The borderline di fren (/viewuser.php?uid=22998)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Una strana coincidenza ***
Capitolo 3: *** Solo amici ***
Capitolo 4: *** La sfida ***
Capitolo 5: *** Un incontro inaspettato ***
Capitolo 6: *** Sussurri ***
Capitolo 7: *** Le ombre del cuore ***
Capitolo 8: *** Legame ***
Capitolo 9: *** La linea di confine ***
Capitolo 10: *** Incomprensibile destino ***
Capitolo 11: *** La notte negli occhi ***
Capitolo 12: *** Noi ***
Capitolo 13: *** Meglio un buon piano oggi che un piano perfetto domani ***
Capitolo 14: *** Di errori, illusioni e mezze verità ***
Capitolo 15: *** La promessa ***
Capitolo 16: *** Segreti ***
Capitolo 17: *** La porta di specchi ***
Capitolo 18: *** La bambina di ombra e il bambino di luce ***
Capitolo 19: *** Vita ***
Capitolo 20: *** La strada di casa ***
Capitolo 21: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
prologo
The
Borderline, la linea di confine. Questa fan fiction ha una lunga
storia, chi l’ha seguita dall’inizio, sospetto, non mi ha
mai perdonato di averla lasciata incompiuta e, io stessa, me ne sono
sempre dispiaciuta. Così, dopo sei anni, l’ho ripresa in
mano e ho provato a darle il finale che meritava di avere. Ma non solo.
Sei
anni sono lunghi e, rileggendo, mi sono resa conto di non rispecchiarmi
più in molte delle cose che ho scritto. Così, dove ho
potuto, ho riscritto. Mi piace paragonare la revisione che ho compiuto
su questa storia come all’operazione di pulizia effettuata su una
vecchia casa chiusa. Ho aperto le finestre e fatto entrare aria e luce.
Ho tolto i teli dai mobili, spazzato la polvere e cercato di sistemare
ciò che non mi convinceva più. La struttura non è
cambiata, ma c’è più ordine ora. O almeno spero.
Tutto
questo mi è servito per dimostrare a me stessa che la scrittura
è costituita da una piccola percentuale di ispirazione e una
grossa percentuale di forza di volontà. In un mese ho
rivoluzionato quattordici capitoli, riscritto il prologo e l’ho
conclusa. O quasi: sto finendo di scrivere l’ultimo capitolo. Ho
deciso che ne pubblicherò uno alla settimana, perciò
prima di Natale avrete il finale. Lo prometto.
Voglio
dedicarla a tutte le persone che, in questi anni, non hanno mai smesso
di chiedermi di concluderla. Potrà sembrarvi poco, ma per me
significa moltissimo. Sono cambiate tante cose, ma scrivere è
ancora una delle cose migliori che mi siano capitate, e di certo il
merito è un po’ anche vostro.
Spero
che la versione aggiornata possa piacervi quanto vi era piaciuta quella
vecchia e sarò, come sempre, grata a chi vorrà farmi
avere il suo parere. Buona lettura^^
Prologo
‘Per arrivare all’alba non c’è altra via che la notte.’ (Kahlil Gibran)
L’oscurità aveva molti nomi. Uno di questi era notte.
Le piastrelle
erano fredde contro alla pianta nuda dei suoi piedi, ogni passo le
costava fatica. Le ricordava perché era lì e, allo stesso
tempo, le suggeriva quanto fosse sbagliato quello che stava per fare.
Eppure andava avanti, guidata da una forza troppo oscura perché
potesse opporle la dovuta resistenza. Era una forza che le toglieva
qualunque volontà e la guidava oltre i limiti di ciò che
le era consentito. Aveva provato a ignorare quel richiamo, gli dei solo
sapevano quanto si fosse opposta alla sua voce suadente. La chiamava,
quella voce, la voleva. Da quando viveva a palazzo, le risuonava nella
testa più spesso di quanto avrebbe voluto; ma avrebbe mentito a
se stessa se si fosse detta che, negli anni lontani da Solaria, non
l’avesse mai sentita. Quella voce le parlava da molto tempo prima
che lei varcasse i confini del ducato, le parlava da sempre. Lei,
però, non si era mai chiesta cosa volesse. Non prima di quella
sera.
La candela che
teneva in mano produceva ombre sinistre, rimbalzavano sui muri
del corridoio che stava percorrendo, diretta ai sotterranei. Nessuno
aveva il permesso di scendere laggiù, nemmeno lei. Stava
contravvenendo alle regole perché la voce le aveva imposto di
farlo. La voce era forte, più forte di tutto. Resistere era
faticoso, richiedeva un impegno e una concentrazione che la sfinivano.
Non riusciva più a lottare con essa, poteva solo assecondarla.
Scese una lunga e stretta scala e sbucò in un’ampia stanza
circolare. Il soffitto era basso, l’aria era umida ed emanava un
afrore marcescente. Capì di trovarsi nelle viscere della terra,
là dove i confini tra il mondo della luce e quello delle tenebre
si sfioravano, compenetrandosi, e un brivido le percorse la schiena.
La cera della
candela che teneva in mano le gocciolò sulle dita. Faceva male,
ma servì a ricordarle che era viva. In quel luogo buio e freddo
era facile dimenticarsene.
Allungò la fiamma davanti a sé e illuminò un’ampia porzione di parete.
Lì, davanti a lei, c’era la porta.
Era coperta da un
panno scuro, ma la riconobbe. L’aveva vista spesso in sogno. La
voce l’aveva condotta laggiù per un motivo, un motivo ben
preciso: lei era in grado di indagare l’oscurità, di
vedere attraverso la porta di specchi. Lei era la chiave che avrebbe
potuto spalancare quel passaggio. Quello era il suo destino, niente
avrebbe potuto cambiarlo. La profezia parlava chiaro: avrebbe ceduto al
suo lato oscuro. Non importava quanto lontana l’avessero mandata,
sarebbe tornata e avrebbe assecondato l’ombra che c’era in
lei, questo era stato predetto alla sua nascita. E infatti, ora era
lì.
Indugiò,
la mano che sfiorava il drappo nero. C’era qualcosa di sbagliato,
lo sapeva. Ma non poteva fermarsi, non dopo essere arrivata
laggiù. Non si sfugge al proprio destino. Lasciò che il
telo cadesse a terra, rivelando la porta. Era incastonata in una
cornice d’ebano, e rifletteva il suo volto spaventato. Dopo
alcuni secondi, tuttavia, al suo volto se ne sovrappose un altro. Aveva
contorni indefiniti e sembrava galleggiare in un mare di nebbia. La
voce che la ossessionava da tutta la vita apparteneva a lui. Tese una
mano verso di lei, attraverso la superficie liscia e lucida dello
specchio e lei vide che le sue dita erano pallide e ossute come quelle
di uno scheletro.
“Aprimi. Togli i sigilli e lasciami passare, so che lo puoi fare. Ti aspetto da sempre…”
Istintivamente si
ritrasse da quella visione, ma qualcosa la trattenne. L’aveva
portata sin lì, ora non l’avrebbe lasciata andare. Non
così facilmente.
“Io… non posso” sussurrò, debolmente.
“Certo che
puoi. Non ti ho aspettato invano, il tuo destino è questo.
Lasciami passare e io ti ricompenserò. Avrai tutto ciò
che desideri, farò di te la mia regina. Devi solo consentirmi di
varcare il confine…”
Senza volerlo,
lei allungò una mano verso il vetro. Vibrava come l’acqua
solo apparentemente immobile di un lago, e nascondeva abissi
profondissimi. L’essere senza tempo che la aspettava fece
altrettanto. Vide le sue dita ossute tendersi verso di lei e
provò l’impulso di ritrarsi. Voleva voltarsi e fuggire da
quella visione spaventosa. Ma le sue gambe erano di gesso e sentiva la
lingua incollata al palato. Le sue dita attraversarono lo specchio,
sfiorando quelle della creatura fatta di ombre. Fu allora che accadde.
Lo specchio sottile che li divideva iniziò a tremare, sul punto
di cedere. Sul punto di andare in mille pezzi.
Spaventata, provò a indietreggiare, ma l’essere la agguantò, trattenendola.
“Togli i sigilli, finisci ciò che hai cominciato. Lasciami passare!”
“No!”
Il suo potere era
forte, ne ebbe la prova in quel momento, quando, con forza, si ritrasse
da lui. Ma era tardi, il loro contatto aveva reso i confini più
labili. Li aveva resi fragili. Sentì la creatura gridare di
frustrazione quando lei gli sfuggì. Un lungo gemito rabbioso.
“Tornerai da me. Tornerai” promise quell’essere senza tempo, svanendo nella nebbia.
Lei
arretrò; la mano le tremava, la candela cadde e una scintilla
raggiunse il drappo scuro che aveva coperto la porta. Il fuoco
divampò, le fiamme avvolsero ogni cosa e un fumo denso e nero si
sollevò attorno a lei. L’aria era bollente, respirare
divenne faticoso. Immaginò il palazzo che bruciava e il suo
unico pensiero fu per la bambina. Aveva giurato che se ne sarebbe presa
cura, che l’avrebbe protetta. Iniziò a correre, mentre
l’orlo della sua veste sprizzava scintille e ogni cosa, intorno a
lei, veniva consumata dalle fiamme. Corse fino a sentire il cuore
scoppiare, fino a non avere più fiato nei polmoni. Corse, e non
sentì la vampa che la avviluppava lentamente, che le consumava
la carne. Se ne accorse solo quando, ormai, era troppo tardi. Troppo
tardi… o forse no?
Sentì un
campanello che suonava, nel buio. Seguì la sua melodia. Se
c’era un prezzo da pagare, decise, l’avrebbe pagato.
L’oscurità
aveva molti nomi. Uno di questi era notte e solo chi aveva la notte
negli occhi avrebbe potuto guardare oltre la porta di specchi e
rimediare al terribile errore che lei aveva commesso. Il suo compito,
adesso, era trovarlo e condurlo lì.
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Capitolo 2 *** Una strana coincidenza ***
capitolo 1
Una strana coincidenza
‘Ci
sono cose che decidiamo noi, poi ci sono un milione di coincidenze
sulle quali non abbiamo nessun controllo, quegli eventi che ci portano
in un certo posto, in un dato momento e che ci cambiano la vita per
sempre. Chi controlla queste coincidenze? Una cosa è certa: non
siamo noi.’ (Moonlight)
Le ultime
gocce di pioggia scivolarono giù per la grondaia della locanda,
perdendosi in pozze scure in cui si rifletteva la luna. La primavera
avrebbe dovuto essere alle porte, ma era ancora presto per dire che
l'inverno fosse ormai un ricordo lontano, e un freddo pungente
ammantava di brina le notti di Telmord.
“Ripetilo se hai il coraggio!”
Digrignando i denti
sbattei il palmo della mano contro al tavolo di legno, issandomi
minacciosa in tutto il mio metro e cinquanta, e fissai dritto negli
occhi quel bamboccio che evidentemente aveva scelto quella come ultima
serata da trascorrere al mondo, prima della fine imminente che gli
avrei fatto fare se non ritirava subito quello che aveva appena detto.
Il ragazzo
aggrottò le sopracciglia: “Ehi, ragazzina, vacci piano!
Cosa ho detto di male? Ho solo constatato la realtà dei
fatti!”
Gli uomini che
assistevano alla scena si diedero di gomito: “Audace la piccola,
eh? Scommetto dieci monete che lo stende!”
“Naa, il capitano
che si fa mettere fuori gioco da una mocciosa? Dovrei dire di averle
viste proprio tutte per assistere ad una scena del genere!”
Tranquillo, tesoro, ne ho anche per te se non ti tappi quella boccaccia.
“Senti… Ma
non ti sembra di esagerare?” Mi domandò l’uomo che
tenevo per il bavero della giubba. “In fondo la mia voleva essere
una battuta , una semplice, innocente battuta!” Tentò di
giustificarsi, esibendosi in un assai poco convincente sorriso.
Avvicinai il viso al suo: “Se era una battuta, non faceva ridere.
Sto seriamente prendendo in considerazione l’ipotesi di farti
andare a dormire con una mascella rotta, sai? Almeno poi non te ne
andresti in giro a fare commenti poco lusinghieri sulle delicate
fanciulle indifese…”
Il tipo deglutì.
Forse aveva capito che c’era poco da scherzare con la più
grande e geniale maga che il mondo avesse mai visto, ovvero io, Lina
Inverse.
“Quale fanciulla indifesa?” ironizzò, sempre sorridendo, quell’idiota. “Ah, saresti tu!”
I miei occhi si strinsero a due fessure.
Ora, spiegatemi,
perché una brava ragazza come me non poteva ambire a passare una
serata, una sola serata, senza doversi sorbire battute idiote
sulla taglia del suo seno? Senza contare che la pessima battuta del
signor ‘facevo-meglio-a-farmi-gli-affari-miei’ arrivava
giusto dopo una lunga giornata di avvenimenti non propriamente felici.
La vita di maga può essere molto dura, a volte.
"Solaria? Mai sentito." Aveva commentato Gourry quella mattina, guardandomi con l'aria di uno che cadeva dalle nuvole.
"La cosa non mi
stupisce per niente..." avevo risposto, distratta, mentre controllavo
il sigillo in ceralacca con l'elegante stemma del ducato.
Era primo mattino, e un pallido sole invernale penetrava attraverso le finestre della mia stanza.
Gourry si
stiracchiò, levando le braccia sopra alla testa, mentre la spada
che portava appesa alla cinta tintinnava contro all'armatura.
"Non scendi a fare colazione?" chiese, dopo avermi lanciato un'occhiata dubbiosa.
"Ehi, cos'è
questa novità? Ti sembro malata, forse?" domandai, guardandolo
da sopra al foglio che tenevo tra le mani.
Gourry si grattò la guancia:
"Non so, sei ancora in pigiama. Le cucine chiudono tra mezz’ora" borbottò, davanti al mio sguardo accigliato.
"Allora forse dovresti iniziare ad avviarti, in modo che io possa vestirmi.”
Gourry mi rivolse uno sguardo contrariato:
" Come vuoi, Lina. Ma
poi non ti lamentare perché non ti ho lasciato niente!" disse,
prima di darmi le spalle e dirigersi alla porta.
"Ci devi solo provare,
cervello di medusa!" esclamai, lanciandogli il cuscino. Gourry lo
scansò con un movimento aggraziato.
"Troppo lenta Lina, devi lavorare un po' sulla prontezza d'azione" puntualizzò, con una strizzata d'occhio.
"Cretino!" Questa volta gli lanciai uno dei miei stivali.
Lo spadaccino lo schivò nuovamente per un pelo, e la sua voce mi arrivò ovattata, al di là della porta:
"Ti do cinque minuti,
Lina. Dopodiché mangerò tutto quello che il cameriere
porterà, senza risparmiarmi!" Sentii che diceva, mentre i suoi
passi si allontanavano per il corridoio.
Sospirando mi allungai sul letto, coprendomi il volto con il foglio di pergamena.
Non era un grande incarico.
Anzi, avrei osato dire che, per la grande Lina Inverse, era qualcosa di veramente banale.
Ma, dopotutto, non
potevo cimentarmi solo in grandi imprese, giusto? Ogni tanto ci voleva
qualche missione rilassante. Calcolai che per arrivare a Solaria non ci
sarebbe voluto più di una settimana e presi la mia decisione.
Potevo già sentire il peso della ricompensa nelle tasche.
Le fronde degli alberi
disegnavano strane ombre che si rincorrevano nel riverbero della
foresta. Stavo spiegando la situazione al mio amico, che però
non sembrava molto propenso ad ascoltarmi.
"E quindi questo
è tutto, capito?" Mi ero voltata verso Gourry, e l'avevo trovato
appisolato contro il tronco a cui si era appoggiato mentre stimavo il
bottino di cui ero appena entrata in possesso.
Non vorrei che vi
faceste strane idee, non c’era nulla di illegale in tutto questo.
Si era trattato giusto di una piccola, piccolissima disputa con due o
tre banditi, e in fondo se l'erano battuta a gambe levate senza che li
avessi sfiorati con un dito, dimenticandosi però, casualmente,
della loro mercanzia. Ora, non perché fosse nel mio interesse,
ma perché lasciare che quelle antiche monete, lucide e
brillanti, si andassero ossidando in balia degli agenti atmosferici?
Insomma, non ero un'esperta di numismatica, va bene, ma forse lo
sarebbe stato qualcuno nel villaggio in cui ci apprestavamo ad entrare,
e non mi potevo di certo tirare indietro davanti alla
possibilità di aiutare qualche povero collezionista, che magari
stava cercando proprio quelle preziose e rare monete, giusto? In fondo
il mio era puro spirito di filantropia, l'aveva capito persino Gourry
che, con un sospiro sconsolato, si era accasciato ai piedi di
quell'albero, borbottando qualcosa del tipo: "Immagino sia del tutto
inutile ricordarti che un furto non diventa meno grave se lo si compie
ai danni di un malfattore, vero?"
Oh, certo. Gourry, il buon samaritano.
Il mio compagno di
viaggio era uno spadaccino eccezionale, mai visto niente del genere,
credetemi. Ma di certo non avrei potuto dire la stessa cosa sul suo
modo di gestire il denaro, e di fiutare gli affari in generale.
Però non glie ne facevo una colpa, essendo nobilitato dai suoi
alti ideali cavallereschi, dubitavo che riuscisse a comprendere fino in
fondo che quello, effettivamente, non era un furto.
E comunque, nel
disgraziato caso che qualcuno avesse potuto provare il contrario,
sbaglio o ci mangiava anche lui con quella refurtiva? Quindi trovavo
vagamente irritanti i suoi scrupoli morali sul mio passatempo
preferito. Però ero anche consapevole che, in fondo, Gourry
aveva protestato sul serio poche volte. Nella maggior parte dei casi mi
lasciava al mio hobby limitandosi a controllare che non mi succedesse
niente di male. O, più spesso, che non succedesse niente di male
a quelli con cui avevo a che fare. E in quel caso, per l'appunto, aveva
saggiamente scelto di tenersi in disparte, mentre sistemavo quegli
scocciatori da quattro soldi (sì, sì, avevo detto di non
averli sfiorati nemmeno con un dito. Non che non li avessi tormentati
un pochino con qualche innocente incantesimo!)
Sospirai e mi avvicinai a Gourry.
"Sveglia, lumaca di
mare!" gridai, lanciandogli una pigna in piena fronte. Gourry si
svegliò di soprassalto, spalancando gli occhi.
"Cosa…?
Dove…?” sbatté le palpebre, confuso. “Credo
di essermi appisolato” constatò infine.
Scossi la testa:
"Appisolato! Dormivi
della grossa, Gourry! Comunque, per tua informazione, mentre scorazzavi
felice nel mondo dei sogni, ho fatto una stima di quel che potrei
ricavare rivendendo queste antiche monete, e quindi adesso scenderemo
giù al villaggio a fare fortuna!”
Lo sguardo di Gourry si fece vigile: “Lina! Che fine hanno fatto quei poveri banditi?”
“Quali poveri banditi?” domandai, con finto stupore.
“Lina…” Lo spadaccino levò un sopracciglio.
“Ah, parli di
quei tizi che a un certo punto hanno deciso di battersela lasciando qui
tutta la loro roba. Mai visto qualcuno con tanta fretta di andarsene,
credimi… avranno avuto qualche impegno improrogabile, cosa vuoi
che ne sappia io!” conclusi vaga, evitando appositamente il suo
sguardo.
Sentii Gourry sospirare alle mie spalle: aveva prudentemente deciso di lasciar cadere quel discorso.
“In ogni caso,
hai capito quello che ti stavo dicendo?” proseguii, mentre
spolveravo alcune gemme che si trovavano nella sacca delle monete.
Silenzio alle mie spalle.
Ecco, lo sapevo.
“Sei senza
speranza…” borbottai, voltandomi verso Gourry, che mi
osservava con l’indice alle labbra, l’espressione
concentrata nel tentativo di ricordarsi qualcosa che in effetti non
avrebbe mai ricordato, perché non aveva ascoltato una sola
parola di quello che avevo detto per l’intero tragitto.
Emisi un lungo sospiro.
“Sai, a volte mi chiedo come tu riesca a ricordarti di
respirare…” dissi, mentre sistemavo le ultime cose che
avevo intenzione di portare con me.
Gourry si
sollevò, lanciando un’occhiata sospettosa ai sacchi con la
mercanzia: “Lina, non avrai intenzione di trascinarti dietro
tutta quella roba, vero?”
Lo guardai sgranando
gli occhi: “No! Sei matto? Sarai tu a portare tutta questa roba
giù al villaggio” dissi, mentre stringevo soddisfatta lo
spago della sacca in cui avevo riposto tutto ciò che mi sembrava
più interessante.
“Ah… E poi sarei io, quello matto?”
Oh, per gli dei quanto la faceva lunga.
“Non capisco
davvero questa tua riluttanza nell’incoraggiare i miei commerci.
In fondo si tratta di poca roba…” affermai con tono grave,
mentre incrociavo le braccia al petto.
Gourry rispose al mio sguardo con aria ironica.
Entrambi evitammo di guardare verso la decina di sacchi che avevo accumulato stipandoli fino all’orlo.
E va bene, va bene.
Forse quei due non erano stati gli unici briganti che avevamo
incrociato sul percorso quella mattina. Che colpa ne avevo se quelli
che fuggivano con la refurtiva lo facevano tutti nella mia direzione? E
poi gli hobby vanno incoraggiati, lo sanno tutti.
“Tu non
capisci” protestai, davanti all’irremovibilità dello
spadaccino. “Questa è una delicata operazione finanziaria
che il tuo cervello formato seme di sesamo ti impedisce di cogliere, ma
è qualcosa di indispensabile!”
Sul volto di Gourry comparve un piccolo, odioso sorrisetto. Sembrava scettico.
“Inoltre,”
proseguii , imperterrita, “dobbiamo considerare che le nostre
uscite ultimamente sono direttamente proporzionali a quelli che io
definirei, ecco... eccessi.” Mi piantai le mani sui fianchi.
“Eccessi di entrambi” chiarii, sperando che si rendesse
conto da solo che non potevano contare solo ed esclusivamente
sull’incerto guadagno da mercenari per campare.
A quel punto Gourry si
arrese: “D’accordo” sbuffò, controvoglia.
“Ma ritieni davvero necessario portarti dietro tutta questa roba?
Insomma… Proprio tutta?”
“Gourry, gli
affari non si fanno di certo con quattro carabattole. Inoltre ti
assicuro che ognuno di questi sacchi contiene solo oggetti di
inestimabile valore, selezionati appositamente dalla sottoscritta
mentre tu proseguivi la tua cura del sonno” dissi, mentre con il
tallone spingevo indietro, lontano dal suo sguardo, una borsa da cui
spuntava la zampa di un orsacchiotto di pezza.
Beh, non guardatemi con
quella faccia. Il fatto è che in cuor mio speravo di ritrovare
il bambino a cui era stato sottratto l’amico di pezza. Non ho un
animo nobile? In alternativa avrei sempre potuto ripiegare su qualche
negozio di giocattoli usati. Occorre sempre un piano B.
“Non pensavo
fossimo così in bolletta da doverci trascinare dietro ben
tredici candelabri… arrugginiti per di più” disse
Gourry, scrutando il contenuto di una sacca. I suoi occhi si
sollevarono nei miei: “Pensi davvero di riuscire a vendere questo
ciarpame?”
Con un rapido gesto gli
tolsi la refurtiva di mano: “Questo perché tu non hai la
più pallida idea di come funziona il mondo degli affari. Tutto
può essere venduto, Gourry, basta saper presentare la merce in
un certo modo” dissi, mentre infilavo un’altra manciata di
forchette nell’ultimo spazio vuoto che ero riuscita a trovare.
“Ti assicuro che, se volessi, sarei in grado di vendere anche
te!”
“Non nutrivo
dubbi, in proposito” sospirò Gourry, ormai rassegnato
all’idea di doversi prestare a fare da facchino fino al villaggio.
Sogghignai tra me e me, e lo caricai di altre tre borse.
“Spero almeno che se un giorno deciderai di liberarti di me in questo modo, lo farai per una somma consistente.”
“Ma, sai, dipende
da tanti fattori” considerai, fingendo di rifletterci. “
Venduto singolarmente varresti decisamente di meno che se ti vendessi
con la spada, ma dato che la spada la terrei per me…”
“Sei
tremenda…” disse il mio amico, scuotendo la testa. Gli
sorrisi: “In ogni caso, finché ti dimostrerai così
servizievole, non dovresti correre rischi…” conclusi con
una strizzata d’occhio.
In effetti, tempo
addietro ero stata veramente accusata di essermi venduta il mio
compagno di viaggio. Ancora adesso mi capita di chiedermi che razza di
opinione si possa fare la gente di me per arrivare a dire simili cose.
Però in quel caso era stata Sylphiel a fare la tragica
affermazione, quindi supponevo di poterci anche passare sopra. Insomma,
era ovvio che non potesse essere lucida mentre diceva una cosa del
genere: Gourry era appena stato rapito, e lei era molto preoccupata per
lui.
D’accordo, lo ero
anch’io. Un pochino. Ma a differenza di Sylphiel conservavo
ancora la lucidità sufficiente per rendermi conto che nessuno
avrebbe potuto dire, o pensare, una simile cosa in circostanze normali.
Lo spero, almeno.
“Bene, questa era
l’ultima!” Lanciai uno sguardo a Gourry, carico come un
mulo da soma, e puntai l’indice davanti a me:
“Andiamo a fare fortuna!”
Quel villaggio era
davvero grazioso. Piccole case col tetto di paglia e stretti vicoletti
su cui affacciavano i negozi dei mercanti; il fornaio, il fabbro, il
falegname, e, per ultimo, quello che cercavo io: l’orafo.
Entusiasta mi avviai
verso la porta di legno della bottega. Lo spadaccino mi seguì
sospirando: “Lina, non mi sento più le braccia”
protestò, esausto. Incurante, gli lanciai una breve occhiata:
“Porta pazienza Gourry, fra non molto l’unico peso che
sentirai addosso sarà quello delle monete sonanti che ci
intascheremo vendendo questa mercanzia!”
Gourry fece cadere a
terra le borse stracolme, e si massaggiò la schiena:
“Sarà… Ma sinceramente non capisco come tu possa
vendere delle monete per avere in cambio altre monete. Insomma, non
faresti semplicemente prima a tenerti queste?”
Roteai gli occhi al
cielo: “Questo tuo ragionamento spiega alla perfezione il
perché sia io, e solo io, ad occuparmi dei nostri affari. Stiamo
parlando di monete da collezione, Gourry!” Estrassi da una
piccola borsa alcune monete, mettendogliele sotto al naso. Si trattava
di preziosi dischetti in metallo, finemente cesellati con arcani
simboli. “ Con una di queste” proseguii, “non ci
pagherei nemmeno un piatto di minestra, ma stimate da un buon
intenditore, ognuna di queste monete ci garantirebbe vitto e alloggio
nella miglior locanda del paese per una intera settimana!”
Gourry fissò a
bocca aperta il piccolo oggetto che tenevo nel palmo della mano,
dopodiché scosse la testa: “Se lo dici tu…”
Con rapido gesto della
mano feci nuovamente sparire le monete nella sacca: “Se lo dico
io puoi star certo che è così!” affermai, con
sicurezza.
“Senti, Lina, ma
com’è che ti intendi anche di monete da collezione?”
Mi chiese lo spadaccino dopo qualche attimo di silenzio.
“Oh beh…
Non è che io sia propriamente un’esperta, diciamo che ho
giusto un’infarinatura generale sull’argomento. Insomma,
una fanciulla deve tenersi aggiornata su come gira il mondo, senza
contare che…” Mi schiarii leggermente la gola “Il
collezionismo di monete viene spesso definito ‘l’hobby dei
re’ e tu sai quali sono i miei progetti per il futuro, no? Quando
finalmente incontrerò un bellissimo principe non posso correre
il rischio di farmi trovare impreparata sull’argomento.
Così quando lui mi chiederà di potermi mostrare il suo
tesoro privato, trovandomi ferrata in materia non potrà fare a
meno di pensare che sono la donna che ogni regnante vorrebbe avere
accanto a sé…” conclusi con una punta di orgoglio.
Non era un piano geniale? Erano anni che progettavo nei minimi dettagli
il mio inserimento a corte, e considerando che ad una futura regina non
erano richieste particolari doti in cucina, potevo dire di essere
già a buon punto.
“Capisco…” Sulle labbra di Gourry aleggiava un vago sorriso.
“Beh?”
Feci, indispettita, tornando alla realtà. “Cosa credi, che
ad un uomo non faccia piacere avere una donna che si interessa ai suoi
hobby?”
Gourry represse un
sogghigno: “Oh, non è quello… Credo solo che il
regnante in questione, notando appunto il tuo interesse, farebbe meglio
a tenere i suoi ‘hobby’ debitamente sotto chiave in qualche
cassaforte!”
Gli lanciai un’occhiataccia: “Non starai forse insinuando che potrei derubare il mio futuro marito, vero?”
“No di certo!
Solo permettimi, quando avverrà il felice giorno del tuo
matrimonio con codesto nobile regnante, di mettere in guardia quel
poveraccio: non sa a cosa va incontro…”
“E tu invece,
Gourry? Tu sapevi a cosa andavi incontro quando hai scelto di viaggiare
con me?” domandai, piccata. Era un botta e risposta, e mi
aspettavo che proseguisse su quei binari. Ma Gourry sembrò,
all’improvviso, confuso.
“No, in
effetti” mormorò, quasi soprapensiero. “Non avevo la
minima idea di quello a cui stavo andando incontro.”
Lo guardai incuriosita,
ma prima che potessi chiedergli cosa intendesse dire lui mi
anticipò: “Quindi, vogliamo farli questi affari?”
cambiò discorso, scrollando le spalle.
Abbassai lo sguardo
verso le borse: “Quando sarò regina, avrò una
schiera di lacchè personali che trasporteranno per me tutta la
refurtiva…”
Gourry scosse la testa
e mi posò la mano sulla testa, scompigliandomi i capelli:
“D’accordo, per adesso accontentati del
sottoscritto!”
Mentre allungavo una
mano verso la refurtiva, tuttavia, venni colta da un pensiero. Il mio
sguardo si spostò verso una bottega a pochi passi da
lì, sovrastata da una sgangherata insegna che diceva
‘antiquario ’.
“Gourry…”
Insomma, non
c’era motivo che Gourry mi seguisse dall’orafo per rimanere
a sbuffare mentre intavolavo la mia delicata trattativa, giusto?
Senza contare che avrebbe potuto uscirsene da un momento
all’altro con qualche sua affermazione assolutamente fuori luogo.
Era meglio non correre il rischio.
“Senti,
perché non ci dividiamo il lavoro? Io penso agli oggetti di
valore, e tu vedi di disfarti di tutta quella robaccia vecchia, va
bene?” Gli spiegai, indicando la bottega. Lo spadaccino mi
guardò stupito: “Ma, Lina…” protestò
debolmente. “Non sono sicuro di riuscire ad infinocchiare
l’antiquario con questa roba. Non come faresti tu, almeno”
constatò, estraendo da un sacco quella che aveva tutta
l’aria di essere una zuppiera di porcellana.
“Oh andiamo, sono
sicura che te la caverai” risposi, sbrigativa. “ Tieni a
mente la prima regola del venditore: non importa se quello che stai
proponendo è, di fatto, una cosa del tutto inutile: la persona a
cui vuoi venderla ne ha bisogno, un disperato bisogno. E sarai tu a
farglielo capire.” Mentre parlavo un manico della zuppiera si
staccò, rimanendo fra le mani di Gourry, mentre il restò
si polverizzò a terra. Entrambi rimanemmo a fissare sbigottiti
il mucchietto di cocci.
“D’accordo,
niente panico; in un caso del genere sorridi in modo cordiale, e
indietreggia velocemente fino alla porta” aggiunsi, dopo un
attimo di silenzio. Ma dove le avevano pescate quelle cianfrusaglie
quei banditi da quattro soldi, ad una svendita?
Gourry mi guardò
sconsolato, e io gli feci un mezzo sorriso: “Ci rivediamo nella
piazza del villaggio fra un paio d’ore, va bene? E non fare
quella faccia, ricordati che qualsiasi cosa può essere
venduta!” Detto quello gli diedi le spalle, stringendo la borsa
contenente gli oggetti di valore, e infilai la porta dell’orafo.
Uno scampanellio
accompagnò il mio ingresso nella bottega, che profumava di cera
e incenso. Dovetti attendere che i miei occhi si abituassero
all’oscurità, e fu allora che nell’ombra scorsi una
figura ricurva su un lungo tavolo. L’uomo, un anziano signore
provvisto di una lunga chioma bianca, sollevò brevemente lo
sguardo, lanciandomi un’occhiata contrariata, dopodiché
tornò a concentrarsi sul suo lavoro. Avanzai lentamente nella
sua direzione: “Permesso? Sono qui per proporle un
affare…”
Avvicinandomi al
bancone da lavoro notai numerosi strumenti sparsi sul ripiano del
tavolo: pinze e martelli, una pressa manuale, cesoie circolari, e una
quantità spropositata di tronchesi e lime di ogni dimensione.
Quando fui abbastanza vicina notai che il vecchio, curvo su un
incudine, stava lavorando su un prezioso bracciale in oro e non
sembrava affatto interessato alla mia presenza. Mi schiarii la voce:
“Lei si interessa anche di monete antiche?”
Solo a quel punto
l’orafo sollevò su di me due occhietti porcini, fissandomi
con aria ostile: “Io di certo sì, ma lei? Non le sembra di
essere un po’ troppo giovane per interessarsi di
anticaglie?”
“Non sapevo
esistesse un limite d’età per avere certi interessi, ma se
lei ritiene che io non possa intendermene, suppongo che non voglia
nemmeno dare un’occhiata a quello che ero venuta a
proporle” conclusi, con un’alzata di spalle.
La voce del vecchio
rimbombò nella stanza cupa: “Ora però ha suscitato
la mia curiosità…”
Un lieve ghigno comparve sulle mie labbra.
Ti costerà cara questa curiosità, amico.
Tornai a voltarmi
verso di lui, e sfoderai il migliore dei miei sorrisi. Con un gesto
deciso posai la borsa sul tavolo, davanti allo sguardo avido
dell’uomo.
Mentre lui frugava
nella borsa mi guardai attorno. Quel negozio era talmente spoglio che
la mia proposta capitava nel momento giusto, constatai. Nel frattempo
l’uomo aveva già estratto alcune gemme, due o tre ciondoli
finemente decorati, un fermaglio incrostato di pietre, e il pezzo forte
di tutta la refurtiva, il borsellino di velluto delle monete da
collezione. Le fece rotolare sul bancone, dopodiché ne prese una
tra le dita, scrutandola attentamente. Trattenni un sorrisetto
compiaciuto quando i suoi occhi si sgranarono stupiti, e schiarendomi
leggermente la voce commentai: “Non vorrei sembrarle presuntuosa,
ma quella moneta deve risalire come minimo a due secoli fa. Se intende
acquistarla, dovremo pattuire un prezzo adeguato…”
Gli occhi
dell’uomo si strinsero a due fessure, dopodiché si
spostarono verso i miei, mettendomi leggermente a disagio. “Dove
ha trovato queste monete?” Mi chiese, con voce roca.
“Mi scusi, ma
credo che la cosa non la riguardi” risposi, secca. “Queste
sono informazioni riservate che non ritengo di doverle
dare…” puntualizzai poi, per darmi un piglio più
professionale.
“Capisco…”
disse l’uomo “In questo caso deve darmi qualche minuto per
controllare nel retrobottega se sono già in possesso di simili
chicche, non voglio correre il rischio di ritrovarmi con dei
doppioni” precisò, in modo affabile. Gli feci un rapido
cenno di assenso e lo vidi sparire dietro ad una tendina che separava
la stanza dal retro, rimanendo sola davanti al bancone.
Dopo qualche minuto
emisi un sospiro. Perché ci stava mettendo tutto quel tempo?
Annoiata lanciai l’ennesima occhiata al banco da lavoro. Alcune
lamine dorate erano sparpagliate vicino a bulini di varia dimensione.
Soprapensiero ne presi in mano uno, osservandone la punta acuminata,
quando la mia attenzione venne catturata dal bracciale che
l’orafo aveva lasciato incompiuto. Allungai una mano, sfilandolo
dal suo calibro, e lo osservai attentamente. Era un oggetto veramente
ricercato, le incisioni riportavano una greca perfetta, mentre un
elaborato intreccio di filigrana si attorcigliava intorno alle tre
lucide pietre dure che ne decoravano il bordo. Senza pensarci me lo
lasciai scivolare lungo il braccio, sentendolo tintinnare contro ai
miei talismani; davvero perfetto.
In quel momento, una voce improvvisa mi fece sussultare: “Non lo trova un oggetto meraviglioso?”
Trasalii, sorpresa, e
lanciai un’occhiata verso la tenda da cui era sbucato
l’orafo. Chissà perché, vestiva
un’espressione assai poco rassicurante.
“Sì, è davvero ben fatto.”
“Già,
peccato…” L’uomo prese un respiro “Peccato che
non sia suo, come tutto il resto della mercanzia che mi ha
mostrato.”
“Prego?”
In quel momento la porta della bottega si spalancò, lasciando entrare un gruppetto di guardie.
“È lei?” Chiesero all’orafo.
“Sì, fa parte della banda di briganti che questa notte hanno derubato il mio negozio!”
Ero senza parole. Che
sfortuna maledetta! Ma prima che riuscissi a spiegare l’equivoco,
i soldati si erano già precipitati nella bottega, accerchiandomi.
“Hai finito di compiere malefatte, mocciosa” Esclamò una guardia, avvicinandosi con un paio di manette.
Malefatte…? Mocciosa?!
“C’è un errore, io non ho rubato proprio niente!” dissi, arretrando.
“Ah, no? Vorresti
farmi credere di non essere complice di quei furfanti? Guardie,
acciuffate questa ladra! Guardate, ha tentato di rubarmi anche il
bracciale a cui stavo lavorando quando è entrata!”
aggiunse, indicando il gioiello che ancora indossavo.
“Non è
vero! Lo stavo solo provando!” dissi, sfilandomi il braccialetto
e sventolandolo davanti ai presenti. A giudicare dalle espressioni, non
sembravano convinti.
A quel punto dovevo ormai arrendermi all’evidenza: i miei affari erano falliti miseramente, dannazione.
“E va bene, vi insegnerò io a dare della ladra e della mocciosa alla grande e geniale Lina Inverse!”
Con un rapido gesto
lanciai il braccialetto sulla fronte di una guardia che si avvicinava,
e saltai sul bancone per sfuggire all’attacco di altre tre.
“Assha Dist!”
La folata di vento
generata dall’incantesimo mandò a gambe all’aria le
guardie, l’orafo, e provvide a ribaltare e sparpagliare qualsiasi
cosa all’interno del negozio. In mezzo secondo avevo provocato un
parapiglia che portava chiaramente la mia firma, e a quel punto non mi
rimase altro da fare che infilare la porta e darmela a gambe.
Mezz’ora
più tardi camminavo sconsolata per uno stretto vicoletto
secondario, trascinandomi dietro l’unica sacca che ero riuscita a
portare in salvo di tutto il mio consistente bottino. Grossi nuvolosi
grigi si erano addensati nel cielo, e tirava un forte vento. Stava per
piovere, non avevo concluso un solo affare, e per di più
c’erano orpelli di guardie sparpagliate per tutto il villaggio
che mi cercavano per arrestarmi. La fortuna quel giorno aveva
chiaramente deciso di darmi le spalle.
Sospirai sconsolata, e
mi lasciai scivolare lungo la colonna di un porticato. Sentivo le grida
di alcuni bambini che giocavano non molto distante da lì, e il
lieve scrosciare di una fontanella di pietra. Non potevo nemmeno andare
ad aspettare Gourry giù alla piazza, o avrei dovuto rendere
conto a più di una persona. Quello era parecchio irritante.
Insomma, per una volta che si trattava veramente solo di un grosso
equivoco…
“Mediti sul tuo
prossimo colpo?” domandò una voce al mio fianco. Levando
lo sguardo vidi Gourry che si avvicinava sorridendo.
“Molto divertente” borbottai, imbronciata.
Lo spadaccino
sghignazzò, dopodiché si sedette al mio fianco:
“Quando sono uscito dall’antiquario ho pensato di
raggiungerti nella bottega dell’orafo, ma quando ho visto che del
suo negozio non rimaneva che un mucchietto di macerie ho capito che
forse qualcosa nella trattativa non era andato esattamente come avresti
voluto…”
“Come sei sagace,
Gourry…” dissi, leggermente irritata da quel suo spirito
giulivo. A volte Gourry non capiva davvero quant’era frustrante
non riuscire a concludere un affare. “E, per tua informazione,
eviterei di fare dello spirito, non sono in vena” conclusi,
incrociando le braccia al petto.
Rimanemmo in silenzio
alcuni secondi, dopodiché Gourry afferrò la sacca che ero
riuscita a trarre in salvo: “Vedo che almeno qualcosa sei
riuscita a salvare…” Ma quando ebbe slegato lo spago, il
suo sguardo si addolcì, e un lieve sorriso ricomparve sulle sue
labbra.
“Lina…”
Imbarazzata distolsi lo sguardo.
L’avevo detto che quella non era decisamente la mia giornata, di tutta la roba che avrei potuto recuperare…
“Un orsacchiotto
di stoffa…” disse Gourry, prendendo fra le mani
l’animale di pezza. “Cosa se ne fa un brigante di un
orsacchiotto?” chiese poi, perplesso.
“Non ne ho la
più pallida idea, e nemmeno mi interessa saperlo. Io non me ne
faccio niente di sicuro…” Esclamai seccata. Non potevo di
certo rivelargli che avevo intenzione di provare a vendere pure quello
o avrebbe pensato che ero fin troppo veniale. Più di quanto
già non pensasse che fossi, intendo. “Per quel che mi
riguarda lo puoi anche buttare” conclusi, lapidaria.
Gourry rimase qualche
secondo a rimirare il giocattolo, e io distolsi lo sguardo sospirando.
Il rimbombo cupo e lontano del temporale imminente echeggiò in
lontananza, e le fronde degli alberi frusciarono leggere.
Con la coda
dell’occhio scorsi, all’improvviso, qualcosa che si
avvicinava al mio volto e sussultai, colta di sorpresa.
“WHA!”
Voltandomi mi trovai
faccia a faccia con il muso sgualcito dell’orso: “Sei
crudele, vuoi liberarti di me…” disse l’orso con una
vocina stridula.
Cioè, a parlare
per l’orso era stato in realtà Gourry. Dopo essermi ridata
un contegno, lo osservai levando un sopracciglio: “Gourry…
Che diavolo stai facendo?” chiesi, calma. Da qualche parte avevo
sentito che con i malati di mente era meglio essere cauti.
Lo spadaccino mi
osservò con l’aria più tranquilla del mondo:
“Difendo le ragioni dell’orso!”
Aggrottai le sopracciglia, irritata.
“Gourry, non ho
molta voglia di scherzare. I miei affari di oggi sono naufragati, e
anche se tu non ne hai la percezione, non siamo propriamente in una
brillante situazione economica. I soldi non si mettono da parte da soli
e possibilmente a Solaria preferirei arrivarci con lo stomaco pieno,
quindi lasciami riflettere in pace e butta quel dannato orso!”
Gourry corrugò
la fronte: “Hai sentito?” sgridò l’orso.
“Lina sta riflettendo, non la disturbare!”
“Ma che ho detto di male?” ribatté l’orso con una penosa voce in falsetto.
“Sssst! Con le tue lamentele la disturbi! Cuciti il muso!” lo rimproverò Gourry.
Rimasi a fissarlo, allibita. Non sapevo se piangere anche il suo ultimo neurone o spaccargli la faccia.
“Gourry, non ho cinque anni. Il teatrino ho smesso di guardarlo da un bel po’…”
“Perché, c’era un teatrino da queste parti?” esclamò l’orso, con la sua vocettina.
“Parola mia io non l’ho visto!” disse lo spadaccino, portandosi al cuore la mano che non stringeva il pupazzo.
Alla fine cedetti e gli sorrisi.
“Cretino…”
mormorai, tirandogli un piccolo pugno scherzoso sull’avambraccio
mentre anche Gourry mi sorrideva.
Appoggiammo entrambi la schiena alla colonna e sospirammo.
“Quindi,
com’è che ti è venuta voglia di dare un tocco
Inverse alla bottega dell’orafo?” Chiese Gourry. “La
mercanzia non era di suo gradimento?”
“No, al
contrario. Gli è piaciuta così tanto che, guarda a caso,
si è ricordato che tutta quella roba era in
realtà… Sua. Sai, quelle strane coincidenze? Così
ha chiamato due o tre guardie, giusto per movimentare un po’ la
mattinata…”
Gourry sgranò
gli occhi: “Stai dicendo che hai tentato di rivendergli la sua
stessa merce, di cui era stato derubato dai banditi che hai a tua
volta rapinato?”
Lo guardai, stupefatta.
“Gourry, sono commossa… hai colto alla perfezione, per una volta. E senza troppi giri di parole.”
“A questo punto sospetto che tu sia ricercata per tutto il villaggio.”
“Ancora una volta mi stupisci: è proprio così” dissi, di malumore.
Gourry si sollevò, scrutando il cielo:
“Fra non molto
comincerà a diluviare, ci conviene darci una mossa se vogliamo
raggiungere qualche locanda fuori dal paese…”
considerò. Dopodiché si voltò e mi tese la mano.
Riluttante la afferrai e mi sollevai a mia volta. Lo spadaccino non
aveva tutti i torti, fra non molto si sarebbero aperti i cieli. Anche i
bambini che giocavano a pochi metri da noi avevano radunato le loro
cose, pronti a correre ai ripari.
“Coraggio, andiamo” disse Gourry, cominciando a incamminarsi.
“Gourry,
aspetta!” Lo richiamai. Lo spadaccino si voltò, fissandomi
perplesso, io mi avvicinai a lui: “Hai intenzione di portare il
tuo nuovo amico con te?” domandai, indicando l’orsacchiotto.
Gourry mi guardò senza capire: “Perché?”
“Posso?” Insistei, finché Gourry non mi lasciò il pupazzo tra le mani.
A quel punto mi
avvicinai ai bambini: “Ehi, non è che potreste farmi un
favore?” Tre piccole testoline si sollevarono stupite verso di
me, e io indicai l’orso: “Credo che il mio amico
laggiù sia un po’ troppo cresciuto per certe cose, non
è che potreste prendervene cura voi? Vi assicuro che è un
bravo orso, solo un po’ troppo chiacchierone!” Ammiccai,
scoccando una breve occhiata allo spadaccino. I bambini si
illuminarono: “Grazie signora!” esclamarono in coro,
cominciando a contendersi il pupazzo.
Tornai verso Gourry,
cercando di evitare il limpido sorriso che mi rivolgeva: “Non
credo ai miei occhi…” cominciò, “Un gesto
altruistico, assolutamente disinteressato. Lina, tu mi
preoccupi… Non starai per caso diventando una brava
persona?”
Mi schiarii la voce:
“Che il gesto fosse disinteressato è quello che pensi tu.
L’orso l’ho lasciato a quei bambini solo per evitare di
sentirvi colloquiare per tutto il resto del tragitto con
quell’orribile voce in falsetto!” commentai risoluta. Il
sorriso di Gourry non accennava a spegnersi: “Dici così,
ma sentirai la sua mancanza, ammettilo…”
“Certo, guarda sto già piangendo…”
“In ogni caso,” considerò Gourry “Almeno questa volta ti è andata bene…”
“Uh? Cosa vuoi dire?” Gli chiesi, perplessa.
Gourry
sogghignò: “Pensa se tentavi di rifilare l’orso ai
bimbi, e veniva fuori che quel giocattolo era stato sottratto loro
dagli stessi banditi del tuo orafo… Ti avrebbero inseguito con
le loro fionde!”
“Gourry!” esclamai.
Ma lo spadaccino non voleva accennare a smetterla di prendermi in giro.
Così verso sera avevamo raggiunto quella locanda, zuppi di pioggia.
Mi ero velocemente
cambiata d’abito in camera, ed ero scesa nella sala da pranzo,
sperando finalmente di poter mettere qualcosa di sostanzioso sotto ai
denti, quando mi ero imbattuta in quell’idiota che aveva
scelto di morire stuzzicandomi sul mio segreto punto debole.
Così adesso lo
tenevo per il bavero della giubba, guardandolo minacciosa. No, non
aveva proprio scelto la giornata giusta per mettersi a sbeffeggiare la
grande Lina Inverse. Proprio mentre decidevo che non avrei avuto
pietà, la voce di Gourry smorzò la mia sete di sangue.
“Lina che succede?”
Roteai gli occhi al
cielo. Accidenti, non poteva metterci qualche minuto di più a
cambiarsi? Così avrei potuto sistemare quell’imbecille
senza che Gourry mi facesse la predica.
“Niente, succede solo che certa gente non filtra dal cervello la maggior parte delle cose che dice...” Ringhiai.
Il ragazzo sudò
freddo, continuando però a sorridere: “Ma insomma, come te
lo devo dire… Voleva essere una battuta…”
“Oh…”
Lo spadaccino si portò la mano al mento. “Capito. Una
battuta sul famoso ‘punto delicato’” commentò,
annuendo.
D’accordo, un cretino era più che sufficiente. Due erano anche troppi.
“Taci Gourry!
Questo screanzato prima mi ha scambiato per una cameriera, poi si
è corretto dicendo che no, non potevo essere una cameriera,
perché qui le cameriere sono tutte…” avvampai dalla
rabbia.
“Provviste di un seno?” Provò a concludere la frase per me lo spadaccino.
“Esatto!” gridai, furiosa.
Il mio ostaggio si
voltò verso Gourry, sperando che intercedesse per lui:
“Ehi amico, prova tu a spiegarle che io non volevo
essere…” Ma sul più bello si interruppe a
metà frase, strabuzzando gli occhi. “Gourry?”
domandò, infine, con una punta di incertezza nella voce.
“Gourry… Gabriev?”
Io e lo spadaccino guardammo stupiti verso di lui.
“Uhm,
sì… Ci conosciamo?” domandò il mio amico,
vestendo la tipica espressione di chi non ha la più pallida idea
di chi si trova davanti.
“Non ci posso
credere…” L’uomo che stavo minacciando sembrava
sconvolto. “Sono Joy! Joy Shadow!”
Ci fu un attimo di
silenzio, in cui il mio sguardo si spostò frenetico tra
l’espressione speranzosa dell’uomo che tenevo per il collo,
e l’espressione obnubilata dello spadaccino, poi…
“Ma certo!”
esclamò Gourry, battendosi il pugno sul palmo. “Joy!
Quanto tempo è passato? Sette, otto anni?”
“Quasi
nove!” rispose entusiasta Joy Shadow, dimenandosi sotto alla mia
stretta. A quel punto decisi di lasciarlo andare, ancora interdetta. Il
ragazzo si liberò e, avvicinandosi allo spadaccino, si diedero
grandi pacche sulle spalle, scambiandosi commenti tipicamente maschili.
Attesi qualche secondo,
dopodiché tossicchiai leggermente: “Scusate…
vorreste per favore spiegarmi la situazione?”
Solo a quel punto
Gourry parve ricordarsi di me: “Oh, Lina… Questo è
Joy!” disse contento, indicandomi l’amico ritrovato.
“Sì,
l’avevo intuito” replicai, sarcastica. “Quello che mi
premeva sapere era… chi diavolo è questo Joy?”
A quel punto fu Joy
stesso a rivolgermi un ampio sorriso: “Eravamo commilitoni nello
stesso esercito, tanti anni fa! Noi… Oh, cielo, quanto tempo
è passato, mi sembra un’eternità!”
“Già…”
mormorò lo spadaccino “E adesso che fai, come te la passi?
Vivi ancora da mercenario?”
“Naturale, adesso ho un esercito mio, uomini scelti si intende… Ehi, ragazzi!”
Un branco di bestioni, che gozzovigliavano ad un tavolo, sollevarono la testa da un tavolo, lanciando grugniti di saluto.
Erano quelli i suoi
uomini scelti? Però, che selezione accurata, non avrei trovato
tanti avanzi di galera nemmeno in una gattabuia.
“E tu invece Gourry, che mi dici? Vedo che hai finalmente messo la testa a posto…” Sorrise, indicandomi.
Cosa, cosa, cosa?
“No, no. Guarda che sei fuori strada…” cominciai, ma Gourry mi anticipò, scuotendo la testa:
“Oh, giusto… No, lei è solo Lina.” Mi presentò al suo amico.
Aspettate… che vuol dire solo Lina?
“Beh, noi
abbiamo cominciato con il piede sbagliato…” disse il
mercenario, rivolto a me. “Comunque io sono Joy, piacere di
conoscerti Lina…” esordì, porgendomi la mano.
“Per me non è un piacere, ma fa lo stesso” replicai, stringendola forse con un po’ troppa forza.
Insomma, se era un
amico di Gourry, nonostante fosse un cafone di prim’ordine, mi
sembrava doveroso presentarmi in modo cordiale. “Lina
Inverse.” Aggiunsi poi, calcando bene la mano sul mio cognome.
“C-cos-?” Joy strabuzzò gli occhi, guardandomi come se fossi improvvisamente diventata un demonio.
Ragazzi, funzionava sempre.
“Tu sei Lina Inverse…” ripeté, sconcertato.
“In persona, e tu
sei Joy qualcosa. Scusa, ma ho già dimenticato il tuo cognome,
del resto non mi pare avesse qualche importanza. Bene, ora che ci siamo
presentati, posso finalmente ordinare.” E tornando a sedermi
afferrai il menù, lasciandolo al suo sbigottimento.
Gourry scosse la testa:
“Devi scusarla, fa sempre così prima di cena. Di solito
appena si è riempita lo stomaco torna ad essere una persona
civile. O almeno ci prova. Comunque ti trovo bene, Joy. Sono passati
davvero tanti anni… Cosa ti porta da queste parti?”
“Oh, ecco, sono in missione con il mio esercito…”
Nel frattempo era
arrivata la caraffa del vino, e me ne versai un bicchiere abbondante,
mentre i due uomini continuavano a conversare.
Joy estrasse una
pergamena dalla tasca: “Si tratta di un lavoro ben retribuito,
come scorta eccezionale di una duchessa…” proseguì
,abbassando il tono di voce.
Io mi portai alle labbra il bicchiere, ostentando indifferenza mentre allungavo le orecchie più che potevo.
“Ah, capisco…” Fece Gourry, mantenendo lo stesso identico tono basso da setta segreta.
“Già”
proseguì Joy “Per l’esattezza la duchessa del
Granducato di Solaria, è lì che siamo diretti,
e…”
Ma non fece in tempo a finire la frase. Improvvisamente, sputai tutto il vino che avevo appena finito di sorseggiare.
Avevano sentito bene le mie orecchie?
“Lina che
succede?” chiese lo spadaccino allarmato, piegandosi verso di me.
Ma in una frazione di secondo mi ero sollevata, fronteggiando Joy negli
occhi: “Hai detto Solaria?”
Il ragazzo mi fissò, vagamente intimorito: “Sì, perché?”
“Fammi vedere quella missiva!” tuonai.
“Ehi, ma che modi…”
“Fammela vedere!”
A quel punto Joy
decise che era meglio essere solerti quando si aveva a che fare con la
grande Lina Inverse, e mi porse la pergamena che aveva mostrato pochi
secondi prima allo spadaccino. Con un rapido gesto estrassi dalla tasca
la busta che mi era stata recapitata quella mattina stessa, e sedendomi
al tavolo scorsi velocemente le due lettere.
Proprio come temevo.
Erano due lettere gemelle, assolutamente identiche.
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Capitolo 3 *** Solo amici ***
capitolo 2
Solo amici
‘L’unica maniera per giustificare una bugia è con un’altra bugia.’ (Alessandro Morandotti)
“No, no, no, e poi no!”
“Ma, Lina…”
“Gourry, ho detto di no!” bisbigliai concitata,
cercando di non farmi sentire da Joy che, dall’altra parte del
tavolo, si rimirava le unghie con aria indifferente.
Insomma, cosa c’era che non capiva nella parola no? Se era no, era no, accidenti a lui!
Gourry sbuffò: “Certe volte sei irragionevole.
Non ti sto dicendo di accettare, ma almeno ascolta la sua versione.
Potrebbe trattarsi solo di un grosso equivoco, in fondo” disse,
in un sussurro.
Irragionevole? Io? E quando mai?
Lanciai uno sguardo contrariato a Joy, e sospirai.
L’ultima cosa che volevo era proseguire il viaggio con quella
banda di mercenari da quattro soldi. Insomma, quell’incarico era
mio, punto. Ancora non sapevo per quale motivo quel tipo avesse tra le
mani una missiva uguale in tutto e per tutto a quella che avevo
ricevuto pochi giorni prima, ma di una cosa ero certa: non avrei
spartito i soldi della ricompensa con nessuno che non fosse Gourry. E
se andava avanti con quella solfa, nemmeno lui avrebbe visto il becco
di un quattrino.
Stavo per tornare sulle mie posizioni quando i miei occhi
incrociarono lo sguardo fiducioso dello spadaccino, costringendomi ad
abbandonare i miei propositi bellicosi.
D’accordo, Joy era un amico di Gourry. Che era un mio
amico. Questo non voleva dire che gli amici di Gourry fossero anche
miei amici, però…
“E va bene. Per dimostrarti che non sono così irragionevole
come sostieni, parlerò con il tuo amico. Ma non ti garantisco
niente, Gourry. Resto sempre convinta che meno rompiscatole si hanno
tra i piedi, e meglio si viaggia” conclusi, di malumore.
“Ma non era la stessa cosa che pensavi quando ci siamo conosciuti?” domandò lo spadaccino, con un sorriso.
“Appunto. Si impara sempre dai propri errori, no?”
“Lina, vedrai che Joy non sarà un problema.”
No, certo. E gli asini volavano.
Emisi un grugnito “Aspetta a parlare, e comunque non
è detto che alla fine io accetti di viaggiare con quel branco di
scimmioni fino a Solaria…” sospirai. “E levati quel
sorriso compiaciuto dalla faccia, di espressioni idiote ce ne sono
già abbastanza in questa sala.”
Imbronciata, guardai Gourry dirigersi da Joy. Quel tizio mi
faceva saltare i nervi ma, dovetti considerare, era la prima volta che
Gourry mi chiedeva un favore. Giocherellando con il bicchiere fra le
mani riflettei su quel concetto. Era bizzarro, ma era davvero
così. In cinque anni non riuscivo a ricordare che a Gourry
stesse tanto a cuore qualcosa. Voglio dire, se si escludono le sue
lamentele e gentili richieste di lasciar perdere saccheggi vari e altre
cosucce del genere. Però quelle erano rimostranze dettate dal
suo buon senso di cavaliere, niente a che vedere con qualcosa che
invece desiderava per sé.
Di solito quella che pretendeva ero io. Quindi adesso, sempre
io, chi ero per rifiutarmi di viaggiare con un suo vecchio amico,
negandogli la sua compagnia, solo perché quel tizio voleva
intascarsi i miei soldi?
‘E poi, non mi si venga a dire che non sono una
personcina meravigliosa’ borbottai tra me e me, raccogliendo il
mio bicchiere e spostandomi svogliatamente verso la tavolata a cui
sedevano quegli sbruffoni con cui, a quanto pareva, avrei dovuto
passare più tempo di quel che avrei desiderato.
Ebbene, non era divertente. Non era affatto divertente stare
seduta fra quei gorilla mentre, dopo la decima brocca di vino,
intonavano l’ennesima canzoncina goliardica sulla bontà
dell’oste che non negava cibo e bevande di qualità alla
sua clientela. Come se quel polpettone rancido si potesse considerare
qualcosa di commestibile.
Con un grugnito infilai la forchetta nell’ammasso di
carne che mi ritrovavo nel piatto e l’intero polpettone si
staccò dal fondo in un unico blocco.
“Fantastico…” considerai, accigliata.
“Davvero fantastico. Cavernicoli con la vocazione per il canto
come compagnia e fango colloso per cena, non avrei potuto concludere la
serata nel migliore dei modi.” Lanciai un’occhiata torva a
Gourry che, dall’altro lato della tavolata, sembrava invece
trovare molto divertente la serata. Lo spadaccino appariva del tutto a
suo agio, rideva e scherzava, rievocando i momenti in cui anche lui
faceva parte di un gruppo come quello, fatto di uomini senza ideali,
uniti dalla passione per le armi e il denaro.
Non che Gourry fosse quel genere d’uomo veniale, anzi.
Se esisteva una persona a cui importava poco o niente di fama, gloria e
soldi, beh, quello era Gourry. Con il suo indiscusso talento, se solo
fosse stato ambizioso almeno la metà di quello che era ognuno di
quegli uomini, in breve tempo sarebbe stato lo spadaccino più
ambito della penisola. Invece Gourry si accontentava di usare le sue
eccezionali doti con la spada solo nei frangenti in cui la situazione
lo rendeva estremamente necessario, e se vogliamo proprio dirla tutta,
in molte occasioni l’avevo visto combattere con un decimo della
bravura che avrebbe potuto utilizzare se solo lo avesse voluto. Era un
uomo semplice e modesto, che non si dava delle arie, né si
metteva in mostra. Mi piaceva pensare di essere una delle poche persone
a sapere quanto valesse in realtà; quanto fosse in gamba e
unico. Ma quella consapevolezza si accompagnava sempre a una domanda
scomoda, che mi ero posta svariate volte nel corso degli anni: cosa lo
aveva spinto a seguirmi? Per quale motivo si era autoproclamato mia
guardia del corpo, quando avrebbe potuto essere, fare, mille cose
diverse nella vita, e tutte migliori? E se un giorno si fosse reso
conto che quella vita non faceva più per lui e che avrebbe
potuto ambire ad avere di più?
Me lo ero chiesto tante volte, senza tuttavia mai trovare una
risposta che mi rendesse veramente soddisfatta. Quindi avevo smesso di
chiedermelo , e avevo acconsentito tacitamente alla sua costante
presenza al mio fianco. Perché se in fondo stava bene a lui, e
stava bene a me, che importanza aveva sapere il motivo per cui
continuavamo a stare insieme?
Stavamo insieme e basta, come se qualcosa dentro di noi si
fosse assestato in una posizione tanto comoda, da trovare quasi un
peccato andare a smuoverlo solo per vedere cosa c’era sotto
realmente.
Stavamo insieme, e basta.
I miei occhi seguirono il profilo delle sue labbra, mentre si
increspavano in un sorriso, e lì rimasero, quasi ipnotizzati,
mentre si portava alla bocca la coppa di vino, bevendone un sorso.
Per qualche inspiegabile motivo rimasi incantata da quel
semplice gesto, finché i suoi occhi non mi sorpresero a
fissarlo, incrociando i miei al di sopra del calice. Gourry mi sorrise
con lo sguardo, nello stesso istante in cui il blocco di polpettone si
staccava di colpo dalla mia forchetta, ancora sospesa a
mezz’aria, per atterrare con un tonfo nel mio piatto. Imbarazzata
distolsi rapidamente lo sguardo e presi a tagliuzzare tutta concentrata
la carne dura e gommosa. Non osavo più guardare oltre il mio
piatto, temendo che Gourry potesse cogliere sul mio volto la lunga
trafila di pensieri che mi aveva affollato la mente fino a qualche
secondo prima. Gourry era dannatamente bravo in questo genere di
cose. Capiva la metà della metà delle cose che gli
spiegavo. Ma leggeva negli occhi e nel cuore delle persone con una
facilità disarmante.
“Ehi ragazzi, credete di essere nelle condizioni di
sollevarvi da tavola?” disse a quel punto Joy, facendo stridere
la sedia sul pavimento.
“Sì!” tuonarono i mercenari. Una rumorosa flatulenza seguì l’urlo entusiasta.
Oh, ma che personcine deliziose.
“Ragazzi! Ma che modi, non vi siete accorti di essere
in presenza di una fanciulla?” Li rimproverò Joy, con un
tono fin troppo sarcastico per essere preso sul serio.
Si guardarono tutti attorno, dopodiché uno di loro
(uno tizio che non temeva la morte, a quanto pareva) prese la parola:
“Ehi capo, ti riferisci alla mocciosa?”
Cercai di contare fino a dieci, come mi aveva insegnato il
pacato Zel, mentre piegavo la forchetta fino a fare toccare i rebbi con
il manico.
Joy si schiarì la voce:
“Herman, gradirei che tu usassi più gentilezza
verso chi, da oggi fino a che non giungeremo a Solaria, viaggerà
con noi…”
Il gorilla chiamato Herman ci mise due secondi ad elaborare
l’articolata sequenza di parole, dopodiché nel suo
cervello si formulò qualcosa di vagamente simile ad una
risposta: “Quindi, capo, abbiamo accettato un lavoro come
baby-sitter?” chiese, mentre un risolino generale serpeggiava tra
gli uomini. Anche gli angoli della bocca di Joy fremettero, e vidi che
faceva una fatica notevole per cercare di mantenersi serio: “No,
Herman, questa è Lina: lei e Gourry,come noi, sono diretti a
Solaria. Quindi ti pregherei di usare con lei il tono rispettoso che
useresti con un qualunque compagno.”
Herman grugnì, e vidi che i suoi occhi si spostavano
su di me, studiandomi in viso. Mi preparai a rispondergli con
l’occhiata più truce che riuscivo ad assumere, quando
scorsi il suo sguardo scendere fino ad un punto in cui non sarebbe
dovuto scendere, mentre scuoteva la testa: “Non sarà
affatto difficile, trattarla come un uomo.” Fu il suo unico
commento.
D’accordo, dovevo stare calma. La calma è
la virtù dei forti. Piegai in quattro la forchetta e cercai di
ignorare il prurito che sentivo alle dita. Se cominciavo ad
innervosirmi quella sera stessa, a Solaria non ci sarebbe arrivato
nessuno di quello sgangherato esercito di buffoni.
“Tranquillo Herman, non sforzarti troppo, apprezzo
anche solo che tu sia riuscito a mettere in fila tre parole per
rispondere” risposi, maligna.
Le sopracciglia dell’omone si aggrottarono, ma prima
che potesse dire qualcosa venne preceduto da Joy: “Bene, mi fa
piacere vedere che vi siate chiariti in modo così amichevole.
Adesso però alzate le chiappe, questo posto comincia a starmi
stretto. Oh, Lina, questo non vale anche per te, ovviamente.”
“Ovviamente” risposi, gelida. Nessuno diceva a
Lina Inverse di alzare le chiappe e viveva tanto a lungo per
raccontarlo, questo era poco ma sicuro.
Gli uomini cominciarono a sollevarsi con uno sferragliare di
spade e armature, mentre Joy finiva di sorseggiare il suo vino. Gli
lanciai un’occhiata torva, osservandolo controvoglia e, sempre
controvoglia, dovetti ammettere che, in fondo, non era malaccio per
essere un ignobile omuncolo. Forse troppo giovane per essere già
a capo di un gruppo di mercenari, ma senza dubbio dotato del carisma
sufficiente per farsi seguire da quella marmaglia. Aveva un fisico
asciutto e modellato, riccioli neri che gli cadevano sulla fronte e
grandi occhi grigi. In quel momento posò il bicchiere e si
rivolse a Gourry.
“Gourry! Che fai, non ti aggreghi?”
Lo spadaccino sorrise, un sorriso calmo e tranquillo, e scosse la testa.
“Ma su! In nome dei vecchi tempi!” Insistette Joy.
“Non mi sembra il caso” rispose Gourry,
lanciandomi una breve occhiata. Sembrava improvvisamente a disagio e la
cosa mi insospettì. A cosa si sarebbe dovuto aggregare,
esattamente?
Joy spalancò la bocca.
“Oh. Scusa, non avevo capito che voi due
stavate… insieme” disse, osservandoci con più
attenzione, mentre Gourry tossicchiava e giocherellava con alcune
briciole di pane.
Ci misi qualche istante a capire la situazione, e mi sentii avvampare, le guance color porpora.
Joy gli stava chiedendo di andare in un bordello? A giudicare
dall’espressione imbarazzata di Gourry, che non osava neppure
guardarmi in faccia, dedussi che le cose dovevano stare proprio
così.
Nel frattempo lo sguardo del mercenario continuava a
rimbalzare tra di noi. Dovevo intervenire prima che potesse farsi
un’idea sbagliata sulla situazione.
Presi un profondo respiro: “Qual è il problema
Gourry? Se vuoi andare con questi avanzi di galera a fare le ore
piccole, io non ho niente da ridire” esclamai, fissandomi la
punta degli stivali.
Gourry si voltò verso di me.
“Non ho nessuna intenzione di…” bisbigliò. Ma io lo interruppi.
“Dico sul serio. Se vuoi… svagarti con i tuoi
vecchi compagni d’arme, vai. Non stiamo insieme, dopotutto. Non
stiamo insieme affatto” dissi, sollevando lo sguardo verso Joy.
“Siamo solo amici: ognuno per sé” affermai, con una
sicurezza tale da non lasciare dubbi.
“Sentito Gabriev? La tua guardia del corpo ti lascia la libera uscita!”
Dopo alcuni secondi Gourry si sollevò, senza staccarmi gli occhi di dosso.
“Fino a prova contraria, dovrei essere io la sua
guardia del corpo” disse, vagamente risentito. “Ma dato che
insisti, Lina… del resto, l’hai detto tu: siamo solo
amici.”
“Appunto. Ricordati solo che domani la sveglia
sarà all’alba” aggiunsi, inspiegabilmente ferita dal
tono che aveva usato.
Mi passarono a fianco, mentre Joy sghignazzava ribadendo per
l’ennesima volta: “Proprio come ai vecchi tempi!” e
una fitta mi fece attorcigliare lo stomaco. Doveva essere il polpettone.
Sentii che la porta si richiudeva alle spalle di tutta la comitiva, mentre la quiete tornava a regnare nella sala.
Ero rimasta da sola, seduta al tavolo, e per tutto il tempo
avevo controllato che la punta dei miei stivali rimanesse dov’era.
All’improvviso percepii un’ombra che mi
sovrastava, e voltandomi di scatto mi trovai davanti al naso il volto
rubicondo dell’oste:
“Signorina, lo paga lei il conto del tavolo, vero?”
Una ventina di minuti più tardi me ne stavo con la
fronte appoggiata al vetro umido della mia camera, a sbollire la rabbia
e... la delusione? La città di Telmord dormiva sotto una coltre
scura, al di là del vetro avvertivo il lontano gracchiare di un
uccello notturno. Sospirai e lasciai che mantello e spallacci cadessero
dalle mie spalle con un tonfo, con un strana fretta mi sfilai i guanti,
e quasi lanciai via gli stivali. Poi mi sedetti sotto alla finestra, e
incrociai le braccia al petto.
Un triangolo di luce lunare illuminava il pavimento davanti
ai miei piedi, mentre nell’intimità di quella solitudine
mi torturavo le dita, cercando di dare un senso a
quell’inspiegabile vuoto che avevo dentro.
Avevo commesso un errore accettando di viaggiare con quei
tizi. Erano uomini stupidi e arroganti, capitanati da un uomo stupido e
arrogante. Non capivo come potesse Gourry trovarli tanto
divertenti…
Non stava più bene con me? Era la compagnia maschile
che gli mancava? Non che con me si potesse aspettare di frequentare
certi posti, naturalmente.
“Al diavolo, non sono una bambina, e nemmeno una
vecchia bigotta! Lo so anch’io cosa fanno gli uomini per
divertirsi…”
Era vero, in effetti, mi ero forse convinta che Gourry non avesse certi bisogni? Era fatto di carne e di sangue, come tutti.
“E poi non mi interessa, può andare con chi gli
pare, fare quello che gli pare…” borbottai tra me e me.
Eravamo solo amici, del resto. L’avevo detto io, l’aveva
confermato lui. Solo amici.
Però…
Qualcuno doveva dirgli che avrebbe potuto prendersi qualche
orribile malattia. Quello mi riguardava, eccome. Era la mia guardia del
corpo, non potevo lasciare che si ammalasse proprio mentre eravamo in
missione. Inoltre, non era cosa nota che in posti del genere era molto
facile essere raggirati e derubati? Gourry non aveva forse nelle tasche
i soldi della refurtiva venduta all’antiquario?
Dovevo assolutamente impedire che accadesse qualcosa… ai miei soldi!
Rianimata mi sollevai, infilandomi in tutta fretta gli
stivali, e dopo aver appeso la spada alla cinta afferrai il mantello,
lanciandomi fuori dalla porta.
Ma quando arrivai in fondo al corridoio, per poco non finii
dritta addosso a qualcosa che intralciava il passaggio. A chi poteva
venire in mente di piazzare una statua in mezzo al corridoio? Ma,
soprattutto, da quando le statue… sospiravano?
Improvvisamente mi resi conto che la sagoma
nell’oscurità non era affatto una statua. Avvampai,
mentre i miei occhi si abituavano all’oscurità,
realizzando di trovarmi a pochi passi da due persone che si baciavano
appassionatamente appoggiate alla parete. Le guance in fiamme, non
riuscivo più a muovere un muscolo nel terrore di rendere nota la
mia presenza, facendo la figura della guardona! Lentamente cominciai ad
arretrare, sempre più imbarazzata dai sospiri e dai rumori di
quei baci, che nel silenzio del corridoio risultavano amplificati. Fu a
quel punto che avvenne l’irreparabile: inciampai nel mantello.
Mi sono sempre chiesta per quale assurdo motivo, quando si
cerca di fare meno rumore possibile, si finisce sempre per scatenare il
putiferio.
Mentre cadevo tentai inutilmente di aggrapparmi alle pareti,
con l’unico risultato che caddi a terra stringendo tra le mani un
arazzo decorativo, il quale mi si attorcigliò intorno,
impedendomi ogni movimento.
La coppia sussultò, staccandosi, e sentii che la donna
emetteva un gridolino, mentre l’uomo estraeva la spada dal
fodero: “Chi va là?” chiese, con voce dura.
Non vedevo niente, e tentai di liberarmi dal pesante sudario
che mi ricopriva. Quando riemersi da sotto la stoffa vidi che la donna
aveva acceso un lume, ed entrambi mi fissavano con aria perplessa.
“Io… ecco, per caso sapete dov’è il bagno?” balbettai, patetica.
I due si scambiarono una breve occhiata, lei aveva ancora
un’espressione di puro terrore stampata sul volto,
dopodiché l’uomo rimise la spada nel fodero:
“Ragazzina, nessuno ti ha mai detto che è pericoloso andare in giro da sola a quest’ora della notte?”
Perfetto, ci mancava solo la paternale di Casanova.
Abbozzai un sorriso: “S-scusate…”
farfugliai, e cercando di trascinarmi dietro l’arazzo, da cui non
ero ancora riuscita a liberarmi, indietreggiai fino a fuggire nel vero
senso della parola, tornando a rifugiarmi nella mia stanza.
Era la giusta conclusione di una giornata disastrosa.
Scostai le coperte del letto e mi ci infilai sotto ancora vestita, senza neppure togliere gli stivali.
Mi raggomitolai, cercando di scacciare dalla testa
l’immagine di quei baci appassionati, di cui poco prima, mio
malgrado, ero stata spettatrice involontaria, e improvvisamente sentii
scendere una lacrima sulla guancia.
Non avrei potuto impedire che Gourry si prendesse qualche
strana orribile malattia; mi sarebbe toccato tenergli la mano in punto
di morte mentre si pentiva di aver assecondato quell’idiota del
suo vecchio compagno d’arme…
Quattro ore dopo, il cielo cominciava a rischiarare. Nel
dormiveglia agitato in cui mi ero assopita, un rumore richiamò
lentamente la mia coscienza. Dei passi strascicati nel corridoio, la
maniglia della porta accanto alla mia stanza che si abbassava e,
infine, il rumore di una spada e di un’armatura che venivano
lasciate cadere pesantemente a terra.
Mi portai le ginocchia al petto e tirai le lenzuola fin sopra la testa.
Detestavo Joy.
Lo detestavo, lo detestavo, lo detestavo.
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Capitolo 4 *** La sfida ***
capitolo 3
La sfida
'Un vestito rosso è ancora rosso quando nessuno lo guarda?' (Michel Pastoureau)
Decisi che quella
mattina avrei mantenuto un atteggiamento pacato e indifferente. Dei
drammi avvenuti la notte appena trascorsa non avrei fatto parola. Del
resto, quasi li ricordavo a malapena…
Questo forse non
spiegava il fatto che me ne stessi appostata dietro alla porta sala da
pranzo, senza trovare il coraggio di entrare, ma in fondo era un
dettaglio irrilevante.
Insomma, volevo solo
farmi un’idea della situazione, tutto qua. Conosci i tuoi nemici,
prima di agire. E agire, in quel caso, significava liberarsi di quella
banda di sfigati prima che Gourry avesse tempo di dire il nome Joy
ancora una volta. Una sola volta in più sarebbe stato troppo per
le mie orecchie. Joy doveva scomparire dalla nostra vita con la stessa
velocità con cui sarebbe scomparsa la mia colazione dopo aver
sistemato quella situazione, e volevo farlo nel modo più rapido
e indolore possibile. Per me, si intende, non di certo per loro.
Ma, naturalmente, come
tutti gli sporchi lavori, occorreva una certa dose di classe, se capite
cosa intendo. Non potevo certo far saltare in aria la locanda e tutti i
suoi avventori, per quanto l’idea mi allettasse. E, soprattutto,
non potevo dire a Gourry che stavo per rimangiarmi la parola data e
ritrattare sul viaggio che intendeva compiere con il suo vecchio amico.
Mi avrebbe preso per una psicopatica.
Spiai la sala gremita.
I mercenari, che sedevano allo stesso tavolo della sera prima, si
stavano ingozzando di pane nero e aringhe affumicate, lardo fritto e
uova strapazzate, buttando giù tutto con abbondanti sorsate di
birra scura. Di Gourry non c’era traccia.
Per forza, la sera prima era rientrato all’alba, ricordai di malumore.
Stavo per decidermi finalmente a varcare la soglia quando una voce, alle mie spalle, mi fece trasalire.
“Ehi, ma tu non sei la ragazzina che se ne andava in giro per i corridoi bui, questa notte?”
Voltandomi di scatto mi
ritrovai faccia a faccia con il cavaliere che la sera prima avevo
interrotto sul più bello. Alla luce del giorno notai che
dimostrava meno anni di quanti glie ne avessi dati alla fievole
illuminazione della torcia. Era alto e avvenente, con sottili e lisci
capelli neri, raccolti in una coda, e occhi scurissimi e leggermente a
mandorla. Lo fissai a bocca aperta, le guance paonazze al pensiero
della patetica figuraccia di quella notte.
“Veramente, io…”
“I tuoi genitori dove sono? Non ti sarai persa, spero.”
Il solito maledetto equivoco.
Stavo per ribattere a
tono, ma lui non me ne diede il tempo. Si sporse verso
l’ingresso, scostando la tenda, e mi spinse nella sala. Il
risultato, ovviamente, fu che tutti si voltarono verso di noi.
“Grazie, ma
c’è un grosso equivoco: non ho dieci anni!”
esclamai, sgusciando via, ben lieta di levarmelo dai piedi… solo
per rendermi conto che mi stava seguendo. Lo guardai accigliata, ma lui
continuava a sorridere, fino a che entrambi non arrivammo davanti al
tavolo cui sedevano i mercenari.
Joy sollevò lo sguardo dal piatto, e si fece scuro in volto. Sventolando una pagnotta ci fece segno di prendere posto.
“Fefetevi”
farfugliò, senza smettere di masticare. Lanciai uno sguardo
sospettoso al cavaliere, che si trovava ancora al mio fianco, e vidi
che scuoteva la testa con un sorrisetto:
“Joy, sarebbe
più appropriato finire di masticare prima di usare la bocca per
qualsiasi altra cosa.” Commentò, con lo stesso tono
asciutto con il quale si era rivolto a me la sera prima.
Joy si ripulì la
bocca con la manica della giubba: “Nayden, sarebbe più
appropriato se non mi angustiassi con le tue cosiddette buone maniere
fin dal primo mattino” brontolò, seccato, prima di
spostare lo sguardo su di me.
“Vedo che vi siete già conosciuti. Lina viaggerà con noi fino a Solaria” spiegò, brevemente.
Nyden si grattò una guancia, lanciandomi una rapida occhiata:
“Da quando
arruoliamo dei bambini? Comunque sì, ho avuto il piacere di
conoscere la signorina questa notte, mentre era tutta intenta nel
rubare un tappeto.”
Per poco non caddi a terra.
“Non stavo
affatto rubando quello stramaledetto tappeto!” sibilai,
indignata. “Oltretutto, a proposito del viaggiare
assieme…” ma proprio mentre stavo per dare il benservito a
Joy, una voce ben nota mi fece trasalire.
“Buongiorno.”
Voltandomi mi trovai
davanti lo spadaccino, la chioma dorata più arruffata del
solito, e un paio di occhiaie violacee sotto allo sguardo stanco.
Sembrava si fosse trascinato fuori da una cassa da morto e la cosa non
mi rallegrava particolarmente. Intendiamoci, già non era molto
sveglio di per sé…
Ma prima che potessi trovare qualcosa da ridire sul suo aspetto cadaverico, Joy mi precedette.
“Il buongiorno si
vede dal mattino, eh amico? Tieni, tirati su” esclamò Joy,
lanciando una mela verso lo spadaccino. Con un rapido movimento, e
senza esitazioni, le dita di Gourry si strinsero saldamente attorno al
frutto. Eccolo qua, il mio compagno di viaggio. Il cervello di un
lombrico e i riflessi di una pantera.
Cercai di scrutare nei
suoi occhi, nel tentativo di cogliere qualche indizio che mi svelasse
cosa era accaduto quella notte, ma lui evitò il mio sguardo. Una
cosa piuttosto insolita per Gourry, che non mancava mai di elargire
sguardi amichevoli e sorrisi radiosi.
“Stavamo facendo
le presentazioni” disse Joy, distogliendo la mia attenzione da
Gourry. “A quanto pare Lina ha già conosciuto
Nayden.” Poi, indicando lo spadaccino, si rivolse al cavaliere
“ E questo è Gourry, Gourry Gabriev, un amico di vecchia
data e uno dei più abili spadaccini dell’intera
penisola.”
Lo sguardo di Nayden si fece carico di stupore:
“Tu sei Gourry
Gabriev? Onoratissimo” disse, stringendogli la mano con sincera
ammirazione. “Le tue imprese sono quasi leggenda… Gourry
Gabriev, non ci posso credere, il portatore della spada di luce.”
Gourry fece spallucce:
“Un tempo, forse. Adesso ho una normalissima spada” si
limitò a commentare, con umiltà.
“Sì, ho
sentito che l’arma leggendaria è andata perduta. Ma se tu
sei Gourry Gabriev, conoscerai sicuramente colei che impugnò
quell’arma per sconfiggere il gran demone Shabranigdu, la ragazza
prodigio…”
“Parli di Lina?”
“Sì! Lina Inverse, la massima esperta di magia che sia mai…”
Finalmente qualcuno si
degnava di nominarmi, dannazione! Iniziavo a pensare che saremmo andati
avanti con quella sviolinata su Gourry fino alla notte dei tempi. Ma
prima che il mio elogio potesse essere portato a degna conclusione,
Gourry mi posò un palmo sulla testa, battendoci sopra un paio di
volte con fare fraterno: “ Certo che ne ho sentito parlare,
eccola qua!”
Il silenzio che
seguì, unito allo sguardo di assoluta confusione di Nayden, fece
del tutto precipitare quel poco di buonumore che c’era in me.
Decisi di
anticipare qualunque cosa avesse avuto in mente di dire:
“Sì, se te lo stai chiedendo sono proprio Lina Inverse,
non hai capito male. E no, non sono così piccola da non poterti
far saltare tutti i denti dalla bocca, se solo lo volessi”
grugnii, afferrando uno sgabello e sedendomi alla tavolata.
“Oh, ma non
è per la statura…” disse a quel punto Nayden,
titubante. “È solo che ti credevo un po’ più
agile, ecco tutto.”
Avvampai, mentre Gourry mi rivolgeva uno sguardo perplesso.
“Sai, quello che è successo questa notte…” proseguì Nayden.
“Io…” Stavo per dare in escandescenza, ma la voce di Gourry mi precedette:
“Cos’è successo questa notte?” domandò, allarmato.
Sbuffai: “Niente che possa essere di tuo interesse.”
“Lina, non ne
avrai combinata una delle tue mentre io non c’ero, vero?”
insisté Gourry, aggrottando le sopracciglia e facendomi
infuriare.
Dannazione, doveva
proprio usare quel tono da paternale davanti a tutti quei soldati? E
poi, io lo avevo forse interrogato sui suoi passatempi notturni?
“Se anche
qualcuno avesse avuto intenzione di staccarmi la testa dal collo, non
sarebbero affari tuoi, visto che eri impegnato altrove. Quindi levati
dalla faccia quello sguardo da cane bastonato. È tutto a
posto, Gourry…” Sospirando mi sollevai il menù
davanti alla faccia e mi ci immersi, estraniandomi da quanto mi
circondava. Per me la faccenda si chiudeva lì.
Mi concentrai su quel
pensiero, e cercai di rimanerci aggrappata anche quando Gourry prese
posto di fianco a Joy, e li sentii ridere e scherzare su chissà
quali cose eccezionali avvenute in tempi che avrei definito troppo
remoti per poter avere ancora una qualche importanza. Ai miei occhi,
almeno.
“Altro
sidro?” Una voce femminile mi fece sobbalzare nel bel mezzo delle
mie attente riflessioni sul carpaccio di salmone, e voltandomi mi
sorpresi nel constatare che a parlare era stata niente di meno che la
donna che avevo sorpreso quella notte in compagnia di Nayden. La
ragazza mi lanciò una breve occhiata, reggendo la caraffa del
sidro, dopodiché distolse lo sguardo imbarazzata, e si
apprestò a versare da bere ai mercenari. Lanciai una breve
occhiata a Nayden, ma sembrava del tutto indifferente alla presenza
della donna, che nel frattempo era tornata al mio fianco.
“Puoi darglielo, per favore?” disse, allungando verso la mia mano un bigliettino ripiegato più volte.
“Cosa?”
domandai, confusa, mentre lei si allontanava. Ma quando mi voltai per
chiamarla, mi sentii gelare il sangue nelle vene.
Sulla soglia della sala
da pranzo c’era l’oste. Sul volto un’espressione
assai poco amichevole, e nella mano destra il tappeto intrecciato che
avevo ammucchiato nell’angolo della mia stanza dopo che me
l’ero trascinato dietro la sera prima.
“Tu!” gridò, additandomi.
Mi guardai attorno
spaesata, fingendo di cercare con lo sguardo a chi si riferisse
l’oste, ma lui ribadì il concetto, dissipando ogni dubbio:
“TU!
Ragazzina!” urlò furibondo, sventolando l’arazzo
davanti a tutti, mentre sentivo gli sguardi dei presenti posarsi su di
me.
“Dice a me?...” domandai, sgranando gli occhi più che potei.
“Ladra di reliquie!”
Eh?
Vidi lo sguardo di
Gourry saettare vigile dall’uomo alla sottoscritta, e la sua mano
cercare d’istinto l’elsa della spada. Doveva essere ormai
un riflesso involontario: minacce - spada.
L’oste nel frattempo, sempre con uno sguardo minaccioso, si era avvicinato al tavolo.
“Questo è
il prezioso arazzo che il mio trisavolo appose alla parete quando
costruì questa locanda! Non permetto a nessuno di
impadronirsene, men che meno a una mocciosa che puzza ancora di
latte!”
Ecco, mi stava facendo arrabbiare. Dovevano sempre farmi arrabbiare prima di colazione, dannazione?
“E a chi vuole
che importi di quel tappeto pulcioso?” gridai, sbattendo il
tovagliolo sul tavolo e issandomi davanti a lui in tutto il mio metro e
cinquanta. Joy nel frattempo aveva abbassato la forchetta.
“E allora come ti spieghi il fatto che si trovasse nella tua stanza, piccola ladruncola?”
Ladruncola?... alla grande Lina Inverse, geniale maga e terrore di tutti i banditi?
Ma come osava quel… quel…
Feci appena in tempo a
vedere Gourry che, con fare esperto, faceva sollevare i mercenari dal
tavolo indicando loro la porta della locanda.
“Quando le pulsa
la vena sulla tempia in quel modo, mi creda, non c’è
praticamente nulla che si possa fare o dire per farla
ragionare…” stava spiegando a un ignaro avventore, che
stringeva ancora tra le mani una coscia di pollo mentre veniva
accompagnato all’uscita.
“Fireball!”
Quando raggiunsi i
mercenari li trovai con delle espressioni sgomente stampate sul volto.
Uno di loro, il più lento, cercava di estinguere il filo di fumo
che si levava dal suo mantello.
Mi schiarii la voce, gettando alle mie spalle i capelli in un gesto teatrale, poi piantai le mani sui fianchi.
“Con me non si scherza. Ho una soglia di pazienza ai minimi livelli e tendo a irritarmi per delle inezie. Chiaro?”
Continuavano a fissarmi, muti.
Uomini avvisati, mezzi salvati. Forse.
Solo Joy non sembrava
particolarmente colpito. Si avvicinò a Gourry e lo sentii che
gli bisbigliava a un orecchio: “Che caratterino! Ti sei scelto
una bella croce da portare, eh amico?”
Gourry sospirò,
guardando nella mia direzione. Sembrava preoccupato. Non volevo sapere
quale risposta avrebbe dato al suo amico.
“Comunque direi
che è ora di metterci in marcia. Non raggiungeremo mai Solaria
perdendoci in chiacchiere” dichiarai, sistemandomi il pugnale
lungo nella cinta. Avevo una missione da portare a termine, io, e una
ricompensa da intascare.
Dopo qualche ora di
marcia silenziosa raggiungemmo una radura, dove ci fermammo per una
sosta. Quella banda di bifolchi era attrezzata peggio di gruppo di
bambini alle prese con spade giocattolo e fantocci di stoffa.
C’era chi affilava vecchi coltelli rubati in chissà quale
cucina, chi si premurava di lisciare le pieghe di un logoro mantello, e
addirittura chi si calcava sulla testa pentole e coperchi, spacciandoli
per estrosi cimieri.
Solo Nayden, in
disparte, lucidava scrupolosamente la lama di una splendida e raffinata
spada, avvolto in un pesante mantello nero.
Il mio sguardo si
spostò curioso su di lui. Era apparentemente l’elemento di
disturbo del gruppo. Troppo ricercato per amalgamarsi a quei comuni
soldati, sembrava uscito direttamente da una ballata romantica per far
sognare le fanciulle a occhi aperti. Nayden non era un qualunque
mercenario, ci avrei messo la mano sul fuoco. Sentendosi osservato il
ragazzo sollevò lo sguardo, sorridendo ammiccante nella mia
direzione. Era un modo di fare che avrei dovuto aspettarmi da un tipo
come lui, sempre pronto a sedurre chiunque avesse la
‘fortuna’ di respirare la sua aria. Eppure mi dette i nervi
lo stesso.
Dovevo ammettere che
ultimamente mi saltavano i nervi un po’ per qualsiasi cosa. Ma
come potete darmi torto? Ero circondata da uomini che avevano
sostituito il cervello con delle lenticchie, mi sembrava un motivo
più che sufficiente per sentirmi frustrata dal corso degli
avvenimenti.
In quel momento un
fischio acuto mi perforò i timpani. Joy stava chiamando a
raccolta i suoi uomini: era arrivato il momento di rimettersi in
marcia. Sospirando mi sollevai, ricordandomi perché detestavo
viaggiare in gruppo. Non potevo seguire i miei ritmi, ero costretta ad
adeguarmi agli altri. Io e Gourry, dopo tutti quegli anni, costituivamo
una squadra perfetta, eravamo calibrati per funzionare assieme al
massimo della nostra efficienza, compensando l’una le carenze
dell’altro e viceversa. Gettai un’occhiata rassegnata al
mio amico. Per la prima volta camminava lontano da me, dall’altra
parte della fila. Si era creata una situazione di strano imbarazzo tra
di noi, che non riuscivo a decifrare. Sapevo solo che il binomio
Gourry-Joy non mi piaceva. Non mi piaceva affatto.
Era quello il problema. Joy.
Mi scrocchiai le dita
prima di incamminarmi davanti a tutti. Contavo di risolvere il problema
Joy prima di arrivare a Solaria. Oh sì, molto, molto prima.
Camminavamo già
da diverse ore, e mi ero già sciroppata i racconti,
minuziosamente documentati, di alcuni tra i più celebri scontri
a cui avevano partecipato quei soldati. Roba che se solo avessero
saputo contro chi avevamo combattuto io e Gourry in passato, si
sarebbero nascosti sotto al letto piangendo e invocando la mamma.
Mi massaggiai le tempie e repressi uno sbadiglio. Non avrei potuto annoiarmi in modo peggiore.
Gourry era lontano da me, e il suo sguardo non mi aveva cercato neppure per un momento.
Non che lo stessi
controllando, si capisce. Ma che razza di guardia del corpo era uno che
non si preoccupava di verificare, di tanto in tanto, se la sua protetta
non stesse correndo dei rischi?
Non è necessario che facciate dei commenti in proposito.
Colpii un sasso con la
punta dello stivale, e lo vidi rotolare avanti, raggiungendo le
caviglie di Nayden. Il ragazzo si voltò e sorrise per
l’ennesima volta, mentre i lucidi capelli neri riflettevano il
riverbero del sole.
Se continui così ti verrà una paralisi irreversibile, Casanova.
“Ehi Lina, non
starai cercando di farmi inciampare di proposito per avere la scusa di
soccorrermi?”domandò, ammiccante. Gli lanciai uno sguardo
disgustato… e per poco non gli finii dritta addosso.
Gourry, a capo della
fila, si era fermato di colpo e aveva estratto la spada dal fodero con
una mossa tanto fulminea da lasciare senza fiato.
Mi misi sulla
difensiva, e avvertii quello che il mio compagno di viaggio, dotato di
riflessi fuori dal comune, aveva percepito prima degli altri: qualcuno
ci stava osservando, nascosto tra la vegetazione.
“Qualcuno che ha voglia di iniziare la giornata nel peggiore dei modi…” sussurrai, vigile.
Anche i mercenari si erano bloccati, e alcuni di loro si guardavano attorno con le sopracciglia aggrottate.
Appoggiai la mano sull’elsa del pugnale e vidi che Nayden, al mio fianco, faceva la stessa cosa:
“Goblin…”
mormorò, e prima che avessi avuto modo di replicare, una ventina
di quei viscidi esseri fecero la loro comparsa dal fitto della
boscaglia.
Con la spada riuscii a
metterne fuori gioco un buon numero, ma evidentemente quelle stupide
creature erano troppo limitate per rendersi conto che davanti alla
grande Lina Inverse l’unica soluzione per evitare conseguenze
catastrofiche era una fuga immediata.
“Fireballs!”
Esclamai, mentre il globo infuocato scaturito dalla mia mano destra si
schiantava contro tre goblin. “Bel colpo!” Echeggiò
la voce di Nayden, al di là della nuvola di fumo che mi
avvolgeva. Storsi il naso, e cercai un altro bersaglio, non era male
come attività per movimentare un po’ quella noiosissima
mattinata! Ma quando mi voltai mi si strinse lo stomaco: davanti ai
miei occhi, Gourry e Joy combattevano schiena a schiena, impugnando le
spade, con movimenti perfettamente coordinati tra di loro. Rimasi
interdetta davanti a quella scena, mentre una vocina nel mio inconscio
mi faceva notare quanto fossi stata stupida a credere che Gourry avesse
una sintonia quasi simbiotica solo con me.
Quel momentaneo di
smarrimento, tuttavia, mi costò più di qualche ostinata
riflessione. Senza che me ne rendessi conto, una di quelle viscide
creature si avventò su di me, brandendo una lurida accetta.
Avvertii un dolore sordo al fianco sinistro, mentre il sangue mi colava
tra le mani. Confusa guardai con rabbia verso il mio assalitore e
provai a richiamare alla mente qualche incantesimo, quando una voce mi
precedette:
“Flare Arrows!”
Il goblin venne
spazzato via dalla furia delle fiamme, mentre anche gli ultimi
superstiti decidevano che era giunto il momento di levare le tende. A
quel punto lanciai un’occhiata stupita verso chi aveva lanciato
l’incantesimo, e rimasi a fissare interdetta il sorriso di
Nayden.
“Lina, tutto bene?” Mi chiese il ragazzo, avvicinandosi.
Lo stavo ancora fissando, sorpresa, e dovetti sbattere le palpebre un paio di volte:
“Tu… sei un mago” cominciai, ma in quel momento mi giunse la voce di Gourry:
“Lina…”
esclamò, avvicinandosi. Coprii la ferita con il mantello, e
nascosi la mano macchiata di sangue: “Tutto bene”
minimizzai, davanti a Nayden. “Sarà meglio muoverci, non
mi stupirei se quegli esseri schifosi siano andati a chiamare i
rinforzi” aggiunsi, superando lo spadaccino senza degnarlo di uno
sguardo. L’ultima cosa che volevo era che si rendesse conto che
ero rimasta ferita in una battaglia dannatamente stupida, quindi
strinsi i denti e mi incamminai, contando di utilizzare una magia di
guarigione non appena mi fosse stato possibile.
Portai per
l’ennesima volta la mano sotto al mantello, faceva un male cane.
Gourry mi aveva guardato sgomento, ma non aveva detto niente. Se
c’era una cosa di cui gli ero grata, era che capiva sempre quando
non era il caso di darmi il tormento. Anche se in quel caso forse ne
avrei avuto disperato bisogno. Sapevo che mi sarebbe bastato uno
sguardo per dargli modo di capire quanto anche solo camminare mi fosse
difficile in quel momento, ma era proprio quello che volevo in tutti i
modo impedire. Ce l’avevo con me stessa, per essermi fatta
cogliere in castagna come una pivella. Così me ne stavo zitta, e
camminavo in fondo alla fila cercando il momento giusto per fare
qualcosa prima che il dolore diventasse troppo acuto.
“Sei un po’ palliduccio, bonsai…” disse Herman, comparendomi accanto.
Sospirai:
“Questo si chiama
‘avere una pelle diafana’ Herman, ed è una
prerogativa delle fanciulle delicate come me, razza di
bestione…” replicai a denti stretti, mentre mi premevo la
mano sul fianco, cercando di non darlo a vedere.
Hermann si
grattò una guancia: “Diafana? Non so di che parli, piccolo
bonsai. Ma di fanciulle delicate non ne vedo nessuna! Rise di gusto,
come se avesse detto la battuta più divertente del mondo, mentre
in realtà aveva detto la cosa più ovvia alle mie
orecchie, abituata com’ero a spiritosaggini di quel tipo.
Feci per replicare, ma
improvvisamente, davanti ai miei occhi, Hermann si sdoppiò, per
poi triplicarsi. Tutto intorno a me stava sbiadendo, mentre dieci
Herman mi fissavano roteando davanti al mio naso. Mi resi conto che
sarei finita dritta a faccia a terra se le mani del bestione non mi
avessero recuperato giusto in tempo: “Ehi! Che ti prende?”
domandò, quando sollevai verso di lui occhi stanchi e
annebbiati. Per fortuna eravamo in fondo alla fila e non attirammo
sguardi indiscreti.
Lo sguardo di Hermann
si spostò sulla screziatura di sangue che gli avevo lasciato sul
braccio, quando mi ci ero aggrappata per non rovinare a terra, e la
comprensione si disegnò sul suo volto.
“Sei ferita…” constatò, ma prima che potesse proseguire, lo zittii:
“Non è niente, è solo un graffio…” borbottai, digrignando i denti.
“Ma…”
“Niente ma! Non voglio che tutti si debbano allarmare per un semplice graffio…”
Gli occhi scuri di Hermann mi scrutarono con attenzione, mentre cercavo di recuperare l’equilibrio, dopodiché:
“Ehi, capo!”
“Herman, ti prego!” Tentai di bloccarlo, ma la mano del mercenario mi fermò.
“Capo, facciamo
una pausa, non mi sento più le gambe!” Gridò
l’omone, mentre i soldati che camminavano davanti a noi si
fermavano, girandosi a osservarlo.
Sentii Joy dall’inizio della fila sospirare:
“Mi sembrava
strano che non l’avessi ancora chiesto, Hermann. E va bene,
ragazzi, facciamo una pausa!”gridò, portandosi le mani a
coppa agli angoli della bocca.
“Grazie…” sussurrai al mercenario, pallida e sfinita.
“Non mi
ringraziare stecchino, non sarebbe stato divertente vederti crollare
esangue, bianca come un cencio…” Mi guardò serio:
“Sai cosa fare con quella ferita, vero?”
“Sì.”
“Molto bene,
allora ti conviene sbrigarti, le pause di Joy si riducono al minimo
indispensabile quando si prospetta un guadagno cospicuo
all’orizzonte.” E detto questo mi diede le spalle, diretto
verso gli altri uomini, dandomi modo di intrufolarmi di soppiatto nella
vegetazione, rivolta al corso d’acqua che avevo sentito scorrere
non lontano da lì durante il tragitto.
I primi effetti del
recovery cominciavano a darmi sollievo, mentre un tenue tepore si
propagava intorno alla ferita, accelerando il processo di
cicatrizzazione. Sospirando sedetti con la schiena appoggiata al tronco
di un albero, e mi sfilai il guanto imbrattato di sangue, contando di
scendere a sciacquarlo al torrente che mi scorreva dinnanzi non
appena l’incantesimo fosse completato.
Non erano passati che
pochi minuti, quando un lieve frusciare alle mie spalle annunciò
l’arrivo di qualcuno che si stava facendo largo fra la boscaglia.
“Gourry…?”
sussurrai, quasi d’istinto, affidandomi all’inconscio
desiderio di vederlo affiorare dalle fronde degli alberi, per venire a
dirmi che andava tutto bene.
Fu una grossa delusione quando al mio sguardo apparve Joy.
“Eccoti dunque,
è qui che ti sei nascosta” commentò, scrutandomi.
“Gourry ti cercava…”
Mi rannicchiai contro alla corteccia, irritata dalla sua vicinanza, e mi avvolsi il mantello attorno al corpo.
“Non è
possibile avere nemmeno cinque minuti di privacy a quanto
pare…” borbottai, sperando che il mio sguardo truce lo
convincesse ad allontanarsi il prima possibile. Tuttavia, con mio
grande rammarico Joy scacciò una grossa pigna con la punta dello
stivale, e sedette al mio fianco.
“Un po’ di compagnia non si nega a nessuno.”
“Dipende dal tipo di compagnia…”
Joy sollevò un sopracciglio, appoggiando la guancia sul pugno chiuso.
“Io non ti sto molto simpatico, vero Lina?”
“No, non
molto.” ammisi, sollevata dal fatto che il discorso stesse
prendendo quella piega. Ora che eravamo soli, sarebbe stato ancora
più facile chiarirgli il fatto che della sua compagnia, io e
Gourry ne facevamo volentieri a meno.
Ma Joy non si scompose:
“Non fa niente,
non pretendo di piacere a tutti. E comunque, detto tra di noi, nemmeno
tu mi sembri un mostro di simpatia. Mi chiedo cosa trovi di tanto
interessante Gourry in te.”
Una sfumatura di rabbia
si dipinse nel mio sguardo. Ma prima che potessi rispondergli per le
rime, Joy parlò di nuovo: “Perché sai, Lina,
è davvero strano che Gourry si interessi a qualcosa per
più di una settimana, qualcosa che non sia una spada, intendo.
O, come minimo, è strano ai miei occhi. Gourry non è
così. Non lo era, almeno.”
Le iridi grigie di Joy
riflettevano il mio sguardo spaesato. “Tu credi di conoscerlo
molto bene, vero?” Mi chiese in un sussurro.
Mi schiarii la gola ma, nonostante tutto, la mia voce uscì roca:
“Forse sei tu che
credi di conoscerlo, e invece non sai niente di lui. Non più. Le
persone cambiano in dieci anni.”
Joy sorrise:
“Te ne do atto.
Dieci anni sono tanti, eppure… sai una cosa, Lina? Nonostante
sia passato tutto questo tempo, sapevo che ieri sarebbe venuto con me.
Ma tu, tu non ne avevi idea, vero?” Il suo sorriso beffardo si allargò davanti al mio sguardo basito. “Le persone non cambiano, Lina. E, come vedi, a un uomo fa sempre piacere riaffrontare certi argomenti, se capisci cosa intendo.” Lo sguardo di Joy si fece malizioso.
Io scossi la testa, mi sentivo vacillare.
“Quali argomenti…?” balbettai, confusa.
“Argomenti dai
lunghi capelli e dalle morbide curve, Lina. Gourry ne ha affrontati
tanti, in passato. Però credo che da quando viaggi con te tu gli
abbia fatto, come dire, da limite?”
Sentivo che la mia mano tremava, sotto al mantello. Mi costrinsi a respirare profondamente:
“Io non sono un
suo limite; ha deciso Gourry di viaggiare con me, quando si
stuferà, sarà libero di scegliere la strada e la
compagnia che più gli sarà congeniale…”
“Sei sincera?” Mi chiese Joy, scrutandomi.
“Perché non dovrei?”
“Perché
vedi…” Joy prese tempo “Ti fa troppo comodo avere
Gourry al tuo fianco, e questo mi fa pensare che forse lui non è
poi così libero come sembra. Mi spiego meglio. Tu sei Lina
Inverse, giusto? Ma tutte le imprese grandiose che si vocifera tu abbia
compiuto negli ultimi anni, non sono, in fondo, il risultato della tua
collaborazione con Gourry? Shabranigdu l’hai sconfitto grazie
alla sua spada, no?”
Ero immobile, sentivo
la gola secca e le mani sudate. Desideravo zittirlo a tutti i costi,
invece mi ritrovavo quasi soggiogata dalle sue parole. Stava tirando
fuori tutte le mie paure più inconsce e profonde, sbattendomele
in faccia. Con che diritto mi parlava in quel modo?
Joy proseguì:
“Quindi dimmi,
Lina, non è un vantaggio avere qualcuno come Gourry al tuo
fianco? Io credo di sì. Ed è per questo che sono convinto
che se decidesse di andarsene, non la prenderesti molto bene. Non hai
mai pensato che questo tuo atteggiamento lo possa far sentire obbligato
nei tuoi confronti?”
“Io…”
No. Non ci avevo mai pensato.
Joy sogghignò.
Tutta la sua cortesia della sera prima stava scemando lentamente, per
far posto al rancore, assolutamente ricambiato, che provava nei miei
confronti.
“Sai Lina, quando
viaggiavamo insieme, Gourry era una persona completamente diversa. Ma
io e lui, insieme, eravamo una grande squadra. E sono sicuro che anche
lui lo ricorda bene, e chissà… forse lo rimpiange, tu che
dici?”
“Dico che queste
assurdità mi hanno stufato…” Ringhiai, sperando di
non dar a vedere quanto quelle parole mi ferissero.
“Vuoi sapere che tipo di uomo era Gourry, il Gourry che conoscevo io?”
“No!”
“Non importa, te
lo dirò stesso: era un uomo arrabbiato Lina.” Joy mi
guardò gravemente “E invece sai che uomo è il
Gourry di adesso?”
Avrei voluto strillargli in faccia che sì, lo sapevo bene, tante grazie, poteva anche tapparsi quella bocca boccaccia.
Gourry era un uomo gentile e sorridente, sempre pronto ad aiutare chi ne aveva bisogno, sempre pronto ad aiutare… me.
Ma la risposta di Joy mi lasciò congelata, come pietrificata.
“Il Gourry che
vedo adesso è un uomo frustrato, Lina. Ma tu forse non te ne sei
nemmeno accorta. Sei così concentrata su te stessa da non vedere
ciò che ti circonda. Eppure, pensaci. Cosa ti rende tanto
speciale? Gourry è la risposta.”
Lo guardai in cagnesco.
Era un bene che Joy avesse deciso da subito di giocare a carte
scoperte, almeno avremmo evitato un sacco di inutili convenevoli.
“Dove vuoi arrivare, Joy? Perché dubito che questo tuo discorsetto sia privo di un qualche scopo…”
Un leggero alito di vento smosse le foglie sopra di noi, smorzando per un breve attimo la muta tensione che si era creata.
Joy emise un sospiro:
“Infatti. Fino a
due giorni fa sai, non lo avrei detto, ma Gourry mi mancava. Penso che
averlo incontrato di nuovo sia stato un segno del destino,
perché vedi, io e lui, eravamo davvero grandi. E potremmo ancora
esserlo. Quindi ti sfido, Lina. Alla fine di questa missione, Gourry
verrà via con me. Ne sono sicuro. Giocheremo a carte scoperte,
ma senza colpi bassi. Gourry dovrà sentirsi libero di scegliere,
e se alla fine sceglierà di restare con te, mi farò da
parte senza problemi.”
“Tu… tu
sei completamente pazzo!” Sbottai. “Gourry non è un
giocattolo, e non si può comprare, o…”
“Lo so. Per questo non saprà mai di questa nostra conversazione, Lina.”
“Non ho
intenzione di ascoltare una parola di più” esclamai,
sollevandomi. L’incantesimo aveva curato quasi del tutto la
ferita, e senza degnare Joy di uno sguardo gli diedi le spalle,
incamminandomi verso il resto del gruppo. Solo quando sentii che si
stava avviando dietro di me mi bloccai:
“E tanto per la
cronaca, Joy, se c’è qualcuno qui che ha un disperato
bisogno di qualcuno come Gourry, quello mi sembri tu, visto che i tuoi
uomini non metterebbero paura ad un gattino. È la banda di
mercenari più penosa e patetica che io abbia mai
visto…” dissi, felice, per una volta, di non sentire
risposta alle mie spalle.
Raggiunsi Gourry e lui si diresse verso di me a grandi passi.
“Lina, che fine avevi fatto? Mi hai fatto preoccupare!”
I suoi occhi azzurri trasmettevano sincera ansia, e gli sorrisi gentilmente:
“Tranquillo Gourry, è tutto a posto” lo rassicurai, posandogli brevemente la mano sull’avambraccio.
Lo spadaccino si
rasserenò ma io non mi sentii sollevata. Avvertivo lo sguardo di
Joy su di me e non era piacevole. Non lo era affatto.
Quando Gourry si fu allontanato mi si affiancò.
“E va bene Lina,
hai vinto una partita, non la guerra… Goditi questo momento,
perché non ce ne saranno altri…”
“Sei patetico” risposi solo, senza guardarlo. “Non prenderò parte a questo stupida sfida.”
Ma non ottenni risposta, Joy si era già allontanato, richiamando gli altri uomini.
Mi scrocchiai le dita,
e cercai di mantenere un’aria spensierata. Non volevo prendere
parte a quella ridicola gara su chi riusciva ad aggiudicarsi la fiducia
di Gourry. Era una cosa grottesca.
I miei occhi scorsero la fila, e mi ritrovai a fissare la lunga chioma dorata del mio compagno di viaggio.
Non avevo dubbi che Gourry non fosse l’uomo che dipingeva Joy. Non più, come minimo.
… Ma non potevo
fare a meno di chiedermi cosa sarebbe stato di me se lui avesse
spostato il suo sguardo altrove. Se se ne fosse veramente andato con
Joy… cosa avrei fatto a quel punto?
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Capitolo 5 *** Un incontro inaspettato ***
capitolo 4
Un incontro inaspettato
‘Tutte le famiglie felici si somigliano. Ogni famiglia infelice, è infelice a modo suo.’ (Anna Karenina, Lev Tolstoj)
“E va bene
Lina, hai vinto una partita, non la guerra… Oh, che paura mi
fai, maledetto idiota!” Imprecai, scagliando mantello e spada sul
letto della mia stanza. La spada rimase alcuni istanti in bilico sul
bordo, dopodiché cadde rumorosamente sul legno imbarcato del
pavimento.
Sobbalzai. Avevo i nervi tesi come corde di violino.
“Stupida
spada. Stupida locanda… stupido viaggio!” mugolai,
osservando accigliata i nuvoloni neri che si addensavano oltre i vetri
sporchi della finestra. Mai temporale mi era sembrato più
consono all’umore e probabilmente anche all’espressione che
vestivo in quel momento.
“Maledetto,
viscido, subdolo….” imprecai a denti stretti, mentre mi
sfilavo i guanti e mi lasciavo cadere fra le lenzuola umide. Tutto era
umido, intorno a me.
“Ci
conviene fermarci per la notte.” Aveva detto Nayden nel tardo
pomeriggio, lanciando un’occhiata sfiduciata al cielo nero.
“Non
mancano che poche miglia a Solaria…” aveva subito
protestato Joy, parandosi davanti al mago con l’aria di qualcuno
che non ha intenzione di perdere nemmeno un secondo del suo
preziosissimo tempo.
“Appunto.”
Aveva replicato con tutta calma Nayden “Non ci vorrai arrivare in
piena notte, e completamente fradicio, spero? Che figura ci facciamo?
Meglio prendersela con calma, alloggiare in qualche locanda, far
passare la bufera e presentarsi al granducato domani con un aspetto
quantomeno dignitoso, non trovi?”
Joy si era
incupito, ma non aveva più aperto bocca. Non ero ancora riuscita
a stabilire che tipo di gerarchia ci fosse tra quei due. Joy era
chiaramente il capo della banda, i mercenari rispondevano a lui. Eppure
Nayden aveva sempre l’ultima parola, e non capivo da dove gli
derivasse tutta quell’autorità. Sembrava essere
l’unico in grado di abbassare l’ego di Joy e di questo,
sinceramente, gli ero parecchio grata.
Dovevo avere
un’espressione piuttosto soddisfatta, perché quando lo
sguardo del mercenario incrociò il mio lo vidi stringere gli
occhi a due fessure.
“Sentito
Lina? Ci fermeremo per la notte, così potrai riposarti, visto
che, con quella brutta ferita devi esserti stancata
parecchio…” disse, ad alta voce, con finta preoccupazione.
“Cosa?” Gourry mi si era affiancato, e mi guardò aggrottando le sopracciglia.
“Gourry!”
esclamai “Potresti evitare di comparirmi alle spalle come un
fantasma!” Lo rimproverai, ma lo spadaccino non pareva
intenzionato a lasciar cadere la questione.
“Sei ferita?” insistette, guardandomi preoccupato.
Oh, fantastico.
“No! Certo che no!...”
Joy si fece avanti:
“Avanti
Lina, io credo che con Gourry tu possa parlarne. Se lo hai confidato a
me puoi dirlo anche a lui…” Mi batté due o tre
volte la mano sulla spalla, dopodiché si rivolse allo spadaccino.
“Lina non
voleva dirtelo per non farti preoccupare, amico. La ragazza vuole fare
l’eroina, ma si vede che ormai non ce la fa più a
reggersi. Così ho deciso di fermare il gruppo, e alloggiare in
una locanda per questa notte, per darle modo di riprendersi
completamente.”
Gourry sembrava confuso.
“Quando ti sei fatta male? È grave?”
“Durante lo
scontro con i Goblin” ammisi. “Ma è già tutto
passato, mi sono curata con un Recovery e…” spiegai,
dovendo però fermarmi davanti allo sguardo incupito del mio
compagno di viaggio. Uno sguardo preoccupato e ferito insieme, che
voleva dire solo una cosa: delusione, e impotenza.
Ma non durò che pochi attimi. Gourry si riscosse e si voltò verso Joy:
“Joy,
grazie. Per la sosta e per tutto il resto. Lina a volte è
davvero troppo orgogliosa per ammettere i suoi limiti. Sono sollevato
almeno dal fatto che a te ne abbia parlato.”
Quelle semplici
parole mi colpirono come schiaffi. Joy stava mettendo in atto il suo
progetto di demolizione della nostra amicizia partendo dalle
fondamenta: fiducia e sincerità.
