Torniamo in superficie

di _eco
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ://: ***
Capitolo 2: *** ://: ***
Capitolo 3: *** ://: ***



Capitolo 1
*** ://: ***


Questo è il primo di tre capitoli. È una piccola long, il massimo che sia riuscita a scrivere. È tutto ciò che ho sempre immaginato sarebbe successo alla fine della quarta stagione... but, Jeff Davis è una pippa.
Vabbé, spero vi piaccia. ♥
S.
 
Torniamo in superficie
Capitolo 1
Stiles guarda nervosamente il poliziotto di fronte a lui. Non crede di averlo mai visto in giro, alla stazione di polizia. 
Sarà uno nuovo, pensa, mentre segue spasmodicamente con lo sguardo il continuo picchettare delle sue dita nodose contro la tastiera del computer.
- Carnagione pallida. - ripete con fare distratto il poliziotto, cercando l'assenso nel viso di Stiles, che scuote il capo e sbuffa evidentemente. 
- Diafana. - lo corregge, richiamando alla mente quella volta in cui Lydia descrisse proprio con questo aggettivo la tonalità della sua pelle. 
Stiles aveva annuito in silenzio. Poi, una volta giunto a casa, aveva cercato la definizione esatta di quella parola così inusitata, se detta da una ragazzina di dieci anni. 
Il poliziotto fa una movimento della mano, come per liquidare la precisazione di Stiles. Cose di poco conto, sembra dire.
Stiles artiglia con le dita il bordo del tavolo, inspirando profondamente. Calma, Stiles. Calma. Inspira. 
La troveranno.
Espira. 
La troverai.
- Occhi verdi, quindi? - continua il poliziotto, passando in rassegna rapidamente le indicazioni che Stiles gli ha riferito poco fa.
Il ragazzo annuisce, confuso.
Vorrebbe aggiungere altro. Grandi occhi verdi, luminosi occhi verdi, così pieni di sfumature che ti ci perdi.
Ma, alla fine, a cosa servono questi dettagli quando stai contribuendo alla creazione di un identikit? A nulla. 
Non sarà certo a loro che servirà una descrizione così dettagliata. Loro non capiscono. Loro non vedranno mai in Lydia ciò che lui vi ha sempre visto. Così, terrà per sé tutti i dettagli, tutte le precisazioni, perché solo lui potrebbe scorgerle. 
- Labbra carnose. -
Stiles annuisce, di nuovo.
Non sa nemmeno perché ha acconsentito a fare lui l'identikit. Avrebbe potuto farlo Scott, avrebbe potuto farlo Kira, o Malia, addirittura lo Sceriffo stesso. Ma, quando ha visto la signora Martin, il viso cereo e le labbra tremanti, ha deciso che sarebbe andato lui. Lo avrebbe fatto lui. Adesso, però, quasi si pente di essersi addossato questo peso. È come se a ogni informazione elencata la vedesse davanti a lui. È lì, al suo fianco, lo sguardo che implora aiuto. 
Dove sei, Lydia? Dove?
Potrebbe essere ovunque, nelle mani di un qualche pazzo assassino. Potrebbe essere dall'altro capo del mondo. Forse sta piangendo. Forse sta ancora dormendo, narcotizzata da una qualche strana sostanza che le hanno fatto respirare. Forse - e a Stiles, tra le tante opzioni, piace pensare che sia così - sta sfruttando il suo pungente sarcasmo per rifilare qualche risposta acida ai suoi rapitori. No, no, ripensa Stiles subito dopo. 
Non fare passi falsi, Lydia. Non provocarli. 
E lui, Stiles, cosa sta facendo? Niente. Sta perdendo gli ultimi neuroni ancora funzionanti nel disperato tentativo di ricostruire i caratteri somatici di Lydia davanti a un perfetto idiota.
- È proprio necessario? - chiede, pur sapendo la risposta. 
- È la prassi. - risponde il poliziotto. 
Stiles sbuffa e si irrigidisce. È la prassi, certo. E sapete qual è la cosa più buffa? Che a Stiles, a quel piccolo moccioso iperattivo,  la prassi, le faccende burocratiche, tutto ciò che stava dietro un'indagine, piacevano da matti.
- Bene. Fa parte della prassi starsene qui a non fare niente, mentre le possibilità che le facciano del male aumentano di minuto in minuto? A che serve un identikit?  È Lydia Martin, per l'amore del cielo! Anche i muri la riconoscerebbero. - sbotta tutto d'un fiato, rosso in viso.
Una vena inizia a pulsare minacciosa nelle tempie. Gli sembra di avere della segatura in gola.
- Forse i muri di Beacon Hills, ma non quelli degli Stati Uniti e oltre. Dobbiamo prendere in considerazione l'ipotesi che non sia più nella Contea di Beacon Hills. - chiarisce con tutta calma il poliziotto, preparandosi a leggere il resto. 
Stiles boccheggia. Ha ragione. Altro ché. E l'idea che Lydia sia oltre i confini della contea, addirittura in qualche altra regione degli Stati Uniti, lo fa impazzire. Forse anche oltre. 
- Allora. Capelli rossi, giusto? - insiste l'uomo.
Stiles drizza la schiena. Scintille di follia sembrano attraversare i suoi occhi. 
- D'accordo, abbiamo finito. Faccia il suo identikit con qualcun'altro. Io vado a cercare Lydia. - conclude, raccogliendo la sua giacca e avviandosi verso la porta. 
Poco prima di uscire, le dita ancora avvolte attorno alla maniglia, un nodo fitto che si attorciglia in gola, Stiles alza il viso e guarda di fronte a sé. Attraverso la porta a vetri, vede Scott, Kira, Malia, suo padre, la signora Martin.  Tutti. Solo Scott si accorge della sua presenza e lo fissa con sguardo interrogativo. 
Stiles si schiarisce la voce.
- Biondo fragola. - mormora con voce rotta.  - Sono biondo fragola. -
Non si volta nemmeno a controllare l'espressione facciale del poliziotto. Probabilmente avrà scosso la testa e sventolato la mano, come prima. Probabilmente lo starà prendendo per pazzo, ma non importa. Non importa, perché sarebbe la più corretta intuizione che si potesse fare su Stiles,  ora come ora.
Non scherzava, Stiles, non esagerava, sapete, quando le disse che sarebbe completamente uscito fuori di testa,  se le fosse successo qualcosa. 
                                     *****
Lydia solleva le palpebre più volte, prima di mettere a fuoco ciò che la circonda. Ricorda di aver letto qualcosa, da piccola, a proposito dei cinque sensi. In realtà, più di qualcosa. Una teoria riguardante la più rapida reattività dell'udito rispetto agli altri sensi. Forse, si dice, è per questo che, prima di capire distintamente ciò che la circonda, capta alcune voci sommesse e un continuo, meccanico bip accanto a lei. C'è da dire, poi, che lei ha un udito particolarmente sviluppato, ma questa è un'altra storia.
- La principessa si è svegliata. - constata una voce femminile, carezzevole al punto di risultare vomitevole.
Passi si avvicinano mesti a lei. 
Lydia è distesa, ma non è sicura di sentire la presenza dei propri arti. Di certo, avverte una pungente pressione all'altezza dell'avanbraccio sinistro. La testa le prude. Non osa nemmeno immaginare in che stato siano i suoi capelli. Li aveva lasciati morbidi sulle spalle,  quando... quando? Da quanto tempo si trova in questo stato? 
Gli angoli del suo campo visivo sono ancora adombrati da una patina traslucida, quasi un'enorme, paffuta nuvola si stagliasse prepotentemente di fronte a lei.
La donna siede accanto a lei. Da quel che Lydia riesce a distinguere, non è particolarmente gradevole d'aspetto. È bassa e leggermente tarchiata. Gli occhi scuri la fissano con una curiosità e un entusiasmo perverso.
Man mano che le sue funzioni vitali si vanno riattivando, Lydia avverte un dolore sordo dipanarsi per tutto il corpo. Le ossa scricchiolano come i gradini di una vecchia scala a pioli,  ma la cosa peggiore è la schiena, rimasta immobile nella stessa posizione per troppo tempo. 
- Lydia. - sibila la donna, assaporando ogni lettera del suo nome, come se si trovasse in contemplazione di una creatura rara. 
Lydia apre e chiude gli occhi più volte e tenta di sollevarsi, reggendosi sul gomito affondato nel materasso duro su cui è distesa. Tuttavia, ricade con un tonfo sordo e netto pochi secondi dopo. Ed è allora,  esattamente nel momento in cui il gomito cede, che Lydia scorge il motivo del continuo pizzicore che avverte. Un ago. Conficcato nel suo avambraccio. Si trattiene dall'emettere un grido isterico. 
Lydia è terrorizzata da qualsiasi oggetto appuntito. Dei coltelli, degli aghi, degli spilli, delle puntine da disegno,  dei chiodi. E adesso, per qualche strano scherzo del destino, un ago ha trovato albergo nella sua carne senza che lei potesse opporsi. 
È connesso a un tubo sottile e trasparente, attraverso il quale scorre un liquido giallo intenso. Lydia sussulta all'improvviso, raccogliendo tutte le forze che ha in corpo per strapparsi di dosso quel coso. E non solo perché è un ago, ma perché le stanno iniettando chissà quale veleno da un tempo indefinito. Potrebbe ucciderla, potrebbe farla smettere di respirare da un momento all'altro, e questo la spaventa a morte.
La donna scatta immediatamente verso di lei, spingendola con una mano e facendola tornare distesa. 
- Levatemelo di dosso! - si oppone Lydia, con voce stridula.
È come se quelle parole le avessero graffiato la gola, che ora sanguina internamente. Cosa le sta succedendo? Perché riesce a stento a parlare? 
Si porta una mano sul collo, come se dovesse esserci qualcosa che le stringe le corde vocali e le impedisca di modulare il tono di voce.
Niente.
- Ah, ah. - obietta la donna, scuotendo il dito davanti al viso di Lydia. - Non vogliamo che la nostra preziosa cavia faccia la cattiva. - cantilena, con un sorriso compiaciuto.
È allora che Lydia ricorda quegli occhi curiosi, indagatori, avidi di sapere tutto, assolutamente tutto, sui suoi poteri da banshee. Ricorda quel profilo piccolo e tarchiato, la voce melensa con uno strano accento spagnoleggiante a renderla ancora più stomachevole. 
Araya. Araya Calavera. 
Cavia.
Gli occhi di Lydia saettano da una parte all'altra della stanza. Le pareti bianche come la neve rischiano di accecarla e la costringono ad abbassare lo sguardo sul proprio braccio. È ancora più pallido di quanto Lydia non ricordasse. E solo quando avvista una sacca trasparente abbandonata su un tavolo metallico lì accanto, sa darsi una risposta da sola. Sangue. Il suo, suppone.
Lydia strizza gli occhi, nello sforzo di quantificare l'entità del sangue perso. Un litro, forse. O forse un poco di più. 
Insipira profondamente. 
Va tutto bene.
Il corpo umano ne ha una media di cinque a disposizione. Calma.
- Cosa mi state facendo? - chiede con voce sottile, sull'orlo del pianto. 
Si morde il labbro inferiore. 
Non piangere, Lydia. Non piangere. 
Araya si mette comoda, congiunge perfettamente le mani e sorride, come se non aspettasse altra domanda. 
- Ti aiutiamo. -
- A morire dissanguata o intossicata? - ribatte Lydia,  che non ha perso il suo sarcasmo. 
Araya ride. Una risata gelida.
- Hai detto di non saper controllare i tuoi poteri, ma di volere solo aiutare. Non è così? Abbiamo grandi progetti.- le fa sapere, mettendo su la voce che una madre impieghrebbe per dare al proprio figlio la notizia più bella dell'anno.
Lydia deglutisce. Il braccio sinistro inizia a intorpidirsi di nuovo.
- Creeremo una macchina. Una macchina perfetta, Lydia. Saremo in grado di predire la morte. Solo grazie a te. -
Lydia si umetta il labbro inferiore, nel disperato sforzo di non scoppiare in lacrime. Un nodo strettissimo le ostacola persino il più naturale degli istinti umani: il respiro. 
- Immagino che sarà così perfetta da implicare la mia morte, prima. - 
Araya ride, di nuovo.
- Oh, ma sai che non ti ricordavo così spiritosa? - la stuzzica. 
A questo punto, Lydia non riesce più a trattenersi. Schiude le labbra, pronta a urlare con tutta la forza che ha in corpo. Non sa dove si trovi. Forse in Messico, o forse no. Forse è ancora nei pressi di Beacon Hills. 
Qualcuno dovrà pur sentirla. 
Ma non riesce nemmeno ad urlare,  e per due motivi. Punto primo, la voce le muore in gola,  graffiandola ancor di più, e Lydia non ne capisce il motivo. Punto secondo, Araya le molla uno schiaffo in pieno viso, sulla guancia destra, che ora ha acquistato più colore del resto del viso. 
- Non siamo così stupidi da lasciare a una Banshee il suo potere più efficace. - la fredda poi, strisciando la sedia contro il pavimento e uscendo dalla stanza. 
Quando sbatte la porta di metallo con forza,  Lydia si concede qualche lacrima. Scorrono in silenzio, calde e brucianti, solcandole il viso pallido.
No, diafano. Diafano ha un suono più delicato.
Del resto, sin da quando ha letto per la prima volta questo aggettivo in un libro, a Lydia è sempre piaciuto descrivere così la sua pelle.
 
