via, con gentilezza.

Non appena chiuse la porta dietro di lei, lasciandolo da solo, le vennero i brividi. 

Come era stato possibile prendersi un’ insana cotta per un ragazzo del genere?

Davanti alle telecamere sembrava la persona più gentile e buona del mondo.

Possibile che si fosse sbagliata così tanto?

Eppure, sebbene le prove fossero evidenti, lei credeva ancora che, Harry Styles, restasse una brava persona. 

Narra: Lexie. 

 

“… e, per poco, mi ha quasi strappato l’orecchio”

Liam stava raccontando una sua esperienza, avuta quello stesso pomeriggio con una fan. 

Una sonora risata generale alleggerì la tensione, che, a volte, si creava. 

Harry non era ancora arrivato. 

Noi erano già al dolce. 

“Gli porterò io qualcosa stanotte” disse Celeste, bisbigliandomi all’orecchio. 

“Dov’è, adesso?” 

Lei alzò le spalle, pensando alla risposta più adatta. 

“E’ uscito dall’hotel non appena ha finito di parlare con te. Probabilmente é andato in palestra”

Accigliai lo sguardo. 

Rimaneva tutto il pomeriggio, fino alla sera tarda, là dentro?

Era muscoloso e forte, ma non fino a quel punto. 

“Non ho più fame” sentenziai. 

Posai la mia forchetta e sorrisi ai ragazzi, gentilmente. 

Mi alzai, fingendo di essere stanca e assonnata. 

“Niall, se vuoi puoi mangiare tu il mio gelato” 

L’irlandese esultò compiaciuto e prese tra le proprie mani il mio piatto. 

“Dove vai?” 

Zayn era sempre molto curioso. 

Ormai era una settimana che ero arrivata e, di già, non smetteva di preoccuparsi per me. 

Forse gli dispiaceva la mia situazione. 

Gli facevo sicuramente pena. 

“In camera mia” 

Salutai con un cenno di mano tutti e mi incamminai verso i corridoi dell’hotel. 

Una tenue e opaca luce illuminava le pareti colorate dell’edificio e un piacevole e buon profumo di vaniglia inebriava l’aria. 

Una scura figura comparve in mia lontananza.

Strabuzzai gli occhi e rallentai il mio passo. 

Quando la mia vista divenne chiara, riconobbi il ragazzo vestito interamente di nero, di fronte a me. 

Il sudore gli calava dalla fronte, risaltando i suoi capelli scuri gocciolanti. 

Il suo passo, possente e sicuro, tuttavia, mostrava la sua evidente stanchezza. 

Lo fissai, mentre lui mantenne lo sguardo basso, concentrato sul pavimento. 

“Gli altri sono ancora a tavola, forse ce la fai a mangiare qualcosa, adesso, se fai veloce” 

Proseguì, superando il mio corpo in silenzio. 

Mi irritai, parecchio. 

“Potresti almeno degnarti di guardarmi!” gli urlai, inutilmente. 

Quel ragazzo era ingestibile per me. 

Nella mia mente, imprecai furiosa. 

Aprii la porta della mia camera e la sbattei. 

“Stronzo” farfugliai. 

Sfiorai il mio ventre, lasciando la mia mano, per molto tempo, posataci. 

“Ce la faremo” sussurrai, sorridendo. 

Ehi ragazze :3 
che ne dite? Vi piace? 
Lexie, come vi sembra?*-*
E il nostro Hazza? Ce li vedete insieme? Come pensate reagirà conoscendola meglio?
O proprio non hanno speranze?C: 
Fatemi sapere bellezze <3 
Mi aspetto almeno tre recensioni dai!:3 
A presto e passata anche a leggere "Piccola Peste", se vi va <3 
-Zola. 

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Capitolo 3
*** «Don't touch me. ***


Narra: Lexie.

 

Quella notte, a causa dei troppi ricordi e pensieri, non riuscii ad addormentarmi.

Continuavo a rigirarmi nel letto, cercando di spegnere il cervello e finalmente riposare.

Ma nulla. 

Tutto fu vano. 

Così, non volendo continuare a fissare il tetto della mia stanza, inutilmente, decisi d’ infilarmi una semplice felpa blu e farmi un giro per l'hotel. 

Durante il giorno, troppe persone, per i miei gusti, correvano qua e di là per i corridoi di quel posto, cercando le superstar del momento.