Guardai il
pallido cerchio che la luna, sbucando dalle nuvole, proiettava sul
soffitto della mia camera da letto. Dovevano essere passate da poco le
undici di sera, e in quel preciso istante mi resi conto di
un’ovvietà che mi fece rabbrividire: non avevo ancora
cenato!
Mi sollevai di
scatto e piombai sulla porta come un falco in picchiata, prima di
arrestarmi colta da un dubbio: Gourry era sceso a cena senza chiamarmi
o era ancora nella sua stanza, dove si era chiuso senza rivolgermi la
parola?
Da quando
viaggiavo con Gourry non eravamo mai stati così distanti. Certo,
c’erano state molte litigate, sfociate spesso in vere e proprie
risse. Ma mai rancori. Non così prolungati, come minimo.
Non da parte di Gourry, soprattutto.
Ero io quella che
metteva i musi lunghi. E non duravano mai più di una decina di
minuti. Perché stare con Gourry, viaggiare con lui, significava
avere a disposizione una scorta pressoché illimitata di
serenità e spensieratezza. Gourry era la mia pace, la mia ancora
nelle tempeste.
Solo in quel
momento, solo da quando Joy aveva fatto irruzione nella nostra
consolidata quotidianità, sconvolgendo i nostri equilibri, me ne
stavo lentamente rendendo conto…
Non potevo
lasciare che Joy si insinuasse tra di noi come fumo nero, appannando e
minando quanto di più caro avevamo: la nostra reciproca fiducia
l’uno nell’altra. Rianimata da quella consapevolezza
abbassai la maniglia e aprii la porta, diretta alla stanza di Gourry.
Bussai piano e
lasciai passare alcuni secondi. Avvertii le molle del letto che
scricchiolavano, oltre l’uscio, ma non ottenni risposta.
“Gourry? Ci sei?” Chiesi, schiarendomi la voce.
Nulla. Stava facendo l’offeso?
Sospirai. Non era
da Gourry, comportarsi così. E non era da me indugiare. Ma non
avevo alcuna voglia di buttare giù la porta, ero troppo stanca
anche per quello. Così accostai il viso al legno scrostato e
parlai:
“E va bene.
Non vuoi aprire. Posso capirlo, ma sappi che sei in errore, Gourry.
È vero, non ti ho detto nulla della ferita perché non
volevo farti preoccupare, ma non ne ho parlato nemmeno con Joy,
credimi. Se ne è semplicemente accorto da solo!”
Appoggiai l’orecchio alla porta, cercando di captare qualche rumore all’interno, ma tutto taceva.
“Gourry…”
mormorai “Sai benissimo che se avessi ritenuto di non poter
affrontare il viaggio per questa stupida ferita te ne avrei di certo
parlato. Sei la mia guardia del corpo, maledizione, e il mio migliore
amico. E…”
Mi bloccai. La
saliva mi si era addensata in gola e per un istante mi vidi per quella
che ero: una stupida appoggiata ad una porta chiusa, che parlava con il
nulla. Perché finché nessuno mi rispondeva non si poteva
dire che stessi dialogando con qualcuno.
Il mio sguardo si rabbuiò:
“…E
adesso sono stufa di giustificarmi. Quindi se non vuoi aprire fai come
credi, non perderò altro tempo a parlare con un idiota che non
ha nemmeno la cortesia di farmi entrare! E tanto perché tu lo
sappia, il tuo amico Joy ha una spiccata attitudine per le menzogne. E
se preferisci credere a qualcuno che non vedevi da dieci anni,
piuttosto che a me, bene, non abbiamo più niente da
dirci!” Feci quella sparata tutta d’un fiato, senza nemmeno
rendermi conto che nella stanza qualcuno si era alzato e adesso stava
lentamente girando il chiavistello della porta.
Mi irrigidii,
pronta a confrontarmi con qualunque cosa Gourry avesse avuto intenzione
di dirmi, ma quando la porta si aprì, una inaspettata nuvola di
fumo mi avvolse, facendomi tossire. Solo dopo che mi fui ripresa potei
constatare, con rammarico, che chi mi guardava dalla soglia della porta
non era affatto Gourry…
“Joy!” esclamai, al colmo dell’indignazione, mentre gli ultimi strascichi di tosse mi facevano sobbalzare.
Il mercenario mi osservava annoiato, appoggiato allo stipite, la sigaretta tra l’indice il medio.
“Fino a
prova contraria, sono proprio io” disse, portandosi la sigaretta
alle labbra e aspirando una lunga boccata di fumo che espirò
gettandomela in faccia.
Era troppo per i miei nervi fragili.
Lo afferrai per
il collo della maglia. Mi superava di almeno due teste, ma quello non
era mai stato un problema. Quasi tutti quelli a cui mettevo le mani
addosso mi superavano in altezza.
“Tu sei un… un…”
“Bugiardo. Lo so.” Finì la frase per me, per niente intimorito dalla mia aggressione.
“Sei anche
un bugiardo! Ma prima di tutto sei un essere spregevole….”
Gli abbaiai in faccia, spingendolo poi contro alla parete, il
più lontano possibile da me, lui e la sua vomitevole sigaretta.
“Lina,
Lina… se non ti conoscessi direi che te la sei presa per quella
piccola scaramuccia di questa sera…” “Infatti non mi
conosci. Non mi conosci affatto!” gridai. “E che diavolo ci
fai nella stanza di Gourry? Non starai rubando le sue cose, mi
auguro…”
“Questa
è anche la mia stanza, sai? Io e Gourry dividiamo tutto, lo
abbiamo sempre fatto. Tu, invece… sbaglio, o la signora chiede
sempre una stanza tutta per sé nei posti in cui vi fermate a
dormire?”
“E con questo?” mi risentii.
“Mi sembra
pretenzioso da parte tua, tutto qua. Voglio dire, potresti
tranquillamente dividere con lui il letto, dubito che Gourry potrebbe
anche solo sentirsi vagamente attratto da una tavola da stiro come
te…”
Avvampai,
furibonda. Ma invece di strangolarlo, come avrei desiderato fare, lo
lasciai andare. Le mie dita si scostarono da lui come se
all’improvviso fosse diventato ustionante e indietreggiai di un
passo. Joy si rese conto di aver trovato il mio punto debole e
rincarò la dose.
“Lascia che
ti riveli un segreto, cara Lina: se lasci passare troppo tempo prima
che un uomo ti veda nuda, comincerà inevitabilmente a vederti
solo e per sempre come una cara amica. Sai cosa significa
questo?” mi chiese, e senza aspettare la mia risposta
proseguì: “Significa che per lui sei e resterai una
bimbetta senza seno che lo intenerisce al punto da spingerlo a seguirti
e proteggerti come si farebbe con un cucciolo.” Espirò un
filo di fumo dalle narici. “Ma non ti porterà mai a
letto.”
Aprii la bocca, poi la richiusi. Infine scossi la testa. Indossavo abiti puliti e non volevo sporcarmi di sangue.
“Non hai
capito proprio niente, di me e Gourry.” Ero pronta a difendermi
dalle sue infide insinuazioni, ma lo sguardo che mi lanciò il
mercenario mi costrinse a tacere:
“Io non
capisco? Oh, Lina… Io capisco anche meglio di te, credimi. Il
discorso che hai fatto prima davanti alla porta era abbastanza
esplicito. Ma se vuoi continuare a credere a questa frottola
dell’amicizia, chi sono io per infrangere i tuoi candidi sogni?
Volevo solo metterti in guardia, per evitare al tuo piccolo cuore
palpitante di spezzarsi: levatelo dalla testa, Lina. Quelli come Gourry
non si innamorano di quelle come te.”
Gettò la
cicca a terra, schiacciandola sotto lo stivale, e si allontanò
nel corridoio buio, lasciandomi lì, colma di risentimento,
davanti a una stanza vuota. La testa piena di confusi pensieri e i
pugni serrati tanto che le nocche erano sbiancate nello sforzo.
Conoscevo solo un rimedio per mettere a tacere rabbia e frustrazione: riempirmi lo stomaco.
Scesi rapidamente le scale e varcai la soglia del ristorante; a quell’ora ormai non rimaneva più nessuno…
O quasi.
Il mio sguardo si
concentrò su Nayden, che sedeva tutto solo nella sala deserta.
Davanti aveva un bicchiere e una bottiglia di vino, che a quanto pareva
doveva essere stata appena stappata.
Rimasi alcuni
secondi incerta sul da farsi. Non sapevo se sedermi per i fatti miei o
raggiungerlo, ma del resto il mago non sembrava essersi accorto della
mia presenza, assorto com’era nei suoi pensieri profondi.
Tuttavia, il caso
volle che proprio mentre stavo per prendere posto ad un tavolo poco
più in là, i nostri sguardi si incrociarono.
“Ciao Lina,
ti concedi uno spuntino di mezzanotte?” Sorrise, mettendo in
mostra una perfetta fila di denti bianchi e scintillanti come perle.
“Già”
tagliai corto. I suoi modi da gran seduttore erano l’ultima cosa
con cui volevo avere a che fare quella sera. Ma Nayden non sembrava
disposto a farsi sfuggire un’occasione per dare sfoggio del
proprio fascino irresistibile. Scostò una sedia dal suo tavolo,
e mi invitò tutto sorridente a prendervi posto con un cenno.
Io sospirai. Ero
troppo stanca e amareggiata per mettermi a fare la difficile, e anche
se non morivo dalla voglia di fare conversazione dovevo ammettere che
mangiare in compagnia era molto meglio che consumare la cena
arrovellandomi sulle parole di Joy. Parole che, per quanto insensate,
continuavano a riaffacciarsi nella mia mente come un motivetto
difficile da scacciare dalle labbra.
Nayden si rivolse al locandiere: “Può portare un altro bicchiere? Questa sera si brinda in compagnia!”
Cercai di
ignorare le occhiate di Nayden e i suoi modi galanti, e quando
arrivarono le pietanze mi ci gettai sopra senza farmi alcuno scrupolo.
Il cavaliere non fece commenti, e versò due abbondanti coppe di
vino, porgendomi il mio calice:
“Allora Lina, a cosa vogliamo brindare?”
Lo guardai perplessa:
“Dobbiamo necessariamente brindare a qualcosa?” domandai, di malumore.
“Beh,
certo. Non lo sai che chi non beve in compagnia, o è un ladro o
è una spia?” ironizzò Nayden.
Lo guardai con un
lieve sorriso sulle labbra. Per me lui poteva essere benissimo entrambe
le cose, bevuta o meno, ma decisi di non fare commenti:
“In questo
caso sceglilo tu il brindisi, visto che ci tieni tanto…”
dissi con noncuranza, sollevando a mia volta la coppa di vino.
“Bene,
allora io direi di brindare alla missione: che ci porti fortuna e
successo… e ci permetta di dimostrare tutto il nostro
valore!” disse Nayden, con un leggero guizzo nello sguardo.
Annuii
distrattamente, bevendo una lunga sorsata. Detestavo già
abbastanza quella missione, senza che Nayden si mettesse a fare il
filosofo.
“Lina” proseguì Nayden, dopo che ebbe posato il bicchiere “Posso chiederti una cosa?”
“Mmf” fu il mio solo commento, mentre mi abbuffavo.
Nayden si lisciò una ciocca dei lunghi e sottili capelli:
“Tu e lo spadaccino… Chi vi ha ingaggiato per questa missione?”
Deglutii,
leggermente sorpresa da quella domanda: “La missiva era firmata
con il sigillo del Granducato di Solaria. Non c’era nessun nome
sulla lettera.”
Nayden si fece pensieroso.
“Posso vedere quella missiva? Ce l’hai qui?”
Quella frase, detta in tono leggermente sbrigativo, mi lasciò spiazzata. Posai la forchetta sul tavolo:
“A dire il vero no. L’ho lasciata in camera. Perché ti interessa tanto?” domandai, sospettosa.
“Semplice
curiosità. Joy mi ha parlato delle missive uguali, e mi è
sembrato strano, tutto qua. Voglio dire, tu sei la grande Lina Inverse
e Joy… è solo Joy, ecco tutto.”
Continuai a
osservarlo. In effetti, era la stessa identica cosa che avevo pensato
anche io, decidendo che era inutile arrovellarsi, e che sarebbe stata
la prima cosa che avrei cercato di scoprire una volta giunta a Solaria.
“Sai
Nayden, a questo proposito, anche io avrei una cosa da chiederti. Cosa
ci fa un tipo come te con la più penosa banda di mercenari che
io abbia mai visto? Ma, soprattutto, cosa hai da spartire con un idiota
come Joy?”
Mi ero aspettata
uno dei suoi soliti sguardi ammiccanti, seguito da qualche risposta
vaga, invece Nayden fece spallucce, sospirando.
“Faccio
solo il mio dovere, Lina. Tutto qua.” Bevve una sorsata di vino e
mi guardò dritto negli occhi. “Joy è il mio
fratello minore, voglio assicurarmi che non si cacci nei guai.”
Rimasi a bocca aperta. Quei due erano come il giorno e la notte, non si assomigliavano in niente. In niente.
E io gli avevo appena detto che consideravo suo fratello uno stupido di prima categoria. Ops.
“Nayden, non volevo…”
“Oh, non
c’è problema. Penso anche io che mio fratello, quando ci
si mette, sia un perfetto idiota.” Sorrise, ma era un sorriso
freddo e distante. Di circostanza. “È sempre stato una
spina nel fianco. Un bambino difficile che si è trasformato in
un adolescente ribelle. Siamo rimasti presto senza genitori, ci ha
cresciuti nostra nonna. Lei, beh… lo adorava, era l’unica
persona che sia mai riuscita a relazionarsi con lui. Quando
è morta Joy ha deciso di farsi mercenario, se ne è andato
di casa, e a quel punto sono cominciate le mie pene. Mio fratello
è un tipo bizzarro, e nella maggior parte dei casi si comporta
come un irresponsabile. Così ogni tanto faccio la mia comparsa,
per assicurarmi che sia tutto a posto. Ma credimi, preferirei di gran
lunga lavarmene le mani e lasciarlo al suo destino. È un uomo
fatto, ormai, e io sono un po’ stufo. Ma ho promesso alla nonna
che avrei vegliato su di lui.”
Giocherellò con il bordo del bicchiere, abbassando lo sguardo.
“Una
promessa è una promessa” dissi, riflettendo sulle sue
parole. Badare a Joy era per lui un compito gravoso, ma se lo era
autoimposto perché aveva promesso. Mi suonava stranamente
familiare…
“Talvolta
le promesse, soprattutto quando fatte a cuor leggero, diventano strette
come il nodo di un cappio” replicò Nayden, con uno sguardo
così profondo che fui costretta a distogliere il mio. Non
sapendo cosa replicare mi versai un'altra coppa di vino, portandola
alle labbra.
In quel momento
la porta della locanda si aprì, e un viso molto familiare fece
il suo ingresso: Gourry aveva i capelli fradici, le ciocche scomposte
appiccicate alla fronte.
Da quando avevamo
messo piede in quella locanda non avevo saputo più nulla di lui,
ne conseguiva che non avevo la più pallida idea né
da dove arrivasse, né tanto meno cosa avesse fatto in quelle
lunghe ore fuori, sotto alla pioggia.
Il suo sguardo
incrociò il mio e la sua espressione si fece tesa e guardinga,
gli occhi che si spostavano interrogativi ora su me, ora su Nayden.
Capii che si stava chiedendo cosa ci facevamo lì, da soli, a
confabulare e bere vino insieme. Nayden lo salutò con un cenno
del capo: “Non accenna a smettere, vero?”
Gourry si
scrollò, e mentre lo faceva notai un particolare che non poteva
non saltarmi agli occhi: nella mano destra reggeva la spada. Rendendosi
conto del mio sguardo sorpreso lo spadaccino la rinfoderò in
fretta, avvicinandosi.
“Viene giù a secchiate” disse, con un tono che mi parve forzatamente tranquillo.
“L’avevo
detto a Joy” Nayden sembrava compiaciuto del buon esito delle sue
previsioni. Afferrò la bottiglia, scuotendola. “Ti
inviterei volentieri a berti un bicchiere con noi, ma temo non ne sia
rimasta nemmeno una goccia. Io e Lina ce la siamo scolata tutta!”
Gli occhi di Gourry si strinsero, mentre io arrossivo.
“Sì,
lo vedo” disse, lanciandomi una breve occhiata. Rivolsi la mia
attenzione al bicchiere che mi rigiravo fra le dita, fingendo di non
cogliere il suo sguardo su di me. L’aria si era fatta
inspiegabilmente tesa e Nayden dovette intuirlo. Si alzò,
stiracchiandosi.
“Mi duole
privarmi della vostra compagnia, ma credo proprio che andrò a
schiacciare un sonnellino: sono a pezzi e ho anche bevuto troppo”
disse, sorridendomi ammiccante. L’aria seria con cui si era
confidato solo pochi minuti prima sembrava svanita nel nulla.
“Credo…
che andrò a dormire anch’io” dissi a mia volta,
spingendo via il piatto. “Buona notte, Gourry.”
Avrei voluto
chiedere e dire mille altre cose, ma la pesantezza che era calata tra
di noi era talmente surreale che mi mancava quasi l’aria. Senza
che ci stessimo necessariamente mentendo, nascondevamo ormai troppi
segreti.
“Lina…” La voce di Gourry mi raggiunse, stanca. “Va tutto bene?”
Mi fermai. Lui chiedeva a me se andava tutto bene?
Lui, che da due
notti scompariva chissà dove, che pendeva dalle labbra di
quell’idiota e sembrava avere messo una pietra sopra alla nostra
amicizia, mi chiedeva se andava tutto bene?
“Benissimo,
Gourry. E a te, a te va tutto bene?” Lo scrutai, cercando una
risposta. Ma i suoi occhi chiari, in genere limpidi e luminosi, mi
sembrarono più torbidi che mai. E distanti.
Gourry fece un passo verso di me, ma si bloccò.
Per terra
c’era un foglietto spiegazzato, proprio vicino alla punta del mio
stivale. Gourry si chinò a raccoglierlo.
“Aspetta, hai perso questo” disse, incupendosi.
Sul biglietto erano scarabocchiate solo poche parole:
“Grazie per
questa notte, è stata una delle più belle della mia vita.
So che nessuno dovrà mai sapere di noi, quindi ti prego, non
farne parola. Ma ogni volta che vorrai, io sarò qui per te,
ricordalo sempre.”
Era il biglietto
che la figlia del locandiere mi aveva chiesto di recapitare a Nayden, e
che io mi ero dimenticata di consegnargli. Levai immediatamente
lo sguardo su Gourry:
“Gourry, guarda che io non… non è come pensi.”
Ma lo spadaccino mi bloccò gentilmente:
“Lina, ti
assicuro che non devi spiegarmi proprio niente. Siamo solo amici,
giusto? E a questo proposito, sai, volevo dirti che…”
deglutì. Sembrava non trovare le parole giuste per proseguire.
Alla fine sollevò il viso e parlò talmente veloce che
faticai a capirlo: “Ci ho pensato, e non credo che tu voglia
continuare ad avermi intorno ogni istante della tua vita.”
Aggrottai le sopracciglia, sbattendo le palpebre.
“Stai…
stai scherzando? Perché è tardi, e io sono stanca e non
sono per niente in vena di scherzi, credimi.”
Gourry scosse la testa, sospirando pesantemente.
“No, non
sto scherzando Lina. E non credere che mi faccia piacere affrontare
questo argomento, ma… presto o tardi avremmo dovuto affrontarlo.
Ormai sono quattro anni che stiamo insieme” si morse le labbra,
come se avesse appena pronunciato una sciocchezza. “Che viaggiamo
insieme, volevo dire. E credimi, sono stati gli anni più belli
della mia vita. Ma tu sei cresciuta e io… io ti sono solo
d’intralcio, me ne rendo conto ogni giorno di più.”
Mi guardò con un sorriso triste, e capii che il peggio doveva
ancora arrivare. “Io non posso continuare a vegliare su di te
come se tu fossi un’eterna bambina, perché non lo
sei… non lo sei mai stata, in realtà. Un giorno vorrai
avere qualcuno al tuo fianco, un compagno, se capisci cosa intendo. Le
nostre strade si separerebbero comunque, prima o poi.”
Gourry sedette al tavolo, io rimasi in piedi. Prese un bicchiere e cominciò a giocarci distrattamente.
“Sono molto
colpita da questo discorso, Gourry: è il più lungo che tu
abbia fatto in vita tua. Peccato che sia anche completamente senza
senso” dissi, acida. Ma mi sentivo le gambe molli. “Stai
dicendo una marea di sciocchezze, spero che tu te ne renda conto:
quando mai mi sei stato d’intralcio?” domandai, sperando
che non avvertisse il tremito nella mia voce.
“Ma lo
sarò, un giorno. Ed è questo che voglio… che devo
evitare.” Gourry sembrava a corto di parole. Continuava a non
guardarmi. “Lina, Joy mi ha fatto una proposta. E forse, la
accetterò.”
Incassai il colpo
senza battere ciglio. Cosa potevo fare? Infinite cose, ad essere
sinceri. Una su tutte, sbattergli la testa contro al muro fino a farlo
rinsavire. Invece rimasi immobile. Ero come paralizzata.
“Mi pianti
per Joy” riuscii solo a mormorare. “Deve avere delle doti
nascoste, perché a me sembra solo un dannato idiota.”
“Non vuoi capire, Lina…”
“No, sei tu
che non capisci! Avevi promesso di restare al mio fianco per…
per… beh, ma non importa, perché appena incontri un tuo
vecchio compagno d’arme di quella promessa non ti importa
più niente!”
Gourry si sollevò di scatto:
“Quella promessa, io non l’ho mai scordata! Ma non posso continuare a mantenerla se tu…”
Si bloccò di colpo. I suoi occhi riflettevano i miei: rabbia, paura e dolore. Un dolore sordo e incomprensibile.
“… Se io? Avanti Gourry, finisci di dire quello che stavi dicendo!” Il mio tono era duro, tagliente.
“Se tu ti
innamorerai! Se vorrai passare la vita al fianco di un uomo… Che
farò io a quel punto, me lo dici?”
Rimasi a
fissarlo, a bocca aperta. Gourry abbassò lo sguardo. Il silenzio
calò su di noi come una cappa scura e soffocante. E mentre
guardavo Gourry capii che io, una possibilità del genere, non
l’avevo mai nemmeno contemplata.
Innamorarmi?
E desiderare di passare la mia vita con qualcuno che non fosse… lui?
No, quel pensiero
non mi aveva mai sfiorato. Ma a quanto pareva lui ci rifletteva da
tempo. E sembrava aver tratto le sue conclusioni.
“In ogni
caso, Lina, se ne parlerà dopo che avremo concluso questa
missione…” buttò lì, con tono stanco e
sconfitto.
“Non credo
serva aggiungere altro. Volevo solo dirti che trovo molto nobile, da
parte tua, voler portare a termine almeno questo impegno”
replicai, gelida. “Buona notte” aggiunsi, sapendo che non
sarebbe affatto stata una buona notte.
Gli stupidi
malintesi di cui Joy si era tanto abilmente servito stavano provocando
una frattura insanabile nel mio rapporto con Gourry, intrappolandoci in
una rete di bugie ed equivoci.
A quanto pareva, dovevo ricredermi.
Il mercenario sapeva giocare abilmente alla guerra.
La mattina dopo
sembravo l’ombra di me stessa. La gola secca e gli occhi gonfi,
che quasi faticavo ad aprire, mi fecero ricordare che mi ero
addormentata bagnando il cuscino di lacrime. Io, la grande Lina
Inverse, avevo singhiozzato fino all’alba all’idea di
perdere il migliore amico che avessi mai avuto, e...
Oh, ma era
già acqua passata, in fin dei conti. Io, la più grande
maga che il mondo avesse conosciuto, non avevo certo tempo da perdere
con cose del genere. Mi sollevai dal bordo del letto, trascinandomi al
catino. Il mio volto riflesso nel piccolo specchio ovale mi fece quasi
paura: pallida e sfinita, con gli occhi che sprofondavano in due
occhiaie violacee, sembravo uno spettro. Mi resi conto che avrei potuto
negarlo fino alla morte, ma non sarebbe sfuggito a nessuno: ero a
pezzi.
Mi portai una mano alla fronte:
“Fantastico,
spero solo che il locandiere non mi chieda dove ho nascosto la
bara…” commentai tra me e me, cercando di sistemare come
meglio potevo i capelli schiacciati dal cuscino. Li tirai su, cercando
di gonfiarne le radici, ma quelli ricaddero piatti, come sconfitti.
Un cespo di insalata, ecco cosa sembrava avessi sulla testa.
Ma in fondo, rimanevo sempre Lina Inverse, con o senza lattuga al posto dei capelli.
E c’era una sola cosa che avrei potuto fare, in una mattina come quella: colazione.
Camminammo per
tutta la mattina, e parte del pomeriggio. Ringraziavo gli dei per quel
tempo da lupi: tirava un forte vento, costringendoci a tenere sollevati
i cappucci e ad azzerare qualsiasi forma di conversazione.
Procedemmo fino al punto più scosceso della roccia, e da lì, finalmente, riuscimmo a scorgere il granducato.
“Bene,
bene…” commentò soddisfatto Joy, grattandosi il
mento. “Andiamo a vedere chi necessita del nostro aiuto.” E
detto questo cominciò ad incamminarsi, seguito dagli uomini.
Dopo pochi minuti eravamo rimasti solo io e Gourry sulla cima del
pendio, mentre il vento sibilava forte intorno a noi.
Con la coda dell’occhio scorsi lo spadaccino osservarmi. Sembrava pensieroso.
“Non sei
curiosa di sapere cosa ci aspetta laggiù?” disse,
spezzando il silenzio. Erano le prime parole che ci rivolgevamo dalla
sera prima.
Evitai di incrociare il suo sguardo, concentrando la mia attenzione sulle bandiere che sventolavano sulle torri del palazzo.
Solaria.
E poi… Se ne sarebbe andato.
“Cosa vuoi
che ci aspetti, Gourry? Un vecchio castello ammuffito, nobili con la
puzza sotto al naso… la solita solfa, insomma” risposi,
truce. “Ma ci conviene darci una mossa, non ho intenzione di
lasciare che Joy arrivi per primo, soffiandomi il lavoro!” dissi,
stringendo le labbra. “Oh scusa, Gourry… Non volevo essere
così scortese col tuo futuro compagno di viaggio..”
aggiunsi, sarcastica.
“Lina…”
“Non dire
niente, ti prego. Ho un mal di testa terribile e non ce la farei
proprio a sopportare un’altra marea di idiozie come quelle di
ieri sera.”
Gli passai a
fianco senza aggiungere altro, mentre il mio sguardo tornava a scrutare
le guglie a merlo che correvano intorno al palazzo, avvertendo un
brivido percorrermi la schiena. Sarà anche stato un vecchio
castello ammuffito ma… metteva una strana inquietudine.
Fu solo quando
varcammo l’enorme portale ad arco che scorsi con chiarezza cosa
mi aveva inconsciamente turbato dal nostro ingresso a palazzo: tutto
era molto, troppo scuro. Forse dipendeva dalle alte ma strette
finestre, unica fonte di illuminazione in quella sala, escludendo il
fievole bagliore di due candelabri che affiancavano lo scranno, per il
momento vuoto.
Lasciai che i
miei occhi si abituassero progressivamente alla poca luce di quel
luogo, troppo spazioso per risultare angusto, ma egualmente
angosciante. Statue, arazzi, affreschi… Tutto in quella stanza
era maledettamente cupo. L’arredatore doveva essere un tipo
oscuro, decisi, scorgendo le lunghe ombre dei gragoyles di pietra che
si allungavano sul grande pavimento a scacchi bianchi e neri.
Anche i mercenari
si guardavano attorno con una certa inquietudine, un’ansia
incrementata dal fatto che all’ingresso le guardie ci avevano
gentilmente intimato di lasciare qualsiasi tipo di arma in loro
custodia.
In quel momento entrò nel salone un servo ad annunciare l’ingresso della duchessa.
“La
granduchessa Rebecca Di Tunham” comunicò, con fare
sussiegoso, mentre una donna alta e superba attraversava a passo
spedito il salone, avvolta in una lunga veste nera. Prese posto sul
seggio e ci scrutò con attenzione.
Dimostrava una
quarantina d’anni, e doveva essere stata una donna avvenente in
passato. Ora era solo molto magra e spigolosa, e i suoi capelli, di un
pallido castano, erano arrotolati in strette trecce e celati alla vista
da un lungo velo nero.
“Voi dovete essere la compagnia di ventura che ho chiamato per scortare me e le mie figlie a Sailunne.”
Joy si fece avanti:
“Al suo servizio, mia signora. Sono Joy Shadow e questi sono i miei uomini.”
“Shadow…” mormorò la duchessa, rivolgendo un lungo sguardo a Joy. “Ma certo.”
Quel villano,
nonostante tutte le smancerie di cui era capace, non si era nemmeno
degnato di inchinarsi alla sua presenza. Lo sguardo della duchessa si
spostò poi su di me, incuriosito.
“E da
quando i mercenari ingaggiano delle donne nella loro compagnia?”
domandò, con un tono di leggero disprezzo.
A quel punto ritenni necessario intervenire, onde evitare spiacevoli inconvenienti:
“Signora,
io sono Lina Inverse e non ho nulla spartire con questi uomini: ho
ricevuto a mia volta una missiva in cui si parlava di un incarico che
avrei dovuto svolgere proprio qui, nel granducato di Solaria.”
La duchessa aggrottò le sopracciglia, sembrava dubbiosa. Ma fu solo un attimo.
“Vogliate
scusarmi, ma non mi sono occupata personalmente del vostro ingaggio. Ad
ogni modo, dato che siete entrambi qui, suppongo che potrete
collaborare egregiamente per svolgere il compito che intendo
proporvi…”
Sia io che Joy facemmo per protestare, ma la voce di Rebecca ci anticipò:
“Mio
marito, il Granduca di Solaria, ci ha lasciati la settimana appena
passata.” Esordì, greve. “E io temo che la sua morte
non sia da attribuire a un fatale incidente quanto, piuttosto,
all’empia mano di qualcuno.”
Un profondo senso
di disagio calò all’improvviso su tutti i presenti. Se non
altro, questo spiegava l’atmosfera lugubre e
l’abbigliamento funesto della padrona di casa: l’intero
ducato era in lutto per l’assassinio del suo duca.
Rebecca proseguì:
“Ora, a
seguito di questa sciagura, intendo recarmi personalmente nel regno di
Sailunne, ove chiedere protezione al principe Philionel. Il lavoro che
vi chiedo, quindi, è quello di scortare me e le mie figlie dal
granducato di Solaria al sacro regno di Sailunne. Reputo che questo
posto non sia più sicuro, per noi.” La duchessa ci
studiò, attendendo in silenzio che assimilassimo le informazioni
appena ricevute.
Mi chiesi che
tipo di alleanza legasse Sailunne a Solaria, due città
completamente opposte per attitudini e stile di vita. Sailunne, la
città bianca, e Solaria… beh, ce l’avevamo davanti
agli occhi: era scura come le ali di un corvo. Abbassai lo sguardo sul
pavimento a scacchi, scrutando le piastrelle bianche e nere che si
susseguivano in una armoniosa alternanza. Una geometria perfetta di
chiari e scuri.
Ad ogni modo, non
erano fatti miei: il lavoro mi sembrava un’inezia, tanto
più che mi avrebbe dato l’occasione di rivedere Amelia, e
prendere parte ai banchetti di Phil. Ma, soprattutto, mi avrebbe
garantito un discreto guadagno. Soldi facili, per una volta.
“Signora,
avete la mia parola che raggiungerete Sailunne senza correre il minimo
rischio. Ovviamente, tenendo conto del compenso dovuto…”
aggiunsi, scoccando un’occhiataccia a Joy.
Rebecca annuì:
“Ma
è chiaro. Molto bene, desidero disporre al più presto
ogni cosa per la partenza. E, naturalmente, intendo presentarvi le mie
figlie…” disse, mentre la porta da cui lei stessa aveva
fatto il suo ingresso pochi minuti prima veniva aperta dallo stesso
servo, che però non fece in tempo a fare il suo annuncio
ufficiale con la stessa fermezza. Una ragazza, che poteva avere
suppergiù la mia età, mise piede nel salone, camminando
spedita e sprezzante. Il lungo abito nero frusciava ad ogni altezzoso
passo, facendo tutt’uno con i capelli corvini, legati in una
treccia arrotolata sul capo. Gli occhi erano tizzoni ardenti.
Le lanciai uno
sguardo meravigliato, mentre ci superava senza degnarci di uno sguardo,
e con modi bruschi si dirigeva verso la madre, accennando appena un
inchino svogliato. Immaginavo di sapere cosa stavano pensando tutti gli
uomini presenti nella sala: era di una bellezza tale da lasciare senza
fiato.
Prima che Rebecca avesse modo di presentarcela, la ragazza le si rivolse con tono aspro e lamentoso:
“Madre,
Anouk è sparita, come suo solito. La servitù sta
diventando matta a cercarla, e io non trovo nessuno che mi sistemi le
valige! Questa storia deve finire, io esigo che le mie richieste
vengano esaudite subito!”
Rebecca tese le labbra in una linea sottile:
“Sarebbe gradito che tu ti presentassi con decoro, invece di comportarti sempre come una bambina capricciosa.”
La ragazza a quel punto, dopo aver emesso un sospiro impaziente, ci rivolse un breve sguardo.
“È un piacere fare la vostra conoscenza. Sono la figliastra del duca, Camelia.”
Nel silenzio imbarazzato che aveva seguito il suo ingresso solo una voce ebbe il coraggio di levarsi.
“Camelia, come il fiore. E ne avete anche la stessa, delicata bellezza.”
Ci voltammo tutti verso quel poeta mancato che era Nayden. Joy sembrava furibondo.
“Taci, per
gli dei!” sibilò al fratello, che guardava la duchessina
come un gatto osserva un pesce rosso in una boccia.
Camelia
inarcò un sopracciglio, ma dopo aver appurato che
quell’apprezzamento arrivava dall’uomo alto e bello, quello
con il sorriso smagliante, decise di soprassedere sulla sconvenienza
dell’affermazione. Gli sorrise maliziosa, poi si voltò e,
con lo stesso passo deciso lasciò la stanza, segna degnare
nessuno né di un saluto, né di uno sguardo.
Un’ora dopo
eravamo ancora in attesa nel cortile principale, mentre la
servitù caricava bauli su bauli nella carrozza in cui avrebbero
viaggiato la duchessa e le figlie.
“Che
noia…” sospirai, scalciando una pietra con la punta dello
stivale. Gourry, seduto al mio fianco, represse uno sbadiglio.
A quanto pareva,
la figlia minore di Rebecca era praticamente introvabile, e tutta
quanta la servitù, escludendo quella adibita al carico dei
bagagli, si stava affannando nella sua ricerca.
Joy dava
delucidazioni su come sistemare al meglio i bauli, al fine di impedire
che se ne andassero per conto loro sulle strade sterrate che avremmo
dovuto percorrere, e Nayden lucidava scrupolosamente la sua spada, ed
ero quasi certa che stesse escogitando qualche strategia per sedurre
quella civetta di Camelia lungo il tragitto.
Io e Gourry ce ne
stavamo con le spalle al muro, godendo del timido calore irradiato dal
sole, e della relativa quiete che si era creata dopo il nostro ultimo
alterco.
Per il quieto
vivere avevo deciso di deporre l’ascia di guerra. Senza contare
che tenergli il muso era una faticaccia: rimanere arrabbiata con Gourry
mi risultava praticamente impossibile.
Quello che
provavo, in realtà, aveva più a vedere con la tristezza
che con la rabbia. E ogni volta che ripensavo alle parole che ci
eravamo scambiati la sera prima sentivo un nodo stringermi lo stomaco.
Ma non volevo fargli capire quanto la sua decisione di porre fine al
nostro viaggiare insieme mi facesse soffrire. Se voleva davvero
andarsene, doveva sentirsi libero di farlo. Non l’avrei tenuto
legato a me con le lacrime e i sensi di colpa.
“Lina…”
disse a quel punto Gourry, stirando le braccia sopra alla testa
“Senti, posso farti una domanda?”
“Se proprio non puoi farne a meno.”
“Sapevi che Phil garantiva protezione al granducato di Solaria?”
“A dire il
vero no. Però la cosa non mi stupisce più di tanto.
Sailunne è la capitale della magia bianca, non trovo strano che
si offra di sostenere un alleato in difficoltà. In fondo stiamo
parlando di Solaria, non di Zephilia…”
Per quanto, anche Solaria non scherzasse in quanto ad arti oscure…
Gourry annuì, poi il suo sguardo si fece dubbioso.
“E cosa pensi della missiva? Intendo, il fatto che Rebecca sapesse di aver convocato Joy, ma non te…”
Quell’affermazione mi irritò. Ma, ora che ci pensavo…
Scattai in piedi di colpo.
“Lina! Che ti prende?” Chiese Gourry, colto di sorpresa dal mio movimento repentino.
“Mi
è appena venuto in mente che devo controllare una cosa!”
esclamai, mentre mi allontanavo velocemente “Torno subito!”
Corsi fino
all’ingresso del palazzo e, una volta certa di essere sola,
estrassi dalla tasca la lettera col sigillo che mi era stata
recapitata. Conoscevo abbastanza bene la burocrazia di corte da sapere
che di ogni documento ufficiale, a cui era stato apposto il sigillo,
doveva esserci anche una copia a nome di chi l’aveva redatto,
scrupolosamente conservata nell’ufficio del cancelliere. Ero
diretta proprio lì.
Con un po’
di fatica riuscii a trovarlo, e mi ci intrufolai senza problemi,
nonostante la porta chiusa a chiave. Le porte chiuse a chiave non mi
avevano mai fermato e dovevo ammettere che il palazzo versava nella
confusione più totale, così nessuno fece caso a me o mi
chiese spiegazioni.
Ebbene, se vi
state chiedendo cosa ne sapessi di documenti ufficiali e via
dicendo… non vorrei che vi facciate un’idea sbagliata: ho
falsificato giusto due o tre cosette in vita mia, giuro!
Mi feci largo tra
le librerie, aggirando una grossa e massiccia scrivania, su cui stavano
impilate pergamene e buste, timbri e calamai. L’odore persistente
della carta si mescolava a quello della cera e a quello più
dolce dell’inchiostro; sfogliai velocemente una pila di
documenti, frugai indisturbata nei cassetti alla ricerca dei
timbri…
Quando,
all’improvviso, mi bloccai. Qualcuno mi stava osservando, ne ero
certa come ero certa di chiamarmi Lina Inverse. Immobile, avvertivo i
battiti sordi del mio cuore nel silenzio che si era creato. E poi lo
sentii. Il lieve tintinnio di un campanello. O meglio, un campanellino.
Non ebbi nemmeno il tempo di levare lo sguardo per capire da che
direzione provenisse perché, come una macchia
d’oscurità, il misterioso osservatore silenzioso
piombò sul tavolo di fronte a me, appoggiando agili e setose
zampe felpate, rivestite di pelo color argento, e scompigliando le
carte che stavo esaminando.
Feci un passo
indietro, colta di sorpresa, e osservai il gatto acciambellarsi sul
tavolo, senza smettere di fissarmi coi languidi e profondi occhi color
ambra.
“Per gli dei… mi hai fatto prendere un colpo!” esclamai, senza riuscire a trattenere una risatina nervosa.
Il felino non si
mosse, e non mutò la placida ma vigile espressione con cui
osservava ogni mio spostamento; solo il lieve vibrare dei baffi gli
conferiva una parvenza differente da quella di una statua di sale.
Notai che al
collo portava un collare con un campanello, e quando mi riavvicinai,
cauta, vidi che sul metallo era incisa una sola lettera: B.
Allungai una mano
per sfiorargli il pelo argentato, che sfumava nel blu. Ma in quel
momento, quasi come se si fosse svegliato da un incantesimo, il gatto
si alzò, e balzò giù dal tavolo.
“E adesso che ti prende?” dissi, osservando la sua coda scomparire dietro un alto scaffale.
Incuriosita,
dimenticai la questione della missiva, e seguii quella piccola scheggia
grigia, quando, voltato lo scaffale, rimasi di sasso. Seduta ai piedi
della libreria, con il gatto sulle ginocchia, c’era una bambina.
Doveva avere otto
o nove anni, era vestita completamente di nero, e aveva lunghi e lisci
capelli d’ebano, che le coprivano il volto. La secondogenita di
Rebecca.
“Sei la duchessina Anouk?” chiesi, ignorata.
Decisi allora di
provare ad avvicinarmi, nel tentativo di interagire con lei. Solo
allora il gatto si alzò, venendomi vicino, e cominciò a
strusciarsi contro alle mie ginocchia. Anche la bambina si girò
verso di me, e dovetti farmi forza per non spalancare la bocca. Anouk
aveva la parte sinistra del volto completamente sfigurata, con quelle
che sembravano le cicatrici di una grave ustione, e i suoi occhi, di un
indefinito grigio, recavano nel profondo delle iridi una tristezza
difficile da comprendere.
Rimanemmo a fissarci in silenzio, studiandoci, fino a quando una voce non ci fece sobbalzare entrambe.
“Anouk!
Grazie al cielo! Ti abbiamo cercato dappertutto…”
Esclamò una serva, entrata in quel momento nella cancelleria.
La bambina non si
scompose, lasciando che la serva la sollevasse gentilmente per una
mano. Solo a quel punto la domestica sembrò accorgersi di me.
“Lei fa parte della scorta di mercenari, vero signorina? Ah, la ringrazio per aver trovato la duchessina.”
Mi risollevai,
senza riuscire a distogliere lo sguardo dal volto di Anouk, così
orribilmente sfigurato, eppure, così enigmatico.
“Così
sei proprio Anouk?” Le chiesi, provando ad usare un tono
spigliato. “Molto piacere, io sono Lina, viaggeremo insieme, per
qualche giorno…” Provai a presentarmi, nel tentativo di
stabilire un contatto con quella strana ed ermetica bambina, me la
serva mi bloccò gentilmente, e sempre tenendo Anouk per una
mano, bisbigliò:
“Non si
risenta, ma la duchessina non può risponderle: da tanti anni ha
smesso di parlare.” E senza darmi modo di rispondere a quella
affermazione si allontanò. “Andiamo Anouk, tua madre si
è già spazientita abbastanza per tutto il tempo che le
hai fatto perdere giocando a nascondino. E porta con te Babette, voglio
evitare che quella gatta si intrufoli dove non la possiamo più
trovare prima della partenza…”
Anouk si
abbassò, e prese tra le braccia la grossa gatta grigia, che
sembrava quasi enorme tra le sue gracili braccia, dopodiché
uscì insieme alla serva, sempre vestendo quell’espressione
di chi vive distaccato da tutto e da tutti.
“Allora,
è tutto pronto, possiamo finalmente partire?” chiese Joy a
Herman, che rimirava il suo capolavoro di assemblaggio dei bagagli sul
tetto della carrozza. Qualcosa mi diceva che alla prima curva di quei
bauli non avremmo più saputo nulla.
Gettai uno
sguardo al palazzo, e finalmente vidi comparire la duchessa con le
figlie. Tre figure in nero, che avanzavano seguite dalla
servitù. Camelia procedeva sprezzante, con lo stesso sguardo
algido della madre mentre, alle loro spalle, la serva con cui avevo
conversato poco prima scortava Anouk, tenendola per mano.
Nell’altra mano reggeva una cesta, e capii che era lì che
avrebbe viaggiato Babette. Si affiancarono alla carrozza e, in
quell’istante, sbucato da chissà dove, fece la sua
apparizione Nayden, offrendo la mano a Camelia per aiutarla a salire.
Dovevo ammettere che la sua vocazione da seduttore era quasi commovente.
La serva si piegò verso Anouk, dandole un breve bacio:
“Comportati
bene…” Le intimò e, dopo averla aiutata a salire,
passò la cesta a Joy, che aveva l’aria del cavalier
servente, pur non avendo la minima intenzione di dare una mano.
“Che roba
è?” chiese il mercenario, aprendo uno spiraglio per capire
cosa si stesse muovendo dentro al cestino. Un’imprudenza che gli
costò cara. Come una scheggia grigia la gatta schizzò
fuori, arrampicandosi ad una folle velocità sul grosso albero
che troneggiava nel cortile, i cui rami si estendevano sino a sfiorare
la vetta di una torretta diroccata sull’ala est del palazzo.
“Fantastico!”
esultai “Il premio ‘idiota della situazione’ è
nuovamente nelle tue mani! Congratulazioni” dissi, mentre tutti
guardavano verso l’alta torretta, dove la gatta era sparita.
Joy, che non
aveva capito nulla di quello che era successo, si guardò attorno
confuso. Io sospirai: di quel passo a Sailunne ci saremmo arrivati in
vecchiaia.
“Levitation!”
esclamai, levandomi nella brezza del cortile. Era ridicolo che dovessi
perdere il mio tempo in cose simili.
Quando arrivai
sulla cima mi guardai intorno, in cerca della fuggiasca. Una botola
aperta, con degli scalini che portavano al centro della torre, mi
lasciò intuire che la bestia doveva essersi rifugiata proprio
laggiù. Senza perdere tempo la infilai, raggiungendo una stanza
circolare piena di calcinacci e pezzi di legno. C’era un tanfo
umido lì dentro, un afrore di marcio. L’unica fonte di
illuminazione era costituita da una piccola feritoia ad arco. Seduta
sul davanzale, Babette mi fissava con gli impietosi occhi arancioni.
Sospirai.
Mi erano sempre
piaciuti i gatti, li trovavo creature affascinanti, dotate di
un’intelligenza sopraffina, e ne ammiravo l’indipendenza.
Babette era uno splendido esemplare, con quella magnifica pelliccia
color argento, e quegli occhi penetranti. Mosse impercettibilmente le
vibrisse e il campanello che portava al collo tintinnò melodioso.
“Coraggio,
bel micetto, vieni qui…” provai ad imbonirmela, tendendole
una mano. Ero quasi arrivata a sfiorarla quando, con un abile balzo, la
gatta saltò dalla finestra.
Avvertii un
brivido freddo percorrermi la schiena ed ebbi timore di guardare
giù, per paura di trovarla spiaccicata nel cortile ai piedi
della torre. Ma quando mi affacciai mi accorsi con sollievo che era
semplicemente atterrata su uno dei rami più bassi
dell’albero.
“Infida
bestiaccia…” Imprecai, battendo un pugno sul muro, e
prendendomela con me stessa per non essere stata abbastanza veloce da
afferrarla in tempo. Me ne pentii subito, appena avvertii una pioggia
di schegge di pietra che si staccavano dal soffitto per cadermi sui
capelli. Un violento schiocco, seguito da un inquietante scricchiolio
confermarono ciò che temevo: l’intera, traballante,
struttura stava per cadere a pezzi.
Rimasi
paralizzata, calcolando quanto avrei potuto metterci a risalire fino al
tetto. Dalla finestra non sarei mai riuscita a scappare, era troppo
stretta. Ma, vedendo le pareti che si sbriciolavano attorno a me,
dovetti constatare che non ce ne era il tempo. Forse mi rimaneva giusto
quello di prendere atto del fatto che qualunque pensiero, o formula
avessi potuto invocare, non avrebbe mai attraversato la mia mente tanto
velocemente quanto il muro che si stava per abbattere su di me,
seppellendomi viva come un topo in trappola.
Caddi sulle
ginocchia, portandomi le braccia sopra alla testa. Grosse porzioni di
muro si stavano staccando tutte insieme, piombandomi addosso. La torre
iniziò a traballare, era tutto sul punto di sprofondare, e
io con lei, quando…
Spalancai gli occhi di colpo.
Sotto di me vidi
il cielo limpido del ducato di Solaria, offuscato solo dalla nuvola di
polvere che si era sollevata mentre la vecchia torre rovinava a terra,
sbriciolandosi.
Piccoli puntini
in movimento, parecchi metri sotto di me, mi suggerivano che nel
cortile del palazzo era in atto il caos più totale.
Ehi, cosa diavolo…?
In quel momento,
avrei dovuto essere appiattita sotto alle macerie, e invece… Mi
voltai con un espressione che doveva essere al limite dello stupore.
Qualcuno mi teneva tra le braccia, sospesa a diverse centinaia di metri
dal suolo.
“Cosa? Che diavolo ci fai qui tu?!”
“Lina-Chan! È sempre un piacere rivederti! Buffa coincidenza ritrovarci in questo modo, non credi?”
Il sorriso beato
sul volto del demone era serafico come sempre, ma ancora prima di
rispondergli, ancora prima di chiedergli cosa stava succedendo, ancora
prima di tutto, un pensiero, un unico pensiero attraversò la mia
mente, già abbastanza provata:
Se Xellos era lì, qualcosa di grosso stava bollendo in pentola.
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Capitolo 6 *** Sussurri ***
capitolo 6
Sussurri
‘Chi
lotta con i mostri deve guardarsi dal diventare lui stesso un mostro. E
se scruterai a lungo in un abisso, anche l’abisso scruterà
dentro di te.’ (Al di là del bene e del male, Nietzsche)
C’era
polvere dappertutto. Nell’aria e sui miei vestiti. Ce
l’avevo negli occhi e nella gola. Starnutii mentre Xellos, con la
grazia e l’eleganza di un ballerino, posò i piedi a terra,
sempre tenendomi tra le braccia. Dovevo avere uno sguardo sconvolto,
perché il demone mi rivolse un’occhiata compiaciuta:
“Lina-Lina, non ti sarà per caso rimasta la lingua sotto
alle macerie? Ti ricordavo più loquace…”
Ridacchiò, depositandomi al suolo con un saltello. Barcollai,
incerta sulle gambe. Non mi ero ancora ripresa del tutto dallo
spavento. Insomma, mi ero già rassegnata a diventare poltiglia
sotto al peso di quella costruzione fatiscente, quando chissà da
dove spuntava quell’imbroglione di Xellos, che
all’improvviso aveva deciso di darsi agli atti caritatevoli.
C’era più di un motivo per dubitare della sua buona fede,
e l’unica soluzione possibile era…
“Cosa ti serve Xellos?” esclamai, dopo aver riacquisito una parvenza di stabilità.
Il demone mi
guardò scuotendo la testa, con un aria che, se non
l’avessi conosciuto, avrei osato definire offesa: “Lina! Mi
meraviglio di te! Come puoi pensare che io sia tanto meschino e subdolo
da salvarti solo per avere qualcosa in cambio?” domandò,
mentre quel ghigno diabolico che avevo imparato a conoscere tanto bene
affiorava sulle sue fredde labbra.
Sorrisi a mia
volta: “D’accordo, se è così allora
perché perdere tempo? Ti ringrazio per la tua
magnanimità, addio” tagliai corto, dandogli le spalle e
cominciando a incamminarmi verso il luogo del disastro, qualche
centinaio di metri avanti a me.
Non feci in tempo a fare nemmeno due passi, che in uno sbuffo di fumo il demone mi ricomparve davanti agli occhi.
Ecco, appunto.
Incrociai le braccia al petto, paziente, mentre Xellos sorrideva sornione a due centimetri dal mio naso:
“Cos’è
tutta questa fretta?” sussurrò con fare giocoso,
sollevandomi una ciocca di capelli e lasciandosela scorrere fra le
dita. Mi ritrassi, seccata: “Questa fretta dipende dal fatto che,
sai com’è, noi esseri umani dobbiamo lavorare per campare,
e si da il caso che, prima del tuo intervento tempestivo, io stessi per
l’appunto svolgendo un lavoro che ho intenzione di portare a
termine” dissi, irritata da quel suo sguardo perennemente
divertito.
Xellos fece un
passo indietro: “Bizzarro, a me risultava che prima del mio
intervento tu stessi per diventare polvere insieme al resto di quella
torretta. Ma forse mi sto sbagliando.”
Avvampai, indignata. Detestavo dover ammettere di non essermela saputa cavare da sola.
“Sono punti di vista…” borbottai a denti stretti, guardando altrove.
Xellos sollevò un sopracciglio. Io sbuffai:
“E va bene,
va bene... Per favore dimmi cosa vuoi da me e facciamola finita!”
sbottai, stanca di quel tira e molla. Era come cavare sangue da una
rapa.
Fu in quel
momento che il demone lasciò intravedere una mezzaluna dei suoi
occhi ametista. E vi assicuro che metteva i brividi quando lo faceva.
“Come ti ho già detto, Lina, non voglio niente da te.”
“Per chi mi hai preso, Xellos? Non sono nata ieri. Tu non fai mai niente per niente.”
Rimanemmo a fissarci per qualche secondo, immobili.
“Questa
volta sì. Ma la prossima volta cerca di prestare un po’
più di cautela a… dove metti i piedi. O le mani. Stai
attenta, insomma.”
Rimasi di stucco. Xellos che si preoccupava per me? Il mondo aveva iniziato a girare al contrario?
“Da quando
la mia incolumità è un tuo problema, Xellos? Avanti,
sputa il rospo. Questa proprio non me la bevo.”
Il demone
sospirò. “ Parlavo seriamente Lina, oggi hai rischiato di
morire come una pivella qualsiasi…” disse con aria grave,
scuotendo la testa.
“E non vedo
perché la cosa debba interessarti, visto che più di una
volta mi hai portato tu stesso ad un passo dalla morte!”
esclamai, per avvalorare la mia tesi che a lui, della mia vita, non
glie ne era mai importato particolarmente.
“Immagino
che, da un certo punto di vista, tu possa anche avere ragione. Ma in
questo caso, che tu ci creda o no, è meglio che ci resti, in
vita.” I suoi occhi non ammettevano repliche.
Cominciavo a
capire. Ma quello che mi premeva sapere era cosa centrasse lui in tutta
quella storia. Feci per chiedere altre spiegazioni, ma si era
già innalzato a un metro dal mio naso. Sventolò il
bastone in segno di saluto, diradando la leggera foschia che ci
avvolgeva, ultimo residuo del crollo da cui mi ero salvata. O meglio,
da cui mi aveva salvata. Questo significava che gli dovevo un favore?
Detestavo avere debiti, soprattutto con i demoni. Xellos iniziò
a svanire, ma prima che il suo corpo si traslasse in un’altra
dimensione riuscii a sentire le sue ultime parole: “Mi
raccomando Lina: stai A-T-T-E-N-T-A!”
Rimasi a fissare
il punto in cui si era eclissato, imbronciata. A Xellos, e ai suoi
superiori, la mia vita era tanto cara quanto un sasso nella scarpa, ma
se quel sasso poteva servire a qualcosa, conveniva loro cercare di
tenerselo buono. Questa era l’unica cosa che avevo colto di
quella che iniziava a profilarsi come una faccenda seria. Perché
quando i demoni vogliono qualcosa da te, è sempre una faccenda
dannatamente seria, maledizione.
Quando raggiunsi
il cortile del palazzo, coprendomi la bocca per non respirare le nuvole
di polvere che mi investivano ad ogni folata di vento, dovetti
constatare che l’incidente aveva provocato ben più danni
di quel che avessi immaginato: la torre si era sgretolata a terra, e
pur non essendo di eccessive dimensioni, i detriti coprivano una buona
parte del cortile. Mi parai gli occhi e provai a scrutare in quel
disastro, quando mi accorsi, con sommo sollievo, che dalla parte
opposta del cortile, ben lontana e riparata, si trovava la carrozza con
i suoi occupanti. A qualche metro Nayden dirigeva una piccola squadra
di soldati che, aiutati dai mercenari, e non senza pochi sforzi, si
stavano dando da fare per spostare le macerie. Joy, invece,cercava di
rassicurare la duchessa, che del resto, seduta in carrozza, non
sembrava minimamente turbata dall’accaduto, e vestiva invece
l’espressione seccata di chi abbia avuto un inutile e fastidioso
contrattempo.
“È
triste che ci abbia lasciato così presto, povera
ragazza…” stava dicendo, quando mi avvicinai.
Picchiai
energicamente con l’indice sulla sua schiena: “Joy, vuoi
spiegarmi cos’è questa storia?” esclamai. Quando si
voltò, per un istante, un solo istante, lessi la paura nel suo
sguardo. Si ritrasse di un passo, studiandomi meglio, poi sbatté
le palpebre: “Lina! Sei… viva?”
“Fino a prova contraria, e con tuo immenso dispiacere, devo constatare.”
Joy si riscosse.
“Che idiozie vai dicendo. È ovvio che sono felice di vedere che stai bene e che sei… ehm, viva.”
Da come mi
scrutava, avrei giurato che non ne fosse sicuro per davvero.
Allungò un braccio, posandolo sulla mia spalla. Solo a quel
punto vidi l’incertezza abbandonare i suoi occhi. Ero viva e
vegeta, purtroppo per lui.
Rebecca,
dall’abitacolo della carrozza, mi fissò con occhi
enigmatici e penetranti, e nelle sue parole c’era una lentezza
quasi esasperante quando disse: “ Sono felice che si sia salvata,
Lina Inverse. A quanto pare è vero quel che dicono su di lei, ha
nove vite come i gatti.”
Io mi accigliai:
“Già, ma lei dovrebbe rendersi conto che tenere un edifico
in quelle condizioni era già di per sé una sfida alla
morte…”
La duchessa non
si scompose: “Ne sono consapevole, signorina Inverse. Ma questo
è uno dei motivi per cui necessito di una scorta. Io e le mie
figlie siamo in pericolo di vita, e la dimostrazione di questo è
la tragica fine di mio marito.”
Rimasi di stucco
davanti a quella glaciale compostezza; poi mi ricordai di chi mi teneva
quella viscida mano ancora posata sulla spalla.
Con uno strattone
me lo tolsi di torno: “Invece di fare l’idiota, raduna gli
uomini, almeno cerchiamo di darci una mossa!” ringhiai. Tornai a
guardare verso la carrozza, ma la duchessa si era già ritirata
dietro alla tendina del vetro. Sospirai. “A proposito, dove
diavolo si è cacciato Gourry?”
Lo spadaccino non
si vedeva da nessuna parte. Rivolsi la mia attenzione verso Nayden e mi
diressi da lui. Quando fui arrivata abbastanza vicino, dovetti urlare
per fare in modo che mi sentisse tra la polvere e il fragore:
“Ehi Nayden, dov’è Gourry?”
Il mago,
che stava spostando una grossa pietra con un incantesimo, si
voltò verso di me, l’espressione confusa. Quando mi ebbe
riconosciuta, i suoi occhi brillarono di gioia: “Lina!”
gridò, e per poco quel grosso masso non rovinò su un uomo
che lavorava qualche metro sotto. Facendo uso della levitation mi
atterrò davanti al naso, sulle labbra un autentica espressione
di stupore: “Come accidenti hai fatto a non rimanere sotto alla
torre?” Mi chiese tutto d’un fiato, mentre sembrava
accertarsi con lo sguardo che fossi realmente davanti a lui in carne ed
ossa.
“È
un pochino lungo da spiegare, adesso dobbiamo darci una mossa. Fra non
molto non ci sarà più luce per viaggiare” tagliai
corto, tornando a rinnovare la mia domanda: “ Gourry che fine ha
fatto?”
Nayden
parve deluso dalla mia evasività; forse pensava che fossi
riuscita a salvarmi grazie a qualche strano e misterioso incantesimo
originale e voleva saperne di più, lo vedevo dal suo sguardo
luccicante; tuttavia, decise di tenersi per sé le sue domande:
“Da qualche parte, là in mezzo.” Indicò la
distesa di detriti. “Si è precipitato a salvarti, come
tutti noi. Perciò dovrebbe qui, da qualche parte. Immagino sia
convinto che tu sia ancora là sotto agonizzante…”
A quelle parole
impallidii. Nayden si grattò il mento, perplesso: “Chiamo
gli uomini a rapporto, così che possano avvisarlo che sei sana e
salva.”
Osservai le
macerie con il cuore in gola. Dei, c’era mancato così
poco… e chissà Gourry che spavento si era preso. La voce
di Nayden mi distolse da quei pensieri, senza far tuttavia scomparire
l’inquietudine: “Posso chiederti che tipo di incantesimo
hai utilizzato, Lina? Sono davvero curioso.”
Io scrollai
lievemente le spalle: “ Sai Nayden…” dissi, senza
smettere di osservare i resti della torre, alla ricerca di Gourry.
“ A volte non si tratta solo di incantesimi. A volte si tratta
anche di avere una certa…”
“Fortuna?”
Concluse il mago per me. Io rimasi in silenzio per alcuni secondi.
‘Fortuna’ non era esattamente la parola che avrei usato.
Forse avrei dovuto dire che si trattava di avere un certo genere di
amicizie, sempre che ‘amicizie’ fosse il termine
appropriato. Decisi che non lo era.
“Sì,
fortuna.” Conclusi infine. Non avevo nessuna intenzione di
rivelare quanto fossero ambigui i miei affari con i demoni,
né tantomeno spiegargli per quale motivo potessi vantare simili
illustri conoscenze tra i piani alti.
Fu in quel momento che la voce di Gourry sovrastò tutte le altre.
“Lina!”
esclamò, facendosi largo tra i calcinacci e le macerie. Era
completamente ricoperto di polvere e vidi che i suoi pantaloni
presentavano più di uno strappo. Ma i suoi occhi lasciavano
trasparire un enorme senso di sollievo.
“Lina, stai
bene?” domandò, afferrandomi per le braccia e guardandomi
negli occhi. Subito dopo si piegò, scrutandomi da tutte le
angolazioni. “Sei tutta intera” appurò quindi,
sospirando. Il suo sguardo tornò su di me: “Ma come
diavolo hai fatto? Io… Io ti ho visto sporgerti dalla
feritoia, e poi…” deglutì, “La torre è
venuta giù come un castello di carte, e…” La sua
voce si incrinò; sembrava voler dominare a tutti i costi
l’emozione. “Sei sicura di stare bene?”
sussurrò infine, scrutandomi apprensivo, mentre un grumo di
polvere gli si staccava dal ciuffo. Abbassando lo sguardo sulle sue
mani notai con sgomento che sanguinavano, e le unghie erano spezzate
sopra ai polpastrelli scarnificati. Aveva scavato tra le rovine fino a
ridurle in quello stato.
Oh, Gourry…
“Io sto
bene, Gourry. Tu, forse, un po’ meno…” dissi,
prendendo le sue mani tra le mie e rendendomi conto solo in quel
momento che Nayden era sempre al nostro fianco. Tossicchiai, eloquente,
e il mago intuì che era il caso di levarsi dai piedi.
“Vado a preparare la scorta!” Annunciò solenne, dopodiché girò i tacchi e si incamminò.
Avvertivo il tepore delle dita di Gourry nei miei palmi. Le sentivo calde, anche attraverso la stoffa dei guanti.
“Fammi dare
un’occhiata a queste, mi sembrano piuttosto malconce”
dissi, evitando lo sguardo dello spadaccino.
“Ah,
d’accordo, grazie…” rispose lui, rendendosi conto
solo in quel momento del disastro che aveva combinato. Io sospirai: era
sempre il solito.
Mentre il Recovery faceva effetto sentii gli occhi di Gourry su di me.
“Lina,
so che dopo anni può sembrare una domanda retorica, ma…
Come accidenti hai fatto a uscire prima che la torre si sbriciolasse?
Questa volta ti giuro che…” Non riuscì a terminare
la frase e mi accorsi che era terribilmente pallido.
Mi guardai
attorno, ma nessuno poteva essere abbastanza vicino da sentirci,
così gli raccontai di Xellos. Gourry non si ricordava di Xellos,
e questa non era una novità; alla fine riuscì a
ricordarsi chi fosse quando gli rammentai alcune delle nostre
più celebri disavventure, e a quel punto lo vidi grattarsi la
fronte, dubbioso: “Già, ma quel tizio non aveva tentato
lui stesso di imbrogliarti o venderti più di una volta?”
Benché avessi appena finito di curarlo gli diedi una manata sulla fronte.
“Sveglia Gourry! È proprio questa la cosa sospetta!”
“Giusto”
considerò lui. Si guardò le mani, flettendo le dita, e mi
sorrise dolcemente. “Grazie.”
Feci spallucce.
“Figurati,
normale amministrazione” risposi, evitando di pensare a quante
cose sarebbero cambiate quando sarei stata di nuovo sola. “Ora
andiamo…”
A qualche metro
da noi Joy ci osservava con ostilità, indicando con impazienza
la carrozza e l’imbocco del ponte levatoio.
“Lina…”
Lo spadaccino mi bloccò mentre stavo per dargli le spalle, ma
non feci in tempo a voltarmi che la sua mano scese affettuosa a
scompigliarmi i capelli:
“Sono
contento che tu sia bene. Questa volta, mi hai fatto davvero
preoccupare…” disse, strizzandomi l’occhio.
Sapeva che dicevo
di detestare quel gesto. E sapeva anche benissimo che protestavo solo
per consuetudine, perché oramai mi ci ero talmente
abituata…
Mi ci ero affezionata, ecco.
Quando
raggiungemmo la scorta Joy mi guardò in cagnesco,
dopodiché si affrettò a dire a Gourry che era stato lui
il primo a sapere che stavo bene e che si era affrettato a divulgare
l’informazione a tutto l’esercito. Era davvero, davvero
felice di avermi scoperto sana e salva. Ma chi voleva darla a bere?
Sapevamo bene tutti e due che se fossi rimasta seppellita viva quel
giorno, l’unico problema di Joy sarebbe stato solo quello di
trovare un buon vino d’annata col quale festeggiare il lieto
evento. Ricambiai l’occhiata furente quando, sbucando alle mie
spalle, due enormi mani mi afferrarono, sollevandomi da terra.
“Pulcino!”
Esclamò una voce tonante “Credevo tu fossi ormai in
bricioline, e invece sei sana e salva, grazie agli dei!”
Nel tentativo di
liberarmi dalla morsa letale di Herman sgambettai, a un metro dal
suolo, e provai a biascicare: “Soff…oco”
Alla fine il
mercenario si rese conto che la sua gioia di vedermi sarebbe durata
poco se non mi avesse lasciata immediatamente andare, così mi
mollò, facendomi cadere a terra con un tonfo.
Quando provai a
rialzarmi, massaggiandomi fondoschiena e collo, il volto
rubicondo di Hermann era di nuovo davanti al mio naso:
“Sei tutta intera, vero polpetta?”
“Polpetta?”
domandai, aggrottando le sopracciglia. “Comunque ero tutta
intera, prima che tu mi mostrassi il tuo entusiasmo Herman”
conclusi, scrollandomi la polvere.
L’omone a
quel punto mi guardò severamente: “Che idee, entrare in
una torre fatiscente solo per recuperare quella bestiaccia! Potevi
rimanerci secca, ti rendi conto?”
Uhm, in effetti se non mi illuminavi non ci sarei mai arrivata, testone.
“Herman…”
Protestai, scocciata dal suo atteggiamento paternale, ma alla fine
rinunciai. Evidentemente quella sottospecie di troll pareva avermi
eletto a sua personale pupilla.
“Come puoi
constatare sono ancora tutta intera, ci vuole ben altro per mettere
fuori gioco Lina Inverse!” esclamai, dandogli una pacca sul
possente braccio. Non mi sfuggì l’occhiata al cielo che
lanciò Joy passandoci a fianco e intimando a Hermann di
mettersi in fila con gli altri soldati.
Lo incenerii con
lo sguardo, ma in quel momento la mia attenzione venne catturata da ben
altri occhi, che mi scrutavano attraverso il vetro della carrozza.
Anouk teneva Babette sulle ginocchia, carezzandole la morbida testa,
mentre i suoi occhi mi osservavano con una strana curiosità,
sotto al perenne velo di sottile malinconia; quando si accorse che
stavo ricambiando il suo sguardo appoggiò piano una mano al
freddo vetro della vettura. Sembrava volermi dire parole che la sua
bocca non poteva pronunciare, quando, con un rapido movimento la mano
della duchessa arrivò a tirare la tendina, interrompendo il
nostro contatto visivo. Eppure quegli occhi, durante il viaggio,
mi sarebbero tornati alla mente più e più volte, insieme
alla miriade di domande che continuavo a pormi su quella missione piena
di incognite, che lentamente si stava rivelando più ostica di
quel che mi fossi aspettata.
Due giorni
dopo, in ogni caso, avevo quasi del tutto allontanato da me sospetti e
timori: il viaggio era di una noia mortale e, secondo il mio modesto
parere, la duchessa avrebbe anche potuto evitarsi le spese di una
scorta, dato che eravamo praticamente alle porte di Sailunne e il
pericolo più grande che ci eravamo trovati ad affrontare era
stato quello di imbatterci in un piccolo branco di cinghiali selvatici,
che tra l’altro erano miseramente fuggiti davanti agli sguardi
ingordi e famelici dei mercenari. Insomma, non era successo niente di
niente. La mia unica preoccupazione, a quel punto, era quella di
intascarmi i soldi e accomodarmi alla tavola di Phil per essere
informata sulle ultime novità mentre mi riempivo lo stomaco.
Sospirai,
scalciando lontano un ramo secco che giaceva sul sentiero, mentre la
mia mente già rincorreva patate al burro e arrosti, bagni caldi
e soffici materassi. Non fraintendetemi: adoravo la mia vita selvatica
e vagabonda. Niente ti permette di vedere il mondo meglio delle tue
gambe, anche se il prezzo da pagare per questa vita di libertà
era ovviamente qualche piccolo sacrificio in termini di
comodità. Ma quando capitava non disdegnavo certo il privilegio
dell’ospitalità, anzi.
Senza contare che
l’arrivo a Sailunne mi avrebbe finalmente permesso di liberarmi
di tutta quella gente con cui viaggiavo ormai da giorni. Per
quanto…
Digrignai i
denti, osservando come Joy, a qualche metro da me, cavalcasse
baldanzoso al fianco della carrozza. Era l’unico ad avere il
privilegio di viaggiare in sella ad un destriero, dato che si definiva
(non capivo ancora per quale motivo) il ‘capo’. Ma non mi
interessava, ancora poche miglia, e sarei stata finalmente risparmiata
dalla sua orrenda compagnia.
E da quella di Gourry.
Mi incupii.
Faceva male e io non volevo stare male. Detestavo sentirmi debole e in
balia degli eventi, così avevo deciso che me ne sarei fatta una
ragione il prima possibile e avrei continuato a vivere la mia vita
senza indugi. Del resto, prima di incontrare Gourry, me la ero sempre
cavata egregiamente da sola. Chi gli aveva chiesto di auto-proclamarsi
mia guardia del corpo? Non di certo io. Non mi serviva una guardia del
corpo, perciò ne avrei fatto tranquillamente a meno. Non faceva
una piega.
Mi schiarii
la voce per dare tregua alla mia crescente irritazione, e scalciai una
pigna, che ruzzolò avanti a me, tra le gambe di Nayden.
“Nervosa?” Mi chiese il mago con un sorriso, chinandosi a prendere la pigna tra le mani.
Feci spallucce:
“Sono solo annoiata, questo è stato decisamente uno dei
lavori più barbosi che abbia mai accettato…”
borbottai.
Nayden
soppesò la pigna: “Da quel che so di te, Lina, sei una
tipa combattiva, è ovvio che un lavoro da scorta mal si adatti
al tuo carattere.”
“Già. Ma è un guadagno facile, quindi non lo disdegno” replicai, grattandomi una guancia.
Nayden
sospirò: “ Ad ogni modo, non è che il viaggio sia
stato proprio povero di avvenimenti, visto che per poco non sei rimasta
schiacciata sotto quella torre…” buttò lì,
con noncuranza. “Ma forse per te cose del genere sono
all’ordine del giorno, dico bene?”
Io mi rabbuiai:
“Non proprio. O meglio, mi sono successe cose molto peggiori, in
passato, ma non è così che vorrei che andasse. Sembra che
io attiri i guai come una calamita, ma giuro che non vado a cercarmeli.
Non sempre, almeno.”
Rimanemmo in
silenzio alcuni secondi, poi fu il mio turno di importunarlo con le
domande: “Ora che la missione è conclusa, tu che farai?
Continuerai a fare da balia a Joy?” gli domandai.
Nayden rise di
gusto: “No, che gli dei me ne scampino! Credo che
aspetterò la divisione del guadagno, e leverò saggiamente
le tende. Oppure, chissà, potrei anche scegliere di fermarmi a
Sailunne per qualche tempo, ho sentito che le sue biblioteche sono
molto ben fornite, e inoltre…” Si bloccò, e il suo
sguardo cercò la carrozza su cui viaggiavano la duchessa e le
figlie; lo sguardo di Nayden si fece pensieroso: “Forse potrei
essere d’aiuto, in qualche modo…” La sua frase
faceva chiaramente intendere che non aveva ancora accantonato i suoi
piani su Camelia. Il mago, infatti, le era stato dietro come un
cagnolino da quando eravamo partiti, ma dagli atteggiamenti arroganti
della ragazza, deducevo che le sue aspettative non erano ancora state
soddisfatte. Per uno come Nayden, quella sfida doveva essere una cosa
non da poco conto. Si voltò verso di me: “ Tu invece che
farai? Ho sentito dire che Gabriev si unirà alla compagnia di
Joy, una volta terminata la missione…”
Il mio cuore perse un colpo.
“Chi…
Chi te l’ha detto?” Chiesi, cercando di mantenere una certa
indifferenza. Nayden mi sbirciò con la coda dell’occhio:
“Voci che girano tra gli uomini. Qualcuno ha chiesto se ti
saresti unita anche tu…”
“Dubito
fortemente che accadrà” risposi, accigliata. “Non mi
unirei a Joy nemmeno se mi pagassero mille monete d’oro per ogni
secondo in cui respiro la sua aria!”
Nayden sorrise.
“Sì,
l’avevo intuito che non correva buon sangue tra di voi. Quindi,
se non ripartirai con i mercenari, potresti considerare l’idea di
fermarti a tua volta a Sailunne?”
“Perché
no? Ho molti amici a Sailunne, non è un’ipotesi da
scartare…” mormorai, sentendo un nodo stringermi la gola.
Con una punta di panico mi resi conto che ero sull’orlo delle
lacrime e mi affrettai a guardare verso il cielo, per impedire che
scendessero sulle mie guance. Non volevo piangere. Non più di
quanto avessi fatto da quando Gourry mi aveva comunicato l’amara
notizia. Mi sembrava di non aver mai versato tante lacrime da quando
ero ancora una poppante in fasce. E questo dimostrava la mia teoria:
piangere non serviva a niente. A niente. Gourry se ne sarebbe andato
comunque, e avrei anche potuto affogarci, nelle mie dannate lacrime.
Nayden, però, era un tipo con una vista maledettamente buona.
“Ti senti bene, Lina? Hai gli occhi rossi.”
“Sto bene,
è solo… il vento” balbettai, mentre una lacrima
faceva capolino. “Allergia!” aggiunsi quindi. “Sono
allergica ai… ai licheni” conclusi, impacciata,
asciugandomi la guancia con il dorso della mano. “E qui è
pieno di dannati licheni!”
Nayden si
guardò attorno perplesso, ma scelse saggiamente di non fare
commenti. Vi assicuro che avevo ucciso per molto meno. Lo vidi frugare
nel mantello ed estrarre un fazzoletto candido.
“Tienilo pure” disse, porgendomelo.
Lo accettai piena
di gratitudine, per quanto imbarazzata. Nayden doveva avere una scorta
pressoché illimitata di fazzoletti nelle tasche, con tutte le
donne che riduceva in lacrime.
Mi soffiai il naso, asciugandomi gli occhi.
“Grazie” mormorai, con un timido sorriso.
In quel momento,
una voce alle nostre spalle ci interruppe: “Lina” Gourry ci
si affiancò, lo sguardo accigliato. Mi chiesi se avesse
assistito a quell’ultimo scambio di battute tra me e Nayden, e
l’occhiata torva che rivolse al mago parve confermarmelo.
“Joy dice di fermarsi per una pausa, prima dell’ultimo
tratto fino a Sailunne. I cavalli sono stanchi e le duchesse desiderano
scendere a sgranchirsi le gambe…” disse, senza mutare
l’espressione tesa. Io mi ricomposi, e al nome ‘Joy’
sentii bruciare i lobi delle orecchie tanta era la rabbia che covavo
verso quell’individuo.
Nayden, vedendo
Camelia che si apprestava a scendere dalla carrozza, si scusò,
superandoci. Voleva essere tanto veloce da arrivare a porgerle la mano
anche a costo di rompersi l’osso del collo, dedussi a giudicare
dalla rapidità con cui si era volatilizzato. Io e Gourry
rimanemmo immobili, senza guardarci.
Dall’episodio
della torre non avevamo più litigato come i giorni precedenti;
ma, in realtà, non avevamo nemmeno parlato molto. Spesso lo
sorprendevo a osservarmi, lo sguardo teso, e capivo che si sentiva in
colpa per come si erano messe le cose. Perciò affettavo
indifferenza, fingevo che non mi importasse, volevo renderlo libero. Se
avesse saputo quanto mi costava lasciarlo andare si sarebbe fatto degli
scrupoli. Ma era proprio quello che volevo evitare perché…
Beh,
perché Gourry era stato libero di scegliere, e la sua scelta non
ero stata io. Questo era già abbastanza umiliante da mandare
giù senza che ferissi il mio orgoglio supplicandolo di non
lasciarmi. Non avrei fiatato, anche a costo di vederlo allontanarsi
senza una parola.
Fu Gourry a spezzare il silenzio.
“Tu e Nayden andate molto d’accordo, mi pare.”
“Sì, perché?” Replicai, incrociando le braccia.
Gourry ebbe un sussulto, e abbassò lo sguardo. “Nulla, mi fa piacere, tutto qua.”
Io lo guardai
storto: “Mi fa piacere che ti faccia piacere.” Ribattei a
mia volta. Giuro che non avevo la più pallida idea del
perché stessimo sprecando tempo in quel patetico scambio di
battute, forse Gourry avrebbe gradito andarsene per i fatti suoi e
godere di quella pausa come meglio credeva, ma le circostanze glie lo
impedivano? Non lo riconoscevo più. Non ci riconoscevo
più.
Ma a quel punto
Gourry ebbe finalmente la compiacenza di voltarsi verso di me, i suoi
occhi azzurri mi trapassarono da parte a parte e per un breve attimo
vacillai.
“Lina”
Disse “Sono contento che tu abbia trovato una persona che
condivide i tuoi interessi e con cui stai bene. Ecco… poco fa,
pur non volendolo, ho ascoltato i vostri discorsi e…” Ora
sembrava a corto di parole. “Ti fermerai con lui a Sailunne?
Perché… lascia che ti dica che la trovo un’ottima
idea” buttò lì, con aria poco convinta. In
realtà sembrava arrabbiato e non capivo perché, dato che
ero io quella che stava per essere piantata in asso.
Aggrottai le sopracciglia, senza sapere cosa replicare.
“Non capisco dove vuoi arrivare…” dissi, infine, confusa.
“Nayden è… bello, e colto, Lina. Vi vedo così in sintonia…”
All’improvviso capii. Quel cretino.
“Mi stai dando la tua benedizione, Gourry?” domandai, avvampando di rabbia.
“No,
io…” Gourry sbatté le palpebre, improvvisamente
insicuro. Ma insomma, che diavolo gli prendeva? Prima si faceva da
parte per lasciarmi libera di innamorarmi e trovare il mio principe
azzurro, e adesso voleva appiopparmi Nayden? Era troppo.
“Sei proprio un idiota, Gourry” dissi, dandogli le spalle e allontanandomi nel fitto della boscaglia.
Vagai tra gli
alberi per un tempo sufficiente a fare sbollire la collera che avevo
addosso, spezzando rami e prendendo a calci i cumuli di neve. Ero
furibonda. Con Joy, con Gourry e con me stessa. Joy era solo un
fallito, eppure era riuscito a colpire in un punto che non mi ero mai
curata di proteggere a sufficienza dagli scontri dei nemici, e questo
mi faceva rabbia. Mi ero costruita una fama degna del nome che portavo
con le mie gesta, ma avevo trascurato di nascondere il mio cuore dietro
un muro invalicabile e adesso quel maledetto me la stava facendo
scontare.
Sedendo su un
masso, ripensai a Phibrizio. Il rumore sordo del vetro che si incrinava
mi rimbombava ancora nelle orecchie come una fucilata quando ci
ripensavo. Prima avevo mentito. L’ultima volta che avevo versato
tutte quelle lacrime era più vicina di quanto avessi voluto
ricordare. Avevo pianto, in quei giorni, tanto da non ricordare nemmeno
più quante lacrime mi avessero rigato le guance. Avevo pianto
quando il Principe degli Inferi aveva portato Gourry con sé, le
notti in cui il suo volto mi era apparso tra le tenebre degli incubi
più atroci, e avevo pianto all’alba che sorgeva sul giorno
in cui tutto, nel bene o nel male, si sarebbe risolto. Poi col tempo
avevo dimenticato quella sensazione di smarrimento e disperazione in
cui i giorni senza Gourry mi avevano gettata. Averlo nuovamente al mio
fianco aveva fatto scomparire angosce e incubi, e il tempo aveva
cancellato quei giorni di dolore. Fino a quel momento.
Ma questa volta
non combattevo contro demoni e mostri. E per quanto avrei potuto
definire mostruoso Joy dovevo ammettere con me stessa che non era lui
il vero problema. Gourry aveva compiuto quella scelta consapevolmente,
cos’altro si poteva aggiungere? Mi sollevai dal masso e,
mestamente, tornai all’accampamento.
Joy aveva scelto
come luogo della sosta una radura che sbucava sulle sponde di un
laghetto ghiacciato. Quando arrivai in prossimità del campo
notai che gli uomini si erano dati da fare per accendere un fuoco, e ci
stavano radunati intorno, le dita allungate verso le esili fiamme.
L’aria sapeva di neve e dalle loro bocche uscivano nuvole di
fiato tiepido. Discoste sedevano Rebecca e Camelia, avvolte in pesanti
ed eleganti cappe, davanti ad un altro fuoco che Nayden si era
premurato di creare, e che teneva ravvivato grazie alla magia.
Mi avvicinai al
gruppo dei mercenari e senza dire una parola mi lasciai scivolare
seduta davanti al fuoco che, per quanto vivo, non era di alcun conforto
al gelo che sentivo dentro. Recuperai da una sacca alcuni pezzi di
carne essiccata e del pane di segale e iniziai a masticare lentamente.
La mia fame non si placò con quel misero pasto, ma almeno la
rabbia era sbollita in parte. Erano giorni che combattevo quella
silenziosa battaglia, altalenando tra sentimenti diametralmente opposti
di rivalsa e nero sconforto. Finalmente eravamo giunti alla conclusione
di quel nefasto viaggio.
Finito lo
spuntino mi sollevai, scrollandomi di dosso le briciole, e decisi di
fare due passi per schiarirmi le idee prima che ci rimettessimo in
marcia. A Joy non sfuggirono le mie intenzioni: “Lina, se stai
cercando il modo di perderti prima della partenza, ti avviso che non
avremo la cortesia di aspettarti.”
Ecco, quella era
una di quelle situazioni in cui un Dragon Slave avrebbe risolto il
problema alla radice. Tuttavia, decisi di ignorarlo, non avevo forse
deciso che avrei evitato di farmi avvelenare la giornata dalla sua
odiosa presenza?
Percorsi alcuni metri a ridosso del lago quasi di corsa.
“Fireballs!”
Il mio urlo si levò tra gli alberi, mentre il globo infuocato si
perdeva sulla liscia superficie ghiacciata, saettando dalla mia mano
con tutta la forza di cui ero capace. Era una cosa sciocca, ne ero ben
consapevole, ma nessuno mi vietava di sfogarmi come potevo; la magia
era sempre stata la mia valvola di sfiato e, in effetti, dopo aver
scagliato l’incantesimo contro ad un invisibile nemico, che nella
mia mente assomigliava molto a un mercenario di mia conoscenza, mi
sentii un po’meglio. Almeno fino a quando non mi resi conto di
avere spettatori.
Mi voltai di
scatto, certa di avere degli occhi puntati alla schiena, e scorsi
Anouk, accoccolata tra le foglie e la neve. Tra le sue braccia Babette
faceva altrettanto, il pelo irto sulla schiena. Mi sentii morire di
imbarazzo: dovevo averla terrorizzata a morte con
quell’incantesimo aggressivo e gratuito scagliato contro nessuno
a pochi passi da lei. Immaginavo che quella bambina avesse avuto
già abbastanza traumi nella sua corta vita senza che ne
aggiungessi altri, così mi prodigai in scuse e spiegazioni, per
cercare di salvare almeno quel minimo di apparenza e non passare per
una svitata.
“Anouk, non
avevo proprio idea che tu fossi qui! Ecco, io mi stavo esercitando
ma… se avessi saputo che eri qui non avrei mai…”
Infilavo una scusa dietro l’altra senza preoccuparmi troppo di
dare un senso logico all’intera sequenza, ma a metà della
mia arringa mi resi conto che avrei anche potuto rivelarle che ero
lì per distruggere il mondo, ad Anouk non sarebbe importato. La
bambina infatti, dopo aver ascoltato le mie prime parole si era
nuovamente voltata verso il lago, estraniandosi come aveva fatto per
tutto il tempo del viaggio, mentre Babette aveva ripreso a fare
docilmente le fusa tra le sue braccia. Io rimasi alcuni secondi a
torcermi le mani alle sue spalle, dopodiché decisi che
avrei potuto sedermi al suo fianco così come avrei potuto
andarmene, e optai per la prima soluzione. Scivolai silenziosa tra le
foglie umide di neve, riempiendomi la vista con il panorama ghiacciato
che si estendeva davanti al nostro naso, mentre una leggera brezza
aveva preso a tirare facendo ondeggiare i nostri capelli.
Tutto era immobile, tutto era silenzio.
E
all’improvviso provai quel senso di pace che avevo tanto cercato,
senza trovarlo, in quei giorni. Quella sensazione che era rassegnazione
e arrendevolezza allo stesso tempo. Gourry se ne sarebbe andato, e io
mi ero imposta di non ostacolare la sua decisione. Non potevo
combattere tutte le guerre del mondo. Se i nostri giorni insieme erano
finiti, dovevo accettarlo, non potevo prendermela con nessuno.
Mentre ero
assorta in quei pensieri altamente filosofici, sentii che Anouk al mio
fianco si faceva più vicina. Lasciò andare Babette, che
con un salto si accoccolò a terra annusando il terriccio e le
radici dei pini. La bambina nascose le mani nel manicotto che portava
appeso alla cinta, e la vidi stringere le spalle sotto le sferzate di
vento, provando l’inspiegabile sensazione di stringerle un
braccio attorno alle sue esili spalle per riscaldarla: Anouk mi
ispirava un infinito senso di protezione, così piccola ed
inerme, con quel viso sfigurato e chiusa nel suo mutismo.
“Se senti
freddo, Anouk, possiamo tornare
all’accampamento…”provai a dire, senza aspettarmi
tuttavia una risposta che in effetti non arrivò. Anouk rimase
immobile, ma con stupore vidi la sua piccola mano uscire dal manicotto
per stringere un lembo del mio mantello. La scrutai, ma non guardava
me, e se anche l’avesse fatto, cosa avrei potuto leggere nei suoi
occhi scuri e disperati? Anouk era ermetica, prigioniera di incubi che
non poteva raccontare, lo sentivo, e in quel momento avvertii una forte
connessione con quell’essere indifeso, incapace di chiedere
aiuto, ma risoluto nella sua disfatta. Così abbassai la mano e
presi le sue dita gelide tra le mie, cercando qualcosa di intelligente
da dire per convincerla a seguirmi nell’accampamento, dove almeno
avrebbe potuto sedere davanti al fuoco; le sua guance erano davvero
troppo pallide. Babette nel frattempo scorazzava indisturbata tra i
cespugli, facendosi le unghie sugli alberi e rincorrendo le foglie
sollevate dal vento; sembrava essersi ambientata bene ai disagi del
viaggio nella cesta, dato che dopo la prima fuga iniziale, che mi era
quasi costata la vita, era diventata docile e buona. La osservavo
balzare salti verso un improbabile preda, godendo di quegli attimi di
libertà lontano dalla carrozza, quando improvvisamente
planò su di noi un ignaro pennuto, andando a becchettare
inconsapevole sulla superficie ghiacciata. In meno di mezzo secondo
Babette era già pronta a spiccare il balzo sullo sventurato,
mentre le sue zampe vellutate scivolavano sublimi sul ghiaccio.
Inseguì l’uccello per diversi metri, mentre questo si
concedeva ti tanto in tanto un battito d’ali che gli consentiva
di guadagnare un discreto vantaggio. La gatta tuttavia non demordeva, e
mi costrinse ad aguzzare la vista per scorgerla sul lago: una
minuscola macchia argentata nel bianco. Fu la stretta di Anouk nella
mia mano a riportarmi alla realtà: la bambina, che si era
accorta di dove fosse arrivato il suo gatto, pareva disperata, e mi
costrinse a provare a chiamare indietro il felino furfante.
“Babette
torna qua!” Gridai, devo ammettere, con assai poca convinzione.
Quando mai un gatto ha risposto a un richiamo? Quello, poi, stava
iniziando sul serio a darmi sui nervi.
Quando
l’uccello volò via, forse spaventato dal suono della mia
voce, Babette si voltò verso di noi emettendo un fievole
miagolio. La gatta non doveva essersi resa conto di tutta la strada che
aveva percorso su quel sentiero ghiacciato, inebriata dal pensiero
della caccia, e ora era restia a ripercorrere la strada in senso
opposto.
Anouk aveva
serrato la mascella, e la vedevo stringere le mani, mentre guardava il
suo gattino che miagolava in lontananza. Sospirando mi sollevai:
“Anouk, stai qui e non ti muovere. Vado a riprendere
Babette…” dissi, chiedendomi se avrei avuto un futuro come
acchiappa-animali: quel gatto mi stava dando davvero del filo da
torcere.
Arrivando in
prossimità del lago provai a tastarne la superficie con la punta
dello stivale: il ghiaccio era spesso, ma preferivo non correre rischi.
“Levitation!”
esclamai, levandomi in volo. Arrivai senza problemi fin nel punto in
cui la gatta mi osservava tirando indietro le orecchie e soffiando, non
doveva avere una particolare predilezione per la magia quella bestia,
pensai, mentre atterravo al suo fianco e allungavo le mani per
catturarla. Non avevo ancora fatto in tempo a sfiorarne la lucida
pelliccia che una voce, dalla riva, mi distolse da
quell’operazione: “Lina!”
Voltandomi vidi
lo spadaccino che teneva una mano sulla spalla di Anouk, e guardava
nella mia direzione. Digrignai i denti: “fantastico, ecco
Cupido” borbottai tra me e me, tentando di riconcentrarmi sulla
gatta. Ero ancora arrabbiata con lui per come aveva cercato di indurmi
a pensare che io e Nayden potessimo costituire una bella coppia, in sua
assenza. La gatta, che era appena sfuggita al mio ennesimo
tentativo di catturarla, mi osservava a qualche passo di distanza, con
quello che avrei quasi osato definire uno sguardo umano, tanto
esprimeva terrore e riluttanza. “Perfetto, ci mancava solo
quest…” Non terminai la frase, un colpo secco mi
lasciò paralizzata.
Deglutendo, e
cercando di muovermi il meno possibile lanciai un’occhiata
smarrita al punto da cui proveniva quello schiocco, e con rammarico
dovetti constatare di averci visto giusto: il ghiaccio intorno a me si
stava spezzando. Guardai verso Babette, che si rannicchiava su una
piastra di ghiaccio staccatasi dalle altre, cercando di mantenersi in
equilibrio, e provai a recitare la formula delle freeze arrows, nel
tentativo di ricompattare le zolle. Ma non fui abbastanza veloce. Il
ghiaccio su cui posavo i piedi si sgretolò di colpo, e senza
darmi il tempo di sollevarmi in volo, mi lasciò precipitare
nell’acqua gelata.
L’impatto
iniziale fu tremendo, scesi giù di qualche metro, mentre il
freddo mi penetrava tra i vestiti, lasciandomi senza fiato, intontita.
Poi la coscienza ebbe la meglio, e cercai di risalire, annaspando tra i
detriti e le schegge di ghiaccio che scendevano a fondo. Vedevo la luce
penetrare debolmente dalla fessura che si era aperta nel punto in cui
ero precipitata, mancava poco alla superficie, e stringendo i denti mi
imposi di non pensare al freddo che mi impediva movimenti più
fluidi, né alla scarsa scorta di ossigeno che ancora conservavo
nei polmoni. Tesi la mano verso la luce quando ebbi raggiunto la crosta
di ghiaccio, cercando il punto in cui si schiudeva, ma non trovai
alcuna apertura. Con foga provai a spingere quel coperchio di ghiaccio
che mi impediva di risalire, mentre le ultime bolle di ossigeno si
disperdevano miseramente nel mio inutile tentativo di ritrovare il
punto in cui la crosta si era spezzata, ma tutto fu vano.
Il ghiaccio si
era richiuso, e mi aveva imprigionata in quell’inferno di gelo da
cui probabilmente non sarei più emersa.
Lottando
furiosamente con le mie ultime energie per non affondare nelle tenebre
di quella trappola, cercai un qualsiasi spiraglio di ossigeno,
consapevole che non avrei potuto lanciare nessun incantesimo per
scongiurare quella sorte tremenda, quando lo vidi.
Al di là
della trasparente barriera che mi separava dal mondo, Gourry si era
inginocchiato scostando furiosamente il nevischio, e quando i suoi
occhi avevano incrociato i miei, disperati, sotto la coltre di ghiaccio
il suo volto aveva assunto un’espressione terrorizzata che solo
in rare occasioni mi pareva di avergli visto vestire. Con gli ultimi
stralci di coscienza lo vidi estrarre la spada, e piantarla con
violenza nel ghiaccio, una, due, tre, infinite volte, inutilmente. Il
ghiaccio non si scalfiva. Ero ormai quasi certa che quella fosse la
fine. Il freddo mi intorpidiva braccia e gambe, non avvertivo ormai
nemmeno più il tremore che mi aveva scosso in precedenza. Se
anche avessi voluto lottare ancora per rimanere attaccata alla
superficie, non ne avrei avuta l’energia. Le ultime bolle
d’aria che mi rimanevano mi uscirono dalle labbra come un sospiro
mentre l’acqua gelata mi invadeva la gola, e la luce che vedevo,
sempre più lontana, si spense lentamente. L’unico
rammarico che conservavo era per Gourry che ancora pensava di farcela a
tirarmi fuori da lì, quando era chiaro che non c’era
più nulla da fare. Stavo annegando.
Alla fine anche
l’ultimo pensiero si spense in me e, chiudendo gli occhi, ebbi la
certezza di essere morta. Non avvertivo più freddo, né
dolore. C’era solo silenzio, un magnifico, meraviglioso silenzio.
E un profumo delizioso mi invase improvvisamente le narici: erano
fiori, fiori gialli. Non riuscivo a vederli, ma sapevo che
c’erano, mazzi e mazzi di fiori, con quel loro profumo
sconosciuto, eppure, improvvisamente familiare. Provai ad allungare una
mano nell’oscurità, i miei muscoli non erano più
doloranti e sentivo un’inspiegabile leggerezza in me. Osservai il
mio braccio muoversi tra le tenebre, si spostava con incredibile
lentezza, e una larga manica di seta candida lo rivestiva; la notai
quasi distrattamente, mentre mi divertivo a vedere quella stoffa
preziosa che si increspava per poi distendersi a ogni mio movimento.
Tutto mi sembrava estremamente piacevole, e giusto, come in quei sogni
in cui ogni cosa, anche la più strana, ha un suo perché.
Poi la sentii,
quella voce che mi chiamava, salendo dalle tenebre di quell’acqua
ghiacciata, che mi cullava dolcemente, nella mia discesa verso il
fondo.
Mi chiamava, mi voleva.
Il sorriso scomparve dalle mie labbra.
Potevo resisterle, ma sapevo che non lo avrei fatto.
Ero soggiogata, affascinata, incuriosita.
Allungai una mano
verso l’oscurità, le mie dita si stendevano, per
afferrare l’inevitabile, poi mi bloccai.
E se non fosse stato giusto, cedere a quel richiamo?
E se il prezzo da pagare per scoprire di cosa si trattava, fosse stato troppo elevato?
Tentennai. La mano ancora oscillante a mezz’aria, tesa davanti a me.
Quello era il limite umano, la linea di confine. Varcarla, comportava accedere a qualcosa di unico. Unico e immenso…
Non era il coraggio che mi mancava, ma qualcosa mi frenava, tenendomi ad appena un passo dal margine estremo.
Era
l’ultimo bagliore di una coscienza che credevo ormai perduta in
quella discesa interminabile, era un rumore offuscato, velato, che si
opponeva a quel richiamo irresistibile fatto di sogni proibiti, parole
sussurrate e profumo di fiori…
Chiusi gli occhi.
Non ero abbastanza risoluta da decidere, ma volevo vedere, volevo
sapere cosa si celava oltre quel confine…
Solo per un istante…
Ma qualcun altro decise per me, e in un attimo mi sentii strappare via da quel richiamo.
Capivo che mi
stavo allontanando rapidamente, e che chiunque mi stesse aspettando
oltre quel limite non si sarebbe rassegnato facilmente. Mi avrebbe
aspettato, con la pazienza degli esseri senza tempo, accucciato
nell’immobilità dell’inevitabile.
Mi avrebbe aspettato.
Dopo la mia
risalita, il primo rumore che arrivò ovattato alle mie orecchie
tappate di acqua gelata, fu il lieve tintinnio di un campanello, mentre
il riverbero del sole accecava le mie palpebre rimaste
all’oscurità più del dovuto. Poi qualcosa di molto
duro e doloroso colpì la mia schiena, più e più
volte, costringendomi a voltarmi, mentre un fiume d’acqua mi si
riversava fuori dalla gola e dai polmoni brucianti. Appoggiai le mani
contro il suolo stabile e continuai a tossire e a vomitare acqua
ghiacciata, senza trovare neppure il tempo di riprendere fiato. Era
davvero impressionante quanta ne fossi riuscita a ingurgitare…
Provai ad aprire
gli occhi, ma una quantità di macchie nere argentate riempirono
il mio campo visivo, così desistetti e mi abbandonai al suolo,
esausta, prima che qualcosa di caldo e asciutto arrivasse ad avvolgermi.
“Respira,
siano ringrazi ari gli dei…” disse una familiare voce,
mentre il suo biondo proprietario mi stringeva, frizionandomi, nel
tentativo di riattivare la mia circolazione. Non sentivo più
nessuna parte del mio corpo.
Tossichiai ancora
un po’ prima di abbandonarmi esausta contro al petto di Gourry.
Sentivo le gocce dei suoi capelli bagnati cadermi sulle guance, e solo
in quel momento mi resi conto che anche Gourry era fradicio. Aprendo
gli occhi quel tanto che bastava per scorgere uno sprazzo
dell’ambiente circostante mi resi conto che quello che mi
avvolgeva era il mantello imbottito di Nayden, il quale, fermo a pochi
passi ci scrutava con un’espressione apprensiva. Al suolo intorno
a noi erano sparse schegge e blocchi di ghiaccio rotto, e la spada di
Gourry era abbandonata lì in mezzo, in procinto del varco che
evidentemente lo spadaccino era riuscito ad aprirsi prima di buttarsi
per recuperarmi.
“Lina…”
la voce di Gourry era rotta. Sospirò. “Questa volta
mi hai fatto davvero spaventare…” sussurrò, mentre
mi stringeva nel mantello.
Le pareti della
mia gola bruciavano, così come i miei polmoni, che immaginavo a
quel punto come due spugne strizzate fino all’ultima goccia; la
voce mi uscì stridula e in falsetto:
“Ma non lo
avevi già detto due giorni fa quando è crollata la
torre?” Gracchiai, in un penoso tentativo di mostrarmi disinvolta.
Vidi un lieve
sorriso comparire sulle labbra tremanti dal freddo dello spadaccino.
Doveva essere mezzo morto di freddo come me, eppure non accennava a
lasciarmi.
“Allora mi correggo” disse. “Questa volta, mi hai fatto davvero morire di paura…”
Già, morire…
Quella volta, c’era davvero mancato poco, pochissimo…
Aggrottai le
sopracciglia e ripensai al ghiaccio che mi aveva inghiottito e si era
richiuso sulla mia testa, poi cercai di ricordare cosa era successo
quando l’acqua mi aveva sommerso… Forse una voce mi aveva
chiamato? Non ne ero molto sicura. Immagini confuse si susseguivano
nella mia mente intorpidita. Fiori, c’erano dei fiori…?
Probabilmente avevo vaneggiato mentre perdevo conoscenza.
Forse avrei
dovuto avvisare Gourry, del fatto che là sotto mi era accaduto
qualcosa di insolito. Ma quasi sicuramente avrebbe pensato che
farneticavo. E in ogni caso, ero troppo stanca per parlarne.
Tornai ad
appoggiare la fronte al suo petto, mentre sentivo che Nayden spiegava
allo spadaccino che sul mantello c’era un incantesimo originale
in grado di riscaldare chi lo portava, ma che era comunque
il caso di portarmi davanti ad un fuoco.
E quando le
braccia di Gourry mi sollevarono da terra la mia mente scivolò
via, vinta dallo spossamento, e le parole che avrei voluto dire
volarono via dalle mie labbra, disperdendosi nel vento freddo come
farfalle leggere.
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Capitolo 7 *** Le ombre del cuore ***
le ombre del cuore
Le ombre del cuore
‘Domani non mi sentirai partire…
Amarti non è mica così strano.
Io, ho un nome senza via,
per distrarre la mia voglia di tornare.’
(La vita e la felicità, Michele Bravi)
Non riuscivo a
pensare ad altro che al freddo. Davanti alle mie labbra si
condensavano lievi sbuffi di fiato pallido, simili a fantasmi.
L’aria era fine come carta prossima a strapparsi. Mi strinsi
ancora di più nel mantello di Nayden, avvicinandomi al fuoco che
crepitava nella radura, e sfregai per l’ennesima volta le mani
l’una sull’altra. Alle mie spalle sentivo i mercenari
borbottare tra di loro, mentre la parola ‘malocchio’
passava da una bocca all’altra. Già, malocchio. O
maledetta sfortuna. Chiamatela come volete, la verità era che
attiravo i guai come una calamita. Più di quanto normalmente non
facessi. Sbuffai e lanciai una timida occhiata al mio fianco.
Gourry mi sedeva accanto avvolto in una coperta, le mani tese davanti a
sé nel tentativo di catturare un po’ di calore da
trasmettere al resto del corpo. Le fiamme si riflettevano nei suoi
occhi concentrati, il suo volto aveva il colore della cera. Avrei
voluto allungare una mano verso la sua, stringere le sue dita tra le
mie, ma ero paralizzata dal freddo e…
Risoluta distolsi lo sguardo dal mio compagno di viaggio, tornando a concentrarmi sul fuoco.
Non l’avevo ancora nemmeno ringraziato.
Era stato tutto
così improvviso e confuso… il ghiaccio che si sgretolava,
l’acqua fredda che mi invadeva i polmoni, la lastra che si
richiudeva sopra di me come il coperchio di una bara. E poi la voce di
Gourry, i colpi per farmi riprendere, io che sputavo litri di
acqua…
E adesso tutti erano convinti che portassi una iella nera. Come potevo dargli torto? Sembravo perseguitata.
“Non fare
caso a loro.” La voce di Gourry arrivò dolce alle mie
orecchie, quasi mi avesse letto nel pensiero. Era sempre stata una sua
prerogativa, quella.
“C-Cosa?”
“Dicevo,
non te la prendere per quei commenti. Li ho sentiti anche io, i
mercenari sono molto superstiziosi su determinate cose.” Mi
sorrise. “Ma se ti conoscessero almeno la metà di come ti
conosco io, saprebbero bene che il malocchio avrebbe solo da perderci
nel perseguitarti…”
“Molto spiritoso!” dissi, scalciando una pigna nella sua direzione con la punta dello stivale.
Il sorriso
svanì dallo sguardo di Gourry: “Ad ogni modo, Lina, te
l’ho già detto che questa volta mi hai fatto quasi morire
di crepacuore? La prossima volta che deciderai di rimanerci secca sul
serio sei pregata di dirmelo con un minimo di preavviso, così
giusto per arrivare preparati…” Il suo tono era scherzoso,
ma dal suo sguardo trapelava chiaramente l’apprensione. Mi
costrinsi a guardare verso il fuoco:
“D’accordo
allora, la prossima volta che avrò la brillante idea di
lasciarci le penne ti lascerò due righe di
commiato…” dissi, pentendomene subito dopo. Ma quale
prossima volta? Gourry se ne sarebbe andato nel giro di qualche giorno,
a chi diavolo avrei dovuto lasciare quelle ipotetiche due righe? Mi
incupii.
“Lina…”
Gourry si era voltato verso di me, sentivo il suo sguardo indagare il
mio volto. “Non puoi… non puoi nemmeno immaginare quello
che ho provato quando ti ho visto attraverso il ghiaccio” disse,
in un sussurro.
A dispetto del freddo pungente, che mi intorpidiva i sensi, ebbi la chiara percezione di stare arrossendo.
“Sinceramente,
Gourry, dubito che tu possa aver provato qualcosa di peggio di quel che
invece ho provato io in quel momento…” risposi, cauta.
Gourry scosse la
testa e i suoi occhi incrociarono i miei “Se non ti avessi vista
cadere nell’acqua …” si bloccò ma io afferrai
comunque il concetto che non era in grado di esprimere.
Se non mi avesse
vista cadere, se nessuno avesse assistito all’incidente, in quel
momento non sarei stata altro che un corpo rigido sul fondo del lago.
Rabbrividii nel visionare me stessa fluttuare
nell’oscurità di quell’acqua torbida, i capelli che
ondeggiavano pigramente intorno al mio volto di gesso.
“Ad ogni
modo…” mi costrinsi a dire, per scacciare
quell’immagine. “Non sei stato il solo a vedermi
cadere, anche Anouk ha assistito all’incidente.” I miei
occhi si spostarono verso la carrozza, in cui sapevo esserci la bambina
con la sua gatta, al sicuro.
“Già.
Ma quella bambina è strana, Lina.” Lo sguardo di Gourry si
fece pensieroso “Quando ti abbiamo vista sprofondare
nell’acqua, mi è parso quasi…”
aggrottò le sopracciglia. “So che sembra assurdo, ma ho
avuto l’impressione che volesse fermarmi. Mi ha tirato per una
manica, scuotendo la testa. Aveva uno sguardo risoluto.”
“Deve essersi spaventata, avrà cercato di fermarti pensando che saresti affondato anche tu…”
“Di certo è così.” Gourry tossì. Non volevo che per colpa mia si prendesse una broncopolmonite.
Le sue mani erano
abbandonate sulle ginocchia. Per riscaldarsi si era tolto le vesti
zuppe e si era avvolto in una vecchia coperta di lana puzzolente, ma
pur sempre asciutta. Le sue mani erano rigide e sospettavo fossero
gelide. Mi piacevano molto quelle mani, erano grandi e con le dita
lunghe e affusolate; il dorso portava svariate cicatrici, le conoscevo
tutte a memoria, mentre i palmi erano ruvidi per il continuo
sfregamento con l’elsa della spada. Vedevo quelle mani tutti i
giorni, da quattro anni a quella parte. Ero abituata a giocare con
loro, a vederle maneggiare sapientemente una spada, a combatterle nella
dura guerra della tavola imbandita. Quelle mani mi avevano aiutato,
sorretto e sostenuto per tutto quel tempo, e adesso… Sarei
stata pronta a vederle salutare mentre si allontanavano?
Provai di nuovo il forte impulso di stringerle tra le mie, riscaldarle, intrecciare le dita con quelle di Gourry…
Ma la voce di
Nayden risuonò limpida alle nostre spalle, disperdendo in un
batter d’occhio tutti i miei ridicoli propositi romantici.
“E come vi
dicevo, cara duchessa, ecco la nostra Lina Inverse tutta intera, solo
un po’ intorpidita, ma a questo, beh, si può certo porre
rimedio!” esclamò con il suo tono di voce più
ammaliante.
Voltandomi, mi
aspettavo di trovarmi davanti lo sguardo arcigno di Rebecca, invece fu
con la bellezza sconvolgente di Camelia che dovetti scontrarmi.
Dall’inizio del viaggio non avevo avuto molte occasioni di
incrociare il suo sguardo, figuriamoci parlarle. Gli unici attimi in
cui la sua presenza mi era nota, dato che passava la maggior parte del
tempo chiusa in carrozza, erano per l’appunto quelli in cui
c’era Nayden di mezzo. In quel momento dovetti constatare due
cose: Nayden era finalmente riuscito, come minimo, a porgerle la mano,
e glie la teneva con fare molto galante; e Camelia, contrariamente a
qualsiasi cosa avessi potuto aspettarmi, vestiva un’espressione
piuttosto intimorita. I suoi occhi erano pece liquida, con delle
sfumature di viola, e mi stavano squadrando come a volersi assicurare
che fossi effettivamente lì tutta intera. Infine un lieve
sospiro uscì dalle sue labbra:
“Sono molto
lieta di appurare che stiate bene, Lina Inverse. Quando ho saputo del
terribile incidente che vi aveva visto coinvolta, sono rimasta
sinceramente impressionata…” Esclamò. Le sue parole
erano calme e controllate. “Bene, cavaliere, vorreste essere
così gentile da scortarmi nuovamente verso la carrozza?
Arrivederci signorina Inverse, messer.” Il suo sguardo si
posò rapidamente su Gourry mentre salutava. Nayden voltandosi mi
fece l’occhiolino, mentre sulle sue labbra comparve la silenziosa
frase ‘torno subito’; annuii con un gesto del capo, e
tornando a rivolgermi verso il fuoco incrociai lo sguardo serio di
Gourry . Mi rivolse un’occhiata penetrante.
“Nayden. È lui il tuo eroe, non di certo io.”
“Cosa
intendi dire?” chiesi, confusa. Speravo per lui che non stesse
tornando sull’argomento di qualche ora prima, ma Gourry si fece
scuro in volto.
“Quello che
sto dicendo, Lina. Quando sono arrivato e ti ho vista sotto quella
lastra, ho cercato di scalfire il ghiaccio in modo da riuscire ad
aprirmi un varco, ma è stato tutto inutile.” Si
portò una mano sugli occhi “Dei, quando ripenso a quella
scena… da solo non sarei riuscito a tirati fuori, invece Nayden
in un attimo era lì, e ha sciolto il ghiaccio con un
incantesimo. Solo così mi sono potuto immergere per
riprenderti.”
Sbattei le palpebre. All’improvviso, qualcosa non tornava.
“Intendi dire che, quando sei arrivato nel punto in cui sono precipitata, il ghiaccio era di nuovo intero?”
Avevo creduto che
la lastra su cui poggiavo i piedi si fosse ribaltata per poi tornare al
suo posto. Invece Gourry mi stava dicendo che non solo non
c’erano segni di crepe nel ghiaccio, ma che fosse anche
dannatamente difficile scalfirlo. Come potevo io, con i miei quaranta
chili scarsi, averlo rotto semplicemente appoggiandoci i piedi se
Gourry, usando tutta la forza che aveva, non ci era riuscito?
“Un incantesimo…” mormorai, tra me e me.
Provai a
concentrarmi, e ripercorsi quel viaggio dall’inizio. Le missive
uguali, gli sguardi ambigui di Rebecca e le sue paure legate
all’omicidio del marito. C’era un assassino ancora a piede
libero che aveva spinto lei e le figlie verso Sailunne in cerca di
protezione.
Un assassino. Ancora a piede libero.
Pensai al volto
deturpato di Anouk. Ai due incidenti in cui ero rimasta implicata.
All’improvviso scorsi il filo conduttore che li collegava: non
ero l’unico essere vivente a essere stato coinvolto in quelle
misteriose disgrazie, no. C’era sempre Babette, di mezzo. E se
io, entrambe le volte, mi fossi trovata coinvolta mio malgrado? E se
quegli ‘incidenti’ fossero stati creati appositamente
per… Anouk? In quanto proprietaria del gatto, era logico pensare
che sarebbe andata lei a riprenderlo. E quella bambina portava
già chiaramente stampati addosso i segni di una vita passata a
scontrarsi con le disgrazie.
Incidenti causati dalla magia, dunque. E un solo mago, tra di noi, esclusa la sottoscritta.
Sollevai gli occhi solo per scorgere Nayden che tornava verso di noi.
“Allora
Lina, ti sei un po’ riavuta dal viaggetto
nell’aldilà?” Le sue parole volevano suonare
scherzose, eppure mi fecero rabbrividire.
Questa volta ci era mancato davvero poco, pochissimo…
Sentii che anche Gourry, al mio fianco, si era irrigidito.
“Sì,
devo dire che è stato molto tonificante…” risposi,
scrutandolo. “Lo consiglierei a tutti un bel bagno ghiacciato,
chiarifica le idee” buttai lì con noncuranza, attenta a
cogliere qualche reazione da parte di Nayden. Se fosse coinvolto o
meno, questo di certo non avrei potuto dirlo; ma il suo interesse nel
salvarmi sarebbe stato giustificato laddove non fossi stata io la
vittima predestinata dell’incidente…
Cercai Joy con lo
sguardo. Non mi era mai piaciuto, e non volevo farmi guidare dal
disprezzo nei suoi confronti per giudicarlo. Ma chi mi garantiva che
Joy non fosse implicato? Per un attimo pensai a Gourry, alla sua
decisione di seguirlo. Avrei dovuto avvisarlo del fatto che Joy non mi
convinceva, che non lo reputavo una brava persona? Tentennai, poi
scossi la testa, risoluta.
Perché
avrei dovuto aprirgli io gli occhi? Perché avrei dovuto farlo
per qualcuno che, messo davanti a una scelta, non aveva scelto me?
Gourry avrebbe
avuto tutto il tempo di rendersi conto con che razza di idiota era
andato a finire. Lo stesso identico tempo che io invece avrei sfruttato
per godere della mia piena libertà .
Già.
Che meraviglia, potevo considerarmi finalmente una persona del tutto libera da preoccupazioni e coinvolgimenti emotivi.
Avrei scoperto
cosa significava viaggiare senza avere nessuno tra i piedi, non avere
nessuno che ti frega la roba dal piatto, nessuno a cui ripetere cento
volte lo stesso identico concetto prima che possa farsene anche solo
una vaga idea; nessuno che ti assilla chiacchierando in modo
esasperante mentre vorresti rimanere concentrata; nessuno che ti
rimprovera per fatti del tutto innocui in cui ti trovi coinvolta tuo
malgrado (ehm…); nessuno che ti tratta come una bambina di
cinque anni quando devi far valere la tua autorità; nessuno che
ti prende in giro solo perché non hai una quarta abbondante
(beh, su questo punto ero quasi certa che qualche altro idiota
l’avrei trovato.) nessuno che…
Beh, nessuno e basta. Ecco.
Mi scrollai,
abbozzando un tentativo di sgranchirmi le braccia. Sentii il caldo
mantello scivolarmi dalle spalle e a quel punto, a malincuore, me lo
tolsi per restituirlo a Nayden.
Non potete
immaginare che dolore mi provocasse compiere un simile gesto. Avrei
dovuto escogitare anche io qualcosa di simile per il mio di mantello,
anche se, in effetti, non ricordavo nemmeno più quanti
incantesimi avessi lanciato su quel pezzo di stoffa!
Lo sfilai con la
stessa cautela con la quale avrei tolto un cerotto da una ferita quasi
del tutto rimarginata, e il freddo che mi colpì fece quasi
altrettanto male. A Nayden non sfuggì l’espressione del
mio volto:
“Lina, se
senti freddo guarda che puoi tenerlo. Io sto benissimo anche solo con
la cotta di maglia…” sussurrò con fare molto
galante. E ipocrita. Chi mai poteva stare bene solo con la cotta di
maglia in quel clima glaciale? Tossicchiai: “No, figurati…
Ti ringrazio, ma va bene così.” Risposi, tendendoglielo.