***
Le dita di Stiles tremano febbrilmente. Stringono un filo di lana rosso intenso.
Irrisolto. Significa irrisolto.
Quasi sente la sua stessa voce, che riemerge dai meandri più reconditi della sua memoria, pronunciare quelle parole. Quasi scorge i suoi occhi, come se si fosse per un attimo straniato da se stesso. Li vede brillare. Brillare di luce riflessa.
E vede – immagina – la sua stella, o il fantasma di quell’astro luminoso, proiettare un’ombra confusa sul letto, semidistesa nella stessa posizione di quel pomeriggio che sembra lontano anni luce.
Irrisolto.
Stiles aveva quasi sorriso, quel giorno, quando le aveva spiegato nei minimi dettagli i “segreti” del mestiere. Aveva sorriso, perché si era sentito importante. Interessante, forse, per quella ragazza che mai, sino a poco tempo prima, lo aveva degnato di uno sguardo. Un tantino speciale, quasi, agli occhi di quella creatura che gli era sempre sembrata intangibile, velata dalla sua cupola di trasparente perfezione.
Ma ora non ci trova nulla da sorridere, nemmeno per sogno.
Il filo rosso significa “irrisolto” e adesso lo sta usando per collegare fra loro fotografie di Lydia, post-it e un ritaglio di giornale.
Ha scelto una bella foto, quella in cui, a suo parere, Lydia si mostra per ciò che è davvero. Ha lo sguardo perso chissà dove, rivolto verso l’alto, forse intento a contemplare il cielo azzurro. I capelli le ricadono morbidi sulle spalle e le labbra sono modellate nell’accenno di un sorriso sereno.
In realtà, un detective provetto non sceglierebbe mai una foto del genere, in cui i lineamenti del viso sono appena appena identificabili. Opterebbe di certo per una fotografia frontale, senza curarsi dell’espressione, dello sguardo, del sorriso. Ma Stiles conosce a menadito il viso di Lydia: sa che, quando sorride, le fossette agli angoli della bocca si accentuano ancor di più, che le sue ciglia sono così sottili e lunghe da proiettare ombra sulle sue guance, quando tiene la testa bassa, che ha minuscole e quasi invisibili efelidi intorno al naso, accentuate in estate, quando anche i suoi capelli assumono un colore più vivo e brillante.
Non gli serve una foto segnaletica.
Gli serve un promemoria. Gli serve una spinta, qualcosa che, anche quando ogni speranza sarà perduta, lo spingerà ad andare avanti.
Lo Sceriffo bussa contro lo stipite della porta, sebbene questa sia aperta. Stringe le labbra e inarca un sopracciglio.
- Sono le due del mattino. – esordisce, quantunque sappia che a Stiles non potrebbe fregare un fico secco dell’orario.
Il ragazzo annuisce, gettando uno sguardo distratto al padre, prima di tornare a concentrarsi sul foglio su cui ha scritto l’ipotetica ora della scomparsa di Lydia: 6 p.m.
Forse qualche minuto dopo, forse addirittura un’ora dopo.
Non lo sa. Ciò di cui è certo è che, esattamente alle 5:58 p.m., Lydia ha inviato un messaggio a Kira. E dopo non ha più dato alcun segnale di vita, nonostante tutte le volte in cui hanno provato, a turno, a chiamarla.
Ore e ore di angoscia trascorsi con il cellulare premuto contro l’orecchio. Ore e ore trascorse ad ascoltare la voce squillante di Lydia Martin.
Probabilmente sono troppo impegnata a scegliere un paio di scarpe o a risolvere un’equazione. Lascia un messaggio. Ti richiamerò quando Newton smetterà di essere più importante di te.
Crede di aver prestato orecchio a quella tiritera almeno una decina di volte. Lydia ha quella segreteria telefonica da tempo immemore, ormai, ed è buffo – pensa Stiles – che, alla fin fine, la rappresenti solo per metà.
La Lydia che conosce, la Lydia che ha imparato a conoscere, non è più frivola come una volta; ma Stiles deve riconoscere che in quelle parole si contraddistingue nettamente il sarcasmo che l’ha sempre caratterizzata.
E sorride, Stiles, sorride amaramente, perché gli piacerebbe tanto pensare che Lydia sia semplicemente impegnata a scegliere il modello di un nuovo paio di scarpe o ad arrovellarsi il cervello per via di un’equazione.
Senza neppure accorgersene, il ragazzo molla un pugno contro la lavagna di plastica trasparente, e, quando se ne rende conto, abbassa il capo, colto dalla vergogna.
Vorrebbe scusarsi con suo padre, ma non ne ha la forza. Che poi, si chiede, c’è davvero bisogno di scusarsi?
Una mano possente gli accarezza la spalla.
- Non voglio fare promesse che non sono sicuro di riuscire a mantenere. – confessa il signor Stilinski.
Ha la voce ridotta a un tremito, lo Sceriffo, anche se si sforza di farla sembrare determinata, ferma. Ha schegge di dolore negli occhi, brandelli di tutte quelle vittime ai cui assassini non ha saputo dare un nome. E’ un mestiere difficile, il suo, soprattutto in una città come Beacon Hills, in cui tutto ciò che è apparentemente normale non lo è per niente.
- Ma non staremo con le mani in mano. Faremo tutto il possibile. – continua.
E poi vuole rimangiarsele, quelle parole.
Faremo tutto il possibile.
Gliel’hanno detto tante di quelle volte. E lui non ci ha mai creduto, perché è la cosa più stupida che si possa fare: fingere di poter davvero essere utili, quando in realtà si è impotenti e si procede a occhi bendati.
Il signor Stilinski deglutisce rumorosamente. Stiles abbozza un sorriso forzato.
- Ascolta. - tenta di dire l’uomo, prendendo il figlio per entrambe le spalle e tentando di catturarne l’attenzione. – Ascoltami bene, d’accordo? Siamo una squadra. Ti ricordi quando ti portavo a lavoro? Eri tu ad avere le intuizioni più brillanti, Stiles. –
- Erano casi di poco conto. Furtarelli e roba varia. – ricorda il ragazzo, mordendosi il labbro.
- E tu eri un bambino. – gli fa notare il signor Stilinski.
Stiles respira rumorosamente. E’ vero. Era un bambino. Un moccioso ficcanaso che non sapeva stare fermo un secondo.
- Non la lasciamo sola, chiaro? – continua l’uomo con voce decisa. – Risolveremo anche questo. –
 
