Just Good Friends di Padme Undomiel (/viewuser.php?uid=45195)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 1 *** 1. ***
JGF1
Just Good Friends
1.
Ci risiamo. Mi sono di nuovo lasciata trascinare.
Giuro che non avevo alcuna
intenzione di bere così tanto alcool. Giuro. Diciamo soltanto
che tutto era a sfavore della mia razionalità, questa sera.
Voglio dire, una festa meravigliosa,
un sacco di invitati –è incredibile il numero di amici che
Mimi riesce ad avere e ad invitare a casa sua- e un po’ di drink
che vivacizza la festa e che non fa mai male.
Non fosse che soffro poco
l’alcool, anche se in dosi così esigue, e che non avrei
potuto rifiutare. Non se ad offrirmi l’ultimo drink è
stato Michael.
Cammino come sulle uova, su tacchi
che mi martoriano i piedi, e barcollo in maniera vergognosa, cercando
nel contempo di smettere di battere i denti –ma tutto questo
freddo da dove viene? Possibile ci fosse anche all’andata?- e di
non scivolare clamorosamente a terra. E già lo so che la mia razionalità personale non sarà contenta di vedermi in questo stato.
Ma che avrei potuto fare? Ero decisamente su di giri, mi sentivo come se niente potesse andare storto.
Mimi mi ha portato Michael qui
dall’America, per queste vacanze di Natale: voleva mostrargli
Tokyo, e fargli incontrare di nuovo noi Prescelti giapponesi. Inutile
spiegare quanto la notizia mi abbia resa felice: era da un secolo che
non lo vedevo più. E, accidenti se non è diventato ancora
più attraente. Ha un sorriso davvero meraviglioso, così
cordiale, sempre gentile, sempre luminoso …
D’accordo, lo ammetto:
è principalmente per lui che sono venuta a questa festa, a casa
di Mimi. E d’altronde persino Mimi lo sa. Perché Michael
mi è sempre piaciuto, fin dalla prima volta che l’ho visto
a Digiworld.
Eppure, al momento sto maledicendo
con tutta me stessa i miei trampoli –messi per lui, ovvio, come
tutto il resto-, dato che rischio continuamente di cadere. Ora come ora
un paio di scarpe da ginnastica mi andrebbero molto più a genio
… Perché ho messo una gonna, perché?
Sono pronta ad affermarlo: Inoue Miyako è un’idiota.
Ma è un’idiota che ha un salvatore.
Finalmente, poco lontano da me, lo vedo. La mia salvezza.
Se ne sta appoggiato al motorino,
rigirandosi il casco tra le mani con aria assente, a testa bassa, e
vederlo lì mi fa trarre un sospiro di sollievo. E’ sempre
puntuale, fino all’esaurimento: sapevo che non mi avrebbe fatto
attendere affatto. Lui è fatto così.
“Soccorso, piedi doloranti
post-festa super ballerina!” Dico a voce alta, avvicinandomi a
lui. E lui si riscuote, sollevando il capo e poggiando il casco sulla
sella del motorino, già coperto da un qualcosa di scuro che non
riesco a vedere bene. Getta uno sguardo alle mie scarpe, per poi fare
una smorfia comprensiva.
“Ah, lo immagino. Non potevi
mettere qualcosa di più comodo?” Mi dice, e mi evita
l’ultimo tratto di strada che mi toccava fare, avvicinandosi a
grandi passi. E provo sincera invidia per il suo cappotto caldo,
così come per la sua sciarpa: notarlo, e sapere che il mio
cappottino non può nulla contro quel gelo invernale mi fa
correre molti più brividi dietro la schiena.
Rido istericamente, battendo i denti
senza dignità. “E’ la stessa domanda che non mi
dà pace da quando sono uscita da casa Tachikawa, Ken-kun”,
quasi strillo. “Non girare il coltello nella piaga.”
Se c’è una cosa che mi
piace particolarmente di Ichijouji Ken, tra le tante, è che gli
basta un solo sguardo per capire esattamente ciò di cui tu hai
bisogno. Sorride, per poi porgermi il braccio come un vecchio cavaliere
di altri tempi. Io mi appoggio, grata, a lui, ponendo fine al giramento
di testa e cercando ulteriore calore. “Ringrazia il cielo di non
essere una donna.”
Ken ride piano, accompagnandomi alla
moto, ben attento a non farmi cadere, barcollante come sono.
“Diciamo che in questo momento non capisco come tu faccia,
Miyako-san”, risponde, per poi sospirare. “Hai bevuto di
nuovo.”
Lo sapevo che avrebbe notato e disapprovato, lo sapevo. Lo conosco troppo bene, ormai.
“Solo un pochino”,
faccio, con un sorriso imbarazzato, e pregando che le mie gambe
ritrovino un po’ di forza.
Ken scuote il capo, lasciandomi
andare. Subito trovo l’appoggio nella moto dietro di me, anche se
il calore diminuisce sensibilmente. E intanto i suoi occhi azzurri mi
guardano per qualche istante, lievemente socchiusi a causa della fronte
aggrottata. “E stai tremando come una foglia. Forse avresti
dovuto scegliere un abbigliamento più … caldo.”
E subito lo vedo distogliere lo
sguardo, e arrossire lievemente, e capisco perfettamente dove vuole
arrivare: allude alla mia gonna troppo corta, che mi arriva a
metà coscia, e sta cercando di farmi notare che è
eccessiva in maniera educata.
Il fatto che sia così
discreto è un’altra caratteristica a suo vantaggio, anche
se alle volte non ce n’è proprio bisogno.
Alzo le spalle, e a dispetto del
fatto che rischio di morire assiderata, riesco ancora a difendere il
mio abbigliamento. Ci ho messo troppo tempo a prepararmi per non
conoscerne i pregi, andiamo. “Era una festa,
Ken-kun. Non posso andare in giro con un piumino ad avvolgermi, no? Tu
riusciresti a ballare così impedito nei movimenti?”Gli
spiego, pratica, incrociando le braccia in tono falsamente saccente.
Lui fa un sorrisetto –uno dei
suoi: posato, autoironico, divertito. Non conosco nessuno capace di
sorridere in modo tanto strano. “No. E nemmeno se fossi libero
nei movimenti, se è per questo.”
“Sciocchezze. Non hai mai provato!”
“Credimi sulla parola, Miyako-san.”
Sbuffo, rassegnata sulle sue prese
di posizione. In tanti anni di conoscenza non c’è mai
stato modo di convincerlo a ballare ad una festa, mai. Ma se è
per questo … quand’è stata l’ultima volta che
ha partecipato, ad una festa? Mi stringo maggiormente nel cappotto,
autoconvincendomi che basterà volerlo per stare più al
caldo. “Come ti pare. Ma un giorno giuro che ti trascinerò
in pista da ballo, fosse l’ultima cosa che faccio!”
Ken scuote il capo, chiaramente
divertito, porgendomi il casco che teneva tra le mani prima che mi
vedesse. “Non dovresti sprecare così il tuo tempo:
potresti dedicarti a cose più importanti, non credi?”
Sì, è davvero
scioccante che sia l’unico ragazzo sulla faccia della Terra
capace di smontare, con calma e razionalità, ogni mio tentativo
di minacciarlo con proposte che non gli piacciono. Detesto che sia
praticamente un genio, certe volte.
“Basta, ci rinuncio”,
affermo plateale, allacciandomi il casco. “Con te non
c’è gusto …”
“Mi dispiace sul serio.” Ma non è vero, si sta divertendo un sacco. Lo si vede dal lampo che ha negli occhi.
Mi imbroncio, guardandolo storto. “Devo fare finta di crederti?”
Ken ride ancora, per poi
avvicinarsi al motorino, e quindi a me. “Puoi fare quel che vuoi,
Miyako-san”, mi dice semplicemente. “Ma … forse
prima dovresti metterti quello, se hai freddo.”
Indica col dito il motorino dietro di me, e solo allora mi accorgo di cosa è poggiato sulla sella.
Un lungo, marrone, caldo cappotto invernale. Oltre a quelli che sembrano guanti abbinati.
Lo fisso esterrefatta per qualche secondo, come istupidita. “Che … un cappotto?”
“Avevo pensato che avresti
indossato abiti poco pratici per questo freddo. Senza contare che in
moto la situazione sarebbe solo peggiorata.”
Non ci posso credere. Ha sul serio pensato ad una cosa del genere. Ichijouji Ken non è umano.
Sbatto le palpebre, e osservo il suo viso. E’ chiaramente arrossito, e guarda da tutt’altra parte.
“E’ di mia madre.
L’ho … ecco … chiesto in prestito. Non ti
andrà perfettamente, ma, se vuoi …”
C’è ancora da chiedersi perché sia il mio migliore amico?
Forse la cosa che mi piace
più di lui è che mi vuole bene in maniera così
carina che ogni volta non posso che intenerirmi. Chissà quanto
dev’essere stato imbarazzante chiedere quel cappotto a sua madre,
quasi non riesco ad immaginarlo. Eppure lui l’ha fatto, e solo
per tenermi al caldo.
Lo abbraccio, grata, e sorrido
quando lo sento irrigidirsi di colpo. E non si può dire che sia
una novità, lo fa sempre quando lo abbraccio. “Sei sempre
tanto dolce, Ken-kun: grazie, grazie, grazie!”
“Ehi … non è
niente … Miyako-san, dai. Non è stato un problema”,
fa lui, tossicchiando a disagio. Si stacca quasi subito, il viso in
fiamme e gli occhi bassi, ma non si riesce ad avercela con lui. Se solo
non fosse tanto timido, probabilmente non si sarebbe scostato
tanto presto. “Se ti va di provarlo …”
Mi aiuta ad indossarlo,
perché ho ormai perso sensibilità nelle dita, ed è
un sollievo quando il calore del cappotto della signora Ichijouji mi fa
rabbrividire ancora più violentemente e stringermi ad esso,
finalmente trovando un po’ di pace. Lo abbottono in fretta,
sorridendo come una bambina davanti ad un regalo.
“E’ anche molto carino, tua mamma ha buoni gusti”, faccio, e rido, infilandomi i guanti.
Ken non dice nulla per un attimo, limitandosi ad osservarmi mentre termino l’operazione.
Solo quando sollevo le mani,
mostrandogli il lavoro concluso, si riscuote, e sospira. “Meglio
così. Vogliamo andare?”
“Oh, sì. Certo.”
Mentre salgo sulla moto dietro di
lui, e mi aggrappo forte per evitare di cadere quando Ken mette in
moto, non posso fare a meno di sentirmi una ragazza decisamente
fortunata, e felice. Dubito che qualcuno avrebbe fatto tanto per me.
Mi chiedo cosa avrebbe fatto Michael al suo posto. Forse non avrebbe avuto la trovata originale del cappotto di sua madre.
Ridacchio, appoggiando il capo sulla
schiena di Ken. “Sul serio, Ken-kun, io credo che tu ti sia
votato al martirio. Non sei obbligato a trasportarmi di qua e di
là solo per non farmi uccidere dai miei chiedendo passaggi ogni
volta che vado da qualche parte.”
“Te l’ho detto, non
è affatto un problema. Quando sono libero, ben venga.” Mi
risponde cauto, concentrato sulla strada davanti a sé.
Sospiro, esasperata.
“Sì che lo è”, gli spiego pazientemente, come
se fosse uno scolaretto ingenuo. “Di solito si portano da ogni
parte le proprie fidanzate, e tu ti ostini a portare da ogni parte me. Ovvio che io non posso che approfittarne, dato che sei ancora deciso a non averne una.”
Ci mette un po’ per rispondermi, preso com’è dalla sua guida. “Ora mi prendi in giro, vero?”
“Non sia mai”, rispondo,
angelica, e lo sento sospirare, rassegnato. Ma non dice altro:
probabilmente pensa che non ci sia nient’altro da aggiungere.
Sbagliato.
Osservo la sua figura
–perché tanto non si accorgerà mai che lo sto
spiando, posso farlo senza che lui si imbarazzi-, e mi acciglio.
E’ davvero un peccato che Ken sia così testardo
sull’argomento fidanzate:
è uno spreco, ecco. Ken è un ragazzo splendido, e non
parlo soltanto dei suoi occhi azzurri, così belli e penetranti,
o dei suoi capelli scuri e lisci, o dell’aura di mistero che
sembra circondarlo e renderlo così interessante, o ancora del
fatto che sia decisamente cresciuto, e in meglio, dall’avventura
di Digiworld di sei anni fa. E’ un ragazzo straordinariamente
attraente, ma non è solo questo.
E’ sempre attento, è un
caro amico, ed è sempre disposto ad ascoltare quando ce
n’è bisogno. Non sarà di molte parole, certo, ma
quando si apre davvero con qualcuno è capace di rivelare al
meglio la sua interiorità, che è meravigliosa,
benché lui stesso ne dubiti.
Peccato che sia convinto sul serio che non si fidanzerà mai con nessuna.
Me lo disse alcuni anni fa, quando
per la prima volta noi due scoprimmo di essere davvero in grado di
stringere un’amicizia speciale. E, per quanto sia assurdo, lui
sostiene che la sua convinzione derivi dal fatto che i suoi sentimenti
sono pericolosi, fonte di guai.
Scoppiai a ridere allora: credevo sul serio scherzasse. Come potevano essere pericolosi dei sentimenti?
Lui, però, non rise affatto. Si incupì, e mi zittì con due sole, quanto significative, parole.
“Digimon Kaiser.”
Non credo che abbia mai dimenticato
ciò che ha fatto anni fa a Digiworld. Naturale che il senso di
colpa si sia attenuato man mano che passava il tempo, man mano che il
Digimon Kaiser diventava sempre più un fantasma del suo passato
… ma in qualche modo ha trovato il sistema per avvelenargli le
speranze. Come un tarlo invisibile, è ancora lì, a
precludergli qualsiasi aspirazione ad una vita sentimentale.
Non c’è mai stato modo di fargli cambiare idea.
“L’ultima
volta che non ho frenato i miei sentimenti, tutti quanti voi ne avete
subìto le conseguenze, e sofferto”, mi disse, serio come poche volte lo avevo visto. “Non commetterò più lo stesso errore, mai più.”
Molto triste davvero.
Ma, checché ne dica lui, io
sono sicura che una ragazza capace di cancellargli quest’assurda
paura dalla mente esista, da qualche parte. Un giorno arriverà,
e allora lo farà impazzire sul serio, e al diavolo il controllo
dei sentimenti: come se fosse possibile vivere in questo modo.
Sicuramente, quella ragazza avrà tutta la mia stima: credo le
stringerò la mano.
“Sei silenziosa. La festa non
è andata come speravi?” Dice il soggetto dei miei pensieri
all’improvviso, e io mi riscuoto dalle mie fantasticherie.
“No, no, anzi!” Mi
affretto a dire. “E’ stata davvero carina, c’era un
sacco di gente. Ancora non capisco, piuttosto, perché tu abbia
preferito non venire, Ken-kun.” Il pensiero mi fa sbuffare,
critica. “Ti sei perso l’ennesima occasione per
divertirsi.”
Le spalle di Ken sembrano
irrigidirsi, ma solo per un istante: un secondo dopo sembra non essere
mai successo nulla. “Non conosco Michael”, obietta.
“Che motivo avrei avuto di venire? Non gli avrebbe fatto
piacere.”
Questa, poi. Cosa ne sa lui di quello che avrebbe pensato Michael?
“Questa avrebbe potuto essere
l’occasione per conoscervi, no? Michael è davvero
affabile, ti avrebbe fatto sentire a tuo agio all’istante, come
se vi foste conosciuti quando ci siamo conosciuti noi.” Mi
infervoro, rifiutandomi di assecondare oltre i suoi argomenti tanto
deboli.
“Avrei sottratto del tempo a te. A … a voi.”
Mi immobilizzo, sorpresa. Ha uno
strano tono stasera, sembra … seccato. No, forse non è
nemmeno il termine adatto. “Non c’è ancora un noi,
Ken-kun”, rispondo perplessa, cercando di individuare il
problema. “E comunque figurati, per qualche secondo non avresti
smontato i miei piani di conquista.”
