Obvious Fact

di MuseDePandora
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** One ***
Capitolo 2: *** Two ***
Capitolo 3: *** Three ***



Capitolo 1
*** One ***


Ed eccomi a intasare anche questo fandom!
Ok, io in realtà sono pantarhei. Questa storia non è mia. L'autrice è straniera e mi ha molto gentilmente dato il permesso di tradurre la storia e pubblicarla. Ecco qui le prove :)
Qui, invece, ve la potete godere in lingua originale, che sicuramente è meglio.
Dato che non possiedo nemmeno i personaggi, quelli sono della BBC e di Conan Doyle, le uniche cose di mia produzione qui sono il banner e la traduzione. Ci tengo a specificare di non aver nessuno scopo di lucro. 
È la prima traduzione e anche la prima Johnlock in cui mi cimento, ma non vi chiedo di essere clementi :) Fatemi solo sapere cosa ne pensate!

 
 

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(One)



John fece questa scoperta per caso. Era stata una giornata dura al lavoro, più per l’insopportabile monotonia che per altro. L’apice della sua giornata in ambulatorio era stato una giovane donna con una caviglia slogata, che si pensava potesse essere rotta. Quando gli restituirono le lastre, rimase piuttosto deluso.
Sherlock stava cambiando il suo modo di pensare più di quanto avesse fatto la guerra. A volte si rendeva conto che avrebbe dovuto preoccuparsi. Per la maggior parte del tempo, però, non riusciva a capire come avesse fatto a vivere per così tanto senza tutto questo. Come controllava la noia prima che arrivasse Sherlock?
Il lavoro era diventato una tale agonia perché sapeva che Sherlock era a casa a lavorare al primo caso interessante – parole di Sherlock, non di John – che fosse capitato loro in due settimane.
In qualche maniera lo stesso uomo era stato assassinato tre volte. La prima nel suo appartamento a Londra nel 1998. Ancora in Australia, nel 2003. E poi l’ultima volta appena due giorni prima, nel bagno di un club locale. Ogni volta c’era stato un corpo, identificato positivamente come quell’uomo. Scotland Yard era completamente sconcertata. Sherlock era euforico. John provava dolore fisico per non potersi permettere di saltare un altro turno al lavoro. Aveva arrancato per tutta la strada fino all’ambulatorio, certo che Sherlock avrebbe capito tutto mentre John non c’era e che sarebbe corso a risolvere il caso senza di lui. 
Sherlock continuò a inviargli messaggi per tutto il giorno, come per accertarsi che lui non se ne dimenticasse. Come se avesse potuto. Se non l’avesse conosciuto così bene, avrebbe detto che il suo amico lo stesse deridendo, punendolo per aver scelto l’ambulatorio e i conti non pagati al posto de Il Lavoro.  Ovviamente John lo conosceva bene e una cosa del genere sembrava proprio da Sherlock. Il bastardo.

"C'è una motivo se abbiamo alleggerito le nostre prigioni. SH"
“Come la Georgia. SH”
“Lo stato americano. Non la nazione. SH”
“È FINITA LA FORMALDEIDE. SH”
“Hai pianificato il tuo funerale? SH”
“Hai pianificato il mio? SH”
“NON LASCIARE CHE ANDERSON SI AVVICINI AL MIO CORPO. SH”
“Spara per uccidere, se devi. SH”
“Pensi che sarebbe emozionante essere assassinati? SH”
“LATTE. SANGUE DI MAIALE. CEROTTI. SH”