***
Quando Lydia apre gli occhi, è ancora stordita, ma riesce a sentire perfettamente una forte pressione alle caviglie e ai polsi.
L’hanno… legata? Seriamente?
Avverte delle voci in sottofondo, brusii frenetici, che si mescolano all’urlo che crede di aver sentito bruciare dentro di sé proprio qualche attimo fa.
Nella sua testa, si fondono confuse le immagini di un corpo che si riflette sullo specchio d’acqua di una piscina, delle sue mani piene di sangue, degli abbaglianti della vecchia jeep di Stiles. E riecheggiano, emerse da chissà quale angolo della sua memoria, le parole di Araya.
Abbiamo bisogno di collegarci con i tuoi ricordi, di indagare a fondo ogni volta in cui hai predetto o captato la morte. Capire cosa ci sia in te di tanto prezioso e farlo nostro.
Ogni morte.
Ogni, singola morte.
Lydia ricorda di essersi invano divincolata, di aver almeno tentato di opporsi a quelle mani forti che le piazzavano degli gelidi elettrodi in testa. Ma è troppo piccola, Lydia. Troppo minuta. Lo è sempre stata.
Avverte un pizzico istantaneo al braccio, un altro ago che le penetra la carne e le inietta l’ennesima sostanza anestetizzante.
- No, no, no. – mormora, e nemmeno sa se stia davvero parlando.
E’ come se la sua lingua si andasse intorpidendo di secondo in secondo. Non ha più controllo su se stessa. Come se ne avesse mai avuto, poi.
Gli occhi si appannano di sale e acqua.
- Fa’ la brava. – intima Araya a denti stretti, mentre le tiene ferma la testa.
Lydia affonda i denti nel labbro inferiore, finché un sottile rivolo vermiglio non le solletica il mento. Stringe le palpebre. Le stringe forte, fortissimo, perché forse, così, riuscirà a tenere per sé i ricordi, a ricacciarli lontano, in qualche angolo nascosto e impolverato. Forse, se chiude gli occhi forte, riuscirà a non farli emergere.
- Fa’ la brava, Lydia. – insiste Araya, premendole le mani contro le tempie così violentemente da far credere a Lydia che la sua testa stia per scoppiare. Letteralmente.
Ed è allora che Lydia piange. Non le importa più di mantenere un certo orgoglio, di costruire la parvenza di una corazza indistruttibile.
E’ sola, eppure non lo è.
E’ perseguitata dalle voci, dalle urla, dagli ultimi respiri, dal sangue, dagli occhi vitrei che ha tanto faticato a dimenticare. Perché le stanno facendo questo?
Singhiozzi rumorosi le sconquassano il petto, risalendo poi per la gola e bloccandole il respiro.
Sembra una bambina, Lydia. Un gatto ferito che pigola e miagola senza sosta.
Si divincola, o almeno ci prova. Le cinghie attorno ai polsi le hanno quasi bloccato la circolazione, così come quelle alle caviglie. Nella foga, striscia il polso sinistro contro il ferro arrugginito della cinghia, graffiandoselo.
La carne viva brucia come se tizzoni ardenti le lambissero la pelle.
- Possiamo continuare. – ordina Araya, dando il via libera con un cenno del braccio.
Un uomo, le cui spalle Lydia riesce appena a vedere, preme una serie di pulsanti. Uno schermo affisso alla parete di fronte si accende, proiettando una luce biancastra che quasi l’acceca. E’ costretta a serrare nuovamente le palpebre.
Sente la testa alleggerirsi, piano piano. Fluttua come una piuma sospinta da un tranquillo vento primaverile.
Va tutto bene.
Va tutto bene.
Se lo ripete come un mantra.
Andrà tutto bene.
Quando il sonnifero la intorpidisce completamente, le lacrime bagnano ancora il suo viso scavato.
 