Infatti, per lo più del tempo, quando il sole era ancora alto in cielo, mi segregavo in camera mia per riposare.

Non avevo altra scelta.

Ancora, dopo ben un mese e mezzo, non mi facevano uscire senza permessi straordinari.

E io, sebbene in un primo tempo mi fossi ribellata, adesso ubbidivo senza esitare.

Di problemi ne avevo abbastanza: non ne volevo aggiungere degli altri.

Una volta recatami nel piano più alto dell’edificio, mi sedetti di fronte all’ enorme vetrata cristallina che s’affacciava sulla pista di pattinaggio di New York, davanti all’ hotel. 

La luna era talmente chiara da abbagliare i miei grandi e sognanti occhi grigi.

E le stelle, brillanti e luminose, catturarono la mia attenzione per molto tempo.

La notte, scura e silenziosa, aveva sempre attirato il mio interesse e il mio stupore.

Da piccola, quando mi trovavo, durante le vacanze estive, in campagna, amavo sdraiarmi sui prati profumati e ammirare la maestosità del buio.

Potente e forte.

Ma solo nel mio triste e solitario periodo di “prigionia” imparai a studiarlo e conoscerlo per davvero.

I pensieri era come se prendessero vita.

Come se mi parlassero.

E li ascoltavo, ogni notte di ogni giorno. 

Stavo pensando al nome da poter dare al mio bambino quando, ad un tratto, vidi una scura figura traballante entrare nell’hotel. 

Corrugai la fronte, pensando di chi si potesse trattare.

Alla fine, non resistendo alla curiosità, decisi d’andare ad investigare. 

In un punta di piedi, scesi le scale dell’edificio, fino ad arrivare alla hall.

Il ragazzo, evidentemente tale perché troppo alto e muscoloso per essere una donna, era adesso seduto su una poltroncina, con il viso incappucciato. 

Forse dormiva. 

Mi avvicinai al suo corpo, attenta a non fare il minimo rumore. 

Mi fermai, non appena emise un colpo di tosse, roco e forte. 

Saltai in aria, essendo presa alla sprovvista. 

Scontrando un piccolo tavolino lì accanto a me. 

Alzai gli occhi al cielo, imprecando contro me stessa e la mia poca attenzione. 

Poi, mi misi la mano alla bocca, avendo il fiato lungo e non volendo che il ragazzo di fronte a me lo sentisse. 

“Sono ubriaco, non sordo”

Decifrai la voce. 

Come non avrei potuto?

Anche se leggermente alterata, sarei sempre stata in grado di riconoscerla. 

Fu solo in quel momento, che la figura davanti al mio corpo, alzò il volto per guardarmi negli occhi. 

“Che ci fai tu qui?”

Ovviamente, non fu gentile ed educato, con me, neanche quella volta. 

Il suo tono sprezzante e duro mi fece rivoltare lo stomaco.

“Non sono affari tuoi”

Mi gelò con lo sguardo.

Gli dava ancora fastidio non essere trattato da me come la persona più famosa e speciale del mondo. 

Dopo breve tempo sorrise. 

Non dolcemente. 

Ma amaramente, quasi brutalmente. 

“Allora perché sei venuta a cercarmi?”

“Non sapevo fossi tu”

Era vero. 

Ma egocentrico e presuntuoso com’era, non ci credette. 

“Vai a dormire, Harry. O domani sarai conciato peggio del solito” sospirai. 

Così, senza aggiungere altro, gli voltai le spalle. 

Decisi di tornare in camera mia, chiudendomici dentro per leggere il miliardesimo libro di quel mese. 

Ero nel corridoio, stretto e lungo, quando la mia mano fu stretta violentemente, senza alcuna grazia. 

“Dove credi di andare?” 

La puzza d’alcool e di sudore inondò il mio corpo, disgustandomi oltremodo. 

La bocca del ragazzo, asciutta e tendente ad un sorriso malizioso, era davvero vicina alla mia. 

Accigliai lo sguardo, tirandogli uno schiaffo. 

“Non toccarmi”

Emise un ghigno, piuttosto divertito dalla mia frase. 

“Non dicevi così la notte in cui…”

Lo strattonai, allontanandolo definitivamente dal mio corpo. 

Non volli ascoltare la fine di quella frase. 

Così, incenerendolo con lo sguardo, gli tirai un lieve pugno sulla pancia, incitandolo a smettere di parlare. 