Rido, un po’ titubante,
cercando di fingere di non essermi accorta di nulla. Resto una pessima
attrice, sempre e comunque.
Ken non ride, nemmeno un po’. “Lo vedi, Miyako-san? Hai dei piani, non potevo certo mettermi in mezzo.”
Altro che freddo della serata. Il suo tono è polare.
Ma che sta succedendo?
“Ken-kun, che hai? Sei strano”, gli dico, preoccupata. “Sembra quasi che tu abbia problemi con Michael!”
L’ho provocato. Mi aspettavo
avrebbe smentito, avrebbe detto che non era assolutamente così.
Era un’affermazione come un’altra, la mia.
Non mi aspettavo certo che ci avrei preso.
Ken sobbalza, e all’improvviso
sembra perdere il controllo del motorino: sterza bruscamente, mentre io
strillo e mi aggrappo a lui. Una macchina dietro di noi ci supera,
suonando furiosamente il clacson.
E giuro, mai era successo che Ichijouji Ken perdesse il controllo alla guida.
Lo fisso, scioccata, mentre lui si
stabilizza e continua ad andar dritto senza fermarsi. “Ma
insomma!” Sbotto, con la voce stridula.
“Scusami, mi dispiace”,
fa lui in fretta, imbarazzato. Ma non aggiunge nulla su Michael: lascia
che il suo atteggiamento parli per lui.
Allora ha sul serio problemi con Michael?
Questo, poi, è assurdo. Ken sta facendo il fratellino minore, adesso? Cerca di proteggermi dai ragazzi?
Possibile?
Però è un pensiero
carino, in fondo. Cerco di nascondere il sorriso che mi è nato
spontaneo, mentre comincio a parlare pazientemente.
“D’accordo, ascoltami: Michael è un ragazzo per
bene. Non ha cercato di farmi niente, a parte parlarmi con aria
gentile, invitarmi a ballare due … no, tre volte. Cos’ha
che non va?”
Ken non risponde, lo sguardo fisso davanti a sé. Lo prenderò come un invito a continuare.
“Anzi, a dirla tutta è
una persona che sembra avere tutto dalla sua”, riprendo,
lasciando che l’entusiasmo trapeli dalla mia voce mentre parlo
del ragazzo che mi piace. “Bello, attraente, piacente, simpatico,
gentile … sa sempre cosa dire, come comportarsi … Un vero
gentiluomo. Soprattutto stasera.”
Arrossisco di gioia, mentre ripenso
al suo sguardo, alla sua presenza accanto a me. “Mi ha detto che
suo padre sta girando un nuovo film. Sai che è un attore famoso?
E che lui sta pensando di seguire la sua carriera? Non sarebbe
fantastico se arrivasse anche lui sul grande schermo …?”
“Immaginavo.”
Ammutolisco, colpita dal suo tono gelido. “Cosa?”
“Da quello che mi dici, ti ha parlato solo di sé. Mi sembra un atteggiamento un po’ narcisistico.”
All’improvviso, ne ho
abbastanza: è come se la mia preoccupazione per lui sia
scoppiata come una bolla di sapone, lasciando il posto ad un sentimento
ben più sgradevole. Ora sono arrabbiata. Che motivo ha di
prendersela tanto?
Sbotto. “Mi ha chiesto anche di me, cosa credi? Non perderei tempo con qualcuno che non mi considera minimamente.”
“Tu dici?”
Scettico, e decisamente antipatico. Non l’ho mai visto così acido in tutta la mia vita.
“Ecco, ti rispondo
immediatamente: mi ha chiesto come me la passo, come vanno i miei
studi, e …” E’ assurdo, all’improvviso parlare
di Michael davanti a un Ken irritato e odiosamente freddo mi fa sentire
a disagio. Arrossisco sgradevolmente, cercando di ripensare alle
conversazioni tenute con il mio americano preferito questa sera, ma non
riesco a concentrarmi.
Non con Ken in questo stato.
“… E basta. Miyako-san,
perché perdi tempo con persone che non sono interessate a te
come tu lo sei di loro?”
“Ma scusa, cosa ne sai di lui?
Ti rifiuti di conoscerlo ogni benedetta volta in cui ci organizziamo
per vederci!” Quasi sbraito, frustrata, e persino la mia presa
sulla sua schiena è rigida, innaturale. Cerco di stargli
più lontana possibile, ora che sembra starmi dimostrando che non
è dalla mia, stavolta. “E poi chi lo sa? Magari potrei
piacergli. Credi sia impossibile?”
La mia ultima domanda mi esce fuori come uno strillo, pieno di rabbia.
Ed è strano, perché
proprio questo suono così strano e quasi buffo a sentirsi
è quello che sembra sospendere la nostra discussione: la moto si
ferma, e solo allora mi rendo conto che siamo arrivati davanti a casa
mia.
Tutto questo tragitto passato a parlare di nulla. E a sentirmi a pezzi.
Ken scende con un movimento rapido,
togliendosi il casco e porgendomi una mano per aiutarmi. Ma non riesco
a muovermi, mi sento pietrificata. Pietrificata nel cappotto lungo e
marrone della signora Ichijouji, che nasconde gonna corta e maglia
leggera e un po’ scollata. All’improvviso mi sento solo
sciocca, e in imbarazzo.
E ferita, tanto.
Gli occhi mi bruciano, e mi trovo
senza un motivo preciso a trattenere le lacrime davanti al suo sguardo.
“Tu credi che io non potrò mai piacere a nessuno,
Ken-kun”, dico, la voce tremante.
Credo di averlo spiazzato,
perché forse non si aspettava che fossi così diretta con
lui: abbassa il braccio, sconcertato. “Cos …?”
E non posso lasciarlo finire di
parlare: gli occhi mi brillano in modo vergognoso. Inghiottisco a
fatica, per farmi forza, e scendo dal motorino da sola, voltandomi di
spalle e armeggiando con il casco. Tutto, pur di non guardarlo.
“Non negare, ho capito benissimo. Insulti Michael per farmi
capire quanto io sia ridicola. Mi porti persino il cappotto da casa per
rimediare alla mia indecenza.
Non vieni alle feste per evitare di dirmi quanto ti vergogni di me.
Come ho fatto a non capirlo prima? Sempre a biasimarmi se bevo, se mi
vesto a festa, se sto con Michael … mi trovi ridicola e idiota.
Bene. Hai ragione …”
“Miyako-san, credi davvero una cosa del genere?”
C’è un tono nascosto,
quasi vibrante, nella voce di Ken, adesso. Non si può fingere un
tono del genere, dev’essere autentico. Deve essere autenticamente
pieno di impeto trattenuto, di stupore e amarezza insieme.
Mi blocco, turbata. Cos’è questo cambiamento, adesso?
“E cos’altro dovrei credere?” Chiedo, voltandomi per affrontarlo.
Ma poi sussulto, presa alla sprovvista.
Ken è proprio di fronte a me, e mi fissa, immobile e serio. Ma non è questo a fermarmi.
Sono i suoi occhi. Sembrano
inchiodarmi sul posto, sottrarmi il respiro dai polmoni, chiedermi
prepotentemente di essere osservati intensamente come loro osservano me.
C’è mai stato quel lampo, nell’azzurro profondo del suo sguardo?
Perché il mio cuore ha
accelerato tanto i battiti? Diamine, in tanti anni non ho mai guardato
negli occhi Ichijouji Ken, non ne ho mai osservato l’incredibile
forza che traspare da essi?
L’unico luogo in cui nessun suo sentimento è trattenuto, e tutto è messo a nudo …
Ho mai visto quanto mi parlassero?
Non riesco a muovermi.
E, un istante dopo, rapido, Ken mi bacia.
E non so se sia complice
l’alcool, che mi annebbia ogni capacità di ragionamento, o
se è la debolezza che mi fiacca lì contro il motorino, o
ancora le braccia di Ken che, calde, mi cingono per la vita in modo da
non farmi cadere, ma non riesco a fermarmi.
Rispondo al bacio, e per un istante mi scordo di poter pensare ad altro.
Altro che non sia il suo profumo, o
il calore insopportabile che mi cresce dentro. Altro che non siano le
sue labbra, che, in modo un po’ impacciato ma decisamente non
incerto, non ne vogliono sapere di abbandonare le mie. Altro che non
sia il desiderio sempre crescente di non smettere, non smettere
più …
Reggo ancora in mano il casco, e una
parte della mia testa mi ricorda che è un ostacolo a noi. Mi
chiede cosa si possa provare nel passargli una mano tra i capelli,
adesso. E allora apro le dita, e lascio che cada.
Ma ho dimenticato che la neve che doveva attutire il colpo non si è accumulata in strada.
Il rumore secco e fastidioso del
casco che si schianta sull’asfalto interrompe il momento. Ken si
stacca da me, con un sussulto, e io mi rendo conto solo allora di aver
chiuso gli occhi.
Li spalanco, stordita.
E guardo la sua espressione
attonita, il rossore del suo viso, lo sguardo pieno di orrore. Mi
guarda come se non credesse ai suoi occhi, e credo che le sue mani
stiano tremando.
E finalmente comprendo ciò
che è successo. Ichijouji Ken mi guarda con orrore perché
lui mi ha baciato. Perché io l’ho baciato. Perché
io avrei desiderato continuare a baciarlo.
Oddio.
Arrossisco di botto, e mi porto le
mani alle labbra in un gesto istintivo. E sono ancora più
sorpresa di sentirle calde –calde del suo bacio.
Prima che io possa fermarlo, Ken si
abbassa a raccogliere il casco, con gesti meccanici, per poi rimettersi
il suo e salire sulla moto. Il motore si accende, e io cerco invano di
richiamarlo, perché la voce sembra essere sparita. Forse si
è bruciata nel calore confuso di poco fa.
Prima che io stessa possa accorgermene, di lui non mi resta che una nuvola di smog.
E sono sola davanti a casa mia.
Sola, a cercare di respirare, a cercare di scacciare questa terribile sensazione di panico che mi avvolge sempre più.
Ovviamente, essendo io Inoue Miyako, fallisco in entrambe le cose.
Buon anno a tutti e buone feste
passate! :) Il periodo natalizio finisce e io penso bene di pubblicare
una storia natalizia in ritardo. Direi che sono appena in tempo con
l'Epifania, almeno non sono del tutto sfasata --' A parte questo
dettaglio che spero mi perdonerete... Bentrovati in questa brevissima
long! ^^ vi annuncio subito che non supererà i 4 capitoli -il
che per me è stranissimo, considerando quanto posso essere
prolissa nelle long o.o diciamo che volevo provare qualcosa di nuovo, e
non solo nella lunghezza. So che di solito la Friendzone si associa
prettamente a Taichi e Sora, o Takeru e Hikari... Ma si sa, io sono
Kenyako dipendente e non ho saputo resistere :P Sperando vivamente vi
sia piaciuta, vi saluto al prossimo aggiornamento!
Padme Undomiel
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Capitolo 2 *** 2. ***
JGF2
Just Good Friends
2.
Quando mi sono svegliata stamattina,
completamente aggrovigliata tra le mie coperte, osservando il paesaggio
imbiancato fuori dalla mia finestra, ho pensato di aver sognato tutto.
Suppongo fosse più facile in questo modo.
Può essere stato
l’alcool, mi sono detta, passandomi una mano sulla fronte come
per scacciare brutti pensieri. Oppure un’indigestione, o brutti
pensieri prima di dormire.
Eppure lo sapevo, grazie al vago
senso di ansia che mi aveva assalito appena aperti gli occhi. Sapevo
che non avrei mai potuto fare un sogno del genere senza uno stimolo
esterno.
Così, quando il mio sguardo
è caduto sul cappotto e sui guanti della signora Ichijouji,
posati in maniera scomposta sulla sedia accanto alla scrivania, non ho
potuto fare a meno di balzare giù dal letto con un sussulto, il
cuore impazzito, come se avessi visto la concretizzazione di un
pensiero astratto che non desideravo vedere.
E i miei nervi scossi hanno fatto il resto.
Ero ancora in preda ad un attacco di
isteria persistente, la testa fra le mani, i ricordi dettagliati di
ieri che mi incendiavano le guance ed una confusione tale che mi
impediva di pensare lucidamente a cosa fare, quando Mimi, Sora e Hikari
sono venute a bussare a casa mia. Credo di aver supplicato di portarmi
via di lì, non ricordo affatto bene.
Ma neanche adesso che sono al caldo
in un accogliente bar, accanto alle mie migliori amiche, aspettando che
arrivi la mia ordinazione, la situazione è cambiata. Ora la
testa l’ho semplicemente buttata sul tavolino, come senza vita.
Mimi è la prima a commentare
quando finisco di fare una sintesi rapida di ciò che è
successo ieri, non prima di un sospiro, tipico di chi sembra aver
capito tutto da tempo. “Ah, Miyako-chan”, esclama,
“me ne vado per qualche tempo e al mio ritorno un po’ di
ormoni di troppo sono in circolo, a quanto pare.”
Ormoni. Perché mai devo ritrovarmi a parlare degli ormoni di Ken?
Arrossisco di nuovo, sollevando di
scatto la testa e incontrando il sorrisetto di Mimi. “Ridi pure,
ma la questione è tragica!” Ribatto, quasi urlando per
l’indignazione. Hikari è pronta a zittirmi con un dito
sulle labbra, e io tento di controllarmi, sebbene mi sembri di
esplodere dall’interno se costretta a parlar piano.
“Ken-kun non è … Ci sono miliardi di ragazze sulle
quali dar libero sfogo agli ormoni! Perché deve pensare di
… di baciare proprio me?”
“Beh, ma Ichijouji-kun ha
sempre avuto un rapporto particolare con te”, replica Sora,
stringendosi nelle spalle. “Con queste premesse, la scelta, se
così si può chiamare, non è così
imprevedibile come pensi.”
Mi lancia un sorriso pieno di
sottintesi, appoggiandosi il mento sul palmo della mano. “Credo
sia una delle cose più naturali del mondo.”
Mimi annuisce vigorosamente. “E’ una delle cose più naturali del mondo.”
Perché adesso si stanno
lanciando quello sguardo furbo, come se fossero a conoscenza di un
segreto di stato? Tutto questo non fa che accrescere il mio senso di
impazienza. Le guardo entrambe, cercando di cogliere l’arcano.
“Cosa è una delle cose più naturali del mondo?”
“Magari piaci a Ichijouji-kun”, interviene Hikari diretta, all’improvviso.
Io rimango a bocca aperta per qualche secondo.
Poi, incerta, comincio a
ridacchiare. “Sì, come no. Ken-kun? Stiamo parlando della
stessa persona che conosco io? Questa è bella, davvero.”
Mentre parlo, mi sento sempre
più a disagio, come improvvisamente fuori posto. E l’avere
sei occhi puntati addosso non aiuta affatto. Cerco di non badarci, e
inizio a giocherellare nervosamente con una ciocca di capelli,
continuando a parlare, forse solo per dare aria alla bocca. “A
parte che credo che non voglia avere affatto a che fare con
l’amore, ma poi … dai, non scherziamo. E’
impossibile che sia così!”
“E perché?” Fa
Sora tranquilla, e non smette di osservarmi. “Non vedo dove
sarebbe l’impedimento.”
“Come sarebbe, non lo vedi? Non ti sembra assurdo anche solo pensarlo?”
“Come spieghi, allora, il suo comportamento di ieri?” Commenta Mimi, scettica.
E basta la parola ieri perché, come un film fin troppo nitido nella mia testa, il ricordo riparta, turbandomi di nuovo.
“Non lo so!” Scatto,
messa alle strette. Cielo, mi sento così imbarazzata …
“Non so cosa gli sia preso, perché sia impazzito, se per
caso ha mangiato qualcosa di avariato prima di venirmi a prendere ... O
magari si tratta solo dell’essere un ragazzo, ho sempre pensato
che la razza maschile sia più felice. Tutto alla leggera, tutto
tranquillo … Perché è normale, non è vero,
baciare me come se niente fosse? Perché sono una ragazza, e lui
è un ragazzo, e baciare non è come legarsi a qualcuno,
è … è …”
“Miyako-san, respira. Ti stai
agitando un sacco.” Hikari mette la sua mano sulla mia,
comprensiva, e me la stringe. E io mi sento il viso paonazzo, ma
stavolta è solo per mancanza di ossigeno.
