Gocce di memoria

di Crystal Wright
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'inizio di una seconda possibilità ***
Capitolo 2: *** Una svolta improvvisa ***
Capitolo 3: *** La prima parte della storia ***
Capitolo 4: *** Discorsi e altri problemi ***
Capitolo 5: *** Lascia tempo al tempo ***
Capitolo 6: *** Aria di cambiamento ***
Capitolo 7: *** Cambiamenti drastici ***
Capitolo 8: *** Nulla si crea, Nulla si distrugge. Tutto si trasforma ***



Capitolo 1
*** L'inizio di una seconda possibilità ***


Tris
Sono seduta con la schiena attaccata al muro di uno dei piccoli corridoi del Dipartimento, circondata da corpi esanimi di persone che hanno perso la vita semplicemente perché hanno fatto la scelta sbagliata. Mi rendo conto con un sussulto che la maggior parte di loro sono morti per causa mia. Ma io dovevo pur difendermi, in qualche modo. Difendermi… Mi ritorna alla mente il giorno in cui ho ucciso il mio amico Will per difendermi. Mi sembra che sia successo ieri, mentre ormai è passato moltissimo tempo.
Mi guardo intorno e vedo la Morte disseminata ovunque, dagli occhi vacui della gente a terra alle chiazze di sangue che si allargano man mano che trascorre il tempo. Non riesco a rallentare il battito del mio cuore, né a lasciare la pistola che sto stringendo tanto da farmi male. Probabilmente la mia mano è piena di tagli – dovuti alla presa ferrea che ho sulla pistola – ma non ho intenzione di allentare la presa.
-Tutto bene, Beatrice?- mi chiede mio fratello, facendomi sussultare.
Annuisco, più per convincere me che lui.
Lui annuisce a sua volta e fa per alzarsi, quando io, senza pensare, lo blocco tenendogli il polso. Lui mi guarda stupefatto: prima di intraprendere questa missione suicida, ci siamo presi un po’ di tempo per salutarci a dovere – visto che lui deve sacrificarsi per il bene comune – ma non è facile dire addio a una persona che ami, soprattutto quando è l’unico membro della tua famiglia ancora in vita.
Dopo un momento di esitazione, Caleb mi sfiora la guancia con la mano libera e accenna un sorriso mesto. -Andrà tutto bene.- tenta di rassicurarmi.
Entrambi sappiamo che non sarà così: lui morirà per liberare il siero della memoria, mentre io, molto probabilmente, non riuscirò a uscire intera da qui. E Tobias? Pensare a lui mi fa stringere il cuore in una morsa dolorosa, ma cerco di accantonare la mia preoccupazione per lui e focalizzare l’attenzione su mio fratello.
Caleb. Il fratello maggiore che è sempre stato migliore di me. Caleb. Che non perdeva un’occasione per dimostrarsi un ottimo Abnegante. Caleb. Che ha voltato le spalle ai nostri genitori per passare dalla parte degli Eruditi. Caleb. Che è stato con Jeanine fin dall’inizio. Caleb. Che oggi deve morire.
Una lacrima mi solca il viso. Una piccola lacrima traditrice.
Non posso abbandonarlo, non posso permettergli di sacrificarsi per noi.
-Sai che non andrà affatto bene.- dico, cercando di mantenere ferma la voce.
Lui scrolla le spalle, apparentemente non interessato. Ma io so che non è così: è teso – molto teso – lo riconosco dalla sua mano tremolante, ancora appoggiata alla mia guancia.
Lui pare accorgersi solo ora di aver compiuto un gesto così azzardato e toglie di scatto la mano, infilandola in tasca.
Caleb si gira dall’altra parte, evitando il mio sguardo. Il tempo scorre veloce, ma a me sembra che si sia congelato. Ci siamo solo noi, come quando eravamo piccoli, dopo aver litigato. Solo noi due, pronti per fare pace.
Mi alzo velocemente, sentendo le gambe cedermi improvvisamente. Evito una caduta clamorosa solo perché mi tengo al muro.
-Resta qui.- lo supplico.
Caleb non si gira, ma sento i suoi nervi tendersi immediatamente.
-No.- si schiarisce la gola -Ho una missione da compiere.-
-Lascia che vada io al tuo posto.-
-Perché dovresti?-
-Perché ti voglio bene.-
Il mio è poco più di un sussurro, ma lui si gira velocemente e mi guarda finalmente negli occhi. Scorgo il guizzo di una punta di risentimento, dolore e solitudine. Me dura solo un attimo, quindi è probabilmente frutto della mia fantasia.
-Caleb…- dico, ma lui alza una mano per farmi segno di tacere.
Chiude per un attimo gli occhi e, quando li riapre, non vedo più il ragazzino di una volta. Vedo un uomo, determinato a portare a termine ciò che ha iniziato. Il suo viso è stanco e sembra più vecchio di quanto sia realmente.
-Anche io ti voglio bene. È proprio per questo che devo farlo io. Me lo merito.-
Sto per ribattere, quando lui mi abbraccia di slancio, lasciandomi senza fiato. Lo sento singhiozzare sulla mia spalla un paio di volte e lo stringo con tutta la forza che mi rimane, aggrappandomi a lui come se potesse tirarmi fuori da quest’incubo che sto vivendo.
Alla fine Caleb scioglie il nostro abbraccio e, a malincuore, lo vedo allontanarsi verso il Laboratorio Armamenti senza voltarsi. Quando sparisce oltre il corridoio, mi accascio lentamente contro il muro, mentre un’altra lacrima scende sul mio viso. Non ho la forza di asciugarla, né di alzarmi. Ho perso mio fratello. Ho perso la mia famiglia. Ora posso contare solo su Tobias.
 
Caleb
Erano mesi che non provavo un sentimento del genere. Avevo dimenticato cosa significhi amare ed essere amati. Percorro il corridoio che mi porterà nel Laboratorio Armamenti come un automa, senza riflettere davvero a ciò che sto facendo.
Destra. Sinistra. Sinistra. Destra. Destra.
Svolto per l’ultima volta e vedo la targhetta con la scritta Laboratorio Armamenti. Il mio cuore fa un guizzo, ma non ho intenzione di abbandonare tutto proprio adesso. Credevo di essere come Jeanine, capace di vivere da solo e senza rimpianti.
Ho scoperto che non è così. Quando, poco fa, ho salutato davvero per l’ultima volta mia sorella, mi sono reso conto di non poter sopportare altro dolore. Così me ne sono andato velocemente, sperando che Beatrice non mi vedesse piangere.
Ora sono qui, davanti alla porta. Faccio un respiro profondo e tiro fuori il detonatore e l’esplosivo dallo zaino. Lo appoggio contro la sbarra sulla porta e lo blocco abbassandone i ganci. Mi accovaccio dietro una delle porte che Nita ha sfondato precedentemente e premo il pulsante del detonatore, coprendomi le orecchie.
Il boato dell’esplosione mi fa rimanere intronato per mezzo minuto. Quando mi decido finalmente di alzarmi, sento alcune persone correre verso di me. Mi giro appena in tempo per notare che sono guardie e mi butto da un lato, evitando di essere colpito dai loro proiettili.
Intuisco che sono in due. Tiro fuori la pistola dai pantaloni con mano tremante e faccio un respiro profondo, stringendo l’arma con entrambe le mani. Ho paura. Paura di non riuscire a portare a termine la mia missione. Paura di deludere ancora una volta Tris e, indirettamente, i miei genitori. Del resto sono morti per salvarci e io devo loro la vita.
Sparo senza pensare veramente a ciò che sto facendo. Due colpi vanno a infrangersi contro una porta a vetri di un laboratorio adiacente, mandandola in frantumi. Ho guadagnato un po’ di tempo per riprendere fiato. Mi sporgo lentamente, tornando subito a nascondermi sentendo un proiettile sfiorarmi la faccia.
Respiro profondamente  e cerco di ricordarmi i consigli che mi ha dato Tris: prendere la mira, sparare.
Ora non mi sembra più tanto semplice. Ma esco comunque dal mio nascondiglio, sparando prima alla cieca e poi prendendo la mira. Il proiettile di una delle guardie mi si conficca nella spalla, ma l’adrenalina è più forte del dolore e riesco a uccidere entrambe le guardie, prima che siano loro a farmi fuori.
 
