The power of the elements - Il sacrificio del fuoco

di Colpa delle stelle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 6 mesi ***
Capitolo 3: *** 2 mesi ***
Capitolo 4: *** Domani ***
Capitolo 5: *** Il treno dei tormenti ***
Capitolo 6: *** Buon viso a cattivo gioco ***
Capitolo 7: *** Il tramonto in uno sguardo ***
Capitolo 8: *** Ciò che farei per te ***
Capitolo 9: *** Lo sfarzo dell'imprevedibile ***
Capitolo 10: *** La busta della discordia ***
Capitolo 11: *** Dejavù ***
Capitolo 12: *** Le regole del gioco ***
Capitolo 13: *** La parata ***
Capitolo 14: *** Gli allenamenti ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


The power of the elements - Il sacrificio del fuoco

 

 

 Prologo 

 

« A volte la cosa più difficile non è dimenticare,
ma imparare a ricominciare da capo. »
Nicole Sobon


 


• Distretto 4 •

 

Lo sciabordio del mare nel Distretto 4 era udibile anche a metri di distanza dalla spiaggia, non importava dove ci si trovasse. A Lucinda Lockwood il rumore delle onde che si infrangevano sugli scogli era familiare, così come la salsedine le fungeva ormai da seconda pelle. I capelli biondi erano bagnati e sciolti, incollati alla schiena. Piccole gocce le scivolavano sul viso, alcune le si fermavano sulle ciglia, ma lei non se ne accorgeva, così come non si curava del vento freddo che le provocava brividi in tutto il corpo.
Aveva gli occhi chiusi e pensava, con i piedi completamente nascosti nella sabbia. Considerazioni senza senso, immagini senza forma. Da quando era tornata dall'Arena, le erano serviti alcuni mesi per dimenticarsi degli orrori dei giochi. La morte che le aveva sempre fatto più male era stata quella di Alton. Non aveva potuto fare nulla per aiutarlo e lui era morto, salvando tutti loro.
Con il passare del tempo, i ricordi si facevano sempre più sfocati e i sogni meno frequenti. Non si ricordava più a memoria i sentieri che aveva percorso nell'arena e il frinire dei grilli non la svegliava più di soprassalto la notte, per poi scoprire che era solo frutto della sua fantasia. L'unico ricordo vivido che le era rimasto era il rumore del mare, così simile a quello del suo Distretto. Nell'acqua stava per morire, ma il fatto che non fosse successo davvero le aveva garantito la possibilità di tornare a nuotare senza traumi, di tornare alla sua vita di sempre.
Erano passati due mesi dalla sua vittoria agli Hunger Games e ne rimanevano altri quattro, prima del tour della vittoria. E altri dieci alla nuova edizione della memoria. Sembrava tanto tempo, ma Lucinda aveva la terribile sensazione che sarebbe passato in un lampo. E la cosa che più le riusciva difficile da accettare, era che sarebbe stata pronta per allora.
Sarebbe stata pronta per vedere altre persone morire.

 


 

 Distretto 11 

 

I campi incontaminati del Distretto 11 parevano ancora più grandi di quanto Camille se li ricordasse. Non le sembrava vero di essere tornata a casa, di sentire ancora il profumo di quella terra. Era certa che sarebbe morta, condannata a vivere la fine della sua vita senza vie di uscita, e invece si era sbagliata. Lucinda non aveva accettato di collaborare, e forse col tempo avrebbe cambiato idea, ma nel frattempo le aveva salvato la vita con il solo fatto di essersi alleata con loro e lei le era riconoscente, nonostante tutto.
- Ehi Cam. -
La voce di Jason la colse di sorpresa, ma non le fece aprire gli occhi né la spaventò. L'amico si sedette accanto a lei e rimase in silenzio, fissando a sua volta l'orizzonte che si estendeva oltre il Distretto. Parlò solo dopo molti minuti, quando non ce la faceva più a tacere.
- Sono contento di averti qui. - sussurrò, sfiorandole una mano.
Camille sorrise. - Anche io lo sono, Jaz. -
Gli strinse la mano con forza.
Il tramonto illuminava di rosso ogni singola foglia degli alberi e a Camille sembrava quasi di avvertire i colori espandersi sul suo viso. Ritornare in simbiosi con la natura era il più bel regalo che il destino avesse potuto farle. Era stata fortunata, era ancora viva, poteva respirare ancora, ma le sembrava tuttavia di non essere completamente in salvo. L'aria che soffiava quella sera era pesante, ricca di preoccupazioni, e la terra sembrava quasi troppo dura sotto le sue mani. Camille però era stanca dei problemi e non diede troppo peso a quel presentimento che le stringeva lo stomaco in una morsa dal pomeriggio. Appena smise di pensarci, la brutta sensazione se ne andò e Camille sospirò.
- Abbiamo quattro mesi per progettare il prossimo botto, prima del Tour della Vittoria. - disse Jason in quel momento. - Non ti tirerai indietro, vero? -
Camille spalancò gli occhi, incontrando gli ultimi raggi del sole.
- Non mi tirerò indietro. - assicurò.
 


 

• Distretto 12 

 

Gli schiamazzi di Sophie e dei suoi amici rimbombavano nella foresta, si disperdevano tra le piante e sparivano, rapidi com'erano arrivati. Felicity affrettò il passo, pur senza mettersi a correre. La sera prima un terribile temporale aveva colpito il Distretto 12 e i dintorni e aveva sradicato molti alberi, rendendo quasi impraticabili i sentieri, ma lei non era tornata indietro. Pezzi di tronchi e grossi rami giacevano per terra e Felicity fu costretta a saltarli o a cambiare strada del tutto non poche volte. Tuttavia non si perse mai d'animo.
Il suo gruppo l'attendeva nella solita radura. Sophie era appoggiata ad un albero, con un sorriso sul viso e le braccia incrociate al petto, e parlava con due ragazzi che Felicity nemmeno conosceva. Heather invece era seduta sulla sua solita pietra, ma appena la vide saltò giù e le corse incontro, con le braccia spalancate. L'impatto fu talmente forte che per poco Felicity non perse l'equilibrio e ruzzolò all'indietro. Fece qualche passo, colta di sorpresa, ma poi ricambiò felice l'abbraccio dell'amica, stretto e spezza fiato proprio come si aspettava e come aveva desiderato, pur senza rendersene conto. Heather non accennava a voler mollare la presa e a Felicity andava bene. Affondò il viso nel tessuto della camicia dell'amica, aspirandone il profumo di pulito, e chiuse gli occhi.
Il silenzio era sceso nella radura e Felicity riusciva quasi a immaginarsi la scena. I due ragazzi che la guardavano increduli, senz'altro riconoscendola come la sopravvissuta degli ultimi Hunger Games, e Sophie che continuava a sorridere, tuttavia senza spostarsi da dove si trovava. Non era tipa da smancerie inutili e Felicity le assomigliava, ma dopo aver vissuto per quasi due settimane con la paura di non farcela, dopo aver visto il fratello del suo amico morire nell'arena, sentiva di meritarsi quel piccolo momento di debolezza. Anche se un abbraccio non era un vero e proprio momento di debolezza. Era la dimostrazione di essere umano, di avere dei sentimenti. E di tenere alla propria vita.
 


Angolo d'autrice:
Sono tornata! Ci ho messo un po', ma alla fine ho ultimato tutti i capitoli e ho pronto il secondo libro della nostra saga. Ho anche imparato a mettere la riga orizzontale nella formattazione HTML. Sono molto fiera di me.
Ma ciancio alle bande, passo all'esplicazione di alcune novità di quest'anno.

  1. Non ci sarà più solo il punto di vista di Lucinda in questa storia! Mi sono accorta che, per quanto le sia affezionata, i suoi pensieri sono difficili da scrivere e... Beh, ho semplicemente voluto dare più spazio agli altri, a Camille, a Felicity e ad Alexander e agli altri personaggi, il che vi manda al punto due...
  2. ... Ci saranno nuovi personaggi! *allarme spoiler*
  3. Le mie compari ed io abbiamo creato una pagina Facebook dedicata alla saga, in cui pubblicheremo di tutto. Fateci un salto: https://www.facebook.com/thepoweroftheelements?ref=hl
  4. Quest'estate, oltre a imparare a mettere la riga orizzontale nelle mie storie, ho imparato anche a fare i video. Vi lascio il link del trailer del primo libro, del trailer del secondo libro e di un altro video, una bella sorpresa per voi, spero! Numero uno: https://www.youtube.com/watch?v=mnn0BfVOeTU - Numero due: https://www.youtube.com/watch?v=R1pWfYsXolA&list - Numero tre: https://www.youtube.com/watch?v=K85QqEhPzp8
  5. Fisso la pubblicazione alla domenica, una volta a settimana. Con l'inizio del terzo anno di superiore mi sono resa conto che ho a malapena tempo di respirare e che i venti minuti che durante la settimana dedicavo alla pubblicazione, mi servono per matematica e per evitare di avere il debito a fine anno. Indipercui, pubblicherò alla domenica.
  6. Per ultimo, ma non per ordine d'importanza, un ringraziamento speciale alle mie amiche speciali Camille VanHorn e Felicity Weedon, senza le quali questo fantastico progetto non avrebbe mai visto la luce del sole. Grazie di esistere *diabete a go go*.
​Vi mancavano le mie luuuuuunghe note d'autore, vero? Non ne dubito.
Come sempre, sono aperta a consigli e critiche. E anche a complimenti *ammicca*. Fatevi avanti, non temete.
Ci si scrive domenica.
Colpa delle stelle

 

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Capitolo 2
*** 6 mesi ***


The power of the elements - Il sacrificio del fuoco

 

 

 6 mesi 

 

 

« Quando si perdona non si cambia il passato.
Si cambia il futuro. »
Anonimo


 

 

Camminavano insieme sulla spiaggia. Joey e Lucinda.
Da quando erano usciti dall'arena non si erano più visti o incontrati ed era stata lei a volerlo. Lui veniva a bussare alla porta di casa sua, l'aspettava all'accademia e la cercava in spiaggia, ma Lucinda faceva in modo che non la trovasse mai, ordinando ai suoi genitori di mandarlo via, cambiando gli orari degli allenamenti con Atos, che continuavano senza esitazioni, e andando a vedere il mare solo la mattina presto o subito prima del tramonto, quando Joey stava ancora mangiando. Aveva avuto bisogno di rimanere da sola, sola con i suoi pensieri, ma quella necessità di solitudine era finita ancora prima di quanto Lucinda si sarebbe aspettata.
Era andata a cercarlo lei stessa, a casa sua. Le aveva aperto sua madre e anche se non si conoscevano, anche se non si erano mai nemmeno parlate, l'aveva abbracciata. L'unica cosa che voleva Lucinda era levarsi da quella veranda, perché era stanca di abbracci e di manifestazioni d'affetto che non meritava, ma poi la donna parlò.
- Grazie di aver salvato Joey – sussurrò, accarezzandole i capelli. - Senza di te, non sarebbe qui. -
Quell'abbraccio evidentemente se lo meritava davvero.

Dopo pochi secondi era arrivato Joey ed erano usciti, camminando per le strade del Distretto 4 senza dire una parola. Non ne avevano bisogno e poi nessuno dei due sapeva cosa dire. Non avevano mai avuto molto in comune e anche se Lucinda si era convinta del contrario quando erano diventati amici nell'arena, ora aveva cambiato idea di nuovo. L'aveva tradita, aveva tramato alle sue spalle con i ribelli, e questo non avrebbe mai potuto perdonarglielo. O almeno, era quello di cui si era convinta.
- Ti devo delle scuse, Lucinda – disse Joey, dopo un po', quando la spiaggia era ormai apparsa davanti ai loro occhi. - Ti ho mentito e non era mia intenzione. -
Sentì il suo sguardo su di lei, ma non fece nulla per rassicurarlo. Era ancora arrabbiata con lui e non era solo per una questione d'orgoglio. Joey era l'unico vero amico che Lucinda avesse mai avuto. Non era interessato a lei per i suoi poteri e non l'omaggiava per essersi offerta volontaria agli Hunger Games perché c'era anche lui lì con lei e aveva provato sulla sua stessa pelle cosa voleva dire. E così come faceva lui, nessun altro poteva capirla. Comprendeva le sue emozioni, le sue paure, i suoi timori. Le aveva detto di esserle amico, ma l'aveva tradita lo stesso.
- Quello che fate voi è sbagliato – commentò Lucinda, con lo sguardo fisso sulle onde. - Non riesco a capire perché credete in una causa irrealizzabile. -
- Quello che è davvero sbagliato è impedire ai Maghi del Fuoco di poter vivere una vita loro. - ribatté Joey.
- Sono pericolosi. - disse, poco convinta.
- Lo sono agli occhi del presidente Snow – la corresse. - E lo sono perché lui sa di aver rovinato Panem, sa di essere nel torto. -
Riprese a camminare e Lucinda lo seguì, appena titubante. Era andata a cercarlo per provare a sistemare le cose, per vedere se fosse riuscita a perdonarlo, ma sembrava che Joey fosse troppo fermo nelle sue idee. E quelle idee non erano compatibili con le sue, con quelle insieme alle quali era cresciuta in tutti quegli anni.
- Il presidente Snow ha sfruttato una situazione disastrosa a suo vantaggio e l'ha migliorata – gli fece notare. - Gli Hunger Games sono solo un danno collaterale della pace. -
Joey la guardò e scosse la testa.
- Cambierai idea – affermò, sicuro. - E poi verrai a cercarmi. -
Si voltò e fece la strada che li aveva condotti fino a lì a ritroso, ma stavolta Lucinda non lo seguì. Non avrebbe mai potuto farlo.
Joey si sbagliava e sarebbe stato lui il primo a rendersene conto.

 

 

- Farai da mentore alla sesta Edizione della Memoria – disse sua madre, per l'ennesima volta quel giorno. - Ancora non riesco a crederci. -
Nello stato di Panem, l'unica nazione al mondo ad avere gli Hunger Games come show televisivo più importante, ogni dieci anni si svolgevano le cosiddette “Edizioni della Memoria”. Promettevano molto più spettacolo degli altri anni, perché in quelle speciali edizioni partecipavano solo i maghi e le streghe. La gente comune doveva rimanere a guardare mentre le persone superavano le prove a suon di magia e colpi di incantesimi, arti che loro non potevano conoscere e che a malapena comprendevano. I tributi erano sempre un uomo e una donna, le prove erano dodici, così come i distretti che nello stesso tempo rappresentavano,e  chi arrivava in fondo era considerato ancora più importante, ancora più magnifico degli Invincibili.
Nessun mago o strega erano esentati da quei giochi particolari, nemmeno chi aveva vinto gli Hunger Games appena conclusi. Per questo continuava ad allenarsi lo stesso, anche se era convinta che non avrebbero estratto lei, che non sarebbe più dovuta tornare nell'arena sotto costrizione. Lucinda sarebbe stata pronta comunque, qualunque cosa fosse successa.
- Un vero onore. - replicò, dandosi una veloce controllata allo specchio.
Il vestito che le aveva comprato sua madre quel mattino al mercato del Distretto non aveva niente di speciale, niente che potesse reggere il confronto con quelli della sua ormai ex stilista Crystal. Era un vestito blu, di chiffon leggero e senza fronzoli, e per la Festa del Pesce del Distretto 4 faceva la sua bella figura, ma Lucinda doveva essersi inevitabilmente abituata alle meravigliose creazioni di Crystal perché non riusciva a togliersele dalla mente o a evitare di fare paragoni. La coroncina di conchiglie che sua madre le aveva messo in testa era carina, ma l'aveva costretta a tenere i capelli sciolti. Erano troppo lunghi, le arrivavano a metà schiena, ed erano troppo belli. Se non li teneva mai sciolti c'era un motivo: la rendevano uguale alla maggior parte delle altre ragazze del Distretto, le conferivano un'aurea pacifica, che non le si addiceva per niente. Che la faceva quasi sentire in colpa.
- Odio la Festa del Pesce. -
Sua sorella entrò nella stanza in quel momento e Lucinda fu sorpresa dal notare che aveva fatto di tutto per vestirsi il più possibile uguale a lei. Stessa sfumatura blu del vestito, capelli biondi sciolti, coroncina di conchiglie tra i capelli. A lei però veniva naturale sorridere alle persone.
- È una cosa da stupidi festeggiare il pesce – continuò, senza curarsi dell'espressione di disappunto della madre. - Chi vorrebbe mai festeggiarlo? -
- Noi, tesoro – la riprese la madre. - Senza pesce, il Distretto 4 non esisterebbe nemmeno. -
Pur non convinta, Margot fu costretta ad annuire, finché non incontrò lo sguardo di Lucinda.
- Sei molto bella. - disse, sorridendole.
Lucinda si voltò verso lo specchio e anche se non era del tutto convinta delle sue parole, ricambiò il suo sorriso. Aveva meritato di trovarsi lì, con la sua famiglia, e sarebbe stata una stupida a non sfruttare quei momenti di pace che si era guadagnata con sudore e fatica. E tanto sangue.
Qualcuno bussò alla porta e la madre le guardò.
- Aspettate qualcuno? - domandò, affrettandosi ad aprire senza nemmeno lasciar loro il tempo di rispondere.
Sulla soglia c'era Joey, con una morbida casacca blu e dei pantaloni alla pescatore, chiaramente nuovi. Quelli di loro padre si erano scoloriti dopo una sola giornata in barca.
- Posso parlarti? - domandò, porgendo una mano a Lucinda.
La ragazza rivolse una rapida occhiata a sua madre e a sua sorella, ma poi uscì, anche se ignorò il suo aiuto. E i suoi complimenti.
- Sei bella quasi quanto alla sfilata. - Lucinda sollevò un sopracciglio e incrociò le braccia al petto.
- Ma ora sei molto più tu. - scherzò Joey e lei per un attimo si domandò cos'era cambiato da un giorno all'altro.
- Non avevi detto che non mi avresti più parlato? - chiese Lucinda, scettica. - Che avrei dovuto cercarti io? -
- Ho sbagliato – ammise, tornando serio. - E ho capito che i ribelli alla fine non sono molto diversi da Snow. Vogliono convincerci che il loro ideale di mondo è migliore di quello attuale, ma nessuno può saperlo veramente. Magari stanno mentendo, magari no. Non ho voglia di scoprirlo adesso. -
Lucinda spalancò gli occhi.
- Non puoi fare così! - esclamò, cogliendolo di sorpresa. - Non puoi fare così! - ripeté, mollandogli un pugno sulla spalla.
Joey non si arrabbiò anzi, sorrise.
- Preferisco essere tuo amico che credere alle parole di persone che non conosco. - ammise.
- Meglio tardi che mai. - commentò Lucinda, lanciandogli un'occhiataccia. Ma poi sorrise anche lei.
Era inutile dire che scoppiava di felicità. Joey aveva preferito la sua amicizia a tutto il resto. Nessuno lo aveva mai fatto prima d'ora.

- E ho una sorpresa per farmi perdonare. - aggiunse, guardandosi intorno.
- Non c'è n'è bisogno! - esclamò Lucinda, stupendo persino se stessa. - Ti ho già perdonato. -
Solo allora si era resa veramente conto di quanto Joey le fosse mancato in quel periodo, di quanto si fosse abituata alla sua presenza da non riuscire più ad affrontare la vita da sola.
- Dici sul serio? - chiede Joey, fintamente stupito. - Beh Nick, l'hai sentita no? Puoi anche tornartene a casa! -
Lucinda si voltò di scatto, seguendo il suo sguardo, e se lo ritrovò davanti, con il suo famoso ghigno astuto e il ciuffo moro spettinato.
- Ciao Lucinda. -
Non riuscì a muoversi ed era pienamente certa di avere la bocca aperta e gli occhi spalancati dallo stupore, ma non fece comunque niente per scuotersi. Aveva promesso che sarebbe venuto a trovarla e che si sarebbero sentiti quasi tutti i giorni. La seconda promessa non l'aveva mantenuta fedelmente, ma nella prima era andato decisamente meglio.
- Ciao Nick. -
Lucinda si riprese appena in tempo per sorridergli. Era contenta di rivederlo e sotto sotto le era mancato. Avevano affrontato un percorso importante nell'arena, insieme, si erano fidati l'uno dell'altra e avevano dovuto contare solo su loro stessi per parecchi giorni. E certe esperienze non si potevano dimenticare tanto facilmente.
- Ti trovo bene. – commentò, squadrandola.
Joey scosse la testa e si batté una mano sulla fronte.
- Anche tu. - rispose Lucinda, tranquillamente.
- Le effusioni di due pezzi di ghiaccio - osservò Joey, indispettito. - Non vi vedete da due mesi e tutto quello che riuscite a dire è “ti trovo bene”? -
Si girarono nello stesso momento verso di lui.
- Cosa avremmo dovuto dire? - domandarono, all'unisono.
Joey allargò le braccia, quasi a sottolineare la sua osservazione di prima.
- Niente in particolare. - disse però, sbuffando. - Andiamo? -
Lucinda notò solo allora che l'abbigliamento di Nick richiamava i colori del Distretto 4: camicia blu e pantaloni in cachi. E infondo Joey aveva ragione. Stava più che bene.