Il mago mi fissò per alcuni istanti, dopodiché
afferrò il manto e, sempre sorridendo, se lo passò sulle
spalle, appuntandoselo al collo con un elegante fermaglio color rame.
Lo guardai con una punta di invidia.
“È un incantesimo… geniale. Detesto non avere avuto io stessa questa idea.”
“In
effetti, sono molto orgoglioso di me stesso.” Si compiacque.
“Per quanto… beh, mi ci sono voluti alcuni rigidi inverni
passati all’addiaccio per decidermi a escogitare questo
sistema.”
“Mettendolo
in commercio sono sicura che ne ricaveresti un bel
gruzzolo…” commentai, chiedendomi in realtà se non
avrei potuto farlo io a sua insaputa.
“Appena saremo a Sailunne ne farò uno anche per te, Lina. Non mi costa nulla.”
In quel momento
un insistente tossicchiare mi fece sobbalzare. Gourry si era sollevato,
stringendosi nella coperta. I capelli, ormai asciutti, gli si erano
arruffati disordinatamente sulla fronte, conferendogli un aria buffa
che faceva tutt’uno con il suo cipiglio.
“Credo che
anche le mie vesti siano asciutte. Vi lascio soli” disse, secco,
lanciando un’ultima occhiata risentita verso il cavaliere, prima
di darci le spalle.
Scossi la testa:
“Scusalo, Nayden. Di solito non è così scortese,
anzi, di noi due è lui quello gentile ed educato. Non so cosa
gli è preso…”
“Non preoccuparti, credo che sia solo scosso.”
“Gourry mi ha detto che è merito tuo se oggi non sono diventata cibo per pesci…”
Il mago si fece
pensieroso: “Oh, no. Non voglio certo prendermi i meriti che sono
di qualcun altro. Ero solo nel posto giusto al momento giusto, tutto
qui. Stavo cercando la duchessina Anouk quando ho sentito le grida del
tuo amico, e a quel punto non mi ci è voluto molto per
intervenire con un semplice incantesimo. Ma ti assicuro che lui aveva
già scalfito buona parte del ghiaccio della crosta; non vorrei
che pensasse che il mio intervento sia stato decisivo perché
suppongo che ti avrebbe salvata comunque.”
Cercai Gourry con
lo sguardo, senza trovarlo. Non pensavo che il suo problema fosse da
attribuire a un complesso di inferiorità nei confronti di
Nayden. È vero, Nayden era bello, ed era un mago, e
l’aveva aiutato a salvarmi. Ma Gourry… era Gourry, per gli
dei! Non era da lui comportarsi così acidamente in determinati
frangenti, senza contare l’assurda decisione di seguire Joy
accampando come scusa il fatto che io dovessi vivere pienamente la mia
vita…
Certe volte
sapeva andare contro qualunque logica. La mia vita non l’avevo
forse vissuta fino a quel momento con lui al mio fianco? Perché
le cose improvvisamente avrebbero dovuto essere diverse? Cosa
c’era che non funzionava più, tra di noi?
Le mie
considerazioni vennero interrotte da un’odiosa voce, alle mie
spalle: “Oh, ecco Lina Inverse di ritorno dalla nuotata! E dimmi,
Lina, sei sicura di riuscire a reggerti in piedi fino a Sailunne? O
credi di aver bisogno di una balia che pensi a te per il resto del
tragitto?”
Sobbalzai, e
voltandomi mi trovai davanti al naso gli occhi grigi e beffardi di Joy.
Il mercenario era appena rientrato dal giro di ricognizione, e,
‘apprensivo’ come sempre, era subito venuto ad accertarsi
che fossi ancora in vita; beh, per sua grande sfortuna era proprio
così. Gli lanciai uno sguardo carico d’odio:
“Vuoi
offrirti tu? Sono certa che così i tuoi tentativi di liberarti
di me darebbero più risultati…” Esclamai, prima
ancora di rendermi conto di quel che avevo appena detto, spinta dalla
rabbia.
Le parole erano
uscite direttamente dal mio inconscio, esprimendo qualcosa che avevo di
certo considerato, ma che ovviamente non avrei voluto sbandierare ai
quattro venti.
Ne fui stupita, e
certamente lo stesso Joy rimase a bocca aperta davanti
all’accusa, per niente velata, che gli avevo appena rivolto. Lo
vidi sbattere le palpebre per alcuni secondi, incapace di ribattere
subito a tono. Poi il suo sguardo si fece tagliente.
“È
questo che pensi di me? Mi credi un assassino? Beh, mi lusinghi, non
c’è che dire; ma devo confessarti che mi sopravvaluti cara
Lina, perché vedi, per quanto tra di noi non corra buon sangue,
non avevo ancora pensato a metodi tanto drastici…” disse
solo. Sembrava molto scosso.
Ero quasi pentita
di avergli rivolto parole tanto dure. Nonostante in realtà non
provassi alcun rimorso per averlo collocato nella lista dei sospettati.
“Ad ogni
modo, potrei sempre pensarci…” concluse infine,
rivolgendomi un’occhiata truce. Per una volta mi sembrava
punto sul vivo, e questa cosa, indirettamente, accrebbe i miei
sospetti. Sempre se il bersaglio fossi stata io. Non vedevo che motivi
potesse avere Joy di avercela con Anouk… ma, in tutta
sincerità, non riuscivo a pensare che qualcuno potesse volersi
sbarazzare di una bambina così timida e silenziosa.
‘Pensa alle
cicatrici’ sussurrò una vocina dentro di me. Da quel
momento, mi ripromisi, avrei prestato molta più attenzione alle
persone che mi circondavano. E mi rincuorava molto sapere che Sailunne
non distava più molto.
A quel punto intervenne Nayden, sollevandosi da davanti al fuoco:
“Va bene,
Joy perché non cominci a radunare gli uomini? Lo spadaccino
è andato a cambiarsi e fra pochi minuti credo che potremmo
ripartire.” L’occhiata che rivolse al fratello non
ammetteva repliche e infatti il mercenario si allontanò senza
una parola, avvolgendosi nella pesante cappa.
Rimasi a fissarlo torva e in quel momento Nayden mi si affiancò:
“Aria di
tempesta?” domandò, notando il mio sguardo. Poi senza
aspettare una risposta aggiunse: “Se posso darti un consiglio,
Lina, stagli lontana. Credimi, ti eviteresti un sacco di grane. Mio
fratello è un tipo strano e può diventare
pericoloso.”
Certo, come se io volessi stargli vicina intenzionalmente.
Tuttavia le parole di Nayden mi fecero rabbrividire. Pensai a Gourry:
“Cosa significa pericoloso?”
Nayden parve rifletterci sopra per alcuni secondi:
“Lina,
Joy…” Si grattò una guancia “Joy mi ha sempre
inquietato, anche quando eravamo bambini. Ti parlo di sensazioni,
perché di fatto non riesco a ricordare che abbia mai compiuto
azioni malvagie. È solo… oscuro. Come se il suo cuore
fosse avvolto dall’ombra.” Aggrottò le sopracciglia,
sorpreso dalle sue stesse parole. “Sì, il suo cuore
è pieno di ombre. E le sue intenzioni non sono sempre buone.
Stagli lontana, è meglio.”
Aspettai che
Nayden aggiungesse qualche altro particolare, ma la sua descrizione del
fratello si fermò lì. Mi chiesi cosa intendesse dire
rivelandomi che era sempre stato una persona inquietante, però
decisi di non indagare oltre. Non doveva essere facile avere un
fratello come Joy, né tantomeno accollarsene la
responsabilità.
I miei occhi si
ritrovarono a vagare nella bassa foschia che era calata sulla radura,
dissolvendo i contorni delle cose, e desiderai ardentemente essere
già seduta alla tavola di Phil.
“Così
questa è Sailunne? Non ci ero mai stato, ma perdinci se ne ho
sentito parlare!” Tuonò la possente voce di Hermann quando
varcammo i portali della città bianca.
Il resto del
viaggio si era svolto in totale tranquillità, e mentre imbruniva
eravamo giunti alle porte della sacra città di Sailunne. Era
stato sufficiente mostrare alle guardie il sigillo e la missiva del
regno di Solaria perché carrozza e seguito armato potessero
varcare l’ingresso. Herman si guardava attorno meravigliato e io
me ne compiacqui. Sailunne faceva quell’effetto a chi ci metteva
piede per la prima volta. Candida e luminosa, tra templi, palazzi e
rigogliosi giardini, sembrava veramente un regno delle favole.
C’era anche un principe, in effetti. Ma non avrei mai osato
definire Phil un principe da favola… Tutto il contrario, ad
essere sinceri.
A quel punto
eravamo ormai arrivati alle porte del palazzo. Un araldo venne
incaricato di rendere nota la nostra presenza e, dopo qualche istante,
le pesanti porte smaltate dell’edificio tremarono, spalancandosi
di colpo davanti all’energica presenza del principe in persona.
Ecco, era esattamente come lo ricordavo, purtroppo.
“Ah-ah!
Siete giunti infine! Che gli dei siano lodati, ho pregato
affinché il vostro viaggio procedesse sotto una buona stella! La
stella splendente che guida i giusti, ovviamente!”
Una grossa goccia
di sudore scese dalla mia tempia; forse avrei dovuto attribuire le mie
disgrazie alle inconsapevoli gufate di Phil.
Il principe, nel
frattempo, era sceso dai gradini zampettando agilmente (giuro che
dovevo ancora capire dove diamine trovasse tanta agilità un
quarantenne con la stazza di un orso bruno) e in uno svolazzo di vesti
candide si era affiancato alla carrozza, chiamando a raccolta alcuni
paggi affinché servissero la duchessa e le figlie che vi
discendevano.
“Rebecca,
ti porgo le mie condoglianze…” disse con sincera
partecipazione, porgendo lui stesso la mano alla duchessa “Sono
lieto che tu abbia richiesto la mia protezione, e che il viaggio sia
andato bene…” disse, accompagnandole verso il palazzo.
Prima di varcare il grosso portale Phil lasciò la mano della
duchessa e si rivolse ai mercenari:
“Immagino
che siate molto stanchi, e sarete felici di sapere….”Ma in
quel momento si bloccò di colpo, mentre il suo volto assumeva
un’espressione di puro stupore:
“Non ci posso credere!” esclamò “Lina Inverse! Che mi prenda un colpo!”
Ah, finalmente te ne sei accorto.
Non mi piaceva molto rimanere in seconda fila, sapete. Meritavo anch’io che mi si facessero gli onori di casa, diavolo!
“Salve a
te, Phil. Come te la passi ultimamente?” domandai, lieta che i
mercenari con cui avevo viaggiato mi osservassero con tanto
d’occhi per la mia familiarità con la famiglia reale.
In meno di mezzo secondo tuttavia mi trovai fagocitata dall’esuberanza del principe:
“Ma Lina!
Potevi dirmelo prima che avresti partecipato alla scorta di Rebecca! E
c’è anche il signor Gourry!” Phil fagocitò
anche Gourry, che si era avvicinato timidamente, nell’abbraccio
stritola tutto. “Ma bravi! Che ottima idea passare per un saluto,
voi lo sapete no che casa mia è casa vostra? E Chissà
come ne sarà felice Amelia! Su entrate, presto! Cosa sono tutti
questi complimenti? Bisogna subito avvisare Amelia!”
Quasi senza più fiato ebbi giusto il tempo di pensare, con orrore….
Amelia?
“LINA-SAN!!”
In meno di mezzo secondo venni avvolta da vesti svolazzanti, braccia che mi stringevano e baci umidi sulle guance.
Convenivo che il
benvenuto fosse una tradizione importante da rispettare per gli ospiti
importanti come me, però… Così era anche troppo,
dannazione!
Quando Amelia
ebbe finito di stritolarmi passò a Gourry, lasciandomi appena il
tempo di riprendere fiato prima di seppellirmi di domande a raffica:
“Lina,
cattiva! Perché non mi hai avvisato che saresti arrivata? Oh,
è da così tanto tempo che noi non ci vediamo! Ho un sacco
di cose da raccontarti! E Gourry, tu come stai? Viaggiate sempre
insieme? Oh, sono così contenta!” Gli occhi le brillavano
di gioia.
In fondo, era talmente facile volere bene ad Amelia…
“Si,
noi… Viaggiamo ancora insieme…” farfugliai, nel
tentativo di rispondere ad almeno una delle domande che mi erano state
poste con enorme velocità. Anche se fermandomi a pensarci avrei
dovuto aggiungere ‘sì, ancora per poco’. Decisi di
tenere per me quella considerazione.
Guardando Amelia
mi resi conto che non era cambiata affatto: solo i capelli erano
più lunghi, ed erano raccolti sulla testa con forcine e perline
che, a causa della sua esuberanza, si reggevano per puro miracolo. Ma
guardandola meglio mi accorsi che quella semplice acconciatura la
rendeva più adulta e più femminile. Mi chiesi se a sua
volta lei avesse notato dei cambiamenti in me, nell’ultimo anno
in cui non ci eravamo viste, ma ne dubitavo. O almeno, io non ne vedevo
per niente in me: i miei capelli erano sciolti e arruffati come sempre,
la statura non aveva subito particolari modifiche e nemmeno…
Beh, quella parte del corpo che Amelia aveva decisamente più
sviluppata della mia. Sospirai rassegnata, e cominciai a sfilarmi
guanti.
In quel momento, una voce molto famigliare mi fece trasalire:
“Lina, che sorpresa. Gourry. È un piacere rivedervi.”
“Zel?!”
Zel arrivò
a pochi passi da noi, e rimanemmo per qualche secondo tutti e quattro
in uno strano, irreale silenzio. Dopodiché la chimera
lanciò qualche colpetto di tosse, vagamente irritato:
“Beh,
d’accordo, non mostratevi troppo entusiasti di rivedermi”
commentò, acido. “Sembra che abbiate visto un
fantasma…”
Io scoppiai a ridere:
“Ma no, Zel! Siamo solo, ecco… Sorpresi di trovarti qua! Vero Gourry?... Gourry?”
Mi voltai verso lo spadaccino.
Espressione vacua, sguardo spento da pesce lesso…
Dannazione, che cervello di medusa!
“Gourry
svegliati!” Lo scossi, e intervenni prima che potesse sparare
qualche colossale cavolata. Insomma, sapevo quanto Zel potesse essere
suscettibile sull’argomento…
“Questo
è Zel, ricordi? Abbiamo viaggiato insieme, sconfitto un sacco di
mostri… Una volta l’abbiamo anche usato come ancora. Come
fai a non ricordartene?”
Gourry mi fissò:
“Lina, lo so chi è…” disse, lanciando un segno di saluto alla chimera.
“E allora perché fai quella faccia da broccolo lesso?!” Gli abbaiai.
Gourry mi
guardò timidamente: “Il fatto è, Lina, che…
Ho una gran fame, secondo te quando si mangia?”
Per poco non caddi a terra. Mi sentii meno frustrata solo dopo che lo ebbi colpito abbastanza forte con il gomito nel costato.
Zel sorrise, Amelia si portò una mano alla bocca.
“Cretino…” commentai, mentre Gourry si piegava.
“Sempre i soliti…” Ci stuzzicò la chimera.
“E quindi,
avete fatto parte della scorta della duchessa?” Chiese Zel dopo
un quarto d’ora, soffiando sul suo caffè.
Io posai la mia tazza di tè sul tavolino intorno a cui ci eravamo riuniti:
“Già. Non è stato una missione entusiasmante, ma almeno dovremmo guadagnarci bene…”
Amelia spinse verso di noi un vassoio con sopra delle tartine:
“Non
guardarmi con quella faccia, Lina!” disse, dopo che ebbi lanciato
un occhiata impaurita verso il vassoio. “Non sarà
l’unica cosa con cui ho intenzione di nutrirvi per questa
sera!”
Mi sentii subito meglio.
Amelia
proseguì: “Mio padre ha organizzato una grande festa, per
accogliere le duchesse… beh, per ora fate uno spuntino, poi
potrete farvi un bagno e preparavi per la cena!” Aggiunse
dolcemente “Ho già fatto preparare le vostre stanze, e ho
ordinato alla servitù di riscaldarvi le vasche.”
Ve l’ho già detto quanto adorassi Amelia??
Gourry nel frattempo si stava ingozzando di tartine.
“E tu, Zel?
Cosa ti porta qui? Qualche novità sul fronte
‘cura’?” Chiesi con cautela. Zel era molto
suscettibile quando si toccavano i suoi punti deboli. E dopo quattro
anni di conoscenza potevo dire con certezza che i suoi punti deboli
erano due: la tanto agognata cura, e la principessa che in quel momento
gli sedeva a fianco.
“No, sono
ad un punto morto, per ora…” Zel bevve un sorso di
caffè “E per quanto riguarda la mia visita, beh,
ecco… Ero di passaggio e ho deciso di intrattenermi per qualche
tempo. Le biblioteche di Sailunne offrono sempre un gradito
diversivo…” Ora pareva a disagio.
Amelia sorrise, vagamente imbarazzata: “Gli ho detto che non avrebbe potuto negarmi una visita amichevole…”
“Appunto,
Amelia poi ha così tanto insistito… che rimanessi a
vedere i progressi che aveva fatto con la magia…”
Farfugliò Zel, che dal verdognolo stava velocemente passando al
violetto.
“Aaaaah…”
Si certo, i progressi con la magia. Ma a chi voleva darla a bere?
“Bene, ora
andrò a prepararmi per la cena di questa sera.” Concluse
infine la chimera, bevendo tutto d’un fiato il caffè che
rimaneva nella tazza.
Gourry sollevò lo sguardo dalla sua scodella, la bocca ancora piena:
“Fai già fia?” biascicò, disperdendo briciole.
“Sì,
ci vediamo al banchetto. E, Gourry, ti sta colando qualcosa sul
mento…” Concluse Zel, disgustato, prima di voltarci le
spalle.
Con la coda
dell’occhio vidi la principessa seguire i suoi movimenti fino a
che non scomparve dietro ad una porta; Gourry nel frattempo si stava
pulendo con la manica.
“Gentile da
parte sua passare e fermarsi…” Commentai. Amelia si
sforzò di nascondere il rossore che le si stava diffondendo
sulle guance recuperando con attenzione alcune briciole che le erano
cadute sul vestito:
“ Zelgadis è così, sembra duro, ma è una brava persona, in fondo…”
Non ne dubitavo. Soffiai sul mio tè, ormai freddo, e decisi di passare ad argomenti più interessanti:
“Tuo padre conosce bene la duchessa di Solaria, quindi?”
Amelia si fece pensierosa:
“In
realtà lo legava una grande amicizia al duca. La sua morte
è stata un duro colpo, anche considerando che avevano
pressappoco la stessa età…”
“Certo. Una brutta faccenda.”
Lo sguardo di Amelia si fece triste:
“Pensavo ad
Anouk. Quella bambina è proprio sfortunata…” disse,
scuotendo la testa. “Prima la madre, poi
l’incidente… E adesso ha perso anche il padre. Ha solo
nove anni.”
“La madre hai detto?”
La principessa annuì:
“Sì, non lo sapevi? Rebecca non è la madre di Anouk.”
Improvvisamente qualcosa cominciò a muoversi nella mia mente. La esortai a proseguire:
“Beh, sua
madre è morta di parto. Non so molto di più, solo che il
duca ha sposato Rebecca più o meno quando Anouk aveva tre o
quattro anni. Rebecca aveva già una figlia, Camelia… Si
somigliano molto in effetti, hanno gli stessi capelli neri, però
non sono sorelle.”
Lanciai un’occhiata a Gourry che ricambiò il mio sguardo:
“Amelia, prima hai parlato di un incidente… Cosa intendevi dire?”
La principessa sospirò.
“Anni fa,
quando la bambina aveva più o meno sei anni, il palazzo di
Solaria è andato a fuoco. Non sono molto informata su questa
storia, mio padre non ne parla volentieri. Molta della servitù
è rimasta sotto alle macerie, e Anouk si è salvata per
miracolo. L’ha salvata la sua balia. Era come una madre per la
bambina, l’aveva cresciuta lei. L’avevo conosciuta in
un’occasione diplomatica, era una ragazza piuttosto giovane,
molto gentile, Elizabeth. Ma è rimasta tra le
fiamme…” La principessa prese un respiro “Ti sembra
giusto, Lina? Quella bambina ha perso praticamente tutte le persone che
amava. Non stento a credere che non parli più…”
Rimanemmo un attimo in silenzio.
Amelia si
sollevò: “Bene, ora credo che sia il caso di andare a
prepararsi” esclamò, cercando di ritrovare un po’ di
buonumore. Io e Gourry la imitammo, alzandoci.
Mezz’ora
più tardi, mollemente adagiata in una vasca di acqua calda,
ripensai alle parole della principessa. Il mistero che ruotava attorno
alla famiglia ducale si infittiva e Anouk sembrava essere il perno su
cui ruotava tutto. Una bambina segnata dalla sfortuna. Nella sua vita
si erano susseguiti lutti e incidenti. Il suo mutismo era una barriera
invalicabile, nessuno poteva accedere alla sua anima.
Pensai ancora una
volta alla missiva che avevo ricevuto. E se fosse stata proprio lei, la
duchessina, a inviarmela? Una disperata richiesta di aiuto…
Sprofondai tra le bolle di sapone fino al naso, quando un lieve bussare alla porta mi riportò alla realtà:
“Signorina
Inverse…” Chiese una timida voce femminile “La
principessa le ha mandato dei vestiti tra cui potrà scegliere
quello da indossare questa sera…”
Per un breve
istante desiderai soffocarmici con quelle bolle di sapone: Oh, no!
Detestavo la mania di Amelia di vestirmi come una bambolina di
porcellana ogni volta che mi aveva sottomano per un ricevimento.
Rassegnata uscii
dalla vasca, e avvolgendomi nell’accappatoio seguii la domestica
carica di stoffe fino alla stanza che mi era stata assegnata. Quando vi
misi piede dentro, tuttavia, sorrisi. Era una delle stanze per gli
ospiti più belle e suntuose che ci fossero a palazzo: al centro
troneggiava un elegante letto a baldacchino, le pareti erano rivestite
di arazzi e c’era un enorme camino a parete in cui scoppiettava
un bel fuoco.
La serva
posò sul letto una quantità esorbitante di vestiti, e
avvicinandomi dovetti constatare che, in effetti, erano veramente
splendidi…
Uno in
particolare attirò la mia attenzione: era di seta, color glicine
e splendidamente decorato da una moltitudine di minuscole stelle
argentate. La serva mi guardò con occhi scintillanti:
“Sono certa che le starà d’incanto!”
Esclamò entusiasta. Io arrossii.
Quando varcai la
soglia del salone, non mi sentivo nemmeno io. Avrei tanto voluto avere
almeno i capelli sciolti, o il mantello…
Ecco, il mantello sarebbe stato perfetto.
Indossavo il
vestito di seta dalle maniche lunghe e ampie, che scivolava
perfettamente sulle mie forme così poco sviluppate, ma…
Quando lo avevo scelto non mi ero certo resa conto di un piccolo
particolare che sicuramente me lo avrebbe fatto scartare se me ne fossi
accorta prima. Mi lasciava la schiena quasi, completamente… nuda.
E quella vipera
di una serva mi aveva anche raccolto i capelli sulla nuca, nonostante
le mie proteste, sostenendo che fermarli con delle stelline argentate
avrebbe richiamato il decoro del vestito, così, ecco… ero
praticamente nuda e non mi sentivo per nulla a mio agio. Di
conseguenza, da quando ero uscita dalla mia stanza, avevo percorso
l’intero tragitto strisciando lungo i muri come un ladro!
Ma infine dovetti desistere e staccarmi dalla parete per entrare nel salone. Presi coraggio e deglutii…
Per tutti i
diavoli, era una schiena, solo una schiena. Mi detti della stupida per
quella mia mania di trovare orribilmente imbarazzante mostrare anche un
solo centimetro di pelle. Le altre dame se ne andavano beatamente in
giro mezze nude, con scollature da capogiro e spacchi vertiginosi, e
sembravano trovarlo anche molto divertente, quindi perché
io dovevo farmi tutti quei problemi per una schiena?
Stavo giusto per
avvicinarmi al tavolo delle vivande, quando una voce mi fece sobbalzare
e appiattire immediatamente contro al muro. Avrei tanto voluto
nascondere il volto tra le mani e sparire in uno sbuffo.
“Lina? Ah,
allora sei tu! Ti avevo scambiato con il muro!” Commentò
scherzosamente un tono di voce che aveva qualcosa da spartire col tono
che avrebbe potuto usare un angelo.
“Emh,
no… Ma che ti salta in mente, hehe…” Davanti al mio
naso Nayden sorrideva affabilmente, illuminando a giorno l’intera
sala. Lavato e tirato a lucido, avvolto in suntuose e preziose vesti,
era ancora più abbagliante. Mi sorrise:
“E allora
perché te ne stai tutta sola in questo angoletto? Su, vieni con
me!” Mi porse la mano “Sei splendida stasera, tutti quanti
dovrebbero vederti!”
Oh, no. No, no, no… ne facevo molto volentieri a meno. Probabilmente ero diventata color ravanello. Schiena compresa.
“Ehi,
N-Nayden, no! No, aspet… Aspetta!” Cercai di divincolarmi,
mentre il cavaliere mi conduceva verso il centro della sala. In quel
momento scorsi Gourry.
Era
dall’altro lato della stanza, e teneva un bicchiere tra le mani.
I lunghi capelli biondi erano stati lavati e gli ricadevano
morbidamente sulle spalle, avvolte in un elegante mantello blu,
appuntato sulla scapola con un prezioso fermaglio. Era
così… così bello.
Peccato solo che
vestisse un’espressione tutt’altro che felice guardando
nella mia direzione. Abbassando lo sguardo mi resi conto che la mia
mano era ancora stretta in quella di Nayden.
Cercai di
salutarlo con l’altra di mano, ma lo spadaccino distolse lo
sguardo, e quando Nayden si decise finalmente a lasciarmi andare, dopo
avermi condotto al centro della sala, Gourry si era allontanato.
Mi torsi le dita,
cercando un posto dove rifugiarmi. Un paggio mi passò a fianco
sorreggendo un vassoio stracolmo di bicchieri e riuscii ad afferrarne
uno al volo, tracannandolo.
Era un vino
dolce, che mi scese come acqua per la gola, dandomi un po’ di
coraggio. Ed era buono. Forse ne avrei bevuto giusto un altro
bicchiere, per superare la serata…
Quando finalmente riuscii a vedere nuovamente Gourry tra la folla, ero ormai al terzo bicchiere; decisi di raggiungerlo.
“Gourry!”
Lo chiamai. Ma prima che riuscissi a raggiungerlo andai a finire contro
la schiena di uno dei convitati, il quale si girò, chiaramente
scocciato:
“Ma che accidenti… Lina?”
“Oh,
maledissione…” farfugliai. Di tutte le persone con cui
potevo scontrarmi, ero andata a finire proprio contro all’unica
che non avrei voluto rivedere mai più. Joy mi fissava, i capelli
neri e ondulati ordinatamente tirati dietro le orecchie, e un mantello
grigio drappeggiato intorno alle spalle. Il suo sguardo, tuttavia,
sembrava stupito.
“Che
ascidenti hai da guardare?” Gli intimai, minacciosa. Sarebbe
bastato un commento maligno, uno solo, e non mi sarei fatta problemi a
scatenare una rissa nel salone da ricevimento di Phil.
Tuttavia, Joy si mantenne composto:
“Guardavo
te.” Disse solo. “Sei… piuttosto carina, questa
sera…” mormorò. Io rimasi stupefatta, ma il
mercenario si riprese immediatamente: “Ma se è
un’ultima mossa disperata per convincere Gourry a rimanere con
te, rassegnati. Non basteranno un vestito e una acconciatura a
trattenerlo. Gli ho parlato giusto due minuti fa: partiamo domani,
subito dopo colazione.” Joy bevve un sorso dal suo bicchiere
“Non sei contenta Lina? Non mi rivedrai mai più, il tuo
desiderio sta per essere esaudito. Certo, dovrai dire addio anche a
Gourry. A proposito, l’hai già salutato? Beh, ti
avrà detto sicuramente che partiamo domani….” E con
un mezzo sorriso compiaciuto si allontanò, lasciandomi con un
orribile sapore amaro nel palato.
Mi accorsi di
avere bisogno di un altro po’ di vino per scacciare quel gusto
acre. All’improvviso, mi sentivo persa. E un dolore sordo si
stava facendo largo dentro di me.
Quando Zel mi
scovò, circa mezz’ora d’ora dopo la mia simpatica
conversazione con Joy, ero ormai al bicchiere numero… Bah, non
avrei saputo dirlo. Sapevo solo che non capivo perché mi fossi
tanto preoccupata, la vita era così meravigliosa! Mi ero
rintanata in un angolo della sala e lì, chissà
perché, il futuro non mi appariva più così
dannatamente tetro. Forse perché avevo trovato una bottiglia con
cui potevo rimboccare il mio bicchiere tutte le volte che volevo, senza
stare ad aspettare quel paggio insolente che, ad un certo punto, mi
aveva esortato a smetterla di attingere dal suo vassoio. Dovevo
ricordarmi di riferirlo a Phil, a proposito, non era bello avere tra la
servitù una persona tanto maleducata.
“Lina, sei ubriaca” disse la chimera, dopo essersi avvicinato e aver cercato di togliermi di mano il bicchiere.
“Questa
è una tua opinione” farfugliai, cercando di riafferrare il
mio calice. Il mio amico lo tenne ben lontano dalla mia mano.
“Oh, al
diavolo. Dato che scei coscì indisponente, Scel, berrò
direttamente dalla bocciglia!” Esclamai, attaccandomi al collo.
Ma Zelgadiss ancora una volta fu più veloce:
“Lina, per
favore.” Mi rimproverò, togliendomi anche quella.
“Stai dando spettacolo.” Aggiunse poi, dopo aver appoggiato
coppa e vino su un tavolo in cui non potevo raggiungerli dato che ero
scivolata a terra, con la schiena appoggiata alla fredda parete. La mia
testa ciondolò:
“Che problema hai, Scel? Parliamone.”
La chimera si piegò sulle ginocchia:
“Io non ho
nessun problema, ma tu, a quanto pare, sì. Che succede, Lina?
Amelia è molto preoccupata per te. Mi ha detto che ti ha vista
irrequieta per tutta la sera, sempre con il bicchiere in una
mano… Cosa ti prende? Non ti ho mai visto così.”
Sollevai lo sguardo su di lui:
“Amelia è preoccupata? E tu chi scei, il suo portavoce?”
Lo sguardo di Zel si fece duro:
“No, io
sono tuo amico. E lei non poteva alzarsi dal tavolo in cui stanno
intrattenendo degli ospiti importanti…”
“Ah, che bella squadra sciete! Sai, un tempo ce l’avevo anche io, una squadra.”
Zel sospirò:
“Ecco,
appunto. Mi stavo proprio chiedendo dove accidenti si sia cacciato
Gourry…” disse, scrutando tra i volti della sala.
Io emisi un gemito strozzato. Voleva essere una amara risata, ma risuonò come un sibilo gracchiante:
“Gourry…
Lui non è più mio amico! È amico di Joy,
adesso. Loro sono grandi, insieme!” esclamai con voce impastata,
tracciando con la mano un arco davanti a me.
Lo sguardo di Zel si fece cauto. Stava iniziando ad inquadrare il problema.
“Lina,
aspettami qui.” disse, sollevandosi. “E non toccare
né la bottiglia, né il bicchiere!” Mi
ordinò, prima di allontanarsi.
Lanciai
un’occhiata sconsolata alla coppa di vino che si trovava, mi
parve, metri e metri sopra di me, su un tavolo troppo alto da
raggiungere, e sospirando mi abbracciai le ginocchia, appoggiandovi la
fronte.
Mi si stava
spezzando il cuore, e non conoscevo nessun incantesimo che potesse
rimetterne insieme i cocci. Sapevo tante cose, conoscevo il mondo, ma
nulla mi era d’aiuto in quel momento. Maledizione.
Fu solo dopo
quello che mi parve un tempo infinito che due voci mi raggiunsero nel
mio angolo, fortunatamente abbastanza nascosto e riparato dal resto
della sala:
“Eccola, è seduta là..” disse Zel, avvicinandosi insieme ad un paio di stivali neri.
Io sollevai un poco la testa, solo per scoprire che tutto girava come se fossi stata su una giostra.
Gli stivali neri si piegarono, e scorsi due occhi color del cielo scrutarmi con apprensione.
“Lina, ma che diavolo ti sei bevuta per ridurti così?”
Aggrottai le sopracciglia, confusa.
“Vino,
credo. Parecchio vino” balbettai, coprendomi il viso con i palmi
delle mani. Non volevo che vedesse i miei occhi lucidi.
Gourry e Zel si scambiarono un’occhiata.
“Credo sia
meglio se la porto a dormire…” disse a quel punto Gourry,
scuotendo la testa. “Ha proprio esagerato stasera.”
“Sì,
lo penso anch’io…” Ribatté Zel, mentre lo
spadaccino si chinava a prendermi tra le braccia. “Vieni,
passate da questa parte, così nessuno la vedrà in questo
stato” aggiunse, aprendo davanti a Gourry una piccola porta
nascosta, in cui ci infilammo senza che io avessi avuto modo di fare o
dire alcun che.
“Lina,
Lina…” sussurrò Gourry mentre avanzava nei corridoi
bui, tenendomi stretta a sé. “Quante volte ti ho detto che
i bambini non devono bere?”
“Ti prego, Gourry… non potrei sopportare una paternale, in questo stato.”
Lo sentii reprimere un sorriso:
“D’accordo, niente predica. Anche se… lo sai che non reggi più di due bicchieri.”
Appoggiai la fronte sotto al suo mento. Sentivo il suo profumo, il tocco delle sue mani calde sulla mia schiena nuda.
“Mi conosci così bene…” sospirai, chiudendo gli occhi e abbandonandomi contro di lui.
“Sì,
è così.” disse Gourry che , una volta arrivato
davanti alla porta della mia stanza, stava cercando di aprire la
maniglia con il gomito.
“Ce l’ho con te, Gourry” dissi in quel momento, mentre la porta si apriva con uno scricchiolio.
Gourry avanzò nella stanza fiocamente illuminata dalle braci ardenti nel camino.
“E qual è la novità? Tu sei sempre arrabbiata con me, per un motivo o per l’altro.”
Ci riflettei un attimo:
“Questa
volta è diverso. Non credo di essere mai stata così
arrabbiata come in questo momento…” farfugliai, agitando
l’indice mentre Gourry mi adagiava delicatamente sul letto.
Rimasi lì stesa, l’indice sollevato davanti a me, mentre
tutto mi vorticava intorno. Poi lentamente voltai il viso: Gourry si
era piegato sulle ginocchia, i gomiti sul letto, e mi osservava
straparlare. I miei occhi incrociarono i suoi. Mi faceva male sentirlo
così vicino e, allo stesso tempo, sapere di non avere più
tempo per stare con lui.
“Sei un idiota” dissi, la voce che tremava per la rabbia e la frustrazione.
Lo spadaccino
allungò una mano per scostarmi dagli occhi i ciuffi di capelli
che mi erano sfuggiti dall’acconciatura:
“Lo so che sono un idiota. Me lo dici sempre” rispose, dolcemente.
Non aveva capito. Come faceva a non capire, maledizione?
Sbattei le
palpebre e in quel momento mi chiesi se io stessa stessi capendo
qualcosa, di quello che stava accadendo. Cosa stavo cercando di dirgli,
esattamente?
“Perché non mi hai detto che partirai domani?”
Vidi il suo sguardo giocoso farsi improvvisamente serio. La sua mano indugiò vicino al mio viso.
“Non volevo
rovinare questa serata. Anche se, beh… a quanto pare ci hai
pensato da sola, a rovinartela.” Abbozzò un sorriso, ma
era un sorriso distante. Spento.
Volevo dirgli
tante cose. Cose che avevo sempre tenuto dentro di me temendo di
esternarle. Ma la mia lingua era incollata al palato e la parte di me
intorpidita dall’alcol si rifiutava di collaborare.
“Domani non venire a salutarmi. Starò dormendo, credo” sussurrai, con voce roca.
Gourry non smise
di guardarmi e io sentii una lacrima rotolarmi sulla guancia. Voltai il
viso per non dargli modo di vederla. “Forse un giorno le nostre
strade si incroceranno di nuovo” aggiunsi.
“Lo spero” mormorò lui, con un filo di voce.
“Già.”
Chiusi gli occhi, e restammo entrambi in silenzio.
Non saprei dire
quanto tempo passò, probabilmente pochi minuti, ma tornò
a scorrere solo quando sentii Gourry sollevarsi piano, attento a non
fare rumore. Forse era convinto che mi fossi addormentata.
Feci uno sforzo
sui miei riflessi resi lenti dall’alcol e allungai mollemente un
braccio, afferrandogli il polso. Lo spadaccino si arrestò,
sorpreso:
“Credevo che dormissi…” disse, piano.
“Gourry…” mugugnai, “resta.”
“Cosa?”
“Resta qui, con me. Non voglio stare sola…” supplicai, senza mollargli il braccio.
Gourry si arrestò; sul suo volto comparve uno stanco sorriso:
“Va bene,
resterò qua con te… adesso dormi.” E prendendomi la
mano sedette sul bordo del letto, lasciandomi con una grande amarezza
nella testa confusa.
Non aveva capito.
Non volevo che rimanesse semplicemente a farmi compagnia mentre smaltivo la sbornia.
Volevo che restasse con me. Per sempre.
Dopo mille indugi
ero finalmente riuscita a buttare fuori le parole che tenevo
imprigionate dentro di me da giorni… ed era stato tutto inutile.
Cercai di aggiungere altro, ma la sbronza colossale che mi ero appena
presa ebbe la meglio sulla mia volontà, e ben presto mi fece
cadere in un sonno profondo, mentre tutto svaniva velocemente intorno a
me.
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Capitolo 8 *** Legame ***
legame
Legame
‘Tu, tu che sei diverso… Almeno tu nell’universo…
Un punto sei, che non ruota mai intorno a me, un sole, che splende per me soltanto… Come un diamante in fondo al cuore.
Tu, tu che sei diverso… Almeno tu nell’universo…
Non
cambierai. Dimmi che per sempre sarai sincero e che mi amerai, davvero,
di più, di più, di più…’ (‘Almeno tu, Mia Martini)
Quando riemersi
dalle tenebre in cui ero precipitata senza nemmeno rendermene conto, il
mio primo pensiero fu, credo, incredibilmente simile a quello di molte
altre persone che si erano trovate in una situazione simile alla mia:
‘giuro che non berrò mai più una goccia
d’alcol’ farfugliai confusamente, ancora prima di provare
ad aprire gli occhi, che sentivo gonfi e arrossati sotto alle palpebre.
Mi portai
entrambe le mani sul volto, sfregandolo più e più volte,
percependo sotto alle dita la trama del copriletto stampata sulla
guancia sinistra. La testa mi doleva da morire e , ne ero certa, non
solo per la sbronza: a sorreggere la mia monumentale acconciatura della
sera prima ci dovevano essere decine e decine di fermagli a forma di
stellina, che in quel momento si erano, con mio grande disappunto,
conficcate nei punti più disparati del mio cranio. Insomma, mi
sentivo uno straccio ancora prima di aprire gli occhi sul mondo, cosa
che in ogni caso mi costrinsi a fare.
E quando
riuscii, finalmente, a sbirciare l’ambiente circostante, dovetti
constatare con stupore che non dovevo aver dormito più di
qualche ora: dagli scuri semi aperti riuscivo a scorgere ancora il buio
della notte, rischiarato dal soffuso bagliore dell’alba ormai
prossima. Mi puntellai su un gomito e scorsi un pezzo di legno che
ancora crepitava nel caminetto, illuminando di bagliori rossastri la
stanza buia.
‘Qualcuno
deve averlo ravvivato…’ pensai di sfuggita, mentre il mio
sguardo ricadeva a quel punto sulla figura che avevo fino a quel
momento ignorato, semisdraiata al mio fianco.
Mi trovai a
sbattere più volte le palpebre: Gourry dormiva accanto a me, in
posizione seduta, la schiena addossata alla spalliera del letto; notai
che si era tolto la cinta con la spada, l’elegante mantello e gli
stivali. Ero certa che non si era reso conto di essere caduto
addormentato, scivolando di lato, con il mento che gli pendeva
ciondoloni sopra al petto.
Come un
vero gentleman aveva mantenuto la sua parola alla mia richiesta della
notte precedente, quando, ricordai in quel momento, sotto
all’effetto della sbornia l’avevo pregato di rimanere al
mio fianco. Forse non intendendo la cosa in modo tanto letterale, ma
Gourry era così. Sempre pronto ad esaudire ogni mia richiesta.
Rimasi a fissarlo
per alcuni secondi, nel silenzio che ci circondava, smorzato di tanto
in tanto dai crepitii della legna tra le fiamme. Ne osservai la
mascella squadrata, l’insolita perfezione del naso, la linea
armoniosa delle chiare sopracciglia…
Il suo respiro,
calmo e regolare, che gli faceva abbassare e alzare lentamente il
petto, mi conferiva una strana, incredibile tranquillità. E io,
che ero notoriamente un essere privo di qualsiasi forma di pazienza, mi
ritrovai a formulare un pensiero che in un primo momento mi parve
assurdo: ‘Potrei rimanere per delle ore a guardarlo
dormire…’
Non sapevo
esattamente cosa volesse dire, ma non ne fui spaventata. Era un
concetto strano, eppure, in quel momento, mi sembrava estremamente
giusto: era quello che provavo.
Spinta da
quella consapevolezza mi feci più vicina, tanto da sentire il
soffio leggero del suo respiro. Se c’era una cosa di cui ero
sempre stata grata a Gourry, le molte volte che ci eravamo trovati a
condividere lo stesso limitato spazio per la notte, era la sua
tranquillità nel sonno, quasi paragonabile alla sua pacatezza
nella vita quotidiana: non russava, non parlava e non scalciava.
Dormiva quello che molti avrebbero potuto definire ‘il sonno dei
giusti’, il riposo cioè di coloro che si addormentavano
senza preoccupazioni, consapevoli che l’indomani sarebbe arrivato
indipendentemente da tutto, e che loro l’avrebbero affrontato
come sempre, una caratteristica che gli avevo sempre invidiato.
Cercai di
arrotolare parte del mio ingombrante abito intorno alle gambe mentre mi
sollevavo, appoggiando a mia volta la schiena contro la testata del
letto, e sospirai.
Il sonno mi
era passato, il cerchio alla testa un po’ meno. Che diavolo mi
era preso la sera prima da spingermi a scolarmi quasi due bottiglie di
vino da sola?! I mie pensieri tornarono a Joy, e come una frustata mi
colpì la chiara consapevolezza di quale fosse il problema. Il
mio sguardo tornò a posarsi sullo spadaccino.
Quindi, era davvero giunto il giorno in cui le nostre strade si sarebbero separate?
Il mio cuore ebbe un sussulto.
Non…
Deglutii. Certe
cose ero davvero restia ad ammetterle, soprattutto con me stessa.
Soprattutto quando di mezzo c’erano i sentimenti… I miei
sentimenti.
Però
era così, maledizione, e in quel caso i miei sentimenti
centravano più di quanto avessi desiderato.
Finalmente,
nel buio di quella stanza, riuscii a formulare il pensiero che ormai da
giorni si affacciava di continuo nella mia mente, senza tregua, e che
io puntualmente cercavo di relegare in un angolo buio: non ero pronta a
lasciarlo andare. Non ancora. E, forse, non lo sarei mai stata. Non
riuscivo a credere che le nostre strade si sarebbero separate dopo che
ne avevamo passate così tante insieme, io e lui…
Era vero,
viaggiare in compagnia di qualcuno tanto diverso da me,
all’inizio mi aveva infastidito. Mi avevano irritato i suoi
giudizi sui miei passatempi preferiti, così tanto lontani dai
nobili ideali cavallereschi con cui Gourry era cresciuto. Il suo era un
animo puro, contrariamente al mio, che era venato di oscurità.
Poi, però,
mi aveva stupito e segretamente divertito il suo repentino cambio di
rotta: se non poteva applicare i suoi ideali di
‘lealtà-coraggio-fedeltà’ alle missioni a cui
partecipava volente o nolente… Li avrebbe votati alla persona
che seguiva. Cioè io.
Io che avevo avuto la fortuna di avere le sue doti migliori, senza avergli mai chiesto nulla.
E se
è vero che la fortuna è una ruota che gira, come era
girata nella mia direzione mettendolo sul mio cammino, ora girava dal
lato opposto, portandolo lontano da me. Avrei dovuto accettarlo, se era
questo che davvero voleva…
E per quanto
ritenessi Joy l’essere più infido del creato, sinceramente
dubitavo che gli avesse premuto una lama alla gola per trascinarlo
dalla sua parte.
Ma io…
Io non potevo vivere senza di lui, avevo bisogno di Gourry come dell’aria che respiravo.
Ecco, l’avevo detto.
Mi voltai verso di lui, amareggiata.
“Hai capito, cervello di medusa?” sussurrai. “Non andartene via, resta con me…”
Allungando la mano destra gli accarezzai con il dorso delle dita la guancia, piano, pianissimo…
Notai che aveva
una pelle incredibilmente liscia e morbida, evidentemente doveva
essersi fatto la barba la sera prima. Molte volte lo avevo visto
compiere quell’operazione sul bordo di qualche ruscello quando
eravamo in viaggio, ed ero rimasta sinceramente impressionata da come
sapesse usare la spada anche per motivi tutt’altro che
guerreschi. Quella lama di metallo sembrava a volte, tra le sue mani,
cera liquida e malleabile.
Mi chiesi
se una simile abilità con le mani la conservasse anche in altri
campi, e mi sorpresi ad arrossire dei miei stessi pensieri. Forse, anzi
sicuramente mi trascinavo ancora qualche rimasuglio della sbronza.
Tornai ad
osservarlo, le mie dita che scorrevano impercettibili sul suo volto non
sembravano averlo turbato nel sonno, così, resa audace
dalla penombra che regnava nella stanza, mi azzardai a scendere
di poco, arrivando a sfiorargli le labbra.
Gli sfiorai
il labbro superiore, morbido e sottile, passando poi a quello inferiore
più pronunciato e carnoso. Sentii un debole sospiro uscire
dalla sua bocca e immediatamente mi irrigidii, sgranando gli occhi. Il
cuore parve arrestarsi per una frazione di secondo nel mio petto,
mentre la mia mente già pensava a qualche possibile scusa da
appioppargli, del tipo: “L’ho visto, il colpevole, è
scappato dalla finestra!” Ma dopo una manciata di secondi mi resi
conto che non sarebbe stato necessario ricorrere a metodi tanto
drastici: Gourry non si stava svegliando, respirava semplicemente. In
fondo, non avrei dovuto rimanerne tanto stupita, dal fatto che
respirasse. Però iniziavo a sentirmi a disagio.
Ritirai velocemente la mano.
Ma cosa mi stava prendendo? Dovevo essere ancora ubriaca.
Considerai se non fosse il caso di riaddormentarsi fingendo che nulla fosse successo, però..
Però
erano gli ultimi momenti che passavo con Gourry, in fondo. Non mi era
concesso stargli un po’ vicino per l’ultima volta? Un
po’ più vicino…
Qualcosa che
aveva cominciato a crepitarmi addosso prese in quel momento a bruciare
con violenza, tanto da levarmi per qualche attimo il fiato. Sapere che
qualcuno me lo avrebbe portato via… mi spezzava il cuore;
accettare che non mi restavano altro che pochi istanti da passare con
lui… mi rendeva chiaro qualcosa che sapevo esistere in me da
tempo e che, fino a quel momento, avevo inconsciamente represso.
Io lo desideravo. Io… io lo amavo, maledizione.
Mi avvicinai.
“Resta…”
mormorai ancora una volta, con un sussurro, sulle sue labbra
“Io… Ho bisogno di te. Non sai quanto…”
Sapevo che le mie
parole si sarebbero perse nelle quiete sommessa della stanza. Ma a quel
punto mi ero spinta troppo oltre per tirarmi indietro.
La mia bocca si
posò sulla sua, delicatamente, azzerando qualsiasi pensiero mi
passasse nella testa. In quel momento sentivo solo il battito sordo del
cuore che mi martellava nel petto. Rimasi immobile alcuni secondi,
sempre tenendo le labbra premute contro quelle dello spadaccino,
dimenticandomi persino di respirare. Non volevo chiedermi cosa sarebbe
potuto succedere se Gourry avesse aperto gli occhi in quel
momento…
E mentre
cominciavo appena a sentire le prime ondate di imbarazzo per il mio
comportamento molto poco corretto nei suoi confronti, percepii
all’improvviso le labbra di Gourry schiudersi appena, rispondendo
al mio bacio. Sgranai gli occhi, mentre avvertivo la sua mano che
saliva a sfiorarmi il volto, e mi ritrassi.
Eppure,
nonostante fossi terrorizzata per essermi fatta cogliere in fallo come
una bambina con le dita nel barattolo della marmellata in una
situazione che non avrei potuto spiegare senza morire
dall’imbarazzo, non mi allontanai del tutto da lui.
Gourry
abbassò la mano con cui aveva cercato di stringermi a sé
e aprì gli occhi, lanciandomi uno sguardo spaesato.
Per un
lungo istante pensai che sarei morta dalla vergogna. Sentivo le mie
guance friggere, e non sapevo veramente come cavarmene
d’impaccio. Non era decisamente una situazione piacevole farsi
beccare a baciare a tradimento il proprio migliore amico.
“C-Credevo
che dormissi…” farfugliai infine, rendendomi subito conto
che questo equivaleva ad ammettere che pensavo di farla franca dopo il
mio atto criminale.
Gourry aveva un’espressione confusa.
“Lina…” balbettò, facendomi desiderare di sprofondare in quel momento.
“S-sì?...” Forse era il caso di fare gli indifferenti. Forse non se ne era veramente accorto…
“Tu…” Gourry si portò una mano alla fronte “Tu mi stavi… baciando?”
E va bene, se ne
era accorto. Pensai a quale bugia inventarmi per depistarlo, ma il mio
cervello aveva azzerato qualunque pensiero di senso compiuto. Alla fine
mi sorpresi a lanciargli un timido sguardo, mentre dalle mie labbra
usciva una parola che non mi era molto usuale:
“Scusa…” dissi solo.
Lo sguardo
di Gourry parve sgranarsi ancora di più. Indugiò alcuni
secondi, facendomi subito pentire di aver confessato con tutta quella
facilità.
“N-N…No!”
esclamò infine, davanti alla mia voglia evidente di lanciarmi
fuori dalla finestra in quel preciso istante “ Non… Non ti
devi scusare…”
Si era sollevato, e in quel momento mi stava ancora più vicino. Si passò più volte la mano sulla faccia:
“Te lo sto
chiedendo perché…” sospirò “Temevo si
fosse trattato solo di un sogno, in realtà” concluse
infine, facendomi avvampare ancora di più.
“Non stavi sognando” mi costrinsi ad ammettere.
“Ah, ecco.”
Eravamo chiaramente a corto di argomenti.
Avrei
pagato qualunque cifra affinché in quel momento sopraggiungesse
un diversivo, ma nulla accadde. Eravamo io e Gourry, solo io e Gourry,
e probabilmente nel giro di qualche minuto mi sarei consumata
nell’imbarazzo.
Fu la voce di Gourry a rompere il silenzio carico di tensione che si era creato:
“ Lina, forse non dovrei chiedertelo. Ma… Nayden?”
Nel sentire
quell’affermazione mi parve di cadere dal cielo. Che accidenti
centrava Nayden in quel momento? Io l’avevo appena baciato,
beccata in castagna, e lui mi chiedeva di Nayden? Certe volte Gourry
sapeva davvero andare contro a qualunque logica.
Sollevai su di lui uno sguardo confuso:
“Cosa c’entra Nayden in questo momento?” Ero davvero senza parole.
Gourry mi parve sorpreso dal tono che avevo usato:
“Sai, beh,
insomma, io…” Il suo sguardo si fece serio “Io
pensavo che tra te e Nayden ci fosse qualcosa…”
balbettò. Poi, davanti alla mia espressione stupefatta parve
perdere le sue certezze, tornò a grattarsi la testa e aggiunse:
“Si, cioè… Lo pensavo. Mi sono sbagliato?”
Pronunciò quell’ultima frase con una punta di speranza.
“Certo che
ti sei sbagliato cervello di medusa!” sbuffai, scuotendo la
testa. “Ma come ti vengono certe idee?” aggiunsi, levando
le mani.
“Va bene, va bene!” esclamò “Sono un idiota, non te la prendere!”
“Sicuro
che sei un idiota!” Mugolai infine, incrociando le braccia al
petto. “Non capisco come tu possa aver pensato una cosa del
genere…”
Gourry si grattò una guancia:
“Il fatto
è che, sai, vi vedevo molto in sintonia, sempre a parlare di
incantesimi. Sì, insomma, credevo… Credevo che Nayden
fosse, diciamo… Il tuo prototipo di ‘principe
azzurro’” sussurrò infine, con un filo di voce.
Ci fissammo
qualche attimo, sembrava tutto così assurdo. E infine, contro
qualsiasi logica, nel momento più imbarazzante della mia vita,
quella semplice affermazione ebbe l’incredibile effetto
di… Farmi scoppiare a ridere!
Inizialmente non mi resi nemmeno conto dello sguardo perplesso che lo spadaccino mi rivolgeva, ridevo e basta.
Sì, lo so. A quel punto avrei dovuto cominciare a preoccuparmi anche io per la mia labile sanità mentale.
E forse
Gourry, nel frattempo, si stava chiedendo se per caso non avessi tenuto
nascosta sotto al letto un’altra bottiglia di vino.
“È così divertente?” Ebbe infine il coraggio di chiedermi, levando un sopracciglio.
“Si, lo
è” dissi infine, asciugandomi gli occhi con la manica del
vestito. Il suo sguardo non mi abbandonò mentre cercavo di
ricompormi; sembrava indeciso se lasciarsi andare lui stesso al
sollievo che mi aveva invaso o sentirsi offeso per il mio inspiegabile
comportamento.
Alla fine
optò per un sorriso tranquillo: “Beh… Sono contento
di averti strappato almeno una risata. Da quando ci siamo imbarcati in
questa missione, non mi sembra ci siano state molte occasioni di
vederti così rilassata. Cominciavo a pensare che la mia presenza
fosse diventata un problema per te, Lina…”
Il tono che aveva
usato era calmo, assolutamente privo di note sarcastiche o
recriminatorie, ma bastò per arrestare di colpo la mia
ilarità.
Mi ritrovai, mio malgrado, a incatenare di nuovo lo sguardo con il suo.
‘Semmai era la tua assenza a causarmi dei problemi, stupido testone’ Lo pensai, ma non lo dissi.
“Hai
pensato che volessi ‘liberarmi’ di te per fuggire con
Nayden?...” gli domandai con un sorriso e una punta di malizia.
Ero imbarazzata, gli dei solo sanno quanto, ma mi divertivo da matti a
stuzzicarlo come mi era già capitato di fare in passato. Anche
se in situazioni molto meno tese.
In quel
momento avevo la strana sensazione che, per un tacito accordo, stessimo
cominciando a girare tutte le carte in tavola per giocare allo scoperto.
Il volto di
Gourry si imporporò mentre, un po’ corrucciato,
borbottava: “Qualcosa del genere, insomma…”
Io presi
coraggio: “E questa cosa… ti preoccupava?” domandai,
chiedendomi se la voce non mi avesse tradito risultando fin troppo
speranzosa.
Gourry abbassò lo sguardo e io mi scoprii a stringere il lenzuolo sotto alle mie mani con troppa forza.
“Sì” rispose infine. I suoi occhi azzurri tornarono nei miei, facendomi sussultare.
Tuttavia, non ero ancora disposta a dargli tregua.
“Eri
preoccupato come avrebbe fatto qualunque buona guardia del corpo nei
confronti della sua protetta, giusto…?”
Era la sua
‘botte di ferro’. L’inespugnabile frase con cui il
mio compagno di viaggio aveva sempre giustificato ogni suo
atteggiamento protettivo nei miei confronti. ‘Sono la sua guardia
del corpo, e non ti permetterò di torcerle nemmeno un
capello….’ Sì, ero conscia di aver colpito molto
basso.
Avvertii
Gourry indugiare davanti a me, pur non riuscendo a scorgere la sua
espressione. Il crepitio della legna nel fuoco riempiva il silenzio
intorno a noi.
“C’è
qualcosa di male in questo?” domandò infine. Sentii che si
era messo sulla difensiva e un leggero sconforto si impossessò
di me.
“No”
ammisi. “Anzi, è perfettamente normale che sia quella la
tua preoccupazione.” Conclusi alla fine, fiaccamente.
“Sei un’ottima guardia del corpo.”
“Comunque, non era solo questo a preoccuparmi.”
Mi costrinsi a
fissare il copriletto sperando che Gourry non leggesse nei miei occhi
la stupida speranza che si era riaffacciata quando aveva pronunciato
quelle parole. Mi sentivo così indifesa in quella situazione,
così esposta.
“Io…Tu…”
Gourry sembrava a corto di parole. Avrei voluto aiutarlo, giuro. Ma il
copriletto era quasi ipnotico. “Insomma… credo che il vero
motivo per cui mi sentivo tanto preoccupato, era ecco… Mi stai
ascoltando, Lina?”
Quella frase
impacciata suscitò in me, nonostante tutto, un altro moto di
ilarità, di cui però ritenni giusto tenerlo
all’oscuro:
“Solitamente sei tu quello che non ascolta una parola dei discorsi altrui…” dissi vaga, tornando a guardarlo.
I suoi
occhi erano laghi liquidi color zaffiro. Non mi ero mai accorta di
quanto fossero profondi. O forse sì? Sentii che le mie
guance bruciavano come il fuoco sotto quello sguardo. Ricordavo ancora
come lo avevo definito vedendolo per la prima volta: una visione di
meravigliosa meraviglia.
Dovevo
ammettere che il mio pensiero non era cambiato negli anni. Certo,
escludendo il fatto che lo avessi scoperto ad avere della salsa di
fagioli al posto del cervello. Anche se quello, per sua fortuna, non
sembrava aver avuto ripercussioni sulla sua angelica bellezza.
Beh, ognuno ha le sue fortune.
Mi chiesi
se anche il suo primo pensiero su di me non si fosse modificato nel
corso del tempo. Le sue prime impressioni sulla sottoscritta, sapete,
non le definirei del tutto lusinghiere.
“Ad ogni modo…” aggiunsi, per stemperare un po’ la tensione più che per dire realmente qualcosa.
“Mi saresti
mancata” concluse Gourry, quasi nello stesso istante, lasciandomi
a bocca aperta. Aveva usato un tempo verbale che mi faceva credere che
la situazione non fosse affatto definitiva. ‘Mi saresti
mancata’ non era ‘mi mancherai’. Era una
possibilità, non una certezza.
Lo
spadaccino sorrise timidamente: “Se non altro sono riuscito a
dirtelo. Mi sarebbe dispiaciuto andarmene senza averti detto che in
questi anni… sono stato molto bene con te.” Sembrava
più sereno ora. Le sue spalle si alzarono e si abbassarono
lentamente in un sospiro, come se un grande peso si fosse spostato dal
suo petto. “Certo, questo ovviamente non esclude che io pensi
ancora a te come alla peggiore calamità esistente al mondo! Una
vera e propria mina vagante…” Gourry ignorò lo
sguardo di disappunto che mi si stava dipingendo sul volto. Si
portò la mano al mento, assumendo uno sguardo pensieroso.
“ Però a questo punto, visto che non ci sarà Nayden
a vegliare su di te… Temo mi toccherà restare.”
“E cosa ti
fa pensare che io non sappia cavarmela da sola?” finsi di
imbronciarmi, cercando di contenere i battiti del mio cuore.
“Non è per te che temo, lo sai benissimo.”
“Ah, certo. L’umanità corre un grave pericolo se tu non sei al mio fianco.”
“Appunto.”
Il suo indice si sollevò scherzoso a spostarmi una ciocca dietro
all’orecchio, facendomi avvampare.
“Sei
così sicuro di te stesso che non ti sei nemmeno chiesto se io ti
riprenderei con me senza protestare.” riuscii solo a mormorare,
paralizzata dalla sua mano calda così tanto vicina al mio volto.
Vidi lo sguardo di Gourry soppesare lentamente quelle parole, e capii che era quello il momento di contrattaccare:
“Non sono un pacco che puoi lasciare e riprendere quando ti pare, sai Gourry?”
La mano di Gourry tuttavia non si spostò, si abbassò solo un pochino, posandosi sul mio collo. Sembrava turbato:
“Hai ragione, Lina. Hai tutti i diritti di avercela con me per il mio comportamento idiota. Perdonami.”
D’accordo, che fine aveva fatto tutta la mia saliva?
“Però…”
Proseguì Gourry, senza spezzare quel contatto. “Spero
comunque nella tua magnanimità. Non ho mai pensato a te come ad
un pacco, credimi…”
“Scordatelo.”
Gli occhi
di Gourry mi scrutarono, a lungo. Speravo non pensasse che stessi
bluffando perché ero dannatamente seria, diavolo! Ma a quel
punto un piccolo, odioso sorrisetto irriverente comparve sul suo volto:
“Ah, no?
Non vuoi riprendermi con te?” si fece più vicino e le sue
labbra si accostarono pericolosamente alle mie. Giocava sporco,
accidenti a lui. Ma rimasi sulle mie postazioni:
“Nemmeno se
mi implorassi in ginocchio” affermai, per quanto dovessi
ammettere che sarebbe stato interessante vederlo supplicare.
“Capisco.”
Gourry distolse brevemente lo sguardo. Sentivo le sue dita muoversi
piano sulla mia pelle. “Quindi…” proseguì
“Questo è un addio.”
Deglutii.
Gourry inclinò il viso. Sembrava divertito: “Era per
questo che mi hai baciato poco fa? Per dirmi addio?”
Maledetto! Stava decisamente giocando sporco!
Mi sottrassi alla sua presa, guardandolo in cagnesco:
“Io? Ti sbagli, quello che cercavo di fare era solo soffocarti nel sonno brutto idiota!”
Gourry sorrise:
“Mi stavi baciando” disse ancora, con fare spudorato.
“Anche ammettendo che fosse vero… è forse vietato dalla legge?” Mi infervorai.
“Certo che no. Voglio solo sapere perché” sembrava deciso.
“Sono fatti miei.” Il discorso stava prendendo una piega surreale.
“Vuoi riprovarci?”
Uh… cosa?
Rimasi
senza parole. Il sorriso sul volto di Gourry, davanti alla mia
espressione smarrita, si addolcì infinitamente. Contro qualunque
previsione, mi prese teneramente tra le braccia. Io rimasi rigida e
ammutolita.
“Non volevo
prenderti in giro, però mi chiedevo davvero se tu volessi
riprovarci… non ero molto cosciente la prima volta, ma questo
non esclude che non mi possa piacere, anzi…”
sussurrò al mio orecchio, con una punta di malizia nella voce,
mentre io mi chiedevo se fossero le sue braccia strette al mio corpo a
farmi sentire, all’improvviso, così bene.
Rimasi in
silenzio, soggiogata dall’emozione. Per la prima volta in vita
mia mi ritrovavo incapace di formulare un pensiero razionale. Gourry
dovette accorgersene, perché avvertii la pressione con cui mi
stringeva diminuire, mentre il suo volto tornava a fronteggiarmi:
“Credevo
che a questo punto della storia la mia testa fosse già appesa ad
una picca…” mormorò, una traccia di incertezza
nella voce, forse rendendosi conto lui stesso in quel momento di quanto
eravamo vicini.
“Sì,
infatti…” risposi. “Ma forse…”
Non pensai di averlo detto fino a quando non sentii le parole uscire
dalle mie labbra: “Vorrei riprovarci, se non ti dispiace.”
Gourry sorrise; uno dei suoi sorrisi più dolci e rassicuranti:
“Non credo che mi dispiacerà…” sussurrò, sulla punta del mio naso.
Mi prese il
viso tra le mani, avvicinandosi. Le sue labbra morbide scesero e si
incontrarono con le mie, tremanti. L’iniziale rigidità con
cui le accolsi si sciolse tuttavia in fretta, quando lo spadaccino
dischiuse le labbra e accarezzò la mia lingua con la sua.
Fu un bacio
lungo, dolce. Il primo che avessi dato in tutta la mia vita, e lo stavo
dando all’uomo giusto, lo seppi dal primo istante. Quando ci
separammo riuscii solo a pensare che ne volevo ancora, di baci
così. Non avrei più potuto farne a meno. Anche Gourry
doveva essere giunto alla stessa conclusione.
“Come ho potuto pensare che sarei riuscito a vivere lontano da te? È assurdo.”
Un lieve
sorriso comparve sulle mie labbra. Nemmeno io riuscivo a credere di
avergli dato ad intendere che, senza di lui, la mia vita sarebbe
rimasta la stessa.
“Evidentemente
Joy deve averti posto la cosa in modo davvero interessante per
convincerti a seguirlo…” considerai, reprimendo un moto di
disgusto al pensiero del mercenario e delle sue minacce da quattro
soldi.
Sentii le dita di Gourry farsi strada tra i miei capelli, mentre prendeva ad accarezzarmi dolcemente la nuca.
“In
realtà mi ha solo fatto notare qualcosa a cui non avevo mai
pensato…” rispose. Si staccò da me, tornando a
fronteggiarmi: “Sono certo che fosse in buona fede, perché
non vedo che altri motivi avrebbe avuto di agire così…
Però credo che anche Joy abbia sospettato che ci fosse qualcosa
tra te e Nayden…” Un lieve imbarazzo comparve sul suo
volto. “Il resto l’ho fatto tutto io, credendo che
andarmene in silenzio ti avrebbe solo reso la vita più facile.
Io… ti desidero da tanto, Lina. Ma ho sempre creduto che per te
non fosse la stessa cosa. Che volessi un uomo diverso al tuo
fianco… più intelligente, più in gamba. Nayden
sembrava quello giusto” ammise, abbassando lo sguardo.
Presi il suo volto tra le mani, costringendolo a guardarmi.
“Ho poche
certezze nella vita, Gourry. E una di queste è che non esistono
uomini migliori di te. Tu sei il più buono, il più
onesto… non ti cambierei con nessuno al mondo, perché
nessuno vale quanto te” conclusi, posando la fronte contro la sua
e chiudendo gli occhi. Restammo in silenzio a lungo, assimilando tutto
quello che ci eravamo confessati l’un l’altro.
Possibile che
Gourry, in tutta la sua beata innocenza, non si fosse accorto di tutte
le macchinazioni che Joy aveva ordito alle sue spalle? Tuttavia, mi
imposi di non fiatare.
Volevo che Joy
uscisse dalle nostre vite per sempre, ero disposta a dimenticare tutto
il male che ci aveva fatto, seminando zizzania tra di noi. Eppure,
c’era una cosa che ancora faticavo a digerire.
Sollevai lo sguardo su di lui: “Gourry, quando abbiamo incontrato Joy, quella prima notte…”
Non ebbi il
coraggio di proseguire. Deglutii, mi mancò il fiato, presi a
torturarmi le mani. Gourry mi guardava preoccupato. Alla fine decisi
che l’avrei affrontato di petto:
“Gourry” esclamai “Dove sei stato le notti in cui sei uscito con Joy?”
A quel punto
qualcosa sul suo viso mi rivelò che, effettivamente, qualcosa
che forse non avrei dovuto sapere c’era. Lo spadaccino mi
squadrò alcuni secondi, pareva molto incerto. Poi,
contrariamente a qualsiasi cosa mi fossi aspettata, disse:
“Io non… non posso dirtelo.”
Ah.
Ecco.
L’espressione
sul mio volto doveva essere abbastanza esplicita, perché un
improvviso lampo di comprensione passò negli occhi dello
spadaccino:
“Comunque,
non è come pensi… se è a quello che stai
pensando…” Si grattò una guancia “Non avrei
mai potuto fare quello che stai pensando.” Sembrava molto serio.
Levai un sopracciglio:
“Che ne sai di quello che sto pensando?” commentai, sospettosa.
Gourry mi sorprese:
“Stai
pensando alla cosa più ovvia, me lo dicono i tuoi occhi.
Ma…” Le sue braccia tornarono a stringermi la vita,
nonostante non avessi ancora deciso se lasciarglielo fare o meno.
“Per me non è mai esistita una ‘soluzione’ del
genere…. Non da quando sto con te.”
Sembrava
veramente sincero, e il suo volto, a pochi centimetri dal mio, mi fece
imporporare le guance. Non sapevo ancora bene come interpretare la
frase ‘da quando sto con te’, ma decisi di tacere. Sapere
che per Gourry le cose potevano essere già chiare da prima che
io me ne rendessi anche solo conto mi rendeva nervosa.
Ad ogni modo, non
ero disposta a lasciare cadere la questione. Se non era
‘quello’… Cos’altro poteva esserci, di
così privato, da non potermelo raccontare?
Sentivo le
sue braccia strette su di me, mentre le mie erano invece abbandonate
sulle ginocchia. Per me era molto strana quella nuova, sconosciuta
intimità.
“Gourry…” protestai “Perché non puoi dirmelo?”
Gourry sospirò:
“Lina,
sinceramente penso che se tu sapessi di che si tratta, nemmeno ti
importerebbe, credo… Non è niente di impressionante, ma
ho promesso a Joy che non l’avrei detto a nessuno. È una
sua questione privata.” Sentivo il suo respiro sulla mia fronte.
Sbuffai e Gourry sorrise.
“Credi che
andrei da Joy a dirgli che me l’hai detto? È qualcosa che
mi lascerebbe così sconvolta?” Mi scoprii irritata dal
loro cameratismo.
Gourry parve considerare la questione:
“No,
sconvolta no di certo. Si tratta solo di un piccolo segreto che
c’è tra me e Joy, da molti anni… Fin da quando
eravamo compagni d’arme.”
Oh, beh, se era un segreto… Insomma, un segreto è un segreto.
Forse avrei dovuto lasciar perdere.
Forse.
“Gourry….”
sussurrai, in tono supplichevole. Ma Gourry conosceva le mie moine,
perché per anni lo avevo assillato supplicandolo di regalarmi la
Spada di Luce. Lo sentii reprimere una risata:
“Ti hanno
mai detto che sei tremenda?” protestò, ma capii dal suo
tono che ormai aveva ceduto. “E va bene, ti avviso però
che rimarrai parecchio delusa: è una vera inezia.
Dunque…” Gourry parve cercare le parole, tornando ad
appoggiare la schiena alla spalliera e ne approfittai per sistemarmi
meglio tra le sue braccia, appoggiando una guancia sul suo petto.
Attraverso gli scuri vedevo il blu della notte tingersi di rosa.
“Quando ho
conosciuto Joy facevamo parte della stessa comitiva… Eravamo
entrambi giovanissimi e anche parecchio inesperti. Beh, io forse lo ero
un po’ meno, ma Joy… Un vero disastro. Se ne era andato di
casa dopo la morte della nonna, la donna che l’aveva cresciuto.
Era parecchio arrabbiato, soprattutto con se stesso, e desideroso di
farsi valere. Litigava in continuazione con chiunque, un vero
grattacapo per il nostro capitano di allora. Era sempre nervoso, pronto
a scattare per un nonnulla. Gli altri lo trovavano un tipo strano,
ombroso. Dicevano che aveva il malocchio” concluse amaramente. I
suoi occhi erano concentrati, rivolti verso un passato di cui ero
completamente all’oscuro. Gourry proseguì:
“Con me però non aveva nessun problema. Forse
perché non gli ho mai dato motivi concreti per attaccarmi. Alla
fine raggiungemmo una buona sintonia. Fu in quel periodo che ci
trovammo a condividere qualunque momento della giornata, e allora capii
perché fosse sempre tanto nervoso. Non dormiva. O, se lo faceva,
lo faceva in modo agitato, irrequieto. Qualcosa sembrava tormentarlo in
ogni momento della giornata, ma più di tutto durante il sonno.
Ovviamente non gli chiesi mai niente, non erano affari miei, dopotutto.
Cominciai invece a fargli compagnia durante quei momenti neri, e fu
lì che mi venne l’idea di distrarlo insegnandogli ad usare
meglio la spada. Sai, unire l’utile al dilettevole. Così
capitava spesso che la notte ci sentissero duellare, fino allo
sfinimento. Io ovviamente dopo avevo un gran bisogno di rifarmi,
dormendo più che potevo… Joy non so cosa facesse, ma so
che quell’allenamento servì a dare un certo equilibrio
alla sua persona. Quando lasciai quel gruppo di mercenari, per
proseguire solo, era una persona diversa da quella che avevo conosciuto
i primi tempi. E adesso, beh… Sono stato felice di vederlo
finalmente realizzato, con una sua comitiva. Le notti in cui sono stato
in sua compagnia non abbiamo fatto altro che rinvangare il passato, a
colpi di spada… Tutto qua.” Gourry mi sorrise. “Sei
delusa?”
Probabilmente lo
ero, ma non glie lo diedi ad intendere. Un banale caso di insonnia e
‘cose da uomini’? Però adesso capivo; capivo
perché Joy avesse quell’ossessione morbosa per Gourry,
perché non vedesse l’ora di riaverlo con sé: Gourry
era stato la sua ancora di salvezza. Lo aveva recuperato dalle tenebre,
gli aveva dato un equilibrio, era stata l’unica persona in grado
di trascinarlo fuori dai suoi incubi. Non era qualcuno a cui si poteva
rinunciare a cuor leggero, chi poteva saperlo meglio di me?
Probabilmente a Joy doveva essere sembrato un dono degli dei il fatto di aver ritrovato il suo vecchio compagno d’arme.
O forse…
Ripensai alle missive uguali.
Ripensai ai miei due ‘incidenti’.
Riavere Gourry
poteva essere un movente tanto forte da spingere qualcuno a cercarlo,
dopo tanti anni, e a fare ‘qualunque cosa’ pur di riaverlo
con sé?
Per una frazione
di secondo le parole di Gourry si mescolarono a quelle che Nayden aveva
speso per mettermi in guardia su Joy: “il suo cuore è
pieno di ombre. E le sue intenzioni non sono sempre buone. Stagli
lontana, è meglio.”
Mi resi
conto che stavo rabbrividendo e tornai al presente solo quando la mano
di Gourry prese ad accarezzarmi dolcemente la schiena.
“A cosa
stai pensando?” mi chiese, con tranquillità. Non pareva
essersi reso conto di quanto il suo ‘innocuo’ racconto mi
avesse realmente turbata.
“Pensavo a
Joy. Gli dispiacerà molto non vederti andare via con
lui…” dissi. ‘Molto più di quel che
immagini’ aggiunsi mentalmente.
“Joy
capirà” Gourry sembrava molto sicuro del fatto che il suo
amico avesse riacquistato l’equilibrio, senza rendersi conto che
invece, probabilmente, era ancora più instabile di quanto non
fosse in gioventù.
Il suo sguardo divenne poi improvvisamente serio:
“Se ti
avessi persa per un equivoco del genere, Lina… non me lo sarei
mai perdonato.” Posò la fronte sulla mia, mentre i suoi
capelli mi sfioravano le guance. “Il mio posto è al tuo
fianco. Da sempre. E per sempre.” Le sue labbra cercarono
nuovamente le mie, combinandosi perfettamente con loro, come mi aveva
già dimostrato poteva succedere. A quel punto, tutti i dubbi e
le preoccupazioni si dispersero come farfalle intorno a me.
Sprofondammo
tra i cuscini, mentre il nostro bacio si faceva sempre più
intenso. Non potevo credere che potesse essere così…
Così.
‘Così’
era tutto quello a cui in quel momento riuscivo a pensare per definire
quell’immensa sensazione di calore e stordimento che i movimenti
della bocca di Gourry sulla mia, dentro la mia, stavano producendo in
me. Sentivo solo… Gourry. Tutto era Gourry. Le sue mani, il suo
profumo, le sue labbra, la sua lingua…
I suoi capelli
che scendevano come una tendina dorata intorno a noi, il calore del suo
corpo sopra al mio. Persino la sensazione delle sue vesti a contatto
con la mia pelle sembrava entusiasmarmi. Non avevo mai provato qualcosa
del genere in tutta la mia vita. Volevo solo stringerlo più
forte, ancora più forte di quanto non stessi già
realmente facendo… E in quel momento, un pensiero scoppiò
come una bolla di sapone nella mia mente inebriata. Come avevo creduto
di poter andare avanti, senza di lui? Era ovvio che non sarei
sopravvissuta.
Era come
immaginare una vita senza sole, senza calore, senza gioia. Era come
immaginare una vita senza… vita. Lui era la vita.
“Gourry…”
sussurrai, staccando le labbra dalle sue. Lui spostò la bocca
sul mio collo, baciandomi sotto l’orecchio.
“Mmm”
“Io ti amo.”
Non potevo credere di averlo detto.
L’effetto fu immediato. Gourry si fermò all’improvviso, sollevando il volto, le sopracciglia aggrottate.
Per un breve
istante mi fece temere di aver parlato a sproposito, facendomi
arrossire violentemente. Poi però il suo sguardo si
addolcì in un modo tale da farmi quasi sciogliere. Gli occhi gli
brillavano di gioia come punti luminosi, irradiando splendore in tutto
il suo volto.
Mi sentii
quasi mozzare il respiro in gola davanti alla reazione che avevo
scatenato… E cominciai a chiedermi dove fossero le arpe e gli
usignoli. Ma quando ormai era chiaro che nessun coro celestiale sarebbe
sopraggiunto ad allietare quel momento, mi schiarii la gola:
“Uh… Gourry?”
Mi fissava imbambolato, sorridendo.
‘Perfetto, se volevi rendermi le cose più difficili ci stai riuscendo alla perfezione’ pensai, imbarazzata.
Fortunatamente,
dopo alcuni secondi Gourry sembrò uscire da quel momento di
incanto. Le sue dita tornarono sul mio volto, e la sua fronte si
posò sulla mia. Sospirò.
“Non…
non pensavo di aver detto qualcosa di così terribile da
lasciarti catatonico…” commentai, impacciata. “Anche
se dovrei sapere che quello è più o meno il tuo stato
normale” aggiunsi, sarcastica.
Gourry sorrise:
“Lina…” mormorò “Ti amo anch’io. Non sai quanto.”
Oh…
Sospirò
nuovamente: “Ho pensato talmente tante volte a come dirtelo
che… Il fatto che tu l’abbia detto per prima mi ha preso
in contropiede…” commentò poi, ridacchiando.
Quella
frase mi fece sorridere, disperdendo la tensione che si era accumulata
nel mio petto dopo che avevo pronunciato le parole incriminate. Lo
tirai verso di me. Ormai le mie sensazioni e il mio corpo parevano aver
trovato una certa sincronia, e collaboravano alla perfezione senza che
fossi io a decidere come muovermi. Mi lasciavo guidare
dall’istinto. Tracciai il contorno delle sue labbra con la punta
della lingua, e lo baciai. Gourry reagì con passione alla mia
iniziativa e quando mi scostai, per seguire con le labbra la linea
della sua mascella, sentii un lieve gemito uscire dalla sua bocca
aperta, che respirava in modo discontinuo. Percepivo la morbidezza
della sua pelle sotto alle mie labbra, inizialmente timorose, ma poi
sempre più bisognose e avide di un contatto. Le sue mani scesero
sulle mie braccia, quasi fino al gomito, per poi cambiare direzione e
posarsi sui miei fianchi. Trattenni un attimo il fiato quando da
lì sgusciarono fino alla mia schiena, insinuandosi tra il
materasso e la mia pelle nuda. Gourry a quel punto mi strinse,
sollevandomi appena. Le sue dita raggiunsero le mie scapole, e sentii
alcune ciocche di capelli sfuggirmi dallo chignon e srotolarsi sulle
spalle. Mi stava tirando verso di lui, e quando le sue labbra
raggiunsero il mio orecchio, mi sentii mancare il fiato.
Il suo respiro era caldo, spezzato.
“Lina, vuoi…” indugiò, un solo istante. “Vuoi fare l’amore con me?”
Per un istante,
un solo istante, pensai che mi si fosse fermato il cuore. Forse avrei
dovuto controllare sul polso. Quel che è certo, è che
rimasi assolutamente senza parole, e dopo quelli che mi parvero secoli,
nel silenzio, sentii la mano destra di Gourry spostarsi dalla mia
schiena per raggiungere la guancia. Scostò il volto dal mio,
guardandomi, e mi trovai a pregare che non si accorgesse del panico che
sicuramente avevo negli occhi.
Diciamolo, non ero mai stata un mago nella mimica facciale.
Il suo sguardo pareva invece molto serio:
“Non avrei dovuto chiedertelo, sono un idiota…” mormorò “Perdonami…”
Colta di sorpresa davanti a quell’affermazione, mi sorpresi nel sentirmi rispondere:
“Sì.”
Gourry sorrise lievemente, inclinando la testa di lato:
“ ‘Sì’ sono un idiota?” Mi domandò.
Io sbattei più volte le palpebre.
E in quel momento mi resi conto di qualcosa che avevo sempre saputo.
Io lo
volevo. Volevo che la mia prima volta fosse con Gourry. Era un
desiderio inconscio che era nato e cresciuto da quando mi ero scoperta
a provare per lui qualcosa che andasse oltre il semplice affetto, e in
quel momento, quel desiderio, pareva esplodermi dentro con una tale
intensità da lasciarmi spaventata, ma non confusa. Sapevo quello
che volevo.
Scostai la
sua mano, ma prima che il suo viso potesse assumere
un’espressione afflitta, mi ritrovai io stessa a prendergli il
volto tra le mani.
“No…”
sussurrai. “Era: ‘Sì, voglio fare…
l’amore…” deglutii. “Con te” mi trovai a
precisare stupidamente, come se ci fosse stato qualcun altro in quella
stanza.
O forse
meno stupidamente di quanto potessi immaginare. In effetti, anzi, il
‘con te’ era probabilmente la parte più importante
dell’intera dichiarazione.
Con te, Gourry. Con nessun’altro. Perché con nessun altro potrei sentirmi come mi sento con te.
Gli occhi di Gourry mi scrutarono a lungo:
“No” disse infine, con tono sicuro.
Per poco non mi caddero le braccia. Cosa avevo sbagliato nella mia affermazione?
Dovevo
avere un’espressione abbastanza delusa perché lo
spadaccino mi sorrise teneramente, prima di allentare la stretta su di
me quel tanto che bastava per riadagiarmi con delicatezza sul cuscino.
Mi baciò la punta del naso quasi fossi stata una bambina da
mettere a letto.
Ecco, a
quel punto avrei anche potuto ritenermi parecchio afflitta. Se non
fosse stato che i modi di Gourry stavano contribuendo, in
realtà, ad instillarmi una pacata tranquillità.
“Perché no?” chiesi, incerta.
Lo sguardo di Gourry trasmetteva solo dolcezza:
“Perché
non devi farlo solo perché te l’ho chiesto. Sono stato uno
stupido a metterti fretta per una cosa del genere, ero…
ecco… molto preso, ma questo non significa…”
cercò di riacquistare un certo controllo. “Non potrei mai
perdonarmi di averti in qualche
modo…‘forzata’.” Le sue dita scesero gentili
ad accarezzarmi una guancia.
“Ma io…” cercai di protestare, inutilmente. Gourry mi portò un indice alle labbra.
“Non credo
che tu sia ancora pronta, Lina. Prima, per un attimo, ti ho vista
così spaventata…” Scosse la testa nel ricordare
quel dettaglio che avevo sperato gli fosse sfuggito.
“Non ero spaventata, ero…” borbottai.
Già, cos’ero?
Gourry mi guardò e sorrise:
“Eri terrorizzata!”
Beh, forse ero un pochino intimorita, ma… chi non lo sarebbe stato, suvvia!
Lanciai un’occhiata impotente nella sua direzione, e notai che il suo sguardo non ammetteva repliche.
Sentivo il calore delle sue mani nelle mie. Gourry si piegò su di me:
“Quando
sarai pronta, Lina… non sarai più tanto spaventata. Non
voglio ferirti, ma ancora di meno voglio che tu abbia dei rimpianti a
causa mia. Ti ho aspettato per tanti anni, non voglio rovinare tutto
con la fretta.”
“Sarò sempre spaventata…” provai a dissentire. Gourry parve rifletterci, ma io parlai per prima:
“Gourry,
ascolta, prima, quando mi hai chiesto se… se volevo fare
l’amore con te, lo ammetto, sono entrata nel
panico…” Feci una pausa, notando come i suoi occhi mi
seguivano attenti. “Ma mi sono anche sentita… pronta.
Perché sei tu, Gourry. E io credo che aspettare un giorno, un
mese, un anno… Non cambierà le cose. Sarai sempre tu
Gourry, e io voglio fare l’amore con te e… Voglio farlo
adesso.” Gli lanciai una timida occhiata, cercando di intuire i
suoi pensieri in quel momento.
“So che
è la scelta giusta, ne sono convinta…” mormorai
infine, come ultima risorsa davanti al suo tentennamento.
In effetti,
era abbastanza ridicolo che fosse stato lui a chiedermelo e che in quel
momento mi ritrovassi io ad indurlo ad accettare che era una buona idea.
Alla fine lo spadaccino sospirò:
“Non sono
sicuro che tu ne sia così convinta… ma, se è
questo che davvero vuoi…” Le sue dita mi sfiorarono le
labbra. No, decisamente non sembrava affatto persuaso.
“È
quello che voglio…” ribadii, sentendomi affluire il sangue
alle guance sotto al suo tocco leggero.
Gourry si chinò, sfiorandomi le labbra con un bacio:
“Testa
dura…” mormorò, facendomi sorridere
“Ricordati che possiamo fermarci quando vuoi,
d’accordo?”
“Sì…”
bisbigliai, chiudendo gli occhi e preparandomi a baciarlo; ma, con mio
grande stupore, lo sentii invece sollevarsi, alzandosi dal letto.
Mi allarmai… Stava forse tentando la fuga?
“Gourry?” domandai, vedendolo avviarsi verso il camino.
Lui si voltò con un sorriso:
“Voglio
solo ravvivare un po’ il fuoco, sai… non vorrei ritrovarmi
a battere i denti sul più bello!” esclamò, buttando
qualche pezzo di legno tra le fiamme. Sembrava che volesse mantenersi
tranquillo, ma riuscivo ad avvertire il turbamento nella sua voce. Non
doveva essere meno spaventato di me, decisi.
Quando si riavvicinò al letto mi rivolse una lunga occhiata, facendomi sentire di colpo indifesa, inerme.
Ma sapevo
che era una pensiero assurdo, perché con chi altro avrei potuto
sentirmi tanto al sicuro se non con Gourry?
“Battere i
denti mentre sei con me… Non sarebbe molto carino, in
effetti.” considerai, strappandogli un debole sorriso. La forzata
allegria con cui cercavamo di dialogare venne meno quando Gourry, con
un gesto che non potrei definire altro che sensuale, si sfilò la
tunica dalla testa.
Arrossii mentre
la sua chioma bionda riemergeva dalla stoffa dell’indumento, che
lasciò cadere su un angolo del letto, prima di venire a
stendersi nuovamente al mio fianco. Dei, era così maledettamente
bello.
Probabilmente
dovette rendersi conto del mio sguardo allibito, perché
allungando una mano verso di me chiese: “Ci stai
ripensando?”
“N-No…”
balbettai, incapace di dirgli che improvvisamente la sua vicinanza
cominciava a crearmi qualche serio disagio. Mi stavo rendendo conto
solo in quel momento che, in effetti, i vestiti per quello che ci
accingevamo a fare erano un orpello decisamente inutile…
Gourry mi
scostò la frangia dagli occhi e mi guardò come mai mi
aveva guardato, prima di allora. Nel suo sguardo lessi il desiderio a
lungo represso che aveva covato in segreto dentro di sé, forse
per anni. E la paura di deludermi, di rovinare tutto.
“Non riesco
a credere che stia succedendo tra di noi…” sussurrò
con voce roca. Annuii nel sentire quelle parole; aveva ragione: Io e
Gourry eravamo stati compagni di viaggio e amici inseparabili. Ora ci
accingevamo a diventare qualcosa di più. Eravamo già
qualcosa di più. E, per quanto avessi potuto sforzarmi, un
legame come quello sapevo che non l’avrei mai trovato, mai. Era
unico.
“Ti sembra… strano?” domandai, posando il palmo di una mano sulla sua guancia.
Gourry
rifletté un attimo “Sì… e no. Non ricordo
nemmeno quanto tempo dopo averti conosciuta io abbia cominciato a
sperare… a desiderare che succedesse una cosa del genere, tra di
noi” mi disse, calmo. Poi il suo sguardo tornò a fondersi
con i miei occhi: “A volte mi sono scoraggiato, e tu mi sei
sembrata lontana e… irraggiungibile. Sei così forte, e
così bella” sussurrò, mentre i miei occhi si
sgranavano per lo stupore. Bella? Aveva detto proprio… Bella?
Cioè, non
fraintendete. Sapevo benissimo di essere una creatura perfetta. Ma
vedete, quando per anni si viene continuamente perseguitati da certi
volgari appellativi, insomma… Si tende a perdere la speranza che
qualcuno un giorno veda riconosciute le proprie doti.
Ad ogni modo, era la prima volta che Gourry me lo diceva, in modo tanto esplicito. Mi fece arrossire.
Il fatto che fossi avvampata dovette divertirlo molto, perché prese coraggio:
“E sai cosa
mi piace più di tutto?” Mi chiese, con fare giocoso. Io
scossi la testa. Gourry mi sollevò una ciocca di capelli:
“Questi….” bisbigliò. Poi posò un
indice sul mio naso: “Questo…” disse, prima di
baciarne la punta. Appoggiò l’indice sulla mia guancia,
nel punto esatto in cui mi compariva una fossetta tutte le volte che
sorridevo. Evidentemente, doveva conoscere quel punto a memoria.
“Questa fossetta…” proseguì, come un
insegnante che elenca su una carta geografica.
“Quale
fossetta?” Gli chiesi, e sorrisi. Gourry si chinò a
baciare la minuscola fessura che si formò tra le pieghe della
mia pelle. Poi il suo sguardo tornò alla ricerca: “Anche
questa mi piace molto…” decretò, indicando le mie
labbra socchiuse, in cui stava in bella mostra la piccola fessura che
avevo tra gli incisivi.
Io mi
accigliai: “Ti piace quella?” Ero sorpresa. Detestavo
quella fenditura, quell’imperfezione che correva tra i miei
denti. Gourry annuì. “Mi stai prendendo in
giro…” borbottai.
“No, la
adoro. Quando sei pensierosa tieni le labbra socchiuse… A volte
ti metti un dito in bocca, e non fai che torturartela…»
sussurrò, prima di chinarsi a baciarmi le labbra.
Dovevo ammettere che certi aspetti di me stessa erano più chiari a Gourry che alla sottoscritta.
Quando si
sollevò, mi guardò ancora a lungo, prima di aggiungere:
“Ma più di tutto, mi piacciono questi…” Le
sue dita accarezzarono dolcemente le mie palpebre, scorrendo sulle mie
ciglia. Si piegò verso di me: “Bambina dagli occhi
grandi…”
La sua bocca
scese sulla mia, che la aspettava impaziente. Strinsi le braccia
attorno al suo collo, mentre le nostre labbra si muovevano insieme,
spinte da una nuova, improvvisa frenesia. Le sue mani indugiarono
ancora a lungo sul mio viso, scendendo a volte verso il collo,
accarezzandomi come non riuscivo a credere che un giorno avrebbe fatto.
Ad ogni suo
movimento sentivo crescere in me il desiderio di non staccarmi mai da
lui. Ne avevo bisogno quasi come dell’aria. Il suo respiro, il
suo tocco, persino il suo cuore che batteva ritmicamente sotto alla
pressione delle mie dita animavano in me nuove, sconosciute sensazioni.
Quando le mie mani, fattesi coraggiose, presero a scendergli e
risalirgli sulla schiena liscia e perfetta, lo sentii rabbrividire, e
staccare le labbra dalle mie. Il suo respiro si fece più
affannoso. Sembrava che cercasse di trattenersi, di contenersi.
“Lina…” farfugliò “Sei ancora sicura di…?”
Gli portai le
mani sul volto e lo baciai, sperando così di distrarlo e fargli
capire che non c’era nessun problema, nessun indugio…
Anche se, in
effetti, di timori ne avevo parecchi. Uno su tutti il dolore. Ma ero
sicura di aver fatto la scelta giusta per il semplice fatto che Gourry
era la persona giusta. E questa convinzione era tanto forte da farmi
superare tutto il resto.
Quel bacio
dovette rassicurarlo, perché la sua stretta su di me si fece
improvvisamente più salda, quasi fosse anche per lui un bisogno.
La sua mano sinistra continuava ad accarezzarmi una guancia, ma la
destra si spostò dietro al mio collo. Sapevo cosa stava per
fare, e il mio respiro accelerò mentre lo sentivo sciogliere il
nastrino che teneva legato il mio vestito alla base della nuca. Mi
sollevai quel tanto che bastava per permettergli di farlo. Poi
trattenni il respiro e mi strinsi a lui, nel miserabile, ridicolo
tentativo che il vestito superasse la forza di gravità
restandomi pennellato addosso. Lui aspettò, paziente, che
superassi i miei complessi.
Quando il vestito
scivolò via dovevo avere le guance in fiamme, ma Gourry, ancora
una volta, seppe infondermi tranquillità, stringendomi a
sé e baciandomi la fronte, apparentemente incurante del mio seno
nudo che premeva contro al suo petto.
“Ti
amo” disse, distraendomi e confortandomi nello stesso tempo.
“Sei bellissima.” La sua bocca tornò a baciarmi, con
dolcezza e passione, e lentamente mi spinse di nuovo verso i cuscini.
Solo a quel punto le sue mani scesero verso il mio seno, avvolgendolo.
Gourry
smise di baciarmi. Il mio respiro era corto, ed ero certa che sarei
morta di vergogna, ma lo spadaccino si esibì in un sorrisetto
malizioso:
“Allora
esiste!” disse, strappandomi una risata che risuonò in un
singhiozzo: tutto quello che era in grado di fare la mia coscienza in
quel momento.
Mi
accarezzò a lungo i seni, chinandosi a baciarli, succhiando i
piccoli capezzoli rosa. Affondai le dita nei suoi capelli, inarcando la
schiena per offrirmi ancora di più a lui. Quando il suo volto
tornò verso il mio, sentii che aveva il respiro spezzato.
“Oh,
Lina…” sussurrò. Mi resi conto che il mio nome,
pronunciato in quel modo, suonava quasi come una supplica. Riuscivo
quasi a distinguere i tonfi del suo cuore mentre la sua mano scendeva
ad accarezzarmi una coscia, tracciandone delicatamente il contorno, per
poi scivolare tra le mie gambe.
Quella fu la fine.
Ormai non
possedevo più un briciolo di lucidità. Mi rendevo conto
solo vagamente di essere come cera tra le mani di Gourry, che mi
scioglieva e ricomponeva a suo piacimento. Respiravo convulsamente,
ansimavo, gemevo… Sotto di me il copriletto era sparito, le
lenzuola le tenevo strette in un pugno che aprivo e chiudevo
aritmicamente, ad ogni tocco, carezza, bacio…
Non credevo
possibile che mi stesse facendo una cosa del genere, era pura emozione.
Quando la sua mano tornò sui miei fianchi, tuttavia, mi resi
conto che mi stava sussurrando qualcosa all’orecchio:
“Sei pronta?” mi chiese, col fiato spezzato.
“S-sì…” biascicai, tornando improvvisamente conscia di dove fossi e di cosa stesse per accadere.
Istintivamente gli portai entrambe le braccia al collo, mentre il suo sguardo preoccupato mi scrutava in volto.
“Sì”
ripetei, più convinta, per non dargli modo di pensare che
volessi tirarmi indietro. Le sue mani abbandonarono il mio corpo, e si
spostarono sul cuscino ai lati della mia testa. Mi baciò la
fronte:
“Ho paura di farti male…” confessò, protettivo.
Mi morsi il
labbro. Temevo anche io il dolore che avrei provato, ma non mi sembrava
giusto rivelarglielo proprio in quel momento vista la sua
preoccupazione nei miei confronti.
“Mi fido di te…” gli sussurrai quindi, guardandolo dritto negli occhi.
Gourry mi sorrise:
“Ricordati che possiamo fermarci quando vuoi” ripeté ancora una volta.
“Lo
so…” risposi, e lo baciai. Fu un bacio breve, nervoso,
dopodiché Gourry sospirò e si sollevò, sfilandosi
i pantaloni, mentre io guardavo dall’altra parte, innegabilmente
imbarazzata, nonostante tutto.
Sono una persona molto pudica, va bene?
Quando
tornò a stendersi su di me allargai le gambe per accoglierlo,
questa volta senza nessuna difesa esterna a separarci. Le sue labbra si
posarono sulla mia guancia, mentre i suoi gomiti si puntellavano
saldamente sul materasso. Cercai di non pensare al dolore imminente.
Cercai di non pensare a niente che non fosse Gourry.
‘Gourry-Gourry-Gourry…’ mi ripetei mentalmente,
mentre tutto il suo corpo aderiva al mio, avvolgendolo di calore e
desiderio, e lui scivolava dentro di me.
Inizialmente
pensai che non fosse così terribile come avevo sentito dire.
Avvertivo il dolce respiro dello spadaccino sulla mia fronte, i suoi
movimenti lentissimi…
Poi
un’improvvisa, sorda fitta mi colpì come una scossa.
Annaspai e, per alcuni istanti, rimasi senza fiato. Ma non durò
che una manciata di secondi.
La mano di
Gourry si spostò gentilmente sulla mia fronte, scostandomi i
ciuffi di capelli che erano rimasti appiccicati nel sudore che mi
imperlava la fronte. Le sue labbra presero a vagare sul mio viso,
schiudendosi in piccoli baci. I suoi movimenti dentro di me si fecero
più intensi, e il dolore scemò, sostituito da una
sensazione nuova e sconosciuta.
Lo attirai verso
di me, avvertendo l’urgenza della sua bocca sulla mia. Mi
baciò, e intanto si spingeva sempre più a fondo nel mio
corpo, mentre con una mano mi avvolgeva un seno, stringendolo senza
farmi male. I suoi fianchi presero ad alzarsi ed abbassarsi
gentilmente, seguendo il ritmo della sua lingua e facendomi sussultare.
Quando le sue labbra scesero a disegnare una lunga fila di baci umidi
sulla mia gola rovesciai la testa sul cuscino, ansimando.
Sentivo i suoi
capelli sfiorarmi le spalle, cadere su di me come pioggia dorata.
Strinsi le gambe al suo corpo e affondai il volto nel suo collo. Non
ero mai stata così vicina a nessuno, nella mia vita. Lo sentivo
muoversi dentro di me e a ogni affondo pensavo che lo amavo. Che lo
amavo come non avevo mai amato. Che lo avrei amato per sempre. Era come
se tutta l’energia che mi aveva sempre animato, sin da bambina,
si fosse incanalata in quell’unico proposito e adesso mi stesse
scoppiando nel corpo e nella mente. Gourry era il mio tutto.
Iniziò a
gemere. Singulti strozzati che sembravano costargli uno sforzo enorme e
capii che era arrivato al limite estremo del piacere, e io con lui.
Dietro quel confine si apriva un baratro sconosciuto e lo varcammo
insieme. Gli strinsi le braccia al collo e lasciai che il piacere si
gonfiasse in me come una bolla di infinita leggerezza, per poi
esplodere violentemente in tanti piccoli e scintillanti puntini
argentati, mentre, appagata, scivolavo verso la riva in uno stato di
completo abbandono.
Dopo non parlammo
molto, ci limitammo a restare abbracciati ad ascoltare i nostri respiri
che tornavano regolari. Sentivo di dover assimilare molto di quello che
mi era appena successo, dare un giusto ordine al caos che mi gravitava
dentro, acquietare l’emozione violenta che mi pervadeva e che
sembrava non diminuire d’intensità, tutt’altro. E
immaginavo che anche per Gourry fosse così.
Fu lui a rompere il silenzio, dopo quelli che mi parvero secoli.
“A cosa
pensi?” mi domandò, accarezzandomi piano i capelli. E in
quella domanda scorsi una certa cautela. Forse temeva di avermi delusa.
“Penso
all’universo. Al progetto che c’è dietro ogni
cosa” dissi, sorprendendo me stessa per prima con quella
risposta. “I satelliti ruotano attorno ai pianeti, i pianeti
ruotano attorno al sole. Ogni cosa in questo cosmo ha un punto fisso, e
tu sei il mio. Senza di te sarei perduta. Ti amo Gourry Gabriev”
dissi, la guancia appoggiata al suo petto e i capelli che ricadevano in
morbide onde sulle sue braccia abbandonate.
Dopo le mie
parole restò in silenzio per un tempo così lungo che
pensai non avesse niente da dire. Chiusi gli occhi, il sonno si stava
impadronendo di me.
“Lina” disse infine Gourry, mentre le palpebre mi si facevano pesanti e il mio corpo andava illanguidendosi.
“Sei la
cosa più incredibile che questa esistenza mi abbia donato. La
più preziosa, la più pura. Tu mi hai riportato alla vita.
Non riuscirò mai, per quante parole possa mettere in fila una
dietro l’altra, a dirti ciò che sei per me.”
“Oh,
Gourry” sospirai. “Lascia perdere, i discorsi ispirati non
sono mai stati il tuo forte. Piuttosto… riguardo a quello che
è appena successo tra di noi, dobbiamo assolutamente riprovarci.
È stato fantastico” mormorai, con un lieve sorriso a
incresparmi le labbra.
Lo sentii baciarmi lievemente la tempia, mentre il sonno si impossessava di ogni mio pensiero.
“Non credo sarà un problema…” disse. E anche se non potevo vederlo, sapevo che stava sorridendo.
Mi addormentai
tra le sue braccia, nel riverbero del sole, vinta da emozioni troppo
intense per poter essere descritte accuratamente. Volevo solo riposare
un po’, nonostante fosse ormai mattina, e invece il sonno
calò su di me come una tenda buia, assorbendo completamente ogni
mio pensiero.
Sognai.
Nel sogno
io e Gourry che camminavamo fianco a fianco, tenendoci per mano. Le
spade ballonzolavano nei nostri foderi a ogni passo, l’aria era
fresca, il cielo luminoso. Non c’erano ostacoli sulla
nostra strada, e avevamo tutto il mondo davanti. Mi sentivo felice e
stringevo la mano di Gourry nella mia. Poi mi venne in mente di
voltarmi indietro per vedere quanta strada avevamo già percorso,
e rimasi stupita: il sole che ci illuminava frontalmente stagliava
lunghe ombre alle nostra spalle, ma… mentre quella di Gourry si
stendeva compatta, muovendosi ad ogni suo passo, la mia non esisteva.
Provai a fermarlo, a indicargli quell’incongruenza, ma la sua
mano sgusciò dalla mia, quasi come fosse stata d’aria.
Provai a chiamarlo, ma Gourry non mi ascoltava, non mi sentiva…
Continuava a camminare imperterrito sul sentiero, mentre io, senza
ombra e senza voce rimanevo indietro, vedendolo rimpicciolirsi
lentamente, come una sagoma nel cerchio infuocato del sole
all’orizzonte. Un grande disco rovente, che per le lacrime che mi
velavano gli occhi pareva quasi sdoppiarsi, stagliandosi in due
perfetti tondi arancioni nelle tenebre in cui lo spadaccino era ormai
scomparso.
“Gourry!”
gridai, svegliandomi di colpo. I miei occhi ci misero qualche secondo
per mettere a fuoco l’ambiente circostante davanti a tutto il
chiarore che illuminava la stanza. Li chiusi e riaprii un paio di
volte, sbattendo le palpebre, e alla fine, sgomenta, dovetti
considerare un dato di fatto innegabile: ero sola nella stanza.
Notai che
il lenzuolo mi copriva dolcemente nella mia nudità, e che il
vestito color glicine era stato ordinatamente posato sulla spalliera
del letto, ma… Il cuscino a fianco del mio era intonso. Scrutai
ancora un secondo attorno a me: il fuoco nel camino si era spento, e
dagli scuri vedevo il cielo azzurro e il sole splendere alto. Ma i
vestiti di Gourry, così come ogni segno della sua presenza al
mio fianco, erano spariti.
Mi morsi un labbro. D’accordo, niente panico.
Scostai le
lenzuola, scendendo dal letto e cercai qualcosa da buttarmi addosso.
Fortunatamente su una sedia trovai i pantaloni e la tunica che avevo
addosso il giorno prima. Me li infilai velocemente, e stavo per uscire
quando, passando davanti alla specchiera rimasi colpita dal mio
riflesso. E non si trattava solo del fatto che i miei capelli finivano
in tutte le direzioni tranne che in quella giusta. Ero sempre io,
certo, ma… In qualche modo diversa. Mi sorrisi, vagamente
imbarazzata, e vidi comparire sulla mia guancia e tra le mie labbra le
due fossette che Gourry quella notte aveva dichiarato di adorare,
baciandole…
Per essere onesti, non rimaneva una sola parte del mio corpo che non fosse passata sotto alle sue labbra.
Rimasi
incantata da quel pensiero, ma subito dopo mi ricordai che in quel
momento lui non era lì con me e che non avevo la più
pallida idea di dove fosse. Quello stupido sogno mi aveva turbato ma
dovevo ammettere che non era il caso di fare tante storie.
Probabilmente era solo tornato in camera sua, pensando che Amelia o
qualcun altro sarebbe potuto salire a controllare se mi ero ripresa
dalla sbronza della sera prima e non voleva correre il rischio che ci
trovassero insieme, nudi e aggrovigliati. Non eravamo ancora pronti per
gli annunci ufficiali.
Sì,
doveva essere andata così, decisi. E con più calma mi
sedetti alla specchiera slegandomi i capelli, spazzolandoli e
rilegandoli nuovamente in una coda bassa, dopodiché mi infilai
gli stivali e mi chiusi la porta alle spalle.
Quando
uscii nel corridoio, però, mi resi conto che non avevo la
più pallida idea di dove fosse la stanza di Gourry e inoltre,
considerai guardando fuori dalla finestra, doveva essere ormai
abbastanza tardi per starsene ancora a letto. Così cambiai
programma e scelsi di raggiungere Amelia. Tanto prima o poi avrei
dovuto sorbirmi le sue prediche per il mio insensato comportamento
della sera prima.
In fondo, Gourry
avrebbe potuto essere ovunque all’interno del palazzo. Mi resi
conto che il cuore mi balzava in gola all’idea che avrei potuto
incontrarlo da un momento all’altro. I miei pensieri erano ancora
inebriati dal ricordo del suo profumo, del suo corpo, delle sue
labbra…
Mi appoggiai con la schiena alla parete e sospirai.
Ero innamorata di lui. Completamente, innegabilmente innamorata.
Non passò
tuttavia molto tempo che sentii dei passi venire nella mia direzione, e
voltando lo sguardo vidi una domestica che si avviava nella mia
direzione.
“Mi
scusi…” esclamai, quando mi passò a fianco.
“Sa dirmi dove posso trovare la principessa?”
La donna annuì:
“La
principessa è giù ai giardini” Mi informò.
Poi mi guardò con sospetto: “Lei non parte con gli altri
mercenari?” Mi chiese, cogliendomi di sorpresa e facendomi
ricordare solo in quel momento che quella mattina Joy e il suo gruppo
avrebbero levato le tende.
“Io? No, io…” Considerai un attimo la questione “Mi sa dire che ore sono?” Chiesi infine.
“Quasi mezzogiorno.”
Ah…
La ringraziai
frettolosamente, e scesi gli scalini due alla volta. Forse Gourry si
era alzato per andare a salutare Joy. Quando fui quasi sulla soglia,
tuttavia, mi scontrai con… una felce.
Persi l’equilibrio e caddi all’indietro, mentre la felce che avevo davanti traballava e cadeva a sua volta.
Ora, non
per essere pignoli, ma non mi risultava che le felci camminassero e che
se ne andassero in giro solitarie per i giardini di un palazzo. Ma,
mentre mi massaggiavo il fondoschiena dolorante, sentii un mugolio di
protesta provenire dalla pianta: “Ahia!” Dalle foglie verdi
spuntò il volto di Amelia.
La principessa mi guardò stupefatta:
“Lina!”
Il suo sguardo divenne poi più pungente. “Ti sembra questo
il modo di uscire da una porta? Mi hai praticamente travolto. E togli
il praticamente.” Esclamò, facendomi sentire in colpa una
volta che, dopo averla aiutata a rialzarsi, notai che il suo bel
vestito giallo canarino era rimasto macchiato di terra. La felce
giaceva ai suoi piedi mezza sradicata, e Amelia le lanciò uno
sguardo di disappunto:
“Questo…
Non credo gli farà molto piacere.” Commentò, mentre
cercava di raddrizzarla rimettendo la terra nel vaso.
“Di cosa parli?”
“Oh,
Zelgadis… Lui sta facendo degli esperimenti con le
piante…” Borbottò, lasciandomi capire che, per
l’ennesima volta, si stava improvvisando la sua assistente
personale mentre Zel cercava di recuperare un aspetto umano.
“Digli pure che sono stata io a causare il disastro…” tentai di abbozzare un sorriso.
“Puoi
scommetterci! Lo vedrà lui stesso visto che tu adesso mi
aiuterai a portare questa felce…beh, quel che ne rimane almeno,
nella serra!” E senza che me ne fossi resa conto mi aveva
già messo il vaso in mano.
“Amelia…
Io, veramente…” Cercai di divincolarmi, inutilmente,
mentre la principessa mi trascinava con sé.
Dannazione.
Quando
finalmente raggiungemmo la serra, stavo quasi per soccombere sotto al
peso di quel maledetto vegetale. Ansimando lo posai sul balcone davanti
al quale Zel aveva sparpagliato una lunga fila di attrezzi che
avrebbero fatto impallidire il più esperto degli alchimisti.
“Ecco la tua dannata pianta…” farfugliai, ansimando.
Zel non parve per
nulla impressionato dal mio sforzo titanico, il suo sguardo, dietro ad
un paio di enormi lenti trasparenti, mi sembrò invece parecchio
seccato quando si spostò sulla pianta che pendeva sbilenca dal
vaso.
“Mmmh.
Questo suppongo sia opera tua, Lina…” disse solo, prima di
staccare una minuscola foglia dall’intera pianta e metterla
dentro ad un ampolla.
Sul mio volto comparve un chiaro disappunto.
“Zel…
voglio augurarmi che tu non mi abbia fatto portare questa maledetta
pianta fino a qui solo per prelevarne una fogliolina?”
Zel non si scompose.
“No, in
effetti io avevo chiesto ad Amelia di portarmene un ramo. Non ho idea
del perché mi abbiate portato tutta la pianta…”
Borbottò, senza prestarci la minima attenzione.
Il mio sguardo accigliato si spostò sulla principessa che arrossì immediatamente:
“Ho solo
pensato che, se te ne fosse servita ancora, l’avresti avuta
subito sotto mano…” disse, imbarazzata.
Sospirai; era così tipico di Amelia lanciarsi in gesti eclatanti.
Cercai di
sgranchirmi le braccia, e buttai un’occhiata alla poltiglia che
bolliva in un pentolino davanti alla chimera. Chissà su quale
testo aveva trovato quella nuova, probabilmente illusoria
speranza… Zel, tuttavia, sembrava molto fiducioso, e osservando
lo sguardo ammirato di Amelia mi ritrovai a sorridere. Forse quella era
la volta buona, chi poteva dirlo…
“EhiZel,
non sapevo che avessi il pollice verde!” Esclamai, guardandolo
mentre toglieva ad uno a uno dei petali da una povera margherita.
Il suo sguardo scettico si posò a quel punto sulle proprie mani, per poi tornare seccato verso di me:
“Molto
divertente…” disse, facendomi capire che la mia
affermazione aveva scatenato inconsapevolmente la sua
permalosità.
“Oh…
Non intendevo nel senso letterale del termine…” Cercai di
giustificarmi. Ovvio, Zelgadis era tutto verde se la si vedeva in quei
termini.
A quel punto cercai di distrarmi, bighellonando un po’ davanti al suo tavolo. Non ero mai stata nelle serre del palazzo.
“Emh…”
mi schiarii la voce, cercando di sembrare il più normale
possibile: “Per caso qualcuno di voi due ha visto Gourry, questa
mattina?”
I miei due amici non parvero notare nulla di strano nella mia domanda.
“No…”
rispose Amelia “Ora che mi ci fai pensare, Lina, non l’ho
visto nemmeno a colazione. Gli altri mercenari con cui avete viaggiato
c’erano tutti, ma Gourry… Tu l’hai visto?”
Chiese a Zelgadis, il quale non si scompose più di tanto:
“No, ma
dato che ieri notte deve essere rimasto a vegliarti mentre smaltivi la
sbornia penso che sia ancora nel mondo dei sogni. Quell’uomo
è un santo” concluse, senza rendersi conto che ero quasi
caduta a terra quando aveva pronunciato le parole ‘ieri
notte’.
Ad ogni modo, il fatto che Gourry potesse essere ancora addormentato era venuto in mente anche a me, e quindi mi tranquillizzai.
“Probabilmente
quel cervello di gelatina sta facendo tardi a letto, giusto per tenere
ancora un po’ a riposo quella brodaglia che ha nella
testa…” commentai davanti ai miei amici, per non rischiare
di insospettirli con un comportamento eccessivamente interessato.
Dopo qualche istante vidi Amelia sfoggiare un sorriso a trentadue denti:
“Oh, sei
qui… Vieni, vieni, non essere timida…” disse,
facendo dei cenni verso l’entrata della serra, in cui comparvero
i volti timorosi di Anouk e di Babette tra le sue braccia.
Io, che mi
ero appoggiata con i gomiti al tavolo, mi raddrizzai, mentre la paurosa
bambina faceva il suo ingresso, trascinandosi dietro il suo animale.
Era
così minuta quella ragazzina… e aveva un’aria
stranamente familiare. Mi ricordava qualcuno, ma non riuscivo a capire
chi.
Amelia sembrava
averla molto in simpatia. Le fece vedere svariate tipologie di piante e
fiori, nel tentativo di distrarla, raccontandole storie su storie,
mentre io ascoltavo un po’ annoiata, tenendo d’occhio
Babette che ronfava sul tavolo, emettendo delle docili fusa.
“Questi
sono giacinti, e queste sono peonie …” Snocciolava la
principessa, trascinando intorno a noi le più svariate
varietà di fiori a cui Anouk rispondeva solo approssimativamente
con un gesto del capo.
Io
trattenni uno sbadiglio e senza pensarci allungai una carezza sulla
testa della gatta; il manto era lucido come il pelo di una foca e in
quel momento i suoi occhi screziati si aprirono, fissandomi sornioni, e
provocandomi un immediato e strano senso di deja vou…
Due cerchi arancioni.
Distolsi la
mano e Babette saltò giù dal tavolo. In meno di un
secondo Anouk prese ad inseguirla e sparirono entrambe fuori dalla
serra, lasciando la povera Amelia con un cesto di lillà tra le
mani, l’espressione smarrita. Zel, indifferente a tutto
ciò che gli capitava a fianco, continuava imperterrito a
sbriciolare foglie. Decisi di dare una mano alla principessa.
“Non sapevo che Anouk avesse un gatto…” disse a quel punto Amelia, sollevando un cesto.
“Si chiama
Babette, ed è un animale abbastanza sconsiderato, tra
l’altro…” risposi, ripensando ai grattacapi che mi
aveva dato dall’inizio di quel viaggio.
Amelia sorrise:
“Babette…” Sussurrò “Povera Anouk…”
“Uh…?” La guardai stupita “Cosa intendi dire?”