Tris
Sento il cuore esplodermi nel petto.
Ogni minuto che passa la stretta morsa che ho sul cuore si stringe sempre di più. Non so più cosa pensare. Caleb sarà in grado di portare a termine la sua missione. O morirà prima di riuscire a schiacciare il pulsante verde?
Un brivido mi percorre la schiena: morire. Non voglio che mio fratello muoia, ma so che è inevitabile.
Sento un’esplosione rimbombare nei corridoi e nelle mie orecchie. Mi giro senza pensarci verso il suono, cercando di ristabilire un battito cardiaco che rientri nella norma.
Mentre riprendo lentamente il controllo del mio corpo, sento in lontananza dei passi. Sono veloci. Almeno cinque persone stanno correndo nella mia direzione, intenzionate ad arrivare al Laboratorio Armamenti. Ma io non glielo permetterò. No. Probabilmente ora mio fratello è dentro il Laboratorio, con il siero della morte che inizia a circolare nel suo corpo.
Devo salvarlo. Glielo devo.
Racimolo un po’ di forza e mi nascondo dietro una porta aperta, studiando il corridoio verso dove si stanno avvicinando gli uomini. Quando arrivano, noto che avevo ragione: sono in cinque. Cinque guardie attente e con in mano una pistola per uno.
Faccio un respiro profondo, mentre uno di loro si stacca dal gruppo per correre velocemente verso il Laboratorio.
Non lo farai. Penso. Anche il mio corpo la pensa esattamente come me, tanto che, senza aver ricevuto nessun ordine, scatta in avanti piantando una pallottola perfettamente al centro della fronte della prima guardia. Le altre quattro, allarmate, si nascondono nelle altre porte, sparando senza sosta nella mia direzione.
Ho dalla mia parte il vantaggio della sorpresa, visto che non sanno chi io sia. Mi impongo di mantenere il sangue freddo e sparo verso le guardie, correndo a rifugiarmi nella sala davanti a quella dove ero fino a poco fa.
Sento i proiettili sfiorarmi il corpo, ma mi impongo di non perdere la calma. Lo stai facendo per lui. mi ripeto, mentre mi butto di peso nella stanza. Solo per lui.
Continuo a sparare – a volte all’impazzata e a volte prendendo la mira – e sento finalmente un grido di dolore: ho colpito una guardia. Mi sporgo leggermente, prendendo bene la mira sull’uomo ferito. Sparo. Un corpo si affloscia a terra esanime, non prima di aver sparato a caso, colpendo involontariamente un compagno in pieno petto.
Anche il terzo uomo si accascia contro il muro. Ora sono rimasti in due. Non riesco a comprendere una sola parola di quello che stanno dicendo, tanto è forte il pulsare del sangue nelle orecchie.
Mi sporgo ancora e sparo. Dalla pistola non parte nulla. Ho finito i proiettili. Impreco tra i denti serrati e mi sbrigo a tornare nell’altra sala, raccogliendo una pistola da terra. È ancora intrisa del sangue della guardia che ho ucciso prima che Caleb se ne andasse.
Caleb. Sparo facendo appello a tutto l’addestramento che ho avuto fino a oggi, uccidendo con facilità le restanti guardie. Mi sporgo lentamente oltre la soglia della stanza per controllare che non ci siano altri uomini. Via libera.
Esco dal mio nascondiglio e mi appoggio contro il muro. Sento le braccia dolermi e le gambe abbandonarmi. Mi ritrovo in una manciata di secondi a terra, con la schiena poggiata contro il muro e le braccia mollemente adagiate sulle gambe.
Non ho più forze neanche per sperare che Caleb riesca nella sua impresa.
 
Caleb
Solo ora mi accorgo che il dolore alla spalla si sta facendo insopportabile e che il sangue esce copiosamente dalla ferita. Mi tolgo la giacca e la spingo contro la ferita con una smorfia per fermare l’emorragia. Non posso perdere altro tempo. Accelero il passo ed entro finalmente nella piccola stanza bianca in cui c’è ciò che cerco: il siero della memoria.
Infilo velocemente la tuta che – teoricamente – ritarderà l’effetto del siero della morte.
Entro nel vestibolo, sentendo il siero della morte liberarsi nell’aria. Cerco di respirare meno possibile anche se, nel giro di cinque minuti, sento i polmoni bramare aria pulita.
Arrivo alla porta a due battenti che mi separa dal centro di controllo del siero, mentre sento la morte entrare nel mio corpo come una dolce pomata. Lasciati andare. Mi dice. E non avrai più bisogno di soffrire.
Stringo i denti. No. Lo sto facendo per la mia famiglia. Per sentirmi almeno un po’ degno di loro.
Quando spingo la porta, sono armai senza forze. Mi accascio a terra, ancora troppo lontano per riuscire a schiacciare il pulsante. Le gambe non rispondono più ai miei movimenti e una lacrima mi solca il viso. Temo di non farcela. Temo di non essere all’altezza della situazione. Ho paura che i miei genitori si siano sacrificati per nulla.
Ho paura. Sento che il mio corpo non risponde agli stimoli e inizio a singhiozzare. Perdonatemi, continuo a ripetere nella mente. So che forse loro lo faranno, perché in fin dei conti sono i miei genitori; ma so anche che, se non porterò a termine la missione, non perdonerò mai me stesso.
Annuisco lentamente, anche se la testa inizia a vorticare e a pesarmi. Strisciando sui gomiti – mentre la ferita sulla spalla pulsa dolorosamente – arrivo fino al pannello di controllo del siero. Ce l’ho fatta, penso.
Alzo il braccio ancora sano, mentre un brivido percorre tutto il mio corpo. Vedo il braccio tremare talmente forte da non riuscire a comporre la combinazione. Prendo un respiro profondo e compongo la combinazione: 080712. Dopo aver inserito il codice – con un sorriso genuino che non credevo neanche di poter avere – premo il pulsante verde, sprigionando così il siero della memoria. Lascio cadere il braccio, che sbatte malamente sul pavimento. Mi accascio completamente a terra, abbracciando le ginocchia.
È fatta. Penso. Abbiamo vinto. Mentre il sorriso sulle mie labbra si allarga, il mio campo visivo ormai pieno di macchie distingue la forma sfocata di un uomo. Quando si avvicina su una sedia a rotelle, quasi correndo, le orecchie riescono a captare una parte di quello che sta dicendo.
-TU!- urla David, mantenendo una misera distanza di venti centimetri e – sebbene sia su una sedia a rotelle – troneggiando su di me.
Lo vedo abbassare velocemente lo sguardo a terra e i suoi occhi riempirsi di paura: il siero della memoria sta facendo effetto. Poco prima di cadere a terra, però, spara all’impazzata nella stanza. Sento indistintamente diversi proiettili conficcarmisi nella carne, ma ormai non ci bado più: sto morendo.
Chiudo gli occhi, abbandonandomi al torpore che la morte porta con sé.
Vedo mia madre, con gli occhi lucidi, che mi si avvicina lentamente. Mio padre le ha poggiato una mano sulla spalla e sorridono entrambi beatamente.
-È finita?- chiedo.
Mia madre annuisce. -Sì, Caleb. È finita.-
Annuisco anche io un paio di volte, ma poi penso a Beatrice. -Starà bene?-
Sorridono entrambi e allungano le mani verso di me. -Non devi preoccuparti: tua sorella è forte. Li hai salvati tutti, Caleb. Sei il nostro eroe.-
Non oso ribattere, anche se so benissimo di non essere altro che un vigliacco traditore. Vedere i miei genitori risveglia in me un moto di inconcepibile allegria. Tendo anch’io le mani verso di loro, aspettando di andare con loro in un posto felice, lontano dai pericoli della vita e, finalmente, lontano dal senso di colpa.

