Inevitabile

di Aries Pevensie
(/viewuser.php?uid=244820)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo uno - Ritorni e dipendenze ***
Capitolo 3: *** Capitolo due - Incubi ***
Capitolo 4: *** Capitolo tre - Che succede adesso? ***
Capitolo 5: *** Capitolo quattro - Calore ***
Capitolo 6: *** Capitolo cinque - Delusioni ***
Capitolo 7: *** Capitolo sei - Verità parziali ***
Capitolo 8: *** Capitolo sette - Under the mistletoe ***
Capitolo 9: *** Capitolo otto - The last dance ***
Capitolo 10: *** Capitolo nove - Araba Fenice ***
Capitolo 11: *** Capitolo dieci - From the first time ***
Capitolo 12: *** Capitolo undici - After the storm ***



Capitolo 1
*** Prologo ***




 

Inevitabile

Prologo

 

Survived, tonight I may be going down
Cause everything goes round too
Tight, tonight and as you watch me crawl
You stand for more

And your panic stricken
Blood will thicken up, tonight

'Cause I don't want you to forgive me
You'll follow me down
You'll follow me down
You'll follow me down

(You’ll follow me down – Skunk Anansie)

 
Gli unici suoni che avevano rotto la quiete di una tarda serata nella tranquilla Bradford erano stati un fischio acuto, uno stridere di gomme, un clacson premuto con insistenza e uno schianto.
L’auto rossa metallizzata stava viaggiando ad una velocità moderata, al suo interno una madre e il suo figlio di nove anni canticchiavano le sigle dei cartoni animati. Stavano tornando dalla cena di classe, non era tardi, ma le strade erano già deserte e pochi erano quelli che sfidavano il freddo pungente per fare una passeggiata con il cane. Era tutto troppo tranquillo e quella sensazione che stia per succedere qualcosa si era annidata nel cuore della donna, che aveva fatto balenare gli occhi e aveva scandagliato la zona, convinta che ci fosse qualcosa di strano. E lì, in una frazione di secondo, l’aveva vista: un’auto di grossa cilindrata spinta al massimo dal suo conducente si stava dirigendo contro la sua macchina con gli abbaglianti accesi. Vivianne aveva sterzato bruscamente a sinistra, cercando in tutti i modi di evitare il fuoristrada che non sembrava intenzionato a fermarsi. Oliver, Vivianne doveva proteggere il suo piccolo Oliver ed evitare il peggio, tornare a casa dalla sua Janis e godersi un’allegra serata in famiglia, bevendo cioccolata calda con i marshmallow e aspettando la neve. Ma qualcosa, in quell’istante, le aveva fatto capire che non ci sarebbe stata nessuna cioccolata e nessuna neve. Nel momento in cui si era trovata di fronte la fila di tigli e alla sua destra i fanali accecanti di un auto, Vivianne si era resa conto di aver fallito. Non sarebbe tornata a casa dalla sua figlia maggiore, non avrebbe riabbracciato il suo Oliver. Spinta da un ultimo bagliore di forza, si era sporta verso i sedili posteriori dell’auto e aveva cercato suo figlio, per rassicurarlo e dirgli che sarebbe andato tutto bene. Ma quello che aveva visto le aveva strappato via anche l’ultimo millimetro di vita.
 
Inevitabile. Cosa nella vita lo è? La pioggia, il vento, il caldo, il freddo e l’amore lo sono.
Anche la morte è inevitabile: salvo casi estremi, arriva inaspettata; nel peggiore delle ipotesi è dolorosa. Tutto, dopo il suo arrivo, cambia.
Niente sarà come prima e anche questo è inevitabile.
Questi erano i pensieri che affollavano la mente di Janis Ryan, mentre seguiva la bara bianca del fratellino e quella scura della madre lungo la navata centrale della cattedrale, gli occhi bassi e le braccia strette al petto. Non piangeva, Janis, perché il suo corpo non aveva più una misera goccia d’acqua da trasformare in lacrima. Si sentiva secca, arida dentro, vuota.
“L’impatto è stato inevitabile” le avevano spiegato sul luogo della tragedia. E lei aveva sorriso amaramente, mentre guardava i vigili del fuoco che estraevano il corpo di Oliver: quelle erano le parole esatte che avevano detto a sua madre dieci anni prima, quando un fortuito incidente aereo aveva spezzato il filo della vita di Alexander Ryan, padre di famiglia e lavoratore instancabile.
In entrambi i casi, i soccorsi se erano verificati inutili, i tentativi di rianimazione vani e l’evidenza palese. Janis Ryan era baciata dalla sfortuna.
La ragazza si accomodò alla prima panca, la chiesa cominciava a riempirsi, c’era già qualcuno costretto a stare in piedi, ma accanto a lei non c’era nessuno, come non ci sarebbe più stato. Inspirò profondamente e reclinò il capo, sbattendo un paio di volte le palpebre ed espirando lentamente, nella speranza di sciogliere i nervi, per quanto le fosse possibile. Con la coda dell’occhio notò una persona prendere posto alla sua destra ed un’altra alla sua sinistra, entrambe vestite di bianco, proprio come lei. Si voltò appena e rivolse un sorriso stanco a Melory e uno a Carol, che ricambiarono titubanti. Non avevano opposto resistenza quando Janis aveva chiesto loro di non indossare abiti neri, sapevano com’era fatta l’amica e avevano visto l’intera famiglia Ryan vestita di bianco al funerale di Alexander; presero per mano la loro amica e tutte e tre tornarono a fissare le due casse davanti a loro, con le corone di fiori e le foto. Janis si sentì immediatamente un po’ meglio, il cuore scaldato dalla certezza che non avrebbe camminato da sola, che non c’era nessuno ad aspettarla alla fine della salita, ma solo qualcuno a tenerle compagnia durante il tragitto.
Quando il sacerdote concluse la cerimonia, la ragazza assottigliò gli occhi e fissò un’ultima volta la foto del suo fratellino sorridente. Pensò a quanto bene gli aveva voluto, poi i suoi pensieri furono interrotti da un’altra idea: colui che aveva causato la morte di sua madre e del suo fratellino l’avrebbe seguita nel baratro della sofferenza.
Ben nascosto nell’ombra di uno degli imponenti pilastri, un ragazzo osservava la cerimonia, posando molto spesso lo sguardo sulla schiena rigida di Janis: possibile che non avesse ancora versato una lacrima per la sua famiglia? Un sentimento a lui sconosciuto cominciò a fargli bruciare lo stomaco, mentre sentiva come una stretta al cuore e il respiro gli divenne doloroso. Era certo di poter resistere a quell’emozione, ma presto dovette ricredersi. Sapeva che doverla vedere tutte le mattine a scuola non avrebbe fatto altro che peggiorare la sua situazione, corrodendolo dall’interno. Sarebbe esploso, prima o poi. E allora si sarebbe messo una mano sul cuore e avrebbe chiesto il perdono di Janis. Ma come? Come poteva lei, una semplice ragazza rimasta sola, perdonare proprio colui che le aveva portato via ciò che rimaneva della sua già martoriata famiglia? E lui, con che coraggio poteva presentarsi ogni mattina a scuola, incontrarla per i corridoi, trascorrere nella sua stessa stanza le lezioni di storia e di matematica, mangiare alla mensa e parlare con i pochi conoscenti che avevano in comune? Non ce l’avrebbe fatta e a quel punto avrebbe decretato la sua fine.
Era inevitabile rimanere schiacciati dal senso di colpa.


Aries' corner

Ciao a tutti! Proprio così, avevo detto che sarei stata lontana dalle scene per un po', ma come ogni volta, mentre studio mi viene l'ispirazione. 
Questo è il prologo della mia nuova long su Zayn e spero proprio che vi ispiri e che tornerete a leggere i prossimi capitoli! Non sono mai stata capace di scrivere su Zayn, non mi veniva bene, perché mi metteva in soggezione! Speriamo di farcela, stavolta! :)

Vi ringrazio ancora prima di leggere le recensioni (incrociamo le dita perché ce ne siano) e di vedere il numero delle visualizzazioni! :)

Mi auguro di non avervi fatto venire il magone! In tal caso, scusate!! ;)

Un bacio e tanti Horan Hugs!
Mariuga

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo uno - Ritorni e dipendenze ***




 

Inevitabile

Ritorni e dipendenze





“Tesoro?”, zia Linette aprì leggermente la porta della camera di Janis e infilò la testa all’interno, scrutando l’ambiente buio e impregnato di fumo di sigaretta, “Jan, ci sono Melory e Carol in salotto. Perché non vieni giù?” disse titubante. Era passata una settimana dal grave lutto che aveva colpito la famiglia Ryan, ormai composta solo dalla giovane Janis, che ancora non era riuscita a superare il trauma e sfogava il suo dolore fumando e dormendo, ignorando completamente i tentativi della zia di portarla alla normalità e a farle mangiare qualcosa.
Come tutte le altre volte, Linette ricevette un lungo sospiro in risposta, ma questa volta le sue parole ebbero effetto sulla nipote, che di fatto si alzò dal letto e barcollò fino alla porta, che la donna spalancò, facendosi da parte per far passare la giovane, commossa dal tentativo riuscito. Colse l’occasione per addentrarsi nella stanza e aprire le finestre per arieggiare e far vedere a quelle quattro pareti un po’ di luce solare.
Melory e Carol erano sedute sul divano, la prima teneva le mani in grembo e si torturava le unghie, l’altra si guardava intorno, pregando che la loro amica scendesse quei pochi gradini e tornasse a farsi vedere, dopo quei sette giorni passati chiusa in camera sua a fare Dio solo sa cosa. Udirono dei passi incerti sul pianerottolo ed entrambe scattarono in piedi, trovandosi davanti la loro amica, quasi ridotta ad un ologramma spaventoso; indossava una maglietta grigia che le arrivava a metà coscia, le gambe ridotte a due stecchini, le borse sotto gli occhi, i capelli spettinati e una terribile puzza di fumo sulla pelle. Si avvicinarono a lei molto lentamente, le lacrime che minacciavano di uscire e il groppo in gola.
“Jan…” mormorò Melory, stringendola in un delicato abbraccio, mentre Carol rimaneva distante qualche passo, aspettando il proprio turno per salutare l’amica.
Si accomodarono sul divano, Janis in mezzo alle altre due, esclusivamente in silenzio, come se qualcosa si fosse incrinato anche nella loro amicizia, oltre che nel cuore della rossa.
“Quando torni a scuola?” domandò Carol, la voce ridotta ad un sussurro, quasi come se temesse che la sua curiosità potesse offendere Janis, che scrollò le spalle e aggrottò le sopracciglia.
“Pensavo di tornare domani…” ammise con un filo di voce, che risultava davvero strana alle orecchie degli altri. Non parlava e, soprattutto, non piangeva dal giorno del funerale e Linette temeva che il suo silenzio sarebbe durato ancora a lungo.
“Allora cosa ne dici di fare una bella doccia e poi ripassare insieme a noi gli appunti che ti abbiamo portato?” propose Melory, alimentata dal desiderio di rivedere Janis vivere la sua vita, facendo tesoro delle sue esperienze, ma senza buttarsi giù.
 
Era raro vedere il sole a Bradford, ma quello che splendeva timido la mattina d’inverno in cui Janis mise piedi fuori casa, bastò a scaldarle le ossa, rimaste troppo tempo al buio. Inspirò a pieni polmoni e si sistemò la borsa in spalla, avviandosi lungo il marciapiede in direzione dell’ingresso della sua scuola. Sebbene l’aspetto esteriore dicesse il contrario, Janis non si sentiva affatto felice e propositiva, ma avvertiva una voragine all’interno del suo petto, il sangue gelato e denso, i muscoli deboli e senza tono.
Una decina di ragazzi si voltarono nella sua direzione, additandola e scambiandosi cenni di assenso. Janis si sentì sotto esame, ma non fece altro che non fosse accelerare per avvicinarsi più velocemente a Melory e Carol, che l’aspettavano sotto al portico, nel solito posto dove si incontravano tutte le mattine. Le due ragazze l’accolsero con un sorriso enorme ed un abbraccio di gruppo, mentre Janis si sforzava di sembrare almeno un po’ felice. Doveva farlo per papà, per mamma e per Oliver. Doveva farlo per zia Linette e per le sue migliori amiche.
Doveva sembrare serena agli occhi del mondo, ma moriva dentro.
Da un angolo del cortile, un ragazzo osservava Janis ricambiare con flemma il saluto delle sue amiche e sospirò, prima di sobbalzare sotto il tocco poco aggraziato di un amico.
“Zayn, è appena tornata e già la mangi con gli occhi?”
Louis e la sua solita delicatezza nel chiedere le cose. Zayn lo fulminò con lo sguardo e stirò un sorriso malandrino.
“Di cosa stai parlando?”, si scrollò di dosso il braccio di Louis, si voltò e si passò una mano sulla nuca, accarezzando i capelli tagliati da poco ed evitando chiaramente di guardare l’amico, che fece schioccare la lingua contro il palato e gli circondò di nuovo le spalle con un braccio.
“Sto parlando della Ryan! Ti crea già dipendenza, quella ragazza: non fai che guardarla” disse con tono ovvio, indicando la ragazza con il bicchiere contenente il suo terzo caffè della mattinata. Zayn sussultò, colto in fallo, sebbene sapesse che Louis aveva frainteso tutto. Lui non stava “mangiando con gli occhi” Janis, la stava controllando. Voleva essere sicuro che stesse bene e aveva capito benissimo che la ragazza stava fingendo, che in realtà dentro di sé aveva una voragine che minacciava di risucchiarla.
“Non vorrei disturbarvi, ma siamo in ritardo!” annunciò Liam. Niall sbuffò e scese dal muretto su cui era seduto, si caricò il suo zaino in spalla e si avviò verso l’ingresso insieme agli altri.
“Sei appena arrivato e già rompi?!” scherzò, per poi esibirsi in una risata sguaiata, che riecheggiò nel cortile.
Passando accanto a Janis, Melory e Carol, Zayn non riuscì a fare a meno di voltarsi e sorridere dolcemente alla prima, guardandola negli occhi segnati da profonde occhiaie. Ed ecco che di nuovo un sentimento forte gli attanagliò le viscere, facendogli passare immediatamente il buon umore. Con uno scatto tornò a guardare davanti a sé, mentre Louis lo trascinava dentro.
Janis aggrottò le sopracciglia e si passò una mano tra i capelli rossicci, sospirando. La campanella sarebbe suonata da un momento all’altro e non c’era tempo per fumarsi una sigaretta e la cosa le scocciava particolarmente. Seguì le sue amiche fino ai loro armadietti, dove depositò tutti i libri, per prendere solo quelli delle ore immediatamente successive.
“Ciao Janis…” mormorò una ragazza alta, i capelli stretti in una coda di cavallo ed il fisico da modella; sul suo viso era dipinto un sorriso falso quanto le banconote del Monopoli e cercava di non lasciarsi sfuggire l’imminente risata, ma gli occhi tradivano tutto il suo divertimento. Marcy Coleman, la ragazza più popolare della scuola, ma anche la più stronza di Bradford.
“Coleman” tagliò corto Janis, infilandosi un pacchetto di Philips Morris nella tasca della felpa e chiudendo l’armadietto con forza. Non aveva alcuna voglia di parlare con qualcuno, tantomeno con Marcy, che da che mondo è mondo non la sopportava e non perdeva un secondo per deriderla.
“Fumare fa male…” continuò l’altra, ma Janis si voltò e si incamminò lungo il corridoio, “Mi hai sentito, Ryan?”
Se c’era una cosa che Marcy Coleman odiava, quella era proprio essere ignorata da chi, nella gerarchia scolastica, le stava sotto. Ma se c’era una cosa che Janis Ryan sapeva fare, quella era ignorare chi non le andava a genio.
“Con chi ce l’ha la tua ragazza?” domandò Louis, avvicinandosi a Zayn, che riempiva lo zaino di quaderni da disegno e matite. Il moro scrollò le spalle e lanciò una veloce occhiata al corridoio.
“Marcy non è la mia ragazza” disse solo, senza staccare gli occhi di dosso dalla schiena dritta di Janis, su cui ricadevano morbidamente i suoi capelli castano-ramati.
“Lei lo sa?” scherzò, battendogli una mano sulla spalla nel momento esatto in cui Marcy si avvicinava facendo ondeggiare i fianchi.
“Ciao Zayn!” salutò con tono languido, allacciando le braccia al collo del moro, che non accolse di buon grado quel gesto e si divincolò in fretta, storcendo la bocca e arricciando il naso. Improvvisamente le attenzioni di Marcy lo rendevano nervoso, insofferente. O forse era il modo in cui lei aveva trattato Janis a dargli fastidio.
“Che ti prende?” squittì lei, sgranando gli occhi. Zayn scrollò il capo e si allontanò, lasciando lì Marcy e portandosi dietro Louis, che aveva assistito alla scena e ne era rimasto perplesso.
 
Le ore sembravano non passare mai e il bisogno di nicotina le faceva tremare le gambe. Aveva bisogno di uscire in cortile, sedersi sui gradini e fumarsi lentamente una sigaretta, lasciando la sua mente libera di vagare.
Quando la campanella del pranzo suonò, Janis non esitò e si precipitò al suo armadietto, in modo da lasciare lì tutto quello che non era il pacchetto di sigarette e l’accendino, per poi uscire nel cortile interno dell’edificio, sedendosi sul muretto che delimitava il portico. Fu lì che rivide il ragazzo che quella mattina le aveva sorriso; si chiamava Zayn Malik e aveva un anno in più di lei, ma per il resto non ne sapeva niente, perché Zayn faceva parte della schiera degli intoccabili, mentre lei era una normalissima studentessa, appassionata di letteratura e musica.
Zayn notò una ragazza dai capelli ramati seduta sul muretto, un ginocchio stretto al petto e l’altra gamba lasciata a penzoloni, mentre teneva una sigaretta tra le labbra e l’accendeva con calma. Sorrise sovrappensiero e decise di avvicinarsi, frenando poi la sua marcia nel momento in cui notò l’espressione persa di Janis, gli occhi colmi di lacrime e il labbro inferiore tremolante. Il cuore prese a martellargli nelle orecchie, la consapevolezza di essere la causa del suo dolore che non lo lasciava libero di respirare regolarmente. Si passò una mano tra i capelli corvini e sospirò, decidendo finalmente di avvicinarsi a lei e rivolgerle la parola.
“Hai da accendere?” buttò lì, anche se la risposta era ovvia. Janis sembrò ridestarsi, rizzò la schiena e sbatté un paio di volte le palpebre, poi annuì debolmente e gli passò il suo accendino rosso.
“Non sapevo fumassi…” continuò il ragazzo, appoggiandosi alla colonna vicino a lei, che aggrottò le sopracciglia e aspirò una boccata di fumo, scrollando le spalle.
“Voglio dire…non ti ho spiata, ma non ti ho mai vista uscire in cortile per farti una sigaretta”
Zayn si complimentò con se stesso per l’eterna figuraccia che aveva fatto, alzò gli occhi al cielo e si accese la sigaretta, per poi porgere l’accendino alla legittima proprietaria.
“Come ti chiami?”, una voce flebile giunse alle orecchie del ragazzo, che drizzò le spalle e guardò in direzione di Janis, che teneva gli occhi ancora puntati davanti a sé, la sigaretta tra le dita e le labbra schiuse a lasciare fuoriuscire un filo sottilissimo di fumo.
“Zayn” mormorò piano, abbassando la testa e passandosi una mano sulla nuca. Janis arricciò le labbra e si voltò lentamente nella sua direzione, osservandolo con gli occhi chiari e un’incredibile voglia di conoscere meglio quello strano soggetto, che sembrava intenzionato a non lasciarla sola durante la sua pausa sigaretta.
“Zayn…” ripeté, dopo aver constatato l’impenetrabilità degli occhi del moro. Janis odiava non poter capire una persona ancora prima di parlarci, c'era sempre riuscita. Ma con Zayn no, lui rappresentava come una membrana impermeabile e il suo sesto senso la metteva all'erta: non poteva essere nulla di buono. 
“Tu?” domandò titubante. Sapeva benissimo il suo nome, ma lei non conosceva lui e, cosa ancora più importante, non era cosciente delle sue colpe, di quello che lui le aveva portato via per colpa di uno stupido drink di troppo e per il quale non stava pagando e non avrebbe pagato.
“Janis, ma dovresti saperlo: non fanno altro che parlare di me…”, aspirò un’altra boccata di fumo e chiuse gli occhi, per poi riaprirli colmi di lacrime.
Zayn si sentì un verme, la coscienza sporca e la faccia tosta di avvicinarsi a lei, sebbene sapesse di essere la causa del suo enorme dolore e di quel labbro tremolante, di quelle lacrime brucianti e di quello sguardo perso. Fece un passo verso di lei, staccando le spalle dalla colonna, si sedette vicino a lei sul muretto e rimase qualche secondo in silenzio, osservando la sigaretta che teneva tra le dita.
“Fregatene” disse semplicemente, incapace di formulare una frase di senso compiuto senza risultare un beota in evidenti difficoltà linguistiche.
“Non sai quanto mi piacerebbe. Mi trattano come un’appestata…”, si guardò i piedi e sospirò, “Forse era meglio se rimanevo a casa…”
“No!” proruppe Zayn con rapidità, forse troppa, perché lei lo guardò confusa e sorpresa.
“Voglio dire, c’è chi sa che non sei un’appestata e che non è colpa tua se sei…” si bloccò. Cos’era lei? Era orfana, era ferita, era sola. Ed era tutta colpa sua.
“Se sono la causa di tutto questo…” terminò lei. Il ragazzo scrollò il capo impercettibilmente. Davvero lei si accusava di quello che era successo, di quel terribile incidente, delle lamiere accartocciate e dell’orribile rumore seguito poi dal silenzio? Davvero lei, la creatura più bella, fragile e complicata che lui avesse mai visto, pensava che sua madre avesse perso la vita per colpa sua?
“Non sei affatto la causa di tutto questo! È stato un incidente” cercò di rincuorarla, ma lo sguardo gelido che lei gli rivolse gli fece morire in gola qualsiasi altra parola.
“Sono rimasta l’unica della mia famiglia. Sono io che porto sfiga e qualsiasi cosa io tocchi, fa la mia stessa fine e mi segue nel baratro.”
Diede l’ultimo tiro alla sigaretta, la buttò a terra e la spense con un piede, poi si voltò verso Zayn, che ancora rimuginava sulle sue parole. Una strana sensazione le fece pulsare il sangue nelle vene, mentre in tutto il corpo sentiva un freddo intenso, come se il suo organismo avvertisse il pericolo. Che Zayn fosse il ragazzo di Marcy non le interessava, ma quella strana emozione di paura le fece rizzare i peli sulla nuca e le scatenò una scarica di adrenalina, per poi farle allungare una mano verso il suo viso tirato; gli sfiorò una guancia con la punta delle dita, un accenno di barba le pizzicò i polpastrelli, mentre si avvicinava alle sue labbra, tra cui teneva la sigaretta quasi a metà. La prese dolcemente e se la portò alla bocca, prendendone una boccata e restituendogliela. Ancora quella scarica di ormoni, che le fecero chiudere gli occhi e rabbrividire. Sarebbe potuta diventare la sua dipendenza.
Zayn aggrottò le sopracciglia e la osservò allontanarsi velocemente e rientrare nell’edificio, mentre il suo stomaco si contorceva e nella sua testa tornavano le immagini di una donna protesa verso il corpo esanime del figlioletto, sui sedili posteriori dell’utilitaria rossa. 


Aries' corner

Sono un disastro! Guardate qua quanto ci ho messo ad aggiornare, nonostante il capitolo sia una cosetta striminzita ed inutile! Chiedo umilmente perdono e dico solo che è tutta colpa dell'università! Sono dietro con la preparazione al test di ammissione ad infermieristica e non ho avuto uno straccio di tempo per scrivere! Spero mi perdoniate e accettiate le mie scuse! Vi prometto che il prossimo capitolo sarà più corposo e meno ambiguo! Scusate scusate scusate!!

Ringrazio tutti coloro che hanno letto e recensito e spero che non siate rimasti delusi da questo piccolo obrobrio! 

Al prossimo capitolo!!!

Horan Hugs
Mariuga

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo due - Incubi ***



 

Inevitabile

Incubi

 
La televisione trasmetteva un talk show che Linette non stava seguendo, ma che le faceva compagnia in quella sera calma e carica di strane vibrazioni che la rendevano inquieta. Si sentiva come se qualcosa stesse per succedere, come la sera in cui era scomparsa sua sorella minore e il suo nipotino. Si scostò la coperta dalle gambe e si alzò dal divano, portandosi dietro la tazza di tisana; salì lentamente le scale e si fermò davanti alla porta socchiusa della camera di Janis, abbassò titubante la maniglia e una lamina di luce entrò nella stanza, illuminando il corpo della giovane, rannicchiata sotto le coperte e abbracciata ad un cuscino. Si avvicinò al letto e accarezzò i capelli ramati della ragazza, piegandosi poi a baciarle la fronte. La ragazza si mosse impercettibilmente, stringendo ancora di più il cuscino e nascondendo il viso nella stoffa, mugugnò qualcosa di incomprensibile e tornò a dormire beatamente. O almeno così sembrava dall’esterno.
 
Correva a perdifiato cercando di evitare le radici degli immensi alberi che componevano la foresta, l’aria fredda le frustava il viso, mentre la nebbia le inumidiva i capelli e i vestiti. Provava ad urlare nella notte densa e buia, i passi risuonavano nel silenzio, ma non solo i suoi. Alle sue spalle qualcun altro correva anche più forte di lei. Si sentiva in trappola e riusciva a non piangere solo perché l’aria che le sferzava la pelle le asciugava gli occhi e le rendeva le labbra secche; non riusciva ad emettere alcun suono, voleva chiamare aiuto, ma non c’era nessuno se non lei e chi le stava dietro. Non poteva fermarsi, l’avrebbe trovata. E allora correva senza sapere dove stesse andando, pregava in silenzio di raggiungere la città o anche solo una casa sperduta nel bosco, ma niente, sembrava destinata a correre fino a che i suoi polmoni non fossero scoppiati e lei non si fosse accasciata al suolo. Concentrata com’era a pensare ad una soluzione, non vide la grossa pietra che giaceva in mezzo al sentiero; vi inciampò e precipitò a terra, macchiandosi i vestiti di fango e foglie bagnate. Strisciò qualche metro ansimando e cominciando a piangere, poi ci fu silenzio. Si bloccò e chiuse forte gli occhi, tendendo le orecchie: non c’era alcun suono ad interrompere il melanconico canto di un rapace. Poi ecco, un passo, poi un altro e un altro ancora. Janis fece per alzarsi, ma scivolò di nuovo sul fango, annaspò ancora, strisciando tra le foglie, ma una mano la afferrò per la caviglia e la trascinò indietro. Si trovò ai piedi di una figura indefinita, ipotizzò fosse un uomo per via della presa ferrea delle sue dita; non reagì per diversi secondi, sentiva uno sguardo bruciarle sul viso, poi con uno scatto felino liberò la caviglia e balzò in piedi, riprendendo la sua corsa disperata. Anche il suo inseguitore riprese a muoversi e non passò molto tempo prima che la raggiungesse e le passasse un braccio intorno al collo, portandosela contro il petto. Il braccio stringeva e Janis sentiva i piedi sollevarsi da terra lentamente, mentre gli occhi minacciavano di chiudersi e il respiro spariva dal suo corpo. Poi ci fu un colpo di pistola e l’uomo la lasciò andare: si voltò e cercò di focalizzare il viso del suo aguzzino, irrealmente illuminato da una luce fioca e bluastra.
Zayn Malik.
Janis scattò a sedere, l’affanno le faceva mancare il respiro, il sudore ad imperlarle la fronte e il collo. Si passò una mano tra i capelli e si scrollò le coperte di dosso, l’aria fredda d’inverno la investì completamente; rabbrividì e cercò a tentoni la felpa di suo padre, la indossò e uscì in corridoio con passo felpato. Le scale non cigolavano, fortunatamente, perché Alexander le aveva fatte riparare, onde evitare di interrompere il sonno leggero dei suoi bambini. Janis entrò in cucina e accese la luce sui fornelli, poi si riempì un bicchiere di latte e andò a coricarsi sul divano, davanti al camino ormai spento. Si strinse le gambe al petto e sorseggiò lentamente il suo latte, tenendo gli occhi fissi davanti a sé. Perché aveva sognato Zayn Malik? Perché lui le faceva del male? Da quando erano morti sua madre e suo fratello, era frequente che la ragazza avesse degli incubi, ma mai si era sentita come in quel momento, spaventata ed irrequieta. Come se quell’incubo fosse il presagio di qualcosa di terribile, di un segreto con cui Zayn Malik aveva a che fare.
 