 

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Capitolo 2
*** ://: ***


Sì, lo so che ho postato ieri il primo capitolo, ma ho intenzione di postarli tutti e tre prima di ritornare all'Inferno, cioè a scuola, perché poi non potrò più respirare, quindi meglio che finisca tutto ora. Sigh.
Anyway, questo secondo capitolo è letteralmente un casino. Okay, molto incoraggiante. Però sì, è confusionario, ma non voglio anticiparvi nulla. 
Buona lettura e grazie alla due ragazze  che hanno recensito, a chi ha inserito la storia fra preferite, seguite e ricordate.
Baci. ♥
S.
Torniamo in superficie
Capitolo 2.

 
Stiles si rigira nel letto, rivoltando le lenzuola e il piumone, che alla fine rovina per terra. Malia sbuffa, rotea gli occhi e allunga un braccio per recuperare la coperta e ripararsi dal freddo.
L’inverno è arrivato in anticipo e le temperature si sono vertiginosamente abbassate nel giro di pochi giorni.
Stiles mugugna parole confuse. Lo fa sempre, ultimamente, perciò Malia non se ne stupisce. Da quando Lydia è scomparsa, ogni notte Stiles non riesce a prendere sonno e lei deve rimanere sveglia con lui, nel vano tentativo di consolarlo e calmarlo. Quando, invece, riesce ad addormentarsi, Malia non trova ugualmente pace.
La voce mugolante di Stiles le tiene compagnia perennemente.
La ragazza percorre con lo sguardo la stanza, che giace nella penombra. Dalle fessure della persiana trapelano minuscoli fasci di luce. Si concentrano sulla lavagna trasparente di Stiles – non poi tanto trasparente, visto che è affollata di foglietti, fili rossi e fotografie.
Lydia è scomparsa da una settimana e le uniche piste che la polizia è riuscita a costruire non hanno portato a nulla.
Stiles scalcia inavvertitamente, colpendola alla gamba.
- Ti uccido. – articola a denti stretti Malia.
Tuttavia, un attimo dopo se ne pente, anche se sa che Stiles non l’ha sentita. Si volta su un fianco e lo stringe a sé.
- Giuro che ti uccido. –
 
***
 
Le hanno iniettato una sostanza trasparente e densa. Sembrava gelatina, e forse è meglio pensare che sia così.
E’ forse la seconda o terza poltiglia che le mettono in circolo.
Cambiano combinazione ogni volta che le attaccano gli elettrodi in testa, come in una ricetta in cui ci si diverta a variare gli ingredienti. Solo che la torta poi te la mangi, e qui, in realtà, sembra che sia Lydia a mangiare se stessa, lentamente.
Ogni ricordo si ritorce contro di lei in prima persona, torturandola senza pietà.
Lydia ha ormai fatto l’abitudine a quella sensazione di leggerezza e intorpidimento, quindi si lascia cullare dal sonnifero, chiudendo gli occhi ancor prima del necessario.
Non sente più i piedi, e non per via dell’anestesia, ma perché si gela lì sotto e chissà dove hanno buttato le sue scarpe.
La pelle nuda congela a contatto con il tavolo di metallo su cui la stendono ogni pomeriggio sino a tarda notte.
- Vai. – ordina meccanicamente Araya, che questa sera, per la prima volta, non si è nemmeno preoccupata di tener ferma la testa di Lydia.
Inizia ad arrendersi, e non c’è nulla di più soddisfacente di vedere la propria preda rammollirsi e perdere la speranza.
 
***


Sfugge. Sfugge come un fantasma. E’ un’anima in pena, Lydia. E’ venuta a trovarlo nel sonno, la sua Lydia. E Stiles teme che sia morta, perché la prima volta che ha percepito una presenza gelida e ultraterrena su di sé è stato quando ha perso sua madre.
Scivola con leggiadria da una parete all’altra, rapida, muovendo i piedi scalzi con frenesia. Stiles la rincorre, affrettando il passo quanto più possibile.
- Ehi! Lydia, frena un attimo! – urla.
La sua voce rimbalza da una parete all’altra del labirintico corridoio in cui Lydia lo sta conducendo. Il puzzo di muffa gli solletica le narici.
Conosce questo posto.
- Lydia! – continua a gridare.
Adesso corre, Stiles, e riesce soltanto a scorgere l’ombra della ragazza allungarsi e restringersi a ogni curva.
Confuso dalla penombra, inciampa in un chiodo e si ferisce la pianta del piede, ma non ha tempo per fermarsi e fare il bambino.
Quando svolta a destra, riesce finalmente a vederla.
Se ne sta in piedi, di spalle. E’ ancora più piccola di quanto ricordasse. La sua sagoma minuta è accentuata dalla camicia da notte bianca che la avvolge e cade in una cascata su di lei. Nonostante la poca illuminazione, Stiles è quasi certo di scorgere aloni violacei intorno alle sue caviglie nude e nivee.
- Lydia. – la chiama in un sussurro, avanzando con cautela.
Non si sa mai che possa scappare.
 
***
Lydia teme il sopraggiungere di questo momento da quando tutta questa tortura è iniziata. Ed eccolo qua, ecco che le immagini e le voci di quella notte le intasano la testa senza che lei possa fare niente per evitarlo.
Immobile, a piedi nudi, assiste impotente – perché, alla fin fine, Lydia non è altro che un registratore umano di morte – a ciò che ha vissuto in prima persona. E’ come se tutto il dolore di quella notte, ogni granello di sofferenza, ogni sospiro emesso a fatica, le si riversasse addosso in un tornado.
Eppure lei se ne sta lì, imperturbata e immobile, come un fantasma. E guarda la Lydia di circa un anno fa mettersi in ginocchio per sorreggere uno Stiles quasi privo di sensi.
E ricorda ciò che ha pensato in quell’esatto istante.
Non ti lascio qua. Non ti lascio qua. Ma tu non osare lasciare me.
Parlava con Stiles. Parlava con Allison. Parlava con se stessa.
 