“Credi basti così poco per fermarmi, Lex?”

Odiavo quando mi chiamava così. 

Non ero nulla per lui.

Non poteva pronunciare il mio nome in quel modo, come se fossi il suo cagnolino. 

Ressi il suo sguardo, cercando di apparire più dura e tosta di quanto credesse. 

“Sei un idiota se pensi che mi farò trattare come una merda per sempre” 

Per la prima volta da quando l’avevo conosciuto, non controbatté.

Abbassò il volto, portandosi indietro i capelli, che gli cadevano sul viso continuamente. 

E come se nulla fosse, dopo molto tempo e successivamente ad avermi guardata un’ultima volta, superò la mia figura e proseguì nel corridoio, muto e solitario. 

I miei nervi cedettero, di nuovo. 

Era scomparso dalla mia vista, quando decisi d’inseguirlo. 

Corsi per raggiungerlo. 

Non poteva fare sempre così: o ignorarmi o insultarmi. 

Questa volta, fui io a prendergli il polso. 

La temperatura del suo corpo era calda, quasi scottante. 

Si fermò.

Io ripresi fiato. 

Bruscamente, dopo alcuni minuti di immobilità, mi tenne ferma con entrambe le braccia muscolose, bloccandomi la schiena al muro. 

Per un ignoto motivo, non opposi resistenza. 

Fissai il mio sguardo sui suoi meravigliosi occhi smeraldo, dimenticandomi, per una volta, la situazione in cui mi ero cacciata.

La sua mascella era visibilmente tesa e la sua espressione scura e concentrata. 

“Lasciami in pace, Lexie”

Corrugai la fronte, infastidita da quella parole. 

Ma anche sorpresa. 

Per la prima volta in tutta la sua vita, si era ricordato il mio nome e l’aveva pronunciato correttamente. 

Perché doveva essere così complicato, se dopotutto sapeva comportarsi anche semplicemente?

Quello che era accaduto, era accaduto. 

Non aveva più senso ripartire da capo e cercare di andar d’accordo?

Non risposi alla sua frase. 

Continuai ad ascoltare il mio cuore battere all’impazzata. 

Forse sarebbe potuto esplodermi dal petto, da un momento all’altro. 

“Tu non sei in pace, Harry… Ti rovini perché non lo vuoi ammettere” bisbigliai, cercando di apparire più tranquilla. 

I suoi occhi, scuri e severi, s’addolcirono, come per magia. 

Allentò la presa sul mio corpo. 

Guardò con attenzione il mio grembo, sfiorandolo con la propria mano destra. 

Per lunghi istanti stemmo fermi. 

L’uno accanto all’altra.

Sentendo il flebile respiro di ognuno. 

“E’ ancora troppo presto, non lo sentirai calciare” sorrisi, notando che, in fondo, voleva stare accanto al bambino. 

E non lo odiava, come voleva far credere. 

Lui detestava solamente me. 

Potevo conviverci con questa consapevolezza, in fin dei conti. 

“Che fate voi due là?” 

Una voce, più squillante, sebbene assonnata, rimbombò in lontananza. 

Era Louis, senza dubbio. 

Harry alzò le spalle, allontanandosi immediatamente da me, scattante. 

Io arrossii, sentendomi a disagio. 

“Andate a dormire, va! Domani dobbiamo spostarci a San Francisco. Sarà una giornata lunga” 

Lo sguardo di Louis era ambiguo: forse aveva pensato stessimo facendo qualcosa di strano…

Lì, insieme, così vicini. 

Lanciò un’occhiata all’amico, che sghignazzò come un bambino, “sotto i baffi”. 

Era la prima volta che lo vedevo sorridere, per davvero. 

E, senza farlo apposta, mi ritrovai a farlo anch’io. 

Poi Louis se n’andò, proprio come era arrivato. 

“La mia stanza é al piano di sopra” dissi, senza pensare se gli interessasse o meno.

Non volevo rovinare l’atmosfera di pace che si era creata. 

Magari, una volta sciolta la tensione, avremmo potuto parlare, un minimo, come due persone in circostanze normali. 

Tornò serio, non appena mi sentì pronunciare quella frase. 

Ma fece un cenno di capo.

Così, sebbene senza fiatare, mi accompagnò alla mia camera. 

 

“Cosa vuoi che ti prepari?”