Zayn uscì dall’aula e pescò dalla tasca dei jeans un paio di monetine per prendere qualcosa per tirarsi su, dopo la nottataccia passata in bianco. Ogni volta che chiudeva gli occhi vedeva quella macchina, la vernice rossa come una scintilla davanti ai fanali del suo fuoristrada, sentiva quel rombo e quel rumore di lamiere accartocciate, poi le sirene e la voce di suo padre che parlava al telefono e lo toglieva dai guai.
“Amico, sei al quarto caffè…” esordì Harry, avvicinandosi alla macchinetta, dove Zayn aspettava il bicchierino, incantato a guardare lo sportellino, senza vederlo realmente. Udendo la voce dell’amico, però, si ridestò e si passò una mano sulla faccia.
“E hai messo gli occhiali” continuò il riccio, chinando il capo per incontrare gli occhi del moro.
“Non ho dormito…” ammise, sistemandosi gli occhiali dalla spessa montatura nera sul naso, mentre con l’altra mano prendeva il suo bicchiere di caffè e si toglieva dalla fila.
“E come mai?” insistette Harry, che lo seguiva come un cagnolino fedele, le sopracciglia aggrottate e la preoccupazione alle stelle. Zayn non aveva mai passato la notte in bianco, se non completamente sbronzo, ma dopo l’incidente non beveva nemmeno più.
“Ho fatto un incubo” disse l’altro, scrollando le spalle e soffiando sul bicchiere. Non aveva poi così tanta voglia di raccontare di come ogni notte sognasse l’incidente o di come in ogni suo sogno rientrava sempre una macchina rossa, un bambino o una donna.
Raggiunsero Liam e Niall agli armadietti e Zayn si era illuso di potersi godere il suo caffè in santa pace, ma Niall lo fissò accigliato.
“Tutto bene, Zay?” buttò lì, addentando una barretta di cioccolato. Zayn alzò gli occhi al cielo.
“Non ho dormito per colpa di un incubo, tutto qui.”
Liam lo osservò attentamente e vide come il moro evitava il contatto visivo con tutti e questo poteva significare solo una cosa: era qualcosa di serio.
“Zayn, mi accompagni un secondo in segreteria? Mi sono dimenticato di dirti che dobbiamo firmare i moduli”, gesticolò animatamente, senza distogliere lo sguardo dall’amico, che annuì flebilmente e lo seguì.
“La segreteria è dall’altra parte, Liam…” mormorò Zayn, indicando alle sue spalle, mentre l’amico continuava a camminare verso il cortile; uscirono e rimasero vicino alla porta.
“Dove sta il problema?”, infilò le mani nelle tasche dei jeans e appoggiò la schiena al muro.
“Ho semplicemente dormito male!” sbottò il moro, allargando le braccia e sbuffando, innervosito ed irritato dall’improvviso immischiarsi dei suoi amici.
“Zayn, sappiamo entrambi che non è così! È da un paio di giorni che ti osservo, sei sempre nervoso, distratto e stanco e da ieri non fai che guardare la Ryan e trattare male Marcy”
Zayn si strinse nelle spalle e sospirò, passandosi una mano tra i capelli e sistemandosi poi gli occhiali, poi abbassò gli occhi sui suoi piedi e si morse forte le labbra.
Nessuno dei suoi amici sapeva cos’era realmente successo, nessuno sapeva che era stato Zayn ad invadere la corsia e non Vivianne e che lui non si era fermato ad aspettare i soccorsi, ma era risalito sulla sua auto ed era tornato a casa come se nulla fosse, per poi chiedere aiuto a suo padre, che aveva usato il suo potere di avvocato e i suoi soldi per far passare per vero una realtà completamente distorta. Nessuno sapeva la verità, ma lui non riusciva più a tenerla per sé, non poteva nascondersi dai suoi migliori amici.
“Sono stato io” disse solo, poi chiuse gli occhi e attese in silenzio la reazione di Liam.
“A fare cosa?” chiese perplesso, aggrottò le sopracciglia e si guardò intorno: un paio di ragazze si era fermate poco distante da loro e si scambiavano battutine.
“L’incidente. È stata colpa mia”, la sua voce era un sussurro doloroso, quasi un anelito di morte.
“Q-quale incidente?” balbettò l’altro, confuso, anche se nel suo cuore aveva il presentimento che quello che Zayn gli stava per dire era qualcosa di grave, importante, doloroso.
“La signora Ryan e…”, non riuscì a trattenersi e si accasciò a terra, nascondendo il viso nelle mani. Liam aprì la bocca e spalancò gli occhi, incapace di aggiungere qualsiasi cosa. Zayn non poteva essere un assassino. Certo, era un tipo dal carattere particolare, spesso era duro e aggressivo, ma non aveva mai fatto male ad una mosca, tanto meno alla signora Ryan e suo figlio. Scollò il capo e raggiunse l’amico, sedendosi sui gradini e appoggiando i gomiti sulle ginocchia, prendendo a torturarsi le mani, cercando la cosa migliore da dire.
“Zayn, è stato solo un incidete…” farfugliò, consapevole che quella indecisione non avrebbe fatto altro che peggiorare lo stato d’animo dell’altro.
“Sono morte due persone a causa mia, Liam. E Janis è…”, ripensò alla mattina precedente, a quel labbro inferiore tremolante, allo sguardo perso e alle ossa sporgenti della ragazza, “…sola” concluse, scrollando la testa con forza, come a volersi togliere dalla mente le immagini appena rievocate.
“Chi lo sa?” domandò Liam con voce profonda, turbato da quella confessione e con il cuore appesantito. Certamente non sarebbe più riuscito a guardare Janis con lo stesso sguardo indifferente.
“Solo tu…” ammise l’altro, sospirando e massaggiandosi le tempie lentamente.
Liam ripeté quelle due parole, poi chiuse gli occhi.
“Che intenzioni hai, adesso?”
La porta si aprì ed un paio di ragazzi uscirono in cortile ridendo forte, mentre Zayn aspettava che si allontanassero per parlare con Liam.
“Il problema è che non riesco proprio a starle lontano”, inspirò profondamente, “Sono attirato da lei, tutti mi dice di starle alla larga, ma non ci riesco. Ho bisogno di vederla, di parlarci”
“Questo è un bel casino, amico! Se lei viene a sapere che tu hai…hai provocato l’incidente, non ti vorrà vedere mai più e per lei sarebbe un duro colpo…” constatò.
“Non deve saperlo per forza.”
 
Ancora qualche passo e poi avrebbe potuto fumarsi la sua amata sigaretta. Quella mattina era stata davvero pesante, i professori avevano finito le riserve di pazienza e quello di matematica l’aveva interrogata, nonostante metà classe avesse protestato, Melory era nervosa perché avrebbe pranzato con Louis Tomlinson, mentre Carol doveva ripassare per la sua interrogazione di biologia.
Si sedette sul solito muretto, rannicchiandosi dentro il maglione di lana grigia che apparteneva a suo padre, incastrò la sigaretta tra le labbra e l’accese, per poi legarsi i capelli in una cosa disordinata. Il cortile era più affollato del solito, complice il sole che riscaldava l’aria, e Janis sentiva stralci di conversazione da ogni angolo.
“Ciao…” mormorò qualcuno alle sue spalle e lei sussultò, voltandosi verso la voce. Zayn Malik era lì, in piedi davanti a lei, un leggero sorriso ad increspargli le labbra e gli occhiali da vista a celargli un poco lo sguardo color nocciola. Janis non sapeva come reagire, voleva andarsene, voleva sorridergli, voleva sapere come stava e voleva gridargli di lasciarla in pace. Aprì la bocca per dire qualcosa, almeno per ricambiare il saluto, ma le lacrime le offuscarono la vista e l’incubo della notte precedente tornò vivido nei suoi ricordi, sentì freddo a tutto il corpo ed un brivido le percorse la spina dorsale; lasciò cadere la sigaretta accesa e ancora a metà e sfilò accanto a Zayn, evitando di sbatterci contro, e se me andò a testa bassa, le guance rosse e la vista offuscata.
Zayn rimase a bocca aperta un istante, poi si voltò appena in tempo per vedere Janis fermarsi davanti alla porta, asciugarsi una lacrima e prendere un respiro profondo, per poi entrare nell’edificio, mostrando a tutti un sorriso falsamente sereno. Si passò una mano tra i capelli e si diede un pugno sulla gamba, guardandosi intorno nervosamente: nessuno sembrava aver assistito alla scena, così si incamminò velocemente sulla scia della ragazza. Se aveva fatto qualcosa di sbagliato, voleva sapere cosa e come, perché era quasi sicuro di non averle fatto niente di male, almeno non in quei due giorni.
Aprì la porta e si ritrovò nel corridoio affollato di studenti che tornavano agli armadietti a gruppi, ma di Janis nemmeno l’ombra; si alzò in punta di piedi e continuò a perlustrare la folla, cercando di identificare la sua camminata fiera ma discreta e la sua chioma di capelli ramati. Vide le due ragazze con cui lei passava la maggior parte del tempo, entrambe avevano da fare per conto loro. Sbuffò e tornò con i talloni per terra, decidendo se cercarla da una parte o dall’altra della scuola.
“Marcy è davanti al bagno delle ragazze” esordì Louis, rifilandogli una sonora pacca sulla spalla e facendogli balzare il cuore in gola.
“Non cerco Marcy…” borbottò distrattamente, sistemandosi gli occhiali.
“Peccato, perché ti stai perdendo una scena davvero spassosa: sta urlando e ridendo contro la porta del cesso, ma nessuno sa chi c’è dentro…”, il solito ghigno divertito gli piegò le labbra, mentre sperava che Zayn abboccasse. L’amico sospirò, ormai del tutto avvilito, poi si ricordò delle parole appena pronunciate da Louis.
“Cosa sta dicendo Marcy?” chiese soltanto, fissando negli occhi Louis, che sorrise apertamente.
“Ce l’ha sicuramente con una ragazza”, scrollò le spalle e circondò con un braccio quelle dell’amico, per poi trascinarlo verso un agglomerato di ragazzi, che accerchiavano la solita Marcy esuberante ed egocentrica.
Le risate sguaiate che si diffondevano nella piccola folla lasciarono presagire a Zayn che fosse uno di quei Marcy-show di cui lui si sarebbe vergognato profondamente, poi vide le due amiche di Janis sgomitare per raggiungere il centro della scena. Seguì con lo sguardo le ragazze entrare nel bagno e questo non fece che aumentare i suoi timori: c’era Janis lì dentro.
“Uh, si direbbe che Marcy stia di nuovo prendendo di mira la Ryan” ipotizzò Louis, alzandosi in punta di piedi, “Forse sarebbe meglio se tu andassi a calmare la iena, Zay…non so te, ma non trovo più divertente il fatto che lì dentro ci sia una ragazza che…”
“Ha perso tutti” concluse il moro in un sospiro, addentrandosi nella ressa e raggiungendo Marcy.
“Che cazzo stai facendo?” soffiò irato, prendendo la ragazza per un gomito e costringendola a voltarsi verso di lui. Appena lo vide, lei smise di ridere e gli allacciò le braccia al collo, per poi scoccargli un sonoro bacio sulle labbra. Lui l’allontanò bruscamente e la fissò inorridito.
“Non hai risposto” disse secco, indicando la porta del bagno, “Che cazzo stai facendo?” ripeté ancora più adirato. Questa volta quell’oca aveva davvero superato ogni limite, prendendosela con una ragazza ferita come Janis Ryan.
“Mi sto solo divertendo un po’”, scrollò le spalle e si esibì in una smorfia strana, “Sei così strano ultimamente…”
La folla cominciò a dissiparsi e presto rimasero solo loro due davanti al bagno, dal quale Janis non era ancora uscita.
“Ti stai divertendo, eh? Sei perfida, lo sai?” ringhiò, ma la ragazza lo prese come un complimento e gonfiò il petto, mettendo in mostra la sua quarta abbondante e ribadita dal reggiseno a balconcino. Sorrise raggiante e avvicinò il viso a quello di Zayn, pronta a ricevere un bacio in premio. Ma Zayn si voltò completamente verso la porta del bagno, dalla quale uscì solo una delle amiche di Janis, la testa bassa e gli occhi leggermente arrossati; la fermò per un polso e lei lo guardò accigliata.
“Janis è lì?” chiese lui, il tono che trasudava preoccupazione. Lei annuì leggermente e fulminò Marcy con uno sguardo glaciale e terrificante. Zayn le lasciò il braccio e si avvicinò al bagno, mentre Marcy controllava le sue azioni, la bocca spalancata e un’espressione schifata in viso.
Louis si avvicinò a Zayn e gli appoggiò una mano sulla spalla.
“Amico, perché te la sei presa così tanto a cuore?”.
Zayn si scrollò la mano di dosso ed entrò nella stanza, fregandosi che fosse il bagno delle ragazze e che si sarebbe potuto prendere un provvedimento severo, se qualcuno l’avesse beccato, ma in quel momento non gli interessava niente che non fosse Janis. La trovò seduta per terra, le braccia che stringevano le ginocchia al petto, le guance bagnate e gli occhi gonfi, mentre un’amica le accarezzava i capelli e cercava di placare i suoi singhiozzi.
Zayn si schiarì la voce per attirare l’attenzione e fece sobbalzare entrambe le ragazze, soprattutto Janis, che scattò in piedi e sgranò gli occhi.
“Tutto a posto?” domandò il ragazzo con voce titubante.
“Vi lascio soli…” mormorò Carol, facendo per uscire, ma la rossa la bloccò per un braccio.
“Non andare via” disse con un filo di voce, guardandola con la coda dell’occhio, “Zayn non ha niente da dirmi” continuò sicura, fissandolo con sfida. Lui aggrottò le sopracciglia e aprì leggermente le braccia, mentre nella sua testa si formava il pensiero che lei potesse aver scoperto la verità e, quindi, disprezzarlo com’era giusto che fosse.
“Che…ho visto che…”, tossicchiò.
“Lasciami stare, Zayn” soffiò lei irata. Zayn fece un passo verso di lei.
“Cosa? Perché?” chiese stupidamente, scrollando la testa lentamente, mentre Janis si asciugava le guance e assumeva una compostezza fiera e decisa.
In quel momento avrebbe voluto correre da lei, abbracciarla, implorare il suo perdono, fermare le sue lacrime, lenire le sue sofferenze e curare le sue ferite, nonostante lui fosse la causa di tutto.
“Devi lasciarmi stare” gridò questa volta, asciugandosi un’ultima lacrima con il dorso della mano e sfilando accanto al ragazzo, dandogli una spallata per ribadire il concetto.
Carol rimase impietrita dalla situazione, mai la sua amica aveva reagito così alle attenzioni di un ragazzo, ma nemmeno sapeva che aveva avuto contatti con Zayn Malik. Scrollò il capo ed uscì dal bagno sulle orme di Janis.
Zayn rimase impalato sul posto, le labbra ridotte ad un filo e il cuore che martellava come quello di un topolino in trappola. Cosa stava succedendo a Janis? Cosa aveva scoperto?


Aries' corner

Hi everyone! Mi sto abituando a scrivere cose così angoscianti!! ;) Ammetto che il sogno di Janis è ispirato ad un incubo che ho avuto qualche settimana fa! xD
Non ho molto tempo per scrivere le note, perché devo uscire finalmente! Oggi ho avuto i test d'ingresso ad infermieristica e stasera me la godo!! :D 

Ci sentiamo al prossimo capitolo, che spero venga più sensato!!! :) Un bacione a tuttissimi!!!! <3 

Horan Hugs
Mariuga
 
 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo tre - Che succede adesso? ***



Inevitabile

Che succede adesso?
 




Zayn si alzò dal letto e si stiracchiò, allungando la schiena e portando le braccia sopra la testa, per distendere i muscoli e rilassare i nervi, dopo una notte passata in bianco. La terza notte di fila.
Non vedeva Janis da quando questa gli aveva gridato di starle lontana, tre giorni prima, e non per scelta sua: la ragazza non era tornata più a scuola e Zayn sospettava che si fosse chiusa di nuovo in casa, nel suo muto dolore. Scese in cucina, dove la madre stava preparando la colazione per la sua sorellina Safaa; si sedette e si versò una tazza di latte.
“Buon giorno, tesoro!” esclamò la donna, dispensando un sorriso dolce al figlio, che rispose con una smorfia stanca e poco convinta.
Sentiva un enorme groppo in gola e un peso sullo stomaco, la sensazione di aver fatto qualcosa di sbagliato, ma la convinzione di non aver aggravato in nessun modo la sua già ignobile situazione. Era certo di non aver detto niente di sbagliato né con Janis né su di lei, ma temeva che qualcuno avesse sentito la sua confessione a Liam e lo fosse andato a  dire alla rossa, che a quel punto aveva reagito così.
Uscì di casa intenzionato a parlare con le amiche della ragazza per sapere cosa stesse succedendo, come stesse Janis e perché fosse sparita dalla circolazione. Lo stava evitando oppure davvero qualcosa non andava?
 
Janis si scrollò di dosso le coperte e rimase immobile per un po’, stesa su un fianco, un braccio sotto il cuscino e lo sguardo fisso davanti a sé. Non aveva dormito bene nemmeno quella notte, perché temeva di riprendere quel terribile incubo. Sospirò e si alzò dal letto, uscendo in corridoio e dirigendosi con passo felpato verso il bagno; sapeva che zia Linette era sveglia, ma non voleva attirare la sua attenzione e doversi inventare un’altra scusa per non andare a scuola e tranquillizzarla, in modo che lei uscisse di casa per andare al lavoro.
Linette prese un altro sorso di tè caldo e guardò l’orologio: a quell’ora Janis si sarebbe dovuta alzare per andare a scuola, ma indovinò che nemmeno quella mattina sarebbe andata. Sospirò e si alzò da tavola, portandosi dietro la tazza e salendo le scale, decisa a comunicare a Janis la sua intenzione di uscire per andare al lavoro. Nel momento stesso in cui stava abbassando la maniglia della porta, sentì giungere dal bagno il rumore dello sciacquone e deviò il suo cammino.
“Jan, amore, io vado al lavoro…” annunciò con voce dolce, accostando l’orecchio alla barriera di legno che la separava dalla nipote.
“Va bene, zia” rispose la giovane, aprendo lentamente la porta e sbucando in corridoio con un asciugamano stretto intorno al corpo e i capelli umidi che ricadevano sulle spalle. La donna le sorrise e le sistemò una ciocca dietro l’orecchio, poi distolse lo sguardo ed annuì tra sé.
“Non vai a scuola?” domandò, pur sapendo già la risposta.
“No” sussurrò l’altra flebilmente, dondolando sui piedi e guardando Linette con sguardo triste.
“Ci vediamo a pranzo” disse solo, bevendo un altro sorso di tè e voltando le spalle alla nipote, per non farle vedere l’espressione addolorata che le distorceva i lineamenti dolci.
Janis guardò la donna allontanarsi e scendere le scale in silenzio, poi tirò su con il naso e filò in camera sua, chiudendo la porta con forza. Indossò la biancheria pulita e si piazzò davanti allo specchio; rimase immobile per diversi minuti, studiando meticolosamente il suo fisico prosciugato, i muscoli inesistenti, la pelle bianco latte e le ossa sporgenti. Una lacrima scivolò lungo la sua guancia e lei scattò veloce ad asciugarla. Odiava piangere e odiava vedersi piangere.
Senza curarsi di indossare qualcosa, uscì dalla sua stanza e scese in soggiorno, dove si guardò intorno, adocchiando il tavolino che zia Linette aveva allestito come altarino per i defunti della famiglia Ryan, lo raggiunse a grandi falcate e si lasciò andare ad un urlo rabbioso. Prese la cornice con la foto di sua madre, suo padre ed Oliver, la sollevò fin sopra la testa e poi la lanciò contro la parete, guardando il vetro esplodere in mille frammenti. Una dopo l’altra tutte le cornici finirono in pezzi, il mazzo di fiori sparpagliato per il pavimento, il vaso in cocci e il tavolino ribaltato. Janis aveva il respiro accelerato, fissava ostinatamente il muro, che riportava i segni della sua rabbia e del suo dolore. Scrollò la testa e si guardò intorno, mentre dal suo petto spariva quel peso invisibile che le rallentava il cuore. Si diresse in cucina e prese scopa, paletta e una delle scatole di cartone con cui zia Linette portava la spesa e tornò in soggiorno per ripulire quel macello, cominciò a spazzare spazzare, poi si inginocchiò e raccolse le cornici, appoggiandole delicatamente nella scatola e versandoci sopra i cocci di vetro. Sorrise malinconica e chiuse la scatola con gesti solenni e fluidi, poi prese un pennarello dal cassetto della credenza e scrisse FRAGILE sul cartone.
Salì al piano di sopra e appoggiò la scatola sul letto, poi si preparò per andare a scuola, anche se in ritardo di un’ora. Mentre indossava i jeans si fermò a guardare quello scatolone e si trovò a sorridere sovrappensiero.
“Non ti dimenticherò, Oliver, te lo prometto. Che succede adesso, mamma? Posso ricominciare, papà?”
 
Zayn uscì dall’aula di chimica già con una sigaretta tra le labbra e l’accendino in mano, pronto ad uscire in cortile. Per i corridoi incontrò un paio di ragazze che gli rivolsero dei sorrisi languidi, riuscì ad evitare per un pelo Marcy e si scontrò con Carol, l’amica di Janis. Le sorrise distrattamente, poi si ricordò dei suoi propositi e richiamò la sua attenzione.
“Ehi! Carol, giusto?” domandò, facendo sembrare del tutto normale il fatto che sapesse il suo nome. La ragazza tentennò e arrossì lievemente, stringendo al petto i libri che teneva in mano.
“Sì” sussurrò, consapevole che Zayn Malik non volesse sapere niente che non riguardasse Janis.
“Janis è…”, si morse la lingua per l’irruenza con cui aveva cominciato, “Sta bene?”
Carol si guardò i piedi e serrò le labbra. Janis aveva raccontato tra i singhiozzi di un incubo tremendo, che terminava con Zayn, ma non aveva ben capito se lo volesse alla larga per quello o c’era dell’altro. Nel dubbio si limitò a scrollare le spalle e annuire.
“Allora come mai non è a scuola?” chiese apprensivo, mentre la ragazza si guardava intorno, stringendo le labbra per non lasciarsi sfuggire niente.
“Influenza” disse lapidaria “Devo andare” mormorò, per poi dileguarsi tra gli studenti che uscivano dalle classi. Zayn rimase fermo sul posto, stringendo l’accendino con più forza, fino a farsi sbiancare le nocche. Non credeva affatto che Janis avesse l’influenza, perché Carol gli era sembrata troppo tesa perché quella fosse la verità. Sospirò e si diresse nuovamente verso il cortile, pregustando il sapore del fumo, anche se non era la stessa cosa senza Janis.
 
La fila in segreteria era praticamente esaurita, quando Janis scorse Zayn rientrare dal cortile, sicuramente dopo la sua pausa sigaretta. Sorrise leggermente, poi chinò il capo e lasciò che i capelli le coprissero il viso, nella speranza che lui non la notasse, mentre si incamminava verso la sua direzione per raggiungere la lezione successiva. Era incredibile come avesse sentito la sua mancanza in quei tre giorni che aveva passato a casa ed era consapevole di essersi fatta influenzare da uno stupido sogno. Quelle immagini non significavano niente, il fatto che Zayn si trovasse nell’incubo peggiore che avesse avuto nell’ultimo mese non giustificava il suo comportamento. Doveva scusarsi e l’avrebbe fatto il giorno stesso, quando era riuscita ad acchiappare l’angolo della pagina e aveva trovato il coraggio anche solo per pensare di iniziare a voltarla e riprendere a vivere.
La segretaria attirò la sua attenzione con un colpo di tosse e Janis le allungò il libretto delle giustificazioni, sulla quale la donna apportò una sigla confusa e glielo restituì, facendole cenno con la testa di spostarsi ed andare in classe. La ragazza alzò gli occhi al cielo e si voltò ridacchiando, poi armeggiò con la borsa, dove infilò il libretto. Erano sempre così disponibili gli addetti, in quella scuola: i bidelli non rispondevano alle domande, le segretaria preferivano muggire e ringhiare piuttosto che parlare, il preside non usciva mai dal suo studio e i professori esprimevano gioia di vivere almeno quanto Janis esprimeva dolcezza. Alzò lo sguardo per evitare di urtare altra gente e si trovò davanti Zayn, le sopracciglia aggrottate e la mandibola serrata.
“Ciao” farfugliò imbarazzata, mordicchiandosi il labbro inferiore e spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Non riusciva a reggere il confronto con quel ragazzo così bello e non sapeva come fare a chiedergli perdono per come si era comportata.
“Come stai?” chiese schietto, senza perdere l’espressione preoccupata e senza distogliere lo sguardo dal suo viso arrossato. Era bellissima anche quando era imbarazzata e non sapeva cosa dire.
“Bene, grazie. Ci…”, sospirò, “Ti va se ci fumiamo una sigaretta dopo pranzo?”, arrossì ancora di più, ma si sforzò di guardarlo negli occhi color nocciola, leggendovi sorpresa e sollievo. Non era certo la proposta più allettante che potesse fare, ma in quel momento non le era venuto in ente niente; tuttavia, il sorriso di Zayn le fece capire che forse non era un’idea così terribile.
“A dopo” disse con entusiasmo, avvicinandosi a lei di un passo. Janis intrappolò tra i denti l’interno della guancia a trattenne un sorriso, causato dalla reazione del moro. Possibile che all’improvviso si sentisse così attratta da lui, così legata ad una persona che non conosceva per niente?
 
Sentirla ridere sarebbe stato perfetto, ma Zayn si accontentò di vederla sorridere, mentre si passava una mano tra i capelli e scrollava la cenere dalla sua sigaretta, dopo l’ennesimo gioco di parole che le aveva propinato per evitare che calasse un imbarazzante silenzio. Era speciale, i lineamenti fini, le labbra sottili e leggermente rosse, la pelle pallida e gli occhi grandi e affamati di cose belle.
“Devo chiederti scusa per come mi sono comportata l’altro giorno…” mormorò all’improvviso, inclinando il capo e fissandosi le All Star logore. Zayn inarcò le sopracciglia ed espirò il fumo, poi soffiò un sorriso e si avvicinò a lei di un passo. Aveva un’incredibile voglia di sfiorarla, abbracciarla, stringerla tra le braccia e non lasciare che scoprisse la verità. Perché Zayn sapeva che prima o poi sarebbe successo e voleva evitare che lei scappasse da lui, nonostante fosse la reazione più naturale del pianeta.
“Non fa niente, capita a tutti di avere una giornata no. Poi Marcy ha rincarato la dose, scommetto”, le sfiorò un braccio con le dita e la vide sussultare, saettando lo sguardo sulla sua mano. I loro occhi si incontrarono, poi quelli di Janis si riempirono di lacrime e Zayn si sentì morire dentro, come ogni volta che si trovava in quella situazione, ogni volta che pensava al dolore causato dalle sue azioni da incosciente.
“Non so dove tu trovi il coraggio di starmi vicino…” farfugliò lei, mentre si asciugava una guancia con il dorso della mano e prendeva un profondo respiro. L’aria fredda dell’Inghilterra le solleticò le vie respiratorie, riempiendole i polmoni e facendola sentire leggera.
“Non sei un’appestata e lo faccio con piacere” disse il moro, spegnendo il mozzicone di sigaretta con la punta del piede e tornando a guardarla con insistenza. Voleva incontrare di nuovo quel colore strano, quel mare burrascoso, quell’azzurro sporcato da un’ombra scura; voleva sentire il suo dolore schiantarsi contro la sua pelle; voleva sentire le emozioni di Janis sbattergli in faccia con forza la verità. Le prese il mento e la costrinse a guardarlo, mentre il suo stomaco si chiudeva e il suo cuore prendeva a battere più velocemente. Tutto in lei lo faceva sentire una merda, la sua bellezza, il suo sorriso timido, i suoi occhi lucidi, le labbra rosse e la perenne convinzione di averle fatto un male indicibile. Lasciò andare il suo viso e l’abbracciò senza aggiungere altro, come se avesse perso la capacità di parlare.
Janis sobbalzò per quel gesto inspiegabile di Zayn, ma da quell’abbraccio si sentì liberata, come se lui si stesse sobbarcando delle sue fatiche e la stesse prendendo per mano per condurla verso la fine del tunnel. Certo, il suo cuore era già più leggero, dopo aver tolto di mezzo i ricordi dolorosi, ma la consapevolezza di non essere sola, di avere Zayn accanto, le fece tremare le gambe. Si aggrappò alla felpa del ragazzo e nascose il viso contro il suo petto, respirando lentamente e lasciando che i suoi polmoni si riempissero del suo profumo.
Zayn sgranò gli occhi e trattenne il fiato, sperando che lei non si accorgesse del martello pneumatico che lavorava nel suo petto, le passò le braccia intorno al torace e le accarezzò la schiena, mentre la sentiva tremare tra le sue braccia. Non poteva credere che stesse succedendo davvero, non avrebbe mai immaginato di potersi avvicinare così tanto a lei, fino a sentire le ossa premere prepotentemente contro la sua pelle sottile.
Visti da fuori potevano sembrare una coppia, due amici di lunga data, un fratello e una sorella. Ma solo una cosa li univa: il peso della morte.
Dove li avrebbe portati questo abbraccio? Cosa sarebbe successo dopo?
 

Aries' corner

Meno angosciante degli altri, lo ammetto, ma non fateci l'abitudine ;) 
In questo capitolo finalmente Janis decide di andare avanti e cominciare veramente a vivere. Il suo gesto non è un gesto di odio o di rabbia, ma un gesto di liberazione, che la pora a respirare aria nuova e ad accorgersi che il mondo continua a girare. 
Zayn prima o poi crollerà, questo penso sia chiaro! Non so ancora quando, ma prima o poi succederà! Qui per ora si gode l'avvicinamento di Janis :3

Un grazie a chi legge e apprezza! :D

Horan Hugs a todos!!
Mariuga

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo quattro - Calore ***


A Mich, che domani inizia una nuova
avventura. A te che mi sopporti e che
mi fai diventare scema.
In bocca al lupo, Poop :D

 


Inevitabile

Calore



 
Janis si era sempre sentita sicura a casa, nella sua stanza, tra quelle mura così famigliari, testimoni di momenti felici, momenti difficili, momenti di rinascita e altri di ricaduta; ma da quando viveva con zia Linette, mettere piede in casa la rendeva irrequieta e pensierosa, preferiva quasi stare a scuola, dove c’erano Carol e Melory e dove, soprattutto, poteva stare con Zayn. Non che la donna facesse qualcosa di male, ma la trattava come una bambina bisognosa di mille attenzioni, cosa che Janis non era affatto: lei non chiedeva niente, se non comprensione e silenzio, non aveva necessità di parlare o di esprimere i propri sentimenti e pensieri. Invece Linette insisteva perché lei parlasse, si sfogasse e non si chiudesse nel suo dolore. Janis non era ancora riuscita a dirle che non aveva bisogno di lei, ma voleva solo stare con chi la capiva e non la forzava, con chi non cercava di scardinare le serrature della sua anima e semplicemente aveva voglia di stare con lei, anche solo per fumarsi una sigaretta e chiacchierare di cose futili. Come faceva Zayn.
Così anche quel pomeriggio si chiuse in camera sua, la musica a fare da sottofondo alle ore di studio e il pacchetto di sigarette abbandonato sul letto, pronto ad essere svuotato più tardi, magari passeggiando per le strade della città. L’unica cosa che voleva fare, in quel momento, non era certo studiare biologia, ma era chiamare Zayn, sentire la sua voce leggermente roca, la sua risata profonda e spensierata, immaginare i suoi occhi color nocciola e il suo sorriso con la lingua fra  i denti, voleva vederlo, parlare con lui e non pensare a niente. Prese il cellulare e fissò lo schermo per qualche istante; avrebbe dovuto studiare e non distrarsi, ma la concentrazione non c’era ed era inutile rimanere lì nella speranza che le nozioni le si infilassero in testa di loro spontanea volontà. Le sue dita scorrevano sui tasti con scioltezza, senza che lei le comandasse, e presto la cartella dei messaggi inviati si arricchì di un nuovo sms.
 