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Capitolo 2
*** Una svolta improvvisa ***


Gocce di memoria
Capitolo 2: una svolta improvvisa
 
Tobias
Il viaggio per tornare alla residenza è un inferno: le jeep traballano sul terreno irregolare e io non faccio altro che pensare a Zeke, a sua madre, al momento in cui ho detto loro che – per colpa mia – Uriah morirà.
Quando passiamo il confine della città, la neve ricomincia a scendere lieve, quasi con timore di disturbare.
Christina, davanti a me, inizia una conversazione. –Hai iniettato il siero ai tuoi genitori?-
Alzo lo sguardo su di lei e farlo mi costa troppa forza. –Sì. È tutto sistemato.-
Lei si rilassa visibilmente, nascondendo la faccia nelle mani per coprire un sorriso. So cosa sta pensando: Siamo tutti salvi. Cerco di pensarci anche io, ma ogni volta che il mio cervello capta la parola salvi, vedo Uriah che mi sorride. Anche io nascondo la faccia nelle mani, ma per non far vedere che sto piangendo in silenzio.
Intorno a me Zeke e sua madre si meravigliano di come sia il mondo al di fuori della recinzione; Amar, ogni tanto, interrompe la loro conversazione per aggiungere un dettaglio qua e là di un edificio o di una strada. Io, invece, me ne sto seduto, in silenzio, aspettando che il tempo faccia il suo corso. Osservo la neve, libera di posarsi dove vuole, anche se scende solo in un determinato periodo dell’anno.
Finalmente arriviamo alla residenza e, dopo essere scesi, entriamo nell’edificio. È deserto. Caleb deve essere riuscito a resettare la memoria di tutti coloro che erano all’interno.
Solo noi – che si siamo iniettati l’antidoto al siero della memoria – abbiamo mantenuto i nostri ricordi. Da oggi inizierà un nuovo mondo, in cui io e Tris potremo finalmente vivere come una coppia felice. Dopo tante preoccupazioni, tanti dolori e tante perdite, potremo davvero vivere felicemente insieme.
Il sorriso che mi increspava le labbra fino a un momento fa svanisce immediatamente quando incontro lo sguardo angosciato di Cara. Ha un brutto livido in faccia e la testa bendata, ma non riesco a staccare gli occhi dal suo sguardo triste.
-Che è successo?- le chiedo avvicinandomi lentamente.
-Mi dispiace, Tobias.- risponde Cara, scuotendo la testa.
-Ti dispiace per cosa?!- urla Christina, visibilmente in preda al panico.
Il mio cuore perde un battito. -Si tratta di Tris?-
Cara abbassa lo sguardo a terra, annuendo impercettibilmente.
Christina e Cara iniziano a parlare con un tono infervorato, mentre io mi ritiro in me stesso, cingendomi il petto con le braccia. Non può esserle successo qualcosa. Tris è viva. È viva. Deve essere viva.
Christina mi posa una mano sulla spalla e io non ho neanche la forza per sobbalzare.
-Quattro, devi ascoltarmi.-
Io scuoto la testa. Non voglio ascoltarla.
-Quattro!-
Il suo tono insistente mi fa alzare gli occhi verso il suo viso e mi pento immediatamente, notando uno sguardo triste e angosciato.
-Tris è…- chiedo con un filo di voce.
-Viva.- risponde lei.
Mi alzo di scatto. Se Tris è viva… perché allora ha quel volto provato? Il peso che avevo sul petto si allontana immediatamente. Tris è viva.
Anche Christina si alza, ma molto lentamente.
-È viva, certo.- continua lei -Ma l’antidoto al siero della memoria su di lei non ha funzionato. Tris ha perso la memoria.-
 
Tobias
Tris ha perso la memoria.
Dopo che Christina mi ha dato la notizia, tutti i suoni intorno a me si attutiscono improvvisamente. Probabilmente Christina e Cara mi stanno parlando, ma le parole mi arrivano come se fossi dentro l’acqua.
Tris ha perso la memoria.
Tutto ciò che abbiamo fatto insieme, tutto quello che abbiamo vissuto… è andato perso. Il primo bacio, la prima carezza, la ruota panoramica, il mio scenario della paura, la guerra contro gli Eruditi e quella contro il Dipartimento…
Tris ha perso la memoria.
Il sacrificio dei suoi genitori, perfino quello di suo fratello. Non ricorda più nulla. Non ricorda neanche me. Nulla di ciò che abbiamo passato. I dolori e le gioie, le guerre e i momenti di pace. Non le è rimasto nulla. E tutto perché qualcuno, un bel giorno, ha deciso di modificare i nostri geni.
-…bias. Tobias!-
Christina mi scuote violentemente, risvegliandomi solo in parte dai miei pensieri.
-Tobias, alzati!- continua lei, stringendomi con forza il braccio destro.
Mi accorgo solo ora che sono accasciato a terra, sulle ginocchia. Il mio cuore batte furiosamente e non riesco a smettere di ansimare. Lei si abbassa sulle ginocchia, per avere il mio volto alla sua stessa altezza, senza lasciare la sua presa salda sul mio braccio.
-Tobias…- Ora il suo tono è molto più calmo, oserei dire… gentile. Aspetta ancora un attimo, quel che basta per farmi recuperare un po’ di colorito in faccia. Sento i polmoni in fiamme, la testa che sta per esplodermi. Faccio appello alle ultime forze che mi rimangono e incrocio il suo sguardo. Riconosco in lei i miei comportamenti: sta soffocando il suo dolore per non gravare su di me, ma so che deve essere dura anche per lei. In fondo Tris è anche una sua amica. O almeno lo era, prima che tutto questo prendesse una piega sbagliata.
Mi fa un mezzo sorriso. Anche se riconosco che c’è qualcosa di falso, mi sforzo di sorridere a mia volta. Il comando, però, non arriva ai miei muscoli facciali, che preferiscono rimanere immobili. Provo allora a cambiare ordine: alzati, impongo al mio corpo.
Sento Christina vicino a me aiutarmi a rimettermi in piedi. Con non poca fatica riesco nel mio intento. Ora però arriva la parte peggiore.
-Dov’è?- sento dire dalla mia voce. È tremolante, probabilmente sto ancora piangendo, ma non riesco a focalizzare ciò che mi circonda, tanto meno ciò che mi è appena successo.
-In infermeria.- mi risponde Christina con un sussurro. –Sta bene.-
Scuoto lentamente la testa. Non sta bene. Non può stare bene. Ha appena perso la memoria, tutti i suoi ricordi sono appena andati in fumo. –Devo vederla.-
Christina scuote piano la testa. Sembra che il solo gesto le causi un dolore fortissimo. –Meglio aspettare domani. Abbiamo tutti bisogno di tempo per rimetterci in sesto.-
-Non io.-
-Quattro…-
-Devo vederla!- urlo. Il panico mi sta assalendo e la mia testa è piena di domande di ogni tipo. È veramente viva? O non vogliono farmela vedere solo per placare un po’ la mia rabbia? È gravemente ferita?
Mente nella testa mi frullano tutti questi pensieri, scatto verso le scale. La troverò, che loro lo vogliano o meno.
-Quattro, fermati!- urla Amar dietro di me. Non lo ascolto. Non ne ho voglia. Tutto ciò che mi serve in questo momento è stringere la mia Tris tra le braccia, accarezzarle i capelli e sussurrarle che andrà tutto bene.
Sono molto veloce, per questo riesco a mettere una notevole distanza tra me e Amar, che mi sta inseguendo per le scale.
Salgo al piano superiore e spingo una grossa porta spessa con un cartello sbilenco su cui è scritto Infermeria. Sento il cuore accelerare sempre di più, ora che sono più vicino a Tris. Mentre procedo con passo sostenuto lungo il corridoio, gettando occhiate fugaci in ogni stanza, sento che il nostro incontro è vicino.
Tra poco sarà di nuovo con me.
Senza che comandi niente, il mio corpo gira improvvisamente a destra. Entro in una piccola stanza con i muri bianchi; al centro c’è un letto in ferro, su cui è adagiata una persona, attaccata a decine di macchinari attraverso altrettanti fili. Mi guardo intorno: la stanza è vuota.
Mi avvicino al letto lentamente. Guardo la persona sdraiata, anche se la mia mente mi urla di non farlo. È Tris. La mia piccola e indifesa Tris. Sembra più piccola di stamattina, quando le avevo augurato di stare attenta. Sembra un angelo. È il mio angelo.
Mi avvicino ancora, sfiorandole il volto con mano tremante. Tutto a un tratto Tris spalanca gli occhi e mi fissa con sguardo impaurito, come se non mi riconoscesse. So che non è così. Devo solo spiegarglielo.
-Hey, Tris.- le sussurro dolcemente.
Lei si ritrae dalla parte opposta del letto, tirando i fili collegati ai macchinari. Mi guarda con sgomento per un po’. Poi risponde al mio saluto, congelando il mio sorriso all’istante.
-E tu chi sei?-
 