Il sorriso di Liam, ogni mattina sempre presente, mi rallegrava le giornate.

Inoltre, era un ottimo cuoco e si divertiva sempre a cucinare per la sottoscritta nuove ricette. 

“C’é qualcosa che non puoi mangiare a causa del tuo…?”

“Non sono malata, Niall. Sono solo incinta” risi. 

Le domande dell’irlandese erano sempre buffe.

Sembravano quasi fatte da un piccolo bambino dolce e innocente. 

“Vorrei: due uova con la pancetta e una cioccolata calda” sorrisi al ragazzo castano. 

Louis stava leggendo tranquillamente il giornale, magari per vedere se era stata scritta qualche altra stronzata o menzogna su me ed Harry. 

“Dove sono…?”

“Zayn e Harry?” domandò Liam. 

Feci un cenno di capo, dolce e aggraziato. 

“Oggi devono registrare: torneranno questo pomeriggio tardo” 

Dopo essere stata informata di quel fatto, mi concentrai su Niall, che tentava inutilmente di vincere un giochino sul telefono. 

Alzai gli occhi al cielo, dopo un po’, stufa e annoiata. 

Focalizzai la mia attenzione sul panorama che l’enorme finestra offriva davanti a sé. 

Malinconica, ricordai i giorni in cui l’aria del vento mi scompigliava i capelli e faceva rabbrividire la mia pelle. 

“Potremmo uscire” sentenziò Louis, che da qualche minuto fissava il mio volto intensamente. 

Probabilmente, al suono di quelle parole, mi s’illuminarono gli occhi. 

“Dici davvero?” 

Mosse il capo in avanti, sorridendomi.

“Non so se sia una buona idea” s’intromise Liam, corrugando la fronte. 

“Sai quello che si dice in giro, Louis” 

Quella frase non la capii. 

E mi incuriosì, parecchio. 

Accigliai lo sguardo, confusa. 

“Sarebbe a dire?” domandai, insistentemente più volte. 

Nessuno mi rispose. 

“Ehi!” 

Niente. 

Fu come parlare con dei muri. 

Così, decisi di uscire da quella stanza. 

“Dove vorresti andare?” sentii urlare Liam. 

“Via da qui!” 

Corsi nella mia stanza, mi legai i capelli con una lunga coda di cavallo, indossai una gonna e una maglietta di pizzo nera e uscii subito da quel luogo stretto e chiuso. 

Furtivamente, cercando di passare inosservata, mi recai nella hall. 

Forse tutte le guardie si erano abituate alla mia tranquillità e nessuno ormai si preoccupava più dei miei tentativi di fuga: così, nessuno s’ accorse della mia presenza. 

“Non crederai d’andare da sola, vero?” 

La mano di Louis, appoggiata alla mia spalla, mi diede conforto. 

Era strano uscire da un hotel per prendere una boccata d’aria. 

Avevo quasi paura di rivedere la luce del giorno e il cielo sopra la mia testa. 

“Se noti che qualcuno ci fissa, fai finta di niente e prosegui senza il minimo interesse, ok?”

“Ok”

Così, vicini e come se nulla fosse, iniziammo ad infiltrarci nelle strade di San Francisco, cercando di goderci quei pochi momenti di normalità.

“Non so come voi facciate a vivere in questo modo” sospirai, esprimendo quello che realmente pensavo. 

“I paparazzi potrebbero tempestarvi di domande in ogni singolo momento e le fans caricarvi come pazze. E’ stressante. Senza contare il fatto che non potete camminare senza un cappellino in testa o degli occhiali da sole in faccia per paura di essere riconosciuti da qualcuno”

Lui sorrise, dolcemente. 

Per un po’ non rispose, guardandosi intorno felice. 

“Dovrai fare lo stesso anche tu, d’ora in poi, Lexie” 

Abbassai lo sguardo, consapevole della notizia. 

“Con la differenza che, però, a voi tutti vi amano, mentre a me tutti mi odiano” sghignazzai, emanando però dalla mia voce un velo di tristezza. 

Inarcò le sopracciglia, sentendo la mia frase. 

“E’ quello che Liam voleva tenermi nascosto, non é vero?” 

Il ragazzo di Doncaster non rispose, facendomi capire che ci avevo azzeccato. 

“Mi sono cacciata io in questa situazione. E io dovrò uscirne” 

Mi prese la mano, stringendomela all’improvviso. 