Zayn stava uscendo di casa per andare a prendere sua sorella a scuola, quando il cellulare vibrò nella tasca dei pantaloni della tuta; alzò gli occhi al cielo, convinto che fosse ancora sua madre che gli ricordava di Safaa, ma quando aprì il messaggio, un sorriso gli increspò le labbra.
Stava proprio pensando a lei, ma non voleva disturbarla e nemmeno sembrare troppo pressante, così non le aveva scritto e si era tenuto per sé la voglia di vederla e di parlaci. Si avviò lungo il marciapiede e fece partire la chiamata; avrebbe potuto risponderle per messaggio, ma voleva evitare fraintendimenti e voleva che sentisse nel suo tono la voglia che aveva di passare del tempo con lei. Erano ormai due mesi buoni che si frequentavano, studiavano insieme, chiacchieravano e, soprattutto, fumavano nel cortile, per la strada, alla finestra e sui gradini della biblioteca. Erano due mesi che Zayn covava uno strano sentimento, qualcosa simile all’affetto misto al senso di colpa, che lo portava a preoccuparsi sempre di come lei si sentisse e a starle vicino il più possibile, affinché lei si confidasse e si aprisse con lui. Avvertire l’imbarazzo nella voce della ragazza lo fece sorridere ancora di più, mentre le dava appuntamento davanti alla scuola elementare della sorellina e l’emozione gli chiudeva lo stomaco.
Arrivato davanti al cancello dell’edificio, cercò un posto meno affollato dai genitori e si piazzò lì, le mani in tasca e lo sguardo fisso sulla porta d’ingresso, in attesa che la campanella suonasse e i bambini uscissero in cortile correndo e ridendo; era talmente assorto nei suoi pensieri, che non si accorse dell’arrivo di Janis, che lo affiancò e si schiarì la gola. Il ragazzo si voltò di scatto e la vide, i capelli ramati stretti in una coda disordinata, la bocca nascosta in una spessa sciarpa di lana verde petrolio, le mani rintanate nelle maniche della giacca, gli occhi vivaci e lucidi e le guance arrossate dal freddo. Le sorrise e d’istinto le passò un braccio intorno alle spalle, avvicinandola a sé per scaldarla un po’, mentre in lontananza si udì il suono squillante della campanella e la folla di genitori si faceva più stretta davanti al cancello. Di lì a poco sarebbe arrivata Safaa e Zayn non vedeva l’ora di presentare la sua nuova amica alla sua sorellina.
Janis si sentì finalmente completa, quando il calore di Zayn le penetrò nel corpo e, soprattutto, nel cuore, appoggiò la testa alla sua spalla e nascose ancora di più il viso nella sciarpa, scrutando la folla con diffidenza.
Come se un lampo l’avesse colpita, le si oscurò la vista e in un flash rivide sua madre, bellissima nel suo trench corallo, la borsa di pelle appesa al gomito e i capelli elegantemente raccolti nello chignon, mentre aspettava Oliver davanti ai cancelli della scuola elementare, chiacchierando amabilmente con le altre madri. il respiro le divenne corto e le lacrime cominciarono a pizzicarle gli occhi, si voltò con tutto il corpo e scrollò violentemente il capo, accovacciandosi poi sulle ginocchia e stringendosi i capelli fra le dita. Zayn rimase intontito un attimo, si guardò intorno e notò che solo in pochi avevano notato Janis, concentrati com’erano a cercare i propri figli. Il ragazzo alternava lo sguardo allarmato fra Janis e la porta della scuola, indeciso se curarsi di lei o della sorellina che sarebbe arrivata di lì a poco.
“Jan?” mormorò, facendo un passo indietro e mettendosi a covino davanti a lei, “Che succede?” chiese apprensivo, chinando la testa di lato, nel tentativo di riuscire a vederla in faccia. Lei alzò gli occhi arrossati verso di lui e tirò su con il naso, annuendo debolmente.
Zayn ebbe il presentimento che chiederle di raggiungerlo lì non fosse stata una bella idea, ma lì per lì non aveva pensato che potesse essere indelicato. Le prese una mano e le accarezzò una guancia, costringendola ad alzare il viso, incontrando così il suo sguardo triste e lucido. Gli si strinse il cuore ed era vicino ad abbracciarla, quando le grida dei bambini lo riportarono alla realtà, giusto in tempo per accogliere Safaa, che stava correndo verso di lui con le braccia larghe.
Appena Janis udì il ragazzo parlare, si ricordò di essere fra la gente, quindi si asciugò velocemente le guance e si alzò, stringendosi la coda e tirando su col naso; si voltò verso Zayn e lo vide chiacchierare dolcemente con una bambina, che gli stava passando il suo zaino rosa, che lui si caricò in spalla. Sorrise timidamente e si sistemò la sciarpa, in modo da coprire bene le orecchie e il collo, lasciati scoperti dai capelli, mentre osservava come la bambina fosse affezionata al fratello maggiore, che le chiedeva come fosse andata la giornata. Janis rimase qualche passo distante dai due, affondando le mani nelle tasche e studiando con discrezione il profilo di Zayn, i suoi capelli perfettamente ordinati, il lieve accenno di barba, la fisicità esile e le ciglia lunghe, che si muovevano ad ogni cambio di espressione. Ancora non riusciva ad essere cosciente che quel ragazzo fosse così interessato a lei, che non aveva niente di particolare, a parte la condizione famigliare. Se ancora si poteva definire famiglia, se ancora poteva dire di avere qualcuno. Certo, zia Linette era una donna dolce, comprensiva e non le faceva mancare niente, ma lei non era Alexander, non era Vivianne e, soprattutto, non era Oliver. E non le poteva colmare il vuoto lasciato da loro tre, non poteva occupare la camera dei genitori e nemmeno quella del fratello. Poteva solo accontentarsi della stanza degli ospiti. Perché quello ero in casa e nel cuore di Janis: un’ospite.
“Vieni?” sussurrò Zayn, avvicinando le labbra all’orecchio di Janis, che sussultò. Non si era nemmeno accorta che aveva smesso di parlare con Safaa e si era ricordato di lei, che si era fatta piccola ed invisibile tra la gente, ormai abituata a non ricevere attenzioni. Annuì debolmente e si mordicchiò il labbro inferiore, alzando lo sguardo e fondendolo con quello color nocciola di Zayn, che le rivolse un sorriso dolce, accennando con il capo al parcheggio poco distante, dove aveva lasciato la macchina.
Safaa continuava a raccontare l’esperimento che la signorina Hampel aveva mostrato durante la lezione di scienze e strillava per farsi sentire dai sedili posteriori, convinta che suo fratello si sarebbe distratto “con la sua fidanzata accanto”. Janis era arrossita tremendamente, quando la bambina aveva risposto così alla richiesta di Zayn di abbassare il tono di voce e si era voltata verso il finestrino, per vincere l’istinto di voltarsi verso Zayn e sbirciare la sua reazione. Non poteva aver sentito uno strano movimento nello stomaco, un calore intenso alla faccia e un martellare sospetto nel torace. Non poteva essersi ritrovata a sorridere come una scema, strofinando le mani sulle cosce, come a volersi liberare di tutte quelle emozioni che la spaventavano non poco.
Nell’abitacolo calò di nuovo un silenzio reverenziale, mentre Safaa tornava a raccontare dall’inizio l’esperimento, perché era stata interrotta da Zayn, che ancora una volta le aveva intimato di abbassare la voce. Il ragazzo sospirò e guardò Janis con la coda dell’occhio: si studiava le mani, intrecciate sulle gambe, la sciarpa le copriva il viso fino alla punta del naso. Sorrise tra sé e rallentò al semaforo rosso, cogliendo l’occasione per prendere il cellulare e passarlo alla sorellina.
“Chiama la mamma e dille che stiamo arrivando” interruppe di nuovo il monologo di Safaa, reprimendo un sorriso soddisfatto.
“Perché? La mamma è al lavoro” protestò la bambina con tono lamentoso, irritata dall’ennesima interruzione del fratello insensibile e menefreghista.
“Mamma è a casa che prepara la merenda per te e le cugine…” spiegò Zayn pazientemente. Controllò dallo specchietto e vide Safaa digitare sul suo telefonino e portarselo all’orecchio. Finalmente un po’ di silenzio e un po’ di pace per lui e Janis. L’aveva un po’ trascurata da quando era comparsa Safaa e adesso non voleva altro che sentire la sua voce delicata.
“Come stai?” domandò dolcemente, voltandosi appena verso di lei, che drizzò le spalle e ricambiò lo sguardo, sgranando leggermente gli occhi.
“Bene” rispose titubante “Tu?”
Zayn annuì e ripartì al semaforo verde, mentre dentro di lui succedeva un putiferio.
“Portiamo a casa Safaa e poi ce la svigniamo” disse a bassa voce, per evitare che la sorella sentisse. Janis ridacchiò e gli appoggiò una mano sul braccio, accarezzandolo lentamente con il pollice e tornando a fissare Bradford fuori dal finestrino, come se quel gesto fosse il più naturale del mondo.
Lui sussultò e si morse la lingua, la gola gli si serrò e il rimorso tornò ad agitarsi dentro di lui, come un animale dormiente svegliato dal rumore della pioggia battente. Stava portando in auto la ragazza alla quale aveva tolto tutto con un incidente. Stava guidando come se nulla fosse, come se quella notte il tasso di alcol nel suo sangue non fosse stato di tre volte superiore al consentito, come se non avesse ucciso due persone con la sua imprudenza.
 
Scesero dalla macchina e Zayn prese la cartella di Safaa, che era corsa alla porta d’ingresso, impaziente di abbracciare sua madre e le sue cugine. Janis chiuse lo sportello e rimase in piedi vicino alla macchina. Qualcosa dentro di lei le impediva di sentirsi a suo agio, uno strano sentimento le bloccava le gambe e le rendeva impossibile muoversi verso quella semplice villetta a schiera, con il giardino curato e le tende alle finestre. Zayn fece il giro della macchina e le cinse i fianchi con un braccio, accarezzandole la guancia con la punta del naso.
“Torno subito, non ti muovere” disse con voce calda, facendo rabbrividire e arrossire Janis, che annuì febbrilmente.
Mentre saliva i pochi gradini d’ingresso, Zayn si sentiva felice come non mai, perché nonostante i sensi di colpa, con Janis si sentiva bene, non aveva mai conosciuto una ragazza come lei, così bella eppure così sola ed insicura. Voleva proteggerla e questo non era solo un istinto procurato dalle sue azioni, ma era un sentimento forte, che vinceva contro il senso di colpa e la consapevolezza di essere un mostro. Baciò sua madre, salutò le cugine e Safaa ed uscì di nuovo di casa, lasciando che il suo sguardo venisse calamitato dalla figura esile della ragazza, immobile vicino alla macchina, mentre si fissava i piedi e combatteva il freddo pungente nascondendosi nella giacca e nella sciarpa. Soffiò un sorriso e la raggiunse con passo svelto, appoggiando le mani sulle sue spalle e accarezzandole lentamente.
“Hai freddo?” mormorò, rendendosi subito conto dell’idiozia di quella domanda dalla risposta ovvia. Lei annuì e accennò un sorriso.
“Ora un po’ di meno” farfugliò nella sciarpa, sperando che lui non l’avesse sentita. Invece Zayn arrossì un poco e l’abbracciò d’istinto.
Janis sorrise ora più apertamente e nascose le mani nelle tasche della giacca di Zayn, avvicinandosi ancora di più e appoggiando la fronte al suo petto, mentre lui le accarezzava la schiena con una mano e con l’altra giocava con i suoi capelli lunghi.
Janis sentì gli occhi inumidirsi di nuovo, mentre il calore del ragazzo le penetrava in profondità, sciogliendole lentamente quel blocco di ghiaccio che aveva al posto del cuore e alleggerendo la presa alla bocca dello stomaco. Sospirò e abbassò le palpebre, voltandosi leggermente e appoggiando la tempia al torace del moro, che strinse la presa e appoggiò il mento sulla sua testa.
Zayn inspirò lentamente, beandosi del profumo emanato dai capelli ramati di Janis e dalla sensazione che qualcosa passasse dal suo corpo a quello asciutto di lei, influenzato da chissà quale tipo di forza. Le baciò la testa e strinse ancora di più l’abbraccio, quasi volesse fondersi con lei, come se il contatto fra tutte le parti del corpo lo aiutasse a sentirsi migliore, utile, vivo.
Non si sarebbero mai voluti separare, avevano trovato la loro sezione aurea, l’equilibrio interno ed esterno, la giusta posizione nel mondo e la giusta intensità di calore. In due potevano farcela, divisi erano persi. 


Aries' corner

Capitolo sudato e -ovviamente- venuto di merda! Vedrò di farmi perdonare con il prossimo, promesso!! La settimana che sta per cominciare si prospetta produttiva, perché è l'ultima settimana di vacanza, poi inizia l'università, e praticamente tutte le mie amiche hanno le lezioni! Quindi tempo per scrivere e per annoiarsi, ma soprattutto per leggere!!!
Chiedo scusa a coloro ai quali ho promesso di leggere e recensire, non ho avuto un secondo libero, avevo una marea di giri/compleanni/impegni/malesseri! 
Ringrazio chi legge, chi dà fiducia a me e a questa long senza senso! Vi prometto che troverò il modo di farla finire, perché nella mia testa per ora non c'è uno straccio di trama e non so dove andrò a parare nei prossimi capitoli, non so quanti ne mancano e non so cosa succederà! :S Sono un disastro, ma mi impegnerò a migliorare!! Promiseeee!!!! <3

Bye bye!
Horan hugs to everyone! <3
Mariuga

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo cinque - Delusioni ***





Inevitabile

Delusioni



 
Quella domenica notte Janis si svegliò di soprassalto, il cuore le martellava nelle orecchie e strani rumori nella camera accanto, quella dove dormiva zia Linette. Si scostò le coperte di dosso e rabbrividì per il freddo, poi sospirò e si alzò, uscendo dalla camera a piedi nudi; non sapeva che ora fosse, ma le sembrava abbastanza tardi. Si parò davanti alla porta della camera degli ospiti nel momento esatto in cui la donna usciva con una grande borsa in mano.
“Janis, che ci fai in piedi?” domandò sorpresa, inarcando le sopracciglia. Non voleva svegliare la nipote, non sapeva come avrebbe potuto annunciarle la sua partenza senza sentirsi tremendamente in colpa per quell’abbandono così improvviso.
“Te ne vai?” chiese la ragazza, la voce e il viso completamente inespressivi. Linette abbassò il capo e annuì lentamente, sospirando.
“Jan, tesoro, ascoltami…vedo che tu ti sei ripresa bene, hai le tue amiche e quel ragazzo carino che ti ha accompagnata a casa l’altro giorno”, alzò lo sguardo e per la prima volta vide Janis completamente apatica, “Io non ho nessuno e ho bisogno di tornare a casa mia per un po’, ma ti prometto che torno ogni weekend” concluse con voce tremante. Janis si spostò dal passaggio e indicò con la testa le scale, dando il permesso alla donna di andarsene da quella casa e di lasciarla sola. Anche lei.
Linette l’abbracciò titubante e si allontanò, quando capì che la nipote non avrebbe ricambiato il gesto, per poi scendere al piano di sotto ed uscire di casa, lasciandosi il dolore di una ragazzina alle spalle e riprendendo a camminare sulla propria strada, per trovare la sua serenità. Per un secondo ripensò allo sguardo deluso di Janis, il labbro inferiore tremolante, le lacrime alle punte degli occhi e quell’espressione che le aveva visto sul volto la notte dell’incidente, quando le avevano comunicato che non c’era stato niente da fare né per la madre, né per Oliver. Era ancora in tempo per tornare sui suoi passi, aprire quella porta e abbracciare quella ragazza così ferita e così sola, ma si liberò di tutti i pensieri scrollando la testa e inspirando profondamente.
Janis aspettò di sentire la macchina partire ed uscire dal vialetto di casa, poi si appoggiò con le spalle al muro, il cuore a palla e le lacrime a premere per uscire. Non poteva davvero essere da sola. Corse in camera sua e accese la luce, poi rovesciò tutte il comodino e si passò le mani tra i capelli, reprimendo un urlo rabbioso. Cercò il cellulare tra le cose sparse sul pavimento e si asciugò gli occhi con la manica della maglia del pigiama. Selezionò il numero di Zayn e chiamò, senza curarsi ancora di controllare l’orario. Il telefono suonava a vuoto e quando Janis stava per riattaccare, il ragazzo rispose con voce arrochita dal sonno, ma con una vena di preoccupazione a renderla più acuta del solito.
“Jan, che succede?” farfugliò, sospirando nella cornetta. Janis represse un singhiozzo e si lasciò cadere a sedere sul pavimento.
“Mi ha lasciata” mormorò, mentre il respiro le diventava affannato e le lacrime prendevano a scorrerle sulle guance.
“Cosa…chi ti ha lasciata?” domandò lui, con voce più ferma e seria. Janis non aveva un fidanzato e di questo ne era certo. Poteva essere un altro dei suoi sogni, oppure un’altra crisi di panico; era da un po’ che non ne aveva, ma sapeva benissimo che non sarebbe durata questa pausa.
“Mia zia! Se n’è andata!” gridò con voce acuta e stridula, lanciando il cellulare contro la parete di fronte a lei, per poi prendersi la testa fra le mani ed intonare una cantilena stanca e monotona.
Zayn sentì solo un tonfo sordo e in lontananza il pianto isterico di Janis. Avrebbe voluto urlare e chiamarla a voce alta, ma erano le quattro di notte e non voleva svegliare tutta la famiglia. Si alzò ed indossò velocemente una felpa e un paio di scarpe, per poi uscire dalla sua stanza e scendere in cucina, dove lasciò un biglietto sul tavolo, con scritto che Liam aveva avuto un’emergenza e aveva bisogno di lui, poi era uscito di casa con la macchina di sua madre e aveva guidato fino a casa di Janis. La luce della veranda era accesa e anche una finestra al piano superiore era illuminata; parcheggiò nel vialetto e si precipitò fuori dall’auto e subito entrò in casa Ryan.
“Jan?” chiamò a voce alta, fermandosi ai piedi delle scale. Nessuno però rispose, così si decise a salire al piano superiore. Si trovò davanti ad una porta su cui erano state affisse delle lettere di legno, ognuna di un colore diverso, attaccate seguendo la linea immaginaria di un’onda.
Oliver
Gli si formò un enorme groppo in gola e rimase paralizzato sul posto, dimenticando il motivo per cui era lì, finché non sentì piangere nella stanza in fondo al corridoio. Scrollò violentemente la testa e corse in quella direzione, spalancando la porta e trovando Janis rannicchiata sul pavimento cosparso di oggetti, la testa fra le mani e le gambe nude strette al petto; indossava solo una maglietta e tremava come una foglia, sia per il freddo che per il violento pianto.
“Piccola…” mormorò, inginocchiandosi davanti a lei e spostando la radiosveglia per potersi sedere accanto alla ragazza, le passò un braccio intorno alle spalle e le fece appoggiare la testa a lui, dondolandosi leggermente. Janis si lasciò scappare un altro singhiozzo dalle labbra socchiuse e si aggrappò alla felpa di Zayn, lasciandosi abbracciare e rannicchiandosi contro il suo petto. Zayn continuava a baciarle i capelli e ad accarezzarle la schiena dolcemente, rispettando in silenzio quel momento di sofferenza e ansia, sentendosi ancora turbato per essere entrato in quella casa senza nemmeno rendersi conto di quello che stava succedendo.
Quando Janis smise di piangere, Zayn le scostò i capelli dal viso e la guardò dall’alto.
“Puoi dirmi che è successo?” sussurrò, continuando a ad accarezzarla e a tenersela stretta al petto. Janis lasciò sfuggire un singhiozzo e si asciugò di nuovo le guance con le maniche della maglietta.
“Non lo so…mi sono svegliata dopo aver fatto un incubo e ho sentito che zia Linette era sveglia, così sono andata di là e lei se ne stava andando. Ha detto che tornerà ogni weekend e che ci penserà lei alle varie faccende burocratiche…”, fece un ampio gesto con la mano e storse le labbra, poi abbassò lo sguardo e arrossì leggermente, ricordandosi di essere avvinghiata a Zayn, che annuì leggermente e le lasciò un bacio sulla tempia.
“Sei forte, Jan, puoi farcela. Mi prenderò cura di te sempre e anche tua zia. È come se fosse in un’altra stanza, ma per te ci sarà sempre” disse convinto. Janis alzò lo sguardo e lo incastonò a quello sereno del ragazzo, che la osservava con serietà e dolcezza disarmanti, si mordicchiò il labbro inferiore e si avvicinò al suo viso, strofinando il naso contro la mandibola rilassata di Zayn, pungendosi con la sua barba ispida. Lui ridacchiò e le tirò la maglia del pigiama, per poi insinuare la mano sotto la stoffa e prendere ad accarezzare la pelle ghiacciata della schiena e dei fianchi.
“Sei congelata…” sussurrò, chinandosi su di lei e nascondendo il viso nell’incavo del suo collo, sfiorandolo con le labbra. Janis sussultò e si aggrappò alle spalle del ragazzo, che sorrise e le baciò la mandibola, mentre il cuore partiva per la tangente e la faceva salire sulle sue gambe, per averla ancora più vicina.
“Dovresti dormire, piccola…” mormorò, baciandole di nuovo il collo, mentre lei giocava con i suoi capelli spettinati. Annuì e si scostò dal ragazzo, che la guardò e le sorrise dolcemente.
“Te ne vai anche tu?” farfugliò con voce flebile e appena udibile. Zayn scrollò il capo e le prese il viso tra le mani.
“Non vado da nessuna parte” le assicurò, indicando con la testa il letto a cui era appoggiato, “Dormiamo?” continuò, con una strana luce malandrina negli occhi. Janis arrossì e annuì, alzandosi e porgendo una mano al ragazzo, che l’afferrò e si fece aiutare ad alzarsi.
Il primo a prendere posto fu Zayn, che si sdraiò e sistemò la coperta, tenendola alzata perché Janis ci si rannicchiasse sotto; le fasciò i fianchi da dietro e le scostò i capelli dal collo, per poi posarci un bacio lungo e delicato. Sentì la ragazza rabbrividire a quel tocco e strinse l’abbraccio, facendo aderire completamente il suo corpo a quello della rossa, che timidamente intrufolò i piedi tra le gambe di Zayn e le loro gambe si aggrovigliarono, come se fossero una cosa sola e quello fosse esattamente il loro posto. I loro cuori battevano allo stesso ritmo, i loro respiri avevano la stessa cadenza e il calore emanato dal corpo di Zayn equilibrava la temperatura più bassa di quello di Janis, attaccata a lui come l’ultima foglia che non vuole cedere all’autunno.
Janis chiuse gli occhi e soffiò un sorriso, sentendosi al posto giusto e con la persona giusta, che la cullava dolcemente fra le sue braccia per farla dormire, che c’era sempre quando lei aveva bisogno, che non si tirava mai indietro e correva da lei, che non si era lasciato spaventare dalla sua situazione, dalle sue continue crisi di panico, dai suoi sbalzi d’umore e dalle sue idee confuse. Zayn c’era sempre stato da quando lei era rimasta sola.
Perché solo allora?
 
Svegliarsi nel letto di una ragazza era una novità per Zayn negli ultimi tempi, ma prima dell’arrivo di Janis succedeva ogni sabato sera e la ragazza non era mai la stessa. Da quando aveva provocato la morte di Vivianne ed Oliver, Zayn aveva smesso di bere, non faceva tardi quando usciva con gli amici e non guardava le ragazze. Questo perché Janis gli occupava mente e cuore e non riusciva assolutamente a pensare di potersene separare. Per questo, quella mattina, si svegliò con il sorriso sulle labbra, si stiracchiò ed aprì gli occhi, accorgendosi subito di essere da solo sotto le coperte.
“Jan?” chiamò, scostandosi il piumone di dosso e stropicciandosi i capelli. La casa era completamente silenziosa e avrebbe pensato che non ci fosse nessuno, se non fosse stato per la convinzione e la sensazione che lei fosse lì, con lui. Sospirò e si alzò, sbadigliando ed uscì in corridoio, dal quale udì dei rumori provenire dalla cucina. Le sue labbra si piegarono in un ampio sorriso, mentre scendeva le scale in calzini e si guardava intorno: le pareti erano piene di fotografie di famiglia, disegni e stampe varie e tutto aveva l’aria di una casa in cui viveva una famiglia felice.
“Ehi, ti sei svegliato” lo accolse Janis, mentre sistemava due tazze sulla tavola apparecchiata, allegra e spensierata come non l’aveva mai vista prima. Zayn non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, la sensazione di essere lui il motivo di tanto buon umore lo spiazzava e gli riempiva il cuore di una gioia incontenibile, ma allo stesso tempo gli congelava lo stomaco e gli infiammava i polmoni. Logorato dai sentimenti contrastanti, si limitò ad annuire e passarsi una mano sulla nuca, cercando di far passare il suo tormento per torpore dovuto al sonno. Janis si avvicinò al nuovo arrivato e si alzò in punta di piedi per dargli un bacio sulla guancia e abbracciarlo. Zayn sussultò e le fasciò i fianchi con entrambe le braccia, sollevandola da terra per qualche istante e rimetterla giù tra le risate. Si guardarono negli occhi per qualche secondo, poi lui si chinò su di lei e fece scontrare i loro nasi e infine le accarezzò la mandibola con le labbra.
“Buongiorno” mormorò con voce roca e profonda, facendola rabbrividire fra le sue braccia. La seguì fino al tavolo, dove si sedette e si lasciò servire da Janis, che con energia nuova gli versava il caffè e gli chiedeva una marea di cose, intavolando una conversazione dopo l’altra, talvolta lasciando a metà la frase per cominciare un nuovo discorso. E lui rideva e stava bene, perché Janis stava bene e sembrava felice in quel momento, con lui. La prese per mano e la fece alzare dal suo posto, trascinandosela sulle ginocchia e abbracciandola da dietro, appoggiò il mento alla spalla ossuta della rossa e si beò di quelle emozioni che gli nascevano nel petto quando stava con lei.
Zayn si era sempre domandato come si sentisse suo padre svegliandosi ogni mattina accanto alla moglie, condividendo le gioie della vita, le difficoltà, vedendo i propri figli crescere. Sorrise amaramente quando si rese conto che quello che suo padre e sua madre avevano visto crescendo lui, un ragazzo che non aveva mai dato grossi problemi, che andava bene a scuola e che aveva amici affidabili, si era in realtà rivelato un ragazzo immaturo, irresponsabile e nei guai fino al collo. Non avrebbero certo creduto di star crescendo un futuro assassino, un ragazzo che avrebbe causato una tragedia come quella di Vivianne e Oliver Ryan, morti in un incidente in una notte fredda nella tranquilla Bradford. Era certo di aver causato in loro una rabbia senza eguali, un dolore spropositato. Un’inevitabile delusione.


Aries' corner

Ehilà! Devo ammettere che non pensavo di metterci così tanto a scrivere questo insulso capitolo!!! xD D'ora in oi non so quanto spesso riuscirò a scrivere, perché da domani, ragazzi, inizio l'università!! Non ne potevo più!! xD
Allora, in questo capitolo non succede gran che, speravo di riuscire ad infilarci anche qualcosina in più, ma poi le cose sono andate diversamente da come le pensavo e quindi mi sono dovuta adattare xD
Intanto se siete arrivati fino alle note vuol dire che avete letto il capitolo -forse- e per questo vi ringrazio! Ci tengo molto a questa long :D Vi lascio alle vostre letture! Spero di non aver deluso le aspettative di nessuno, anche se dubito che qualcuno ne abbia...

Bya bye!
Horan Hugs a tutti!!!
AP

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo sei - Verità parziali ***





Inevitabile

Verità parziali



 
Se c’era una cosa che Zayn detestava, quella era mentire ai suoi amici, fare come se nulla fosse, sotto lo sguardo severo di chi, come Liam, sapeva la verità e non aspettava altro che lui la rivelasse almeno agli altri. Aveva provato molte volte a convincere Zayn a confessare tutto a Janis, ma alla fine era arrivato a contrattare e gli aveva concesso altro tempo, a patto che mettesse Niall, Louis e Harry al corrente di tutto, dell’incidente, di Janis, di come se l’era cavata con la giustizia e di come riusciva a non morire guardando la ragazza.
Nonostante detestasse passare per un bugiardo, non era ancora riuscito a trovare il momento giusto per mettere i suoi quattro amici seduti su un divano e aprirsi con loro, confessare, liberarsi di quell’invisibile peso che aveva sullo stomaco, ma che fingeva fosse l’emozione nel vedere Janis. All’ennesimo tentativo di prendere la parola, malamente interrotto da Harry, che non poteva non stilare un rapporto dettagliato sull’ultima ragazza che si era fatto alla festa di Louis, Liam tossì forte e guardò Zayn di sottecchi, grattandosi la nuca e borbottando un confuso “datti una mossa” in direzione dell’amico.
“Harry, puoi aspettare un secondo? Devo dire una cosa importante e ti assicuro che se non lo faccio ora, non lo farò più per le prossime settimane” disse il moro, puntando lo sguardo sul tappeto di casa Horan, dove quel giorno avrebbero dovuto studiare matematica per il test. Harry annuì lentamente, aggrottando le sopracciglia: Zayn non aveva mai usato un tono così spento, privo di qualsiasi emozione, ma soprattutto non aveva mai avuto una cera simile, sembrava davvero teso.
Niall si sistemò sul suo posto, scompigliandosi i capelli e passandosi la lingua sugli incisivi, come faceva sempre quando qualcosa lo preoccupava; Liam sospirò profondamente, rilassando finalmente le spalle e chiudendo gli occhi, mentre Louis ammutoliva. Potevano avvertire tutti il tormento del loro amico, quella insolita emozione che gli faceva tremare le mani e che gli faceva coprire la pelle di brividi. Non era così preoccupato nemmeno quando Anita Curry gli aveva detto di avere un ritardo di quattro settimane, perché quella volta aveva risposto con un freddo “sono affari tuoi” e aveva girato i tacchi. Ma quel ragazzo, quello con gli occhi sempre luminosi e le labbra sempre incurvate in un sorriso di scherno, aveva lasciato spazio ad un sosia, decisamente più riflessivo e riservato.
“Ti ascoltiamo” lo incoraggiò Louis, cominciando a strofinarsi le mani, in ansia per quello che sembrava opprimere anche il suo amico.
“Avete presente quando qualche settimana fa vi ho detto di avere un impegno?” domandò retorico.
“Era un venerdì pomeriggio” puntualizzò Niall, ricevendo una gomitata nel costato da Louis e uno sguardo truce da parte di Liam, mentre Zayn lo guardava con la testa ancora reclinata e annuiva lentamente.
“Non era vero che dovevo andare a casa di una ragazza…” ricominciò, ma fu subito interrotto da Harry.
“Quindi non ti sei scopato Susan? Ma avevi detto che aveva un fisico da sballo!” lo accusò il riccio, trattenendo un sorriso di scherno per il buco nell’acqua del suo migliore amico.
“Haz…” lo rimproverò Louis, distogliendo per un attimo lo sguardo dal viso contratto di Zayn e fulminando l’altro. Possibile che non capisse la fatica che stava facendo e l’importanza di quel momento? Certe volte Harry era davvero così superficiale.
“Sì, beh, no. Non me la sono fatta”, sospirò, “Ero ad un funerale” concluse il moro, senza troppi giri di parole, perché aveva notato che con i suoi amici era impossibile intavolare un discorso che ammorbidisse quell’enorme blocco di marmo che doveva sputare.
Niall aprì la bocca, stupito e al tempo stesso confuso: Zayn ad un funerale? Non sapeva che fosse morto qualcuno che conosceva e nemmeno un suo parente, al funerale del quale, tra parentesi, Zayn non si sarebbe presentato.
Quando Liam si accorse che Zayn non riusciva a proseguire, bloccato da chissà quale pensiero o sentimento o qualunque cosa potesse provocare una reazione simile, si schiarì la gola e cercò un contatto visivo con il suo amico, che tuttavia glielo negò e proseguì con apparente scioltezza.
“Avete presente Janis, sì? E quello che è successo a sua madre e a suo fratello?”, alzò la testa e fissò i suoi amici, muti e sbalorditi, mentre annuivano all’unisono, “Sono stato io”
“Che cosa…sei stato tu a fare cosa?” balbettò Louis, aggrottando le sopracciglia e rizzando la schiena, mentre uno strano presentimento gli annodava lo stomaco e gli faceva sudare la schiena.
“A provocare l’incidente. Ero ubriaco fradicio e avevo fumato, ma questo non mi ha fermato dal mettermi al volante…non mi sono accorto che ero contromano. Non ho avuto i riflessi per evitarla e…sapete tutti com’è finita”, la voce gli si incrinò e lui mascherò il tremolio con un breve colpo di tosse, abbassando di nuovo lo sguardo, consapevole di quale sarebbe potuta essere la reazione dei suoi amici. Non spiegò loro come e perché si sentisse così tremendamente attratto da Janis, non disse loro dei suoi sentimenti in continuo divenire, delle loro serate passate a ridere e guardare film, della voglia di baciarla che si impossessava di lui tutte le volte che erano insieme e non parlavano per qualche minuto, guardandosi e coccolandosi. Non glielo aveva detto perché in fondo nemmeno lui sapeva che cosa regolasse il tutto, quale strano meccanismo della mente o del cuore gli impedisse di dire a lei tutta la verità, di aprirsi e vedere cosa succedeva. Forse era la paura di perderla, forse era il terrore di farla soffrire, forse era semplicemente autodifesa. Oppure era solo amore.
Il silenzio che seguì quella confessione era denso di significato, di domande, di risposte non date, di parole di conforto o semplicemente di gesti trattenuti. Zayn sapeva cosa stava chiedendo ai suoi amici, sapeva che enorme fardello stava smollando sulle loro spalle, ma era anche certo che non li avrebbe lasciati da soli, così come loro non avrebbero lasciato solo lui.
 