Tris
La testa mi sta scoppiando. Non riesco a tenere gli occhi aperti per la troppa luce della stanza. Mi hanno chiusa qui dentro, tra quattro mura spoglie, e mi hanno attaccata a macchinari assurdi perché hanno paura di non so che cosa. Vorrei alzarmi e urlare: Ehy! Anche io sono un essere umano!
Ho trascorso gli ultimi dieci minuti – o forse è passata un’ora? – a vedermi passare vicino medici e ancora medici. Tutti entravano, guardavano i risultati di questa o quell’altra macchina, e se ne andarono senza neanche degnarmi di uno sguardo. All’inizio avevo provato a chiedere di dirmi perché ero lì, ma nessuno mi ha mai risposto. Così me ne sto in silenzio in silenzio su questo lettino freddo e duro in attesa del verdetto finale.
Sento una mano posarmisi sulla guancia. Credo che sia un infermiere, così apro finalmente gli occhi e impegno qualche istante per riconoscere la figura in piedi davanti a me. Ho la vista ancora un po’ appannata, ma i medici mi hanno detto che è solo un qualcosa di passeggero.
Sicura di trovare un infermiere, mi rendo però conto che un uomo mi sta fissando. Probabilmente è un pazzo pluriomicida, visto il modo in cui mi guarda, venuto a mietere l’ennesima vittima. Ma io sono legata a questi congegni elettronici e non posso muovere muscolo.
-Hey, Tris.- mi dice il pazzo con un sorriso.
Mi ritraggo sul lato opposto del letto, anche se sento che i fili collegati alle mie braccia non reggeranno a lungo. Valuto le opzioni: potrei mettermi a urlare, ma forse ha già un coltello in mano, in attesa che io faccia un passo falso; o magari potrei tirargli dietro la mascherina dell’ossigeno, sperando di rompergli il setto nasale, ma in questo caso probabilmente lo farei infuriare ancora di più; forse potrei persuaderlo a lasciarmi in vita, ma non so se riuscirò a convincerlo.
Opto per l’opzione più semplice: prendere tempo. –Chi sei?- gli chiedo.
Lui mi guarda sgomento, poi perplesso, poi passa a uno sguardo attonito e infine scoppia a piangere. Ho paura che il pazzo omicida sia anche bipolare. Sbarro gli occhi, ma questo non lo calma. Le sue lacrime sono lente e silenziose e sento qualcosa stringermi il petto. Magari è solo un altro paziente in cerca di compagnia.
-Non piangere.- cerco di farlo ragionare. –Non volevo dire quello che ho detto. Se non vuoi dirmi come ti chiami, non importa. Sei anche tu qui per il mio stesso motivo? Uhm… io effettivamente non conosco il motivo per cui mi stanno trattando come una cavia da laboratorio, ma se vuoi possiamo trovare un piano per evadere. In tutta sincerità questo posto non mi sembra tanto sicuro.-
L’uomo smette di piangere e mi guarda negli occhi sorridendo. Meno male: avevo finito le parole. –on sei cambiata affatto. Trovi sempre un modo alternativo per farla franca. O cacciarti nei guai, ovvio.-
Lo guardo sbalordita. Ma che cosa vuole quello sconosciuto?
Lui però continua a fissarmi con occhi sognanti. È un qualche rappresentante di una setta che vuole entrarmi nel cervello e scoprire i miei pensieri più remoti? Beh, allora dovrà passare più tardi, visto che ho un’emicrania che potrebbe stendere un elefante.
-Non ricordi proprio nulla?- incalza lui.
Scuoto lentamente la testa, cercando di capire dove vuole andare a parare. Sembra un uomo intelligente – ed è anche molto bello, tutto sommato – ma non riesco a comprendere cosa vuole che ricordi. Glielo chiedo.
-Cosa dovresti ricordare?- ripete lui con un sorriso per niente felice. Sembra appena uscito da una guerra. Ha negli occhi gli spettri della morte, lo riesco a vedere. Oltre questo, nient’altro. –I momenti trascorsi insieme, per esempio. La ruota panoramica, i guai in cui ti sei cacciata. I nostri scenari della paura. La g…-
- Quattro!- urla un uomo entrando nella stanza. Non riesco a focalizzarlo bene, ma suppongo sia abbastanza maturo d’età. Guarda prima l’uomo davanti a me, poi me, poi ancora lui.
-Devi uscire.- il tono dell’uomo con cui prima stavo parlando è quasi minaccioso.
L’altro scuote la testa, evidentemente affaticato. –Vieni via, Quattro. Lascia che siano i medici a fare il loro lavoro.
-Tu non capisci, Amar! Io la amo e loro me l’hanno portata via! Io posso aiutarla!-
Vedendo la mia espressione scandalizzata, smettono entrambi all’improvviso di parlare. Si scambiano un’occhiata infelice, poi l’uomo vicino a me inizia a parlare lentamente. –Cara aveva ragione: Tris non ricorda niente. Non ricorda nemmeno me. Mi ha chiesto chi sono…-
L’uomo alla porta si avvicina lentamente, prende sotto braccio l’altro e lo accompagna fuori, sussurrandogli qualche parola di conforto.
Cerco di allungarmi un po’ per sentire cosa dicono e involontariamente stacco un qualche filo collegato al mio braccio. Inizio a vedere macchie nere, poi tutto si fa scuro e perdo il senso del tempo.


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*Voce di Quattro fuoricampo* Benvenuti tra gli Intrepidi!
Ciao a tutti, Divergenti! Nel primo capitolo non ho riservato neanche un paio di righe allo "spazio autrice" perché ero troppo contenta di pubblicare questa mia prima fanfiction. Quindi... ne ritaglio un pezzetto ora :) Che dire... Vi prego di commentare (positivamente o meno) e lasciare recensioni, così da aiutarmi a rendere questa fanfiction migliore. Inoltre spero che vi emozioniate a leggerla tanto quanto io mi sono divertita a scriverla. 
A presto e ricordate che... questo non è reale. (cit.)
Crystal 

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Capitolo 3
*** La prima parte della storia ***