Il lato buono dei messaggi era che rassicuravano John sul fatto che Sherlock non stesse correndo in giro per Londra, risolvendo il caso senza di lui. Il lato cattivo era che facevano il loro lavoro e continuavano a ricordare a John che avrebbe preferito trovarsi da un’altra parte.
Dopo otto ore di ciò, decise di meritarsi un premio. Dopotutto, Sherlock non si trovava sull’orlo di una scoperta sensazionale e l’unica vittima di questa serie di omicidi era chiusa nell’obitorio della polizia. Non sarebbe morto nessuno se lui avesse impiegato dieci minuti in più per tornare a casa. In più, avrebbe infastidito Sherlock da morire. Gli piaceva farlo molto più di quanto avrebbe dovuto.
Avevano una relazione complicata.
Così John si fermò al supermercato e si prese mezzo chilo del più costoso gelato alla vaniglia che avevano.  Poiché sapeva che lì avevano sia sangue di maiale che cerotti alla nicotina – e questo la diceva lunga su di lui – già che c’era, prese anche il resto della lista della spesa. Sorrise tra sé e sé mentre pagava tutti gli articoli con la carta di credito di Sherlock.
Quando arrivò a casa, Sherlock giaceva sul divano in posizione di preghiera. John si divertì un po’ troppo nello sbattere il pacco di cerotti alla nicotina sulla testa del suo coinquilino. Ignorò lo sguardo arrabbiato di Sherlock e il rumore del pacco che veniva aperto di colpo. Dopo aver sistemato il contenitore di plastica del sangue di maiale nello scomparto di Sherlock del frigorifero, quello designato alla scienza, e posto il latte il più lontano possibile da quella mensola, John rivolse finalmente la propria attenzione al gelato.
Stranamente, Sherlock era di gran lunga meno loquace adesso che John era a casa. Non si stava nemmeno lamentando del ritardo. Doveva essere finalmente entrato nello stadio critico delle sue deduzioni: fino a quando non avrebbe risolto tutta la faccenda, Sherlock sarebbe stato lunatico e disconnesso socialmente. Beh, più del solito. Sicuramente non si sarebbe messo a mangiare. John era felice di non doversi nemmeno offrire, per semplice educazione, di preparare a Sherlock una vaschetta. 
Una volta che si fu servito, portò con sé la vaschetta in salotto, si sedette e iniziò a godersela. Dopo il tragitto fino a casa, il gelato era alla temperatura perfetta, freddo ma cremoso. Quel sottile sapore dolce e naturale di vaniglia gli si scioglieva sulla lingua, ricordandogli del sole rovente dell’Afghanistan e facendolo fantasticare su quella semplice lussuria. Con suo grande sgomento, dovette addirittura aver prodotto un suono di piacere, non un gemito ma proprio un soddisfatto “Mmm”.
Il divano cigolò.
Diede uno sguardo e trovò Sherlock che lo fissava. Capitava di frequente che il suo amico lo osservasse mentre mangiava. Era scontato, dato che così spesso John mangiava e Sherlock no. Ma stavolta c’era qualcosa di diverso. Forse era il ricordo di quel desiderio, che aveva tenuto occupato con la frustrazione di una lunga giornata lontano da Sherlock e il lavoro. Forse era il modo in cui John aveva colmato la sua brama fisica e il piacere di abbandonarsi a essa. Magari, era il fatto che John potesse vedere Sherlock deglutire dall’altra parte della stanza, con gli occhi fissi sul cucchiaio che usciva dalle sue labbra. Non importava quale fosse il motivo, si sentiva come se fosse stato colto nel bel mezzo di qualcosa di privato.
Rabbrividì e non a causa del freddo.
«Cos’è?» chiese Sherlock.
«Gelato.» John decise che non avrebbe smesso di mangiare solo perché il suo amico lo stava guardando. Prese di proposito  una grande quantità di gelato, di quelle che richiedono due tentativi per essere rimosse dal cucchiaio. Credendo che la conversazione fosse finita, si dedicò al primo assaggio.
«Che gusto?»
Si tolse il cucchiaio dalla bocca per rispondere. Eppure non riusciva a capire perché a Sherlock dovesse interessare. Gettando un’occhiata alla vaschetta, sperò che l’altro non stesse per dirgli che era stata usata per qualche esperimento, che comportava agenti chimici che reagivano letalmente con determinati gusti artificiali. Ma poi esisteva una cosa del genere? Non c’erano dubbi che, se ci fosse stata, Sherlock l’avrebbe saputo perché ci aveva fatto un esperimento. Si sperava non nella vaschetta di John. Era una vaschetta blu. Le vaschette blu erano per mangiare. Quelle bianche per gli esperimenti. Tuttavia, non sarebbe stata la prima volta che Sherlock commetteva un errore del genere.
«Vaniglia» rispose. Sherlock rotolò giù dal divano e dopo quattro lunghi passi – due dei quali sul tavolino da caffè, ovviamente – stava prendendo il cucchiaio dalla mano di John.
Qualsiasi suono di sdegno a proposito dello spazio personale gli morì in gola, quando vide il cucchiaio scomparire fra le labbra di Sherlock. Tutto quello cui riusciva a pensare era che un momento prima era stato nella sua bocca. E, nonostante Sherlock probabilmente non realizzasse quanto ciò potesse sembrare intimo, doveva per forza sapere quando fosse antigenico.
«Lo stavo usando» disse John. Sherlock girò il cucchiaio e gli diede ancora una leccata, prima di buttarlo di nuovo nella vaschetta con un suono metallico.
John deglutì nella sua gola secca.
«Ne prendo una porzione» gli comunicò Sherlock, mentre tornava furtivamente alla sua vecchia posizione drammatica sul divano. «Piccola» chiarì. «Molto piccola.»
Senza pensarci, John si alzò per prendergli una vaschetta, sentendosi un po’ come il cane di Pavlov. Ma una volta che il suo cervello sembrò essersi riavviato, gli venne in mente una cosa. «Aspetta, pensavo che non mangiassi durante un caso.»
Sherlock sospirò in stile film di serie B. «Ovviamente sto facendo un’eccezione.»
«Perché?»
«È gelato alla vaniglia.»