La principessa scosse la testa:
“No,
niente. Quando conobbi Anouk non era che una dolce bimba di tre anni,
con i boccoli neri. Parlava ancora, sai Lina? Ricordo che non riusciva
a pronunciare correttamente il nome della sua balia, Elizabeth,
così usava un abbreviativo: Babette, appunto.”
Anouk aveva
chiamato la sua gatta con lo stesso nome che era appartenuto alla
persona che per lei doveva essere stata una seconda madre. Era
abbastanza facile intuire la profonda tristezza e l’enorme
solitudine che regnavano nel cuore di quella bambina.
Fu in quel
momento che il profumo mi colpì come uno schiaffo. Un profumo
dolciastro e nauseante. Disgustoso. Dovetti appoggiarmi con la mano al
tavolo su cui stava lavorando Zel, in preda alle vertigini.
“Lina? Tutto bene?”
Annuii,
sconcertata. Perché mi dava tanto fastidio? Non riuscivo a
capire da dove provenisse, né tantomeno che profumo fosse.
Sapevo solo che lo conoscevo, per qualche strano, irrazionale motivo. Lo conoscevo.
Mi guardai
attorno, alla ricerca di quell’odore. Lasciai che fossero le mie
narici a condurmi a lui, e improvvisamente mi ritrovai davanti ad una
cesta che conteneva mazzi e mazzi di strani e curiosi fiori gialli, le
cui sfumature si perdevano nell’arancio.
“Che fiori sono questi, Amelia?” domandai, ricacciando indietro la nausea.
La principessa mi lanciò uno sguardo sospettoso:
“Sono calendule.”
Avevo forse
sperato che sapere il nome di quei fiori mi avrebbe illuminato? Beh,
non era così. Il nome ‘calendula’ non mi diceva
nulla, ma quel profumo… Era come se lo avessi sempre respirato,
mi ricordava in modo quasi doloroso qualcosa che lottava per
riaffiorare in superficie. Dove lo avevo sentito, dove? Mi sembrava di
impazzire nello sforzo di ricordare.
Alla fine rinunciai:
“Sono…
davvero molto belli, ecco” borbottai, davanti allo sguardo
curioso e partecipe di Amelia. Mi parve soddisfatta di quella
soluzione: sapere che i fiori piacevano anche a un maschiaccio come me
era la conferma che il mondo fosse, di fatto, un posto meraviglioso.
“Oh,
Lina… Non pensavo che anche una dura come te potesse trovare
belli i fiori!” Mi canzonò, lasciandomi sola davanti alle
misteriose calendule.
Quando uscii dalla serra, mezz’ora più tardi, ero ancora stordita.
Camminai senza
una meta fino al cortile principale, e fu lì che dovetti
arrestarmi: i mercenari si stavano preparando alla partenza.
Caricavano i
cavalli che Phil aveva donato loro come ringraziamento per aver
scortato la sua amica a Sailunne, e si premuravano di attaccarci ben
salde le armi e le provviste per il viaggio. Mi incamminai tra di loro
con il solo scopo di passare a dare un rapido saluto all’omone
Hermann, l’unico con cui avevo trovato una certa sintonia
all’interno del gruppo, e quando lo vidi un sorriso mi comparve
sulle labbra. Era tutto intento nel lucidare una scure abbastanza
malmessa, e i suoi capelli ramati arano raccolti in trecce che gli
ricadevano sulle spalle, fermandosi all’altezza della scombinata
e ferrosa barba. Forse un pochino mi sarebbe mancato, nonostante tutto.
Mi avvicinai a lui:
“Ehi, Hermann!” esclamai, mentre il suo sguardo stupito si tramutava in un sorriso:
“Bonsai!”
gridò, mollando la scure e precipitandosi a stringermi in un
abbraccio che mi sollevò dal suolo, facendo dondolare i miei
stivali a dieci dita da terra.
“Va bene, va bene…” farfugliai, intimorita da quell’eccessiva forma di affetto.
“Oh, come
sono contento che tu sia passata a salutarci prima della
partenza!” disse, in tono sinceramente commosso… Fin
troppo commosso. Vedevo una lacrimuccia affacciarsi all’angolo
del suo occhio destro, sotto alle sopracciglia cespugliose.
Oh, non vorrai metterti a piangere, vero bestione?
Hermann riacquisì in tempo una certa compostezza:
“Mi
dispiace molto che tu e il tuo amico bravo con la spada non farete
più parte alla nostra squadra… prima pensavo fosse venuto
a dirci che sareste partiti con noi, e invece…”
commentò, dispiaciuto.
Io mi accigliai:
“Gourry era qui?” domandai, levando un sopracciglio.
Hermann annuì:
“Sì,
è sceso qualche ora fa. È venuto a salutarci e a
informare il capo che non sareste partiti con noi. E, beh… detto
tra di noi suppongo che non l’abbia presa molto
bene…” Mi raccontò, accennando col capo a Joy che,
la schiena appoggiata ad una parete, fumava indifferente ai preparativi
vestendo un’espressione tutt’altro che felice.
Peccato. Avrei voluto essere io a dargli la notizia.
Tuttavia, era giusto stringere la mano al perdente, la nostra era stata una ‘gara’ tra persone civili, no?
Salutai Hermann chiedendogli di prestare attenzione ai guai in cui sarebbe potuto cacciarsi e mi diressi verso Joy.
Quando lo
raggiunsi, e lui si rese conto che mi stavo avvicinando, la sua
espressione si fece tesa. Si voltò, intento a rimirarsi le
unghie. Teneva un ginocchio piegato, la suola attaccata alla parete
alle sue spalle e fumava aspirando lunghe boccate.
Mi fermai a
pochi passi da lui, aspettando con pazienza che si decidesse a
rivolgermi la sua attenzione; quando lo fece, nel suo sguardo lessi un
grande disappunto.
Sì, stavo gongolando.
“Cosa vuoi?” domandò, sgarbatamente, buttandomi il fumo in faccia.
Decisi di ignorare quella scortesia, nonostante detestassi la puzza schifosa della sua maledetta sigaretta.
“Sono
venuta a salutarti, Joy… E beh, ovviamente a dirti che mi
dispiace se i tuoi piani si sono rivelati, diciamo… un grosso
buco nell’acqua.” Non potei trattenere un ghigno
soddisfatto.
Joy aspirò un'altra boccata di fumo:
“Già…”
dichiarò semplicemente. Non voleva darmi soddisfazione e lo
capivo. Giuro che lo capivo, nonostante tutto.
“Naturalmente”
Proseguii “ Questo è quello che succede a mettersi contro
Lina Inverse, ma ci dovevi sbattere la testa per rendertene conto. Beh,
mica tutti possono nascere intelligenti: se al mondo non ci fosse
qualche idiota, sarebbe un gran noia.”
“Hai finito?”
Stavo per parlare, ma lui mi precedette.
“Se sei
venuta a sbandierarmi sotto al naso la tua vittoria, piccola strega,
temo resterai parecchio delusa. So una cosa che tu non sai.”
“E cosa ti fa pensare che mi interessi saperla?” gli chiesi, il sopracciglio levato.
“Perché
ha a che fare con Gourry e con la nostra piccola scommessa. Devo
dartene atto, non partirà con me. Ma allo stesso tempo, non
verrà nemmeno con te. Abbiamo perso entrambi: Gourry se ne
è andato, da solo.”
Aggrottai le sopracciglia.
‘Lascialo perdere, è pericoloso. È una persona strana, Lina…’ mi fece eco la voce di Nayden.
“Non so di cosa tu stia parlando…” mormorai infine, cauta.
Joy
aspirò l’ultima boccata, lasciando che il fumo si
disperdesse lentamente dalle sue narici, dopodiché
schiacciò il mozzicone sotto alla suola e si voltò verso
di me:
“Non mi
stupisce che tu non lo sappia, vossignoria dormiva ancora quando Gourry
è salito a cavallo e ha varcato i cancelli di Sailunne. E dovevi
vedere come correva.” Gli occhi grigi di Joy mi scrutarono a
lungo, in cerca di uno sguardo deluso che mi affrettai a dissipare. Non
potevo credergli. Non riuscivo credergli. Non dopo…
“Andato…?” sussurrai. Sicuramente mi stava prendendo in giro, quell’odioso, viscido verme.
Joy sospirò:
“Sì,
andato, Lina. Ha preso un cavallo ed è uscito dalla
città. Puoi chiedere a chi vuoi. Il cavallo l’ha chiesto
al tuo amico Philionell.”
Il mio cuore perse qualche colpo.
“Ad ogni
modo…” proseguì Joy “A mai più
rivederci.” La sua mano si tese senza che me rendessi conto
davanti a me. La guardai in un misto di confusione e stordimento.
Gourry se ne era andato? Ci doveva essere un errore.
Joy attese qualche secondo, dopodiché ritirò la mano che mi ero rifiutata di stringergli:
“Beh, fa come ti pare. Addio Lina Inverse, spero che le nostre strade non si incrocino mai più.”
E così dicendo mi diede le spalle sparendo, speravo per sempre, dalla mia vista. E dalla mia vita.
Il resto della giornata lo trascorsi in un depresso stato confusionale.
Avevo
chiesto ad Amelia ed avevo chiesto a Phil, ma a quanto pareva Gourry,
che aveva veramente chiesto un cavallo per allontanarsi dalla
città, non aveva lasciato dietro di sé uno straccio di
spiegazione. I miei amici mi avevano rassicurato sul fatto che
probabilmente aveva avuto qualche commissione da sbrigare fuori
città, ma… Andiamo! Gourry non se ne sarebbe andato
così. Non dopo quello che era successo tra di noi.
All’inizio avevo dovuto fingere che non mi importasse.
Insomma, lo spadaccino era libero di andare dove voleva, no?
Di
conseguenza avevo presenziato al pranzo con le duchesse, dove avevo
appreso che Nayden si era fermato a Sailunne come aveva dichiarato di
voler fare. Avevo passato il pomeriggio in stupide chiacchiere, bevuto
tè insipidi e mangiato ancor più insipidi biscotti. Il
sole che quel mattino brillava alto nel cielo si era lentamente
eclissato, coperto da grosse nuvole plumbee che nel tardo pomeriggio
avevano promesso pioggia, tuonando e brontolando a lungo. Infine, dopo
cena, Amelia, resa nervosa dalla mia inquietudine, mi aveva spedito
alle terme del palazzo, dichiarando che un bagno caldo mi avrebbe
sicuramente disteso i nervi. Gourry era grande e grosso, sapeva badare
a se stesso e, soprattutto, perché mai avrebbe dovuto importarmi
se sceglieva di allontanarsi per qualche ora?
Così
mi ci ero diretta e come un automa mi ero immersa tra le bolle e il
vapore sempre e solo con un unico pensiero nella testa: Perché?
Come? Dove?
Sapevo che
avrei dovuto essere razionale, e aspettare. Fidarmi di lui come avevo
sempre fatto. Ma dopo quello che c’era stato tra di noi solo una
conclusione mi rimbalzava come una palla impazzita tra le pareti del
cervello: se ne era andato per quello?
Solo a sera
inoltrata mi decisi finalmente ad uscire dalle terme. Mi avvolsi in un
accappatoio caldo che la servitù mi aveva gentilmente fatto
trovare e trascinando i piedi mi diressi verso la mia stanza. Non
volevo ancora piangere. Anzi, non volevo piangere e basta. Mi rifiutavo
categoricamente di piangere.
Ripensai a come, quella mattina, ero stata emozionata al pensiero di rivederlo e mi diedi della stupida.
Poi le mie viscere si attorcigliarono quando ricordai il sogno inquietante che avevo fatto quella notte.
Gourry che spariva, inghiottito nel riverbero accecante di due soli infuocati…
Scossi la testa, che idiozie, pensai e abbassai la maniglia della mia stanza.
E lì, seduto sul mio letto, con lo sguardo più dolce del mondo, c’era lo spadaccino.
Mi sorrise
quando mi vide entrare e fece per venirmi incontro, ma dovette rendersi
conto della mia espressione sbigottita perché si fermò a
qualche passo da me.
“Lina?” Mi chiese, come se niente fosse “Che succede?” Aggiunse poi, vagamente allarmato.
Io rimasi semplicemente a bocca aperta.
Quel cretino.
Per un
attimo temetti che i miei pensieri mi avrebbero tradito, ma Gourry non
dovette accorgersi di niente perché si avvicinò senza
aspettarsi di certo che…
“AH!” gridò, dopo che lo ebbi colpito con tutta la forza che avevo nello stomaco.
“Stupido
deficiente!” gridai, rilasciando in quel momento il gomitolo di
ansia e rabbia che mi si era appallottolato dentro per tutta la
giornata.
“L-Lina…”
biascicò, mentre piegato in due cercava di riprendere fiato
“M-ma che ti ho fatto?”
“Che
mi hai fatto? Tu…Tu… Dove accidenti sei stato tutta la
giornata?” sbraitai non riuscendo più a trattenermi.
A quel punto il suo sguardo venne illuminato da un lampo di comprensione:
“Oh.
È per questo che sei arrabbiata?” chiese, provando a
risollevarsi, rimanendo tuttavia a distanza di sicurezza.
“Perché non ti ho detto dove andavo?”
Io lo fulminai con lo sguardo, e Gourry mi fece un timido sorriso, cercando nuovamente di avvicinarsi.
Quando fu
abbastanza sicuro che non l’avrei colpito una seconda volta, si
accinse a prendermi tra le braccia. Io rimasi rigida, mantenendo
un’aria truce.
“Lina…”
Mi sussurrò all’orecchio “Mi dispiace” La sua
fronte cercò la mia, e i suoi occhi si sforzarono di leggere nei
miei. Dovettero leggervi qualcosa di terribile, tuttavia, perché
il suo sguardo parve immediatamente mortificato:
“Non hai pensato che me ne fossi andato, vero? Intendo… Andato per sempre?”
Rimasi silenziosa.
Ebbene, non mi era concesso spaventarmi a morte come tutte le persone normali del mondo?
Sapevo che
avrei dovuto avere fiducia in lui. E ce l’avevo, davvero.
Ma… Dopo quella notte le mie prospettive erano leggermente
cambiate, poteva darmi torto se in quel momento mi sentivo tanto scossa?
‘Credevo mi
avessi abbandonato’ Pensai, senza tuttavia aprire bocca.
‘Stupido imbecille’ aggiunsi poi, come se potesse servire a
sentirmi meglio.
E Gourry,
come sempre, centrò esattamente il punto della situazione. Le
sue labbra si fecero vicine al mio orecchio:
“Sai che
non ti avrei mai lasciato, vero? Lo sai, sì? Perché mi
sembrava di averti detto quanto ti amo giusto questa
notte…”
“Sì…”
mi costrinsi ad ammettere, con voce tremante. Non avevo ancora superato
il panico che la sua sparizione, unita a quel brutto sogno, aveva
trasmesso in ogni fibra del mio essere. “Ma dove sei
stato?” Gli chiesi infine, staccandomi da lui e tirandomi meglio
addosso i lembi dell’accappatoio, mentre i capelli ancora umidi
mi ricadevano in ciocche scomposte sulla fronte.
A quel punto Gourry mi sembrò abbastanza a disagio:
“Ecco, ora
te lo spiego…” cominciò. “Prima di tutto,
sono stato a dire a Joy che non sarei più partito con
lui.” Mi annunciò.
“Lo so” dissi, secca.
“Dunque,
sono uscito da Sailunne perché dovevo recarmi in quel villaggio
che c’è poco distante da qui. Io, dovevo fare un acquisto,
e...”
Lo osservai
scettica: Gourry che spariva per dedicarsi allo shopping? Mi risultava
strano pensarla in quei termini. I miei pensieri, però, vennero
rapiti da un piccolo oggetto che lo spadaccino si era appena levato
dalla tasca.
Il suo acquisto, supponevo.
Lo guardai con terrore, mentre un groppo mi si formava nella gola.
Gourry mi sorrise, timidamente, e una delle sue ginocchia toccò il pavimento in modo molto eloquente.
Trattenni
il respiro, mentre la sua mano mi poneva davanti al naso una piccola,
graziosa scatolina di velluto rosso, che si aprì con un delicato
scatto, mettendo in mostra davanti ai miei occhi sgranati uno splendido
anello d’argento, con incastonata una trasparente pietra color
del cielo.
‘Il colore dei tuoi occhi’ riuscii solo a pensare, mentre Gourry trovava appena il fiato per sussurrarmi:
“Lina… Mi vuoi sposare?”
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Capitolo 9 *** La linea di confine ***
capitolo 9
La linea di confine
Save me.
Call my name and save me from the dark.
Wake me up.
Bid my blood to run.
I can't wake up.
Before I come undone.
Save me.
Save me from the nothing I've become.
('Bring me to life' Evanescence)
Guardai l’anello, poi guardai Gourry.
Infine, con la
coda dell’occhio, lanciai un’occhiata disperata verso la
porta e calcolai quanto mi ci sarebbe voluto per precipitarmi fuori
dalla stanza in tempi considerevolmente rapidi.
Ma dovetti mordermi le labbra: non potevo scappare.
Non in quel
momento, non davanti a lui. Non davanti all’anello con il quale
mi stava chiedendo di… S... p… Spo…
Sposarlo, maledizione! Mi stava chiedendo di sposarlo!
Mi sentii impallidire.
Tornai a concentrarmi sull’anello, poi guardai di nuovo verso lo spadaccino. Mi sentivo mancare il terreno sotto ai piedi.
Gourry mi
osservava, inginocchiato davanti a me, e il suo sguardo pareva quasi
volermi dire che anche lui era spaventato, timoroso, quasi sorpreso di
se stesso… Ma che in quel momento non c’era
nient’altro che gli importasse nella vita, se non la mia
risposta.
Abbozzò un lieve sorriso:
“Lina, se
aspetterai ancora a rispondermi… temo che l’ansia mi
ucciderà” provò a scherzare, nonostante il
tremolio della voce ne tradisse il profondo nervosismo.
Io sbattei
più volte le palpebre, rendendomi conto solo in quel momento che
erano ormai presumibilmente parecchi minuti che si trovava
lì di fronte a me, sempre tenendo l’anello davanti ai miei
occhi.
Ma tutta la
saliva che ancora conservavo fino a pochi secondi prima pareva essere
defluita in qualche luogo lontano, insieme con le mie capacità
di raziocinio.
Diavolo, sposarlo. Sposata, io! Con Gourry, certo… ma pur sempre sposata.
Percepii che le
mani avevano cominciato a tremarmi solo quando sentii la spazzola, che
stringevo ancora convulsamente nella mano destra, sbattere sulla mia
coscia. Non ero pronta per quello.
“Io…”
balbettai, mi sembrava di avere dei vetri rotti tra le labbra, ogni
parola poteva ferire me e lui allo stesso, terribile modo.
Gli occhi dolci e
fiduciosi di Gourry non mi abbandonavano, inchiodandomi allo sgabello
della specchiera davanti a cui sedevo, in preda alle emozioni
più disparate.
Perché
accidenti se ne era uscito con quella trovata del matrimonio? Dopo
quella notte era chiaro che tra di noi ci fosse qualcosa di importante.
E io lo amavo, sì… ma l’idea del matrimonio mi
terrorizzava.
“Io… non…”
Gourry si accigliò:
“Non…?”
ripeté, gettandomi nel panico più di quanto già
non fossi. “Lina, ti prego…” mi implorò.
“Mi stai dicendo… di no?” Si stava agitando.
“No!”
Esclamai “Cioè…’Non’ non stava per no
perché no, insomma… No è no, mentre non
…No… Non era no, voglio dire…. non…”
Boccheggiavo come un pesce sulla riva, a pochi passi dall’onda
che avrebbe potuto riportarlo in salvo.
Mi mancava il
respiro. Gourry vestiva un’espressione non meno angosciata della
mia. La mano che teneva la scatola con l’anello aveva preso a sua
volta a tremargli.
“Lina, così mi torturi…” implorò, come un condannato. “ Vuoi o non vuoi sposarmi?”
Un masso enorme
mi opprimeva proprio all’altezza del petto, e davanti a
quell’anello che si ergeva minaccioso davanti a me, l’ansia
mi esplose dentro come un boato.
“Non...
non…” gracchiai, sollevandomi di scatto, davanti
all’incapacità di espressione che mi stava attanagliando;
a quel punto, il danno fu irreparabile: la spazzola che tenevo in mano,
brandendola quasi come un arma, colpì inavvertitamente, ma con
violenza, la piccola scatola di velluto, e l’anello volò
via, tracciando un lungo arco sulle nostre teste e ripiombando con un
lieve ‘tlin’ sul pavimento a qualche metro da noi.
Rimanemmo immobili per alcuni secondi, io trattenendo il respiro, Gourry con un espressione indicibile sul volto.
Poi , velocemente e brutalmente, l’incantesimo si spezzò.
Lo spadaccino si
sollevò, mentre io, che ero ricaduta a sedere sullo sgabello,
sentivo profonde ondate di rimorso invadermi l’anima.
Gourry raccolse
la piccola scatola, caduta anch’essa dalle sue mani, e compiendo
qualche passo recuperò dal freddo pavimento l’anello. Non
osavo guardarlo. Alla fine lo sentii sospirare, mentre richiudeva il
coperchio, e si avvicinava a me, rigirandosi il suo fallimento tra le
mani.
“Gourry…” sussurrai, in preda all’imbarazzo.
“No.”
Mi bloccò lui, gentilmente. “Non dire niente, non devi
giustificarti… Era una domanda con più di una
possibilità di risposta, e tu mi hai dato quella che ti sentivi
di darmi.” Non sembrava arrabbiato. Solo triste.
“Ma io…” Provai a protestare. In fondo, la mia non era stata una vera e propria risposta…
D’accordo, non avevo detto sì, ma non avevo detto nemmeno no. È così, giusto?
Avevo detto
‘Non’ che, d’accordo, a voler essere pignoli è
più simile ad un ‘no’ che ad un
‘sì’ se si considerano le lettere che lo compongono
e la vocalità della parola, ma… Non è un vero e
proprio no.
Persino un idiota l’avrebbe capito…
O no?
“Io non volevo…” Tentai nuovamente.
“Lascia perdere” Gourry sembrava deciso a non riaffrontare l’argomento.
“Ma Gourry!” mi stavo irritando. Perché non voleva farmi parlare?
“Lina, non
importa, va bene?” Ora il suo tono tradiva una lieve alterazione.
Gourry lanciò una breve occhiata verso la scatola che
probabilmente doveva pesargli tra le mani come un macigno.
“Invece sì che ti importa, altrimenti non me l’avresti chiesto!” Mi scaldai subito.
“Beh…
Se fosse importato anche a te forse la tua risposta sarebbe stata
diversa.” Disse, secco, lasciandomi sgomenta.
Evidentemente, non dovevo essere l’unica tanto scossa dalla piega che stavamo prendendo gli avvenimenti.
“Non sei corretto.” Sibilai.
Gourry sbuffò:
“Senti
Lina, qual è il problema? Ti ho chiesto se volevi sposarmi, hai
detto no, quindi perché insistere? Fingiamo che non sia successo
nulla…” Si rigirò ancora una volta la scatola tra
le mani, indeciso su cosa farne.
“Ma io non ho detto di no!” Mi ritrovai a gridare.
Vidi la mascella di Gourry irrigidirsi.
“Però
non hai detto nemmeno sì. La tua faccia in quel momento non era
esattamente quella che avrei definito ‘un’espressione
estasiata dalla gioia’ quindi deduco che la cosa non ti abbia
propriamente reso felice…” Mi fronteggiò, levando
un sopracciglio. “Comunque non ti sto accusando di niente, se
è no è no, posso capirlo.”
“Bene,
bravo… Continua a mettermi in bocca parole che non ho
detto!” Esclamai, al colmo dell’indignazione, alzandomi in
piedi e sbattendo entrambe le mani sul ripiano della specchiera, mentre
i vetri della finestra, nello stesso istante, tremavano scossi da un
potente tuono che annunciava l’arrivo imminente di un temporale.
Un fulmine illuminò la stanza e il mio riflesso imbronciato si
rifletté su tutti e tre gli specchi che mi stavano dinnanzi.
Gourry trasalì.
“Certe
volte sei proprio ottuso…” dissi, guardandolo male.
Sentivo il senso di colpa bruciarmi come un fuoco nella gola, ma ero
anche seccata per il modo in cui Gourry stava liquidando la situazione.
“Sarò
anche ottuso, ma non sono io quello che ha le idee
confuse…”rispose, dopo avermi a sua volta lanciato
un’occhiata torva.
Io avvampai, colta in fallo proprio nel mio punto debole, e non seppi che altro dire.
Passarono alcuni
secondi, in cui il silenzio ci avvolse come una morsa. Poi Gourry
posò la scatolina sul ripiano della specchiera, a pochi
centimetri dalle mie mani strette a pugno:
“Questo
tienilo tu. L’ho comprato per te ed è tuo in ogni
caso… Non importa se non vuoi sposarmi.” Non mi
degnò nemmeno di un’occhiata dopo aver pronunciato queste
parole, e lo vidi avviarsi mestamente verso la porta.
Sentivo le lacrime bruciarmi negli occhi, ma mi imposi di non farne scendere nemmeno una.
“Ah, non ti
importa quindi?” esclamai, non sapendo più che altro dire
per fermarlo e riportarlo di nuovo lì davanti a me, con quella
dannata scatola tra le mani.
Lo sentivo scivolarmi via dalle dita.
Se solo mi avesse dato un po’ più di… tempo.
Gourry si arrestò, a pochi passi dalla maniglia. Quindi si voltò verso di me:
“Lina…”
borbottò “Non voglio litigare. Dormiamoci su, va bene?
Vuoi che ti faccia portare una camomilla?”
Cosa...? Camomilla? A me, camomilla? Gli sembravo forse un’isterica?!
Lo guardai con uno sguardo carico di risentimento:
“No! Voglio
che tu te ne vada! Vattene!” urlai, mentre colpa, rimorso e
rivalsa si mescolavano dentro di me in un groviglio doloroso.
Gourry non se lo
fece ripetere, abbassò la maniglia e sparì dalla mia
vista, lasciandomi sola nella stanza in penombra, mentre un altro cupo
e sordo tuono all’esterno riempiva di nero sconforto ogni cosa
intorno a me.
Deglutii
più volte e sbattei furiosamente le palpebre guardando verso il
soffitto, sperando che le lacrime rimanessero dove erano.
La pioggia aveva
preso a ticchettare sommessamente sulle grandi vetrate, creando degli
strani e multiformi riflessi bluastri sugli oggetti che mi
circondavano. Non osavo muovermi.
Ero indignata,
stizzita e una marea di altre cose. Ma soprattutto ribollivo di rabbia
per il modo in cui Gourry mi aveva liquidata quando avevo provato a
spiegargli il mio assurdo comportamento.
Mi ero spaventata, ecco tutto. Non starete pensando anche voi che io sia pazza, vero?
I miei occhi si
posarono verso la piccola scatola di velluto, su cui si rincorrevano le
ombre delle gocce di pioggia, e involontariamente le mie dita si
stesero fino a sfiorarla.
Era morbida… Invitante.
Riuscivo quasi a
vedere a vedere lo spadaccino che legava il cavallo davanti alla
bottega dell’orefice, che entrava…
Le mie dita scorsero la dolce superficie dell’oggetto, e arrivarono alla chiusura.
Gourry adesso si trovava davanti un uomo di mezza età, e gli chiedeva di mostrargli degli anelli.
L’orafo
cominciava con qualcosa di sfarzoso, forse tratto in inganno dalle
vesti suntuose che Gourry indossava dalla sera prima, e lo spadaccino
si trovava costretto ad ammettere che non poteva permettersi di
spendere cifre importanti.
Il coperchio si aprì tra le mie mani con un leggero scatto.
Deglutii.
Ora Gourry stava osservando degli anelli più modesti, ma all’improvviso… Eccolo.
I miei occhi accarezzarono la liscia e lucente pietra azzurra, montata sul fine e prezioso anello d’argento.
Quell’anello era perfetto.
Per me.
Niente di troppo
sfarzoso, ma allo stesso tempo niente di banale. Costoso quanto
bastava, ma senza la pretesa di gridare ai quattro venti quale fosse il
suo reale valore.
Gourry doveva essersi svuotato le tasche fino all’ultimo centesimo per comprarmelo.
E io… Avevo rovinato tutto.
Lo presi dalla scatola, rigirandomelo tra le dita. Era freddo e liscio, così rotondo, lucente… Incantevole.
Scivolò
quasi da solo sul mio anulare sinistro, mentre con un groppo in gola
sollevavo la mano davanti a me per osservarlo.
Era la mia misura. Era perfetto.
I miei occhi passarono oltre, posandosi sulla specchiera in cui mi riflettevo, la mano tesa in avanti.
E in quel momento capii.
Volevo sposarlo.
Volevo indossare
quell’anello per il resto dei miei giorni. Volevo diventare
grande insieme a lui, continuare a viaggiare, vedere tutto quello che
c’era ancora da vedere… E anche quello che non si poteva
vedere.
Volevo addormentarmi ogni notte cullata dal suo respiro, e svegliarmi ogni mattina abbracciata a lui.
Volevo vedere la
casa in cui un giorno avremmo vissuto, e le piccole teste ciondolanti
dei nostri figli alle prese con i loro primi passi. Alle prese con i
loro primi incantesimi, o giochi con la spada, o… o qualunque
altra cosa avrebbero voluto essere (ai figli preferivo non pensare per
il momento!)
Infine, volevo
vedere i suoi capelli farsi d’argento, insieme ai miei. Il che
significava, in poche parole, che volevo passare tutta la mia vita al
suo fianco.
Non era forse questo che significava… ‘Sposarsi’?
‘Nel bene e nel male, in salute e in malattia, nella buona e nella cattiva sorte….’
Secondo quella logica, io e Gourry non eravamo più o meno sposati già da un pezzo?
Un incredibile
calore prese a sfrigolarmi nel petto, acceso da quella consapevolezza,
e mi sentii ancora più stupida per come avevo reagito alla sua
proposta.
Sperai che non fosse troppo tardi per cambiare le cose, ma proprio in quel momento qualcuno bussò alla porta.
Istintivamente mi
sfilai l’anello richiudendolo nella scatola, mentre il cuore mi
balzava in gola. A quell’ora chi poteva essere se non Gourry?
Probabilmente lui stesso si era sentito un idiota per il suo
comportamento sgarbato e stava venendo a chiarire la situazione. Mi
sistemai l’accappatoio e andai ad aprire.
Tuttavia, quando
abbassai la maniglia, non fu con lo sguardo prostrato dal dolore dello
spadaccino che mi scontrai, ma con il volto pallido e smunto di una
giovane e timorosa cameriera.
I miei occhi la osservarono per alcuni secondi, per poi abbassarsi stupefatti su quanto reggeva tra le mani.
Un vassoio con sopra una tazza fumante.
La cameriera sobbalzò quando tornai a scrutarla in viso:
“La signorina Lina Inverse?” Mi chiese con un sussurro. Annuii.
“Mi hanno
incaricato di portarle della camomilla…” balbettò,
davanti al mio sguardo che diventava truce.
Le mie labbra si strinsero.
Quel cretino.
Mi aveva veramente fatto portare una camomilla!
Per un breve
istante fui tentata di sbatterle la porta in faccia, poi mi trattenni.
In fondo quella poverina non centrava nulla con il nostro litigio, non
era giusto che ne pagasse le conseguenze.
“Sì,
certo… La metta là” esclamai, innervosita,
lasciandola passare, mentre, tutta impaurita dal mio sguardo, la
cameriera posava il vassoio sul comodino di fianco al mio letto.
Dopo che si fu
richiusa la porta alle spalle, tuttavia, imprecai tra i denti, e chiusi
con la chiave. Non volevo più avere a che fare con nessuno
quella notte. È vero, io ero stata crudele con lui, poco prima.
Ma Gourry stava esagerando a prendersi gioco di me in quella maniera!
Mi aveva fatto portare la camomilla come se fossi stata una pazza
isterica a cui serviva un rimedio per calmare i nervi, quando io invece
cercavo solo di dirgli che… Al diavolo.
Sedetti sul letto
in preda allo sconforto, incrociando le braccia al petto e guardando
imbronciata verso la tazza, da cui uscivano lievi sbuffi di caldo
vapore. Un altro tuono fece rimbombare la stanza, mentre l’acqua
scrosciava ormai forte sui vetri; quando un fulmine rischiarò
l’ambiente, tuttavia, notai un piccolo particolare che mi era
sfuggito: un foglio di carta, accuratamente ripiegato, sporgeva da
sotto alla tazza.
Allungando la mano la sollevai, tirandolo fuori, e quando lo aprii scorsi una sola parola:
‘Perdonami’
Oh…
d’accordo. Poteva anche sforzarsi un po’ di più.
Senza contare che farmi portare la camomilla non era precisamente un
modo carino per farsi perdonare, Gourry avrebbe dovuto saperlo.
Ad ogni modo,
parte del mio avvilimento si esaurì in breve, per far posto
nuovamente al sentimento di affetto che provavo nei suoi confronti ogni
volta che lo pensavo. Decisi che forse… forse, avrei potuto
passarci sopra.
Gourry, nella sua
ingenuità, doveva aver pensato che la camomilla potesse servire
davvero a calmarmi, escludevo che l’avesse fatto con rancore.
‘Gli hai
gridato di andarsene…’ Mormorò una vocina dalla mia
testa. ‘E non hai preso molto bene la proposta di
matrimonio…’
Mi rabbuiai a quel pensiero.
Sentivo la
giustificazione, sulla punta della mia lingua, pronta a salvare la mia
coscienza dai sensi di colpa: ‘Non mi ha lasciato abbastanza
tempo per pensarci… Mi ha preso in contropiede, avrebbe dovuto
sapere che io decido solo dopo un attenta valutazione dei pro e dei
contro…’
Ma sapevo che
erano parole inutili perché… Beh, perché ci sono
scelte che seguono solamente la logica dell’istinto.
Eppure il mio
istinto, in quel momento, doveva essersi assentato, perché
davanti alla sua proposta ero rimasta semplicemente sgomenta,
terrorizzata. Se mi avesse dato un po’ più di
tempo… Se mi avesse lasciata parlare invece di chiudersi nel
proprio orgoglio ferito…
Quasi senza
rendermene conto allungai una mano verso la tazza, bevendo lunghe
sorsate di quella bollente bevanda dolciastra che avrebbe dovuto
ricondurmi alla ragione.
Nella mia mente i pensieri si inseguivano senza sosta. Mi avrebbe chiesto nuovamente di sposarlo?
Le mie labbra si soffermarono sul bordo della tazza, mentre sentivo il dolce sapore della camomilla diffondersi sul palato.
Detestavo sentirmi insicura ma, dovevo ammettere, quella situazione mi aveva paralizzata.
Io, Lina Inverse,
colei che non aveva pensato a nessuna conseguenza quando si era
ritrovata a scegliere se salvare Gourry, o rischiare di distruggere il
mondo intero con uno degli incantesimi più potenti che esistano,
mi ero ritrovata incapace di pronunciare un dannatissimo sì.
Eppure Gourry era l’amore della mia vita, e lo sapevo da quando
Phibrizio me lo aveva portato via.
Scossi la testa e
lanciai un'altra abbattuta occhiata verso la scatolina di velluto,
abbandonata sul ripiano della specchiera e considerai che, se fossi
stata più risoluta, probabilmente in quel momento l’anello
sarebbe stato sul mio anulare e io sarei stata su quello stesso letto
tra le braccia dell’uomo che avrei sposato.
Invece di bere camomilla da sola come una povera squilibrata.
Sentii un lieve
crampo percuotermi lo stomaco a quel pensiero. Riappoggiai la tazza e
il biglietto sul vassoio, e tirai le gambe sul letto, cingendomi le
ginocchia con le braccia. Alle mie spalle le grandi finestre erano
scosse dalla pioggia ormai furiosa, mentre tuoni e fulmini si
inseguivano nel cielo cupo, straziando Sailunne con quel tetro concerto.
Quale scenario migliore per il mio allegro stato d’animo?
Vedevo gocce di
pioggia riflesse scivolarmi sulle gambe nude in rivoli d’ombra.
Un altro crampo, più forte del primo, mi tolse il respiro. Mi
chiesi se non fosse il caso di allarmarsi per un anticipato ciclo
mestruale.
Eppure…
Scossi la testa e
mi portai una mano sullo stomaco, massaggiandomi piano. Non potevano
essere le mestruazioni. Non così anticipate.
Rimuginai ancora
qualche minuto, sempre scossa da quelle leggere contrazioni; provai a
stendermi, cercando di appoggiare la guancia al cuscino, ma dovetti
constatare che era anche peggio. Sentivo i morsi di una ferita aprirsi
senza fretta all’imbocco dello stomaco, un bruciore terribile.
Tornai a sedere,
e, stupita, vidi vacillare ogni cosa attorno a me. Mi rannicchiai su me
stessa, respirando a fatica. Non riuscivo a capire cosa potesse essere.
Non mi sembrava
di aver mangiato niente di strano quella sera a cena, anzi… Si
poteva quasi dire che non avevo toccato cibo. Un gemito di dolore mi
uscì dalle labbra, distraendomi da quei pensieri e facendomi
piegare: era come se mi si stessero attorcigliando tutti gli organi
interni.
Presi a respirare
più in fretta, sperando che i crampi passassero, mentre invece
si facevano più lunghi e continui. Più il tempo passava,
e più il dolore si faceva sordo, lancinante, insopportabile. Le
mie mani si staccarono dal mio stomaco, rigide, e mentre con la
sinistra afferravo il copriletto sotto di me, stringendolo con tutta la
forza che avevo, la destra la portavo alla labbra, cercando di
reprimere le grida che avrebbero squarciato il silenzio che avevo
intorno.
Dentro di me qualcosa mi si stava aprendo, spezzando, lacerando…
I crampi non si susseguivano più: si erano ormai tramutati in un lungo, interminabile, acuto dolore.
La ragione
rischiò di abbandonarmi a più riprese, mentre mi
contorcevo tra le lenzuola cercando di gridare. Ma le parole mi
morivano nella gola secca.
Scivolai
giù dal letto, accasciandomi sul pavimento, tirando giù
insieme a me le lenzuola e il copriletto, nel gesto impulsivo e
irrazionale di avere qualcosa da stringere tra le mani mentre il dolore
mi avvolgeva senza pietà. Appoggiai la fronte contro le
piastrelle fredde e mi strinsi le braccia addosso. Sudore gelato
e vampate di calore. Le lacrime sgorgarono dai miei occhi come cascate,
ma non un sibilo mi uscì dalle labbra, ormai livide. Stavo
soffocando nel dolore, non avevo nemmeno più il fiato per
gridare…
Non avevo
più la lucidità per pensare, per ragionare su cosa mi
stesse succedendo. Volevo solo che finisse, che finisse…
La pioggia sulle
finestre, il buio della stanza, il freddo del pavimento… Tutto
si faceva sfocato, tutto sembrava perdere di importanza,
improvvisamente lontano, inutile. C’era solo dolore, dentro e
intorno a me.
E in quel momento, quando pensavo che ormai avrei perso conoscenza, qualcuno bussò alla porta.
Sollevai
debolmente le testa del pavimento per quanto il dolore me lo
consentisse, e gettai un’occhiata disperata all'uscio, guardando
attraverso le lacrime. Oltre la barriera che mi separava dal mondo
esterno, la voce di Gourry riempì quella gelida stanza, in cui
si stava consumando il mio personale calvario.
“Lina…?”
“Gou…” Le parole mi morirono sulle labbra.
Passarono alcuni secondi, dopodiché Gourry bussò nuovamente:
“Lina….?” chiese ancora, forse pensando che stessi dormendo. O che volessi ignorarlo di proposito.
Questa volta non
provai nemmeno a sollevare la fronte dal pavimento, pregai solamente
che entrasse da solo senza che gli fosse stato chiesto di farlo.
Ma Gourry non lo fece. Lo sentii indugiare, fuori dalla porta della mia stanza.
‘Non
andartene ti prego…’ Pensai, mentre una nuova ondata di
lacrime mi inzuppava le guance, colandomi giù per la mascella
irrigidita.
A quel punto Gourry parlò:
“Lina…
Lo so che non vuoi aprirmi. Sono stato un perfetto cretino poco fa, ti
chiedo scusa…” mormorò.
Io rantolai, gli occhi verso la porta, cercando ancora di farfugliare qualche parola che suonò impastata e fievole.
Gourry proseguì:
“Me ne sono
andato arrabbiato, senza pensare che… Insomma, io non ti ho dato
nemmeno il modo di pensarci, e ti ho messo fretta per una cosa del
genere, ma vedi, mi sono agitato, e… ” Lo sentii sospirare.
“Ad ogni
modo” continuò lo spadaccino “ Se non vuoi aprirmi
capirò. Ma sappi che… io ti amo. Quando ho detto che non
aveva importanza se volevi sposarmi o meno, non volevo ferirti, e
nemmeno sminuire la situazione. Volevo solo dirti che davvero non ha
importanza. Starei con te sempre e comunque, nel bene e nel
male… Fino alla fine dei miei giorni. Uno stupido anello non
cambierebbe di certo quello che abbiamo già.” Gourry
sospirò, mentre le lacrime mi bruciavano sulle guance
arroventate dallo sforzo di gridare. “In ogni caso la proposta
è sempre valida, ovviamente… Se vorrai avere ancora a che
fare con me” Sembrava abbastanza a disagio e a corto di parole.
Avrei anche potuto commuovermi, davvero, se non fosse che il dolore non
mi dava tregua.
“Gourry…”
farfugliai. Rotolai su un fianco, e allungai una mano sopra a me,
stringendo la striscia di preziosa seta ricamata che adornava il mio
comodino.
Gourry parlò nuovamente:
“Bene. Ora
vado nella mia stanza, se cambi idea mi trovi lì.”
Indugiò “Per quanto io sia idiota, sappi che potrai sempre
contare su di me…”
Il panico si impossessò a quel punto di ogni mio pensiero.
‘No, non te
ne andare… Non te ne andare…’ Pensai in preda al
panico e, come ultima risorsa, tirai il lembo di stoffa che stringevo
tra le mani, rovesciando qualsiasi cosa si trovasse sul comodino sopra
alla mia testa.
Il prezioso
candelabro in argento, la scatola portagioie, e il vassoio con la tazza
caddero al mio fianco, in un fragore assordante. E mentre la tazza
andava in frantumi, e la camomilla si rovesciava attorno alla mia
figura agonizzante, inzuppando i capelli sparsi attorno a me come
deboli lingue di fuoco ormai prossime a spegnersi, il biglietto che
avevo letto distrattamente pochi attimi prima scendeva volteggiando,
posandosi davanti al mio naso, mentre il liquido color canarino si
infiltrava nella carta porosa, sciogliendo l’inchiostro che
componeva quell’unica, disperata, parola:
‘Perdonami’
A quel punto, come un fulmine a ciel sereno, ricordai.
‘Zampe di
gallina!’ Quante volte avevo rimproverato Gourry vedendolo
cimentarsi in pochi e insoddisfacenti scarabocchi? A un mercenario non
era richiesto saper scrivere. Per un discendente della piccola
nobiltà era un raro privilegio, e quel poco che Gourry sapeva
fare lo doveva sicuramente alle sue radici nobili.
Ma
quell’unica parola, scritta così elegantemente, con mano
sicura, ferma, precisa… Non era certamente opera sua. Non poteva
essere opera sua.
In un singhiozzo
di lacrime e dolore realizzai che la fretta e la sconsideratezza mi
avevano fatto scambiare quell’inconsolabile parola come una
richiesta di Gourry, quando invece erano parole… Del mio
assassino.
La camomilla era avvelenata.
Cominciai ad annaspare, in preda al panico, cercando di raddrizzarmi.
Dovevo vomitare.
Ogni mio
pensiero, in quella poca lucidità che ancora conservavo venne
scosso da quella consapevolezza, mentre la voce di Gourry mi arrivava
nuovamente dalla porta:
“Lina…?”
Chiese, insospettito dal rumore della tazza in frantumi e della
ferraglia che era caduta sul pavimento. “Lina che succede?”
“G-…Ghh…” Biascicai, mentre una fitta mi toglieva il respiro.
Sentii che lo
spadaccino, vinta la titubanza dal mio silenzio alle sue domande,
abbassava la maniglia e ringraziai gli dei, ma… La porta non si
aprì.
In quel momento,
come uno schiaffo mi colpì il ricordo di pochi istanti prima,
quando in preda alla rabbia avevo chiuso a chiave la porta, e come una
scossa mi attraversò un fremito, facendomi scoppiare in
singhiozzi.
Gourry provò più volte ad alzare ed abbassare la maniglia, e prese a battere la mano sulla porta:
“Lina? Cosa
succede?...” Si stava agitando, e non dubitavo che i miei deboli
singhiozzi gli fossero finalmente giunti alle orecchie. Prese a
scuotere l’uscio, con violenza.
Le porte delle
stanze di Sailunne erano tuttavia in pesante mogano massiccio, non si
trattava certo di buttare giù qualche scalcinata porticciola di
osteria. Sentii che Gourry stava cercando di forzarla, mentre pesanti
colpi e scosse la facevano vibrare, senza però riportare alcun
concreto risultato.
Le lacrime
continuavano a scivolarmi copiose sulle guance, mescolandosi con la
saliva che mi colava sul mento, mentre provavo a concentrare un
po’ di aria nei polmoni per chiamarlo. La morsa ferina che mi
attanagliava lo stomaco si amplificò, facendomi contorcere su me
stessa, mentre alle mie spalle i colpi sordi sulla porta si facevano
più cupi e rimbombanti.
Gourry urlava il mio nome, invano.
Dovevo vomitare,
ma come potevo se nemmeno riuscivo a girarmi? Probabilmente mi sarei
soffocata da sola stando in quella posizione. Le mie mani si aprirono e
richiusero a pungo, mentre mi conficcavo le unghie nel palmo,
rantolando.
Sentivo che stavo
per perdere conoscenza, e quasi lo speravo. Il dolore si era fatto
talmente insopportabile che mai nella vita avrei pensato si potesse
soffrire in quel modo.
Provai, in un
ultimo, disperato tentativo, a rovesciarmi; e proprio mentre digrignavo
i denti, nello sforzo immane di non svenire vittima delle fitte, sentii
che la porta, in un sordo scricchiolio cedeva, mentre il rumore di assi
spezzate mi giungeva alle orecchie lontano, quasi soffocato dal dolore
che sentivo.
Ricaddi sulla
schiena, e tra le lacrime che annebbiavano ogni cosa attorno a me vidi
Gourry correre attraverso la porta forzata, e inginocchiarsi al mio
fianco piegandosi su di me, ansimando, mentre nei suoi occhi
lampeggiava l’orrore:
“LINA…
cos… cosa? Dei…” Non riuscì ad articolare
più di quelle poche inutili parole.
Io boccheggiai, allungando una tremante mano verso la sua maglia e stringendola debolmente:
“L…a….C…C-a….m…o”
Riuscii solo a farfugliare, mentre un lampo di comprensione e
panico si impossessava degli occhi terrorizzati di Gourry nel vedere i
cocci della tazza e il liquido chiaro che allagava il pavimento.
“Devi
vomitare!” gridò, prendendomi tra le braccia e provando a
voltarmi. Tuttavia, quando mi portò una mano sulla schiena,
l’effetto fu immediato: una fitta dieci volte peggiore di quelle
che mi avevano scosso fino a quel momento si ripercosse nel mio fisico
provato, e sentii uno strappo lancinante dentro di me. Dopo alcuni
secondi un sapore ferroso mi invase completamente la gola e il palato,
mentre il sangue cominciava a colarmi dalle labbra, mescolandosi sul
mio viso alle lacrime e alla saliva.
Gourry
inorridì: “Dei… Dei!” gridò, mentre
cominciavo ad ansimare soffocata dal sangue che avevo in bocca. Sapevo
che ormai a quel punto vomitare non mi sarebbe servito più a
niente: qualcosa si era rotto dentro di me, e conoscevo un solo rimedio
per arrestare l’emorragia che avevo in corso. Sempre che a quel
punto fosse ormai ancora possibile fare qualcosa.
“G….”
Biascicai, con la bocca impastata
“I…sa…c…e…r…” Ansimai,
piegandomi tra le sue braccia per uno spasmo.
Gourry mi
scostò i capelli dalla fronte, cercò di ripulirmi il
mento dal sangue, macchiandosi le dita: il suo volto era una maschera
di puro orrore.
“Cosa …?” Mi chiese, con voce incrinata.
Io piegai la testa di lato, rantolando:
“R…e..s…u…r…r…e…ction” Riuscii infine ad articolare, in un sussurro.
Dopo una frazione
di secondo, sentii le braccia forti di Gourry sollevarmi tremanti da
terra, mentre lo spadaccino si precipitava fuori dalla stanza correndo
verso il tempio dove speravo che i sacerdoti di Sailunne, i migliori
esperti di arti magiche curative, avrebbero potuto salvarmi da quella
sofferenza immane.
La mia testa
ciondolò inerme per i corridoi, mentre Gourry correva senza
sosta tenendomi tra le braccia, e le mie urla non cessavano un solo
attimo. L’invisibile coltello rovente che stava aprendo in due le
pareti del mio ventre affondò maggiormente, diventando qualcosa
di inspiegabile. Il sangue continuava a colarmi copioso dalle labbra,
scendendomi sul collo, inzuppando il candido accappatoio che mi stava
ancora appeso addosso in qualche maniera, e la lucidità mi
abbandonò a più riprese.
Mi resi conto
solo vagamente che stavamo varcando la porta del tempio quando sentii
altre voci, oltre a quella disperata di Gourry, chiedere in modo
concitato:
“Che succede? Che succede? Per gli dei….”
Aprii gli occhi
velati dalle lacrime quel tanto che bastò per vedere diversi
volti in apprensione guardarmi sconvolti, mentre sentivo Gourry gridare:
“L’hanno
avvelenata… Resurrection, fate presto! Fate presto!” Anche
lui pareva aver perduto la ragione e la lucidità mentale.
Sentii che le sue
braccia mi adagiavano su qualcosa di duro, e capii che mi aveva steso
nuovamente sul pavimento quando vidi parecchie gambe flettersi al mio
fianco. Forse, considerai, raggiungere qualunque altro posto sarebbe
stato troppo lontano a quel punto, e annuii tra me e me: in quel
momento, che mi curassero su un letto di piume o su un tappeto di
chiodi non avrebbe fatto differenza, volevo solo che mi togliessero
quel dolore lancinante e insopportabile. Che placassero quel ferro
incandescente che mi stava squarciando in due.
I sacerdoti, non
dovevano essere più di quattro o cinque, si piegarono attorno
alla mia figura scossa dalle convulsioni, sul volto espressioni
sgomente ma decise, e iniziarono a cantilenare la formula del
Resurrection. Un’aurea bianca e luminosa scaturì dalle
loro mani, effondendosi sul mio corpo straziato. Il mio respiro si fece
più tenue, si affievolì; sentii le dita gentili dello
spadaccino risalire sulla mia fronte per scostarmi i capelli inzuppati
di sudore, la voce gli tremava:
“Lina…
Vedrai che andrà tutto bene….” Sussurrò,
mentre le lacrime si affacciavano nei suoi occhi.
Allungai una mano verso la sua, stringendola. Tremava.
Pensai che non
dovevo essere un bello spettacolo in quel momento: arruffata, stremata
e insanguinata. Ma Gourry era lì con me. Con lui accanto, sapevo
che ce l’avrei fatta.
Abbozzai un lieve
sorriso, che si spense tuttavia quando una nuova fitta mi fece
contorcere: l’incantesimo di guarigione lottava contro qualcosa
di molto, molto potente. Qualcosa che non sembrava voler allentare
la presa, straziandomi le carni.
I sacerdoti si
impegnarono con più veemenza, mettendo più energia nelle
loro parole; sentii che uno di loro sussurrava a Gourry di andare a
chiamare la principessa, ma lo spadaccino scuoteva la testa:
“Non la
lascio sola…” dichiarò, stringendomi con più
forza la mano. Glie ne fui grata, se si fosse allontanato mi sarei
sentita persa. In quel momento la sua presenza al mio fianco era
l’unica cosa ancora capace di darmi la lucidità
necessaria per combattere il dolore. Vidi uno dei sacerdoti sollevarsi
dalla postazione, e una manciata di minuti più tardi, quando
l’incantesimo si stava ormai diffondendo nel mio corpo, scorsi
Amelia che entrava di corsa nel tempio, in uno svolazzo di vestaglia e
camicia da notte, seguita a pochi passi da Zelgadis.
“Oh,
dei…” Eruppe, avvicinandosi, e piegandosi verso di me. I
suoi occhi erano pieni di paura mentre osservava il sangue che mi
imbrattava l’accappatoio e il volto, e il mio aspetto sfinito.
“Che
accidenti…” Sussurrò Zelgadis, mentre Amelia
già si era tolta l’ingombrante vestaglia e, arrotolatasi
le maniche della camicia da notte cominciava a sua volta a recitare la
formula del Resurrection insieme agli altri sacerdoti.
“L’hanno
avvelenata….” Mormorò Gourry, i cui occhi seri non
si staccavano un solo minuto dal mio volto.
Zelgadis rimase rigido, alle spalle dello spadaccino:
“Avvelenata?”
Ripeté, sgomento. Il suo sguardo si posò su di me, in un
misto di orrore e confusione. “Ha in corso un’emorragia
interna…” Sussurrò poi, con fare scientifico.
Gourry strinse con più intensità la mia mano.
“Non lo so
Zel, non so più niente… Voglio solo che le tolgano questo
dolore. Sembra che la stia spezzando a metà…”
Mormorò a denti stretti, con voce incrinata.
La cantilena dei
sacerdoti continuava, attorno a me; la sentivo ora farsi più
concitata, ora farsi più debole, e allo stesso modo percepivo la
lotta incessante della magia contro il male che avevo dentro.
Gourry mi
sussurrava parole di conforto che non riuscivo ad afferrare. Iniziai ad
allentare la presa sulla sua mano, il mio respiro si fece più
lieve.
“Coraggio
Lina…” implorò Amelia, mettendoci più
energia. Io tentai di sorriderle, ma solo una smorfia di dolore si
dipinse sul mio viso. Tutto diventò buio attorno a me, mentre
sentivo arrivarmi da lontano le parole dei sacerdoti, come una nenia di
inconsolabile pietà. Macchie argentate invasero il mio campo
visivo, in quel mare di tenebra, e soffocato mi arrivò alle
orecchie un lieve scrosciare d’acqua.
Provai a riaprire gli occhi, ma tutto era caliginoso, sfocato… vagavo in una spessa nebbia.
Sentivo solo
l’acqua che mi bagnava le caviglie. Sorpresa, gettai un occhiata
verso il basso: ero in pedi, e i miei piedi erano immersi in un flusso
torrenziale ghiacciato e impetuoso. Non ero che all’inizio, a
pochi passi dalla riva, e non riuscivo a scorgere la sponda avversa,
mentre qualcosa di inevitabile mi attirava verso di essa.
Avevo paura, non
volevo andare avanti, eppure sentivo che la risposta a tutto stava
dall’altra parte di quel corso d’acqua...
Quella linea di confine.
Mossi un piede tra le onde, con fatica, ma subito arrivò uno strattone a trascinarmi indietro.
“Lina!” Chiamò la familiare voce di Gourry.
Sbattei
più volte le palpebre, e la soffusa luce del Resurrection
balenò davanti ai miei occhi affaticati. Gourry era piegato su
di me, il volto contratto dal terrore:
“Guardami”
ordinò, mentre la sua mano libera, quella che non
stringeva la mia, saliva al mio volto, sulla mia guancia inzuppata di
lacrime e sangue:
“Rimani
concentrata su di me… passerà presto, l’incantesimo
sta funzionando” bisbigliò, cercando di tenermi vigile. Mi
resi conto che avevo perso conoscenza. Non c’era nessun torrente
di acqua ghiacciata, nessuna sponda che dovevo raggiungere. Ero stanca,
sfinita. Volevo solo chiudere gli occhi e abbandonarmi a quel
torpore… Strinsi debolmente le dita di Gourry. La sua mano era
calda e morbida, e mi trasmetteva un infinito senso di benessere,
nonostante tutto.
“G… Gou…” farfugliai.
Il dolore al
ventre era diminuito e il sangue non colava più copioso dalla
mie labbra, a dispetto del sapore ferroso che sentivo sul palato.
“Ssst...” bisbigliò lo spadaccino, accarezzandomi piano una guancia.
Sentii Amelia espirare:
“Funziona,
la stiamo riportando indietro…” disse, esausta ma
soddisfatta, mentre i sacerdoti, indeboliti, annuivano compiaciuti.
Volevo sorridere, ma non ne trovavo la forza.
“Gourry…” sussurrai, riaprendo gli occhi e guardando verso di lui.
“Lina...
Non ti sforzare. Va tutto bene, tra poco starai meglio” disse.
Avvertivo il suo fiato caldo sul viso, l’odore di sapone della
sua pelle. Dovevo dirglielo, dovevo dirglielo in quel momento.
Sono
una stupida, una stupida. Voglio sposarti, lo voglio davvero.
Perché senza di te tutto quello che faccio e dico appare privo
di senso. Perché non riesco a immaginare un futuro in cui tu non
sei al mio fianco. Ho bisogno di te, ti amo. Ti amo…
“Gourry…
non lasciarmi andare via” dissi invece, buttando fuori le parole
con un singhiozzo. Una nuova ondata di sangue mi affluì alle
labbra colandomi giù per il mento.
Un brusio di
sorpresa si destò tra i sacerdoti che stavano completando
l’incantesimo, mentre un ultimo violento e imprevisto strappo mi
faceva sussultare:
“Tienimi”
sussurrai, la voce roca. La sua mano stringeva la mia, ma la sentii
scivolare via. “Non lasciarmi, tienimi” dissi ancora, con
un ultimo respiro.
Le urla di Gourry si fecero lontane, sbiadite.
Ero di nuovo immersa nell’acqua gelida, mentre le tenebre inghiottivano la mia minuscola figura.
Mossi un passo verso la sponda, poi un altro…
Qualcuno recitava
sommessamente la formula del Resurrection, in qualche posto lontano. Ma
era troppo debole e io ero già lontana. Grida e suppliche mi
arrivavano confuse e sbiadite ma non ci badai: dovevo raggiungere
l’altra sponda, solo quello contava ormai. A fatica raggiunsi la
metà di quel fiume impetuoso: non vedevo più nessuno dei
due argini, ma qualcosa di irresistibile mi spingeva a proseguire. A
quel punto, tornare indietro sarebbe stato impossibile. Ma, proprio
mentre stavo per rituffare il piede nell’acqua gelida e
proseguire, le tenebre attorno a me si rischiararono.
“Ferma” disse una voce sconosciuta, mentre un campanello iniziava a suonare nel buio.
Rimasi immobile, la gamba ancora sollevata a mezz’aria, indecisa.
Il campanellino
continuò a tintinnare, incantandomi, ma all’improvviso,
dal buio, risuonò un’altra voce, più cupa e
minacciosa:
“Lasciala passare” intimò.
“Taci”
ribatté la prima voce, più soave, ma decisa. “Lina
Inverse, ti ordino di non proseguire il tuo cammino.”
Rimasi
impietrita, sentendo oscure forze tirarmi da entrambi i lati. A seconda
di come avessi appoggiato il piede, lo sapevo, il mio destino sarebbe
stato inevitabilmente segnato: ero proprio nel mezzo della linea di
confine.
Il suono del campanello si fece più acuto.
“Lasciala a
me.” Tuonò, sinistra, la seconda voce, dalla riva in cui
mi stavo dirigendo, cercando di trascinarmi.
“No. Lei
resterà dov’è, vattene, torna nel tuo buio.”
ordinò la prima voce, con un tono tanto risoluto che non potei
fare a meno di ubbidire. Riabbassai il piede e rimasi esattamente
com’ero: immobile nel mezzo della corrente.
“Non ti
ingannare, prima o poi attraverserà” replicò la
seconda voce, mascherando l’umiliazione della sconfitta,
predisponendosi a una spietata pazienza. “E a quel punto
sarà mia. Stai giocando un gioco troppo rischioso…”
“Vieni con me” Sussurrò a quel punto la prima voce, ignorando l’avversario.
Mi sentii
trascinare, mentre dal buio passavo nuovamente alla luce, in una
giravolta rocambolesca in cui tutto si mescolava davanti a me.
Quando quel giro di giostra fu finito, mi sentii vuota e abbandonata.
“Aspettami.
Tornerò e ti spiegherò ogni cosa” disse
semplicemente la prima voce, lasciandomi sola, con gli occhi chiusi,
mentre nelle mie orecchie il suono di quel melodioso campanellino
andava trasformandosi nella cantilena concitata dei sacerdoti di
Sailunne, ormai sempre più debole.
Qualcuno chiamava il mio nome, vicino a me, con forza e disperazione.
Provai a riaprire
gli occhi, mentre la formula dell’incantesimo si andava spegnendo
nelle mie orecchie. Non sentivo più dolore, né torpore.
Solo uno strano, inspiegabile silenzio attorno a me.
Mi allarmai,
provai a riaprire gli occhi, nonostante la luce mi accecasse; quando lo
feci, infine, riuscii a scorgere davanti al mio sguardo confuso le
pareti del tempio di Sailunne, bianche, marmoree.
Cercai di mettere
a fuoco: i sacerdoti tacevano, sfiniti, a qualche metro da me,
inginocchiati a terra. Sbattei le palpebre, stranita, e a quel punto
scorsi, in mezzo al gruppo dei sacerdoti, anche Gourry e Amelia, in
silenzio, mentre Zelgadis, in piedi alle loro spalle, vestiva
un’espressione di puro sgomento.
Che diavolo gli prendeva a tutti quanti?
Mi resi conto che
ero in piedi, e mossi qualche incerto passo avanti, nonostante nessuno
mi degnasse di uno sguardo. A quel punto avrei anche potuto offendermi,
davvero, se non fosse stato che, mi resi conto, la loro attenzione era
tutta concentrata su qualcosa che era sul pavimento. Barcollando mi
avvicinai, incuriosita, ma quando arrivai alle loro spalle, per poco
non mi sentii mancare.
In mezzo al
gruppo dei sacerdoti, riversa al suolo in malo modo, con ancora addosso
l’accappatoio insanguinato, c’ero… Io.
Istintivamente mi
venne da distogliere lo sguardo, presa da un improvviso senso di
repulsione e paura, ma poi mi detti dell’idiota.
Doveva esserci un errore, non si poteva spiegare il altro modo.
Tornai a guardare, e involontariamente spalancai la bocca, incapace di fare o dire alcun che.
Guardai il mio
volto inclinato di lato, gli occhi aperti, fissi, vitrei…
Sgranati nel dolore, mentre dall’angolo sinistro delle labbra
colava un sottile rivolo di sangue, gocciolando sul mio collo fino ad
infiltrarsi nella trama dell’accappatoio; l’unica cosa in
movimento nell’intera sala del tempio.
Guardai con
sgomento la mia mano, ancora stretta in quella di Gourry, pallida e
priva di vita, e infine mi costrinsi a guardare il volto di chi mi
circondava.
I sacerdoti erano sfiniti davanti all’inutilità del loro tentativo di salvarmi la vita.
Le loro braccia,
fino a quel momento sospese su di me, si abbandonarono stanche lungo i
corpi, toccando con le nocche il pavimento, dando il via ad una serie
di movimenti inarticolati e privi di razionalità.
Zelgadiss fece un passo avanti, smarrito, assolutamente impreparato a quello che stava accadendo davanti al suo sguardo.
Le lacrime presero a scorrere sulle guance di Amelia.
Gourry sbatté più volte le palpebre, incredulo.
“Lina…” Sussurrò. Nessuno ebbe il coraggio di guardare verso di lui.
Gourry strinse la
mia mano, convulsamente, ma quando riaprì il palmo, le mie dita
scivolarono via dalle sue, ricadendo come un peso morto, le nocche
pallide che sbattevano sul gelido pavimento.
Lo spadaccino rimase impietrito; davanti a lui, i miei occhi sbarrati guardavano in un punto imprecisato del tempio, senza vita.
Mi sentii venire
meno davanti a quella scena raccapricciante e provai a chiamarli, a
fargli capire che era tutto un errore, che io ero lì, proprio
lì, alle loro spalle. Ma ogni grido, invocazione, ogni mio
movimento o tentativo di attirare la loro attenzione si perdeva in quel
silenzio terribile che avvolgeva ogni cosa: nessuno mi vedeva, nessuno
mi sentiva. Ero invisibile, ero diventata… il nulla più
totale.
Amelia si portò entrambe le mani al volto, tremando, mentre le lacrime le bagnavano le guance.
“Non può essere vero…” disse, mentre Zelgadis si faceva più vicino, altrettanto sconvolto.
“L’incantesimo…”
Continuò Amelia, guardando i sacerdoti, che allo stesso modo non
se ne riuscivano a capacitare “L’incantesimo stava
funzionando, lei…” Un nuovo singhiozzo la fece sussultare,
e Zelgadis le posò una mano sulla spalla, in un gesto
consolatorio.
Uno dei sacerdoti mi portò le dita al polso, poi scosse la testa in segno di diniego:
“Non c’è battito.” Concluse amaramente.
Gourry
sollevò la testa, guardando confusamente il portatore di
quell’infausta notizia, poi i suoi occhi tornarono disperati sul
mio volto:
“No…” Mormorò “Lina…?” mi chiamò, in un sussurro.
Amelia e Zelgadis chiusero gli occhi, non volevano guardare, faceva troppo male.
Gourry
portò una mano al mio viso; lentamente le sue dita scivolarono
sulle mie labbra violacee, contratte nello sforzo di gridare parole che
non sarebbero più uscite.
“No…”
Mormorò di nuovo, con voce più acuta e incrinata. I
sacerdoti si guardarono, vagamente allarmati.
Le dita di Gourry presero a scorrermi sulle labbra, macchiandosi di sangue.
“No, no, no… ti prego, no.”
Zelgadis si portò una mano alla bocca. Amelia scoppiò in singhiozzi che la scuotevano.
Io, alle loro
spalle, non riuscii a distogliere lo sguardo da
quell’agghiacciante spettacolo, sempre più confusa, sempre
più angosciata.
“Sono
qui…” Provai a sussurrare nuovamente, consapevole ormai
che anche quelle parole si sarebbero perse nel silenzio.
Gourry
provò a sollevare il mio viso, una mano dietro la nuca. I miei
capelli erano ancora umidi dal bagno, aggrovigliati. i suoi occhi
cercarono un qualunque segno di vita nei miei, che risposero con il
loro terrificante e sgranato mutismo. Il colore delle mie iridi si
stava facendo nero, vacuo.
“Ti prego parlami, apri gli occhi…” supplicò.
I sacerdoti si agitarono ma nessuno aveva il coraggio di dire o fare alcun che.
Gourry prese a scuotermi con più vemenza.
“Non puoi
essertene andata, parla, dì qualcosa… qualsiasi cosa, ti
prego…” gridò. Ma la mia testa ciondolava inerte
tra le sue mani; la mia pelle si stava facendo cerea.
“Gourry…”
disse alla fine Zelgadis, cercando di mantenere un tono compassato:
“Lasciala…” Lo spadaccino non gli badò. Io
feci un passo avanti:
“Gourry!” Esclamai “Sono qua, sono qua, proprio accanto a te!”
Gourry
sollevò il mio corpo per le spalle, e mi strinse a sé,
mentre la mia testa ricadeva all’indietro e i miei capelli, morti
fili per marionette, pendevano sfiorando il pavimento.
“Mi ha
detto di tenerla, di non lasciarla andare. Non posso lasciarla
andare!” gridò, fuori di sé. Mi gettai al suo
fianco, cercando di afferrarlo, mentre le mie mani lo attraversavano
come fosse stato d’aria:
“Sono qua,
Gourry, non me ne sono andata, sono qua!.” Strillai, disperata.
“C’è un errore… Deve esserci un
errore…” esclamai infine, sconfitta, mentre Gourry
affondava il viso nel mio collo pallido e prendeva a singhiozzare
convulsamente.
Ero terrorizzata;
volevo piangere, ma non avevo lacrime; volevo gridare, ma non avevo una
voce che potesse essere udita da altri oltre che da me; volevo
afferrarlo, scuoterlo, farlo voltare e mostrargli che io ero lì,
proprio lì, ma…
Come era potuta succedere una cosa del genere? Non me ne riuscivo a capacitare.
Forse era un incubo, un atroce incubo da cui mi sarei presto svegliata, trovando Gourry che dormiva placidamente al mio fianco.
Provai a chiudere
e riaprire gli occhi, stringendoli più volte, ma nonostante
tutto, le urla di Gourry continuavano a riempire di angoscia le mie
orecchie.
Zelgadis si fece più vicino allo spadaccino, provando a scuoterlo:
“Gourry…
Lo so che…” Provò a dire, ma dovette bloccarsi: non
c’erano parole adatte per esprimersi in una situazione del genere.
I sacerdoti si
guardarono con un misto di compassione e sfinimento, sollevandosi a
loro volta, e mentre uno di loro aiutava Amelia a rialzarsi, un altro
si allontanò, per tornare dopo pochi istanti con un drappo
bianco.
Deglutii, guardandoli sconcertata.
“Siamo
così addolorati maestà….” Si rivolsero alla
principessa, la quale dovette reggersi al braccio di uno di loro per
non venire meno mentre si sollevava tra le lacrime.
Solo Gourry era
rimasto inginocchiato a terra, tenendomi tra le braccia; il suo sguardo
si sollevò alle parole del prelato, e quando scorse il lenzuolo
tra le sue mani, un’espressione di agghiacciante furia si dipinse
nei suoi occhi:
“Allontanatevi”
disse secco, digrignando i denti. Il guaritore fece un passo i
indietro, smarrito: “Ma…”
Zelgadis lo fulminò con un’occhiata, poi tornò a rivolgersi allo spadaccino:
“Gourry,
per quanto doloroso sia, devi lasciarla” disse, mettendo a tacere
il dolore per ostentare il suo duro lato pratico.
“No”
sibilò lo spadaccino, stringendo il mio corpo a sé.
Zelgadis provò ad avvicinarsi, posandogli una mano sulla spalla;
Gourry si divincolò:
“Non la
lascio, Zel!” gridò, facendomi venire i brividi. Zegadis
sussultò, poi tornò nuovamente a rivolgersi a lui:
“Lina
è… Lina non c’è più” disse,
aggirando la terribile parola che nessuno aveva il coraggio di
pronunciare. Sapevo quanto gli costava essere duro in quel momento, ma
sapevo anche che era l’unico modo che Zel conosceva per prendere
in mano la situazione. Vidi che lanciava una rapida occhiata ad Amelia,
alle sue spalle, e la principessa si portava entrambe le mani al volto.
Zel
sospirò, e tornò a guardare verso Gourry, il quale, per
reazione alle sue parole, aveva preso a stringermi con ancor più
violenza.
“No…”
Esclamò ancora una volta, cieco all’evidenza. Mi scosto
lievemente da sé, e la sua mano tornò sulla mia guancia,
sulla quale il sangue si era ormai rappreso:
“Lina… Lina, rispondimi….” Singhiozzò, prendendo a cullarmi con dolcezza.
Zel distolse lo sguardo, e si incupì. Io mi portai una mano alla bocca, straziata da quella scena.
“Non mi lasci altra scelta…” Sussurrò la chimera. “Sleeping” Esclamò, secco.
Gourry vacillò, senza lasciarmi.
“Sleeping” Tuonò il mio amico, con più energia.
Gourry cercò di resistere.
“SLEEPING!”
Esclamò, un’ultima volta Zelgadis, mentre lo spadaccino
crollava a terra, trascinandomi con sé.
A quel punto tutto tacque.
Rimasi immobile,
dilaniata dal dolore che quella visione mi aveva procurato; poi,
barcollando, mi sollevai e mi allontanai, indietreggiando.
Sbattei
più volte le palpebre, e in quel momento, le porte del tempio
tuonarono, spalancandosi, mentre una figura zuppa di pioggia faceva il
suo ingresso trafelata.
Nayden
arrivò correndo a pochi passi dal punto in cui si era consumata
la tragedia, la tunica alla rovescia, i piedi scalzi, i capelli
scarmigliati. Aveva tutta l’aria di chi era appena stato buttato
giù dal letto.
Quando il suo
sguardo cadde sul pavimento, e scorse il mio corpo riverso al suolo,
insanguinato, contorto nella smorfia della morte, i suoi occhi si
spalancarono, e vidi chiaramente le sue mani stringersi a pugno, mentre
le nocche sbiancavano.
I presenti si
voltarono, rivolendogli occhiate stanche ed indifferenti, Nayden
posò uno sguardo rammaricato su ognuno di loro; quando i suoi
occhi incontrarono quelli di Zelgadis, vi lesse più risoluzione,
e si azzardò a domandare:
“Cosa è succeso? Non sarà…?”
Zelgadis annuì brevemente, poi distolse lo sguardo.
Nayden parve corrucciarsi ulteriormente:
“Ma come…?”
“Non
sappiamo niente. Noi…” Zel guardò con disperazione
la principessa, ridotta allo stremo della sofferenza, e Gourry,
addormentato con la forza mentre ancora si rifiutava di lasciarmi
andare.
Nayden annuì, comprendendo che non era quello il momento di fare domande inopportune.
Il suo sguardo si posò sui mie occhi vitrei, e lo vidi incupirsi:
“Maledizione…” Sibilò fra i denti, lasciandomi stupita da tanta rabbia.
Nayden si fece avanti:
“Vi aiuto a portarlo nelle sua stanze…” Mormorò, accennando con il capo a Gourry.
Zel annuì fiaccamente.
Osservai la
chimera e il mago che separavano il mio corpo straziato da quello
addormentato di Gourry, e lanciai un’ultima disperata occhiata a
quel che rimaneva di me: ero stesa a terra, le gambe scoperte fino alle
ginocchia, piegate in un innaturale posizione, così come le
braccia, che tenevo stese, aperte, come a invocare un aiuto insperato.
“Buffo, davvero buffo…” sussurrò in quel momento una familiare voce al mio fianco.
Mi voltai di scatto, e mi ritrovai faccia a faccia con il volto di Xellos.
Mi stava… Guardando? Sobbalzai:
“Xellos!
Tu…Mi vedi??” Chiesi, più stupita di quel fatto che
di ritrovarlo a mezz’aria in uno dei principali templi della
magia bianca.
Xellos annuì, ma senza vestire il suo solito sorriso sornione:
“E dire,
che ti avevo quasi pregata di stare attenta…” Mi
rimproverò, guardandomi non senza una certa curiosità.
Ripensai al suo avvertimento di una settimana prima:
“Xellos,
che accidenti sta succedendo? Ci sei tu dietro a questa storia?”
urlai, perdendo qualsiasi razionalità.
Il demone tuttavia si limitò a lanciare un’altra intensa occhiata al mio corpo immobile.
“Davvero buffo..” Commentò nuovamente, irritandomi.
“Vorrei sapere cosa ci trovi di tanto divertente…” borbottai, accigliandomi.
Il priest mi lanciò un fuggevole sorriso:
“Divertente
forse non è il termine esatto, ma trovo davvero singolare la
situazione. Questo complica un po’ le cose ovviamente… ma
a tutto c’è rimedio. Tranne, forse, alla morte.”
Lo fissai, torva.
Ero dunque… morta? E cosa si sarebbe potuto complicare che
già non fosse terribilmente complicato? Detestavo quel suo
rigirare le frittate e parlare sempre senza dire realmente niente.
Xellos mi rivolse un’ultima occhiata:
“Su, non te la prendere… Ormai, il danno è fatto, pazienza.”
“Pazienza?...
Pazienza?!” sbraitai. “ Xellos, guardami maledizione! Cosa
diavolo significa tutto questo?!”
Lo sguardo di Xellos si fece divertito, quasi felino:
“Ti sto
guardando, ed è proprio questa la cosa buffa Lina…”
mormorò, sogghignando. “Come ti spieghi che tu sia
lì…” Indicò con il bastone il mio corpo, poi
lo rivolse verso me “E anche qui…
Contemporaneamente?!” Esclamò infine.
Io rimasi sgomenta.
Xellos si lisciò la punta del mento:
“E non
venirmi a dire che non ti avevo messa in guardia…”
Mormorò infine, prima di svanire in uno sbuffo.
“Xellos!” gridai, vedendolo sparire, senza tuttavia ottenere nulla.
Il demone si era
dileguato, lasciandomi confusa e piena di interrogativi. L’unica
creatura che era in grado di vedermi mi aveva lasciata con solo poche,
ambigue parole, senza nemmeno darmi il tempo di capire che accidenti
stesse succedendo.
Deglutii, e
tornai a guardare verso la me stessa stesa a terra. Zel e Nayden erano
usciti dal tempio, trascinandosi dietro lo spadaccino, mentre Amelia li
aveva seguiti a capo chino, diretta alle stanze di suo padre per
avvisarlo di quanto era accaduto.
Guardai ancora
una volta il mio volto contratto, su cui le mani disperate di Gourry
avevano mescolato il sangue alle lacrime, e guardai un ultima volta i
miei occhi vuoti; erano fissi e muti in uno sguardo di dolore e
incomprensione, lo stesso che vestivo in quel preciso istante.
Uno dei sacerdoti
calò su di me il candido lenzuolo, coprendomi la vista di
quell’orrore in cui ero precipitata senza nemmeno rendermene
conto, e piano piano, intorno a me si fece il silenzio più
assoluto, rotto solamente dalla pioggia che scrosciava forte sul tetto
del tempio.
In qualche luogo sconosciuto, l’acqua gelida bagnava le mie caviglie.
Immobile sulla linea di confine, non potevo andare avanti. E non riuscivo a tornare indietro.
La corrente mi investiva, su quel labile limite in cui stavo in bilico, tra le tenebre.
Il confine ultimo tra la vita e la morte.
Frozen inside without your touch,
without your love, darling.
Only you are the life among the dead.
My spirit's sleeping somewhere cold
until you find it there and lead it back home.
Bring me to life...
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Capitolo 10 *** Incomprensibile destino ***
capitolo 10
Incomprensibile destino
‘Dite,
dite che ella era il mio solo amore sulla terra! Dite che questo
cadavere mi appartiene! E quando io dirò: tutte le mie speranze
sono naufragate, il mio cuore è spezzato, la mia vita è
spenta, intorno a me non c’è più che lutto e
nausea, la terra è diventata per me un deserto, ogni voce umana
mi strazia; quando dirò: è pietà lasciarmi morire,
perché se non muoio impazzirò; quando dirò tutto
questo, chi oserà rispondermi: ‘Avete torto’? Chi
potrà impedirmi di essere il più infelice degli uomini? E
chi oserà, dunque, impormi di vivere? Chi ne avrà il
coraggio?’
(‘Il conte di Montecristo’ Alexandre Dumas)
La pioggia continuava a cadere su Saillune, incessantemente.
La sentivo
ticchettare contro ai vetri dell'enorme finestra, nella stanza in
penombra dove Gourry dormiva, sedato. Doveva essere da poco passata
l'alba. Sedevo sulla cassettiera addossata alla parete, davanti al
letto a baldacchino, e ancora non riuscivo a crederci. Portandomi la
mani davanti agli occhi osservai attentamente i miei guanti, i miei
amuleti. Ogni cosa era al suo posto, ogni cosa era al suo dannatissimo
posto. Ma allora, come...? Sospirando pensai al sorriso beffardo di
Xellos, a quel commento così ambiguo e inopportuno, bisbigliato
poco prima di sparire chissà dove, e un nodo tornò a
serrarmi la gola. In quel momento un gemito strozzato fuoriuscì
dalle labbra di Gourry, riportandomi alla realtà. Si agitava nel
sonno, come non gli avevo mai visto fare, e un amaro sorriso comparve
sul mio volto: "A quanto pare Zel c'è andato giù pesante
con quello Sleeping, eh cervello di medusa? Ma ti conviene dormire
ancora un po', quando ti sveglierai...Tutto sarà diverso."
Dopo gli
avvenimenti di quell’assurda nottata mi ero rifugiata lì
come un derelitto perso nell’oceano, aggrappato a una tavola di
legno. Avevo bisogno di riflettere. Riflettere.
Volevo evitare in
tutti i modi di farmi coinvolgere. Di farmi coinvolgere come mi era
successo giù al tempio, solo poche ore prima. Non era razionale.
Non era normale, non era…
Sospirai. Mi
stava succedendo di nuovo. L’ansia mi saliva in gola e mi
esplodeva nel petto, togliendomi qualsiasi capacità di
raziocinio. E io ne avevo bisogno. Avevo bisogno della mia
lucidità, della mia obbiettività. Non era possibile che
fosse realmente successo, eppure…
Scossi la testa.
No, non io, non a me, dannazione.
Ero Lina Inverse, per tutti i diavoli!
Avevo tagliato a
fette Shabranigdu, avevo domato la magia del caos, avevo tenuto testa
al Principe degli Inferi, e avuto la meglio sulla stessa Lord of
Nightmare. Avevo combattuto contro ogni genere di nemico, contro ad
ogni creatura demoniaca, e avevo vinto, sempre.
Infine, ero… morta… bevendo camomilla.
Doveva esserci un errore, maledizione!
Mi portai entrambe le mani alle tempie e massaggiai. Già, come se potesse servire a qualcosa.
Divertente, vero?
Voglio dire, quando sei… Morta… Che bisogno hai di
calmarti i nervi, dico bene? Quella constatazione mi fece innervosire
ancora di più, e imprecai silenziosamente fra i denti. In fondo,
ero ancora lì. Non propriamente in vita, ma… Beh,
c’ero, questo era ovvio. Ed ero sempre la stessa, lo capivo dal
fatto che invece di sentirmi addolorata, prostrata, o spaventata per
quanto mi stava accadendo, o per quanto mi sarebbe accaduto (avrei
dovuto preoccuparmi per quei due o tre peccatucci che avevo commesso in
vita?) Beh, alla fine di tutto, mi sentivo mortalmente (perdonate il
gioco di parole) arrabbiata! E non contro quel farabutto che aveva
messo del veleno nella camomilla, per quanto se lo avessi avuto sotto
le mani in quel momento…
No, io ce l’avevo con me stessa, perché ero stata beffata come la più ingenua delle pivelle.
Morta in accappatoio. Io, la grande Lina Inverse.
Bevendo camomilla.
Non riuscivo ad immaginare niente di più umiliante, dannazione.
Mi passai la mano
sulla fronte, e non sentii nulla. Il mio corpo, la mia voce, il mio
respiro… svanito tutto. Ero come l’aria, ma ancora
più inafferrabile. Non potevo influenzare in alcun modo le vite
che vedevo scorrermi davanti al naso, né segnalare la mia
presenza.
Lanciai una mesta
occhiata a Gourry, che si rigirava nel sonno forzato in cui lo avevano
relegato. Come se prendere tempo potesse servire ormai a qualcosa.
Ero scomparsa. O
almeno, la scintilla di vita che bruciava nel mio corpo lo aveva
abbandonato e inspiegabilmente aveva preso ad ardere lontano da esso.
Io c’ero. Ma non ero dove avrei dovuto essere. E nessuno poteva
accorgersene, nessuno poteva farci niente. Certo, tranne…
I miei pensieri si concentrarono cupi sul demone dagli occhi d’ametista. Quel maledetto.
Ci avrei giurato,
Xellos si stava divertendo un mondo in quella situazione, crogiolandosi
nel dolore delle persone che soffrivano per me e lasciandomi con
nient’altro che le sue odiose mezze frasi, che invece di
rischiarare i miei dubbi li offuscavano ancora di più.
Di fatto non lo ritenevo direttamente responsabile di quanto fosse accaduto.
State attenti, ho
detto ‘non direttamente’. Il che non significava che lo
reputassi innocente come un agnellino. Anzi.
Sicuramente ci
era dentro fino al collo, visto che già a Solaria era stato in
grado di lanciarmi un ammonimento su quanto sarebbe accaduto… E
il suo salvataggio, in quell’occasione, non significava un
accidente di niente.
Conoscevo Xellos
abbastanza bene da poter affermare che la sua natura sibillina lo
poteva portare a salvarti dalla padella per lasciarti cadere tanto
amabilmente nella brace.
Incomprensibili disegni demoniaci, già.
Ad ogni modo, non
pensavo fosse stato lui ad avvelenare la camomilla. Né tantomeno
a fare crollare la torre, o a sciogliere il ghiaccio sotto ai miei
piedi su quel maledetto laghetto. Ero certa che fosse coinvolto, per
qualche sua misteriosa e segreta ragione, ma no, non poteva essere lui
l’artefice di tutto. Uno come lui avrebbe potuto farmi fuori
schioccando le dita, per quale motivo avrebbe dovuto perdere tempo con
tutti quei tentativi?
L’assassino, colui che mi seguiva da ben prima che varcassi le mura di Sailunne, era un altro.
Un gemito di Gourry mi distolse da quei tetri pensieri. Ero addolorata per lui.
Qualche ora
prima, giù al tempio, mi si era quasi spezzato il cuore (in
senso metaforico, ovviamente, quello vero aveva smesso di battere
già da un bel po’) nel vedere la sua disperazione.
Ma adesso, ora
che ci ragionavo più lucidamente, percepivo che tutto il mio
dolore per lui non era che una parte infinitesimale paragonato a quello
che provava lui per me.
Perché la vita vibrava dentro di lui, nonostante tutto, e questo era per me di grande conforto.
Mentre per Gourry
io, in quel momento, non ero che un cadavere freddo, abbandonato nella
sua immobilità in qualche posto lì a Sailunne.
Se solo avessi trovato un modo per comunicare con lui…
I miei pensieri chiamarono subito alla mente il volto fugace di Xellos, ma mi trovai a scuotere la testa.
Non potevo
aspettarmi che mi ricomparisse improvvisamente davanti al naso
facendomi da tramite con quelli che erano suoi amici o nemici a seconda
delle necessità.
Mai fidarsi di Xellos.
Avrei dovuto stare in guardia, e aspettarmi qualunque cosa da un tipo come lui…
Per un breve
istante ripensai alla visione che avevo provato prima che
l’anima, o qualunque cosa fosse, si separasse completamente dal
mio corpo.
Due voci astiose, e un corso d’acqua.
Qualcosa mi
diceva che non si era trattato solo di una visione, ma sorvolai,
cercando di concentrarmi su una di quelle voci…
‘Aspettami’ aveva detto? Qualcosa del genere. Non ricordavo
molto bene, ero parecchio confusa su quegli ultimi istanti.
“Lina…” Farfugliò in quel momento Gourry, strattonando le lenzuola nel pugno stretto.
Mi riscossi,
mentre la pioggia continuava a scrosciare forte contro ai vetri.
L’alba era passata, e una deprimente luce grigia filtrava
attraverso la vetrata.
Mi resi conto che
Gourry aveva aperto gli occhi e che fissava vacuamente il baldacchino
che sovrastava il letto. Forse aveva perso la memoria. Non sarebbe
stato strano per Gourry.
Lo sperai con
tutta me stessa, e mi sporsi verso di lui. Dal punto in cui ero
non riuscivo a vederlo bene in volto, eppure non avevo il coraggio di
avvicinarmi. Stare lontana, in qualche modo, mi dava quasi
l’illusione di esserci ancora. Se mi fossi stesa al suo fianco,
invece, avrei dovuto constatare che la sua mano non avrebbe più
stretto la mia, e che i suoi occhi limpidi, quegli occhi che tanto
amavo… Non avrebbero più incrociato i miei, nemmeno per
sbaglio.
Deglutii, una pura formalità, un’abitudine che mi era rimasta attaccata addosso.
Del resto, come potevo deglutire per davvero? Andiamo… Non avevo più un corpo!
Con una certa insofferenza pensai allo spettacolo pietoso della sera precedente.
Dei, ero morta in accappatoio.
Forse sono da
biasimare per quel mio attaccarmi a un particolare di assoluta
irrilevanza, ma se non altro, sentirmi offesa per le modalità
della mia morte mi evitavano di concentrarmi sul nocciolo della
questione: non importava come. Ero morta.
Gourry si
puntellò su un gomito, sollevandosi leggermente. Il suo sguardo
era vuoto, smarrito. I capelli dorati gli ricadevano sulla fronte e
sulle spalle in ciocche scomposte, arruffati. Sulle sue guance erano
ancora visibili tracce di sangue rappreso, il mio sangue.
Ripensai a come
le sue mani avevano vagato disperate sul mio volto, quella notte, senza
volersi arrendere all’evidenza che qualcosa di più forte
di tutto quello che avevamo affrontato fino a quel momento mi aveva
strappato via da lui. Ripensai a come si era piegato su di me, in un
ultimo, disperato tentativo di vedere una scintilla di vita
sprigionarsi dai miei occhi spenti, e provai ad immaginare come avrei
reagito io, se le parti fossero state invertite.
La riposta mi fece male.
Eppure, ancora
non capivo, lo intuivo dallo sguardo di Gourry. Non ero ancora arrivata
alla comprensione esatta di quanto gli stava costando la mia perdita.
La mia mancanza.
Gourry emise un
debole sospiro. Il suo sguardo poteva ingannare: sembrava indifferente.
Lo sguardo di qualcuno imbambolato nel vuoto.
Poi i suoi occhi presero a muoversi per la stanza. Stava tornando in sé. Stava realizzando…
Infine, dopo
quelli che mi parvero secoli, il suo sguardo si posò su di me, e
mi guardò a lungo, aggrottando le sopracciglia, mentre la sua
mano si stringeva con forza su un cuscino.
Rimasi senza parole, la bocca spalancata.
Quindi mi vedeva?
Spalancai le braccia.
“Gourry!” esclamai, ancora seduta sulla cassettiera, indecisa se correre ad abbracciarlo oppure no.
Lo sguardo di Gourry, tuttavia, non mutò di una virgola.
Forse era lo shock?
“Gourry…?”
I suoi occhi si assottigliarono a una lama.
Ok, forse voleva
dirmi che non era stato carino fargli credere che fossi passata a
miglior vita. Dei, forse era stato tutto un errore, un incubo…
Forse la camomilla era allucinogena e io mi ero immaginata tutto?
In quel momento Gourry chiuse gli occhi, come se una fitta dolorosa l’avesse appena attraversato. O un ricordo.
Ansimava.
Tornò a guardare verso di me, ora con più rabbia. Vedevo
le sue labbra fremere, le narici dilatarsi ad ogni respiro.
Mi spaventai. Mi
stava davvero guardando con tutta quella collera, con tutto
quell’odio? Non gli avevo mai visto uno sguardo del genere,
nemmeno nelle situazioni peggiori.
Stavo quasi per
saltare giù dalla cassettiera, la mano protesa in segno di calma
verso di lui, ma appena mi mossi Gourry fu più veloce, e con un
gesto tanto rapido e imprevisto da lasciarmi paralizzata, mi
lanciò il cuscino addosso, con una furia disumana.
Io rimasi
immobile, sconcertata, mentre vedevo, come in una scena al
rallentatore, il candido cuscino volteggiare roteando verso di me,
senza mai arrivare a colpirmi. Fu solo quando un secco rumore di vetri
infranti giunse alle mie orecchie con un boato che mi scossi,
rendendomi conto confusamente che la persona che Gourry guardava, che
la persona che Gourry detestava, non ero io.
Alle mie spalle,
la grande specchiera, in cui non era mai comparsa la mia immagine, era
andata in mille pezzi, facendo sparire dallo sguardo di Gourry
l’unica persona che vi si fosse mai rilflessa. L’unica
persona che accusava di quanto fosse successo e che non avrebbe mai
perdonato: se stesso.
Rimasi immobile,
esattamente come lo era lui, boccheggiante. Schegge e frammenti di
vetro si erano sparsi per la stanza, passandomi attraverso esattamente
come aveva fatto il cuscino pochi attimi prima.
Aria. Ero aria.
Gourry
abbassò lo sguardo e strinse le lenzuola, poi, in una nuova
ondata di furia le strattonò, lanciandole sul pavimento lontane
dal letto. Io mi morsi le labbra. Se andava avanti così, del
palazzo di Sailunne non sarebbe rimasto poi molto. Lanciai
un’occhiata fulminea alla spada che pendeva nel fodero, appesa
alla spalliera, e pregai mentalmente che Gourry non si facesse venire
strane idee. Non era una buona idea che uno psicopatico di due metri e
con la forza di un drago si aggirasse per il castello brandendo una
simile spada…
Ma Gourry, dopo
aver distrutto la specchiera e sgombrato il letto, sembrò
afflosciarsi inaspettatamente. Il suo volto passò
dall’odio alla disperazione e rughe profonde gli solcarono la
fronte.
Di colpo, a
ventisei anni sembrava un vecchio di sessanta. Non era un buon segno,
senza contare che tutto questo non avrebbe giovato alla sua salute.
Insomma, lui una
salute ce l’aveva ancora, accidenti non poteva immaginarsi che mi
avrebbe mandato fuori dai gangheri vederlo in quello stato pietoso?
Saltai giù dalla cassettiera ed incrociai le braccia:
“Andiamo, cos’è questo patetismo?” Provai a dire, autoritaria.
Gourry mi
ignorò, come del resto non avevo dubbi che avrebbe fatto. Si
portò una mano alla fronte e si accartocciò su se stesso.
Rimase in quella posizione per parecchi minuti, nel silenzio più
totale. Io sedetti al suo fianco:
“A
quest’ora, ti avrei già fregato tutta la colazione…
Stai diventando un po’ troppo riflessivo per i miei gusti,
Gourry…” mormorai. Poi il mio stomaco sussultò. Era
stata la parola colazione a risvegliare quell’inspiegabile
istinto? In modo del tutto innaturale, data la situazione, mi scoprii
ad avere fame.
Rimasi di stucco,
lì per lì, ma poi mi ricordai che allo stesso modo, pur
non avendo più di fatto un corpo, continuavo a provare ogni
più piccola sensazione che non avesse a che fare col tatto.
Percepivo gli
odori, udivo i rumori, vedevo le cose… Potevo ancora soffrire,
indignarmi, spaventarmi, proprio come mi era successo pochi attimi
prima quando avevo visto il cuscino piombarmi dritto in faccia. Solo
che non potevo dare voce a tutti quegli stimoli che ancora continuavo a
ricevere.
Certo, ero
morta… ma in un certo senso continuavo a vivere. Guardai la mano
di Gourry, abbandonata sul materasso a pochi centimetri dalla mia, e
un’ondata di rimpianto mi colse all’improvviso: non avrei
più percepito il calore e la gentilezza di quelle dita rese
ruvide dalla dimestichezza che avevano con la spada e con le briglie?
Eppure, tutto quello che volevo in quel momento era stringere quella
mano, portarmela alle labbra…
I sapori. Non avrei mai più sentito nessun sapore?
Una nuova forma
di angoscia mi asserragliò, nonostante cercassi disperatamente
di tenermi a galla in quel mare confuso di assurdità.
Ero io, sempre
io. Solo, senza la possibilità di esprimermi. Conservavo ancora
intatti tutti i miei sensi, tutti i miei desideri, tutti i miei stimoli
vitali… Ma ero sola. Nessuno mi poteva vedere, nessuno mi poteva
sentire…
Chi mi aveva
fatto questo? E perché? Perché ero ancora lì, se
lo scopo era semplicemente quello di liberarsi di me. Perché ero
costretta ad assistere impotente alla disperazione di chi mi stava
accanto, e alla mia stessa impossibilità di riavere ciò
che più desideravo?
La mia gola sarebbe stata arsa, e non avrei avuto acqua.
Il mio stomaco sarebbe stato vuoto, e non avrei avuto cibo.
Le mie parole si sarebbero perse nel silenzio, e il mio cuore si sarebbe chiuso nel dolore.
E nessuno avrebbe saputo che ero lì, ancora lì, a vedere e sentire tutto.
Persa
com’ero in quei deliri, nemmeno mi resi conto che Gourry si era
lentamente voltato, buttando entrambe le gambe giù dal letto.
Era al mio fianco, ma io non ero al suo. Potevo sentire il suo respiro
pesante, irregolare, che lasciava trapelare la frustrazione che aveva
dentro. Il suo sguardo era duro, tagliente, una maschera di mutismo.
Non saprei dire come avrei reagito io al posto suo.
Gourry si
sollevò; indossava ancora le vesti del giorno prima, ma tutto
quello che lo circondava aveva smesso di avere importanza. Lo vidi
allungare pericolosamente una mano verso la spada, e mi agitai, ma
quando lo vidi allacciarla indifferente alla cinta, com’era sua
abitudine fare, sospirai.
Forse non sarebbe
uscito nel corridoio agitandola come un pazzo e gridando ‘voglio
vendetta!’, e questo mi tranquillizzò.
Probabilmente, quello era il modo in cui avrei reagito io. Forse.
Rimasi seduta sul
letto e lo osservai compiere qualche passo incerto per la stanza. I
frammenti della specchiera sparsi sul pavimento scricchiolarono sotto
le suole dei suoi stivali, ma Gourry non vi fece caso. Sembrava
smarrito, come se non capisse bene da che parte si trovava
l’uscita. O come se, pur sapendo dove imboccare la porta, non
sapesse bene quale fosse la direzione da prendere una volta usciti da
lì.
O ne avesse una grande paura.
Rimasi a fissarlo, e Gourry a sua volta si fermò, il volto duro, contratto:
“Questo è un un incubo, vero?”
Io sollevai la testa alle sue parole:
“Vorrei tanto che lo fosse…” Replicai.
Gourry chinò il capo:
“Lo so a cosa pensi…” La sua voce si stava facendo un sibilo. I miei occhi si sgranarono.
Gourry scostò un piccolo frammento di vetro dal pavimento, con la punta dello stivale. Sembrava volesse prendere tempo.
“…Sono stato un idiota, vero Lina?”
Sussultai.
“Gourry…”
Sussurrai “Se c’è un idiota in questa stanza,
beh… Per una volta non sei tu…”
Lo spadaccino rimase immobile. Non riuscivo a vedergli il viso, nascosto dai ciuffi biondi che gli ricadevano sugli occhi.
Era un peccato
che, per una volta che ammettevo senza remore di essere io
l’idiota della situazione, Gourry non potesse sentirlo. Anche se
forse sarebbe stata una ben misera consolazione. Faceva male, tutto
questo. Tanto, troppo male. Ma la cosa che più mi feriva era il
suo senso di colpa.
Dei! Si sentiva
in colpa, lui… Lui che non aveva mai mancato un’occasione
per proteggermi, che era sempre stato attento, vigile, e
soprattutto… pronto a tutto per me.
Si sentiva in colpa perché io avevo bevuto quella maledetta camomilla.
Sospirai.
Era quella la
crudeltà estrema che rimproveravo al mio assassino, chiunque
esso fosse. Era quello che me lo faceva detestare, che mi faceva
desiderare di affondare una lama nella sua gola, più ancora del
fatto di avermi tolto la vita…
Io non gli avrei
mai perdonato il fatto di aver usato un espediente così subdolo.
Lui, che appostato fuori dalla porta della mia stanza aveva origliato
tutta la conversazione mia e di Gourry, lui che era poi sceso
sogghignando nelle cucine, dopo aver capito quale fosse il punto debole
su cui calcare la mano.
La camomilla me la mandava Gourry, apparentemente. Perché non avrei dovuto berla?
Fuori dalla stanza la pioggia non accennava a diminuire. Un pianto incessante.
Gourry parve
infine decidersi, e senza più indugi abbassò la maniglia
della porta, uscendo dalla stanza, mentre io scendevo velocemente dal
letto e mi affrettavo dietro di lui.
Non volevo che restasse solo.
Cioè…
Non volevo restare sola, ecco.
Tanto a quel punto, che avrei potuto fare?
Forse avrei dovuto procurarmi un lenzuolo e delle catene, e chiedere a Phil il permesso di infestare il palazzo.
Umh…
Phil ci avrebbe
indubbiamente guadagnato. Da che mondo e mondo si sapeva che i palazzi
popolati di spiriti attirano i turisti come il miele le api. E,
modestamente, un palazzo abitato dallo spirito della grande Lina
Inverse avrebbe sicuramente avuto una eco di dimensioni sovraumane.
Quanto si poteva far pagare di ingresso per la stanza in cui avevo
sorseggiato la camomilla avvelenata?
Forse cinque
monete d’oro andavano bene per visitare i luoghi della mia agonia
e del mio trapasso. I sacerdoti, mi dispiaceva per loro, ma si
sarebbero dovuti spostare, perché il tempio doveva essere
adibito a sala monumentale…
Già mi sembrava di sentire le grida addolorate dei visitatori:
‘Oh,
sì! Lì, proprio lì… Dove esalò il
suo ultimo respiro la più grande, la più geniale, la
più infallibile maga che il mondo abbia mai visto! Piangete
tutti la prematura scomparsa di una creatura tanto straordinaria!’
Ecco,
all’uscita si poteva anche mettere un venditore di fazzoletti.
Magari con le mie iniziali ricamate sopra. Utili e pratici souvenir.
Noterete come il
tutto abbia una sua logica, dico bene? Chi l’aveva detto che il
fatto di essere morta mi impediva di fiutare un affare?!
Mi sarei dovuta
ricordare, comunque, di precisare che tutto il ricavato sarebbe andato
devoluto alla costruzione di una mia monumentale statua in oro
massiccio. Giusto per ricordare ai miscredenti chi ero stata in vita.
Gourry , che
procedeva con passo lento e pesante nel corridoio, svoltò, e io
tornai alla realtà, accantonando momentaneamente i miei maestosi
progetti.
Passammo davanti
allo scalone principale, superandolo, e mi chiesi perché Gourry
non fosse sceso, ma quando si fermò davanti ad una porta,
improvvisamente sgranai gli occhi.
Era davanti alla porta della mia stanza.
Delle voci
provenivano dall’interno, e fra le altre riconobbi quella di
Zelgadis. Gourry sembrava indeciso se bussare o meno, la mano sospesa a
mezz’aria; poi le sue dita si irrigidirono mentre le nocche
sbiancavano. Mi bastò lanciargli un’occhiata per capire
cose stesse attraversando i suoi pensieri in quel momento, e mi sentii
agghiacciare mentre anche i miei occhi si spostavano sullo stipite
scheggiato e sui cardini sgangherati.
Lontana, come
un’eco, mi arrivò la sua voce che invocava disperata il
mio nome, mentre io mi contorcevo in fin di vita al di là di
quella porta. Quella dannata porta.
Da cui l’avevo lasciato uscire, gridandogli di andarsene.
Da cui era uscito, senza che il nostro battibecco della sera prima fosse stato chiarito.
Quella porta che
io stessa avevo chiuso a chiave, proprio per impedirgli di tornare. E
che, in un modo o nell’altro, aveva segnato la mia condanna a
morte, perché se Gourry fosse arrivato a me solo qualche minuto
prima, forse…
La fissavamo entrambi, sgomenti.
Bussare sarebbe stato oltre modo ridicolo, soprattutto visto che era completamente scardinata.
Gourry stese le
dita, debolmente, e con il palmo aperto la spinse facendola cigolare;
io mi sporsi alle sue spalle, sbirciando con una punta di paura in
quella che era stata la mia personale stanza delle torture.
Non era
più buia e sinistra, come mi era apparsa l’ultima volta.
Ora le tende erano tirate, nascondendo le grandi vetrate, ma la luce
filtrava ugualmente, colorando di un triste grigio ogni cosa.
Le lenzuola erano
state raccolte da terra, dove ricordavo di averle trascinate quella
notte, e portate via, lasciando il letto vuoto e spoglio.
Un letto in cui,
ovviamente, non avrebbe più dormito nessuno: ecco ciò che
gridava quell’asettico e squallido ordine.
Sbirciai Gourry,
ancora fermo sulla soglia, e vi lessi la mia stessa impressione,
davanti al letto in cui ci eravamo amati solo una manciata di ore
prima. Mi sembrava passata un’eternità.
Davanti al mio
letto una cameriera stava discutendo con Zelgadis, ed entrambi si
bloccarono quando si resero conto della nostra presenza.
Cioè, della presenza di Gourry. Che cosa irritante.
La donna
lanciò un’occhiata timorosa allo spadaccino, guardando poi
Zelgadis per sapere come avrebbe dovuto comportarsi; la chimera, che
aveva a sua volta l’espressione distrutta di chi non ha chiuso
occhio tutta notte, annuì debolmente:
“Lasci qui, non si dia disturbo. Ha già fatto abbastanza.”
Fu solo in quel
momento che notai cosa la donna reggesse tra le braccia, ingombro di
cui si liberò posandolo su un angolo del letto. Deglutii, mentre
la cameriera, dopo una rapida riverenza verso i due uomini, e un
sussurrato ‘condoglianze’ rivolto a Gourry, mi
passava a fianco uscendo dalla stanza, e il silenzio calava tra di noi.
Zelgadis si
passò stancamente una mano tra i ferrosi capelli, mentre Gourry,
la cui espressione dura non l’aveva abbandonato un secondo, non
accennava un singolo movimento.
Io guardai
tristemente verso l’ordinata pila di tutti i miei effetti
personali, che quella gentile cameriera si era presa la briga di
piegare mentre ripuliva la stanza da ogni più piccola traccia
della mia presenza al suo interno. Sulla cima del mucchio, da cui
vedevo spuntare il mantello e gli spallacci, la mia bandana magica
giaceva arrotolata su se stessa, ormai inutile.
Tutto ciò che mi apparteneva, tutto ciò che mi era appartenuto, era destinato all’oblio.
O al monumentale museo su di me che i posteri avrebbero fatto allestire.
Sì, la
seconda ipotesi mi piaceva molto più della prima. Non volevo
deprimermi più di quanto già non fossi.
In quel momento, a spezzare il doloroso silenzio che ci avvolgeva, irruppe la voce di Gourry:
“Dov’è?” Chiese, duro.
Zel evitò il suo sguardo:
“Giù
al tempio.” Disse, in un sussurro “Amelia si sta occupando
di tutto…” Aggiunse, con voce triste.
Gourry fece un passo avanti:
“Perché
mi avete… Perché mi hai fatto questo?”
esclamò, il tono di voce basso e rabbioso, puntando un indice in
faccia a Zel. “Io volevo starle accanto, volevo stare con
lei!”
Zelgadis sollevò lo sguardo, mentre un’espressione più risoluta gli si dipingeva sul volto:
“Non eri in
te Gourry. Non volevi lasciarla… Cosa avrei dovuto fare?
Portartela via con la forza? Fa male, ne convengo, ma devi cercare di
essere ragionevole. Ormai era chiaro che…” Si
bloccò, turbato, io vidi Gourry rabbrividire e fremere.
“Non dovevi
farmi questo.” Recriminò, un’ultima, rassegnata
volta. Zelgadis rimase silenzioso alcuni secondi, poi si passò
nuovamente una mano sugli occhi:
“Io non
sapevo che altro fare per… Calmarti. Non potevo fare
nient’altro, capisci? Che tu sia rimasto incosciente
un’ora, due, tre… Che differenza può fare,
Gourry? Arrivati a questo punto, che differenza può fare?”
Soffriva anche lui, lo capivo, e questo mi addolorò.
Vidi Gourry
gettare con violenza la mano sull’elsa, in un gesto irrazionale.
Ma in una frazione di secondo il suo impulso si sgonfiò e la sua
espressione tornò neutra.
Zelgadis lo guardò, in un misto di durezza e compassione:
“Lo so che
soffri, più di tutti noi probabilmente. Ma non avere la pretesa
di essere il solo a provare dolore… Le volevamo tutti
bene.”
Notate l’imperfetto: ‘volevamo’. Odioso, vero?
Quell’affermazione
ebbe su Gourry l’effetto di una doccia ghiacciata. I suoi occhi
si chiusero, in una smorfia di sofferenza, per poi riaprirsi e cercare
Zel, velati di lacrime:
“Z-Zel…
Scusami…” Biascicò. Deglutì e le braccia gli
ricaddero penzoloni lungo i fianchi. Zelgadis gli posò una mano
sulla spalla.
“Non ti
scusare. È davvero dura…” Si schiarì la voce
“Ad ogni modo, ora che sei qui, mi sembra giusto metterti al
corrente di alcune cose che ho scoperto su quello che è successo
questa notte.”
Gourry sollevò immediatamente lo sguardo:
“Quali cose…?”
Zel annuì:
“Subito
dopo… Beh, lo sai, sono salito immediatamente e sono venuto qua,
e… Ho trovato i cocci della tazza da cui presumo Lina abbia
bevuto…”
Stava cercando di
usare più tatto possibile, lo capivo, ma come si poteva
pretendere che quelle parole non avessero l’effetto di una
manciata di sale su una ferita aperta e bruciante?
Gourry si irrigidì.
Zel
proseguì: “Sono riuscito a prelevare un po’ del
liquido che non era andato perso, ho fatto qualche analisi,
e…”
Guardò
Gourry, a lungo, forse per capire se era il caso di proseguire. Ma
davanti agli occhi ora implacabili dello spadaccino si rese conto che a
quel punto non avrebbe potuto tacergli più alcun che. Le
sue parole uscirono come un sussurro:
“Stricnina.
Ce n’era talmente tanta da ammazzare un cavallo. Lina pesava si e
no cinquanta chili… Non poteva farcela, Gourry. Mi
dispiace…”
…Mi dispiace…
Sapeste a me quanto dispiaceva.
Stricnina.
Un veleno da dilettanti, maledizione. Come avevo potuto non rendermene conto?
“Stricnina…”
la voce di Gourry tremò. I suoi occhi si appannarono
improvvisamente. Guardò oltre alla chimera. Guardò il mio
letto vuoto, i miei effetti personali dimenticati… E la rabbia
gli esplose dentro. Con una falcata superò Zelgadis, il cui
sguardo saettò impaurito verso la sua mano stretta
compulsivamente contro all’elsa, ma Gourry lasciò entrambi
sgomenti, estraendo la spada e lanciandola lontana, quasi fosse stata
infuocata, mentre le ginocchia gli cedevano e lui cadeva a terra,
davanti al mio letto, afferrando i miei vestiti e stringendoli nei
pugni chiusi.
“Ho
rovinato tutto. Tutto” urlò, mentre la sua guancia si
posava sul mio mantello. I suoi occhi erano asciutti e iniettati di
sangue. “Io dovevo proteggerla. Dovevo proteggerla…
l’hai sentita, Zel? Hai sentito cosa diceva? Non lasciarmi
andare, tienimi… tienimi…” Gourry affondò il
volto tra i miei vestiti. “Non sono stato in grado di
difenderla.”
“Gourry,
non addossarti colpe che non hai. Hai fatto di tutto per
salvarla…Questo è qualcosa che ci colpisce tutti, che va
oltre alla nostra comprensione…” Tentò Zelgadis.
Gourry non si voltò:
“Tu non capisci”
La sua sofferenza
era come stridere di unghie su un vetro. Volevo smettere di ascoltare,
tapparmi le orecchie e scuotere la testa, ma tutto era vano: sentivo
ogni parola, contro qualunque volontà.
Zelgadis si incupì:
“Qualcuno ha ucciso Lina e tu l’amavi, cos’è che devo capire?”
Gourry sussultò. Lentamente si voltò, sollevandosi, e il mio mantello cadde ai suoi piedi in uno sbuffo:
“Si, l’amavo. Ma non è questo che non capisci! Sono… Sono io che l’ho uccisa.”
Zel scosse la testa:
“Non dire demenzialità, so chi…”
“Sono io che le ho detto di bere quella camomilla. L’ho avvelenata io.”
Zel lo guardò senza capire:
“Tu… Le hai detto di bere la camomilla?”
Gourry rimase immobile, tremando; lentamente annuì:
“Stavamo
litigando, e… volevo ferirla, farle capire che stava esagerando.
Che si agitava per nulla.” Si portò una mano alla fronte e
singhiozzò, senza lacrime:
“Io non la
facevo parlare, non la facevo spiegare… Me ne sono andato e
prima di uscire le ho detto che le avrei fatto portare una camomilla,
per farla calmare…”
Se mi avessero trafitto con una spada, probabilmente mi avrebbero fatto meno male.
Zel sembrò
rifletterci sopra, cercando ignorare quello che lo spadaccino gli aveva
appena rivelato, ovvero quanto era stato brusco e drammatico il nostro
ultimo incontro:
“Però… non sei tu che glie l’hai fatta portare, giusto?”
Gourry rimase impassibile:
“E che differenza fa…?”
Zel si batté il pugno sul palmo:
“Ne fa
eccome di differenza, Gourry! Io non ti ho ancora detto la parte
più importante. Dopo aver analizzato la camomilla, mi è
sembrato subito strano che Lina se la fosse bevuta così, senza
problemi, a grandi sorsate… Sai, la stricnina ha un sapore molto
amaro, ed è impossibile non rendersene conto…”
Mi feci vigile,
ricordando perfettamente di aver trovato dolce e perfettamente normale
il sapore di quella infausta bevanda. Dov’era il trucchetto che
mi aveva fregata?
“Allora ho
fatto un’analisi aggiuntiva al campione che avevo
prelevato” Proseguì Zelgadis “ E ne ho capito la
causa: polvere di Em. È una sostanza particolare, che si ricava
da una pianta abbastanza rara, e serve a dare un gusto apprezzabile a
intrugli e pozioni. O a coprire i veleni. Ma, e qui viene la parte
interessante: è proibita. Qui a Sailunne come minimo. In quanto
inibitore, viene considerata parte della magia oscura, e questo mi fa
dedurre che sia praticamente impossibile procurarsela nel raggio di
parecchi chilometri. Solo io ne possiedo… Anzi, ne possedevo una
piccola scorta per la mia ricerca.” Zel si fermò e
sospirò “Chiunque abbia ucciso Lina, prima si è
preoccupato di attingere alle mie scorte. E quindi, chi mai poteva
essere al corrente di questo particolare? Del fatto che io possedessi
la polvere di Em?”
Gourry
lanciò su di lui uno sguardo smarrito. Sembrava assorto in
tutt’altri pensieri ed ero quasi convinta che non gli importasse
poi molto sapere chi fosse realmente il mio assassino visto che era a
se stesso per primo che attribuiva la mia morte.
Zel non si fece scoraggiare dal disinteresse di Gourry:
“Subito
dopo aver appreso questo particolare, ho fatto convocare tutta la
servitù addetta alle cucine, e sono riuscito ad individuare la
cameriera che le ha portato la tazza…”
Sbattei le
palpebre, ricordando quel volto pallido e smunto. L’ultima
persona che mi aveva visto viva e vegeta, prima che di me non rimanesse
che un mucchietto di dolore e spasmi.
Zel si avvicinò a Gourry, posandogli una mano sul braccio; Gourry non vi fece nemmeno caso:
“Io
l’ho interrogata, su chi le avesse detto di mandare a Lina la
camomilla e lei mi ha detto… Di aver trovato un biglietto con
l’ordinazione.” Zel si fermò, e tirò fuori
dalla tasca un foglietto accuratamente piegato. Quando lo aprì,
tuttavia, mi scappò un gemito.
Con minuta a precisa calligrafia sulla carta spessa c’era scritto:
‘Una camomilla bollente per la signorina Lina Inverse, al terzo piano’
Eppure, a
lasciarmi sgomenta, non erano quelle insignificanti parole… Ma
il modo in cui erano scritte. La stessa precisa grafia del biglietto
che inizialmente mi aveva tratto in inganno:
‘Perdonami
Perdonami…
Col cavolo che ti perdono, stronzo!
Zel, dopo aver mostrato il biglietto allo spadaccino proseguì:
“E sai chi era l’altra unica persona presente in quel momento, nelle cucine? La duchessa Anouk.”
Io sgranai gli occhi. Anouk? Nelle cucine, a quell’ora? Cosa ci faceva?