 

 

La piazza del Distretto 4 era affollata e sembrava che davvero tutti gli abitanti avessero abbandonato le loro case per partecipare alla Festa del Pesce. Come aveva detto la madre a Margot, nessuno avrebbe rischiato di attirare sfortuna sulle loro reti da pesca.
- Noi crediamo che sia di buon auspicio partecipare a questa festa – spiegò Lucinda, davanti allo sguardo entusiasta di Nick. - E chi non partecipa, non potrà godere del sapore del pesce per il prossimo anno. -
- I pescivendoli saranno i primi ad essere arrivati. - scherzò, guardandosi in giro.
La gente aveva iniziato a ballare sul ritmo di una musica popolana e c'erano lunghe tavolate di legno ricche di piatti a base di pesce: cotto, crudo, trota o salmone non faceva differenza. Le persone erano comunque sorridenti e felici. Lucinda non poté fare a meno di sospirare davanti a quello spettacolo, che non si stancava mai di ammirare ogni anno.
- Sono queste le feste che preferisco. - ammise Joey, annusando l'aria.
Il profumo del mare era ancora più forte quella sera.

- Concordo. - annuì Lucinda, studiando attentamente la reazione di Nick. Lui veniva dal 2 e le tradizioni di quel Distretto non erano molte, perché qualsiasi festa organizzassero era davvero troppo simile a quelle di Capitol City per non confonderle. Il padre di Lucinda aveva passato molto tempo ad istruire in una delle loro accademie quando era giovane e si ricordava quasi tutto di quel Distretto. Non aveva potuto non raccontarglielo.
- Mi piace. - disse Nick dopo un po' e guardò attentamente la piccola orchestra che si era unita in un angolo della piazza. Qualche tromba, una chitarra e molti tamburi.
- I decori di quei tamburi sono fatti con lo stesso materiale delle nostre reti da pesca – gli spiegò Lucinda, sfiorandogli una spalla per attirare la sua attenzione. - E lo striscione sul palco l'ha decorato la classe di mia sorella, con le conchiglie raccolte in spiaggia. -
Nick ascoltava ogni sua parola e annuiva ad ogni singola spiegazione, senza perdersi nemmeno un dettaglio.
- Quando parli di casa ti illumini. – osservò, dopo averla fissata per un po'.
Lucinda deglutì, mentre ringraziò che fosse notte e che non si potesse vedere il debole rossore imbarazzato che aveva finito per tradirla.
- Quando inizia a parlare di casa non smette mai. - lo corresse Joey, sorridendo.
Lanciava occhiate furbe prima a Lucinda e poi a Nick, ma prima che la ragazza potesse anche solo provare a scoraggiare i suoi pensieri, l'ex tributo del Distretto 2 le porse una mano.
- Balliamo? - la invitò, cogliendola per la seconda volta di sorpresa.
Joey diede a Lucinda una piccola spinta verso di lui, ma lei puntò i piedi e scosse la testa.
- Io non ballo. - chiarì, incrociando le braccia al petto.
Joey sbuffò e Nick le fece l'occhiolino, ma Lucinda fu irremovibile.
- Io. Non. Ballo. - ripeté, scandendo per bene ogni singola parola.

 

 

Lucinda non sapeva ballare e nonostante si vergognasse ad ammetterlo, le bastò un'altra occhiata invitante di Nick per cambiare idea. E quando il ragazzo le prese la mano, Lucinda capì che avrebbe fatto di tutto pur di imparare a ballare. 
Pur di poterlo prendere per mano ancora.

 


Angolo d'autrice:
Buona domenica! Come spero vi ricorderete, i primi tre capitoli sono dedicati alle nostre tre protagoniste nell'ordine dei loro tre distretti e serve principalmente per fare il punto generale di ciò che è successo e di ciò che succederà. A partire dal quarto capitolo, inizierà la storia vera e propria!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Alla prossima,

Colpa delle stelle

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Capitolo 3
*** 2 mesi ***


The power of the elements - Il sacrificio del fuoco

 

 

 2 mesi 

 

 

 « L'amore fugge come un'ombra l'amore reale che insegue,
inseguendo chi lo fugge,
fuggendo chi l'insegue. 
»
William Shakespeare, Le allegre comari di Windsor, 1602

 

 

 

 

I raggi del sole filtravano attraverso le imposte chiuse della sua camera. Camille si schermò gli occhi con una mano e le bastò spostarsi appena verso destra per scappare alla luce improvvisa. Il Villaggio dei Vincitori era abitato solo dalla sua famiglia attualmente e la ragazza doveva ancora abituarsi ad una stanza con le imposte alle finestre, che impedivano all'aria della notte di entrare in casa e di raffreddarla. Doveva anche abituarsi a non dover lavorare più nei campi, a vedere la madre tornare a sorridere più facilmente, ogni giorno che passava, grazie alle cure di Capitol City. Doveva abituarsi all'affetto di Omar, che tanto aveva reclamato e che le era mancato. Nemmeno il padre doveva più lavorare nei campi;,erano finalmente liberi di poter essere una famiglia unita e felice. Ma a quello, Camille era certa che non si sarebbe mai abituata.
Si sarebbe goduta ogni singolo istante di felicità insieme ai suoi cari. Perché non sapeva quanto sarebbe durato.

 


Camille spalancò gli occhi e deglutì, per scacciare la morsa di terrore che le chiudeva la bocca dello stomaco. Le Streghe della Terra erano in continua simbiosi con la natura, avvertivano all'istante se qualcosa non andava, ed era da giorni che la terra era fredda e dura. Distante. Il campanello di allarme di una minaccia sempre più vicina.
Calciò via le coperte con foga e si mise a sedere sul letto, con la testa tra le mani. Quei giorni nell'arena avevano acuito il suo pessimismo e Camille non sapeva più se credere o meno agli incubi che la disturbavano ogni notte. Non si ricordava niente di quei sogni, ma erano abbastanza angoscianti da lasciarle un sapore amaro in bocca e costringerla a vivere ogni giorno sul chi va là. Voleva ignorare quegli incubi, ma non sempre ci riusciva.
Un bussare flebile alla porta la distrasse quel poco che bastava per far sparire la morsa allo stomaco.
- Hai fame? -
Il fratello comparve sulla porta, come evocato, reggendo tra le mani un invitante vassoio colmo di cibo. Il succo alla pesca, il suo preferito, versato in un bicchiere di vetro e una brioche calda e fragrante, poggiata su un piatto di ceramica bianca. Poco tempo prima, se qualcuno le avesse chiesto cosa fosse una brioche o cosa fosse la ceramica, nonostante la sua infinita intelligenza, Camille non avrebbe saputo rispondere. A tratti le sembrava ancora impossibile poter magiare tutto quel cibo ogni giorno.
- Non tanta. - ammise, raddrizzando i cuscini e appoggiandocisi di schiena. Si passò una mano nei riccioli castani, ma questi le ricaddero prontamente davanti agli occhi.
- Mancano due mesi al tour – le rammentò il fratello, sedendosi accanto a lei. - Non c'è motivo di pensarci adesso. -
- Non posso non essere preoccupata. - osservò Camille, liberando Omar dal fardello del vassoio. Le braccia del fratello erano solcate da muscoli incredibili, così come le mani erano piene di cicatrici che non se ne sarebbero mai andate. Camille gli aveva persino proposto di andare alla Capitale per farle rimuovere, erano dei maghi a rendere il corpo di una persona perfetto, ma Omar si era rifiutato, senza nemmeno pensarci. Non era l'unico che non voleva avere niente a che fare con Diagon City. Anche Camille, quando si guardava allo specchio e vedeva la sua pelle chiara incredibilmente liscia e lucente, era quasi tentata da rotolarsi nel fango per rimuoverne la perfezione, per oscurarla.
Addentò la brioche e non poté impedire alla marmellata di sgusciare fuori dalla pasta. La raccolse con una mano e se la leccò, incapace di trattenersi. Omar le scoccò un'occhiata divertita, ma si astenne dal commentare.
- Mangi ancora come quando avevi quattro anni – rammentò, con la voce improvvisamente flebile, quasi il ricordo provenisse da talmente lontano da doversi sforzare per parlarne. - Non eri capace di lasciare una sola briciola sul piatto. -
Camille sorrise e afferrò il tovagliolo che le porgeva.
- All'epoca avrei ucciso per un pezzo di formaggio. - scherzò, per poi sorprendersi di essere riuscita a dire quella parola con tanta facilità. Nella morte non c'era niente di cui ridere.
- Vieni con me al mercato? - propose Omar, ignorando l'espressione della sorella.
Camille annuì.
- Jason mi aspetta lì – disse, finendo il succo del suo bicchiere. - Posso accompagnarti, ma poi dovrai tornare da solo. -
- Sarà difficile, ma me ne farò una ragione. -
Il sorriso aperto di Omar la colse di sorpresa, come non mancava di fare ormai ogni giorno. Era difficile abituarsi a tutto quell'affetto. Tremendamente difficile.
Omar recuperò il vassoio vuoto e spazzò le briciole dalla coperta. Poi si avvicinò alla finestra e guardò il vaso che era appoggiato sul davanzale. La piantina aveva un aspetto terribile e solo allora Camille si rese conto che quella era una sua pianta, che avrebbe dovuto annaffiarla ormai molti giorni fa. Osservò il fratello che ne sfiorava le foglie e che le ridava all'istante la vita. E si sentì in colpa. Non solo riusciva a scherzare sulla morte, come se niente di tutto quello che le era successo fosse accaduto davvero, ma era diventata persino egoista.

 

 

 

Mentre camminava per le vie del Distretto 11, si sentiva osservata. Non quell'irritante ma benevola sensazione che le sortiva il tifo dei capitolini, bensì un profondo e pesante disagio. Le vie del Distretto, quando era tempo di mercato, brulicavano di Pacificatori ed erano proprio loro che non risparmiavano a Camille nemmeno un'occhiata. C'erano quelli che non riuscivano ancora a farsene una ragione, quelli che non ci volevano credere e quelli che non lo accettavano. Era strano percepire in un modo così facile delle emozioni da uomini che di solito si comportavano come perfette statue di ghiaccio. Camille non poteva vedere attraverso i loro caschi, ma sentiva quasi il peso dei loro sguardi sulla schiena. Tuttavia, la presenza di Omar al suo fianco la rassicurava, anche se sapeva che avrebbe dovuto essere il contrario.
Era lei la vincitrice, dopo tutto.

 

 

Jason l'aspettava con la schiena appoggiata al muro della panetteria e gli occhi chiusi e questo sollevò in Camille una forte sensazione di dejavù. Lei stessa, il giorno della mietitura, si era appoggiata al muro del Palazzo di Giustizia, con le braccia incrociate e la consapevolezza che le rimanessero solo pochi minuti da passare nel suo Distretto. Più ci ripensava, più le riusciva difficile credere di trovarsi ancora lì.
- Ehi Cam! -
Si ricordava come se fosse successo ieri il suo abbraccio, sul marciapiede rovinato della stazione del Distretto 11. Era stata la penultima a scendere dal treno, ma le braccia di Jason l'avevano trattenuta così a lungo che Camille non aveva nemmeno fatto in tempo a salutare Felicity, che li stava guardando dal finestrino. Era stata così contenta di essere tornata sana e salva che aveva dimenticato tutto il resto.
- Ehi Jaz! -
Non appena gli fu vicino, Jason si mosse verso di lei e la strinse in un breve abbraccio, salutando poi Omar con un sorriso e un cenno del capo. La stava abbracciando fin troppo spesso di recente. Il loro affetto era grande, erano cresciuti insieme nonostante avessero qualche anno di differenza, ma Camille lo considerava un amico speciale, praticamente un fratello. E l'espressione gioiosa che compariva sul viso di Jason ogni volta che la vedeva la metteva a disagio e rendeva difficile ricambiarla con così tanto vigore. Non poteva fare a meno di confrontarla, ogni volta, con il sorriso di Joey.
- Vado in farmacia per le tisane della mamma e poi al mercato – la informò Omar, allontanandosi di qualche passo. - Ti voglio a casa a mezzogiorno. -
Senza nemmeno darle tempo di ribattere, affrettò la camminata e sparì nella via principale, già affollata di persone. Camille prese a dondolarsi sulle punte, senza curarsi dei riccioli che le oscuravano la vista.
- Andiamo ai campi? - propose Jason, intrecciando le mani dietro la nuca.
Lei scosse la testa.

- Collina? -
La misera altura che sorgeva dietro al frutteto non si poteva propriamente definire “collina”, ma loro l'avevano chiamata così a cinque anni, quando l'intero mondo sembrava più grande di com'era davvero, e per loro era rimasta tale. Non si erano conosciuti lì, sarebbe stata una coincidenza troppo grande anche per loro.
- Ti ricordi il primo giorno di scuola? - disse Jason, lasciandosi cadere tra le sterpaglie bruciate dal sole.
Camille scoppiò a ridere e si sedette vicino a lui, a gambe incrociate.
- Andavo in prima elementare, ero una bambina. - provò a giustificarsi, ma come sempre lui non poté che ignorarla.
- Avevi paura della maestra, eri convinta che ti avrebbe mangiato. – le rammentò Jason, sorridente.
- Perché me l'avevi detto tu – obiettò Camille. - A quei tempi credevo a tutto quello che usciva dalla tua bocca.
- Mi ammiravi! -
- Ti rispettavo! - lo corresse, con una pacca sulla spalla. - Perché eri più grande e più grosso. -
Il vento si sollevò dagli alberi e sollevò una nuvola di polvere nell'aria. Jason si tirò su il cappuccio della felpa e si appoggiò con il mento alle ginocchia.
- Quelli erano bei tempi – commentò, senza provare a nascondere la malinconia. - Non c'era giorno che non passavamo insieme. -
- Lo facciamo anche adesso. È tutto come prima. -
- No, Camille. - sospirò. - Non è tutto come prima. -
Si accorse solo allora di aver la mano piena di terra, ma le bastò un gesto per riavere il palmo pulito e per far sparire la buca che era riuscita a scavare in così pochi secondi. Le unghie erano dei mozziconi rovinati, ma quella non era una novità.

 

 

Quando Camille rientrò in casa e vide la madre in piedi nel soggiorno, con la cornetta del telefono in mano, non poté fare a meno di chiedersi perché stesse sorridendo in quel modo.
- C'è Joey che ti vuole parlare. -
Ma quando lo capì, nonostante non se ne accorse, sfoggiò lo stesso identico sorriso.

 


Angolo d'autrice:
Anche il turno di Camille è arrivato! A questo punto, manca solo Felicity e scoprire come si è assestata dopo gli Hunger Games, prima di arrivare al primo capitolo effettivo della storia. Ringrazio sempre chi legge e recensisce e ha messo la storia nelle preferite/seguite/ricordate.
Alla prossima,
Colpa delle stelle

 

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Capitolo 4
*** Domani ***


The power of the elements - Il sacrificio del fuoco



 
 
 Domani 

 
 
« Voglio lasciarmi andare, voglio farmi catturare,
rinunciare ai miei punti di riferimento,
sgusciar fuori dalla persona che sono,
abbandonarmi tutto alle spalle,
come un serpente che si libera dalla sua vecchia pelle. »

Khaled Hosseini


 
La lievitazione del pane era un processo lungo e difficile, che Felicity non sarebbe mai riuscita ad imparare. Era impulsiva, non aveva nemmeno un briciolo di pazienza. Camminava svelta ogni volta che passeggiava nel suo Distretto e anche se all'apparenza sembrava che stesse scappando da qualcosa, era solo il suo passo abituale. “Non rimandare a domani quello che puoi fare oggi” era il suo motto, solo cambiato in base ai minuti disponibili in una giornata. Perché dover camminare piano, quando poteva semplicemente affrettare il passo e ritrovarsi nel luogo che doveva raggiungere anche prima del previsto?  Felicity era sempre in anticipo e odiava le persone che erano in ritardo. O quelle che camminavano piano.
- Non ha senso. - esclamò Heather, facendo dondolare le gambe ai lati della sedia su cui si era seduta. - La tua teoria non ha senso. -
Felicity sollevò lo sguardo dal libro contabile che stava rapidamente riempiendo di numeri, ma lo riabbassò subito.
- Non è una teoria, ma un dato di fatto. - precisò, girando pagina e vergando il bianco del foglio con nuovi numeri. 
- Ci sono persone che non per forza vogliono correre quando camminano. - obiettò Heather, stupendosi poi lei stessa delle parole che aveva pronunciato. - Perché in quel caso non starebbero più camminando, ma semplicemente correndo. -
- Diciamo che la mia camminata è tendente alla corsa, okay? -
Depositò con foga la biro ancora aperta sul tavolo e la molla alla quale era attaccata se la tirò dietro, facendola cadere. Felicity sbuffò, ma Heather fu più svelta e gliela porse, sorridendo.
- Domani è il mio compleanno, lo sai vero? - disse, appoggiando i gomiti al tavolo.
Compiva quindici anni, si era salvata dagli Hunger Games due volte di fila. Felicity avrebbe voluto affermare “due in un colpo solo”, ma il fatto che l'indomani sarebbe partita per il tour della vittoria, dopo ben sei mesi di riposo, le impediva di farlo. Prima non ci credeva, ma al momento i fatti erano più forti di semplici parole: il tempo volava quando si stava bene.
- E non potrò festeggiarlo con te. – le ricordò, chiudendo il quaderno e alzandosi, per rimetterlo al suo posto nel buco dello scaffale. Era spaventosa la mole dei libri contabili della panetteria. Alcuni risalivano persino a secoli prima e nonostante le pagine fossero prive di immagini o di parole che potessero, anche solo descrivere, quei tempi ormai dimenticati, Heather e Felicity si divertivano a sfogliarli, per ridere di scritture fin troppo arzigogolate e di numeri troppo grandi o troppo piccoli. Quel negozio non era mai andato in bancarotta però, e di questo Felicity era estremamente fiera.
- Domani parti. - commentò Heather, con voce incolore.
Felicity sbuffò e si appoggiò al muro, con le mani dietro alla schiena. Tentare di giustificarsi era inutile; lei non voleva partire, la obbligavano ben sessant'anni di regole rispettate da parte di tutti i vincitori. O sopravvissuti, come li chiamava suo padre.
- Domani parto, ma non per molto tempo – la consolò, con finto trasporto. - E mi vedrai in televisione. -
Heather accennò a un piccolo sorriso.
- Non montarti la testa. -
- Non potrei mai. -