Sherlock non fu disposto a fare un’eccezione solo quella volta, ma John, sulla base di un’intuizione, sistemò un’altra piccola vaschetta sul grembo di Sherlock per colazione. Il suo amico era troppo distratto dal caso per guardarla o anche solo accorgersi che John l’avesse portata, ma la mangiò. Dopo parecchi ripetuti esperimenti, John scoprì che nonostante Sherlock potesse non dormire o mangiare durante un caso, il gelato alla vaniglia era sempre un’eccezione. Non era per niente salutare ma, quando Sherlock andava avanti per giorni senza mangiare, le calorie erano pur sempre calorie e John si preoccupava di questo genere di cose.
Si assicurava che ci fosse sempre una confezione nel freezer. Per entrambi.

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Capitolo 2
*** Two ***


Rieccomi! 
Posto oggi perché non ho voglia di tenere il capitolo ad ammuffire nel computer e perché ho notato che già parecchie persone seguono questa storia! Non me l'aspettavo davvero, è la mia prima traduzione, quindi grazie mille! ♥
Questo capitolo è molto incentrato su Sherlock e le sue indagini, i prossimi invece saranno ricchi di sane scene Johnlock :) Spero che questo storia faccia sorridere voi come ha fatto sorridere me. L'autrice è davvero brava a non andare OOC e adoro il modo in cui approfondisce sempre la di più la relazione tra questi due!
Ma non mi dilungo oltre ;)
Alla prossima, fatemi sapere cosa ne pensate!
baci,
pantarhei, la traduttrice ♫ 




 
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(Two)
 