“Sto bene!” Quasi
strillo istericamente, e poi mi abbandono sulla sedia con un gemito
disperato. “No, non è vero. E’ tutto così
confuso, non capisco …”
“Ma perché sei così sconvolta?”
La domanda di Hikari, mentre tento
di respirare profondamente –misura di sicurezza ogni volta che
sragiono per motivi vari ed eventuali-, suona stranamente bizzarra. Me
la ripeto mentalmente per un altro paio di volte, ma l’effetto
resta lo stesso.
Bizzarra.
Sollevo lo sguardo, fissandolo negli
occhi castani della mia migliore amica. “E’ che non me lo
aspettavo. Non così all’improvviso, almeno, e non da lui.
E poi …” Deglutisco, prima di continuare. “Non
capisco nemmeno perché io abbia ricambiato il bacio senza
esitare. Come se fosse … Oh, non so. Naturale, ecco.”
Hikari inclina la testa da un lato,
come se stesse valutando qualcosa dipinta sul mio viso. “Tempo fa
Ichijouji-kun ti piaceva, e tanto”, dice, e non aggiunge altro.
Ma a me non serve altro per capire.
Il disagio scema
all’improvviso, ed è come se tornassi padrona della
situazione, e delle mie reazioni. Ridacchio, e scuoto la testa,
scettica. “E’ stato sei anni fa, Hikari-chan”, le
rispondo subito.
“E allora?” Fa lei, con un sorriso disarmante.
“Non vorrai dirmi che è
per la mia cotta da adolescente che ho ricambiato quel bacio!”
Esclamo, e rido ancora. “E’ acqua passata da
tempo!”
“Sempre che sia davvero acqua passata”, interviene Mimi, con aria maliziosa. “Potrebbe ancora piacerti.”
Le guardo, incredula, e più
ci penso più mi viene da ridere. E’ già incredibile
ricordare che anni fa Ichijouji Ken mi piaceva, figuriamoci pensare che
quel capitolo non sia stato archiviato. Allora non ero che una
ragazzina, che idolatrava un ragazzino affascinante e bravo in ogni
campo. Quando ritagliavo dalle riviste le sue interviste non sapevo
ancora nulla del Digimon Kaiser, né tantomeno del Ken che si
nascondeva dietro la facciata di perfezione: quando l’ho
conosciuto meglio il mio sentimento si è evoluto, e tanti saluti
alle sciocchezze immature.
Ken è il mio migliore amico.
Ed è un sentimento unico, puro: non l’ho mai provato per
nessun ragazzo che mi sia mai piaciuto. Con Ken è diverso, ecco
tutto, ed è bello così.
Non riuscirei a vederlo diversamente.
Sorrido, finalmente tranquillizzata.
“Se mi conosco almeno un po’, so che non è
così. E poi, se mi piacesse Ken-kun non sarei così
interessata a Michael, non vi pare?”
La mia logica è del tutto inattaccabile, ma riceve come risposta degli sguardi scettici.
Che persone impossibili. Mi acciglio, incrociando le braccia. “Libere di non crederci! Io ho la coscienza pulita.”
“Non è questione di
coscienza pulita o meno, è che magari non riesci a capire bene
quello che provi perché sei confusa”, commenta Sora,
conciliante. Il telefono di Hikari squilla all’improvviso: lei
risponde in fretta, allontanandosi un po’ dal tavolo per poter
sentire la voce del mittente della chiamata.
“Se sono confusa è solo
e unicamente perché non so che accidenti fare una volta che lo
vedrò, tutto qui! Ma non è un ostacolo insormontabile. Vi
dirò di più: andrò a parlargli oggi stesso,
così chiariremo una volta per tutte ogni malinteso!”
Sono spavalda e sicura di me mentre
parlo, al punto tale che riesco a credere in quello che dico solo
grazie al mio tono definitivo. Ma tanto nessuno scoprirà la
fragilità delle mie convinzioni, no?
“A proposito di questo …”
Hikari torna ad avvicinare la sedia
al tavolo, riponendo il suo cellulare nella borsa. Poi solleva lo
sguardo, fissandolo, in particolar modo, su di me. “Taichi mi ha
appena chiamata: riunione improvvisa a casa mia.”
Il significato implicito di
quell’occhiata mi fa già intuire la situazione in cui mi
trovo. Deglutisco. “Riunione nel senso di …?”
Articolo, e spero con tutta me stessa di sbagliarmi.
Hikari, naturalmente, distrugge ogni
mia speranza. Annuisce. “Nel senso di riunione di tutti i
Digiprescelti, Miyako-san.” Il suo viso assume un’aria
imbarazzata. “Spero parlassi sul serio, riguardo ai tuoi buoni
propositi per oggi, perché … temo ci sarà anche
Ichijouji-kun.”
Lancio un gemito, tornando a
nascondermi il viso tra le mani. E così tutto il lavoro fatto da
stamattina finora per calmarmi va a farsi benedire.
“Oh, perfetto!”
Naturalmente, non parlavo sul serio, prima.
Sono rovinata.
***
Ho detto che è assurdo
pensare che Ken possa provare sentimenti del genere per me. Ma è
ancora più impossibile impedirsi di fare congetture una volta
che il pensiero si è ancorato al tuo cervello.
Osservo le mie dita strette tra loro in grembo, e rifletto.
Poniamo il caso che sia così,
ecco. Poniamo il caso che in questa persona Ken veda qualcosa di
più, qualcosa che non ha visto anni fa durante l’avventura
a Digiworld, qualcosa che è riuscita a destabilizzare persino la
sua abituale calma e ponderatezza, e che ha mutato la nostra amicizia
in qualcosa di indefinito.
Dev’essere un qualcosa di davvero grande, se è riuscito in tutte queste cose.
Chissà cosa, di me, potrebbe eventualmente aver cambiato tutto.
L’aspetto fisico?
Certo, sono sicuramente cresciuta
dall’avventura che ci ha fatti conoscere: sono più grande,
più matura nelle forme, più alta, e non sembro più
una bambina. Però … Dovrei avere una bellezza
sensazionale per giustificare un cambiamento di prospettiva simile. E
di certo non sono bella e appariscente come Mimi: non sono poi male, ma
sicuramente non è abbastanza.
E allora può essere qualcosa relativo al mio modo d’essere, al mio atteggiamento?
Ecco, questo è un enigma
ancora più difficile da risolvere: pensarci può solo
aggravarmi l’emicrania, lo capisco all’istante.
Ma ci penso lo stesso.
Magari, cosa posso saperne?, magari
gli piacciono le ragazze lunatiche, incostanti e chiassose. Magari ha
un debole per le persone che non sanno mai controllarsi, per le ragazze
che non hanno la grazia femminile come punto di forza.
Quasi me lo immagino: io che mi
lamento poco dignitosamente per qualcosa o qualcuno, magari
gesticolando e urlando a tutta forza, e lui, accanto a me come sempre,
che in tutta risposta mi sorride dolcemente e mi dice: Sei adorabile, Miyako-san.
Oddio, che scena grottesca.
Ridacchio, incapace di controllarmi.
“Ecco lì qualcuno che non sta minimamente ascoltando!”
Sussulto, e di colpo torno alla
realtà, trovandomi lo sguardo di undici persone fisso su di me.
In particolare, l’espressione teatralmente severa di Taichi,
seduto al contrario sulla sedia girevole come ama fare di solito, mi
riporta alla mente che sì, stava parlando, e che avrei dovuto
ascoltarlo.
Arrossisco, e involontariamente lancio uno sguardo a Ken: per una volta –solo
per stavolta-, non posso che provare sollievo nel vedere che è
l’unico a non guardarmi, ostinandosi a restare di spalle, seduto
com’è ai piedi del letto dove mi trovo io.
Mi porto la mano destra sulla
fronte, in un’imitazione di un saluto militare. “Giuro che
stavo ascoltando, signore!”Esclamo a voce alta. “Stavamo
parlando dell’organizzazione migliore e più efficiente per
la festa di Natale di quest’anno, che avrà luogo tra una
settimana a casa Yagami, con ospite eccezionale Michael!”
Lo indico con un cenno del capo:
Michael mi guarda in risposta, seduto accanto a Mimi, bello e
impeccabile come solo un affascinante americano figlio di un attore
consumato, ovvero dotato di una buona dose di sicurezza, può
essere. “Grazie dell’eccezionale,
Miyako-san”. Mi lancia un sorriso, uno di quelli che ieri
mi avrebbero mandato il cuore a mille. Ma oggi non sono in forma:
distolgo lo sguardo, in imbarazzo.
Stavo pensando ad un altro ragazzo, poco fa. Che razza di ragazza innamorata sono?
“Almeno questo l’ha capito”, fa Daisuke, col chiaro intento di provocarmi. Io lo fulmino con lo sguardo.
“Corretto, e poi?” Mi incalza ancora Taichi.
Mi arrovello il cervello per cercare
di ricordare. Qualcos’altro l’ho sentito sicuramente!
“E poi si è parlato di … di … di dividersi i
compiti! Sì, ci sono tante cose da preparare, e dobbiamo
approfittare del fatto che siamo tanti, abbiamo buoni rapporti tra noi
e quindi possiamo collaborare in modo efficiente!”
“Taichi, lasciala stare, ha
sentito tutto!” Ride Hikari, probabilmente nel tentativo di
salvarmi. Io tiro un sospiro di sollievo, tremendamente grata.
Ma pare che io non sia molto
fortunata, ultimamente. O forse la mia espressione colpevole non lo ha
convinto più di tanto.
“E la divisione in gruppi qual è?”
Sprofondo nel rossore più vivo. Lo sapevo. “… Non ne ho idea.”
Risatine in sottofondo accompagnano
la mia vergogna. Ken ancora non si volta, non si muove, non dà
segni di vita. La sua schiena è tutto quello che posso vedere di
lui.
Yamato ghigna. “Lo vedi,
Taichi? Stai perdendo credibilità come capo, nessuno ti presta
più attenzione”, lo prende in giro, spingendogli la sedia
girevole in avanti con il piede.
Lui sospira, melodrammatico.
“Ingrati! Mi faccio in quattro per voi e questa è la
ricompensa …” Commenta, fingendo di asciugarsi una
lacrima. “Ecco, spiegateglielo voi, magari vi ascolteranno di
più.”
Sora alza gli occhi al cielo.
“Buffone …” commenta, per poi rivolgersi a me.
“Io e Mimi-chan siamo addette alle decorazioni”, mi spiega.
“Yamato e Takeru-kun penseranno alla musica, Koushiro-kun,
Iori-kun e Jyou-senpai alle bevande, Taichi e Hikari-chan, in quanto
padroni di casa, alla cena, ma solo per quanto riguarda il salato
…”
“… Tu e Ken penserete
al dolce, invece, mentre io e Michael, dato che è
l’ospite, sceglieremo i giochi da tavola che più ci
…” Si aggiunge Daisuke con aria fiera, ma io già
non lo sento più: penso che il mio cuore non abbia retto tanto
stress.
Tu e Ken penserete al dolce.
“A- aspetta un attimo!”
Balbetto, quasi balzando giù dal letto. Non può essere,
non può essere! Che situazione imbarazzante creeremmo? Non ci
vedono? Non se ne accorgono? “Volete dire che sono nel gruppo dei
dolci con …”
La voce mi manca
all’improvviso, mentre mi rendo conto che sto parlando come se
avessi un problema con lui davanti a tante persone ignare, e per di
più in sua presenza. Con la sua presenza ancora silenziosa.
Oh.
Ora capisco perché è così immobile.
Dev’essersi pietrificato per lo stesso motivo. Non vorrà
stare con me, immagino.
Ed è plausibile, dal momento che ieri è scappato via dopo avermi baciata.
Mi mordo la lingua, e l’inquietudine mi assale. Vorrei scappare io, adesso.
Ma cos’altro posso fare?
“Non ti sta bene? Credevo che
tu amassi i dolci, Miyako-san”, interviene Takeru, con gli occhi
sgranati. E l’ho visto, che lanciava uno sguardo di sfuggita
anche a Ken. Ha percepito l’atmosfera che c’è. “E i dolci di casa Ichijouji sono sempre eccezionali, così ...”
Vedo le ragazze scambiarsi
un’occhiata inquieta, e Hikari ammonire Takeru con lo sguardo:
lui la guarda perplesso, zittendosi.
Non so davvero che fare: ho la testa
nel pallone, mentre guardo ora uno, ora l’altro. “Ma no,
è solo che … ecco …” E non so davvero come
continuare. “Io …”
“Io non ho problemi a cambiare gruppo, o compagno.”
Mi pietrifico. E’ stato Ken a
parlare. Ed è stato freddo, conciso, composto. Non mi guarda, ma
lo so che si riferiva a me.
Mi sta liberando dall’impaccio.
O forse vuole liberarsene lui?
Una sgradevole sensazione mi
colpisce all’istante, e ha il vago sentore della delusione.
Stranamente è proprio questo a farmi prendere una decisione.
“No, no! Mi sta benissimo così, non voglio assolutamente cambiare gruppo né compagno.”
Se ha problemi con me sarà
lui a dirlo, non certo io, penso, sfidandolo mentalmente a ribattere.
Tutto ciò che ottengo è solo un movimento quasi
impercettibile del capo, e so di averlo spiazzato, magari anche
preoccupato. Ma non dice altro.
Non so se esserne felice, però. Questa tensione mi sta uccidendo.
Il silenzio scomodo che segue le mie
parole è interrotto –grazie al cielo-, da Koushiro, che si
schiarisce la voce. “Bene, se non abbiamo obiezioni, direi che
abbiamo detto tutto quello che c’era da dire, giusto?”
Taichi annuisce, interdetto. “Sì, già. D’accordo … la riunione è sospesa.”
“Perfetto. Allora, se volete
scusarmi …” Ken si alza in piedi di colpo, e sembra quasi
una molla appena decompressa. “Devo andare. Ci vediamo al
più presto.”
E so di non essere l’unica ad essere spiazzata. Forse sono l’unica a sentire del gelo nel petto, però.
Hikari si alza. “Ti accompagno”, prova a dire, ma lui scuote la testa, abbozzando un sorriso –ma è così falso-. “Non è necessario, conosco la strada. Grazie.”
E mentre un coro di saluti incerti accompagna la sua uscita dalla camera, io rimango silenziosa, come scioccata.
Sta scappando.
Sta scappando, come ha fatto ieri e
come farà anche tutte le prossime volte, e io non potrò
parlargli, perché è proprio da me che vuole allontanarsi.
Non voglio.
Scatto in piedi anche io, mi scuso
con gli altri e invento non so quale storia mentre corro e lo seguo,
perché so che non avrò altra occasione.
Dev’essere ora, prima che sia tardi, prima che scappi ancora tante altre volte.
Lo trovo all’ingresso, con la porta aperta, sul punto di uscire. Accelero il passo, raggiungendolo.
“Ken-kun!”
Si ferma di colpo, e io mi fermo in
tempo prima di toccargli un braccio. Il cuore mi martella furiosamente
nel petto: non riesco a sfiorarlo, non dopo ieri, non a così
poco tempo da quel bacio.
Abbasso la mano, imponendomi di non tremare in quel modo.
“Ken-kun”, ripeto ancora, a voce malferma.
Lui si gira, e mi guarda.
Conosco quest’espressione. Sta
cercando di non farmi capire quello che succede nella sua testa, cerca
di apparire privo di emozioni, come una statua di marmo. Ma i suoi
occhi non si fissano mai direttamente nei miei, perché sa che
capirei che emozione sta provando.
Mi fa male. E’ davvero finito
tutto? Può un bacio davvero avere questo effetto su di noi?
Può davvero raffreddare persino un rapporto come il nostro?
Non voglio.
“Cosa c’è?” Mi chiede, neutro.