“Da quando
le duchesse sono arrivate a Sailunne” Proseguì Zel
“La servitù si è presa molto a cuore quella
bambina. Così ogni sera, per farle compagnia, le preparano latte
e cioccolato e la tengono lì per farla divertire… La
madre del resto le è così indifferente da non rendersene
nemmeno conto.”
La matrigna, lo corressi io mentalmente.
Zel a quel punto si fermò, guardando Gourry, il quale, dopo alcuni istanti sollevò il volto verso il suo:
“Non capisco dove vuoi arrivare…”
Zel sospirò:
“La bambina
è coinvolta, Gourry. Come ti spieghi, altrimenti, che si
trovasse nelle cucine quando è arrivato il biglietto? L’ha
scritto lei, ne sono quasi certo, e ha anche versato il veleno nella
tazza.”
Io spalancai la
bocca. Zel si era forse bevuto il cervello? Capivo il dolore, capivo lo
stress… ma forse il mio amico si era letto troppi romanzi
gialli. Come si poteva accusare una bambina, muta per di più, di
un simile efferato omicidio?
Gourry lo guardò storto:
“Zel, questo non prova proprio niente…”
“Sì
invece, se si considera… Che la duchessina era anche la sola a
sapere delle mie scorte di polvere di Em.”
“Ma come…”
“Ieri
mattina. Ero giù alla serra, con Lina ed Amelia. Lei è
entrata a curiosare. Io avevo tutti i gli strumenti con cui lavoro in
bella vista, chi le impediva di buttare un occhio?”
Gourry soppesò quelle parole:
“Zel… ha nove anni…”
La chimera lo fissò, torva:
“C’è
un'altra cosa, Gourry.” Attese qualche secondo, prima di
mormorare “Questa notte, Anouk è scomparsa.”
“Scomparsa…?” Chiese Gourry, leggermente rianimato.
Zel si strinse nelle spalle:
“Quando
Amelia è salita da Phil per informarlo di quanto era accaduto
l’ha trovato già in fermento, la stanza delle duchesse
sottosopra e la duchessina scomparsa. La…La versione ufficiale
è che ‘un gruppo di uomini in nero’, come ha
rivelato sconvolta la duchessa, si siano introdotti furtivamente,
portandola via come ostaggio. Le guardie giù ai portali paiono
confermare che questa notte dei cavalieri mascherati si sono
effettivamente introdotti a palazzo con la forza, e con la magia.”
Io indietreggiai. Anouk coinvolta nel mio assassinio e poi rapita? Mi sembrava tutto cos’ assurdo…
“E tu credi…?” Anche Gourry sembrava avere delle difficoltà ad accettare quella versione.
Zel annuì:
“Credo che
ci sia qualcuno dietro a tutta questa storia, e che la bambina non
fosse altro che un mero pretesto per non esporsi in prima
persona… Chi ha ucciso Lina sta giocando una partita sporca, e
non ho la più pallida idea di dove voglia andare a parare. Ma lo
scoprirò, stanne certo, e spero che tu voglia darmi una
mano.”
Gourry scosse la testa.
“Una
mano…” Ripeté, assente “Zel, io non posso
dare una mano a nessuno, non sono capace di dare una mano a
nessuno…Tutto quello che voglio, è chiudere gli occhi e
riaprirli trovandomi lei davanti.”
Zel sospirò:
“Lo so che
è presto, che il dolore è ancora troppo forte e reale per
provare qualcos’altro… Ma Lina è morta assassinata.
Merita giustizia, e io ho intenzione di andare fino in fondo a questa
storia. Se sei con me, sai dove trovarmi…” Esclamò.
Uh, che anche Zel
fosse stato fagocitato dai grandi ideali di giustizia della
principessa? Non che io non ritenessi di dovergliela far pagare a chi
non solo mi aveva fregata con tanta maestria, ma si era anche servito
di una bambina per i suoi scopi malvagi, ma… Più che la
vendetta, nell’immediato, mi interessava trovare un modo per
tornare nel mio corpo.
Vidi che Zel si avviava verso la porta, quando la voce di Gourry lo richiamò:
“Zel…”
“Sì?”
“Era
spaventata. Mi ha implorato di non lasciarla andare e io… non
sono riuscito a tenerla. Non ci sono riuscito.”
“Gourry…”
Disse piano la chimera, vedendo il dolore che si era dipinto negli
occhi dello spadaccino. Forse avrebbe voluto aggiungere che avevamo
già affrontato una situazione simile, quando Lon si era
impossessata del mio corpo, trascinandomi nel mare del Caos. Nemmeno
allora Gourry si era arreso. Mi aveva seguito gridando il mio nome e
aveva ceduto la Spada di Luce, l’unica cosa preziosa che
possedeva, l’unico ricordo della sua famiglia, per me. Avrebbe
sacrificato anche la vita, se fosse stato necessario. Quella volta era
riuscito a riportarmi indietro. Ma non si può sfidare la sorte
troppo a lungo. Le seconde occasioni sono così rare…
“Voglio restare solo.”
“Bene, sai dove trovarmi.”
Dopo alcuni secondi Zel uscì dalla stanza e ci lasciò soli, immobili.
“Lina…” Sussurrò.
“…Sono qui.” Mormorai, stendendo una mano verso di lui senza riuscire a toccarlo.
Gourry si
allontanò, tornando verso il letto mentre i suoi occhi si
posavano ancora sui miei averi. Allungò una mano e sfiorò
la mia tunica. Un lieve suono metallico lo fece sobbalzare, mentre si
rendeva conto che uno dei miei orecchini era scivolato a terra,
rotolando sul pavimento. Istintivamente mi portai la mano
all’orecchio, ed eccolo lì, l’orecchino. Tutto
ciò che avevo in quel momento davanti agli occhi, ce
l’avevo anche addosso, come se la morte avesse scelto per me
l’abbigliamento che mi era più consono, come ultima
gentilezza per avermi strappato alla vita in ben altre misere vesti.
Gourry si
piegò e recuperò l’orecchino, stringendolo nel
palmo. Poi si girò verso la specchiera, per appoggiarlo sul
ripiano.
Fu allora che la vide.
La vidi anch’io, e penso che i nostri cuori ebbero insieme il sussulto che li fece traballare.
Quella piccola scatola di velluto rosso, triste e abbandonata. Simbolo di sogni infranti e destini spezzati.
La scatola che
conteneva tutto il nostro futuro strappato, su cui la polvere sarebbe
caduta fino a ricoprirla, senza che nessuno venisse più a
reclamare quella mancata occasione di felicità.
Il male che mi
fece, guardarla, fu come il male che si può provare sbirciando
la gioiosa intimità di una stanza calda e accogliente da una
strada cupa e sinistra, in cui il ghiaccio ricopriva ogni cosa.
Gourry
allungò mollemente una mano, poi la ritrasse, e aspettò.
Aveva paura anche solo di sfiorare ciò che la sera prima aveva
tenuto tra le mani trepidante, con il cuore in tumulto. Ciò che
ora sapeva solo di lacrime amare e morte, rimpianto e senso di colpa.
Distolse la sua
attenzione dall’anello per posarla sulla spazzola d’argento
che la sera prima avevo brandito come un’arma. Giaceva ancora sul
ripiano della specchiera, lì dove l’avevo lasciata,
nell’immobilità di un tempo che per me si era crudelmente
fermato.
“Lina…”
Sussurrò di nuovo, come una supplica. E io non potei fare a meno
di sentire una stretta nello stomaco: sapevo che quelli che stava
rivivendo, in quell’istante, erano i miei ultimi attimi di vita
insieme a lui.
Io che mi spazzolavo i capelli, lui che indugiava alle mie spalle e infine si decideva a fare la proposta.
Era stato tutto
perfetto… Fino a quando la paura non mi aveva assalito, ed era
lì che avevo messo un piede in fallo.
Ma diavolo, come poteva pensare che fosse colpa sua?
La triste
verità, era che avevo fatto tutto da sola. Mi ero spaventata e
riavuta, indignata e tranquillizzata. E infine avevo mandato giù
tutto con quel sorso di fatale camomilla. Ecco.
Gourry
lanciò una breve occhiata al suo riflesso nei tre specchi che
gli stavano dinnanzi, e io sperai che non volesse portare gli anni
della sua sfiga a ventotto, ma il suo sguardo, questa volta, mi
sembrò solo enormemente stanco. Come se anche combattere
contro se stesso fosse diventato troppo sfibrante. O inutile.
Si staccò
dalla specchiera e ripercorse la stanza fin dove giaceva la sua spada,
raccogliendola mestamente, ma con mia grande sorpresa, invece di
rinfoderarla, si avviò cupamente verso la finestra, tirando
violentemente la tenda, mentre una tenue luce grigiastra faceva
capolino dai vetri umidi di pioggia.
Non potevo vedere
i suoi occhi, ma immaginavo dove stessero guardando: il tempio dei
sacerdoti di Sailunne era proprio lì sotto.
Ecco dov’ero. Dove mi aveva lasciata.
Vidi la sua mano
fremere sull’impugnatura, la sua schiena irrigidirsi… E lo
immaginai perso nel ricordo della mia mano artigliata alla sua tunica,
delle mie labbra coperte di sangue che farfugliavano parole di supplica.
Non lasciarmi, tienimi. Tienimi…
Poi, fu un attimo.
Un gesto talmente inaspettato, talmente rapido, che nemmeno i miei occhi ebbero il tempo di registrarlo.
Mi resi conto di
quello che era accaduto solo quando vidi la sua mano destra, la spada
vibrante tra le dita, fermarsi dallo scatto con cui aveva appena agito.
Veloce, deciso, netto. Le sue stesse doti, spietate, dirette contro se stesso.
Un groppo mi si
fermò in gola, e i miei occhi si abbassarono meccanicamente al
pavimento ai piedi dello spadaccino dove, come una nuvola dorata,
giacevano recisi i suoi lunghi capelli biondi.
Tornai a guardare
verso di lui, verso alle ciocche scomposte che ora gli sfioravano a
malapena il collo, e una fitta di incomprensibile dolore mi
attraversò da capo a piedi.
Oh, Gourry.
Potevo solo
vagamente intuire perché l’avesse fatto: tutto era
cambiato. Tutto stava scivolando via, lontano, in un posto da cui non
avrebbe più fatto ritorno.
Le mie grida, i
miei sorrisi, il mio dargli il tormento facendogli trecce e treccine
per ingannare le attese quando mi annoiavo. La mia prepotenza quando lo
afferravo per la bionda capigliatura intimandogli di ascoltarmi. La mia
timidezza, quando arrossendo, ma con indifferenza, glie li portavo
dietro alle orecchie con un rapido gesto della mano. La mia dolcezza,
quando glie li avevo accarezzati a lungo, mentre facevamo l’amore.
Tutto finito. Tutto perduto.
Quel tempo, il tempo scanzonato e temerario, dolce e affettuoso che avevamo trascorso insieme era terminato, forse per sempre.
Gourry si voltò, lo sguardo sconfitto, e io stentai quasi a riconoscerlo. E non solo per i capelli corti.
Sembrava finito
anche lui, in qualche modo… Come se la mia scomparsa lo stesse a
sua volta portando via, ma pezzo per pezzo. La lucentezza dello
sguardo, la dolcezza del sorriso, la fierezza della postura. Non erano
ormai che un pallido ricordo.
Era annientato, e
io mi sentivo morire altre cento volte ad ogni passò che
percorreva in quella gelida stanza, ricurvo su se stesso.
Raggiunse il letto, e vi si sedette stancamente. La spada gli penzolava dalla mano destra, come un peso superfluo.
Io mi inginocchiai davanti a lui, cercando di leggervi un qualsiasi segnale di ripresa nello sguardo. Ma vedevo solo vuoto.
Poi, un tenue sorriso gli illuminò per un secondo il volto:
“Ti arrabbierai per i capelli” sussurrò.
“Puoi
scommetterci. Ma se ti risvegli da questo stato catatonico nel giro di
due secondi, la tua punizione sarà ragionevole.”
Gourry si passò la mano sulla fronte, poi estrasse dalla tasca la piccola scatola di velluto rosso.
Non mi ero nemmeno resa conto che l’avesse presa dal ripiano della specchiera.
Gourry la
osservò, poi la fece scattare, mettendone in mostra il
contenuto. Restammo entrambi a fissarlo con sentimenti, suppongo,
diametralmente opposti: io con desiderio, lui con repulsione.
“Non avrei
mai dovuto chiedertelo. Sono rimasto ad aspettarti per anni, e poi,
come uno stupido, mi sono fatto prendere dalla smania, dalla fretta di
averti...” sussurrò.
“Gourry…”
Come poteva pensare che fosse stata una cosa sbagliata chiedermi di sposarlo?
Va bene, non
ditelo. Bastava la mia semplice reazione a creare il dubbio che fosse
stata una pessima idea, lo so. Ma io volevo davvero sposarlo,
maledizione.
“Non potrai mai perdonarmi, vero?”
“Stupido
imbecille! Se vuoi davvero che trovi una scusa per non perdonarti
continuare a piangersi addosso mi sembra un ottimo sistema!” Lo
rimbeccai.
Gourry richiuse
la piccola scatola e la appoggiò sulla pila delle mie cose, poi
notò che il mio mantello era ancora a terra, e lo raccolse.
In quel momento, qualcosa uscì da una delle mie numerose tasche magiche, e cadde a terra.
Gourry non se ne accorse nemmeno, ma io sì, e i miei occhi si sgranarono.
Dei, come avevo fatto a dimenticarmene?
Mi avvicinai e, nonostante non potessi interagire in alcun modo con l’oggetto, rimasi a fissarlo inebetita.
La missiva che mi aveva spinto a Solaria. La stessa che avevo poi trovato in mano a Joy, con il sigillo in ceralacca.
La scrittura, mi era in quel momento estremamente familiare.
‘Perdonami’
‘Una camomilla per la signorina Lina Inverse’
Dannazione.
Era stata una trappola fin dall’inizio. Una missione ‘fantasma’. Una stupida scusa per liberarsi di me.
Ripensai
velocemente a Xellos. Quanto centrava in tutta quella storia? Era stato
solo un modo subdolo per far fare ad altri qualcosa che i suoi
superiori desideravano fare da tempo?
E Joy? Cosa centrava Joy?
Poi, in un secondo realizzai.
Ma certo…
Come avevo fatto ad essere tanto stupida? La missiva uguale alla
mia era una scusa. Era lui che si era preso la briga di accollarsi
l’ingaggio di farmi fuori solo perché gli era giunta voce
che il mio compagno di viaggio fosse qualcuno che lui desiderava
ardentemente da anni di rincontrare.
La scusa di una
missione identica. La catena di strani incidenti… Ripensai alla
torre che era esplosa e al ghiaccio che si era frantumato, e in quel
momento i miei occhi misero a fuoco un altro viso: Nayden. Era lui il
suo complice.
Altro che ‘viaggio con mio fratello solo per controllarlo’!
Quanto ci avrebbero guadagnato quei due da quell’incarico che i più avevano considerato impossibile?
Sentii un cupo ringhio invadermi la bocca dello stomaco.
Potevo
chiaramente vedere Joy che si allontanava da Sailunne per non attirare
sospetti e Nayden che rimaneva a controllare che l’ultimo attacco
andasse a buon fine.
Poi ripensai a
alla sua rabbia quando mi aveva vista riversa al suolo senza vita. Era
vivida e reale… Beh, per quanto ne sapevo, quel tizio poteva
anche avere doti di grande attore.
E Zel aveva
decisamente preso un abbaglio. Non era Anouk la responsabile. E la sua
sparizione, molto probabilmente, era semplicemente collegata ai timori
che Rebecca aveva espresso da subito sulla sorte della sua
famiglia. Una vicenda reale che era servita da copertura a Joy e Nayden
per attirarmi, eliminarmi, intascarsi i soldi e sparire in modo pulito.
Quanto ci avrebbe messo Joy a ricomparire e portarsi via Gourry?
I miei occhi si
posarono sullo spadaccino e avvertii una fitta di angoscia, mentre
rivivevo quel sogno allucinante che avevo fatto la notte prima: Gourry
che spariva in un cielo nero, rischiarato da due roventi globi
arancioni.
Era così
quindi? Se ne sarebbe andato via? E di me… Che ne sarebbe stato?
Sarei rimasta a Sailunne, a infestare il palazzo? O ero libera di
esercitare la mia nuova professione di fantasma in qualunque posto?
Un’ondata
di ansia mi invase e provai a risalire in superficie. Quanto tempo
sarebbe durata quella mia condizione di sospensione? E soprattutto,
c’era qualcosa, qualunque cosa che avrei potuto fare per tornare
nel mio corpo? Per tornare… a vivere?
Ero talmente
concentrata su quei pensieri che mi resi conto solo vagamente del
riflesso di luce che mi attraversò quando Gourry sollevò
la spada. Gli lanciai un’occhiata confusa e vidi il suo sguardo
vacuo, rassegnato, da uomo finito.
“Lina,
questo ti manderà fuori dai gangheri, lo so…”
Sospirò “Ma adesso, guardami, cosa vedi? Niente. Non
sono più niente senza di te… Non posso andare avanti
così. Non mi importa nemmeno darti vendetta. So che qualcuno lo
farà al posto mio, e glie ne sono grato, ma io non ne ho la
forza, ti chiedo scusa. Mi darai del vigliacco, ti arrabbierai, mi
griderai addosso… Sono pronto a tutto quel che hai in serbo per
me, ma non biasimarmi. Non posso vivere un secondo di più
pensando di averti persa, ne morirei comunque. Non posso starti lontano
Lina. Da solo non ce la faccio…”
Con orrore vidi la lama che gli premeva leggermente sulla pelle del braccio.
No, no, no… Non poteva anche solo credere di fare qualcosa del genere!
Poi la lama argentata scese, lentamente, e i miei occhi si sgranarono.
No! Maledizione! No, no, no…
Qualunque
decisione avesse preso mentre io venivo illuminata sulla chiarezza
degli avvenimenti, era meglio che la accantonasse se non voleva
ritrovarsi due occhi neri nell’aldilà.
Si passò
lentamente la lama, di piatto, sulla pelle tesa e sottile del polso,
come a volerne assaporare il peso prima del gesto estremo. Potevo quasi
immaginare il freddo metallo contro alle sue vene tiepide e
pulsanti…
“GOURRY!”
Gli gridai in un orecchio, talmente forte da rimanerne rintronata io
stessa. Ovviamente lui non sentì nulla.
“Stupido zuccone metti giù quella dannata spada!” riprovai, mettendoci più impegno.
Il fatto che lui
si aspettasse la mia rabbia era riduttivo: ero totalmente fuori di me.
Se avessi potuto togliergli di mano quella maledetta spada e
spaccargliela sulla testa forse mi sarei sentita meno frustrata.
Invece non potevo fare niente. Niente.
Solo guardare
impotente, mentre la persona che mi era più cara al mondo
considerava l’idea di togliersi la vita. Quella preziosa vita che
io stessa avevo perso, ma che avrei scambiato con qualunque cosa mi
avrebbero proposto per poterla di nuovo assaporare. Gourry non poteva
permettersi di buttarla via così.
Ma più lo guardavo, più la realtà assumeva spessore: si era arreso.
Non avrebbe
più combattuto. E non l’avrebbe fatto per il semplice
motivo che tutto il suo futuro, il futuro che aveva sempre scorso
davanti a sé, si era improvvisamente oscurato, lasciandolo al
buio.
E sforzarsi di
vedervi comunque qualcosa, anche un solo piccolo bagliore, non aveva
alcun senso per lui. Non poteva sperare più in niente
perché non desiderava più niente. Sarebbe impazzito, o
sarebbe morto. Era questo che aveva deciso, glielo leggevo nello
sguardo.
“Gourry…”
Sussurrai, con voce rotta, cercando di posare le mani sulle sue
ginocchia e di sporgermi verso il suo volto “Ti prego, non
farlo… Ci sono ancora così tante cose che puoi
fare…” deglutii “Anche senza di me.”
Per forza. Da
quel momento non potevo più avere la presunzione che lui fosse
mio, che noi fossimo una squadra, una… coppia.
Eppure continuavo a crederci, nonostante tutto.
Il sogno di una
vita al suo fianco non mi aveva ancora abbandonato. Come non mi aveva
abbandonato la speranza di riuscire a sistemare le cose. Era quella
forza che avrei voluto infondere a Gourry. La forza di credere che una
soluzione poteva ancora saltare fuori, come tante altre volte ci era
già successo in momenti disperati.
Ma come facevo a dirglielo?
Gourry chiuse gli occhi, e io venni attraversata da un fremito.
Non poteva farlo.
Non doveva farlo. Tutto il mio essere gli stava gridando di gettare a
terra quella spada, mentre un ronzio insopportabile mi annebbiava ogni
senso. Come diavolo ci si poteva sentire tanto impotenti?
Poi, nel
silenzio, davanti alla mia incredulità, la lama sfiorò
dolcemente il suo polso sinistro, come una carezza. Una carezza gelida
e crudele, da cui sgorgò immediatamente un fiotto di sangue
scuro.
“No!” Gridai, mentre lo spadaccino compieva la stessa macabra danza anche sull’altro polso.
“No,
no!” Singhiozzai disperata, mentre il suo sangue sprizzava e
colava tra le mie mani, raccogliendosi sul pavimento in una pozza densa
e liquida.
Gourry
sospirò, quasi appagato e posò entrambi i polsi recisi
sulle ginocchia, la testa penzoloni sul mento. Sembrava calmo, sereno,
in attesa del sollievo che sperava di trovare presto.
Aspettava.
Io scattai in piedi, cercai di correre verso la porta, poi verso la finestra…
Dovevo chiamare aiuto, dovevo trovare qualcuno!
Cosa potevo fare? Qualcosa doveva esserci!
Alla fine mi
accasciai sul pavimento, schiacciata dalla consapevolezza della mia
totale inutilità. Farfugliando il suo nome strisciai verso di
lui, passando indenne tra la pozza scarlatta che si andava
allargando pian piano.
Vedevo le sue guance farsi sempre più pallide, esangui. I suoi occhi annebbiarsi progressivamente.
Presto avrebbe perso i sensi. Era così che la morte l’avrebbe trovato: addormentato.
Appoggiai la
testa alle sue ginocchia e pregai tutti gli Dei di cui ricordavo il
nome di non portarselo via. Non seppi nemmeno quello che provai.
Delirio, forse.
Probabilmente lo stesso tipo di dolore che Gourry aveva provato la sera prima davanti alla mia agonia.
Era come uno
strappo lacerante all’altezza del cuore. Come il vano tentativo
di respirare da una fessura troppo piccola per succhiare un po’
di aria.Volevo solo che vivesse. Non mi importava di nient’altro.
“Dici di
amarmi…” Gli gridai “Se è così vivi.
Vivi, maledizione! Fallo per me…”
Il mio volto si
posò sulla sua mano, a un soffio dalla ferita aperta, e Gourry
sollevò mestamente la testa, guardando confusamente attorno a
sé.
Poi un rumore mi fece sobbalzare, e la speranza tornò a pervadermi: qualcuno stava aprendo la porta.
“Gourry, prima mi sono scordato di dirti…” disse Zel, entrando con un fascio di fogli in mano.
Io ringraziai gli dei. A quanto pareva, per il momento bastavo io nelle schiere celesti.
Quello che accadde dopo fu tutto molto concitato e confuso.
Lo ricordavo solo
vagamente, e non vedevo l’ora di dimenticarmene. Sdraiata sul
letto al fianco di Gourry, mi preoccupavo solo di rimanere concentrata
sul suo respiro, che gli faceva debolmente alzare e abbassare il petto.
I suoi occhi
erano fissi sul soffitto, le sopracciglia leggermente corrugate. Le sue
braccia erano stese mollemente lungo i fianchi, e una spessa
fasciatura gli ricopriva entrambi i polsi, rendendo più che
palese il suo tentato e scampato (per un pelo, aggiungerei) suicidio.
Mi aveva fatto veramente morire di paura.
Ovviamente tralasciando il fatto che morta lo ero già.
La punta delle
mie dita scorse leggermente le sue guance pallide, e tentò
invano di scostargli una ciocca scomposta dal volto.
Mi ci dovevo ancora abituare, ai suoi capelli corti.
Gourry sospirò:
“Va bene,
hai vinto. Vivrò solo perché credo sia ciò che
vuoi, non perché me ne importi qualcosa.” Borbottò,
irritato.
Io gli sorrisi:
“Grazie, è molto gentile da parte tua…”
Insomma, non ne bastava uno di spirito in quella stanza per il momento?
Averla avuta
vinta sulla morte, almeno quella volta, mi dava un incredibile senso di
rivincita. Non che questo cambiasse le cose, no. Ma Gourry era vivo.
Vivo. Quella consapevolezza, in quel momento, era sufficiente ad
alimentare la mia gioia e riaccendere una piccola speranza nel futuro.
Gourry aveva
sentito le mie parole. E anche se non realmente, ma solo dentro di
sé… Sapeva ciò che più desideravo,
l’aveva intuito e aveva quindi deciso di abbandonare i suoi
deliranti progetti per lasciarsi andare alla mia volontà: doveva
vivere. Doveva farlo per me.
“Continui a dettare legge, da… Ovunque tu sia…” Mormorò. Io sospirai:
“La morte è una pura formalità, Gourry, perché io sono ancora qua.”
Gourry si mosse e
si girò su un fianco; ora i suoi occhi erano davanti ai miei, e
mi avrebbero potuto guardare… Se non fossi stata aria per lui.
Allungai una mano e glie la posai sulla guancia, guardandolo con un
misto di preoccupazione e serietà.
Lo amavo adesso più che mai, amavo tutto di lui, proprio tutto.
Che stupida.
Essere morta mi
rendeva terribilmente sdolcinata… Non erano aspetti edificanti
per qualcuno che si accingeva a diventare un macabro spirito da
castello diroccato.
Lo vidi chiudere
lentamente gli occhi, rassegnato, e rimasi a guardarlo. Sapevo che non
avrebbe dormito. Sapevo che avrebbe continuato a macerare dentro di
sé sentimenti ostili e deliranti.
Eppure, molto egoisticamente, mi bastava solo che fosse ancora lì, vivo.
In fondo ero a conoscenza del fatto che prima o poi gli sarebbe passata.
Tutto passa, così si dice, no?
Qualche ora
più tardi sentii un certo brusio provenire dal cortile. Guardai
nuovamente verso Gourry, che era caduto in uno stato di agitato
dormiveglia, vittima della stanchezza e del contraccolpo al suo gesto
avventato, e mi sollevai dal suo fianco per precipitarmi alla finestra.
La pioggia aveva
smesso di cadere, e una leggera cortina di vapore offuscava i vetri
umidi. Provai a spannarli e mi diedi immediatamente della cretina
quando la mia mano passò sulla vetrata senza lasciare segni.
Ok, era irritante. Molto irritante.
Se almeno avessi
potuto interagire con l’ambiente circostante, pensai, sicuramente
qualcuno avrebbe trovato una gigantesca scritta tracciata su
quell’umido vetro: SONO ANCORA QUA, MALEDIZIONE!
Ad ogni modo
trovai un piccolo buco in cui non si era creata condensa e lanciai
un’occhiata al cortile, guardando seccata: due uomini a cavallo
avevano appena fatto il loro ingresso dai portali del palazzo e ,
nonostante i mantelli col cappuccio, avrei detto che la loro figura mi
era stranamente familiare.
Sentii una strana
rabbia ribollirmi dentro: davanti agli occhi avevo la conferma delle
mie supposizioni. Digrignai i denti, mentre uno dei due uomini si
scrollava la pioggia di dosso e scendeva da cavallo, consegnando le
briglie ad un garzone.
Joy ci aveva messo meno tempo del previsto a tornare per riprendersi Gourry.
Mi precipitai verso la porta, animata da un’incontenibile furia e… Ci sbattei il naso contro.
D’accordo,
cosa c’era che non andava in me? I fantasmi non potevano
attraversare muri e porte? Non era forse questa la loro prerogativa?
Volevo un rimborso, maledizione! Dove si poteva trovare il dannato
ufficio reclami?!
Provai a tirare calci e pugni alla porta, mi sgolai, inutilmente. Ero in gabbia.
In quel momento mi giunse un sospiro. Gourry si stava sollevando dal materasso, passandosi stancamente la mano sul volto.
Aveva gli occhi
lucidi, notai. Eppure, dopo la notte al tempio, non gli avevo ancora
visto versare una lacrima. Non che desiderassi ardentemente assistere a
pianti disperati e urla furibonde, intendiamoci. Ma avrei preferito di
gran lunga che si sfogasse in qualche modo. Qualunque modo, pur di non
tenersi tutto dentro, per arrivare poi ai pessimi risultati a cui avevo
assistito qualche ora prima.
Gourry si mise a
sedere sul bordo del letto e i suoi occhi scesero debolmente sulla
onnipresente scatola di velluto rosso, appoggiata sul comodino.
Zel aveva avuto
una pessima idea a posargliela accanto, dopo che Gourry, che si era
inizialmente rifiutato di farsi curare i polsi da un recovery, aveva
urlato che se non fosse stato per la sua stupida e presuntuosa idea io
in quel momento sarei stata ancora viva e vegeta. Alla chimera non
c’era voluta una scienza per comprendere cosa la scatola
contenesse e quali agghiaccianti implicazioni ci fossero dietro alla
mia morte: ero passata a miglior vita proprio quando il rapporto tra me
e Gourry, dopo anni di dubbi e incertezze, aveva finalmente ingranato
la marcia giusta.
Beffe del destino, già.
Gourry
sfiorò la superficie color porpora. Io mi feci vigile: sapere
che gli avevano tolto qualsiasi ipotetica arma contundente non stava
contribuendo a dipanare quel sottile filo di ansia che si annidava
dentro di me. Ma dovetti ammettere che una cosa, in effetti, bastava a
calmarmi notevolmente: quando Gourry prometteva, prometteva. E quel che
mi aveva assicurato (a me o alla mia memoria, in quel momento non
faceva molta differenza) era che si sarebbe tenuto lontano dai guai.
Così gli
fui molto grata quando lo vidi sollevarsi e infilarsi la scatola in
tasca, prima di venire gentilmente ad aprirmi.
Ok, ad aprire a se stesso, va bene. Come siete pignoli.
Sta di fatto che,
non appena nella porta si fu aperto uno spiraglio sufficiente,
sgattaiolai fuori, con un unico obbiettivo nella testa: correre
‘festosamente’ incontro a Joy. Nel senso che la festa
sarebbe stata la sua.
Mi fiondai a
rotta di collo per il corridoio e scesi a due a due i gradini dello
scalone principale. Dovevo ammettere che c’era un vantaggio nel
non avere più aria nei polmoni: niente fiatone!
Quando arrivai
all’ingresso, per poco non rischiai di travolgere un cavaliere di
cui riuscii solo a vedere la schiena e i lunghi capelli neri legati in
una coda prima di arrestarmi sui talloni. Non l’avrei travolto in
ogni caso, intendiamoci… Eppure quando mi resi conto di chi
fosse desiderai ardentemente poter avere sotto mano una mazza chiodata.
Nayden era fermo davanti al portone di ingresso. Tenero, vero? Aspettava il suo caro fratellino prima di darsela a gambe.
I miei occhi
dardeggiarono e lo aggirai ponendomi proprio davanti al suo naso.
Eppure, quando lo feci, per un breve istante tutte le mie certezze
vennero meno: Nayden aveva un’espressione di indefinibile
stanchezza dipinta sul volto, mentre le occhiaie violacee indicavano
che aveva passato la notte non nel più piacevole dei modi. Le
sue mani erano strette a pugno, e le nocche sbiancate facevano
chiaramente percepire la forza con cui li stava stringendo. Non dava
precisamente l’immagine di qualcuno soddisfatto per la piega che
avevano preso gli avvenimenti…
Batté
nervosamente un piede a terra, due o tre volte, poi si voltò
verso lo scalone, da cui stava scendendo Gourry. Le sue sopracciglia si
corrugarono e lo vidi mordersi il labbro. La sua espressione era un
misto tra diffidenza e… accusa? Non avrei saputo dirlo,
soprattutto perché quella strana manifestazione si dipinse sul
suo volto per l’attimo di un respiro, per poi uniformarsi
immediatamente ad un volto più consono all’occasione:
compassione e mortificazione.
Nayden si affiancò allo scalone, abbassando la testa in segno di rispetto:
“Gourry…”Mormorò
“Non puoi immaginare quanto io sia addolorato per quello che
è successo…”
Gourry rimase del
tutto indifferente alla cerimoniosa dimostrazione di solidarietà
che Nayden stava mettendo in scena… O forse no. Chi poteva
dirlo? La sua posizione era talmente ambigua nei confronti di Joy
che i miei sospetti si stavano facendo confusi. Nayden sembrava
spaesato come tutti quanti.
“Sono
appena stato da lei, è bellissima, sembra un angelo”
disse, regalandomi una magra consolazione per quella fine infelice.
“L’hai vista?” domandò Gourry in un sussurro. Nayden annuì.
“L’hanno
deposta nel tempio principale di Sailunne. L’intera sala è
stata allestita per lei. Tutto questo è così ingiusto,
era davvero una persona speciale.” Disse, con sguardo serio.
Gourry abbassò gli occhi.
“Si, lo
è…” Constatò, semplicemente, mentre io
provavo una fitta di rimorso per il modo in cui parlava di me.
Al presente.
“Posso
accompagnartici…” Aggiunse Nayden, vedendo che Gourry
sembrava incerto su dove dirigersi. Lo spadaccino rimase silenzioso
alcuni secondi, poi annuì.
Uscii dalla porta
dietro di loro, incamminandomi sotto al cielo plumbeo di Sailunne,
diretta alla mia monumentale cappella funebre.
Il problema Joy
poteva aspettare ancora qualche secondo. Prima volevo vedere come e
dove mi avessero sistemato. Se fossero venuti adepti e fan a visitarmi,
dovevo assicurarmi che la mia situazione fosse abbastanza decorosa.
Quando raggiungemmo le monumentali porte bianche del tempio, tuttavia, ebbi qualche incertezza.
Per la seconda
volta in quella giornata mi sarei trovata davanti al mio corpo senza
vita. Questo non avrebbe giovato molto al mio umore. Però,
constatando che il mio umore difficilmente avrebbe potuto raggiungere
sfumature più tetre, mi decisi ad entrare.
Del resto dovevo studiare il problema se volevo venirne a capo.
La prima cosa che
sentii, appena messo un piede dentro alla sala, fu la dolce voce di
Amelia, che accoglieva piena di premure lo spadaccino appena scampato
lui stesso alla morte. Era stata nella sua stanza qualche ora prima, ad
assicurarsi che le bende non fossero troppo strette sui polsi...O forse
semplicemente ad assicurarsi che non stesse facendo nuovamente qualche
sciocchezza. Era già a pezzi per aver perso un amica, non le
sembrava proprio il caso di assistere anche alla dipartita di un altro
caro compagno di avventure. Lo accolse con la massima dolcezza e
comprensione, posandogli teneramente una mano sul braccio e
stringendoglielo per fargli forza.
Quanto li
invidiavo. Loro almeno potevano continuare a confortarsi l’un
l’altro. Io ero sola, se si escludeva Xellos. Sola, appunto.
Poi, improvvisamente, i miei pensieri vennero annebbiati da un inconfondibile, quasi nauseante, profumo.
Feci qualche
passo avanti, attratta da quel profumo, e superai il piccolo gruppo dei
miei amici che ancora sostavano davanti alla porta, incamminandomi
verso il centro del tempio.
Fu allora che le vidi.
Calendule. Ce n’erano a centinaia, a migliaia…
Poste dentro a vasi e grosse ceste, appese in ghirlande alle pareti, tante, troppe…
Il loro profumo era stomachevole. Le odiavo, quelle maledette calendule. Fu in quel momento che mi vidi.
Al centro esatto
di quel tappeto di fiori gialli e arancioni, su un marmoreo altare
anch’esso rivestito di calendule… C’ero io. Il mio
corpo. Quel che rimaneva di me…
Mi avvicinai
quasi ipnotizzata e gettai uno sguardo al mio volto bianco. Tutto era
bianco, anche il vestito che mi avevano fatto indossare per
l’occasione. Un elegante e prezioso abito in seta candida, dalle
larghe maniche cangianti.
L’avevo
già visto, quel vestito, ne ero consapevole, così
com’ero consapevole di aver già sentito l’odore
delle calendule prima che Amelia me ne parlasse nella serra.
Quando ero quasi
affogata, a un passo dalla morte, io… Avevo avuto una vaga
premonizione di ciò che sarebbe accaduto.
Una visione del mio letto di morte, ora lo sapevo.
Guardai il cereo
pallore del mio volto, le labbra bianche e rigide, le palpebre chiuse,
che non mostravano più quello sguardo di dolorosa incomprensione
che mi aveva tanto spaventato la notte prima. I miei capelli
conservavano ancora il loro bel colore, e ricadevano morbidi sulla mia
fronte e intorno al mio capo adagiato su un cuscino ricamato. Le mie
mani stavano immobili in una innaturale posizione di riposo, sul mio
petto.
La posizione di un morto, appunto. Che orrore.
Eppure, a parte
quello, non ero poi così… Disgustosa. Certo, escludendo
il fatto che fossi senza vita, ma l’impressione che davo, in
parte, era più quella di una bambola di porcellana a
dimensioni naturali. Una statua marmorea finemente cesellata.
Ero davvero come
mi aveva descritta Nayden: un angelo addormentato, quieto, sereno.
Qualcosa di molto lontano dal cadavere contorto e insanguinato a cui
avevo lanciato sguardi di puro terrore quella notte, prima che i
sacerdoti calassero su di me quell’orribile sudario.
Eppure di me, di
quella che era stata la vera Lina Inverse, oltre a tutta questa
bellezza, non ritrovano niente in quel corpo: il rossore delle guance,
il riflesso di un sorriso, il battito del cuore…Tutto era
cessato.
Rimasi a
fissarmi, sgomenta, ancora qualche secondo, poi mi resi conto di non
essere sola: Gourry, Nayden e Amelia mi si erano affiancati e
guardavano silenziosi il mio corpo che giaceva tra le calendule.
Vidi che Nayden
sospirava e che le palpebre di Amelia cominciavano a tremare. Gourry
invece mi osservò come se non fossi realmente io quella che
aveva davanti, ma qualcosa di sconosciuto e lontano. Poi Amelia
parlò:
“Io non
posso ancora crederci.” Una lacrima le rigò silenziosa la
guancia. “Solo ieri pomeriggio era qui, e adesso….”
La voce le tremò al punto che dovette fermarsi. Nayden estrasse
un fazzoletto pulito dalla tasca e glie lo porse gentilmente mentre
Amelia ci strombazzava dentro.
Gourry continuava a fissarmi, indifferente a quanto gli accadeva intorno.
“Grazie…”
Disse Amelia restituendo il fazzoletto fradicio a Nayden, il quale, da
vero gentiluomo, se lo rimise in tasca senza dire una parola.
“Perché avete messo tutte queste calendule?” Domandò alla principessa.
Amelia si
guardò attorno e il labbro inferiore prese nuovamente a
tremolarle: “Beh, perché… Erano i suoi fiori
preferiti. O almeno credo…” rispose, prima di tirare su
rumorosamente con il naso. Nayden annuì, io spalancai la bocca.
Da quando avevo dei fiori preferiti? E soprattutto, anche ammesso che
ne avessi, non sarebbero mai state quelle calendule puzzolenti…
In quel momento collegai.
Avevo visto le
calendule in quella specie di premonizione, senza conoscerle. Poi ne
avevo riconosciuto il profumo nella serra e avevo domandato alla
principessa che fiori fossero. E per sviare l’attenzione avevo
poi detto che erano fiori che mi piacevano molto….Così
Amelia li aveva usati per addobbare il mio letto di morte.
Un cerchio perfetto, che si chiudeva dove iniziava.
Guardai
nuovamente verso il mio corpo. L’odore delle calendule, sin dal
primo momento, mi aveva inspiegabilmente nauseata. Ora forse potevo
intuire il perché: ci ero immersa, totalmente. Questo poteva
significare una cosa, azzardata probabilmente, ma non da scartare: il
mio corpo sentiva l’odore delle calendule, e ne era infastidito
visto che ci stava steso in mezzo senza potersele scrollare di dosso.
Io non ero morta,
non del tutto… E supponevo che un sottile filo vitale mi tenesse
ancora ancorata al mio corpo mortale. Erano solo speranze e
supposizioni, naturalmente, ma già capaci di darmi forza e
speranza.
Dopo alcuni minuti Amelia e Nayden si allontanarono con discrezione, per lasciare a Gourry il tempo di dirmi addio.
Restammo immobili, fianco a fianco.
Gli occhi chiari
dello spadaccino si annebbiarono per qualche secondo, come se ricordi
troppo dolorosi gli stessero passando davanti per svanire infrangendosi
contro al freddo pallore della mia pelle. Era proprio quel corpo che
aveva difeso, che aveva stretto, che aveva adorato, con tutto se
stesso? Non c’era più niente da amare lì, non
c’era più nulla da proteggere.
Gourry si
scrollò, sbattendo le palpebre. I suoi occhi erano
asciutti, aridi. Si portò una mano alla tasca e ne
estrasse la piccola scatola di velluto rosso, poi ne fece scattare con
un lieve ‘tic’ il coperchio. Al suo interno l’anello
splendeva di cangianti riflessi. Gourry lo prese, poi ripose la scatola
e dalla tasca tirò fuori un minuscolo e delicato filo
d’argento. Una catenina.
Mi lanciò
un’altra dolorosa occhiata, poi sorrise lievemente: “Per
anni ti ho comprato regali che non ho mai avuto il coraggio di
darti…” Sospirò “O che tu non hai mai notato,
scambiandoli con la refurtiva di qualche bottino…” Parve
pensarci sopra qualche secondo “Beh, spero che ovunque tu sia in
questo momento… Ci siano banditi da saccheggiare. Ti annoieresti
molto altrimenti…”
Le sue parole si persero come un’eco nel tempio.
Gourry fece
passare la catenina dentro all’anello, poi, con un tenero e
delicato gesto me la lasciò scivolare intorno al collo.
Indugiò qualche secondo, ancora chino su di me, e mi
sfiorò la guancia con il dorso dell’indice:
“Lina…” Mormorò “Avrei tanto voluto
mettertelo al dito questo, gli dei solo sanno quanto… Ma non era
così che doveva andare. Fammi questo favore, portalo con te,
ovunque tu vada. Così magari non ti scorderai di me. Così
saprai sempre quanto ti ho amato, e quanto ti amo ancora. Io non posso
tenerlo, è tuo, ti appartiene, così come la mia vita.
Anche se io non so più che farmene.”
Lentamente le sue labbra scesero e si posarono piano sulle mie, fredde e marmoree, in uno straziante addio.
Io indietreggiai.
Se avessi avuto
delle lacrime da versare, probabilmente ne avrei avuto le guance
inzuppate. Ma non ne avevo, di lacrime. Non avevo nemmeno le
guance…
E tutto quello
che potei fare, in quel momento, fu di voltare le spalle a Gourry, e
correre là dove non potevo vedere e sentire ciò che in
quel momento mi feriva più del fatto di non essere più in
vita. Mi accasciai contro una colonna e mi lasciai scivolare seduta,
tremando.
Non seppi dire quanto tempo rimasi lì, senza avere il coraggio di guardare mentre Gourry si allontanava dal tempio.
Mentre si allontanava da me.
Forse in realtà non furono che pochi minuti. Me ne resi conto quando sentii delle voci provenire dai portali.
Le mie orecchie
si drizzarono e i miei pugni si serrarono. Conoscevo quella
stramaledetta voce. Quella viscida e detestabile voce, che in quel
momento stava sciorinando frasi false e strappalacrime a Gourry.
“Non ci
posso credere, non è possibile, ma come…?” Stava
blaterando quel dannato ipocrita. Poi, più nitida e affranta,
sentii un'altra voce:
“Terribile, terribile…” Singhiozzò il vocione di Hermann.
Per alcuni istanti regnò il silenzio, dopodiché Joy parlò con voce rauca:
“Capisco. Gourry, non so cosa dire, amico. Fatti forza. Mi dispiace molto, mi sembra assurdo.”
Che attore, signore e signori! Che essere ignobile!
Sentii Gourry
mormorare qualcosa a voce troppo bassa perché potessi udire,
dopodiché udii Joy accomiatarsi ed entrare nel tempio con
Hermann. Inconsciamente mi appiattii contro alla colonna, sentendo i
loro passi pesanti procedere lungo il corridoio fino alla sala centrale.
Era venuto a festeggiare davanti al suo trofeo, quel verme?
Sentii Hermann tirare su col naso:
“Povero… Povero bonsai!”
Joy gli tirò una pacca sulla spalla:
“Su,
Hermann, lo so che ti eri attaccato a quella mocciosa, ma ora cerca di
tornare in te. Lina Inverse in questo momento probabilmente sta meglio
di noi.”
Hermann tirò su col naso ancora un paio di volte:
“Sai, mi ci
ero affezionato, capo… era così buffa…” La
frase venne interrotta da un'altra brutale tirata di naso. “E poi
era così giovane, questo stecchino…”
Joy sbuffò:
“Certo,
certo… era giovane, in gamba e promettente, bla-bla-bla. Ora
basta, Hermann. Sinceramente abbiamo cose più gravi a cui
pensare, e a questo proposito…”
Hermann si soffiò rumorosamente il naso in una manica, dopodiché si ricompose:
“Sì, certo capo, vado… Vieni con me?”
Joy rimase silenzioso ancora qualche secondo:
“Ti
raggiungo subito…” rispose, sovrappensiero. Hermann
annuì e lo sentii lasciare il tempio con passo pesante;
lanciandogli una rapida occhiata prima che varcasse la porta notai che
zoppicava dalla gamba sinistra.
In quel momento,
tuttavia, la mia attenzione era concentrata su Joy. Quel verme viscido
stava cantando vittoria davanti al mio letto di morte.
Ora Gourry era tutto suo.
Ma si sbagliava
se pensava che gli avrei lasciato campo libero: un sistema per
rivalermi su di lui l’avrei trovato anche da morta.
Strisciai fuori
dalla colonna e mi avvicinai a lui. Il mercenario mi dava le spalle e
mi scrutava, assorto. Mi chiesi quali euforici pensieri gli stessero
passando per la testa. Poi, però, rimasi impietrita,
quando Joy allungò una mano verso di me, posandomi il dorso
dell’indice e del medio sul collo.
Il contatto lo fece rabbrividire:
“Sei
proprio stecchita….” Disse, in un sussurro. “Mi
domando come abbiano fatto a fregare una come te…”
mormorò poi, lasciandomi sgomenta.
Quel tizio mentiva anche quando sapeva benissimo di trovarsi solo? Era proprio un dannato vizio!
Gli arrivai alle spalle:
“E
scommetto che tu sai anche come abbiano fatto a fregarmi, non è
così?” sibilai, con cattiveria, prima di aggiungere
“E levami quelle mani di dosso, maledetto bastardo!”
Quello che accadde dopo, mi colse del tutto impreparata.
Joy si
irrigidì di colpo alle mie parole e la sua mano restò
sospesa a mezz’aria. Rimasi a fissarlo, perplessa, mentre si
voltava. Notai solo distrattamente che aveva un occhio nero e un labbro
spezzato su cui si era raggrumato del sangue. Quando il suo sguardo
incrociò il mio mi mancò il respiro. Joy sgranò
gli occhi, indietreggiando di un passo e io capii che sì, non
c’erano dubbi, mi stava guardando. Mi stava vedendo.
Feci un passo
avanti, spalancando la bocca, ma lui posò una mano tra me e lui,
in un istintivo gesto di difesa. O repulsione.
Poi entrambi lanciammo un lungo strillo.
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Capitolo 11 *** La notte negli occhi ***
capitolo 11
La notte negli occhi
‘Mettere una persona davanti alla propria ombra equivale a mostrarle anche ciò che in essa è luce.’ (C. G. Jung)
“Tu!”
Entrambi ci puntammo addosso un indice, sgomenti.
“Tu…” Proseguimmo poi sempre all’unisono, con
una punta di incertezza.
Ma come
diavolo…? Doveva essere la mia solita sfortuna: l’unica
persona che poteva vedermi e con cui potevo interagire sembrava essere
proprio quel verme di Joy. Che fosse la sua giusta punizione per avermi
fatto fuori in modo così subdolo? Se era così,
l’avrei tormentato per l’eternità.
Stavo per aggredirlo verbalmente, quando una voce esterna ci fece sussultare entrambi:
“Capo, il
principe Phillionel dice possiamo rimanere tutto il tempo che ci
sarà necessario …” disse Hermann, facendo capolino
dalla porta principale.
Vidi Joy
irrigidirsi mentre Hermann ci raggiungeva zoppicando e mi aspettai che
si lanciasse verso di lui strillando: ho visto un fantasma! Ma,
con mio grande stupore, non accadde nulla di tutto ciò. Joy si
limitò a sbattere un paio di volte le palpebre, riacquisendo
immediatamente il controllo di se stesso. A quel punto si voltò
verso il suo uomo e assumendo un’espressione neutra si
infilò distrattamente un guanto, mormorando: “Bene, ma non
ritengo più necessario fermarmi qui a Sailunne.”
Herman si
accigliò: “Ma, capo… io non sono in grado
riprendere subito il cammino!” disse, cercando di suscitare la
compassione di Joy indicando la sua gamba ferita. “Avevi detto
che sarebbe stato più saggio tornare indietro, piuttosto che
proseguire in queste condizioni…”
Joy lo
fulminò con un occhiataccia: “Beh, Herman, quando
l’ho detto non immaginavo di certo che saremmo capitati nel mezzo
di questa baraonda, con Lina Inverse stecchita e tutto il resto. Quindi
ce ne andremo immediatamente.” disse, evitando di guardarmi. Mi
ignorava come se in realtà mi fossi solo immaginata di aver
avuto un contatto con lui solo pochi istanti prima. Era veramente
irritante.
Herman
indugiò qualche istante, guardando il suo capo con aria torva.
Se avesse voluto, avrebbe potuto avere ragione di Joy in pochi istanti.
Ma era troppo fedele per farlo. O forse solo troppo stupido. Joy
sbuffò infilandosi anche l’altro guanto: “Cerca due
cavalli in buone condizioni, ce ne andiamo oggi stesso. Io ti raggiungo
subito, ora vai.”
“Ma cap…”
“Non voglio
più discuterne. Ho detto ‘vai.” Tuonò il
mercenario a quel punto, facendomi sobbalzare insieme a Hermann, che
dal canto suo si affrettò a lasciare il più in fretta
possibile la sala del tempio.
“Nervi a
fior di pelle?” gli domandai, una volta rimasta sola con lui. Joy
fece un respiro profondo e mi finse indifferenza.
“Non fare
di finta di non aver sentito, verme che non sei altro!” Lo
insultai, mettendomi davanti a lui: “Lo so che puoi vedermi e
sentirmi, molto probabilmente perché questa è opera
tua…” urlai, indicando il mio corpo immobile a pochi passi
da noi. Joy continuò a fare finta che non esistessi, ma notai
che gli tremavano le mani.
“Non puoi
ignorarmi, Joy! Tu devi…” cominciai, ma prima che potessi
concludere la frase Joy mi rivolse un’occhiata gelida.
“Io
‘devo’? Io non ti devo niente, siamo intesi?” I suoi
occhi erano pieni di furore. “Tu per me non esisti, hai
capito? Non mi parlare, non mi comparire davanti. Tu…”
Sembrava in procinto di avere una crisi isterica. “Tu sei un
dannatissimo niente, e io non ho nulla da spartire né con te,
né con la tua morte, e adesso sparisci dalla mia vita!”
Io rimasi
ammutolita, per una volta. Ma che problema aveva quel tipo? Beh, a
parte quello di essere in grado di interagire con i morti?
“Ma che
accidenti…” cominciai, ma il mercenario mi diede le spalle
dirigendosi a grandi passi verso l’uscita.
Oh, non crederai di cavartela così a buon mercato, vero?
Lo seguii.
“Joy!”
“Sparisci!”
“Joy, devi ascoltarmi!” esclamai, allungando una mano verso di lui.
“Non mi toccare!” gridò, fermandosi e scansandosi come se si fosse ustionato.
Quindi era anche in grado si sentire il mio tocco?
“Tu devi spiegarmi…” Incominciai, ma lui mi zittì:
“Io non spiego niente a nessuno. Tu-non-esisti. Chiaro il concetto? Mi sono spiegato?”
Lo guardai, scettica:
“Se non esisto, perché mi stai parlando?”
Le sopracciglia di Joy si aggrottarono e uno sguardo esasperato comparve sul suo volto.
Ha-ha. Touchè.
Si portò una mano al viso, sfregandosi la fronte, in un gesto che ne tradiva il profondo nervosismo.
“Joy…”
Continuai, con calma. “Voglio solo capire che diavolo sta
succedendo. Perché ti assicuro che proprio non ci riesco.”
Lui si tolse la mano dalla faccia:
“E cosa ti
fa pensare che lo sappia io? L’unica cosa che posso constatare
è che tu sei....” farfugliò, guardando verso il mio
corpo rigido.
“Morta.” Conclusi io la frase per lui.
Joy annuì stancamente:
“Già. Bene, hai avuto la tua risposta? Adesso puoi lasciarmi in pace? Addio”
fece per voltarsi
ma io lo fulminai: “Maledizione, Joy, fin lì c’ero
arrivata anche da sola, grazie tante!”
“E allora
cosa pretendi da me? Perché mi dovete perseguitare tutti in
questo modo, maledizione!” Sembrava veramente sfinito.
Mi concentrai su
quel ‘dovete’. I casi erano due: o aveva iniziato a
darmi del Voi, oppure… non ero l’unico spirito con cui
aveva avuto a che fare.
“Voglio sapere cos’è successo, me lo devi! Sei stato tu?”
“Io?”
Sembrava veramente sconvolto. “Sarei stato io fare cosa?”
domandò, prima di capire dove volessi andare a parare:
“Certo. Tu pensi che sia stato io a ucciderti. Ne sei
convinta.” Gli occhi gli si strinsero a due fessure. “Sei
fuori strada, dolcezza!” Scosse la testa, offeso.
Io mi accalorai “E allora perché sei il solo che può vedermi, spiegamelo!”
Il volto di Joy divenne cinereo e il suo sguardo si incupì:
“Questa conversazione finisce qui per quanto mi riguarda.”
“Non penso proprio!”
“Io invece
penso proprio di sì. Come ti ho già spiegato, non ho
nulla da spartire con te, né con questa storia.”
“Sei un essere spregevole!” Lo accusai.
“Una ragione in più per starmi lontana!”
Mi diede le
spalle e uscì nel cortile sotto alla pioggia scrosciante, mentre
io rimanevo sugli scalini del tempio a fremere di rabbia. Ma se pensava
di cavarsela così facilmente aveva proprio sbagliato a capire.
Ero sempre Lina Inverse, dopotutto.
Attraversai a mia
volta il chiostro diretta a palazzo, mentre l’acqua mi passava
attraverso, raccogliendosi a terra in pozze scure e fangose. Almeno non
mi sarei presa un raffreddore. Certo, non che questo potesse essermi di
qualche consolazione, visto che ero morta.
Joy era senza dubbio uno degli esseri più egoisti e meschini con il quale avessi avuto a che fare.
Ma era anche il solo che, mi scocciava terribilmente ammetterlo, potesse darmi una mano.
Escludendo Xellos.
Che dire? Ero in buona compagnia. Un demone bastardo e… Un bastardo e basta. Ottimo.
Mi ci vollero
pochi minuti, una volta entrata a palazzo, per scoprire che Phil si era
opposto alla partenza immediata di Joy ed Hermann: erano conciati
talmente male che il paladino dei deboli per eccellenza li aveva
praticamente obbligati a fermarsi per la notte.
Ignorando cosa
fosse successo a quei due per tornare a Sailunne ridotti in quello
stato, e cosa invece fosse accaduto al resto dell’esercito,
cercai di capire al più presto in quale stanza fosse stato
sistemato Joy. Se sperava di essersi sbarazzato di me così
facilmente, si sbagliava di grosso.
Sarei stata il suo tormento.
Una volta davanti
alla porta presi un profondo respiro. Joy sapeva essere maledettamente
scostante. Mi ci sarebbe voluta tutta la pazienza di cui ero capace per
convincerlo ad aiutarmi. E io, diciamolo, di pazienza ne possedevo
pochissima. Ma Joy era la mia unica speranza per far sapere a tutti
quello che stava succedendo. Per far sapere a Gourry che non me ero
andata, non del tutto. Non potevo farmi sfuggire quell’occasione.
A costo di supplicare. Storsi il naso a quel pensiero. Ovviamente
supplicare sarebbe stata l’ultima carta che avrei giocato. A mali
estremi, estremi rimedi.
Presi fiato e gridai: “Joy! Lo so che sei lì dentro!”
Silenzio.
“Joy!”
Un’imprecazione attutita mi arrivò all’orecchio da dietro alla porta.
“Jooooooooooooooy….”
“Vattene, maledizione, vattene!”
“Voglio solo parlare…”
Nuovamente silenzio.
Cominciavo ad
arrabbiarmi. Se fossi stata in me, quella porta, in quel momento, non
sarebbe stata altro che un mucchietto di schegge di legno. Ma, non
avendo più i miei poteri, mi rimaneva giusto l’ingegno.
“E va bene,
Joy. Se non vuoi aprirmi, sei libero di non farlo.” Gli accordai
“Io rimarrò qui fuori e, per far passare il
tempo…Ti canterò una canzone! Da bambina dicevano tutti
che avevo una voce meravigliosa, avrei potuto fare la cantante se non
fossi diventata la più grande maga che il mondo abbia mai
conosciuto!”
Sentii un singulto provenire da dentro alla stanza ma a quel punto ero già lanciata:
“Vediamo, cosa potrei cantarti? Ah sì, ne conosco una carina. Fa più o meno così…”
Iniziai a cantare
a squarciagola. Ero stonata come una campana e ben consapevole di
esserlo. Da bambina mi elargivano sempre qualche moneta per convincermi
a non partecipare ai cori di bambini di Zephilia.
Portai le mani ai
lati della bocca, per amplificare il suono, e mi appoggiai alla porta
della stanza, immaginando Joy che si premeva il cuscino sulle orecchie
maledicendomi. Fu solo alla decima strofa che l’uscio si
aprì di scatto, rivelando un Joy esasperato, i riccioli scuri
scarmigliati sulla fronte e gli occhi iniettati di sangue:
“C’è
voluto un bel coraggio per dirti che potevi essere promettente nel
canto. Una cornacchia gracchia meglio di te, dannazione!”
Gli sorrisi, per nulla umiliata dalle sue parole. Da tempo avevo messo una pietra sulle mie ambizioni canore:
“Vuoi che continui?”
“Entra”
disse in tono sbrigativo, sbirciando nervosamente il corridoio per
assicurarsi che nessuno lo vedesse parlare con il nulla.
“Bene, vedo
che alla fine ti sei dimostrato una persona ragionevole. Più o
meno” dissi, mentre entravo in quella che risultava la stanza
più anonima e squallida di tutto il palazzo. Un letto e una
finestra erano tutto ciò che riuscivo a distinguere tra
l’oscurità. Joy non si era preoccupato di accendere
nemmeno un lume.
“Dimmi cosa
vuoi e facciamola finita” disse, incrociando le braccia al petto
senza smettere di guardarmi con aria greve. Vedevo i rigagnoli della
pioggia strisciare lentamente sui vetri, proiettando ombre sinistre in
tutta la camera. Il corpo di Joy era a strisce bluastre, sul mio non
compariva nulla.
Il mio sguardo si fece serio:
“Voglio che
tu mi faccia da tramite” rivelai. Joy mi fissò
inespressivo, dopodiché sedette sul letto, dove aveva lasciato
una sigaretta appena arrotolata, e la prese tra le dita.
“Certo.
Vuoi che vada a dire a tutti che sei in realtà uno spirito che
aleggia sul castello. Fantastico, come credi che la prenderebbe la
gente?”
Mi morsi il labbro: “Gourry ti crederebbe…”
Joy
sussultò. Passò qualche secondo, in cui ci scrutammo
diffidenti. Gourry era il nodo al centro del rapporto mio e di Joy. E
vedevo che lentamente si andava affacciando nella sua mente lo stesso
pensiero che io avevo formulato solo qualche ora prima: adesso che ero
stata messa fuori gioco, il campo era a sua completa disposizione.
Poi Joy scrollò la testa:
“Gourry
penserebbe che sono pazzo. Penserebbe che…” Rimase
soprappensiero per alcuni secondi, poi mormorò: “E in ogni
caso, mi spieghi a cosa servirebbe? Non c’è soluzione alla
morte.”
“Se la cosa
non ti fosse chiara, Joy, io sono stata assassinata!” esclamai,
cercando di ignorare le sue ultime parole, che mi avevano colpito
più di quanto volessi dare a vedere. “Non mi sembra di
chiederti così tanto…” proseguii, imbronciata.
“Beh, per me lo è, chiaro?” Il suo tono non ammetteva repliche.
“Non lo faresti nemmeno per Gourry?”
D’accordo, avevo colpito basso. Ma puntare sui sentimenti era l’unica arma che mi rimaneva.
Joy spostò lentamente lo sguardo su di me: “Per Gourry? Non capisco di cosa stai parlando….”
Lo sapeva bene di cosa stavo parlando, maledizione! Voleva a tutti i costi rendermi le cose difficili.
“Gourry
è il mio migliore amico, e non si darà pace fino a che
non saprà come sono andate veramente le cose…”
buttai lì. Joy si portò la sigaretta alle labbra, ma non
l’accese.
“Joy, ho
bisogno di parlare con Gourry…” Il mio sguardo si fece
serio, la mia voce divenne quasi un sibilo “Ti
prego…” aggiunsi abbassando lo sguardo.
L’umiliazione
di dover supplicare davanti ad un essere tanto spregevole mi avrebbe
sicuramente fatto avvampare le guance di rabbia, se avessi avuto ancora
sangue nelle vene. Per mia fortuna non era così. Senza contare
che per raggiungere Gourry mi sarei abbassata a qualunque livello. Non
volevo più assistere a scene come quelle che avevo avuto sotto
agli occhi quella mattina. Mai più.
“Senti,
senti… Lina Inverse che mi implora” mormorò il
mercenario. Ma non c’era compiacimento nella sua voce.
“Deve essere davvero importante Gourry, per te. Più di
quanto tu mi abbia dato a intendere.”
Mi morsi le labbra: “Sì, lo è…”
Joy rimase a fissarmi, sul volto dipinta un’espressione combattuta:
“Lina…” disse, piano. “Credi davvero che sia stato io a ucciderti?”
Sussultai nel
sentire quelle parole ma, proprio in quel momento, una voce femminile,
dall’angolo più remoto e buio della stanza, rispose con
tranquillità:
“Non è stato Joy a farti questo, Lina Inverse, smettila di tormentarti nel dubbio.”
Trasalii,
indietreggiai e per poco non finii stesa a terra. A quanto pareva come
fantasma non avevo guadagnato un perfetto equilibrio, altra cosa da
annotare tra i reclami. Joy, dal canto suo, non se la stava cavando
meglio di me: era balzato in piedi, brandendo la sigaretta spenta
davanti a sé, e aveva esclamato: “I-Indietro! Stai fermo
dove sei. Chiunque tu sia!”
Era penoso e se
non fossi stata così terrorizzata mi sarebbe scappato da ridere.
Invece rimasi rigida, mentre frugavo con lo sguardo tra
l’oscurità in cerca del proprietario di quella voce
sinistra, che improvvisamente trovavo stranamente familiare…
Avevo già sentito quella voce, ne ero sicura.
Qualcosa si mosse
nell’oscurità. Poi, nel mite scrosciare della pioggia sui
vetri, il nitido e melodioso tintinnio di un campanellino
risuonò nella stanza, mentre una piccola ombra scura, molto
più piccola di quel che avevo immaginato, si fece sinuosamente
strada verso di noi.
Era la gatta di Anouk, Babette.
Io e Joy strabuzzammo gli occhi, mentre il felino dal manto argentato ci guardava sornione:
“Buon
pomeriggio ad entrambi, spero di non avervi resi troppo nervosi. Ho
qualcosa della massima importanza da discutere con voi” Ci
annunciò, mentre sia a me che a Joy rischiava di staccarsi la
mascella per il troppo stupore.
D’accordo, manteniamo la calma. Niente panico.
Ne avevo viste
davvero di tutti i colori nella mia vita. Mi ero anche trasformata in
svariati esseri, ed ero momentaneamente priva di un vero corpo
ma….Da quando i gatti parlavano?!
Joy
rilassò il braccio con cui aveva cercato di difendersi, armato
di una sigaretta floscia. “Vi prego, ditemi che è un
incubo…” balbettò.
Io deglutii.
Sentivo gli occhi arancioni di Babette scrutarmi con gravità e
decisi che a quel punto avrebbero anche potuto piovere asini e non me
ne sarei stupita più di tanto.
“Così… Tu parli?”
“Sì” La sua voce era placida e mielosa. Ma con qualcosa di autorevole.
Improvvisamente
ricordai dove avevo già sentito quella voce: tra la vita e la
morte, sulla linea di confine… Babette era la voce che mi aveva
riportato indietro, e il campanellino che mi aveva ossessionato da
quando ero caduta nel laghetto ghiacciato era lo stesso campanellino
che portava appeso al collo.
“Ehi,
aspetta un attimo… hai detto che Joy non centra niente con la
mia morte. Vuol dire che sai chi è stato a farmi questo?”
Feci un passo avanti, impaziente.
“Ovvio.”
“Parla, allora!”
“Io, naturalmente. Con un piccolo aiuto da parte della duchessa Anouk.”
Il mio fervore si spense di colpo. Mi stava prendendo in giro quel gatto parlante?
Persino Joy parve riprendersi dalle sue sofferenze per assumere un’espressione sbigottita.
“Ti prendi gioco di me?” dissi, accigliata.
“Niente
affatto, Lina Inverse. Pensavo che una mente astuta come la tua ci
fosse arrivata già da tempo… Del resto questa spiacevole
situazione non si sarebbe protratta così a lungo se ogni volta
tu non avessi trovato qualche astuto stratagemma per
salvarti…”
“S-Salvarmi?...” balbettai, sempre più confusa.
“Ovvio. Sei
riuscita a scappare dalla torre, e a riemergere dal lago. Sei
stata molto furba, o forse solo molto fortunata. Ma alla fine sei
caduta nell’ultimo tranello, quello del veleno. Ora finalmente
sei pronta.”
Mi voltai quel
tanto che bastava per lanciare un’occhiata interrogativa a Joy.
Se era uno scherzo, era davvero di pessimo gusto. Ma il mercenario
rivolse i palmi al soffitto, facendomi intuire che lui non ne sapeva
nulla di tutta quella storia. Quel gatto doveva essere pazzo,
eppure…
Ero salita sulla torre per inseguire Babette.
Ero finita nel bel mezzo del laghetto ghiacciato per riprendere Babette.
E Anouk era l’unica persona presente nelle cucine quando era stata preparata la camomilla avvelenata.
Ricordai il biglietto e la missiva per Solaria, scritte con la stessa minuta calligrafia:
“Quindi anche la missiva…”
“Esatto.
Anouk l’ha scritta e l’ha inviata col sigillo in ceralacca
del ducato. Non dovevi sapere nulla fino a quando non saresti stata
pronta per l’incarico che intendo affidarti, e ora lo sei.”
Volevo prendere a
testate il muro. Un gatto e una bambina avevano assassinato la
più grande maga che il mondo avesse mai visto?!
Ma questa era follia!
“Pronta? E per cosa, si può sapere? Per la tomba, semmai!” esclamai, adirata.
“Era necessario, Lina Inverse. Ci serve il tuo aiuto.” La gatta non fece una piega davanti alla mia furia omicida.
“Vi serve il mio aiuto? Per questo mi avete fatto fuori, perché vi serve il mio aiuto?!”
“Proprio così.”
“Non vedo proprio come potrei aiutarvi dato che sono… MORTA!”
“Appunto.”
Ma non si scomponeva mai quel gatto?
“Appunto! Ap… ehi, che diavolo significa? Vi servivo… morta?”
Non ci stavo capendo niente. Iniziavo a comprendere come doveva sentirsi Gourry per la maggior parte del tempo.
La gatta scosse la testa:
“Ma tu non
sei morta. Non ancora, almeno. Sei sulla linea di confine, ed è
lì che devi rimanere affinché tu possa aiutarci. Io ti ho
riportato indietro in tempo.”
Rimasi a bocca aperta.
Davanti a me avevo un felino con più di una rotella fuori posto, dovevo andarci cauta.
“Giuro che ci sto provando, a seguirti. Ma temo di non riuscire proprio ad afferrare quello che stai dicendo.”
I baffi di Babette vibrarono:
“Se mi permetti, Lina Inverse, vorrei farti un disegno completo della situazione.”
“Prego” esclamai, secca. Non solo mi aveva fatto fuori, ma mi parlava anche come se fossi ritardata! I gatti…
“Per prima
cosa vorrei che tu sapessi che non c’è niente di
irreversibile nella tua situazione, ma a questo ci arriveremo a tempo
debito. Ora, per quanto riguarda la missione, non potevamo di certo
dirti da subito quale sarebbe stato il tuo compito. Dubitavamo che
avresti accettato.”
“Perspicaci.” Non potei trattenere il mio sarcasmo.
“Data la
natura del nemico che ci troviamo ad affrontare, ci serviva una persona
potente ed astuta. Qualcuno di imbattibile…”
proseguì Babette. “E le voci che circolano sul tuo conto
sono quantomeno significative.”
Fantastico. Ancora una volta mi ritrovavo vittima della mia stessa fama. Quando si dice schiacciati dal successo…
“L’ideale
sarebbe stato agire subito, a Solaria. Ma purtroppo sei rimasta illesa
dal crollo della torre. E sei stata fortunata anche per quanto riguarda
il lago.”
“Io
credevo…” La interruppi “Insomma, mentre ero
là sotto, nell’acqua, ho sentito una voce. Eri tu che
parlavi?”
“Sì, mi stavo preparando a bloccarti sulla linea di confine. Ma qualcuno ti ha riportato alla vita.”
Sussultai, mentre
lo sguardo dolce e gentile di Gourry mi passava davanti agli occhi.
Quante volte mi aveva strappato alla morte l’ostinazione di
quell’uomo? Infinite.
La voce di Babette mi riportò bruscamente alla realtà:
“Mentre
procedevamo verso Sailunne il tempo a nostra disposizione si
assottigliava a vista d’occhio, così ho consigliato alla
principessa la via del veleno. E ora tu sei qui, Lina: non sei viva, ma
nemmeno morta. Diciamo… sospesa? E questo ti da il vantaggio che
volevo tu avessi. Ora devi ascoltarmi e devi aiutarmi.”
Guardai Babette.
Mi sentivo talmente abbattuta dopo quel breve riassunto che, contro a
tutti i miei principi, mi sarei volentieri fatta un piatto di spiedini
di gatto.
“Perché
mai dovrei volerti ascoltare ancora, e soprattutto…
perché mai dovrei volerti aiutare?” Ero fuori di me.
“Perché
è l’unico sistema che hai per riprenderti la tua vita. Ma,
soprattutto, è anche l’unico sistema che hai per evitare
che il mondo, il tuo mondo, venga distrutto. Ora pensi di volermi
ascoltare?”
Aprii la bocca per replicare, ma ero rimasta senza argomenti.
“Ti ascolto.”
Babette sollevò la zampa, indicando Joy:
“Ascoltami anche tu, cavaliere, perché sei parte di quanto sto per chiedere alla maga.”
Joy, che fino a quel momento aveva ascoltato rimanendo sulle sue, fece un salto:
“Io?”
“Sì, Joy.”
“E io cosa diavolo centro in queste storie di maghi e demoni? Non sono che un mercenario, lasciatemi in pace!”
Babette lo guardò intensamente:
“Io lo so
chi sei, Joy Shadow. È tutta la vita che ti nascondi, ma non
potrai farlo ancora a lungo. Non si può essere qualcosa di
diverso da ciò che si è… Non si fugge da se
stessi.”
Mi aspettavo che
Joy facesse fuoco e fiamme davanti a quell’affermazione, che
sparasse qualche demenzialità sul fatto che lui non aveva certo
il tempo di ascoltare i vaneggiamenti di un gatto psicopatico, invece
rimase ammutolito, vestendo un’espressione astiosa.
A quel punto drizzai le orecchie:
“Cosa centra lui in tutta questa storia?”
Babette mosse leggermente la coda:
“Non te lo
domandi, Lina Inverse? Non ti chiedi perché il cavaliere che hai
davanti sia la sola persona in grado di comunicare con te?”
Restai in
silenzio e lanciai un’occhiata sospettosa verso Joy. Il buio
della stanza nascondeva parte del suo volto, eppure riuscivo a vedere
il suo sguardo cupo e riuscivo a distinguere il fremito che gli faceva
stringere la mano attorno alla smilza sigaretta. Poi, con rabbia, Joy
estrasse un fiammifero dalla tasca, sfregandolo contro la pietra del
davanzale, e fece scaturire la fiamma.
“Tutto questo è assurdo” disse, lugubre, espirando nebulosi anelli di fumo.
Babette si rivolse a me:
“Il motivo
della tua condizione attuale è semplice: non è nel nostro
mondo che dovrai agire, perché il male si trova ad un altro
livello. È stato commesso un errore, anni fa. Le barriere che
separano il Regno dei Vivi da quello delle Ombre sono sottili come
carta, ormai. I custodi incaricati di vegliare il confine non sono
più al loro posto. Non possiamo permettere che il Signore di
quelle terre invada questo mondo.”
A quelle parole avvertii un brivido percorrermi la schiena.
“Il signore di quelle terre sarebbe…”
Lo scrosciare della pioggia riempì quegli attimi di silenzio. Poi Babette mormorò:
“La terra dei morti.”
Rimasi attonita. Dopo il Principe degli Inferi, il Signore delle Ombre. Che meraviglia.
“C’è un'altra cosa, Lina Inverse…”
Guardai afflitta verso Babette. Cos’altro ci poteva essere di peggio?
La gatta mi fissò con i grandi occhi arancio:
“Le
questioni dei morti, riguardano i morti. Nessun vivo dovrà
essere a conoscenza di quanto ti è stato rivelato questa sera,
nessun vivo dovrà sapere cosa sei e cosa succederà.”
“Ma…” cominciai subito a protestare.
“Si tratta
del loro bene, Lina Inverse. I vivi che vengono coinvolti nelle
questioni dei morti vengono esposti ad un grave pericolo. Questi due
mondi devono rimanere separati per il bene dell’umanità,
tu capisci…”
Il mio pensiero
andò subito a Gourry. E ad Amelia, e a Zelgadiss. Stavano
soffrendo, e questo non mi dava pace. Ma il pensiero di saperli in
pericolo a causa mia era ancora peggiore. Del resto, se la mia non era
una situazione irreversibile…
In quel momento presi la mia decisione.
C’era ancora una cosa però che non capivo:
“Cosa
centra lui in tutta questa storia?” domandai, indicando il
mercenario che fumava gettando occhiate nervose dalla finestra.
“Joy sarà la tua mano, Lina. Ma dovrà essere una sua scelta. Io in questo non posso interferire”
“La mia
mano? Perfetto, se Joy dovrà essere la mia mano questa battaglia
è già persa in partenza” dichiarai, incupendomi.
“Senza Joy
le cose per te saranno molto più difficili. E ti conviene averlo
dalla tua parte, perché è su di lui che i nostri nemici
contano per far passare in questo mondo il Signore delle Ombre. Ma il
libero arbitrio è un suo diritto. Come ti ho già
spiegato, non posso interferire con le decisioni del cavaliere. Anche
se, ovviamente, spero nella sua collaborazione.” Babette
lanciò un’occhiata apprensiva a Joy.
“No,
aspetta, fammi capire… Joy ha il libero arbitrio mentre io sono
stata arruolata con l’inganno?” ero fuori di me. “Ma,
soprattutto, chi accidenti è Joy per meritarsi tutto questo
rispetto?!” .
La pioggia scrosciava sui vetri appannati mentre Babette sedeva composta ai piedi del letto.
“Joy ci vincola a sé, Lina. Non lo percepisci?”
Fu solo a quel punto che compresi due fatti di indubbia importanza.
‘Le
questioni dei morti riguardavano i morti’ aveva detto la gatta.
Questo significava che Babette era uno spirito. Probabilmente
occupava semplicemente il corpo di un gatto, ma quel ‘Ci vincola
a sé’ era abbastanza inequivocabile.
In quanto a Joy…
Lo guardai socchiudendo le labbra. Joy poteva vedermi, parlarmi, sentirmi…
“Joy…” mormorai, soppesando bene ogni parola. “Tu… Sei un negromante?”
Il mercenario non
rispose, lunghe spirali di fumo avvolgevano il suo volto pallido.
Eppure mi parve, proprio in quel momento, di aver visto una lacrima
scivolargli lentamente lungo la guancia.
Qualche ora
più tardi me ne stavo seduta sull’ultimo gradino dello
scalone principale del palazzo, mentre cameriere e maggiordomi mi
passavano davanti portando le vivande del banchetto commemorativo che
Phil aveva indetto per me. Sospirai:
“E
così è un negromante. Ma non riesce ad accettarlo.
Perché?” domandai alla gatta che mi sedeva accanto.
“Certe cose
non sono facili da comprendere. Essere diversi comporta sempre un
notevole senso di responsabilità, ma bisogna essere pronti ad
accoglierlo. O se ne avrà sempre timore.” Babette mi
parlava senza muovere un muscolo, il che la faceva sembrare
semplicemente un felino appisolato sulla scala.
Io sospirai:
“Se Joy non collabora cosa succederà? Le cose saranno molto più difficili?”
“Il
problema, Lina Inverse, non è tanto se collaborerà o no.
È se collaborerà con noi, o con il nemico…”
“Deduco che
con la parola ‘nemico’ tu ti riferisca a Rebecca, non
è così? Dopotutto è lei che ha chiamato Joy a
palazzo…”
Il pelo della gatta si rizzò leggermente:
“Quella
donna è molto più astuta di quanto tu immagini. Ma ogni
cosa ti verrà spiegata a tempo debito. Ora ci occorre la parola
del cavaliere, la sua collaborazione è necessaria per noi.”
Io roteai gli
occhi al cielo. Dannato Joy, perché avere a che fare con lui
doveva essere così difficile? Dovevo ammettere che da quando lo
conoscevo lo avevo sempre detestato cordialmente, mentre invece ora,
alla luce di quanto avevo scoperto, mi faceva solo una grande pena.
Ricordavo ancora le parole di Gourry, in cui lo descriveva come un
ragazzo taciturno e solitario, tormentato da incubi e strane visioni
che lo tenevano sveglio la notte. Ma ora sapevo che a popolare le ore
notturne del giovane Joy dovevano essere gli spiriti dei guerrieri
caduti in battaglia che gli chiedevano aiuto. Joy disponeva di un
potere enorme, quello di poter comunicare con il silenzioso popolo
delle tenebre. E io sapevo bene quanto potesse spaventare l’idea
di avere tra le mani una forza così immensa. Quante volte
ero stata braccata da demoni e affini desiderosi di sfruttare la
più potente delle mie magie?
Joy voleva solo
dimenticare di essere quello che era. Io lo capivo, perché
c’erano stati momenti in cui avrei volentieri fatto a
cambio con qualunque normale ragazza pur di togliermi di dosso la
responsabilità di essere la più potente fra i maghi della
penisola. Ma in fondo mi stimavo anche abbastanza da poter tutte le
volte prendere un respiro e affrontare le mie paure. Joy, invece, dopo
il colloquio con Babette, si era chiuso in se stesso. Voleva solo
essere lasciato in pace e l’aveva fatto capire in modo abbastanza
esplicito.
“Se il cavaliere non si alleerà con noi” disse la gatta “Dovrai cavartela da sola…”
“Grazie tante!” Ribattei “A questo non avevi pensato quando hai pianificato il delitto perfetto?”
Babette parve punta sul vivo:
“Ho fatto
quello che dovevo! Arruolare te come paladina, era questo
l’obbiettivo. Joy… come ti ho già spiegato, non ho
il potere di persuaderlo. Deve scegliere da solo.”
“Se Joy è il nostro asso nella manica, Babette, siamo tutti spacciati.”
Babette sembrava offesa. Restammo sugli scalini in silenzio, dopodiché mi alzai e mi diressi verso la sala da pranzo:
“Dove vai, Lina Inverse?”
“Vado a
vedere cosa stanno mangiando. Se devono banchettare in mio onore,
sarà meglio per loro che lo stiano facendo in modo adeguato! E
visto che a breve, a quanto pare, saremo tutti allegramente morti su
questo pianeta, spero che si godano la cena: potrebbe essere
l’ultima per loro.” E con quest’ultima affermazione
le diedi le spalle giurando a me stessa che non avrei mai più
guardato un gatto con sguardo amorevole in tutta la mia vita. O morte.
O quel che era, accidenti!
Il banchetto in mio onore, dovetti constatare non appena misi piede nella sala da pranzo, sembrava un vero e proprio funerale.
Alla tavolata
sedevano solo le persone che mi erano più vicine. Tutte meno
una, notai con sgomento. Amelia sedeva al fianco di Phil, entrambi
avevano lo sguardo stanco e gli occhi rossi. Era la prima volta che
vedevo quei due in quello stato. Sembravano sconfitti, e questo mi fece
male.
Davanti ad Amelia
c’era Zelgadiss, composto e silenzioso come sempre, ma il suo
aspetto non era meno trasandato di quello dei regnanti di Sailunne.
Aveva solo la fortuna di essere fatto di pietra, cosicché su di
lui non risaltavano i segni della stanchezza. Più discosti
c’erano Nayden, Hermann e Joy, che sollevò lo sguardo su
di me per poi riabbassarlo subito dopo, nero in viso. Davanti a lui era
apparecchiato un posto vuoto.
Un nodo mi strinse lo stomaco.
“Dov’è Gourry?” gli domandai, avvicinandomi.
“Hermann, mi passeresti il pane?” Chiese Joy, ignorandomi.
L’omone sollevò il cesto del pane e lo passò al suo capo.
“Sono lieto
di vedere che vi siate rimessi in salute…” Disse in quel
momento Phil ai due mercenari, nel penoso tentativo di avviare una
conversazione.
“Vi
dobbiamo molto, maestà. La vostra ospitalità è
pari solo al vostro buon cuore” disse Joy. Una frase che
risuonò stranamente vuota e fasulla nella sala. O, forse, solo
alle mie orecchie.
Phil
annuì: “Non vi preoccupate, è mio dovere aiutare i
bisognosi! E subire un ammutinamento dal proprio esercito deve essere
veramente un’esperienza tremenda…”
Drizzai le
orecchie. Ammutinamento? Quindi era per questo che Joy ed Hermann erano
ridotti in quello stato al loro ritorno a Sailunne? L’esercito si
era rivoltato contro al proprio capitano?
Herman emise un sospiro triste.
“Certo,
tornare e scoprire quello che è accaduto è stato
terribile…” balbettò, gli occhi lucidi.
Joy roteò
gli occhi al cielo e tirò un calcio negli stinchi al suo
soldato, l’unico che era rimasto al suo fianco:
“Cerca di ricomporti, Hermann! Siamo in presenza di un principe!” sibilò.
Lo sguardo di Phil si rabbuiò:
“Questa
tragedia inaspettata è stata un vero colpo per tutti noi. Ma
sappiate che farò di tutto per trovare e punire il colpevole. Lo
giuro sulla corona di Sailunne!”
Vidi Amelia
asciugarsi una lacrima e Zel assumere uno sguardo rispettoso. Nayden
scrutava il principe con occhi attenti, mentre sentii Joy borbottare
tra sé e sé:
“Statene
certo maestà, le occorreranno però una ciotola di latte e
un gomitolo di lana per catturare questo feroce assassino…”
“Non è divertente!” lo apostrofai.
“Lo sai
cosa non è divertente?” sussurrò Joy, tra il rumore
dei coltelli e delle forchette. “Avere a che fare con te e con
questa faccenda. Io e te non abbiamo altro da dirci, Inverse, e dillo
anche a quel dannato gatto.”
Aggrottai le sopracciglia:
“Sei un
vigliacco, Joy. L’ho sempre sospettato, ma adesso finalmente ne
ho le prove. Hai avuto l’occasione, per una volta, di fare
qualcosa di buono… e l’hai sprecata. Perfetto, chi lo
vuole il tuo aiuto? Me la sono sempre cavata da sola, lo farò
anche questa volta.” E così dicendo mi voltai ed uscii a
grandi passi dalla sala da pranzo.
Con o senza Joy, ero Lina Inverse. E Lina Inverse trovava sempre una soluzione.
Cercai Gourry
nelle sue stanze, nei giardini e nel tempio, ma di lui non c’era
traccia. A quel punto un sottile filo di apprensione cominciò a
pervadermi. Camminavo sotto alla pioggia scrosciante, quando la voce di
Babette mi raggiunse:
“Il tempo stringe, Lina Inverse. Cosa pensi di fare?”
Sospirai:
“Potrai
contare su di me, Babette. Sappi che non approvo assolutamente il modo
in cui hai deciso di coinvolgermi in questa faccenda, ma ormai ci sono
dentro e rivoglio indietro la mia vita, costi quel che costi. Ma su Joy
non farei troppo affidamento, anche se al contempo non mi
preoccuperei affatto che passi al nemico: è troppo codardo per
farlo.”
“Io posso
ridarti ciò che ti ho sottratto, Lina Inverse, ma solo a patto
che tu vinca. La strada è lunga e ci saranno molte prova da
affrontare…” Il pelo argentato della gatta si andava
inzuppando di pioggia.
“Sono disposta a tutto per riavere la mia vita.”
Babette mi rivolse uno sguardo penetrante.
“Bene. E… grazie.”
“Non ringraziarmi, Babette, lo sai come si dice? Non dire gatto finchè non ce l’hai nel sacco…”
“Mi sembra appropriato. Allora ti ringrazierò quando tutto sarà finito.”
Ci scambiammo una lunga occhiata, dopodiché la gatta aggiunse:
“Se stai cercando il tuo amico, si trova su una delle torri.”
Mentre lo diceva stavo già correndo verso il palazzo.
Quando raggiunsi
la cima della torre, per poco non mi mancò il fiato. Gourry,
indifferente alla pioggia e alle raffiche di vento, stava appoggiato al
parapetto guardando verso il vuoto. E lui odiava il vuoto. I capelli,
corti e scomposti, si erano appiccicati alla fronte e al collo, mentre
la tunica e i pantaloni erano completamente zuppi di acqua. Per un
istante temetti che fosse salito fin lassù per lanciarsi di
sotto. Ma poi dovetti ricredermi. Gourry non aveva più lo
sguardo folle e iniettato di sangue che gli avevo visto
quando si era tagliato le vene davanti ai miei occhi. Sembrava
solo… Sconfitto.
“Gourry…” dissi, avvicinandomi a lui. “Che ci fai qua? Tu detesti l’altezza…”
E che altezza! pensai, buttando un’occhiata di sotto e rabbrividendo io stessa.
Ma Gourry, per
una volta, sembrava indifferente al fatto di trovarsi a parecchi metri
da terra. Come se anche la più terribile delle sue paure fosse
diventata un’inezia davanti al buio che aveva dentro.
Mi sedetti sul parapetto, al suo fianco. Il suo sguardo era smarrito.
“Coraggio
Gourry, tornerò. Dovrò sconfiggere un cattivo un
po’ rognoso, come al solito. La solita solfa, insomma. Devi
fidarti: passerà anche questa” dissi, provando a posare
una mano sulla sua.
Una lieve
increspatura si formò tra le sue sopracciglia, e per un momento
ebbi l’impressione che mi avesse sentito, ma poi dovetti
ricredermi: Gourry sollevò la mano destra, portandosela alle
labbra, e bevve da una bottiglia dal contenuto inequivocabile. Oh,
fantastico.
Ora, non che io
abbia qualcosa in contrario alla sbronze, credetemi. Ma vedete, quando
si ha già tentato il suicidio una volta e ci si trova sulla cima
di una torre molto, molto alta, con una bottiglia in mano… Non
è una buona cosa. Davvero no.
Gourry bevve una lunga sorsata, poi appoggiò con calma la bottiglia sul parapetto:
“Lo sai
Lina, non fa così paura l’altezza…” un
sorriso triste comparve sul suo volto. Era orribile vederlo sorridere
in quel modo. “Non fa paura per niente, anzi! Io ti ho sempre
mentito, Lina” gridò, rivolto al buio “Ti ho sempre
fatto credere di temere l’altezza più di ogni altra cosa,
ma non era così. Io avevo paura di perdere te, più di
tutto. E ora che è successo, beh… Me ne frego
dell’altezza!” urlò, e riprendendo la bottiglia la
sollevò al cielo. “Alla vostra salute, potenti dei: ci
schiacciate come mosche solo per il vostro divertimento. Che voi siate
dannati!”
“Gourry falla finita! Ci manca solo che ci si mettano pure gli dei a incazzarsi in questa storia!”
Gourry si
pulì la bocca con la manica zuppa della tunica, respirando
affannosamente: “Ora mi direte anche voi che dovrei lasciarla
andare, non è così? Ma io…” infilò
una mano in tasca, estraendone uno sgualcito pezzo di stoffa nero: la
mia bandana magica. Se lo portò alle labbra, inspirandone a
fondo il profumo.
“Ma io non posso. Non posso lasciarla andare.” Strinse la bandana nel pugno chiuso fino a farsi sbiancare le nocche.
“Mi avete
sentito? Non la lascerò andare. Continuerò a chiamare il
suo nome, e voi… voi dovrete riportarla da me. Dovete riportarla
da me…” La sua voce si incrinò. Era come se
improvvisamente gli si fosse formato un nodo in gola. E quel nodo non
si era ancora sciolto da quando ci eravamo lasciati, la sera prima.
Appoggiò la fronte contro alla bandana, e lo vidi contrarre la
mascella con violenza.
“Lina…”
balbettò. “Torna da me… torna da me…”
si piegò sullo strapiombo e il suo palmo slittò sulla
superficie scivolosa del parapetto. Per un attimo trattenni il fiato,
credendo che sarebbe precipitato, ma Gourry si limitò a
inciampare e cadere a terra. Nel tentativo di rimanere aggrappato al
muro merlato, però, aprì la mano e la mia bandana
volò via, perdendosi nel buio della notte.
“No!”
gridò, cercando di rimettersi in piedi e sporgendo il braccio
nel vuoto, inutilmente. “Non te ne andare, non lasciarmi!
Lina!”
Il mio cuore si accartocciò. Le urla di Gourry sovrastarono il frastuono della pioggia.
“Perché
mi hai fatto questo? Perché te ne sei andata? Come pensi che
possa continuare a vivere senza di te?”
Le lacrime
cominciarono finalmente a sgorgare dai suoi occhi e Gourry si
afflosciò sotto alla muratura della torre. Si piegò su se
stesso, singhiozzando convulsamente. Io mi inginocchia al suo fianco:
“Gourry, ti
prego, non fare così: io non ti ho lasciato!” Cercai di
scuoterlo, ma le mie mani lo attraversavano e lui si rannicchiava
sempre di più, fino a ritrovarsi sdraiato tra la fanghiglia del
suolo. Non smetteva di tremare e singhiozzare, biascicando parole senza
senso. Beh….Bisogna dire che era anche parecchio sbronzo. Pensai
ad un modo per convincerlo ad alzarsi e tornare in sé, e in quel
momento vidi che due braccia che,spuntate dal nulla, lo stavano
sollevando da terra.
All’improvviso
mi resi conto che Joy era al mio fianco e stava aiutando Gourry a
rialzarsi. Lo guardai con la bocca spalancata, ma Joy mi esortò
a farmi da parte:
“Lascia
stare ragazza-prodigio, ci penso io” disse, secco, incurante del
fatto che Gourry potesse sentirlo, cosa che in effetti era abbastanza
improbabile, dato lo stato in cui si trovava.
“È ubriaco fradicio” dissi, indicando la bottiglia vuota che era caduta poco più avanti.
“Già.”
“Come sapevi dove eravamo?”
“Me
l’ha detto lo stramaledetto gatto parlante. Ti aiuto a portarlo
in camera, niente di più.” chiarì Joy.
Che dire? Da lui
non mi aspettavo niente di più. Annuii energicamente, cercando
di non dare a vedere quanto fossi scossa nel vedere Gourry ridotto
così.
La mia valorosa
guardia del corpo si stava disfacendo un pezzo alla volta sotto i miei
occhi impotenti. Dovevo sbrigarmi a tornare prima che di Gourry non
rimanessero che briciole.
Joy riuscì
a mettersi un braccio dello spadaccino intorno alle spalle e a
trascinarlo fino alla sua stanza, dove lo adagiò sul letto,
stremato.
“Coraggio
amico, fatti una dormita…” cercò di confortarlo,
dandogli una pacca sulla spalla. Gourry aprì gli occhi, ancora
umidi di lacrime, guardandosi attorno smarrito.
“Joy…” balbettò. “Perché è successo a lei?”
Joy inspirò.
“Succede a tutti, Gourry. Presto o tardi, succede a tutti.”
Gourry non colse il senso profondo contenuto nelle parole del mercenario.
“Non ce la
faccio. Non posso vivere senza di lei…” singhiozzò,
affondando la testa nel cuscino. Joy mi parve particolarmente turbato.
“Gourry…”
disse, piano. “Che vai farneticando? Certo che ce la
farai… Fino all’altro ieri pensavi di farcela, almeno. Non
volevi partire e lasciartela alle spalle?”
Era la cosa
sbagliata da dire, Joy se ne rese conto quando vide l’amico
impallidire e scuotere la testa, il viso rigato di lacrime.
“Che idiota
sono stato. Pensare di vivere senza Lina… io la amo, l’ho
sempre amata. Senza di lei non sono niente.”
Solo a quel punto
una scintilla di comprensione si accese nello sguardo del mercenario.
Rimase silenzioso alcuni secondi, seduto sul letto accanto
all’amico, poi si alzò lentamente e si avviò nella
mia direzione, superandomi per uscire.
Solo quando fu un passo dietro di me lo sentii sussurrare:
“Non mi avevi detto che ti amava.”
Non dissi niente,
non ce ne era bisogno. Joy si era accorto prima di me quanto forti
fossero i miei sentimenti per Gourry, ma aveva volutamente ignorato
quelli che Gourry provava per me.
“Questo
cambia le cose” proseguì Joy. “Ti aiuterò. Lo
farò per Gourry, perché gli devo molto…”
“Bene”
Fu tutto quello che riuscii a dire. Volevo solo andare da Gourry in
quel momento, e fu quello che feci non appena Joy ebbe varcato la porta.
Mi raggomitolai al suo fianco, posandogli la fronte sotto al mento, mentre i suoi singhiozzi si andavano acquietando:
“Tornerò
da te Gourry, te lo giuro. Dovessi mettere sottosopra questo mondo e
gli altri esistenti. Io… ti appartengo. È buffo, sai? Ho
sempre creduto di appartenere solo a me stessa, ma non è
così: da sola non ce la faccio nemmeno io. Io sono tua, e
tornerò da te. Te lo giuro.”
Corsi giù dagli scalini scendendoli due a due. Negli occhi avevo ancora quell’immagine… Nelle orecchie la sua voce mi martellava ancora i timpani.
“Io sono tua.” Gli aveva detto la ragazza fantasma. “Sono tua.”
Come
potevo, a quel punto, tirarmi indietro? Persino per uno come me, per
uno che non era mai appartenuto a nessuno e che nessuno aveva mai
voluto… era chiaro il concetto.
Non potevo tirarmi indietro.
Corsi sotto alla pioggia del cortile, fermandomi, senza fiato, sotto alla tettoia di uno dei templi del palazzo.
Sentivo che le mani mi tremavano.
Ma perché proprio a me? Perché non potevo essere lasciato in pace?
Cercai tra le tasche una sigaretta e la presi fra le dita.
Era
la mia condanna, quella. E questa volta non avrei potuto sottrarmi al
destino. Lo dovevo a quell’uomo che mi aveva dimostrato amicizia
e lealtà negli anni più cupi della mia vita. E lo dovevo
a chiunque gli appartenesse.
Presi
un fiammifero e cercai di accenderlo, ma le mani mi tremavano talmente
tanto che la sigaretta mi cadde nell’acqua di una pozzanghera. Fu
quello il momento in cui cedetti. Mi portai le mani agli occhi e mi
lasciai scivolare lungo la parete viscida del tempio.
Forse,
quella volta, lo dovevo anche a me stesso. Per una volta non sarei
scappato. Avrei affrontato il mio buio, l'ombra che avvolgeva il mio
cuore.
Se
quello che ero significava avere la notte negli occhi, vedere cose che
non dovevano essere viste, conoscere mondi che la luce e la vita
ripudiavano… L’avrei accettato.
E avrei riportato a casa quella pestifera maga dai capelli di fiamma.
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Capitolo 12 *** Noi ***
capitolo 11
Noi
"Non è così raro per un uomo avere un problema,"
"Sì, hai ragione.” Disse l’uomo dai capelli neri, sporgendosi in avanti verso Gourry.
"Ma,
visto che anch’io sono un uomo, ti do un consiglio. Non mostrare
mai i tuoi problemi alla ragazza di cui ti innamori."
(‘Ciò che riesce a vedere oltre la punta della sua spada’, Hajime Kanzaka)
In quanti punti può strapparsi un’anima quando il cuore va in pezzi?
Ve lo siete mai chiesto? Io no. Non fino a quel momento, almeno.
Un soffuso chiarore rischiarò la stanza. Finalmente, dopo giorni, una mattina senza pioggia.
Come se la cosa
potesse importarmi. Ma almeno, l’alba era arrivata. C’erano
stati momenti, durante quella notte, in cui ne avevo dubitato.
C’erano
state lacrime, quella notte; c’erano stati singhiozzi, grida
disperate e un’anima che si sgretolava davanti ai miei occhi. Era
così che Gourry mi aveva detto addio, consapevole finalmente
della mia assenza, ma all’oscuro del fatto che fossi al suo
fianco.
E in quel
momento, stremato, dormiva tra le lenzuola sfatte: le palpebre gonfie a
nascondere gli occhi rossi, le vesti stazzonate, l’anima lacerata.
Perché le cose che sono cucite insieme, le devi strappare per dividerle.
Guardai Gourry e
sospirai al pensiero di quello che mi aspettava una volta varcata la
soglia di quella stanza: un gatto con manie omicide e un negromante con
la fobia dei morti.
Fantastico.
Sconfortata da
quel pensiero considerai fosse giunto il momento di cominciare a darsi
da fare per risolvere quel problema: prima avrei rispedito questo
Signore delle Ombre nel suo regno di anime defunte, prima quella
situazione non sarebbe stata altro che uno spiacevole ricordo.
Per me e per tutti quelli che amavo.
Mi chinai verso
Gourry, sfiorandogli la guancia con la punta del naso. Le lacrime
salate si erano cristallizzate sul suo bel volto.
“Tornerò
da te” ripetei ancora una volta, quasi a volermelo imprimere a
fuoco nell’anima, come un mantra incoraggiante. Sapevo che quel
pensiero mi avrebbe confortato persino davanti ad ostacoli
insormontabili.
“Tornerò da te.”
Joy mi fissava. Era fastidioso. Molto fastidioso.
Seduto davanti a
me, consumava la sua colazione masticando lentamente, mettendoci il
triplo del tempo che ci avrei messo io davanti allo stesso piatto.
Era odioso e lento. Non capivo in che modo saremmo mai potuti andare d’accordo io e lui.
“Si può sapere che diavolo hai da guardare?” Sbottai infine, esasperata.
Joy
scrollò le spalle, e si cacciò in bocca una forchettata
di uova strapazzate, facendomi venire l’acquolina in bocca.
“Allora?”
lo sollecitai, non sapendo se ero più irritata dai suoi modi o
invidiosa dal suo stomaco che poteva riempirsi.
“Niente,
sei strana” disse alla fine, stando bene attento a non farsi
sentire dagli altri commensali che conversavano qualche sedia
più in là.
“Sono
morta, non sono strana” sbuffai, appoggiandomi contro allo
schienale della sedia. Amelia, Zel e Phil avevano consumato una
colazione veloce e silenziosa poco prima, alzandosi quasi subito per
andare ad occuparsi dei numerosi problemi che incombevano su Sailunne:
una duchessa scomparsa, un pericoloso assassino ancora a piede libero,
ed una cara amica morta stecchita.
Da quando Anouk
era sparita senza lasciare tracce, Rebecca e Camelia non si facevano
più vedere a palazzo, rimanendo barricate nell’ala del
castello che Phil aveva messo loro a disposizione.
Forse pensavano
che mostrare il proprio dolore non fosse degno del loro rango. O forse
temevano qualcosa… In fondo erano venute a Sailunne per cercare
protezione.
Io ero solo
dispiaciuta per Phil, perché quei due giorni terribili erano
bastati a fargli perdere il suo consueto entusiasmo: pareva invecchiato
di vent’anni mentre di districava tra tutte quelle tragedie.
Joy bevve una
sorsata di caffè, dopodiché aggiunse: “Per strana
non mi riferisco al fatto che sei morta. O mezza-morta.”
“Quindi?”
Gli chiesi alzando un sopracciglio. Non mi piaceva che mi si ricordasse
la mia attuale condizione, in quel momento.
“Mi hanno
raccontato cose terribili su di te. Cose che avrebbero fatto rizzare i
capelli sulla testa persino a un demone; cose leggendarie, oserei
dire.” Il tono di Joy si fece ancora più basso, quasi
cospiratorio. “Sai cosa si dice sul tuo conto?” Mi
domandò. Io roteai gli occhi al cielo: “Fammi indovinare:
sterminatrice di banditi, ammazza draghi, sacro terrore
dell’associazione dei locandieri…” Cominciai ad
elencare, cercando di ricordarmi ogni fantasioso appellativo con la
quale ero stata definita.
Joy scosse la testa: “Stronzate a parte” specificò.
Feci spallucce: “Impressionami.”
Joy spostò
il piatto, ormai vuoto, e si mise ad arrotolare una sigaretta sul
tavolo. Sapeva che trovavo vomitevoli le sue maledette sigarette. La
sua voce uscì dalle sue labbra come un soffio:
“Si dice
che tu abbia in te la potenza del caos. Che avresti potuto distruggere
questo mondo, e gli altri esistenti… Solo per un capriccio”
Rimasi di sale. Poi, vedendo che Joy non aggiungeva altro, domandai:
“Chi te lo ha detto?”
“Un
uccellino” replicò sarcastico il mercenario, sigillando
con la saliva la carta della sigaretta. Poi, vedendo il mio cipiglio,
si limitò ad aggiungere: “Me l’ha detto la gatta,
stanotte.”
Rimasi in
silenzio, pensierosa. A quanto pareva Babette sapeva sul mio conto
molte più cose di quanto avrei desiderato. Ovviamente si era
informata a dovere prima di scegliermi come alleata. Ma questo non mi
faceva decisamente saltare di gioia: cosa prevedeva che avrei dovuto
affrontare se aveva rivelato a Joy che ero in grado di castare un Giga
Slave?
Ma, proprio in
quel momento, a disturbare i miei pensieri, intervenne una voce nota,
accompagnata da un sorriso sfavillante: “Siamo mattinieri,
vedo” disse Nayden, che era apparso in tutta la sua scintillante
bellezza al fianco di Joy, il quale grugnì in risposta.
Nayden non parve
offeso dalla scortesia del fratello; scostò una sedia dal tavolo
e sedette al suo fianco: “Allora Joy, hai intenzione di mettere
radici a Sailunne?”
“Se anche fosse?”
“Dimmi
quali sono i tuoi progetti. Il tuo uomo di fiducia, l’unico che
ti è rimasto del tuo esercito di traditori, mi stava dicendo che
ieri scalpitavi per andartene il prima possibile. Cos’è,
hai cambiato idea?”
“No.”
Nayden si appoggiò allo schienale della sedia, fissando suo fratello con gli occhi ridotti a due fessure.
“Io rimango
a Sailunne. Voglio scoprire chi ha assassinato la maga” disse
quindi, facendomi trasalire. Joy levò un sopracciglio:
“Non mi pare di avertelo chiesto. Ma dato che sembri in vena di
confidenze, posso chiederti perché?”
“Rispetto…
credo” Nayden parve rifletterci. “Stimavo Lina Inverse. Non
riesco ancora a credere che qualcuno possa averla avuta vinta
così facilmente. E poi ci sono le duchesse: hanno bisogno di
aiuto e protezione.”
“Che animo nobile” commentò sarcastico Joy.
“Ti infastidisce, vero?”
Joy sbatté
le palpebre: “Perché dovrebbe infastidirmi? Di quello che
fai e pensi, con rispetto parlando, non me può importare di
meno.”
“Io
credo di sì, invece. Ti infastidisce che io possa avere una
buona causa, vero? Perché è questo che tu non hai mai
avuto, in tutti questi anni di vagabondaggi: una buona causa.”
Supponevo che
Nayden avesse appena toccato un nervo scoperto. Joy diventò
rosso di rabbia, cercò di ribattere, poi ci rinunciò e si
sollevò dalla sedia.
“Te le lascio volentieri le buone cause, del resto in famiglia sei sempre stato tu quello con la vocazione da eroe.”
Nayden scosse la
testa: “Tu invece sei sempre stato quello con la vocazione al
martirio. Ti sto solo dicendo che apprezzerei molto il tuo aiuto in
questa situazione.”
“Di quale aiuto può avere bisogno il grande Nayden?”
Il mago attese
qualche secondo, poi afferrò il braccio di suo fratello, con un
gesto talmente rapido da farmi sobbalzare, sussurrando:
“Se sai
qualcosa, qualunque cosa, sulla morte di Lina Inverse…” Ma
Joy non lo lasciò nemmeno proseguire. Si divincolò,
lanciando a Nayden un’occhiata gelida.
“Non contarci” replicò. “Me ne frego di tutta questa situazione, e dovresti farlo anche tu.”
Nayden non
mollò la presa che aveva su di lui, e avvicinando il viso al suo
sibilò: “La nonna aveva ragione. La tua anima è
nera come i demoni che la abitano.”
Il volto di Joy si fece cinereo. Tuttavia la sua espressione rimase neutra.
“Cosa vuoi
che ti dica, fratellino? Il nero mi ha sempre donato” disse solo,
prima di darci le spalle e andarsene a grandi passi.
Quando finalmente
riuscii a raggiungerlo, lo trovai che fumava furibondo appoggiato a una
delle colonne del tempio. Mi affiancai a lui, silenziosa. Non avevo
bisogno di chiedergli per quale motivo avesse taciuto tutto a Nayden:
Babette aveva specificato che le questioni dei morti riguardavano i
morti, e dopotutto Joy non doveva detestare poi così
profondamente suo fratello visto che in fondo voleva solo risparmiargli
dei guai.
Sedetti su uno
scalino, e aspettai che Joy finisse la sigaretta. Dovevamo trovare
Babette per poterci, finalmente, mettere in viaggio verso Solaria.
Prima partivamo e prima quell’incubo avrebbe avuto fine.
“Non dici
niente?” mi domandò, guardando verso il cielo. Gli rivolsi
un’occhiata perplessa. Joy buttò la cicca, si
scrollò e sedette al mio fianco: “Non ci siamo mai presi.
Lui è così… perfetto. Mentre io… sono solo
io ” mormorò.
“Nessuna
famiglia è perfetta” dissi, cauta, pensando alla mia
famiglia. “Se ti può consolare, nemmeno io sono mai andata
troppo d’accordo con mia sorella. Me ne sono andata di casa
presto, proprio per questo motivo. Per fortuna, Luna non ha mai avuto
l’impulso di seguirmi per sapere se stavo bene. Nayden,
quantomeno, si preoccupa per te” aggiunsi, fissandomi la punta
degli stivali.
Joy attese qualche secondo, poi mi domandò: “Perché te ne sei andata?”
Sollevai lo sguardo e i miei occhi si persero nel cielo.
“Per andare
dove nessuno aveva mai avuto il coraggio di andare. Per imparare. E per
essere una persona diversa e… Migliore, suppongo”
“E ci sei riuscita?”
I miei occhi si riabbassarono.
“Non lo so.
Però ho conosciuto qualcuno che mi ha insegnato che, in fondo,
andava bene anche così. Ero perfetta così come ero.”
“Già.”
“Già.”
Rimanemmo in silenzio alcuni secondi.
“Joy…”
Non sapevo perché, ma improvvisamente sentii il bisogno di
dirglielo. “Tornando al discorso di prima… quella volta,
sai, il mio non è stato un capriccio. E non me ne pento, anche
se le conseguenze avrebbero potuto essere… disastrose.
L’ho fatto per un motivo ben preciso.” Se dovevamo essere
compagni d’avventura era bene che sapesse che non consideravo il
mio più grande errore un errore. L’avrei rifatto mille
volte ancora, se fosse stato necessario.
Joy
sospirò: “Lo sospettavo, ed è proprio questo il
problema, Lina. È questo che ti rende diversa dalla maggior
parte delle persone: chiunque, nella tua situazione, si sarebbe imposto
dei limiti. Tu no. Ma la tua posizione, in questo momento, non te lo
consente. Lo sai quanto rischi? Sei in bilico su una linea: un passo
avanti, e sei fregata.”
Quelle parole
fecero riaffiorare qualcosa nei miei ricordi… Un fiume freddo, i
miei piedi immersi nell’acqua, e una voce suadente e inquietante
al tempo stesso che mi spingeva a proseguire.
“Come lo
sai?” Strabuzzai gli occhi, guardando Joy “Asp…
Aspetta. Tu puoi vedere la linea di confine? Riesci a scorgere il punto
in cui sono bloccata?”
Joy distolse lo sguardo dal mio: “Più o meno, e in maniera molto confusa.”
“Ma
quindi…” Il mio sguardo si sgranò “Puoi anche
riportarmi indietro? Joy, tu lo puoi fare?”
Ma prima che potessi udire la risposta del mercenario, una voce miagolante si intromise nel discorso:
“Potrà farlo, ma ad una sola condizione.”
La gatta aveva
uno sguardo e sornione e placido, gli occhi appena dischiusi sotto al
riverbero del sole che faceva splendere la sua pelliccia argentata. Si
accoccolò sullo scalino sopra a quello su cui sedevamo noi.
“Dobbiamo
considerare una tua prerogativa quella di spuntare sempre dal nulla e
senza il minimo preavviso?” chiesi, non ancora abituata del tutto
a rivolgermi ad un gatto.
“No, a quanto pare è tipico di ogni gatto” rispose lei, lasciandomi ammutolita.
In effetti, anche
io avevo sempre sospettato che i felini possedettero il dono del
teletrasporto oltre a quello dell’ubiquità. O forse,
semplicemente, potevano rendersi invisibili e visibili a loro
piacimento, chi poteva dirlo? Era meglio non indagare.
“D’accordo, lasciamo perdere… Quale condizione?”
Ovviamente, resuscitare non poteva essere così semplice come chiedere a Joy di farlo.
Peccato.
Babette dischiuse appena gli occhi, scoprendo una sottile mezzaluna d’ambra.
“In questo
momento Joy possiede solo la vista. Può vedere te Lina, e
può vedere oltre la membrana che separa il mondo di sopra dal
mondo di sotto. È il suo dono, quello di avere la notte negli
occhi e indagare le ombre.”
Sentii Joy che si
irrigidiva al mio fianco. Evidentemente, il fatto di aver accettato di
aiutarmi non significava che avesse accettato anche il lato scuro
del suo essere.
Babette gli rivolse un’occhiata pensierosa.
“Joy
è potente, molto più di quanto immagina” disse,
parlando di lui come se lui non fosse lì.
“tuttavia… Nessun negromante può compiere un
sortilegio come quello di risvegliare dalla morte senza
l’Akan.”
Non avevo la
più pallida idea di cosa stesse parlando Babette. Mi voltai
verso Joy, sperando di cogliere una scintilla di comprensione nel suo
sguardo, ma rimasi delusa. Il mercenario, a quanto pareva, ne sapeva
quanto me.
“Akan?” Chiesi, perplessa.
Babette mosse la coda. Cattivo segno.
“L’Akan
è uno dei sette strumenti magici più potenti del nostro
mondo. È il richiamo che può attirare da qualunque
distanza, la melodia capace di risvegliare il sonno più
profondo, come quello eterno. L’Akan è il bastone del
negromante, ed è stato sequestrato anni fa al suo possessore,
per essere custodito qui a Sailunne, la sacra città della magia
bianca.”
Io e Joy ci scambiammo un’occhiata perplessa:
“Sequestrato?”
“Proprio
così. L’ultimo negromante a impugnarlo è stato il
duca di Solaria, l’ultimo discendente di una lunga stirpe di
negromanti. L’Akan è appartenuto a quella famiglia per
lunghi secoli. Fino all’incidente che ha reso i confini di questo
mondo e quell’altro troppo fragili e sottili. Il principe di
Sailunne, a quel punto, ha ritenuto necessario allontanarlo dalla porta
di specchi. Venne stipulato un accordo tra questo regno e il ducato di
Solaria: l’Akan doveva essere custodito, nascosto, tenuto
segreto, perché il suo potere era troppo grande e
pericoloso.”
“La porta di specchi?”
“La porta
di specchi è un passaggio, Lina. Il passaggio tra il mondo dei
vivi e quello dei morti: l’imbocco è situato proprio a
Solaria, e tutti i negromanti che si sono susseguiti nei secoli, uno
dopo l’altro, hanno giurato di custodire quel confine. Da quando
il duca è morto senza eredi, non c’è nessuno a
guardia della porta. Venti malvagi spirano da quel passaggio e
l’Akan, adesso, servirà a noi per impedire che ne
fuoriesca qualcosa.”
“Hai detto che tutti i duchi che si sono susseguiti avevano il dono della negromanzia?”
“Sì,
il fatto di poter comunicare con gli spiriti è un dono che si
trasmette col sangue, di generazione in generazione.”
“Quindi,
riassumendo: niente eredi maschi, niente custodi, dico bene? Dobbiamo
necessariamente accontentarci di Joy.”
Il mercenario mi rivolse un’occhiata offesa.
“Joy
può farcela. Il suo potere è molto forte, ma prima,
dovrete rubare l’Akan” proseguì Babette. Sembrava
nutrire una fiducia assoluta in Joy, contrariamente alla sottoscritta.
“Rubare? Non avevi specificato che si trattava di un furto!”
“Credevo fosse implicito” Babette non si scompose.
D’accordo,
in effetti dovevo ammettere che non si poteva semplicemente mandare Joy
a chiedere questo benedetto Akan a Phil. Ve la immaginate la scena?
“Salve
principe, sono un apprendista negromante e mi chiedevo se non potessi
fare un po’ di pratica con il prezioso e potentissimo strumento
che lei tiene confiscato qui a Sailunne per ragioni di sicurezza.
Prometto di riportarlo, dopo che l’avrò usato per salvare
il mondo da una terribile minaccia.”
“Ma certo
figliolo, lascerò volentieri l’Akan nelle mani del primo
che passa se è per la pace e la giustizia!”
Mmmh… Pensandoci bene Phil avrebbe potuto veramente pronunciare una frase del genere.
Ad ogni modo…
“Ricapitoliamo:
rubiamo l’Akan, ci dirigiamo a Solaria, sconfiggiamo i cattivi,
ripristiniamo l’ordine e riportiamo l’Akan a Phil. A quel
punto Joy mi farà tornare normale? È una questione che mi
preme chiarire, se mi capisci.”
“Naturalmente, Lina.”
Avete mai fatto caso a quanto può essere ambiguo il sorriso di un gatto?
Sospirai.
“Affare fatto. Dov’è questo Akan?”
“Ti
ringrazio per avermi interpellato!” Si inalberò Joy
“Ti ricordo che sarò io quello che dovrà avere a
che fare con questo affare.”