Gocce di memoria
Capitolo 3: la prima parte della storia
 
Tobias
Amar mi prende per un braccio e mi accompagna fuori.
-Riusciremo a sistemare tutto, vedrai.- mi sussurra. Io scuoto la testa, incapace di parlare. Tris ha appena ammesso di non ricordare nulla di me. Come potrebbe tornare tutto come prima?
Appena metto piede fuori dalla stanza, sento Tris dietro di me emettere un verso strozzato. Mi giro su me stesso, appena in tempo per vederla svenire sul lettino. In preda al panico, corro da lei e cerco di soccorrerla. Non sono un medico, ma in guerra sono riuscito a salvare qualche vita.
Lancio uno sguardo ai monitor ed entro subito in uno stato di choc: i suoi valori sono precipitati velocemente e il battito cardiaco è quasi nullo. Il panico mi assale nuovamente, stavolta con un’ondata maggiore: non posso perdere anche lei.
Rimango lì a fissarla finché alcuni medici in camice bianco non mi spingono fuori dalla stanza. Il mio corpo protesta, ma sono consapevole del fatto che loro possono salvarla in qualche io. Io sarei solo d’intralcio. Appena varcata la soglia della stanza, un paio di infermieri chiudono le porte spesse e mi lasciano lì, a fissare la maniglia, mentre aldilà del muro la mia vita sta morendo.
Sento la voce calda di Cara che mi conduce fino alle sedie lì vicino. Fisso la porta per altri interminabili minuti, poi sposto lo sguardo da un’altra parte, dato che mi stanno bruciando gli occhi di dolore. Incrocio lo sguardo di Christina, pieno di lacrime. Ho voglia di prendere a pugni qualcuno, di farmi sentire, di urlare al mondo le ingiustizie che ci sono capitate. Eppure non muovo un muscolo. Non ne ho la forza. La scena di prima mi ha lasciato inerme.
Appoggio i gomiti sulle ginocchia e lascio cadere la testa in avanti. Mi chiudo nel mio dolore, sperando che tutto questo passi presto. Mentre prego che Tris si risvegli, passano forse cinque minuti, magari dieci, mezz’ora, un’ora… ho perso la concezione del tempo.
Alla fine, quando sento i muscoli urlare di muovermi, una voce mi sveglia dal mio stato di catalessi.
-I valori sono stati ristabiliti.- ci informa una dottoressa. –Ora è di nuovo sveglia.-
-Quante volte è successo?- chiede Amar, seduto accanto a me. Non avevo fatto caso che aveva preso posto vicino a me.
-Intendi quante volte è svenuta?- Amar annuisce e lei continua. Ogni parola è una pugnalata al petto. –Questa è l’ottava. Da quando l’avete portata qui è svenuta molto spesso, tanto che a un certo punto credevamo non ce l’avesse fatta. Ma è una donna forte.-
Amar annuisce e ringrazia la dottoressa, pregandola di mantenerci informati. Poi si rivolge a tutti noi. –Ora non possiamo fare niente per Tris. Probabilmente la terranno qui per un po’, almeno finché i valori non si stabilizzeranno definitivamente. Tutto quello che possiamo fare ora è andarci a fare una doccia e riposare un po’.-
Mi rendo conto che mi sta guardando, ma non ho intenzione di alzarmi da questa sedia. –Io rimango qui.- dico soltanto.
Amar non insiste. Mi conosce abbastanza bene da capire quando non sono in vena di chiacchiere. E questo è uno di quei momenti. Cara e Christina, dopo avermi lanciato occhiate fugaci, scendono di nuovo di sotto. Mi chiedo dove andranno: le nostre fazioni ormai saranno inagibili; ci saranno corpi esanimi ovunque.
Ora siamo fuori da quella realtà. Fuori da quell’esperimento mal riuscito. Dovrei essere contento, al settimo cielo, sapendo che ora sono un uomo libero, non più una cavia da laboratorio. Eppure le uniche persone che amo veramente sono entrambe in fin di vita, attaccate a macchine infernali che hanno il potere di decidere delle loro sorti. E una di loro è in quello stato per colpa mia.
Sento che il senso di colpa mi sta uccidendo lentamente, perciò devo trovare qualcosa da fare prima di diventare pazzo. Mi alzo lentamente da quella sedia scomoda, stiracchiando un po’ le gambe. Mi sporgo in avanti per tentare di vedere Tris, ma la porta è chiusa dall’interno. Non riesco a vederla nemmeno da una piccola finestra, perché è stata oscurata con qualche strato di vetro nero.
Devo lottare contro le mie paure, comportarmi come se ci fosse una via d’uscita, un modo per dimenticare tutto quello che ci è accaduto, eppure non dimenticarlo totalmente. Le vertigini mi assalgono, proprio come quando ero un iniziato tra gli Intrepidi e dovevo buttarmi dai palazzi. Allora credevo che non avrei mai sperimentato paura più grande, eppure adesso sono qui, sperando con tutte le forze che tutto torni come era prima. Io, Tris, Uriah, i nostri amici… tutti salvi. Ma so che non è così, dato che ho visto solo qualche ora fa decine di persone perdere la vita per cercare di ottenere un futuro migliore. O solo un futuro.
Mi sfrego con forza il volto e sento la stanchezza minacciare di farmi cadere. Mi appoggio contro il muro per qualche secondo, poi mi deciso a scendere al piano di sotto. Farò una doccia, poi tornerò da Tris, a vegliare su di lei.
Appena scendo le scale, trovo Amar ad aspettarmi seduto sull’ultimo gradino. Si gira e mi guarda con un sorriso stanco.
-Finalmente ti sei deciso a darti una lavata.-
Sono troppo spossato per rispondere, quindi annuisco solamente. Lui si alza lentamente e mi conduce in una piccola stanza in fondo al corridoio. Anche questa, come la camera in cui dorme Tris, è completamente bianca; c’è una piccola finestrella da cui non si vede altro che campi coltivati; c’è anche un piccolo letto, esattamente come quello di Tris. Una porta in fondo alla stanza conduce a un minuscolo bagno.
-Fai con comodo.- mi rassicura Amar. –Ti chiamerò io quando si risveglierà.-
Anche se non lo guardo, sento i suoi passi allontanarsi. Chiude la porta e il rumore si perde nel corridoio. Ora che sono solo scoppio di nuovo a piangere. Mi era capitato pochissime volte di dover scaricare tutto il dolore e la tensione in questo modo, ma devo dire che è davvero liberatorio.
Prendo a pugni quel lettino bianco già sgangherato, poi, terminate le forze, mi accascio a terra con la testa fra le mani. Rimarrò così ancora un po’, giusto il tempo di recuperare la stabilità, poi mi farò una doccia.
 