Non voglio!
Prendo un respiro profondo, e la
paura mi fa acquisire il coraggio di aprir bocca. “Pretendo la
torta con triplo strato di cioccolata e panna”, affermo di getto.
E questa volta l’ho sorpreso sul serio.
Spalanca occhi e bocca, incredulo. “Cosa …?”
Si aspettava che gli avrei chiesto
spiegazioni per il bacio, suppongo; perché me lo aspettavo anche
io da me stessa. Ma non l’ho fatto.
Perché non l’ho fatto?
Non importa, no? Non mi resta che assecondare gli eventi.
Annuisco, un po’ attonita.
“Hai capito bene. Siamo noi a doverci occupare dei dolci, giusto?
Allora siamo noi a decidere cosa preparare per Natale. E io voglio
quella torta.”
Lo fisso, in attesa, e dentro di me
prego che si liberi di quella freddezza. Voglio che torniamo ad essere
noi, non voglio perderlo. Non voglio. A questo punto, è anche
meglio che sia andata com’è andata: meglio dimenticare, e
far passare l’evento come se niente fosse, perché Ken
è troppo importante per me.
Un lungo silenzio. Poi Ken richiude
la bocca: qualcosa nella sua espressione cambia, si distende.
“No, Miyako-san. Quella torta è commestibile solo per
te.” Ribatte, e tenta di parlarmi col tono di rimprovero che
avrebbe usato fino a due giorni fa.
E’ come se mi fossi liberata di un peso.
“E andiamo! Se la provassi
anche tu sapresti che è la migliore ricetta che tua madre abbia
mai inventato!” Mi lagno come una bambina, riacquisendo pian
piano quella spontaneità che mi mancava.
Lui sospira, e sorride.
“E’ assolutamente poco pratica da tagliare e servire.
Guarda in faccia la realtà, non si può fare. E
poi”, aggiunge, gettandomi un’occhiata incerta.
“Bisognerebbe cercarne la ricetta, perché non ricordo dove
sia finita …”
“Che problema
c’è? Vengo a casa e ti aiuto a cercarla!” Mi offro
impulsivamente, lasciandomi trasportare dalla corrente. Lui si
irrigidisce per un istante; io sussulto, temendo di aver sbagliato, di
aver distrutto quella fragile tregua che avevamo creato. Sto per
rimangiarmi tutto, quando lo sguardo di Ken mi colpisce.
Sembra sollevato.
Ride piano. “Tutto, per quella torta ipercalorica, eh, Miyako-san?”
Rido anche io, forse un po’ troppo forte. “Puoi ben dirlo! Prendo il cappotto e arrivo, aspettami!”
Mi allontano a passo rapido, e mentre cerco il mio cappotto mi coglie uno strano pensiero.
Lo sguardo di Ken era sollevato perché non gli ho chiesto spiegazioni per ieri.
C’è qualcosa che non
quadra. Sono stata io stessa a dirmi che era meglio lasciar perdere,
per continuare ad essere i migliori amici di sempre. E allora
perché provo delusione vedendo quanto anche lui vuole
dimenticare tutto?
Il peso dal mio animo si sarà
anche tolto, ma al suo posto è sopraggiunto un senso di vuoto
che non sarei capace di spiegare in nessun modo.
Non dovrei essere felice?
Sbuffo, infilandomi il cappotto in fretta e tornando da Ken, ancora fermo sulla porta.
Meglio non complicare troppo le cose con strani pensieri, per il momento.
***
“Ti ripeto che non c’è.”
“E io ti ripeto che la troveremo. Dove la nascondi?”
“Sembri convinta che io abbia
ordito un complotto per frenare la tua golosità, ma ti assicuro
che sono innocente.”
“Guarda che lo so, che sei più perfido di quello che … Ehi, a chi hai dato della golosa?”
“Miyako-san, la tua golosità in campo dolciario è un dato di fatto, non fingerti sorpresa.”
Siamo strani. Sembriamo normali, ma non lo siamo. Non riusciamo ad esserlo.
Da quando siamo usciti da casa
Yagami non ho smesso un attimo di parlare, parlare e parlare. Progetti,
ricette, aspettative sulla festa … neanche ricordo tutto quello
che ci siamo detti. So solo che avevo un disperato bisogno di non stare
zitta un attimo, so che avevo bisogno di ritrovare la
quotidianità dei nostri discorsi del prima, e so che, in qualche
modo, sentivo che ci stavamo avvicinando ad essi.
Ma io parlavo troppo, e le risposte di lui non riuscivano a rassicurarmi.
Anche ora, come prima, mi risponde, sorride, mi prende gentilmente in giro, ma è circospetto. Non mi guarda negli occhi.
Ci stiamo parlando, ma ho come l’impressione che ancora non riusciamo a comunicare l’uno con l’altra.
Passerà, mi dico, cercando di sopprimere la fastidiosa voce nella mia testa che mi sussurra cose scomode. Passerà,
prima o poi. Un bacio dettato da alcool o ormoni non può portare
i suoi strascichi per troppo tempo, no? E’ ridicolo.
Casa Ichijouji la conosco molto
bene, ormai: sono anni che capito qui per studiare, chiacchierare,
semplicemente per incontrare Ken. Mi sento quasi in famiglia, certe
volte. Per questo non ho problemi a dirigermi sicura verso la mensola
del salotto.
“Non potrebbe essere finita
nel raccoglitore delle vecchie ricette? Tua madre una volta mi ha detto
che fa difficoltà a riordinarle, siccome ama viziarti con ogni
genere di prelibatezza. Potrebbe essere stata una svista”,
commento, alzandomi sulla punta dei piedi per poter vedere meglio.
E’ decisamente troppo in alto per poterlo prendere, anche
stendendo il braccio.
Ken fa un profondo sospiro, alle mie
spalle. “Se vuoi metterti a rovistare tutto il raccoglitore
…” mi risponde, col tono rassegnato di chi conosce
già la risposta.
Io non dico niente: mi dirigo
spedita verso la prima sedia che mi capita a tiro, posizionandola sotto
la mensola. Poi, decisa, ci salgo sopra.
Lui è rapido ad allarmarsi: si avvicina rapidamente alla sedia. “M-Miyako-san! Aspetta, salgo io!”
Io sbuffo, alzandomi sulla punta
periodicamente per riuscire ad afferrare il raccoglitore. “Non
sono mica … una bambina, Ken-kun!” Rispondo, concentrata
nel mio lavoro. Come vorrei essere più alta, dannazione.
“Ce la … farò … senza problemi!”
“Rischi di farti male, se stai
sulle punte in quel modo! Io sono un po’ più alto,
è meglio se …”
Il resto della frase è interrotto da quello che succede dopo.
Non so neanche come succede, so solo
che la sensazione del vuoto mi attanaglia lo stomaco con una stretta
dolorosa, mentre mi sbilancio verso la mia sinistra e perdo
l’equilibrio.
Lancio una specie di strillo soffocato, e osservo la terra avvicinarsi -
Poi due braccia forti mi prendono
per la vita, dietro di me, e recupero l’equilibrio. I tonfi del
mio cuore mi rimbombano nell’orecchio.
“Miyako-san … Non fare mai più una cosa del genere!”
E’ stato Ken a salvarmi,
capisco all’istante. Forse è stato merito di tanti anni di
esercizio a calcio: mi ha vista cadere, si è issato sulla sedia
con un rapido movimento, dalla parte opposta a quella verso la quale mi
stavo sbilanciando, e mi ha afferrata prontamente. E ora mi stringe
forte, e mi parla con rimprovero affannato, e so che si
dev’essere spaventato almeno quanto –se non più di-
me.
“Perché devi fare sempre di testa tua? Potevi farti male sul serio!”
Io non rispondo: non posso.
Improvvisamente ho la lingua incollata al palato.
Non è più la paura, ormai, a mozzarmi il respiro nel petto, mi rendo conto, e sgrano gli occhi.
E’ che il mio corpo si adatta bene, fin troppo, alle braccia calde strette attorno alla mia vita.
E’ che uno strano calore
proveniente da dove mi stringe si sta propagando in tutto il mio corpo,
lasciandomi boccheggiante e accaldata, e ricorda quello che ho provato
ieri.
E’ che ricordo ieri, l’istinto irrefrenabile di lasciarmi stringere, di baciarlo con tutta me stessa.
E’ che ho voglia di farlo di nuovo.
Nonostante lui sia Ken, nonostante io sia del tutto in me, nonostante il fatto che io non abbia bevuto un goccio, la sensazione persiste.
Perché?
Improvvisamente, mi lascia andare,
come scottato. Con movimenti rapidi e turbati, afferra il raccoglitore,
scende dalla sedia e si dirige in tutta fretta verso il tavolino. Io mi
volto, ancora impalata al mio posto come uno stoccafisso, e lo fisso
mentre, a scatti, apre il ricettario e lo sfoglia senza vederlo.
Mi sono appena accorta di aver fatto
un errore madornale di valutazione. Ho messo da parte un elemento
fondamentale, nel tentativo di far quadrare tutti i conti: non ho
calcolato me, la mia debolezza e i miei limiti.
Io ho paura, paura del mio desiderio
di raggiungerlo e sentirlo ancora vicino, paura di quello che
può significare, perché non lo capisco. Così tanta
paura che sono stata incapace di dar voce ai miei pensieri: ho cercato
di far finta di niente, di dare tutta la colpa a lui. Perché era
Ichijouji Ken a scappare, solo e unicamente lui, non Inoue Miyako.
Non Inoue Miyako.
Siamo più simili di quello che pensassi, dopotutto. Come ho fatto a essere così stupida?
Stringo i pugni, prendo un respiro
profondo, e scendo di colpo dalla sedia. Più le mie gambe
tremano, più la mia determinazione a mettere un passo dopo
l’altro cresce; perché non posso lasciare le cose come
stanno, e recitare ancora dietro una maschera. Non posso più.
Non sono in grado di ignorare quello
che è successo ieri, quello che ha rischiato di ripetersi oggi:
non sarebbe neanche corretto da parte mia, e sua.
Gli sono davanti, ora, anche se lui finge ancora, senza convinzione, di leggere le ricette.
“Che significava quel bacio?”
Il rumore del ricettario che si
chiude di colpo riempie la stanza. Le braccia di Ken, appoggiate sul
tavolino, tremano leggermente: un lungo silenzio scoraggiante segue la
mia domanda.
Ma io non mi lascio più
impressionare. Alzo maggiormente la voce, e il mio tono acquisisce
sicurezza. “Non ti sembra il caso di parlarne, Ken-kun? Basta
girarci intorno, basta fingere. Voglio capire cos’è
successo ieri, e voglio capirlo con te.”
Fisso la sua schiena, pregando si
giri, e sembra quasi sia stato il mio sguardo così impaziente e
desideroso a far sì che Ken si girasse ad affrontarmi.
Mi guarda negli occhi, stavolta, non
più grato, non più sollevato, non più guardingo.
Non più padrone di sé, del suo autocontrollo,
perché è stato improvvisamente privato della sua maschera.
E ha paura anche lui, lo vedo in
fondo al suo sguardo. Ha una paura folle, confusa, che non trova
spiegazione né tregua: preme per uscir fuori, ma è
strenuamente trattenuta.
Al suo posto, un sentimento
ben più forte affiora sul suo viso, ma non mi riesce di
comprenderlo, presa come sono dall’emozione, e dagli occhi di Ken.
Solo quando apre bocca, e mi
risponde, la soluzione affiora, come se l’avessi saputa da
sempre, nella mia mente, e comprendo.
“Non c’è niente da dire. E’ stato uno sbaglio, nulla più.”
Rifiuto.
Ben
ritrovati! Dal momento che la storia è completamente scritta,
posso permettermi il lusso di aggiornare con scadenza settimanale ^^
credo non mi succederà mai più nella mia vita, per questo
ne approfitto u.u perciò stay tuned, e aspettatevi il
prossimo capitolo martedì prossimo!
Per la cronaca... sono perfettamente consapevole del fatto che il
motivo scatenante di tutta questa vicenda, ovvero Michael, non dica che
una frase in croce finora, tra l'altro neanche chissà quanto
pregnante. Spero mi perdonerete. Non so se c'è qualche fan di
Michael tra voi, ma a me proprio non riesce a dire granché come
personaggio, è così insipido ._. comunque più in
là si farà più sentire, promesso!
Se vi va datemi pure un feedback, che è sempre gradito ^^
Padme Undomiel
|
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Capitolo 3 *** 3. ***
JGF3
Just Good Friends
3.
“Uno … sbaglio.”
“Sì.”
“Scusami, credevo stessimo
discutendo, non sottoponendo il caso ad una corte giudicante. Che
significa ‘sbaglio’? Sbaglio per chi?”
“Miyako-san, guardaci, non
è normale questa situazione. Tu sei a disagio, e io …
E’ stato uno sbaglio per tutti e due.”
“Vuoi decidere al posto mio quello che penso io di ieri?”
“Non è stato uno sbaglio per te?”
“…”
“… Lo sapevo.”
“Ken-kun, io non lo so! Non mi
va di dare etichette, d’accordo? Chi mai potrebbe dare un
giudizio razionale quando la cosa è ancora così recente?
Quando tu sei più che deciso a considerare l’argomento un
tabù? Io voglio solo sapere che ti è preso. Che ci
è preso. Perché è successo.”
“Ti dico che è stato uno sbaglio.”
“E io ti dico che ti ammazzo se lo ripeti. Spiegami almeno perché ne sei così sicuro!”
“Perché non ha il minimo senso, quello che ho fatto.”
“Cioè? Mi hai baciata perché una forza aliena si è impossessata di te?”
“Possibile.”
“Sei proprio un testardo.”
“Senti chi parla.”
“Facciamola finita. Di solito si bacia un’altra persona quando si prova qualcosa per lei!”
“…”
“… Tu … Provi qualcosa per me?”
“…”
“Ken-kun?”
“Eri fragile. Eri … eri
bella. E credevi chissà cosa sulle mie intenzioni. Ho agito
d’istinto, Miyako-san. D’istinto e basta. E ho
evidentemente fatto forza su di te, perché non credo proprio
fossi io, il ragazzo che volevi baciare. Nessun doppio fine, e nessuna
intenzione nobile: è stata un’azione stupida. E non
… non si ripeterà più.”
“…”
“Perciò, per favore, dimentica questa storia e non ne parliamo più.”
“Ma …”
“Ti prego. Facciamo come se non fosse successo nulla.”
Non riesco a dormire, e non sono sorpresa.
Non si può sfuggire per
sempre ai troppi pensieri che ti assillano, neanche riempiendosi
l’agenda di cose da fare per tenersi la mente occupata, per
distrarsi: la notte è sempre un brutto affare, perché
l’unico modo per sfuggire sarebbe dormire. Ed è
semplicemente impossibile farlo, se hai un peso nel petto doloroso che
te lo impedisce, che ti rende la testa iperattiva.
Perciò eccomi qui, ancora con
le coperte sulla testa dopo i miei vani e innumerevoli tentativi di
trovare una posizione comoda che mi conciliasse il sonno e che mi hanno
solo avvolta nelle lenzuola come un bozzolo, stretta al mio cuscino,
gli occhi spalancati e il buio totale in stanza.
E’ tutta colpa di Ken.
Vorrei telefonare a Hikari, giusto
per sentire una voce amica, giusto per raccontare queste cose a
qualcuno. Vorrei rintanarmi in questa stanza e non uscirne più.
Vorrei prendere Ken a pugni. Vorrei piangere. Vorrei prendere me stessa
a pugni. Vorrei dormire.
Non so più neanche io cosa
voglio, ma tra tutti i miei sentimenti confusi ce n’è uno
che è impossibile ignorare.
Una specie di rabbia sorda che fa da sottofondo ad ogni mio pensiero, da oggi pomeriggio.
“Facciamo come se non fosse successo nulla.”
Prendo a pugni il cuscino, una, due
volte. Non sono disposta ad accettarlo. Non sono disposta a
dimenticare. Non sono disposta ad essere zittita ancora, prima ancora
di aver potuto cercare di spiegare le mie motivazioni.