Sherlock non era il tipo di uomo a cui piace avere torto. Quella fu una delle prime cose che John imparò su di lui. Sherlock aveva ipotizzato che Harry fosse suo fratello, uno sbaglio che avrebbe potuto commettere chiunque; ma quello era proprio il tipo di errore che Sherlock odiava fare.
Sapeva di non poter azzeccare tutto. Era abbastanza intelligente e abbastanza realistico da tenerne conto nelle due deduzioni. Tuttavia, se Sherlock commetteva un errore, voleva che fosse perché stava pensando, non perché non lo stava facendo. Quando formulava ipotesi dopo aver accettato meccanicamente delle norme sociali, era il peggio che gli potesse capitare. Come Harry. Una volta John fece l’errore madornale di ricordare a Sherlock dell’Errore Harry, mentre non si stavano occupando di un caso. Per i due giorni seguenti aveva dovuto sopportare le continue polemiche di Sherlock sulla devianza della mente razionale attraverso le convenzioni sociali di genere e l’eteronormatività. John fu piuttosto sollevato quando un personaggio di rilievo venne assassinato e Sherlock distratto da quel caso, nonostante suonasse malissimo anche nella sua testa. Eppure, Sherlock non suppose più il genere di una persona in base al nome.
Un altro esempio ci fu poco dopo che John ebbe incontrato Sherlock. Ripensandoci, quello fu piuttosto strano, dal momento che Sherlock raramente faceva quel genere di errori. Successivamente John seppe abbastanza da capire che per lui, commetterlo due volte in così poco tempo, era molto inconsueto. Si chiedeva se fosse stato il suo arrivo a distrarlo. 
La seconda volta che Sherlock fu inconsapevolmente succube delle convenzioni sociali fu quella del tassista omicida. Per tutto il tempo l’assassino era stato proprio di fronte a loro ma nessuno l’aveva visto, perché i tassisti erano invisibili, estensioni senza nome dell’industria dei trasporti. Sherlock non aveva fatto caso a una possibilità importante perché, come tutti gli altri, l’aveva respinta a priori in quanto non-entità priva di motivazione o valore.
Era inaccettabile.
Stavano tornando dalla cena all’Angelo’s – sì, c’era stata una candela – quando John imparò che Sherlock non avrebbe più commesso lo stesso errore.
«Dove vai, Sherlock?» chiese il tassista.
«A casa» rispose. «Come va, Charlie?»
John fissò il suo amico e la falsa cordialità nella sua voce.
«Ah, lo sai» rispose Charlie ed effettivamente Sherlock annuì.
«Tuo fratello ha ancora problemi a scuola?»
E con ciò Sherlock e il tassista furono impegnati a chiacchierare per tutto il viaggio verso Baker Street. Non c’era dubbio che non sarebbe successo se fossero stati nel bel mezzo di un caso, ma solo il fatto che fosse successo era scioccante. Sherlock non si riempiva la testa di cose inutili e sicuramente non ascoltava i problemi degli altri solo perché a loro serviva parlare con qualcuno. Era a malapena disposto ad ascoltare le lamentele di John quando lui era la causa. Ma eccolo lì a incoraggiare il loro tassista a raccontargli la storia della sua vita.
John imparò dalla loro conversazione che il fratello di Charlie era il primo in famiglia a frequentare l’università, ma parlava di lasciarla. Secondo sua moglie perché aveva paura di affermarsi, ma Charlie pensava fosse perché il fratello era sempre stato coccolato dai genitori e non aveva mai avuto bisogno di impegnarsi in qualcosa prima d’ora. Per dieci minuti buoni Sherlock annuì e fece domande tendenziose, solo per permettere al tassista di parlare. Quando arrivarono a casa, Sherlock salutò gentilmente – per i suoi standard – e lasciò John a pagare per la corsa.