***
Lydia sta fissando qualcosa davanti a sè, ma all’inizio Stiles non capisce. Segue la traiettoria del suo sguardo, finché non vede se stesso accasciato al muro, privo di sensi.
Lydia – la Lydia di un anno fa – lo scuote prima delicatamente, poi con una forza sempre maggiore.
- Stiles! Stiles, devi svegliarti! – lo esorta, ma il ragazzo resta immobile, il capo leggermente inclinato a destra.
Lydia tenta di raddrizzarlo, ma ogni volta lui si accascia nuovamente.
- Non puoi lasciarmi, d’accordo? Resta sveglio. - 
Ogni secondo che trascorre rende la voce di Lydia più debole e rassegnata.
- Lydia? – la chiama Stiles.
Tuttavia, lei non si volta. Stringe appena i pugni, e Stiles non è matto, no, perché può metterci la mano sul fuoco: Lydia è scossa da tremiti.
Si gela, qui sotto.
- Lydia, devi dirmi dove ti hanno portata. – tenta di nuovo Stiles, colpendosi il palmo aperto con il pugno destro.
Silenzio.
 
***
Silenzio.
E poi un urlo lacerante.
Lydia piange, e non c’è bisogno di precisare quale delle due, se quella del passato o quella del presente.
Piangono entrambe, scosse da singhiozzi irrefrenabili.
Lydia ha sentito tante, tantissime volte l’espressione “cuore spezzato”, e l’aveva sempre associata a storie d’amore finite male. Quella notte, però, aveva davvero avvertito qualcosa incrinarsi nel suo petto.
Il cuore, forse. O una costola. O i polmoni che, forse, avevano deciso di non respirare più.
Qualcosa si era spezzato, non importa esattamente cosa.
Qualcosa, dentro di lei, aveva smesso di funzionare, aveva scricchiolato e si era poi sganciato dal suo corpo.
Allison era volata via, e, con lei, un frammento della sua anima si era perso per sempre.
 
***
Stiles si avvicina a Lydia. Mancano pochi passi, ormai, quando la vede accasciarsi per terra, le ginocchia che stridono contro il suolo smussato e ruvido, la testa che si china in avanti. Al contempo, la Lydia del passato si abbandona su Stiles, che è assente, che è troppo debole – Stiles lo è sempre, accidenti – per offrirle conforto.
E si maledice, Stiles, per essere stato così vulnerabile, per non esserci stato quando Lydia si è accartocciata su se stessa e ha cercato invano un rifugio in lui.
Non vuole che succeda di nuovo, e a questo punto se ne infischia che sia solo un sogno.
Muove un ultimo passo verso di lei. Si china sulle ginocchia e le sfiora la spalla, ma nel momento in cui la sua mano entra in contatto con la pelle di Lydia, un vento impetuoso scuote il corridoio, abbattendone le pareti.
Una luce accecante costringe Stiles a serrare le palpebre.
Quando riapre gli occhi, Lydia non è più davanti a lui e lui non è più chino sulle ginocchia, ma in piedi. Si guarda intorno, spaesato.
Si trova in una stanza dalle pareti scure. Ci sono molteplici oggetti degni di essere osservati con attenzione e altrettanti suoni curiosi, ma il primo soggetto su cui Stiles si concentra è Lydia.
E’ distesa su un tavolo di metallo, caviglie e polsi legati da cinghie di cuoio. Indossa una camicia da notte bianca e leggera. I piedi sono violacei, resi insensibili dal freddo. Stiles fa per raggiungerla: deve riscaldarla in qualche modo; solo allora, potrà concentrarsi su tutto il resto.
Non appena cerca di avanzare, urta contro una superficie trasparente. Tenta di nuovo, ma colpisce con la punta del piede quella che sembra una vetrata indistruttibile. Prova a infrangerla con le mani, i palmi che diventano rossi per la furia con cui picchiano contro la superficie invisibile.
- Lydia! – grida Stiles, con tutto il fiato che ha in corpo.
La donna che sino a poco fa gli ha dato le spalle si volta. Tiene in mano una siringa con un liquido biancastro. Ha un sorriso intriso di veleno sul volto, lo sguardo di una pazza.
Stiles riuscirebbe a riconoscere quegli occhi brillanti di follia ovunque.
- Lydia! Ehi! Lasciala andare! – urla affannosamente, sbattendo le mani contro il vetro.
Solo ora nota gli elettrodi sulle tempie di Lydia. E’ quello – o forse anche il suo viso, più magro di quanto lo ricordasse, e la sua pelle, che è pallida, non diafana – a fargli perdere il senno.
Si getta di peso contro la vetrata. Vi sbatte ripetutamente le ginocchia, le mani, il braccio, i piedi.
- Lydia! –
Continua a chiamarla anche mentre Araya Calavera inietta quella sostanza ignota nel suo braccio esangue.
Senza neppure accorgersene, inizia a piangere in silenzio, il labbro inferiore che trema febbrilmente.
- Resta con me. – sussurra a fior di labbra, la fronte abbandonata contro il vetro.
 
***
Stiles si sveglia di soprassalto, la fronte imperlata di sudore, il viso accaldato. Si alza con un tale impeto che Malia rischia di essere catapultata giù dal letto. La ragazza bofonchia confusamente, allungando le braccia per tentare di raggiungere Stiles e riportarlo a letto.
- Stiles? – lo chiama, preoccupata e al contempo un po’ infastidita.
Aveva quasi preso sonno. Quasi.
Lui non le risponde, ma accende la luce della scrivania, che rischia di accecare Malia, e rovista tra i fogli e ritagli di giornale che affollano la scrivania.
- Stiles, che diavolo succede? – insiste la ragazza, schermandosi gli occhi con la mano e contando mentalmente fino a dieci per evitare di perdere la calma.
E’ un trucchetto che le ha insegnato Stiles.
Il ragazzo impugna il cellulare e digita freneticamente una serie di numeri. Ogni squillo senza risposta è un tuffo al cuore, un respiro mozzato.
- Stiles? Che succede? – esordisce Scott, con voce impastata dal sonno.
Stiles scommette che l’amico si sta passando il dorso della mano sulla fronte e sta trattenendo uno sbadiglio.
- So dov’è Lydia. – replica Stiles, come se non aspettasse altro che quella domanda.
Dall’altro lato, silenzio, seguito immediatamente dal fruscio di lenzuola gettate in aria e da un tonfo sordo. Forse Scott è inciampato su qualcosa.
- Che vuol dire che sai dov’è Lydia? – replica Scott, rovistando fra la montagna di vestiti alla ricerca dei jeans.
- L’ho sognata. – risponde Stiles, accendendo la luce della stanza e raggiungendo la lavagna di plastica.
- Stiles… - bofonchia Malia, annoiata, alzandosi e andandogli incontro.
D’accordo: ha capito che per stanotte non si dorme più.
- L’hai sognata? – gli fa eco Scott.
- Non è la prima volta che succede. – gli fa sapere Stiles.
- Posso immaginare. – borbotta Scott in risposta.
- No… no, cosa hai capito? Non in quel senso! – ribatte il ragazzo.
- Che vuol dire? – chiede intanto Malia, che non crede di capire niente.
- Nulla! – rispondono in coro Scott e Stiles.
Malia scuote la testa e mette su il broncio.
- Sul serio, Scott. Si è messa in contatto con me. Non so come funzioni questa cosa della connessione. Non è la prima volta che sentiamo cosa prova l’altro. – spiega Stiles, tenendo il cellulare in bilico fra la spalla e l’orecchio e sfiorando con le dita i post-it e le foto attaccate al pannello di plastica.
- Chiamo gli altri. – dice Scott.
- D’accordo. – mormora Stiles, respirando profondamente.
Scott sta per chiudere la chiamata, quando sente Stiles esclamare il suo nome.
- Dimmi. – replica, chiudendosi la porta della camera da letto alle spalle.
- Credo che dovremmo chiamare Chris. Saprà sicuramente qualcosa in più di noi. –
- D’accordo… credo. – risponde Scott, dubitante. – Ci vediamo da Deaton. Vado a prendere Kira. –
***
- Ha cercato di mettersi in contatto con te. – constata Deaton, le mani sul tavolo di metallo, l’espressione crucciata.
Stiles vorrebbe rifilargli una risposta sarcastica. Qualcosa tipo “Grazie, genio del male.”, ma si trattiene. Non servirebbe a nulla essere ironici e pungenti. Non ora.
- E ne è consapevole? – chiede Parrish, che sembra alquanto preoccupato.
Deaton si morde la parte interna della guancia, come per concentrarsi meglio.
- Può darsi. Ma può anche darsi che sia stato un riflesso incontrollato del subconscio. Succede – prende un respiro profondo – succede, quando due persone sono fortemente connesse. – spiega, spedendo uno sguardo eloquente a Stiles, che annuisce in silenzio.
- Ma almeno sappiamo dove si trovi questo posto? – chiede Kira, guardando Scott.
E’ strano, pensa Stiles. Strano e al contempo commovente, se si vuole, il fatto che Kira, anche quando sta aspettando la risposta da qualcun altro, si rivolga istintivamente a Scott, come se fosse la sua roccia.
- Potremmo controllare meglio la lista delle celle telefoniche a cui il cellulare di Lydia si è agganciato, fino a quando non si è spento, alle… - interviene Parrish.
-… alle 20, 45 minuti e 10 secondi. – completa Stiles, lasciandosi scivolare dalla bocca le parole così rapidamente da non respirare più.
- Esattamente. – conferma Parrish, scuotendo impercettibilmente la testa, quasi sorpreso dalla memoria maniacale di Stiles.
- E in ogni caso, è qualcosa che abbiamo già fatto tre volte. Non ha portato a niente, perché il cellulare si è spento troppo presto e, per quel che ne sappiamo, a quell’ora Lydia era a qualche kilometro da Beacon Hills. – dice poco dopo il ragazzo, lo sguardo basso, contrito.
A che gli serve, poi, quel distintivo? E’ tutta una maschera, tutta una copertura, visto che non riesce nemmeno a capire dove diavolo abbiano portato Lydia Martin.
- C’è un modo più rapido, non è così? – chiede Scott.
Deaton capisce immediatamente che la domanda è indirizzata a lui, perché alza il capo, che fino a poco fa era rivolto verso il basso, gli occhi puntati sulle mani che continuano ad artigliare il bancone di metallo.
- In effetti, sì, c’è. Più rapido di sicuro, ma non lo definirei esattamente più sicuro. –
 