“Io ti aiuterò” 

“Lo so” sorrisi. 

Ehi ragazze, ciao a tutte! 
Non so perché, ma oggi mi sentivo particolarmente ispirata per continiare questa storia :3 
Ed eccola qui, finalmente. 
Spero davvaro vi abbia incuriosite <3 
Mi farebbe piacere se me lo faceste sapere: consigliatemi, ditemi cosa devo migliorare, esprimeti i vostri dubbi sul mio lavoro. 
Fatevi sentire, perché sono curiosa di conoscervi *0* 
Inoltre, se avete tempo e voglia, passate a leggere l'altra mia storia "Piccola Peste"! Ci tengo particolarmente, ho lavorato tanto per renderla bella :3 
A presto ragazze e un bacione enorme, 
-Zola. 

 

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Capitolo 4
*** «Harry... ***


“Smettetela!” 

Le urla di Louis, arrabbiato e con ormai poco controllo, riecheggiarono nella mia mente sonoramente. 

Le sue fans, impazzite e infuriate, continuarono a tirarmi i capelli, come se niente fosse, fino a strapparmene alcuni. 

Altre, invece, imprecarono parole mostruose e senza freni. 

Il mio volto, protetto dalle mie mani, tenute ben strette le uno alle altre davanti ai miei occhi, si rifiutò categoricamente di osservare gli sguardi accusatori e sprezzanti della ragazze davanti a se. 

Era sufficiente avere le orecchie perché rimanessi ferita e offesa. 

Poi, tutto ad un tratto, un attacco d’ansia pervase il mio animo, ricordandomi che non fosse il mio viso la cosa più importante da proteggere.

Ma la pancia. 

Così, senza pensarci due volte, strinsi le mie braccia attorno alla vita, cercando di evitare colpi bruschi. 

“Sei una stronza!” 

“Troia!” 

“Non meriti Harry!”

“L’hai incastrato!” 

“Spero che il tuo bambino muoia!”

Ascoltando quell’ultima frase il mio cuore si frantumò, incapace di comprendere tanta ingiustizia e cattiveria. 

Ero una ragazza normale. 

Proprio come loro. 

Come potevano essere così crudeli?

“Ecco a cosa si riferiva Liam” sibilò Louis, ringhiando contro se stesso. 

Forse si sentiva colpevole. 

Se mi avesse fermata, nella hall dell’hotel, in quell’istante non ci saremmo trovati nei guai. 

“Ascoltate!” urlò, ammutolendo la folla. 

“Se mi promettete che la lascerete andare, senza aggredirla ancora, vi giuro che firmerò ad ognuna di voi un autografo”

Il silenzio invase la via, tanto affollata quanto stretta. 

Vidi le teste di ognuna delle ragazze ondeggiare, imitando un timido cenno di capo. 

“Adesso vai” mi sussurrò Louis con voce sicura e ferma. 

Deglutii, ancora scossa e spaventata. 

Ma non feci domande. 

Lentamente, decisi d’allontanarmi da lui e farmi spazio tra la folla. 

Quando finalmente fui lontana da tutti, accelerai il passo come per voler dimenticare quella pazzia, barcollando dal dolore causato dai graffi delle fans. 

 

Narra: Harry. 

 

“Come sarebbe a dire che l’hai persa?”

La voce di Zayn, alterata e preoccupata per Lexie, mi fece alzare gli occhi al cielo, spazientito. 

Tanto fumo e niente arrosto. 

Poteva andare a cercarla, se tanto era preoccupato. 

“Dove l’hai lasciata l’ultima volta, Louis?” 

“Vicino al Golden Gate”

“E hai già controllato lì?” 

Annuì, corrugando la fronte. 

Liam lo seguì, non soddisfatto delle risposte ricevute. 

“Non abbastanza” sussurrai. 

Così.

Senza chiedere il permesso a nessuno. 

Senza salutare nessuno. 

Senza avvisare nessuno. 

Presi la giacca nera posata sulla sedia accanto a me, non preoccupandomi di chi fosse, me la infilai velocemente, avendo tutti gli occhi puntati su di me, e uscii da quella stanza. 

 

Il vento, gelido e impetuoso, fece sì che lasciassi scivolare la mia testa all’interno della sciarpa marrone attorno al mio collo. 

Le strade di San Francisco, tutte uguali e a sali-scendi, erano ormai state tutte percorse dal mio corpo almeno due volte. 