Gli scarponi delle due pestavano con foga il terreno e l'aria del bosco era densa dei loro respiri pesanti. Heather fu la prima a cedere alla stanchezza della corsa e si appoggiò al primo tronco che le capitò a tiro, sorreggendosi con le braccia e provando nel frattempo a respirare a fondo. Felicity era piegata su di sé e, nonostante il fiatone, sembrava avere un'aria molto meno stravolta di quella dell'amica.
- Non ho il fisico per queste corse. - protestò Heather.
- Perché mangi torte tutti i giorni. -
Scoppiarono a ridere, ma si zittirono all'istante quando sentirono un rumore alle loro spalle. Felicity si girò di scatto quando sentì un ramo spezzarsi e fece cenno ad Heather di stare zitta, ma non ce ne fu bisogno: l'amica si era immobilizzata, con la schiena contro l'albero e gli occhi spalancati. Quando una bambina sbucò da dietro il tronco e gli puntò il dito addosso, entrambe sobbalzarono.
- Non l'avete visto, vero? - domandò, agitando la mano.
Felicity la osservò con tanti d'occhi.
- Cosa? - 
- Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda. - precisò la bambina, con voce petulante.
Prima che Felicity potesse anche solo pensare di saltarle addosso, Heather si staccò dall'albero e le si avvicinò.
- Non abbiamo visto niente – si affrettò a dire. - Qualunque cosa tu stessi facendo. -
Ma Felicity non aveva mai avuto realmente voglia di saltarle addosso. La voce della bambina era insopportabile, così come lo sguardo di sfida che le stava rivolgendo, ma un particolare aveva catturato la sua attenzione e le aveva fatto trattenere il fiato. I polpastrelli della bambina erano neri e Felicity avrebbe potuto giurare che una ciocca dei suoi capelli fosse bruciata.
- Che hai fatto alla testa? - le chiese infatti, incrociando le braccia al petto e assumendo una perfetta espressione minacciosa.
La bambina però non si scompose e incrociò le braccia a sua volta.
- Mia madre mi ha chiuso per sbaglio i capelli nel forno. - confessò, a voce ferma.
Felicity sollevò un sopracciglio.
- Vivi al Giacimento? -
- Che te ne frega? -
Heather fece uno strano verso, che voleva nascondere una risata, e si mise una mano sugli occhi, quasi aspettandosi che l'amica la picchiasse.
- Non si risponde ad una domanda con un'altra domanda. - ribatté Felicity, stringendo i pugni.
Quella volta fu la bambina a sollevare un sopracciglio.
- Ho sette anni. Io. -
Calcò sull'ultima parola, come se potesse essere una scusa valida e una specie di affronto nei confronti di Felicity.
- E sei una Strega del Fuoco. - sorrise lei.
La bambina impallidì.
- St-strega del fu-fuoco? - balbettò, senza parole. - Non ci sono Streghe del Fuoco nel Distretto 12. -
Felicity fece un passo avanti e si piegò fino alle punte dei piedi, in un buffo inchino.
- E invece ne hai una proprio qui davanti. -
La bambina ammutolì del tutto e passarono parecchi istanti, prima che si decise a parlare.
- Sei quella Felicity Weedon? - domandò, con un filo di voce. - Quella Strega del Fuoco che si è nascosta per quindici anni e che poi ha vinto gli Hunger Games? -
Felicity annuì e fece un balzo indietro, quando la bambina le corse incontro e le prese la mani.
- Sei il mio mito! - le confessò, in preda all'estasi. - Ho tifato per te in ogni momento! -
Heather fece una smorfia.
- Ti preferivo prima. - commentò invece Felicity, cercando di allontanarla.
La bambina, quasi rendendosi improvvisamente conto di quello che aveva fatto, fece un passo indietro e si aggiustò la frangetta.
- Non che tu sia chissà quale celebrità, comunque. -
Nascondendo un sorriso, Felicity si piegò sulle ginocchia, guardandola negli occhi alla sua stessa altezza.
- E tu come ti chiami invece? -
- Sono Mozely. -
- Mozely chi? - domandò Heather, curiosa.
Mozely la guardò male. - Solo Mozely. -
- Bene “solo Mozely” - scherzò Felicity, facendo cenno a Heather di tacere. - Che ci fai nel bosco tutta sola? -
- Mi esercitavo. -
Mostrò alle due le mani, quasi completamente nere, e si impegnò a nascondere il dolore che le procurava una bruciatura sul palmo sinistro.
- Qui il fuoco è scappato al tuo controllo. - commentò Felicity, sfiorandole la ferita con la punta di due dita. Come se si fosse improvvisamente ritirato, la bruciatura scomparve e Mozely si guardò il palmo guarito, stupefatta.
- Come hai fatto? -
Anche Heather si avvicinò.
- Ho tolto il fuoco. - spiegò Felicity, dondolandosi sui piedi, quasi imbarazzata.
La bambina fece un enorme sorriso. - Me lo insegni? -
Ci pensò un po' su, ma poi sorrise. - Sai accendere un fuoco? - domandò, evitando di rispondere.
- Si, so incendiare l'intera foresta se me lo chiedi per favore. - sbuffò Mozely, imbronciata.
Felicity allargò le braccia e fece un ampio gesto con le mani.
- Quello è il primo passo per imparare – spiegò, mostrandole i propri palmi. - Quando sai creare delle fiamme con le tue dita, tutto diventa più facile dopo. -


Mozely masticava rumorosamente, godendosi ogni boccone di pane con evidente soddisfazione. Heather sbucciava due mele con un coltellino rovinato. Felicity semplicemente pensava, coricata sull'erba. Il cielo quel giorno non era terso, ma punteggiato di nuvole candide e bianche. Un cielo a pecorelle, come le avevano insegnato a scuola. E nonostante potesse sembrare un passatempo da bambini, si divertiva ancora a dare a ognuna di loro una forma e nei casi estremi, quando la noia non voleva abbandonarla, addirittura a contarle. Mozely sembrava avere l'intenzione di fare lo stesso, perché si stese accanto a lei, allargando le gambe e le braccia.
- Quando tornerai dal Tour della Vittoria voglio allenarmi tutti i giorni con te – chiarì Mozely, tremendamente decisa. - E voglio anche giocare di nuovo con te. - aggiunse indicando Heather, che le fece un sorriso.
- Possiamo giocare tutti i giorni. - annuì la ragazzina, buttando le bucce della mela in una buca.
La coprì con un po' di terreno e porse loro alcune fette. Mozely mangiò le sue in due bocconi.
- Voglio diventare brava. Davvero brava. Come te. - confessò, tormentandosi le mani. - Ma ho paura. -
Felicity si sentì a disagio e non trovò le parole giuste da dire, ma a risolvere la situazione ci pensò Heather.
- La discrezione è fondamentale in casi come questi – le fece presente, sedendosi di fronte a lei. - Discrezione e silenzio. Devi essere certa di poterti fidare delle persone, prima di mostrare i tuoi poteri. Chiunque potrebbe denunciarti, in qualunque momento. -
Mozely annuì, seria, e si mise a contare con le dita.
- Tu, Felicity, mia mamma, mio papà e i miei due fratelli – elencò. - Non lo sa nessun altro. -
- Questo è un bene – parlò allora Felicity, continuando a fissare il cielo. - Meno persone lo sanno, più sei salva. -
- Ti manca tua zia? - le domandò Mozely.
Heather sobbalzò e fece una smorfia, ma Felicity non ebbe nessuna reazione violenta. E l'amica se ne stupì. La ragazza non voleva che qualcuno nominasse la zia, si dava della colpevole per quello che le era successo e i sensi di colpa non accennavano a diminuire, nemmeno a distanza di anni. Ma quel giorno, Felicity si limitò a sorridere mesta e a fare un cenno affermativo con la testa. Mentalmente, contava le nuvole.

L'arena cambiava le persone, era un fatto appurato.  Che Felicity fosse riuscita a trovare la calma interiore e la pace con se stessa non era chiaro, ma Heather era certa che fosse sulla buona strada per la guarigione.
A persone forti come lei, gli ostacoli che incontrava sul suo cammino non potevano che rafforzarle.

 
Angolo d'autrice:

Rieccomi dal mondo dei malati! Sono state delle giornate incredibilmente orribili e mi dispiace di aver ritardato a pubblicare. Ma ora sono qui, con un solo giorno di ritardo, e non capiterà più! Davvero! (Parlo soprattutto con Giulia e Camilla.) :D
Grazie a tutti coloro che seguono la mia storia e vi invito a passare nel contest della sopracitata Giulia (su EFP conosciuta come Felicity Weedon) che ha indetto sul forum di EFP. Si chiama Photographer's World, spero di aver azzeccato il nome. E vi invito anche a passare sulla nostra pagina, sara divertente! Cit. qualcuno che al momento non ricordo. La febbre mi sta facendo delirare, per cui vi saluto.
Alla prossima,
Colpa delle stelle

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Capitolo 5
*** Il treno dei tormenti ***


The power of the elements - Il sacrificio del fuoco

 

 

• Il treno dei tormenti •

 

 

« Potete ingannare tutti per qualche tempo,
o alcuni per tutto il tempo,
ma non potete prendere per i fondelli tutti per tutto il tempo. 
»
Abraham Lincoln, Discorso a Clinton, 1858

 

 

 

 

Il treno viaggiava a velocità sostenuta verso il Distretto 9 da quel mattino. Lucinda non avrebbe mai immaginato che sarebbe stata contenta di rivedere Faith. Quando aveva bussato alla porta di casa sua, appena prima dell'alba, e la madre le aveva aperto, aveva abbracciato la donna e aveva riempito di complimenti Margot, definendola “piacevolmente uguale” alla sorella. Aveva evitato di abbracciare Lucinda, all'apparenza seriamente preoccupata per la propria incolumità, e aveva optato per una semplice, ma comunque affettuosa, pacca sulla spalla.
- Siamo in ritardo sulla tabella di marcia! - aveva esclamato Faith, spingendola con delicatezza oltre la soglia di casa. - Dì arrivederci alla tua bella famigliola e partiamo. -
I saluti furono estremamente brevi, perché le avevano detto tutto la sera prima, durante la cena. Se le parole della madre e quelle della sorella si dimostrarono incoraggianti e adatte alla situazione, il padre si era espresso in un unico, stringato commento: - Rendimi fiero di te come hai fatto nell'arena. -
Lucinda non era certa di cosa quelle parole sottintendessero, ma gli promise comunque che l'avrebbe fatto. L'avrebbe reso orgoglioso ancora una volta.
- Lucinda! -
Joey fece schioccare le dita davanti al suo viso e lei sobbalzò, colta alla sprovvista. Il treno si era fermato al Distretto 9 e lei nemmeno se n'era accorta.
- Ciao Alexander. - salutò, quando il ragazzo entrò nel loro scompartimento e si richiuse la porta alle spalle.
La folla che si era riunita per salutarlo era notevolmente ridotta rispetto a quella che aveva accompagnato loro alla stazione, Lucinda non poté non farglielo notare.
- Mi trovano strano qui – confessò Alexander, con un sorriso stanco. - E non è cambiato niente dopo gli Hunger Games. -
Lucinda fece spallucce e tornò a guardare fuori dal finestrino.
- Che hai fatto di così brutto? - domandò Nick, sporgendosi verso di lui.
Aveva i gomiti appoggiati alle ginocchia e i muscoli delle braccia, in quella posizione, spiccavano sotto alla pelle. Lucinda non poté non accorgersene, con la coda dell'occhio, ma distolse subito lo sguardo.
- Nulla di davvero importante. - minimizzò Alexander, con un cenno della mano.
- Non avremo un fuori legge sul treno, vero? - scherzò Joey, allungandosi per regalargli una pacca rassicurante sulla schiena.
- Non Alexander. - commentò Lucinda, sotto voce, attirandosi un sorriso dal Mago dell'Aria.
- Perché ne sei così sicura? -
Lucinda fece di nuovo spallucce ed evitò accuratamente di guardare Nick in faccia, preferendo concentrarsi sulla moquette viola del pavimento.
- Istinto femminile. -
Il viaggio dal Distretto 9 al Distretto 11 fu relativamente corto. Dopo appena un'ora, il treno aveva attraversato tutti i campi e si apprestava a superare le barriere di confine del Distretto di Camille per raggiungere la stazione. La visione era deprimente e stringeva il petto di Lucinda in una morsa angosciante. I campi erano affollati di persone, che si concessero giusto pochi secondi di tregua per seguire con lo sguardo il treno dei vincitori e tornare subito con la schiena china, a raccogliere le verdure. C'erano Pacificatori ad ogni angolo e per la prima volta incutevano terrore. Qualcosa diceva a Lucinda che non sorridessero sotto i caschi, come succedeva invece nel Distretto 4. Joey si agitava sulla poltrona, Alexander aveva persino distolto lo sguardo. E Nick non l'aveva proprio sollevato. Fece a Lucinda un cenno abbastanza esplicito, che però lei non riuscì a decifrare. Le dava della debole di stomaco per una visione alla quale doveva essere abituata o le diceva che era inutile guardare e provare pietà per quelle persone? Non riuscì a capirlo e non ebbe nemmeno il tempo di provarci.
Si erano fermati alla stazione e la chioma riccioluta di Camille aveva già attirato l'attenzione di Joey, che si guardava intorno con noncuranza, assicurandosi nel frattempo che la sua immagine, riflessa sui pannelli di metallo, fosse a posto.
- Sei ridicolo. – lo riprese subito Lucinda, spalleggiata da Alexander che fece a Joey il verso e fece finta di pettinarsi i capelli.
- Lo trovo dolce, invece. – esclamò Camille e la sua voce li raggiunse attraverso il finestrino aperto.
- Dolce? - ripeté Nick, incredulo.
- Dolce. - confermò lei stessa, comparendogli alle spalle.
Nick saltò sulla poltrona dallo spavento e finì in braccio a Joey, che perse l'equilibrio e lo trascinò sul pavimento, a gambe all'aria.
- Sei più strana di come mi ricordavo. - commentò Nick, sollevandosi con un balzo.
Joey si mise le mani dietro alla testa e la guardò dal pavimento.
- Ciao Camille. - la salutò, con uno sbuffo.
Aveva i capelli in piedi da una parte e lisci dall'altra, ma Camille evitò di farglielo notare e gli fece solo un cenno con la mano. Quando Lucinda incrociò il suo sguardo si stupì di trovarlo rilassato e a quel punto le rivolse lei stessa un sorriso conciliatorio. All'apparenza, il viaggio non era cominciato male, ma il prossimo era comunque il Distretto 12 e Lucinda era certa che, prima che Felicity fosse salita nello scompartimento, si sarebbe nascosta da qualche parte. Tutto pur di non affrontare lei e la verità.

 

 

Faith non aveva permesso a Lucinda di abbandonare il treno e li aveva invece riuniti, tutti e sei, nel vagone del pranzo, facendoli accomodare al tavolo. Aveva una quantità esorbitante di fogliettini in mano e Joey non poté nascondere la smorfia spontanea che gli aveva attraversato il volto. Lui e Lucinda conoscevano la loro accompagnatrice, meglio di tutti gli altri, e i suoi discorsi non erano facilmente accettabili, o anche solo digeribili, per delle persone così ribelli di carattere, come Camille o a maggior ragione Felicity. Li avrebbe bruciati tutti, uno dopo l'altro, e poi avrebbe fatto saltare in aria anche Faith, per evitare che potesse sostituire quei biglietti o crearne dei nuovi in futuro.
- Non andrete mai in scena tutti e sei sullo stesso palco – stava dicendo Faith, passeggiando tranquillamente per la stanza. - Ad ogni Distretto, andranno solo due di voi. Espressione comunemente nota come coppia, per facilitare l'apprensione. -
- L'apprensione di noi, poveri analfabeti, o di qualcun'altro non presente nella stanza e che noi non conosciamo? - si informò Felicity, mantenendo un tono tranquillo ma facendosi scrocchiare nel contempo le nocche, in un gesto casuale.
Faith impallidì e mosse la mano, come a cacciare una mosca fastidiosa.
- Una coppia, due persone, è oggettivo, non c'è niente da chiarire a nessuno o da specificare a qualcuno. - Parlava a scatti e si tranquillizzò solamente quando le mani di Felicity tornarono sul tavolo.
- Per il Distretto 12, andranno in rappresentanza Felicity e Nick e questi sono i vostri foglietti. -
I due nominati si scambiarono uno sguardo cauto e per un secondo, quando le loro mani si sfiorano e Nick la spostò all'istante, Lucinda gongolò. Ma fu solo per un momento, perché persino a lei sembrava inutile esasperare fino a quel punto una competizione che, praticamente, non esisteva.
- “La forza di Nick mi è sembrata come un faro nei momenti bui, quando l'ansia e il terrore dell'arena ci sembravano insuperabili e impossibili da trascurare, ma il suo coraggio e la sua democrazia si sono rivelati la chiave per il nostro trionfo. La sua piena dedizione alla capitale ha dimostrato che solo persone giuste, assennate e fedeli, veri cittadini di Panem, possiedono la forza per superare qualsiasi difficoltà e per raggiungere la luce infondo ad un tunnel buio.” -
Le parole di Felicity furono accolte nel silenzio e alla fine Nick stesso scoppiò a ridere.
- Andiamo Faith, lo sappiamo che stravedi per me, ma io e Felicity non ci siamo nemmeno parlati! Non esiste un rapporto tra di noi e quelle parole non hanno senso! -
- Concordo appieno sulla seconda parte. - si intromise Lucinda e la sua voce tradì una lieve nota di fastidio. - Niente che si possa risolvere con un nuovo biglietto e un nuovo discorso, naturalmente. -
Lo sguardo di Faith si indurì. - Nessun nuovo discorso, mi dispiace. -
Consegnò il foglietto anche a Nick e fece per andarsene, ma Lucinda si alzò in piedi.
- Sembrano fidanzati! - protestò, alzando la voce. - E delle persone che non si conoscono nemmeno, che si odiano, non si omaggerebbero mai a vicenda! -
- Non è esatto dire che io e Nick ci odiamo. - precisò Felicity, con un sorrisetto divertito.
Lucinda la fulminò con lo sguardo.

- Sono indicazioni della capitale – disse Faith, fermando le proteste di Lucinda con un cenno. - E no, le coppie sono state decise e non si posso cambiare. -
Il rumore dei suoi tacchi riecheggiò nel vagone e si smorzò solo quando lei fu ben lontana nel corridoio e la porta scorrevole si chiuse dietro di lei.
- La gelosia è una brutta malattia. - canticchiò Joey sottovoce, aspettandosi che Lucinda prese lo scherzo. Ma non fu così. Abbandonò a grandi passi il vagone e tentennò un attimo sulla soglia, con la chiara voglia di sbattersi la porta alle spalle.
Quando si ricordò che non poteva farlo, riprese a camminare pestando forte i piedi e senza guardarsi indietro. Camille scosse la testa e mollò un pugno sulla spalla di Felicity.
- Potevi evitare di stuzzicarla in quel modo. -
- Io non ho fatto un bel niente, ho solo detto la verità. È Joey che non sa stare zitto e dice sempre la cosa sbagliata. -
- Non è vero! -
- Secondo me si. -
- Ti ho detto di no! -
Nick guardò con insistenza il punto in cui Lucinda era scomparsa.
- Forse è meglio che ci vada a parla... -
Alexander si sollevò in piedi prima di Nick e gli indicò esplicitamente l'ora riflessa sullo schermo della televisione. Mancava poco più di mezz'ora alla diretta e Faith non li avrebbe lasciati soli per molto.
- Posso parlarci io invece. -
- Non avete niente in comune, non ti ascolterebbe. - obiettò Felicity, le braccia conserte.
Camille invece annuì.
- Potrebbe funzionare invece. Sei la calma fatta persona. -

Alexander ringraziò Camille con un cenno e seguì le orme di Lucinda, rivolgendo un ultimo sorriso a Felicity. Joey provò a dire qualcosa, ma la strega del Fuoco lo fermò.
- Se dici quella parola, non me ne andrò come ha fatto Lucinda. Ti pesto a sangue. -
Il ragazzo aprì e chiuse la bocca un paio di volte, ma non trovando niente da dire, evitò di commentare. Evidentemente ci teneva alla sua vita, così com'era.

 

 

- Nick e Felicity sono già andati? -
Alexander riuscì appena ad aprire la porta che subito si ritrovò Lucinda davanti, a braccia incrociate e con uno sguardo di sfida sul volto. Per un momento, sembrò quasi voler tornare da dov'era venuto e dimenticarsi della sua offerta, ma quando si ricordò che l'acqua non aveva poi molto potere sull'aria, che lui non poteva oggettivamente annegare, cambiò di nuovo idea e fece un passo nella stanza.
- Appena usciti. Accendiamo lo schermo e li guardiamo, ti va? -
- Mi va come infilarmi un coltello nel petto e guardarlo uscire dall'altra parte. -
Alexander rabbrividì pensando all'immagine, ma spinse comunque il bottone di accensione. L'inquadratura abbracciava abbastanza pienamente l'intera piazza del Distretto 12, alternava alcune immagini delle miniere e del mercato, ma evitava accuratamente di trasmettere parti del Giacimento o di qualsiasi persona che, apparentemente, stesse soffrendo di fame. Le pratiche di Diagon City erano talmente ovvie che avevano finito di stupire. Solo i capitolini le adoravano, perché non sapevano fare altrimenti.
- Il mio Distretto mi ha insegnato a lottare con grinta per l'onore, per la gloria e per la mia patria, e con la mia vittoria agli Hunger Games sono certo di aver soddisfatto le vostre aspettative. -
La gente mal sopportava Nick, anche un cieco se ne sarebbe accorto. Poche persone seguivano con davvero interesse quello che stava dicendo. La maggior parte urlava e puntava le mani strette a pugno in alto, inveendo contro la verità delle sue parole. I Pacificatori monitoravano l'area, attenti, e già parecchie persone avevano ricevuto un colpo in fianco con il manico del fucile, per impedire che potessero disturbare ancora.
- Ma ho fatto anche di più. La capitale mi ha permesso di cimentarmi in questa prova di sacrificio e di sangue e l'ho superata contando sulle mie sole forze, credendo nei valori che mi erano stati tramandati e sfruttandoli, promettendo così di insegnarli anche alle generazioni future. -
Lucinda stessa aveva difficoltà a credere in quelle parole. Erano così vuote, così derisorie verso tutti i Distretti, che non si era nemmeno accorta di star stringendo con forza la coperta del suo letto. Alexander scuoteva impercettibilmente la testa, ma i suoi occhi non tradivano alcuna emozione.
- Devo la mia vittoria a Diagon City e in Diagon City porrò tutta la mia devozione, per tutta la mia vita. Panem oggi, Panem domani, Panem per sempre. -
- Hanno fatto parlare Nick per quasi tutto il tempo – osservò Lucinda, pensierosa. - E hanno fatto dire a Felicity solo parole pompose sull'impresa di Nick. Nessun accenno su di lei, su quello che ha fatto e su come si è comportata nell'arena. La sua vittoria non ha avuto meno gloria della nostra. -
- Stai capendo molte cose Lucinda ed è un bene – disse solo Alexander, con un sorriso tirato. - Arriverai a comprendere l'intera verità molto presto. -
Lasciò la stanza in silenzio e rapidamente, così com'era arrivato, e Lucinda non provò a fermarlo. Fissava lo schermo, dove Nick salutava con un sorriso la folla e si tirava dietro nel contempo Felicity, che a malapena tratteneva la rabbia, e rifletteva.
Nick era un Favorito del Distretto 2, la sua vittoria aveva lasciato il segno. Felicity veniva dal Giacimento e avevano fatto in modo che di lei non si parlasse, l'avevano lasciata da parte. Speravano davvero che le persone si potessero dimenticare di lei? Era quella la mossa del Presidente verso le vittorie scomode?
Lucinda faticava a crederci e mal la sopportava. Era una mentalità sbagliata e se persino una come lei se n'era accorta, forse era la Capitale, e non i Distretti, ad essere nel torto.