Mentre il sole stava calando velocemente, Zayn camminava rapido lungo il marciapiede, le mani affondate nelle tasche dei jeans e lo sguardo basso, concentrato ad immaginarsi come sarebbe potuto essere rivedere Janis, dopo essersi alleggerito del peso che si portava addosso. Tuttavia era ben consapevole che dirlo ai suoi amici non bastava a vivere in pace. Doveva dirlo a lei, doveva rivelarle tutta la verità.
Non quella sera, però, perché dovevano guardare X-Men e non poteva lasciarsi scappare nemmeno un secondo di quel paio di ore che avrebbero passato accoccolati sul divano di casa Ryan, mangiando gelato al cioccolato e popcorn salati. Sorrise pensando alla prima volta che aveva sfiorato la pelle della ragazza: fu un gesto quasi casuale, uno sfioramento appena accennato, ma che era bastato a farla rabbrividire e stringere a lui istintivamente.
Suonò al campanello e fece un passo indietro, reclinando il capo e tirando su con il naso; aspettò solo qualche istante e subito la ragazza aprì la porta, accogliendolo con un caldo sorriso. Si spostò di lato e lo fece passare, per poi chiudersi la porta alle spalle e saltare in braccio al ragazzo, che ridacchiò e le cinse i fianchi con le braccia per non farla cadere, mentre lei nascondeva il viso nell’incavo del suo collo. Tenerla fra le braccia era la cosa più bella che Zayn avesse mai fatto, i loro corpi si incastravano alla perfezione e sembravano non doversi separare mai, ma lui le lasciò un bacio tra i capelli e la mise giù, per guardarla negli occhi e nutrirsi di quegli occhi così limpidi e vivi. Si fissarono per un po’, poi lei si mordicchiò il labbro inferiore e lui sorrise apertamente, accarezzandole una guancia lentamente. Avrebbe voluto dirle tante cose, stringerla ancora fra le sue braccia, scaldarla e lasciarsi scaldare il cuore, invece si schiarì la voce e abbassò lo sguardo, tormentato dal desiderio e dai rimorsi.
Nel più completo silenzio, Janis guidò Zayn fino in salotto e si passò una mano tra i capelli, lasciati sciolti come piaceva a lui.
“Dammi la giacca, che l’appendo” mormorò, improvvisamente in imbarazzo. Era insolito che si sentisse così, perché per quanto lei non avesse esperienze amorose, non aveva mai provato disagio con Zayn, si era sempre considerata al sicuro, al posto giusto, voluta bene. In quel momento, però, aveva lo stomaco tutto aggrovigliato, le guance rosse, il battito accelerato e i muscoli tesi, in attesa di un contatto con il ragazzo.
Quando tornò nel salotto, trovò Zayn ancora in piedi al centro del tappeto, le mani nelle tasche e la testa reclinata e ne rimase talmente affascinata che trattenne il respiro per non farsi scoprire, così da poterlo osservare ancora per un po’, studiare il suo profilo dolce, il naso appuntito, i capelli scuri, gli occhi chiusi e la barba ispida. Si morse l’interno della guancia, quando lui si voltò a guardarla e le sorrise apertamente.
“Il film sta per iniziare” disse con voce calda, facendola rabbrividire ma al tempo stesso sciogliere. Annuì leggermente e andò a sedersi sul divano, strinse le ginocchia al petto e vi appoggiò il mento, seguendo con gli occhi Zayn che prendeva posto vicino a lei, come tutte le volte. Quella sera, però, lo sentiva più vicino del solito, il calore che emanava era più intenso e le penetrava più a fondo nelle viscere e non sapeva perché, ma si sentiva come una calamita di polo positivo: attratta dal polo negativo fino ad attaccarcisi. Così drizzò la schiena e aspettò qualche istante, prima di appoggiare la tempia alla spalla di Zayn, che le passò un braccio intorno alle spalle e soffiò un sorriso; era sempre bellissimo averla lì, fra le braccia, sentire il suo profumo, regolarsi con il suo respiro, poterla accarezzare e coccolare. Non si era nemmeno accorto che la stava fissando, fino a quando lei non si voltò e lo sorprese, inarcò le sopracciglia e arrossì teneramente, mentre lui avvertiva un tuffo al cuore e tratteneva il respiro.
“Va tutto bene?” chiese lei, la voce ridotta ad un sussurro imbarazzato, anche se nessuno dei due era capace di interrompere il contatto visivo per primo. Zayn annuì e si avvicinò un po’ al viso di Janis, che non si mosse di un centimetro, incuriosita e paralizzata al tempo stesso. Fu un attimo e le loro labbra si trovarono, lei non oppose la minima resistenza e, anzi, si avvicinò ulteriormente a Zayn, che la prese in braccio senza interrompere il bacio e se la strinse al petto, dentro cui era scoppiata la terza guerra mondiale. Janis sorrise sulle labbra del ragazzo e gli accarezzò una guancia, come a verificare che stesse succedendo davvero e che non fosse solo una sua immaginazione. Arrossì ancora di più quando lui schiuse leggermente la bocca e accarezzò la sua con la lingua, impazientemente cauto per non rovinare tutto con la fretta e non spaventarla e lei lo lasciò fare, gli permise di approfondire quel momento che stava aspettando da tantissimo tempo. Appoggiò una mano sulla spalla del ragazzo e l’altra andò direttamente a scompigliargli i capelli corvini, mentre lui prendeva ad accarezzarle la schiena con gesti ampi e lenti e la faceva aderire completamente al suo petto, permettendole di mettersi a cavallo delle sue gambe.
Il cuore di Janis correva più veloce di qualsiasi felino esistente sulla terra, il suo corpo scottava e i suoi polmoni chiedevano sempre più ossigeno, ma le sue labbra non potevano lasciare quelle di Zayn oppure, lo sapeva, si sarebbe svuotata di tutto quello che aveva in quel momento: calore, vita, gioia, amore, Zayn.
Continuarono a baciarsi per minuti e minuti e si separarono solo quando Zayn sentì la colonna sonora dei titoli di coda e a quel punto ridacchiò e si allontanò si un centimetro da lei, giocò con la punta del suo naso e le lasciò un altro bacio veloce a fior di labbra. Aprì gli occhi e notò che Janis li teneva ancora chiusi, le ciglia lunghe nascondevano quelle iridi verdastre e di cui lui aveva un bisogno vitale.
“Non sai da quanto volevo farlo…” sussurrò, la voce più roca e affannata di prima, ma il cuore stracolmo di felicità. Fu allora che Janis lo guardò e si mordicchiò il labbro inferiore, arrossandolo ancora di più di quanto non fosse già per colpa del bacio.
“E tu non sai da quanto io aspettavo che tu lo facessi” rispose, allontanandosi definitivamente da lui, che tuttavia non sembrava intenzionato a lasciarla fuggire così e le passò una mano sulla nuca e le andò incontro, appoggiando di nuovo le labbra sul quelle sottili della ragazza e tornando così a provare quel vortice di emozioni che, era sicuro, lo avrebbe inghiottito.
“Non ti farò del male, Jan…” le promise, scostandosi di pochi millimetri da lei, che rabbrividì e ripristinò il contatto con quell’unica ancora di salvezza che aveva: Zayn.
Ora che Zayn aveva finalmente realizzato il suo sogno più frequente, poteva dirsi davvero felice, ma un’ombra calò sul suo cuore, oscurando anche quell’ultimo spiraglio di luce che si era intravisto quel giorno: aveva cominciato a ragionare con la vita, ad amare Janis con tutto il cuore, a raccontare la verità.
Solo parte della verità.

 


Aries' corner

Oh che fatica scrivere questo capitolo!! Non avevo ispirazione, ma soprattutto non avevo tempo! Il ritmo universitario mi sta massacrando! O sono in treno o sono a lezione o sono sui libri! Mamma mia!! Però sono carichissima e non vedo l'ora di iniziare il tirocinio!! :D
Ma la mia carriera universitaria non è l'importante! L'importante è questa dolce coppia Janis-Zayn, che finalmente si può chiamare coppia!! *^* Sono felice, devo confessarlo, perché non ne potevo più di scrivere di due ragazzi che si vogliono bene, ma che non sono fidanzati! Era ora che succedesse!! :D

Alla prossima!!
AP aka Mariuga 

PS: devo ringraziare Mich, che mi ha praticamente riavvicinata alla scrittura e ha creato due carinissime immagini Zanis che vi lascio qui sotto!! Grazie Poop! :3




 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo sette - Under the mistletoe ***


A tutti coloro che hanno passato un
buon Natale, ma ancora di più a chi,
invece, ne ha passato uno difficile.
Al mio amico Marco, nella speranza
che almeno quest'anno il tuo Natale
sia stato sereno. 


 



Inevitabile

Under the mistletoe
 
Il 23 dicembre Janis aveva già compreso che quello non sarebbe stato un Natale come gli altri, che non si sarebbe svegliata con Oliver che correva da tutte le parti, la mamma che faceva i pancakes e papà che leggeva il giornale davanti al camino acceso; sapeva che non ci sarebbe stato nessun pranzo con i parenti, nessuna colazione fatta di fretta per poter aprire i regali, niente rumore di carta strappata, niente coriandoli sul tappeto, niente mamma e papà in piedi alle loro spalle ad osservare la reazione dei due figli; non ci sarebbe stata la nonna con la sua classica busta con i soldi, non ci sarebbero stati i cugini davanti alla televisione a guardare film scadenti mangiando marshmallow, non ci sarebbe stato Oliver, che con occhioni dolci la implorava di giocare alla battaglia navale.
No, quel Natale sarebbe stato completamente diverso, perché la stessa Janis non aveva nessuna voglia di festeggiare. Aveva già programmato di svegliarsi tardi, prepararsi una tazza di cereali e piazzarsi davanti alla televisione fino all’ora di pranzo. Forse avrebbe fatto una telefonata a zia Linette, a Carol e a Melory per augurare loro un felice Natale, ma poi si sarebbe chiusa di nuovo in se stessa, udendo in sottofondo il brusio dei parenti. Sicuramente avrebbe mandato un messaggio a Zayn, che subito l’avrebbe richiamata, ma aveva già deciso di non tenerlo al telefono molto, perché lui doveva tornare dalla sua famiglia per continuare a festeggiare in pace quel giorno speciale; lui avrebbe insistito e detto che non c’era nessun problema, sarebbe uscito in veranda e le avrebbe chiesto come stava.
Avvertì le farfalle allo stomaco, come le capitava ogni volta che lo sentiva, mentre mise a posto l’ultima scatola di addobbi.
Aveva tirato fuori tutto l’occorrente per decorare il camino, fare l’albero, mettere la ghirlanda alla porta e le candele che la mamma amava tanto, il centro tavola fatto dalla nonna, il nastro rosso lungo il corrimano della scala, i festoni sul parapetto del portico e gli adesivi alle finestre. Aveva preparato tutto, aveva scoperchiato tutte le scatole, poi aveva fissato il contenuto e aveva stretto le labbra: come si permetteva di festeggiare dopo quello che era successo? Poi Zayn aveva suonato alla porta, lei si era asciugata le lacrime ed era corsa ad aprirgli, si era rintanata fra le sue braccia e aveva alzato la testa per ricevere il bacio del suo ragazzo. Zayn era entrato e aveva commentato il fatto che non avesse ancora fatto le decorazioni e si era offerto volontario per darle una mano, sorridendole dolcemente. E Janis non aveva saputo dire di no, così avevano cominciato ad intrecciare rami finti e nastri dorati, avevano sgombrato l’angolo in cui avrebbero messo l’albero, sembrava tutto pronto. Avevano anche ordinato la pizza, in modo da poter continuare nel loro lavoro, ma Zayn aveva visto Janis in difficoltà, così l’aveva stretta in un abbraccio delicato, le aveva lasciato un bacio sul collo e si erano sdraiati sul divano a farsi le coccole.
Ed era finito tutto lì, perché Zayn era tornato a casa e Janis aveva appena chiuso nell’armadio del corridoio ogni singola decorazione.
Tornò in soggiorno, guardò la stanza spoglia e gli sembrò più giusto che fosse così.
 
Il giorno della vigilia di Natale, in casa Malik, era tutto concentrato sul menù del pranzo con i parenti, sugli ultimi ritocchi all’albero, la preparazione degli ultimi pacchetti e, nel caso specifico di Zayn, una corsa contro il tempo per comprare gli ultimi regali. In particolare, ovviamente, gli mancava il regalo per Janis, quello più importante e difficile. Aveva chiesto consiglio alle donne di casa e il risultato era stato a dir poco deprimente: Safaa gli aveva detto di comprarle una Barbie da collezione, Waliyha una borsa di Gucci o Prada, Doniya una collana o un braccialetto e sua madre era semplicemente scoppiata in lacrime.
Così Zayn si era arreso all’idea di dover passare la Vigilia in giro per negozi. Si vestì in fretta ed aprì il cassetto in cui teneva i soldi per le emergenze, li infilò tutti in tasca e fece per uscire dalla stanza, quando suo padre gli bloccò la strada.
“Papà” esclamò sorpreso, interrogandolo con lo sguardo. Non aveva notato che era piuttosto di fretta?
Yaser entrò in camera e si chiuse la porta alle spalle, poi sprofondò le mani nelle tasche dei pantaloni e guardò il pavimento.
“Dove stai andando?” domandò con voce pacata, per poi inchiodare il figlio con gli occhi.
“A comprare gli ultimi regali, lo sai” farfugliò il ragazzo, senza comprendere il perché delle azioni del padre.
“Scommetto che ti manca anche quello per la bella Janis”
Bingo. Zayn inarcò le sopracciglia e si morse il labbro inferiore. Suo padre sapeva della sua relazione con Janis, era stato lui stesso a parlarne in casa, ma non capiva il motivo di quel discorso e di quel tono così serio e profondo. Annuì lentamente, senza smettere di fissare il padre.
“Stai mandando a puttane tutto quello che ho fatto per tirarti fuori da quel casino” soffiò Yaser, la voce resa acuta dall’ira, ma comunque controllata per non essere sentito nel resto della casa.
“No, papà” lo contraddisse Zayn, che fece un passo avanti e fronteggiò l’uomo, “Tu hai fatto una cosa che…per cui ti sarò grato e debitore per tutta la vita. Ma stare con lei non significa rovinare tutto” disse sicuro. Lui guardò il figlio e scrutò attentamente la sua espressione, i muscoli tesi, le labbra serrate e gli occhi scuri. Soffiò un sorriso.
“Perché non le regali la verità, per Natale?” chiese, poi si voltò ed uscì dalla stanza di Zayn, lasciandolo lì, impalato sul posto, tremante e spaventato.
Regalarle la verità sarebbe stato devastante per lei, le avrebbe spezzato il cuore, provocato un dolore tanto grande quanto quello della morte di sua madre e suo fratello, l’avrebbe allontanata per sempre. Scrollò violentemente il capo ed entrò nel negozio di musica in cui Janis gli aveva raccontato la storia del suo nome.
Alexander Ryan era un amante del rock e del blues e quando era giovane ci fu una donna che sconvolse il mondo della musica: Janis Joplin. Era sempre stato affascinato da quella donna così indipendente, alternativa, sempre alla ricerca della libertà. La sua tragica scomparsa, nel 1970, fu un duro colpo per lui e in quel momento decise che la sua primogenita si sarebbe dovuta chiamare così, Janis, in onore di quell’incredibile donna, che aveva fatto della sua difficile vita la forza per continuare a lottare per quello in cui credeva.
La ragazza gli aveva detto che suo padre aveva i dischi in vinile, ma non il grammofono, quindi si era limitata ad ascoltare qualche canzone su Youtube. Nonostante ciò, era rimasta anche lei colpita dalla Joplin, la sua voce dolce ma ruvida, le canzoni lente e tristi, i testi malinconici e profondi.
Era un regalo banale ed insulso, ma sperava comunque che le piacesse. Pagò la copia di Pearl ed uscì con il sacchetto stretto fra le dita; gli mancavano ancora un paio di regali e non c’era posto migliore se non il centro commerciale. Avrebbe sicuramente fatto un salto in libreria, perché sapeva che Janis amava i libri fotografici e poteva essere un buon regalo insieme al cd. Forse, pensò, non era esattamente il caso di regalarle qualcosa che le ricordasse il padre e qualcos’altro la madre, però confidava nell’amore che la sua ragazza provava per i genitori scomparsi e sperava che capisse che il suo gesto era un invito a non dimenticarli.
 
Non sapeva perché si trovasse lì, aveva accettato di accompagnare Melory ai grandi magazzini per cercare un regalo per il suo ragazzo, così magari avrebbe potuto prendere qualcosa per Zayn. Ed eccola lì, in un negozio di intimo, nel reparto maschile, mentre la sua amica le mostrava almeno cinquanta paia diverse di boxer. Certamente non avrebbe comprato a Zayn un paio di mutante con Babbo Natale, la imbarazzava il solo pensiero di portarle alla cassa. Melory rise per l’ennesimo mugolio della ragazza, che arrossì e scrollò la testa, più per esprimere la sua assenza di idee che non il suo dissenso.
“Cos’hai pensato di prendere a Zayn?” le chiese allora Mel, razzando nel cesto delle occasioni. Janis dovette impegnarsi non poco per mettere da parte l’immagine della sua amica con un perizoma da uomo in mano e rispondere alla sua domanda.
“Pensavo…pensavo di dare un’occhiata al negozio di colori e in libreria”, distolse lo sguardo da quell’ammasso di stoffa e si guardò i piedi, dondolando avanti e indietro.
“Non hai pensato a niente di più brioso?” la prese in giro l’altra, lanciandole addosso un tanga zebrato, che cadde direttamente ai piedi della rossa.
“Mel, che schifo!” squittì, balzando all’indietro e urtando qualcuno. Si voltò per scusarsi e si trovò davanti un divertito Zayn, che la guardava con un sorriso birichino sulle labbra.
“Ciao” disse, per poi chinarsi e lasciarle un veloce bacio sulle labbra. Janis arrossì ancora di più e nascose il viso tra le mani, respirando profondamente.
“Usciamo di qui” bofonchiò, appoggiò le mani sul petto del suo ragazzo e lo spinse fuori dal negozio, mentre questo se la rideva e camminava all’indietro. Le passò un braccio intorno ai fianchi e l’avvicinò a sé, baciandola più intensamente di prima; Janis gli prese il volto tra le mani e ricambiò il gesto, beandosi di quelle labbra morbide e di quella barba ispida che le pungeva la pelle.
“Che ci facevi in quel negozio?” si interessò il moro, allontanandosi da lei e circondandole le spalle con un braccio. Janis sospirò e si passò una mano nei capelli.
“Melory sta cercando qualcosa per il suo ragazzo” disse “E anche io”, abbassò gli occhi e si mordicchiò il labbro inferiore, “Tu?”
Zayn ridacchiò e alzò i sacchetti che teneva in mano.
“Ultimi regali” disse solo, baciandole una tempia, “Ti lascio al tuo shopping, ci vediamo nel pomeriggio”, sciolse l’abbraccio e la prese per mano. Lei annuì e gli accarezzò una guancia, poi si alzò in punta di piedi e lo baciò teneramente.
 Mentre tornava verso il negozio, si toccò le labbra e sorrise tra sé: baciare Zayn le lasciava sempre una strana sensazione sulla pelle e nel cuore, come se fosse una bevanda calda in una notte d’inverno gelido, come il getto dell’acqua fredda della doccia dopo una giornata di caldo torrido. Era rigenerante, era intenso, era tutto ciò che fa sorridere, era un abbraccio in un momento di sconforto, era una nevicata la notte della Vigilia, era la risata di un bambino, era il sorriso di una mamma, era una torta di una nonna, era un cielo senza nuvole, era una notte con una marea di stelle. Era Zayn, colui che l’aveva tirata fuori dalle sabbie mobili, colui al quale aveva affidato il suo cuore ammaccato, colui che non si era lasciato spaventare e l’aveva amata.
“Siete così carini” l’accolse Melory, in mano una sportina contenente un pacchetto dalla carta rossa. Janis sorrise mestamente e scrollò le spalle.
“Ancora non riesco a crederci” confessò. Melory la prese a braccetto ed insieme si incamminarono verso la libreria del centro commerciale. Lì dentro ci si poteva perdere, Janis lo sapeva: quando sua mamma doveva comprare un libro, la lasciava libera di vagare tra gli scaffali e lei, otto anni, si perdeva a guardare le copertine colorate dei libri per bambini, quelle incomprensibili dei libri per grandi e quelle affascinanti dei libri fotografici. Ne sceglieva uno, si sedeva ai piedi dello scaffale e ne sfogliava le pagine, lasciandosi colpire dalle foto più strane, finché la mamma non tornava a cercarla e l’aiutava a rimettere a posto quell’enorme volume. Un giorno le aveva promesso che quando sarebbe stata più grande le avrebbe regalato un libro di foto ogni Natale e ancora adesso Janis aspettava quel momento. Vivianne aveva avuto la possibilità di regalarle solo tre di quei libri, poi basta. E Janis sapeva che non ne avrebbe ricevuti più, perché lei non c’era più e nessuno, a parte lei, capiva quella sua strana passione.
Si recò direttamente agli scaffali dei libri di arte, cercando di non lasciarsi incantare da quello subito accanto, e cominciò a scrutare i diversi volumi, in cerca di qualcosa che le richiamasse il volto di Zayn e il suo amore per il disegno. Trovò un fascicolo per imparare a disegnare i tatuaggi, lo prese in mano e lo sfogliò velocemente. Zayn aveva diversi tatuaggi sulle braccia e, per quanto ne sapeva lei, ne aveva alcuni anche sull’addome. Quello non era sicuramente il momento di pensare a quanto avrebbe voluto vederli, così scrollò il capo e nascose il sorriso dietro a quel sottile libro, chiudendo gli occhi e ridacchiando da sola. Melory l’affiancò e guardò stranita quello che teneva in mano l’amica.
“Che hai da ridere?” domandò scettica, nascondendo tuttavia il sorriso. Era bello riavere quella versione di Janis, rivederla ridere per le battute stupide, arrossire per quelle a sfondo sessuale, prendersi in giro da sola per le sue strane manie. Sapeva di dover ringraziare Zayn Malik per questo, ma qualcosa dentro di lei le impediva di credere che quel ragazzo non nascondesse qualcosa.
Janis prese per mano l’amica e la trascinò alla cassa, mettendosi in fila dietro ad altri ritardatari nel fare i regali. Le mostrò la copertina del libro e la ragazza sbiancò.
“Vuoi farti fare un tatuaggio?!” squittì a voce alta. Alcuni clienti della libreria si voltarono nella loro direzione e Janis rise sommessamente.
“Forse un giorno. Ma gli prendo questo libro perché lui ha un sacco di tatuaggi sulle braccia e gli piacciono, ma non se li fa perché dice che i disegni che ci sono in circolazione sono troppo banali. Con questo può disegnarseli lui!” trillò entusiasta.
“Te sei tutta matta” borbottò Melory, scrollando la testa e sorridendo apertamente. Era matta, ma finalmente era felice, parlava di qualcosa con enfasi, si appassionava, gesticolava talvolta. Erano comportamenti che prima aveva, ma più pacati, poi si era chiusa a riccio per superare il lutto e ora, grazie a Zayn, era tornata ad essere viva.
Uscite dal centro commerciale, Janis camminò svelta verso il negozio di colori e articoli da disegno all’angolo della strada, entrò senza nessun indugio e salutò il proprietario, sorpreso dall’irruenza con cui quella ragazza si era precipitata nel suo umile negozietto. Melory guardava da lontano Janis che rovistava in contenitori di pennelli, matite e colori, poi la vide illuminarsi e correre verso lo scaffale delle bombolette spray. Roteò gli occhi e si avvicinò a lei.
“Bombolette di vernice?” la interrogò, prendendo in mano quella della tempera gialla. L’altra si voltò nella sua direzione e sgranò gli occhi.
“Bombolette?”, arricciò il naso, “Oh! Oh, no. Stavo pensando a questo”, si fece da parte ed indicò all’amica una striscia di pelle marrone con più tasche contenenti matite, pennelli, gessetti, carboncini, strumenti vari, tutti riposti ordinatamente. Il commesso si avvicinò a loro e si schiarì la gola per richiamare la loro attenzione.
“Quello è un ottimo articolo per gli amanti di qualsiasi tipo di arte grafica. Voi lo siete?”, aveva un modo di porsi diffidente, ma la sua voce trasudava ammirazione e rispetto. Janis scrollò il capo.
“Il mio ragazzo lo è. Sto cercando un regalo per lui” spiegò. L’uomo annuì lentamente e si grattò la nuca, evidentemente deluso da quell’affermazione.
“Se è davvero un amante dell’arte, deve essere un mio cliente. Qui a Bradford non ci sono altri negozi come questo” farfugliò, cercando di non sembrare borioso e altezzoso.
“Si chiama Zayn. È alto, moro, con gli occhi castani e le ciglia lunghe, tiene spesso la barba e quando ha la giacca di pel-”, Melory le diede una gomitata e ridacchiò, “Sì, ehm…si chiama Zayn Malik” mormorò Janis, arrossendo per la figuraccia appena fatta.
“Ho capito, sì! Zayn viene spesso qui e compra sempre un sacco di materiale per disegnare. Non penso abbia mai comprato qualcosa per dipingere…”, si grattò il mento ed osservò gli scaffali stracolmi del suo negozio, poi alzò l’indice in aria e girò i tacchi. Janis piegò la testa di lato e lo seguì, mentre Melory sbuffava e rimaneva sulla porta.
“Dovrei avere qualcosa che fa al caso tuo…” gridò l’uomo, per sovrastare il rumore di scatole di latta spostate con poca grazia. La ragazza lo raggiunse alle spalle e lo guardò scendere dallo sgabello su cui era salito in piedi per raggiungere il ripiano più alto, in mano una specie di piccola cassettiera schiacciata di legno. Si spostarono al bancone, su cui lui appoggiò quello strano oggetto.
“Vedi, nel primo cassetto ci sono quarantotto matite colorate, nel secondo ci sono matite di diversa durezza, carboncini, gomme per cancellare e per sfumare e ogni altro tipo di strumento per il disegno…” le spiegò, “Sono certo che Zayn non ce l’abbia, perché è l’unica copia che ho e non l’ho mai messa in esposizione. Gliel’avrei mostrata più avanti, ma credo che sia più bello se gliela regalassi tu”, scrollò le spalle e guardò la ragazza, che gli sorrise apertamente ed annuì, tirando fuori il portafoglio dalla borsa. Non aveva la più pallida idea di quanto costasse, ma quell’anno non avrebbe badato a spese per quei pochi regali che voleva fare, specialmente se era quello per Zayn, per il quale avrebbe fatto follie.
 