Quando il mio telefono, con una suoneria lenta e calma, suonò. 

Lo tolsi dalla tasca dei miei pantaloni e risposi, non riconoscendo il numero comparso sullo schermo. 

“Devo trovarla, quindi non ditemi di ritornare in hotel, perché non lo farò senza di lei” affermai aggressivo, per far comprendere la mia determinazione a chiunque stesse ascoltando. 

“Harry…”

Riconobbi la sua voce. 

Quella di Lexie.

Corrugai la fronte.

Aveva il mio numero?

Perché era stata così stupida da lasciare l’hotel senza permesso?

Non potevo ancora contare su di lei. 

Era imprevedibile.

“Volevo solo farti sapere che non tornerò, stasera… dillo agli altri per favore…”

Accigliai lo sguardo, sorpreso e non d’accordo. 

“Non dire stronzate. Dimmi dove sei” 

“No. Non lo farò”

Era testarda. 

Terribilmente. 

E questo mi fece impazzire. 

“Lexie, o me lo dici o…” 

“O cosa? Non mi parlerai più? Mi metterai in castigo come i bambini? Lo fai già” 

Sospirai. 

Mi faceva sembrare un mostro. 

Forse lo ero. 

Con lei, almeno. 

“Dimmi almeno dove sei” 

Stette in silenzio per alcuni minuti. 

Ma, alle fine, rispose. 

“In un bar, vicino al fiume”

A quel punto, riattaccai, di fretta. 

Se pensava di poter scappare, si sbagliava di grosso. 

Così, senza farmi troppi problemi, ripresi a camminare ininterrottamente e velocemente. 

Era ancora una ragazzina.

Come pretendeva che credessi stesse bene e fosse senza problemi, dopo tutto quello che aveva passato poche ore prima?

Era caparbia e orgogliosa, ma non insensibile. 

E io, dopotutto, dovevo prendermene cura. 

 

Il suo corpo, che pochi mesi prima avevo reputato maledettamente sexy e irresistibile, era seduto all’angolo della stanza. 

Sorseggiava una bevanda calda, poiché notai il fumo salire dalla tazza che teneva stretta attorno alle mani. 

Ero entrato in mille posti, ma alla fine l’avevo trovata. 

Attento a mantenere il più nascosta possibile la mia vera identità alle persone accanto a me, ma deciso a raggiungerla e portarla via, mi avviai verso il suo tavolo. 

Era come se nulla affianco a lei esistesse.

Teneva lo sguardo perso nel vuoto, costantemente. 

Corrugai la fronte, pensando a cosa potesse provare, in quel momento. 

Lentamente, posai il mio sguardo sul suo viso, una volta giunto a poca distanza dalla sua postazione. 

Alzò lo sguardo non appena si accorse di non essere sola. 

E cercò di pietrificarmi con solo quel gesto. 

“Vattene” 

Non risposi. 

E non feci quello che mi aveva ordinato di fare. 

Girò il volto. 

E stette in silenzio, di nuovo. 

Passati alcuni minuti, decisi di sedermi di fronte al suo corpo. 

I miei occhi, sempre scuri e severi, la studiavano come se fosse per la prima volta. 

In effetti, da quando era comparsa nella mia vita dopo quella notte, lo era davvero. 

I suoi profondissimi occhi color nero pece continuavano a fissare la cioccolata calda, come se al suo interno vi fosse qualcosa di tetro e spettrale. 

All’improvviso mi suonò il telefono, per la cinquantesima volta. 

Non lo presi neppure in mano. 

Ignorai il suono della mia suoneria per svariato tempo, fino a quando la ragazza davanti a me decise di rivolgermi nuovamente la parola. 

“Ti stanno cercando?” 

Annuii, non cambiando l’espressione facciale nemmeno di un millimetro. 

“Non sanno che sei qui?” 

Scossi il capo. 

Silenzio.

Ancora. 

La sentii sospirare, tutto d’un tratto. 

“Perché sei qui?” 

Accigliai lo sguardo, sorpreso da quella domanda. 

“Tu non mi vuoi nella tua vita. Allora perché sei venuto a prendermi?”

Abbassai lo sguardo per un secondo, pensando alla sua affermazione e riflettendo alla domanda che avrei potuto darle.

“Finisci di bere e andiamo” 

I miei occhi, adesso, erano posati sul suo grembo. 