 
- Non esiste che ti fai praticamente affogare fino ad ammazzarti! – lo rimbrotta Malia, le mani sui fianchi e l’espressione corrucciata.
Vuole essere autoritaria. Le piacerebbe mostrarsi per come appare sempre: sicura, forte, con la situazione in pugno. Ma adesso le riesce parecchio difficile.
- Non mi faccio ammazzare. – le risponde Stiles, la voce che trema, lo sguardo che cerca di divincolarsi da quello deciso di Malia.
Il ragazzo slaccia le scarpe e le scalcia via, una dopo l’altra, nel giro di cinque secondi netti. Tipico di Stiles, pensa Scott, che molte volte l’ha visto fare la stessa cosa in camera sua.
Il ghiaccio tintinna nel fondo della vasca di metallo, gelida anch’essa anche solo a guardarla. I cubetti trasparenti cozzano contro i bordi, per poi colpire con un tonfo sordo lo specchio d’acqua.
- Non è sicuro. – mormora Malia.
- Non lo è. – ripete Scott, scuotendo la testa. – Non lo è affatto. Non c’è nemmeno Lydia. Voglio dire, tutta la storia della connessione e del “riportare indietro”. – si corregge immediatamente, dopo aver ricevuto una stilettata curiosa e confusa da parte di Malia.
- Non c’è bisogno che sia totalmente morto. – spiega Deaton.
- Oh certo, solo in parte. – replica Malia, sarcastica.
Ma ha la voce vibrante, come se fosse sull’orlo di una crisi isterica.
- Deve perdere i sensi. Com’è successo con Isaac. – continua Deaton, stavolta parlando con Scott, che annuisce, seppur non esattamente convinto.
- Non abbiamo raccolto grandi risultati, quella volta. – gli ricorda Scott, stringendo le labbra.
Stiles sfiora il bordo della vasca, pronto per immergervisi.
- Io non sono Isaac. – interviene, determinato.
Affonda prima la gamba destra, poi la sinistra. Febbrili brividi di freddo gli attraversano la schiena, ripercuotendosi in tutto il corpo. Le labbra assumono un colorito violaceo. Stiles deve affondarvi i denti con forza per non farle tremare.
Deaton e Scott si avvicinano alla vasca, pronti per spingere giù Stiles.
- No! No, fermatevi. Non esiste. – li blocca Malia, afferrando Scott per un braccio. – Lo faccio io. Può farlo Scott. Può farlo Kira. Noi possiamo tornare indietro, noi siamo fisicamente più forti. –
Scott allenta la presa sulla spalla di Stiles.
- Non ha tutti i torti. – confessa,  rivolgendosi a Deaton.
- Siete fisicamente più forti, ma non avete una forte connessione con Lydia. – ammette Deaton.
- Una connessione? E di cosa si tratterebbe? Di una sorta di filo invisibile? Non mi sembra molto affidabile. – sbotta Malia.
- Un filo invisibile, sì, qualcosa di simile. – le dà man forte Deaton.
- No, mi prende in giro? – si inalbera Malia.
- D’accordo. – esordisce Stiles, il tono incerto a causa del freddo. – Non ho intenzione di perdere altro tempo, quindi, se non vi dispiace, potremmo procedere? –
Malia fa per ribattere, ma Stiles le sfiora la mano e le rivolge un sorriso mesto.
- Tornerò. Torno sempre, ricordi? – le dice.
Malia annuisce, lacrime salate che le appannano gli occhi scuri. Stringe forte la mano di Stiles. Continua a stringerla fin quando Scott e Deaton lo affondano completamente. Poi, piano piano, allenta la presa.
Stiles chiude gli occhi, le labbra dischiuse e percorse da venature violacee.
Avanti, Lydia. Sono qui. 

 

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Capitolo 3
*** ://: ***


Ed ecco che abbiamo finito con questa storiella. Che dire? Ringrazio chi l'ha seguita, letta, recensita, preferita, ricordata (?), pubblicizzata - Maria, parlo con te *tossicchia*.
Questa storia era nata come regalo di Natale per un'amica, ma poi mi hanno consigliato di pubblicarla, e sono felice di averlo fatto.
Appena avrò un briciolo di tempo, risponderò alle recensioni, giuro.
Un bacio ♥
Ah, e ascoltate questa canzone meravigliosa mentre leggete, pleeease. https://www.youtube.com/watch?v=yJ6wJqaE6o4
S.