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Capitolo 6
*** Buon viso a cattivo gioco ***


The power of the elements - Il sacrificio del fuoco

 

 

• Buon viso a cattivo gioco •

 

 

Ci vuole solo coraggio, o forse buon senso,
per capire che le lezioni migliori sono di solito le più dure;
e che spesso fra queste ultime c'è la sconfitta.
Anthony Clifford Grayling; Il significato delle cose, 2006

 

 

 

 

Il putiferio che si sarebbe scatenato con il Distretto 11 non avrebbe potuto immaginarselo nessuno, perché non ci fu nessun tipo di avvisaglia, nessun segno che potesse permettere a qualcuno di predire quello che sarebbe successo di lì a poco.
Felicity non aveva preso bene la sua apparizione sul palco del Distretto 12. Si sentiva quasi spodestata da casa sua, da un luogo che doveva rappresentare di diritto, e non aveva mancato di farlo notare a Faith ogni due minuti. Lucinda era uscita dalla sua camera ben presto e si era ritrovata coinvolta in una discussione dai toni accesi con Camille e Felicity, ma a differenza di quello che si aspettava, le loro impressioni coincidevano. Persino Nick arrivò a credere che quello organizzato sul palco del Distretto 12 fosse stato un copione troppo evidente da ignorare. Come poteva Capitol City permettere ad una strega del Fuoco, di cui ignoravano l'esistenza fino a qualche mese prima, di rimanere per quindici anni, impunita, al distretto 12 mentre tutti i suoi compagni erano nei campi di forza, al servizio del presidente? La stessa ragazza che aveva poi vinto gli Hunger Games. Era una beffa davvero troppo grande, consumata davanti a tutto il paese, e il presidente Snow sembrava non volerla accettare.
- In rappresentanza del Distretto 11, andranno Camille e Lucinda. Ecco a voi i foglietti. - aveva annunciato Faith di primo mattino, quando solo le due e Joey erano a fare colazione nel vagone del pranzo. Camille aveva appoggiato il cartoncino sul tavolo, nascondendo così le parole, e aveva continuato tranquillamente la sua colazione. Lucinda invece aveva letto, incapace di trattenersi, e aveva inarcato un sopracciglio.
- Sbaglio o sono le stesse identiche parole che ha letto Nick l'altro giorno? - aveva esclamato, incredula. - Cambia solo il numero del Distretto! -
- Ed è tutto al femminile, cara. - le aveva fatto notare Faith, sorseggiando il suo thé.
- Ci mancherebbe altro! -
Dopo aver fissato il cartoncino in silenzio per qualche altro attimo, Lucinda aveva sbuffato, ma se lo era infilato in tasca.
- Vorrei che vi esercitaste a leggerlo, per evitare errori nella diretta di oggi pomeriggio. -
Camille era rimasta ferma e di nuovo non aveva parlato, così Lucinda aveva annuito per tutte e due.
- Ovviamente. -
Ma non appena Faith si era alzata dal tavolo, Camille aveva strappato il cartoncino in tanti pezzi e li aveva buttati fuori dal finestrino aperto. Joey aveva strabuzzato gli occhi.
-Cos'hai intenzione di fare? -
- Voglio scegliere io cosa dire al mio Distretto. -
L'inflessione della voce alla parola “mio” aveva dato di che pensare a Lucinda, sorprendo se stessa. In quegli ultimi periodi era costantemente all'erta, stava attenta ad ogni dettaglio, non si lasciava sfuggire niente. Sbagliava o Camille era seriamente arrabbiata?
- E come farai a dirlo a Faith? -
- Non glielo dirà, ovviamente. – lo aveva ripreso Lucinda, roteando gli occhi al cielo. Si era così abituata ad essergli amica che si era quasi dimenticata di come a volte potesse avere la testa nelle nuvole. E solo perché erano amici evitava di considerarlo stupido come aveva fatto prima dei giochi.
- Esatto – aveva confermato Camille, abbassando la voce. - Oggi dovrò parlare io e nessun altro. Ti prego Lucinda, è importante per noi. -
Le aveva preso le mani, ma solo per pochi secondi. Lucinda le aveva spostate dal tavolo, all'istante, e se l'era lasciate cadere in grembo.
- Prima voglio dire il discorso di Faith, poi potrai dire tutto quello che ti pare. -
Camille aveva inarcato un sopracciglio.
- Vuoi o devi dirlo? -
Joey aveva seguito quello scambio di battute senza commentare e scelse proprio il momento migliore per intromettersi.
Lucinda aveva sospirato quando li aveva visti immersi in una stretta conversazione e aveva spostato lo sguardo fuori dal finestrino. Desolazione, dolore e ingiustizia. Il panorama era uguale a quello del Distretto 12.

 

 

Nel primo pomeriggio, Felicity e Alexander si erano ritrovati da soli in uno scompartimento, ma non avevano fatto niente per cambiare la situazione. Era il vagone finale del treno, quello provvisto di un'ampia vetrata che permetteva al passeggero di guardare oltre la coda del treno, verso quello che stavano sorpassando alla velocità della luce e che si lasciavano inesorabilmente alle spalle. Non parlavano, perché obiettivamente non avevano nulla da dire, ma il loro silenzio era carico di sottintesi. Sembrava quasi una sfida a chi lo spezzasse per primo, a chi ne avesse più bisogno. E a perdere fu Felicity.
- Hai parlato con quel vecchio del tuo Distretto? - domandò, tormentandosi le mani.
Alexander sospirò.
- Non è un vecchio, avrà sì e no cinquant'anni. -
- Ci hai parlato o no? -
- Non ancora. -
Felicity aveva contratto la mascella, ma piuttosto che manifestare la sua indignazione, aveva preferito fare qualche respiro profondo per calmarsi, prima di parlare.
- Questa cosa non ti sta a cuore come lo sta a noi, l'ho capito benissimo. -
- Tu non puoi capire niente. -
Lo sguardo di Alexander era freddo e lontano e per quanto Felicity cercasse di intercettarlo, nonostante ci fosse seduta davanti, non ci riusciva.
- Lo avverto. -
- Non mi conosci. - obiettò pacatamente Alexander.
- Perché tu non mi permetti di conoscerti! - osservò Felicity, stringendo saldamente la presa sul sedile.
- Non c'è niente che devi conoscere di me. -
L'esasperazione di Felicity si spense, così come la voglia di continuare a ribattere.
Si alzò in piedi e lo guardò, triste.
- L'Alexander che ho incontrato la prima volta, quello che mi aveva chiesto di studiare i miei incantesimi perché era affascinato da me, da me!, non c'è più. -
Lo sguardo di Alexander rimase fermo.
- E non riesco a capire perché. -
Solo quando Felicity uscì dal vagone, Alexander sbatté le palpebre e le chiuse, per impedire alle lacrime di scivolargli lungo le guance.

 

 

- I ribelli hanno un piano e io stessa lo metterò in atto oggi. -
Camille e Lucinda erano sole, dietro alle porte chiuse del Palazzo di Giustizia, e aspettavano che il sindaco le annunciasse. Quell'affermazione riecheggiò per le pareti vuote e si spense alla svelta, come se sapesse che se qualcuno l'avesse intercettata, avrebbe portato solo guai.
Lucinda per poco non si era morsa la lingua, dalla foga di esclamare: - E non potevi dirlo prima? -
- Ti ho lanciato segnali piuttosto evidenti tutto il giorno. - le fece notare Camille. - Sei tu che non li hai colti. -
- Lanciare segnali è ben diverso dal dirlo chiaro e tondo, non credi? - ironizzò Lucinda, mettendosi le mani tra i capelli. Se ne pentì subito, quando delle ciocche si staccarono dalla sua treccia. Camille se ne accorse e le fece cenno di avvicinarsi. Mentre le sue mani lavoravano abili per rimettere i capelli al loro posto, le parole abbandonavano veloci le sue labbra e Lucinda dovette concentrarsi per riuscire a coglierle.
- Voglio aprire gli occhi alla mia gente. Siamo prossimi alla ribellione e dobbiamo sfruttare questo momento, non cercare di spegnerlo come vuole il presidente Snow. Per questo fa parlare solo voi, i Favoriti, e per questo, molto probabilmente, ci obbligherà a presenziare ai nostri Distretti e poi ci farà rimanere nell'ombra, lontano da chiunque possa credere alle nostre parole e iniziare a reagire. -
La treccia era tornata al suo posto, appoggiata alla spalla sinistra di Lucinda, e lei se la osservò, senza provare a dire qualcosa per farle cambiare idea. Non ci sarebbe riuscita comunque, lo sguardo di Camille era troppo fermo. Avrebbe seguito il piano, qualunque esso fosse. E a qualunque costo.
- Qual'è questo piano? - domandò allora Lucinda, improvvisamente curiosa.
Non era spaventata: aveva imparato che niente poteva essere peggio di quello che le era successo nell'arena e non si stupiva più di niente.
- Lo vedrai. - le assicurò Camille, raddrizzandosi la giacca.
Da dietro le porte, si sentì la voce del sindaco che chiamava i loro nomi e il portone che veniva rapidamente aperto dai Pacificatori. Lucinda e Camille uscirono, davanti alla piazza affollata del Distretto 11, per rendere omaggio al piccolo caduto in quei giochi. E per mettere in atto un piano potenzialmente suicida.
 

 

Il problema non stava nel discorso di Lucinda in sé, quanto nel fatto che avrebbe dovuto essere di chiusura, dopo le parole di Camille. Anche volendo, non avrebbe potuto fare niente per fermarla. E comunque non lo voleva. Non era coinvolta in quel piano e non avrebbe avuto conseguenze. Perché non rimanere semplicemente a guardare?
- Lascio la parola a Camille VanHorn, la nostra vincitrice. -
Solo il sorriso che il sindaco rivolse a Camille la convinse definitivamente. In quel Distretto, Pacificatori esclusi, dovevano essere tutti d'accordo, dovevano avere tutti un obiettivo comune, e provare ad impedire che il piano si compisse avrebbe potuto dimostrarsi persino pericoloso. E Lucinda non se la sentiva di rischiare, di nuovo.
Camille sorrise mentre si avvicinava al microfono. L'aria era praticamente immobile e Lucinda sentiva le goccioline di sudore che le scivolavano lungo la schiena. I capelli erano appiccicati alla nuca. Tutti erano in una fremente attesa.
- Innanzitutto, non posso che esprimere la mia piena gioia nel trovarmi qui, ancora viva, insieme a tutti voi. L'esperienza dell'arena... -
Due Pacificatori si erano mossi. Erano ai margini della folla e nessuno che la stesse scrutando così a fondo come stava facendo Lucinda avrebbe potuto accorgersene. Ma si sbagliava. Camille doveva averli notati, perché prima che i due potessero intervenire, scomparvero nel sottosuolo, senza avere tempo nemmeno di urlare. Lucinda sussultò impercettibilmente e nonostante Camille provò a riprendere il discorso, la situazione era già precipitata, in pochi secondi. Decine di Pacificatori confluirono dalle vie laterali nella piazza, con i fucili spianati e puntati verso il palco. Lucinda corse verso Camille, con la chiara intenzione di tirarla indietro, ma un altro movimento le impedì di fare qualsiasi cosa. Fuori dalla portata delle telecamere, un Pacificatore aveva il casco sollevato e guardava fisso Camille. Il suo fucile era puntato alla testa di un ragazzo, con il volto bagnato dalle lacrime, e la gente non reagiva. Erano sotto tiro, tutti loro, e una sola mossa falsa sarebbe bastata per far saltare in aria tutta la piazza. Lucinda trattenne il fiato e guardò Camille.
Per il pubblico di Capitol City davanti al televisore, il silenzio prolungato della vincitrice non aveva motivo. Vedevano solo la sua faccia, la sua espressione impenetrabile e gli occhi lucidi.
Sentirla ripetere a memoria il contenuto del foglietto di Faith fu come ricevere tante pugnalate dritte nel cuore. Al termine delle sue parole, Lucinda recitò a sua volta quello che aveva imparato a memoria, senza concentrarsi una sola volta sulla piazza davanti a lei. Nessuno la guardava, ma fece comunque il massimo per mettere trasporto in quello che diceva. Il presidente stava attento anche a quello, lo sapeva, e voleva rimediare al tono vacuo di Camille. Voleva evitare che quel ragazzo venisse ucciso, perché vedeva chiaramente che era importante per la ragazza. Lo capiva da come lo stava guardando, da come le sue labbra tremavano, da come si imponeva, comunque, di non piangere o di non urlare. Di rimanere ferma e zitta. E di vedere tutte le sue speranze, tutti i suoi desideri, andare inevitabilmente in frantumi.

 

 

- Ti sei comportata bene Lucinda, questo è l'importante. -
Faith la osservava dalla poltrona sulla quale era seduta, mentre la ragazza si muoveva per la stanza, andando avanti e indietro, senza accennare a voler fermarsi.
- Hanno tenuto sotto tiro, per tutto il tempo, le persone. Tutta quella gente là fuori ha rischiato la vita! Perché? - sbraitò.
- Ti sei comportata bene – ripeté Faith, ignorando le sue parole. - Non sembravi turbata, non sembravi accorgertene. -
- Fingevo. - protestò Lucinda, ma nel dirlo distolse lo sguardo.
- Stavi male per quelle persone, è naturale, ma sei andata avanti a parlare perché sapevi cos'era giusto e sbagliato. - la consolò Faith, con un sorriso. - Tu sai da che parte stare. -
- E quale sarebbe la parte sbagliata? -
- Quella dei ribelli, naturalmente. -
Non aveva perso la determinazione, ma non aveva più punti fermi. Non sapeva più a chi credere.
 


Angolo d'autrice:
Camille ha combinato un bel pasticcio! O meglio, stava per combinarne uno, che però si è risolto in un altro non previsto e... Spero abbiate capito.
Felicity e Alexander faticano a comprendersi e il ragazzo sembra cambiato. Ma sarà vero o è solamente un'impressione?
Tante domande e poche risposte, me ne rendo conto, ma è qui che sta il bello. Nell'attesa; nel crogiolarsi fino all'ultimo istante nel desiderio di voler scoprire la verità. So benissimo che Felicity e Camille, quelle vere, mi odieranno in questo momento, ma che ci posso fare?
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e vi ringrazio per le recensioni! Vi invito anche a passare sulle nostre pagine, la mia personale e quella dedicata alla storia, che si trovano sulla mia pagina profilo! Lo meritano davvero ;)
Al prossimo capitolo,
Colpa delle stelle

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Capitolo 7
*** Il tramonto in uno sguardo ***


The power of the elements - Il sacrificio del fuoco





 Il tramonto in uno sguardo 

 

 

« Il gioco della provocazione non deve essere perseverato.
Tu provochi e l'altro tace, tu provochi e l'altro ignora,
tu provochi e non hai risposte
 e il silenzio spinge a provocare ancora più pesantemente.
Ed è proprio lì che si deve stare attenti,
perché chi è rimasto in silenzio di fronte alle provocazioni 
può stupirti non con le parole, ma agendo. »

Silvia Nelli

 

Il tramonto che si scorgeva dal finestrino del treno era magnifico e nonostante Camille avesse l'umore a terra, non poteva non accorgersene e ammirarlo. L'ultimo vagone del treno era diventato ormai una sorta di rifugio. Guardare fuori da quelle vetrate dava quasi una sensazione di libertà inappagabile.
- Bella vista. - commentò Joey, sedendosi di fianco a lei.
Camille sorrise, ma non si voltò a guardarlo.
- Hai ragione. -
Si appoggiò con le braccia allo schienale del sedile e nascose il mento nell'incavo del gomito.
- Mi dispiace per l'altro giorno. -
- Ti dispiace per cosa? Non sapevi nemmeno cosa volevo dire. -
Il tono di Camille era tranquillo, la sua voce distante e gli occhi persi dietro alla fila di alberi infinita che si intravedeva oltre il vetro. Joey non poteva fare a meno di pensare che tutti avessero la stessa espressione quando erano tristi. Aveva sorpreso Lucinda molte volte in spiaggia, a fissare il mare, e tutte le volte aveva la stessa identica espressione di Camille in quel momento.
- Non sapevo cosa volessi dire, ma sono certo che sarebbero state belle parole. - la rassicurò Joey, convinto.
Finalmente Camille lo guardò e gli riservò un sorriso.
- Non hai detto giuste e per questo ti ammiro. Sei una delle poche persone che riesco a sopportare in questi giorni. -
Joey sollevò le sopracciglia, incredulo.
- Nemmeno Felicity? -
Scosse la testa.
- Vuole raggiungere il suo obiettivo a tutti i costi, ma lo fa in modi crudeli, non fa che eguagliare il presidente Snow nel suo gioco. Alexander non riesco a capirlo, è scostante. Nick è antipatico e odio la confusione di Lucinda. -
- Dovresti darle tempo – propose Joey. - Non c'è persona più equa di lei. -
Camille sospirò e si fissò le unghie.
- So benissimo che la conosci bene e forse proprio per questo dovresti fare qualcosa per farle cambiare idea. -
- Ci ho provato e mi ci è voluto molto per capire che era uno sbaglio. Non voglio ripetere lo stesso errore. Io sono amico delle persone che lo meritano, quindi a prescindere, per me, i loro ideali sono giusti. -
- Come puoi essere amico suo e mio contemporaneamente? -
- Tu hai tutte le ragioni, lei ha ricevuto un'educazione diversa. Ci sono arrivato e ho capito. Lo farà presto anche lei. -
Il sorriso di Camille tradiva preoccupazione, ma Joey non se ne accorse.
- Lo spero davvero. -
Lo sguardo che gli rivolse subito dopo lo fece arrossire e si grattò la nuca, imbarazzato.
- Perché mi guardi così? -
- Sei intelligente – affermò Camille, spostando una mano sul suo ginocchio. - E molto saggio. Solo lo dimostri raramente. -
Non sapendo se prenderlo come complimento o come un insulto, Joey fece spallucce e fissò con insistenza la mano di Camille.
- Solo un amico, eh? - chiese dopo un po', con un sorriso sghembo.
Camille finse di cadere dalle nuvole.
- No, ho detto che Nick mi sta antipatico. -
Joey si avvicinò di qualche centimetro e riuscì a cogliere il riflesso rossastro del tramonto nello sguardo di Camille.
- Non parlavo di Nick. -
Camille ignorò l'improvvisa vicinanza e il suo sorriso finì per raggiungerle anche gli occhi.
- Ti voglio bene Joey – confessò allora, prendendogli la mano. - Solo questo conta adesso. -
 

 

Felicity e Lucinda erano sedute allo stesso tavolo del vagone ristorante e si lanciavano qualche sporadico sguardo, di tanto in tanto. La prima stava leggendo un libro all'apparenza incomprensibile, l'altra stava affilando il proprio coltello. Era da una settimana che non si allenava e quella immobilità alla quale l'avevano costretta le pesava, forse più di dover leggere gli stessi identici cartoncini ogni volta. Nick era seduto di fronte a Lucinda e la fissava. Di Alexander nessuna traccia.
- Mi sto annoiando – esordì Nick. - Tutti i giorni le stesse identiche cose. -
Felicity sollevò appena lo sguardo dal suo libro, per fare un cenno abbastanza evidente a Lucinda.
- Puoi far tacere il tuo ragazzo? - domandò, ironica. - Starei cercando di leggere. -
- Non è il mio ragazzo. - commentò Lucinda.
- Non ancora. - ribatté Nick.
Nascondendo un finto conato di vomito, Felicity si alzò il libro sugli occhi, ignorandoli.
- Ai capitolini piaceremmo, se sono sicuro. -
Lucinda lasciò cadere il coltello sul tavolo, forse con troppa foga, e lo guardò, trattenendo un sorriso.
- Grazie a me, piaceremmo a chiunque. - affermò, raddrizzandosi con finta noncuranza la coda.
- Ne sei sicura? -
- Precisamente. -
- Avevo detto qualcosa sul fatto di stare zitti. - protestò Felicity, stringendo con tanto nervosismo le pagine da farle piegare.
- Davvero? - chiese Nick, incrociando le braccia al petto. - Non ti ho sentita. -
- Io posso dire di avere ascoltato, invece. -
L'uomo comparve dal nulla, e all'improvviso, e solo Lucinda lo riconobbe. Aveva ripreso in mano il coltello, ma aveva di nuovo mollato la presa, colta alla sprovvista. Non era da tutti i giorni ritrovarsi il mentore che non vedeva da mesi davanti agli occhi.
- Caleb. - sussurrò, sbattendo un paio di volta le palpebre, come per accertarsi che la persona che vedesse davanti a lei fosse vera e non frutto della sua immaginazione.
- Precisamente. - disse l'uomo, avvicinandosi al tavolo.
Teneva dei foglietti in mano e nonostante riproducessero fedelmente lo stemma di Capitol City sul retro, Lucinda riconobbe una scritta che non c'era nella versione ufficiale, ma non riuscì a leggerla.
- Cosa ci fai qui? - domandò, recuperando alla svelta la voce.
- Sono stato il tuo mentore, non c'è copertura migliore di questa. - disse solo, lanciandole un'occhiata piena di significati.
Felicity lo squadrò a lungo.
- Sei un ribelle anche tu. - affermò, mantenendo comunque il tono di voce particolarmente basso. Nei treni della capitale c'erano occhi e orecchie ovunque. Quando Caleb annuì, Lucinda si sentì per qualche secondo come tradita, ma ignorò la fitta improvvisa che le colpì lo stomaco. Deglutì, provando a cacciare l'amaro che sentiva in bocca. Le succedeva con ogni persona di recente, perché nessuno era mai come voleva apparire. E non capiva perché tutti volessero rovinarsi la vita in quel modo.
- Una copertura. Astuto. - commentò invece Nick, incrociando le braccia al petto.
- In rappresentanza del Distretto 9, andranno Alexander e Joey – ricordò Caleb, senza troppi preamboli. - Consegnate loro questi. È importante che evitino di leggere quello di Capitol City. -
- Hai visto cos'è successo nel Distretto 11 – obiettò Lucinda. - Potrebbe ripetersi. E finire male. -
- Un incidente di percorso – minimizzò Caleb, con un gesto della mano. - Al Distretto 11 se lo aspettavano perché conoscevano da tempo l'indole di Camille. Alexander è sconosciuto per la maggior parte dei suoi concittadini e i Pacificatori non si aspettano una nostra mossa, dopo quello che è successo. -
- Abbiamo il fattore sorpresa dalla nostra parte! - esclamò Felicity, evidentemente soddisfatta.
Caleb infatti annuì.