Tris
Apro gli occhi. Sono ancora nella stanzetta bianca in cui mi hanno rinchiuso; noto qualcosa, però: non sono più legata con decine di fili a altrettanti macchinari. Sento la voce di un’infermiera provare a rassicurarmi. –Ora va tutto bene. Sei svenuta altre volte, ma adesso i tuoi valori sono più che stabili. Puoi provare ad alzarti, se vuoi.-
Annuisco, anche se il gesto mi procura una scossa di mal di testa. Mi giro comunque nella direzione opposta, poggio lentamente i piedi per terra, avvertendo il gelido pavimento sotto di me. Mi faccio forza con le mani e provo ad alzarmi, ma le forze non mi bastano a ricado indietro, sul letto.
-Posso aiutarti…- si offre l’infermiera, ma voglio riuscirci da sola.
Aspetto ancora qualche decina di secondi, poi ci riprovo. Alla fine riesco a mantenere l’equilibrio in piedi e sorrido all’infermiera, che ricambia il mio gesto, sebbene un po’ titubante.
-Posso andarmene ora?- chiedo speranzosa.
Lei apre la bocca per rispondere, ma poi la richiude di scatto. Davanti alla mia espressione allibita, lascia di corsa la stanza e sparisce oltre la soglia della porta. Rimango in piedi, perplessa, chiedendomi se magari non sono finita in un qualche ricovero per pazzi.
Poco dopo, insieme all’infermiera, entra l’uomo di prima. Quello che, se non ricordo male, si chiama Amar.
-Ciao Tris.- mi saluta dolcemente. –Come stai?-
-Come se un treno mi fosse appena passato sopra.-
Lui sorride. –Ti passerà, vedrai.-
-Lo spero proprio.-
Segue un momento di imbarazzante silenzio, così ne approfitto per fare anche a lui la domanda che avevo rivolto poco fa all’infermiera.
-Mi dispiace dirtelo, ma dovrai rimanere qui per un altro po’. Giusto il tempo di accertarci che stai bene e che non avrai altre ricadute.-
-Ma io mi sento bene.- cerco di protestare.
-Uhm… eppure ero convinto di averti sentito parlare di un treno…-
-È qualcosa di passeggero. Presto starò meglio.-
Lui annuisce, ma non aggiunge altro. Così apro un discorso che mi tiene la mente ingombra fin da quando mi sono svegliata. -Sai cosa mi è successo? Perché non ricordo niente?-
Lui si passa distrattamente una mano tra i capelli. Intuisco che vuole perdere un po’ di tempo, ma alla fine, incontrando i miei occhi, si lascia sopraffare dalle emozioni. Tutto a un tratto il suo viso si fa spigoloso, rendendolo più vecchio di quanto non sia in realtà.
-Siediti, Tris.- obbedisco all’istante e lui prende posto vicino a me. –Devi sapere che… no. Partiamo dal principio. Partiamo da te. Il tuo vero nome è Beatrice Prior. Fai parte di un esperimento… anzi, facevi parte di un esperimento… condotto in diverse città americane, tra cui la città in cui sei nata e cresciuta, Chicago. Lo scopo di questi esperimenti era di ricreare persone con “geni puri”, visto che in passato l’America era stata scossa da una guerra civile tra persone geneticamente modificate e pure. Qualche tempo fa è stato pubblicato un video da una certa Edith Prior che ha chiesto di mandare alcuni dei nostri fuori dalla recinzione di Chicago. Intanto, però, la nostra città, che era inizialmente divisa in fazioni, si vede costretta a combattere una sanguinosa guerra intestina. Sono morte tante persone, Tris, davvero tante. Magari un giorno ti spiegherò di quella che era la gerarchia di Chicago, ma per ora ti basta sapere questo: a un certo punto è scoppiata un’enorme guerra tra Esclusi e Alleanti (ribelli che facevano parte delle fazioni). Il Dipartimento, esterno alla città, ha deciso di resettare la mente di tutti i cittadini per ristabilire l’ordine. Ma tu, da eroina quale sei, sei riuscita a far cadere tutti i pregiudizi che questa gente aveva sui geneticamente modificati e insieme abbiamo riportato la pace, sebbene con diverse perdite.-
Arresta il flusso di parole, lasciandomi il tempo di assimilare il tutto. Sono appena sopravvissuta a un’enorme guerra civile, scoppiata dopo aver scoperto che eravamo tutte cavie da laboratorio per ristabilire un gene che l’uomo stesso aveva modificato. Ho paura di chiedere ad Amar se ho perso qualche amico, quindi sorvolo l’argomento, anche se rimango sullo stesso tema.
-Perché non ricordo niente, allora? Insomma… se davvero siamo riusciti a sopravvivere a tutto questo… perché non ho ricordi di alcun genere?-
Lui mi guarda un attimo, probabilmente cercando di decidere ciò che può dirmi o meno. –Per eliminare i pregiudizi del Dipartimento contro i geneticamente modificati, che volevano usare un siero della memoria e resettarci tutti come tanti computer, siamo riusciti a far ricadere questo loro piano su di loro: abbiamo liberato il siero della memoria e lo abbiamo usato per cancellare i ricordi del Dipartimento stesso.-
-Quanto tempo fa è successo?-
-Poco. Ti basti sapere che fino a stamattina era tutto relativamente rose e fiori.-
Annuisco, anche se non ho ben capito se quello che mi sta dicendo è vero, o se è tutta una grande menzogna che i medici hanno architettato per vedere fino a che punto mi porterà la mia follia. Eppure quell’uomo mi sembra così sicuro di quello che dice che non riesco a dubitare di lui. o almeno in parte.
-Prima che venissi, è entrato un uomo. Stavamo parlando e… a un certo punto è scoppiato a piangere.-
Amar fissa un punto indistinto sopra la mia spalla, ponderando le parole. –Il suo nome è Quattro. O almeno lo è per gli amici. Un tempo ero un istruttore tra gli Intrepidi, una delle fazioni in cui era divisa Chicago. L’ho conosciuto quando era ancora un moccioso senza muscoli.-
Amar sorride e vedo nei suoi occhi scorrere ricordi ed emozioni, troppo forti perché riesca a tenere sotto controllo una piccola lacrima traditrice. Svelto, la asciuga con la manica della giacca, poi torna a guardarmi, stavolta più serio. –So che non ti ricordi di lui, ed è proprio per questo che stava piangendo: tu e lui eravate… uniti, in qualche modo. Questa guerra non ha risparmiato molti, anzi, direi quasi nessuno. Lui ora ha solo te e anche se sembra un omone tutto muscoli e forzuto, in realtà soffre come chiunque altro di noi. Dobbiamo aiutarlo, Tris, e tu sei l’unica che può farlo.-
Annuisco lentamente, anche se non so bene perché tutto questo stia succedendo proprio a me. Sono tentata di declinare gentilmente l’offerta di Amar, ma qualcosa dentro di me mi spinge ad accettare con entusiasmo.
-Non ricordo niente di niente.- ammetto dopo un po’. So che lui è al corrente che la mia memoria è andata a farsi benedire, ma quel discorso è più per me che per lui. –Mi hai parlato di una grande guerra, di decine di perdite e di fazioni in lotta tra loro. Eppure, mentre ti ascoltavo, nella mente non mi sono affiorati ricordi di nessun genere. Forse ho solo bisogno di un po’ di tempo. Forse solo il tempo può risanare certe ferite, parlando di Quattro. Non ricordo di avervi mai conosciuti, eppure sento che qualcosa mi lega a voi. Non voglio darti false speranze: francamente non so che fare. Ma possiamo provare a lavorare insieme e, chissà, magari un giorno tutto ciò di cui stai, se è vero, parlando prenderà consistenza nella mia mente.-
Amar sorride sornione, mentre i suoi lineamenti si rilassano fino allo spasmo. Dopo un po’ si alza dal letto, mi imprime un bacio sulla fronte e si avvia verso la porta. –Potrai anche aver perso la memoria, ma rimani sempre quella testarda, intrepida e altruista Tris.-
Scompare oltre la soglia della porta e rilasso le spalle. È ufficiale: quell’uomo mi è davvero simpatico.

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Capitolo 4
*** Discorsi e altri problemi ***