 
Torniamo in superficie
Capitolo 3
- Scendi giù nei sotterranei. Hai detto di aver visto una scala d’emergenza poco più in là, no? Prendi Lydia e portala in macchina. Al resto ci pensiamo noi. –
Chris gli ripete le stesse cose in combinazioni di parole diverse da circa un’ora. Stiles annuisce sempre, paziente.
Si tortura le lunghe e nodose dita per uccidere la tensione. Ha ancora le labbra color melanzana per il freddo, le punte dei capelli bagnate e la schiena percorsa da brividi di freddo.
Ma è vivo ora più che mai. E’ vivo, perché l’ha trovata. E’ vivo, perché deve restarlo almeno fin quando non la porterà via da quell’inferno.
- E’ necessario che la jeep sia pronta per partire una volta che hai trovato Lydia, Stiles, intesi? Non importa se ci lasci indietro. Torneremo, in qualche modo. Ma non appena trovi Lydia, la devi immediatamente portare in ospedale. Immediatamente.
- Sì, e cosa dico ai medici? Che una pazza psicopatica l’ha imbottita di Dio solo sa cosa? – ribatte Stiles, con un tono più brusco di quanto in realtà non volesse.
- Melissa ha già pensato a tutto. Portala al County Hospital di Cortwood. E’ il più vicino. –
Stiles annuisce nuovamente, rigirandosi fra le mani le chiavi della jeep.
 
 
***
Mentre si divincola per i corridoi gelidi con la mazza da baseball in mano, Stiles si volta quasi ogni secondo da una parte all’altra.
Qualcuno potrebbe sbucare all’improvviso alle sue spalle e lui deve mantenersi pronto.
Ogni tanto, capta un tonfo o un grido rimbombare sopra di lui. Chiude gli occhi, smette di camminare per un attimo e spera che nessuno dei loro sia morto.
- Di qua. – gli indica Liam, svoltando a sinistra e seguendo con il fiuto l’odore di Lydia.
Stiles gli ha dato il suo disegno, quello dell’albero che sembrava risalire a un’eternità fa. Gli ha detto di tenerlo con cautela, di non strapparlo mentre registrava mentalmente l’odore di Lydia.
Stiles lo segue in silenzio per cinque minuti buoni.
- Ce la faranno? – chiede Liam a un tratto, voltandosi così all’improvviso che Stiles quasi inciampa su se stesso pur di non cadergli addosso.
Il ragazzo boccheggia, incapace di fornire una risposta accettabile. Stiles resta di rado senza parole. E’ quello dei piani B, Stiles, quello che riesce sempre a trovare qualcosa da dire per incoraggiare gli altri. Adesso, però, non sa nemmeno se troverà Lydia, non vuole neppure immaginare in che stato la troverà.
Non sa niente, non sa davvero niente. Quindi, questa volta, non costruisce chissà quali frasi piene di paroloni e condite di ironia. Dice la pura verità.
- Non lo so. –
Scuote la testa, sospirando.
Liam annuisce, sussultando quando un tonfo più chiassoso dei precedenti raggiunge le loro orecchie.
- Di qua. – riprende poi, ostentando un tono forte e deciso.
Stiles ha insistito perché Liam rimanesse sopra con gli altri. Ha detto a Scott che sarebbe stato uno spreco di potenziale farlo scendere con lui a cercare Lydia; che a loro sarebbero di certo servite degli artigli e dei muscoli in più. Scott l’ha guardato, l’ha soltanto guardato, senza neppure rispondere a voce. Poi ha indicato con gli occhi la mazza da baseball che Stiles teneva fra le mani.
E’ stato allora che ha capito.
E’ troppo debole, Stiles, per andarsene in giro in un sotterraneo labirintico alla ricerca di Lydia, della quale non saprebbe nemmeno fiutare l’odore.
E se ci fosse qualcuno a fare da guardia? Cosa fai, lo picchi con la mazza?
Ecco cosa avrebbe voluto dire Scott. Stiles ne è certo.
Ed ecco perché Liam è con lui.
Certo, con tutto il trambusto che hanno causato nel giro di un quarto d’ora, è molto probabile che l’ipotetica guardia sia d’istinto salita in superficie per contrattaccare. O almeno, così Stiles spera. Stringe le dita attorno alla mazza e forse una scheggia di legno gli ha appena penetrato la carne, ma non importa.
Stiles continua a camminare a passo rapido, facendo da ombra a Liam, che di tanto in tanto si volta all’improvviso, catturato da qualche suono sospetto.
- Potresti gentilmente girarti con qualche secondo di preavviso, così non rischio di finirti addosso? – chiede Stiles, articolando ogni parola in un sibilo per non fare troppo rumore.
Liam assottiglia gli occhi e sbuffa dal naso, come un animale imbufalito. Stiles alza le mani in segno di resa.
- D’accordo, brutto lupetto cattivo. – liquida la questione Stiles, superando Liam con un’ampia falcata e avanzando nella penombra.
Il corridoio puzza di muffa ed è flebilmente illuminato da lampadine fredde e nude, che penzolano a caso dal tetto, che, nemmeno a dirlo, è tappezzato di muffa verdastra.
Sta per svoltare l’angolo, quando Liam lo afferra per un braccio e lo fa quasi rimbalzare indietro.
- Ma che diavolo!? – sbotta Stiles.
Liam gli fa segno di stare zitto, poi si appiattisce contro il muro e sporge appena la testa.
Le iridi del ragazzo squadrano ogni centimetro del corridoio successivo, mentre le sue orecchie si concentrano sul battito cardiaco di Lydia, ancora più forte di poco prima, ma sempre lento, esitante, quasi. Non c’è anima viva. Nessun battito cardiaco oltre al loro e quello di Lydia – se si escludono anche quelli degli altri, sopra.
- Via libera. – sussurra, per poi aggiungere un incerto “credo”, che frena immediatamente Stiles.
- Che vuol dire “credo”? –
Liam si morde il labbro.
- Vuol dire che sembra non esserci nessuno, ma faremmo meglio a guardarci le spalle. –
Stiles storce la bocca, in una smorfia poco convinta. Poi fa spallucce e procede, avanzando attraverso l’ultimo corridoio che lo separa da Lydia.
O almeno spera sia l’ultimo, perché non è sicuro di potersi mantenere emotivamente stabile ancora per molto.
- La senti? – chiede, e quando Liam non risponde subito, ripete la domanda con più insistenza. – Oh, la senti?! –
Solo allora Liam, che era intento a concentrarsi sui rumori circostanti, annuisce e gli indica con il braccio la strada da prendere.
- E’ lì in fondo. – spiega, puntando in fondo al corridoio.
Stiles aguzza la vista, riuscendo a scorgere quelle che a primo impatto sembrano vere e proprie sbarre di ferro.
- Io sto qui a fare la guardia. –
Stiles annuisce, rafforza la presa intorno alla mazza e inizia a brancolare nel buio. In questa parte del corridoio, il freddo s’intensifica, la luce diminuisce, e Stiles all’improvviso è divorato dal terrore di trovarla agonizzante e morta di freddo.
Ma Liam ha detto di averla sentita, quindi non è morta. Non può esserlo. Non può esserlo perché è Lydia, perché è forte, e cocciuta, e intelligente. Non può esserlo perché lui è a un passo dal trovarla e portarla via da lì. Non può esserlo perché Stiles le ha sussurrato di restare con lui.
Stiles procede a tentoni, le mani in avanti che sussultano quando cozzano contro le sbarre ruvide. La luce è ormai quasi del tutto assente, quindi è costretto a usare la torcia del cellulare per mettere a fuoco ciò che lo circonda.
Chiude gli occhi, respira profondamente.
Sii uomo.
Sii un dannato uomo, Stiles!
Il fascio di luce giallognola rischiara prima le sbarre di ferro, poi il pavimento sconnesso, poi una sottospecie di letto dalle molle rumorose, e infine una figura minuta, raggomitolata su se stessa. Se ascolta con attenzione, riesce a sentire qualche gemito. Sembra un gattino ferito, Lydia.
- Ehi. – sussurra Stiles, mentre studia il lucchetto arrugginito.
Lydia non risponde. Si limita a mugugnare, e, se possibile, a stringere ancora di più le ginocchia contro il petto.
- Dannazione! – impreca il ragazzo, scorticandosi le unghie contro il ferro del lucchetto.
Lydia mugugna nuovamente qualcosa di intelligibile.
- E apriti, dannazione! Ho scassinato l’armadietto del coach. –
- La chiave. – sussurra Lydia, che finalmente riesce ad articolare qualcosa di comprensibile.
Solleva appena il capo, i capelli sfibrati che incorniciano il viso
- Sì, certo, la chiave. Se l’avessi. – le risponde Stiles.
Un oggetto ignoto tintinna contro il pavimento, rimbalzando più volte sino a qualche centimetro dall’inferriata.
- La chiave. – ripete Lydia, come un automa.
Stiles boccheggia, buttandosi carponi e lasciando scivolare la mano sotto l’inferriata, nel tentativo di afferrare la chiave.
- La chiave! – esulta, quando la prende e la illumina con la torcia.
La gira nella toppa con una foga febbrile, quasi folle. Rischia di inciampare sulla mazza, ormai abbandonata per terra, pur di catapultarsi rapidamente nella cella.
Si avvicina con cautela, perché Lydia ha nuovamente affondato il capo fra le ginocchia, la schiena premuta contro il muro gelido e ruvido. Ha i piedi scalzi, come nel sogno. Sono viola, scarni, come nel sogno. E ha anche dei segni rosati intorno alle caviglie, che Stiles mette in luce con la torcia.
Il ragazzo getta uno sguardo indietro, per accertarsi che Liam sia ancora lì, poi si siede sul letto accanto a lei.
Le sfiora un piede, ma Lydia si ritrae come una mimosa.
- Lydia. Ehi. – la chiama, facendo fluttuare le mani per aria, senza sapere se sfiorarla, dove, come pur di non farla allontanare ancora di più.
Deve essere in stato confusionale, perché Stiles è sicuro che fino a poco fa l’abbia riconosciuto. Gli ha lanciato la chiave. Certo che l’ha riconosciuto.
E non può nemmeno perdere troppo tempo. Deve portarla via da lì. Subito.
- Lydia, non voglio farti del male. –
- Lo dicono sempre. Lo dicono… dicono “Lydia, non vogliamo farti del male.” E poi… - singhiozza lei, la fronte ancora premuta contro le ginocchia.
- Shh. Lydia, sono io. – la interrompe Stiles, avvicinandosi e accarezzandole una spalla.
Stavolta, Lydia esita un po’ prima di scostarsi dal suo tocco. – Mi hai lanciato la chiave, ricordi? –
Lydia alza lentamente il capo, e solo allora Stiles può vederla bene in viso. Gli occhi sembrano ancora più grandi di quanto li ricordasse. Le ciglia sono umide di lacrime. Il naso rosso, per il freddo, per il pianto. Forse ha la febbre. Le labbra screpolate sono percorse da un paio di rivoletti rossi. Lydia deve averle morse per trattenere urla di dolore.
Le guance sono ancora più scavate di quanto non lo siano diventate da quando Allison è morta.
- Sì. – risponde. – Sì. La chiave. Ho calcolato la velocità con cui sarebbe caduta al suolo, poi… poi ho finto di aver un mancamento. Ho preso la copia. – spiega, fissando un punto indefinito del muro di fronte. – Non credo se ne siano accorti. –
Stiles stringe le labbra in un sorriso amaro e al contempo orgoglioso.
- Il mio piccolo genio. – mormora, fiero, prendendo fra le mani i piedi di Lydia e riuscendo finalmente a riscaldarli un po’, prima che lei si allontani.
Solo allora Lydia lo guarda davvero negli occhi. Ha la stessa espressione spaesata che aveva quella notte, quando l’aveva trovata nuda nel bosco. Così piccola, così indifesa.
- Ho solo calcolato… - fa per ribattere Lydia, ma le parole le muoiono in gola.
- “Solo” non è una parola adatta a Lydia Martin. – le fa notare Stiles, con dolcezza, accarezzandole una guancia.
Lydia inclina il capo, quasi poggiandosi al suo palmo, come farebbe un neonato.
Stiles si alza e fa per prenderla in braccio. Lei emette un gemito strozzato: il ragazzo deve inavvertitamente averle premuto una cicatrice causata dalle cinghie di cuoio. Con fatica, stringe le braccia magre e intorpidite attorno al suo collo.
Stiles la raccoglie fra le braccia come se fosse una bambola rotta, premendola forte contro il petto e costruendo per lei un rifugio sicuro.
- Aggrappati bene. Torniamo in superficie, Ariel. – le sussurra, solleticandole l’orecchio con le labbra.
Lydia preme il viso contro il petto di Stiles e rafforza, per quanto può, la presa intorno al suo collo, come una nave si terrebbe salda alla sua ancora.
 