- Dobbiamo sfruttarlo, non ci capiteranno altre occasioni del genere. -
Lucinda non li ascoltava più. Lei e Nick si erano guardati e avevano scosso la testa, contemporaneamente. La capitale sapeva e si sarebbe aspettata qualsiasi cosa. Non avevano possibilità.
- Non parteciperò al vostro piano. -
Le parole di Alexander gelarono in un solo istante l'intero vagone.
Caleb sembrava così sicuro, così certo delle parole scritte sui foglietti che teneva in mano, che non aveva pensato per un solo momento che c'era la possibilità di non avere il contributo di uno dei vincitori.
- Non parteciperai? - domandò Felicity, quasi non credendo alle proprie parole.
Alexander scosse la testa.
- Finché si trattava di parlare in uno scantinato buio e abbandonato, a illuderci di poter cambiare il mondo e di spodestare Snow, mi andava bene. - spiegò, senza pietà. - Ma al Distretto 9 c'è la mia famiglia ed è loro che prenderanno di mira a una mia sola parola sbagliata. Non sono pronti per morire per me. Non voglio che muoiano per una causa che è già fallita e che voi invece vi ostinate a portare avanti. -
Nessuno sembrava trovare il coraggio di parlare e vedere Caleb in evidente difficoltà, con le sopracciglia aggrottate, era una visione che aveva del terrificante.
- Ti tiri fuori? - domandò.
- Non contate su di me per questa cosa. - ripeté Alexander. - Chiedetemi tutto, ma non di mettere in pericolo la mia famiglia. -
Felicity si alzò e se ne andò, senza dire una parola. Il libro era aperto a faccia in giù sul tavolo ed era quello che Alexander fissò insistentemente, quando anche Caleb abbandonò la stanza e seguì Felicity, portandosi dietro i foglietti.
- È giusto. - considerò Lucinda ad alta voce.
- Nessuno ti giudica. - disse invece Nick.
Alexander sospirò e le sue spalle si abbassarono, in preda allo sconforto.
- Lo hanno appena fatto. -
- Ognuno ha la propria vita, i propri affetti, le persone per cui lottare. - affermò Lucinda, decisa.- E nessuno ha il potere di decidere cosa fare di te. Noi siamo responsabili e padroni delle nostre scelte. Nessun altro. -
Nick la guardò e sorrise divertito.
- Hai appena detto una cosa particolarmente intelligente. -
Lucinda gli restituì lo sguardo.
- Perché io sono intelligente. - ribatté, strappando addirittura un timido sorriso anche ad Alexander. - Tutto si aggiusterà – ripeté Lucinda, tornando seria. - Felicity capirà e tornerete come prima. -
Alexander sollevò di scatto lo sguardo e strinse gli occhi a fessura.
- Perché tutti dicono che non siamo più quelli di una volta? - domandò, esasperato. - Non è cambiato niente tra di noi! -
Lucinda sobbalzò.
- Lo davo per scontato. - confessò.
- Perché? -
- Perché prima sorrideva quando era con te. E non parlo di quel ghigno odioso e insopportabile che ha sempre quando vuole fare una battuta ironica, nonostante tutta la sua tristezza, ma non ci riesce. - gli fece notare Nick, dando a Lucinda di che pensare. Evitava di chiedergli come avesse fatto ad accorgersi del suo sorriso, perché si sarebbe resa solamente ridicola. E non voleva.
- Concordo. - disse solo, prendendo in mano per l'ennesima volta il suo coltello. Non era ancora riuscita a pulirlo e il manico era pieno di impronte.
- Felicity sorrideva solo con me. – sussurrò Alexander, scuotendo la testa.
- Voi maschi lo fate spesso. - commentò Lucinda, ma ormai Alexander non l'ascoltava più. - Non vi curate dei dettagli. -
Sembrava essere caduto in una specie di trance, perché si era alzato senza dire una parola e aveva iniziato a camminare verso la porta, fermandosi di tanto in tanto, come per riflettere meglio.
Nick la guardò.
- Gli unici veramente normali, qui dentro, siamo solo noi. -
- Per la prima volta, ti do pienamente ragione – confermò Lucinda. - Senza rimorsi. -

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Capitolo 8
*** Ciò che farei per te ***


The power of the elements - Il sacrificio del fuoco





 Ciò che farei per te 

 

 

« Io ho paura di tutto, di quello che sono,
di quello che faccio, di quello che dico
e soprattutto ho paura che se me ne vado da questa stanza
non proverò mai più quello che sto provando adesso.
Adesso che sono qui con te. »

Dal film Dirthy Dancing

 

All'ottavo giorno di viaggio, Lucinda aveva i nervi a fior di pelle. L'indomani sarebbe apparsa con Joey nel suo Distretto e l'idea non l'entusiasmava come avrebbe fatto all'inizio. Quei giorni erano stati uno strazio, tutti loro erano insofferenti e Camille aveva delle occhiaie talmente profonde che le arrivavano ormai alle guance. Il viaggio era diventato un incubo e quello che a Lucinda faceva più rabbia era che sarebbe dovuto essere il suo momento, il suo sogno di bambina che finalmente si realizzava, il tempo di manifestare la sua gloria, e invece il clima di tensione continua tra i ribelli l'aveva rovinato. Felicity e Alexander ormai non si guardavano neanche più ed evitavano accuratamente di rimanere nella stessa stanza per più di un minuto al giorno. Lucinda aveva addirittura provato a parlare con Felicity, per cercare di farle cambiare idea e per mostrarle la verità, ma lei non aveva voluto sentire ragioni. Alexander li aveva traditi, non c'era un'altra realtà. Camille si teneva al di fuori da quelle conversazioni e tutti sapevano perché.
- L'avranno lasciato libero? - domandava sempre, soprappensiero, ma quando qualcuno provava a scoprire di chi si trattasse, lei se ne stava zitta e non rispondeva più. Joey sapeva che stava pensando al ragazzo che avevano minacciato con il fucile nel distretto 11 e il fatto che Camille non lo considerasse neanche più aveva contribuito alla crescita dei sospetti. Un'intera storia d'amore si era già creata nella sua mente, tra Camille e quel tipo, e quando lui si metteva una cosa in testa, non era facile poi fargli cambiare idea. Nemmeno Lucinda ci era riuscita e ci aveva provato, eccome se ci aveva provato. Si sentiva anche abbastanza in colpa. Infondo, era l'unica su quel treno che non avesse incubi o complicazioni a rovinarle le giornate, ma solo la noia, che non risparmiava neanche Nick.
- Potremmo giocare a carte. - propose ad un certo punto, senza comunque sollevare la testa dal tavolo.
- Sai giocare a carte? - gli domandò Lucinda. Le sue gambe saltellavano freneticamente da parecchi minuti e nonostante fosse seduta, non riusciva a rilassarle. Sentiva quasi i muscoli lamentarsi e la voglia di correre che cresceva in lei minuto dopo minuto. La disperazione l'avrebbe addirittura spinta a barattare la sua vita con una piscina, per poter nuotare anche solo per pochi istanti.
- No. - affermò Nick dopo un po', sbuffando. - In momenti come questi rimpiango l'adrenalina dell'arena. C'era sempre qualcosa da fare laggiù. -
A Lucinda sembrò quasi che il sangue le si ghiacciasse nelle vene.
- C'erano talmente tante cose da fare che Alton è morto per il troppo divertimento. - commentò acidamente, mentre le sue gambe iniziavano a saltellare con più velocità. Si sentiva distintamente il cigolio delle sue scarpe contro il parquet.
Nick fece una smorfia e ritornò con la testa sul tavolo, a nascondersi dietro le braccia. E all'improvviso Lucinda capì perché, fino a quel momento, in tutti quei mesi, Nick non avesse nominato una sola volta Olimpia. La sua morte lo aveva portato alle lacrime, lacrime di vero dolore, e Lucinda se lo ricordava bene.
- Ti manca? -
Si morse il labbro e aspettò in silenzio, incrociando le caviglie e nascondendo le mani nella felpa. Era come se il sangue le si fosse davvero ghiacciato nelle vene.
- Ci conoscevamo da un sacco di tempo. Non sapevamo nemmeno parlare, eppure giocavamo già insieme, da piccoli. -
La sua voce arrivò ovattata attraverso il tessuto del maglione, ma non aveva particolari inflessioni che tradissero qualche emozione. Era distante.
- Ci siamo allenati insieme al Distretto 2. - continuò. - E pensa che era l'unica che riusciva a buttarmi a terra nel corpo a corpo. -
Lucinda sorrise, immaginandosi la scena, e scosse il capo.
- Non ne dubito. -
Nick alzò la testa, appena in tempo per vedere il sorriso ancora sulle sue labbra.
- Ora ce n'è un'altra che riesce a buttarmi a terra. - scherzò, spostandosi il ciuffo dalla faccia. - Una sola. Ha dell'incredibile. -
- Non montarti la testa. - lo rimproverò Lucinda, alzandosi in piedi per spettinarlo.
Nick schivò la sua mano e per tutta risposta l'afferrò e la tenne stretta. Non faceva male però, era una morsa calda e incredibilmente piacevole.
- Era mia amica. - disse ancora, improvvisamente serio.
Lucinda lo fissò.
- Lo so. - ammise. - Chiunque, guardandovi, lo avrebbe capito. -
Entrambi fissarono le loro mani unite, perché nessuno sembrava trovare il coraggio adatto per sollevare lo sguardo e incrociare l'uno gli occhi dell'altra.
- È stato facile non pensare alla sua morte perché c'eri tu. - confessò Nick, senza nessuna difficoltà. - Mi è bastato vederti andare via sul treno che tutto mi è crollato addosso. -
Lucinda fece un respiro profondo.
- E come hai fatto a superarlo? -
- Non l'ho superato e non penso che riuscirò a superarlo. -
Nick sollevò lo sguardo. Lucinda era in piedi accanto a lui e lo sovrastava, ma non lo faceva sentire a disagio. Quella vicinanza la bramava da quando l'aveva salutata, dopo i giochi.
- Pensare a te però aiuta. -
Si aspettava che Lucinda avrebbe ritirato la mano e sarebbe tornata a sedersi, sdrammatizzando su un argomento a caso per scacciare quell'atmosfera imbarazzante. Ma non lo fece. Lasciò che quella dichiarazione la invadesse, ne ripeté le parole più e più volte nella sua mente, e poi scoppiò a ridere.
- Ovviamente pensare a me aiuta. - scherzò, sventolandosi una mano davanti al viso. - La perfezione fa sempre questo effetto. -
Il ragazzo la osservò, indulgente, e scoppiò a ridere.
L'altra mano, stringeva ancora quella di Lucinda. E non sembrava avere intenzione di mollarla.

 

 

Da qualche minuto, Joey si torturava la giacca e tentava in tutti i modi di allungarsi la camicia, tirandosela a destra e a sinistra. Lucinda lo trovò così, con le mani sul colletto e la fronte appoggiata al muro. Non si fece troppi problemi a prenderlo per le spalle e a voltarlo verso di lei. Il muso di Joey rasentava il pavimento.
- Dobbiamo andare? - chiese, sospirando.
Era strano vederlo così. La sua spontaneità sembrava lontana in quel momento, addirittura come se non fosse mai esistita.
- Dobbiamo parlare. - lo corresse Lucinda, invitandolo a sedersi.
Lei non c'era mai stata in quel vagone, ma Joey non aveva fatto altro che parlarne e se all'inizio era stata scettica, ora ci credeva anche lei. Un misero pezzo di vetro aveva il potere di tenere il mondo fuori da quel treno, di far loro dimenticare la realtà. Era un'occasione troppo ghiotta da lasciarsi sfuggire. E Joey lo capì subito.
- Non riesco a sopportarlo! - sbottò, prendendosi la testa tra le mani.
Lucinda sapeva a cosa stava pensando, ma sorrise comunque.
- Non riesci a sopportare di esserti allontanato da Camille. - affermò, senza alcun dubbio.
- Non riesco a sopportare quel tipo. - la corresse Joey, senza accennare a voler sollevare la testa.
- Sai chi è quel ragazzo? - gli domandò allora Lucinda, incrociando le braccia al petto.
Joey annuì, nonostante gli costasse un'enorme sofferenza.
- Jason, il suo migliore amico – confessò. - Si conoscono da quando sono nati e se il pensiero di vedere te sotto un fucile carico mi spaventa, figuriamoci l'effetto che ha fatto a lei vedere lui. -
Il silenzio che ne seguì sapeva di conquista, di rivelazioni inaspettate e di immancabile imbarazzo.
- Jason non è il migliore amico per eccellenza, ne sono certa. - commentò Lucinda, cercando di risollevargli il morale.
Il volto di Joey si aprì in un sorriso.
- Davvero sono il tuo migliore amico? - domandò, incredulo.
Lucinda agitò una mano.
- Non mi sembra questo l'importante adesso. – borbottò, burbera. - Fossi in te, andrei a scusarmi con Camille. -
Joey scattò in piedi, ma subito si risedette.
- Ho un'idea migliore. - affermò, facendole l'occhiolino.

 

 

- L'arena per me è stata una prova, la più ardua, e se l'ho superata e sono qui a vivere la mia vita, lo devo a due persone. -
Lucinda era in piedi accanto a lui, sul palco del Distretto 4, e sbiancò quando si accorse che Joey aveva cambiato il discorso. E continuava a farlo.
- Lo devo a Camille e al suo amore. Perché io la amo. Non è un amore semplice, non è puro e innocente, ma io so che è vero e mi basta. -
La madre di Joey aveva le lacrime agli occhi e il petto gonfio di orgoglio.
- E lo devo a Lucinda e alla sua amicizia, senza la quale non sarei qui. Le voglio bene, ma non perché mi ha salvato. Le volevo bene già prima. Perché mi ha permesso di conoscere la vera lei ed è incredibile, ve lo posso giurare. -
Lucinda era senza parole, ma non le fu dato il tempo di recuperarle per il discorso conclusivo. Due pacificatori uscirono dal Palazzo di Giustizia e li portarono dentro velocemente, ma non abbastanza. Quello che saltò agli occhi di Joey, furono gli abitanti del Distretto e il loro applauso senza fine. Anche Lucinda lo vide, ma il suo sguardo arrivò più lontano, oltre le persone e le case, fino alla spiaggia. Il profilo del mare era cambiato. 
Poteva sentire chiaramente la forza delle onde che si lanciava contro gli scogli, in un duello senza fine. Ma stava perdendo.
 


Angolo d'autrice:
Buongiorno! Pubblico il sabato, da scuola oltretutto, perché la mia chiavetta è morta e mi sarei ritrovata senza connessione domani!
Ci stiamo avvicinando sempre di più alla fine di questo viaggio... 
Alla prossima,
Colpa delle stelle


 

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Capitolo 9
*** Lo sfarzo dell'imprevedibile ***


The power of the elements - Il sacrificio del fuoco



 

 Lo sfarzo dell'imprevedibile 

 

Gli incontri più importanti sono già combinati dalle anime
prim'ancora che i corpi si vedano.
Se siamo disperati, se non abbiamo più nulla da perdere
oppure siamo entusiasti della vita,
allora l'ignoto si manifesta e il nostro universo cambia rotta.
Paul Coelho – 11 Minuti

 

Nick fu tremendamente perfetto anche nel suo Distretto e prima che qualcuno se ne potesse davvero rendere conto, il treno era in viaggio per Diagon City e l'avrebbe raggiunta quella mattina stessa, in vista della fermata conclusiva di quel Tour della Vittoria. La cena nella tana del serpente spaventava tutti, qualcuno riusciva a nasconderlo e qualcun'altro invece no, nonostante ci provasse. Faith era tra le più agitate e non era nemmeno giustificata. Era alla sua prima apparizione in un Tour della Vittoria, ma non aveva fatto niente per guadagnarsi quel posto. Era lì perché doveva, era l'unica a considerarlo un piacere vero e proprio, eppure sembrava non essere in grado di goderselo appieno. Camminava avanti e indietro nel vagone e il tacco delle sue scarpe si scontrava fastidiosamente con il pavimento forse più volte del necessario. La pazienza di Felicity non resistette molto a lungo.
- Credevo di aver conosciuto fin troppe persone insopportabili - commentò, acidamente. - Invece mi sbagliavo. -
- Le persone insopportabili sono nulla in confronto alle persone ipocrite. - sussurrò Camille, senza sollevare lo sguardo dalle sue mani.
Lucinda, che si era imposta di rimanere in silenzio e di non intromettersi, si dimenticò alla svelta di tutti i suoi buoni propositi. 
- Se parli di Joey, non puoi sbagliarti di più. - affermò, guardando male Camille. - Lui è tutto tranne che ipocrita. -
- Non stavo parlando con te. - precisò Camille, lievemente stizzita.
- Ha rischiato tanto quanto il tuo amichetto Jason al Distretto 4. Ha espresso i suoi sentimenti pubblicamente e l'ha fatto per te, non per confermare quanto sia debole. Dovresti apprezzarlo e non chiuderti nel tuo egoismo. - continuò Lucinda, approfittando della sua scarsa voglia di controbattere.
- Non sono una persona egoista. - protestò Camille, piuttosto debolmente.
Lucinda continuò a guardarla e scosse la testa. - Non hai davvero niente di meglio da dire? -
Il silenzio di Camille valse come risposta, così come fece anche l'occhiata d'ammonimento di Felicity.
Lucinda alzò le mani. - Nessuna di voi due sa accettare la verità. - considerò, fingendo di controllarsi le unghie. Poi però, risollevò la testa. - Ora capisco perché siete tanto amiche. -
Entrambe rimasero in silenzio per un po' e solo Camille trovò le parole per dire qualcosa, quando Lucinda ormai non c'era già più.
- La odio quando se ne va in questo modo - sbuffò. - E la odio ancora di più se lo fa quando ha ragione. -

 

 