“Taci, Joy. Se non te ne fossi accorto, ormai siamo in ballo: dobbiamo ballare! Allora, andiamo a prenderlo?”
Joy incrociò le braccia al petto e sprofondò in un silenzio imbronciato.
Babette aveva proprio l’aria del gatto che ha mangiato il canarino.
“Ci penseremo questa notte. Questo è un lavoro che va fatto con il favore dell’oscurità”
In quel caso, mi scocciava ammetterlo, i canarini eravamo proprio io e Joy.
“Ci hai messo in un bel casino, Inverse.”
“Parla per te, io ero già in un bel casino!”
Babette ci aveva
lasciati e io scalpitavo, in preda all’impazienza. Avere
l’Akan significava avere un vantaggio, e avere un vantaggio
significava moltiplicare le probabilità di uscire vittoriosa da
tutta quella storia.
“Certo che è proprio una bella gatta da pelare. Senza offesa per quella bestiaccia, ovviamente.”
Roteai gli occhi al cielo.
Ma un negromante affabile e intraprendente che facesse il lavoro al posto di Joy secondo voi ero ancora in tempo a trovarlo?
Stavo per ribattere, quando una voce assai nota mi distrasse, facendomi perdere il filo del discorso.
Gourry saliva
stancamente gli scalini del tempio. Si era cambiato d’abito,
notai, ma supponevo non l’avesse fatto volontariamente. Ci vedevo
dietro lo zampino e l’insistenza di Amelia.
Era Gourry, maledizione, bello come un dio, ma…
Fu quello che
aveva tra le mani a spezzarmi il cuore: un piccolo mazzo di fiori,
bianchi. Se aveva deciso di portarmi dei fiori, voleva dire che per lui
ero proprio andata. Scivolata via per mai più tornare.
Voi portereste fiori sulla tomba di qualcuno se pensaste di riuscire a rivederlo?
Appunto.
“Ciao, Gourry. Dove te ne vai di bello?”
Le parole del mercenario caddero nel vuoto. L’idiozia di quella domanda era evidente. Joy provò a rimediare.
“Ti va di farmi compagnia mentre fumo una sigaretta?”
Gourry
sospirò e sedette esattamente tra me e Joy. Beh, lui
probabilmente era convinto di essere seduto solo al fianco di Joy.
“È proprio necessaria la sigaretta?” domandai, irritata.
“Taci” replicò Joy.
“Cosa?” chiese Gourry.
“Ecco, dicevo… Taci? Sono fiori ‘taci’, quelli?”
Gourry sembrava confuso: “Non saprei. Non li ho mai sentiti nominare, questi fiori… Come sono fatti?”
“Oh,
beh… ecco, è una specie molto rara” Joy era in
difficoltà. “Ma, no! Mi sono sbagliato, i fiori taci non
sono di queste parti…”
Roteai gli occhi al cielo. Due imbecilli, ero circondata.
Gourry osservò il mazzolino che aveva in mano:
“Ad essere
sincero non so che fiori siano… Li ho raccolti nelle serre del
palazzo. È strano, ma non riesco a ricordare quali siano i
suoi fiori preferiti…” La voce gli si smorzò un
po’.
“Sono fiori
molto belli…” Intervenne Joy, rollando il tabacco tra le
agili dita. “Ad ogni modo, se fossi in te non le porterei dei
fiori. Non mi sembrava il tipo, dopotutto.”
Gourry abbassò lo sguardo:
“Forse hai ragione. Non so nemmeno cosa mi sta passando per la testa. Sono così confuso…”
Joy espirò una nuvola di fumo dalle labbra.
“Comunque”
proseguì Gourry “Volevo ringraziarti per questa notte. Ero
fuori di me e… credo di aver perso il controllo.”
“Niente
ringraziamenti” Joy scosse la mano davanti a sé.
“Siamo stati compagne d’arme. Per i compagni
d’arme certe cose sono dovute”
“Già”
Gourry sospirò. Ci fu un attimo di silenzio. Avrei tanto voluto
poter posare la mia mano su quella dello spadaccino.
“Non so proprio cosa farò senza di lei.”
Joy aspirò una lunga boccata dalla sigaretta. La cenere divenne incandescente.
“Allora non fare niente. Passerà”
Gourry scosse la testa:
“No. Non
passerà. Non passerà mai. Lei per me era… Tutto.
Tutto.” Lo ripeté due volte. Doveva essere un concetto ben
chiaro. Mi sentii inconsolabile per lui, quando avrei dovuto esserlo
più per me: in fin dei conti, anche lui per me era tutto.
Il mercenario si accigliò.
“Perdona la
mia crudezza, Gourry, ma… perché non me ne hai parlato
prima? Non ti avrei mai chiesto di seguirmi se avessi sospettato che la
tua vita aveva un senso solo accanto a Lina.”
Gourry si morse un labbro:
“Non me ne
volere, non ne ho mai parlato con nessuno. Non ne avevo bisogno, mi
bastava starle accanto per sapere che tutto aveva un senso. Tutto
sembrava possibile con lei al mio fianco. Tutto sembrava accettabile,
persino il mio passato. Lina era l’unica persona in grado di
farmi vivere il presente, solo il presente.”
Faticò a pronunciare il nome che non era più nemmeno un nome; era un ricordo, doloroso.
“Eppure
saresti partito.” Joy non demordeva. Lo lasciai fare, in fondo
quello era il confronto che non aveva mai avuto con Gourry.
“Sì,
sarei partito. Pensavo di doverle rendere una libertà di cui mi
ero appropriato ostinandomi a starle accanto, ma…”
Sapevo a cosa
stava pensando. La morbidezza delle sue labbra indugiava ancora sulle
mie, come una dolce carezza. Che stupida ero stata a metterci degli
anni per ammettere di amarlo. Quando si dice morire pieni di
rimpianti…
“Ma hai
scoperto che non c’era nessuna libertà da restituire
perché anche lei voleva stare con te.” Terminò la
frase Joy, lanciandomi una breve occhiata. Gourry non replicò,
ignaro del fatto che quella fosse la dichiarazione di definitiva
sconfitta da parte del suo amico nei miei confronti. Joy sapeva
dall’inizio che non volevo lasciarlo andare, sapeva che ero
innamorata di Gourry ancora prima che io stessa me ne rendessi conto.
E, nonostante questo, aveva fatto di tutto per portarmelo via.
Ora, finalmente, aveva capito di aver combattuto una battaglia persa in partenza. Io e Gourry eravamo una cosa sola.
Restammo immobili
sotto al tiepido sole di fine inverno. Uno spadaccino spezzato, una
maga fantasma e un negromante particolarmente imbranato.
Che squadra, ragazzi.
Fu la voce di Joy a rompere il silenzio:
“Sai
Gourry, secondo me ti sottovaluti. Quando eravamo compagni di ventura,
nemmeno io avrei voluto che tu te ne andassi. Credo che tu abbia la
rara capacità di creare legami: è stata dura vederti
partire da solo, con quella spada troppo grossa sulle spalle. Ti
consideravo un vero amico.”
“Lo sai perché l’ho fatto…” La voce di Gourry era quasi un sussurro impercettibile.
“Sì,
desideravi la pace che non avevi mai avuto. Era la stessa cosa che
volevo anch’io. Ma tu, a differenza mia, devi averla
trovata… Per un po’. ” Joy aspirò
l’ultima boccata di fumo dalla sua sigaretta. “Sai,
quando ti ho rivisto, in quella taverna, all’inizio di questo
viaggio… Ti ho riconosciuto a stento. Qualcosa, nei tuoi occhi,
sembrava aver ripreso vita. Eri diverso, sembravi felice. Ti ho
invidiato.”
Gourry sorrise amaramente
“Mi invidi ancora?”
“No. Ora ti sono vicino.”
Joy posò una mano sulla spalla di Gourry. Un commovente quadretto di solidarietà maschile.
“Posso farti solo una domanda?” Chiese a quel punto il mercenario, gettando lontano il mozzicone.
“Dimmi…”
“Quando è successo?”
“Cosa?”
“Quando hai detto addio alla tua sanità mentale innamorandoti di lei?”
Evviva la
schiettezza! Forse Joy non aveva ancora capito a quali rischi andava
incontro con una persona suscettibile quanto la sottoscritta. Gli
lanciai un’occhiata che sarebbe bastata ad incenerire un drago:
primo, perché non erano assolutamente fatti suoi, e secondo,
perché non mi sembrava carino estorcere a Gourry la
verità sui propri sentimenti davanti alla diretta interessata.
Ma Joy non colse la ‘lieve’ sfumatura di rabbia nel mio sguardo, oppure scelse deliberatamente di ignorarla.
Quanto a me, d’accordo, ero adirata. Ma anche curiosa.
Mi voltai verso
Gourry e, inaspettatamente, per la prima volta da quando era successo
quello che era successo, vidi affiorare l’ombra di un sorriso sul
suo volto. “Perché lo vuoi sapere?”
Joy fece
spallucce “Sei sempre stato uno che rimorchiava, di questo devo
dartene atto. Ricordo ancora gli sguardi adoranti delle ragazze che
incrociavamo mentre attraversavamo i villaggi durante la guerra: le
donne cadevano ai tuoi piedi come mosche. E avresti potuto avere le
più belle dame della penisola: occhioni azzurri, fisico
atletico, modi da gentiluomo e una famiglia nobile alle spalle. Quando
sei partito ho immaginato spesso che ti avrei ritrovato sposato a
qualche altolocata nobildonna, invece…” Joy scosse la
testa, mentre io provavo l’irresistibile impulso di farlo tacere
con una bastonata. “Invece ti ho trovato ancora più
squattrinato e vagabondo, ma felice… al seguito della persona
più egocentrica e folle che potessi mai conoscere.
Perché, Gourry? Cos’aveva Lina per meritare la tua
devozione? Come ha fatto lei ha donarti la pace?” Sentivo una
leggera sfumatura di rammarico nella sua voce. Ma questo non sarebbe
bastato a fermare la mia rabbia nei suoi confronti. Volevo che Gourry
si alzasse e se ne andasse. Non volevo sentirlo parlare di me, del
nostro rapporto, di quello che ci aveva legato negli anni. Era troppo
intimo. Era troppo… doloroso.
Forse avrei potuto andarmene io, a quel punto. Ma quando Gourry parlò, rimasi inchiodata allo scalino del tempio.
“Lina
era… la mia casa.” Sorrise debolmente. “Una casa che
aveva per tetto il cielo stellato e per pareti il mondo. Che aveva come
camera da letto locande e foreste e come cucina osterie alla buona. Una
casa in cui potevi sentirti sempre al caldo, persino sotto alla neve.
Lina, all’inizio, è stata la ragione al quale mi sono
aggrappato per dare un senso al mio vagabondare con quella stupida
spada. Avevo bisogno di sentirmi utile, in qualche modo, di sentirmi
vivo… E lei era una ragazzina di quindici anni, che attraversava
da sola una foresta infestata di banditi.”
Vidi che Joy
sollevava un sopracciglio, scettico: “La fanciulla bisognosa e il
prode cavaliere?” chiese, con un sogghigno.
“Già,
detto così può sembrare il più banale degli
stereotipi. Ma la realtà è che lei non aveva affatto
bisogno di me, ero io quello che aveva bisogno di aiuto.” Gourry
sospirò: “Fino a quel momento mi ero ritenuto un uomo con
abbastanza esperienza per poter dire di averne viste tante, ma a lei
sono bastate poche ore per ridimensionare drasticamente la visione che
avevo del mondo. Non avevo mai conosciuto una persona del
genere… E, incredibilmente, mi ha lasciato viaggiare al suo
fianco. Finalmente, dopo anni, avevo uno scopo. E lei sembrava
così piccola e indifesa, con quella pelle bianchissima e gli
occhi grandi, da bambina. Ma sapevamo tutti e due che le
mie erano solo scuse: se c’era una persona al mondo che poteva
dire di sapersela cavare da sola, beh, quella era Lina.”
Gli occhi di
Gourry cercarono il cielo: “Sapevo quanto fosse potente, quanto
fosse ostinata e caparbia. È stata l’unica persona
al mondo che abbia mai visto prendere un demone a padellate. Eppure,
stavo male se si faceva un graffio. Col passare del tempo mi sono reso
conto che stavo travalicando quello che doveva essere il mio ruolo. E
più la conoscevo, rendendomi conto del suo reale potere,
più, nonostante tutto, diventavo apprensivo. Ho cominciato a
dormire armato solo per poter essere pronto ad irrompere nella sua
stanza in caso di pericolo e ho sviluppato al massimo ogni mio senso,
per essere sempre vigile. Anche nei momenti in cui sembravo più
rilassato, avrei potuto inchiodare al suolo in meno di due secondi
chiunque le si fosse avvicinato più del dovuto.”
Oh, Gourry. E io che pensavo dormisse con la spada per evitare che glie la rubassi nel sonno…
“All’inizio
non me ne sono reso conto. Vegliavo su di lei come avrebbe potuto fare
un fratello maggiore. Mi inteneriva, volevo che vedesse in me qualcuno
di cui fidarsi e a cui ricorrere nel momento del bisogno, ma anche un
amico con cui confidarsi, se mai ne avesse avuto voglia.”
‘E ci sei riuscito, cervello di medusa…’ pensai con un sorriso triste. Mi mancavano le nostre chiacchierate.
“Così
sono riuscito a ingannarmi, per i primi mesi. Mi ripetevo che Lina era
una mina vagante lanciata per il mondo, e che qualcuno doveva assumersi
l’arduo compito di salvare il salvabile, dopo il suo passaggio.
Ma sapevo che la scusa non poteva reggere ancora per
molto…” Gourry fece una pausa, e in quel momento mi resi
conto che mi piaceva essere raccontata dalla sua voce. Forse avrei
potuto chiedergli di scrivere una ballata su di me, non appena ne
avessi avuta l’occasione. Insomma, concorderete con me che le
leggende vadano tramandate, no?
Ora anche Joy guardava il cielo, immerso nei suoi pensieri.
“Una sera
di fine estate, dopo alcuni mesi che viaggiavamo insieme, eravamo
seduti al tavolo di una locanda. Mi piaceva mangiare con Lina, era
sempre una sfida: non sapevi mai a quali guai potevi andare incontro.
In genere pranzi e cene finivano sempre con una zuffa. Il problema vero
si presentava quando a questa zuffa prendevano parte anche altre
persone, di cui involontariamente invadevamo il tavolo con pietanze che
prendevano il volo nei nostri tira e molla. Sai, in genere non
frequentavamo ristoranti di alto livello, era una cosa abbastanza
comune ritrovarci seduti al fianco di mercenari e banditi della peggior
specie. E ti assicuro che non la prendevano bene: a nessuno piace
ritrovarsi una costoletta mangiucchiata nel bicchiere della birra.
“Fu
esattamente quello che successe quella sera, quando il volo di un
succulento ossobuco centrò in pieno la faccia
dell’energumeno a capo della banda di briganti che ci sedeva a
fianco. Ovviamente non ne fu affatto contento, ma, e qui viene il
bello, la più adirata era proprio Lina, l’autrice del
lancio, che cominciò a lamentarsi dicendo, a voce nemmeno troppo
bassa, che ora l’ossobuco era rovinato e che quello era il pezzo
migliore dell’intera portata.
“Gourry vai a riprendere quell’ossobuco, forse se lo puliamo con un tovagliolo possiamo ancora mangiarlo!”
“Lina,
abbassa la voce!” Io ero diventato tutto rosso, un po’ per
la figuraccia, un po’ per il tentativo di non scoppiare a ridere
in faccia a quel bandito che, tutto sporco di sugo, ci fissava con gli
occhi ridotti a due fessure.
“Cos’è,
non avrai mica paura di quei quattro bifolchi?! Ho pagato per mangiare
in questo posto che pare faccia i migliori ossibuchi della
penisola!”
A quell’affermazione, le teste dell’intera tavolata si levarono della nostra direzione.
Ecco, quello era
il momento del: ‘Oste, ci porti il conto, il resto lo incartiamo
e lo mangiamo per strada! ( se facciamo in tempo a levare le tende
prima che il suo locale venga disintegrato.)’
Succedeva più spesso di quel che avrei voluto. Con Lina non si poteva mai stare tranquilli.
“Ehi,
mocciosa! Come ti permetti di insultare il nostro capo lanciandogli i
tuoi scarti?!” Eruppe uno di quei rozzi individui.
“Gourry, hanno sentito bene le mie orecchie?” L’espressione di Lina non prometteva niente di buono.
Io la guardai vagamente spaventato. Temevo il resto della frase.
“Sbaglio,
ma non solo ho sentito la parola ‘mocciosa’, ma ho sentito
anche che chiamavano il pezzo migliore del mio vassoio di ossibuchi
scarto?”
Si
scrocchiò le dita, e non era mai un buon segno quando lo faceva.
Sentivo odore di guai, così decisi di prendere in mano la
situazione:
“Beh,
è possibile che questi signori abbiano usato questi due termini,
ma, Lina, perché non lasciamo perdere e continuiamo a mangiare
come se niente fosse successo? Guarda, ti lascio il mio ossobuco
migliore…”
Le mie buone intenzioni ovviamente vennero troncate sul nascere.
“Non
è per l’ossobuco, dannazione! Nessuno parla così a
Lina Inverse e vive abbastanza a lungo da raccontarlo!”
“E chi sarebbe Lina Inverse, tu, piccola carota?”
Si profilavano grossi guai in vista.
Allungai una mano proprio mentre Lina stava per scattare, afferrandole il polso prima che potesse scagliarsi su quegli uomini.
“Oste!” gridai “Può portarci il conto?”
Quando finalmente riuscii a trascinarla fuori dalla locanda era recalcitrante e profondamente offesa.
“Lasciami Gourry! Perché abbiamo dovuto andarcene noi?!” esclamò, divincolandosi con uno strattone.
“Lina”
Tentai di farla ragionare. “Tu hai lanciato un ossobuco sulla
faccia di quel bandito dall’aria poco raccomandabile, e io questa
notte non voglio dormire nel bosco inseguito da tutti gli abitanti di
questo villaggio perché qualcuno di mia conoscenza ha
disintegrato l’unica locanda del paese!”
Pestò un piede a terra e si voltò, a braccia conserte, tenendomi il broncio.
Io sospirai. Mi
dispiaceva vederla arrabbiata, ma almeno avevo evitato che la locanda e
i suoi avventori fossero spazzati via da uno dei suoi incantesimi.
Lina non scherzava mai su due cose: gli sprechi e il cibo.
L’aria
stava rinfrescando mentre le prime stelle già rischiaravano il
cielo. Guardai la schiena di Lina, le ciocche ramate che le sfioravano
le spalle. Sapevo che nel giro di dieci minuti le sarebbe passata, ma
in quel momento mi sentivo infelice ripensando all’espressione
contenta che aveva avuto quando, seduti al tavolo, mi aveva indicato il
menù rivelandomi che aveva sempre desiderato assaggiare i famosi
ossibuchi di quella zona.
Pensai di entrare
e fargliene preparare un’altra porzione ma, quando infilai la
mano in tasca, mi resi conto che il mio borsello non era dove avrebbe
dovuto essere… L’avevo lasciato sul bancone
dell’oste!
“Lina, ho lasciato i soldi nella locanda!” esclamai, strabuzzando gli occhi.
Lei non si prese la briga di voltarsi:
“E cosa
stai aspettando, testa di fagiolo, che qualcuno metta un cartello con
scritto ‘trovato borsellino pieno zeppo di
quattrini’?”
Mi voltai di
scatto, pronto a correre verso la locanda, ma proprio in quel momento
scorsi i tipi poco raccomandabili con la quale era nato lo spiacevole
diverbio uscire dalla porta. A quel punto mi bloccai, incerto. Cosa
dovevo fare? Recuperare i miei soldi o impedire che Lina staccasse a
morsi la testa di uno di quei tizi, tanto incoscienti da uscire
tranquillamente dalla locanda mentre lei era ancora nei paraggi?
Fu la voce di Lina a riportarmi alla realtà:
“Gourry, sappi che non ti farò prestiti.”
Dimenticavo: Lina non scherzava mai nemmeno sui soldi.
‘Entro,
recupero il borsello ed esco’ Pensai al volo, mentre imboccavo
l’entrata della locanda. In fondo supponevo che quei briganti da
quattro soldi non fossero davvero così incoscienti da andare a
stuzzicarla quando era ancora furibonda.
Beh, mi sbagliavo.
Non saprei dirti
quanto ci misi a riprendermi il borsellino, pochi secondi
probabilmente. Ma erano stati sufficienti: davanti ai miei occhi si
stava svolgendo una vera e propria rissa. Non indagai su chi
l’avesse provocata, sospettavo già di sapere il suo nome.
Mi feci avanti,
cercando di distinguere le figure aggrovigliate che si stavano
accapigliando. Sapevo solo una cosa: Lina se le stava dando di santa
ragione con quattro uomini che erano tre volte lei, e non aveva ancora
fatto esplodere nulla.
Sfoderai la spada
e, dalla nuvola di polvere che mi avvolse quando mi unii alla mischia,
riuscii a recuperare la maga mettendo fuori gioco i suoi avversari.
Dovevo dire che si era difesa bene anche da sola, ma…
“Lina, stai bene?” Le chiesi preoccupato, quando la rimisi in piedi. Il suo sguardo sprizzava scintille.
“Gourry!
Perché ti sei intromesso? Stavo dando a quei villani quello che
si meritavano per aver offeso così brutalmente una donna della
mia classe!” Esclamò, dando un calcio nello stomaco a uno
di quei tizi che ancora si rotolava nella polvere.
“Si,
hem… vedo” balbettai, leggermente intimorito. Gentilmente
la presi per le spalle e la feci allontanare. Quando Lina era ancora
carica di energia distruttiva era meglio trattarla con un certo
riguardo. Fu solo in quel momento che notai il labbro spaccato e
l’occhio tumefatto che le adornavano il viso, e subito mi sentii
colpevole.
“Sei ferita…” Le feci notare.
“Al
diavolo!” rispose, tastandosi il livido sotto all’occhio e
trasalendo. Nel frattempo una piccola folla si stava radunando attorno
ai quattro uomini ancora stesi al suolo.
“Andiamo
alla locanda” dissi, rinfoderando la spada, mentre Lina mi
precedeva con un diavolo per capello, ma senza obbiettare.
Quando arrivammo
alla locanda, comunque, il malumore della mia compagna di viaggio, se
possibile, peggiorò ulteriormente: c’era una sola camera
disponibile.
“Dormirò sulla poltrona” precisai subito, una volta varcata la porta della stanza.
Lina si
guardò intorno con sguardo tetro. A quanto pareva non si poteva
optare per soluzioni alternative, ma sapevo che la cosa la infastidiva.
“Vado a farmi un bagno” mugugnò soltanto, e io concordai sul fatto che fosse un’ottima idea.
Più tardi,
me ne stavo anch’io a mollo nelle terme della locanda. Riuscivo a
vedere un sottile spicchio di luna risplendere da una finestra alta. Mi
infondeva pace quel luogo, c’era solo il pensiero di Lina a
sprofondarmi in una segreta angoscia. Non sopportavo l’idea che
qualcuno avesse potuto farle del male.
E non mi era di
alcun conforto sapere che poteva guarirsi le ferite con un Recovery.
Avrei dovuto proteggerla con più riguardo. Al diavolo il mio
stupido borsello portamonete, pensai, stringendo la spugna e gettandola
lontana.
Ma perché non aveva usato la magia?
Quando,
mezz’ora dopo, rientrai nella stanza, lei era già a letto.
Ma non stava dormendo; sedeva tra le lenzuola tenendosi le ginocchia
sotto al mento, le braccia attorno alle gambe nude. Indossava solo una
leggera camiciola di cotone estivo. Non si voltò a guardarmi,
così, nella stanza in penombra illuminata solo dal pallido
riflesso della luna, solo quando mi avvicinai potei notare, con
sgomento, che aveva ancora il labbro tumefatto, mentre attorno
all’occhio il livido si stava facendo violaceo, contrastando
fortemente con la sua pelle pallida. Per di più, stava piangendo.
“Lina…” mormorai.
Lei cercò
subito di asciugarsi le lacrime, assumendo uno sguardo torvo. Macerava
qualcosa dentro. Era da quando eravamo usciti dalla locanda, ancora
prima della rissa, che l’avevo notato.
Sedetti sul letto al suo fianco.
“Vattene” Mi apostrofò, con voce strozzata. Detestava che la vedessi in quello stato.
Io sospirai. Mi
era bastato vederla ancora con i lividi addosso per capire come mai non
aveva fatto ricorso alla magia con quei tizi.
Era quello a
renderla nervosa e insofferente e a farla piangere di rabbia: il fatto
di sentirsi indifesa e disarmata per quel certo periodo del mese. Era
già capitato, durante lo scontro con Rezo, che le capitasse di
tutto in ‘quei giorni’.
“Potevi dirmelo: non ti avrei lasciata sola…” sussurrai, in preda ai sensi di colpa.
“Per favore
Gourry!” Esclamò, lanciandomi un’occhiata di fuoco
“Non ho bisogno di una balia che mi sta costantemente col fiato
sul collo! E poi saranno fatti miei, no?”
“Sì, ma…” protestai debolmente.
“Posso
farmi sentire benissimo anche senza magia, dannazione, soprattutto con
quei quattro imbecilli!E adesso lasciami in pace! Vattene sulla tua
maledetta poltrona e lasciami perdere.”
Io mi sollevai
dal bordo del letto, ma non andai verso la mia ‘maledetta’
poltrona. Raggiunsi il suo mantello e glie lo indicai.
“Cosa stai facendo?”
“Voglio che tu mi dica in quale tasca del mantello tieni le tue erbe curative, e che mi spieghi come usarle.”
Il coro di
proteste che seguì non bastò a scoraggiarmi dal mio
intento. Non potevo di certo mandarla a dormire così o il
mattino successivo non sarebbe nemmeno riuscita ad aprire
l’occhio. E dato che Lina non sembrava per nulla disposta a
collaborare, per una volta mi imposi.
“Vuoi farmi
pentire di aver smesso di chiamarti ragazzina?” Le chiesi,
brusco, mentre mi avvicinavo con il decotto che avevo fatto macerare
secondo le sue monosillabiche istruzioni.
Miracolosamente,
questo riuscì a zittirla. Sedetti nuovamente al suo fianco, sul
bordo del letto, sentendo il suo sguardo che mi divorava mentre
intingevo la pezzuola di lino nel decotto curativo. Quando allungai una
mano verso il suo viso, però, non si ritrasse come avevo
inizialmente temuto. Le tamponai delicatamente l’occhio gonfio e
bluastro.
“Sei un’attaccabrighe” La apostrofai con tenerezza.
“Tu invece sembri mia nonna!” Sbuffò esasperata.
Le sorrisi
“Per me questo potrebbe anche essere un complimento, sai? Io
adoravo mia nonna, si è sempre presa cura di me, e mi ha
insegnato moltissime cose. La ricordo sempre con affetto.”
Lo sguardo di
Lina si posò nei miei occhi; era uno sguardo intenso, che non mi
aveva mai rivolto: uno sguardo incuriosito, come se mi stesse mettendo
a fuoco solo in quel momento, dopo mesi che ci conoscevamo.
Inaspettatamente, mi sentii a disagio.
“Non me ne hai mai parlato…” mormorò. Io immersi nuovamente la pezzuola nel decotto.
“Sai, non
è una storia così interessante…” sussurrai.
In quel momento sollevai nuovamente la mano per tamponarle il labbro, e
mi sentii impacciato.
Di colpo mi resi conto che le mie dita erano pochi centimetri dalle sue labbra. Non ero mai stato così vicino a lei.
I capelli rossi
le scendevano arruffati sulle spalle, incorniciandole il viso come
fiamme, mentre la sua pelle lattea sembrava ancora più eterea
sotto al riflesso della luna.
Non sapevo come
avevo fatto a ingannarmi per tutti quei mesi, ma in quel momento mi fu
chiaro: la trovavo bellissima. Per un attimo, mi trovai travolto da
questa consapevolezza, e non seppi cosa fare.
Passarono alcuni secondi.
“Gourry…
stai facendo gocciolare questa schifezza dappertutto.” Mi
informò lei, spazientita. “Visto che ti sei voluto
improvvisare infermiere di fortuna a tutti i costi, ti conviene
almeno darti una mossa, questa poltiglia ha un odore tremendo.” A
quel punto ripresi il controllo di me, e avvicinai la pezzuola alla sua
pelle. Ma in pochi secondi, ogni cosa era cambiata. Io ero cambiato,
finalmente consapevole di ciò che mi ero a lungo taciuto. Mi
resi conto che stavo quasi male seduto con lei su quel letto, ad
accarezzarle le labbra attraverso quella sottile striscia di stoffa,
nell’oscurità della notte. Per la prima volta da quando la
conoscevo, ebbi paura a starle accanto; paura per lei.”
Gourry fece una pausa, deglutendo.
Ero stordita da
quelle affermazioni. Ricordavo anch’io quella notte in cui
Gourry mi aveva praticamente obbligata a sottopormi alle sue cure,
mentre io avrei solo voluto sprofondare sottoterra per essermi fatta
malmenare da quei tizi e per essermi fatta sorprendere il lacrime. In
‘quei giorni’, solitamente davo sempre il peggio di me.
Come aveva potuto Gourry trovarmi bellissima con i capelli arruffati,
l’occhio nero e il labbro tumefatto?
Joy sorrise ironicamente:
“E
così te ne sei innamorato?” Scosse la testa
“Suppongo che se fosse stata un'altra donna, la serata si sarebbe
conclusa diversamente, dico bene?”
Gourry scosse la
testa: “Non saprei, in quel momento non mi è nemmeno
passato per l’anticamera del cervello il pensiero di
‘provarci’ con Lina. Era tutto troppo strano, confuso.
Più tardi poi, nel silenzio della notte, sprofondato nella
poltrona, la ascoltai respirare nel sonno. Ovviamente non riuscivo a
dormire, ero troppo terrorizzato: cosa avrei dovuto fare a quel punto?
Fino a quel momento l’avevo ammirata, stimata e avevo guardato
meravigliato quello che era in grado di fare; avevo sviluppato un
attaccamento sempre più forte nei suoi confronti, ma
adesso… Come potevo conciliare il desiderio di proteggerla dal
mio desiderio di… averla? Ipotizzai di andarmene, ma il solo
pensiero di lasciarla bastava a farmi soffrire. Fu una notte lunga. Ma
mi servì per riflettere: decisi che non l’avrei mai
lasciata, e che se il mio destino doveva essere quello di proteggerla,
beh, l’avrei protetta anche da me stesso. Ne ero innamorato, ed
era la prima volta che amavo qualcuno in quel modo: mi toglieva il
respiro. E mi terrorizzava, al punto da temere quello che avrebbe
potuto pensare di me se avesse anche solo sospettato quello che provavo
nei suoi confronti…
Ma anni fa,
qualcuno mi diede un saggio consiglio: mi disse di non far mai intuire
i mie problemi alla ragazza di cui mi sarei innamorato, di qualunque
natura essi fossero stati. Così Lina non seppe mai che mi
tormentavo la notte pensando a quanto potesse essere sottile una
parete, o che era quasi una sfida con me stesso starle accanto, seduti
davanti ad un fuoco, nell'oscurità di una foresta. Mi parlava
per ore di incantesimi, mi raccontava storie e leggende… e io
pensavo solo a come sarebbe stato baciarla.
Avrei dato cento
volte la mia vita per la sua. Invece…” La sua voce si
spezzò “L’ho vista morire davanti ai miei
occhi, l’ho vista soffrire, gridare disperata… E non
c’è stato niente, niente che potessi fare per salvarla,
per riportarla indietro. Con che coraggio potrò mai continuare a
vivere adesso? Dove andrò, cosa farò… Chi
sarò, senza di lei?”
Gli occhi di Gourry erano lucidi e i fiori che tormentava tra le mani, ormai, completamente sgualciti.
Avrei pianto
anch’io, se solo avessi potuto. Ma poi mi diedi della supida: io
non ero morta, maledizione! Ero solo momentaneamente ‘non
viva’, ecco tutto.
“Le cose si aggiusteranno” Mormorò Joy, che sembrava particolarmente scosso
Gourry sospirò:
“Puoi riportare in vita chi non lo è più?”
Per un attimo mi sentii gelare il sangue.
“Beh…” balbettò Joy, evidentemente preso in contropiede.
Gourry scosse la testa.
“Lascia
stare Joy, la mia battaglia è persa. Senza di lei combattere non
ha più senso, sono un uomo finito, a cui non sono concesse
proroghe. Quando l’ho riportata indietro dalle tenebre che
volevano risucchiarla, la prima volta, sapevo che non mi sarebbero
state accordate seconde possibilità. Avrei dovuto essere
più attento, proteggerla in modo diverso. Ma ho rovinato
tutto.” Si sollevò, gettando attorno a sé
un’occhiata smarrita. “L’ho persa, e stavolta per
sempre.”
Aspettai che
Gourry si fosse allontanato di qualche passo, per prendermela con Joy:
“Adesso mi spieghi cosa hai voluto dimostrare? Non erano
assolutamente affari tuoi, maledizione!”
Joy non si
scompose: “Oh, sì che lo erano, mia cara. Ti ricordo che
se ho scelto di aiutarti, non l’ho fatto di certo per il tuo bel
faccino, ma per lui. Volevo almeno avere la certezza di averci visto
giusto.”
Lo guardai storto: “E quindi? Cosa ha dedotto la tua mente geniale dalle parole di Gourry?” Gli domandai, scettica.
Joy mi guardò, serio: “Che se non riesco a riportarti indietro, non me lo perdonerò mai.”
Per una volta, non seppi cosa replicare.
Passai il pomeriggio a meditare sull’Akan. Pensai a dove potesse essere nascosto e a come raggiungerlo.
Mi sentivo
colpevole al pensiero di trafugare da Sailunne qualcosa che Phil aveva
personalmente sequestrato ai… cattivi? Ma, in fin dei
conti, lo facevo per una buona causa: la mia.
E non avrei di
certo permesso che finisse nelle mani sbagliate. Ero più
inconsistente di un refolo di vento, ma ero sempre Lina Inverse,
dopotutto. Con me c’era poco da scherzare.
Quando fu ora di
cena, raggiunsi Joy nel salone principale. Ci eravamo dati appuntamento
lì, per evitare che la sua assenza a cena destasse sospetti. Poi
saremmo andati in cerca di questo stramaledetto Akan. Speravo che
Babette avesse altro da aggiungere, oltre a quello che ci aveva
rivelato quella mattina, o non avremmo saputo dove sbattere la testa.
Nel salone
principale c’erano già Amelia e Zel. I miei poveri
migliori amici erano scavati in volto e stanchi. Sapevo che Zel aveva
passato la giornata a fare ricerche e domande all’interno del
palazzo, e glie ne ero grata. Ma dubitavo che avrebbero mai potuto
incolpare un gatto per il mio premeditato omicidio.
Fuori aveva preso a tirare un forte vento, che faceva sbattere le imposte e sibilava nei camini.
Era strano stare lì con loro senza esserci veramente…
“Gourry!” esclamò a quel punto Amelia, mentre tutti ci voltavamo all’entrata dello spadaccino.
“Sono
felice di vedere che le mie minacce hanno avuto gli effetti
sperati…” Mormorò la principessa, andando ad
accoglierlo. “Stai cominciando a diventare trasparente, devi
assolutamente mangiare qualcosa!”
Presi nota del
fatto che, quando sarei stata di nuovo in grado di farlo, l’avrei
ringraziata di tutto cuore per come si stava prendendo cura di lui.
Come minimo, d’ora in poi mi sarei sorbita tutte le sue arringhe
pacifiste senza obbiettare.
Alcuni secondi
dopo al gruppetto si aggiunse anche Nayden; lui e Joy si scrutarono in
silenzio dai due opposti lati del tavolo, ostentando reciproca
indifferenza. Quando infine arrivarono le pietanze, ognuno si
servì in silenzio.
Evidentemente, a
quella tavolata solo io stavo morendo di fame. Dannazione, era un
tormento vederli mangiare… Era questo quello a cui si riferivano
col termine ‘dannazione eterna’?
Stavo giusto
seguendo il viaggio di una polpetta dal piatto di Gourry alle sue
labbra, quando la voce di un paggio irruppe in quella cena silenziosa.
“Maestà…
C’è uno straniero ai cancelli. Ha esibito una lettera con
il simbolo reale, dobbiamo lasciarlo passare?”
Amelia alzò il viso. Quella sera Phil, assorbito dagli impegni di corte, aveva disertato la cena.
“Sì, lasciatelo passare.”
La mia amica mi
sembrava parecchio turbata e la cosa mi incuriosì. La vidi
pulirsi bene le mani sul tovagliolo e notai che le tremavano. Lei e
Zelgadiss si scambiarono un’occhiata, poi Amelia si alzò.
L’intera tavolata ammutolì, mentre l’uomo,
annunciato pomposamente dal paggio, faceva il suo ingresso tenendo
nervosamente tra le mani un elegante cappello da viaggio e una busta
stropicciata.
“Mi avete scritto, Maestà…”
“Sì”
La voce di Amelia era rotta, si avvicinò lentamente allo
straniero “Vi ho scritto…”
Joy, al mio
fianco, mi rivolse una brave e nervosa occhiata, che io notai a
malapena: tutti i miei pensieri, tutta la mia attenzione, in quel
momento erano concentrati su quel viso familiare,
dall’espressione affranta ma dignitosa, incorniciato dai lunghi
capelli neri.
Sapevo che era venuto per me.
Erano anni che non lo vedevo…
“Papà…” Sussurai soltanto.
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Capitolo 13 *** Meglio un buon piano oggi che un piano perfetto domani ***
capitolo 13
Meglio un buon piano oggi che un piano perfetto domani
‘Voglio più vita, non posso farne a meno.
Lo so, ho vissuto dei momenti terribili; e c’è gente che ne vive di molto, molto peggiori.
Ma quando loro sono più spirito, che corpo;
Più piaghe, che pelle;
Loro vivono.
Non
so se questo sia più istinto animale, non so se sia più
coraggioso morire, ma io riconosco l’abitudine. La dipendenza
dell’essere a sopravvivere.
Viviamo nella speranza di qualcosa…
Se
riesco a trovare una speranza anch’io è fatta, è il
meglio che posso fare, non potrei chiedere di più.
Non ne sono all’altezza.
Perciò ancora, io chiedo di vivere.
Io. Voglio. Più. Vita.’ (Angels in America)
“Papà…”
Mio padre si
guardò intorno, leggermente spaesato davanti all’intera
tavolata che era ammutolita al suo ingresso. Notai che lievi rughe a me
sconosciute solcavano i suoi lineamenti pressoché perfetti, ma
in fondo era normale, quanti anni erano passati da quando le nostre
strade si erano incrociate l’ultima volta?
“Signor
Inverse…” Amelia sospirò. Le poche frasi che si era
preparata per l’occasione le stavano rapidamente scivolando via
dalla mente. Non era facile affrontare il padre della tua migliore
amica appena deceduta.
“Vi prego di
scusarmi se ho interrotto il vostro desco, maestà…”
La salvò lui dall’impaccio di dover cominciare la
conversazione. “Sono consapevole che questo non è un
momento piacevole nemmeno per voi, tuttavia, non vi ruberò molto
tempo. Sono qui per mia figlia.” Era sempre stato bravo con le
parole e con le persone a cui erano destinate. Mi piacerebbe poter dire
di aver preso da lui in questo, ma, credetemi, in questo il vero mago
era proprio mio padre.
‘Saper mercanteggiare è un arte, Lina, non dimenticarlo’
I lucidi capelli neri
gli ricadevano sulle spalle, sottili anelli di fumo si levavano dalla
sigaretta che aveva tra le labbra, mentre con il coltello ripuliva un
ramo dalla corteccia.
‘Stai facendo una
canna da pesca?’ Sdraiata sull’erba al suo fianco
giocherellavo distrattamente con i trucioli di legno che ricadevano
dalle sue abili mani. Il sole del tramonto illuminava di riflessi
rossastri il retro della bottega, davanti a cui sedevamo.
‘Proprio così. Ti piace?’ Aveva domandato, mostrandomela.
‘Sì, è bella. Ma non ci sono laghi qui.’
L’ovvietà della mia affermazione l’aveva fatto sorridere.
‘Il fatto che non
ci siano laghi in queste zone, Lina, non costituisce un problema.
È sufficiente che esistano, da qualche parte.’
‘Così, quando la canna da pesca sarà finita, partirai per cercare un lago?’
Non l’avrei mai ammesso, ma soffrivo molto ogni volta che partiva.
Mio padre si era fermato, scrollando la cenere dalla sigaretta.
“Può
darsi. Dimmi, ti piacerebbe accompagnarmi qualche volta? Potrei
mostrarti i laghi, le montagne, le foreste, le
città….C’è un mondo intero là fuori
per te: ti interesserebbe conoscerlo?’
Avevo raddrizzato la schiena, scattando a sedere ‘Sì! Papà, portami con te, ti prego!’
Lui aveva sorriso.
Amavo il suo sorriso, limpido e sincero. Più che un padre, molte
volte mi era sembrato un fratello maggiore per quanto era
incredibilmente giovane.
‘Bene, la prossima volta, Lina, verrai con me a scoprire il mondo’ aveva detto, riprendendo il suo lavoro.
‘Dici sempre
così, ma poi non mi porti mai.’ Mi ero incupita,
incrociando le braccia al petto. Il fumo della sigaretta mi aveva fatto
tossire.
‘Ora sei troppo piccola. La prossima volta…’
Non era mai arrivata la
prossima volta. Stava via giorni, spesso interi mesi. E quando tornava
era sempre impegnato. Era un uomo curioso, conosceva le novità
del mondo e al suo ritorno voleva che tutti avessero la
possibilità di ammirarle. Il suo lavoro gli portava via sempre
un sacco di tempo. E intanto, io crescevo.
Quando fui cresciuta
abbastanza non ebbi più la pazienza sufficiente di aspettare che
tornasse dal suo ultimo viaggio, per portarmi a vedere le meraviglie
del mondo. Se volevo vedere i laghi, e le altre cose stupende di cui mi
aveva parlato, bisognava che facessi a modo mio.
E a modo mio avrei fatto.
Nel frattempo Amelia si
era ripresa: “Una sedia per il mio ospite” chiese con garbo
ad un servitore che si era affiancato a mio padre per prendere la cappa
e il cappello. Lo sguardo di mio padre vagò per la tavolata,
raccogliendo comprensione e solidarietà, dopodiché lo
vidi indugiare in modo particolare sul volto di Gourry. Lo
spadaccinò lo sostenne per alcuni secondi, dopodiché
abbassò gli occhi al piatto che aveva davanti.
Quando arrivò la
sedia prese posto al fianco di Zelgadiss, che si fece da parte per
fargli spazio. Vennero portati piatti fumanti e vassoi con
l’arrosto, ma mio padre si limitò a versarsi un calice di
vino. Notai con sgomento che, nonostante l’eleganza del gesto,
gli tremava la mano.
“Così voi siete… Eravate… i suoi migliori amici?”
“Sì”
Amelia si asciugò con l’angolo del tovagliolo una piccola
lacrima che stava per abbandonare le sue ciglia. “Lina era la
persona più incredibile, più straordinaria…”
“Era una
carissima amica” Intervenne Zelgadiss “Nonché la
migliore esperta di arti magiche che io abbia mai avuto l’onore
di incontrare…”
Ecco, ora voglio che
sappiate una cosa: quando sarete morti, tutti si metteranno a parlare
bene di voi. Non importa quanti appellativi e odiosi soprannomi vi
abbiano affibbiato nel corso degli anni, la morte vi trasformerà
automaticamente in quelle brave e care persone di cui tutti conservano
un bellissimo ricordo. Vidi mio padre sorridere, un sorriso lieve e un
po’ triste:“Sì, ci sapeva fare con quei trucchetti
mia figlia. Uno o due me li ha anche insegnati…” Il suo
sorriso si spense subito dopo. Avevamo avuto troppo poco tempo insieme,
io e lui.
Mio padre indugiò : “Ha sofferto?” domandò infine, in un sussurro. La sua voce era rauca.
Vidi Gourry stringere il manico della forchetta fino a farsi sbiancare le nocche.
Un silenzio pesante
scese sulla tavolata. Va bene, non era stata la più felice delle
morti. Quale tipo di morte lo è, in fondo?
Beh, a mio padre almeno
avrebbero potuto dire che me ne ero andata stroncata dai feroci artigli
di un temibile drago contro cui stavo combattendo. Una cosa rapida e
gloriosa, insomma. Ma supponevo che l’infamante e patetica storia
della camomilla avesse già travalicato i confini di Sailunne,
purtroppo per me. Rabbrividivo al pensiero di quello che ne avrebbe
pensato Luna.
“Ho
capito…” mormorò infine, davanti al silenzio
generale. “Chi tace acconsente, così si dice, no?”
“Signor Inverse…” Amelia cercò di recargli un po’ di conforto, allungando una mano verso la sua.
“No.” Mio
padre scostò la mano, cercando di darsi un contegno “Va
bene così. Evidentemente, era quello che volevano gli dei. Ora
io…” La voce gli si incrinò e lo vidi
ricacciare indietro le lacrime. “Ora io sono qua per riportarla a
Zephilia, dove starà… vicino alla sua famiglia.”
Mi guardai intorno piena di sgomento, e vidi che le mani di Gourry avevano preso a tremare.
“Signor
Inverse…” Amelia deglutì. “Noi avevamo
pensato di… di svolgere un breve rito funebre, per dirle addio,
qui a Sailunne. Ma naturalmente seguiremo i suoi desideri, se lei
desidera riportare il cor… il corpo di Lina a
Zephilia….”
Mio padre sollevò due occhi vuoti verso di lei.
Dov’era finito lo
sguardo libero e spensierato dell’uomo che costruiva canne da
pesca sul retro della sua bottega raccontando le sue fantastiche
avventure alla figlia di cinque anni?
Annuì
debolmente: “Non ho intenzione di riportare a Zephilia il corpo
di mia figlia. È molto bello che siano i suoi più
cari amici a dirle addio, e la trovo una cosa giusta. Così
vorrei che il rito sia svolto qua. Questo era un luogo che lei amava, e
in cui le piaceva tornare. Quando la riporterò a Zephilia,
sarà per liberarla nel vento delle sue terre. Sono certo che
capirete…”
Dei… No.
“Lei
intende…” Amelia rivolse una breve occhiata a Zelgadiss,
per poi tornare a guardare verso mio padre “Intende…”
No, no, no, maledizione no!
“Non avrebbe mai
sopportato di essere rinchiusa.” Mio padre abbassò lo
sguardo “Mia figlia era una creatura libera, e non voglio che la
morte le imponga dei limiti, che le imponga la permanenza in un luogo.
Voglio che sia leggera come l’aria. Voglio che l’ultimo
elemento a vedere il suo volto non sia la dura e fredda terra, ma il
vivace calore delle fiamme. Credo che l’avrebbe voluto anche
lei.”
Mi sentii mancare.
Guardai il volto di mio padre, sull’orlo delle lacrime, poi
guardai verso Gourry, irrigidito di colpo nel sentir pronunciare quelle
parole. Zelgadiss abbassò lo sguardo, così come fece
Nayden, rimasto silenzioso ma partecipe fino a quel momento, ma su
tutti, solo una voce si alzò dalla tavolata, eruppendo in
un’esclamazione tutt’altro che fine:
“Oh, mer…!”
Naturalmente, tutti si
voltarono con aria perplessa verso Joy, il quale, resosi conto della
gaffe, tossicchiò un paio di volte, prima di aggiungere:
“Emh, volevo dire: oh, meraviglioso, davvero meraviglioso!
Immagino che Lina ne sarebbe stata entusiasta! Hehehe…”
Poi, quando l’attenzione dei presenti, dopo esservi brevemente
posata sul suo calice di vino, si spostò altrove, si
voltò sconvolto verso di me, bisbigliando: “Vogliono farti
alla griglia! Per gli dei… ci mancava solo questa!!”
Io ero ancora sbigottita.
Volevano bruciarmi… Viva! Qualcuno avrebbe dovuto fermarli!
Mio padre riprese la
parola: “Maestà, mi duole darvi tanto disturbo mentre
anche voi soffrite. Tuttavia, vorrei che fosse fatto al
più presto. Devo tornare a Zephilia, da mia moglie e
dall’altra mia figlia. Voi capirete…”
“Domani mattina,
non vi preoccupate.” Amelia mi sembrava parecchio turbata. Non mi
ero dimenticata che aveva già sepolto sua madre, anni addietro.
Mi chiesi se il lutto per me le avesse riportato alla mente quei
ricordi dolorosi. “Questa notte darò ordine
affinché tutto sia pronto per domani mattin…”
Mentre finiva la frase,
un rumore di sedia stridette sul pavimento. Gourry si sollevò e,
senza una parola per nessuno, lasciò la sala.
Rimanemmo tutti immobili, frastornati.
Non potevo sopportarlo.
Corsi fuori dalla
stanza. Non avevo nemmeno vent’anni, maledizione, e dovevo
assistere impotente ai preparativi del mio funerale. A chiunque sarebbe
venuta una crisi di nervi…
Tranne forse per il
fatto che chiunque, nella mia stessa situazione, non se ne sarebbe reso
conto perché sarebbe stato… beh, morto! Mentre io non lo
ero, non del tutto. Non potevo lasciare che mi mettessero a grigliare
su una pira funebre!
“Babette!” urlai, con tutto il fiato che avevo in gola “Babette!”
Joy doveva avere la
possibilità di dire a qualcuno quello che sapeva, ovvero che non
me ero andata e che il corpo mi serviva ancora. Al diavolo le regole
del regno dei morti! Qualcuno doveva sapere che stavano per fare un
terribile e tragico errore!
“Babette!!”
Corsi fuori, lanciandomi a perdifiato nel cortile.
Accidenti a mio padre,
non poteva ricomparire nella mia vita dopo quasi sette anni che non
avevo sue notizie e mandare tutto a rotoli. Pensando di fare una cosa
giusta, mi stava condannando senza nemmeno saperlo…
D’accordo,
d’accordo. Non potevo prendermela con mio padre. Non sul serio.
In fondo non se la stava passando bene. Nessuno se la stava passando
bene, nemmeno io me la stavo passando bene.
“Babet…”
Mentre chiamavo a squarciagola l’artefice di tutti i miei mali,
per poco non mi scontrai con Gourry.
Oh, ecco dove si era cacciato…
Se ne stava fermo in
mezzo al cortile, a pochi passi dal tempio in cui giaceva il mio corpo
immobile. Vidi che stringeva forte i pugni, e che il suo sguardo era un
misto tra rabbia e disperazione.
Tremava.
Tremavamo.
Di tutte le assurde
prove a cui ci aveva sottoposto il destino in quegli anni, avevo sempre
creduto che niente di peggio del suo rapimento e del mio Giga Slave
avrebbe potuto accaderci. Ci avevo messo mesi a riprendermi dalla
sensazione di panico e impotenza che quell’esperienza atroce
aveva lasciato in me.
Ma come potevo sapere che avrei dovuto ricredermi sul detto ‘Al peggio non c’è mai limite’?!
A me era toccato vederlo andare quasi in pezzi, e avevo fatto quello che avevo fatto.
A lui sarebbe toccato
assistere alla mia cremazione: la mia pelle di seta sarebbe avvizzita
sotto ai suoi occhi fino a ridursi in cenere, dei miei occhi da bambina
non sarebbero rimaste che vuote e scure cavità. Ci si poteva
riprendere da qualcosa del genere?
Preferivo non pormi il problema. Una soluzione doveva esserci, il corpo mi serviva ancora, maledizione!
La pallida luna
illuminava d’argento il volto diafano di Gourry. Vedendoci
vicini, in quel momento, chiunque avrebbe benissimo potuto scambiare
anche lui per uno spettro da quanto era bianco.
Avrei voluto rimanergli
accanto, ma dovevo assolutamente trovare una soluzione per lo spinoso
problema che da lì a qualche ora mi avrebbe ridotto in un
mucchietto di polvere. Stavo per procedere nella disperata ricerca di
quel malefico gatto, l’artefice di tutti i miei guai, quando
un’ombra si avvicinò.
“Tu devi essere quel giovane, Gabriev. Mi ricordo di te, anche se ti rammentavo più… capellone.”
Il profilo di mio padre
si accostò a quello dello spadaccino, entrambi alti, entrambi
belli, con qualche anno di differenza.
Gourry rimase
silenzioso. Passarono alcuni secondi, in cui mantenne lo sguardo ferito
fisso davanti a sé, poi lentamente si voltò.
“Anch’io mi ricordo di lei. Non aveva voluto dirmi il suo nome…”
Ehi, aspettate un momento… Da quando mio padre e Gourry si conoscevano?!
“È
così che va il mondo…” replicò pacatamente
mio padre. Sentivo il dolore vibrare nella sua voce, nonostante
cercasse di mantenere la conversazione su toni leggeri.
Capii che dovevano essersi incrociati quando Gourry era ancora un mercenario alla ricerca della propria vocazione.
“È quello che aveva risposto anche l’altra volta.”
“Già…
Ora però suppongo tu sappia chi sono. Non avrei voluto
rincontrarti in una simile occasione. Dovevi esserle molto
vicino.”
Gourry tornò a guardare fisso davanti a sé.
“Ero… La sua guardia del corpo” sussurrò.
Mio padre si voltò a osservarlo, studiandolo con più attenzione.
“E allora credo
che dovevi esserle molto fedele. Non tutte le guardie del corpo
arriverebbero a tanto per la loro protetta” disse, indicando i
polsi fasciati di Gourry.
“Ad ogni modo non
sono fatti miei. Non sentirti obbligato a parlarmi del tuo rapporto con
lei. Lo vedo che soffri. Sto molto male anch’io, un genitore non
dovrebbe seppellire i propri figli: è contro natura.”
Passarono altri
secondi, dopodiché Gourry espirò: “Mi manca
così tanto” ebbe infine il coraggio di dire.
“Manca molto
anche a me. Era speciale, vero? Mia figlia era una forza della natura,
lo è sempre stata, fin da bambina. Mi sarebbe piaciuto
incontrarla in questi anni, per vedere che persona era
diventata…” Un velo di rimpianto passò nel suo
sguardo. “Ma siamo sempre stati troppo simili, io e lei. Era
impensabile immaginarla ferma da qualche parte, eppure, in tutti questi
anni, non abbiamo avuto la fortuna di incontrarci
casualmente…”
Vidi una lacrima brillare nell’occhio sinistro di mio padre. Gourry rimase rigido.
“Gli dei solo
sanno quanto io stia soffrendo. E il pensiero di…
di…” Mio padre si prese un po’ di tempo per
calmarsi. “Non aveva lasciato nessuna volontà in merito,
suppongo…”
Gourry si voltò
verso di lui, con espressione ferita: “Lina aveva
diciannove anni. È vero, il pericolo era il suo mestiere.
Ma credo che il pensiero reale della morte non l’avesse mai
sfiorata, non seriamente. Senza contare che…”
Deglutì, a fatica: “Si fidava di me. Avrei dovuto
proteggerla, invece…”
Già, invece?
Gourry non avrebbe dovuto rimproverarsi nulla di quella morte
insensata, eppure non faceva che perdersi nel rimorso di avermi
lasciata sola la notte in cui tutto avrebbe dovuto tenerci uniti, ma
che le mie stupide paure avevano trasformato in una tragedia.
‘Se solo avessi avuto la prontezza di spirito di rispondere un dannatissimo sì…’
Ma sapevo che erano
vane illusioni. A Babette serviva il mio aiuto, volente o nolente, e
avrebbe sicuramente escogitato qualche altra diavoleria per avermi
dalla sua, anche a costo di farmi fuori sull’altare il giorno
delle nozze. Era meglio non indagare.
“Eppure…” proseguì mio padre “Non è stata una disgrazia…”
“No.”
Gourry fissò intensamente un punto imprecisato davanti a
sé. In quel momento la rabbia sembrò prevalere sul
dolore, e una scintilla di furia balenò nel suo sguardo:
“Lina è stata vittima di una lunga serie di incidenti non
casuali nel percorso da Solaria a Sailunne. Il suo assassino viaggiava
con noi, ne sono certo. E sebbene tutti lo stiano cercando
all’interno del palazzo, io credo che facesse parte della schiera
di mercenari che si è poi dileguata in quella maledetta
notte.”
Mio padre fissò meditabondo il volto di Gourry : “Hai in mente qualcosa?”
Gourry abbassò
lo sguardo. La sua voce si fece un sibilo: “Dopo la cerimonia
funebre partirò da Sailunne. Viaggerò per terra e mare e
non importa quanto ci metterò, dovesse volerci anche tutta la
vita. Troverò il colpevole e… e non avrò
pietà.”
Un brivido mi percorse la spina dorsale.
‘Non avrò pietà’
Non era Gourry, quello.
Non ce lo vedevo proprio nei panni del vendicatore solitario e non mi
piaceva la ferocia del suo sguardo in quel momento. Non mi piaceva
affatto.
“La vendetta
logora inutilmente, ragazzo” mormorò mio padre “Ma
non posso giudicarti. Gli dei solo sano cosa agita il tuo cuore in
questo momento. Quanto a me, il mio cuore si è spento. Dopo il
funerale tornerò a Zephilia e rimarrò accanto a quel che
resta della mia famiglia.”
“Io non ho più nessuna famiglia da cui tornare.”
A quel punto, il silenzio calò su di noi come una cappa soffocante.
Fu solo dopo quelli che
mi parvero secoli che udii indistintamente, tra la vegetazione che ci
circondava, un sussurro insistente:
“Lina… Lina!”
Quando mi voltai vidi Joy acquattato tra le frasche, nel buio della notte.
“Ho trovato la gatta, sbrigati!”
Babette stava seduta
eretta su una colonna decorativa spezzata a metà, assumendo le
sembianze di un amabile felino ad una mostra espositiva. Quanto ci si
poteva illudere sui gatti…
“Mi hanno detto che ci sono dei problemi, Lina Inverse”
“Beh… diciamo di sì. Anche se il termine problema mi sembra abbastanza riduttivo!”
“Dunque, hanno
deciso di cremarti.” Non sembrava che la cosa la toccasse
più tanto, come se stesse dicendo: “Domani mangeremo
omelette per colazione”.
“Sì, a
quanto pare hanno optato per il barbecue, e non mi sembra una cosa
saggia dato… Che il mio corpo mi serve integro, non di certo
carbonizzato! Maledizione!”
“Piuttosto comprensibile.”
D’accordo, stavo iniziando a innervosirmi.
“Sono lieta che
tu sia d’accordo con me, Babette. Adesso dimmi… che
diavolo possiamo fare per evitare questo disastro?!”
I baffi di Babette vibrarono impercettibilmente:
“La soluzione al
problema c’è, Lina. Sinceramente avevo pensato che i tuoi
congiunti optassero per un funerale più tradizionale, una
cripta, o qualcosa del genere insomma. Il tuo corpo non pone il
problema della conservazione finché rimarrai in questo stato di
sospensione, dal momento che la vita scorre ancora impercettibilmente
sotto alla tua pelle. È ancorata da un filo sottile, tanto da
permettere al tuo spirito di essere libero, ma quel filo basta a
tenerti legata alla carne e al sangue; il tuo involucro mortale si
preserverà intatto, di questo non ti devi preoccupare. Tu e il
tuo corpo siete ancora parte l’una dell’altro. Per questo
conservi i ricordi e desideri di un vivo: la fame, la sete, la paura,
il desiderio del contatto fisico…” I suoi occhi arancioni
si fissarono nei miei. Erano inquietanti, Molto, molto inquietanti.
“Ma se il tuo corpo venisse in qualche modo danneggiato, Lina
Inverse… Il filo della tua vita, della tua vita mortale,
potrebbe farsi sempre più sottile, fino a spezzarsi.
Continueresti a vivere da sospesa, finché a poco a poco, se non
troverai un posto dove tornare, un corpo ‘alternativo’,
passerai senza volerlo dall’altra parte, e tutto sarà
finito.”
La mia faccia doveva essere abbastanza eloquente, tanto che Babette si affrettò ad aggiungere:
“Ovviamente
eviteremo che questo accada. Un sistema c’è, Lina Inverse.
Sono necessari quattro elementi: un luogo appartato, il tuo
corpo, l’Akan e un negromante che possa eseguire
l’incantesimo.” Si guardò intorno, fissando lo
sguardo su Joy. “Per ora, tuttavia, sembra che abbiamo a portata
di mano uno solo di questi elementi…”
Lo guardai a mia volta.
“Joy…”
“Lina… No.
Qualunque cosa tu stia per dire, la mia risposta è no. Diavolo,
tutta questa storia sta diventando sempre più assurda!”
“Joy…”
Il mercenario sospirò. Stava diventando più intuitivo di quel che avrei creduto.
Mezz’ora
più tardi stavamo setacciando ogni angolo del palazzo alla
ricerca del fantomatico Akan, e dovevo ammettere che le spiegazioni di
Babette lasciavano un tantino a desiderare. Senza contare che non avevo
la più pallida idea di come fosse fatto questo stramaledetto
strumento di potere.
“Tu sei un negromante, dovresti averne sentito parlare almeno una volta!” Mi lamentai.
Joy si accigliò,
mentre scassinava l’ennesima porta per sbirciarci dentro:
“Sono un negromante per uno sfortunato caso, non di certo per
vocazione. Cosa vuoi che me importi di un vecchio bastone pulcioso
buono solo a riportare in vita qualche cadavere rinsecchito?!”
Roteai gli occhi al
cielo: “Non puoi parlare seriamente! Il tuo è un dono,
maledizione, dovresti sfruttarlo invece di ostacolarlo in tutti i modi.
Se non lascerai fluire la tua energia…”
“Lina, falla
finita. Dono o maledizione che sia per me è una solo una grande
seccatura. Sono nato così… Per me è come avere una
grossa macchia scura in mezzo alla faccia: me ne vergogno, se non ce
l’avessi starei meglio, ma ce l’ho, me la devo tenere. E
per quanti sforzi io faccia per nasconderla a me stesso e agli altri so
che è lì, e che non se ne andrà. Sarà
pronta a sbattermi in faccia il suo orrore ogni volta che mi
guarderò allo specchio…”
“Per questo fai di tutto per tenerti lontano dagli specchi e da te stesso?”
“Mi sopporto a
stento, sì, contenta adesso? Ora possiamo continuare la ricerca
senza che tu psicoanalizzi ogni mio gesto?!”
Feci spallucce:
“Lo dicevo per
te… Sei tu che devi convivere con te stesso, non di certo io per
grazia divina! E il fatto di non riuscire ad accettarti alla
lunga…”
Joy si fermò di colpo.
“Sai cosa mi chiedevo, Lina?”
Interdetta, lo fissai: “Cosa?”
“Mi
chiedevo… Se tagliassi quella tua linguaccia dal tuo
corpo, credi che la cosa si ripercuoterebbe su di te, ponendo
finalmente fine a questo tuo sfiancante chiacchiericcio? Se non te ne
fossi accorta, sto cercando di concentrarmi.”
Lo fulminai con lo sguardo.
“Ecco, vedo che
ci siamo intesi a meraviglia!” commentò soddisfatto,
prendendo a ripercorrere il corridoio buio e deserto di un ala quasi in
disuso del palazzo, mentre io lo seguivo profondamente indignata.
“Fermo!”
Il mio richiamo bastò a gelare Joy sul posto.
“Che
diavol… Oh.” Il mercenario, una volta fissato lo sguardo
su una delle innumerevoli porte alla nostra sinistra, fu costretto a
tornare sui propri passi.
“Potrebbe essere” sussurrò.
“Non
‘potrebbe essere’. È” puntualizzai, esaminando
da vicino il pomo dorato della maniglia, intorno alla quale si notavano
nitidamente, tra la polvere, segni di dita.
Qualcuno ci aveva preceduto, a quanto pareva.
Eppure…
Prima che potessi fermarlo, Joy aveva allungato una mano verso la maniglia.
“Ferm…!”
“Aaah! Maledizone!” Il mercenario ritrasse immediatamente la mano, ustionata. “Che accidenti…”
“Stavo giusto per
dirtelo” Scossi la testa. “C’è un incantesimo
di protezione su questa porta.”
Joy chiuse la mano ferita a pugno, coprendola con l’altra rimasta illesa.
“Come lo sai?”
Lo guardai scettica.
“D’accordo, ritiro la domanda. Il punto è…”
“Il punto
è che qualcuno ha avuto la nostra stessa idea di venire a farsi
un giro nell’ala in disuso del palazzo questa notte.”
Ci guardammo, vagamente preoccupati.
“Ad ogni modo, ci sono due notizie” Lo informai “Una buona e una cattiva.”
“La cattiva è che forse non riacquisterò l’uso della mano destra.”
“Non riusciresti a mantenerti serio per almeno mezzo minuto? Non mi sembra di chiedere troppo.”
“Sono più
che serio, dannazione! Fa un male cane e…” Il mio sguardo
accigliato dovette costringerlo a contenersi. “E allora, qual
è la buona notizia?”
Sospirai: “La
buona notizia è che chiunque abbia tentato di impossessarsi
dell’Akan prima di noi, ha evidentemente fallito, visto che
l’incantesimo è ancora in azione.”
“Fantastico”
esclamò con scarso entusiasmo Joy,osservando le minuscole
vesciche che gli si erano formate sul palmo.
“Già…
La cattiva notizia, invece, è che per il medesimo motivo
potremmo rimanere a mani vuote a nostra volta.”
“Davvero fantastico.”
Tornai con lo sguardo verso il pomo della maniglia, cercando di spremermi le meningi in cerca di una soluzione.
Conoscevo centinaia di
incantesimi per scongiurare altri incantesimi, ma senza un corpo non
potevo evocarne nemmeno uno. Senza un corpo, di fatto, non ero una
maga. Perché la magia aveva a che fare con il cuore e il sangue,
con l’energia. Tutte cose che avevo perduto, speravo non per
sempre. Sapere la formula e non poterla azionare era decisamente
frustrante.
Non starete forse pensando che pronunciare quattro versi magici significhi automaticamente ‘fare magia’, vero?
Avrei avuto bisogno di
vigore, di spiritualità, di concentrare le forze in me per poter
far funzionare un qualsiasi incantesimo. Ma non avendo nemmeno un cuore
pulsante, sarebbe stato tutto inutile.
“Senza contare
che…” constatai, “Questo incantesimo mi sembra ben
fatto e di alto livello; non è roba da pivelli, tutto
sommato.”
Joy trattenne a stento un’imprecazione.
“E cosa pensi di
fare, quindi? Ti ricordo che mancano meno di una manciata d’ore
al falò dell’anno…”
“Non c’è bisogno che me lo ricordi!” esclamai, digrignando i denti e cercando di concentrarmi.
Avanti Lina, pensa. Pensa.
Ero entrata da porte chiuse ancora più ermeticamente; ero passata da porte sorvegliate, incatenate, piantonate .
Ma avevo i miei attrezzi: incantesimi, ferri del mestiere, la forza bruta di Gourry…
Lanciai una breve occhiata a Joy che tastava con cautela, e con una smorfia di dolore, le vesciche sul palmo della sua mano.
No, decisamente no.
Come si può passare da una porta impossibile da varcare?
Sembrò quasi che Joy mi leggesse nel pensiero quando affermò:
“Passaci attraverso. Almeno controlliamo che l’Akan sia ancora lì. Poi penseremo a come tirarlo fuori.”
Io scossi la testa “Non ci riesco. Ho già provato altre volte, è inutile.”
“Sciocchezze. Ho visto molti spiriti farlo.”
Quel suo tono supponente mi fece innervosire:
“Ti dico che non posso!”
“E io ti dico che
puoi!” Ci guardammo in cagnesco. Certo, avremmo potuto rimanere
ore lì a dirci: “Sì!” “No!”
“Sì!” “No!”
Ma il tempo era prezioso.
“Joy, fammi il
favore di piantarla. Ti dico che non passo attraverso gli oggetti,
quindi falla finita. Ora devo pensare ad una vera soluzione.”
“Se tu non fossi
così prepotente e sicura di te stessa, probabilmente
ascolteresti la spiegazione del motivo per cui invece puoi passare
attraverso quella porta. Ma fai come vuoi. Sei tu che stai per essere
infornata, non di certo io!” Detto questo Joy si mise a braccia
conserte e guardò ostinatamente la punta dei suoi stivali.
Oh, maledizione!
“E va bene, va bene” esclamai, irritata. “Illuminami!”
Sentivo il tempo a mia disposizione che scivolava via un secondo dopo l’altro. Quanto mancava all’alba?
Joy si schiarì
la gola: “È per quello che ha detto la gatta poco fa. Sei
ancora legata al tuo corpo, probabilmente è per questo che,
coscientemente, trovi impossibile attraversare un corpo solido. Ma
adesso tu non devi ragionare in questi termini: lo spazio ha assunto un
nuovo significato, dal momento che, in effetti, tu non occupi spazio.
Non materialmente almeno. Di conseguenza nessuno spazio reale è
un ostacolo per te. Ma tutto dipende dalla tua ragione: quando
dimentichi di essere puro spirito, una parte del tuo corpo reale torna
in te, ancorandoti come una zavorra. Quando invece sei cosciente della
tua immaterialità, allora le cose sono quelle che sono.
Chiaro?”
Mi scocciava terribilmente ammetterlo, ma sì, era chiaro.
“Quindi basta che
io, coscientemente, mi dica: sono un fantasma, e per magia
passerò attraverso muri e porte. È questo che mi stai
dicendo?”
“Non
semplificare. Hai capito cosa intendo, ti occorrono concentrazione e
consapevolezza. Ma in linea di massima, sì.”
Beh, non sembrava difficile.
Guardai verso la porta. Il legno massiccio non mi poteva fermare. L’incantesimo di protezione non mi poteva toccare.
Sono un fantasma, sono un fantasma, sono un fantasma, sono un…
Quando riaprii gli
occhi, tutto intorno a me era cambiato. Non mi trovavo più nel
tetro corridoio, ma in un angusto stanzino lievemente illuminato
dall’alone della luna che si intravedeva dai vetri di una piccola
finestra.
Ero dentro.
Un lieve moto di gioia
si mescolò dentro di me al pensiero di avercela fatta. Ma
immediatamente il ricordo di quello che ero venuta a fare prese il
sopravvento.
Akan. Quella era la cosa importante.
Lanciai uno sguardo a
quanto mi circondava: pile su pile di vecchi libri impolverati,
scatoloni e pergamene arrotolate. Mi accostai ad un testo, e attraverso
l’opaca pellicola di polvere riuscii a capire di cosa si
trattava: magia nera.
Così, quella era
la stanza proibita in cui veniva confinato il ‘materiale
scottante’. Se si teneva in considerazione la reputazione di
Sailunne, non c’era da stupirsi che fosse così
accuratamente celato. Nessuno avrebbe mai potuto essere a conoscenza di
quei tesori (beh, per me lo erano almeno…) Certo, nessuno a
parte qualcuno che aveva tentato di entrare nella stanza proibita prima
di noi. Emisi un sospiro.
“D’accordo Lina, tanto vale rimboccarsi le maniche e cominciare a cercare.”
Dalla porta mi giunse una voce nota:
“Allora, l’hai trovato?”
“Come pretendi
che possa averlo trovato! Sono dentro da meno di due secondi!”
esclamai irritata, rendendomi conto in quel momento che non avevo la
più pallida idea della forma che poteva avere l’Akan.
Babette non aveva detto nulla, in proposito.
Esaminai più
accuratamente ogni angolo con lo sguardo. Certo non potevo pretendere
che Phil avesse messo un etichetta sulla custodia con scritto
‘Akan’, anche se in effetti questo mi avrebbe facilitato
non poco le cose. Cercai di sollevare il coperchio di un bauletto, ma
le mie mani ci passarono attraverso un paio di volte.
‘Concentrati’
mi ripetei mentalmente, ma il pensiero che di lì a poco avrei
rischiato di ritrovarmi in cenere mi impediva di farlo. Stavo per
riprovarci quando, all’improvviso, la vidi.
In un angolo della
stanza, appoggiata al pavimento, c’era quella che avrei potuto
definire la custodia di una bacchetta. Lunga, in pelle di capretto, con
lacci e fibbie per la chiusura.
Deglutii.
In quel momento, potevo notare solo due cose: era stata maneggiata, perché recava i segni recenti di una mano.
Ed era vuota.
Il mio attimo di
avvilimento, tuttavia, non durò che un istante, per tramutarsi
velocemente in un sobbalzo di paura. Qualcuno parlò, alle mie
spalle, e la sua voce mi colse del tutto di sorpresa.
“È sempre un piacere rivederti, Lina! Una tazza di tè?”
Voltandomi di scatto mi
ritrovai a osservare il sorriso beffardo di Xellos, che gravitando
mollemente sopra di me, stava comodamente rimestando in una tazza da
tè con quello che a prima vista mi sembrò un grosso
cucchiaio di legno.
“Che diav…!”
Xellos sorrise
amabilmente. “Anche per me è un piacere rivederti, e noto
con interesse che hai già imparato a cavartela nella tua
nuova, condizione!” Ammiccò. “Sei sempre stata una
ragazza in gamba.”
“Condizione un
corno!” sibilai. Ero fuori di me, tanto arrabbiata con lui che
non trovavo nemmeno le parole con cui chiedergli spiegazioni. Del
resto, sarebbero state parole vane: quando mai Xellos dava qualche
spiegazione? Di solito era più sibillino di una sfinge. La voce
di Joy mi arrivò attutita attraverso la porta incantata:
“Lina, che succede? Con chi stai parlando?”
“Con nessuno!”
“Nessuno?
Così mi offendi, amica mia.” Xellos fece sventolare
l’indice davanti al naso con aria contrariata. “E pensare
che ero qui proprio per aiutare te…” disse poi, fingendosi
risentito.
“Ah!”
esclamai “Aiutare me! Ma senti un po’… adesso vuoi
aiutarmi? L’ultima volta sei sparito senza darmi uno straccio di
spiegazione. Mi sembra fin troppo ingenuo, da parte tua, credere che io
ti presti fede senza pensare che dietro non c’è qualche
trappola” dichiarai, con un sorriso cattivo.
Mi credeva davvero tanto fessa?
“Sappi che sono
sempre più offeso da questa tua diffidenza nei miei
confronti!” mi sentii rispondere “Ma fortunatamente per te
la natura mi ha dotato di un animo generoso…”
Accompagnò questa frase con un sorriso e un’occhiata
assassina. Io deglutii.
Xellos estrasse
quello che supponevo essere l’Akan dalla tazza di tè,
bevve una lunga sorsata e fece sparire tazza e piattino.
Dopodiché mi fece sventolare davanti alla faccia la
bacchetta-cucchiaio, mentre io, osservandolo, mi rendevo conto che dove
avrebbe dovuto esserci la conca del cucchiaio c'era invece spazio
vuoto, mentre sulla sommità dell'arco, all'interno, spuntava
qualcosa che aveva tutta l'aria di essere un gancio .
“Qualcosa nel tuo sguardo mi dice che sei interessata all’articolo…”
“Può
darsi” dissi, indifferente, distogliendo lo sguardo. Forse, se mi
fossi mostrata disinteressata, Xellos mi avrebbe lasciato l’Akan
senza troppe storie…
Sì, certo. E poi
ci saremmo scambiati consigli sull'amore e avremmo danzato in mezzo ai
fiori. Non si poteva ingannare un tipo come Xellos. Uno che aveva fatto
le scarpe alla maggior parte dei suoi illustri colleghi.
“Ad ogni
modo…” presi fiato “Immagino che se tu fossi tanto
gentile da darmi quello che cerco, ci sarà un prezzo da pagare.
E ho come il sentore che sarà un prezzo caro e salato, dico
bene?”
Ci fissammo per un attimo negli occhi.
“Ho sempre adorato la tua sagacia, Lina. Ma in questo caso ti sbagli: sono qui solo per aiutarti.”
Feci un passo indietro: “Come no…” borbottai.
Xellos rimirò e
soppesò l’oggetto che teneva tra le mani, mentre una
striscia di luce argentata, entrando dalla finestra, faceva risplendere
i suoi serici capelli scuri. Stare con lui in quello stanzino buio,
senza avere nemmeno un asso nella manica, era vagamente inquietante.
Molto vagamente inquietante.
“Quando ti ho
tirato fuori da quella torre, prima che tu venissi ridotta in briciole,
non l’ho fatto aspettandomi qualcosa in cambio, dico bene?”
“Non lo so. Non so mai niente con te… Non so mai cosa aspettarmi.”
“E mi sembra anche di averti avvisato più e più volte, durante questa ‘missione’…”
“Dove vuoi arrivare?” tagliai corto. Quel suo dilungarsi mi innervosiva.
“Da nessuna
parte, Lina. Sono qui per darti l’unico oggetto in grado di
salvarti. Mi interessa che tu sia ‘salva’, capisci?”
Tentennai. Dov’era la fregatura, maledizione?
“Qualcuno ha tentato di scardinare la porta, prima di noi….Voglio sapere chi è e perché.”
Xellos sorrise: “Oh, mi dispiace mia cara, ma come bene potrai immaginarti…”
“Lasciami indovinare: è un segreto?”
“Appunto.”
Il suo sorriso,
nell’oscurità, faceva pensare ad un enorme felino intento
a pregustarsi la paura della propria preda, prima di saltargli alla
gola.
“Ci sei dentro fino al collo, non è così?”
“L’ho sempre detto che adoro la tua perspicacia.”
“Solo non riesco a capire… Perché? Cosa ci guadagnate tu e la tua combriccola se io rimango in vita?”
“L’informazione è riservata.”
“Ovviamente.”
Mi stavano trattando
tutti come se fossi una marionetta priva di una propria volontà:
i demoni tiravano da una parte, Babette e Joy dall’altra, mentre
io ballavo senza sosta quella macabra danza.
“Lina? Si può sapere cosa diavolo sta succedendo là dentro?” Joy stava cominciando a spazientirsi.
“Il tuo amico
comincia a preoccuparsi per te, forse è il caso di continuare
questa conversazione in un altro momento.” Xellos mi
indicò la porta “Torna con i tuoi mezzi, io porterò
fuori questo per te.”
“Xellos!”Gli
lanciai un’occhiata di fuoco “Lo so che non fai mai niente
per niente, e so anche che, se dovessi sacrificarmi in nome di qualche
tuo sporco affare, non ci peneresti due secondi, perciò sappi
che starò in guardia: non mi fido di te.”
Il demone non mi
degnò di una risposta. Con un gesto della mano fece levitare
verso di sé la custodia dell’Akan, e lui e il suo sorriso
sornione sparirono prima che avessi avuto il tempo di dire o fare alcun
che.
Quando, dopo svariati tentativi, riuscii a riattraversare la porta, trovai Joy, solo nel corridoio, con uno sguardo sconcertato:
“Uno strano tizio
con una parrucca viola mi ha dato questo…”disse,
mostrandomi la custodia dell’Akan .“Ha detto che come
cucchiaio da tè non vale niente, ma che può fare cose
più interessanti…”
Roteai gli occhi al cielo.
“Andiamo” esclamai bruscamente, superandolo con sguardo truce.
Bisognava vedere cosa
questo Akan potesse fare di così interessante da convincere
Xellos a servirmelo su un piatto d’argento.
“Bene, è
quasi l’alba e noi abbiamo l’Akan.” Joy mi
sbandierò la custodia dell’Akan davanti al naso, come se
fosse tutto merito suo.
“Abbiamo il
negromante” Gli fece eco Babette. “E abbiamo il lugo
appartato” concluse, riferendosi alla radura non lontano dal
tempio in cui ci eravamo appartati.
“Ora manca soltanto…”
Ci guardammo tutti e tre.
“Manca il mio
corpo” mormorai. Non avevo ancora capito cosa avesse intenzione
di fare Babette, ma una cosa era certa: meglio nelle sue grinfie che a
cuocersi lentamente davanti a tutta Sailunne. Del resto, il mio futuro
in quel momento mi appariva troppo distante e confuso per permettermi
di riflettere sulle conseguenze delle mie azioni. Sapete come si dice,
no? Meglio un buon piano oggi che un piano perfetto domani.*
Il mio sguardo
vagò verso il vasto cortile di Sailunne. Il cielo cominciava a
rischiarare, sottili strisce purpuree annunciavano l’alba
imminente. In lontananza si sentivano le voci concitate dei servi che
trascinavano grandi quantità di legname verso la pira funebre in
allestimento. Ehi, non capita mica tutti i giorni di assistere ai
funerali della grande Lina Inverse.
“Joy…”
Joy fece ricadere la testa all’indietro, lasciandosi sfuggire un sospiro esasperato.
“Devi rubarlo. Devi rubare il mio corpo”
La testa gli ricadde ciondoloni contro al petto.
“Era proprio quello che temevo” disse soltanto. E non sembrava contento, per niente.
* Legge di Murphy
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Capitolo 14 *** Di errori, illusioni e mezze verità ***
capitolo 14
Di errori, illusioni e mezze verità
‘Such a lonely day
Shouldn’t exist
It’s a day that ill never miss
Such a lonely day
And it’s mine
The most loneliest day of my life
And if you go
I wanna go whit you
And if you die
I wanna day whit you
Take your hand and walk away.’ (Lonely day, System of a down)
“D’accordo, strisceremo fino alla scalinata del tempio…”
“Lina, io
striscerò. Tu puoi anche camminare normalmente, visto che
nessuno può vederti! Cosa che non si può in tutta
onestà affermare per il sottoscrit…”
“Vorrei
ricordarvi che avete meno di mezz’ora” Babette si intromise
nel discorso sventolando elegantemente la sua coda argentata. Ci
fissò tranquillamente con i profondi occhi color ambra, e
altrettanto tranquillamente affermò: “Se passerete tutto
il vostro tempo qui a litigare, Lina verrà portata via da un
corteo e poi verrà bruciata.” Sollevò delicatamente
una zampa e si rimirò i polpastrelli dotati di unghie
retrattili: “Laggiù” Concluse quindi, indicando con
un cenno della testa il poco lontano manipolo addetto
all’allestimento del mio funerale.
Deglutii mentre Joy si massaggiava le tempie.
“E va bene,
andiamo…” borbottò. Fece qualche passo, quindi si
girò di scatto verso di me, che mi stavo apprestando a seguirlo:
“E senza storie!” mi ammonì.
“Vorrei ricordarti che si tratta del mio corpo! Se farai qualcosa che riterrò inopportuno, io…”
Joy mi fissò levando il sopracciglio, scettico.
“Io ti
strillerò nei timpani tutte le notti fino a che questa storia
non sarà finita” conclusi, soddisfatta nel vedere una
smorfia di disgusto comparire sul suo volto.
Joy si
voltò, stringendosi nel mantello, e, dopo aver sbuffato per
l’ennesima volta, proseguì. Standogli alle calcagna potevo
vedere l’Akan sporgergli dalla cintola a cui teneva appesa la
spada.
Col favore di
quel che rimaneva della notte, e cercando di battere sul tempo
l’alba ormai imminente, raggiungemmo un lato del tempio. Ma,
quando mi sporsi per dargli il via libera, dovetti mordermi la lingua:
all’ingresso c’erano due guardie impettite, vestite come si
conveniva ad una grande occasione.
“Maledizione…” imprecò Joy. “Siamo arrivati troppo tardi.”
“Fai qualcosa!”
Joy strabuzzò gli occhi: “Cosa vuoi che faccia?!”
“Qualsiasi cosa!”
“Emh… salve!”
Le guardie scrutarono sospettose Joy, che stava salendo gli scalini del tempio.
“Nottataccia, vero?”
Le guardie si
scambiarono una breve occhiata, Joy fece un passo avanti. “Deve
essere penoso starvene qua, a sorvegliare un… cadavere, dalle
prime ore dell’alba…”
“Abbiamo degli ordini precisi, signore.”
“Sì, certo, capisco… Come se quella tizia potesse andarsene da qualche parte! Hahaha…”
Le guardie non colsero la sua sottile ironia.
“Che
diavolo stai facendo?” Lo rimproverai, affiancandolo, “Ti
ho detto ‘Fai qualcosa’ non: ‘mettiti a fare
l’idiota e facci perdere altro tempo’!”
“Schhh!” Mi scacciò Joy, come se fossi stata una mosca fastidiosa, dopodiché proseguì:
“Beh, lo
dicevo per voi; immagino dovrete rimanere molte ore qui,
sull’attenti, senza un attimo di pausa…”
Lanciò una breve occhiata alle guardie, poi, con calcolata
indifferenza, estrasse una delle sue sigarette arrotolate dalla
tasca, e se la mise in bocca con un gesto teatrale.
Vidi lo sguardo dei due uomini farsi più attento.
A quel punto Joy
prese un fiammifero, facendolo strisciare contro alla suola dello
stivale, e accese la sigaretta con uno sfrigolio che vibrò
nell’aria silenziosa della notte; doveva essere molto invitante
per i due piantoni impalati lì già da diverse ore.
Il mercenario,
senza alcuna pietà per gli sguardi ora quasi supplichevoli dei
due uomini aspirò una grande boccata di fumo, per poi
espirargliela in faccia senza troppi complimenti.
“Ah! Proprio quello ci vuole per rilassarsi!” disse, vestendo un’espressione di puro godimento.
Io annusai
l’aria fumosa intorno a noi e, con una smorfia, mi resi conto che
quell’odore non assomigliava per niente al comune odore che
dovrebbe avere una sigaretta.
“Joy, cosa stai…?”
Joy sorrise alle
due guardie: “Naturalmente, ritengo sia inutile chiedere a due
integerrimi uomini di fiducia come voi se…” porse la
sigaretta verso di loro, incoraggiante.
Le guardie sudavano freddo.
“No, ovviamente n…” Joy stava per ritrarre la mano, quando…
“No! Asp… Aspetti!” Uno dei due soldati aveva ceduto.
“Ed! Che stai facendo?” Lo rimproverò il compagno “Noi non possiamo, siamo in servizio…”
“Ash, andiamo, solo una boccata, per rinfrancarci un po’… non lo saprà mai nessuno…”
“Sì
Ash, nessuno vuole fare la spia…” Joy sorrise in modo
diabolico. All’improvviso riconobbi in lui il mercenario che mi
aveva ingannato e fatto inciampare nei suoi tranelli per tutto il
tragitto da Solaria a Sailunne. Infido che non era altro…
Però
dovevo ammettere che non se la stava cavando affatto male. Ma
considerando che era un imbroglione professionista, non avrei dovuto
stupirmene più di tanto, giusto?
Ash, tuttavia, era ancora titubante.
“Ma se ci vedesse qualcuno…”
Joy
scrollò le spalle: “Ragazzi, sapete cosa vi dico? Ash ha
ragione. Se qualcuno dovesse scoprire questa, a detta mia, innocente
pausa che vi concedete, potrebbe pensare che non svolgiate onestamente
il vostro lavoro… Come si può fare?” Così
dicendo si portò una mano al mento, fingendosi pensieroso.
“Ah! Ci sono! Potreste nascondervi dietro quei cespugli e
rilassarvi qualche minuto, come dovrebbe fare ogni buon lavoratore per
svolgere egregiamente il proprio servizio! Però resterebbe il
problema che voi qua dovete sorvegliare un corpo… Come si
può fare? Ascoltate, e se ve la curassi io la ragazza per
qualche minuto, cosa ne dite? Del resto, dubito che si alzi sulle sue
gambe per andarsene chissà dove.”
Le guardie si insospettirono. Ash in particolar modo:
“E perché dovresti fare tutto questo?” Chiese, poco convinto.
Joy roteò gli occhi al cielo, e scoppiò in una risata ‘da-veri-uomini’, molto, molto calcolata.
“Amico!
Andiamo, che domande! Sono stato anch’io un piantone, lo so come
ci si sente! Paghe misere, orari impossibili fermi immobili nella
stessa posizione, se non ci si aiuta tra fratelli…”
Si portò
la sigaretta arrotolata davanti agli occhi “E fidatevi, questo
è il miglior aiuto che si possa avere in un lavoro come
questo.”
Gli occhi delle guardie brillarono.
Joy lanciò loro un piccolo sacchetto di lino grezzo, che teneva ben custodito in una tasca:
Oppio.
“Fate con
calma, qui ci penso io!” sussurrò, con fare cospiratorio,
mentre i due piantoni scivolavano furtivi e silenziosi ai lati del
tempio, impazienti di provare quel che Joy gli aveva rifilato.
Dovevo dire che ero vagamente disgustata, ma anche decisamente impressionata.
“Li hai
drogati!” esclamai. Joy fece spallucce. “E tu stesso ti
droghi! Da quanto fai uso di quella… roba?”
“Non ti facevo così bigotta.”
“Non è per quello, è che tu…” I miei occhi incrociarono i suoi “Perché?”
Joy si
sfregò la punta del naso, un gesto che faceva spesso
quando voleva chiudere un discorso il più in fretta possibile:
“Perché?
Domanda interessante, vediamo… Forse perché le mie notti
sono popolate di incubi e le mie giornate di spiriti?”
Non seppi cosa replicare. Joy non distolse lo sguardo dal mio:
“Sai,
è consolante sapere che esiste qualcosa capace di…
Offuscare la mia mente per un po’. Tutto qua. Oh, ma non
preoccuparti per stasera. Quella sigaretta conteneva una
quantità minima di oppio, a differenza di quanto ho lasciato a
loro. Sono lucido.”
Continuai a rimanere in silenzio. Joy parve contrariarsi:
“D’accordo,
continui a fissarmi senza parlare. Deduco che questa volta devo aver
toccato proprio il fondo della tua stima nei miei confronti. Beh, non
so che dirti. Non voglio giustificarmi, d’accordo? Si tratta
della mia vita, in fondo. Naturalmente il tuo Gourry non farebbe mai
qualcosa del genere. Sai, lui è un raggio di sole, io
invece… beh, adesso andiamo, il tempo stringe” concluse la
frase sbrigativamente e si infilò nel tempio ormai incustodito.
Io lo guardai con le sopracciglia aggrottate.
Ovviamente non mi
sarebbe mai passato per l’anticamera del cervello di dirglielo,
ma ero rimasta senza parole perché, per la prima volta, avevo
scorto l’abisso celato nel suo sguardo. Non doveva essere facile
vivere nei panni di Joy. Iniziavo a capire perché si trincerasse
dietro quell’atteggiamento sprezzante e arrogante e, per quanto
mi costasse ammetterlo, lo comprendevo. Capii che stavo iniziando a
conoscerlo e... ad apprezzarlo per quello che era. Per quello che era
davvero.
Entrai nel tempio, ma dovetti arrestarmi alle spalle del mercenario.
Oh, non per il mio corpo. Quello c’era ancora, figuratevi.
Bianco e
marmoreo, circondato da fiori ambrati di cui una settimana prima
ignoravo addirittura l’esistenza, ma che ora tutti pensavano
fossero i miei preferiti. E lì, accasciato tra quegli stupidi
fiori, con la schiena addossata al freddo altare che mi faceva da letto
di morte, c’era Gourry.
Teneva lo sguardo
fisso davanti a sé, guardando un punto imprecisato. Non muoveva
un muscolo. Il respiro regolare non avrebbe potuto tradirlo.Se non
fosse stato per le lacrime che gli scorrevano silenziose lungo le
guance, l’avrei pensato semplicemente assorto in qualche
complicato rompicapo.
Non si trattava
più dei singhiozzi disperati a cui avevo assistito la notte
precedente, né tanto meno dello sguardo folle che gli avevo
visto solo poche ore prima, quando aveva affermato che si sarebbe
vendicato.
Era molto, molto peggio. La sua anima si stava scucendo davanti ai miei occhi.
“Gourry…” mormorò Joy, non trascurando di lanciarmi una breve e nervosa occhiata.
Sapevamo entrambi
che il tempo stringeva. Che di lì a poco sarebbero venuti a
prendermi per cominciare la grigliata. Ma in quel momento, per quanto
mi sforzassi, non trovavo il coraggio di reagire.
Come uno schiaffo
mi colpì il ricordo di come mi ero sentita io il giorno dopo il
rapimento di Gourry ad opera di Phibrizio. Disperata… E sola.
Perduta.
E, allo stesso
modo, avevo pianto silenziose lacrime. Tuttavia, quella volta
avevo avuto in me la forza di scuotermi per andarlo a cercare. Per
riaverlo con me. Perché io una speranza ce l’avevo.
Ma se mi avessero detto che Gourry era…?
Se irrompendo nel covo di Phibrizio l’avessi trovato così come ora lui vedeva me, bianco e freddo?
Scossi la testa; faceva troppo male immaginarlo.
Gourry non
reagì all’avvicinarsi di Joy. Non tentò nemmeno di
asciugarsi le lacrime e di darsi un contegno, come forse avrei fatto io.
“Gourry, che ci fai qui? Dovresti essere…” Joy mi sembrava veramente a disagio.
“Io le sto tenendo compagnia, un ultima volta, prima che...”
Io mi sentii tremare le gambe. Non andavo da nessuna parte, maledizione!
“Sì,
lo vedo, ma…” Joy si torse le dita. Era il re dei
bugiardi, ma in quel momento gli mancavano le parole. “Non pensi
che magari Lina abbia bisogno di un po’ di, ecco… privacy?
Sai, prima del viaggio eterno…”
Gourry lo ignorò. Probabilmente era una forma di cortesia nei confronti di Joy: privacy?!
“Joy…”
Gourry scosse la testa, gli occhi lucidi e gonfi. “Ho fatto uno
sbaglio. Un enorme sbaglio…”
“Può
succedere, Gourry. Sei umano anche tu, dopotutto…” Joy
fremeva per estrometterlo dal tempio. Si voltò verso di me e
bisbigliò: “Ma di cosa sta parlando?”
Io levai le
spalle. Non ne avevo la più pallida idea. Sapevo solo che stare
davanti al mio cadavere e a Gourry ridotto così faceva
più male di una coltellata.
La voce di Gourry interruppe i miei pensieri:
“Non dovevo restare con lei, Joy. Sarei dovuto partire con te dopo Solaria…”
A Joy per poco non cascavano le braccia a terra. A me era come se avessero tirato un pugno in pieno stomaco.
Joy si
avvicinò all’amico “Senti, lo capisco che sei fuori
di te… Ma ti sembra il caso di dire simili idiozie davanti
a…” I suoi occhi mi cercarono, poi indicò il mio
corpo: “Lei?”
“Perché?
Tanto ormai che importanza può avere?” Gourry puntò
gli occhi rossi in quelli di Joy. “L’ho uccisa io.”
“Gourry
finiscila!” Joy lo afferrò per le spalle e lo scosse,
cadendo a sua volta in ginocchio tra le profumate calendule. “Si
può sapere che ti passa nella testa?”
“Quella
notte è stato un errore!” gridò a quel punto lo
spadaccino, divincolandosi. “Un maledetto, orribile errore!
Capisci?”
Joy assunse un’espressione confusa: “Ma di cosa?...”
Io mi sentii gelare. Un errore?, era così che la vedeva?
“Se non le
avessi riempito la testa di sciocchezze, se non le avessi
chiesto… E adesso è troppo tardi. Lei è morta!
È morta…” Ora era Gourry che aveva afferrato le
spalle di Joy, il quale lo guardava pieno di sgomento. “Vorrei
cancellare quello che ho fatto, vorrei cancellare tutto e ricominciare
da capo, ma non posso! Perché è a causa mia
che…”
Quelle furono le
ultime parole che sentii, prima di girare i tacchi e correre fuori dal
tempio, mentre le parole di Gourry mi aprivano una ferita dentro,
più profonda e dolorosa di quella che mi aveva inferto Babette.
Corsi giù
per gli scalini, passai davanti alla pira, ormai completata, e
attraverso il corteo dei sacerdoti di Sailunne che uscivano dal tempio
maggiore per presenziare alla cerimonia.
Non sapevo dove
stavo andando. Era una cosa stupida, irrazionale. Avrei dovuto
preoccuparmi di portare in salvo la pelle… Quella che ancora
possedevo, seppur in un'altra sede. Ma non potevo stare un minuto di
più in quella sala del tempio.
Era più di quel che mi si poteva chiedere; abbiamo tutti dei limiti, dopotutto.
Quando Joy mi
raggiunse, ero seduta in uno dei giardini botanici del palazzo; tenevo
le gambe al petto e tremavo. Se avessi potuto avrei pianto.
Ebbene sì, io, la grande Lina Inverse.
Era così umiliante.
“Lina!
Anf… Anf… Per gli dei, dannazione…” Ignorai
il fatto che a Joy stesse per venire un infarto. Essere fantasmi almeno
faceva risparmiare fiato.
“Tu…”
Mi indicò col dito tremante mentre, una mano al cuore, cercava
di riprendersi. “Tu… Sei pazza! Cosa pensi di risolvere
così? Torniamo là dentro, forza…”
Scossi la testa, senza smettere di guardare davanti a me.
“Lina!
Gourry è sconvolto, farneticava, l’hai sentito anche
tu… noi adesso dobbiamo sbrigarci perché…”
“Abbiamo fatto l’amore.”
Joy sbatté le palpebre. Io sorrisi amaramente.
“È questo l’errore di cui parla Gourry.”
Non sapevo
esattamente perché l’avevo detto. Forse avevo bisogno
anch’io di credere che fosse stato un errore, e raccontarlo a Joy
era il modo migliore per pentirsene, dopotutto…
O forse avevo semplicemente bisogno di raccontarlo a qualcuno, e Joy era l’unico che poteva accogliere le mie confidenze.
Passò qualche secondo, poi Joy venne a sedersi al mio fianco.
“Non ho fazzoletti da prestarti.”
“Non sto piangendo.”
“Sì, invece. Non si piange solo con le lacrime.”
Mi voltai, guardandolo da sopra alla spalla. Joy scosse la testa.
“Gourry ti
ama, Lina.” Sospirò. “Ricordi la conversazione che
abbiamo avuto in riva al fiume, più o meno all’inizio di
questo viaggio?”
“Quella
simpatica conversazione in cui hai affermato che Gourry era un uomo
frustrato grazie a me, e che io costituivo un limite per lui? Ho un
vago ricordo, sì” risposi, senza capire se Joy stesse
cercando un modo per confortarmi o farmi sentire ancora più
giù di morale.
“Beh, mentivo.”
“Strano: non è da te,mentire, Joy” replicai, levando un sopracciglio.
“Lina, il
punto è… che la gente si racconta delle cose. Ma non
è detto che queste cose corrispondano alla realtà. Volevo
che Gourry partisse con me perché, mi dicevo, con me sarebbe
stato meglio. Non era vero, così come non è vero che
Gourry pensa che quello è successo tra di voi sia un errore. Se
lo racconta solo per punirsi, perché pensa di meritarselo.”
“Perché mi dici queste cose, Joy? Tu mi odi.”
Joy fece
spallucce. Stava per fare qualche commento idiota, lo capii da come
atteggiava il mento, ma qualcosa lo fermò. Tornò serio.
“Tu sei la
mia occasione, Lina.” Sospirò. “Se c’è
del buono in me, in questo dono maledetto, posso scoprirlo solo
aiutandoti. E aiutando Gourry. Lui l’ha sempre fatto, per me.
Permettimi di aiutarvi.” Mi guardò dritto negli occhi:
“Ti prego, lascia che io ci provi.”
Non l’avevo
mai visto tanto sincero. Avrei potuto commuovermi, giuro, ma Joy
proseguì, imperterrito: “Senza contare che…”
con un rapido gesto estrasse l’Akan dalla cintola. “Non
avremo trafugato questo affare per pettinarci le bambole, spero!”
Sventolò la custodia dell’Akan davanti al mio naso, poi
con una smorfia aggiunse: “Inoltre, lascia che te lo dica:
quell’aria funesta non ti si addice… Devi forse
presenziare a qualche funerale?”
Un lieve sorriso si dipinse sul mio volto. Joy mi strizzò l’occhio, poi assunse un’espressione esasperata:
“Andiamo, coraggio. Per quanto mi scocci ammetterlo… cosa sarebbe il mondo senza Lina Inverse?”
I lievi rintocchi
di una campana accompagnarono la nostra seconda sortita al tempio.
Questa volta, volente o nolente, Gourry o non Gourry… Lina
Inverse doveva uscire da quelle porte, con o senza le sue gambe.
Avevo detto a Joy
di non farsi problemi a stendere Gourry se fosse stato necessario. Uno,
perché non avevamo più tempo, e due perché, lo
ammetto, non gli avevo perdonato di aver definito la nostra prima volta
un errore. Glie la avrei volentieri fatta pagare personalmente, se
avessi potuto.
Tuttavia, quando
raggiungemmo l’altare, notammo con sollievo che dello spadaccino
non c’era più traccia. Guardai Joy, il quale aggiunse, con
un’alzata di spalle: “Deve avermi creduto quando gli ho
detto che tuo padre lo stava cercando per parlargli di una questione
che concerneva le tue ultime volontà…”
“Joy…
Non vedevo mio padre da più di sei anni, che diavolo vuoi che ne
sappia delle mie ultime volontà?”
“Oh,
beh… deve esserselo chiesto anche Gourry, per questo è
andato a chiarire.” L’aria seria non abbandonò il
volto di Joy. Un bugiardo nato.
Levai gli occhi al cielo. “Comunque non ha importanza; diamoci una mossa.”
Studiai il mio
corpo. Nonostante tutto, era davvero interessante essere me ed essere
fuori da me… ma non era quello il momento di perdersi in
chiacchiere.
“Cosa pensi di fare?”
Joy non perse
tempo: “La cosa più ovvia: ti ‘rubo’!” E
così dicendo afferrò il mio cadavere, o quel che era,
insomma, e, assai poco gentilmente, se lo issò in spalla, mentre
la mia testa gli ricadeva ciondoloni lungo la schiena
“Ehi…!”
La sua mano…..
“Leva immediatamente quelle sporche mani dal mio fondoschiena!”
“Oh, ti
prego! Non abbiamo tempo per queste idiozie! Piuttosto…
corri!” E così dicendo si catapultò verso la porta,
mentre la mia povera testa sbatacchiava ovunque.
“Joy!” gridai, “Fa attenzion…”
Proprio in quel
momento, nell’esatto istante in cui stavamo per imboccare
l’uscita, una alta ed imponente figura si stagliò davanti
alla porta, impedendoci il passaggio.
Io frenai di colpo, Joy fu meno fortunato e si schiantò contro al possente torace di Herman.
“Maledizione, ci mancava solo questa…”esclamai, levando gli occhi al cielo.
Il mio corpo era a terra, di fianco a Joy, e sembravano entrambi piuttosto malmessi.
Herman, il quale era invece rimasto in piedi ed illeso guardava la scena costernato, quasi stesse rimirando un massacro.
“Capo, cosa stai combinando? Stai… stai trafugando il corpo!”
“Herman!
Piano con le parole!“ Joy si massaggiò la schiena,
rimettendosi in piedi. “Trafugare! Non mi sembra questo il
termine corretto per definire… ecco…” Mi
lanciò un’occhiata disperata. Ma io non avevo soluzioni da
offrire.
“Dobbiamo
sbrigarci!” dissi, indicando l’uscita. “I sacerdoti
saranno qui da un momento all’altro!”
“Giusto. Herman, caro Herman… Tu lo sai che ti ho sempre ritenuto un buon soldato, vero?”
“Sì, capo, ma questo cosa c’entra adesso? Tu stavi scappando con il corpo di Lina Inverse…”
“Ah! Ma
è qui che ti sbagli, caro Herman. Perché, sai, io non
stavo scappando con il corpo di nessuno. Anche se ad una prima occhiata
potrebbe sembrare così ti assicuro che le apparenze
ingannano.” Mentre parlava Joy mi ‘raccolse’ da
terra. “Quello che stavo facendo, in effetti, era…
Liberare Lina Inverse! Appunto! Hai mai sentito parlare della setta di
liberazione dei corpi destinati all’oblio?”
Questo era troppo, perfino per Herman.
“Sei impazzito, capo? Di quale setta stai parlando?”
“Di una
setta religiosa!” rispose prontamente Joy. “Una setta
religiosa a cui ho aderito, che si occupa di… di… non far
soffrire inutilmente i corpi! Insomma, avrai sentito che volevano
cremare la poverina.”
“Si, venivo appunto per quello…”
“Ah,
è così dunque?” Joy assunse un’aria
indignata. “Tu sapevi che la Inverse sarebbe stata cremata,
è non hai fatto niente per impedirlo?! Devo sempre pensare a
tutto io, come al solito.” Detto questo superò lo
sconvolto Herman e cominciò a discendere gli scalini.
“Ma
capo!” Gli gridò dietro l’omone “Io credevo
che cremare i morti fosse una cosa giusta. Io non potevo
immaginare… Ma di cosa si occupa questa setta,
esattamente?”
Joy, che stava
mettendo piede sull’ultimo scalino, senza degnarsi di guardarlo
si limitò a biascicare: “Oh, dolce trapasso, cose
così” balbettò.
“Ma Lina
Inverse è già trapassata…” Fu la sensata
obbiezione. Joy non si fece scoraggiare dalla logica
dell’affermazione, e proseguì nei suoi ragionamenti degni
di un folle. Se Herman non fosse stato l’anima candida che era
avrebbe fiutato odore di menzogne già da un pezzo.
“Per il trapasso del corpo! Maledizione, devo sempre spiegarti tutto?”
Contro ad ogni previsione, Herman cominciò a seguirci:
“Ma, scusa,
perché non ne parli con il principe… La famiglia reale
è davanti alla pira con tutti gli amici di questa ragazzina: non
puoi agire di nascosto! Se si tratta di una cosa giusta, sono sicuro
che ascolterebbero quello che hai da dire….Vuoi che vada ad
avvisarli?”
“NO! Ecco,
no, ti ringrazio, caro Herman. Ma vedi, questa setta è
segretissima e poi è… illegale!”
Herman sbiancò.
“Illegale?”
“Sì.
No. Cioè…” Joy deglutì. “Illegale solo
qui, a Sailunne, perché questo è il regno della magia
bianca, mentre vedi, questa associazione che si occupa di non far
soffrire… i corpi… si avvale di tecniche poco ortodosse,
quindi tu capisci che…”
Herman assunse un’espressione saggia:
“Oh,
sì, allora è tutto chiaro…” Il suo viso si
addolcì “Capo, non immaginavo che fossi così
religioso…” Si sciolse in un sorriso affettuoso,
dopodiché si ricompose. “In questo caso, capo, voglio
aiutarti!”
Io e Joy ci guardammo atterriti:
“NO! Beh,
vedi, il fatto è che… Tu non hai avuto la benedizione
della confraternita. Mi dispiace, ma non puoi assistere alla…
alla cerimonia.”
Nel frattempo
eravamo quasi arrivati in prossimità del luogo in cui ci
attendeva Babette. Ancora pochi minuti e il lieve rossore del sole
avrebbe rischiarato l’atmosfera intorno a noi, il che voleva dire
che da lì a poco avremmo corso il serio rischio di essere
scoperti. Bisognava tagliare corto.
Herman sembrava parecchio deluso. Joy tentò la sua ultima carta:
“Senti
Herman, niente storie, sono o non sono io il capo, dopotutto? Non ti
immischiare in questa faccenda, fammi il favore…”
“Ma la gente che aspetta il funerale…? Cosa penseranno?”
Joy ci pensò su un secondo, dopodiché vidi una scintilla balenare nel suo sguardo:
“A loro ci
penso io, tu non ti preoccupare. Solo una cosa: se ti fai sfuggire
qualcosa su quanto ci siamo detti fino ad adesso, una qualsiasi
cosa… Saranno grossi guai per te, ci siamo capiti?” Gli
occhi di Joy divennero due fessure “Non una parola!”
“Non una parola…” Ripetè Herman, vagamente intimorito.
“Bene, ora
torna… Anzi no, resta nei paraggi, e non farti vedere:
più tardi verrò a cercarti per spiegarti cosa fare, fino
a quel momento…”
“Acqua in bocca e resto nei paraggi senza farmi vedere” ripetè Herman, che aveva memorizzato l’ordine.
“Bene, a
più tardi!” E detto questo Joy scivolò silenzioso
tra le siepi, portandosi dietro il mio corpo ammantato di bianco.
“Credi che Herman abbia creduto alla marea di idiozie che gli hai propinato?” Gli chiesi, non appena fummo soli.
“Herman
è un brav’uomo, ma decisamente ingenuo. Senza contare che
si fida ciecamente di me.” Joy mi rivolse un’occhiata
storta. “Sei pesante però, Lina Inverse!” Io lo
fulminai.
“Perché gli hai detto di rimanere qua e non farsi vedere?” Proseguii, tanto per cambiare discorso.
“Sarà
il mio alibi quando si chiederanno che fine abbia fatto il corpo di
Lina Inverse. Dirà che era nelle cantine con me a farsi un
cicchetto.”
Mi voltai a fissarlo: “Non sei poi così idiota come sembri, dopotutto…”
“Ebbene, ce
l’avete fatta, a quanto vedo…” Babette ci aveva
raggiunto nel luogo stabilito, un angolo di giardino sufficientemente
riparato da sguardi indiscreti. Joy si fermò, e senza troppi
complimenti scaricò il mio corpo sull’erba bagnata di
rugiada.
“Fai attenzione!” abbaiai. Il mercenario mi ignorò deliberatamente.
“Dunque,
adesso cosa facciamo?” chiese, incrociando le braccia davanti a
Babette. La gatta frustò l’aria con la coda un paio di
volte, scrutando il mio corpo con interesse.
“Ho fatto proprio un buon lavoro” si compiaque.
Io roteai gli occhi al cielo.
“È la frase che potrebbe dire solo un assassino psicopatico.”
Cosa che Babette, in effetti, era. Un gatto pazzo con manie omicide.
Posai lo sguardo sul mio povero corpo, abbandonato tra l’erba, inerme, vuoto…
Quella ero io.
Quel volto ovale,
quel fisico minuto, quei lunghi capelli ramati. Le mani dalle dita
sottili, i gomiti leggermente appuntiti, la frangia sempre
disordinata…
Non avrei potuto
essere in un'altra maniera; io e il mio corpo ci appartenevamo, insieme
avevamo convissuto per vent’anni e insieme ci eravamo modificati,
evoluti.
Avevamo vissuto.
Cosa sarebbe
stato di me, senza… me? Come aveva potuto, Babette, pretendere
il mio aiuto a costo di farmi perdere quanto di più importante
avevo, la vita? La possibilità di poter parlare con la mia voce,
di poter correre con le mia gambe, di poter usare la mia magia?
“Mangerò
arrosto di gatto quando tutta questa storia sarà
finita…” Borbottai tra me e me, digrignando i denti.
Joy intanto aveva
sfoderato l’Akan dalla cintola, estraendolo dalla custodia, e
guardava sospettoso quella sottospecie di grosso cucchiaio cavo. Il
gancetto dorato che pendeva all’interno splendeva luminoso.
“Quindi,
ecco…” disse, rimirandolo da ogni lato, nel vano tentativo
di scoprire un meccanismo segreto che l’avrebbe portato alla
comprensione del misterioso oggetto. Poi ci rinunciò:
“D’accordo, come funziona e a cosa serve questo
aggeggio?”
Babette si
avvicinò, poggiando una zampina vellutata sulla custodia, che
era scivolata a terra: “Qui dentro c’è la risposta.
Voi uomini vi concentrate troppo sul superfluo, il vero Akan, è
ancora nella custodia”
“Ah” Joy sembrava interdetto. “E questo allora che accidenti è?”
“Il suo
supporto” fu la pronta ed immediata risposta. Io mi avvicinai
incuriosita, mentre Joy sollevava la custodia, da cui emersero, in
ordine, quattro sacchetti di seta, ognuno di un colore diverso.
Sembravano molto gonfi, e molto morbidi.
Notai che Babette
guardava talmente fisso quei quattro involucri, che mi domandai cosa
diavolo potessero contenere; ma i miei dubbi vennero subito fugati da
Joy, il quale, senza prendere nessuna precauzione, slacciò il
cordino che teneva chiuso il primo sacchetto di colore grigio.
Quello che gli
rotolò sul palmo della mano, fu un piccolo campanello di argento
opaco, che, toccando appena la punta dell’indice di Joy, emise un
impercettibile tintinnio.
Fu come se una
scossa mi passasse per la spina dorsale, intontendomi, e voltandomi
vidi che anche il pelo sulla schiena di Babette era leggermente irto.
“Cosa stai
facendo? Mettilo via!”soffiò, perdendo l’abituale
autocontrollo. Joy coprì immediatamente il campanello con la
mano, e il ronzio che sentivo nelle orecchie si fermò. Mi
sentivo intorpidita ed era bastato un semplice tintinnio…
Cominciavo a capire perché Phil avesse tenuto accuratamente segreto e nascosto quell’arnese.
“Mettilo
subito via, il campanello grigio è…” Babette si
fermò di colpo “Mettilo via e basta. Ogni campanello ha la
sua funzione precisa: rosso per risvegliare, giallo per chiamare e
comandare, verde per plasmare la materia, e grigio… Per
riportare nell’ombra.”
Joy non se lo
fece ripetere, richiudendo quel maledetto campanello nel suo sacchetto,
che era gonfio di bambagia per impedirgli di tintinnare.
“Dovrai
fare la massima attenzione con quello…” Lo ammonì
Babette, che non si era ancora del tutto ripresa dall’attimo di
poco prima, e lo guardava con sospetto.
Joy invece aveva
lo sguardo di un bambino il giorno di Natale: “Vuoi dire che con
questo io potrò influenzare gli spiriti, e… i
corpi?”
“Sei un
negromante, dopotutto. Fa parte del tuo destino. Ma dovrai
impratichirti, non mi sembra che per ora tu sia propriamente a tuo agio
con uno strumento del genere…”
Joy non la stava
nemmeno ascoltando: “Ma certo, ora ho capito cosa vuoi che
faccia!” Si batté una mano sulla fronte. “Rosso per
risvegliare… Tu vuoi che io risvegli Lina, così saremo
sicuri che non finirà sulla pira, mentre noi ti aiutiamo con
quel tizio…” E prima ancora che io e Babette potessimo
impedirglielo, Joy slacciò il sacchetto rosso, prelevando con le
dita un lucente campanello di rame.
“Joy…”
Joy,in maniera
intuitiva, attaccò il campanello al gancio che pendeva dalla
bacchetta, e ignorando qualsiasi tipo di protesta si diresse verso il
mio corpo.
“Lina
Inverse, ti ordino di svegliarti!” esclamò, facendo
tintinnare tre volte il melodioso campanello, il quale, contrariamente
al precedente, aveva un richiamo irresistibile.
Tuttavia, il
comando non era eseguito alla volta del mio spirito, ma al mio corpo
terreno, il quale, in maniera abbastanza raccapricciante, levò
la testa con uno scatto.
“Ommiedei!” gridai, rabbrividendo. Sembravo una marionetta impazzita. “Fallo smettere… subito!”
Babette prese in
mano la situazione, saltando addosso a Joy, che sembrava vittima lui
stesso di quella melodia inquietante, e graffiandogli il volto fino a
farlo rinsavire.
Gettò a
terra l’Akan, sbattendo le palpebre, e sembrò tornare in
sé. Capii che lo strumento l’aveva posseduto. Non era un
giocattolo e Joy non era affatto avvezzo alla magia.
“Che
diavolo…” Farfugliò, poi, rendendosi conto di
quello che aveva combinato, si affrettò a porvi rimedio.
“Fermati!”
intimò al mio corpo, ma quello sembrava non sentirlo e stava
tentando di sollevarsi sulle gambe malferme. Una scena degna del
peggior horror di serie B.
“Devi usare
il campanello nel sacchetto giallo, solo così potrà
ascoltarti!” Gli soffiò la gatta. “Quello non
è altro che un inutile corpo vuoto!”
Joy non se lo fece ripetere due volte, sganciando quello di rame e appendendo alla bacchetta un bel campanello dorato.