Non ho intenzione di arrendermi.
E all’improvviso so che cosa fare, e il pensiero mi fa sorridere di feroce determinazione.
Finta di nulla? Provaci se ci riesci, Ken-kun.
***
“Cosa?” Chiedo
innocentemente, un sorriso ampio sulle labbra mentre lo fisso con la
testa inclinata su un lato, il cappotto ancora in mano. “Va tutto
bene, Ken-kun?”
Ken deglutisce a vuoto, gli occhi
che si fermano senza volerlo sul mio outfit e da esso vengono
rapidamente, forzatamente distolti. E’ rossissimo.
“Perché così … elegante … per cucinare?” Domanda piatto.
Io faccio spallucce, girando un
po’ su me stessa e osservando la gonna della festa di Michael
gonfiarsi al movimento. La leggera scollatura della maglia della festa
di Michael mi fa rabbrividire un po’. O forse è la mia
stessa sfacciataggine a mettermi a disagio.
“Oh, chi lo ha detto che
bisogna vestirsi bene solo alle feste? Avevo voglia di sentirmi carina.
Spero che non ti dispiaccia-”
“Non fa niente.”
Mi volta le spalle, rigido, e comincia a prendere il burro dal frigorifero.
Sorrido. “Cioè ti dispiace ma mi perdoni?” Lo provoco. “Non mi trovi carina?”
“Cioè non m’importa niente di come sei vestita, Miyako-san. Cuciniamo?”
La risposta tagliente mi fa sbattere gli occhi d’istinto. L’ho turbato.
“Che maleducato.” Poso
il cappotto sul divano e mi avvicino, tanto, troppo, e gli cingo le
spalle con un braccio. Qualsiasi suo muscolo sussulta violentemente,
come se avesse ricevuto una scossa elettrica. Si volta, quasi
spaventato. “Dovresti deciderti, sai. Non puoi baciarmi un giorno
e maltrattarmi un altro.”
Sulle sue guance potrebbero
friggersi le uova. “Miyako-san.” Fa, a metà tra
l’avvertimento, il rimprovero e la disperazione.
Io gli scocco un bacio sulla guancia
bollente, allontanandomi soddisfatta. “Fa nulla, ti perdono. Si
vede che sei sotto stress. Non vuoi dirmi cosa c’è?”
Sento il suo sguardo addosso,
intenso e bruciante, sebbene io stia fingendo di essere interessata
alle uova che sto tirando fuori per cucinare. So che ce l’ha con
me.
Col sorriso sulle labbra, comincio a parlare del fatto che nevicherà a breve.
-
“Non avrei saputo pensare a un gioco migliore! Sei geniale, Michael. Ge-nia-le!”
Rido, leggermente seduta sul bordo
del tavolo, e con la coda dell’occhio osservo Ken spezzettare il
cioccolato fondente col coltello. La sua espressione è
completamente congelata, i suoi movimenti sono meccanici. Non solleva
mai lo sguardo.
“Pare che abbiamo tante cose
in comune. Sai che era il mio gioco di carte preferito da bambina? Io e
i miei fratelli passavamo così la Vigilia di Natale … mi
leggi nel pensiero?” Continuo a dire al ricevitore del telefono,
la voce fin troppo alta, gli occhi fissi sul viso di Ken, alla ricerca
di una reazione.
Dall’altra parte della
cornetta, una risata imbarazzata. “L’idea a dire il vero
è stata di Daisuke-kun-”
“Sapevo che era una buona
idea, quella di assegnare a te questo compito! Continua così, e
grazie per il duro lavoro!” Continuo a cinguettare, un sorrisone
sulle labbra. “Mi sto impegnando seriamente anche io con i dolci,
così tutto sarà perfetto la sera di Natale.”
Ken, le dita piene di scaglie di
cioccolato frantumate e il coltello in mano, non può trattenersi
dallo scoccare un’occhiata alla presunta lavoratrice
in panciolle, le mani pulite e il grembiule intonso, intenta a flirtare
al telefono da mezz’ora abbondante. Distoglie in fretta lo
sguardo, ma quel secondo ha il peso di un pugno in uno stomaco. Il
sorriso si incrina.
“Ora devo tornare alla ganache al cioccolato. Ci aggiorniamo, ciao ciao!”
Chiudo, poso il telefono. Per un momento ho problemi a fingere disinvoltura.
“Scusami. Cosa posso fare?”
“Posso fare da solo. Non volevo interrompere la tua chiamata.”
Gelido. L’ho turbato.
Ignoro la sua risposta e prendo il
pentolino per sciogliere il cioccolato. “Michael è
così carino”, attacco, e noto il suo viso irrigidirsi.
“Hai visto che adesso ci telefoniamo anche? Stiamo diventando
sempre più intimi.”
Nessuna risposta, nessuna reazione.
Insisto, fissandolo apertamente. “Credi che riuscirò a baciarlo sotto il vischio a Natale?”
Il coltello cade sul piano cottura
con un fragore assordante. Ken strizza gli occhi e si tampona il dito:
una goccia di sangue gli sporca la carnagione chiara.
Sussulto, mi avvicino. “Ti sei fatto male?”
Ken mi lancia uno sguardo di avvertimento, e il gelo mi immobilizza.
“Sto bene”, risponde. “E’ solo un taglietto.”
Dopodiché va al lavandino, e mette il dito sotto l’acqua gelida.
Il sangue si ostina ad uscire dalla feritina.
-
“Davvero non sono in grado, le ho bruciate.”
“Ne facciamo altre! Aiutami a disporle sulla carta forno e abbiamo risolto-”
“La cucina non deve davvero essere il mio forte.”
“Certo, tu devi avere un talento naturale per il lasciar perdere quando sei in difficoltà.”
Capisce all’istante il doppio
senso, e i suoi occhi assumono l’espressione dell’incredula
frustrazione. Non parla, mentre afferro la frolla tra le mani e
comincio a lavorarla.
“Dovresti imparare a prendere
le situazioni di petto, Ken-kun. Sai, accettare che hai dei limiti, che
non puoi controllare tutto. E che la cosa non è del tutto
sbagliata. Scommetto che ti stai precludendo tante di quelle esperienze
…”
“Stiamo ancora parlando della
pasta frolla, suppongo.” Risponde, un sorriso ironico sulle
labbra. Ha le spalle contratte.
“Ma non solo, ovviamente.” Gli sorrido, volutamente leggera. “Parlo di te. Del mio migliore amico. D’altronde a cosa servono gli amici se non a questo? Sono preoccupata per te. Come potrebbe esserlo tua sorella.
Pensaci su, nel caso in cui dovessi far disperare qualche fanciulla per
questa tua inibizione. Oh, dimenticavo.” Faccio spallucce.
“Non sono problemi miei. Né, in effetti, della fanciulla
in questione. Sei tu che decidi cosa è giusto e cosa no!”
“Basta. Lavoriamo.”
Stringe gli occhi, sul suo viso passa un’espressione dolente.
Ho il cuore pieno di schegge dolorose.
Basta.
-
“Eh … E’ un po’ … siete sicuri di averci messo lo … zucchero?”
La signora Ichijouji sposta gli
occhi da me a suo figlio, lo sguardo distolto, appoggiato contro il
muro. Sul suo viso c’è una curiosa espressione di cauto
imbarazzo, e preoccupazione velata.
Io afferro la busta bianca al mio
fianco, sollevandola perché la veda. “Abbondantemente. Non
le piacciono i tartufi al cioccolato? Abbiamo seguito la ricetta a
puntino!”
“La mia
ricetta, dici?” La madre di Ken si riassetta i capelli, ora
decisamente a disagio. “Siete sicuri di star bene? Ken, tesoro,
sei un po’ pallido. Perché non ti siedi un
po’?”
“Sto bene.” Ken quasi non muove le labbra, gli occhi fissi a terra.
Sembra perennemente turbato ormai.
“Non può farci niente,
signora Ichijouji. E’ da un po’ di tempo che non sopporta
più la mia presenza”, non riesco ad impedirmi di dire,
sorridendo vacua, gli occhi fissi nel pallore malsano di Ken. “Da
quando è stata così gentile da prestarmi cappotto e
guanti, in effetti. Suo figlio magari si augurerebbe di non averlo mai
fatto.”
Le labbra di Ken si piegano in una smorfia. Protesta, sconcerto, dolore balenano nei suoi occhi mentre mi guarda.
So che mento. So che non è vero niente. So della sofferenza che mi sta straziando. Non riesco a fermarmi. “Secondo me mi odia da allora.”
“Vado a lavare i piatti
sporchi.” Ken ha uno scatto, scappa. Per un istante – uno
solo, fugace, irrazionale – vorrei fermarlo.
La madre guarda lui e poi me,
confusa, addolorata, e non fa che echeggiare la sofferenza
dell’altro Ichijouji che ho ferito.
Da sola, con la ciotola
dell’impasto dei tartufi, seduta al tavolo mentre di là il
suono dell’acqua che scorre sui piatti sporchi mi informa
sull’attività del mio presunto partner dei dolci.
Mi siedo al tavolo, afferro la
ciotola e un cucchiaio, assaggio. E rischio di sputare, strizzando gli
occhi per il sapore estraneo che sento al suo interno.
Solo allora do un’occhiata attenta alla busta bianca sul tavolo, e leggo cosa c’è scritto. Sale.
E’ disgustoso.
Inghiottisco, gli occhi si riempiono di lacrime.
I nostri tartufi sono disgustosi.
Le lacrime scorrono sul viso, mentre mi riempio un altro cucchiaio di quella roba, e lo mangio, in silenzio.
***
“Devi avercela davvero tanto con me.”
Alzo il capo dalle crostatine che
sto decorando con gocce di cioccolato e pezzi di frutta. Non abbiamo
parlato da quando ci siamo incontrati, oggi. Eppure è lui a
rompere il silenzio, a bassa voce, quasi rispettando la cappa di
pesante incomprensione che ci avvolge da qualche giorno.
“Per tormentarmi così”, si spiega. “Devi detestarmi davvero.”
L’aria mi manca all’improvviso.
“Io detesto te?” La crostatina mi sfugge dalle mani, e cade in terra, imbrattando il pavimento. I giochi sono finiti. Non esistono vincitori.
“E’ colpa tua, Ken-kun! Ti avevo pregato di parlarne, ti
avevo pregato di starmi a sentire. Ma no, devi sempre decidere tu per
tutto! Oh, attenzione, il genio Ichijouji Ken deve essere il solo a
controllare gli eventi!”
“Non è così. Non
posso credere che tu non lo sappia.” La voce di Ken è
calma, eppure fa male. E’ entrato nella modalità ferita,
di quella che cerca di preservare le distanze per non crollare.
“Quello che volevo non era inibirti, era rimediare, come possibile. Ma ho sbagliato, pare. Mi scuso. Parla pure, non voglio interromperti.”
“Davvero? Posso? O vuoi fare
ancora un po’ la vittima?” Da qualche parte apro un
passaggio dentro di me, e la rabbia affiora, calda, insopportabile.
Perdo il controllo, mi alzo in piedi, sbattendo le mani sporche di
coriandoli di zucchero sul piano lavoro, e mi sporgo verso di lui.
“C’è tanto che vorrei dirti, in effetti. Ho capito
tante cose su di te in questi giorni, Ichijouji Ken, e non sono sicura
che la cosa mi piaccia.”
“E così finalmente ti rendi conto che sono una brutta persona.”
No.
“Sì.” Ribatto,
gli occhi ardenti. E lo ferisco ancora. “E ti dirò
perché, stupido ragazzo che non sei altro. Perché non hai
un briciolo di coraggio per ammettere una cosa semplice come il fatto
che, per la prima volta, provi qualcosa per una ragazza!”
Sussulta, violentemente, e vergogna, orrore e paura riempiono il suo viso. Il suo viso assume una sfumatura violacea.
Io ho la conferma che volevo.
Ho una paura matta che il mio cuore
cederà, qui, ora, perché non respiro più. Solo ora
mi rendo conto che c’era una parte di me che si aspettava una
negazione, non fosse altro perché questo avrebbe reso meno
triste la situazione, mi avrebbe fatto sentire meno rifiutata, meno
simile ad una specie di malattia degenerativa di cui rinnegare
l’esistenza.
Ma non mi sento delusa come dovrei.
Stranamente un’emozione confusa mi sta pervadendo, e non capisco cosa sia.
Sembra sollievo.
“Non lo neghi”, soffio senza fiato. “Sei innamorato di me.”
Ken sta zitto.
Io rido, incredula, confusa,
turbata. “E allora che c’è? Perché non me lo
hai detto? Perché non ci hai mai provato? E’ così
semplice. Sei umano anche tu, dopotutto, anche se vuoi giocare ad
essere un robot. Se ti piace qualcuno, devi dirglielo. Devi dirgli che
è quello il motivo per cui lo hai baciato-”
“Miyako-san-”
“E invece stai zitto!
Perché stai zitto? Perché non potevamo parlarne?”
Mi passo una mano tra i capelli, scuotendo la testa. Mi sento un
po’ isterica. “Cosa devo credere? Che non vuoi provarci.
Ecco tutto.”
“Miyako-san, ti prego.”
“Ma è così,
Ken-kun. E’ questa l’impressione che dai.” Rido di
nuovo. “Sai cosa? Scommetto che è ancora quella storia
sciocca della promessa Non mi fidanzerò mai.
Ebbene, te lo ricordo di nuovo: è sciocca. Solo tu potevi dar
retta ad un imperativo morale auto inflitto per così tanto
tempo, davvero … E’ proprio da te. Però ora basta.
Devi smetterla, perché non è vero. Non è giusto,
per te, per le donne che ti amano a distanza … “
“Cosa m’importa di
quello che provo io?” Ken mi afferra le mani, senza volerlo. Il
suo sguardo è angoscia pulsante, una ferita sanguinante. E non
c’è altro che disillusione al suo interno. “Tu sei
innamorata di Michael.”
Michael è un viso
lontanissimo ora, non riesco a collegare il suo nome a dei lineamenti
concreti. Gli stringo forte le mani, e le sento tremare. “Michael
non ha nulla a che vedere con questa storia! Volevo baciare te, quella
sera.”
Sussulta, e mi guarda smarrito. Ho il cuore in fiamme, e sorrido come una sciocca.
“E’ questo il bello. Non
hai mai fatto violenza su di me. Volevo baciarti, e l’ho fatto.
Non so spiegarti perché. Sentivo che era giusto. Lo … lo
penso ancora, sai? Voglio ancora baciarti, e chi se ne importa di tutto
il resto!”
Come una nota stonata in una melodia, l’espressione di Ken si congela. “Non sai spiegarmi perché.”
“No, ma non importa! Siamo
sempre noi. Non c’è niente di male, se ci va di farlo.
Anzi, sarà pure ora che tu ti liberi di quell’imperativo
morale che ti porti dietro come un fardello!” Gli prendo il viso
tra le mani, e all’improvviso ho la sensazione che mi
sgretolerò, lì, in quel momento. “Perché non
vuoi essere sincero con me? Con te stesso? Perché
frenarci?”
Ken sta zitto. I suoi sono gli occhi
della perdita, e non capisco perché – e sono così
belli, i suoi occhi. Lo sono sempre stati. L’ho sempre saputo, ma
mai abbastanza. Mai come ora.
Una stretta allo stomaco, mi
avvicino alle sue labbra, chiudo gli occhi. Per un istante solo, le
narici invase del suo profumo, sfioro le sue labbra e la gioia mi
assale.
Poi Ken inspira violentemente, e mi allontana. Dolce, ma fermo.
Mi allontana.
Apro gli occhi.
I suoi sono bassi, dolenti, decisi. Trema.
“Non ti sei mai accorta di me”, mormora. “Perché proprio ora?”
Il suo sussurro straziato è un pugno nel mio stomaco. Boccheggio.
Ken sorride un po’, e nulla di
quel sorriso parla di gioia. “Non farmi questo, Miyako-san. Non
per pietà, non per affetto, non per … Michael o
chicchessia. Non posso sopportarlo. Non voglio.”