Fu un pranzo alquanto rumoroso e caotico, quel giorno, perché Waliyha voleva a tutti i costi convincere i genitori che era abbastanza grande per passare il Capodanno in discoteca con le amiche, Doniya sbuffava per le urla isteriche della sorella, Safaa gridava per sovrastare tutti e raccontare del gioco che la maestra le aveva fatto fare durante educazione fisica e Trisha sgridava tutte e tre le figlie femmine. Zayn mangiava in silenzio, gli occhi fissi sul piatto, un mal di testa atroce e un’incredibile voglia di sbrigarsi per andare da Janis, ma sapeva che finché quel casino fosse andato avanti, lui non avrebbe potuto alzare il sedere dalla sedia. Ripensava alla proposta che sua madre gli aveva fatto non appena era rientrato in casa: invitare Janis a passare il giorno di Natale insieme a loro. Non sapeva cosa lei avrebbe potuto rispondere, ma non vedeva l’ora di chiederglielo e vedere la sua reazione, anche se negativa.
“Stupide regole” borbottò a voce talmente bassa che non la sentì nemmeno lui. Poi accadde qualcosa di imprevisto, Yaser si alzò strisciando la sedia e nella stanza calò un silenzio reverenziale che mai si era sentito in casa Malik. Zayn alzò lo sguardo dalla sua cotoletta di pollo e guardò il padre, dall’altra parte della tavola, aggrottò le sopracciglia e solo dopo si accorse che lui lo stava fissando con insistenza.
“Puoi andare, Zayn” disse solo, con tono solenne ed espressione seria. Il ragazzo aprì la bocca per dire qualcosa, ma subito intervenne una delle sue sorelle, che si oppose alla decisione del padre.
“Io non ho mai avuto il permesso di lasciare la tavola prima della fine!” si lamentò Doniya, con tono acuto e la schiena dritta di chi è rimasto particolarmente offeso. Zayn sostenne lo sguardo del padre e lo analizzò a fondo, per cercare di capire se lo stesse mettendo alla prova o se veramente lo stava lasciando libero di andare dalla sua ragazza, dopo averlo accusato di essere sul punto di rovinare tutti i suoi sforzi per mantenere segreta la verità. Quello che vide in quelle iridi così uguali alle sue era fiducia, fierezza, amore e rispetto.
“Vai” ripeté l’uomo, accompagnando le parole con un cenno del capo verso la porta d’ingresso ed un sorriso lieve, ma ben visibile. Zayn non se lo fece ripetere una terza volta, prese il suo piatto e sparecchiò le sue cose, poi passò accanto al padre e lo ringraziò con un gesto appena percepibile della testa ed uscì svelto di casa.
Con ancora la testa che gli esplodeva, Zayn imboccò il vialetto di casa di Janis e parcheggiò l’auto dietro a quella della sua ragazza. Aveva un gran voglia di baciarla e di vederla, mentre correva verso la porta e suonava il campanello due volte.
Janis chiuse di scatto il libro che stava leggendo e schizzò in piedi, dandosi una veloce sistemata ai capelli e al maglione, dirigendosi all’ingresso. Quando aprì la porta non fece in tempo a dire niente, che Zayn era già sulle sue labbra, baciandola teneramente e tenendola per i fianchi con fare possessivo, gli allacciò le braccia al collo e si alzò in punta di piedi, avvicinandosi ancora di più a lui. Quando si separarono, Zayn le accarezzò una guancia con la punta del naso e soffiò un sorriso.
“Mi sei mancata” sussurrò, lasciandole un veloce bacio sulla mandibola. Janis ridacchiò e lo allontanò un poco, poi chiuse la porta e lo guardò negli occhi. Era sempre più bello e tutte le volte si stupiva di quello che erano riusciti a costruire e di come lui la facesse sentire speciale e amata. Ancora nel più totale silenzio, si spostarono dall’atrio e si accomodarono sul divano, coprendosi con una coperta e rimanendo così, ad ascoltare il respiro dell’altro e bearsi della sua presenza.
“Cosa farai domani?” domandò Zayn, posandole un bacio sul collo e lasciandosi inebriare dal profumo del suo shampoo. La sentì rabbrividire e farsi ancora più piccola fra le sue braccia e questo provocò un moto di orgoglio in lui, che strinse l’abbraccio.
“In che senso?” farfugliò lei, non riuscendo a capire il motivo di quella domanda.
“Domani è Natale e mia mamma ti ha invitata a casa nostra” spiegò tutto d’un fiato. Janis si raddrizzò sul posto e lo guardò con occhi allucinati, aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi arrossì di botto e nascose la faccia nelle mani. Zayn ridacchiò e si mise seduto anche lui, appoggiando una mano su un polso sottile della sua ragazza per cercare di scoprirle il viso.
“Ehi, che c’è?” mormorò, prendendo ad accarezzarle la pelle con il pollice. Lei sospirò pesantemente e finalmente lo guardò, gli occhi pieni di lacrime calde e le guance rosse. Vedendola così, lui si allarmò e si chiese che cosa aveva detto di sbagliato, ripetendosi mentalmente le sue parole. Non gli sembrava di aver detto niente di offensivo o di poco carino, quindi non capiva il perché di quella reazione.
Nel momento in cui Zayn le aveva chiesto di unirsi a loro per festeggiare, Janis si era sentita scoppiare, il cuore aveva preso a batterle all’impazzata, la sua mente era andata in tilt, mentre ogni singola cellula del suo corpo la spingeva ad accettare. Ma quando era stata sul punto di rispondere, aveva sentito un enorme magone bloccarle il respiro e pesarle sullo stomaco, una sensazione crescente di nausea, le lacrime pungerle le palpebre e un singhiozzo minacciare di uscire.
“Jan, ti prego, dimmi che c’è” si allarmò Zayn, mettendosi in ginocchio sul pavimento, in modo da poterla fronteggiare, prendendole poi il volto fra le mani e asciugando una lacrima che era sfuggita al suo autocontrollo.
“Niente”, si alzò dal divano e lo lasciò lì, in ginocchio sul pavimento, mentre lei saliva svelta le scale e si rintanava in camera sua.
Zayn era sempre stato bravo con le ragazze, perché a casa ne era circondato, ma c’era qualcosa in Janis che gli sfuggiva, qualcosa che la rendeva così misteriosa e affascinante. Qualcosa che lo spaventava. Come se lei stesse lottando contro se stessa, come se tutto in lei le dicesse di stargli alla larga e lei fosse combattuta fra l’istinto di ascoltare quel suggerimento oppure no. Si risvegliò dai suoi pensieri quando sentì una porta sbattere al piano di sopra, si passò una mano sulla nuca e si alzò, percorrendo con cautela il tragitto che lo separava da quella fragile creatura che gli aveva rubato l’anima. Abbassò la maniglia della camera ed infilò la testa dentro: Janis era seduta sulla scrivania, le ginocchia strette al petto e la guancia appoggiata ad esse, guardava fuori e non mosse nemmeno un muscolo quando lui entrò e si schiarì la gola.
“Jan?” la chiamò, ma lei ancora non rispose. Allora lui si avvicinò come si fa con gli animali selvatici e arrivò alla finestra, le appoggiò una mano sulla spalla e subito la ritrasse, quando lei scattò spaventata. Si guardarono un paio di istanti, poi lei lasciò andare le gambe e si voltò verso il ragazzo, prendendogli una mano e avvicinandolo a sé.
“Scusa” sussurrò a testa bassa, mordicchiandosi poi il labbro inferiore e dandosi mentalmente della stupida per come aveva reagito a quella semplice proposta.
“Non fa niente” la rassicurò, passandole un braccio intorno ai fianchi, “Verrai?” domandò timoroso, ma questa volta Janis non reagì da lunatica, bensì gli sorrise apertamente ed annuì, continuando a torturarsi le labbra con i denti. Zayn provò una gioia irrefrenabile e appoggiò entrambe le mani sui suoi fianchi, sollevando un poco la felpa ed accarezzandole la pelle liscia, per poi baciarla con tenerezza e attirarla a sé, facendo sì che lei gli allacciasse le gambe al bacino e le braccia al collo. Presto si ritrovarono coinvolti in un turbinio di emozioni, i respiri corti, le labbra fameliche, le mani curiose e Zayn dovette staccarsi per non finire troppo in là, per non oltrepassare quel confine che nessuno aveva tracciato, ma che lui sentiva presente ed insormontabile. Si guardarono per qualche istante, poi Janis lo attirò di nuovo a sé e lo strinse ancora più stretto, percependo i suoi muscoli irrigidirsi e poi rilassarsi immediatamente, mentre le loro lingue si sfioravano e i vestiti cominciavano a diventare gabbie da distruggere. Il primo a spezzare una delle sbarre fu Zayn, che insinuò una mano sotto la pesante stoffa della maglia della sua ragazza e la piazzò direttamente sulla sua schiena, mentre approfondiva sempre di più il bacio, che si faceva intenso e veloce, ed entrambi sentivano più caldo. Janis armeggiò un po’ con la cerniera della felpa di Zayn, la slacciò e gliela fece sfilare subito; impaziente di poter toccare la sua pelle, infilò una mano sotto la maglietta e accarezzò il torace di Zayn, che ansimò sulle sue labbra, per poi sorridere nel bacio e salire a slacciarle il reggiseno per ripicca. Senza pensarci due volte, Janis afferrò i lembi della maglietta del suo ragazzo e gliela tolse, lasciandola cadere ai piedi della scrivania. Sentiva caldo ovunque, il suo cuore batteva come un matto, le sue mani tremavano e sentiva le ginocchia molli. Eppure in quel momento non riusciva proprio a staccarsi dalla fonte di tutte quelle emozioni: Zayn. Quest’ultimo scese a baciarle il collo e Janis lasciò cadere la testa all’indietro, infilando una mano tra i capelli corvini di lui e ansimando piano. Zayn non riusciva a credere a quello che stava per succedere, anche se non aveva mai avuto problemi di questo tipo. Con Janis era diverso, a lei teneva davvero, non era solo sesso, era una cascata di brividi, sensazioni, vampate calde e gelide, pelle d’oca, spasmi muscolari, sospiri e gemiti. Lei era tutto quello e lui ce l’aveva lì, tra le mani, le sue labbra erano sulla sua pelle, le sue dita giocavano con i suoi capelli. Le fasciò i fianchi con entrambe le braccia e la sollevò dal tavolo, voltandosi e arrancando verso il letto, dove la fece sdraiare e la baciò passionalmente e lentamente, senza curarsi di andare ad un ritmo definito, ma soltanto facendole capire quanto la desiderasse. Janis ridacchiò e sbottonò i jeans di Zayn, che in un lampo se li tolse e si sdraiò su di lei, cercando di non pesarle troppo; la baciò ancora più lentamente e si beò della sensazione delle sue labbra morbide sulle sue, delle loro lingue che si inseguivano, delle sue dita sottili e ghiacciate che gli accarezzavano la schiena e lo mandavano fuori di testa. Le accarezzò il ventre con una mano e scese a giocare con l’elastico dei suoi pantaloni della tuta, mentre soffocava i suoi gemiti con un bacio senza fine e tratteneva quel sorriso spontaneo e sincero che tutta la situazione gli provocava. La sua gioia era incontenibile, avrebbe voluto farlo subito, senza aspettare, voleva donarle fisicamente tutto il suo amore, ma allo stesso tempo voleva che quel momento durasse in eterno, che le loro mani non la smettessero di torturare la pelle dell’altro, che le loro labbra non la smettessero di inseguirsi e che i loro cuori non la smettessero di battere all’unisono.
Intrufolò due dita sotto la stoffa della tuta e Janis sobbalzò, graffiandogli la schiena e ansimando più forte. Erano entrambi al limite, erano sull’orlo di un precipizio in fondo al quale si trovava la pace, l’amore, la tranquillità. Loro due.
 
Zayn non aveva mai creduto nell’amore, non aveva mai dato fiducia ai sentimenti, alle alterazioni del battito cardiaco; aveva sempre seguito il cervello, nel bene o nel male, aveva sempre pensato che l’amore non fosse una cosa per lui. Eppure quella mattina non riusciva a smettere di sorridere, mentre si alzava dal letto, mentre si lavava la faccia e mentre si lasciava trascinare giù dalle scale da una sovraeccitata Safaa. Era la mattina di Natale e niente avrebbe potuto rovinare quella giornata, perché ci sarebbe stata Janis al suo fianco, perché aveva ancora il suo profumo nel naso, perché sentiva ancora il suo nome trasformato in sospiri, perché non riusciva a non pensare che aveva fatto l’amore con la sua ragazza e che per la prima volta si era sentito felice di farlo. Non era solo la mattina di Natale, quella, ma era la prima mattina della sua nuova vita, una vita fatta di amore, di felicità, di sorrisi, di tachicardia, di arrossamenti, di baci, di Janis. Una nuova vita durante la quale, chi lo sa, avrebbe trovato il coraggio di confessare tutta la verità anche alla vittima della sua stupidità, quella fragile creatura che gli aveva messo il cuore in mano e gli aveva chiesto di prendersene cura e di ricucire le profonde ferite causate da uno sconosciuto che indossava una maschera con il suo volto. Da quando Janis era entrata a far parte della sua misera vita, Zayn sentiva di essere cambiato, aveva un motivo per svegliarsi la mattina, aveva una ragione per sorridere, qualcuno da chiamare, qualcuno a cui scrivere messaggi nel mezzo della notte solo per accertarsi che stia dormendo, qualcuno con cui ridere anche davanti ad un film drammatico, qualcuno con cui bere cioccolata calda con i marshmallow davanti al camino acceso, qualcuno di cui prendersi cura, qualcuno con cui fare l’amore tutta la notte, qualcuno da aiutare a fidarsi della gente, qualcuno con cui parlare di qualsiasi cosa. Aveva Janis e questa consapevolezza lo rendeva l’uomo più felice dell’universo.
Scese a fare colazione con il cuore leggero, perché a differenza degli altri anni, quel Natale non avrebbe dovuto sopportare la sua caotica famiglia da solo, ma si sarebbe potuto voltare e vedere che accanto a lui c’era lei, la sua vita.
Guardò Safaa scartare ogni regalo con espressione meravigliata, mentre lui sorrideva distrattamente e non si rendeva davvero conto di quello che riceveva in dono, troppo concentrato a pensare al dono più grande che avrebbe ricevuto di lì a qualche ora e a quello che aveva scartato la sera precedente, quando aveva fatto l’amore con Janis senza che nessuno dei due se lo aspettasse, senza pretese, senza secondi fini. Solo puro e semplice amore.
 
Janis non aveva la più pallida idea di cosa indossare per il pranzo a casa di Zayn e di come comportarsi con la sua famiglia. Non si era mai trovata in una situazione simile, non aveva mai dovuto pensare a che maglietta abbinare ai jeans o se fosse il caso di mettere un vestito o come tenere i capelli o di che colore usare l’ombretto. Non c’era abituata e non si era nemmeno mai immaginata una cosa simile, ma era consapevole di doverlo fare con le sue stesse mani, non poteva chiamare Melory e Carol per una cosa così banale, perché con molta probabilità stavano ancora dormendo e comunque non era giusto disturbarle in un giorno di festa per una cosa così stupida. Erano rimaste molto sorprese da quello che la loro amica aveva raccontato il giorno precedente, non si aspettavano che lei si lasciasse andare così velocemente con Zayn, ma erano felici del suo entusiasmo e di sapere che grazie a lui aveva ripreso a camminare sulle sue stesse gambe.
Provò un paio di abbinamenti, poi fissò il mucchio di panni sul suo letto e sbuffò, appoggiando le mani sui fianchi e battendo il piede ritmicamente.
Come presa da una visione, si trovò catapultata indietro nel tempo, quando da bambina sbirciava la mamma che sceglieva cosa indossare per le cene di lavoro di papà e lei, nascosta dietro la porta, spalancava la bocca meravigliata dai mille abiti che sua madre aveva nell’armadio.
Poi tornò al tempo presente e senza nemmeno un’esitazione uscì dalla sua stanza e si fermò davanti alla porta della camera dei suoi genitori. Alzò la mano tremante ed afferrò la maniglia fredda, inspirò profondamente ed espirò lentamente, poi entrò accendendo la luce. Una valanga di ricordi la investì in pieno, mentre si dirigeva a passo lento verso l’armadio e ne apriva con timore le ante color panna. L’odore di chiuso venne subito spazzato via dal profumo degli abiti di Vivianne e Janis si sentì rinascere dal profondo; sfiorò la stoffa di un tubino color tortora, poi si concentrò su un abito color corallo: si ricordava il momento esatto in cui sua madre l’aveva indossato la prima volta e lei glielo aveva criticato perché invidiosa del modo in cui le calzava a pennello. Sorrise malinconicamente e lo sfilò dalla gruccia per guardarlo bene: era un vestito semplice, lungo fino al ginocchio, con le maniche corte e le spalle rinforzate, un raffinato scollo a barchetta e una cinturina nera in vita. Sorrise di nuovo e se lo mise davanti al corpo, cercando di capire se le sarebbe potuto andare bene. L’ultima cosa che voleva era rovinare le cose di sua madre, anche se lei non avrebbe potuto dirle niente di persona. Il senso di colpa l’avrebbe inseguita fino in capo al mondo e niente le avrebbe potuto togliere la sensazione di essere una persona orribile e spregevole, per questo si sfilò immediatamente il vestito e ne prese un altro, più semplice e meno raffinato, ma pur sempre di ottima fattura e di grande stile.
Mentre finiva di sistemare i capelli in una crocchia quasi elegante, suonarono alla porta e si dovette accontentare di legarsi in una coda ordinata e voluminosa. Quando aprì la porta, Zayn la guardò dalla testa ai piedi e spalancò la bocca sorpreso.
“Sei bellissima” balbettò, arrossendo un poco. Janis si mordicchiò il labbro inferiore e si lisciò la gonna.
“E’ di mia madre” spiegò con un filo di voce.
Il ragazzo si rabbuiò e si ritrovò a pensare che se Janis si trovava in quella situazione dolorosa, era solo e soltanto colpa sua e della sua idiozia, ma non poteva certo farsi vedere con quella faccia, quindi la prese per i fianchi e catturò le sue labbra in un bacio soffice e lento.
“Buon Natale, piccola mia” soffiò a pochi millimetri dalla sua pelle, solleticandole il viso con la barba e facendola ridacchiare.
Quel suono, quella voce così profonda e sensuale, quella barba ispida e nera, quel naso a punta e quegli occhi vispi, tutto quello era suo e lei era certa che non si sarebbe mai stancata di averlo intorno e di guardarlo. Quel giorno l’avrebbe passato con la famiglia del suo ragazzo, sebbene non conoscesse nessuno di loro, eccezion fatta per la piccola Safaa.
Arrivarono a casa di Zayn troppo velocemente per i suoi gusti e la prima cosa che provò fu quell’immotivato senso di inadeguatezza che l’accompagnava ovunque, persino a fare la spesa. Sospirò pesantemente e guardò la portiera con riluttanza, mentre Zayn scendeva e l’aspettava sul marciapiede con le mani nelle tasche. Quando si accorse che lei non sembrava intenzionata a scendere, si avvicinò all’auto e aprì lo sportello dalla parte di Janis.
“Tutto bene, Jan?” chiese con una vena di preoccupazione nella voce. Lei sorrise sovrappensiero, gli occhi ancora puntati verso il basso, come incantata, poi stiracchiò un sorriso ed annuì.
“Se non dovessi piacergli?” mormorò, sistemandosi i capelli nella cosa e lisciandosi la gonna nervosamente. Zayn ridacchiò e le prese il viso tra le mani, lasciandole un veloce bacio stampo e tornando a sorriderle raggiante.
“Prima di tutto devi piacere a me. Secondo, non è stando in macchina che lo scoprirai. Terzo, farai un figurone” le assicurò, sigillando quella promessa con una altro lungo e casto bacio. La prese per mano e la fece scendere dalla macchina, chiudendole lo sportello alle spalle e sorridendole ancora con fare incoraggiante. Era bellissima anche nell’indecisione, era bellissima anche se si vergognava come non mai, anche se si sentiva superflua, esagerata, troppo elegante, troppo poco sofisticata, troppo giovane, troppo sfigata, troppo sola.
Alla porta la tensione non diminuì, nonostante Zayn non mollasse la sua mano, nonostante si sforzasse di sorridere, nonostante fosse grata al ragazzo per averle chiesto di essere lì quel giorno, nonostante sapesse che un pranzo non aveva mai ucciso nessuno. Una donna dagli enormi occhi castani aprì alla porta e sorrise raggiante alla vista dei due giovani; sembrava una persona gentile e molto dolce, ma lei non riuscì ad evitarlo e si nascose un poco dietro il suo ragazzo, che si voltò ad osservarla e la guardò con un’espressione tra il confuso e l’intenerito. Strinse la presa sulla sua mano e si sforzò di salutare la donna sollevando un angolo della bocca e cercando di sembrare meno spaventata di quanto in realtà non fosse, le porse una mano ed aspettò che la madre di Zayn ricambiasse il gesto.
“Sono Patrisha, piacere di conoscerti” disse con il tono dolce di una madre realmente contenta di trovarsi di fronte alla fidanzata del figlio.
“Janis” mormorò la giovane, uscendo un poco dal suo riparo ed arrossendo un poco, consapevole che il suo comportamento non fosse esattamente consono ad una ragazza di ormai diciotto anni.
All’interno della casa la storia non fu tanto diversa, tranne che con Safaa, che corse ad abbracciare Janis e le saltò in braccio, nonostante gli ammonimenti del fratello, che ancora non aveva capito se la sua ragazza aveva piacere o no di essere lì con lui e la sua famiglia per il pranzo di Natale. Non era ancora riuscito a captare i segnali tipici di Janis, come il tono leggermente più acuto, il continuo sistemarsi i capelli e il sorriso tirato di quando faceva qualcosa controvoglia e questo non faceva che renderlo irrequieto, perché se c’era una cosa che odiava, quella era proprio non riuscire a capire la sua ragazza, non poterla aiutare nel momento del bisogno.
Per tutta la durata del pranzo, Janis alternò le sue attenzioni tra la parlantina di Safaa, le domande di Patrisha, le battutine dei cugini di Zayn e le continue frecciatine dello zio del ragazzo, che voleva a tutti i costi sapere se erano già arrivati a quel punto e al quale Zayn non aveva nessuna intenzione di svelare che sì, avevano fatto l’amore e che era stata la serata migliore della sua intera vita. Ogni volta che sentiva essere ripreso quell’argomento, Janis non riusciva a non arrossire e sorridere come una scema, perché lei sapeva bene cosa avevano fatto il giorno precedente, si ricordava ancora la sensazione di avere le labbra di Zayn sulla sua pelle, le sue mani a sfiorarle tutto il corpo, quel calore così intenso da fonderle qualsiasi blocco e qualsiasi organo, quell’esplosione che aveva sentito nel petto appena lui aveva sussurrato il suo nome in preda al piacere, l’emozione di lasciarsi stringere tra le sue braccia e aspettare che i loro cuori tornassero a battere regolarmente, insieme. Certo, però, era felice che anche Zayn preferisse tenersi tutto per sé, sperava davvero che non fosse come gli altri, che si vantano delle loro conquiste e delle loro avventure sotto le lenzuola, anche perché lei per prima non era quel genere di persona, ma era una ragazza alquanto riservata, parecchio insicura sotto l’aspetto dell’amore e delle relazioni.
Mentre Janis chiacchierava con Safaa, a fine pranzo, Zayn si sedette accanto a lei sul tappeto e le baciò una spalla, attirando l’attenzione della ragazza, che si voltò e fece scontrare i loro nasi, poi sorrise e si allontanò appena, perché non era certo il caso di scambiarsi effusioni davanti ad una bambina e nemmeno davanti all’intera famiglia Malik.
“Come stai?” mormorò il ragazzo, ignorando le insistenti lamentele della sorellina, che doveva ancora finire il racconto ed era stata brutalmente interrotta. Janis ridacchiò e gli accarezzò una guancia coperta da un sottile velo di barba, combattendo contro la voglia di baciarlo e chiedergli di stare un po’ da soli per parlare.
“Tutto bene, tu?” rispose con tono dolce, senza staccare gli occhi da quelli del suo ragazzo. Avrebbe potuto perdersi in quelle iridi color nocciola, in cui si rispecchiava tutta la sua essenza, tutto il suo amore e nel quale vedeva il vero Zayn, quello che l’amava, che non l’aveva lasciata sola un attimo, quello che l’aveva presa per mano e le aveva chiesto di poterla salvare dall’incombente naufragio del suo cuore.
“Ti va di scappare?” domandò con un sorriso malandrino e Janis non poté fare a meno di annuire e prenderlo per mano. Safaa sbuffò pesantemente e li guardò dirigersi verso le scale che portavano al piano di sopra, poi tornò a giocare con la nuova Barbie che le aveva donato Babbo Natale.
Zayn aprì la porta della sua camera e si fece da parte per far passare prima lei, poi la seguì e si chiusero dentro a chiave, giusto per essere sicuri di non essere disturbati.
Non era la prima volta che Janis entrava nella camera di Zayn, c’era stata diverse volte, quando lui era a casa da solo e avevano voglia di cambiare le pareti dentro cui stare, passando da casa sua a quella del ragazzo, anche se solo per farsi un po’ di coccole e guardare un film. Quella volta, però, tutto aveva un sapore nuovo, come se entrambi si aspettassero qualcosa, un gesto, una parola, che facesse esplodere tutta la loro voglia di stare insieme. Zayn si schiarì la gola e si avvicinò all’armadio, da quale tirò fuori una sportina azzurra che sembrava contenere qualcosa di pesante. Janis aprì la bocca, poi si ricordò che anche lei doveva ancora dare il suo regalo a Zayn, così si alzò e corse verso la porta, girò la chiave e prima di uscire lo guardò.
“Torno subito, non ti muovere”, sorrise raggiante e corse lungo il corridoio, percorse in fretta le scale, afferrò la sua borsa dall’appendiabiti e tornò al piano di sopra come se non fosse mai scesa. Zayn fissava ancora la porta con un’espressione confusa, ma quando la rivide sorrise ed aspettò che lei chiudesse di nuovo la porta a chiave.
“Ti ho preso qualcosa anche io” si giustificò lei, scrollando le spalle e andando a sedersi sul letto, si sfilò le scarpe ed incrociò le gambe sul materasso, dimenticandosi per un attimo delle buone maniere e di indossare un vestito. Il ragazzo ridacchiò e si piazzò di fronte alla sua ragazza, imitando la sua posizione e cercando di non farsi distrarre dalla gonna troppo corta e dalla quell’importante porzione di pelle scoperta. Deglutì rumorosamente e sperò con tutto il cuore che lei non avesse notato la sua difficoltà nel sopportare una situazione simile. La osservò estrarre dalla borsa la sporta di un negozio che conosceva bene e per un attimo si trovò a pensare a quanto fosse fortunato ad avere una ragazza come lei, che era riuscita a capirlo ancora prima che lui si lasciasse scoprire.
“Prima io” farfugliò lei, rossa in viso e con gli occhi bassi, porgendogli il sacchetto. Zayn lo prese con una mano e con l’altra le mise davanti il suo regalo.
“Insieme” disse solo, aspettando che lei focalizzasse la sua attenzione sul pacchetto che sua madre aveva confezionato con cura. Annuì debolmente e lo prese con mani tremanti, poi fissò Zayn negli occhi e si sentì morire dentro. Non era abituata a ricevere regali da persone che non fossero i suoi famigliari, non era abituata a ringraziare, non sapeva come comportarsi di fronte ad una sorpresa, specie se chi gliela faceva era qualcuno come Zayn.
La stanza fu subito riempita dal rumore della carta strappata, poi ci fu un attimo di silenzio, durante il quale Zayn fissò la scatola che aveva tra le mani, un sorriso che premeva per spuntare e la curiosità che lo portava a studiare bene quell’oggetto, mentre Janis sentì un tonfo dentro al petto, si rigirò tra le mani in disco di Janis Joplin, poi si asciugò una lacrima quando prese in mano il libro fotografico sui monumenti e gli edifici più strani ed insoliti. Il cuore martellava nella cassa toracica, aveva la gola asciutta e la vista appannata dalle lacrime, aveva una gran voglia di scappare da quella stanza, da quella casa, da quella città e da quella vita, ma l’unica cosa che fece fu togliere di mano a Zayn il suo regalo e fiondarsi fra le sue braccia, lasciando che il pianto le impedisse di parlare, permettendo ai singhiozzi di squassarle i polmoni e le lacrime bruciare la sua pelle come gocce di limone. Il ragazzo rimase spiazzato da quella reazione, indeciso se fosse provocata dalla disperazione, dalla gioia, dalla gratitudine o dalla rabbia, non sapeva cosa fare, cosa dire e come chiederle cosa fosse successo. Si sentiva inutile e colpevole, non avrebbe dovuto farle quei regali, era riuscito a sbagliare tutto anche in una cosa così semplice e forse avrebbe dovuto ascoltare i consigli delle sue sorelle, comprarle una borsa o un braccialetto, senza entrare in quella sfera delicata e malmessa che lui stesso aveva distrutto. Non riusciva a parlare, ogni suono era stato cancellato dai singhiozzi della sua ragazza, che tremava fra le sue braccia, premuta contro il suo petto in cerca di conforto, protezione, aiuto. Allora lui non poté fare altro se non abbracciarla, dondolarsi sul posto e baciarle i capelli, aspettando che lei si calmasse per poterle chiedere spiegazioni, potersi scusare e poterla baciare teneramente, perché sapeva che un bacio avrebbe potuto farla stare meglio.
Passarono minuti interminabili, duranti i quali Janis non aveva dato segnali di calmarsi, poi d’un tratto smise di piangere, tirò su con il naso, si asciugò le lacrime e nascose il viso nell’incavo del suo collo, lasciandoci un leggero bacio. Zayn intensificò le carezze sulla schiena e si schiarì la voce.
“Tutto a posto?” sussurrò timoroso, passando ad accarezzarle le spalle con una mano e con l’altra una coscia. Janis annuì contro di lui e soffiò un sorriso.
“E’ davvero un regalo bellissimo, Zayn” mormorò, lasciando un altro veloce bacio sulla pelle calda del suo collo, “Scusami. Ti sarò sembrata un stupida” mugugnò, raccogliendo le gambe e stringendosi ancora di più contro il petto del ragazzo, che bloccò le carezze e si allontanò un poco, in modo da costringerla ad alzare la testa verso di lui. Le sorrise dolcemente e si chinò sulle sue labbra, posandoci un leggero bacio al sapore di lacrime.
“Ho esagerato con i ricordi, scusami” farfugliò, ancora sulle labbra sottili di Janis, che scrollò velocemente il capo e gli intrappolò il volto fra le mani.
“Sei fantastico e non potrei desiderare un ragazzo migliore di te” gli disse con voce dolce e un leggero rossore a colorarle le guance. Zayn sorrise apertamente e si fiondò a baciarla con passione, costringendola a sdraiarsi sul letto, scansando i regali da una parte, e prese ad accarezzarle i fianchi, le braccia, le cosce e i capelli, poi lei ridacchiò e lui si fermò, il fiato corto ed una fastidiosa erezione nei jeans. Si grattò la nuca a disagio e si mise in ginocchio, mentre lei si sollevava e lo riattivava a sé, coinvolgendolo in un nuovo travolgente bacio e riportandolo sdraiato su di lei. Zayn sapeva che tutto quello era sbagliato, che quello che stava facendo era un enorme casino; sapeva che sarebbe arrivato il momento in cui lei avrebbe scoperto la verità e lo avrebbe allontanato, ferita e delusa come non mai. Tuttavia, in quel momento non riusciva a non pensare che lei era lì, per lui e con lui e che erano vicini a fare l’amore, fregandosene dei parenti al piano di sotto, delle lacrime appena versate, delle ferite riaperte, dei sensi di colpa riemersi. C’erano solo loro due.
L’afferrò per i fianchi con entrambe le mani e si spinse verso di lei, affinché sentisse quanto la desiderava, poi le sfilò le calze con finta delicatezza, attento a non romperle per evitare di lasciare tracce evidenti di quello che stavano facendo. Janis ansimò a voce alta e Zayn si fiondò a bloccare qualsiasi dolce suono con un bacio infinito, mentre lei si affrettava a slacciargli il bottone dei jeans e glieli tirava giù, liberando la sua eccitazione e cercando un contatto più diretto e libero. Un altro gemito venne inghiottito dalle loro labbra sigillate, le mani si divertivano con la pelle dell’altro, i loro corpi si fondevano e davano vita ad un solo essere umano, non c’era un suono in quella stanza che non fosse prodotto da loro due, dal loro amore così sconnesso e insensato, eppure salvifico e fondamentale.
Si rivestirono senza fretta, scambiandosi baci veloci e sorrisi furbi, sistemandosi i capelli a vicenda e ridendo delle espressioni dell’altro, come se non fossero consapevoli della propria. Prima di uscire, Zayn frugò in una sportina e ne estrasse un piccolo rametto di vischio, poi prese Janis per mano e l’attirò a sé. Lei gli circondò il collo con le braccia e lo guardò sostenere sulle loro teste quel piccolo ramoscello; ridacchiò e tornò a fissare il suo ragazzo, che in un attimo avvicinò il volto al suo. Janis si mordicchiò il labbro inferiore e appoggiò la punta del naso a quella del moro, perdendosi di nuovo i quel mare color nocciola.
“Ti amo” sussurrò Zayn, stringendo ancora un po’ l’abbraccio e desiderando di essere ancora sdraiati a letto a fare l’amore, le lasciò un veloce bacio sulle labbra e non si allontanò se non di qualche millimetro, in modo da poter sentire il suo fiato sulla pelle e il suo profumo così buono.
“Buon Natale, Zayn. E grazie di avermi salvata”

Aries' corner

Molto bene, prima di tutto, BUON NATALE!!! 
Seconda cosa, chiedo scusa per l'enorme ritardo! Questo capitolo avrei voluto pubblicarlo prima di Natale, per augurare a tutti voi di trovare un ragazzo che vi faccia battere il cuore. Io sono ancora alla ricerca! ;) Alla fine ho avuto una marea di cose da fare, tra cui molti regali, e non ho avuto uno straccio di tempo per finire e postare il tutto! Quindi eccomi qui! Mi scuso anche per la lunghezza spropsitata e mi duole ammettere che era esattamente così che doveva venire! ^^' Anzi, l'ho anche tagliato, perché alcune parti erano decisamente inutili e veniva una cosa lunga tipo 15.000 parole!! xD

Quindi, in parole povere, buone feste a tutti! Io le passerò a preparare 5 esami che darò a gennaio, ma per fortuna le mie splendide amiche verranno a casa mia a farmi compagnia <3 Non vedo l'ora che sia domani!!! :D 
A presto!
Buon anno e buone feste!!