Come preso da una snervante e irrefrenabile tentazione, avrei voluto starle accanto, accarezzarle la pancia, giusto per sentirmi vicino a quel piccolo essere che stava nascendo dentro di lei. 

Ma non feci nulla, se non alzarmi dalla mia sedia. 

Presi dalla tasca dei miei pantaloni cinque dollari e li posai sul bancone, facendo segno al cameriere che avevo pagato io per la ragazza. 

Le girai le spalle e iniziai a camminare verso l’uscita del bar. 

L’aspettai in piedi, con la schiena poggiata alla porta del negozio. 

Mi fissò per molti istanti, forse cercando di capire cosa avessi in testa. 

O forse sperando di potermi mandare via con la sola forza del pensiero. 

Tuttavia, alla fine, mi raggiunse. 

Il vento freddo, non appena uscito da quel posto chiuso, mi scompigliò i ricci.

Affondai le mani nelle tasche della mia lunga giacca e incominciai a camminare più velocemente. 

Quando mi accorsi, però, di essere ormai troppo distante da lei, rallentai il passo, fino ad averla al mio fianco. 

“Puoi anche fare a meno di starmi intorno. Me ne sto bene anche da sola” 

Sorrisi. 

Forse divertito dalla troppa stranezza delle circostanze.

Forse per disperazione. 

Forse semplicemente perché non lo facevo da troppo tempo e mi andava di farlo. 

Vidi accigliò lo sguardo, fissandomi scontrosa. 

“Chiama gli altri e digli che non sono morta” aggiunse, dopo un po’. 

Il tono della sua voce era ancora acido. 

Ma non so per quale motivo, ero quasi sollevato di sentirlo ancora. 

“Non sono sicuro che io sia la persona che più vorrebbero sentire, in questo momento”

“Perché?” 

La guardai per svariato tempo. 

Ma alla fine le risposi. 

 

Narra: Lexie. 

 

Quando tornai in hotel la mia voglia di vivere s’estinse completamente. 

Tutti continuarono a guardarmi male per l’intera serata, senza rivolgermi la parola.

Tutti tranne Zayn.

Ed Harry: che alla fine si faceva i fatti propri.

Durante la giornata era stato persino carino con me.

Il moretto mi aveva assicurato che il ricciolo si fosse preoccupato quando ero scappata. 

E saperlo mi fece sorridere. 

Forse qualche speranza d’andare d’accordo l’avevamo.

“Non é così stronzo come vuol far credere”

Se lo diceva lui, che era suo amico, forse mi potevo fidare. 

Passammo le ultime ore del giorno a giocare a carte, cercando di evitare le brutte occhiatacce che quelli dello staff mi mandavano. 

Passare il tempo con Zayn era piacevole. 

Lui sapeva come farmi ridere.

Tuttavia non era sufficiente, a volte. 

“Hai già pensato ad un nome per il bambino?”

“Non so ancora se é maschio o femmina…”

Fu in quel momento che Harry si girò verso di noi, con sguardo serio. 

“E’ una bambina” 

La mia anima sorrise. 

Non appena si parlava dell’argomento, lui drizzava subito le orecchie e interveniva immediatamente. 

“E ora dovresti andare a dormire, Lexie. E’ tardi” 

Odiavo quando mi diceva cosa dovevo fare. 

Ma in quel momento non ci pensai e feci come aveva detto. 

In fondo, lo faceva per lei

Ehi, ragazze :) 
Ciao a tutte! Finalmente sono riuscita ad aggiornare la storia, mi dispiace avervi fatto aspettare così tanto. 
Ma quando scrivo ho bisogno dell'ispirazione, altrimenti non sono abbastanza soddisfatta e non riesco poi a continuare. 
Allora, come vi sembra questo capitolo?
Forse é troppo corto, ma provvederò!:3 
Cosa ne dite di Lexie? O di Harry? 
Mi farebbe piacere ricevere alcune recensioni, rispondo sempre a tutte e le trovo sempre molto costruttive!C:
Come vi piacerebbe che la storia andasse avanti? Cosa vi aspettate? 
Sono curiosa <3 
Fatemi sapere, quando ne avrete voglia. 
A presto e un bacio, 
-Zola. 

P.S: Passate a dare un'occhiata all'altra mia Ff "Piccola Peste", mi farebbe davvero piacere! Ci tengo tantissimo.

 

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