Joey non era più abituato a vedersi in abiti eleganti, aveva quasi dimenticato cosa fossero le giacche con i bottoni, ma non sentiva la mancanza delle camicie da pescatore. Si sentiva diverso. O forse si era abituato anche lui a tutto quello sfarzo eccessivo. Anche se a braccetto di Lucinda e del suo abito tempestato di zaffiri, la sua eleganza sembrava comunque non poter reggere il confronto.
- Sembri depresso, Joey. - lo richiamò Lucinda. - Sorridi o dovrai vedertela con Faith. -
- Mi sento davvero depresso. O forse è deprimente la consapevolezza di non essere felice. Non riesco ad esserlo dopo gli Hunger Games e anche se ai più risulterebbe impossibile, per me è solo deprimente. -
Lucinda si morse un labbro, ma continuò ad avanzare dietro a Faith. La folla che si era raccolta ad acclamare la loro entrata nella villa del presidente Snow era incredibile e il copricapo della loro devota accompagnatrice non poteva passare inosservato, insieme alle sue piume.
- È scientificamente provato che chiunque ripeta troppe volte la parola “deprimente” in una sola frase, è depresso. - commentò Lucinda, facendo spallucce.
Joey si ritrovò a ridere, senza accorgersene. - Lo hai appena inventato, dì la verità! -
- Com'è scientificamente provato che una persona che si ricorda ancora come ridere, non può essere depressa. -
Dopo averci pensato per un po', Joey annuì. - Hai un modo strano di tirarmi su di morale. -
- Ma ce l'ho fatta. - commentò serafica. - Ed è questo l'importante, no? -
Faith fece un grosso cenno nella loro direzione e li invitò a fermarsi nel cortile.
- Felicity e Alexander, è necessario che vi teniate a braccetto e sorridiate, come loro. - li richiamò, indicando esasperata Lucinda e Joey, che non avevano ancora perso la loro espressione allegra.
- Noi non siamo Favoriti, non sorridiamo a comando. Così come non uccidiamo altrettanto facilmente. - ribatté Felicity, facendole mettere le mani nei capelli.
Quando si accorse di quello che aveva fatto, Faith recuperò uno specchio dal suo vestito e si controllò, per assicurarsi di non avere nulla fuori posto. Quello che vide doveva averla tranquillizzata, perché riacquistò alla svelta la sua finta aria rilassata.
Il cortile della villa era vuoto e talmente silenzioso che si sentivano riecheggiare in lontananza le voci dei capitolini e la musica della festa. La fontana era al centro dell'enorme giardino ed era animata da giochi d'acqua e di luce colorati. Lucinda si sarebbe anche avvicinata per osservarli meglio, ma per Faith erano in ritardo e non le permise nemmeno di allontanarsi dal sentiero. Li tempestò di aneddoti e di raccomandazioni, ma niente poteva davvero prepararli a quello che li avrebbe accolti. La scalinata che conduceva all'interno della casa era talmente affollata che non si riuscivano a scorgere i gradini, in mezzo a quella moltitudine di persone che si affannavano a prendere i posti in prima fila non appena videro i ragazzi sbucare dal buio del giardino.
La schiena di Faith si raddrizzò automaticamente. Era il suo ambiente e non avrebbe potuto non trovarsi a suo agio in un momento come quello. Camille invece scoppiava di tensione, nonostante si ostinasse a tenere le mani chiuse a pugni, per fermarne il tremore. In un primo momento aveva cercato la mano di Joey, ma quando si era ricordata di non poterlo fare, sentire il palmo così le vuoto le aveva addirittura fatto male.
Ogni persona si tendeva verso di loro, per sfiorarli, e solo Felicity si ritirava indietro per non farsi toccare, disgustata. E delusa invece del sorriso sulla bocca di Alexander. Non si stava divertendo davvero, ne era sicura.
- Decine e decine delle persone più influenti di tutta Panem – squittì Faith, salutando a destra e a sinistra visi che magari vedeva per la prima volta, ma che il titolo che portavano sulle spalle bastava per renderli importanti ai suoi occhi. - Venute qui per conoscere proprio voi. -
- Sai che roba. - commentò Joey, tentando in tutti i modi di allargarsi il collo della camicia. In quella stanza la temperatura sembrava essere schizzata alle stelle e si sentiva già la nuca umida di sudore nervoso.
- Mi fa girare la testa tutta questa popolarità. - continuò Faith, senza far nemmeno caso al suo commento.
Nick le toccò con un dito l'enorme parrucca. - Stai attenta a non perdere questa, allora. - scherzò, scoppiando subito dopo a ridere della sua stessa battuta.
Faith lo incenerì con lo sguardo, ma non riuscì a dire niente, perché una signora con un completo zebrato la tirò da parte, assorbendola subito in una fitta conversazione. Camille e Alexander avevano iniziato anche loro a parlare con un gruppo di persone, che a giudicare dal loro abbigliamento simile dovevano essere venuti lì insieme, proprio come loro. Felicity si era eclissata in un angolo della sala, così come Joey si era fiondato sul tavolo della cena. Rimanevano solo Nick e Lucinda
- Tutto terribilmente noioso, non trovate anche voi? -
Un ragazzo era sbucato dal nulla, proprio dietro a Nick, e gli aveva circondato le spalle con un braccio, come se si conoscessero da una vita. - Non ho mai amato la vita mondana. -
Prima che Nick riuscisse a riaversi dalla sorpresa e lo ribaltasse sul pavimento, Lucinda gli porse la mano, costringendolo a togliere il braccio dalle spalle del ragazzo.
- Hai tutto il mio appoggio. - annuì, stiracchiando le labbra in un sorriso.
Lui però non gliela strinse. La prese con delicatezza e le fece un galante baciamano.
- Moss Greengrass, esatto? - intervenne Nick, svelto. Aveva intercettato l'occhiata assassina di Lucinda e non ci aveva pensato due volte.
- L'Invincibile della quinta edizione della memoria. - aggiunse Lucinda, pulendosi il dorso della mano nella gonna del vestito, di nascosto. Quella volta fu Moss a tendere la mano a Nick, ma quando il giovane del Distretto 2 ricambiò la stretta, sobbalzò e una smorfia di dolore gli attraversò il volto.
- Elettricità. - indovinò Lucinda, fissando con interesse le scintille. - Affascinante. -
- Curioso che sia proprio tu a dirlo – scherzò Moss. - Se ti tocco, muori. -
L'interesse di Lucinda scomparve, rapido com'era arrivato. - Sono solo una strega dell'acqua – precisò, leggermente scocciata. - Non sono fatta tutta d'acqua. -
- Vogliamo provare? -
Sollevò un dito e subito Lucinda lo toccò con il palmo aperto. La scossa le fece male, ma non lo diede a vedere.
- Sono viva, no? - ribatté, osservandolo con sfida.
Moss ricambiò lo sguardo. 
- Balliamo? -
Joey arrivò in quel momento e si inserì tra Lucinda e Moss, spezzando la situazione di stallo che si era creata. Moss batté una volta le palpebre, il tempo necessario per vedere Lucinda e Joey andare verso la pista.
- C'è qualcosa tra quei due? - domandò a Nick, l'unico rimasto al suo fianco.
- Lucinda è fidanzata – sibilò, calcando con forza su ogni parola. - Con un tipo grande e grosso del suo Distretto. Lo conosco e i tuoi fulmini gli farebbero il solletico. -
Girò sui tacchi e scomparve nella folla, mentre Moss lo seguiva con lo sguardo e rideva sotto i baffi. Avrebbe rincontrato tutti loro molto presto. Non vedeva l'ora.

 

 

Il presidente si affacciò all'enorme balcone della sua villa subito prima di mezzanotte. I capitolini attendevano il suo arrivo con ansia da parecchie ore e i loro calici si sollevarono all'unisono in un brindisi a suo onore non appena lo videro. Lui ringraziò a due mani il suo enorme pubblico e brindò insieme a loro.
- Questa sera rendo omaggio a sei cuori coraggiosi, il nuovo orgoglio di Panem. - esclamò, scatenando un fragoroso applauso e fischi di consenso. - Non sarà difficile dimenticarli, ma questo è l'anno dell'edizione della memoria e io vi prometto spettacolo. -
Nick applaudì con trasporto ed era in netto contrasto con Camille e Felicity, che guardavano il presidente con aria ostile e non avevano la minima intenzione di muoversi.
- La vostra gloria è la nostra gloria. Io brindo a voi. - concluse il presidente Snow, sollevando il bicchiere in alto. Ogni capitolino rispose al brindisi e bevve insieme a lui. Alexander si strinse nelle spalle, ma poi trangugiò in un sorso lo champagne. Lucinda e Joey si guardarono e fecero tintinnare i bicchieri l'uno contro l'altro, ma solo lui bevve. Lei sollevò lo sguardo fino al balcone e si stupì d'incontrare l'espressione beffarda del presidente.
Aveva promesso spettacolo e avrebbe mantenuto la promessa. Non restava che aspettare.

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Capitolo 10
*** La busta della discordia ***


The power of the elements - Il sacrificio del fuoco



 

• La busta della discordia •

 

È umano volere ciò di cui abbiamo necessità,
ed è umano desiderare ciò che non ci è necessario
ma che è per noi desiderabile.
Il male consiste nel desiderare con uguale intensità
ciò che è indispensabile e ciò che è desiderabile,
soffrendo per non essere perfetti
come se si soffrisse per la mancanza di pane.
Fernando Pessoa
, Il libro dell'inquietudine, 1982

 

Al ritorno il Distretto 4 sembrava ancora più bello e diverso rispetto a quello che avevano salutato due settimane prima. Non era cambiato niente al di fuori, ma le persone li guardavano, se possibile, con occhi diversi. Era successo dopo gli Hunger Games ed era successo ancora una volta dopo il Tour della Vittoria. Riprendere di nuovo le stesse abitudini quotidiane non fu difficile, al contrario si mostrò tremendamente rassicurante. Al confronto, Diagon City era troppo caotica, troppo rumorosa, troppo finta. Il Distretto 4 invece era casa loro e niente poteva cambiarlo, nemmeno la vittoria.
- Hai più sentito Camille? -
Joey era contento di essere tornato, ma non felice. Non lo era nemmeno Lucinda, ma per una delle poche nella sua vita aveva messo da parte il suo egoismo per preoccuparsi delle altre persone, come avrebbe fatto qualunque amica.
- No. - Le impronte di Joey sulla sabbia erano enormi, ma le onde riuscivano comunque a cancellarle con una facilità disarmante. Peccato non poter fare lo stesso con il dolore. - Al suo Distretto c'è Jason – commentò, disgustato. - Si sarà dimenticata presto di me. -
Lucinda diede un calcio ad un sasso, talmente forte che rotolò più e più volte prima di fermarsi. - Non vi capisco! - esclamò, alzando le braccia al cielo. - Siete fatti per stare insieme! -
Joey fece un sorriso rassegnato. - Destinati a stare insieme, ma per sempre separati. -
- No, se non lo volete voi! -
Joey finalmente si fermò e si voltò verso il mare. - È difficile capire cosa voglio. -
- L'amore non è difficile. - protestò Lucinda, lasciandosi cadere sulla sabbia.
L'inverno al Distretto 4 era mite, nessuno di loro aveva mai visto la neve e per nessuno di loro era strano camminare a piedi nudi sulla sabbia, in pieno Dicembre. Non era un po' di freddo a spaventarli.
- Ne sei sicura? - domandò comunque Joey, avvicinandosi e sedendosi a sua volta.
Lucinda lo guardò e poi scoppiò a ridere. - Com'è che siamo arrivati a parlare proprio di questo? - chiese, senza rispondergli.
Joey non sorrise. Le mise una mano in testa e le scompigliò i capelli, come avrebbe fatto con un cagnolino. - Dimmelo tu. - affermò, alzandosi subito dopo per scappare dalla sua vendetta.
- Cercavo di aiutarti, Joey! - protestò infatti Lucinda, iniziando a rincorrerlo. Lo raggiunse prima del previsto e gli saltò addosso, ricacciandolo nella sabbia, per poi raddrizzare la schiena e spostarsi un ciuffo di capelli dal viso. - Ci vediamo in palestra. - aggiunse con un sorrisetto, iniziando a camminare senza nemmeno aspettarlo.
Joey tossì un po' di sabbia, ma riuscì comunque a ritrovare l'equilibrio. - Voglio la rivincita! - le urlò dietro, continuando a tossire, mentre Lucinda non si voltò nemmeno e gli fece un cenno con la mano.
Ritornare alle proprie abitudini poteva anche essere divertente, dopo tutto.

 

 

Per altri invece, sembrava solo un'enorme tortura destinata a non trovare una fine.
Al suo rientro al Distretto 11, Camille non aveva trovato Jason ad aspettarla alla stazione ed era l'unica cosa che in realtà voleva, vederlo per accertarsi che stesse bene e che fosse vivo. Poi però Omar le aveva detto che lui e la sua famiglia si erano trasferiti al Distretto 2. Secondo i genitori, avevano rimandato quel momento per troppo tempo e avevano approfittato di una promozione del padre per fare i bagagli e abbandonare quel paesaggio desolato. Jason non le aveva detto addio, non le aveva nemmeno lasciato un biglietto, ma Camille non era arrabbiata. Sapeva che era vivo e quello al momento le bastava.


 

A Felicity invece non sarebbe mai bastato. Sapeva che Alexander era vivo e vegeto nel suo Distretto, lo aveva visto lei stessa scendere dal treno e camminare solo sul marciapiede della stazione, ma il fatto che non l'avesse nemmeno salutata l'aveva fatta infuriare. Ed era arrabbiata tutt'ora.
- Cosa mi insegni oggi? -
Mozely le si sedette di fianco, appoggiandosi in grembo il sacchetto del pranzo. Era arrivata portandosi con sé un forte profumo di pane appena sfornato, che le strinse la bocca dello stomaco e le inumidì gli occhi.
- Niente. - chiarì subito Felicity, passandosi bruscamente la mano sul viso per cancellare le lacrime.
- Stai bene? - si accertò Mozely, senza lasciarsi minimamente intimidire dallo sguardo burbero di Felicity.
- Non sto per niente bene. - sbuffò la ragazza, allargando le braccia e lasciandosi cadere di schiena sull'erba. Il cielo quel giorno era brutto, coperto da nuvole scure che promettevano neve, e l'aria era talmente fredda che congelava i loro respiri in nuvolette bianche.
- Mal d'amore? - indagò Mozely, ignorando ancora la nuova occhiataccia che ricevette in risposta. - Voi ragazze siete strane – commentò subito dopo, pensierosa. - Vi innamorate, condannandovi allo stesso tempo. -
Felicity sollevò un sopracciglio. - Noi ragazze? - ripeté.
- Sono ancora una bambina, lo so benissimo. - spiegò Mozely, appoggiandosi sui gomiti. - Ma ho giurato che non mi sarei mai innamorata e così sarà. -
- Anche io avevo giurato, quando mia zia se n'era andata – ricordò Felicity, con voce grave. - Ma ci sono caduta lo stesso. Me ne vergogno. -
Mozely roteò gli occhi al cielo e scosse la testa. - Non devi, perché sono certa che sarà lui a pentirsene. - affermò, sorridendo.
- Che ne sai tu di ragazzi. - sussurrò Felicity, sospirando.
Ridursi a parlare di amore con una bambina di dieci anni le sembrava ancora peggio di come dovesse apparire in realtà.
- Ho due fratelli, ne so abbastanza! - protestò Mozely incrociando le braccia.
- Alexander non lo capisco nemmeno io. -
- È così che si chiama? - indagò Mozely, curiosa. - Alexander? -
Felicity si raddrizzò all'istante, imbarazzata. - Non eri venuta per imparare qualcosa, tu? - domandò, cambiando prontamente discorso. Si sarebbe distratta, avrebbe pensato ad altro. E forse se ne sarebbe dimenticata, una volta per tutte.

 

 

All'ora stabilita, ogni televisione di ogni casa di ogni Distretto si illuminò e tutti erano a conoscenza del motivo. Potevano vedere la piazza più grande di Diagon City gremita di persone, potevano vedere il balcone del Palazzo di Giustizia protetto dai Pacificatori e potevano vedere il grande portone che si apriva e ne lasciava uscire il presidente, nella sua consueta giacca bianca e con il suo inquietante sorriso. Un bambino lo tallonava ogni secondo: aveva una busta in mano, con il numero “60” inciso a lettere oro sulla sommità della carta.
Sessant'anni dopo i primi Hunger Games, Panem si apprestava a festeggiare la sesta edizione della memoria. Le regole erano chiare a tutti e i Distretti da anni le festeggiavano: l'unico anno di pace e di tranquillità, l'unico anno in cui solo i maghi e le streghe si davano battaglia nell'arena.
- La sesta edizione della memoria è un importante traguardo per tutti noi. - affermò il presidente Snow, avvicinandosi a passi lenti verso la ringhiera del balcone. Le telecamere non lo perdevano di vista e seguivano passo per passo ogni suo movimento. Gli occhi dell'intero paese erano puntati su di lui, ma sembrava non sentirne il peso. Aprì la busta con tranquillità e con una calma quasi snervante.
- Un mago e una strega di ogni Distretto verranno sorteggiati per prendere parte ad un nuovo torneo. Dodici prove e un solo vincitore. Ormai dovreste saperlo bene. - continuò il presidente, regalando una sola breve occhiata al cartoncino che aveva estratto dalla busta.
Le regole erano le stesse, ad ogni edizione della memoria, ma Snow amava riservare sempre una sorpresa e l'attenzione ora era puntata su quel cartoncino che teneva in mano. Cosa avrebbe atteso gli speciali tributi di quell'anno?
- Non ci saranno Invincibili quest'anno. - annunciò il presidente, implacabile. - Io reintroduco la regola del singolo vincitore. Una coppia di tributi verrà eliminata ad ogni prova, fino ad arrivare al duello finale. Sarete voi a decidere se i tributi si meriteranno di tornare a casa, sarete voi a decidere la loro sorte. - concluse il presidente, godendosi il successivo applauso.
Stracciò il cartoncino e lasciò che il vento si portasse via ogni singolo pezzo di carta.
- Che vinca il migliore – augurò. - E possa la buona sorte essere sempre a vostro favore. -

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Capitolo 11
*** Dejavù ***


The power of the elements - Il sacrificio del fuoco
 



 Dejavù 

 

Un guerriero accetta la sconfitta.
Non la tratta con indifferenza,
non tenta di trasformarla in vittoria.

Egli è amareggiato dal dolore della perdita,
soffre all'indifferenza.
Un guerriero sa che la guerra è fatta di molte battaglie:
egli va avanti.


 

 

Lucinda non aveva mai ricevuto lettere, per il semplice fatto che non aveva molti amici disposti a scriverle. In verità, non aveva mai avuto amici al di fuori del Distretto 4 e chiunque avesse voluto parlarle era sempre venuto a bussare alla sua porta o direttamente a quella dell'accademia, dove aveva passato più della metà della sua intera esistenza. Per questo quando quella mattina aveva trovato una busta bianca sul gradino di casa, ci aveva messo qualche minuto per decidersi a raccoglierla e portarla in camera. Non l'aprì e Joey la trovò così, seduta al tavolo della cucina con la busta in mano. Margot fece spallucce, ad indicare che non sapeva cosa avesse la sorella, e Joey si decise quasi subito ad avvicinarsi e a sfilarle la lettera dalle mani. Non riuscì nemmeno a girarla che Lucinda se la riprese.
- È di Nick. - comunicò, rigirandosela tra le mani.
- Come lo sai? -
- Riconosco la sua scrittura. -
- Vi siete scritti altre lettere quindi? -
Il tentativo di Joey di alleggerire l'atmosfera si rivelò un totale disastro. Margot ingoiò d'un fiato il resto del latte nella sua tazza e si dileguò rapidamente in camera sua, senza preoccuparsi di sapere cosa non andasse nella sorella. La conosceva troppo bene da sapere che sicuramente Lucinda non voleva che lo scoprisse.
- Cosa dice? - ritentò Joey, sporgendosi verso il tavolo e afferrando un biscotto.
Lucinda non se ne accorse nemmeno. - Non l'ho ancora aperta. -
- E cosa aspetti a farlo? -
- Non sono tranquilla – confessò Lucinda, poggiando la busta sul tavolo. - Non so se voglio farlo davvero. -
Il biscotto che Joey teneva in bilico sulle labbra si ruppe e un pezzo precipitò sul pavimento, sbriciolandosi. - So che io voglio farlo. - affermò, pulendosi le mani e afferrando la busta. L'aprì senza troppe cerimonie e iniziò a leggere, sotto lo sguardo attento di Lucinda. All'inizio, sembrava che non ci fosse niente di storto; aveva un'espressione beffarda negli occhi e Lucinda aveva ormai perso la pazienza, stava quasi per strappargli la lettera di mano, quando un singulto incredulo abbandonò le sue labbra. Lucinda si bloccò all'istante davanti allo sguardo atterrito di Joey. Aveva ragione a non voler aprire quella lettera. Lei aveva sempre ragione.
 


La bambina con la quale si era scontrata quel giorno nella foresta era stata chiamata dalla presentatrice. Felicity avrebbe dovuto aspettarselo. Niente sfuggiva alla capitale e se i poteri di Mozely non erano passati inosservati come invece tutti credevano, non poteva che chiedersi come avesse fatto Diagon City ad ignorare i suoi. Doveva essere stata davvero brava a nasconderli.
La chioma scura di Mozely si mosse, abbandonò il recinto delle streghe e si avvicinò al palco. Le regole dell'edizione della memoria parlavano chiaro: qualsiasi Invincibile avrebbe potuto partecipare, nonostante fosse immune alle estrazioni. Bastava solo che si offrisse volontario. E a Felicity non importava che quella potesse trattarsi di una trappola, che la capitale stessa avesse potuto fare in modo di costringerla ad offrirsi volontaria. Gli Hunger Games non davano una seconda possibilità e Felicity era già stata fortunata ad uscire una volta dall'arena, indenne. Eppure non poteva non salvare quella bambina. Era uguale a lei da piccola.
- Aspettate! - Felicity si alzò dalla sua sedia da mentore e mosse alcuni passi verso la presentatrice, bloccandola con una mano.
Mozely la fissava incredula, con gli occhi spalancati, e capì all'istante quello che voleva fare. 
- Non andare! - urlò infatti, nel silenzio della piazza. - Lascia andare me, lo sai perché lo hanno fatto! -
Il sorriso che curvò le labbra di Felicity era amaro tanto quanto falso. La capitale l'aveva incastrata di nuovo. - Mi offro volontaria come tributo. -
Perché per quanto lei si impegnasse, per quanto lei provasse ad apparire dura e impenetrabile, Felicity era sensibile, era buona e coraggiosa. Non avrebbe mai permesso ad una bambina di morire in quei giochi. Non lo avrebbe mai fatto.