«È legato a un caso?» chiese John, mentre aspettava che Sherlock aprisse la porta.
«No.» Sherlock piegò la testa da un lato, ripensando alla sua risposta. «Non ancora.»
«Allora che senso aveva quello?»
La porta si aprì ed entrarono.
«Potrebbe essere importante.»
«Cosa potrebbe essere importante riguardo il fratello di Charlie?»
«Oh, non lo so.» Sherlock sorrise. «Forse il fatto che la moglie di Charlie ha una storia col fratello di lui e stanno pensando di scappare in America insieme. Charlie è molto bravo a non sprecare soldi, quindi ha un bel gruzzoletto in banca che si è accumulato negli ultimi quindici anni. Tuttavia, non è molto bravo con i numeri né con l’avere a che fare con la banca,  perciò è la moglie a gestire il tutto. Charlie è sterile, così non ci sono bambini che leghino sua moglie in quello che sembra essere un matrimonio molto infelice. Eppure lei resta. Perché? I soldi e il fratello. Il fratello di Charlie è sempre stato il ragazzo modello della famiglia, ma da quando si è innamorato della cognata e ha fallito all’università – sì, non frequenta i corsi da almeno un semestre – ha iniziato a non sopportare più le aspettative di tutti e ha molto probabilmente intenzione di ribellarsi in modo significativo. Scappare con la moglie del fratello e i soldi sarebbe una bella maniera per farlo. Charlie è uno che non perdona e ha un carattere forte. È assolutamente possibile che, se li cogliesse sul fatto, li ucciderebbe entrambi. Vedi, è meglio essere preparati.»
John guardò ancora la porta chiusa che dava sulla strada e cercò di ricordare quali parti di quell’innocua conversazione col tassista avesse dato a Sherlock tutti quegli indizi. Perché John non dubitava che Sherlock avesse utilizzato tutto quello che Charlie gli aveva detto.
«Straordinario» disse John e Sherlock sorrise nella pallida luce del corridoio. Il suo amico era tutto ombre e angoli acuti, spettacolare nella sua intelligenza. Per un istante o due, John si sentì abbastanza sopraffatto dall’altro uomo. Non ci si stancava mai di lui. «Cosa ha catturato la tua attenzione in quel tassista? Cioè, nello specifico. Fammi indovinare, è stato il fatto che la sua camicia non fosse stirata a dirti che aveva problemi a casa.»
«Non essere ridicolo» replicò Sherlock. «Non ci si aspetta più che le mogli stirino le camicie dei mariti. I suoi vestiti stropicciati sono più un segno della sua occupazione e della classe sociale, piuttosto che dell’umore della moglie. So che eri nell’esercito ma, per favore, cerca di superare la tua datata concezione dei ruoli di genere.»
«Allora perché l’hai scelto?»
«Non l’ho fatto.»
«Allora come sapevi che potrebbe uccidere qualcuno?» chiese John, troppo interessato a cercare di comprendere il metodo del genio di Sherlock, per capire in che direzione si stesse dirigendo l’umore dell’altro.
«Non lo sapevo» sbottò Sherlock. Faceva le scale tre gradini alla volta, il suo atteggiamento come un taglietto con la carta: ordinario ma pungente e inaspettatamente doloroso. «È proprio questo il punto!»
 