Cerco di parlare. Ci provo
più volte, Nessun suono esce dalle mie labbra. Guardo il suo
viso, il viso di quello che è stata la persona più
importante della mia vita, e all’improvviso la nebbia si
squarcia, e lo vedo in modo diverso.
Immagino gli anni di amore segreto,
nascosto, gelosamente custodito ma regalato a piccole dosi ogni giorno,
sebbene in forma camuffata, sebbene sotto la maschera
dell’amicizia. Leggo la sofferenza che prova nel rifiutarmi ora,
e capisco che ho risposto al suo amore sincero con un sto solo seguendo l’istinto di un momento.
Capisco che lo sto perdendo, e
tutto, di me, sta andando in frantumi, pezzo a pezzo, e un grido
strozzato si incastra nella mia testa e si blocca nella mia gola.
Lo guardo, e all’improvviso lo riconosco, come se l’avessi rivisto dopo tanti anni di assenza.
Un passo indietro. Poi un altro. E un altro ancora. Ken alza il capo, e mi guarda. Mi guarda e basta.
Poi mi volto, e afferro tutte le nostre crostatine, buttandole nel cestino, una alla volta.
“Questi dolci non dovevano
uscire così male”, sussurro, e una parte di me sembra
guardarmi dall’esterno, e si sorprende per il tremito nella mia
voce.
Poi non ce la faccio più.
Afferro il cappotto, lo indosso, esco fuori. Il freddo invernale non la
smette di schiaffeggiarmi mentre cammino via in fretta.
Non mi volto indietro.
***
“Miyako-san!” Hikari
è sorpresa, sul ciglio della porta, mentre si stringe nella sua
felpa riparandosi dal gelo che entra a raffiche in casa Yagami.
“Cosa fai?”
Io mi limito ad abbassare lo sguardo
sul quadernetto che reggo tra le mani, osservando per l’ennesima
volta quelle parole scritte così tanto tempo fa. Ancora sulla
soglia, leggo ad alta voce.
“15
settembre 2003. Ken-kun mi ha confessato che non ha alcuna intenzione
di fidanzarsi con chicchessia. Lo immaginavo, no? Non sembrava
intenzionato a provarci con me comunque. Ma finché potevo dare
la colpa alla sua timidezza per questo andava tutto bene … qui
sembra che io non abbia speranza alcuna. Ero divisa tra la gioia di
conoscere un altro aspetto di lui – uno che aveva confessato solo
a me!- e la terribile voglia di piangere. Volevo almeno dichiararmi,
così da poter dire: Ho fatto quello che potevo. Non potrò più farlo.”
Hikari è muta mentre si fa da
parte, e mi fa entrare. Il tepore della casa mi accoglie, e la porta si
chiude, ma io rimango in piedi, infagottata nel mio cappotto, il gelo
che mi è entrato nelle ossa e non vuole più andarsene.
Continuo a leggere, la voce mi trema sempre più forte.
“19
ottobre 2003. Chiodo schiaccia chiodo, si dice. Andrà
così. Ken-kun non è l’unico ragazzo sulla faccia
della Terra, e ci saranno almeno sei miliardi di altri ragazzi con i
quali io potrei stare bene. E poi non ho alcuna voglia di perdere
Ken-kun, gli voglio troppo bene. Come amici funzioneremmo benissimo.”
Ho la vista che mi si appanna, ma
sfoglio forsennatamente le pagine, decisa a spiegare – a farmi di
nuovo del male. Hikari non si muove.
“23
maggio 2005. Essere lasciati è una fregatura, ma piangere tra le
braccia di Ken-kun decisamente no: sa di casa. Ken-kun non ti giudica
mai, non dice mai nulla di superfluo, non ti fa la predica né ti
offre tisane e tè per farti star meglio per forza. Ti offre
cioccolata, però. E ti accarezza i capelli, delicato come se
stesse sfiorando i petali di un fiore. Con Satoshi non mi sono mai
sentita così, ed è in questo modo che ho capito che
è finita. Il mio ragazzo dev’essere come Ken-kun, o non mi
accontenterò.”
Un singhiozzo, poi un altro, e sento un dolore intenso nel petto. Altre pagine sfogliate, quasi con violenza.
“2
… febbraio … 2007 … Una ragazza ci ha provato con
Ken-kun, e lui è diventato tutto rosso, e ha balbettato senza
senso per ore. Ha pure avuto il suo … numero di telefono. Io
però … gli ho detto di non chiamarla, perché
neanche quella era … quella giusta per lui. Per infrangere la
sua promessa … dev’essere una eccezionale. Una perfetta.
Forse però dovrei smettere di essere … gelosa del mio
migliore amico. Scherzo spesso sul fatto che la donna … giusta
… dev’essere almeno simpatica quanto me. Assomigliarmi,
insomma. Ken-kun si imbarazza sempre quando scherzo in questo modo.
Dovrebbe prendersi meno sul serio-”
Un paio di gocce piovono sulle pagine, e solo allora sollevo il viso dal mio diario adolescenziale.
Hikari ha capito dove voglio
arrivare: sul suo viso si rincorrono consapevolezza e tristezza per il
dolore che vede riflesso nelle lacrime che mi scorrono sul viso.
“Pagine e pagine … di
Ken-kun. E’ sempre stato lui”, singhiozzo, senza fiato,
senza capire più nulla. “Anche in presenza di altri,
è sempre stato lui. L’ho amato sempre. Lo amo ancora. E
ora ho rovinato tutto.”
Hikari mi abbraccia, senza sapere la
fine della storia, senza che gliene importi poi granché. E il
fiume arginato dentro di me straripa. Mi accascio tra le sue braccia,
singhiozzando senza ritegno, senza pensare ad altro che alla mia
codardia che mi ha messo i paraocchi per anni, e agli occhi dolenti di
Ken.
Il quaderno cade sul pavimento senza rumore, aprendosi scompostamente al contrario.
Le pagine si piegano sotto il peso della copertina rigida.
E con questo siamo ufficialmente al
penultimo capitolo della storia! Contenti? ... in effetti, dopo un
capitolo del genere, sarei sorpresa se lo foste, ahem. Ma chi mi
conosce sa che di solito amo il dramma che porta al lieto fine... Per
cui, non disperate ^^"
A martedì prossimo con l'ultimo aggiornamento!
Padme Undomiel
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Capitolo 4 *** 4. ***
JGF4
Just Good Friends
4.
La notizia del litigio tra Inoue Miyako e Ichijouji Ken, che ha
interrotto bruscamente l’alleanza dolciaria per Natale, arriva
alle orecchie di tutti prima che io possa capire come sia successo.
Non credo sia stata colpa di Hikari:
lei i segreti altrui non li divulga, è anche per questo che
trovo così semplice confidarmi con lei. Credo sia stato
piuttosto un concatenarsi di eventi iniziati dalla presenza di Taichi a
casa Yagami quando ho avuto il mio crollo emotivo. Non credo abbia
capito esattamente cosa sia successo, ma sa che io e Ken non ci vedremo
più per cucinare, e tanto basta. Gli sarà scappato
qualcosa con qualcuno degli altri, e da lì il passaparola non ci
mette nulla a diffondersi. Ne so tanto di pettegolezzi,
d’altronde sono una maestra in materia.
Non credevo che, per una volta, sarei stata io il soggetto del pettegolezzo, e non la pettegola.
In realtà ho scoperto che non
m’importa granché, anzi: in un certo senso ci ho perfino
guadagnato. Nessuno mi fa domande: il comportamento dei miei amici con
me è il più dolce e accorto che ci sia. Mi fanno stare
meglio. Mi fanno ricordare come si sorride.
Sora mi ha suggerito con delicatezza
che avrei potuto cucinare qualcosa di semplice come dei biscotti alla
cannella, per non stancarmi troppo – “ora che sei da sola”
è rimasto solo implicito. Ma i biscotti sono veloci, e io mi
sono trovata presto senza niente di preciso da fare. Così ho
aiutato un po’ tutti nei due giorni che ancora mancavano alla
vigilia di Natale.
Correre da una parte all’altra
di Tokyo, immersa fino al collo in festoni, musica natalizia, bibite e
giochi da tavolo, e rustici e stuzzichini a non finire, con i miei
amici pronti a parlarmi di tutto e di niente senza domande scomode, mi
ha tenuto la mente occupata, così che almeno potessi essere un
minimo reattiva, e non una specie di budino squagliato andato a male,
che sa solo tremolare ed accartocciarsi su se stesso.
Credo che abbiano suggerito anche a
Ken di fare quello che poteva, di comprare un dolce natalizio o
qualcosa del genere se era più comodo così, ma in
realtà non posso saperlo. Il nome di Ken è tabù al
momento, almeno in mia presenza.
Non ho notizie di Ken dal pomeriggio che sono scappata dal suo appartamento.
Gli altri hanno paura di essere
inopportuni, me ne accorgo dalle occhiate caute e preoccupate che mi
lanciano quando pensano di non essere visti, per questo non parlano di
lui neanche per sbaglio, come se fosse un fantasma un po’
inquietante.
Quanto a me, sono affamata di notizie sul suo conto, ma non oso chiedere. E in segreto mi tormento.
Quando la giornata è finita e
le luci si spengono, ciò che resta del mio mondo si riduce al
led del mio cellulare, spento, a ricordarmi che non ci sarà
nessun messaggio da leggere, nessuna chiamata da ricevere. Lui non mi
ha cercata. Io non lo cerco.
Non faccio che ripensare alla sua espressione quando non ho saputo rispondergli.
Avrei potuto capire prima, mi ripeto
senza posa annegando nel senso di colpa. Avrei potuto capire cosa
provavo per lui, e dirglielo lì e subito. Avrei potuto ribattere
che avrei voluto provare ad abbracciare qualsiasi cosa stesse iniziando
con lui a prescindere da qualsiasi Michael, da qualsiasi compassione,
da qualsiasi obbligazione portata dalla nostra amicizia, per nessun
altro motivo che non fosse me stessa, lui, e noi due.
E invece non ho capito nulla. E non ho capito in tempo.
Può capitare in qualsiasi
momento della giornata, anche con le mani occupate e le risate dei miei
amici nelle orecchie: un ricordo passato, un frammento della mia vita,
uno tra i tanti che non fanno che sommarsi tra loro, si insinua nei
miei pensieri e mi costringe a fare i conti con me stessa. Ripenso alle
mie storie passate, e tutto mi è sempre più chiaro.
Satoshi era il perfetto opposto di Ken, mi faceva sempre complimenti e
mi diceva tutto quello che gli passava per la testa, non arrossiva mai.
Mashiro invece gli somigliava tantissimo: timido, riservato, tendente
all’autosvalutazione, eppure più fragile di Ken: non
sapeva rimettere insieme i pezzi quando cadeva. Mamoru aveva gli occhi
azzurri. Come Ken.
Non voglio sostenere ora che le mie
storie non fossero reali: a mio modo li ho amati tutti. Solo che ora
posso tracciare una linea di continuità, e sostenere che ho
sempre cercato Ken in ognuno di loro. Perfino in Satoshi, il mio primo
dopo aver saputo della promessa di Ken:
probabilmente cercavo di dimostrare a me stessa che non avrebbe potuto
funzionare tra me e Ken, e così ho desiderato il suo opposto.
Sbagliandomi.
E’ sempre stato Ken, ed è assurdo che non abbia mai capito nulla. Sono proprio stupida.
Stupida,
e Ken mi ascoltava parlare di ognuno di loro come se dovesse
importargli per forza, e magari soffriva in silenzio quando io andavo
via. Stupida, e Ken non si lamentava mai, mi consolava quando ero giù, non mi chiedeva mai niente. Stupida, e lentamente ma inesorabilmente lo allontanavo da me quando più credevo di averlo vicino.
Stupida, stupida, stupida.
E’ chiaro poi che
l’enormità di quello che ho capito guardando Ken a casa
sua mi ha sopraffatta: non avevo avuto modo di ammetterlo con me
stessa, mi ero preclusa qualsiasi possibilità di capirlo. Avevo
scambiato le mie storielle per il massimo dell’amore romantico
che potessi provare, logico poi che quella con Ken mi sembrasse una
relazione completamente diversa al confronto. Questo non avrebbe dovuto escludere il fatto che Ken mi piacesse in un altro senso, che quell’etichetta di migliore amico
gli stesse fin troppo stretta, ma ovviamente le cose sono andate in
modo diverso. Lì a casa Ichijouji la realtà mi ha colpito
come un pugno, e non ero ancora lucida abbastanza per capire che
finalmente tutti i conti quadravano.
Sono scappata. Ho rovinato tutto.
“Miyako-san, la fai più
terribile di quello che in realtà è”, mi risponde
spesso Hikari quando i miei tentativi di distrazione falliscono, e le
vomito addosso tutto questo. “In fondo il succo è che vi
amate l’un l’altra. Vi siete feriti a vicenda, questo
sì, ma una volta che avrete parlato tutto si
aggiusterà.”
“Ah, certo. Ken-kun
sarà felicissimo di accettare la dichiarazione tardiva di una
stupida che lo ha tormentato per anni, illuso per un giorno, preteso
una risposta per lui dolorosa e poi fatto i capricci perché la
suddetta risposta non le piaceva. E non dimentichiamo il gran finale:
la stupida è scappata in silenzio dopo che lui le ha aperto il
suo cuore.” Questa, di solito, è invece la mia risposta
sarcastica e amareggiata. “Con che faccia gli chiederò
scusa?”
“Con la faccia triste che mi
stai mostrando adesso. Solo uno sciocco penserebbe che tu stia
mentendo, che lui non ti manchi sul serio.” Il sorriso di Hikari
è una delle cose più rassicuranti che io conosca,
davvero. “Non l’hai ancora perso. Non è ancora
finita. Ricordati che la vigilia di Natale è vicina.”
L’idea che rivedrò Ken mi riempie di agitazione. Voglio rivederlo – ho bisogno
di rivederlo, di spiegarmi, di mettere a posto le cose se posso. Eppure
ho paura. Una terribile paura che non vorrà più vedermi,
che non potrà mai perdonarmi.
Che non mi voglia più.
Non so cosa farei in quel caso, in realtà mi rifiuto di pensarci: è una prospettiva troppo brutta.
Così mi faccio forza, e soffocando le mie paure sorrido decisa a Hikari, come se credessi davvero in quello che dico.
“La vigilia di Natale è vicina, sì. E se siamo insieme troveremo sicuramente il modo di parlarci. Oh, che sciocca. Saremo sicuramente insieme. Ken-kun si presenterà di certo!”
***
Ken-kun non si presenta.
“Ehi, sei dei nostri? Guarda
che è il tuo turno”, mi arriva la voce impaziente di
Daisuke accanto a me, e io distolgo nuovamente lo sguardo dalla porta
– chiusa, ancora chiusa- per tornare al gioco di carte di cui quasi mi stavo scordando l’esistenza.
Daisuke e Michael, i miei compagni
di gioco, mi stanno guardando senza capire, il primo con le
sopracciglia inarcate, il secondo con confusione.
Sorrido, un po’ imbarazzata, e
mi affretto a tirare la mia carta. “Scusate, eccomi! Provate a
battermi ora, se ci riuscite!”
Un silenzio incerto segue le mie parole.
Batto le palpebre, guardando ora l’uno ora l’altro. “Beh? Che vi prende?”
“Più che provare a batterti, potremmo provare a non
farlo”, interviene Michael, e con la mossa successiva
praticamente si aggiudica la partita. “Ci stai lasciando
vincere?”
Arrossisco, accorgendomi di colpo dell’errore madornale che ho commesso. “Ma … no!”
“Senti, Miyako. Ma Ken ha
intenzione di arrivare o no?” Esordisce Daisuke, diretto come suo
solito, comprendendo qual è il problema con acume sorprendente.
Io sussulto. “Sono le dieci e mezzo!”
Già. Come se non lo sapessi.
Come se non stessi controllando l’orologio dall’inizio
della festa, o forse anche da prima. Da un paio di ore prima,
all’incirca.