***
Lydia se ne sta rannicchiata sul sedile accanto, coperta da uno o due plaid, più la giacca di Stiles, che se ne frega altamente di indossare una maglietta di cotone e basta.
Nei sedili posteriori, Malia, Scott e Kira non emettono parola. Scott ha un taglio netto sulla guancia, Malia ha rischiato di rompersi una gamba – che in ogni caso si sarebbe ricalcificata quasi subito. Per il resto, sembra andare tutto okay.
Stiles approfitta della sosta obbligata dal semaforo per aggiustare le coperte di Lydia. Le scosta una ciocca di capelli dal viso, svegliandola.
- Stiamo arrivando. – l’avvisa.
Poi si mette a frugare nelle tasche, alla ricerca spasmodica di ciò che è sicuro, sicurissimo di aver portato con sé.
Lydia indaga curiosa i suoi movimenti frenetici. Tipico di Stiles.
- Guarda cosa ho portato. – le dice con tono giocoso, gettando un occhio al semaforo giallo.
Gli occhi di Lydia si illuminano, come attraversati da bagliori che si rincorrono a vicenda. Sembra una bambina, Lydia, mentre gioisce spontaneamente per la barretta arancione che Stiles le porge.
Le sue dita sottili l’afferrano con cautela. Sembra quasi che abbia paura che quella insulsa barretta di cioccolato svanisca. Ricorda benissimo la serata alla pista di pattinaggio. E tutto quello stupido discorso sull’arancione e il blu che s’intonavano fra loro. E ricorda la cocciutaggine di Stiles, che non si era fermato finché non aveva trovato qualcosa che le andasse a genio.
E poi, ricorda la tavoletta di cioccolato che le aveva dato, e il sorriso compiaciuto e sorpreso che gli aveva dipinto il viso, nel vedere che Lydia non aveva disprezzato almeno quel tentativo di approcciarsi a lei.
- E’ la nuova versione. Con le nocciole. – le spiega Stiles. – E’ molto meglio di quella classica. E se non ti piace, avrai commesso un reato, sappilo. – la ammonisce.
Vorrebbe darle un buffetto sul naso, accarezzarle il viso o prenderle la mano, ma qualcosa lo frena. Non sa se si tratti di Malia o di qualche altra motivazione ignota.
Si limita a guardarla con un mezzo sorriso, mentre scarta rapidamente la barretta di cioccolato e la avvicina alle labbra screpolate.
Faremo tornare quelle guance come una volta, le promette silenziosamente.

 

 

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