Charlie non uccise mai sua moglie, ma questo non significava che Sherlock si fosse sbagliato. Era perché era disposto a imparare dai propri errori, riconoscere i punti ciechi della società e tenerne conto. Fu d’aiuto anche che John imparasse da lui: il giorno seguente trovò l’indirizzo di Charlie su internet e inviò a sua moglie una lettera anonima. Non c’era bisogno di dimostrare che Sherlock avesse ragione.

 

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Capitolo 3
*** Three ***


Buonasera!
Scusate il ritardo, mi ero tipo dimenticata di postare :) 
Questo capitolo e i prossimi saranno un crescendo di momenti tra John e Sherlock che spero vi piaceranno. Io personalmente li ho adorati, in particolare i capitoli 5 e 6...
Ma non voglio dilungarmi oltre :)
Godetevi il capitolo e alla prossima
pantarhei



 
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(Three)


 
Spettacolarmente ignorante. Quell’osservazione aveva fatto venire a Sherlock un malumore che aveva portato a delle pallottole nel muro del soggiorno, ma ciò non la rendeva meno vera. A volte John sentiva che insegnare le basi a Sherlock fosse il suo lavoro, per mettere un po’ di normalità in lui. Questo uguale misura di lodi e critiche. Perciò sì, quell’uomo era un genio straordinario per quel che riguardava cose che sfuggivano all’attenzione di una persona normale, ma quando si trattava della vita di tutti i giorni e di cultura generale, Sherlock era spettacolarmente ignorante. E John aveva intenzione di dirglielo.
«Sei un idiota» gli comunicò, mentre infilava il secondo lenzuolo sotto il materasso di Sherlock. «Quale uomo adulto non si sa fare il letto? Sherlock, sei attento?»
L’uomo in questione era appoggiato al muro dietro di lui. Aveva la testa indietro, come se stesse sopportando chissà quale agonia fisica invece di una basilare lezione di vita.
«Sì, John» rispose Sherlock. Qualcuno avrebbe potuto facilmente pensare che gli stesse facendo un favore. «Credo ancora di non avere bisogno di un letto. Il divano è più che adeguato quando non posso evitare di dormire. Qualsiasi cosa in più è un inutile spreco di tempo e risorse mentali.»
Fece finta che Sherlock si fosse fermato alla prima frase. «Perfetto. Allora ti insegnerò come rifare il letto.»
«Certo che lo farai» borbottò Sherlock.
«Guarda. Devi assicurarti che la parte che sporge del lenzuolo sia uguale da tutte e due le parti e controlla che sia tirato. Questa è la chiave. Ora, devi sollevare la parte che sporge e fare un angolo di 45 gradi. Vedi cosa sto facendo? Assicurati che sia liscio. Lo infili sotto. Allora riporti giù la parte che sporge. Lo infili sotto. Vedi? Facile. Adesso lo fai tu.» John sollevò lo sguardò dal suo lenzuolo tirato e si sfregò gli occhi per vedere Sherlock che aveva gli occhi chiusi. «Sherlock!»
Gli occhi del suo amico si spalancarono. «Sì?» La sua voce era piena di pigrizia e disinteressata raffinatezza. Secondo John, Sherlock  ci stava andando giù un po’ troppo pesante con l’accento da scuola pubblica solo per indispettirlo.
«Stai attento.»
«Sporgenza uguale da tutti i lati. Angolo di quarantacinque gradi. Liscia e infila. Davvero, John, è un insulto alla mia intelligenza.»
«Ah sì?» chiese. Sherlock inarcò un sopracciglio. «Allora fallo.» Indicò l’angolo successivo del letto e incrociò le braccia con un po’ di compiacimento. Sherlock fissò l’angolo per un bel po’. John riusciva a vedere tutte le emozioni attraversargli il viso: altezzosità, dubbio, preoccupazione e imbarazzo, prima di passare finalmente all’essere seccato. Davvero, quello avrebbe dovuto dargli un indizio,  dal momento che le emozioni di Sherlock non erano mai tanto facili da leggere, a meno che non fosse opera sua. Ma John era troppo preso dalla sua piccola vittoria per curarsene.
«Forse dovresti illustrarmelo ancora una volta» suggerì Sherlock.
John cercò di cancellare il proprio sorriso, perché gongolare era poco gentile e lui avrebbe dovuto essere quello maturo.
«Certo» disse, iniziando con zelo a sistemare il prossimo angolo. Non era cosa da tutti i giorni che il suo amico stesse fermo a sorbirsi una lezione di vita domestica. Tuttavia, non era ciò che stava succedendo quel giorno. Sherlock si approfittò del fatto che John si trovasse dall’altro lato del letto e nel giro di tre secondi fu fuori dalla stanza.
«Sherlock!» John partì all’inseguimento. «Torna qui!»
«Sono a un punto di svolta, John!» gli gridò di rimando Sherlock. «Dovrai finirlo al mio posto!» Quella frase fu enfatizzata dallo sbattere della porta.
Sherlock non poteva davvero pensare che fosse così stupido da crederci. Non stavano nemmeno lavorando a un caso.
John lo prese come un altro esempio della spettacolare ignoranza di Sherlock. Il sistema solare. Il surriscaldamento globale. Il Primo ministro. Rifarsi il letto. Queste cose semplicemente non facevano parte del disco rigido di Sherlock. Avrebbe potuto inseguirlo e convincerlo a imparare come rifarsi il letto, ma a una parte di lui piaceva sapere più del suo amico riguardo certe cose. Rendeva Sherlock un po’ più umano e dava a John qualcosa in più in cui contribuire. Se fosse stato la signora Hudson, sicuramente si sarebbe messo a sbraitare di non essere la loro governante, ma qui non si trattava di essere d’aiuto. A Sherlock non importava di avere il letto rifatto oppure no. Diamine, non gli importava nemmeno di avere un letto. Ma a John importava. Voleva assicurarsi che Sherlock avesse un letto pulito tanto quando voleva essere certo che mangiasse abbastanza. Gli altri credevano che questa fosse la prova del controllo che Sherlock aveva su di lui, ma in realtà era proprio l’opposto. C’era potere nel fatto che lui mettesse una tazza di the e un toast di fronte al suo coinquilino e questi bevesse e mangiasse, anche se non aveva fame. C’era potere nel fatto che Sherlock lo lasciasse entrare nella sua stanza perché John voleva rifare un letto che a lui non importava utilizzare.  Sherlock lasciava che John si prendesse cura di lui e c’era un sacco di potere in questo. Soprattutto perché Sherlock non ne aveva bisogno. Ciò suggeriva che lo volesse. C’erano davvero poche persone di cui Sherlock avesse bisogno nella sua vita, ancora meno che lui volesse. John avrebbe anche potuto essere l’unico. Per questo era difficile arrabbiarsi.
Spettacolarmente ignorante, ma anche quello lo affascinava.
«Idiota» borbottò John, e finì di rifare a il letto di Sherlock.




 

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