Al secondo
tintinnio la mia testa si fermò. Alle parole “Torna
com’eri prima” ricadde tra l’erba bagnata, come se
nulla fosse accaduto. Tutto questo era decisamente inquietante.
“Per gli
dei. È dannatamente difficile usare questo affare!” Si
lamentò Joy, tirando un sospiro di sollievo.
“Sono
sicura che con un po’ di pratica ce la farai…” Gli
sussurrò Babette “Sei nato per questo, dopotutto.”
“Sentite,
non vorrei interrompere la vostra lezione sull’autostima,
ma… Adesso come si procede? Vi vorrei ricordare che il mio corpo
è ancora qua, e…”
“Ci rimane
un solo campanello da sperimentare…” mormorò la
gatta, mentre Joy sfiorava la superfice del sacchetto verde.
“Verde: per plasmare la materia…” Ripeté Joy “’Plasmeremo’ il corpo di Lina?”
“Esattamente” Fu l’unica risposta che ricevemmo.
Ce ne stavamo tutti e tre accovacciati accanto al mio corpo.
“Non capisco…” dissi, sospettosa.
“Metteremo il tuo corpo in un altro corpo. Al sicuro, capisci?”
“Non ne sono sicura…”
“Il
campanello verde ha l’enorme potere di controllare
l’involucro di ogni anima. Sarà come una sorta di
‘reicarnazione’, ma non dello spirito, bensì della
materia. In alcuni casi…” Babette fece una pausa “In
alcuni casi è anche possibile mutare l’involucro e
rimetterci dentro l’anima, capisci?”
“Devo
ammettere che è una cosa agghiacciante!” dissi, indignata
al pensiero di questo taglia e cuci tra corpo e spirito.
“Abbastanza.
Ma questo è un caso estremo. Sono ormai molti anni che questa
magia non viene praticata, e ti vorrei ricordare che l’Akan venne
sequestrato anche per questo. Al vostro principe queste sembravano
pratiche occulte estreme, macabre.”
“Perché lo sono, Babette!”
Babette si limitò a sollevare le scapole ricoperte di pelliccia.
“Comunque
sia, l’incantesimo è reversibile, perciò quando
avrai concluso la missione che ti ho affidato, se il risultato
sarà quello che spero, il tuo corpo tornerà ad essere
come lo vedi ora, e tu potrai tornare ad abitarlo…”
“Questa cosa mi puzza…”
“Se hai
altre soluzioni, sono tutta orecchi. Ma ti ricordo che sta per sorgere
il sole, e non sono nemmeno certa che la tua sparizione non sia ancora
stata notata…”
“E va bene, va bene….” Sospirai “Come si procede con questa, emh… cosa?”
Babette si
guardò intorno, poi squadrò a lungo il mio corpo riverso.
Un pallido raggio di sole sbucò in quel momento dalle nubi,
facendo scintillare la pietra appesa al mio collo. Il pegno
d’amore di Gourry.
“Quello andrà benissimo!” dichiarò.
“L’anello? Vuoi mettermi nell’anello?” Ero dubbiosa.
“Mi pare
ovvio. Il tuo corpo sarà al sicuro nell’anello che ora
porti al collo, e l’anello lo terrà Joy, fino a quando non
verrà il momento di ridarti il tuo vero aspetto.”
Io mi morsi il labbro.
L’anello di
Gourry, che io avevo così brutalmente rifiutato, sarebbe
diventato la mia casa, il mio rifugio segreto, la mia ancora di
salvezza.
Guardai Joy, che stava già agganciando un campanello di rame ossidato alla bacchetta, e chiusi gli occhi.
Non volevo sapere
come o cosa sarebbe successo. Sarei stata al sicuro, nell’anello
che Gourry mi aveva regalato. Solo questo era importante in quel
momento… Che andasse come andasse.
Quando li
riaprii, Joy stringeva tra le mani l’anello e la catenella che
solo pochi secondi prima portavo appesa al collo. Aveva una faccia
sconcertata, come di uno che non ha idea di come sia riuscito a fare
una cosa del genere; eravamo entrambi scossi.
Di me non
c’era più alcuna traccia, salvo qualche riflesso ramato
che la pietra assumeva a seconda della luce che ne illuminava le
diverse sfaccettature.
Joy si
rigirò il cerchietto con la pietra incastonata sopra tra le
dita, poi, come mosso da un impulso irrazionale, si legò la
catenina al collo, e lo fece scivolare sotto alla tunica, celandolo al
mio sguardo. Io deglutii.
“Bene, ora
tutto è pronto per la partenza…” Miagolò
Babette, soddisfatta di essere riuscita a risolvere anche
quell’impedimento.
“No…”
Replicò Joy, “Prima c’è una cosa che devo
fare, aspettatemi alle stalle, non mi ci vorrà molto.”
“Joy…”
“Ti spiego tutto più tardi, Lina.”
“Joy”
Questa volta era stata Babette ad intromettersi. “Se perderai
quell’anello, Lina sarà perduta, lo sai questo,
vero?”
“Ci
starò attento…” Mormorò Joy, tastandosi la
stoffa della tunica sotto a cui sapevo brillare quello che doveva
essere il mio anello di fidanzamento. I suoi occhi cercarono i miei:
“Te lo giuro, Lina…”
Mi morsi il
labbro. Potevo considerare valido il giuramento di un uomo che mentiva
ogni volta che apriva bocca? Purtroppo, non avevo altre alternative.
Ora la mia vita,
letteralmente, era nelle sue mani. Le mani di un individuo che non
avevo mai potuto reggere, che mi aveva beffata ed imbrogliata svariate
volte, e che non aveva la più pallida idea di come interpretare
il ruolo che gli era appena stato assegnato in quella delicata
questione.
Il che era decisamente poco rassicurante, dannazione.
Le grida dei
sacerdoti non tardarono a farsi sentire, mentre io e Babette emergevamo
dai cespugli, dirette alle stalle secondo le direttive di Joy.
“Il corpo! È sparito il corpo della ragazza! Avvisate il principe!”
“Ho sempre
sognato un funerale ad effetto…” dissi, osservando i
religiosi che saettavano fuori dall’ingresso del tempio come
macchie bianche impazzite.
Poco lontano,
davanti alla pira, potevo scorgere il palchetto allestito in onore
della famiglia reale,e degli amici e parenti della defunta, ovvero io.
Quando la notizia li avrebbe raggiunti, sarebbero indubbiamente rimasti
sconcertati…
Effettivamente,
chi diavolo avrebbe mai dovuto rapire un cadavere? Naturalmente
escludendo la legittima proprietaria del corpo in questione. Anche se
dubitavo che qualcuno avrebbe formulato questa ipotesi.
Ad ogni modo, non li avrei delusi da morta come non avevo fatto da viva: con me c’era sempre da stupirsi.
“I tuoi parenti non la prenderanno bene…” Mormorò la gatta, che camminava sinuosa al mio fianco.
“Tornerò
a sistemare le cose, non appena tutto sarà finito.”
Sussurrai, cercando di convincermene io per prima. Era maledettamente
difficile pensare a come avrei potuto prenderla io al posto loro. Ma
non potevo fare altrimenti: Anouk aveva bisogno del mio aiuto; gli dei
solo sapevano dove poteva essere in quel momento… e non era che
una bambina. Mentre Gourry e gli altri, beh, se la sarebbero cavata.
Sarei tornata, lo dovevo a loro e anche a me stessa. Doveva essere così e basta.
“Ma siete
sicuri di quello che…?” Phil vestiva un’espressione
sconvolta, mentre a grandi passi si dirigeva verso il tempio, preceduto
da un sacerdote paonazzo in viso. Dietro di lui Amelia, Zel, Nayden,
mio padre e Gourry li seguivano con espressioni sconcertate.
Babette mi scrutò: “Non abbiamo tempo per seguire la scena, sbrighiamoci.”
“Ma chi
c’era di guardia al tempio?! Avevo chiesto espressamente che
fossero messe due guardie per…” domandò, furioso,
Phil.
“Sì,
maestà, sono loro…” disse uno dei sacerdoti,
indicando Ash ed Ed, fermi ai piedi della scalinata, con gli sguardi
rivolti al suolo. Non sembravano del tutto padroni di loro stessi.
“E dunque? Come vi spiegate l’accaduto?” Phil usò un tono che raramente gli avevo sentito usare.
“Ecco, maestà…” cominciò Ed, decisamente in imbarazzo.
“Il fatto
è che…” Si scambiarono una breve occhiata.
“Le sembrerà impossibile, ma…”
“Parlate
dunque!” sbottò Phil. Alle sue spalle Gourry seguiva la
scena con un ansia disperata stampata in volto.
“Maestà,
sembra assurdo ma la ragazza è…” Ed aveva
difficoltà a dirlo, Ash venne in suo aiuto.
“Scappata!”
Il silenzio calò sui presenti e io per poco non caddi a terra dallo stupore.
“Scappata?”
Phil sembrava dubbioso. “Impossibile, era…” ma non
ebbe il coraggio di finire la frase.
“Forse un caso di morte apparente…?” Provò a ipotizzare timidamente Ash.
“Maestà,
maestà!” Esclamò proprio in quel momento una nuova
voce, poco distante. Phil non si era ancora ripreso.
Uno stalliere arrivò fino alla scalinata del tempio, fermandosi con le mani sulle ginocchia per riprendere fiato:
“Qualcuno ha… ha rubato lo stallone bianco!”
“Ma… ma…” Phil era senza parole. “Hai visto chi è stato?”
“Indistintamente…
Ho visto che portava un mantello con il cappuccio calato. Era tardi
quando sono sopraggiunto, il mantello… il mantello era nero! Ha
imboccato l’uscita senza che riuscissero ad impedirglielo.”
“Alle
stalle!” gridò Zel, e prima che potessi rendermene conto,
stavo correndo insieme agli altri verso le stalle del palazzo.
Ad ogni modo, sarei dovuta andarci lo stesso.
Quando
raggiungemmo le stalle, Gourry era ormai in testa al gruppo; le porte
erano spalancate e i cavalli nitrivano agitati dai loro box. Non vi era
anima viva.
Mi resi conto,
con un certo disappunto, che lasciandomi travolgere dalla foga mi
aspettavo io stessa, come gli altri, di capire che fine avesse fatto
Lina Inverse, pur sapendo benissimo di essere io Lina Inverse, e di non
essere fuggita da nessun posto.
Suggestioni dettate dall’ansia.
Stavo per
chiedere a Babette se per caso avesse visto Joy da qualche parte,
quando Amelia, inciampando, si lasciò sfuggire
un’esclamazione. Con le sue scarpe dal tacco alto, aveva messo il
piede su qualcosa di rotondo e dorato, che giaceva semi nascosto dalla
paglia.
“Questo…”
Gourry si
chinò e raccolse da terra uno dei miei orecchini, ora
completamente impolverato. Il suo sguardo non riuscì a
mascherare lo stupore, mentre una sagoma si affacciava
all’ingresso.
Joy sembrava
abbastanza trafelato, al suo fianco Herman vestiva un’espressione
di puro imbarazzo, come qualcuno che sta cercando a stento di
nascondere un’ovvia e triste verità.
“Voi non
crederete a quello che abbiamo visto…” cominciò
Joy, con il suo tono più bugiardo, mentre dava una lieve
gomitata nel costato ad Herman, il quale sussultò:
“Sì,
ecco, la ragazza… è… emh, viva”
borbottò l’omone con un tono assai poco convinto, che
tuttavia nessuno parve notare.
“Non può essere…” Non mi sfuggì il lampo di luce negli occhi di Gourry.
Oh, no.
Joy si avvicinò a lui, frontaggiandolo.
“L’ho
vista con questi occhi” esclamò, indicandosi le pupille.
“E se non dovessi fidarti dei miei di occhi, chiedi ad
Herman…”
Il mercenario trasalì: “Oh, l’ho vista, come no. Era proprio… viva.”
“Guardate qua…” La voce di Zel ci giunse dal box in cui avrebbe dovuto trovarsi il cavallo scomparso.
Nel legno della
staccionata era conficcato un pugnale lungo, il mio pugnale lungo,
attorno alla quale era legata la mia bandana magica; la bandana che
avevo visto volare giù dalla torre quando Gourry aveva perso la
ragione per il dolore della mia scomparsa. L’avevo vista perdersi
nel vento e nella pioggia, ma a quanto pareva Joy era stato in grado di
recuperarla.
Sotto il pugnale c’era un foglio di pergamena con poche righe annotate sopra, nella mia impeccabile scrittura:
Ragazzi, ora non ho tempo per spiegarvi niente.
Sto bene, sto
andando a risolvere la cosa, che è più grossa di quanto
possiate immaginare, ma non ho intenzione di coinvolgervi.
Fidatevi di me e basta.
Papà, non stressarti.
Gourry, parla ancora di errori davanti a me e ti attorciglio la lingua.
A presto, Lina
Gourry lesse e
rilesse il biglietto e, dopo giorni in cui sul suo volto si erano
consumate rabbia e disperazione, finalmente nacque un sorriso, un
sorriso luminoso e speranzoso.
Già, speranza…
Indietreggiai, lentamente, fino a trovarmi al fianco di Joy.
“Joy, sei…”
“Un genio?” Mi sussurrò lui, compiaciuto.
“No! Sei un ladro, e un bugiardo, e… e anche un falsario! Li stai ingannando, tu…”
“Senti
Lina, non era quello che volevi? Far sapere a tutti che sei ancora viva
e che stai risolvendo la cosa e che tornerai da loro?!”
“Sì, ma… Non così!” Deglutii “Come accidenti hai fatto?”
“Facile, ho
convinto le guardie a mentire per non perdere il posto, dubito che il
principe l’avrebbe presa bene sapendo che invece di sorvegliare
te stavano fumando oppio. Ho sparpagliato ad arte i tuoi effetti
personali che hai visto qui, e nascosto gli altri, ho indotto Herman ad
aiutarmi a rubare quel cavallo e a dire questa piccola ed innocente
bugia per te. Ora è fatta, tu sei viva e stai andando
personalmente ad occuparti della cosa, i tuoi amici possono stare
tranquilli, e noi possiamo finalmente levare le tende.”
“E cosa mi dici di quel biglietto?” Lo guardai storto.
“Nel
mantello avevi qualche appunto scritto di tuo pugno. Sono bravo con
queste cose…” Mormorò con finta modestia, come se
essere un abile contraffattore fosse un’arte.
Beh, se non altro
dovevo ammettere che era stato credibile, niente toni strappalacrime,
solo duro pragmatismo. Forse anche lui stava imparando a conoscermi un
po’ meglio.
Mi morsi il
labbro, mentre vedevo i volti delle persone che mi volevano bene
rischiararsi progressivamente e… avere fiducia, confidare in
quello che Joy li aveva indotti a credere.
Già, la gente si racconta delle cose. La gente vuole illudersi…
Joy si chinò a prendere in braccio Babette: “Bene, approfittiamone per…”
Ma proprio in quel momento un’ombra lo affiancò:
“Joy, hai veramente visto Lina Inverse fuggire da questo palazzo?” Nayden lo scrutò sospettoso.
“Ho qualche motivo per mentire?” c’era astio nella voce del mercenario.
“Non saprei… Cosa mi dici del fatto che fino a qualche ora fa era decisamente morta?”
“Dico che
molto spesso l’apparenza inganna, caro fratello.” Joy si
sistemò Babette su una spalla. “Ora se non ti
spiace…” esclamò, superando Nayden, il quale lo
seguì con lo sguardo.
“Stai andando a cercarla?” gridò il mago, attirando l’attenzione dei presenti.
Joy rimase
gelato. “Stai andando a cercare Lina, vero? E so anche dove pensi
di trovarla: a Solaria. Non è lì che sono incominciati
quegli inspiegabili incidenti?”
“Joy…”
Lo sguardo di Gourry si spostò verso l’amico. “Sai
qualcosa di questa storia?”
“Io…”
“Io dico di
andare a cercarla!” esclamò a quel punto Nayden,
infervorandosi “Non so cosa stia succedendo, ma non è
prudente lasciare che una ragazza sola vada ad affrontare una
situazione misteriosa e complicata come quella che circonda questo
enigma… Chi viene con me?” Scandì le ultime parole
con l’aria dell’eroe pronto a lanciarsi in una disperata
impresa per salvare la bella fanciulla.
Bravo Nayden, vuoi un applauso?
Joy si
voltò di scatto: “Lina ha detto di non immischiarsi.
L’ha scritto chiaramente su quel pezzo di carta…”
“Sei forse
il suo avvocato?” Fu l’acida risposta del fratello. Ma
prima che scoppiasse una lite in famiglia la voce ferma di mio padre
sovrastò le loro.
“Se mia
figlia è viva, io ho il dovere di andarla a cercare. Ho
già perso anche troppo tempo qua con le mani in
mano…” Cercò Gourry con lo sguardo. “Immagino
che la sua guardia del corpo non possa tirarsi dietro a questo
punto…”
Gourry sorrise:
“Nemmeno se tentassero di trattenermi con la forza!”
“Ma…” balbettò Joy, a cui la situazione stava rapidamente sfuggendo di mano.
Nayden, mio padre e Gourry si avvicinarono fra di loro.
“Bene, a
questo punto non mi resta che incoraggiare la vostra partenza, se
è per una giusta e nobile causa come quella di salvaguardare la
vita della nostra cara Lina, che credevamo perduta e invece, diavolo,
quella ragazza ha nove vite come i gatti!” Esclamò Phil.
“Usate pure i miei cavalli, saranno sellati in meno di un
minuto!”
“Zel, Amelia, siete dei nostri?” domandò Gourry, con ritrovato entusiasmo.
Amelia, a cui
pure brillavano gli occhi di gioia dovette trattenersi: “Gourry,
credo che qui ci sia ancora molto da fare… Sai, le duchesse, la
scomparsa della duchessina, il funerale da annullare… Ma col
pensiero sarò con voi!”
“Resto
anch’io, voglio cercare di vederci meglio in questa
situazione…” disse Zel, affiancandosi alla principessa.
“Bene, allora signor Inverse, saremo solo noi tre…”
“Ehi,
aspettate” Joy si fece largo tra gli uomini “Ci sono
anch’io, vengo con voi. Alla fine, mi avete convinto”
disse, in tono rassegnato.
“E
io.” Intervenne il vocione di Herman, dietro alle spalle di Joy.
“Non lascio solo il mio capo…”
“Fantastico!” sbuffai.
Era una missione dannatamente pericolosa, e io mi trascinavo dietro tutta la corte dei miracoli.
Ma come si poteva fermare un gruppo di uomini armati dalla voglia di trarre in salvo una fanciulla bisognosa?!
Quando i cavalli furono pronti, i cavalieri si apprestarono alla partenza.
Io sedevo dietro a Joy. Dopotutto, un passaggio non si nega nemmeno a un fantasma.
“Hai messo
in piedi un bel casino, Joy…” Borbottai “Preferivo
saperli qui a Sailunne a disperarsi per la mia dipartita che a Solaria
davanti al pericolo…”
“Possiamo
sempre depistarli strada facendo…” mormorò il
mercenario, afferrando le briglie con sicurezza.
Io, alle sue spalle sospirai, mentre Babette si affacciava dall’interno del cappuccio di Joy, scrutandomi sorniona.
Mi aspettava un lungo, lungo viaggio.
Eppure, mentre la speranza e la gioia riaccendevano magicamente i cuori dei miei amici, di mio padre, di Gourry…
Il mio animo si faceva sempre più scuro.
Joy era
apparentemente riuscito a far credere a tutti che fossi ancora viva;
aveva trasmesso le mie volontà senza che nessuno
sospettasse cosa ci fosse realmente dietro, e aveva ridato loro fiducia.
Era quello che
avevo desiderato da quando mi ero ritrovata ad essere più
inconsistente di un alito di vento, che tutti sapessero che non me ne
ero andata, che una parte di me, la parte più importante,
continuava a vivere.
Ma, in fondo, quello che realmente aveva fatto, era stato creare aspettative ed illusioni.
Non dubitavo di poter tornare a spiegare a tutti come fossero veramente andate le cose.
Sono Lina Inverse, dopotutto, e Lina Inverse riesce sempre in quello che fa, giusto?
Eppure, mentre
scrutavo accigliata il volto risoluto ma finalmente sereno di Gourry,
che cavalcava impaziente al fianco di mio padre, mi ritrovai per un
istante a provare una sinistra ed inspiegabile sensazione...
Le bugie hanno le gambe corte, così dice, no?
E se... se non fosse andato tutto per il verso giusto?
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Capitolo 15 *** La promessa ***
capitolo 15
La promessa
‘Certezza di morte. Scarse possibilità di successo. Che cosa aspettiamo?’ (Gimli, Il Signore degli anelli)
Dovevo ammettere
di aver sottovalutato il problema. La situazione era molto, molto
peggio di quanto potessi immaginare. Innanzitutto, avrei dovuto sapere
che troppi uomini psicologicamente provati ed emotivamente fragili
formavano un grosso gruppo di individui con i nervi tesi, pronti a
scattare e accapigliarsi per la minima inezia. Il primo giorno di
viaggio fu uno strazio. Ogni rumore nel bosco diventata un attacco di
forze misteriose, ogni impronta sul sentiero un chiaro segno della
presenza di nemici. Erano indecisi su quale fosse il percorso
più sicuro e sulla strada più breve da prendere, e se
qualcuno dissentiva gli altri se la prendevano e ne uscivano lunghe e
inutili discussioni. Ah, uomini. Stavano inseguendo un fantasma, ovvero
io, che in realtà cavalcavo insieme a loro senza che ne avessero
il minimo sospetto. D’altronde, come si potevano immaginare una
cosa del genere? Andava al di là di qualunque logica
comprensione. E così cavalcavamo, al limite delle forze dei
nostri destrieri, senza tregua, inseguendo un alito di vento. Seduta
dietro a Joy riuscivo a scorgere la determinazione sul volto di Gourry,
così diverso senza i suoi lunghi capelli biondi, così
concentrato, teso nello sforzo. Nel giro di qualche giorno tutto il
mondo che avevamo conosciuto fino a quel momento si era capovolto
più di una volta: da semplici amici ci eravamo scoperti
innamorati, ci eravamo dichiarati i nostri sentimenti e, nel giro di
poche ore, forze oscure mi avevano strappato a lui e a me stessa,
gettandoci in una confusa disperazione. O in una disperata confusione.
Che differenza faceva? Ora nei suoi occhi, quegli stessi occhi che per
giorni erano stati pozzi bui privi di qualunque emozione, si era
riaccesa la speranza. Ma era una speranza falsa, illusoria, che Joy
aveva voluto elargire nemmeno fosse LoN in persona. Una speranza
fragile e sottile come il filo di una ragnatela, quella stessa
ragnatela in cui tutti eravamo ormai invischiati.
Non avevo fiatato
in quella prima parte di viaggio. Nessuno aveva parlato molto, tutti
storditi davanti alla prospettiva che, quello che fino a poche ore
prima sembrava una condanna inconfutabile, il mio decesso per
avvelenamento, fosse ora un’ipotesi da scartare davanti alla mia
presunta fuga. Frasi smozzicate, stralci di parole erano usciti dalle
loro labbra solo per dare ordini ai cavalli o indicarsi a vicenda la
strada. Nayden correva in testa al gruppo, il cavallo che montava era
nero come le ombre della notte, come quei suoi capelli corvini e
sfrontati di cui si faceva vanto. Era possente, muscoloso, vedevo i
tendini delle zampe tendersi a ogni balzo. Dietro c’era mio
padre. Quel padre vagabondo che avevo conosciuto poco, e che mi
conosceva poco, ma che sentivo di amare e, in qualche modo, di voler
proteggere da ciò che avrebbe dovuto affrontare in questo
viaggio dall’esito incerto. Gourry e Joy cavalcavano fianco a
fianco. Sentivo l’energia di Gourry spandersi attorno a noi come
luce, e avvertivo la rigidità di Joy che respingeva
quell’energia, greve di dubbi e di timori. Se avessi appoggiato i
palmi inconsistenti delle mie mani sulla sua schiena avrei percepito
l’ansia della responsabilità che gli era stata affidata, e
l’incertezza, il timore di fallire. Ma non volevo farlo
perché le sue paure erano anche le mie e, per quanto mi
scocciasse ammetterlo, dato che fino ad allora avevo voluto contare
sempre e solo su me stessa, da quel momento in poi ero in tutto e per
tutto nelle sue mani. Come era possibile sopportare una simile
situazione quando quelle stesse mani, fino a qualche tempo prima,
avevano complottato contro di te? Era difficile, dannatamente difficile
fidarmi di lui. Dover ammettere e accettare che da lui dipendeva non
solo il mio futuro, ma anche quello di Gourry. Ci riuscivo a stento e
non avevo altre alternative.
Chiudeva la fila
Hermann. L’ingenuo Hermann, che si era bevuto le menzogne del suo
capo senza battere ciglio e chissà cosa stava macchinando in
quella sua enorme testa vuota. Doveva esserci un unico pensiero, molto
semplice, quasi elementare, che cozzava nel nulla: perché Joy mi
aveva ‘rubato’? Quali erano le sue intenzioni?
L’unica che
non sembrava avere pensieri di alcun tipo era Babette, che dormiva
raggomitolata nel cappuccio di Joy. Ah, la capacità dei gatti di
addormentarsi nei posti più assurdi!
Verso sera fummo
costretti a fermarci per la stanchezza. Avevamo sfiancato i cavalli
fino al limite delle forze, non c’era modo di proseguire. Ci
accampammo in una radura di conifere, ai margini del sentiero. Mentre
Hermann e Gourry raccoglievano la legna per il fuoco io seguii Joy che
scivolò indisturbato verso il fitto della foresta. Camminammo in
silenzio per alcuni minuti, lui che smuoveva foglie e aghi di pino con
la punta degli stivali e io che non producevo il minimo suono. Ero
più inconsistente dell’aria.
«Il gatto ti ha mangiato la lingua?» sbottai infine, esasperata dal suo mutismo.
«Se va
avanti così sarò io che dovrò mangiare la
sua» borbottò Joy, in riferimento alle continue puntatine
di Babette dal suo cappuccio per sussurrargli all’orecchio.
Babette si era dissolta nell’istante in cui eravamo scesi da
cavallo. In quel momento poteva essere a caccia di animali tra gli
alberi, appostata a spiarci o da qualche parte a stringere accordi
segreti con i nostri nemici. Tutto era possibile con un essere
così subdolo ed enigmatico e non avremmo mai dovuto abbassare la
guardia con lei.
Joy sedette su un
vecchio tronco ritorto ed estrasse da una tasca la scatola del tabacco.
Stavo per dissentire su quel suo detestabile vizio, ma dovetti mordermi
la lingua (metaforicamente parlando) e tacere. Sembrava distrutto.
Occhiaie profonde segnavano i suoi occhi, la pelle del volto era cerea
e tirata sugli zigomi. Da quante notti non toccava un letto? I riccioli
scuri gli ricadevano di continuo sulla fronte mentre si arrotolava la
sigaretta e lui li scostava con uno scatto rabbioso del braccio. Doveva
essere esausto. Sedetti al suo fianco e rimasi a guardare le sottili
spirali di fumo azzurrino che dalle sue labbra si perdevano
nell’oscurità.
«Ho
paura» disse infine. Avrei dovuto stupirmi, non era da lui
mostrarsi così sincero, privo di difese. Ma non fu così.
Sapevo già quanto tutta quella situazione lo stesse mettendo a
dura prova. Per qualche strano caso di osmosi i suoi pensieri
sconfinavano nei miei e viceversa. Doveva essere una conseguenza dei
poteri dell’Akan, che ci aveva vincolato in un oscuro patto tra
il mondo delle ombre e quello della luce.
«Ho paura
anch’io» confessai. «Sono terrorizzata, e non parlo
di me, per quanto anche la mia situazione non sia delle più
rosee. Ho paura per Gourry, e per mio padre, e…»
Per te.
Lo pensai, ma non
lo dissi. Certo, avevo paura che potesse succedergli qualcosa, e che
quindi non avrebbe potuto aiutarmi a tornare nel mio corpo. Era
l’unico negromante che avessi a disposizione e di sicuro era un
aspetto da non sottovalutare. Eppure, non si trattava solo di quello.
Per quanto continuassi a non fidarmi di lui fino in fondo (e
tuttavia, quando mai mi ero fidata totalmente di qualcuno che non fosse
Gourry, in vita mia?), una parte di me, una parte molto piccola di me,
talmente piccola che stentavo a intravederla, si era presa a cuore quel
bugiardo patentato, arrogante e presuntuoso, a cui era toccato in sorte
un dono difficile da comprendere e accettare come tale.
«La grande
Lina Inverse teme dunque il pericolo?» disse a questo punto lui,
tornando a usare il tono strafottente che conoscevo bene, per quanto
fiaccato dalla stanchezza. «Devo dedurre che le leggende sul tuo
conto sono solo una marea di sciocchezze?»
«Ne
riparliamo quando potrò finalmente metterti le mani al collo.
Non puoi neanche immaginare quanto desideri farlo. Appena sarò
tornata mi toglierò tanti di quegli sfizi che nemmeno ti
immagini…»
«Accidenti, sto già tremando!» esclamò lui, fingendo di ritrarsi da me.
«Per il
momento mi limiterò a insultarti verbalmente» dissi,
lanciandogli un’occhiataccia. Mi abbracciai le gambe e sospirai.
«Brutto idiota» aggiunsi, per dimostrargli che non
scherzavo affatto.
«Quanto pensi che ci metteremo a tornare a Solaria?»
«A
giudicare dall’andatura di mio fratello mi stupisco che non siamo
arrivati oggi stesso» borbottò Joy, aspirando ed espirando
un'altra boccata di fumo. Per un attimo desiderai poter sentirne
l’odore, anche se era una cosa che detestavo. Volevo sentire
tutti gli odori che mi circondavano: l’odore di terra umida e
quello degli aghi di pino sparsi ai nostri piedi. L’odore di
resina degli alberi e il sentore di muschio che emanava dalla foresta.
Quante volte mi ero addormentata con quel profumo addosso, avendo per
coperta nient’altro che la coltre stellata? Mi stupivo e
rammaricavo insieme per tutto quello che avevo vissuto senza
assaporarlo nella giusta maniera. Il fuoco che riscalda le mani, il
caffè che brucia la gola, l’acqua che rinfresca le
guance… e il caldo abbraccio di Gourry. Scrollai le spalle nel
tentativo di liberarmi di quelle sensazioni. Gourry. Sentivo la sua
mancanza in un modo che mi feriva e mi sconcertava. La sentivo
fisicamente e faceva male, troppo. Avevo vissuto per tanti anni accanto
a lui senza mai desiderare un contatto più profondo. La sua
amicizia mi bastava, mi avvolgeva come qualcosa di soffice. Ma da
quando avevo capito di amarlo… la sua assenza mi disorientava al
punto da togliermi ogni equilibrio.
In quel momento
un rumore di passi ci fece sobbalzare. Joy si irrigidì, ma a
sbucare dagli alberi fu la sagoma familiare e rassicurante di mio
padre. Si avvicinò lento, le braccia cariche di ramoscelli
secchi.
«Non volevo
disturbarla…» esordì. E mi accorsi, turbata, che la
sua attenzione era concentrata sul fumo della sigaretta.
«Non mi disturba affatto» disse Joy, facendogli posto sul tronco.
Mio padre sedette, posando la legna davanti a sé, poi, incerto, si rivolse al mercenario.
«Ne ha un’altra, di quelle?»
«Certo.»
Joy rimise mano alla scatola del tabacco, incurante del mio sguardo assassino.
«Joy, no!» sibilai, ignorata.
Arrotolò in pochi secondi una sigaretta, che tese a mio padre, sul cui volto comparve un sorriso colpevole.
«Grazie.
Avevo smesso, sa… per amore delle mie figlie, a cui ha sempre
dato fastidio…» balbettò.
«Le donne
sanno come dare il tormento a un uomo quando ci si mettono» disse
Joy, con tono partecipe e fingendo di non vedere la mia espressione.
Mio padre prese un tiro, incerto. La mano gli tremava. Espirò il fumo con un’aria mesta e sollevata insieme.
«Penso a
Lina e mi chiedo dove sia adesso…» confessò, con
gli occhi lucidi. «Non la vedevo da tanti anni e mi sento in
colpa per non essere stato un padre più presente» si
rammaricò.
«Mi creda,
signor Inverse, sono convinto che ovunque sia in questo momento sua
figlia, stia dando il tormento a qualcuno. È poco ma
sicuro.»
Mio padre
sollevò le sopracciglia, mentre io mimavo con le mani cose che
gli avrei volentieri fatto se avessi potuto. Cose molto brutte,
ovviamente.
«Lei parla come qualcuno che la conosce molto bene. Le è affezionato?»
«Chi, io?
Ci mancherebbe!» esclamò Joy, prima di rendersi conto che
era con mio padre che stava parlando e, fino a prova contraria, io ero
la sua figlia appena deceduta e poi miracolosamente risorta.
«Voglio dire… affezionato? No, molto… molto di
più. Non ci sono parole per esprimere quanto io voglia…
bene a vostra figlia» concluse a denti stretti e facendo un
notevole sforzo su se stesso.
«Capisco»
rispose mio padre, ma dalla sua espressione appariva chiaro che non
capiva fino in fondo. Aveva creduto che tra me e lo spadaccino, la mia
fedelissima guardia del corpo, ci fosse del tenero. Ora scopriva che
anche un altro giovanotto sembrava provare dell’affetto per sua
figlia. Qual era la verità?
Joy era diventato color vinaccia.
«Signor
Inverse, la prego di non fare menzione di questi miei…
sentimenti con nessuno. Non sarebbe giusto nei confronti di Gourry
Gabriev che, come lei forse avrà saputo, è il legittimo
fidanzato di sua figlia» tentò di chiarire Joy,
ingarbugliando ancora di più la situazione. Perfetto, ora mio
padre era convinto che avessi un fidanzato ufficiale e un amante e che
entrambi mi stessero cercando per capire chi volessi dei due. Joy aveva
una naturale tendenza a rendere ancora più complicato ciò
che già lo era abbastanza di suo.
«Sarò
una tomba» disse mio padre, prima di rendersi conto che forse si
trattava di una risposta fuori luogo vista la situazione.
Calò un
silenzio imbarazzato. Joy finì di fumare e spense il mozzicone
sotto alla suola dello stivale, prima di sollevarsi fingendo di
stiracchiarsi.
«Credo che andrò a stendermi un po’, è stata una giornataccia.»
«Sì,
è stata una giornataccia» confermò mio padre.
«Se non le spiace rimarrò qui ancora qualche minuto.»
Poi, mentre il mercenario si allontanava, aggiunse: «Mia figlia è una ragazza speciale, vero?»
Joy parve riflettere sulla domanda.
«Sì,
lo è» disse dopo qualche secondo. «Non ho mai
incontrato nessuno come lei, nel bene e nel male» concluse. E nel
dirlo sembrò sorpreso delle sue stesse parole.
Mio padre
annuì, come se avesse avuto conferma di qualcosa che da tempo
occupava i suoi pensieri. Joy si allontanò a grandi passi e io
andai con lui.
«Joy, posso farti una domanda?»
«Se proprio devi.»
«Ti ringrazio. La domanda è: ti sei bevuto il cervello?!» esclamai, alle sue spalle.
Lui non parve intenzionato a rallentare e io continuai a rincorrerlo.
«Perché
hai detto a mio padre quelle cose? Gli hai confuso le idee! E lo hai
fatto fumare! Erano anni che non toccava una sigaretta e tu, tu…
Joy, mi senti quando parlo?»
Si fermò di colpo e, se avessi avuto ancora un corpo, di sicuro gli sarei andata a sbattere contro.
«Ti sento,
Lina, forte e chiaro» dalla sua espressione traspariva tutto il
malumore e lo scontento che doveva provare in quel momento. «Ti
sento a tutte le ore del giorno e della notte. Io. Ti. Sento. Non
c’è bisogno che urli, perciò.» Si
passò una mano tra i capelli arruffati, un gesto rabbioso, quasi
furibondo. «Sai che c’è? Non ho mai preteso di
essere una brava persona, come è Gourry. Io non sono un uomo
onesto, non sono un tipo raccomandabile, non sono un cavaliere senza
macchia e senza peccato. Faccio degli sbagli, un mucchio di sbagli. Ci
provo a essere una persona migliore, ma finisce sempre allo stesso
modo: sono e rimango uno stronzo. Non lo so perché ho detto
quello che ho detto a tuo padre. Mi sono confuso, mi ha preso in
contropiede. Creda quello che vuole, che mi importa, che ti importa? La
verità sappiamo entrambi qual è.»
Stupita da quel suo improvviso sfogo rimasi senza parole.
«Quale verità?» riuscii solo a dire, sbattendo le palpebre.
«Lascia
perdere» disse lui, distogliendo lo sguardo. Si voltò e
ricominciò a camminare. Poi sembrò ripensarci, e si
voltò un’ultima volta.
«La
verità è che mi sono imbarcato in questa follia per fare
un favore a Gourry. Invece, adesso, mi sto chiedendo se non farei
invece un favore a me stesso mandando tutto al diavolo. Non sai quanto
la prospettiva mi tenti. Nemmeno lo immagini.”
Ero allibita.
Rimasi immobile, incredula. Stavamo litigando. O meglio, Joy
all’improvviso sembrava essersi riscosso e avermi rovesciato
addosso tutta la sua frustrazione. Sì, ma perché?
Mi diedi della stupida per aver anche solo pensato, pochi istanti prima, di provare un pizzico di affetto per lui.
«Sei solo
un idiota» urlai. «Il più grande idiota di
sempre!» Ma lui era già sparito tra le ombre della notte.
Non andai
all’accampamento quella notte. Preferii vagare tra la boscaglia
senza una meta. La solitudine non mi spaventava, non correvo rischi.
Cose come l’attacco di qualche bestia notturna o la perdita
dell’orientamento smettevano di avere importanza davanti
all’evidenza di non possedere un corpo. Però ero
indispettita dal fatto di non potermela prendere con nulla. Tirare
calci e fare esplodere qualcosa mi avrebbe di certo fatto sentire
meglio. Camminai fino all’alba, e molto probabilmente girai in
tondo. Non mi resi conto di nulla, se non dell’aria che andava
rischiarando e del sole che faceva capolino dalla cima degli alberi. A
quel punto tornai sui miei passi e mi diressi all’accampamento.
La cenere del fuoco era riscaldata dagli ultimi tizzoni ardenti, un
sottile filo di fumo si innalzava verso il cielo. Scorsi mio padre e
Nayden che dormivano avvolti nei mantelli e Joy, poco distante,
raggomitolato su se stesso. Lo osservai con una punta di astio.
Perché doveva essere così maledettamente difficile avere
a che fare con lui? Non poteva toccarmi in sorte un negromante gentile
e disponibile, sarebbe stato chiedere troppo? Probabilmente sì.
Ma, diavolo, Joy era così dannatamente indisponente! Cercai
Gourry con lo sguardo e lo scorsi poco distante, la schiena appoggiata
al tronco di un albero. Lucidava la spada con un panno, lo sguardo
serio e concentrato. Mi avvicinai e mi lasciai scivolare seduta al suo
fianco. Era chiaro che quel suo cervello di medusa stava elaborando
qualche astruso piano per tirarmi fuori dai guai. Ma non ero sicura di
volere che accadesse. Non avevo dimenticato il modo in cui aveva
dichiarato che mi avrebbe vendicato facendosi giustizia da solo, e non
era da Gourry, per gli dei! Metteva i brividi pensare a un uomo come
lui, così buono e gentile, che si inaspriva in quel modo. Per un
attimo nei suoi occhi avevo letto lo stesso vuoto che riflettevano
quando Phibrizio si era impossessato di lui, governandone la mente e
tramutandolo in uno spaventoso strumento di morte. Una marionetta senza
sentimenti pronta a scagliarsi su chiunque il Principe degli Inferi gli
avesse ordinato di attaccare. Non volevo che Gourry diventasse la
persona che non era a causa mia, non l’avrei permesso.
«Tu non sei così, Gourry…» mormorai, posando una mano sulla sua.
Per un istante
pensai che mi avesse sentito. Smise di lucidare la lama della spada e
sollevò il viso. I suoi occhi color del cielo si rispecchiarono
nell’acciaio e scorsi il suo sguardo farsi per un attimo
dubbioso, meno sicuro. Io non comparvi nel riflesso, eppure ero proprio
lì, accanto a lui. Gli sfiorai la guancia con la mano,
rimpiangendo tutte le volte in cui avrei potuto farlo e invece mi ero
persa in chiacchiere inutili, scappellotti sulla nuca e sfuriate.
Quante volte il mio sguardo l’aveva oltrepassato senza notarlo
davvero? Come avevo potuto essere così cieca?
Era vero quello
che si diceva: capivi quanto contava una persona solo quando stavi per
perderla, o quando era ormai troppo tardi.
In quel momento nella radura fece irruzione Hermann, tenendo per le orecchie una coppia di conigli morti.
«Colazione?» disse soltanto.
Ripartimmo di buona lena, e come sempre Nayden guidava il gruppo.
Non mi piaceva,
non mi piaceva affatto. Non capivo la sua foga, né il suo
interesse. Per quanto avessimo potuto legare durante il nostro
precedente viaggio non ritenevo ci fossero i presupposti per cui Nayden
avrebbe dovuto preoccuparsi in quel modo per me. È vero, si era
mostrato dispiaciuto per la mia morte, e si era incaricato di aiutare i
miei amici a scoprire il colpevole. Eppure, il mio istinto mi diceva
che qualcosa non quadrava in tutta quella faccenda. E il mio istinto
raramente sbagliava, camomille a parte.
Controvoglia mi
ero dovuta riaccomodare dietro a Joy. Non ci eravamo più parlati
dalla sera prima, solo qualche occhiata di sbieco era passata tra di
noi. Non era la prima volta che litigavamo, anzi, si poteva
tranquillamente affermare che da quando ci eravamo conosciuti non
avessimo fatto altro. Non ero mai stata una persona famosa per la
pazienza, ma Joy sapeva davvero come tirare fuori il peggio di me.
Eppure, sentivo che qualcosa era sul punto di spezzarsi definitivamente
tra di noi e non capivo cosa. Forse Babette lo aveva caricato di una
responsabilità eccessiva. Forse i suoi nervi stavano per cedere
e la sfuriata del giorno prima ne era un chiaro indizio. Da quello che
mi aveva raccontato Gourry, Joy non aveva mai accettato la sua parte
più oscura. La rinnegava da sempre, e la contrastava. Sarebbe
stato facile, per lui, decidere all’ultimo secondo di sottrarsi a
quell’obbligo che aveva scelto di assumersi più o meno
volontariamente e a quel punto, di me cosa ne sarebbe stato?
Decisi che dovevo provare almeno a parlargli.
Tuttavia, alla
prima sosta che facemmo, sgusciò via tra gli alberi talmente
rapido che non ebbi modo di seguirlo. Ci provai, inutilmente. Sembrava
essersi dileguato. In compenso sulla mia strada trovai Babette.
«Non riesco a trovare Joy» sbottai, davanti al suo sguardo felino.
«Lascialo perdere» disse la gatta. «Ha bisogno di stare solo.»
«Oh, certo,
lui ha bisogno di stare solo! Babette, ti ricordo che quello che ha
appeso al collo è il mio corpo! Se dovesse succedere
qualcosa…»
«Non succederà» disse Babette. «Joy non è uno sprovveduto.»
«Tu dici?» domandai, scettica.
«Lo conosco meglio di quanto immagini.»
«Lo conosci
esattamente da quando lo conosco io, e ti assicuro…» mi
bloccai di colpo, scrutando la gatta con più attenzione.
«C’è qualcosa che non mi hai detto, Babette?
Perché queste tue convinzioni nei confronti di Joy… sono
quantomeno sospette, ecco.»
«Ogni cosa a tempo debito, Lina Inverse.»
«Certo, come no. Come quando hai pensato: Be’, prima facciamola fuori e dopo spieghiamole ogni cosa!»
«Ho agito nell’unico modo che ho ritenuto giusto.»
«È proprio questo tuo concetto di giusto e sbagliato che mi preoccupa.»
Gli occhi di Babette si strinsero fino a ridursi a due sottili fessure.
«Le forze
del male stanno diventando più forti, ogni giorno che passa. Su
Solaria si ammassano nubi oscure, i confini sono sempre più
labili. Joy è l’anello di congiunzione tra i due mondi, e
adesso che l’Akan è nelle sue mani, la sua forza è
triplicata. Ma c’è un prezzo da pagare per ogni cosa,
Lina. L’Akan trae energia dal negromante che lo maneggia e questo
implica…»
«Non serve
che mi spieghi come funziona» la bloccai. «Anche la magia
è così» conclusi, rivedendo i miei capelli che
diventavano candidi come la neve quando ne abusavo. Bianchi come quelli
dei vecchi. Mi ero spesso chiesta se gli incantesimi più potenti
mi avessero sottratto anni di vita. A quel punto, tuttavia, che
differenza faceva? Ero comunque morta, o quasi morta, fin troppo
giovane. Maledizione.
Le vibrisse di Babette vibrarono impercettibilmente.
«Dato che capisci, suppongo tu possa immaginare quanto lui sia sfinito in questo momento.»
Sospirai e
ripensai a quando avevo pensato che io e Joy, tutto sommato, non
eravamo così differenti. Entrambi avevamo per le mani un potere
enorme, capace di consumarci fisicamente e mentalmente. Capace di
annientarci, se non avessimo opposto la dovuta resistenza alle sue
lusinghe.
«Sei stata chiara Babette, cercherò di non stressarlo. Di lasciarlo in pace…»
«Sei una
ragazza intelligente, Lina Inverse» commentò la gatta,
prima di aggiungere, con tono più greve: «C’è
anche un’altra cosa. Ricordi quando ti dissi che la
collaborazione di Joy ci era indispensabile, ma doveva essere una sua
libera scelta? Non tiriamo troppo la corda con lui, perché se
per qualche motivo dovesse scegliere di combattere contro di
noi…»
Non concluse la
frase e, del resto, non c’era bisogno che lo facesse. Non ero
nata il giorno prima, sapevo da me come andavano queste cose.
Solo quando fu
scomparsa tra la vegetazione ricordai una cosa che mi aveva detto tempo
addietro, la notte in cui mi aveva rivelato il suo piano e il ruolo che
io e Joy avremmo avuto in quel terribile disegno.
Quella notte,
mentre Joy fumava nervoso e io ancora non riuscivo a capacitarmi di
quello che mi era appena successo, Babette aveva detto: “Io so
chi sei, Joy Shylow. È tutta la vita che ti nascondi, ma non si
può essere qualcosa di diverso da ciò che si
è.»
Parole indubbiamente piene di buon senso, certo. Ma… Cosa ne sapeva Babette della vita di Joy?
La giornata
volgeva di nuovo al termine e, dopo aver cavalcato per tutta la
giornata, trovammo un altro posto per accamparci. Non mancava molto a
Solaria e, guardando verso l’orizzonte, non scorgevo altro che un
cielo rosso sangue minacciato da nubi scure che si andavano ammassando
le une sulle altre.
Un rumore di passi, alle mie spalle, mi comunicò che non ero più sola.
«Pensavo
non volessi avere niente a che fare con me» dissi, senza bisogno
di voltarmi. Mi costrinsi invece a rimirare la punta dei miei stivali.
I miei evanescenti stivali.
«Infatti
è così. Sei insopportabile e io ti detesto da quando ci
siamo parlati la prima volta.» La sua voce, roca, conservava una
lieve sfumatura di sofferenza mentre pronunciava quelle parole.
«Il sentimento è reciproco, non preoccuparti.»
«Sai, più ci penso e meno capisco come faccia Gourry a volerti. Come faccia ad… amarti.»
Capii che il suo attacco era solo una difesa. Se la prendeva con me per non prendersela con se stesso.
«Gourry
è una persona molto migliore di te. E anche di me, se è
per questo. Immagino che lui riesca a soprassedere su molte cose. Noi,
invece… siamo così bassi, così meschini.»
«Sì. Siamo uguali, io e te.»
Solo a quel punto
mi voltai, guardandolo negli occhi. L’Akan era un peso
insostenibile, lo leggevo nel velo sottile che gli offuscava lo
sguardo, nel pallore del viso e nella smorfia della bocca. Aveva paura
di usarlo ma allo stesso tempo ne era segretamente affascinato. Poteva
essere rischioso, ma era proprio quel rischio a renderlo così
irresistibile. E intanto la sua magia lo consumava e lo avrebbe
consumato fino a quando non avesse imparato ad opporvi la necessaria
resistenza.
Oh, sì. Siamo uguali, più di quanto immagini.
Joy non distolse lo sguardo dal mio, sembrò anzi cercarvi una conferma di quanto appena affermato.
«Può
darsi di sì. Può darsi che ci sia una somiglianza tra di
noi. Per questo non riusciamo a prenderci: ognuno vede nell’altro
ciò che detesta di sé» dissi piano, scandendo bene
ogni parola.
E Gourry…
Gourry ci salva da noi stessi, da ciò che siamo nel profondo.
Illumina il nostro buio, ci rende migliori.
Joy annuì
piano: capiva più di quanto avessi espresso a parole. Io
scrollai le spalle e tornai a scrutare il cielo ormai scuro.
«Ovunque ci
porterà questa follia, c’è una cosa che devi
promettermi Joy, indipendentemente dal fatto che mi odi o meno. Devi
giurarmelo e non accetterò un'altra risposta che non sia
‘lo prometto’.»
Lo guardai e mi sembrò di scorgere un muto consenso nel fondo delle sue iridi grigie.
«Gourry»
dissi solo, come se il solo fatto di nominarlo fosse sufficiente a
fugare ogni dubbio. «Non deve cambiare. Gourry deve restare
Gourry, qualunque cosa succeda. Non lasciamo che tutto questo rovini
l’unica cosa bella che la vita ha regalato a entrambi.»
«Te lo
prometto Lina.» Non ebbe esitazioni. La sua voce era un soffio
che si andava disperdendo tra le tenebre che ci avvolgevano. «Te
lo prometto.»
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Capitolo 16 *** Segreti ***
capitolo 18
Segreti
‘Tu
sei mio - ansimò. - Mio, come io sono tua. Se moriamo, moriamo.
Tutti gli uomini devono morire, Jon Snow. Ma prima, dobbiamo
vivere.’ (George R. R. Martin - I fiumi della Guerra)
Solaria
era vicina, riuscivo a percepirlo in mille modi diversi. Babette era
diventata sempre più silenziosa e guardinga. Joy si era
fatto irrequieto e irritabile. Nayden spronava il cavallo come se
fosse questione di poco, ormai. Gourry era vigile, attento a ogni cosa.
Mio padre sembrava capirci molto poco, ma era determinato a scoprire
cosa mi fosse accaduto. Hermann non si accorgeva assolutamente di
nulla, e mi sarei stupita del contrario.
Quanto
a me, io stessa avvertivo brividi sottili percorrermi il corpo che non
avevo più, e questo bastava ad allarmarmi. Sentivo un’eco
lontana, come una musica, chiamarmi a sé. Resistervi era
difficile. Avevo provato a parlarne a Joy ma lui si era allarmato.
Avvertiva anche lui quel richiamo, era suadente, mi disse, ma aveva
l’odore acre della morte. Ci avvicinavamo al confine estremo tra
la terra dei vivi e quella delle ombre. Il momento dello scontro non
era lontano.
«Joy,
devo parlarti» dissi, durante una sosta. In lontananza si
intravedevano le guglie del castello di Solaria che svettavano contro
il cielo livido. C’era aria di temporale e persino i cavalli si
erano fatti nervosi e scalpitanti.
«Ti ascolto» rispose, senza guardarmi, arrotolandosi una sigaretta.
«Dobbiamo depistarli.»
Lui sollevò lo sguardo, le sopracciglia corrugate.
«Mio padre, Gourry, Nayden… Non voglio che ci seguano» proseguii, seria.
«E
glielo dici tu, a mio fratello, che si è precipitato fin qui a
rotta di collo solo per sbagliare strada all’ultimo
secondo?» replicò, sarcastico. Si infilò la
sigaretta fra le labbra e sfregò il fiammifero sotto alla suola
dello stivale. La scintilla che scaturì si tramutò in
fiamma e io provai una bruciante nostalgia per i miei poteri. Dei,
quanto mi mancava la magia.
Joy espirò una lunga boccata di fumo e mi guardò scettico.
«Come
speri di riuscire a depistarli proprio ora? Solaria è
laggiù, la vedo io, la vedi tu, e di sicuro la vedono anche
loro. A meno che non rimangano tutti vittima di un’improvvisa e
repentina cecità, cosa che dubito accadrà.»
«Lasciamo
delle tracce. Il loro obbiettivo sono io, se penseranno che non sono
diretta a Solaria non vedranno la necessità di raggiungere la
città…»
Joy si sfregò la fronte con il palmo della mano, riflettendo.
«Tracce…» borbottò. «Che tipo di tracce?»
«Non
lo so, sei tu l’esperto in queste cose! Sbaglio o è stata
una tua idea quella di lasciare quel messaggio nelle scuderie di
Sailunne? Fatti venire in mente qualcosa!»
«Ma
certo, perché sforzarsi cercare di spremersi le meningi quando
qui c’è Joy, che risolve ogni tipo di problema? Sai una
cosa, Lina, sono stufo marcio di ‘farmi venire in mente
qualcosa’! Risolviteli da sola i tuoi problemi!»
sbottò, esasperato.
«Stiamo litigando di nuovo?» domandai solo, con calma.
«Così pare» disse lui, imbronciato.
«Cos’hai Joy?» chiesi dunque, spiazzandolo.
Lui sembrò sorpreso dal mio improvviso interesse nei suoi confronti.
«Cosa ti fa pensare che io abbia qualcosa? È il mio solito umore tetro, nulla di strano.»
«Tu
non sei tetro, Joy. Sei arrogante, prepotente e tormentato. Però
sì, ultimamente sei anche tetro, e vorrei sapere
perché.»
«Devo farti un riassunto?»
«So
anch’io che siamo in un grande pasticcio. Voglio dire, basta
guardarmi. O meglio, guardarmi attraverso, per capire in che situazione
ci troviamo. Ma voglio sapere se c’è qualcosa
d’altro. Perché più ci avviciniamo a Solaria
e…» deglutii. «Non so, ti vedo sempre meno convinto,
insicuro.»
«Credi che stia pensando di filarmela?» mi domandò, aggressivo.
Sì.
«No,
ma vorrei che tu mi dicessi cos’è che ti spaventa tanto.
Voglio solo sapere se anche io devo averne paura, tanta quanta ne hai
tu.» Lo guardai e poi aggiunsi, con noncuranza: «Siamo una
squadra in fondo, no?»
La
mia ultima affermazione dovette colpirlo in qualche modo, e ci contavo.
Io e Gourry eravamo una squadra. Lui e Gourry erano stati una squadra.
Ma io e lui? Volevo fare appiglio sul suo spirito di gruppo, sempre
ammesso che ne avesse uno. E io ritenevo di sì.
Passò qualche secondo prima che Joy sospirasse.
«L’Akan
è una bussola. Punta dritto a Solaria e io… mi sento
trascinato, contro ogni volontà. Se anche volessi scappare non
potrei. Mi sta portando là, e lo farebbe anche contro la mia
volontà; sono sfinito. Non credevo sarebbe stata così
dura. I morti… con loro convivo da sempre ma questo, questo
è terribile da sopportare. Vorrei liberarmene ma, allo stesso
tempo, sento che ne sarei annientato.»
Fece quella confessione tutta d’un fiato, lo sguardo basso e la sigaretta che si consumava tra le dita.
Mi
piegai sui talloni e mi avvicinai a lui, posandogli una mano sul
ginocchio. Sapevo che poteva sentire il mio tocco. Per lui era come se
fossi viva, sentiva la mia voce e il mio odore. Avvertiva la pressione
delle mie dita addosso.
Per un attimo temetti che volesse scansarmi, il suo sguardo si rabbuiò ulteriormente, ma non si ritrasse.
«Joy,
tu sei più forte. L’Akan è lo strumento, non tu.
Questo ricordalo sempre. L’energia con cui ti chiama è la
stessa che prende da te. Ci sei tu, prima di tutto, e poi
c’è la magia. Tu la controlli, non il contrario: non
lasciarti sopraffare» dissi, tornando con la mente alle mie prime
lezioni alla Gilda. Improvvisamente mi resi conto che Joy non aveva
avuto un Maestro o una guida che, nella vita, gli dicesse come fare a
gestire quell’immenso potere che gli derivava dal riuscire a
entrare in contatto con il regno delle ombre. Era nato con il dono di
poter parlare con i morti, ma nessuno gli aveva mai insegnato a fare il
negromante.
Nemmeno io avrei potuto, ma potevo aiutarlo a controllare i suoi poteri, a incanalare la sua energia.
Passò
qualche secondo, poi, inaspettatamente, Joy posò la mano sulla
mia e strinse le mie dita tra le sue. Fu un contatto breve, ma
sufficiente a farmi sentire un po’ più viva, un po’
meno sola.
«Potrebbe
finire tutto in un gran casino. Non sono certo di avere la forza per
impedire che accada” rivelò, in un sussurro.
«Sì,
potrebbe finire tutto in un gran casino. Ma dobbiamo quantomeno
provarci. Se moriamo, moriamo. Ma prima, dobbiamo vivere.»
Joy
annuì. «Sì, prima dobbiamo vivere*. Grazie per
avermi ascoltato. Avevo bisogno di dirlo a qualcuno.»
«Non ringraziarmi, io non faccio mai niente per niente.»
«Lo
so, vediamo se riusciamo a mettere insieme qualche traccia che riesca a
depistare Gourry e tuo padre. Per Nayden non posso garantire. Non so
cosa si sia messo in testa di fare, ma dubito che riusciremo a
distoglierlo dal suo obbiettivo che, ormai appare chiaro, non sei certo
tu» disse, confermando qualcosa che in fondo sapevo già.
Qualcosa che forse avevo sempre saputo.
Nayden
aveva un suo personalissimo scopo in tutta quella vicenda, e non era da
escludere che fosse proprio lui uno dei burattinai che muovevano gli
invisibili fili del destino che ci aveva catapultato in
quell’orribile incubo.
Il
cielo si era fatto plumbeo e grosse nubi gonfie di pioggia si
ammassavano oltre le cime degli alberi. In lontananza si
avvertiva il basso brontolio dei tuoni, e un lampo aveva già
squarciato l’oscurità con la sua luce improvvisa e
abbagliante. L’aria era elettrica e i cavalli muovevano
nervosamente le code e scuotevano le criniere. Sotto di noi
gorgogliava, impetuoso, il torrente che ci separava dal confine di
Solaria.
«Ssst…»
Gourry si era avvicinato al suo destriero facendogli una delicata
carezza sul muso. «È solo un po’ di pioggia.»
Fu in
quel momento che Joy gli si avvicinò e, con aria preoccupata,
gli mise sotto al naso uno dei miei orecchini. Aveva conservato tutte
le mie cose nel caso potessero servire, e a quanto pareva era proprio
così.
Gourry impallidì.
«Cosa… dove lo hai trovato?» domandò, con un filo di voce.
«Sul
sentiero. Ma non quello che porta a Solaria» fece una pausa ad
effetto e alzò il tono di voce, per farsi sentire anche da mio
padre.
«Credo
che Lina non fosse diretta a Solaria. O, se anche lo fosse stata, deve
essere successo qualcosa che le ha fatto cambiare idea.»
Gourry
sembrava confuso. Prese il mio orecchino tra le dita, e lo
maneggiò come se scottasse a avesse paura di bruciarsi la mano.
«C’è
un’altra strada» proseguì imperterrito Joy.
«Che porta a Tenar. E se Lina fosse lì? E se stessimo
prendendo la direzione sbagliata?»
Gourry corrugò le sopracciglia.
«Questo non ha alcun senso. Perché sarebbe dovuta andare a Tenar?»
Un cupo boato rimbombò intorno a noi, subito dopo un lampo squarciò il cielo.
«Non
ha senso, infatti. Ma l’orecchino l’ho trovato sul sentiero
che porta in quella direzione» continuò Joy, imperterrito.
Il più grande bugiardo di tutti i tempi. Sul suo viso non
c’era traccia di rimorso, solo una stupefatta preoccupazione. E
avrebbe convinto anche me, se non fossi stata a conoscenza delle sue
menzogne.
«Dovremmo dividerci» affermò infine.
Quello
era il momento in cui Gourry e mio padre, secondo i nostri piani,
avrebbero iniziato a farsi venire dei dubbi. Volevano ritrovarmi
più di qualsiasi altra cosa, avrebbero abbandonato qualunque
razionalità, come avevano fatto davanti alla prospettiva che non
fossi morta veramente, nonostante avessero avuto davanti agli occhi il
mio corpo cereo e rigido, ma mi fossi dileguata per portare a termine
qualche misteriosa missione. Le persone credono quello che vogliono
credere, era questo quello su cui puntavamo io e Joy.
Ma Gourry mi stupì. Il suo sguardo si fece duro come l’acciaio.
«Dove hai preso questo orecchino, Joy?»
«Te lo ho detto, Gourry! Ma allora non ascolti. L’ho trovato…»
«Stai mentendo.»
Joy sbatté le palpebre, basito.
«No, io…»
«Joy»
il tono di voce di Gourry era monocorde, non stava alzando la voce,
eppure metteva i brividi. Per un istante intravidi in lui il mercenario
che era stato, l’uomo abituato a sopravvivere nel caos delle
battaglie senza bandiere. E mi fece paura.
«Gourry,
forse il tuo amico ha ragione» intervenne in quel momento mio
padre, più calmo, compassato. «Dovremmo ascoltarlo.»
Nei suoi occhi leggevo l’incertezza. Là dove Gourry aveva
subito fiutato l’imbroglio, lui vedeva solo possibilità.
«Il
signor Inverse ha più buon senso di te, amico» si
intromise Joy, trovando nelle parole di mio padre uno spiraglio a cui
aggrapparsi per portare avanti la sua teoria.
Ma
Gourry mi lasciò di nuovo stupefatta, perché
lasciò cadere a terra il mio orecchino e afferrò Joy per
la giubba.
«Te lo chiedo un’ultima volta: dove hai preso quel maledetto orecchino?»
Fu in quel momento che intervenne Nayden.
«Che diavolo sta succedendo qua, si può sapere?»
Joy approfittò della distrazione per sgusciare via dalla presa di Gourry.
«C’è
che Gabriev ha i nervi sottosopra, ecco cosa c’è!»
esclamò, arretrando di un passo.
Nayden si fece avanti e raccolse il mio orecchino da terra.
«E questo da dove salta fuori?» chiese, incuriosito.
Glie lo spiegarono.
«Non
vedo quale sia il problema: dividersi è un’ottima idea,
moltiplicheremo le possibilità di trovare Lina»
affermò sicuro Nayden, tanto che per un attimo sembrò che
quell’idea ce l’avesse avuta lui per primo. Si voltò
a guardare il resto del gruppo.
«Signor Inverse, lei preferirebbe battere la pista di Tenar?»
«Dato che l’orecchino è stato ritrovato su quella strada, sì, prenderò quella direzione.»
«Molto
bene» disse Nayden, che sembrava un maestro di scuola soddisfatto
dalla buona condotta dei suoi alunni. «Hermann
l’accompagnerà. Gourry, tu che strada preferisci
prendere?»
«Andrò a Solaria» affermò Gourry, senza neanche un accenno di esitazione.
Se
per un attimo avevo sperato di sentire una risposta diversa, dovetti
ammettere con me stessa che non ci avevo mai realmente creduto. Il
cervello dello spadaccino era disattivato per la maggior parte
del tempo, ma il suo intuito era quasi sempre vigile e raramente
sbagliava un colpo. Ma detto questo… Quanti colpi di genio
poteva avere avuto Gourry nella sua vita: uno? Due? Voglio essere
ottimista, tre. Bene. Il quarto doveva averlo proprio in quel momento,
per gli dei?
Gourry
attese che gli altri si avvicinassero ai loro cavalli per prendere Joy
da parte e sibilargli: «Voglio la verità, Joy. Basta
bugie.»
Joy era seriamente in difficoltà.
«Cosa ti fa pensare che menta?»
Gourry lasciò passare qualche secondo.
«È
da quando siamo partiti che ti tengo d’occhio. Stai nascondendo
qualcosa, ne sono certo. Quando ci fermiamo sparisci nel bosco, non ti
fai vedere, proprio come se avessi dei segreti da mantenere.»
«Forse ho solo bisogno di stare solo, è così strano?»
«Ieri
ti ho seguito» disse a quel punto Gourry, lasciandoci di stucco.
Joy non si era accorto di niente e nemmeno io me ne ero resa conto.
Dovevo ammettere di essere molto orgogliosa di lui, si stava rivelando
ancora più in gamba di quello che avrei creduto. Del resto,
aveva imparato dalla migliore.
Joy si limitò a guardarlo con malcelato astio.
«Parlavi
con qualcuno.» Lo sguardo di Gourry era duro. «Non ho
capito quello che dicevi, e nemmeno a chi lo dicevi. Ma adesso voglio
che tu la smetta di prendermi in giro e mi dica la verità. Penso
che tu me lo debba.»
Joy sembrava combattuto.
«Vorrei»
disse solo. «Credimi, vorrei… ma non posso. È per
il tuo bene. Se puoi fidarti di me, bene. Altrimenti non so cosa altro
dirti.»
«E io cosa dovrei dedurne?» esclamò Gourry, arrabbiato. «Cosa dovrei fare?»
«Andare a Tenar, e restarci.»
Gourry sgranò gli occhi.
«Te
lo ha dato lei questo?» sbottò a quel punto, indicando
l’orecchino. «Era con Lina che parlavi? O le hai parlato a
Sailunne?»
«È più complicato di quanto immagini, Gourry.»
«Te lo ripeto, Joy… è stata Lina a darti questo?» La sua voce vibrava di una straziante disperazione.
Il
mercenario tenne le labbra serrate e a quel punto, solo a quel punto,
lo spadaccino perse veramente la pazienza. Lo riafferrò e lo
scosse, facendogli tremare i denti.
«Hai
idea di quello che significhi questo per me? No, non ce l’hai!
Quando mai hai tenuto a qualcuno nella tua miserabile vita?» gli
gridò in faccia, gettandogli addosso tutta la frustrazione
covata in quei giorni. «Hai la minima idea di cosa significhi non
sapere nulla, assolutamente nulla, della persona che ami più
della tua stessa vita? Se è viva, se sta bene, se è
ferita o sta soffrendo…» Poi lo lasciò andare di
colpo e Joy barcollò, cadendo a terra.
Sarebbe
finita lì? Forse sì, se nella caduta la tunica di Joy non
si fosse aperta rivelando l’unica cosa che non avrebbe mai dovuto
mostrare: la catenina appesa al suo collo, con infilato il mio anello
di fidanzamento.
La pietra azzurra scintillò, mostrandosi in tutta la sua trasparente bellezza.
Gourry
sbatté le palpebre e Joy tentò disperatamente di
nascondere l’anello al suo sguardo, rimettendolo sotto alle
vesti, ma ormai il danno era fatto. Iniziò a piovere, grosse
gocce di acqua simili a proiettili. Mi attraversavano senza sfiorarmi,
eppure sentivo comunque freddo. Un freddo insopportabile.
«Non
è come credi…» balbettò Joy, ancora a terra.
Sembrava che i suoi muscoli fossero paralizzati. Gourry era rimasto
senza parole. Cercava di dire qualcosa, ma dalle sue labbra non
uscivano altro che rapidi sbuffi di fiato opalescente.
Mi
guardai attorno, sperando che qualcuno ci raggiungesse, ma gli altri
avevano già imboccato la strada di Tenar, compreso Nayden che
aveva detto di volerli accompagnare per un tratto. Temevo che Gourry,
sopraffatto dalla rabbia, si scagliasse su Joy con tutta la forza di
cui era capace. Ed era una forza tale che avrebbe potuto ucciderlo
senza nemmeno rendersene conto. Fece un passo avanti, sempre senza
parlare. Gli tremavano le mani e, quando infine parlò, mi resi
conto che gli tremava anche la voce.
«Questo cosa significa?»
Si
piegò su Joy, con una mossa talmente fulminea che quasi non lo
vidi agire, e strappò dal suo collo la catenina, stringendo
l’anello nel pugno chiuso.
«No!»
gridò Joy. «Gourry, no…!» esclamò,
tendendo una mano verso lo spadaccino. «Fai attenzione con
quello, fai molta attenzione… è più prezioso di
quanto immagini.»
«Cosa
le hai fatto?» chiese a quel punto Gourry, con una voce che non
sembrava nemmeno la sua. «Cosa hai fatto alla mia Lina? Sei un
bugiardo, un ladro e… un assassino.»
«Non l’ho uccisa io!» gridò Joy, mettendosi in ginocchio. «Lina, lei…»
La
pioggia scrosciava su di lui, appiccicandogli i riccioli scuri alla
fronte e rendendo le sue guance lucide d’acqua. Gourry scosse la
testa. I suoi stivali affondavano nella terra bagnata.
«Era tutta una menzogna. La fuga, la lettera… l’hai scritta tu quella lettera?»
«Sì» confessò Joy. «Ma… posso spiegarti.»
«Non c’è più niente da spiegare.»
«Gourry, ti prego, non fare mosse azzardate…»
Ma
Gourry era troppo furioso. Era accecato dalla rabbia, dal dolore e
chissà da quali altri sentimenti. La speranza che lo aveva
animato in quei due giorni si era dissolta, colando ai suoi piedi come
un veleno amaro. Tutto ciò che lo aveva riportato alla vita
sembrava ora spingerlo indietro, nella disperazione più assoluta.
Non
lo biasimo per ciò che fece, anche se qualcosa si strappò
dentro di me nell’esatto istante in cui lo fece.
Si
portò il pugno chiuso agli occhi, mentre le lacrime gli rigavano
le guance, mescolandosi alla pioggia. Poi allungò di colpo il
braccio e gettò l’anello nel torrente che schiumava
rabbioso sotto di noi.
*per gentile concessione di George R.R. Martin, il Sommo Scrittore.
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Capitolo 17 *** La porta di specchi ***
borderline la porta di specchi
La porta di specchi
‘Immortale è chi accetta l’istante. Chi non conosce più un domani.’ (Cesare Pavese, Dialoghi con Leucò)
Quanti di voi possono dire di aver mai visto la propria vita volare via, nel senso più letterale del termine?
Mentre
l’anello che conteneva il mio corpo plasmato dall’Akan
spariva tra i flutti ero rimasta immobile, paralizzata dalla paura. Del
tutto impotente. Solo indistintamente avevo visto Joy rimettersi in
piedi e correre verso il letto del fiume. Senza pensarci due volte si
era tuffato, riemergendo poco dopo e scomparendo di nuovo
sott’acqua. Ma la corrente era forte e l’anello era
già rotolato via, spinto dalle onde. Ricordo solo che pensai che
era finita. Sì, ormai era veramente finita. Sarei rimasta un
fantasma per sempre e, a quel punto, davanti a quella prospettiva,
avrei preferito varcare la linea di confine e passare nel regno delle
ombre. Cosa me ne sarei fatta di quell’eterna vita-non-vita?
Quanto all’idea di incarnarmi in un altro corpo, come doveva
essere successo a Babette… sentivo di volerla escludere con
fermezza. Non sarei mai più stata Lina Inverse, e Lina Inverse
era l’unica persona che volevo essere. Che potevo essere. Era finita, finita, finita.
Caddi
in ginocchio e mi portai le mani davanti alla bocca, per reprimere
l’urlo che sentivo premermi contro le labbra. Non potevo
più accampare pretese di umanità. Non ero più un
essere umano, né mai più lo sarei stato.
Gourry
era rimasto sconcertato dalla reazione di Joy. Per quanto disperato e
confuso, quando il suo amico si era tuffato nell’assurdo
tentativo di recuperare l’anello che lui stesso mi aveva donato
come pegno di eterno amore, era corso verso il fiume e aveva teso una
mano a Joy che annaspava per resistere alla corrente. Il mercenario si
era trascinato fuori dal torrente, lasciandosi cadere sulla terra
melmosa dell’argine, spuntando acqua e saliva. Poi aveva
picchiato il pugno per terra con ferocia, più e più
volte, gridando ingiurie, fino a quando Gourry non aveva bloccato la
sua mano che ormai sanguinava.
«Cosa sta succedendo? Per gli dei, Joy! Parla!»
«Tu
non capisci, tu non sai… quello che hai appena fatto!»
gridò rabbioso il mercenario. Si sollevò e
spintonò Gourry. «Dovevi proprio lanciarlo nel fiume?
Perché?! Perché diavolo l’hai lanciato nel
fiume?!»
Solo a quel punto mi alzai e mi decisi a intervenire. Scesi lungo l’argine con gambe malferme.
«Adesso
basta!» strillai, afferrando la mano di Joy e allontanandolo da
Gourry, che lo guardava con un misto di spavento e costernazione.
«Basta! È finita…»
«Non sarebbe finita affatto se lui…» gridò Joy, furibondo, indicando lo spadaccino.
Mi
parai davanti a lui e il mercenario ricambiò il mio sguardo,
fremendo di rabbia. «È finita» ripetei.
«Accusarsi a vicenda non cambierà quello che è
successo.»
«Come
puoi parlare così, non ti rendi conto di quello che è
appena successo?» urlò Joy, indifferente al fatto che
Gourry fosse lì con noi. Non gli importava che lo vedesse
parlare con il nulla.
«Certo che mi rendo conto.
Mi rendo conto meglio di quanto tu possa immaginare. Ma stare qui ad
accapigliarvi e a insultarvi, incolpandovi a vicenda, non
cambierà le cose: sono spacciata. Nessuno potrà
più riportarmi indietro ormai.»
Lo
dissi con una tale freddezza e una tale lucidità che Joy
mutò la sua espressione. La rabbia scivolò via dai suoi
occhi e lasciò spazio a un’aria smarrita che avrebbe
potuto stringermi il cuore, se ne avessi avuto ancora uno.
«Lina…» disse solo, ansimando. «Io non…»
Prese un respiro e scosse la testa, voltandosi verso Gourry.
Quello
che era stato il mio migliore amico e compagno, per un'unica,
indimenticabile, notte, sembrava non avere la più pallida idea
di quello che stava succedendo. Come avrebbe potuto, del resto? Le
questioni dei morti restavano tra i morti. Ma in quel momento sentii
che gli dovevamo delle spiegazioni. Io gli dovevo delle spiegazioni,
perché ormai era evidente che non avrei avuto altro modo di
farlo. Non sarei potuta tornare da lui, anche se avevo giurato di farlo.
Anche il mercenario sembrava pensarla allo stesso modo.
«Quell’anello…» iniziò Joy, ma io lo bloccai.
«No.
Non raccontargli la verità, Joy. Non la sopporterebbe.
Raccontagli il resto della storia, ma non fare parola di quello che
è appena accaduto.»
Joy
si rabbuiò ma annuì. Sapeva tanto quanto me che Gourry
non si sarebbe riavuto dal senso di colpa. L’avrebbe tormentato
per sempre e, ora che sapevo con certezza di non poter tornare, volevo
più che mai che almeno lui, da quella situazione, uscisse senza
troppe ammaccature.
«Non
capisco…» balbettò lo spadaccino, lanciando attorno
a sé occhiate confuse. «Con chi stai parlando, Joy?»
«Lina è qui.»
Gourry
si accigliò, lanciando occhiate sospettose attorno a lui. Joy
fece un passo verso di me e mi cinse le spalle con un braccio.
«È
qui. Non puoi vederla, e non puoi sentirla. Ma io sì. È
sempre stata con te, con noi, fin da quella che tutti avete scambiato
per la sua morte. Ma lei non è mai morta per davvero. È
sempre stata solo mezza-morta, in effetti.»
Lo spadaccino assunse un’espressione ferita.
«Non è divertente.»
«Ne
convengo» concordò Joy. «Di divertente non
c’è proprio niente. Ma ti assicuro che lei è qui,
proprio accanto a te.»
Gourry scosse la testa, le labbra socchiuse e gli occhi che frugavano intorno, senza trovare qualcosa su cui posarsi.
«Lina? Sei davvero qua?» mormorò, incerto.
Le
sue parole erano attutite dal rumore della pioggia. L’aria che
respiravo, all’improvviso, aveva un sapore ferroso e salmastro.
Il sapore dell’acqua dentro cui mi stavo perdendo.
«Sì
Gourry, sono sempre stata al tuo fianco. Non mi sono allontanata
nemmeno per andare alla toilette, pensa un po’!»
Joy
ripeté le mie parole e qualcosa sembrò scivolare via dal
volto dello spadaccino. Un velo di dolore che aveva fino a quel momento
offuscato i suoi lineamenti.
«Tutto
questo è assurdo. Come posso credere a una cosa del
genere?» chiese poi, tornando a incupirsi. Si sentiva uno stupido
accecato dalla speranza.
«Saresti
riuscito a credere a tutto quello che ci è successo in questi
anni se non l’avessi visto con i tuoi occhi? Draghi, Demoni, Zel
usato come ancora?» dissi. Poi, con un sussurro, aggiunsi:
«Quella notte?»
Joy
abbassò lo sguardo e ripeté le mie parole. Iniziava a
sentirsi un intruso. Solo a quel punto qualcosa di simile a un sorriso
rischiarò il volto dello spadaccino.
«È davvero qui» disse, guardando Joy. Il mercenario fece una smorfia.
«È dannatamente difficile liberarsi di lei.»
Joy
spiegò a Gourry ogni cosa. I suoi poteri e il mio averlo
angustiato fino ad assicurarmi la sua collaborazione. Il piano di
Babette, la sparizione di Anouk e il fatto che avevamo sottratto a Phil
l’Akan, con mezzi più o meno leciti.
«Digli
che è un dannato zuccone, che non avrebbe dovuto tagliarsi i
capelli e… e i polsi!» Sbottai, alla fine. Erano
giorni che desideravo togliermi quelle parole dalla bocca.
Gourry
sembrò a disagio. Si passò una mano sui ciuffi corti che
gli coprivano la fronte. Si stava rendendo conto che avevo sempre
vigilato su di lui, che avevo seguito la sua lenta discesa nella
disperazione più totale, l’avevo visto annientarsi. E no,
non mi era piaciuto.
«Non
le è piaciuto vedermi ridotto così» mormorò,
pieno di sensi di colpa. «Lei avrebbe saputo gestire meglio la
cosa.»
Quelle
parole mi colpirono. Mi chiesi cosa avrei fatto io, se a morire sotto
ai miei occhi fosse stato lui. Nelle orecchie avvertii il rumore del
vetro che andava in pezzi.
«No»
dissi. «Tu sei più forte di me. Io, l’ultima volta
che ho anche solo rischiato di perderti, ho quasi distrutto il mondo.
Ma non voglio più vederti annullarti in questo modo.»
Gourry sospirò.
«Ma
quindi, adesso… cosa succede? Stiamo andando a Solaria per
fermare questo… Signore delle ombre? E Lina, Lina tornerà
com’era prima?»
Io e Joy ci scambiammo una breve occhiata.
«Proveremo a fare del nostro meglio» disse Joy, e lo disse a denti stretti, per una volta gli costava mentire.
Ma,
in fondo, quella non era una menzogna. Avremmo davvero fatto del nostro
meglio. Avremmo dato il massimo, come sempre. Avremmo salvato il mondo,
come più di una volta avevamo fatto.
Solo… io non sarei più potuta tornare. E questo più niente poteva cambiarlo, ormai.
Guardai
Gourry, gli occhi accesi da un insperato sollievo, e sentii che
già mi mancava. Avrei voluto allungare una mano e stringere la
sua, dirgli che gli avevo sempre voluto bene, forse sin dalla sua prima
comparsa in quella radura infestata di banditi, quando pensava di
prestare i suoi servigi a una fanciulla in pericolo e invece aveva
trovato solo… me. Volevo dirgli che sarebbe stato difficile,
dannatamente difficile lasciarlo andare. Guardarlo allontanarsi, e
stavolta per sempre. Imboccare strade sulle quali io non avrei
più potuto camminare. Vedere la mia ombra, alle sue spalle,
sfumare sino a diventare un ricordo lontano. Io lo avrei amato per
sempre, ma lui sarebbe andato avanti senza di me. Ed era giusto
così.
Mentre Joy definiva gli ultimi dettagli mi alzai e mi allontanai. Non ce la facevo.
Quando
il mercenario mi raggiunse evitai di incrociare il suo sguardo. Lui
allungò una mano verso la mia e io mi divincolai. Joy mi
riafferrò il braccio.
«Perdonami»
disse solo, brusco. «Avrei dovuto averne più cura. Avrei
dovuto proteggerti. Io…»
«Pensate
tutti di dovermi proteggere, maledizione! Perché?»
esclamai, esasperata. Poi, inaspettatamente, iniziai a singhiozzare.
Era orribile piangere senza avere lacrime da versare. Joy mi
attirò a sé e mi lasciò sfogare contro il suo
petto.
«Volevo
più tempo» gemetti. «Volevo fare tante cose. Ho solo
diciannove anni… non riesco a credere che sia finita, Joy, non
riesco ad accettarlo!»
«Non è ancora finita, Lina. Troveremo un sistema…» La sua mano salì ad accarezzarmi i capelli.
«No!»
di colpo mi ritrassi da lui, vergognandomi per essermi lasciata andare
in quel modo. «Non prenderò in considerazione soluzioni
‘alternative’. Non c’è più niente da
fare» esclamai, lapidaria.
«Ma…»
«Penserai a Gourry» tagliai corto. «Quando tutto sarà finito, ti prenderai cura di lui.»
Sollevai
lo sguardo e scorsi gli occhi di Joy scrutarmi con un’espressione
che non gli avevo mai visto prima. E non mi piacque, lo preferivo
cinico e strafottente. «Non ce l’ho con te, Joy. E adesso
andiamo, al diavolo i sentimentalismi.»
Ero
terrorizzata e disperata. Ma ero pur sempre Lina Inverse, per gli dei.
Lina Inverse non si piangeva addosso ma, soprattutto, non piangeva
addosso a nessun altro. Questo era poco ma sicuro.
Babette
era sparita, me ne accorsi solo quando riprendemmo i cavalli e di lei
non trovammo traccia. Joy la chiamò, poco convinto, poi fece
spallucce e salì a cavallo.
«Ci avrà preceduto» fu la sola conclusione a cui giunse.
Ma
non ci era sfuggita anche la sparizione di Nayden, che si era
svincolato con la scusa di accompagnare mio padre ed Herman per il
primo tratto e non aveva più fatto ritorno. Iniziavo a pensare
di essere in ritardo a una festa a sorpresa di cui non sapevo nulla.
«Lina
non vorrebbe che tu ci seguissi a Solaria» disse Joy a Gourry
quando lo spadaccino afferrò le briglie del suo destriero.
«Non la lascio sola.»
«Non
è sola» replicò Joy, piccato. Non aveva perdonato
allo spadaccino di aver gettato via l’unica speranza che avevo di
tornare in vita.
Gourry però era irremovibile, così partimmo.
Piovve
per tutto il tempo e raggiungemmo il cuore della città sotto un
cielo tempestoso. Solaria era deserta e fatiscente. Sembrava
abbandonata e in disfacimento da tempo, come se la morte avesse
già iniziato a diffondere il suo sospiro attorno a sé. Le
case avevano i tetti di paglia sfondati e i vetri opachi di polvere.
Nei giardini le piante erano cresciute fino a invadere ogni cosa.
Un’aria gelida spirava lungo la strada per il palazzo e la
imboccammo senza indugi.
Il
castello era come lo ricordavo, cupo e minaccioso. Le torri svettavano
imponenti nel cielo grigio, i merli sembravano voler trapassare le
nuvole gonfie di pioggia che si ammassavano sopra le guglie. Metteva i
brividi. Sentivo gli zoccoli dei cavalli battere contro il selciato
mentre attraversavamo il ponte levatoio abbassato. Era evidente: ci
stavano aspettando. Mi chiesi quanto avrei apprezzato il comitato di
benvenuto che di certo ci attendeva oltre quelle mura e,
istintivamente, feci scrocchiare le dita. Una piccola abitudine che non
mi aveva abbandonato con il trapasso: smaniavo dalla voglia di mettere
le mani al collo di qualcuno.
Prima di raggiungere la corte Joy arrestò il suo cavallo.
«Lo senti?» mi chiese, con un sussurro.
Io
annuii. Sì, era un vento gelido. Un sibilo insistente.
L’ombra della morte che si allungava su Solaria. I cavalli si
fecero recalcitranti e persino Gourry, che non riusciva ad avvertire
ciò che era celato alla vita, capì che qualcosa non
andava.
Vidi la mano di Joy tendersi involontaria verso l’Akan, che teneva in una tasca del mantello.
«Non farlo» dissi, con voce perentoria. «Non adesso. Andiamo» aggiunsi, nervosa.
Varcammo il portale e fu allora che lo vidi. Che li vidi.
Nayden
sedeva al centro dello spiazzo, su quello che aveva tutto l’aria
di essere un trono sradicato e gettato nel piazzale al solo scopo di
fare uno sfregio. Le gambe accavallate, il mantello gettato di lato,
vestiva il suo sorriso più smagliante. Solo che in quel momento
la sua mano stringeva un lungo pugnale, e lo teneva puntato alla gola
di Anouk.
«Ce ne avete messo di tempo… non trovavate la strada?» domandò, sarcastico.
Vidi Gourry mettere mano all’elsa della spada. Nemmeno al mago sfuggì quel gesto.
«Piano
con quella, spadaccino. Non vorrai che questa dolce fanciulla ci lasci
prima del tempo, vero?» chiese, premendo la lama sulla pelle
delicata della bambina.
Anouk
tremava. Riuscivo a scorgere solo parte del suo viso, l’altra
metà, quella ustionata, era nascosta dai capelli. Teneva i
piccoli pugni serrati e sembrava ancora più pallida di come la
ricordassi. La guardai e, per quanto non avessi dimenticato che era
stata la sua mano a versare il veleno nella camomilla, spedendomi in
quell’incubo senza risveglio, non riuscivo ad odiarla. Era solo
una pedina, una bimba innocente che era stata trascinata dentro a un
gioco troppo pericoloso.
«Che
diavolo significa, Nayden?» sbottò a quel punto Joy,
scendendo da cavallo, subito imitato da me e Gourry. «Lasciala,
per gli dei, è solo una bambina…»
Gli
occhi scuri di Nayden si fissarono in quelli del fratello e vidi una
scintilla di perfidia brillare nel suo sguardo. Quella cattiveria, mi
resi conto in quel momento, era sempre stata lì, l’avevo
scorta senza realmente vederla. Mi rimproverai mentalmente per non aver
prestato maggiore attenzione ai segnali contraddittori che Nayden aveva
sempre lanciato attorno a sé. Troppo brillante, troppo
altruista, troppo… disinteressato.
«E
tu sei solo uno stupido, Joy: stai combattendo dalla parte sbagliata
della barricata, al fianco dei perdenti. Ma non dovrei stupirmene
più di tanto. La nonna lo diceva sempre, che ti mancava qualche
rotella.»
Joy
accusò il colpo senza fare una piega. Doveva essere abituato a
ben altro da parte di quel fratello ‘amorevole’ e
all’improvviso scorsi ciò che ci rendeva tanto simili:
eravamo gli eterni secondi; figli minori inadeguati, sempre in fuga da
fratelli (o sorelle) maggiori che ci schiacciavano e da cui cercavamo
di staccarci per rivalsa. Ci eravamo lasciati la famiglia alle spalle
nel tentativo di dimostrare che potevamo farcela da soli. Che potevamo
essere come loro, se non migliori. Ma quel senso di inadeguatezza ce lo
eravamo portati dietro sempre, e ci aveva reso aggressivi al solo scopo
di celare quanto eravamo fragili dentro; fragili e bisognosi di
conferme.
«Oh,
Joy, piccolo Joy…» Nayden, davanti allo sguardo smarrito
del fratello, proruppe in una risata che aveva una nota sguaiata. La
risata di un folle.
«Credevi
di esserti riscattato? Capo di una banda di mercenari pronti a seguirti
e rispettarti? Povero ingenuo, non lo sai che un mercenario, per
definizione, non ha padroni? Eccoli, i tuoi valorosi uomini: mi
è bastato elargire loro qualche moneta in più per averli
dalla mia parte» disse, indicando con la mano che non teneva il
coltello un gruppo di uomini in nero che si facevano largo tra le
rovine della torre. Gli uomini di Joy; quegli stessi uomini che, la
notte in cui si era consumata la mia personale tragedia, avevano rapito
la duchessina Anouk e malmenato senza alcun rimorso il loro capo fuori
dalle mura di Sailunne. Era Nayden il mandante del rapimento.
C’era sempre stato lui, dietro ogni cosa. Guardai quei mercenari
senza onore e senza scrupoli; sporchi, arruffati, gli sguardi duri
privi di qualunque sentimento. Uno di loro teneva un braccio teso
davanti a sé, le dita strette al laccio di un sacco di tela che
si muoveva e contorceva come se fosse stato vivo.
«Non dire gatto finché non ce l’hai nel sacco… giusto?» Nayden sembrava divertirsi un mondo.
Io e
Joy ci scambiammo una rapida occhiata. Se non altro la sparizione di
Babette era spiegata; ora, però, dovevamo rispondere a una
questione di più urgente importanza: come avremmo fatto a
cavarci da quel pasticcio?
«Mi
vuoi spiegare che accidenti significa tutto questo?»
domandò di nuovo Joy. Gli tremavano le mani dalla rabbia e forse
anche dalla paura. Era pur sempre suo fratello quello che teneva in
ostaggio una bambina di dieci anni. «Che cosa vuoi? Perché
stai facendo tutto questo?»
«Che
cosa voglio? Oh, è molto semplice. Voglio che tu apra una porta,
per me. Non dovrebbe costarti fatica. E poi…» il suo
ghigno si fece malefico. «Accoglieremo con tutti gli onori il
Signore delle Ombre. Il suo regno gli stava un po’ stretto,
così io e la duchessa abbiamo preso qualche accordo. Io la aiuto
ad espandere i confini di Solaria e lei mi ringrazia con la corona e
con una moglie degna di tutto rispetto» rispose, riferendosi a
Camelia. Capii che Rebecca era sempre stata a conoscenza del piano, fin
dall’inizio: era stata una sua idea. Si era liberata del marito,
e promettendo la mano di sua figlia a Nayden aveva trovato in lui un
alleato naturale: un uomo tanto egoista da sacrificare il suo fratello
minore sull’altare dell’ambizione personale. Nayden aveva
mentito quando aveva detto di non sapere cosa, sin dalla giovinezza,
tormentasse Joy. Lui conosceva, o forse aveva scoperto solo di recente,
quali fossero le ombre che gravitavano sul suo cuore. E se ne era
servito per i suoi scopi. Dei, quanto lo odiavo.
«Gli affari si fanno così, caro fratello» stava dicendo in quel momento, davanti all’aria, nonostante tutto, incredula di Joy.
«Quello che dici non ha alcun senso. Temo che tu abbia perso il senno, Nayden.»
Nayden non sembrò toccato dalle parole del fratello.
«Ti
assicuro, invece, che non sono mai stato tanto lucido. È tutto
pronto, ormai, mancavi solo tu a questa allegra festicciola.
All’inizio avevo pensato di potermela cavare solo con la bambina,
ma lei non ha di certo i tuoi poteri. E quando ho scoperto che avevi
addirittura rubato l’Akan… che fortuna, non trovi?»
Ricordai
che, quando io e Joy avevamo tentato di entrare nella stanza protetta
che custodiva l’Akan, la maniglia recava i segni di qualcuno che
ci aveva preceduto. Nayden. Voleva l’Akan per sé, pensava
di farlo usare ad Anouk per aprire la porta del regno delle Ombre. Ma
Anouk era troppo giovane e Joy, senza saperlo, aveva fatto il gioco di
suo fratello.
Solo
in quel momento, con sgomento, venni colta da un dubbio: se Nayden
aveva pensato di servirsi della figlia del duca per i suoi scopi,
questo significava che Anouk era a sua volta una negromante? Avevo
creduto, piuttosto ingenuamente, che il dono si trasmettesse solo agli
eredi maschi. Guardai con più attenzione la bambina, con quei
capelli neri, i grandi occhi grigi e quell’aria stranamente
familiare che mi aveva ossessionato sin dalla prima volta che
l’avevo vista. C’era qualcosa che mi sfuggiva...
In quel momento Nayden la strattonò.
«E allora, Joy. A te la scelta, venirmi incontro con le buone o… con le cattive, scegli tu.»
«E se dovessi rifiutarmi?»
«Ucciderò la bambina. È molto semplice.»
«Perché sei così convinto che mi importi?»
Nayden sogghignò.
«Certo
che ti importa. Ti è sempre importato, sei uno stupido
sentimentale, anche se cerchi di non darlo a vedere.»
«D’accordo» acconsentì Joy. «Ma a una condizione.»
«Sentiamo.»
«Lascia libera la gatta» disse Joy, indicando il mercenario che reggeva il sacco in cui era imprigionata Babette.
Sul volto di Nayden apparve un sorriso compiaciuto.
«Sapevo
che quella bestiaccia era coinvolta, non te la saresti portata dietro
da Sailunne altrimenti.»Fece un cenno al mercenario che
slegò lo spago. Babette ruzzolò fuori dalla tela
strappata, il pelo argentato irto sulla schiena e gli occhi spalancati.
Quando la vide, Anouk si lasciò sfuggire un gemito. Era pur sempre la sua gatta.
«Adesso
andiamo» tagliò corto Nayden, alzandosi dallo scranno
senza accennare a diminuire la sua presa sulla bambina.
Non potemmo fare altro che seguirlo. Il coltello dalla parte del manico ce lo aveva lui, in tutti i sensi.
Attraversammo
il cortile, superando un lungo corridoio buio, e ci immergemmo nelle
profondità di Solaria. L’aria era umida e malsana, ed era
talmente scuro che faticavamo a vedere dove stessimo mettendo i piedi.
Solo Babette procedeva spedita, come se conoscesse la strada a memoria.
«Giocheremo
d’anticipo» disse a me e a Joy, mentre ci inoltravamo nelle
viscere della terra. Sembrava sicura di sé e capii che sapeva
più cose di quelle che ci aveva rivelato fino a quel momento.
«Sapevi tutto, vero? Nayden, Rebecca… il loro accordo? Conoscevi ogni, maledetta, mossa.»
«Nayden
è solo un fantoccio e Rebecca… non si rende conto di
quello che sta facendo. Non si è mai resa conto di nulla,
è accecata dall’ambizione, vuole solo il potere. Non sanno
che quando il Signore delle Ombre attraverserà il confine, non
ci sarà più spazio per loro. Credono di poterlo tenere a
bada ma non hanno la più pallida idea di quello che
accadrà.»
«Nayden sarà anche un fantoccio, ma tiene Anouk in ostaggio» le feci notare.
«Anouk
non corre rischi, non fino a quando il cavaliere resterà
convinto che la sua vita valga come moneta di scambio.»
Sembrava sicura di sé e né io né Joy ritenemmo opportuno dissentire. Non eravamo nella posizione per farlo.
Raggiungemmo
un’ampia sala circolare. Sembrava che nessuno mettesse piede
lì dentro da decenni. Le pareti erano nere di fuliggine e
nell’aria aleggiava un vago odore di bruciato. Nayden creò
un lighting, illuminando un’ampia porzione di ambiente. Fu allora
che la vedemmo.
Sembrava una porta, una semplice porta, coperta da una tenda scura.
Nayden fece un segno impaziente a Joy.
«Togli il drappo.»
Joy
fece un passo avanti. Era nervoso, lo capivo da come fletteva e
contraeva le dita della mano destra. Con un gesto brusco scostò
il panno scuro, rivelando un grosso specchio montato dentro a una
cornice di ebano.
Restammo
tutti in silenzio, per alcuni secondi, a osservarlo.
All’apparenza non aveva nulla di strano. Ma emanava
un’energia incredibile. Sentivo ogni parte di me formicolare.
Nayden,
sempre tenendo Anouk stretta a sé, si avvicinò per
studiarlo. E quando si riflesse nella liscia superficie, per poco non
mi mancò il fiato. Il suo riflesso non aveva nulla di umano.
Sembrava che la pelle del volto e delle mani gli si fosse asciugata
addosso, lasciando in evidenza solo le ossa. Il teschio aveva profonde
orbite oculari e un ghigno malvagio. Anche Joy lo vide e
rabbrividì. Solo Nayden parve non rendersi conto di nulla.
«Che
significa?» domandò, tastandone la superficie.
«È solo un dannato specchio! Doveva esserci una porta,
qui!» Oltre il vetro vidi le sue dita scheletriche tendersi e
combaciare con la sua mano e repressi un urlo.
Joy
gli si affiancò e io mi aspettai di vederlo rattrappirsi fino a
diventare a sua volta uno scheletro, ma non accadde. Joy, nello
specchio, era semplicemente Joy. Solo che appariva più luminoso
di quanto non fosse nella realtà. Più nitido. Anche lui
allungò una mano verso il vetro, e quando arrivò a
sfiorarlo la superficie iniziò a vibrare, divenendo liquida. Le
dita di Joy la oltrepassarono, sparendo parzialmente alla vista, come
se le avesse immerse in un corso d’acqua. Ritrasse subito la
mano, spaventato. Fu a quel punto che Babette si fece avanti.
«È
il momento. Verrò io con te, Lina. Joy, prendi l’Akan con
la mano sinistra e la mano di Lina con la destra.»
«Aspetta,
io…» rivolsi una breve occhiata a Gourry, alle nostre
spalle, ma Babette non mi diede il tempo di dire ciò che avrei
voluto dire.
«Non
c’è più tempo, Lina. Le forze del male premono per
entrare in questo mondo, sono a un passo da noi. Sarà la fine se
non fermiamo tutto questo…»
Distolsi
lo sguardo dallo spadaccino e mi feci avanti, afferrando la mano destra
di Joy. Qualcosa sprofondò dentro di me e ci misi alcuni secondi
a rendermi conto che si trattava del mio cuore.
«Diglielo
tu, Joy. Digli che è stato la cosa più preziosa della mia
vita. La più vera. L’unica che abbia dato un senso a ogni
mio giorno.»
«Glielo
dirai tu stessa quando sarà tutto finito» rispose
Joy, senza guardarmi. Guardava verso lo specchio. E mentre Nayden
cercava ancora di capire come potesse un semplice specchio costituire
un varco tra due regni, Joy impugnò l’Akan.
Avvertii
una forte scossa. La mano di Joy bruciò contro la mia, ma non
riuscii a sottrarre le dita dalla sua presa. Il bruciore si
intensificò fino a diventare insopportabile. Stavo morendo di
nuovo.
Spalancai
gli occhi e, inaspettatamente, vidi me stessa, al mio fianco, con gli
occhi chiusi. Quando guardai la mia mano vidi che era la mano di Joy.
Ero Joy. All’improvviso venni risucchiata in un vortice di
emozioni e sensazioni, di colori e immagini.
Ero
Joy il giorno del suo terzo compleanno. Nayden mi aveva appena spinto
giù dalle scale e mi ero rotto il polso. Piangevo, e una vecchia
signora dall’aria rassicurante si chinava su di me, prendendomi
tra le braccia e sussurrandomi parole di conforto. Il suo profumo non
l’avrei mai dimenticato.
Ero
Joy il giorno del funerale della nonna. La gente piangeva intorno a me,
ma la nonna mi sedeva accanto e teneva la sua mano appoggiata alla mia.
Nessuno poteva vederla, nessuno sapeva che era lì, solo io. Mi
sentivo all’improvviso lontano da tutto e da tutti. Diverso.
Ero
Joy il giorno in cui era partito per diventare soldato di ventura.
Smarrito, avevo vagato tra soldati sporchi e rissosi, che mi
spintonavano insultandomi in tutte le lingue che conoscevano. Stanco e
sconfortato mi ero seduto su un ceppo di legna, cercando di deglutire
il rancio immangiabile dell’esercito, fino a quando un ragazzo
dall’aria gentile si era avvicinato, porgendomi un pezzo di carne
tra due fette di pane.
«Questo
è meglio, fidati. Non fare complimenti. Sei nuovo? Non dovresti
aggirarti per il campo con quell’aria smarrita, questi uomini non
aspettano altro che una scusa per attaccare briga, e i novellini sono
le vittime designate» mi aveva spiegato un giovane Gourry, con un
sorriso confortante, di cui gli sarei stato grato a vita.
Infine,
ero Joy la notte in cui aveva deciso di accettare quel dono maledetto e
provare ad aiutare quella indisponente maga dai capelli di fuoco,
perché il suo amico Gourry, il ragazzo che l’aveva fatto
sentire a casa il suo primo giorno lontano da casa, ne era perdutamente
innamorato. Cercavo di accendermi una sigaretta senza riuscirci.
Alla fine la lasciavo cadere a terra imprecando e prendevo la decisione
che ci avrebbe portati lì, a quel momento.
Tornai
violentemente in me, battendo i denti e spalancando gli occhi. Joy
aveva un’aria non meno sconvolta della mia e mi domandai se anche
lui aveva vissuto tutta la mia vita in pochi secondi: le cattiverie di
Luna, la fuga da casa, l’incontro con Gourry, il potere della
magia, il rumore del vetro che andava in frantumi, il Giga Slave e il
Mare del Caos…
A
giudicare dalla sua aria terrorizzata, supponevo di sì. Ci
eravamo compenetrati, attingendo l’una dai segreti
dell’altro. Eravamo una cosa sola, ormai. E così avremmo
combattuto: come una cosa sola, mente e cuore, i miei poteri sommati ai
suoi.
Lo
guardai negli occhi e sentii che i nostri pensieri erano in sintonia.
Lasciai andare la sua mano e, seguita da Babette, attraversai la porta
di specchi.
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Capitolo 18 *** La bambina di ombra e il bambino di luce ***
borderline la bambina di ombra
La bambina di ombra e il bambino di luce
‘C’è un luogo in
cui il mondo della luce incontra quello delle tenebre. È
lì che avviene ogni cosa: nella terra delle ombre, dove tutto
è rarefatto, confuso, incerto. Tu eri un guardiano posto a
difesa di quel confine. Perché ogni tanto qualcosa riesce a
passare. Il tuo compito era ricacciarlo indietro.’ (Il cacciatore del buio, Donato Carrisi)
Quando aprii gli occhi, vidi solo tenebre intorno a me. Sbattei le
palpebre, aspettando di abituarmi all’oscurità. Confini
dapprima incerti si fecero lentamente più nitidi. L’aria
aveva un odore salmastro, di cose marce. Era umido e avvertii
dell’acqua gocciolare, nel buio. Un brivido di freddo mi percorse
la schiena e all’improvviso mi resi conto di un fatto
inquietante. Sulle mie braccia si era formata una sottile pelle
d’oca. Mi passai la lingua sulle labbra e le scoprii salate.
Avevo di nuovo un corpo.
«Babette?» sussurrai, nel silenzio.
«Sono qui, Lina» rispose una voce, al mio fianco. Non
riuscivo a vedere nulla così allungai il braccio davanti a me,
volgendo il palmo verso l’alto.
«Lighting» dissi, avvertendo la punta delle dita
formicolare. La sfera luminosa apparve nella mia mano, illuminando
l’ambiente circostante. Per un istante fui talmente felice di
riavere di nuovo i miei poteri da dimenticare dove mi trovassi e per
quale motivo fossi lì.
Mi voltai verso la gatta, cercandola nel lieve chiarore prodotto dall’incantesimo. E rimasi a bocca aperta.
Davanti a me c’era una giovane donna. Indossava una abito lungo e
scuro. I capelli erano una cascata di riccioli neri che le scendevano
fino alla vita e i suoi occhi erano grigi come il cielo di novembre. Al
collo portava un nastrino con legato un campanello.
Mi guardò, con occhi finalmente umani, ma riconobbi lo sguardo felino che si celava dietro quelle iridi.
«Babette…»
«Sì, Lina» disse lei, aprendo le braccia per mostrarsi a me. Aveva un’aria terribilmente familiare.
«Babette è il nomignolo con cui mi ha sempre chiamato Anouk. Ma il mio vero nome è Elizabeth.»
In quel momento ricordai che Amelia mi aveva parlato di lei. Era la
balia di Anouk, morta nell’incendio che aveva sfigurato il volto
della duchessina. Aveva dato la sua vita per quella della bambina.
Rimasi a fissarla, incapace di parlare. E mi diedi della stupida.
«Tu…»
Guardandola, alla luce tremolante dell’incantesimo,
all’improvviso ebbi la chiara impressione che ogni pezzo di quel
complicato rompicapo andasse al suo posto. Non potevo credere di non
averlo capito prima.
«Tu sei…»
«La sorella di Anouk e… di Joy. La sua gemella»
concluse lei la frase per me. Io, del resto, non avevo più
parole per esprimere il mio stupore. «Sì: noi siamo i
custodi del confine.»
Ci misi qualche istante ad assimilare quelle informazioni. Ero
frastornata. Elizabeth si avvicinò a me, e io potei scorgere Joy
in ogni espressione del suo viso. Gli stessi occhi grandi e grigi, lo
stesso naso affilato e le sopracciglia scure come ali di corvo.
Sembrava più giovane di lui, e probabilmente lo era. La sua
anima aveva smesso di invecchiare quando il suo corpo era andato
perduto.
«Come è possibile…?»
«È una lunga storia, Lina, e abbiamo poco tempo. Ma tu
meriti delle risposte e io, me ne rendo conto, fino ad ora sono stata
fin troppo evasiva.» Sospirò, abbassando lo sguardo.
«Io e Joy abbiamo un legame che va oltre la morte. È il
mio fratello gemello, ma non ci eravamo mai incontrati prima di qualche
settimana fa e lui non ha mai saputo nulla di me. Fino ad ora,
suppongo.»
Solo in quel momento mi resi conto che Joy era in contatto con me e
stava, probabilmente, ascoltando ogni parola. Mi chiesi come
l’avesse presa. Non bene, immaginavo. Gli tremavano le mani, mi
resi conto, guardando il tremito che scuoteva i miei palmi.
Elizabeth proseguì:
«Io e Joy siamo stati separati alla nascita e cresciuti lontano
da Solaria. Un oscuro presagio gravava su di noi, una profezia che, se
si fosse compiuta, avrebbe avuto gravi conseguenze. Siamo venuti alla
luce legati indissolubilmente l’uno all’altra, tenendoci
per mano. I Sacerdoti lo interpretarono come un cattivo segno, e
indagarono gli oracoli. Il responso fu un colpo tremendo per i nostri
genitori: uno dei bambini era destinato a cedere alle lusinghe del lato
oscuro, e avrebbe condizionato l’altro. Insieme saremmo stati
troppo potenti, rappresentavamo una minaccia per il ducato.
Questo scorsero nel nostro destino e suggerirono al duca di dividerci e
farci crescere senza memoria delle nostre origini. Tutto preannunciava
morte e distruzione, in uno di noi. Se fossimo cresciuti così
vicino al confine, avremmo potuto subirne l’influsso; con il
potere che avremmo sviluppato, se in noi fosse prevalso il lato oscuro,
avremmo potuto causare ciò che Nayden si sta adoperando per fare
accadere: rompere i sigilli e permettere al Signore delle Ombre di
sconfinare in questo mondo. Nostro padre non avrebbe potuto fermarci,
da neonati eravamo già più forti di lui. Rappresentavamo
un grande pericolo, così ci allontanarono.» Elizabeth fece
un sospiro. «Sono cresciuta con una famiglia calorosa, che mi ha
riempito d’affetto. Ma non mi sono mai sentita parte di essa,
come se avvertissi che qualcosa non andava. Qualcosa che era troppo
radicato in me perché potessi ignorarlo. Mi sentivo
diversa… ero diversa. Il primo spirito venne a farmi visita il
giorno del mio ottavo compleanno. Solo allora compresi quale fosse la
mia vera natura.»
Si guardò il dorso delle mani. Aveva mani bellissime, con dita
lunghe e affusolate. Anche Joy, mi resi conto in quel momento, aveva
belle mani.
«Joy non si è mai accettato per quello che è»
proseguì Babette. «Ha rinnegato il Dono che ci perviene
dal sangue, combattendolo con tutte le sue forze. Io, invece, me ne
sono servita per cercare la verità. Ho interrogato tutti gli
spiriti che sono venuti a farmi visita, fino a quando non è
arrivata lei.» I suoi occhi si velarono di un’improvvisa
tristezza. «Anouk, nostra sorella, è venuta alla luce il
giorno in cui e Joy compimmo quindici anni. Quello stesso giorno,
nostra madre si spense. Ma, prima di varcare il confine, venne a
cercarmi. Mi spiegò ogni cosa, chiedendomi di perdonare lei e
mio padre per come avevano agito nei miei confronti e in quelli del
fratello che scoprivo solo quel giorno di avere. Un fratello gemello,
dotato delle mie stesse capacità. Mi spiegò che lei e il
duca ci avevano allontanato credendo di fare il nostro bene. Che
separarsi da noi gli aveva spezzato il cuore, ma che non avevano avuto
alternative. Ora, però, c’era Anouk. Era nata da poche ore
e lei, nostra madre, non avrebbe potuto vegliare su quella creatura
indifesa. ‘Pensaci tu’, mi disse. ‘Te la
affido’. E così tornai. Tornai a Solaria, a quella che era
la mia vera casa, e chiesi di essere assunta come balia. Nessuno mi
riconobbe. Non subito, almeno. Furono anni felici, quelli. E poi, ci fu
l’incendio.»
Mi riscossi, rendendomi conto solo in quel momento che Elizabeth aveva smesso di parlare.
«Il richiamo del confine era forte. Vivendo a Solaria lo subivo
senza riuscire ad opporgli la dovuta resistenza e, finalmente, compresi
la scelta sofferta dei miei genitori. Oltre la porta di specchi
qualcosa mi chiamava con voce suadente, chiedendomi di liberarlo dalla
prigionia in cui era relegato. Avvertivo la sua voce nella mia testa,
giorno e notte, ed era davvero difficile ignorarne la melodiosa
cantilena. Così, alla fine, cedetti.»
Il suo sguardo si spostò nel mio. C’era amarezza nei suoi occhi.
«Ero io, Lina. La predestinata, colei che portava il marchio
della disfatta impresso addosso. La bambina d’ombra, mentre mio
fratello era il bambino di luce. E ora è il solo che può
salvare questo regno e gli altri esistenti.»
Pensai a Joy, a come il suo riflesso, nella porta di specchi,mi era
apparso nitido e luminoso. Solo in quel momento comprendevo che
l’oscurità, in lui, era una diretta conseguenza del
chiarore che emanava. Anche la notte più buia ha luci fisse.
Così erano Joy ed Elizabeth, due facce della stessa medaglia,
luce e ombra, indissolubilmente legati. Ma Elizabeth sbagliava a
pensare di essere fatta solo d’ombra, così come Joy non
era solo luce. Non siamo mai una cosa sola, noi. Siamo tante cose, e
tutte insieme.
«Cosa ti è successo, Elizabeth?» domandai, cercando
di conciliare l’immagine della donna che avevo davanti con quella
del gatto che mi aveva causato tanti problemi da quando era iniziata
quella storia.
Un sorriso triste comparve sulle sue labbra.
«Ho quasi infranto i sigilli della porta. Quando mi sono resa
conto del mio errore, ho provato a ritrarmi, ma era troppo tardi. Avevo
una candela in mano e…» prese tempo, respirando con
affanno. «Le fiamme hanno avvolto ogni cosa. Il fuoco è
divampato troppo veloce perché riuscissi a fermarlo.
Così, ho pensato ad Anouk, solo ad Anouk. Mia madre me la aveva
affidata perché la proteggessi: dovevo mantenere almeno quella
promessa. Per me non ci fu niente da fare, il fuoco mi
consumò» concluse, rabbrividendo. Chiuse gli occhi,
sospirando, poi tornò a guardarmi. Uno sguardo più
diretto, senza rimpianti.
«È stato il duca a fermarmi, prima che attraversassi il
confine. Ero la figlia che aveva perduto anni prima, non voleva
perdermi di nuovo. Ma del mio corpo umano non restava nulla. Mi chiese
di scegliere, e io scelsi. Scelsi perché avevo un compito da
portare a termine, un errore da riparare. Mio padre chiamò
la mia anima. Con l’Akan, che a quel tempo era ancora nelle sue
mani, la trasferì in un altro corpo. Il corpo di un gatto. Mi
salvò, ma allo stesso tempo mi condannò alla prigionia.
Non è stato facile, credimi, ma adesso che Joy è
qui…» si morse le labbra. «Sarò libera.
Quando tutto questo sarà finito, sarò finalmente
libera.»
«Questo significa che…»
«Joy è il successore più prossimo, in quanto erede
diretto. Il ducato gli spetta per diritto di nascita: solo chi possiede
il Dono può regnare su Solaria. Il mio compito era riportarlo
qui.»
Joy, un duca! Ero davvero senza parole.
Scossi la testa.
«Sono… davvero tante informazioni da assimilare tutte insieme!»
«Mi dispiace, Lina. Sono consapevole di averti trascinato dentro
questa vicenda senza il tuo consenso, di averti spiegato poco e niente
e… beh, so anche dell’anello. Sono addolorata, credimi.
Non avrei voluto che andasse così.»
Mi incupii, ma dopo aver ascoltato tutta la sua storia non mi sarei
messa a frignare come una mocciosa. Nemmeno la vita di Elizabeth era
stata una passeggiata. Ci sono cose che ti sfuggono di mano,
semplicemente. Pensi di avere la situazione sotto controllo ma basta un
attimo, solo un attimo… chi poteva saperlo meglio di me?
«Quando fai del pericolo il tuo mestiere non puoi aspettarti di
morire di vecchiaia nel tuo letto, dico bene? Se avessi voluto vivere
una vita cauta e sobria sarei rimasta a bottega dai miei.»
replicai, cercando di dare alle mie parole un tono noncurante. Da
persona coraggiosa.
Elizabeth annuì.
«Non si diventa una leggenda vivente stando dietro al bancone di
un negozio, sono d’accordo. E tu sei una leggenda, Lina. Il tuo
nome non sarà dimenticato.»
Già, beh… era una magra consolazione.
«E quindi, adesso cosa dovrei fare? Perché mi hai trascinato fin qui?»
«Per combattere» fu la pacata risposta di Elizabeth.
«Contro al Signore di un regno tanto potente può opporsi
solo una leggenda.»
Avevamo ripreso a camminare. Presto mi ero resa conto che l’acqua
gocciolava dall’altro perché stavamo attraversando una
galleria scavata nella roccia. Il terreno, ai nostri piedi, era viscido
e fangoso e più di una volta mi ero dovuta aggrappare alle
pareti per evitare di scivolare.
«Ho sempre immaginato l’aldilà come un luogo
più… asciutto» commentai, pulendomi i guanti sui
pantaloni. All’improvviso, mi sembrava di avere fango ovunque. E
poi c’era quell’aria umida e salmastra che toglieva il
fiato. «Com’è che continua a piovermi in
testa?»
«Non è pioggia, sono lacrime» rispose Elizabeth, continuando a guardare fisso davanti a sé.
«È… piuttosto deprimente» commentai, accigliata.
«Ssst» sussurrò la mia compagna di viaggio,
portandosi un indice alle labbra. La vidi sollevare gli occhi e,
seguendo il suo sguardo, rimasi a bocca aperta. Sopra di noi brillavano
centinaia di piccole fiammelle bianche. Sembravano galleggiare immobili
sopra l’oscurità, in un tremulo bagliore.
«Quelle cose diavolo sono?» bisbigliai, agitata.
«Anime nuove, rigenerate. Questo non è
l’aldilà, Lina. È solo un passaggio: da qui tornano
le anime che hanno terminato il loro viaggio e partono quelle pronte a
intraprendere il cammino. Non siamo ancora sul confine.»