Gocce di memoria
Capitolo 4: discorsi e altri problemi
 
Tobias
- Quattro, svegliati.- Amar mi scuote con forza. Mi sveglio di soprassalto, facendo spaventare anche l’uomo accanto a me. Mi guardo intorno: mi trovo nella piccola stanza bianca in cui mi sono addormentato poco fa, dopo una lunga e rilassante doccia.
Voglio tornare nel mondo dei sogni, crogiolarmi nella felicità che ho tanto sperato. Ma appena lo comunico ad Amar, lui mi fissa contrariato. –Hai intenzione di startene qui a poltrire su un lettino consunto, anziché andare a parlare con la tua ragazza?-
-Tris.- riesco solo a dire. Mi precipito di nuovo per le scale, salendo i gradini a due a due. Quando arrivo davanti alla sua porta, noto che è accostata. Ho paura: paura che reagisca come prima, paura che mi guardi come se fossi uno sconosciuto venuto a farle del male, paura che abbia rimosso per sempre tutto quello che abbiamo passato insieme e per cui abbiamo lottato tanto intensamente.
Intanto Christina, che è seduta su una sedia lì vicino, mi si avvicina e mi posa una mano sulla spalla. –Va’ da lei.- mi incita con un sorriso. –Serve a entrambi parlare un po’. Vedrai, ti farà bene.-
-E tu?-
Scrolla le spalle con finta noncuranza. –Le parlerò dopo. Dio solo sa quanto rimarremo chiusi qui dentro.-
Detto questo, mi spinge verso la porta socchiusa augurandomi buona fortuna. So che mi servirà e mi sento molto teso, eppure non riesco a pensare ad altro: Tris è al centro dei miei pensieri e ho intenzione di scoprire cosa le è successo.
Faccio un respiro profondo e, incitato da Christina, apro un po’ di più la porta, quel che basta a farmi entrare. Tutto quel bianco mi fa socchiudere per un attimo gli occhi, ma poi la vedo: bella e sorridente come sempre, che sta guardando nella mia direzione. Sembra un angelo, con quell’aureola di luce soffusa dietro le spalle.
Mi sorride e sento che tutto a un tratto quello che mi è successo perde consistenza. Ora ci siamo solo io, lei e nient’altro. Sorrido a mio volta, anche se ho i nervi a fior di pelle. Non so cosa aspettarmi davvero: mi respingerà come ha fatto prima, o ricorderà qualcosa di noi?
-Ciao, Quattro.- mi saluta con la sua voce dolce.
Rimango per un attimo senza parole. Allora si ricorda di me! –Sai chi sono?-
Scuote la testa e io perdo tutto a un tratto il sollievo che mi stava lentamente nascendo nel petto. –Sinceramente non ricordo niente, ma Amar mi ha parlato di te.-
-Cosa ti ha detto?- chiedo con un filo di voce. Non voglio che Amar le abbia raccontato il suo passato. Non perché non voglia che lo ricordi, ma perché penso che sia meglio che lo ricordi da sola, anche se magari ci vorrà un po’ più di tempo. Abbiamo vissuto talmente tante cose in questo periodo che non sarebbe giusto fargliele ricordare tutte insieme. Il peso sarebbe troppo grande.
Lei sposta per un attimo lo sguardo, iniziando a giocare con la maglia della camicia da notte. –Mi ha parlato di un esperimento di cui noi facevamo parte. Mi ha detto che c’è stata una guerra, con centinaia di perdite, suppongo. Ha fatto anche riferimento a una sorta di divisione interna della città… credo l’abbia chiamata “fazioni”… ma per ora non ho intenzione di approfondire il discorso.-
Tace per un momento e posso quasi sentire i meccanismi del suo cervello cercare una soluzione… o comunque qualcosa da dire. Si passa un paio di volte le mani fra i capelli, tirandoli leggermente, poi mi guarda negli occhi.
-Mi ha parlato anche di te.- mi svela. Io rabbrividisco involontariamente. –Mi ha detto che sei una specie di super-uomo tutto muscoli e tratti spigolosi, ma che sotto sotto nascondi un lato buono. E che noi due… ci conosciamo bene.-
Scoppio a ridere. Non perché ci sia qualcosa di divertente in quello che ha detto, ma è più una reazione dovuta all’ansia. Ringrazio mentalmente Amar di non aver accennato ad altro. –In pratica, sì. Ero un uomo tutto d’un pezzo, burbero e solitario, prima che arrivassi tu.-
-Sono una specie di psicologa?-
Sorrido dolcemente. –Sei una specie di angelo. Ma se vuoi puoi definirti come ti pare. Anche psicologa.-
Annuisce, anche se è palesemente confusa. Continua a guardarsi le maniche della camicia da notte, gettandomi ogni tanto qualche sguardo. È la prima volta che non sappiamo cosa dirci.
-Allora.- si schiarisce la voce. –Raccontami un po’ di noi due.-
Balzo sulla sedia. Non mi aspettavo una domanda del genere.
Lei riprende a parlare come per giustificare la sua richiesta. –Amar mi ha parlato davvero bene di te. eravamo amici, deduco.-
Impiego un po’ per risponderle. Non voglio nasconderle la verità, ma so che, se le dicessi tutto, probabilmente mi prenderebbe per matto. Non che non lo stia già facendo. -È esatto.-
-E…?- mi incalza lei, alzando un sopracciglio.
Apro e richiudo la bocca un paio di volte, incerto su cosa poterle dire. Alla fine opto per una mezza verità. –Sono stato il tuo allenatore. Ti ho insegnato a combattere e a sparare. E ad adorare la torta della mensa.-
La sua risata radiosa mi scioglie un po’ il cuore. Dio, se mi manca poterla abbracciare e baciare come facevamo fino a poco tempo fa.
Alla fine si asciuga le lacrime con una manica, poi torna a guardarmi. –Mi ha fatto davvero piacere parlare con te. Ma ora ho un po’ di sonno.-
Mi alzo dalla sedia in fretta, come se mi avesse punto uno spillo. Il mio corpo urla di rimettermi seduto e continuare a parlarle, fino a che non riacquisterà la memoria. Ma io so che è giusto lasciarle i suoi spazi e, facendomi violenza, le sorrido e mi congedo.
Quando arrivo sulla soglia della porta, Tris richiama la mia attenzione. –Non so cosa mi stai nascondendo, Quattro, ma si vede che è qualcosa che ti sta uccidendo. Vorrei poter fare qualcosa per te, davvero. Dammi un po’ di tempo, cerchiamo di risolvere questa situazione. Una guerra non è qualcosa di facile da dimenticare.-
Chiudo gli occhi, rievocando il momento in cui la bomba è esplosa e Uriah è schizzato via. –I ricordi non possono essere dimenticati, Tris. Rimarranno per sempre nella mente e verranno rievocati quando meno te lo aspetti. Mentre dormi, mentre parli del tempo, mentre ti rilassi nella vasca da bagno. Quando sei più vulnerabile loro sono pronti a farti ricadere nel terrore di poterli rivivere prima o poi.-
Quando riapro gli occhi, Tris mi sta osservando con espressione curiosa. Non mi sta giudicando, ma sta solo cercando di capire per quale strano motivo un perfetto sconosciuto stia ancora lì fermo sulla porta a parlare di cose senza senso.
Faccio un respiro profondo, cercando di soffocare il dolore al petto che va via via crescendo.
-Buonanotte, Tris.- le auguro lentamente.
-Buonanotte.-
 
Tris
Quattro gira in fretta sui tacchi e esce dalla stanza, non prima di aver versato una lacrima. Sento una morsa allo stomaco. Quell’uomo mi sta di certo nascondendo qualcosa, qualcosa di assurdamente importante, vista la sua espressione scoraggiata. Mi riprometto di aiutarlo domani, ma ora ho bisogno di un lungo sonno ristoratore.
Chiudo gli occhi e sento il tepore della stanchezza trascinarmi lontano da quella stanzetta pallida.
 