Horan Hugs
A.P.

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo otto - The last dance ***





Inevitabile

The last dance

 
A Bradford c’era tradizioni che non sarebbero mai passate e che nessuno mai avrebbe cambiato. Una di queste tradizioni era il ballo di primavera della High School, che si teneva solitamente il 27 marzo, al quale partecipavano tutti gli studenti del liceo, nessuno escluso. Persino Janis non ne aveva mai perso uno, nonostante non fosse mai stata una ragazza  amante delle feste, dei balli e dei vestiti eleganti.
Quell’anno, almeno, Janis sarebbe andata alla festa con un ragazzo e non da sola e Zayn, a sua volta, non ci sarebbe andato con la prima che gli capitava a tiro o con Marcy. Aveva ufficialmente invitato Janis con un gesto galante, si era presentato a casa sua con un mazzo di cinque rose rosse e le aveva proposto di essere il suo cavaliere per la serata che si sarebbe tenuta di lì a due giorni. Ormai a scuola non faceva più scalpore vederli insieme nei corridoi o nel cortile, mentre si scambiavano veloci baci e sguardi dolci; nessuno rimaneva più sorpreso da quella strana coppia venuta fuori dal nulla e che aveva cambiato entrambi: Zayn non era più il coglione montato, quello che si ubriacava ogni fine settimana e che fumava come un turco, quello da una ragazza a notte, quello che aveva il permesso di trattare male tutti; Janis, d’altro canto, non era più la ragazzina acqua e sapone, la figlia di papà sempre vestita ordinata e senza un briciolo di personalità. Si erano completati vicendevolmente, aggiungendo all’altro una parte di sé e aiutandolo a smussare gli angoli del carattere che potevano sembrare ostici ad una relazione serena. Zayn era sempre attento alle reazioni della sua ragazza, non la mollava un attimo, la invitava spesso a cena a casa sua, ma non la forzava e non si offendeva se rifiutava. Era a conoscenza delle sempre meno frequenti crisi di panico di Janis, era sempre corso da lei anche nel mezzo della notte e l’aveva tenuta fra le braccia fino al mattino, coccolandola e sussurrandole parole dolci finché non prendeva sonno. Si sentiva in dovere di farlo, perché quello che stava succedendo era tutta colpa sua, nessun altro aveva partecipato a quell’orrore e, anzi, in molti gli aveva sconsigliato di portare avanti la sua storia con Janis, perché il momento della verità sarebbe arrivato e le conseguenze sarebbero potute essere devastanti sia per la ragazza che per lui.
Zayn era certo che prima o poi sarebbe successo, solo non pensava così presto.
 
Quella mattina Janis entrò a scuola con un anticipo notevole rispetto ai soliti cinque minuti, ma non si fermò sotto al portico per aspettare Zayn, perché sapeva che quel giorno non sarebbe andato a causa di una lieve febbre. Sorrise a Melory e Carol e si avviò insieme a loro verso gli armadietti, felice di essere ancora con le sue amiche, ma un po’ triste di non poter vedere Zayn per l’intera mattinata. Aveva già deciso di andarlo a trovare finite le lezioni, anche solo per sentire la sua voce e guardare i suoi occhi limpidi e tranquilli. Era incredibile come si innamorasse sempre di più di lui, come si sentisse completa, amata, rispettata, protetta da un semplice ragazzo di diciotto anni. Eppure con lui era così, bastava una semplice parola a farle battere il cuore all’impazzata, una carezza per farla andare a fuoco, uno sguardo per farla sentire coraggiosa. Zayn era tutto ciò di cui aveva bisogno in quel momento, anche se ancora non capiva perché fosse comparso solo dopo che era rimasta sola. Perché non l’aveva mai cercata prima? Perché non si erano nemmeno mai incrociati nei corridoi? Prima di allora, Janis non sapeva nemmeno che Zayn l’avesse individuata tra le varie ragazze carine della scuola, era convinta di essere solo una delle tante non degne di nota.
Aprì l’anta del suo armadietto per prendere il libro di storia, ma sfilando il volume fece cadere un fogliettino piegato, che scivolò sul metallo liscio e si arrestò ai suoi piedi.
“Ti è caduto qualcosa” disse Melory distrattamente, armeggiando con la sua borsa per farci entrare il quaderno degli appunti. Janis guardò prima l’amica, poi per terra, si chinò e raccolse il biglietto, per poi aprirlo e leggere in silenzio quelle parole scritte con una calligrafia ordinata, decisamente di pugno femminile.
“So tutta la verità sull’incidente di tua madre, ti va di conoscerla? Vediamoci la sera del ballo fuori dalla porta secondaria della palestra. Fino a quel momento, non fidarti di chi ti sta più vicino, è un consiglio.”
Annaspò in cerca di aria e richiuse il biglietto, infilandolo in tasca e scrollando forte il capo. Doveva essere sicuramente uno scherzo di cattivo gusto. Perché proprio in quel momento era venuto fuori un testimone? Perché non prima? Perché aveva deciso di farsi avanti proprio nel momento in cui lei stava bene, era serena e aveva ritrovato la sua stabilità?
Avvertì una strana sensazione all’imboccatura dello stomaco, come se avesse appena ricevuto un colpo e per un attimo avesse smesso di respirare, una strana oppressione sconosciuta ed immotivata; il peso si spostò verso le gambe, lo sentiva chiaramente strisciare via dalle sue membra e gravare sulle ginocchia. Non fece in tempo a dire niente, che si ritrovò carponi, il fiato corto ed un velo di sudore sulla nuca, si prese il volto tra le mani e respirò a fondo, cercando di controllare le reazione del suo corpo, sperando di non scoppiare a piangere come le succedeva ogni volta che aveva una crisi di panico. Le sembrava quasi di avere le mani intorno al collo, di essere vicina a quella lenta e dolorosa morte per soffocamento, provava quella sensazione fisica della gola che si chiude e non permette nemmeno ad un filo di aria di entrare nei polmoni.
Melory e Carol notarono l’assenza della loro amica al proprio fianco e tornarono sui loro passi, chiamandola a gran voce e cercando di attirare la sua attenzione, ma niente: Janis sembrava entrata in una galassia parallela, aveva gli occhi fissi, la fronte imperlata di sudore, tremava tutta, respirava velocemente ed era paurosamente pallida. Un bidello accorse e si caricò Janis in braccio, togliendosi velocemente dal corridoio, per evitare che altri studenti notassero la scena e per portarla in infermeria il più in fretta possibile. Le due ragazze seguivano l’uomo in silenzio, tenendosi a braccetto e provando a capire che cosa avesse scatenato la crisi, già consapevoli che la mossa migliore sarebbe stata chiamare Zayn, anche se quel giorno sarebbe rimasto a casa. Non fu permesso loro di entrare nell’infermeria con la loro amica, così si appoggiarono al muro di fronte alla porta e sospirarono all’unisono.
“Dovremo chiamare Zayn…” mormorò Melory, incapace di mantenere il silenzio in una situazione così tesa ed incerta. Carol annuì e prese fuori il cellulare, selezionando dalla rubrica il numero del ragazzo.
Janis non sapeva che le sue più care amiche avessero il numero di Zayn, perché non avevano un rapporto tale da sentirsi al telefono, anche se spesso si erano ritrovati insieme o erano usciti tutti e quattro per fare merenda in pasticceria. Era stata proprio un’idea di Zayn, che voleva poter essere avvisato in qualsiasi momento e per qualsiasi motivo, se per caso fosse capitato qualcosa alla sua ragazza. E così Carol ascoltò in silenzio il telefono squillare a vuoto e proprio mentre stava per riattaccare, un assonnato Zayn le chiese cosa fosse successo. Le fece una gran tenerezza udire la preoccupazione nella sua voce, anche se ben celata dal suo tentativo di non allarmarsi subito.
“Janis ha avuto un’altra crisi di panico” disse solo, sbirciando Melory e interrogandola con lo sguardo.
“Arrivo immediatamente” rispose il ragazzo con fermezza, ma Carol lo fermò.
“No, non ce n’è bisogno. Hai la febbre e se venissi a scuola poi ti toccherebbe rimanerci tutta la mattina. Appena esce dall’infermeria la portiamo a casa, puoi trovarla lì”, le sembrava una bella idea, ma non aveva fatto i conti con la determinazione di Malik e con la sua insana voglia di essere al fianco di Janis in ogni momento di difficoltà.
“Ha bisogno di me. Arrivo a scuola e vi aspetto nel parcheggio, così la porto a casa io”, non aspettò la replica e riattaccò.
Melory guardò Carol ed inarcò le sopracciglia, richiedendo spiegazioni, che subito le furono date in un sospiro rassegnato.
Nel giro di una mezz’ora erano entrati ed usciti dall’infermeria un paio di professori, che avevano saputo cos’era successo ed erano accorsi a sincerarsi delle condizioni di Janis. Alcuni provarono a convincere le due ragazze ad andare in classe, ma entrambe risposero con fermezza che avrebbero aspettato che la zia di Janis venisse a prenderla, per non lasciarla sola nel caso si fosse ripresa prima. Uno squillo al cellulare di Carol annunciò loro che Zayn era arrivato e aspettava nel parcheggio della scuola. Le due amiche sospirarono al’unisono, nel momento stesso in cui la porta di fronte a loro si apriva ed una traballante ed emaciata Janis usciva, sorretta dall’infermiera della scuola. Subito si alzarono e si avvicinarono, prendendola a braccetto da entrambe le parti e rassicurando la donna che l’avrebbero portata fuori dalla scuola, dove la zia la stava aspettando. Janis le guardò confusa e quando furono da sole Melory le disse che Zayn l’era venuta a prendere per portarla a casa a riposare. Annuì lievemente e si morse forte il labbro inferiore, provando vergogna per la sua incapacità di cavarsela da sola. Se non ci fossero state Melory e Carol, se Zayn non l’avesse presa così a cuore, Janis sapeva che non sarebbe stata in grado nemmeno di alzarsi dal letto per la disperazione di essere rimasta sola.
Dopo essersi fermate all’armadietto per recuperare la borsa, che Carol insistette per portare, le tre ragazze uscirono nel parcheggio a passo lento, per non sforzare troppo Janis, che ancora faticava a reggersi in piedi. Ai piedi delle scale c’era una macchina nera, dalla quale scese Zayn, che corse verso la sua ragazza e le passò un braccio intorno ai fianchi, stringendola delicatamente al petto. Ringraziò Melory e Carol, che gli diede le cose dell’amica, e le guardò rientrare a scuola, mentre Janis si faceva piccola contro di lui, nascondendo il viso nella giacca di pelle e respirando lentamente. Sentirla così fragile e inerme lo rese vulnerabile, fece riaffiorare quella miriade di sensi di colpa che cercava continuamente di soffocare convincendosi che con le sue azioni non faceva altro che farla stare bene, rivivendo in continuazione quei momenti in cui lei, ancora nuda e tra le sue braccia, lo ringraziava per aver fatto l’amore, per essere così dolce e presente per lei.
Scrollò forte la testa e accompagnò la ragazza alla macchina, le aprì lo sportello e prima di lasciarla andare le posò un bacio tra i capelli.
Il tragitto verso casa Ryan fu silenzioso, Janis non aveva aperto bocca e Zayn nemmeno, troppo timoroso di farle rivivere quello che le aveva scatenato la crisi. Aveva bisogno di sentire la sua voce e di sfiorare la sua pelle, ma aveva una paura folle di ferirla, di graffiarla con quella verità spinosa che premeva per uscire dal suo nascondiglio, quella alquanto friabile costruzione di sabbia dentro cui lui l’aveva rinchiusa. Fermò l’auto nel vialetto e guardò la sua ragazza, che teneva le mani in grembo e le fissava ostinatamente, come se stesse cercando le parole giuste, come se si sentisse in imbarazzo ad essere lì con lui. Aggrottò le sopracciglia e andò ad accarezzarle una guancia, riscuotendola dai suoi pensieri e facendo sì che i loro occhi si incontrassero. Le sorrise dolcemente e si sporse verso di lei, baciandola delicatamente sulle labbra più rosa del solito.
“Ti fermi?” gli chiese lei con un flebile sussurro, al quale Zayn rispose con un altro bacio, questa volta più deciso. Dio, cosa avrebbe dato per non perdere quelle labbra per il resto della vita. Scese dalla macchina prima lui e corse ad aiutarla, sorreggendola per i fianchi e conducendola alla porta d’ingresso; lei si chinò sulla borsa e frugò in cerca delle chiavi, mentre lottava con il desiderio di catturare le labbra di Zayn e baciarlo meglio di quanto lui non avesse fatto prima. Si sentiva in colpa per essere rimasta praticamente impassibile, per non aver ricambiato con l’intensità e la passione che in quel momento le ardevano dentro. Aprì la porta e si voltò verso di lui, circondandogli la vita con le braccia e alzandosi in punta di piedi. Zayn accolse di buon grado l’intenzione della sua ragazza, abbassò il viso verso il suo e la baciò lentamente, facendo scontrare i loro respiri e le loro lingue. Le era mancata da morire, anche se non era passato tanto tempo da quando si erano visti l’ultima volta.
Sempre e costantemente in silenzio, Janis arretrò verso le scale, appoggiò la schiena alla ringhiera e lasciò che lui la prendesse in braccio, portandola al primo piano, senza sottrarsi a quel bacio così caldo e bramato.
 
Zayn si sporse verso il comodino e controllò l’orario sul display: le tre e quaranta. Janis dormiva su di lui, la guancia appoggiata al suo petto nudo, l’espressione rilassata e felice. Sorrise tra sé e cominciò a giocare con i capelli della sua ragazza, accarezzandoli, attorcigliandoseli intorno alle dita, scompigliandoli e subito dopo lisciandoli. Il telefono di Janis prese a squillare nella tasca dei jeans mollemente abbandonati per terra, così Zayn fece scivolare la ragazza accanto a lui e si sporse per arrivare a prendere l’apparecchio. Spostando i pantaloni, però, uscì dalla tasca un bigliettino giallo, simile ad un post-it, che catturò la sua attenzione. Aggrottò le sopracciglia e cercò di ricordare quand’era stata l’ultima volta che aveva lasciato un messaggio nell’armadietto della sua ragazza, mentre raccoglieva il pezzo di carta e lasciava perdere la suoneria, che piano a piano si spense.
“So tutta la verità sull’incidente di tua madre, ti va di conoscerla? Vediamoci la sera del ballo fuori dalla porta secondaria della palestra. Fino a quel momento, non fidarti di chi ti sta più vicino, è un consiglio.”
Il cuore prese a martellargli nel petto, mentre la fronte si imperlava di sudore freddo e spostava lo sguardo sul viso rilassato di Janis, addormentata al suo fianco. Che fosse quello il motivo del suo attacco di panico? Che intendesse davvero andarci a quell’appuntamento? Per un attimo pensò anche se non fosse il caso di far sparire il biglietto, nell’eventualità che lei non lo avesse ancora letto. Certo sarebbe stata una mossa deplorevole e disgustosa, ma che altre alternative aveva per salvarsi le penne? Nessuna. Doveva a tutti i costi far sparire quell’inutile pezzo di carta. Nessuno sapeva cos’era successo, se non Niall, Liam, Louis e Harry, ma di loro si poteva fidare ciecamente, ne era certo.
Accanto a lui Janis si mosse leggermente, riappropriandosi della sua posizione sul suo petto e continuando a dormire beatamente, stretta al suo corpo, pelle contro pelle. Accartocciò il foglietto e lo lanciò a caso sul comodino, con l’intenzione di gettarlo nella spazzatura una volta arrivata l’ora di tornare a casa. Improvvisamente sentì come se tutto quello che aveva costruito gli stesse sfuggendo dalle mani, come se il muro di bugie dietro cui si era nascosto si stesse sgretolando sotto i colpi di una realtà troppo crudele e spietata. Guardò la sua ragazza dormire placidamente sul suo torace, le sue spalle si sollevavano lentamente al ritmo del suo respiro, i capelli gli solleticavano la pelle nuda e gli ricordavano di quello che erano, di quello che avevano fatto e dell’amore che lui aveva inquinato con una serie di menzogne sempre più grandi e dolorose.
“Zay?” mugugnò la ragazza, sollevando la testa e cercando lo sguardo del suo fidanzato, che la salutò con un ampio sorriso, dietro il quale nascose ancora una volta ogni emozione.
“Buongiorno, principessa” mormorò, accarezzandole i capelli e fissandola negli occhi. La vide arrossire e mordicchiarsi il labbro inferiore, mentre si accoccolava meglio sul suo petto e si avvicinava a lui per ricevere uno di quei baci infiniti che le riempivano il cuore di gioia e serenità. Le sue labbra sottili si modellarono sulla base di quelle di Zayn, che le strinse i fianchi con le braccia e la tirò un po’ più su, mentre lei, ora sdraiata completamente sopra di lui, prendeva a giocare con i suoi capelli e si divertiva con quel bacio, allontanandosi un poco e beandosi dell’espressione disorientata di lui, che subito si apprestava a raggiungere la sua bocca e a catturarla di nuovo per continuare quello che era stato interrotto.
La verità era che Zayn sapeva benissimo quanto tutto quello fosse sbagliato, quanto stesse affondando il coltello nel cuore di Janis, ma allo stesso tempo non riusciva ad immaginare un finale diverso, un letto senza di lei, una tazza di cioccolata senza la sua risata, un film horror senza i suoi piedi freddi contro le sue gambe. Senza di lei era una persona nulla, incompleta, inutile, perché lei era riuscito ad amarlo e a cambiarlo e lui, d’altro canto, era riuscito a plasmare la sua vita seguendo il modello di quella della sua ragazza, perché era così che voleva vivere: come e con lei.
 
Il giorno del ballo, le lezioni erano sospese per permettere l’allestimento della palestra e per concedere agli studenti il tempo necessario per prepararsi.
Come da tradizione, Janis, Melory e Carol si erano trovate tutte a casa di quest’ultima, così da poter passare una piacevole mattinata fra chiacchiere, maschere idratanti, impacchi per capelli più luminosi e tante tazze di tè caldo.
Era da tempo che le tre ragazze non passavano del tempo così, spensierate e felici, a scambiarsi consigli e racconti, aneddoti divertenti e pareri su cosa fare o non fare con i loro cavalieri per il ballo. Melory e Carol erano state invitate da due ragazzi della squadra di basket della scuola ed entrambe erano su di giri per la novità, mentre si facevano acconciare i bigodini da Janis, intenerita dai gridolini che le due emettevano ogni volta che ripensavano ai loro accompagnatori. Inevitabilmente pensò a Zayn, a cosa stesse facendo in quel momento. Forse era ancora a letto, oppure stava cercando di placare i litigi fra le sue sorelle, o ancora stava ascoltando i mille racconti della piccola Safaa. Sorrise sovrappensiero ed arrossì quando Melory tossicchiò e notò che la stava fissando attraverso lo specchio a cui erano di fronte.
“Smettila di pensare a Zayn o finirai per fare un casino con i miei capelli!” la riprese, trattenendo la risata a denti stretti. Quando Janis si perdeva tra le nuvole, ci si poteva scommettere che stesse pensando a Zayn o a quello che stava per fare con Zayn o a quello che avrebbe voluto dire a Zayn o a cosa starebbe facendo se fosse con Zayn o Zayn, Zayn, Zayn e ancora Zayn. Non lo mollava un secondo, almeno mentalmente, perché quando erano fisicamente lontani, Melory lo sapeva che si pensavano a vicenda, perché quei due erano fatti così: completamente persi, innamorati fino al midollo. Inevitabilmente uniti.
Fasciate nei loro bei vestiti, le tre amiche salirono sul taxi che le avrebbe portate alla festa. Era stata dura decidere con cosa recarsi a scuola, ma alla fine tutte avevano convenuto che prendere la macchina sarebbe stato scomodo e che, ovviamente, i loro cavalieri avrebbero potuto riaccompagnarle a casa personalmente.
Janis si lisciò il vestito verde acqua e si fermò con le dita a sfiorare la fantasia a fiori che decorava elegantemente la stoffa: non si era mai sentita a proprio agio con la gonna e tantomeno con i tacchi, motivo per cui era riuscita a convincere le sue amiche a lasciarle indossare un paio di scarpe Oxford color bronzo. Chissà cosa ne avrebbe pensato Zayn, se avrebbe preferito uno di quei succinti vestitini in stile Marcy Coleman abbinati ai vertiginosi trampoli che anche Mel e Carol avevano nei piedi. Prese un respiro profondo e guardò fuori dal finestrino, giusto in tempo per vedere un ragazzo scendere da un fuoristrada nero. Il suo sorriso si aprì, si voltò verso le altre ragazze e diede loro un bacio sulla guancia, per poi fiondarsi fuori dalla vettura. Non aveva calcolato l’emozione, non si era resa conto di indossare un vestito che le arrivava più o meno a metà coscia, non aveva badato al galateo fino a quando non avvertì lo sguardo di Zayn sulla sua pelle. Si guardarono per un brevissimo istante, poi lui fece un passo verso di lei e le sorrise sinceramente.
“Sei bellissima” farfugliò, piacevolmente sorpreso di vederla conciata così, i capelli sciolti e leggermente spettinati, la borsa color fucsia stretta tra le mani. Era la più bella e dolce creatura che avesse mai visto e come sempre la sua semplicità l lasciò senza fiato.
“Anche tu lo sei”, la sentì balbettare e per poco non scoppiò a ridere. La prese per i fianchi e l’attirò a sé per baciarla con trasporto e farle intendere che un’intera giornata senza sentirsi era decisamente troppo per i suoi deboli nervi di uomo innamorato.
Avvicinandosi alla palestra, Zayn sentì una scossa partirgli dalla base del cranio e correre giù lungo la spina dorsale, fino a diramarsi in una serie di brividi violenti all’altezza dei reni. Quella era la sera in cui tutto avrebbe avuto fine. Lui, Janis, la loro storia, la sua vita, la sua tranquillità, tutto sarebbe cessato in un soffio. Si ripeté mentalmente le parole che aveva letto nel biglietto ed involontariamente strinse la mano della sua ragazza, che si voltò a guardarlo incuriosita.
“Tutto bene?” domandò, fermandosi a lato dell’ingresso e fronteggiando il ragazzo, che sospirò e si passò una mano tra i capelli, guardandosi intorno.
“Dobbiamo andarci per forza?” chiese, tornò a fissarla negli occhi e le rivolse un sorriso tirato, al quale lei rispose con uno decisamente più ampio. Fece un passo verso di lui e gli accarezzò la guancia coperta di barba, poi si alzò in punta di piedi e lo baciò delicatamente.
“Non mi sono mai persa un ballo di primavera, Zee. Non vorrai portarmi via dall’unico a cui mi presento accompagnata, spero” scherzò, strofinando la punta del naso contro il collo teso del ragazzo, che sospirò e le fasciò i fianchi con entrambe le braccia.
“Solo perché sei tu” borbottò, per poi baciarla ancora, come se non riuscisse a staccarsi da quelle labbra per più di due minuti.
Come se sapesse che quelli sarebbero stati gli ultimi baci.
 Il ballo stava proseguendo regolarmente, ma Zayn non riusciva a non pensare a quel biglietto, all’incontro che lo sconosciuto aveva dato a Janis per svelarle tutta la verità. Dentro di lui cresceva l’angoscia, la paura di doversi trovare di fronte una ragazza ferita, umiliata, delusa, distrutta da un dolore che lui stesso le aveva provocato. Nel suo cuore si alternavano sensi di colpa e terrore, consapevole che era solo colpa sua se erano giunti a quel punto, perché lui aveva deciso di avvicinarsi a lei, lui le aveva chiesto di stare insieme, lui le aveva rovinato la vita prima e dopo. Era tutta colpa sua e non sapeva assolutamente come rimediare, perché lei non vedeva l’ora di conoscere la verità, spinta da un nuovo desiderio di rivincita, di vendetta e di riscatto. E Zayn lo sapeva, sapeva come sarebbe andata a finire: lui avrebbe cercato di spiegarle la verità e di chiederle umilmente perdono e lei, in lacrime e con il cuore lacerato, se ne sarebbe andata per sempre.
Per rassicurarsi continuava a ripetersi che non era possibile che qualcuno conoscesse la verità, non c’era nessuno sul luogo dell’incidente, suo padre era stato molto chiaro con i giornalisti e le autorità giunte sul posto per i soccorsi. Nessuno conosceva davvero la vera versione dei fatti, nessuno all’interno della scuola era a conoscenza dell’orribile crimine con cui si era macchiato le mani e di come l’avesse scampata grazie ai soldi di papà.
Scrollò il capo con forza ed ingoiò un altro sorso di punch, espirando poi tutta l’aria che aveva nei polmoni, mentre l’alcol gli riscaldava la gola e gli scioglieva un poco i muscoli tesi.
“A cosa pensi?” domandò Janis, avvicinandosi al suo ragazzo e appoggiandogli una mano sull’avambraccio. Era stranamente silenzioso, in macchina non aveva aperto bocca e nemmeno alla festa era sembrato divertirsi. Aveva intuito che qualcosa non andava, perché appena arrivati lui si era diretto al tavolo delle bevande e aveva trangugiato tre coppe di punch alcolico, sotto lo sguardo incuriosito di Liam e quello severo della professoressa di educazione fisica. Non gli aveva chiesto cosa fosse successo, convinta che fosse solo la tensione.
“Oh, niente. Che ore sono?” rispose lui, guadagnandosi un’occhiata sorpresa da parte della sua ragazza. Era combattuto fra la voglia che tutto finisse e il desiderio che per qualche motivo Janis non incontrasse chi le aveva promesso verità. Doveva essere lui ad impedirle di scoprirlo, per questo le fasciò i fianchi e la attirò a sé. Quella sera era davvero bellissima, elegante nel suo vestito verde acqua, che metteva in risalto il suo corpo esile e nascondeva per bene le ossa troppo sporgenti per i suoi gusti, altro segno di quella tragedia che l’aveva investita in pieno.
“Andiamo a casa?” soffiò a pochi millimetri dalle sue labbra, sperando di ricevere un assenso da parte della rossa, che tuttavia reclinò la testa ridendo.
“Ho una cosa da fare, prima” mormorò, rabbuiandosi un poco e tornando a fissare negli occhi il suo ragazzo, troppo strano quella sera.
“Che cosa?” balbettò, improvvisamente pallido. Un forte ed oscuro presentimento gli si annidò nel petto, infossando profondamente le fredde radici.
“Qualcuno sa la verità, Zayn” disse lei, abbassando il capo e mordendosi il labbro inferiore, “Lo incontrerò stasera e mi dirà chi è stato a causare l’incidente” spiegò con un filo di voce.
Zayn sbuffò e la spinse via, passandosi una mano nei capelli e guardandola infuriato.
“Perché? Perché vuoi a tutti i costi saperlo?” domandò con tono freddo ed ostile. Janis sobbalzò e sentì una stretta alla bocca dello stomaco.
“Pensavo mi avresti sostenuta” farfugliò, preda della confusione e della delusione. Zayn a quel punto rise amaramente.
“Ti farai solo del male. Io lo dico per te”, nella sua voce risuonava qualcosa di aspro, come se non credesse a nessuna delle parole che aveva appena pronunciato, come se stesse ammettendo apertamente che il suo unico scopo era quello di proteggere se stesso.
“Non mi aiuterai?” chiese Janis, facendo un passo indietro, le mani presero a tremarle ed era sicura che da un momento all’altro anche le gambe avrebbero smesso di sorreggerla.
Lui inarcò le sopracciglia e si avvicinò a lei, cercando le parole giuste per salvarsi, per evitare di combinare ulteriori casini, come se quello che stava per succedere non fosse già un enorme casino.
“Dico solo che non mi sembra una buona idea, tutto qui”
Janis aggrottò le sopracciglia ed assottigliò gli occhi, scrutando attentamente il volto di Zayn, che all’apparenza sembrava così tranquillo, ma che nascondeva una profonda angoscia e covava un segreto terribile. Seguì con lo sguardo il corpo del ragazzo, mentre si avvicinava a lei e le passava le braccia intorno alla vita, le baciava il collo e tornava a fissarla.
“Andiamo a casa” cantilenò, gli occhi cupi ed irrequieti. Janis scrollò il capo e si ripeté la scena di poco prima: Zayn la spinse via e mostrò tutto il suo disappunto con un malcelato ringhio.
“Perché sei così dannatamente testarda?! Non ti servirà a niente scoprire la verità! Non puoi cambiare le cose” disse freddo e con tono seccato. La ragazza si avvicinò a lui e gli sferrò un pugno sul petto, mentre le lacrime cominciavano a rigarle le guance. D’istinto Zayn l’abbracciò e la strinse al suo corpo, accarezzandole la schiena per placare il pianto, come tutte le altre volte. Quella volta, però, nel suo gesto non c’era l’intento di tranquillizzarla, ma quello di provare a convincerla a non proseguire in quella battaglia.
“Dillo, Zayn! Dimmelo che stavi con me solo perché sono una povera orfana! Dimmelo che non mi ami veramente, che era tutta pena! Dimmelo che non mi aiuterai mai a trovare chi ha ucciso mia madre e mio fratello!”, gli rifilò un altro colpo e lo allontanò bruscamente, sciogliendo quell’abbraccio che pensava l’avrebbe salvata, ma che in quel momento le bruciava la pelle come gocce di limone. Lo sfidò con lo sguardo, ogni muscolo del suo esile corpo tremava, ogni nervo era pronto a scaricare una serie di impulsi contrastanti che l’avrebbero paralizzata.
“Sono stato io”
Quelle tre parole rimbombarono nella testa della ragazza, che avvertì una forte nausea e credette di essere sul punto di vomitare sul pavimento della palestra. Sbatté un paio di volte le palpebre e aprì la bocca per chiedere spiegazioni, ma quando vide l’espressione sincera e dispiaciuta di Zayn, non ebbe alcun dubbio. Quella era la verità. Era stato lui a distruggere la sua famiglia e il suo obbiettivo era di distruggere anche lei, strapparle il cuore dalla cavità toracica e guardarlo battere le ultime volte, per poi spegnersi definitivamente. E lei aveva lottato per scoprire cos’era realmente successo, nella speranza di poter andare oltre e superare definitivamente il lutto. Arrancò di qualche passo ed appoggiò la schiena alla fredda parete della stanza, mentre tutto intorno a lei cominciava a danzare in un vortice confuso di colori e suoni e la nausea si faceva più intensa. Poteva vedere chiaramente solo colui che le stava di fronte, colui che l’aveva tirata fuori dalle sabbie mobili e poi l’aveva spinta giù, guardandola affogare lentamente ed ignorando le sue grida di aiuto. Le faceva dannatamente male il cuore come se fosse trafitto da tante lame, il respiro era doloroso a tal punto che si trovò a credere di avere miliardi di infinitesimali cocci di vetro, sentiva scariche di freddo e di caldo alternarsi su tutto il suo corpo, mentre nella sua testa riviveva i mesi passati accanto a quel ragazzo, la prima volta in cui si erano rivolti la parola, il primo appuntamento, il primo bacio, la prima volta, tutte le notti in cui lui era piombato a casa sua per tranquillizzarla, i giorni in cui avevano saltato la scuola perché lei era ancora turbata dall’incubo avuto la notte precedente. Rivide ogni singolo sorriso che lui le aveva strappato, quel sentimento che le aveva bruciato ogni residuo di tristezza, quella mano tesa ad aspettare la sua. Lo amava follemente e non poteva ancora credere che il suo cuore si fosse sbagliato e avesse scelto proprio lui. Si sentiva come se avesse tradito la sua famiglia, come se avesse venduto la sua anima al diavolo e avesse voltato le spalle a sua madre e a suo fratello, vittime innocenti di un uomo spietato, che non aveva esitato un istante ad aggiungere un altro nome alla lista delle persone che aveva ucciso.
Scrollò il capo e singhiozzò a voce troppo alta, si tappò la bocca con entrambe le mani e fissò Zayn, la paura di rimanere per sempre da sola le bloccava le gambe e le impediva di scappare da lì, da lui, da quella vita. Era combattuta tra l’impulso di correre da lui, implorarlo di non lasciarla sola, di non abbandonarla come avevano fatto tutti, e quella strana cosa chiamata “istinto di sopravvivenza” che le urlava nelle orecchie di correre via, di nascondersi per sempre in un luogo dove nessuno avrebbe più potuto farle del male, in attesa della sua ora per lasciare quel posto crudele che le aveva portato via tutto.
“Jan, ascoltami” cominciò lui, facendo un passo verso di lei e alzando le mani in segno di resa di fronte alla triste verità, a quello strano destino che li aveva messi così vicini, legati da un unico incidente, eppure così lontani, separati dall’innocenza e dalla colpa.
“Stai lontano da me” soffiò lei, la voce ridotta ad un sussurro gelido, “Non ti avvicinare mai più”
Gli voltò le spalle ed appoggiò la fronte alla parete, inspirando lentamente e chiudendo gli occhi per non vedere quell’orribile realtà in cui stava affondando.
Lui, Zayn Malik, colui che non aveva esitato a correre in suo soccorso, colui che le aveva fatto pronunciare quel primo “ti amo”. Lui era stato mosso solo dal senso di colpa, dalla pietà, dalla pena di vederla così ferita, aveva approfittato della sua fragilità per illuderla che non ci fosse niente di più bello della vita. Liberò un urlo rabbioso e sferrò un pugno al muro, piegandosi sulle ginocchia e lasciandosi andare sdraiata a terra, le ginocchia rannicchiate contro il corpo e la testa nascosta tra le braccia. Avrebbe preferito sparire, avrebbe preferito essere inghiottita dalla terra, finire chissà dove per il resto della sua inutile vita.
Avrebbe preferito morire piuttosto che trovarsi lì.