Tiro una carta a caso, giusto per
fare qualcosa e tenere così gli occhi bassi. “Non ha
chiamato per dire che non sarebbe passato”, faccio, cercando di
impersonare un agente segreto imperturbabile. “Perciò
dovrebbe arrivare. Dovrebbe arrivare da un momento
all’altro.”
Come agente segreto faccio schifo
sul serio, il tentativo di autoconvinzione è trapelato alla
perfezione. Una forte sensazione di disagio mi pervade.
“Se sei tanto preoccupato,
perché non gli telefoni? E’ inutile stressare me, non sono
l’unica sua interlocutrice possibile!” Scatto, prima di
potermi controllare. L’espressione sul viso di Daisuke e Michael
si fa ancora più preoccupata per il mio stato mentale.
Lascio le carte, e mi alzo in piedi. “Non sono in vena di giocare”, annuncio, e mi allontano senza dire altro.
Sento che mi stanno ancora
guardando, ma davvero, non mi sento affatto in grado di controllarmi al
momento. E non è neanche giusto che io sfoghi su di loro la mia
frustrazione. In fondo non è un problema loro se è tutta
la sera che ho un pensiero fisso.
Le dieci e mezzo.
Mi fermo accanto a quella porta
sigillata, mi appoggio contro il muro, e incrociate le braccia guardo
la festa di Natale alla quale teoricamente dovrei prendere parte anche
io.
Sorrido un po’.
Siamo tutti molto carini, abbigliati
per l’occasione. Mimi ha insistito che nessuno “non
natalizio” dovesse varcare la porta di casa Yagami, e ha convinto
anche i più riluttanti a indossare un cappello da Babbo Natale.
Taichi, che non si fa mai problemi, ha indossato anche la barba bianca,
e ha annunciato: “la pancia l’avrò dopo aver mangiato tutte queste prelibatezze”.
Mimi invece vince il premio La più estrosa della festa: ha un
abito rosso, e in testa un assurdo cappello verde a forma di albero di
Natale che, non so come sia possibile, le sta benissimo ugualmente.
Io ho un paio di corna da renna sulla testa, però non mi sento tanto natalizia.
L’albero di Natale al centro
del salotto brilla di mille luci, il tavolo apparecchiato ospita
patatine, salatini, torte salate e tramezzini, accanto allo stereo
Taichi e Jyou giocano a stonare al karaoke con Mimi che ride e li
prende in giro, Yamato, Sora, Takeru e Hikari giocano ad un gioco da
tavolo, Iori e Koushiro parlano davanti al tavolo del buffet e
distribuiscono bicchieri di plastica a chi li chiede, i festoni
colorati pendono ovunque, ma tutto quello a cui io riesco a pensare
è che Ken non si farà vedere.
Avrei dovuto aspettarmelo, in
effetti. Piuttosto che mettere me in una situazione imbarazzante
preferisce rinunciare lui alla festa, da solito martire qual è.
Oppure stavolta non aveva voglia di vedermi, semplicemente. Più plausibilmente.
Dovevo pensarci, invece di farmi
tutti quei castelli in aria su quando l’avrei rivisto, quando gli
avrei parlato, quando gli avrei confessato i miei sentimenti …
“Miyako-san. Mi sembra che tu non stia molto bene.”
E poi mi accorgo che Michael si è parato davanti a me, non so come, non so da quanto.
Lo guardo, sinceramente sorpresa.
“E tu? Non stavi giocando con Daisuke?” Gli domando.
In effetti è strano che ci
troviamo insieme da soli. L’ultima volta che è successo
era tutto diverso: avrei esultato nel vedere il suo interesse per me,
avrei cercato di essere simpatica e accattivante. Mi sarei sentita
felice ed esaltata solo a guardarlo in faccia.
L’ultima volta sembra appartenere ad una vita fa. Ora lo guardo, e sento solo imbarazzo, e nient’altro.
“Sì, ma sia io che lui
abbiamo avuto la sensazione che ci sia qualcosa che non va”,
risponde Michael. “Se non ti piacciono le carte possiamo cambiare
gioco.”
Rido. “Io amo
le carte. Soprattutto a Natale”, commento, e Michael non
può capire, perché non c’era quella volta. Non ha
festeggiato il primo Natale insieme a casa Ichijouji. Non ha visto Ken
ridere di cuore dopo uno dei miei soliti teatrini giocando a carte. Non
ha quel ricordo stampato indelebilmente nei ricordi.
La mancanza mi colpisce di nuovo, violenta.
Le undici meno venti.
“Miyako-san.” Michael mi
posa una mano sulla spalla, stringendola piano, e io sussulto un
po’. Ora sembra davvero preoccupato, noto. In un modo che mi
avrebbe fatto sentire le farfalle nello stomaco quando ancora tutto
questo aveva importanza. “Se c’è qualcosa che posso
fare per farti stare meglio, dimmelo.”
E Michael come si colloca nel mio
nuovo mosaico ricomposto? Lo fisso con curiosità. Non
c’è nulla di Ken in lui, nulla di vagamente rintracciabile
di lui nel nostro amico americano. Credo sia stato piuttosto un
retaggio passato, un ricordo della mia cotta infantile quando ancora
Ken era il Digimon Kaiser, a riattivare il mio interesse per lui.
Già, non c’è
nulla di Ken in lui. La sua preoccupazione è moderata. Nei suoi
occhi non si scorge niente più di quel che dice, nessun impeto
trattenuto, nessun’intensità pari a quella che mi ferma
tutte le volte che lui guarda me.
Do uno sguardo alla sua mano posata sulla mia spalla, e so che è finita. Sorrido.
“Qualcosa puoi farla per me,
sì.” Rispondo tranquilla. “Puoi confermarmi che per
me non hai mai provato nulla di romantico.”
Michael diventa all’improvviso
l’immagine della sorpresa, e lascia cadere la mano.
“Cosa?” Esclama, e poi sembra capire. “Ma tu provi qualcosa per me?”
Come pensavo. “Se sei
così sconvolto significa che non ti sei mai accorto di nulla. Il
che può significare due cose: la prima, sono diventata
improvvisamente bravissima a nascondere le mie emozioni. E qui tutto il
mondo avrebbe da ridire, quindi passiamo alla seconda.” Sorrido,
sentendomi finalmente libera. “Non avevi quel tipo di attenzioni
per me, quindi non potevi farci caso. Se ti fossi piaciuta sul serio
avresti notato tanti segnali che ti lanciavo, te lo assicuro.”
Credo di averlo shockato: mi guarda
a bocca aperta, a metà tra lo stupore e un vago senso di colpa e
di imbarazzo. Rido, battendogli la mano sulla spalla ripetutamente.
“E’ tutto a posto,
davvero! Non ce l’ho affatto con te”, lo rassicuro.
“Anzi. Si può dire che tu mi abbia aiutato a capire. E di
questo non potrò ringraziarti abbastanza.”
Senza di lui Ken non sarebbe stato
geloso, non mi avrebbe baciata. E io avrei continuato a recitare
fedelmente la mia farsa senza capire davvero chi fosse la persona
speciale che avevo accanto.
Che vorrei avere accanto adesso,
disperatamente, al punto che quasi non riesco a stare ferma sul posto,
che quasi correrei fino in capo al mondo per rivederlo solo un attimo-
Mi fermo.
Guardo la festa che gioiosamente
continua anche senza di me, guardo l’espressione confusa di
Michael. E all’improvviso capisco che non c’è nulla,
al momento, che mi trattenga qui. Non se mi sembra che manchi un pezzo
importante di noi – di me.
“Oh, e Michael? Ultimo favore
che ti chiedo. Avvisa gli altri che mi assenterò un
attimo” annuncio solenne. “Spero di riuscire a tornare qui
per la fine della festa, in caso contrario non preoccupatevi.”
“Ma – aspetta! Dove te
ne vai a quest’ora? Fuori nevica anche!” Protesta Michael e
mi segue, mentre io mi dirigo spedita ad afferrare cappotto, sciarpa e
guanti. Li indosso, senza dargli retta. “Non credi che dovresti
parlare con qualcuno dei tuoi amici? Vuoi – chiamo
qualcuno?”
Completamente pronta, lo guardo. Con
quell’espressione sconcertata e guardinga, come se stesse
parlando con una pazza scatenata, sembra davvero un pesce fuor
d’acqua. E’ quasi buffo.
Mi limito a sorridere.
“Mi dispiace. Questo per me non è Natale”, gli spiego.
Non importa che non capisca: io apro
la porta, ed esco, correndo il più in fretta che posso. Ho il
cuore che mi martella nel petto, una paura tremenda addosso, ma non
posso fare altrimenti.
Ken avrebbe dovuto pensare di
presentarsi, ecco. Avrebbe dovuto avere il coraggio di mandarmi al
diavolo a voce, invece adesso mi costringe a fare quello che lui non ha
voluto fare. Se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto.
Giù per le scale, fuori dal
condominio, lungo le strade innevate. Rallento il passo, attenta a non
scivolare sul ghiaccio accumulato, la neve che cade ovunque sui miei
vestiti, sul mio viso, tra i miei capelli. Sono le undici meno dieci.
Se prendo in fretta il treno potrei arrivare a Tamachi per mezzanotte,
o giù di lì. Appena in tempo per Natale.
Spero di farcela. Spero di non desistere per codardia.
Un passo dopo l’altro, uno
dopo l’altro, stabilisco un movimento marziale, così da
scaricare la tensione mentre afferro il cellulare, con mano tremante, e
prima di avere il tempo di pensarci compongo un numero che conosco a
memoria, e accosto l’apparecchio all’orecchio.
Ogni segnale acustico dall’altra linea mi porta il cuore in gola.
Non pensarci, Miyako. Non pensarci finché non risponde. Non chiudere. Non –
“Pronto?”
Ecco qui. Ora muoio.
“Ciao”, esordisco
stranamente timida, racimolando tutto il fiato che ancora mi resta per
articolare frasi di senso compiuto. Le guance mi vanno in fiamme, come
mai mi era successo nella vita. “Mi … dispiace
disturbarti, se poi ti disturbo – cioè, quello che voglio
dire è che non ho idea di cosa tu stia facendo. Non devi dirmelo
per forza, eh! Te lo dico solo per scusarmi, e …”
Mi sembra quasi di sentire un mezzo sbuffo divertito. “Non ho capito nulla, Miyako-san”, si scusa, cauto.
Nessuno dice Miyako-san in quel modo.
“Sto venendo a casa
tua”, dico tutto d’un fiato, prima di potermene pentire. Un
passo dopo l’altro, uno dopo l’altro. “Non ti
ruberò tanto tempo, te lo giuro. Voglio solo parlarti un
attimo.”
Cala il silenzio, d’un tratto. Ma sono troppo agitata per capire cosa significhi.
“Ti prego, dimmi che sei a casa”, lo imploro.
“… In realtà no.”
Mi fermo. “Ah.”
Beh, plausibile. Può aver
preferito altri programmi a vedere me, è del tutto plausibile.
Plausibilissimo. Non mi sento ferita. Non mi sento male-
“Sono vicino casa Yagami. Per, ah, la festa. La festa di Natale.”
Batto le palpebre un paio di volte.
“Ma tu non sei venuto alla festa!” Strillo sconcertata,
senza in effetti un nesso logico.
“E’ che ho fatto tardi … Aspetta. Miyako-san, ma tu sei già in viaggio verso casa mia?”
“No, io sono a pochi metri da
casa Yagami!” Preda di un’irragionevole agitazione,
stringendo il cellulare tra le mani, mi guardo intorno freneticamente.
“Tu dove sei? Non ti vedo!”
“Ma sono a pochi metri anche io!”
“Ma come …”
E poi lo scorgo, fermo a poca
distanza da me, a guardare da tutt’altra parte con aria attenta.
Il mio cuore fa un buffo balzo nella mia cassa toracica.
Tremo. “Girati sulla tua sinistra, Ken-kun.”
Lo vedo irrigidirsi sensibilmente, e
rimanere fermo sul posto per un paio di secondi. Poi, lentamente, si
volta, i suoi occhi si fermano su di me, e mi riconosce.
La neve continua a turbinare tra noi, mentre ci guardiamo immobili.
Sembra che non ci vediamo più
da una vita. Sembra che siamo diventati due estranei che si conoscono
troppo bene. E sono miliardi le cose che potremmo fare in questo
momento.
Muoverci, l’uno verso l’altro. Aprire la bocca e parlare. Ridere, piangere. Abbracciarci o allontanarci a spintoni.
Invece tutto quello che fa Ken è sorridere un po’.
“Belle corna da Rudolph.” Dice.
E io ricordo che le indosso ancora – come se poi avesse importanza.
Sorrido anche io. “Tu invece hai il naso rosso anche senza travestimento.”
Il suo sorriso che si amplia è riflesso del mio, e il peso nel mio petto si allenta un po’.
***
“Sei in ritardo”, gli dico a bassa voce, osservando
distrattamente le corna che ho tolto dal capo e posato in grembo.
Siamo seduti sul gradino
sopraelevato del condominio di casa Yagami, che se non altro è
l’unico a presentare il vantaggio di non essere coperto di neve,
sebbene sia ugualmente congelato. Siamo l’uno accanto
all’altra, pur attenti a non sfiorarci, consapevoli che ci stiamo
guardando di sottecchi a turni non sincronizzati.
“Lo so. Mi dispiace.”
“Lascia perdere, non è
questo il punto.” Mi volto a guardarlo, lo stupore ora
perfettamente visibile sul mio viso. “Ichijouji Ken
in ritardo. Stiamo parlando della stessa persona che di solito è
più puntuale di un orologio svizzero. Perciò è
possibile anche per te, come i comuni mortali?”
Ken sorride, un po’
imbarazzato, e sfugge alla mia occhiata. Esita, come se volesse dire
qualcosa, ma poi sembra rinunciarci.
“Sul serio”, insisto.
“Cosa è successo? Credevamo … credevo che non ti
saresti fatto vedere.”
L’ultima parte della mia frase si perde in un sussurro.
Ken mi lancia un’occhiata per qualche secondo, incerto. Alla fine, sospirando, si decide a parlare.
“Lo credevo anche io”,
ammette piano. “Credevo che non mi sarei fatto vedere, fino
all’ultimo. Ero in procinto di chiamarvi e dare forfait …
e all’improvviso ho capito che non era quello che volevo. Che
… che c’era una cosa che volevo fare.”
Le sue dita torturano l’incarto del pacchetto che stringe tra le mani, catalizzando di nuovo la mia attenzione.
“Cos’è che hai lì, a proposito?”
Ken arrossisce. Il suo sguardo si
sposta rapidamente da me al pacchetto, e viceversa; esita, poi sembra
farsi forza. Con mio grande stupore, me lo porge, serio.
“Su per giù … è questo il motivo principale per cui mi sono presentato ad un orario così indegno.”
Muta, lo tengo tra le mani per
qualche secondo, cercando di elaborare il fatto che Ken sembra avermi
fatto un regalo, nonostante la situazione imbarazzante nella quale ci
troviamo. Poi noto l’espressione insicura di Ken, e ricordo che
sta aspettando di vedere la mia reazione: lo scarto, quindi,
l’impazienza che cresce all’improvviso.
Al suo interno c’è un contenitore per alimenti, e una forchettina.
E una fetta, un po’ distrutta nel taglio, di quello che sembra una torta con triplo strato di cioccolato e panna.
Spalanco la bocca, e dimentico completamente come si fa a parlare.
Con la coda dell’occhio, vedo
Ken arrossire ancora di più. “Mi … mi pareva che ci
tenessi, quando avevamo … beh … pianificato di cucinare
insieme. Ho … chiesto aiuto a mamma, e abbiamo trovato la
ricetta. Temo non sia uscita granché … non è come
quella che conosci e che adori, ma ho cercato di farla da solo. Puoi
… non mangiarla, se non vuoi.”