 

 

Anche quell'anno, durante la mietitura per l'edizione della memoria, nel Distretto 11 la presentatrice aveva preferito chiamare per primo il tributo maschio. Era una donna che non rispettava gli schemi. Il biglietto che pescò dall'ampolla era bianco e liscio, così come tutti gli altri, ma quando la donna lo toccò e lo sollevò, Camille sobbalzò. La morsa allo stomaco che l'aveva tormentata in quei giorni era tornata, prepotente, e la ragazza non ne conosceva il motivo. Lo comprese solo quando la donna lesse il nome del tributo estratto.
- Omar VanHorn. -
Suo fratello era un mago della terra, rischiava la vita tanto quanto tutti gli altri abitanti del Distretto, ma Camille non aveva mai sospettato che avrebbe potuto essere estratto. Era convinta che la sua famiglia si trovasse ormai al sicuro, aveva sottovalutato il potere della capitale. La piccola bolla di felicità che aveva aleggiato in casa durante quei mesi era scoppiata. Suo fratello non era intoccabile, a Capitol City non interessava che Camille fosse sopravvissuta ad un edizione degli Hunger Games. Era comunque in pericolo.
- Ora il tributo femminile che avrà l'onore di rappresentare il Distretto 11 nell'edizione della memoria. -
Mentre la donna si affrettava verso l'ampolla delle streghe, le lacrime iniziarono a scorrere sul viso di Camille. Non poteva rimanere impassibile davanti a quella scena, non poteva ignorare il fatto che il fratello avrebbe combattuto nell'arena, non poteva semplicemente fargli da mentore. Avrebbe avuto più possibilità di salvarlo dall'interno, affrontando i giochi insieme a lui.
Camille si schiarì la voce e non si curò che la donna non avesse ancora detto ad alta voce il nome della strega estratta. - Mi offro volontaria. -
Lo sguardo atterrito di Omar la spaventava, forse più di quello che aveva appena detto. Si era offerta volontaria. Sarebbe tornata nell'arena.
Capitol City aveva vinto.

 

 

La lettera che le aveva inviato Nick giaceva al sicuro nell'angolo più remoto del suo armadio. Solo Joey l'aveva letta insieme a lei e le parole che riportava erano bastate per fargli perdere la voce. Non accennava a come avesse fatto ad ottenere quelle informazioni, ma il tono della lettera di Nick era sicuro: Diagon City avrebbe fatto in modo che sia Camille sia Felicity si sarebbero offerte volontarie nell'edizione della memoria. Per eliminare loro e l'organizzazione dei ribelli una volta per tutte.
Il fatto che la capitale non avesse voluto colpire anche lei, l'aveva lasciata turbata. La prima idea che le era passata in mente, era che il presidente Snow non la considerasse una minaccia, che non era una delle streghe dell'acqua più potenti mai esistite, come si divertiva a sussurrare per la strada la popolazione del Distretto 4. La teoria di Joey era invece più veritiera e preoccupante. Per lui, il presidente Snow non la considerava una minaccia perché era certo che fosse dalla loro parte. Lo aveva dimostrato durante il tour della vittoria, quando era riuscita a litigare con Felicity e Camille nello stesso giorno. Per colpa di quella profezia alla quale non aveva creduto, ma che per il presidente Snow evidentemente rappresentava invece una minaccia.
La preoccupazione l'aveva accompagnata fino al giorno della mietitura. Era preoccupata per Felicity e per Camille ed era in ansia anche per Alexander. Avevano litigato, avevano idee diverse, completamente opposte, ma non voleva vederli morire. Non l'avrebbe mai ammesso, ma le sarebbe dispiaciuto. 
Non aveva modo di sapere se le parole di Nick fossero vere o meno, ma qualcosa le diceva che si, lo erano. Una convinzione sconosciuta, misteriosa e altamente preoccupante, che non riusciva ad ignorare. Per questo, quando alla mietitura la presentatrice chiamò il nome del tributo femminile, fece quello che nessuno mai si sarebbe aspettato, che nessuno mai avrebbe potuto prevedere.
Lucinda si offrì volontaria.

 


Angolo d'autrice:
Torno con due capitoli consecutivi perché settimana scorsa non ho fatto in tempo a pubblicare e volevo farmi perdonare!
Ormai è ufficiale: Camille, Felicity e Lucinda tornano nell'arena! Come andrà a finire? 
Alla prossima,
Colpa delle stelle

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Capitolo 12
*** Le regole del gioco ***


The power of the elements - Il sacrificio del fuoco


 

 Le regole del gioco 

 

Nessuno si è compiutamente disingannato del mondo,
né lo conosce si addentro,

né tanto l'ha in ira, 
che guardato un tratto da esso con benignità,
non se gli senta in parte riconcialiato;
come nessuno è conosciuto da noi sì malvagio,
che salutandoci cortesemente non ci apparisca meno malvagio che innanzi.
Le quali osservazioni vagliono a dimostrare la debolezza dell'uomo,
non a giustificare né i malvagi né il mondo.

Giacomo Leopardi, Pensieri, 1845


 

Mozely era venuta a salutarla, l'aveva abbracciata, le aveva addirittura promesso che avrebbe continuato ad esercitarsi se non l'avessero portata nei campi di lavoro e Felicity non aveva potuto far altro che annuire e rassicurarla. L'avevano costretta ad uscire allo scoperto e non si sarebbe più salvata. Era intelligente, lo sapeva benissimo anche lei, ma finché Felicity era ancora lì al Distretto 12, la verità sembrava ancora abbastanza lontana da ignorarla. La colpì tutto d'un colpo quando salì sul treno che l'avrebbe riportata a Diagon City, di nuovo nell'arena, di nuovo prossima ai giochi.
Non pianse, solo perché sapeva che la malvagità del presidente Snow non meritava lacrime. Sapeva che se si sarebbe dimostrata forte, avrebbe vinto sin dall'inizio. Ma la sua determinazione non durò molto.
Le bastò sapere che il tributo maschile del Distretto 9 si chiamava Alexander Rain per crollare.

 

 

Quell'anno sarebbe stato difficile, tremendamente difficile, e Camille lo sapeva bene. Avrebbe avuto di fronte a sé ventitré maghi esperti, tutti pronti a mettersi in gioco, tutti pronti a trionfare. Poteva contare su degli alleati importanti, ma non poteva non pensare che al confronto fossero troppo pochi: suo fratello, che aveva promesso di proteggerla fino alla morte, senza sapere che Camille aveva fatto lo stesso giuramento in segreto, per non rischiare di venire fermata, Felicity e Alexander, che si erano dimostrati sempre degli amici preziosi e Lucinda, che si era offerta volontaria contro ogni pronostico. I capitolini non ci avevano messo molto a trovare un motivo più che valido: era una degna Favorita, una combattente letale, e le persone come lei non erano mai soddisfatte, erano sempre alla ricerca della gloria, con qualsiasi mezzo e senza curarsi delle conseguenze. Camille però era convinta che non era stato per quello, che Lucinda si era offerta volontaria per loro.
Avevano iniziato quel percorso insieme e insieme l'avrebbero concluso. Vivi o morti.

 

 

Joey era il suo mentore. Nonostante fosse seduto al suo fianco da quando erano partiti, Lucinda ancora faticava a credere a tutto quello che era successo fino ad allora. Si era offerta volontaria, la sua voce aveva agito per lei e le sue gambe l'avevano portata sul palco, nel silenzio sgomento del suo Distretto. Gli abitanti non ci avevano comunque messo molto a riprendersi. L'applauso che le avevano riservato era stato incredibilmente rumoroso ed eccitato. L'unico che non aveva applaudito era stato suo padre, perché non sapeva cosa l'avesse davvero spinta a compiere quel gesto estremo.
Aveva vinto, nel migliore modo possibile, aveva avuto la possibilità di vivere nel lusso e di fare il mentore per il resto della sua vita e non ne aveva approfittato. Eppure Lucinda non riusciva a pentirsene. Sapeva che Camille, Felicity ed Alexander stavano viaggiando in un treno identico al suo in quel momento, diretti verso Diagon City e l'ignoto della nuova arena, e voleva essere al loro fianco, voleva appoggiarli. Fino alla fine.

 


- Il nostro programma prevede la sfilata dei tributi questa sera e l'intervista con Caesar tra quattro giorni. - comunicò Faith, studiando con attenzione il foglio della scaletta che teneva in mano. - Apriranno la palestra per gli allenamenti nei successivi tre giorni, ma la frequenza alle esercitazioni non è obbligatoria. 
- E non danno nemmeno i voti. - commentò Joey, leggendo un identico programma.
- Certo che si, mio caro – lo corresse Faith, indicando un preciso punto del foglio. - Il pomeriggio del terzo giorno, subito dopo l'ultima sessione della mattina. Gli strateghi e gli sponsor vi valuteranno e vi assegneranno un voto. In base a quel voto, decideranno poi come schierarvi durante le varie prove. 
- E cosa succede tra una prova e un'altra? 
Hewie era il mago dell'Acqua che era stato sorteggiato insieme a Lucinda. Aveva superato da un bel po' i trent'anni, ma possedeva ancora il fisico asciutto e muscoloso di un ragazzino e la forza bruta nelle braccia. Era un pescatore, piuttosto bravo, che si guadagnava da vivere rivendendo le sue prede ai proprietari della pescheria. E Faith ne era incredibilmente intimidita.
- Du-dunque – balbettò, scorrendo i fogli. - Tra una prova e l'altra avrete tre giorni di tempo per riprendervi e per usufruire di eventuali cure. Potrete sfruttare il tempo per continuare ad allenarvi o per cercare di risolvere gli indovinelli con la vostra alleanza. 
Lucinda sollevò di scatto la testa. Fino a quel momento si era mostrata indifferente ai loro discorsi, ormai conosceva le regole a memoria, ma bastò una parola per farle tornare la voglia di ascoltare.
- Alleanza? - ripeté, storcendo il naso.
- Indovinelli? - disse invece Hewie, incrociando le braccia al petto.
Faith, stretta tra due delle persone che più le incutevano terrore al mondo, guardò prima l'uno e poi l'altra, facendo cenno a Joey di parlare.
- Indovinelli. - confermò Joey. - Le regole dei giochi di quest'anno stabiliscono che in ogni prova si nasconderà un indizio, in questo caso un numero, che se collegato con gli altri dodici, porterà alla soluzione finale. Chi troverà la combinazione completa, vincerà la sesta edizione della memoria. 
- Un gioco di logica e di forza bruta al tempo stesso. - commentò Hewie, scuotendo la testa. Doveva preferire la seconda opzione rispetto alla prima. E ritrovarsi insieme a Lucinda, che certamente condivideva il suo pensiero, non doveva essere proprio d'aiuto.
- Alleanza? - ripeté di nuovo Lucinda, strappando di mano a Joey i fogli delle regole.
- Alleanza. - annuì lui, riprendendoseli. - Distretto 11, Distretto 12 e Distretto 9. 
- Quindi se noi troveremo un indizio, è come se lo avessero trovato anche loro. - indovinò Lucinda. - Non mi piace. 
- Potresti sempre non riuscire a trovare un indizio e in quel caso l'aiuto di un'alleanza ti potrebbe aiutare. 
- Impossibile. 
- Altamente probabile. 
- Impossibile. 
- Non puoi avere sempre l'ultima parola. 
Lucinda sollevò un sopracciglio.
- Altamente probabile. 
Joey le rifilò un'occhiataccia, ma si astenne dal continuare a discutere, ignorando quanto l'ego di Lucinda, in quel caso, gli fosse riconoscente.
- Stiamo prendendo in considerazione anche una richiesta da parte del Distretto 3 – continuò, mostrando loro la foto di un ragazzo. - Moss Grengrass, 19 anni. Elettricità.
Hewie sollevò le mani.
- Per me va bene. Basta che mi stia lontano. - scherzò, dando di gomito a Lucinda.
Lei annuì e poi spalancò gli occhi.
- L'ho già conosciuto. - ricordò. - Al palazzo presidenziale, l'ultima sera del tour. 
- E com'è? - indagò Hewie, stiracchiandosi sulla sedia.
- Attaccabrighe, ostinato, ego smisurato. - elencò Lucinda, contando con le dita.
Joey camuffò una risata con un colpo di tosse.
- Il tuo gemello, insomma. 
Il pugno che ricevette in risposta era prevedibile, ma comunque doloroso.
- Il mio ego non è smisurato – chiarì Lucinda, con una smorfia. - Credo fermamente nelle mie possibilità. 
- Ostinata. - la corresse Joey.
- Attaccabrighe. - ribattè Lucinda, rifilandogli un altro pugno.
Hewie guardò entrambi con una strana espressione, a metà tra il seccato e il divertito.
- Ancora non riesco a crederci che abbiate vinto l'anno scorso. - commentò, attirandosi due occhiatacce differenti.
- Questa è un'offesa pesante. - sussurrò Faith, studiandosi le unghie con finta espressione attenta.
Joey sbuffò e ordinò i fogli delle regole sparsi sul tavolo. Fece per dire qualcosa, ma il treno entrò in una galleria e il buio invase il vagone. Non durò molto: pochi secondi dopo erano dall'altra parte e ammiravano Diagon City, in tutta la sua magnificenza.
Altri treni viaggiavano veloci sui binari accanto ai loro e tutti puntavano verso un'unica direzione. Lucinda seguì con lo sguardo quello del Distretto 2, che sparì per primo in un'altra galleria.
Nick era mentore dei tributi del suo Distretto ed era su quel treno. Presto lo avrebbe rivisto, ma per la prima volta da quando lo aveva conosciuto, sarebbero stati nemici, contrapposti sullo stesso piano di gioco.
 


Angolo d'autrice:
Scusate il ritardo! Non ho internet a casa e pubblicare da scuola sta diventando un calvario. E devo resistere fino al 10 :/
Comunque, troverò presto il tempo di rispondere anche alle recensioni!
Per il capitolo, in sintesi si torna nell'arena! E non sarà affatto facile per loro...
Alla prossima,
Colpa delle stelle

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Capitolo 13
*** La parata ***


The power of the elements - Il sacrificio del fuoco




 

• La parata •




Il mondo è pieno di cose tragiche o comiche,
eroiche o bizzarre o sorprendenti,
e coloro che non sanno interessarsi allo spettacolo che offre
perdono uno dei privilegi offerti dalla vita.
Bertrand Russell
, la conquista della felicità, 1930

 

Gli alloggi riservati ai tributi di quella edizione della memoria erano cambiati rispetto a quelli che li avevano accolti l'anno scorso. Camille passò una mano sul copriletto beige con espressione distratta e lo accarezzò tutto, fino a sedersi e coricarsi sui cuscini. Aveva poco tempo da dedicare solo a se stessa, aveva poco tempo per pensare e per sfogarsi. In pubblico, davanti agli occhi di Diagon City e del fratello, non poteva permettersi di mostrare paura o qualsiasi altro sentimento diverso dalla determinazione. Sarebbe morta, se sarebbe rimasta quella che era. Quell'anno doveva impegnarsi per davvero.
Vedere il viso di Omar che si affacciò dalla soglia della porta le riportò a galla un unico, doloroso ricordo, che le serrò la gola. Da quando era tornata a casa, dopo gli Hunger Games, Omar le aveva portato la colazione a letto. Tutte le mattine. Vedere che teneva un vassoio in mano anche quella volta, non fu per niente facile da digerire.
- Jessamine ha detto che abbiamo pochi minuti per mangiare, prima di prepararci – le comunicò, poggiando il vassoio sulle coperte e sedendosi vicino a lei. - Stasera ceneremo solo dopo la sfilata e potrebbe venirci fame. -
Gli occhi di Camille indugiarono per qualche secondo sul vassoio, ma poi si spostarono, coraggiosi, e incontrarono quelli di Omar, scoprendoli fermi e risoluti.
- Mi avevi perdonato – ricordò, mordendosi un labbro. - Non mi perdonerei mai di averti perso ancora. Per colpa mia. -
Lo sguardo del fratello si ammorbidì all'istante e non le diede tempo di aggiungere altro. La strinse nelle braccia e le accarezzò i capelli.
- Non mi avevi perso prima – precisò Omar. - E non mi perderai nemmeno adesso. -
Le braccia di Camille rimasero inerti lungo i suoi fianchi per un bel po', il tempo necessario di assorbire quell'abbraccio e di relegarlo nel fondo della memoria. Poi si scostò e gli mise le mani sulle spalle. I suoi occhi non tradivano alcuna emozione ed erano talmente scuri che ad Omar parve quasi di riuscire a specchiarvisi dentro.
- Stiamo uniti e vinceremo. - affermò, ignorando le sue proteste. - Lasciamo che scelga il destino chi deve tornare a casa. -
Omar annuì, seppur titubante, e le porse il panino che giaceva sul piatto.
- Mangia adesso. -
Camille lo prese e ne morsicò un boccone grosso, per poi ingoiarlo intero. Sorrise, perché insieme a Omar non poteva pensare di essere triste.

 

 

Dietro alle quinte della sfilata, lo spettacolo era incredibile. Non c'era un motivo che spiegasse cosa stava succedendo, ma tutti i tributi, senza alcuna esclusione, si stavano davvero divertendo: la ragazza del Distretto 3 schioccava le dita in continuazione e faceva partire scintille talmente alte che arrivavano a toccare il soffitto, il ragazzo del Distretto 6 parlava con la sua compagna e intanto faceva volteggiare in aria uno strano cappello, che non sembrava andargli troppo a genio.
Felicity camminava rasente al muro e per poco non rovesciò il bicchiere di caffè che aveva in mano quando si rese conto che la parete vicino a lei era in realtà una persona. Il Tributo del distretto 8 si staccò dal muro e ritornò al colore originario. Le fece nel contempo un cenno di saluto, che Felicity però ignorò. Lo superò a grandi passi e ritorno al suo carro. Porse il bicchiere di caffè ad Aric e si appoggiò con le braccia al carro, sbuffando.
- Quindi è questo il caffè? - domandò Aric, poggiando appena le labbra sul bicchiere.
Felicity annuì e gli regalo un piccolo sorriso.
- C'era anche al Distretto 1, lo ricordo, ma non lo davano mai ai bambini. - confessò, trangugiandolo tutto d'un sorso.
Inizialmente rabbrividì e fece una smorfia, ma poi inghiottì e sorrise.
- Ti piace? - domandò Felicity, curiosa.
Aric annuì, poi rimase in silenzio per un attimo, studiando la compagna.
- Tua zia mi ha detto di salutarti. - confessò alla fine, studiando attentamente la sua reazione.
Felicity sollevò la testa di scattò e spalancò gli occhi.
- L'ho incontrata tre anni fa e abbiamo condiviso lo stesso corridoio per un bel po'. - spiegò Aric, chiudendo gli occhi, come a voler ricordarsi meglio. - Avevo circa vent'anni ed ero lì dentro da dieci anni. Lei era nella cella vicino alla mia e ci è rimasta finché non l'hanno portata in prigione. Da lì è riuscita a scappare e... Beh, la storia poi la conosci già. -
- Per quanto tempo sei rimasto nel campo? - domandò Felicity, deglutendo. Parlare del futuro che avrebbe potuto aspettarla e che per il momento aveva scampato, le metteva addosso un certo senso di disagio.
- Sono rimasto nel campo del Distretto 1 per tre anni – le raccontò Aric, mantenendo intatto il sorriso sulle sue labbra. - Poi mi hanno scortato al campo del Distretto 12. Avevo tredici anni e ci sono rimasto fino a ieri. -
- Dieci anni. - indovinò Felicity, incredula.
Era tanto tempo. Troppo, per un bambino di soli dieci anni.
- Ora ho vent'anni e mi sembra di vedere il mondo per la prima volta. - confessò Aric, sfiorando con una mano il bordo del carro. - Morire in quell'arena non mi spaventa poi così tanto. Credo che tutto sia meglio che tornare là dentro. -
Felicity gli appoggiò una mano sulla spalla e gliela strinse, in un gesto di conforto.
- Ti aiuterò a goderti questo momento fino alla fine. - gli promise, sorridendo a sua volta.
Aric annuì.
- Ma sarai tu a vincere. - le ricordò. - Abbiamo già deciso tutto. -
Felicity sospirò e lascio ricadere il braccio sulla maniglia del carro.
- Lo so. -
 

 