Aries' corner

Questo enorme ed imbarazzante ritardo ha prodotto un capitolo troppo lungo ed angosciante, lo so. Possiamo anche dire che questo sia IL capitolo, il fulcro di tutta la storia, il cardine, quello da cui in realtà è iniziato tutto, perché devo confessarvi che ancora prima di aver scritto il secondo capitolo, avevo già plottato questo e già scritto il momento in cui Zayn le diceva che era stato lui. 
Sono stata incasinata con gli esami, per questo ci ho messo due secoli a pubblicare! In realtà il capitolo lo avevo iniziato subito dopo aver pubblicato quello precedente, ma poi non ho avuto un secondo libero (ho i testimoni che possono assicurarvi che studiavo dalle 8 di mattina alle 3 di notte) e quindi eccomi qua, più di un mese dopo! :D

Avrei davvero piacere che mi lasciaste una recensione, anche stupida, breve, sconclusionata, quello che volete. Recensisce sempre e solo la mia cara Yvaine e sto continuando a scrivere questa storia seguendo le sue impressioni, ma ogni tanto mi piacerebbe ricevere pareri esterni. Non vi chiedo molto, solo un paio di parole, perché davvero, io continuo a scrivere questa storia solo per Yvaine e perché piace a me, ma ho pensato più volte di cancellarla e non concluderla. Quindi vi prego, fatemi sapere cosa ne pensate!! Non ci crederete, ma è davvero importante per chi scrive, sapere cosa ne pensa chi legge! :)

Qui sotto vi lascio la foto della bellissima Georgie Hanley, la prestavolto di Janis, che indossa il vestito del ballo (so che non è esattamente "da ballo", ma me ne sono innamorata!).

Con la speranza di aggiornare più spesso e di leggere qualche recensione, vi mando un bacione a tutte!!
Horan Hugs
AP

 

 
 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo nove - Araba Fenice ***


 
A tutti coloro che si sono rialzati
e -soprattutto- a tutti quelli che 
ancora cercano un motivo per farlo.
Coraggio.




Inevitabile

Araba Fenice
 




La luce filtrò dalle persiane accostate, ma Janis non si fece scalfire da quello spiraglio di mondo che cercava insistentemente di farsi vedere da lei. Ogni mattina era la stessa storia, la luce del sole entrava ad illuminare un’irrisoria porzione della sua camera da letto, lei si voltava dall’altra parte e aspettava almeno un altro paio di ore, poi si alzava, faceva una doccia veloce, beveva un bicchiere di latte e tornava nel letto a crogiolarsi nel suo immenso dolore, senza uscire di casa, senza rispondere alle chiamate e ai messaggi di Carol e Melory. Si era chiusa in una prigione fatta di disperazione, delusione e rabbia; non aveva permesso a nessuno di parlare con lei; le poche volte che zia Linette era andata a farle visita, Janis non aveva aperto bocca, ma si era limitata a comunicare con lei con lapidari gesti e cenni del capo. Melory e Carol non sapevano più che cosa fare, andavano a casa sua ogni giorno a portarle gli appunti e a vedere come stava, ma la loro amica non rispondeva agli stimoli e non reagiva per nessuna ragione al mondo. Era come se la sua mente si fosse rinchiusa in una stanza di manicomio, con quattro pareti bianche ed imbottite, in modo da non far sentire all’esterno le strazianti grida di chi vuole uscire, ma non può. E Janis era lì, tra quelle pareti, un fantasma che guardava da lontano il suo cervello esplodere e rigenerarsi, urlare e poi tacere. Non sapeva come fare, voleva reagire ma tutto e tutti le sembravano sbagliati, non sapeva più di chi fidarsi, non aveva più alcun appiglio a cui aggrapparsi disperatamente. Per uno strano scherzo del destino, colui che l’aveva tirata fuori, poi l’aveva rispinta giù e la stava guardando affogare nelle lacrime e in quella stanza che, a mano a mano che lei si struggeva nel suo dolore, si riempiva di acqua e la lasciava senza via d’uscita: era costretta ad affogare nella sua disperazione.
Si alzò dal letto e si avvicinò titubante alla finestra. Ogni molecola del suo corpo la spingeva a riprendersi quella vita che le aveva regalato sì tanti drammi, ma anche molti momenti felici.
Come quelli con Zayn.
Sfiorò con i polpastrelli la sottile stoffa delle tende, le fece oscillare, ripeté un paio di volte quel movimento, fissando con aria assorta i giochi di luce sul pavimento, poi alzò lo sguardo e lo fissò davanti a sé, come se qualcuno la stesse chiamando, stesse gridando il suo nome: il mondo voleva che lei tornasse a camminare, a respirare e a godersi la sua seppur disastrata vita. Con uno scatto felino scostò la tenda e si lasciò colpire il viso dalla luce del sole, mentre un primo ampio sorriso le increspò le labbra. Strizzò gli occhi e aprì anche i vetri, affacciandosi e respirando l’aria fredda e pungente di quella stagione. Il suo sguardo vagò sulla strada, nei giardini dei dirimpettai, sulle auto parcheggiate ai margini del marciapiede. Il cuore prese a martellarle nel petto, quando una folata di vento le scompigliò i capelli e la fece rabbrividire: era ora di uscire da quella prigione fatta di angoscia, solitudine, tristezza. Zayn era stato colui che la prima volta l’aveva tirata fuori di lì, quel giorno, però, si sarebbe tirata fuori da sola.
 
“Avanti Zayn, non lasciarmi bere da solo!” sbottò Niall, avvicinando una bottiglia di birra alle mani dell’amico, che fissava le sfumature del legno del tavolo del pub in cui si erano rintanati per fuggire all’ennesimo sabato di studio e di lavori di casa.
“Scusami Nialler, ma non sono proprio in vena” sospirò l’altro e allontanò con una mano la bottiglia dell’amico, stropicciandosi un occhio lentamente ed evitando di guardare lo sguardo deluso di Niall, che si riprese il suo bicchiere e bevve un lungo sorso di birra.
“Zayn, amico. So io cosa ti serve: dell’alcol. Se preferisci puoi fartelo direttamente in vena” si intromise Harry, dandogli una portentosa pacca sulla schiena, che lo fece finire con il petto a contatto con il bordo del tavolo, rischiando così di far cadere la bottiglia di Heineken di Niall. Il moro si scusò con lo sguardo e sbuffò piano per non farsi sentire dagli altri. Avevano ragione, non poteva lasciarsi andare così, c’erano un sacco di cose che poteva fare per cercare di scacciare dalla memoria quegli occhi delusi, quel pianto silenzioso, quel cuore lacerato.
Janis.
Il solo nome della ragazza gli fece partire una scarica di brividi dalla base della schiena fino al collo, portandosi dietro un’ondata di freddo intenso. I sensi di colpa gli attanagliarono lo stomaco e gli mozzarono il respiro in gola, afferrò il bicchiere di vodka di Louis e lo trangugiò come se fosse acqua. Strizzò gli occhi mentre l’alcol gli bruciava la gola e il caldo gli scioglieva i muscoli tesi delle spalle e del collo. Quando tornò a guardare i suoi amici, Niall lo fissava con un’espressione mista tra il sorpreso e il preoccupato, Louis era a bocca aperta per l’irritazione, Harry aveva un sorrisetto furbo sulle labbra e Liam semplicemente lo fissava con quegli occhi che, Zayn lo sapeva bene, stavano scavando la sua anima, trivellando quel muro che celava i suoi sentimenti. Perché non poteva essere più semplice nascondere le sue emozioni? Perché non era riuscito a fregarsene dei sensi di colpa e aveva spiattellato tutto? Perché non poteva avere una vita normale, una mente normale, una ragazza normale.
Janis.
Di nuovo quel caos emozionale gli paralizzò le gambe, i pensieri, il respiro. Non poteva continuare così, non poteva morire dietro alle sue azioni. Non poteva lasciarsi scappare l’occasione di avere Janis e lasciarsi amare e il dolore che provava era qualcosa di lancinante, una pugnalata al centro del petto, una manciata di chiodi nello stomaco, una nuvola di polvere di vetro nella gola. Averla persa per la sua stupidità era la cosa che più lo mandava via di testa, quando pensava a quanto sarebbe stato semplice se lui non si fosse innamorato così irrimediabilmente di lei.
Tirò fuori qualche spiccio dal portafoglio e li allungò sul tavolo in direzione di Louis per ripagargli il drink, poi afferrò la sua giacca ed uscì dal locale senza dire una parola, senza guardare in faccia nessuno se non quel ragazzo che indossava una maschera con il suo viso, quel soggetto che gli aveva smantellato ogni certezza e portato via l’unica cosa per cui valesse veramente la pena di lottare.
Janis.
 
Camminava lentamente fra le vie della città, guardandosi intorno come una turista in visita al Louvre, tutte le sembrava nuovo, perfino l’edicola del vecchio signor Patterson, con tutti quelle riviste di giardinaggio esposte in prima linea. Salutò cortesemente l’anziano signore, che le sorrise calorosamente, tornando a leggere il giornale che aveva tra le mani, salvo poi rendersi effettivamente conto di chi gli aveva rivolto le proprie attenzioni, allora alzò lo sguardo e si sporse oltre la piccola balaustra.
“Signorina Ryan, buongiorno! È un piacere rivederla!” la chiamò, facendola voltare. Lei si fermò sul posto e si voltò verso colui che le aveva parlato, poi tornò sui suoi passi e fronteggiò l’uomo.
“Buongiorno a lei”, un altro ampio sorriso le illuminò il viso, come da molto tempo non succedeva, ormai. Si sentiva al posto giusto, sapeva di aver fatto la cosa giusta uscendo di casa quel pomeriggio, era consapevole che non sarebbe stato più come una volta, non aveva più voglia di innamorarsi, era svuotata completamente. Afferrò un giornale di moda femminile e lo porse all’uomo, che le comunicò il prezzo e glielo restituì lentamente, come se temesse di sembrare troppo scortese. I due si salutarono e Janis riprese il suo cammino verso il bar del centro, dove avrebbe trovato Carol, di turno quel sabato mattina, e probabilmente Melory, che passava sempre a fare colazione dall’amica.
Quello che sicuramente non pensava succedesse, era di incontrare Zayn lungo il marciapiede, le mani sprofondate nelle tasche, la testa bassa e gli occhi scuri puntati sulla punta delle sue scarpe. Era combattuta tra l’istinto di attraversare la strada ed andarsene, quello di farsi notare da lui e vederlo in pena, ma soprattutto era tesa ad evitare di correre verso di lui ed abbracciarlo di slancio, perché nonostante tutto, sentiva tremendamente la mancanza di un semplice gesto di affetto, aveva bisogno di stringersi al suo corpo e lasciarsi scaldare il cuore nel profondo. Non fece in tempo a decidere sul da farsi, che lui alzò lo sguardo e inarcò le sopracciglia, bloccandosi sul posto proprio di fronte a lei.
“Ciao”  disse lei, alzando una mano e infilandola poi nella tasca della felpa. Avrebbe voluto sorridere, ma non sapeva se fosse il caso. Era sparita dalla circolazione, non aveva nemmeno voluto sentire le sue spiegazioni, era crollata e tra le lacrime aveva visto i suoi amici che lo facevano allontanare dal suo corpo scosso dai singhiozzi. Non sapeva come interpretare il silenzio di Zayn, che continuava a guardarla con espressione sconvolta, gli occhi sgranati e le labbra serrate.
“Come stai?” continuò, sforzandosi di restare ferma per cercare di non sembrare troppo impaziente di sentire la sua voce calda e dolce. Zayn sembrò riscuotersi dai suoi pensieri e si schiarì la gola, passandosi una mano sulla nuca e distogliendo lo sguardo da lei, profondamente a disagio. Aveva due possibilità, dirle come stava realmente oppure fingere di stare bene, per non passare per quello debole divorato dai sensi di colpa e dalla tristezza.
“Uno schifo” sussurrò schietto, tornando a fissarla in quegli occhi che sognava la notte, velati di lacrime, dannatamente lontani. Janis annuì e si mordicchiò il labbro, cercando in tutti i modi di ignorare la fitta allo stomaco e il respiro mozzato da quelle due semplici parole. Dio quanto le mancava quella voce, quelle labbra, quelle guance coperte di barba, che in quel momento era più lunga di quanto lei non l’avesse mai vista e anche i capelli era scompigliati e lasciati ricadere sulla fronte come se fosse appena uscito dalla doccia. Cosa avrebbe dovuto rispondergli? Che lei invece stava meglio del solito, meglio di quanto potesse pensare? Che non vedeva l’ora di ricominciare con la sua vita, che aveva finalmente capito in che direzione muovere i passi della rinascita?
No, non poteva, perché vederlo lì, davanti a lei, sconvolto dalla stanchezza e dalla disperazione, aveva messo in dubbio ogni sua convinzione, l’aveva fatta vacillare, desiderare di non essere mai uscita di casa. Era come se in quel momento la vittima fosse lui, perché lei gli aveva negato il diritto di spiegarle la situazione, aveva dato per scontato che la sua fosse solo una trappola, quando forse poteva essere un modo per riparare ai suoi errori, farla sentire meno sola, ricucire quello strappo che lui stesso le aveva causato nel cuore.
Quel silenzio cominciava ad ucciderlo, perché non faceva niente? Perché non correva da lui e gli rifilava uno schiaffo in pieno volto? Sarebbe stato molto meno doloroso che vederla lì, muta e immobile, bellissima come sempre.
“Ti vedo bene” mormorò, senza nemmeno rendersene conto. Janis sobbalzò e chinò il capo di lato, scrutandolo attentamente. Non c’era ombra di presa in giro, solo un grande e profondo tormento che gli distorceva i lineamenti e gli dava un’aria strana, quasi malata.
“Sei bellissima come sempre”, la voce era ridotta ad un sussurro roco, come se uscisse involontariamente, come se le parole fossero state estirpate dal profondo.
Quell’ultima frase la fece indietreggiare di un passo, il cuore le martellava nel petto, impazzito ed incontrollabile, mentre nella sua mente si affacciavano migliaia di pensieri, paure e ricordi. Si divertiva forse a distruggerla sotto i colpi decisi del suo egoismo? Dopo sua madre e Oliver, voleva aggiungere quell’ultimo tassello al suo puzzle di devastazione? Aprì la bocca per ribattere, ma non riuscì a proferire parola, nemmeno un verso strozzato uscì dalle sue labbra martoriate dai morsi.
Non appena Zayn si accorse della reazione di Janis, si tappò la bocca con una mano e distolse lo sguardo, trattenendo il respiro per captare il più piccolo suono che poteva essere proferito. Doveva andarsene di lì, lasciarla vivere in pace, per quanto quella situazione potesse permetterglielo. Fece un passo di lato e abbassò il capo, aspettando in silenzio che lei gli sfilasse accanto e proseguisse lungo la sua strada. Lasciarla andare era la cosa più dolora che avesse mai provato, vederla lì a portata di mano e non poterla toccare, sapere di dire sempre la cosa sbagliata, non ricevere risposta, tutte queste cose lo stavano logorando e se lei non fosse andata via in fretta lo avrebbe visto crollare sul marciapiede, il cuore in mille pezzi e gli occhi gonfi di lacrime. Aveva fatto un casino enorme, aveva provato a rimediare, peggiorando solo le cose.
Janis, incerta e rattristata, fece qualche passo avanti e si fermò esattamente alla destra del ragazzo, si voltò verso di lui e allungò una mano verso il suo viso; accarezzò con i polpastrelli la guancia coperta dalla barba ispida, che non gli davano la solita aria da uomo, ma piuttosto quella da ragazzo disperato. Come la prima volta che si erano parlati, nel cortile della scuola, avvertì una forte scarica di brividi lungo tutta la schiena, quella sensazione che solo con Zayn poteva provare, solo quando faceva l’amore con lui. Inconsciamente, forse, gli tirò su il mento e lo costrinse ad incatenare gli occhi ai suoi. Era convinta di provare disgusto per lui, dopo quello che aveva fatto alla sua famiglia, dopo il modo in cui le aveva stracciato il cuore, invece non riusciva a non mettere da parte quel sentimento così forte da stordire.
“Passo da te stasera” disse solo, accarezzandogli il labbro inferiore con il pollice e rivolgendogli un sorriso appena accennato, restio a mostrarsi del tutto. Non poteva fargli capire subito che aveva un esagerato bisogno di lui, di sentire la sua voce, il suo respiro sulla pelle, le sue labbra sulle sue. Non voleva fargli vedere quanto fosse facile per lui farla cedere.
Zayn sgranò gli occhi e la guardò allontanarsi, il passo sicuro, la testa alta, la schiena dritta, sembrava che il mondo le scivolasse addosso come l’aria, niente faceva attrito, la sua anima non aveva più spigoli, erano stati levigati dal tempo, usurati dall’incuria degli altri.
Aveva la possibilità di tornare a prendersi cura di lei e non l’avrebbe di certo sprecata.
 
Casa Malik era deserta, nonostante fosse ora di cena: le sorelle erano tutte a casa di amici e i genitori avevano colto l’occasione per far visita ad alcuni amici che vivevano poco fuori Bradford. Zayn era teso come una corda di violino, non aveva mangiato, non si era nemmeno cambiato gli abiti con cui aveva girato tutto il giorno, aspettava Janis come un fedele cagnolino aspetta il suo padrone per potergli fare la festa, non sapeva neanche cosa aspettarsi. Si sarebbe arrabbiata? Avrebbe urlato? Lo avrebbe perdonato? A quel punto non sapeva nemmeno più se fosse realmente andata da lui, come gli aveva detto quel giorno. Non sapeva più niente, non riusciva ad orientarsi in casa sua, si dimenticava quello che stava per fare, tutto girava in funzione di Janis, del suo sorriso appena accennato, dei suoi occhi che finalmente avevano ritrovato un piccolo raggio di luce. L’aveva vista bellissima, come sempre, forse un po’ più magra e asciutta, oppure era sempre uguale, ma lui non era più abituato ad averla davanti. Si stava torturando le labbra, l’interno delle guance, la lingua, stava rimuginando sulle parole giuste da dirle, come salutarla, se abbracciarla oppure mantenersi a distanza. A metà di questi pensieri sentì il campanello suonare, scattò in piedi e corse alla porta, spalancandola con violenza e spaventando la ragazza, che aveva ancora il dito sul campanello e si stava mangiando il labbro inferiore. Si era forse pentita? Non poteva sopportare l’idea di vederla andare via ancora, così mandò a quel paese tutti i buoni propositi pensati in precedenza e l’abbracciò di getto, fasciandole la vita con un braccio e le spalle con l’altro e attirandola contro di sé, in una morsa calda e dolorosa, dettata dalla spasmodica attesa di quel momento.
“Pensavo non saresti venuta più” confessò tra i suoi capelli, inspirandone l’aroma dolce ed intenso. Doveva essersi fatta la doccia poco prima, perché ormai conosceva bene quella sensazione, quell’odore, quella morbidezza. Sorrise, dapprima a labbra strette, poi quando notò che il respiro di Janis era più veloce, sorrise apertamente, nascondendo il viso nell’incavo del collo da cigno della ragazza. Non gli sembrava vero di averla di nuovo lì, contro il suo petto, i loro cuori a trasmettersi le vibrazione, il calore a condizionarsi ed adattarsi a vicenda.
“Avevo pensato di non venire, per farti capire come ci si senta ad essere illusi e poi lasciati lì. Ma sai, Zayn, non sarebbe stata la stessa cosa. Non avresti provato il dolore che ho provato io, non avresti sentito il cuore sbriciolarsi sotto un unico colpo inferto da una mano amata. No. Avresti scrollato le spalle, acceso la televisione e ordinato la pizza”, appoggiò i palmi delle mani al petto del ragazzo e lo allontanò lentamente, di qualche centimetro, piantò lo sguardo in quello di lui, “Perché sai qual è la differenza fra me e te?” chiese retoricamente, per poi proseguire “Che tu vivi nel tuo mondo, non lasci entrare nessuno, non ti lasci aiutare da nessuno. Non sai cosa sia la sofferenza, non sai cosa sia il dolore, non sai cosa voglia dire morire dentro. Non ti perdoni”, fece un passo indietro e squadrò dalla testa ai piedi colui che si trovava di fronte a lei.
Non riusciva a decifrare il suo sguardo, gli sembrava disgustato, poi triste, poi compassionevole, poi arrabbiato ed infine dolce ma freddo.
“E tu? Tu mi perdoni?” mormorò lui, la voce incrinata da un pianto mai espresso, incapace di rispondere alle sue accuse. Aveva colpito il bersaglio, aveva tirato un dardo nell’unico punto debole della sua muraglia. Lo stava distruggendo e solo in quel momento poteva immaginare lontanamente come si fosse sentita lei la sera del ballo.
“Non lo so” rispose lei, schietta e spietata, la testa alta, la schiena dritta, la postura fiera e composta.
Un altro colpo, un’altra crepa.
“Potrei mai perdonarti per quello che hai fatto?” continuò. Lui abbassò il capo e ripensò a quelle parole, indeciso sul significato da dare a quel discorso che lo stava mandando in confusione.
“Potrei mai perdonarti per avermi rovinato la vita? Rispondi” lo sfidò, ma lui non cedette.
“Dimmi, Zayn. Voglio sentirlo uscire dalle tue labbra. Perché dovrei perdonarti?”
Lo stava mettendo alle strette, le spalle al muro, la mente ko. Lo stava annientando, lui e le sue sicurezze. Lei era la sua sicurezza, lei sapeva come vivere una vita difficile.
“Perché ti amo” sussurrò, le lacrime a rigargli il volto ancora chino, gli occhi ridotti a due fessure offuscate, “Ti amo da impazzire e…”, un singhiozzo lo interruppe. Stava piangendo. Janis stava piangendo di fronte a lui, senza trattenersi.
“Sei la mia rovina, Zayn. La mia rovina” disse con voce stranamente ferma, sicura, glaciale.
La sua rovina.
Crollò in ginocchio davanti a lei, una mano sul cuore e l’altra sullo stipite della porta, per non cadere del tutto.
“Perdonami” balbettò tra le lacrime, mentre lei si metteva a covino con una lentezza che lo stava uccidendo. Se la ritrovò davanti, i lineamenti distorti e confusi. Era un sorriso quello? Oppure una smorfia di dolore? A cosa stava pensando? Cosa stava per fare?
“Perché?” domandò di nuovo, prendendogli il volto tra le mani e spazzandogli via le lacrime con i pollici. Non sapeva nemmeno lei dove trovava quel coraggio, quella forza d’animo, quella sicurezza nell’affrontare colui che l’aveva spezzata.
“Non me lo sai dire? Allora continuo io. Hai idea di come mi sia sentita quando mi hai sputato in faccia la verità? Lo sai che mi hai dato una sofferenza ancora più grande della stessa perdita della mia famiglia? In questo momento ti odio di più per quello che hai fatto a me” si interruppe per ricacciare indietro le lacrime “Per quello che hai fatto a me in qualità di tua ragazza. Sapevi che sarebbe andata a finire così, sapevi che prima o poi la verità sarebbe saltata fuori. Ti sei divertito a vedermi tornare felice e poi distruggermi con un unico colpo? Hai portato avanti il tuo teatrino, muovendoti con esperienza e cautela, nascondendomi tutto. Allora perché sono qui davanti a te? Perché dovrei perdonarti?”
“Perché voglio essere la tua vita, non la tua rovina. Perché ti amo. Perché senza di te faccio pena. Perché tu sei la parte migliore di me, davvero. Perché sei la mia araba fenice, sei rinata dalle ceneri, ti sei alzata e hai continuato ad andare avanti. Perché ho bisogno che tu mi salvi” espirò, continuando a piangere come un bambino tra le braccia della madre.
“Salvami, Janis” la implorò in un lamento strascicato.
“Salviamoci insieme, Zayn. Fammi sentire come quando abbiamo parlato la prima volta. Fammi sentire come quando mi hai baciata la prima volta. Fammi sentire come quando abbiamo fatto l’amore.”, la sua mano scese a stringere quella del ragazzo e le loro dita si intrecciarono senza alcun timore. Caldo e freddo, latte e caffè, sicurezza e fragilità, coraggio e paura.
“Come? Come ti ho fatta sentire?” balbettò, indeciso sul significato di quelle parole. Dove voleva arrivare? Cosa stava succedendo? Perché la sua testa non la smetteva di girare così forte? Perché era così difficile ragionare, pensare razionalmente, con i suoi occhi puntati addosso, con il suo profumo nel naso, con le sue mani gelide che stringevano le sue?
“Viva.”