Osservai quella fiumana di piccole fiamme luccicanti.
«Anime… rigenerate?»
«Sì. La morte, come la vita, è un ciclo che si
ripete. Alla fine della morte c’è sempre la vita.»
«Suona… surreale.»
«Perché sei abituata a vedere le cose da un’unica prospettiva, Lina.»
Levai un sopracciglio.
«Significa che, fra qualche anno, fra parecchi anni… potrei tornare nel mondo?» domandai, scettica.
«Nel mondo al di là dello specchio, sì. Ma non
prima che si sia concluso il ciclo delle altre anime, quelle che ti
gravitano attorno.»
«Non sono sicura di capire…»
«Non viaggiamo mai soli: ci sono anime che non si separano mai.
È quello che gli uomini chiamano destino. Ma non è
destino, è solo una fortunata alchimia. Siamo creati per stare
insieme, e ritrovarci sempre, in ogni vita.» Elizabeth si
fermò, voltandosi verso di me. «Genitori e figli, fratelli
e sorelle, migliori amici, amanti… non importa la definizione.
È il legame che conta. Le anime percorrono i secoli insieme, ed
è solo in casi molto sfortunati che non riescono a
ritrovarsi.»
Non potei fare a meno di pensare a me e Gourry. Al modo in cui ci
eravamo subito trovati a nostro agio, l’una con l’altro. A
come molto di lui mi fosse apparso, fin dai primi momenti, estremamente
familiare. E capii. Viaggiavamo insieme da più tempo di quello
che riuscissi ad immaginare. Viaggiavamo insieme da sempre. E quello
era un bel pensiero perché significava che ci saremmo ritrovati.
Non importava come, né quando. Ci saremmo ritrovati
perché il nostro legame andava al di là di qualunque
umana definizione. Era un legame eterno.
Niente mi era mai parso più bello di quelle piccole luci che mi
gravitavano sopra, diffondendo speranza attorno a loro. Nulla era
definitivo, nemmeno la morte.
Fate buon viaggio, augurai ad ognuna di loro. Ritrovatevi.
Io ed Elizabeth riprendemmo il cammino. Ben presto ci lasciammo alle
spalle le fiammelle luminose e l’oscurità tornò ad
avvolgerci. L’aria si fece più tersa, respirabile. Capii
che stavamo uscendo dal tunnel per entrare nella Terra delle Ombre.
Presto avremmo raggiunto il confine. Fu in quel momento che sentii Joy
chiamarmi.
***
Ero senza parole.
Nayden, davanti a me, continuava a tastare lo specchio in cerca di una
spiegazione. Gourry mi fissava accigliato, aspettandosi che facessi o
dicessi qualcosa.
Ma io… ero senza parole. Guardai la bambina che mio fratello
teneva in ostaggio. Mio fratello. A quel punto, la situazione si era
ribaltata. Quello non era mio fratello mentre lei… lei era mia
sorella. E anche Babette lo era. O Elizabeth. O come diavolo si
chiamava.
Sapevo che era umana, l’avevo sempre saputo. Le anime degli
uomini scintillano di una luce diversa e quel gatto non aveva affatto
l’aria di un gatto. Ma, una sorella gemella…? Questo
andava contro qualunque previsione.
Mi portai una mano alla fronte. Sentivo il sudore colarmi dalle tempie.
Le gambe erano molli come se me le avessero disossate. Non mi ero mai
sentito a mio agio, nella mia vita. Spesso mi era sembrata la vita di
qualcun altro, qualcuno che non ero io. Che non volevo essere io.
Non avevo scelto il Dono. Non volevo quella responsabilità. Mi
spaventava essere in grado di fare quello che sapevo fare. Nessuno mi
aveva mai spiegato perché lo sapessi fare.
Ora, finalmente, ogni cosa trovava una spiegazione. Ce l’avevo
nel sangue, il Dono. Perché il mio sangue veniva da lì,
da Solaria, la Terra di passaggio. E mio padre, il padre che non avevo
mai conosciuto, era stato a sua volta un negromante. E suo padre prima
di lui. Le rivelazioni di Elizabeth mi avevano, improvvisamente,
regalato delle origini. Delle radici. E quando hai delle radici ai
piedi è più facile resistere al vento che cerca di
spostarti.
Nayden scorse i miei movimenti e si voltò di scatto.
«Fermo. Che diavolo stai facendo?» domandò, brusco.
Io abbassai la mano. L’Akan l’avevo lasciato scivolare
sotto la manica, come un asso da estrarre nel momento giusto. Era una
fortuna che fossi bravo a barare a carte. O a barare su qualsiasi altra
cosa, pur di averla vinta.
«Non mi sento bene» dissi. «Mi manca l’aria.»
«Sì, certo, raccontalo a qualcun altro. Come accidenti si apre, questa porta?»
«Non lo so» mentii. Scorsi Gourry, con la coda
dell’occhio, irrigidirsi. Gourry capiva sempre quando raccontavo
balle. Quasi sempre, almeno.
«Ah, non lo sai eh?» Nayden strinse Anouk a sé,
premendole la lama alla gola. «Vedo che sei proprio intenzionato
a lasciare che la bambina muoia, dico bene?»
Deglutii.
«Posso farti una domanda, Nayden?»
Gli occhi di quello che avevo creduto un fratello si strinsero a due fessure.
«Niente scherzi.»
«Non ho nessuna voglia di scherzare, credimi. Vorrei solo
sapere… cosa pensi che accadrà, quando il Signore delle
Ombre sarà qui? Credi che ti lascerà regnare su Solaria
come se nulla fosse? Perché se è questo che credi,
Nayden, devo dedurre che sei più ingenuo di quanto
pensassi.» Feci un passo avanti. «Il mondo diventerà
una landa desolata. Una terra di spettri. Tutto quello che vedi non
esisterà più. Su cosa dovresti regnare,
esattamente?»
Nayden scosse la testa.
«Non hai capito proprio niente, fratellino. Ma non mi stupisce:
non hai mai brillato per arguzia. Quando il Signore oscuro sarà
qua… ogni cosa cambierà. Non esisteranno più vita
e morte. Ci saranno solo gerarchie. E io sarò su un gradino
appena più basso del suo, sarò il suo braccio destro.
Nulla potrà toccarmi, ogni cosa diverrà eterna. Anche la
vita, perché non ci sarà più morte. Sarò
immortale. Un Re immortale.»
«E Lina Inverse? Cosa aveva a che fare Lina Inverse, con tutta questa storia?»
Nayden sbatté le palpebre. Sembrava confuso.
«Cosa centra la maga, adesso?»
«Mi è venuto in mente che, in tutta questa storia, Lina
è l’unica per cui hai avuto un po’ di riguardo. Ci
hai usati tutti per i tuoi scopi, ma Lina… a lei sembravi tenere
davvero.»
Nayden fece una smorfia.
«Se fosse stata ancora viva, sarebbe stata utile» disse,
voltandosi poi verso lo spadaccino. «Era anche piuttosto carina,
non ti nego che non mi sarebbe dispiaciuto approfondire la sua
conoscenza, se fosse capitata l’occasione» aggiunse, con
fare beffardo.
Gourry inspirò profondamente, ma si mantenne calmo. Era sempre
stato più bravo di me a mantenere l’autocontrollo. Io, al
suo posto, mi sarei scagliato su Nayden per farlo a pezzi. E, in
effetti, avevo voglia di farlo. Tenevo anche io a Lina, in qualche
modo. In un modo che non mi era del tutto chiaro. Ma ci tenevo. O non
sarei stato lì.
«Lina Inverse era una maga potente, e una ragazza intelligente.
Non sono caratteristiche semplici da trovare, nella stessa persona. Ma,
soprattutto, Lina avrebbe ceduto al lato oscuro. L’ha fatto, in
passato. Contavo su di lei. Invece…» Tornò a
guardare Gourry. Questa volta sul suo volto c’era uno sguardo
deluso. «Niente rammollisce come l’amore. E tu, amico mio,
l’hai rovinata, lasciatelo dire. Se non le avessi riempito la
testa di idiozie romantiche, sarebbe stata invincibile. Invece guarda
che brutta fine che ha fatto…»
Gourry si morse le labbra.
«Taci, per gli dei. Non voglio sentire una parola di
più!» sbottò, buttando di nuovo la mano
sull’elsa della spada ed estraendola dal fodero. Alla fine, aveva
perso la pazienza anche lui.
«Calma amico, calma.» Nayden allungò una mano
davanti a sé, mentre una sfera luminosa iniziava a sfrigolare
nel suo palmo. «Non vorrai essere il primo ad andartene, vero? O
forse…» sul suo viso apparve un ghigno orribile.
«Forse sì. Vorresti raggiungere la tua maga, non è
così? Beh, potrei anche decidere di accontentarti…»
«Nayden, lascialo in pace. Non centra niente» provai a
dire, innervosito dalla palla di fuoco che vibrava vicino a lui.
La magia mi metteva a disagio. Nayden riusciva sempre a mettermi in
difficoltà, quando usava i suoi poteri. E, su di me, li aveva
usati più volte di quello che volessi ricordare. Ne portavo
ancora addosso le cicatrici.
«Chiudi la bocca, Joy. In questa stanza iniziamo ad essere in troppi, non trovi?»
Fu un attimo.
La sfera infuocata attraversò crepitando l’aria,
così veloce che la vidi passare come una scia luminosa. Come la
coda di una cometa. Anouk gridò, Gourry schivò la prima,
spostandosi di lato appena in tempo. Ma non vide la seconda.
Io sì, però. O meglio, non io. Qualcuno di incredibilmente più rapido di me in queste cose.
La mia voce parlò, recitando una formula di cui non compresi il
significato. L’incantesimo si sprigionò dalle mie dita
lasciandomi completamente stordito. Sentii le braccia formicolare e una
vaga puzza di bruciato sulle dita quando tutto fu finito.
Gourry era illeso. Nayden basito.
Mi squadrò, sgranando gli occhi, e quel momento di smarrimento
diede modo a Gourry, che era uno che, quando si trattava di agire, non
si era mai posto troppe domande, di farsi avanti e sottrargli dalle
mani la bambina. La prese in braccio, stringendosela addosso, e
indietreggiò tenendo la spada tesa davanti a sé.
Io sentii Lina, dentro di me, imprecare.
«Era ora che vi decideste a darvi una mossa, larve che non siete altro!»
Era stata lei, non io, a lanciare l’incantesimo che aveva salvato
Gourry e che adesso ci forniva quell’insperato vantaggio. La
chiamavano la maga geniale e, per quanto mi scocciasse ammetterlo,
dovevo riconoscere che lo era davvero. Geniale. Almeno un pochino. E
maledettamente svelta: aveva i riflessi e la mira di un cecchino, uno
di quelli bravi.
«Finalmente lo ammetti!» disse la sua voce, da qualche parte nei miei pensieri.
«Oh, quanto la fai lunga, per gli dei! Non mi sembra questo il momento per glorificarsi!»
Nayden, davanti a me, scosse la testa. Aver perso il controllo su Anouk era l’ultimo dei suoi problemi in quel momento.
«Da quando sai usare la magia?» domandò, incredulo, squadrandomi sospettoso.
«A quanto pare, mio caro, ci sono tante cose che non sapevamo
l’uno dell’altro. Nemmeno io sapevo che tu fossi uno
schifoso bastardo.»
O forse sì, aggiunsi mentalmente.
«Bene, bene» Nayden si era raddrizzato, e non sembrava di
buon umore. Tutt’altro. Levò una mano e vidi qualcosa
scintillare nel suo sguardo. Qualcosa che non mi piacque.
Mi voltai verso il mio amico.
«Gourry, porta via la bambina, portala fuori di qui. Vattene!»
Gourry, lo sguardo attento che saettava tra me e Nayden, sembrava
combattuto. Da un lato sentiva la responsabilità di quella
piccola vita che stringeva tra le braccia. Dall’altro…
beh, dall’altro c’era lei, Lina. E lui non voleva
lasciarla, lo leggevo nei suoi occhi. Non l’avrebbe lasciata per
niente al mondo.
C’era da diventare matti, ma matti sul serio, con quei due.
«Gourry!» lo incalzai.
«Sì, Gourry, fa come dice Joy. A questo punto, immagino
sia diventata una questione privata tra me e lui. Noi avremo modo di
finire il discorso più tardi, quando avrò sistemato
questo idiota di mio fratello.»
Gourry indietreggiò di un passo, poi sembrò ripensarci.
«Ti dai una mossa, cervello di medusa?! Vai via da qui!»
disse la mia voce, anche se a parlare non ero stato io. Ma il tono con
cui l’avevo detto non lasciava spazio a dubbi: Gourry mi
guardò sgranando gli occhi. L’aveva riconosciuta. E quando
lei parlava, lui ascoltava. Si voltò e corse via portando Anouk
con sé. Sentii Lina tirare un sospiro di sollievo. Ora,
finalmente, potevamo iniziare a usare le maniere forti.
«Allora, spiegami un po’» disse Nayden. «Adesso
sei un mago? O è solo uno dei tuoi trucchetti da quattro
soldi?»
«Giudica tu» risposi, mentre Lina, usando la mia mente,
castava un incantesimo e usava le mie mani per scagliarlo. Non
c’era modo di fermarla, era inarrestabile.
Volarono scintille e schegge di ghiaccio. Scariche elettriche e folate di vento.
Nayden era un bravo mago, sapeva difendersi e contrattaccare. Ma Lina… Lina era una furia.
Mi stavo rapidamente rendendo conto che le leggende che giravano sul
suo conto… non erano affatto leggende. Era potente, aggressiva,
implacabile. E c’era una ferocia, in lei, che mi gelava il
sangue. Sentirla in me, come la sentivo in quel momento, mi toglieva il
fiato. Non riuscivo a contenerla. Se avessi voluto contrastarla, non ce
l’avrei mai fatta. Mi aveva completamente soggiogato, e si
serviva di me per buttare fuori la sua rabbia.
La magia scaturiva da me come un fiume in piena, come energia liquida e
incandescente. Vedevo Nayden schivare colpi e cercare, a sua volta, di
colpirmi, inutilmente. Lina macinava formule su formule, la mia mente
ne era piena. Si era impadronita di ogni mio pensiero.
«Basta!» provai a ribellarmi, quando Nayden cadde a terra
premendosi la mano sul braccio destro, da cui scaturiva un fiotto di
sangue scuro. Volevo sconfiggerlo ma non ucciderlo. Nonostante tutto,
continuavo a considerarlo un fratello.
«Basta?» gridò lei, nei miei pensieri. «No che non basta!»
Strinsi i pugni, talmente forte che le nocche sbiancarono.
«Sì, invece: basta. Mi stai assoggettando, non puoi usarmi
in questo modo!» gridai a mia volta, cercando di scacciarla dalla
mente.
Lei provò a resistere. La sentivo fare forza per avere la
meglio. Si aggrappava ovunque, era come avere i suoi denti piantati
dentro, da qualche parte. Faceva un male cane.
«Hai perso il controllo, Lina! Stiamo sprecando energia inutilmente: non è Nayden il problema.»
«Nayden è parte
del problema. E voglio liberarmi di lui» disse. Le sue parole
echeggiarono dentro di me. Era furibonda, con me, con lui. Soprattutto
con lui. L’aveva imbrogliata. Ci aveva imbrogliati tutti, in
effetti. Ma Lina non era una a cui piaceva essere presa per il naso,
soprattutto adesso che un naso non ce lo aveva più. La capivo,
giuro che la capivo. Ero arrabbiato anche io, gli dei solo sanno
quanto. Eppure… non volevo che si servisse di me per straziare
le carni di Nayden. Per ridurlo a brandelli.
«Ti prego» la implorai. «Ti prego, non così.»
Lina si dibatté e imprecò e affondò le unghie
nella mia mente. Bestemmiava come uno scaricatore di porto quella
ragazzina che era alta un metro e uno sputo. Non accettava la resa.
«Maledizione, Joy! Nayden ha ragione, sei davvero uno stupido
sentimentale!» esclamò. Ma capii che, alla fine, si era
placata.
Tornai a respirare, mentre Nayden sollevava mestamente il capo,
deglutendo. Doveva avere dolori ovunque. Lina l’aveva fatto a
pezzi. L’avrebbe finito, se non l’avessi supplicata.
«Tu… sai essere spietata» sussurrai, sgomento.
Scorsi i suoi occhi nei miei. Erano duri, privi di compassione. Ma
anche rassegnati. Era uno sguardo che non le avevo mai visto, la faceva
sembrare più vecchia di cent’anni.
«Sì» rispose, soltanto. Non c’era orgoglio
nella sua voce, nessuna traccia di vanto. Solo una stanca
consapevolezza.
Il suo nome bastava a terrorizzare la gente. Ora capivo il perché. Lina Inverse era davvero
pericolosa. E non aveva importanza che fosse gracile come un uccello,
con quelle braccia magrissime e i polsi tanto sottili che avrei potuto
spezzarglieli con una mano. Il suo potere era tutto nella mente. Poteva
piegare il mondo, la sua volontà glie lo consentiva. Con un
brivido ripensai a quello che avevo provato quando, per un breve
istante, ero stato lei. L’energia del caos, quella che consuma
ogni cosa, nel palmo della mano. E la facoltà di disporne a
proprio piacimento, decidendo le sorti di un intero pianeta. Di un
universo.
Eppure, quella volta, la volontà non era bastata.
L’incantesimo le era sfuggito di mano, avrebbe potuto essere la
fine, per tutti noi. E non perché Lina non fosse tanto forte da
governarlo. Qualcosa aveva interferito. Qualcosa che aveva a che fare
con le emozioni, con i sentimenti. Con l’amore. E io
l’avevo sentito nelle ossa e nel sangue, così come
l’aveva provato lei: un dolore insopportabile, lacerante, alla
bocca dello stomaco; nel cuore, ovunque. Il terrore di perdere, con
Gourry, tutto ciò che di buono c’era al mondo. Tutto
ciò che di buono c’era in lei. Era umana anche lei,
dopotutto, e Gourry era il suo limite.
«Come diavolo…» biascicò in quel momento
Nayden, sputando un grumo di saliva e sangue. Si raddrizzò,
appoggiando la schiena al muro.
«Ti sei messo contro le persone sbagliate, tutto qua» risposi, cupo.
«È Lina, vero? Non puoi essere tu. Quelli che hai usato
non sono incantesimi per dilettanti, ci vogliono anni per
perfezionarli. Solo, mi chiedo come sia possibile…» Sul
suo volto si dipinse una smorfia di dolore e lo vidi premere le dita
sulla manica strappata della tunica. Il sangue colava copioso sul
pavimento e il suo volto era bianco come il gesso.
«Perché, Nayden?» domandai. «Era proprio necessario, tutto questo?»
Lui sorrise. Un sorriso spento, l’eco di quei sorrisi abbaglianti in cui era un maestro indiscusso.
«Tu non hai mai capito, Joy. Ti sei sempre rifiutato di capire.»
«Di capire cosa, esattamente?»
«Me.»
Lo guardai, sbattendo le palpebre. Nayden scosse la testa.
«Io mi ricordo di quella notte, sai? La notte in cui ti portarono
a casa della nonna.» Mi guardò, indagando la mia reazione.
«Immagino che, arrivati a questo punto, tu ormai sappia che non
sono tuo fratello.»
Annuii. Un cenno breve, nervoso. Nayden sospirò.
«Non avevo mai visto tanti soldati, tutti insieme. Erano
abbigliati con vesti preziose, i loro cavalli erano neri come
l’inchiostro e sbuffavano nuvole di fiato tiepido nell’aria
gelida della notte. Uno di loro consegnò un fagotto alla nonna.
C’era una lettera, con il sigillo di un ducato lontano. E
c’erano dei soldi, per permettere alla donna a cui ti stavano
affidando di crescerti dignitosamente. Io e la nonna non avevamo mai
navigato nell’oro, sai? Dentro quel fagotto c’eri tu. Un
bambino pallido e sfinito, che non piangeva, ma guardava tutto con
occhi attenti, curiosi… ti ho odiato da subito, sin dal primo
momento» confessò, gli occhi ridotti a due fessure sottili.
Le sue parole facevano male. Affondavano in me come la lama di un
coltello. Se avevo avuto qualche certezza, nella vita, in quel momento
si stava sgretolando come sabbia asciutta lambita dal vento. Non
restava più nulla.
«Io, invece, te ne ho sempre voluto. Ti ho amato come un
fratello, Nayden. Ti ho ammirato e temuto. Avrei voluto
assomigliarti.»
Nayden sogghignò. Sul suo volto si dipinse un’espressione
orribile, mentre un sottile rigagnolo di sangue gli colava da un angolo
delle labbra.
«Volevi assomigliarmi? Che idiota. Io facevo di tutto per
umiliarti e tu volevi essere come me. Questo è così
tipico di te!»
«Sei la mia famiglia» dissi, tetro.
Lui scosse la testa.
«No. Questa è la
tua famiglia» rispose, indicando con un gesto della mano quanto
ci circondava. «I tuoi genitori si sono liberati di te appena sei
venuto al mondo. Ti hanno abbandonato perché in te c’era
qualcosa di marcio. E tu… tu ti sei preso la mia, di famiglia.
Erano i miei genitori, quelli
che hai rimpianto di non aver conosciuto. I miei. E tu ti sei preso il
loro ricordo. E la nonna… la nonna ha sempre preferito te,
inutile negarlo. Sapeva chi eri, e nonostante questo ti preferiva a me,
che ero sangue del suo sangue. Eri un bambino sconosciuto, un estraneo,
marchiato dall’ombra. E ti sei preso la mia vita.»
Avrei voluto fare e dire tante cose. Ma sentivo la lingua incollata al
palato. Nella gola, un nodo difficile da sciogliere. In quel momento,
un rumore di passi catturò la mia attenzione. Gourry
sbucò nella stanza, solo.
«Dov’è la bambina?» domandai, allarmato.
«L’ho lasciata con il padre di Lina e con Herman. Quando
sono tornato in superficie ho visto che avevano già messo fuori
gioco i mercenari incaricati di sorvegliare il cortile. Si erano resi
conto che la strada di Tenar era solo un modo per depistarli e
così si sono precipitati qui…» Gourry
aggrottò le sopracciglia, guardando Nayden. «Pensavo che
avessi bisogno di aiuto, ma vedo che la situazione è sotto
controllo…»
«Più o meno» dissi, stancamente. «Ora viene la
parte più difficile: dobbiamo rimettere i sigilli allo specchio
e…»
Fu un attimo. Una questione di pochi secondi, al punto che nemmeno Lina riuscì a prevederla e ad agire di conseguenza.
Nayden, al limite delle forze, non avrebbe potuto servirsi della magia.
Ma aveva ancora un asso nella manica, e scelse di sfruttare il mio
momento di distrazione per agire.
Il pugnale corto che teneva infilato nella cintura attraversò
l’aria con un sibilo, dritto verso il mio cuore. Mi avrebbe
colpito, Nayden non sbagliava un colpo, soprattutto se era
l’ultimo che aveva a dispozione.
Chiusi gli occhi, ma non sentii dolore. Uno schizzo di sangue mi colpì a una guancia.
Poi Lina iniziò a urlare, e le sue urla terrorizzate riempirono il silenzio.
Gridava il nome dello spadaccino.
Una piccola nota su questo capitolo:
la teoria delle anime che attraversano insieme i secoli, vita dopo
vita, non è farina del mio sacco, ed è spiegata molto
bene nel libro 'Molte vite, un solo amore', dello psichiatra americano
Brian Weiss.
Grazie di cuore a tutte le
persone che leggono e commentano. E anche a quelle che leggono
silenziosamente: il contatore delle visite dice che siete tanti!
Mancano due capitoli alla fine, ci siamo quasi^^
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Capitolo 19 *** Vita ***
Vita
Vita
'Quando hai paura di qualcosa, ma la fai comunque, quello è coraggio.' (Coraline, Neil Gaiman)
Oh, che sfortuna maledetta, è solo una bambina dai capelli
arruffati! E io che pensavo di prestare i miei servigi a una bella
fanciulla. Senti, ragazzina, dove sono i tuoi genitori? Non ti sarai
persa, spero…
Cadde come
un peso morto tra le mie braccia, gli occhi sgranati nel dolore. Dalle
sua labbra colò un filo di sangue che disegnò un arco
cremisi sulla sua guancia, infiltrandosi nei corti capelli che gli
sfioravano il collo. Lo sostenni, ma non avevo forza sufficiente e mi
accasciai con lui, mormorando il suo nome. Anche Joy lo chiamava. Le
braccia che lo stringevano erano le sue, ma in quel momento ero io,
solo io, a tenerlo contro di me, supplicandolo di non lasciarmi, di non
andarsene, che non si azzardasse a fare scherzi, che l'avrei odiato per
sempre se se ne fosse andato. Quasi quanto lui aveva odiato me per aver
fatto la stessa cosa.
Allungai le
mani sulla sua schiena, le ritirai umide di sangue. Il pugnale era
penetrato in profondità, forse aveva perforato un polmone.
Sentivo il respiro di Gourry farsi sempre più rauco,
gorgogliante. I suoi occhi di cielo si offuscarono, facendosi opachi.
«Gourry!»
«Joy»
biascicò lo spadaccino, le labbra impastate di sangue. Poi
sussurrò il mio nome. Venne fuori con un sospiro, prima che il
suo sguardo diventasse di vetro.
«Sta
attraversando il confine» gridò Joy. La sua voce mi
arrivò lontana. Mi sembrava di avere dell’ovatta nelle
orecchie, faticavo a respirare, non riuscivo a pensare a nulla.
«Dobbiamo
usare l’Akan» continuò Joy. Le sue parole erano
confuse. Ero dentro di lui e, allo stesso tempo, lontana anni luce.
«Dobbiamo usarlo prima che sia troppo tardi!»
Ma la
sincronia perfetta con cui avevamo collaborato io e lui fino a quel
momento sembrò dissolversi di colpo, proprio quando ne avevamo
più bisogno. Forse fu il mio dolore, o la paura di Joy. La
nostra sinergia si disperse, ci intralciammo, ci scontrammo.
Diventammo, all'improvviso, incapaci di unire le nostre forze. Come se
fosse stato davvero Gourry a tenerci uniti fino a quel momento e
adesso, davanti alla prospettiva che lui svanisse dalle nostre vite
alla stessa velocità con cui l'acqua evapora dal terreno brullo,
ci riscoprissimo due estranei che non avevano nulla in comune.
Vidi
qualcosa brillare, scintillare un'ultima volta, prima di svanire per
sempre. Lacrime salate bagnavano le guance di Joy. Era catatonico,
incapace di reagire. Solo in quel momento mi resi conto che non
dipendeva da lui. Era il richiamo del confine. Gli era penetrato
sottopelle e lo stava attirando a sé. Lo stesso richiamo che
aveva rovinato Elizabeth.
Nayden, davanti a noi, si stava alzando. Gourry era prossimo al confine.
Mi resi
conto che, se non avessi reagito, sarebbe stata la fine di ogni cosa.
Con tutta la forza che avevo andai contro Joy, penetrando nel profondo
dei suoi pensieri. Era paragonabile a una violenza fisica. Lo stavo
violentando. Ma avrei fatto qualunque cosa. Qualunque.
Staccai le
sue mani insanguinate dal corpo di Gourry e, con tutto il vigore che
riuscii a strappare dalle sue braccia, lo schiaffeggiai. Mi
schiaffeggiai.
Colpivo con
brutalità. Presto avvertii un sapore ferroso tra le labbra e mi
resi conto che il naso di Joy sanguinava e che il sangue gli colava tra
le labbra.
«Svegliati, Joy! Resistigli, tu sei più forte! Devi prendere l’Akan…»
Nayden era
in piedi, adesso. Si teneva il braccio ferito, guardando con un misto
di stupore e divertimento suo fratello che, inginocchiato davanti al
corpo dello spadaccino, si schiaffeggiava da solo, gli occhi vuoti e
senza espressione.
«Devo
ammettere che si tratta di uno spettacolo interessante»
mormorò, scoprendo una fila di denti bianchi e perfetti.
«Ma, purtroppo, non ho più tempo da perdere con queste
sciocchezze…» la sfera infuocata brillò nel palmo
della sua mano.
Io richiamai un incantesimo, ma Joy non mi sentiva. Non avevo energia sufficiente per servirmi di lui.
Nayden scosse la testa.
«Addio» disse solo, lanciando il globo verso di noi.
Chiusi gli occhi. Davanti avevo solo il sorriso di Gourry. Il suo sorriso… mi faceva sentire viva. Viva.
Aspettai il colpo finale che avrebbe chiuso la partita. Ma non arrivò.
Quando
riaprii gli occhi, davanti avevo sempre Nayden. Il suo volto
però, già molto pallido, adesso sembrava di marmo.
L’espressione era sgomenta. Ci misi qualche istante a realizzare
che, sopra me e Gourry, gravitava qualcuno. Qualcuno con cui era meglio
non scherzare, questo era poco ma sicuro.
Il Mazouku sorrise, un sorriso che piegava le ginocchia e gelava il sangue nelle vene.
«E va
bene, ci siamo divertiti» concesse, rimbalzando nel palmo della
mano la sfera infuocata che Nayden aveva scagliato su Joy.
«Adesso basta, però» disse, rilanciandola verso il
mago con un movimento distratto, sprezzante.
Il fuoco
divampò, consumando velocemente il corpo del mago. Le sue urla
non durarono che pochi istanti, poi di lui non rimase altro che cenere
nera.
«Xellos…» sussurrai.
Il demone
si voltò verso di me. L’espressione divertita aveva
abbandonato il suo volto. Per una volta, sembrava maledettamente serio.
«Ho bisogno che risolvi questa situazione, Lina. Dai piani alti non sono contenti. Per niente.»
«Cosa?»
«L’universo
ha le sue regole. Se esistono ruoli e gerarchie non è per
divertimento, ma per un motivo ben preciso. Il Signore Oscuro ha
già ciò che gli spetta, non è un suo diritto
pretendere di più.»Xellos scosse la testa. «Non
avremmo voluto coinvolgerti in questa situazione. L’ultima volta
hai rischiato grosso. Lei si
è dovuta scomodare di persona e non le è garbato,
affatto» disse, riferendosi a LoN, la Signora di tutte le cose.
«Ma, a malincuore, abbiamo dovuto ammettere che… sei la
persona adatta per questo lavoro. L’unica che possa risolvere la
situazione. Perciò, per favore, Lina: aiutaci.»
«Come, esattamente?»
«Sbarazzati
del traditore. Penseremo noi a ripristinare l’ordine. Tutto
quello che devi fare è eliminarlo senza pietà.»
Oltre lo specchio Elizabeth mi aspettava dove l’avevo lasciata. Sembrava preoccupata.
«Ci hai messo più tempo del previsto.»
«Sono
successe più cose del previsto» replicai, accigliata. La
afferrai per un braccio. «Devi portarmi sul confine. Adesso: Joy
è già lì. E anche Gourry.»
Elizabeth
non fece una piega. Si voltò e iniziò a correre. La
seguii fino a un ampio spiazzo, diviso a metà da un fiume. In
quel fiume stavo ferma, immobile. Gourry mi stava raggiungendo. Vidi la
sua mano tesa, il tentativo di resistere alla corrente impetuosa. Sulla
sponda, Joy lo chiamava.
«Dobbiamo fermarlo!» esclamai. Ma voltandomi verso Elizabeth la scorsi, rigida, fissare un punto alle mie spalle.
«Sapevo
che saresti tornata» mormorò una voce. Conoscevo quella
voce, aveva chiamato anche me. Aveva invocato il mio nome, voleva la
mia vita. Ora era giunto il momento di regolare i conti.
Mi voltai, piano. Qualunque cosa mi fossi aspettata, era di certo meglio di quello che mi trovai davanti.
Il Signore
delle Ombre era una sagoma indistinta, avvolta in un pesante sudario
scuro. Il volto era smunto, scheletrico; aveva cavità oculari
vuote e un ghigno sinistro. Ripensai a Phibrizio, a quanto il suo
aspetto fanciullesco mi avesse tratto in inganno, all’inizio. In
questo caso non c’era possibilità di equivoco:
l’aspetto e la fama di quel demone oscuro coincidevano alla
perfezione.
«Ti faccio paura, Lina Inverse?» mi domandò.
«Paura?
No. Ribrezzo… un pochino, forse» minimizzai. In
realtà ero terrorizzata. Ma non a causa sua. Temevo che la sua
presenza lì, in quel momento, avrebbe impedito a Joy di fare
ciò che doveva fare: fermare Gourry prima che fosse troppo tardi.
Il Signore
oscuro si passò una mano sul volto, e al posto di quel teschio
orribile apparve un viso umano di fattezze gradevoli. Era quello di un
uomo dalla mascella pronunciata, con sopracciglia folte e occhi scuri.
«Così va meglio?»
Storsi il naso.
«Non
fa alcuna differenza, credimi. Ho parlato con creature ben più
sgradevoli di te. Piuttosto, dimmi cosa vuoi e facciamola finita. Anzi
no, quello che vuoi lo so già. Facciamola finita e basta.»
«Sei una che va dritta al punto, vedo.»
«Perché perdere tempo in chiacchiere inutili?»
«Sono d’accordo.»
Sorrise, un sorriso terrificante. Quando la morte ti sorride, non è mai piacevole.
«Joy
ed Elizabeth» disse, allungando le mani verso di loro. Quando
strinse i pugni, i gemelli vennero trascinati da una forza invisibile,
arrivando dritti al suo cospetto. «Vi ho aspettato a lungo, fate
in modo che la mia attesa non sia stata vana.»
Joy era
tornato in sé e lo guardava come una bestia selvatica guarda il
cacciatore che la sta braccando. Elizabeth era ammutolita, lo sguardo
sgranato.
«Sono
così stufo di questo scenario» proseguì il Signore
delle ombre, indicando quanto ci circondava con un gesto della mano.
«Sempre le stesse facce… una noia mortale, come potrete
ben immaginare. Le anime vengono e se ne vanno. Qua sono solo di
passaggio. Ma se sconfinassi, rendendo il mondo al di là dello
specchio e questo una cosa sola… non esisterebbero più
vita e morte. Pensateci. Tutto ciò che è mortale è
destinato a scontrarsi con la parola fine. E ogni fine comporta dolore.
Io potrei evitare tutto questo. Vi renderei immortali. Esseri eterni e
perfetti, che non avrebbero bisogno di confrontarsi con la
sofferenza.»
«Mai» sputò fuori Joy.
Il demone
sospirò, sembrava annoiato. Joy si portò le mani alla
gola e iniziò a tossire. Qualcosa lo stava soffocando.
«Joy!» gridò Elizabeth, cercando di aiutarlo. Ma anche lei venne fermata e cadde in ginocchio.
«Chi
vi ha creato, non vi ha fatto poi così intelligenti.
Perché non riuscite a vedere i privilegi che vi offro?»
«Forse
perché non sono così vantaggiosi» dissi, facendomi
avanti. Mi piegai, aiutano Elizabeth a rialzarsi, poi mi avvicinai a
Joy.
«Se
lo uccidi, resterai qui per sempre, isolato. Joy è l’unico
successore al ducato: non avrai altri intermediari. Solaria
verrà abbandonata, rimarrai escluso da tutto.»
Lui fece schioccare le dita con un gesto irritato e Joy riprese a respirare.
«Datemi quello che voglio.»
«No.»
«Siete
così sciocchi… così attaccati alla vostra ridicola
vita. Non dura che una manciata di anni, così pochi che non fate
nemmeno in tempo a rendervi conto di averla vissuta.»
«Questo
lo può pensare solo qualcuno che con la vita non ha mai avuto
nulla da spartire. Tu non sai niente di noi esseri umani.»
«Vi
osservo da millenni. Vi vedo tornare da me sfiniti, sfibrati.
Annientati dal dolore. Alcuni vengono di loro spontanea volontà,
tanto insopportabile si rivela la vostra esistenza. E voi volete farmi
credere che tutto questo… vi rende felici? Che sareste disposti
a soffrire ancora, pur di vivere?»
«Sì,
è così.» Feci un passo avanti, prendendo la mano di
Joy. «Siamo più complicati di quello che puoi immaginare.
E siamo ostinati, non sai quanto. Vuoi eliminare la sofferenza,
renderci immortali? Ci renderesti solo inumani. Siamo stati creati per
provare gioia e dolore. Per essere appassionati e tenaci.
Coriacei. Ci abituiamo a tutto, sopravviviamo aggrappandoci alla vita
con le unghie e con i denti. Impariamo dagli errori, evolviamo. Andiamo
avanti, un passo dopo l’altro, con caparbietà. Soffriamo,
è vero. Ma è la sofferenza che ci tempra. A volte
cadiamo. Facciamo errori, tanti errori. Chi ci ha creato, per fortuna,
ci ha creato imperfetti. O avremmo perso parte del divertimento.
Perché è per questo che viviamo: cerchiamo qualcosa. Una
scintilla di luce in questo buio. Rendici immortali, e ci toglierai il
gusto per la vita.» Scossi la testa e presi anche la mano di
Elizabeth nella mia. Joy estrasse l’Akan.
Il Signore delle ombre fece un passo avanti.
«Siete degli stolti.»
«Combattici.
Non abbiamo paura di te: non ci avrai, nemmeno se rompi i sigilli ed
estendi il tuo dominio oltre lo specchio. Avrai una landa desolata di
anime erranti. Noi esseri umani siamo un’altra cosa.»
Il demone congiunse le mani. Alle sue spalle apparve una schiera di spettri pallidi. Aleggiavano leggeri come bruma.
«Togliete
i sigilli. Vi concedo un’ultima possibilità, poi
farò di voi degli schiavi ai miei ordini.»
«Mai.» A parlare, questa volta, erano stati Joy ed Elizabeth insieme.
Joy
sollevò l’Akan. Il Signore oscuro si preparò al
contrattacco. Non avrebbe ceduto, sembrava determinato a portare avanti
il suo piccolo progetto di demolizione del mondo.
Ma non glie lo avremmo permesso. A nessun costo.
Iniziai a salmodiare una formula. Avremmo congiunto la mia magia ai poteri dell’Akan, combattendo su due piani astrali.
Il Signore
oscuro sollevò le braccia sopra alla testa, scoprendo i polsi
ossuti. La falsa parvenza umana che si era dato era scomparsa. Un forte
vento iniziò a soffiare contro di noi. Il fiume si
gonfiò, diventando impetuoso, e io pensai a Gourry.
«Lina, non deconcentrati» mi intimò Elizabeth, stringendo la mia mano.
Tornai a
recitare la formula. Pezzi di terreno si sollevarono in volo,
piombandoci addosso. Li schivammo con l’aiuto della magia. Le
forze oscure si fecero più potenti, e gli spettri avanzarono.
Solo allora capii che nessun incantesimo sarebbe stato tanto potente da arrestarlo. Nessuno, eccetto uno.
Per questo
Elizabeth mi aveva scelto. Perché ero l’unico essere umano
ad averlo castato, in passato. Perché era mio, il mio
incantesimo originale. Un incantesimo così potente da
sprofondare il mondo nel mare del caos. I rischi erano enormi.
Già una volta avevo fallito.
Ma non
avevo appena detto che gli esseri umani erano fatti per sbagliare e
imparare dai propri errori? Che erano ostinati e decisi a superare i
propri limiti?
Che quello che cercavano era una scintilla nel buio?
E l’altro nome del Giga Slave non era forse Luce nelle Tenebre?
Gourry, dammi la forza,
pensai, sollevando le mani di Joy ed Elizabeth nelle mie. A scagliarlo,
questa volta, non sarei stata io. L’Akan avrebbe incanalato il
potere del Giga Slave. Io, Joy ed Elizabeth ne avremmo avuto il
controllo. In tre sarebbe stato più facile gestire il suo
potere. O almeno speravo che andasse così.
«Più oscuro dell’oscurità, più cupo della notte…»
L’Akan
iniziò a vibrare nella mano di Joy. Un filo di sangue
iniziò a colargli dal naso e capii che lo strumento gli stava
sottraendo più energia del previsto. Con la coda
dell’occhio scorsi Elizabeth chiudere gli occhi e concentrarsi.
Lei e Joy erano una cosa sola, dopotutto.
«Io qui invoco il tuo potere. Io qui me stessa ti prometto…»
Il Signore
Oscuro rovesciò la testa all’indietro. Dalle sue orbite
vuote uscì una nebbia fitta, che ci avvolse. Gli spettri ci
circondarono. Chiusi gli occhi, recitando l’ultima parte della
formula. Il cuore mi martellava furioso nel petto. Mi costrinsi a
respirare a fondo, mentre completavo l’incantesimo. Mi stavo
giocando tutto.
«…E tutti coloro che saranno tanto folli da ostacolare il tuo potere…»
Sopra le
nostre mani tese vibrava una nube scura, satura di energia. Al suo
interno gravitava la magia del caos. Gettai la testa
all’indietro. I miei capelli vorticavano furiosamente su di me,
sembravano fiamme vive.
L’Akan,
nella mano di Joy, divenne incandescente. Stava assorbendo
l’incantesimo. Eravamo riusciti a governarlo, ma ci stava
sfinendo. Era troppo potente. Elizabeth strinse i denti, cercando di
resistere al vento furioso che ci investiva a folate e che aveva
già spazzato via la schiera di spettri chiamata dal demone.
Forse mi ero sbagliata. Forse non avremmo avuto la forza necessaria per dominarlo…
Fu come
essere catapultai indietro nel tempo, quando l’incantesimo aveva
preso il sopravvento su di me e mi aveva fagocitato. Provai la stessa
paura, un terrore così sordo da non poter essere spiegato a
parole. Poi, inspiegabilmente, il suo peso divenne più
sostenibile. Riaprii gli occhi e mi accorsi che, oltre alle nostre mani
saldamente strette all’Akan, se ne era aggiunta una quarta. Era
una manina piccola e delicata. La mano di una bambina.
Mi voltai di scatto, guardando Anouk, e lei ricambiò il mio sguardo, annuendo.
Tre custodi, pensai. Tre fratelli. Era così che doveva andare: il sangue è più forte di qualsiasi cosa.
Inspirai, chiudendo gli occhi, poi li riaprii di colpo.
«Giga Slave!»
Quello che
accadde dopo fu molto confuso. So solo che funzionò. Contro a
qualunque previsione, riuscimmo a controllare l’incantesimo, a
farne uno strumento al nostro servizio.
C’era
silenzio, intorno. Un silenzio innaturale. E buio. Poi, lentamente,
sentii l’acqua scorrere. I contorni delle cose si fecero
più nitidi.
Solo allora
mi resi conto di essere a un passo dal confine. E ricordai di avere una
cosa molto importante da fare. Iniziai a guadare il fiume, sentendo
solo indistintamente le urla di Joy, alle mie spalle. Gridava il mio
nome, ma io non volevo ascoltarlo.
Afferrai la
mano di Gourry e lo tirai verso di me. L’acqua scorreva impetuosa
intorno a noi. Ci stringemmo l’una all’altro, sul confine
che separa la vita dalla morte. Affondai il volto nel suo collo, mentre
lui mi accarezzava i capelli.
«Gourry» dissi solo. «Gourry.»
«Lina…»
Sentivo Joy
e Anouk trattenerlo, dalla riva. Elizabeth, dopo aver rivolto un
sorriso malinconico ai suoi fratelli, era passata oltre. Finalmente
libera.
«Se
fossimo cresciuti insieme, saremmo stati inseparabili» aveva
detto a Joy, facendogli una breve carezza sulla guancia, prima di
dirgli addio. «Sii un duca giusto. Governa con saggezza, e non
temere il Dono. È parte di ciò che sei. Prenditi cura di
Anouk, lei ha solo te, adesso. Addio, fratello mio.»
Sollevai il
viso verso quello dello spadaccino e premetti le labbra contro le sue,
stringendolo a me. Lui non lo sapeva ancora, ma quello era un addio.
«Devi andare» sussurrai sulla sua bocca, incapace, però, di lasciarlo.
«Torna con me.»
«Non posso.»
Solo a quel punto Gourry si staccò da me, guardandomi negli occhi.
«Cosa…? Perché?»
«Non
ho più un corpo in cui tornare, Gourry. E lo so che ti
sembrerà egoista, e forse anche un po’ pretenzioso, da
parte mia. Ma io non posso essere diversa da ciò che sono. Senza
il mio corpo non sarei la stessa persona che hai conosciuto. Che
hai… amato.»
«Ti amerei sempre e comunque» disse lui, serio.
«Può
darsi. Sì, tu lo puoi fare, hai questa capacità. Tu,
Gourry, sai guardare oltre. Io, invece, no. Non saprei riconoscermi.
Puoi capirlo?»
Gourry mi osservò per un lungo istante.
«Sì» disse infine. «Posso capirlo. Ma non credo che riuscirò ad accettarlo…»
«Invece
sì. Andrai avanti, Gourry. Vivrai. E, quando sarà il
momento, tornerai da me. Ma, nel frattempo, vivi. Cadi e rialzati.
Innamorati ancora. Invecchia. E poi torna da me.»
«Mi stai chiedendo troppo, Lina. Senza di te… niente ha senso.»
«Ti
sto chiedendo quello che mi chiederesti anche tu se fossi al mio posto.
Io ti amo, Gourry. Voglio che tu viva. Per noi c’è tempo.
Ci sarà un’altra vita. Rinasceremo, ci ritroveremo.
Rinasceremo, e vivremo ancora.»
Gourry posò la fronte contro la mia, stringendomi la nuca, affondando le dita tra i miei capelli.
«Non
chiedermi di lasciarti andare» sussurrò, chiudendo gli
occhi. «Non farlo, ti prego. Tutto, ma non questo.»
«Ci
vuole coraggio, Gourry, per fare ciò che non ci va di fare. E io
voglio che tu vada avanti, senza di me. So che lo puoi fare: mi sono
innamorata di un uomo che di coraggio ne ha da vendere, non
deludermi.»
Quelle
parole dovettero colpirlo. Lo sentii deglutire. Cercare di tenere a
bada le lacrime. Non era un codardo, e io mi fidavo di lui. Sapevo che
sarebbe stato difficile, ma che ci avrebbe provato. L’avrebbe
fatto per me, perché mi amava. Perché era sempre stato
bravo a mantenere le promesse e quella era la più importante che
potesse farmi.
«Ora devi andare, Gourry» dissi. E mi costava dirlo, gli dei solo sapevano quanto.
«Io non ti dimenticherò mai» confessò lui, in un sussurro.
«E
come potresti?» chiesi, con un sorriso, mentre le lacrime mi
rigavano le guance. «Una come me non si dimentica.»
Lo sentii soffocare un singhiozzo e mi staccai da lui, guardandolo negli occhi.
«Gourry
Gabriev» mormorai. «Grazie per aver incrociato il mio
cammino, quel giorno. Insieme a te la vita è stata un viaggio
bellissimo. Tu… mi hai salvato.»
Lui scosse la testa.
«Non ti ho mai salvata. Ti sei sempre salvata da sola.»
«Invece
l'hai fatto. Mi hai salvato da me stessa, da quello che sarei potuta
diventare, se non ti avessi avuto accanto. Tu mi hai reso migliore. Hai
sciolto le mie resistenze, smussato i miei angoli, scaldato il gelo che
avevo dentro. La tua luce ha illuminato il mio buio. Il mio unico
rimpianto è quello che di non essere riuscita a dirti sì,
quando avrei dovuto. Volevo essere tua, più di qualsiasi cosa.
Ma in fondo, non ha importanza: sono sempre stata tua, e lo sarò
per sempre. Adesso vai, prima che io diventi troppo sdolcinata. Non
voglio che il tuo ultimo ricordo di me sia così stucchevole.
Addio, Gourry, e ricorda che non voglio vederti da queste parti prima
che i tuoi capelli non siano completamente bianchi.»
Poi, senza
dargli tempo di replicare, lo spinsi via. Incespicò
all’indietro e cadde sulla sponda opposta, dove lo attendeva Joy.
I miei
occhi si posarono nei suoi per un ultimo, breve istante. Lasciarlo
andare era la cosa più difficile che avessi mai fatto. Lo
guardai, un’ultima volta, e lo vidi, fermo in una radura
illuminata dal riverbero del sole, lamentarsi perché ero solo
una ragazzina con i capelli arruffati e non una dama bisognosa
d’aiuto.
So cavarmela da sola, avevo risposto quella volta. Ma non era vero. Lui aveva fatto di me quella che ero.
Lo guardai, e mentre lo guardavo iniziò a dissolversi e svanì. Tornò alla vita.
Solo allora mi sentii davvero perduta. E capii che era tempo di accomiatarsi.
Mi voltai, pronta ad andare oltre, ad attraversare il confine. Quando, inaspettatamente, la mano di Joy strinse la mia.
«Lina. Ti prego» disse solo. La sua era una supplica.
Io sospirai.
«Joy, ne abbiamo già parlato. Non rendermi le cose più difficili: lasciami andare.»
«Cercheremo
l’anello. Non può essere svanito… ripensaci, non
arrenderti. Non gettare via questa occasione.»
Occasione?
Oh, Joy. Di occasioni ne ho avute fin troppe, in questa vita, credimi.
Nemmeno le ho meritate. E no, non mi sto arrendendo.
Ho riso
nelle tenebre. Ho danzato sull’abisso, guardando in esso, e
l’abisso ha guardato in me. Sono una creatura di luce e
d’ombra, come tutti. Ma la mia ombra è più estesa.
Ho scelto la magia nera, e non me ne sono mai pentita. Non ho mai
preteso di essere una brava persona. Ho rubato, mentito e agito per
tornaconto personale. Di me resterà il ricordo di qualcuno
troppo cocciuto per ascoltare un consiglio, per piegare la testa, per
scendere a compromessi. Racconteranno che ero una testa calda, una di
quelle persone che hanno sempre una battuta velenosa sulla punta della
lingua e non sono capaci di tenere ferme le mani. Una di quelle che si
irritano al minimo contrattempo e ottengono sempre quello che vogliono.
Talvolta con le buone, più spesso con le cattive. Elencheranno i
miei difetti come si contano le pecore prima di addormentarsi, e non
saranno mai abbastanza per ricordarli tutti: egocentrica, permalosa,
avida, orgogliosa, arrogante. Sì, mi riconosco in tutto, ho
davvero un pessimo carattere. Gli dei si metteranno le mani nei capelli
quando arriverò.
Non sono
mai stata l’eroe, nella storia. Quando si è trattato di
scegliere, ho sempre scelto guardando al mio profitto. Anche davanti
alla decisione più difficile ho agito con egoismo: salvare una
vita, una sola vita. A qualunque costo, a qualunque prezzo.
Fregandomene di tutto il resto. Sono stata sconsiderata, impulsiva e
inarrestabile. Incontrollabile. Ho valicato tutti i limiti, aggirato i
divieti, Incapace di arrendermi. Sempre incapace di arrendermi
Ma
adesso… adesso è finita. Questa è la resa, e non
per mancanza di coraggio. Il coraggio, a me, non è mai mancato.
Il coraggio, questa volta, è arrendersi.
Joy mi guardò. I suoi occhi erano grigi come la nebbia. Stava diventando più inconsistente di un refolo di vento.
«Sei
stato un buon amico, Joy. E ti sei rivelato una persona molto migliore
di quanto potessi immaginare. Sei rimasto al mio fianco, nonostante
tutto, e di questo ti sono grata. Non scordare la promessa che mi hai
fatto, è l'ultima cosa che ti chiedo.»
Joy si rabbuiò.
«Lina, ti prego… non lasciarci» disse. «Non lasciarmi. Io…»
Chiusi gli
occhi. Le sue dita, strette alla mia mano, erano calde. L’acqua
scorreva impetuosa, sembrava volermi portare via con sé.
Se mai vi
chiesti come sia morire, credetemi, è un tormento. Di vivere non
se ne ha mai abbastanza. Anche quando si vorrebbe mollare,
perché andare avanti sembra impossibile. Anche quando esistere
è una condanna. La vita è la cosa migliore che possa
capitarvi, nonostante tutto. Fidatevi.
La vita,
io, l’ho amata più di qualunque altra cosa. E il suo
sorriso… il suo sorriso lo porterò ovunque andrò.
Il suo sorriso sarà la mia pace.
Con un sospiro lasciai andare la mano del duca di Solaria e varcai il confine.
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Capitolo 20 *** La strada di casa ***
la strada di casa
La strada di casa
‘So open your eyes and see
The way our horizons meet
And all of the lights will leave
Into the night with me
And I know these scars will bleed
But both of our hearts believe
All of these stars will guide us home.’
(All Of The Stars, Ed Sheeran)
Dicono le
leggende che un tempo, su questa penisola, vivesse una geniale maga dai
capelli di fiamma. Una ragazza prodigio, in grado di compiere le
più ardue magie.
Per lei non esistevano cose impossibili.
Dicevano che aveva coraggio da vendere, che aveva combattuto contro a draghi e demoni, e che aveva vinto, sempre.
Sostenevano
che la sete di conoscenza l’avesse portata oltre i limiti
concessi agli uomini. Che avesse invocato la magia del caos e che Lon
in persona si fosse impossessata del suo corpo, per governare il
più temibile degli incantesimi e impedirle di sprofondare il
mondo nel Mare del Caos.
Avevano ragione, su ogni cosa.
Infine, si vociferava che fosse morta tra atroci sofferenze, bevendo una camomilla.
Beh, su questo si sbagliavano, per fortuna.
Ho la gola
secca, le palpebre incollate e dolori ovunque. Se questo è
l’aldilà, voglio un dannato risarcimento. Provo ad aprire
gli occhi, ma qualcosa li ferisce. Una luce abbacinante. Li richiudo,
frastornata. Sulle labbra sento il sapore del sale. Ci passo piano la
lingua. Sono secche e screpolate. Le mie dita affondano in qualcosa di
soffice e zuccheroso. Nelle orecchie ho lo sciabordio dell’acqua.
È diverso dal rumore che farebbe il gorgogliare di un fiume.
Questo assomiglia, piuttosto, al paziente ripetersi delle onde che si
infrangono sul bagnasciuga. Prendo un respiro e provo di nuovo a
guardarmi attorno. Il sole ferisce le mie iridi, al punto che sono
costretta a portarmi una mano alla fronte, riparandomi gli occhi.
È tutto incredibilmente bianco. La spiaggia su cui sono seduta,
la schiuma delle onde che si infrangono ai miei piedi, l’abito
che indosso. Solo il cielo è azzurro. Di un azzurro così
intenso da lasciare senza fiato.
Non credevo
che l’aldilà potesse essere così simile a
ciò che mi sono lasciata alle spalle. Mi sollevo, mettendomi
seduta. Il vestito che indosso è umido, e la sabbia si è
appiccicata sul corpetto e sulla gonna. Una manica è strappata.
Lo guardo meglio, sbattendo le palpebre, e solo in quel momento lo
riconosco. È l’abito con cui mi hanno vestito a
Sailunne, l’abito che indossavo quando Joy mi ha rubato dal
tempio. Avvicinando un pezzo di stoffa al viso scopro che puzza di
pesce in una maniera disgustosa.
Un gabbiano plana al mio fianco, squadrandomi con interesse. Lo stesso sguardo con cui guarderebbe una sardina gigante.
«Sciò,
bestiaccia!» esclamo, prima di rendermi conto di un fatto
inquietante. Questo mondo è terribilmente simile a quello da cui
vengo. Simile in maniera quantomeno sospetta.
Provo a
sollevarmi, ma le gambe non mi reggono. Sono rigide, come se le avessi
tenute ferme a lungo. Compio qualche passo, barcollando, poi cado sulle
ginocchia. All’improvviso, un’ombra mi sovrasta.
«Piano, Lina. Non vorrai rischiare di ammazzarti proprio adesso, vero?»
Mi volto di scatto, verso quella voce così familiare.
Il demone mi osserva con un sorriso divertito, galleggiando nell’aria.
«Xellos?»
«È un piacere rivederti, Lina. Ne è passato, di tempo.»
Le sue parole mi lasciano allibita.
«Questo vuol dire che… non sono morta?»
«Non più di quanto lo sia io.»
«Ma come…?»
Xellos
infila una mano in tasca e ne estrae qualcosa di piccolo e lucente.
Qualcosa che lancia verso di me con un movimento aggraziato. Sulla
sabbia, davanti al mio naso, atterra l’anello di Gourry. La
pietra è liscia e trasparente. Lo fisso, incapace di parlare. La
mia mano si tende a sfiorarlo. È freddo, perfetto. È come
lo ricordavo.
«Come diavolo…?» Scuoto la testa, sollevando lo sguardo su Xellos. Lui fa spallucce.
«Accordi, cara Lina. Tu lo sai, io non faccio mai niente per niente.»
«Che
tipo di accordi?» non posso fare a meno di domandare, sospettosa,
stringendo l’anello nel palmo della mano. Nonostante tutto, sono
diffidente.
«Domandalo al tuo amico Joy. O forse dovrei dire, al duca di Solaria.»
Scuoto la testa, ma sto sorridendo. Testardo, ostinato Joy. Non si è arreso.
Mi lascio
cadere all’indietro, sulla sabbia tiepida di sole, l’anello
stretto al petto, e scoppio in una fragorosa risata. Sopra di me i
gabbiani si librano leggeri, le ali spiegate, lanciando grida stridule.
Sono viva. Viva.
Poi, vengo colta da un dubbio. Mi sollevo di scatto, rivolgendo la mia attenzione a Xellos.
«Dove siamo, Xellos?»
«Sulla
costa occidentale del Continente, Lina. Non è stato facile
recuperare quell’anello, sai? Abbiamo dovuto chiedere
l’intervento dei demoni marini. C’è voluto del
tempo…»
«Quanto tempo?»
Xellos sospira.
«Centoventicinque anni, Lina.»
Spalanco la bocca. Il mio cuore perde un colpo.
«Cosa?!»
Lo guardo, attonita. «Stai scherzando, spero! Non può
essere trascorso tutto questo tempo…»
Il mio
pensiero va a Gourry. Centoventicinque anni… anche considerando
la minima percentuale di sangue elfico che scorre nelle sue vene, a
quest’ora Gourry dovrebbe essere più vecchio di
Matusalemme. Se è ancora vivo.
Mi porto una mano alla fronte, sgomenta. Poi, sollevando lo sguardo sul demone, lo vedo ridere sotto i baffi.
«Ti stai prendendo gioco di me, Xellos?»
Lui sorride, scuotendo l’indice davanti a sé.
«In effetti sì, Lina. Ah, quanto mi sei mancata, ci siamo sempre divertiti un mondo, insieme!»
«Parla
per te!» rispondo, irritata. «E sputa il rospo, quanto
è passato dal combattimento a Solaria?»
Xellos finge di contare sulle dita di una mano.
«Fammi pensare, dunque… a occhio e croce, direi poco più di sette mesi.»
Tiro un
sospiro di sollievo. Sette mesi persi, certo. Ma davanti alla
prospettiva di un’intera vita gettata alle ortiche, cosa volete
che siano?
La gioia
esplode tutta insieme dentro di me. Sono viva, posso riprendere in mano
la mia esistenza. Sollevo l’orlo del vestito e corro, corro verso
il mare. Le onde si sbriciolano sulla riva in scintille argentate.
Spalanco le braccia e mi lascio cadere nell’acqua, ridendo. Tutto
mi inebria, tutto mi entusiasma. Scuoto la testa e dai miei capelli si
staccano gocce minuscole che brillano al sole. Prendo a calci la
schiuma, spruzzo schizzi ovunque. E grido, grido di felicità.
«Sono viva! Vivaaaaa!»
Xellos,
dalla riva, mi osserva perplesso. È un essere millenario, eppure
non riuscirebbe a capire questo momento nemmeno se si sforzasse. Esco
dall’acqua e mi precipito verso di lui, gettandogli le braccia al
collo, senza smettere di ridere. Gli stampo un bacio a schiocco sulla
guancia.
«Sono viva, Xellos! Non sono mai stata così felice!»
Lui sbianca di colpo, indietreggiando, e si porta una mano alla bocca. Sembra che stia per vomitare.
«Non.
Farlo. Mai. Più» dice, respirando a fatica. «Puah!
Che orrore, tutta questa allegria… mi sento male.»
«Noioso!»
dico, dandogli una pacca sulla spalla che lo fa traballare. «La
vita è una cosa meravigliosa!»
Xellos arriccia il naso, guardandomi storto.
«Mia
cara, posso chiederti di contenere l’entusiasmo? Il tuo buon
umore sta mettendo a dura prova il mio self control.»
«Non ci posso fare niente. Sono spudoratamente felice. Vuoi un altro bacio?»
Xellos rabbrividisce.
«Sono tentato, ma… no, grazie! Mantieni una certa distanza, anzi» risponde, tendendo il bastone tra me e lui.
Faccio spallucce, strizzandogli un occhio. Dei, quanto mi era mancato tutto questo.
Inspiro e sospiro. L’aria ha un profumo buonissimo. Sa di sale e vento. Di viaggi e di speranza.
In questo
momento un rumore di zoccoli, alle mie spalle, cattura la mia
attenzione. Un meraviglioso stallone bianco sta correndo sulla
spiaggia, nella nostra direzione. Si ferma a qualche passo da noi,
nitrendo e scrollando la criniera. Non ha cavaliere, ma ha magnifiche
bardature e una sella di cuoio lucido. Mi avvicino, tendendo una mano e
facendogli una carezza sul naso morbido. Lui scuote la testa, gli occhi
grandi e acquosi. Le sue briglie hanno impresso lo stemma del ducato di
Solaria. Le sfioro piano, poi mi rendo conto che, dalla bisaccia che
c’è attaccata alla sella spunta una pergamena arrotolata.
«Credo
che quello sia un messaggio per te» azzarda Xellos, senza
smettere di guardarmi sospettoso. Se avessi saputo che era così
facile fargli saltare i nervi, l’avrei sbaciucchiato più
spesso.
Sfilo la pergamena e la srotolo. Solo due parole sono vergate sulla carta ingiallita: Ti aspetto.
La sua
firma, sotto, è un pretenzioso svolazzo di inchiostro. Da quando
è diventato duca, deve essersi montato la testa.
«Come faceva a saperlo?» domando, voltandomi verso Xellos.
Il demone inclina la testa di lato.
«Come
ti dicevo, Lina, si è creata una collaborazione interessante con
il ducato di Solaria. Il tuo amico ci sa fare e devo ammettere che non
è stato difficile venire incontro alla sua unica richiesta:
ritrovarti. Del resto, eravamo tutti d’accordo: sarebbe stata una
gran noia, quaggiù, senza di te.»
Aggrotto le
sopracciglia. Non mi piace pensare che Joy si sia dovuto sporcare le
mani con i demoni per me. E, soprattutto, non mi piace quel
‘tutti d’accordo’. Tutti chi, esattamente?
«Prima hai parlato di accordi. Che tipo di accordi?»
«Oh, mia cara, ormai dovresti conoscermi e sapere che questo…»
«Fammi indovinare, è un segreto?» lo anticipo.
Xellos sorride, sventolando l’indice della mano destra davanti al naso.
«Proprio
così!» dice, sollevandosi in volo. «A presto, Lina
Inverse. Sono sicuro che le nostre strade si incroceranno molto prima
di quanto immagini…» e così dicendo scompare
nell’azzurro terso del cielo.
Sto ancora
guardando il punto in cui il demone si è eclissato quando sento
il cavallo posare la fronte sulla mia schiena e darmi qualche colpetto
leggero.
«Hai
ragione, è del tutto inutile farsi domande, da lui non otterremo
mai nient’altro che risposte sibilline» dico, afferrando le
briglie e infilando un piede nella staffa. L’abito di seta bianca
è un intralcio inutile così strappo la gonna, facendone
un indumento più comodo per il lungo viaggio che mi aspetta. Le
mie gambe nude sono quasi più bianche della stoffa che ho appena
stracciato e sento il pelo ispido dell’animale strusciare contro
la pelle tesa delle cosce. Ma non importa. Sono tanto entusiasta che
affronterei anche un viaggio a dorso di mulo. Mi isso sulla sella, le
redini strette nel pungo.
«Coraggio, portami a Solaria» esclamo, indicando l’orizzonte.
Le guglie
del castello di Solaria svettano contro il cielo arancione del
tramonto. Ho cavalcato senza sosta, sfiancando il destriero, i capelli
che si srotolavano sulla mia schiena come lingue di fuoco, le gote
rosse per l’aria sferzante. Con i talloni colpisco piano i
fianchi del cavallo e percorro l’ultimo tratto di strada,
raggiungendo il ponte levatoio.
Il ducato
è diverso da come lo ricordavo. In sette mesi Joy l’ha
rivoluzionato. Osservo ammirata le case del borgo ridipinte di fresco.
I tetti di paglia delle abitazioni sono stati riparati e, dove
necessario, sostituiti; i giardini appaiono curati e rigogliosi. Ho
sempre sospettato che quello che mancava davvero a Joy fosse uno scopo.
Ora che l’ha trovato ci si è immerso anima e corpo. Sono
orgogliosa di lui.
Arrivo nel
cortile principale e scendo da cavallo. Si sta facendo scuro. Il sole
è un disco infuocato all’orizzonte e proietta ombre
multiformi sui muri del palazzo. Joy mi aspetta seduto ai piedi della
scalinata principale. Ha un mantello nero buttato su una spalla, e
veste la solita espressione corrucciata. Solleva il viso e mi guarda.
Un lungo sguardo. Io sono indolenzita, arruffata e sbrindellata. E
inizio ad avere freddo. Lui si solleva, piano, venendo verso di me.
«Ce ne hai messo, di tempo» dice, arrivandomi davanti.
«La colpa non è mia: mi hai mandato il cavallo più lento che avevi. Facevo prima a piedi, credimi.»
Lui rotea gli occhi al cielo.
«Ci
avrei giurato. Torna dal regno dei morti, e la prima cosa che fa
è venire qui a lamentarsi! Lina, Lina… bentornata, eh.
Vieni qui» mormora, spalancando le braccia. Contro qualunque
previsione lo lascio fare. Lascio che mi stringa a sé, e lo
stringo a mia volta. Affondo il viso nei suoi vestiti. Sono morbidi,
sanno di buono.
Non sarei
qui, se non fosse per lui. Per la sua tenacia e la totale
incapacità di arrendersi. E, di certo, per la sua faccia tosta.
Il pizzicotto che gli faccio al braccio lo fa saltare via come una molla.
«Ahi! Sei impazzita?» esclama, sgranando gli occhi.
«Io?
Sei tu quello pazzo! Come ti è saltato in mente di metterti a
fare affari con i demoni? Non lo sai che, quando entri nel giro,
uscirne poi è praticamente impossibile?» lo rimprovero,
incrociando le braccia al petto.
Lui sbuffa.
«Senti
da che pulpito! E poi era l’unico sistema che avevo, per
ritrovare quel maledetto anello. Nel continente, era finito!A chi altro
avrei dovuto rivolgermi per ripescarlo?»
Sospiro.
«Perché, Joy? Ti avevo chiesto di lasciarmi andare, ero pronta…»
«Tu,
forse. Io no» dice, con disarmante sincerità, scuotendo la
testa. Solo in questo momento mi rendo conto dei fili grigi che
sporcano le sue tempie. I suoi riccioli scuri sono striati di bianco.
Allungo una mano, sfiorandoli. Lui mi lascia fare, un po’ sulle
spine.
«Joy…»
sussurro. «Come hai fatto a riportarmi indietro?» dico,
tanto piano che potrebbe non avermi sentito. Invece ha sentito.
«Ti ho semplicemente tenuto.»
«Ma io… io ho lasciato andare la tua mano. Credevo di aver attraversato il confine…»
«Non
hai mai attraversato il confine. Io… ti ho tenuto per un lembo
del mantello» confessa, in un sussurro. «Quando ti sei
voltata per andartene…» scuote la testa, «io non
potevo sopportarlo, sai? Non sarei riuscito a lasciarti andare.
È stato più forte di me.»
Socchiudo le labbra. Questa spiegazione mi lascia senza parole. Perché dice più di quello che vorrei sentire.
«E hai continuato a tenermi… per tutto questo tempo?» domando, incerta.
«Il tempo necessario a ritrovare l’anello.»
Aggrotto le sopracciglia, stringendo in un pugno le dita con cui ho accarezzato i suoi capelli.
«Che prezzo hai dovuto pagare, Joy?»
«La cosa non ti riguarda» risponde, asciutto.
«Mi riguarda eccome!» la mia voce è sporcata da una sfumatura di rabbia. «Che prezzo? C’è sempre un prezzo da pagare, qual è stato il tuo?»
«Anni» sussurra lui, infine, distogliendo lo sguardo. «Anni di vita.»
«Sei pazzo.» Sono sconvolta. E arrabbiata. E…
Lui riporta
il suo sguardo su di me. Qualcosa brucia nel fondo delle sue iridi
grigie. Qualcosa che mi disorienta. Qualcosa che, me ne rendo conto
solo adesso, non posso in nessun modo ricambiare, se non con
l’amicizia.
«Non
l’ho fatto per te, Lina. L’ho fatto per me. Per non dover
trascorrere quegli anni che ho ceduto nel rimpianto di non essere
riuscito a riportarti indietro. L’avevo promesso, in fondo.»
«Joy…»
«Lo
so, Lina. Credi che non lo sappia? Se mi sono imbarcato in questa
impresa è stato per lui. So qual è il mio posto.
Perciò fingi che non abbia detto niente, per favore.»
Deglutisco.
«Grazie, Joy» dico, mordendomi il labbro inferiore. «Grazie.»
Lui fa spallucce, sul volto ha stampata la sua aria più indifferente, quella che nasconde la sua fragilità.
«Figurati. Non è questo che fanno gli amici?»
«Solo
quelli veri» rispondo, facendo un passo avanti e prendendo il suo
volto tra le mani. «Solo quelli veri» ripeto, posando la
mia fronte alla sua.
Chiudiamo gli occhi e restiamo così per un tempo che mi sembra infinito. È la voce di Joy a spezzare il silenzio.
«Lina, il dovere di un vero amico è anche quello di essere sincero sempre e comunque, vero?»
«Sempre e comunque.»
«In
questo caso… credo che tu abbia bisogno, con una certa urgenza,
di fare un bagno: puzzi più di una pescheria. Senza offesa,
eh.»
Anouk
è diversa da come la ricordavo. Sembra più alta, o forse
è solo perché tiene la testa dritta invece di starsene
china su se stessa lasciando che i capelli le coprano il volto. Adesso
che la guardo bene, mi chiedo come possa non aver notato prima
l’incredibile somiglianza che la lega a suo fratello. Hanno gli
stessi occhi grigi e profondi. Occhi che possono vedere ciò che
al resto degli uomini è precluso. Occhi che sanno indagare oltre
la membrana invisibile che separa la vita dalla morte. Occhi pieni di
ombre, ma anche, e soprattutto, pieni di luce.
È
mattino, e un tiepido sole autunnale riscalda l’aria. Camminiamo
nei giardini del palazzo, mentre la bambina mi mostra l’aiuola di
piante aromatiche e il muro con i rampicanti di rose di cui si occupa
personalmente. Joy, alle nostre spalle, ci segue in silenzio. Tutto
questo gli appartiene, adesso. E io so che saprà farne qualcosa
di grande. C’è qualcosa di abbagliante, in lui. Qualcosa
che non ho scorto subito, ma che è sempre stato lì.
Gourry, invece, ha colto al primo sguardo il buono che c’è
in lui. Gourry guarda dentro alle persone e vede ciò che sono,
non si lascia ingannare dalle maschere che indossano. Una dote che
è sempre stata prerogativa dei bambini, e dei puri di cuore.
Gourry.
Anouk si
ferma davanti a un cespuglio di rose. Hanno petali rosso rubino, e un
intenso profumo di lampone si solleva dalle corolle aperte.
«R...
ros…a» dice, incerta. Da qualche mese ha ricominciato a
parlare. Le sorrido, per incoraggiarla. «Li… Lina»
conclude, indicando i fiori.
«Cosa? Si chiamano come me, queste rose?»
La bambina
annuisce, poi guarda suo fratello. Il suo sguardo deciso mi suggerisce
che si aspetta che lui mi spieghi perché.
«È
per il colore» borbotta Joy, fingendo di levarsi un pelucco
invisibile dalla manica della tunica. «Il colore di queste rose
ci ricordava i tuoi occhi. Così, quando le abbiamo piantate, le
abbiamo chiamate come te. Spero non ti dispiaccia.»
Mi rendo conto che sto arrossendo. Mi hanno paragonato a tante cose, in questa vita. Mai, però, a un fiore tanto bello.
Quando
Anouk si allontana con l’annaffiatoio stretto nella manina, tra
me e Joy cala un silenzio improvviso. Ieri sera abbiamo parlato a
lungo. Davanti a un fuoco che ardeva vivace abbiamo mangiato e bevuto,
e sorriso, anche. Mi ha raccontato del suo regno, di quello che
vorrebbe fare per migliorarlo. Ha accennato al Dono, al fatto che, da
quando è diventato il duca di Solaria, tutto ha assunto un senso.
Poi, mi ha raccontato di Gourry.
«Ha
vissuto qui, per un po’. Si è leccato le ferite»
aveva detto Joy. «L’abbiamo fatto tutti. Tuttavia, dopo
qualche tempo, mi ha rivelato di non potersi fermare. Aveva bisogno di
muoversi, di viaggiare. “Mi sono abituato, ormai” ha detto,
quando gli ho chiesto di ripensarci. “Se mi fermo,
impazzirò.” Così l’ho lasciato partire, non
avrei potuto trattenerlo. Ma non ho mai smesso di vegliare su di lui.
Ha viaggiato da solo, per un po’. È stato a Zephilia, dai
tuoi genitori. Poi è ripartito e, da un paio di mesi, si
è aggregato a una compagnia di ventura. Svolgono piccole
missioni, niente di pericoloso. L’ho tenuto lontano dalla guerra.
Adesso sono… piuttosto influente. Non lo dico con vanto, ma
è senza dubbio utile. Gourry non è mai stato in pericolo,
in questi mesi. Come vedi, ho mantenuto la promessa che ti ho
fatto.» Joy aveva bevuto un sorso di vino dal suo calice.
«Quanto al suo cuore… per quello, come puoi immaginare,
non ho potuto fare molto. Ha sofferto e soffre ancora adesso, non
poteva essere altrimenti. Non gli ho rivelato che ti stavo trattenendo
sul confine: se non fossi riuscito a recuperare quell’anello,
l’avrei illuso inutilmente. Ho imparato dai miei errori.»
Sì, penso. Da questa storia abbiamo imparato tutti qualcosa.
Guardo Anouk che, in fondo al giardino, annaffia con cura i suoi fiori.
«È una bambina speciale» dico.
«Sì,
lo è. Stiamo imparando a conoscerci. Lei ha bisogno di me e
questa, per me, è una cosa nuova. Nessuno ha mai avuto bisogno
di un tipo me» dice, e nelle sue parole scorgo un filo di
tristezza per quello che ha sempre creduto, erroneamente, un fratello.
Nayden era un uomo crudele, ma Joy gli ha sempre voluto bene. So che,
nonostante tutto, gli manca. Ci sono ferite che non si rimarginano mai.
«Ti sottovaluti, Joy. Senza di te, io…»
Lui sorride, scuotendo la testa.
«Ah,
se mi avessero detto che saremmo finiti così, io e te! Non ci
avrei mai creduto, probabilmente. Tu che mi lusinghi e io… io
che sentirò la tua mancanza. Perché adesso devi andare da
lui. So che non vedi l’ora di iniziare a cercarlo, ed è
giusto così.»
Si volta verso di me. I suoi occhi sono malinconici.
«È
il momento di dirsi addio. Gourry ha fatto parecchia strada da quando
è partito. Ha messo tra lui e questo ducato quanta più
distanza è riuscito a percorrere. Ti ci vorranno giorni, forse
settimane, per raggiungerlo. Devi andare, Lina.»
Lo guardo negli occhi, incapace di parlare. Ha ragione, devo andare. Il mio posto non è qui.
Eppure… è difficile dirgli addio.
L’uomo
che mi sta davanti mi ha odiata, schernita e osteggiata con
caparbietà. Poi, però, mi ha aiutata e salvata. In tutti
i modi in cui può essere salvata una persona.
L’uomo che ho davanti ha sacrificato una parte della sua vita per me.
«Non potrò mai ripagare il debito che ho con te, Joy.»
«Aspetta
a parlare, Inverse. Chissà, può darsi che arriverà
il giorno in cui avrò bisogno del tuo aiuto. Mai dire mai.»
Sospiro, pronta a voltarmi. Poi ci ripenso.
«Tu mi hai riportato alla vita. Qualunque cosa io possa fare per te, non sarà mai abbastanza.»
Joy si avvicina, infilandosi una mano in tasca.
«Ma
tu hai già fatto qualcosa per me. Mi hai permesso di accettarmi,
di comprendermi. Senza di te non sarei mai riuscito a guardare in me
stesso. Tu mi hai costretto a confrontarmi con i miei demoni, e a
vincerli. Mi hai restituito le mie origini. Non ti sembra abbastanza?
Ora, se posso avanzare un’ultima pretesa, ti chiederei di restare
lontana dai guai, ma sarebbe come chiedere a un gatto di non farsi le
unghie sul divano nuovo: impossibile. Perciò, cerca di essere
felice. Questo lo puoi fare?»
Dalla tasca estrae un lungo pezzo di stoffa nera. La mia bandana magica. L’ha conservata, per tutto questo tempo.
«Credo di sì» mormoro.
Joy si
avvicina, legandomi la fascia sulla nuca. Poi mi stringe a sé,
baciandomi la fronte. Sento le lacrime premermi agli angoli degli occhi.
«Una
volta ti ho detto che non capivo come potesse, Gourry, amarti
così tanto. Mi sembrava assurdo. Ora, invece, mi domando come si
possa non farlo. Non amarti… è dannatamente difficile
Lina Inverse.»
Il suo respiro caldo mi sfiora le guance.
«Vai
da lui, Lina. Ha bisogno di te. E tu hai bisogno di lui. Voi vi
appartenete, io in questa storia ci sono capitato solo per sbaglio.
Addio…»
Quando mi
volto, un’ultima volta, lo vedo fermo in mezzo al roseto di rose
rosse che ha creato per la sua sorellina. Una figura pallida,
abbigliata di scuro, i riccioli neri che si muovo leggeri spinti dalla
brezza. Poi Anouk gli corre incontro, prendendogli la mano. Sorridono
entrambi. E allora capisco che anche lui proverà a essere felice.
La locanda
si trova a un crocevia di confine, ed è gremita. Non serve che
vi spieghi che tipo di avventori frequentano un posto come questo, vero?
Ho
viaggiato per dieci giorni, fermandomi solo il dovuto necessario. Ho
chiesto a tutti quelli che ho incontrato sul mio cammino e ho seguito
le sue tracce fino a qui.
Mi avvicino
alle vetrate, il cappuccio ben calcato in testa, e scruto attraverso i
vetri impolverati con le mani intorno ai lati del viso per vedere
meglio. E, finalmente, lo scorgo. Il mio cuore perde un colpo.
Gourry.
È
seduto a una tavolata di uomini, un boccale di birra in una mano, e
sembra davvero interessato a quello che il suo vicino di posto sta
raccontando, gesticolando a più non posso. Ma lo conosco
abbastanza per sapere che non sta ascoltando una parola. Il suo
cervello è in modalità off. Un po’ mi viene da
ridere, vedendo con quanta partecipazione il suo amico sta snocciolando
il suo racconto. Deve trattarsi di un’impresa eroica. Ma Gourry
è perso nel suo mondo. Sorride, ogni tanto annuisce, ma è
completamente scollegato. Se ci fossi io, davanti a lui, gli avrei
già dato una manata in mezzo alla fronte.
Lo osservo
ancora qualche minuto, prendendomi i miei tempi. L’ho cercato a
lungo, credevo di averlo perso per sempre, ma adesso sono curiosa di
vedere come se la sta cavando senza di me. Voglio capire se ha tenuto
fede alla promessa che mi ha fatto.
È
più magro di come lo ricordavo, e ha ombre scure sotto agli
occhi. Ma il suo colorito è sano, anzi, mi sembra addirittura
abbronzato. Segno che ha passato parecchio tempo all’aria aperta.
Questo mi consola, perché significa che ci sta provando.
Nonostante tutto, sta provando a vivere, come gli avevo chiesto di
fare. Noto che si sta facendo ricrescere i capelli. Adesso gli sfiorano
le spalle e li tiene raccolti in una coda, legati da un laccio di
cuoio.
A un certo
punto, qualcuno dal fondo della tavolata, fa una battuta. Ridono tutti
di gusto e Gourry si unisce a loro. Questa volta sembra che abbia colto
il senso del discorso. Mi sento più leggera. Mi sarei infuriata
se, ritrovandolo, l’avessi scoperto intento a piangersi addosso.
O, peggio, a farsi del male.
Cosa?
Pensate che dovrei offendermi, credere che mi abbia dimenticato? No. Io
sono felice. Sono felice perché lui ha trovato un sistema. Un
modo per sopravvivermi.
Non è facile, sapete, quando si tratta della grande Lina Inverse.
Resto
dietro questa vetrata fino a quando i mercenari non finiscono di
pranzare. Lo guardo finire il suo pasto mangiando di gusto, scuotere
gentilmente la testa quando la cameriera, una tizia decisamente
procace, si offre di versargli altra birra, e ignorare le conseguenti
battute salaci dei suoi compagni di viaggio.
«Gabriev,
sei peggio di un monaco!» grida qualcuno, e io tolgo la mano
dall’elsa del pugnale che tengo infilato nella cintura. Tutto
sommato, mi sarebbe dispiaciuto fare finire il loro amichevole pranzo
in un bagno di sangue. E non guardatemi così. Non è che
sia così gelosa, insomma… solo un pochino.
Quando ti
innamori di qualcuno che darebbe del filo da torcere a un dio e
diffonde bellezza attorno a sé semplicemente respirando, tendi a
diventare un po’ paranoica, ecco.
Quando si
alzano, uscendo dalla locanda, estraggo una pergamena dalla tasca e
fingo di guardarla con interesse. Il mantello e il cappuccio mi
nascondono, facendomi apparire un anonimo viaggiatore indeciso su quale
strada imboccare.
I mercenari si sistemano le spade nelle cinte, stiracchiandosi, poi tra loro cala il silenzio.
«E quindi… ci si saluta qui, Gabriev?» domanda uno di loro, guardando Gourry con aria seria.
«Temo
di sì» risponde lo spadaccino, con un’alzata di
spalle. «Vado a Nord, ormai è deciso.»
«Potremmo accompagnarti per un tratto di strada…» azzarda qualcuno.
Gourry scuote la testa.
«Vi ringrazio, ragazzi, ma non dovete preoccuparvi per me. Penso di sapermela cavare da solo.»
Un lieve
sorriso compare sulle mie labbra nel sentire quelle parole. Sono le
stesse che ci siamo scambiati durante il nostro primo incontro.
I mercenari sembrano ormai rassegnati a perdere il più in gamba del loro gruppo.
«E va
bene, se hai deciso non insistiamo. Anche se ci dispiace lasciarti
andare, ci sai proprio fare con quella» dice qualcuno, accennando
alla spada che Gourry tiene in un fodero sulla schiena.
Lui sorride, un sorriso gentile e tranquillo. Non si è mai fatto vanto delle proprie qualità.
Si
accomiatano con grandi pacche sulle spalle e raccomandazioni di ogni
tipo. Suggerimenti tipicamente maschili che non riporto per il bene
delle vostre orecchie.
Quando
Gourry, infine, si avvia sulla strada opposta a quella che imboccano i
mercenari, arrotolo la pergamena e me la infilo in tasca, pronta a
seguirlo.
Camminiamo
in silenzio per parecchi minuti. Gourry percorre un tratto di strada
principale, poi si inoltra nella foresta che costeggia il sentiero,
scomparendo tra le conifere. Ha un passo svelto, ma allo stesso tempo
rilassato, a cui mi adeguo senza problemi: è anche il mio passo.
Siamo abituati a camminare insieme, io e lui. Il sole filtra tra gli
alberi, disegnando ombre multiformi sul terreno ai nostri piedi. Sotto
le suole sento scricchiolare foglie secche e aghi di pino, l’aria
profuma di muschio e resina. Non mi stancherei mai di respirarla: sa di
vita.
Gourry
fiancheggia un gruppo di betulle dai tronchi bianchi e nodosi, e
svanisce tra di esse. Lascio passare qualche minuto, poi mi avventuro a
mia volta nel fitto della boscaglia. Attorno a noi c’è un
silenzio innaturale, rotto solo dal cinguettio degli uccelli e dal
pigro frusciare delle foglie sugli alberi.
Quando lo
scorgo, finalmente, vedo che si è fermato in mezzo a una radura.
È immobile, ma riesco a percepire la tensione nei muscoli delle
spalle. Lascia scorrere la mano sull’elsa della spada, sfilandola
lentamente dal fodero.
Mi stavo chiedendo quanto ci avrebbe messo a rendersi conto di essere seguito. Non molto, evidentemente.
«Chi
sei?» domanda, voltandosi senza fretta. Il sole ferisce le sue
iridi. In controluce scorge solo la mia sagoma. Vedo il dubbio
affacciarsi sul suo volto. Lentamente abbassa la spada.
E so cosa sta pensando, accidenti a lui.
«Ti serve aiuto, ragazzina?... ti sei persa?»
Faccio un passo avanti, lasciando cadere il cappuccio sulle spalle. I miei capelli catturano i raggi del sole, infuocandosi.
«Sì, in effetti. Mi ero persa» dico, guardandolo negli occhi. «Ma ho appena ritrovato la strada di casa.»
Gourry
sbatte le palpebre, trattenendo il respiro. Sono gli unici movimenti
che si concede, per il resto sembra fatto di marmo. Dopo alcuni secondi
la spada gli cade di mano, affondando tra le foglie secche che
ricoprono il sentiero.
«Lina»
sussurra. Chiude gli occhi e li riapre. Poi scuote la testa, incredulo.
Il fatto che io sia qui, davanti a lui, va contro qualunque logica.
Faccio un altro passo verso di lui. Mi tremano le mani.
Gourry deglutisce.
«Non è vero, non può essere vero.»
«L’avevo promesso, che sarei tornata da te. E tu lo sai che io mantengo sempre la parola data.»
Solo quando sono davanti a lui vedo una lacrima che, piano, gli sta rigando una guancia.
Gourry si morde il labbro inferiore, poi socchiude le labbra, lasciando uscire un flebile sospiro.
«Ma tu sei vera, o sei un sogno?»
Sorrido.
«Piuttosto vera, direi, a giudicare da come brontola il mio stomaco.»
Tento di
scherzare ma sono tesa quanto e più di lui. Perché
c’è una cosa che devo fare e non posso più
rimandare.
Lui si
muove verso di me, forse vorrebbe abbracciarmi, toccare la mia pelle
per sapere se sono reale. Ma lo blocco posando una mano tra me e lui.
«Aspetta. Prima c’è una cosa che devo… che voglio fare. E se mi interrompi adesso, non troverò più il coraggio di farlo» dico, infilando una mano in tasca.
Sospiro,
poi piego una gamba, inginocchiandomi davanti a lui. Tra l’indice
e il pollice stringo l’anello che ha dato inizio a tutto, nel
bene e nel male.
«Gourry
Gabriev» esclamo, davanti al suo sguardo allibito. «Vuoi
sposarmi? Vuoi sposare una ragazza con un pessimo carattere, un
po’ prepotente, poco virtuosa, spesso manesca, che con tutta
probabilità si rivelerà una pessima moglie, ma che ti ama
più di ogni altra cosa?» dico, tutto d’un fiato,
senza smettere di guardarlo.
Lui apre la
bocca, ma non esce alcun suono. Il silenzio è assordante e
inizio a capire cosa deve aver provato quando, tenendo in mano questo
stesso anello, ha aspettato che gli rispondessi. Se avessi una lama che
mi pende sopra la testa, sarei meno angosciata.
Poi,
inaspettatamente, Gourry si lascia cadere in ginocchio davanti a me, e
mi prende tra le braccia, sprofondando il volto tra i miei capelli. Sta
piangendo. Sento le sue lacrime sciogliersi sul mio collo.
«Oh, Lina» sussurra. «Lina.»
È tutto molto commovente, d’accordo, ma… mi sposa o no?
«Emh… Gourry?»
«Cosa?»
«Mi sposi o no?»
«Vediamo,
fammi pensare» dice lui, staccandosi da me e portandosi un indice
alle labbra. «In effetti, dalla dichiarazione che mi hai appena
fatto, sembrerebbe più vantaggioso, per me, non
sposarti. Chi mai vorrebbe una moglie manesca e prepotente? Inoltre,
scommetto che non sai cucinare, che non rammendi calzini e che non sai
rifare nemmeno un letto.»
«Sono una maga, non una colf» puntualizzo, guardandolo male.
«Lo so. Sei una maga, la mia maga.»
Prende l’anello dalle mie mani e, dopo averlo guardato un’ultima volta, lo scaglia lontano, nel folto della foresta.
«Al
diavolo. Ci ha portato più guai che altro. Io ti sposo, Lina. Ma
giurami che non avremo più a che fare con gli anelli.»
«Per una volta, Gourry, mi trovi pienamente d’accordo.»
Gourry
sorride, mi prende il volto tra le mani e mi bacia. Un bacio che mi
toglie il fiato. Poi mi spinge tra le foglie che ricoprono il terreno e
il loro profumo di autunno riempie l’aria intorno.
C’è una frenesia quasi disperata nei nostri movimenti. Un
bisogno fisico che fa male da quanto è intenso. Mi sfila gli
stivali, mentre gli slaccio la cintura dei pantaloni. Ci spogliamo a
metà, perché non abbiamo tempo. Devo sentirlo sopra di
me, dentro di me, adesso.
È
doloroso, come e anche più della prima volta. Non
c’è spazio per la tenerezza. Le dolci attenzioni con cui
ha sciolto le mie resistenze quella notte le riserveremo ad altri
momenti. Ora c’è solo questa urgenza che ci scuote dentro,
che ci lacera la carne, che ci divora. Grido, tirando la sua testa
verso il mio seno, e lui mi morsica attraverso la stoffa. E lo sento,
finalmente, riempire il mio vuoto, riversarsi in ogni angolo come luce
nel buio. Colmare quell’abisso che si è spalancato dentro
di me quando pensavo di averlo perso per sempre.
Gli strappi si ricuciono, le ferite si rimarginano.
I cocci rotti tornano al loro posto, ricomponendosi, saldandosi assieme. Ogni cosa si aggiusta, ritrova un senso.
E io riprendo a respirare. Torno a vivere.
Siamo io e
te, Gourry. Solo io e te. In questa radura nel bosco, fusi insieme,
talmente intrecciati che pare impossibile stabilire dove finisce
l’una e incomincia l’altro.
E questo è il nostro secondo inizio.
Manca
solo l'epilogo, dopodiché anche The Borderline sarà
conclusa. Quasi non ci credo. Che dire, se non che anche per me
è stato un viaggio bellissimo? Un viaggio con una sosta
piuttosto lunga, è vero. Ma spero di essermi fatta perdonare.
Alla
prossima, con l’epilogo e la colonna sonora dell’intera
storia, capitolo per capitolo. E grazie, come sempre, a chi legge e
commenta. Le vostre parole mi hanno spinto avanti. Vi devo un doveroso
inchino.
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Capitolo 21 *** Epilogo ***
epilogo
Epilogo
Io non lo so
Quanto tempo abbiamo
Quanto ne rimane
Io non lo so
Che cosa ci può stare
Io non lo so
Chi c’è dall’altra parte
Non lo so per certo
So che ogni nuvola è diversa
So che nessuna è come te.
(Ligabue, Sono sempre i sogni a dare forma al mondo)
Amelia
è disperata. Il termine disperata è addirittura
eufemistico, nel suo caso. Mi guarda con occhi supplichevoli, sull'orlo
delle lacrime. Lo sguardo di un martire. O di un potenziale assassino.
«Cosa significa... Niente abito bianco?» esclama, con voce tremula.
Sbuffo, spazientita, e incrocio le braccia al petto, irremovibile.
«Quello che ho detto, Amelia: niente abito bianco. Non insistere, tanto è inutile.»
Ho accettato che si occupasse del matrimonio ponendo tre, imprescindibili, condizioni:
Niente abito bianco. Dopo averne indossato uno per otto, interminabili, mesi, ho un netto rifiuto.
Niente anelli. Gli anelli, abbiamo stabilito io e Gourry, portano sfiga. Meglio evitare.
Infine,
niente fiori. Se vedo una calendula nel raggio di un chilometro, faccio
una strage. E vale per qualsiasi cosa abbia dei petali.
Amelia
è scoraggiata. Ma dovrebbe quantomeno essermi grata: se fosse
stato per me, mi sarei sposata indossando gli abiti di sempre, in un
giorno qualunque, senza troppo clamore. Il fatto che abbia affidato il
compito ad Amelia, che non è mai stata famosa per la
sobrietà, dovrebbe farle capire quanto, in fondo, le voglio
bene. Lei, però, ha preso le mie condizioni come un affronto
personale. Se le lasciassi carta bianca, trasformerebbe questo giorno
in una confettosa nuvola rosa, con putti alati che scoccano frecce e
una pioggia di cuori che cade dall'alto. Ho i brividi al solo pensiero.
«Amelia,
tesoro, so che puoi creare qualcosa di grandioso venendo incontro a
queste mie semplici richieste» le dico, alzandomi dal tavolo su
cui sono sparsi scampoli di stoffa, nastri colorati, confetti e
alzatine colme di dolci. Il campo di battaglia di Amelia. Lei scuote la
testa, prendendosi il volto tra le mani.
«Niente
abito bianco, niente anelli e niente fiori! Che razza di matrimonio
è?» la sento borbottare mentre esco.
Cammino
piano nei corridoi del palazzo, attardandomi davanti alle grandi
finestre che affacciano sui giardini botanici. La luna illumina
dolcemente il profilo delle palme e dei cespugli di bouganville, gli
archi di rose si tendono verso il blu della notte. Per un istante, un
solo istante, mi sembra di scorgere Joy sul prato bagnato di rugiada.
Guarda in su e i nostri occhi si incrociano. Scuoto la testa e
quando torno a guardare Joy è scomparso.
Sono
passati sei mesi, dall'ultima volta che l'ho visto. Poco più di
un anno dalla notte della mia morte. O presunta morte. E ho ancora gli
incubi. Una cosa è certa: per tutta la mia vita non berrò
mai più una goccia di camomilla.
Mi stacco dalle finestre e, dopo aver lanciato un ultimo sguardo ai giardini muti e immobili, mi dirigo verso la mia stanza.
Nel camino
ardono alcuni pezzi di legno, prossimi a consumarsi. Gourry dorme sul
letto sfatto, una mano infilata sotto al cuscino e i capelli biondi
sparpagliati attorno a lui come fili d'oro. Sono ricresciuti, adesso
gli arrivano tra le scapole. Abbastanza lunghi per permettermi di
ricominciare a dargli il tormento facendogli trecce e treccine. Mi
sfilo la vestaglia, buttandola sulla poltrona di fianco al letto, e mi
infilo tra lenzuola accanto a lui. Il soffitto, rischiarato dalle braci
morenti, è color vermiglio. Dopo qualche istante sento la mano
di Gourry stringermi con delicatezza un fianco, attirandomi verso di
lui.
«Sei
tornata, finalmente» mormora, la voce impastata di sonno.
«Allora, come è andata? Amelia si è rassegnata ad
avere a che fare con la sposa più scorbutica della
penisola?»
«Amelia
non si rassegna mai, Gourry» dico, con un sospiro. «Il
giorno in cui Amelia si rassegnerà a qualcosa, preoccupati: la
fine del mondo sarà vicina, probabilmente.»
Lui sorride, affondando il viso nel mio collo.
«Mmmh…
hai un buon profumo, sai di panna e zucchero filato. E fragole,
anche» sussurra, baciandomi piano una spalla.
«Sono
tutte quelle torte che ho assaggiato» rispondo, pensando che, per
ora, l’unico cosa che mi ha entusiasmato
nell’organizzazione del matrimonio è stata la scelta della
torta nuziale.
Gourry mi
abbassa una spallina della camicia da notte, mordicchiandomi una
clavicola, disegnando una lenta fila di baci sulla mia gola, e io non
posso fare a meno di rovesciare la testa all'indietro, sospirando.
Mi prende i seni tra le mani, accarezzandoli, e in un attimo è su di me è mi sta baciando con passione,
«Credevo che avessi sonno» sussurro con il fiato spezzato, quando le sue labbra si separano dalle mie.
«Infatti,
ma il profumo di dolci che hai addosso mi ha svegliato e adesso ho
parecchia fame. Credo che ti mangerò» dice, prima di
impadronirsi nuovamente della mia bocca.
Oh, beh. Non è che mi dispiaccia, farmi mangiare da lui.
Lascio che
mi sfili la camicia dalla testa, affondando il viso tra i miei seni,
baciandomi l'ombelico e l'interno delle cosce. Mi accarezza con la
lingua, tra le gambe, e io stringo i suoi capelli tra i pugni chiusi,
respirando con affanno. In sei mesi mi ha insegnato sull'amore
più di quanto sia riuscita a imparare in una vita.
È stato un maestro generoso di elargire il suo sapere e io
un'allieva desiderosa di apprendere. Ormai conosco ogni singolo
centimetro della sua pelle, ogni neo, ogni piccola cicatrice. E lui
conosce il mio corpo, lo conosce come nessuno lo ha mai conosciuto. Lo
conosce come conosce la mia anima. Mi sono donata a lui in un modo in
cui non credevo sarai mai riuscita a fare con qualcuno. Totalmente.
Abbiamo imparato ad amarci in maniera diversa, più intima,
più completa.
Forse, non
sarò poi una moglie così disastrosa. Lo spero, almeno.
Perché amo quest'uomo con tutta me stessa.
Quando si
stacca da me siamo entrambi senza fiato. Ho le gambe indolenzite e le
labbra congestionate di baci. Il piacere si diffonde a ondate nel mio
corpo, come un'eco che va scemando. Gourry si copre il volto con il
braccio, vedo il sudore luccicare sulla sua fronte e sul torace liscio
e scolpito. Ha un corpo che piega le ginocchia da quanto è
perfetto. Ed è mio, penso con segreta soddisfazione.
«Dei»
mormora lui, cercando di tornare a respirare normalmente. Io sorrido
tra me e me. Sì, sono diventata piuttosto brava. Sono sempre
stata una che si applica, in fondo.
Mi addormento cullata dal suo respiro e, per una volta, non sogno l'acqua.
Il giorno
dopo Amelia è di nuovo sul piede di guerra. Mi assilla a
colazione, a pranzo e praticamente per tutto il giorno, fino a quando
non sopraggiungono ospiti importanti che non può esimersi di
accogliere personalmente. Torno in camera con un diavolo per capello,
sbattendo la porta dietro di me. Gourry è seduto allo scrittoio
e quando solleva il volto per poco non scoppio a ridergli in faccia. Ha
uno sbaffo di inchiostro che gli disegna un arco nero dal mento fino
all'attaccatura del naso. Ai suoi piedi ci sono svariati fogli di
pergamena strappati e accartocciati.
«Hai di nuovo litigato con Amelia?» mi domanda, riponendo il pennino nel calamaio.
Mi siedo sul letto, sfilandomi gli stivali e lanciandoli lontani.
«Già.
Ricordami, Gourry, perché abbiamo deciso di sposarci a Sailunne
e affidare l'organizzazione ad Amelia?»
«Perché
è la tua migliore amica?» suggerisce lui, pacatamente.
«E, probabilmente, perché se non le avessimo affidato
l'incarico avrebbe trovato il modo di farcela pagare con qualche
sermone infinito sul valore dell’amicizia e altre cose che ti
avrebbero mandato fuori di testa.» conclude, stringendosi nelle
spalle. Ha i capelli sulla fronte completamente arruffati, come se ci
avesse passato svariate volte la mano. Lo osservo alcuni secondi,
sospettosa.
«Cosa stai combinando, Gourry?»
«Niente» risponde, assumendo un’espressione cauta.
«A me non sembra. Credo di non vederti con un pennino in mano da... Mai.»
Lui
aggrotta le sopracciglia, titubante. Ha le dita completamente nere e i
fogli, sotto le sue mani, sono pieni di impronte sbavate.
Come sia
possibile che un uomo che sa usare una spada con tanta perizia si
riveli poi del tutto incapace di tenere un pennino in mano, è
uno dei grandi misteri che non riuscirò mai a svelare.
Mi alzo in piedi, pronta a indagare, ma lui è più veloce e fa sparire tutti i fogli nel cassetto dello scrittoio.
«Gourry
Gabriev» esclamo, puntandogli l’indice contro. «Tu mi
nascondi qualcosa: avanti, sputa il rospo.»
Lui sbuffa.
«È praticamente impossibile farti una sorpresa» dice, sconsolato.
Sbatto le
palpebre, stupita, e lui si appoggia allo schienale della sedia,
distogliendo lo sguardo dal mio e rivolgendolo al soffitto.
«È
la mia promessa» ammette infine, imbarazzato. «La sto
scrivendo perché, beh... Non sono famoso per la memoria, come
ben sai.»
Questa confessione mi stringe il cuore.
«Non
credo tu abbia bisogno di prendere appunti, Gourry. Le promesse sono
sempre state il tuo forte, in fondo» mormoro, sorridendogli.
Dopo
qualche istante sentiamo le trombe degli araldi che annunciano un nuovo
arrivo a Sailunne. Mi lascio ricadere sul letto, coprendomi gli occhi
con le mani. Quanta gente hanno invitato Amelia e Phil a questo
benedetto matrimonio?
Gourry,
pulendosi le dita su un fazzoletto, si avvicina alla finestra,
lanciando un’occhiata al cortile. Vedo il suo sguardo
indugiare, pensieroso. Quando si volta verso di me sul suo volto
c'è un sorriso tranquillo.
«È arrivato Joy.»
Mi sollevo di scatto, trattenendo il respiro, poi lo lasciò andare lentamente.
«Oh. Bene.»
Gourry mi scruta.
«Non scendi a salutarlo?»
Deglutisco, distogliendo lo sguardo.
«Lo farò dopo, c'è tempo, in fondo.»
Anche se
non lo sto guardando sento i suoi occhi indagarmi a lungo. Mi chiedo se
si sia accorto che mi mordo nervosa l'interno di una guancia. Ma certo
che se ne è accorto. Gourry si accorge di tutto, anche se sembra
distratto.
«Lina» dice, dopo qualche istante, «vai da lui.»
Riporto i
miei occhi nei suoi e ci guardiamo per alcuni secondi, in silenzio.
Gourry annuisce e allora scatto in piedi e, senza prendermi il disturbo
di infilare gli stivali, corro verso la porta, e poi nel corridoio.
Il cortile
brulica di servitori che sono rimasti con le mani in mano. Joy non ha
un corteo e nemmeno una carrozza. Lo vedo scendere da un cavallo nero e
rifiutare con garbo l'aiuto che qualcuno sta porgendo alla piccola
Anouk. Le si avvicina e la solleva personalmente dalla sella del suo
pony come se fosse fatta d'aria, posandola a terra con un movimento
aggraziato. È un fratello affettuoso e pieno di premure.
«Joy
Shadow» esclamo alle sue spalle, avvicinandomi. Lui si
irrigidisce, poi si volta lentamente. Dietro di lui svetta, maestoso,
il tempio in cui è cominciato il nostro strano rapporto. Un
sodalizio che si è trasformato in qualcosa di indefinibile e
imprescindibile.
Perché,
per quanto ami l'uomo che sto per sposare, qualcosa di Joy si è
incastrato dentro di me, tra le costole e il respiro, e non se ne
andrà. Perché per un breve istante siamo stati la stessa
cosa, la stessa persona. Perché ogni istante della mia vita,
ogni sorriso, ogni battito di cuore, lo devo a lui. Solo a lui.
«Lina
Inverse» risponde lui, ricambiando il mio sguardo. E in un attimo
siamo l’una nelle braccia dell’altro e ci stringiamo,
aggrappandoci come se dovessimo ricomporre qualcosa che è stato
a lungo separato.
Gourry ci
raggiunge dopo qualche minuto. Sento i suoi passi tranquilli alle mie
spalle e mi stacco da Joy. Il cuore mi martella furioso nelle tempie
mentre li vedo avvicinarsi e guardarsi a lungo.
Si abbracciano, scambiandosi pacche sulle spalle. Gourry lo trattiene un secondo più del dovuto.
«Grazie, Joy. Hai salvato la sua vita e... La mia. Ti devo tutto.»
«Ho solo ricambiato quello che tu hai fatto per me. Finalmente ci sono riuscito.»
È
quasi notte quando io e Gourry ci ritiriamo. Insieme a Joy, Amelia e
Zel abbiamo mangiato, bevuto e ricordato, soprattutto ricordato. Anche
ciò che fa male ricordare. L’abbiamo ricordato
perché è solo attraversando tutto quel dolore che oggi
possiamo essere qui a ridere e scherzare insieme.
Ci
scrutiamo a lungo, nel corridoio pieno di ombre. Questa notte non
dormiremo insieme, Amelia è stata categorica. Pare che porti una
sfortuna tremenda che lo sposo veda la sposa la sera prima del
matrimonio e non ci è sembrato il caso di sfidare nuovamente la
sorte. Anche se, in effetti, in questo momento siamo l’una di
fronte all’altro. Tenerci separati è praticamente
impossibile.
Allungo una
mano, sfiorandogli una guancia, e lui la copre con la sua, portandosela
alle labbra. Sento la sua bocca calda contro alla pelle e un brivido mi
percorre la schiena. Mi chiedo se mi farà sempre questo effetto,
anche quando sarò sua moglie.
«Domani
è il grande giorno» mormoro. «Sei sicuro di non
avere ripensamenti? Pare non sia proprio una passeggiata fuggire dal
Tempio di Sailunne…»
Eh, già. Io e Joy ne sappiamo qualcosa.
«Non sono mai stato tanto certo di voler qualcosa come voglio te, Lina.»
Questo mi conforta. Perché anche io voglio lui, più di qualsiasi altra cosa.
«Lina...»
dice all’improvviso Gourry. «Tu e Joy, sai... Credo di
essere un po' geloso» confessa, in un sussurro.
«Gourry…»
Lui sventola una mano davanti a sé.
«Lo
so, lo so. È stupido e immotivato. Non sono geloso di lui,
comunque, non nel senso tradizionale del termine. È per
quello che avete vissuto insieme. Per quello che lui ha fatto per te.
È qualcosa con cui non posso competere» dice, amareggiato.
Scuoto la testa, con un sorriso.
«Sai
qual è la cosa buffa , Gourry? Che all'inizio ero io quella
gelosa di Joy, del vostro rapporto, di quello che avevate condiviso. Mi
sembrava assurdo credere che avevi avuto un'intera esistenza senza di
me. Una vita in cui io non ero al tuo fianco... mentre lui c’era.
Lui c’era prima di me, e aveva il tuo affetto. Questa cosa mi
mandava fuori di testa.»
«Beh,
i ruoli si sono decisamente invertiti» commenta lui, cercando di
mantenere un tono tranquillo. Io torno a scuotere la testa.
«No,
Gourry. C’è una grossa differenza, sai? Nel rapporto tra
me e Joy, tu ci sei sempre stato. Sempre. Siamo diventati amici grazie
a te; se abbiamo combattuto insieme, l’abbiamo fatto per te. Sei
tu che hai mosso i nostri passi, che hai motivato le nostre
azioni.» Lo guardo, nella penombra del corridoio, e
all’improvviso sento che tutto quello che ci circonda, non ha poi
molta importanza. Contiamo solo io e lui, ciò che siamo
l’una per l’altro. «Tu, Gourry, ci sei sempre. Sei in
tutto quello che faccio. Sei parte di me, la parte migliore.»
Quando
rientro nella mia stanza, dopo avergli augurato la buona notte, sul
ripiano della toletta trovo un meraviglioso bouquet di rose. Sono rosse
come il sole infuocato del tramonto.
«Non
si è mai vista una sposa senza fiori» dice una voce alle
mie spalle. Sollevando gli occhi scorgo, nel riflesso dello specchio
che ho davanti, Joy disteso sul letto. Ha le braccia dietro la testa e
le caviglie incrociate. Sembra del tutto a suo agio. Tra le labbra
tiene quello che, a una prima occhiata, sembra un bastoncino di legno.
Mi volto verso di lui, le sopracciglia aggrottate.
«Ho sbagliato stanza?» chiedo, con un sorriso.
Lui si solleva, facendo spallucce.
«Le
serrature non sono mai state un problema per me, lo sai. Inoltre,
è lo sposo che non deve vedere la sposa, non di certo il
testimone.» Mi guarda, nella penombra della stanza, e mi rendo
conto che mi è mancato, più di quello che sono stata
disposta ad ammettere fino ad adesso. «E poi dovevo portarti i
fiori: senza i fiori, non è la stessa cosa.»
«I fiori si usano ai funerali…» mormoro, distogliendo lo sguardo.
«E ai
matrimoni» dice, togliendosi dalle labbra il bastoncino e
tenendolo tra le dita come se fosse una sigaretta. Nel riflesso della
specchiera, lo vedo avvicinarsi. «Domani non pensare alla morte,
pensa alla vita.»
«Come lo sai?» sussurro. «Come sai che, da allora, non faccio che pensarci?»
«Sarebbe
strano se non lo facessi, Lina. Quando l’hai toccata con mano non
riesci più a levartela di dosso. È successo anche a me,
sai? Ma un giorno qualcuno mi ha detto che sono io a controllare la mia
mente, non il contrario.»
«Doveva essere una persona molto saggia.»
«Assolutamente no: era impulsiva, sconsiderata e decisamente folle.»
«Una bella spina nel fianco…»
«Puoi dirlo forte. È per questo che le rose sono i fiori perfetti per lei.»
Joy si
piega su di me, tanto vicino che riesco a sentire il suo respiro
sfiorarmi il collo. Un profumo pungente mi avvolge per intero.
«Cos’è questo odore?»
«Liquirizia»
risponde Joy, sventolandomi davanti al naso il bastoncino che aveva tra
le labbra. «Ho smesso di fumare. O almeno, ci sto provando.»
«Davvero?»
«Sì. Qualcuno ha definito le mie sigarette ‘vomitevoli’ e mi ha fatto restare male.»
Gli sorrido, scettica, attraverso lo specchio. Il suo viso, vicino al mio, è pallido come la luna.
«Tu che tieni in considerazione la mia opinione? Sei forse impazzito?»
«È
probabile. Anzi, quasi certamente è così…»
sussurra. La sua espressione si fa improvvisamente seria. «Ora
devo andare. Prendi quei fiori, fammi contento.»
«Va bene.»
La sua voce
mi arriva come un sussurro, mentre sta varcando la soglia della mia
stanza. Talmente fievole che non sono certa di averla sentita per
davvero.
«Ti avrei amato, più di qualunque altra cosa. Ma non saresti mai stata mia.»
È una giornata di sole quella in cui dico, finalmente, sì.
Indosso un
meraviglioso abito di velluto verde, un ragionevole compromesso che ho
raggiunto con Amelia dopo interminabili trattative: suntuoso quanto
basta ma verde, come la speranza. Porto i capelli sciolti sulle
spalle, un sottile filo dorato a cingermi la fronte, e in mano ho un
bouquet di rose rosse. Stringo il braccio di mio padre, mentre
attraverso la navata del tempio, e scorgo i sorrisi dei miei amici
riscaldarmi il cuore.
Amelia, Zel, Herman, Anouk.
Joy.
E, infine, Gourry.
Ha un
mantello blu drappeggiato attorno alle spalle, l’elsa della spada
scintilla di riflessi cangianti. Mi sorride, come mi sorrise cinque
anni fa, quando si offrì di accompagnarmi fino ad Atlas city per
difendermi dai briganti. Quanta strada abbiamo percorso insieme, da
allora. E quanta ancora ne percorreremo. Nemmeno la morte può
separarci, ora lo so.
Mio padre mi bacia su una guancia.
«Fai
la brava, non interrompere il sacerdote durante la funzione»
sussurra, apprensivo. Per lui, avrò sempre cinque anni.
«Ci proverò, papà.»
Quando
arriva il momento della promessa, si fa avanti Anouk. Su un cuscinetto
di raso sono adagiati due braccialetti gemelli con un ciondolo di
smeraldo.
Gourry mi
strizza l’occhio: «Come vedi, niente anelli. Inoltre, ho
avuto una soffiata sul colore del tuo abito, così ho
pensato…»
«Sono perfetti» rispondo, con un sorriso.
Ci leghiamo
a vicenda i braccialetti al polso, poi Gourry prende un respiro.
È arrivato il momento della sua promessa e sono sollevata nel
constatare che non ha foglietti macchiati di inchiostro che gli
spuntano dai polsini della tunica.
«Lina»
dice, guardandomi negli occhi. Le sue iridi hanno il colore del cielo
in inverno, quando è terso e respirare risulta difficile, e il
fiato esce come un nuvola, e quando sorridi ti si ghiacciano i denti,
ma tu ridi lo stesso perché sta per nevicare e non conosci
niente di più bello della neve. «Non sono mai appartenuto
ad altri che a te. Questa vita ci ha insegnato che niente è
regalato; che andare avanti, un passo dopo l’altro, costa fatica
e sacrifici; che le salite sono più delle discese, e anche
più lunghe. Ma se tu sarai al mio fianco, io accetterò
tutto ciò che il futuro mi riserverà con animo lieve,
perché tu sei la mia forza. E non ci saranno sfide impossibili e
strade impraticabili: se stiamo insieme, possiamo affrontare ogni cosa,
anche la più difficile. Io ti amo, come non ho mai amato. E
credo in te, come non crederò in nient’altro: sei
l’unica verità che conosco. Sei l’unica vita che
voglio vivere. E ti prometto che resterò al tuo fianco fino al
mio ultimo respiro.»
Prendo il suo volto tra le mani, e il ciondolo di smeraldo si illumina di riflessi.
«Sì,
Gourry, fino all’ultimo respiro. E anche oltre, perché non
c’è confine che possa separarci, ora ne ho la certezza
assoluta.»
E
così, anche The Borderline ha avuto la sua conclusione. Avrei
voluto proseguirla ancora, credetemi, ma, per restare in tema con la
storia, ogni cosa ha una fine. Avevo promesso che l'avrei finita per
Natale, ma tra vacanze rocambolesche, connessioni assenti e influenza,
il finale ve lo regalo per la Befana. Sono comunque soddisfatta di
essere riuscita a mantenere fede a ciò che mi ero
proposta^^ Voglio ringraziare tutte le persone che l’hanno
seguita dall’inizio, e quelle che si sono aggiunte dopo. Ma,
soprattutto, grazie a chi non ha mai smesso di incoraggiarmi a
scrivere: siete voi che da date un senso alle mie parole. Qua sotto
trovate una lista di canzoni che ho ascoltato e riascoltato mentre
scrivevo, ognuna di loro è legata a una scena particolare o a un
determinato capitolo. L’ordine in cui le ho inserite segue
quello della storia.
Vi abbraccio^^
Borderline playlist
1- Boadicea, Enya
2 Bad Day, Daniel Powter
3 Disarm, Smashing pumpkins
4 Labyrinth, Elisa
5 Shadow of the day, Linkin Park
6 Bonfire heart, James Blunt
7 Almeno tu, Mia Martini
8 Bring me to life, Evanescence
9 Snuff, Slipknot
10 Look after you, The Fray
11 Sally’s song, Nightmare before Christmas
12 Let her go, The Passenger
13 Skyfall, Adele
14 Your guardian angel, Red jumpsuit
15 Life after you, Daughtry
16 All of the stars, Ed Sheeran
17 Sono sempre i sogni a dare forma al mondo, Ligabue
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