Rivedere Crystal era stato un bel regalo, l'unico momento di piacere che avevano vissuto Lucinda e Joey quel giorno. Lei non aveva ancora visto Nick e si guardava intorno in continuazione, nella speranza di incrociarlo da qualche parte. Lui invece vedeva Camille dappertutto, ma stava ben attento a non guardarla direttamente o a non farsi scoprire mentre la osservava di nascosto, con la coda dell'occhio.
- Sei il mio mentore. - gli ricordò allora Lucinda, scuotendolo dalle sue riflessioni. - Dammi un consiglio sulla mia entrata in scena. -
- Ti adorano. - osservò lui, sorridendo beffardo. - Sei una degli ultimi Invincibili, sei una Favorita e una strega. Sei il modello di guerriera invincibile e inarrestabile. -
- Questo non mi permetteva di ignorare i consigli di Caleb, l'anno scorso. - commentò Lucinda, nascondendo una smorfia di fastidio.
Joey allora sospirò e le mise una mano sulla spalla.
- Non sorridere, ma guardali sempre dritti negli occhi. Non abbassare mai lo sguardo, nemmeno davanti al presidente. Saluta solo lui. Nessun altro si merita la tua attenzione. -
- Una gran maleducata, insomma. -
Moss Grengrass comparve dietro di loro all'improvviso, fasciato nella sua tuta nera elasticizzata.
Joey lo osservò, indeciso, ma ci pensò Lucinda ad accoglierlo nel modo giusto.
- Dici che è meglio un inchino? - domandò, ironica, prendendo i lembi della sua gonna e piegandosi verso di lui.
- Assolutamente no! - esclamò Moss, invitandola a rialzarsi. - Sarebbe uno spreco nascondere un viso così bello. -
Non ottenne la reazione sperata. Il sopracciglio di Lucinda scattò verso l'alto, conferendo al suo viso una strana espressione, a metà tra l'incredulità e il fastidio, mentre Joey incrociò le braccia al petto e scosse la testa.
- Certo che dove vado io, ci sei sempre tu. - si intromise Nick, comparendo in quel momento e fronteggiando Moss. - Com'è possibile? -
- Concedimi di contraddirti. - replicò Moss, tornando a sorridere. - Sono arrivato prima io. -
- E te ne andrai per primo. -
I due si fissarono in un silenzio ostile per un po' e nessuno fece niente per interromperlo. Dal canto suo, il cuore di Lucinda non appena era apparso Nick aveva fatto una capriola e proprio non si decideva a rallentare e a calmare il battito.
Ci fu il gong per la chiamata dei tributi, che iniziarono subito a salire sui carri, e apparve anche Hewie vicino a loro, che li esortò a muoversi.
- Avrete tempo dopo di picchiarvi per una ragazza – li ammonì, spingendo da parte Nick. - Ora muoviamoci. -
Moss fece spallucce e si incamminò verso il suo carro.
- Dopo penso che andrò a salutare Camille – confessò, fingendosi pensieroso. - Devo pur conoscere i membri della mia alleanza, giusto? -
Ignorò l'occhiataccia di Joey e raggiunse una volta per tutte la sua compagnia di Distretto, appena davanti a loro.
- Ricordami chi l'ha voluto con noi. - sibilò Joey, stringendo i pugni.
- Proprio tu. - intervenne prontamente Lucinda, prendendolo di spalle e spostandolo.
Joey la seguì, mentre saliva sul carro, e si fermò dalla parte di Hewie, per dare le ultime dritte anche a lui.
- Probabilmente, ogni coppia avrà un asso della manica, che sfrutterà come presentazione. - fece notare loro Joey, indicando prima l'anonima tuta nera di Moss e poi le gabbie coperte da un telo sui lati del carro del Distretto 10. - Non siate da meno. -
Hewie sbatté un pugno sul carro e Lucinda annuì.
Lo spettacolo andava a cominciare.

 

 

La parata si aprì con i tributi del Distretto 1, fermi immobili sul loro carro e perfettamente in equilibrio. Dapprima il pubblico non capì perché i due ragazzi non si tenessero alle apposite maniglie, ma non appena appoggiarono le mani, capirono il perché. Un sottile vero dorato si aprì dai loro palmi e scese ad avvolgere tutto il carro, ricoprendolo di un bagliore talmente forte, che molti capitolini dovettero coprirsi gli occhi, perdendo così l'entrata dei tributi del Distretto 2. Correvano ai lati del carro, esibendosi in capriole in aria e in giri della morte, scambiandosi anche di posizione l'uno con l'altra, ma senza mai toccarsi o aiutarsi a vicenda. Erano agili e incredibilmente scattanti. Un piacere per gli occhi del pubblico, che non si aspettava niente di meglio. Finché una saetta non colpì proprio il piede della ragazza del Distretto 2, costringendola ad un atterraggio di fortuna mentre stava eseguendo l'ennesima capriola.
Moss le fece “ciao” con la mano e subito dopo le mandò un bacio di scuse in punta di dita. La ragazza dovette contare sui suoi incredibili riflessi per abbassarsi in tempo e schivare il raggio di elettricità che era partito dalla sua mano e che era andato a schiantarsi contro il lato del loro carro. Anna, la ragazza del 3, non riuscì a trattenere un sorriso di scherno, prima di puntare la mano verso l'alto e lasciar partire l'ennesima scarica, con il chiaro intento di colpire il soffitto e magari trasformarla in chissà quale incantesimo di grande effetto. Non ci riuscì. Una barriera d'acqua impedì al fulmine di toccare il soffitto proprio all'ultimo secondo, inglobandolo invece in una sfera di acqua e trattenendolo al suo interno. Il fulmine si contorceva contro le barriere per uscire, ma così non faceva che rendere ancora più grandiosa l'opera di Lucinda e di Hewie.
Le sfide dei tributi si susseguirono, una dopo l'altra, tutte con il chiaro intento di rendere indimenticabili le proprie abilità e mettere in ombra invece quelli degli altri. Il tornado di Alexander e della sua compagna di Distretto rivelò i due tributi del Distretto 8, che si erano resi invisibili grazie alle loro capacità. I poteri di Omar aprirono il pavimento e crearono montagne di terra talmente alte che consentirono a Camille di saltarci sopra, con grazia ed energia al tempo stesso, e di liberare quella colomba che si era impigliata in un faro di luce e non riusciva più a muoversi. Il Distretto 12 fu l'unico a non organizzare un incantesimo in un errore del Distretto precedente; Felicity da una parte ed Aric dall'altra, facevano in modo che il fuoco che le loro ruote sprigionavano rimanesse attaccato al terreno, senza mai estinguersi.
Una volta che i carri si fermarono davanti al presidente, gli incantesimi cessarono, ma il fuoco non si spense. Lucinda rese omaggio al presidente con un cenno, come le era stato ordinato, e Snow sembrò apprezzarlo. Sorrise davanti allo sguardo di sfida di Felicity e all'indifferenza di Camille.
Era solo il primo giorno, ma il divertimento e l'adrenalina rasentavano già le stelle.

 


Angolo d'autrice:
Signori e signore, questa non è un'esercitazione. Ripeto, non è un'esercitazione.
Sono davvero io, in carne ed ossa. Non sto nemmeno qui ad elencarvi i motivi che mi hanno costretto a rimandare la mia pubblicazione di ben DUE anni *corre a nascondersi in un angolino*, mi dedico unicamente alle scuse. Mi spiace davvero tanto di aver abbandonato per così tanto tempo questa storia, a cui tengo davvero tantissimo, e di aver abbandonato tutti voi lettori.
Sono tornata però, ben decisa a pubblicare tutti i capitoli.
Con la speranza che i vecchi lettori torneranno a leggere e che, perché no, magari se ne aggiungano di nuovi, vi invito fortemente a farmi sapere cosa ne pensate.
A presto, finalmente!
Colpa delle stelle

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Capitolo 14
*** Gli allenamenti ***


The power of the elements - Il sacrificio del fuoco





 
 Capitolo 13 

 
 
Spesso le aspettative falliscono,
e più spesso dove sono più sono promettenti;
e spesso soddisfano dove la speranza è più fredda
e la disperazione più consona.
William Shakespeare
 



Il clangore che producevano le armi, scontrandosi l'una contro l'altra, era a tratti insopportabile, ma di calamita massima per tutti i tributi presenti in palestra.
Hewie sbuffava una gran quantità d'aria ad ogni colpo e ne respirava altrettanta al colpo successivo, prima di liberarla ancora in un nuovo affondo. Lucinda era impenetrabile, senza una sola goccia di sudore, e incredibilmente concentrata. 
Quando la spada di Lucinda intercettò la punta di quella di Hewie e lo disarmò, lanciando l'arma lontano, quasi tutti si lasciarono scappare un gemito di sorpresa. I muscoli di Hewie, stretti nella tuta elasticizzata dell'allenamento, erano ancora più spaventosi di quanto poteva esserlo vederli dal vivo e Lucinda al confronto, così esile, era sembrata a tutti spacciata fin dall'inizio.
I due tributi si diedero subito la mano e Hewie sprecò addirittura una pacca di incoraggiamento sulla spalla di Lucinda.
- Sei uno scricciolo incredibilmente forte. - riconobbe Hewie, andando a recuperare la sua arma. Lucinda gli andò incontrò e gli porse anche la sua spada.
- Avevi qualche dubbio? - domandò, fingendosi stupita.
Hewie scoppiò a ridere, una risata rauca e secca, e poi scosse la testa.
- Qualcun altro ha voglia di sfidarmi? -
Lucinda non rimase ad ascoltarlo ancora per molto. Abbandonò la pedana dedicata al corpo a corpo e raggiunse il muro dedicato all'arrampicata. Aveva riconosciuto la schiena di Alexander da lontano e non ci aveva messo molto a scegliere il suo prossimo avversario.
Dimentica dell'imbracatura di sicurezza, davvero troppo da principiante per i suoi gusti, si sfregò le mani e prese ad arrampicarsi, con agilità e sicurezza. I suoi piedi e i suoi palmi trovavano tutti gli appoggi giusti, senza tentennamenti, e quello le consentì di raggiungere la vetta molto prima di Alexander.
Si lasciò cadere sulla cima del muro, con le gambe a penzoloni nel vuoto, e lo aspettò, impaziente.
- Contando che è la tua prima volta, hai fatto relativamente in fretta. - commentò Lucinda, una volta che il volto di Alexander le fu abbastanza vicino da poterla sentire. Era rosso dallo sforzo e gli ci volle qualche secondo per ritrovare il fiato sufficiente a risponderle.
- Questa potrebbe essere fraintesa. - le fece notare, ricevendo in risposta una spinta, che l'avrebbe anche fatto cadere all'indietro, se Lucinda non l'avesse afferrato subito e lo avesse tirato a sedere vicino a lei.
- Come va con Felicity? - si informò invece, senza far caso al suo commento precedente.
Alexander sbuffò e si prese la testa tra le mani.
- Voglio la domanda di riserva. -
- Felicity ti ha dato un altro due picche? -
Davanti all'espressione infuriata del ragazzo, Lucinda alzò le mani.
- Non si possono giudicare le domande di riserva. - si difese.
- Conosci le risposte. - disse alla fine Alexander, armeggiando con l'imbracatura. - Male e si. -
- Non ho ancora capito perché avete litigato. - confessò Lucinda, seguendo i suoi movimenti.
- Devo capirlo anche io. -
Alexander tirò una corda e ne slegò un'altra, ma quando provò a levarsi l'imbracatura, non si slacciò. Lucinda allora gli aprì la cerniera sulla schiena e lo invitò a provare di nuovo. Se la levò dalla testa e la appoggiò vicino a lui, per poi ringraziarla con un sorriso.
- È un giorno speciale oggi? -
Lucinda aggrottò le sopracciglia.
- Certo che no! Perché? -
- Sei stranamente simpatica. -
La rabbia che Alexander si aspettava di aver scatenato, non si manifestò invece come aveva previsto. Le guance di Lucinda si fecero appena rosse e il suo tono ne pagò di poco le conseguenze.
- Sono stanca di combattere anche contro di voi. - confessò, burbera. - Abbiamo due ideali diversi, ma questo non ci vieta di andare d'accordo. -
- Sei ancora ferma sulle tue idee? - domandò Alexander.
Lucinda fece dondolare le gambe per un po' e ci pensò bene, prima di rispondere.
- Ovviamente si. - disse solo, guardando fisso davanti a lei. 
Hewie stava combattendo contro il favorito dell'1 e il livello del duello era davvero alto.
- Questo però non cambia niente, vero? - si assicurò Lucinda, decidendosi a guardarlo negli occhi solo quando vide Hewie mandare a tappeto il suo avversario.
- Ovviamente no. - l'assicurò Alexander, ricambiando il suo sguardo. - Certo, noi vogliamo uccidere il presidente Snow e fermare i giochi. Tu se potessi giocheresti tutti gli anni e ti sacrificheresti per salvarlo, ma sono solo dettagli. - scherzò, alleggerendo il discorso.
Lucinda però sorrise e basta, ritornando subito seria.
- Prima o poi mi parlerete della profezia, vero? Sono dentro in questa storia tanto quanto voi e anche se non ci credo ancora fino in fondo, voglio sapere anche io quello che sapete voi. -
Alexander annuì, stranamente sicuro.
- Saprai tutto anche tu. - le promise. - Ma non è il momento giusto. Dobbiamo concentrarci sui giochi, adesso. -
Il suo sguardo fuggente non passò inosservato agli occhi di Lucinda, che si guardò però dal chiedergli qualcosa. Se avesse espresso i suoi dubbi, probabilmente Alexander si sarebbe fatto più cauto e non le avrebbe più parlato. Se invece si fosse comportata normalmente, sarebbe stata in grado di cogliere tutti gli indizi che poteva e scoprire il loro piano.
 
 
- Odio il tiro con l'arco. - sbuffò Felicity, prendendo una freccia e lanciandola a mani nude. La forza che impiegò fu tale da mandare la punta a conficcarsi nella spalla del manichino. Camille le passò un'altra freccia.
- Notevole. - commentò, mentre Omar scoppiò a ridere.
- Curioso. - aggiunse Aric, sobbalzando quando la seconda freccia si scontrò con la fronte del manichino e si fermò lì.
Rimase in bilico per un po', ma quando si staccò, non raggiunse mai il terreno.
La mano di Moss l'afferrò prima che cadesse e la rilanciò verso Felicity, che la riprese senza difficoltà dalla parte del manico.
- La mamma non ti ha insegnato che non si gioca con le frecce? - commentò acidamente, mettendo l'arma da parte, prima che le venisse voglia di usare lui come manichino.
- Probabilmente avrebbe voluto – disse Moss. - Se non fosse morta quando mi ha messo al mondo. -
La rabbia di Felicity sciamò all'istante e si sentì quasi dispiaciuta per lui.
- Mi dispiace. - commentò Camille, con una strana smorfia in volto.
Moss fece spallucce, come a dire che il mondo era pieno di problemi di quel tipo, e afferrò un arco lì vicino. Fece centro senza alcuna difficoltà.
- Sono Moss Grengrass, comunque. - si presentò, scoccando altre due frecce di seguito, una verso il petto e una dritta alla testa.
Aric provò a tendergli una mano, ma non osò avvicinarsi al suo arco carico e puntato verso il manichino.
- Felicity, Camille, Aric e Omar. - disse allora, indicandosi e presentando anche i suoi compagni.
Moss annuì distrattamente e solo quando ebbe fatto centro con ogni singola freccia della faretra, mise a posto l'arco e si girò verso di loro.
- Lieto di far parte della vostra alleanza. - esclamò, esibendosi in un pomposo, quanto finto, inchino.
Il nervosismo di poco prima tornò a farsi sentire non solo in Felicity, ma anche in Camille.
- Con chi hai parlato per unirti a noi? - domandò, diffidente. - E soprattutto, perché? -
- Ho parlato con Joey, ovviamente. - spiegò Moss, appoggiandosi al tavolo più vicino. - E mi sembrava foste tutti d'accordo. -
Camille, suo malgrado, fu costretta ad annuire. Se avessero saputo prima che tipo di persona si sarebbe dimostrata, forse ci avrebbero pensato due volte e più a fondo prima di dare il loro consenso.
- La vostra alleanza non è delle migliori, certo, ma mi sono dovuto accontentare. - aggiunse Moss, attirandosi lo sguardo arrabbiato anche da parte di Omar.
- Lo dobbiamo considerare un onore? - chiese Felicity, allargando le braccia.
-Dovete ringraziare Lucinda. - la corresse Moss, studiando concentrato la punta di una freccia. - L'unica davvero alla mia altezza in questa alleanza. -
A Camille per poco non cadde la mascella, mentre Felicity scoppiò a ridere di gusto.
- Hai già conosciuto Nick? - domandò allora Aric, apprensivo. E la sua gelosia? avrebbe voluto aggiungere, ma si trattenne, per non scatenare inutili discussioni.
- Purtroppo si. - rispose Moss, sbuffando. - Una fortuna che non sia un mago, a mio parere. Così non l'ho sempre in mezzo ai piedi. -
Felicity non accennò a smettere di ridere. Camille si passò una mano fra i capelli, allibita.
- Lucinda? - domandò, fingendo di non aver capito bene. - Ne sei così sicuro? -
- Tutto torna! - si intromise Felicity, senza lasciarlo rispondere. - Sono praticamente uguali! -
- Peccato che Lucinda non lo sopporti. - si lasciò scappare Aric, per poi coprirsi la bocca con due mani.
Moss lo guardò a lungo e scosse la testa, come a volerlo compatire.
- “Sopportare” è un termine così barbaro. - commentò, staccandosi dal tavolo delle faretre. - Non c'è ragazza su questo mondo che non mi ami. -
Tutti e quattro lo guardarono andar via e non fecero nulla per fermarlo o per provare a farlo ragionare.
- Sarà anche una lampadina vivente, ma non arriverà a domani. - disse Felicity, riappropriandosi di malavoglia dell'arco.
- Se non lo picchia prima Lucinda – assentì Omar. - Lo uccide Nick addirittura. -
 

 

Seduta sull'enorme divano marrone del salotto, Felicity aveva un bicchiere di acqua in mano e lo stomaco chiuso dalla tensione. I giorni di allenamento erano passati in un lampo e non erano stati poi molto utili. Era certa di essere stata un fiasco durante la prova individuale e non poteva che rammaricarsi mentalmente per quella situazione talmente importante che aveva sprecato. Aric invece era pimpante e non stava nella pelle al pensiero di scoprire i voti. Se la sua allegria a volte era contagiosa, altre volte finiva solamente per irritarla.
L'enorme sorriso di Caesar fu la prima cosa che videro, una volta che lo schermo della tv si accese. Le parole di circostanza con cui aprì la serata non le ascoltò davvero nessuno e lui stesso non si perse in troppi dettagli superflui. I capitolini volevano dei numeri su cui scommettere e Caesar glieli avrebbe dati.
Il volto del ragazzo dell'1 era anonimo, ma il suo dieci rimase comunque ben impresso nella mente di Felicity. Era l'obiettivo che si era preposta per quella edizione della memoria, ma era certa di aver fallito. Sarebbe stato un regalo del destino arrivare a confermare il nove che le avevano attribuito l'anno precedente.
Nove fu anche il voto che si appropriò Hewie e per un uomo non più così giovane era un punteggio ottimo. Ottimo, ma non perfetto come quello di Lucinda. Aric fece un salto sul divano quando vide quei due numeri uguali, l'uno vicino all'altro: undici. Aveva preso undici. La mano di Felicity strinse automaticamente la federa del divano, in un accenno di stizza.
Alexander aveva preso sette, esattamente come l'anno scorso. Camille si era guadagnata il suo otto e Omar era riuscito a strappare un sei, che non era un gran voto, ma non era nemmeno una delusione totale.
Aric anche aveva raggiunto il sette e vedere quell'otto vicino al suo nome fu per Felicity un enorme sollievo.
Quel numero agli occhi di tutti aveva un'importanza incalcolabile, ma per lei era solo una piccola parte del percorso che l'attendeva. Era solo il primo passo, ma era andata bene.


 
Rieccomi qua, dopo talmente tanti anni che ho perso il conto.
Volevo ringraziare Felicity (se mi leggi) perché è stata lei a farmi tornare la nostalgia di questa storia e a spingermi a scrivere i capitoli che mi mancavano di questo secondo "libro". L'ho ufficialmente completato ed ho sentito il bisogno di tornare a pubblicare i capitoli per rendere partecipi anche voi di questo mio piccolo traguardo (ho sempre lasciato a metà molte cose nella mia vita, ma ho deciso che non sarà così per questa storia!).
Vi lascio il rimando al primo libro, nel caso qualcuno si fosse dimenticato la trama o gli avvenimenti: https://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2414019&i=1 e i vari video sulla saga che vi avevo già precedentemente condiviso: https://www.youtube.com/watch?v=mnn0BfVOeTU primo libro https://www.youtube.com/watch?v=R1pWfYsXolA&list=UU8zMDtFHrJMxYFIkbkF1l2A secondo libro.
Ringrazio tutti quelli che leggeranno e vi invito a lasciarmi una recensione, sono un po' arrugginita e potrei aver fatto qualche gaffe imperdonabile.
Al prossimo capitolo (non mi sembra vero ^^),
Colpa delle stelle


 

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