Aries' corner

Sono vergognosamente in ritardo e per questo la prima cosa che farò sarà scusarmi con chi aspettava questo capitolo!
Veniamo a noi. 
Non so davvero cosa sto facendo, cosa mi inventrò e come andrà avanti la faccenda! Sto scrivendo di getto e per la prima volta ho pubblicato un capitolo importante senza sapere cosa succederà in quello dopo. Come non detto, proprio mentre scrivevo quest'ultima frase ho capito cosa accadrà nel capitolo 10. Meglio tardi che mai! 
Spero vi piaccia e spero che non abbia deluso nessuno! Non so se si capisce, ma Janis non ha ancora perdonato del tutto Zayn, ma è sulla buona strada. Aspettatevi di tutto perché nemmeno io so cosa fare, entrambe le cose mi ispirano! Se Janis perdonasse Zayn, ci sarebbe il lieto fine -probabilmente- e questo mi farebbe molto felice, perché questi due mi piacciono tanto! Però se lei non lo perdonasse, eviterei di cadere del banale...
MAH! Mai stata tanto indecisa su cosa scrivere!!! Penso che scriverò entrambi i finali, li valuterò e deciderò quale pubblicare, poi una volta finita questa long, pubblicherò i missing moments, tra cui potrebbe anche comparire l'altro finale. Non lo so, che palle, sono indecisa!!!!! D:
*si nasconde nel suo angolo d'Irlanda a piangere sulle sue scelte difficili*

Aspetto di sapere cosa ne pensate e cosa mi consigliate di fare! Mi piacerebbe sapere come vorreste che finisse! ;)
A presto, allora! 
Un mega abbraccio a tutti!
AP 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo dieci - From the first time ***




Inevitabile

From the first time


 
 
 
Ti ricordi quel ragazzo che qualche anno fa
non avrebbe mai venduto l'anima
ora è tempo di ridare alla tua vita un senso
di risalire dall'inferno
dimenticare questo freddo, lungo inverno
vedrai col tempo che questo gelido ricordo
sarà volato via col vento
di quel freddo, lungo inverno.
(Un freddo lungo inverno – Finley)
 
 
La vide entrare nel supermercato con aria serena, la borsa a penzoloni dalla spalla, vestita da normale ragazza della sua età. Come faceva a recitare così bene la parte della persona normale? Come faceva a nascondere a tutti la sua depressione, la sua tristezza? I casi erano due: o Janis Ryan era una perfetta attrice oppure era successo qualcosa nella sua vita che le aveva fatto riprendere il controllo di sé. Entrambe le soluzioni però non andavano di certo bene a lei, Marcy Coleman, che stava cercando in tutti i modi di eliminarla dalla circolazione.
Si nascose dietro lo scaffale delle offerte e seguì con lo sguardo Janis avvicinarsi al banco della frutta e verdura e scrutare attentamente le mele. Aggrottò le sopracciglia quando la vide rispondere al telefono e sorridere apertamente, arrossendo e agitandosi. Una signora anziana bussò sulla spalla di Marcy, che sobbalzò e si voltò di scatto.
“Che vuole?” l’aggredì, irritata da colei che l’aveva distolta dal suo impegno, ben più importante della spesa da fare per la cena che mamma aveva organizzato per papà e i suoi colleghi. Nonostante questo si allontanò stizzita senza ascoltare la risposta della signora, che la guardò allontanarsi e borbottò qualche frase sconnessa a proposito delle maniere dei giovani d’oggi.
Janis si mordicchiò il labbro inferiore e infilò un’altra mela nella sportina, mentre Zayn le raccontava della discussione avvenuta con Safaa qualche ora prima, che verteva sul fatto che lui era troppo felice negli ultimi giorni e lei voleva a tutti i costi sapere il motivo. Ridacchiò quando lui le confessò che il motivo di questa gioia era proprio lei e si trattenne dal dirgli che anche lei era felice da quando si erano riavvicinati. Dopo la conversazione avuta a casa di Zayn, o meglio sulla porta di casa, i due avevano deciso di riprendere daccapo, ovvero da semi-sconosciuti. Era divertente riscoprirsi piano piano, dall’inizio, nelle cose più semplici; era come se fossero tornati ai primi appuntamenti, quando tra di loro c’era ancora un enorme imbarazzo e tanta curiosità.
Incastrò il cellulare tra l’orecchio e la spalla e chiuse il sacchetto di nylon, per poi depositarlo nel carrello e prenderne un altro da riempire con le carote. Le piaceva fare la spesa, si sentiva grande, autonoma e libera, ma le piaceva ancora di più sentire la voce calda e squillante di Zayn, che ancora le stava raccontando di come in famiglia avevano reagito alla notizia del loro riavvicinamento. Si sentiva davvero lusingata dal fatto che lui avesse sentito il bisogno di dire a tutti di questa decisione, soprattutto perché sapeva bene che i suoi genitori erano sempre stati contrari alla loro relazione, perché erano a conoscenza della verità ed immaginavano come sarebbe andata a finire. Nonostante ciò, a detta di Zayn, si erano rivelati entrambi entusiasti, specialmente la madre, felici di rivedere il loro figlio con gli occhi allegri e il sorriso sulle labbra.
“Si erano stufati della versione zombie del primogenito Malik” scherzò Janis, imitando la voce autorevole e profonda del padre di Zayn, che scoppiò a ridere nella cornetta, subito imitato dalla ragazza, che si allontanò dal reparto in cui era per recarsi al banco frigo.
“Decisamente sì”, un annuncio all’altoparlante coprì gli ultimi rimasugli di risata, “Dove sei?”
“Al supermercato, il frigo e la dispensa stavano organizzando un colpo di stato per cacciarmi di casa” disse, sorridendo ad un anziano che l’aveva guardata divertito.
“Ci vediamo stasera?” domandò, approfittando del momento di silenzio del ragazzo.
“Va bene!” rispose con slancio, facendo arrossire Janis per l’irruenza con cui aveva ribattuto.
“Vieni da me a cena? Già che sono qui posso trovare qualcosa di buono da preparare insieme” mormorò, mentre l’imbarazzo dei primi passi le stava serrando la gola. Zayn sbuffò un sorriso ed in quel momento pensò che le sarebbe davvero piaciuto vederlo.
“Cioè che io preparo la cena e tu fai i danni?” la prese in giro, ricordandole le sue scarse doti in cucina. Janis fece una linguaccia al vento, afferrando una confezione di petto di pollo e cercando di capire il prezzo tra i mille numeri stampati sull’etichetta.
“Pollo al curry con riso? Sto parlando con un succulento galletto proprio ora!”
“Stai parlando di me oppure hai davvero un pollo in mano?”
“Entrambe le cose” confessò, facendo scivolare la confezione nel carrello.
“Andata per il pollo al curry, allora” acconsentì lui. Sapeva che stava sorridendo, lo si sentiva dalla voce, e questo la fece sorridere di rimando, perché era troppo bello sapere di poter ancora contare su Zayn, che lui non aveva smesso di tenere a lei e che insieme si stavano ricostruendo una vita dignitosa e felice.
“Devo accompagnare Safaa a danza, ci sentiamo più tardi?” si intromise nei suoi pensieri tutti rose e fiori.
“Va bene, galletto” lo salutò, svoltando nella corsia successiva senza nemmeno controllare la tipologia di merce in esposizione.
“A dopo, scarabocchio”, riattaccò prima di sentire le sue lamentele per quel nomignolo così infantile e poco consono ad una ragazza posata e tranquilla come lei. Di solito queste lamentele erano sempre seguite da una risata sguaiata di lui e da un broncio di lei.
Ripose il telefono nella borsa e si guardò intorno, ridacchiando tra sé e sé. Era felice, Janis, e non avrebbe mai potuto immaginarsi un continuo della sua storia con Zayn, dopo che la verità era venuta a galla e il modo in cui era successo. Invece era lì, a prendere l’occorrente per la cena, a sorridere da sola e a chiunque incontrasse sulla sua strada.
Tranne a lei.
“Siamo di buon umore oggi, Ryan?”, la bionda si piazzò esattamente davanti al suo carrello, le mani sui fianchi e lo sguardo insolente. Per un attimo ebbe la tentazione di andare avanti ed investirla, però c’era qualcosa nel suo tono e nel suo finto sorriso che le gelarono il sangue nelle vene e la fecero bloccare lì.
“Sì” borbottò. Sapeva alla perfezione che confessare le proprie emozioni a Marcy Coleman non era la cosa giusta, ma in quel momento tornò ad essere la Janis un po’ ingenua dei primi anni di liceo.
“E come mai? È successo qualcosa di bello?” incalzò.
Questa volta non avrebbe risposto, no. Spostò lo sguardo prima sul carrello, poi sullo scaffale accanto a lei, poi di nuovo sulla barbie che aveva davanti. La stava forse sfidando? Beh, la Janis Ryan di qualche anno prima avrebbe certamente ceduto, ma la nuova versione no. Non si sarebbe fatta prendere in giro di nuovo, non dopo quello che era successo. Marcy sapeva bene come farsi delle amiche, o qualsiasi cosa siano le sue seguaci, ma sapeva altrettanto bene come farsi dei nemici. Al secondo anno di superiori aveva preso in simpatia Janis, forse motivata dal fatto che i loro genitori si conoscevano da sempre e che suo padre era stato molto vicino a Vivianne quando era rimasta vedova; Janis si era fidata, felice di poter avere un’amica come Marcy. E quello era stato uno degli errori più grandi della sua storia. Era passata da ragazza carina e sconosciuta a ragazza popolare, per poi essere gettata tra gli scarti quando si era rifiutata di andare a letto con il migliore amico di Roger, il ragazzo che in quel mese stava con Marcy. Era diventata un nemico da abbattere, una ragazza inutile e quella era rimasta per Marcy Coleman. Non che gliene importasse, lei aveva Melory e Carol e non poteva chiedere due amiche migliori di loro.
“Sembrerebbe che qualcuno sia tornato a frequentare assiduamente le tue lenzuola…”, si avvicinò di un passo e appoggiò le mani sulle sponde del carrello, sporgendosi leggermente verso di lei e mostrando i denti in una smorfia arrogante.
“Sembrerebbe che qualcuno manchi da un bel po’ tra le tue lenzuola” rispose prontamente, tirandosi contro il carrello e facendo perdere l’equilibrio alla bionda, che la fissò indignata.
“Sei solo una povera scema. È bastato uno stupido biglietto per farti crollare, cosa ci vorrà mai a farlo di nuovo?” sibilò, per poi assottigliare gli occhi e sorridere malignamente.
Una risata sguaiata risuonò attutita nelle orecchie di Janis, mentre nella sua mente tutto prendeva un senso. Si era completamente dimenticata di quel biglietto, nonostante fosse stata quella la causa di tutto, era stato per quel biglietto se lei aveva costretto Zayn a dirle la verità, esasperato dalla sua insistenza. Strinse la presa sul carrello e fissò con rabbia Marcy, che ancora rideva diabolica.
“Sapevo che eri una stronza, ma mai avrei immaginato che potessi arrivare fino a questo punto” soffiò irata, attirando l’attenzione della bionda, che la fissò con una smorfia disgustata, “Solo che per tua sfortuna ci sono persone intelligenti, in circolazione. Persone con un’umanità, che sanno riconoscere gli errori degli altri e perdonarli. Zayn mi ha detto la verità e io l’ho perdonato” concluse, girando i tacchi e prendendo a scorrere tra gli scaffali in cerca del necessario per la cena con Zayn. Era la prima volta che lo diceva ad alta voce e forse la prima che se ne rendeva veramente conto. Zayn le aveva raccontato la verità, era stato lui a causare l’incidente, era stato lui la causa della morte di sua madre e di suo fratello. Eppure era stato lui a farla rialzare, a farle capire che la vita è bella e vale la pena di essere vissuta, che c’è qualcosa oltre la tristezza, che ci si può fidare e si può ricominciare. Sorrise apertamente e sentì qualcosa sciogliersi dentro di lei, una coltre pesante ed invisibile che le aveva tenuto il cuore stretto e coperto, schermato dal mondo esterno. Lui, con il carico da cento che aveva sulle spalle, sulla coscienza e sul cuore si era preso cura di lei, si era impegnato affinché lei stesse bene. E ci era riuscito.
 
La tensione gli annodava le caviglie, camminare verso la macchina gli sembrò un’impresa titanica, ma non appena accese in motore l’adrenalina entrò in circolo e gli fece rizzare i peli sulle braccia. Stava per vederla e avrebbero passato la serata insieme, magari sul divano a guardare un film come qualche settimana prima, invece che al parco o a scuola come facevano negli ultimi giorni. Era felice di aver ricevuto un’altra possibilità, Janis gli aveva proposto di ricominciare da capo e riprovarci, perché la sofferenza che pativa per la sua lontananza era superiore a quella per la sua improvvisamente catastrofica situazione familiare e lui non sarebbe mai stato capace di rifiutare, nonostante questo significasse impegnarsi il doppio.
Parcheggiò l’auto lungo il marciapiede davanti a casa di Janis, appoggiò le mani sul volante e si stirò il collo e la schiena. Era teso come una corda di violino, ma aveva una gran voglia di vederla e di passare la serata con lei. Prese un respiro profondo e scese, per poi sistemarsi la giacca di pelle ed avviarsi verso la porta, mentre si dava dello stupido per non aver portato niente per lei, né una rosa né una scatola dei suoi dolcetti preferiti. Gli era completamente passato di mente, perché nel momento stesso in cui aveva chiuso la conversazione con Janis, Safaa era corsa da lui e lo aveva costretto a raccontarle tutto dall’inizio alla fine. Saltò ovviamente i particolari di come si erano lasciati, ma vedere lo sguardo felice della sorellina gli aveva fatto partire il cuore a mille, come se avesse appena corso la maratona di New York.
Tossicchiò nervosamente e suonò il campanello con sicurezza, perché lei non capisse la sua tensione e la interpretasse nel modo sbagliato. Non dovette attendere più di venti secondi, subito si trovò Janis di fronte, la porta spalancata e il sorriso sulle labbra. Fece scorta della sua immagine, la guardò a fondo, poi fece un passo verso di lei, che si spostò dalla soglia e lo lasciò passare, chiudendosi poi la porta alle spalle. C’era uno strano silenzio, una tensione positiva, non era un’atmosfera pesante, una di quelle da cui non si vede l’ora di scappare; al contrario, Zayn avrebbe potuto viverci in quella situazione, con Janis vicino e senza il bisogno di dire niente.
Si voltò a guardarla e la trovò a torturarsi il labbro inferiore con gli incisivi, teneva gli occhi bassi e le mani strette a pugno.
“Va tutto bene?” domandò titubante, avvicinandosi a lei e attirando la sua attenzione. Janis alzò lo sguardo e le sue labbra si piegarono in un sorriso; senza pensarci due volte, colmò la distanza tra i loro corpi e si alzò in punta di piedi, allacciando le braccia intorno al collo di Zayn e lasciandosi stringere in un caldo abbraccio.
“Adesso va tutto benissimo” mormorò contro il suo collo. Il moro rabbrividì e strinse maggiormente la presa sulla vita della ragazza, facendola aderire ancora di più al suo corpo. Gli era mancata da morire quella sensazione di completezza che lo invadeva ogni volta che lei era nei paraggi o che i loro corpi si toccavano, per non parlare di quello che succedeva nel suo cuore quando si baciavano oppure facevano l’amore.
Perso com’era nei suoi pensieri, non si rese conto che Janis aveva alzato la testa e lo stava guardando intensamente, a pochi centimetri da lui. Senza nemmeno riflettere fece coincidere le loro labbra in un bacio appena accennato, ma atteso da tanto, troppo tempo. Rimase immobile qualche istante, immaginando qualsiasi tipo di reazione da parte di lei, che alla fine inclinò il capo di lato e accolse quel gesto così semplice, eppure capace di sconvolgerle la vita e farle esplodere il cuore. Si sentì avvampare e si strinse di più a Zayn, che mosse impercettibilmente le labbra, mentre una scarica di brividi le correva lungo la schiena. Come avrebbe potuto fare a meno di quelle emozioni? Come avrebbe fatto a sopravvivere senza Zayn?
Non sapevano quanto tempo fosse passato, ma quando si staccarono dal bacio entrambi avrebbero voluto ripristinarlo e riprendere da dove si erano interrotti, perché era solo grazie all’altro che potevano vivere.
Janis, le guance in fiamme e le labbra arrossate, guardò per un attimo gli occhi di Zayn, poi la sua bocca e infine distolse lo sguardo con un sorriso ad illuminarle il viso. Il ragazzo le accarezzò una guancia con la punta del naso e ridacchiò sommessamente, stringendola a sé come a volerle dire di non andarsene mai da lì.
“Al supermercato ho incontrato Marcy” buttò lì la ragazza, appoggiando la testa sulla spalla dell’altro. Erano ancora in piedi all’ingresso, ma nessuno dei due sembrava infastidito dalla cosa e nemmeno accennava a volersi spostare.
“E…?” la spronò lui, sfiorandole la mandibola con un bacio leggero.
“L’ha scritto lei il biglietto” sussurrò, la voce tremante e le lacrime a minacciare il loro ingresso in scena. Zayn le prese il viso tra le mani e la costrinse a guardarlo.
“Lei non sapeva niente, mi ha solo presa in giro. L’ha fatto per dividerci” continuò Janis, richiamando all’ordine tutte le sue forze per non distogliere lo sguardo da quello di Zayn. Si sentiva protetta e amata da quelle iridi, si sentiva a casa quando lui la fissava in quel modo così dolce ed intenso.
“Ma non c’è riuscita” concluse, tornando a sfiorare le labbra del ragazzo con le sue. Lo sentì trattenere il fiato, per poi baciarla con foga e passione, stringendo possessivamente i suoi fianchi. Arrancarono fino al divano, dove lui la fece stendere e si posizionò sopra di lei, sollevato sui gomiti, mentre lei infilava furtivamente una mano sotto la sua maglietta e cominciava ad accarezzargli la schiena tesa. Entrambi avevano il fiato corto dovuto sia al bacio che si stavano scambiando, sia alla voglia che avevano di riscoprirsi innamorati e di donarsi all’altro completamente. Zayn scese a baciarle insistentemente il collo e lei lo aiutò a togliersi la giacca e sfilarsi la maglietta. Si sentiva pronta a riprendere quella confidenza con lui, voleva fargli capire quanto gli fosse grata per averla tirata fuori dal momento più difficile della sua vita. Quando lui prese ad accarezzarle la pancia con la mano piena, capì che era arrivato il momento di fare una cosa che mai e poi mai si era immaginata di saper fare: prese lei le redini del gioco. Appoggiò i palmi delle mani sul petto nudo di Zayn e lo spinse a sedere, seguendolo e fiondandosi di nuovo sulle sue labbra, che mordicchiò dolcemente.
Non ci stava capendo più niente, Zayn, ma quello che stava accadendo gli piaceva eccome. Janis era seduta a cavalcioni sul suo ventre e si muoveva ritmicamente, sembrava che volesse farlo impazzire e in quel momento sarebbe bastato davvero poco per riuscirci. Con una lentezza disumana la osservò avvicinare le mani alla cinghia della cintura dei suoi jeans e slacciarla con dedizione; stava per implorarla di sbrigarsi, ma si trattenne, consapevole che in quel momento avrebbe solo rovinato tutto, invece decise di rimanere inerme e lasciare che fosse lei a decidere come, quando e perché. Si sarebbe lasciato manipolare tranquillamente, era schiavo di quella ragazza, schiavo del suo cuore, schiavo dell’amore che lo teneva saldamente ed inevitabilmente ancorato a lei. Sgranò gli occhi e la fissò allibito, perché davvero si sarebbe aspettato di tutto, tranne che fosse lei a comandare l’intero gioco. Non fu in grado di dire niente, perché il respiro e la voce gli morirono in gola, lasciando strada a quella passione tenuta ingabbiata fino a quel tardo pomeriggio di metà primavera; appoggiò le mani sui fianchi esili della ragazza e l’assecondò in ogni movimento, beandosi di vedere sul suo viso mille e più espressioni di piacere e di gioia. In quel momento, mentre facevano l’amore, scorse la vera bellezza di Janis, quel cuore ferito e pieno zeppo di cicatrici, eppure ancora voglioso di amare e bisognoso di essere amato. E lui l’avrebbe fatto, avrebbe preso quel cuore tra le mani, avrebbe baciato ogni singola cicatrice e poi lo avrebbe stretto così forte da sentirne il calore, celato nel profondo e sommerso dal freddo.
Si accoccolò sul petto di Zayn, lasciando che i loro respiri si regolassero alla stessa velocità e i loro cuori prendessero a battere all’unisono. Sfiorò con la punta delle dita i tatuaggi che gli macchiavano la pelle del petto, della spalla e del braccio, poi appoggiò le labbra sullo sterno e rimase ferma lì, ad ascoltare qualsiasi suono e a bearsi del calore che il corpo sotto di lei emanava. Era felice, sentiva tutti i muscoli fremere, il cuore che non voleva accennare a rallentare, le mani che non ne volevano sapere di fermarsi. Avrebbe voluto ricominciare subito a fare l’amore con Zayn, non aveva nemmeno avuto la forza di spostarsi, era rimasta ferma lì, così come avevano finito, voleva sentirlo suo, la sua presenza a riempirla letteralmente e metaforicamente. Amava le coccole che lui le riservava dopo aver fatto l’amore, amava sentire le sue dita accarezzarle la schiena, i capelli, le spalle, tutto. Aveva sempre pensato che anche quei piccoli gesti fossero il proseguo dell’atto stesso, come se fossero in grado di fare l’amore con qualsiasi parte del corpo e lo stesso valeva per i piccoli baci che si scambiavano lungo i corridoi o le occhiate in mensa.
Tutto in loro faceva l’amore, volenti o nolenti.
Inevitabilmente.
 
“Tieni”, le passò una tazza di tè fumante e appoggiò la sua sul tavolino di fronte al divano, “Che film vuoi guardare?” chiese distrattamente, dopo averle lasciato un piccolo bacio a fior di labbra.
“Niente di triste, possibilmente” disse lei, ridacchiando e raccogliendo le gambe contro il petto; sorseggiò un po’ di tè, poi anche lei abbandonò la tazza sul tavolino e guardò Zayn, che le dava le spalle. Sorrise distrattamente, ripensando ai progetti che avevano fatto per la cena per poi ordinare una pizza da mangiare tra un bacio e un altro. Arrossì quando ripensò al modo in cui lui l’aveva guardata dopo che lei lo aveva guidato verso l’apice del loro amore e il cuore prese a batterle più velocemente quando nella sua mente ritornarono le immagini del modo in cui l’aveva ringraziata. Scrollò la testa e sorrise, poco prima che Zayn si voltasse e tornasse con lei sul divano.
“Che film hai messo?” domandò, gattonandogli vicino e sedendosi direttamente in braccio a lui, che l’accolse tra le sue braccia e le regalò un altro bacio.
“Grease, un classico” mormorò a meno di un centimetro dalle labbra di Janis, che ridacchiò e gli allacciò le braccia al collo. La sigla non era nemmeno a metà, ma i due ragazzi già non stavano più prestando attenzione allo schermo.
“Perdonami per tutto quello che ho fatto” sussurrò Zayn contro il collo niveo di Janis, per poi lasciarci un lieve morso e accarezzarle la schiena nuda; lasciò la mano aperta più o meno a livello delle scapole e lasciò che questa si alzasse e abbassasse allo stesso ritmo del petto di Janis, che non si sforzava di regolare il respiro, ma semplicemente aspettava che ciò accadesse naturalmente. Lei gli accarezzò la nuca e gli baciò la base del collo, poi sfiorò la sua pelle con la punta del naso fino al tatuaggio che rappresentava la sua bocca e fece coincidere le sue labbra con quelle disegnate.
“Ti ho già perdonato, Zayn. Dal primo momento”



Aries' corner

Dal momento che dovrei studiare, ovviamente io cosa faccio? Scrivo. Scrivo perché mi rilassa e perché questi due meritano di continuare a vivere nelle mie parole. Sono modesta, lo so ahahah

A parte gli scherzi, questo capitolo non so da dove sia venuto fuori, ma è stracolmo di fluff e non c'è nemmeno l'ombra dell'angst che dovrebbe esserci, ma va beh, ogni tanto anche loro si meritano un momento felice xD
Niente, questa volta davvero non so di cosa tratterà il prossimo capitolo, né tantomeno se sarà l'ultimo. Possibile, in effetti, però è tutto da vedere :)

Aspetto con ansia di sapere cosa ne pensate!! :D
A presto
AP
 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo undici - After the storm ***





Inevitabile

Epilogue
After the storm

 

 
Janis aprì il grande armadio che occupava praticamente tutta la parete della sua nuova stanza, in quel piccolo bilocale che zia Linette le aveva consigliato di prendere dopo aver venduto la casa di famiglia, e tirò fuori uno scatolone, lo mise a terra e si inginocchiò davanti ad esso, scoperchiandolo lentamente. Sorrise appena quando vide il muso di una simpatica renna fare capolino fra le trame del maglione di lana che le aveva regalato sua madre due anni prima, lo prese fuori dalla scatola con timorosa delicatezza e lo spiegò. Tornò davanti allo specchio a muro e si sfilò la felpa grigia di Zayn, per poi indossare il maglione di lana blu e legarsi i capelli in una coda alta. Era il venti dicembre e le strade della città erano addobbate a festa, in ogni giardino c’erano luci, ghirlande, palline colorate e imbarazzanti pupazzi appesi a balconi e davanzali; una settimana prima insieme a Zayn aveva comprato un piccolo abete finto, rigorosamente con i rami innevati, poi le palline argento e blu e delle enormi candele profumate da mettere sul tavolo da pranzo, con il risultato di occuparne tutta la superficie. Con quel maglione addosso era pronta a decorare il suo piccolo appartamento, non appena Zayn fosse arrivato con la spesa per la cena. Tornò nel soggiorno e rovesciò le sportine con tutto il necessario per decorare casa, ma non appena prese in mano il puntale le si chiuse la gola: era sempre stato Oliver a concludere l’albero e per riuscirci Vivianne lo prendeva su e il piccolo di sporgeva, sotto lo sguardo attento di Janis, che non gli avrebbe perdonato neanche una sola pallina fatta cadere dai rami. D’istinto lanciò un’occhiata alle cornici appese vicino alla porta e si fissò a guardare la foto del fratellino con indosso il suo maglioncino natalizio; la mamma sorrideva felice alle sue spalle, in mano teneva la carta stracciata dei regali appena aperti. Si mordicchiò il labbro inferiore e sospirò silenziosamente, poi si voltò verso la libreria e afferrò il cd di canzoni natalizie, lo mise nello stereo e lo fece partire a volume medio, perché sapeva bene che non c’era niente che facesse più atmosfera delle canzoni di Michael Bublé. Stava per mettersi a ballare in mezzo alla stanza, quando il campanello anticipò qualsiasi suo gesto, così corse al citofono e aprì la porta, uscendo sul pianerottolo ad aspettare Zayn. Non lo vedeva da una settimana e non stava più nella pelle, convinta di essersi dimenticata perfino il suo viso. Quando la figura del ragazzo comparve sulle scale il cuore di Janis prese a battere fortissimo e si dovette trattenere dal corrergli incontro e saltargli in braccio. Invece lo attese pazientemente sull’uscio, poi quando le fu vicino gli allacciò le braccia intorno alla vita e chiuse gli occhi, premendo la guancia sul suo petto. La risata di Zayn gli fece vibrare il petto e lei arrossì, guardandolo poi dal basso.
“Ciao amore” mormorò lui, posandole un leggero bacio a fior di labbra. Janis ridacchiò e sciolse l’abbraccio, per poi correre in casa, subito seguita da lui.
“Bianco, rosso o birra?” chiese subito, aprendo il frigorifero, mentre Zayn ancora si toglieva la giacca e l’appendeva allo schienale della sedia.
“Bianco” rispose, sorridendo apertamente. Non riusciva a credere che a distanza di soli dodici mesi lei avesse cambiato modo di vivere il Natale e quello che lo lasciava senza fiato era sapere di essere lui il motivo di tale trasformazione. Si sentiva inadeguato, soprattutto dopo averle nascosto la verità, ma averla lì e saperla felice gli riempiva il cuore di gioia. Janis si avvicinò a lui e gli scoccò un delicato bacio a fior di labbra, poi gli porse un calice di vino bianco e gli sorrise apertamente.
“Da cosa cominciamo?”, indicò con un cenno del capo le cose che aveva lasciato sul tavolo. Zayn sorrise apertamente e le passò la ghirlanda tonda che avevano scelto insieme.
“Appendi questa, io tiro fuori l’albero” disse, raggiungendo in pochi passi il divano, “Dove lo vuoi mettere?”
 
Zayn crollò sul divano e aprì le braccia, pronto ad accogliere Janis, che non se lo fece ripetere due volte e si accoccolò sulle sue gambe, lasciandosi abbracciare dolcemente.
“Ora è davvero Natale” mormorò, nascondendo il viso nell’incavo del collo del moro, facendolo rabbrividire. Le accarezzò lentamente la schiena e la cullò per farle rilassare i muscoli tesi delle spalle; le baciò la testa una volta, poi un’altra ancora, infine rimase così, con le labbra premute tra i suoi capelli e il naso stimolato da quel profumo delicato e fruttato. Amava tremendamente quella donna e tutto quello che le riguardava, che fosse il profumo, il modo di sistemarsi i capelli, il sorriso dopo aver fatto l’amore o il più insistente dei difetti.
“Ti amo tanto” sussurrò, baciandole ancora la tempia e stringendo la presa sul suo corpo. Sentì Janis sorridere e farsi più piccola contro il suo petto, come faceva tutte le volte che dormivano insieme e lei aveva freddo. Come dopo la peggiore delle tempeste, c’è sempre un rifugio sicuro da cui uscire, ma in cui tornare sempre in qualsiasi momento. Zayn era quel rifugio per Janis, quel porto in cui approdare, l’appiglio al quale aggrapparsi. Zayn non le avrebbe mai negato il suo aiuto, per nessuna ragione al mondo.
“Anche io ti amo, Zayn”, gli accarezzò la mandibola con la punta delle dita, poi furtivamente gli spostò il colletto della maglietta e scoprì il tatuaggio fresco di qualche settimana sulla clavicola. Inevitabile.



Aries' corner
E dopo nove mesi eccomi qua, a partorire questo schifo di epilogo. Ho perso la passione e la voglia di scrivere questa storia e non è che non si noti. Non sono fatta per le cose che hanno una scadenza, gli impegni per cui ho degli obblighi morali e non. Tuttavia non riuscivo proprio a lasciarla incompleta, così ho stiracchiato un epilogo al sapore di lieto fine, anche se confesso che all'inizio pensavo di farla finire male.
Ringrazio infinitamente chi è arrivato fino a qui, chi mi ha sostenuta, chi mi ha detto la sua, chi mi ha mandato a cagare ogni volta che mi lamentavo del capitolo, chi ha aspettato per nove mesi questo capitolo senza nemmeno sapere che sarebbe stato l'epilogo. 
Mi scuso con chi è arrivato fino a qui e si aspettava altri capitoli, con chi è rimasto deluso, con chi mi ha dato fiducia e con chi si è stancato di aspettare.
E' una sofferenza immensa dover dire addio ai propri personaggi e lo è ancora di più se non si riesce più ad amarli e non se ne sa nemmeno il motivo. Chissà magari un giorno ritroverò quella passione che mi aveva fatto cominciare questa avventura e riprenderò quel che ho tirato via, ci sono mille modi per tornare in corsa e riprendersi ciò che si ha abbandonato no?
Chiudo qui, perché fra poco le note diventano più lunghe del capitolo stesso.

A presto, forse
Aries

 
 
 
 
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2078441