Eccone un altro, mi dico
all’improvviso: ecco un altro gesto dei suoi. Uno di quelli che
nessuno gli ha mai chiesto, uno di quelli che quando li ricevi ti rendi
conto di avere accanto qualcuno che a te ci tiene sul serio: arrivano
improvvisi,e parlano dei suoi sentimenti per te al posto del comune
linguaggio verbale. Come il cappotto e i guanti della signora Ichijouji
la sera della festa da Mimi. Come una serie infinita di altri piccoli
gesti ai quali non ho mai dato tutta l’attenzione che avrebbero
meritato.
La torta non era necessaria, e lui di solito non cucina. Ma l’ha fatta per me. Malgrado tutto, ha pensato a me.
Cos’ho fatto io di altrettanto dolce per lui?
Fisso il regalo, gli occhi che
all’improvviso mi si fanno lucidi. “Credevo non ti
piacesse”, è tutto ciò che riesco a dirgli,
perché il resto dei miei sentimenti rischia di esplodere
all’esterno se solo mi azzardo a cercare di esprimerli.
“Non importa. Era … E’ per te. Se la vuoi.”
Lo guardo, incredula. “Se
la voglio?” Scandisco, le sopracciglia inarcate per
l’affronto. Poi afferro la forchettina, e ne prendo un pezzo,
portandolo alla bocca.
E’ un’esplosione di
panna: ne ha messa tantissima, tanto che il cioccolato si sente a
stento. Continuo a mangiare, incurante dell’ansia di Ken.
“Ecco, se non è buona
lascia pure perdere”, straparla a tutta velocità,
osservando la mia espressione con aria attenta. “Come dicevo non
credo che sia uscita bene …”
“Oh, sta’ zitto.” Lo fulmino con lo sguardo. “E’ la mia torta. La mia.
Non ti do il diritto di prendertela con lei, chiaro? E poi è
buonissima.” La falsa indignazione scompare quando incontro di
nuovo i suoi occhi, noto il lampo di sollievo che li anima, e mi
accorgo che sì, aveva il terrore matto che non fosse uscita
bene. Un altro piccolo segnale di quanto io conti per lui. “E’ la torta più buona che io abbia mai assaggiato”, concludo, e la voce ha un tremito.
Non so cosa Ken legga nella mia
espressione, ma si fa serio. Tanto, troppo. Ancora le guance rosse, mi
guarda, e i suoi occhi brillano in modo strano.
All’improvviso so che mi sta
dicendo addio, e mi si stringe un nodo feroce in gola. Non riesco
più a mangiare un solo boccone: poso la forchettina nel
contenitore, e lo richiudo. Aspetto.
“A casa mia hai detto una
cosa”, mormora Ken dopo un breve silenzio. “Hai detto
… hai detto che non ti ho mai … detto niente … perché non volevo provarci.”
“Ken-kun, ti prego, ho detto
tante cose quel giorno, e di molte mi vergogno-” mi affretto a
dire mortificata, ma lui mi interrompe gentilmente.
“Ma su questa avevi ragione, Miyako-san.” Ken sorride un po’, e si sta di nuovo auto biasimando. “Io non volevo provarci. Sono qui per dirti che è così.”
Non so che dire, così mi
limito a stringere spasmodicamente il coperchio del dolce, e distolgo
lo sguardo. Il cuore mi martella furiosamente nel petto, e ogni battito
è doloroso.
“Ma anche … per cercare
di spiegarmi.” Continua Ken, e c’è una nota incerta
nella sua voce, come se mi stesse chiedendo il permesso. Io rimango in
silenzio, così lui continua. “Riguardo quella storia della
… promessa di non fidanzarmi mai, a cui hai fatto cenno sempre
quel giorno … L’hai anche definita sciocca un paio di
volte, se non ricordo male. Devo dire che avevi ragione.”
Arrossisco, sempre più
imbarazzata. “Di’ un po’, hai intenzione di farmi
sentire in colpa ancora per molto?” Protesto a bassa voce, un
po’ imbronciata.
Ken ride piano. “Non cerco di
farti sentire in colpa”, spiega, dolce. “Ti sto solo
dicendo che non c’entra la promessa con quello che ho
fatto, o non ho fatto. O, almeno, non più, e non allo stesso
modo.”
Lo guardo, confusa.
“No? Ma credevo … Credevo …”
“Che avrei considerato quella
promessa come un voto? Lo credevo anche io.” Ken scuote il capo,
e distoglie lo sguardo. Il suo sorriso ora è un po’ amaro.
“E ci ho provato, a considerarlo tale. Fin da quando ho
cominciato a rendermi conto che tu … eri diversa. Da chiunque.
Che non avrei mai potuto mantenermi razionale in tua presenza. A parte
che tu sei tutto fuorché prevedibile.” Uno sbuffo simile
ad una risata, gli occhi bassi brillano ancora. “Ho cercato di
impedirmi di provare qualcosa di simile per te,con ostinazione e
disperazione. Non volevo che soffrissi a causa mia, non tu. Eppure non
riuscivo ad allontanarmi da te, o ad allontanarti: ogni volta che
… che preferivi la mia compagnia a quella degli altri, credevo
che non avrei potuto essere più felice di così. E
così, man mano che il tempo passava, cedevo … e senza
volerlo speravo. Avevo questa sciocca speranza che un giorno ti saresti
accorta di me. Fu ormai tardi quando mi resi conto che la mia promessa
non aveva potere sufficiente per vincere contro di te. Ormai non potevo
più farci nulla.”
Ken torna a guardarmi, le guance in
fiamme ma determinato a proseguire, mentre io non riesco a ricordarmi
come si fa a respirare.
“Poi sono tornato alla
realtà, e mi sono reso conto che non ero che un amico per te.
Hai conosciuto altre persone …” Si interrompe di colpo.
“E così la mia paura è diventata egoistica: avevo
paura di perderti. Decisi che era meglio così, che preferivo
… beh, guardarti con altri ragazzi invece che guardarti da
lontano come vecchi compagni d’avventura. Almeno in questo modo
potevamo avere un rapporto speciale. Ed ecco qui un’altra
promessa: non ti avrei detto nulla. Non avevo potere sui sentimenti, ma
potevo averne sulla loro espressione. E se le prime volte fu
relativamente facile … man mano che passavano gli anni, e io e
te ci avvicinavamo sempre più, io non sapevo più dire se
avrei potuto arrivare a fine giornata senza spifferare tutto. Ero
terrorizzato, ma in qualche modo resistevo.” Fa una pausa, si
incupisce. “Poi è arrivato Michael. Non so dire cosa mi
sia preso, probabilmente un’infantile rivendicazione di diritto
… Non vedevi Michael da una vita, eppure ti … ti piaceva
lui, e non io, e tu vedevi me praticamente ogni giorno … Santo
cielo, mi dispiace. E’ una cosa davvero meschina.”
Mortificato, Ken guarda altrove, come un criminale dopo un delitto
efferato.
“Non lo è”, sussurro io, con chissà quale voce. “Non lo è per niente.”
E, tanto per cambiare, non riesco a convincerlo.
“Avrei dovuto essere
più maturo, me ne rendo conto”, continua, a testa bassa.
“Fare l’amico, come mi ero ripromesso fin
dall’inizio. Stringere la mano a Michael, o per lo meno
presentarmi a quella festa a casa Tachikawa, invece di fare il bambino.
Essere coerente. Se lo fossi stato, non ti avrei fatto soffrire per
qualcosa di cui, in fondo, non avevi alcuna colpa. Non riuscivo a
mettere d’accordo i miei desideri contrastanti, così mi
sono comportato in modo deplorevole, e ho rovinato tutto. Mi dispiace,
non sai quanto. Io non so se il nostro rapporto è recuperabile,
non so se vorrai più vedermi, ma una cosa la so: non voglio
più mentire, scappare, nascondermi.”
Ken chiude gli occhi, fa un respiro
profondo, un po’ tremante. Poi si gira completamente verso di me,
e nell’intensità della sua espressione leggo quello che
vuole dirmi ancor prima che apra bocca.
“La verità è che sono innamorato di te, Miyako-san. E ora di questo fa’ ciò che vuoi.”
Il nodo in gola brucia furiosamente.
Non ho idea di quanto gli sia
costato arrivare ad una decisione del genere. Ha ancora paura, paura di
se stesso, paura di sbagliare, e credo continuerà ad averne per
altro tempo ancora. Ma non ha importanza quanto intensamente lui senta
i suoi limiti: ha deciso di affrontarli. Di provarci.
Di volere amarmi, e non di amarmi controvoglia, contro il proprio controllo, contro la propria volontà.
E ora mi lascia la libertà di
colpire il fianco ferito che mi mostra, come se io fossi la padrona
assoluta del suo destino da adesso in poi.
Ora più che mai so cosa provo
per lui, so che nessun altro sarà mai come lui. So che vorrei
stringerlo forte a me, e non lasciarlo andare più. So che vorrei
chiedergli scusa di essere in ritardo, come mio solito. So che vorrei
dirgli tutto, tutto quello che non ha mai saputo, e che non ho mai
saputo neanche io.
Invece la mia mano parte da sola.
Spostati corna da renna e contenitore con la torta sul gradino, mi
volto a dargli una botta sul braccio.
“Ahi!” Sorpreso, Ken mi guarda con gli occhi sgranati.
“Non ero che un amico,
eh?” Strillo, fuori di me. E lo colpisco ancora. “Tu e
quella maledetta promessa! Potevi anche non farmela, dato che avevi
intenzione di non rispettarla! Hai una vaga idea di quanto io ci abbia
sofferto?” Un altro colpo, e un altro. Singhiozzo. “Ti
morivo dietro da una vita, pezzo di idiota!”
Ken mi afferra le mani, me le ferma, stringendole piano. Mi guarda, sconcertato e turbato, il viso rosso come un peperone.
Così rido istericamente, tra
i singhiozzi che ormai si susseguono. “Ah, certo. Il signorino
non se n’è accorto. Mi pareva strano. Perché sei
così stupido? A quest’ora non avremmo mai giocato ai
migliori amici, se tu non avessi avuto l’idea di diventare un
monaco votato alla castità! Tu non sei mai
stato il mio migliore amico! Mi sei sempre piaciuto maledettamente
troppo, accidenti a te! Ma siccome sei stato stupido, hai attaccato
anche a me il morbo della stupidità, e mi hai impedito di
rendermi conto che non ho mai smesso di pensare a te neanche quando
credevo di averci messo una pietra sopra!”
La mano di Ken ha un tremito, mentre
si stacca dalla mia e, quasi sorpreso da se stesso, la posa sulla mia
guancia bagnata. Nei suoi occhi vedo la lotta disperata tra gioia
improvvisa e incredulità. “Miyako-san … Sei seria?
Tu davvero-” E non osa continuare.
“Sì. Sono innamorata di
te da tempo immemore.” Rispondo solenne, ma poi sorrido della sua
sorpresa, come mai ho sorriso in vita mia. “Mi ci sono volute tre
storie finite male e un bacio per capirlo sul serio, e ti ho quasi
perso perché non volevo vedere la verità. Ma ecco qui. E
se tu mi vuoi ancora, allora non azzardarti a ripetere che non ci
vedremo mai più, perché non te lo
permetterò.”
I suoi occhi ardono, proprio come
è successo quella volta davanti a casa mia. Ancora una volta non
respiro. Penso che non guarderò mai più altro che non
siano i suoi occhi.
Mi sfiora piano la guancia, e le labbra.
“Scusami”, sussurra.
Mi bacia, e posso sentire il sorriso
sulle sue labbra premute contro le mie. Mi bacia, all’inizio
timido, attento a contenere la sua euforia, come se potesse rompermi
solo con un movimento un po’ più deciso.
Sono io ad approfondire il bacio, allacciandogli le braccia al collo e stringendolo forte a me.
E’ così sciocco,
appartenersi tanto a lungo senza mai dirselo, senza mai saperlo.
E’ così sciocco essersi intralciati a vicenda per anni e
anni.
Ma oramai la cosa sciocca è continuare a rimuginarci su. Perché solo ora mi sento a casa.
Ci separiamo appena, il tanto che
basta per restare l’uno contro la fronte dell’altra. Ken
è ancora incredulo, ma l’esultanza è ora palese nei
suoi occhi.
“Buon Natale”, mi dice.
Io gli do un altro bacio a fior di labbra. “Il Natale più bello del mondo, direi”.
Non importa più il freddo del
gradino, o la neve che vortica attorno a noi spinta dal vento. Quello
che conta è che mi sento esplodere dalla felicità. Quello
che conta è che ora che so, ora che finalmente ho capito, potrei
restare qui per sempre, solo con Ken, senza curarmi del mondo esterno-
Il mondo esterno sembra leggermi nella mente, perché il telefono prende a squillare.
E così ci fermiamo entrambi, guardandoci con la stessa identica espressione.
Io rido.“Quanta sfortuna abbiamo, esattamente?” Scherzo.
Ken sorride un po’, facendo spallucce e lasciandomi andare.
Continua a guardarmi mentre rispondo e mi accosto il telefono all’orecchio, e i nostri sguardi non riescono a separarsi.
Il suo viso sereno sembra dirmi che
non ha alcuna importanza se Hikari mi ha chiamata per chiedermi dove
fossi, invitandomi a tornare a casa sua quanto prima. Non ha
importanza, e me ne convinco anche io, rispondendole che avrei portato
un ospite speciale con me, e chiudendo la telefonata senza altre
spiegazioni.
Prendo la mano di Ken nella mia, e
il dolce rimasto nell’altra, e guardandoci in silenzio sappiamo
già che avremo tutto il tempo che vogliamo, da adesso in poi.
Tutto il tempo del mondo per riscrivere la nostra relazione con i termini giusti, finalmente.
“Secondo me avremmo potuto cercare una scusa per passare un altro po’ di tempo da soli.”
“Miyako-san …”
“Non dire Miyako-san
con quel tono da papà, adesso. Renditi conto che non riusciamo
mai a baciarci in tranquillità senza che qualcosa si metta di
mezzo. Ecco, ora arrossisci.”
“Ma … ci aspettano di sopra. Non è mica carino.”
“Tu mi hai fatto aspettare ore.”
“Scusami.”
“E non
guardarmi così che non mi faccio intenerire! Secondo me
preferisci guardare Taichi che si butta sul buffet per assomigliare
meglio a Babbo Natale, piuttosto che me.”
“Taichi che fa cosa?”
“Eludi la domanda? Iniziamo bene.”
“Oh, non dire assurdità adesso. Lo … lo sai cosa penso di te.”
“Mmm, potrei non saperlo così bene. Ti dispiace ripetere?”
“Non fare la furba. E poi siamo arrivati.”
“Bella
scappatoia. Come minimo ora ti tocca umiliarti al karaoke. Tanto,
peggio di Jyou non potrai cantare: il microfono non è certo il
suo migliore amico … E ora perché ridi?”
“Sei adorabile, Miyako-san.”
“…”
“… Che c’è?”
“Non posso crederci. L’hai detto sul serio.”
E
siamo giunti alla fine :) Spero davvero che vi abbia strappato almeno
un sorriso! Quanto a me, ce l'ho messa tutta ^^ e ne avevo senz'altro
bisogno, visti i rumors su questo famigerato Adventure Tri di cui credo
stiamo aspettando tutti l'inizio con impazienza. Sono la sola a sentire
la mancanza dei Digiprescelti della seconda guardia? ç_ç
mi chiedo seriamente come giustificheranno la loro assenza, a questo
punto. E spero che siano moooolto convincenti u.u ah, meno male che
esistono le ff per dare gioia alle povere fangirl frustrate...
Grazie a tutti quelli che mi hanno seguito fin qui. In particolar modo,
grazie a mia sorella nonché pazientissima beta-reader, senza la
quale questa storiella sarebbe ancora a marcire nei vecchi files del
mio pc. Il tuo terrorismo psicologico è sempre utile :* un
ringraziamento speciale va, naturalmente, anche a chitta97: non potrei
chiedere lettrice più assidua e entusiasta e carina di te <3
sarà colpa tua se finirò per montarmi la testa, sappilo :P
Con questa vi lascio, salutandovi alla prossima storia. E ricordate: Fate l'amore, non fate la Friendzone!
Padme Undomiel
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