Mi sveglio di soprassalto, quando un gruppo di persone munite di torce fanno irruzione nella mia stanza.
-Tutti in piedi!- grida uno uomo pieno di piercing, dall’aspetto minaccioso. Insieme a lui ci sono altri uomini. Socchiudo gli occhi per metterli a fuoco, finché non incontro lo sguardo di Quattro.
Lo saluto con un cenno della mano, ma lui distoglie lo sguardo con una smorfia. Perché mai ha fatto una cosa del genere? Mi alzo lentamente e vado verso di lui per chiedere spiegazioni, ma l’uomo pieno di piercing mi tira per un braccio. –Sei sorda? Ho detto di prepararti.- Il suo tono intimidatorio mi spinge a tornare sul mio letto. Sebbene sia molto scomodo, non è però il letto dell’infermeria. Mi guardo intorno e noto che, in effetti, non mi trovo nell’infermeria.
Sono una grande stanza buia piena di altri letti come il mio. Diversi ragazzi della mia età si stanno preparando in silenzio. Seguendo le direttive, mi infilo un paio di stivali che trovo ai piedi del letto e mi accodo alla fila di ragazzi che stanno uscendo.
L’aria è pungente e non riconosco il posto. Tutto intorno a me è buio. Una ragazza mi prende per mano e mi trascina verso un tavolo pieno di…
-Fucili?- chiedo allarmata. –Non avranno mica intenzione di farci uccidere qualcuno.-
La ragazza vicino a me mi guarda con sarcasmo. –Eric è un pazzo. Ci farebbe fare di tutto pur di vederci strisciare a terra doloranti.-
Reprimo un brivido. Quella ragazza dai capelli a caschetto non sembra sorpresa dal dover uccidere qualcuno. Prende un fucile e io la imito. Poi afferra due contenitori cilindrici e me ne passa uno.
-Ringraziando il Cielo non sono veri fucili.- mi spiega con un sogghigno. –Stasera si gioca a paintball.-
-Paintball?- ripeto il sbattendo le palpebre. –Perché dovremmo spararci palle di vernice?-
Lei alza le spalle e si avvicina a quelli che sembrano i binari di un treno. –Tieniti pronta!- mi urla, mentre l’oscurità viene illuminata dai fari di un treno in corsa.
Guardo quell’ammasso di ferraglia venire avanti e… non rallenta. Tutti intorno a me iniziano a correre. perdo l’equilibrio, poi la ragazza mi afferra per un braccio, evitando di farmi schiacciare dagli altri.
-Che ti prende?- urla lei per contrastare il rumore del treno in arrivo. –Corri, o non riuscirai a saltare!-
-Saltare?!- entro in uno stato di panico. Non ho intenzione di saltare su un treno in corsa! Apro la bocca per confutare il suo incitamento proprio quando il treno ci sfiora i vestiti, facendo svolazzare i nostri capelli. La ragazza vicino a me spicca un balzo e salta. Mi rendo conto solo in quel momento che ha la mano nella mia, quindi salto anche io per non cadere sotto le ruote del treno.
Riesco a spiccare un bel salto – magari durante la notte sono diventata agile – ma non abbastanza alto da riuscire a salire sul treno. Chiudo gli occhi, preparandomi all’inevitabile impatto con il terreno. Ma un braccio possente mi cinge la vita e mi tira sul treno.
Apro di scatto gli occhi e incrocio lo sguardo di Quattro. –Ti ringrazio.- dico, ancora scossa dall’accaduto. Lui però sbuffa e si gira a parlare con altri ragazzi lì vicino.
Mi guardo intorno spaesata. La ragazza vicino a me sta parlando eccitata con quella stessa incosciente che mi ha trascinata su un treno in corsa.
-Sei eccitata, Christina?- chiede la prima.
Christina scuote la testa. –Avrei preferito dormire, ma suppongo che questo faccia parte dell’Iniziazione.-
-L’Iniziazione?- chiedo, inserendomi nella conversazione.
-Sicuramente un’idea di Eric.- risponde Christina con una scrollata di spalle. –Forse ci porterà a sparare alle anatre in qualche posto sperduto.-
Reprimiamo tutti un brivido. Non ho intenzione di sparare alle anatre.
Mentre il treno continua la sua folle corsa, Eric prende la parola. –Giocheremo a ruba bandiera a squadre.-
Si alza un brusio eccitato tra i presenti. Possibile che io sia l’unica non entusiasta di giocare a ruba bandiera nel bel mezzo della notte?
Quattro ed Eric si smezzano i ragazzi e io finisco nella squadra di Quattro. Alla fine mi avvicino al mio caposquadra per chiedergli cosa diavolo stia succedendo, ma lui, senza volgermi parola, indica solo fuori dal vagone: siamo arrivati.
Non saprei dire con esattezza dove siamo arrivati, ma la gente intorno a me inizia a buttarsi giù dai vagoni uno dopo l’altro. Alla fine spingono anche me. Chiudo gli occhi, certa di sbattere la testa contro il terreno, ma per qualche strano motivo riesco a fare forza sulle gambe e a rimanere in piedi.
Appena tutti sono scesi, la mia squadra inizia a correre verso un punto indistinto del campo.
-Nascondiamo la bandiera nella giostra!- grida un ragazzo. Tutti esprimono il loro consenso in versi eccitati. Io prego solo che non venga loro un’idea peggiore del saltare da treni in moto.
Arrivati alla giostra, il gruppo scoppia in una rissa verbale per decidere che tenersi sulla difensiva e restare vicino alla bandiera, oppure nascondere il nostro stendardo e attaccare tutti insieme.
Sento la testa scoppiarmi per tutto quel chiasso. Mi guardo intorno, sapendo di dover trovare una buona strategia per prendere per primi la bandiera degli avversari. Così noto una costruzione abbastanza alta da permettermi di vedere buona parte del campo: una vecchia ruota panoramica.
C’è qualcosa che mi spinge a essere più… intrepida di quanto non sia mai stata, quindi mi avvio verso la ruota. Arrivata alla base, intenta a salire, una mano possente mi blocca il braccio che poggio sul primo scalino per salire. Giro la testa, contrariata, e incrocio lo sguardo di Quattro.
-Che ci fai qui?- mi chiede arrabbiato.
-Cerco di vincere.- rispondo scrollando il braccio. La sua presa però si fa ancora più salda.
Guarda sopra di noi e sbarra gli occhi rendendosi conto di quanto sia effettivamente alta la ruota. –Non vorrai salire lì sopra.- Quando mi vede annuire, scuote forte la testa. –Tris, tu sei completamente pazza.-
-Non ti chiedo di seguirmi, se non vuoi.-
Lui mi guarda con un’espressione dolce. –Ti seguirei fino in capo al mondo.-
In lontananza sento il segnale che annuncia l’inizio della partita. L’adrenalina mi scorre nelle vene e mi spinge a salire in fretta la ripida scaletta della ruota. Quattro, dopo un primo momento di esitazione, mi segue mantenendo un paio di gradini di distanza.
Arrivati a metà, mi giro indietro per cercare di scorgere il quartier generale dell’altra squadra. Noto un piccolo bagliore provenire dal parco oltre il molo. È circondato da alberi, ma la visuale da quassù mi permette di adocchiarli.
-Li ho trovati!- affermo soddisfatta.
Il mio stato di eccitazione, però, si trasforma presto in panico: mentre tento di indicarli con una mano, perdo la stabilità con l’altra e cado indietro. Sento che cadrò nel vuoto, che mi sfracellerò come un uovo lanciato da un grattacielo.
Ma Quattro mi afferra per un braccio, lottando contro la sua più che evidente paura per l’altezza.
-Non mi lasciare!- gli urlo con le lacrime agli occhi.
-Non lo farei mai.- mi risponde subito lui, rendendo più salda la presa su di me. –Ormai fai parte della mia vita, Tris.- Poi mi guarda negli occhi con tanto amore da lasciarmi sbigottita. –Presto sarà finita. Devi solo tenere duro, okay?-
Sento quella sua frase ripetersi una seconda volta, poi un’altra ancora, fino a diventare un rumore indistinto che ricorda vagamente la sua voce. Mi perdo nel buio cerco la sua mano, ma non sono più ancorata a niente.
 
Mi sveglio di soprassalto, reprimendo un urlo. L’infermiera vicino a me si appresta a soccorrermi. –Non preoccuparti, era solo un brutto sogno.-
Eppure a me è sembrato così vero…


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Ciao a tutti, Divergenti! Benvenuti a questo quarto capitolo della fanfiction. Ringrazio coloro che leggono e, soprattutto, coloro che stanno seguendo la mia storia o che l'hanno aggiunta alle preferite. Per voi, magari, può sembrare solo un click, ma per me è davvero importante. Quindi... Grazie :) Mi fareste ancora più felice che lasciaste qualche recensione, anche solo per dire: "Grazie della storia, ma ti conviene cambiare hobby." Che ne so, magari un giorno diventerò famosa e invierò soldi a palate a chi ha lasciato recensioni (Uhm... Non che io ci creda particolarmente...).
Comunque... Non so se riuscirò a pubblicare il resto della storia tutti i mercoledì e sabato (Come mi ero ripromessa di fare), ma cercherò comunque di mantenere la parola data.
Parola di lupetto! *incrocia due dita dietro la schiena*
Che altro dire... tante grazie, tanti auguri di Buon Natale e a presto! :)

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Capitolo 5
*** Lascia tempo al tempo ***


Gocce di memoria
Capitolo 5: lascia tempo al tempo
 
Tobias
La mattina mi sveglio presto. Non riesco a riaddormentarmi, quindi decido di passeggiare un po’ fuori dal Dipartimento. Chiedo ad alcune guardie di farmi passare e loro mi concedono solo cinque minuti, poi devo rientrare. Suppongo che sia per precauzione, dato che la situazione non sembra ancora del tutto stabile.
Li ringrazio e li supero senza problemi, sentendo il dolore nel petto affievolirsi un po’. Penso a quello che Tris mi ha detto la scorsa sera: non ricorda nulla, ma si è comunque offerta di aiutarmi. Lei, che la prima volta che l’ho vista sembrava troppo fragile per poter diventare un’Intrepida. Lei, che è sempre riuscita a conciliare il suo coraggio e il suo altruismo. Lei, che in guerra si è dimostrata l’eroina di una generazione. Lei, la ragazza che ho visto trasformarsi in una donna e salvare tante vite, tra cui la mia.
Reprimo un brivido, anche se non sento freddo. La brezza muove lentamente le piantine sul bordo della strada e io chiudo gli occhi, annegando nei ricordi. Sono stanco di tenere sotto freno le mie emozioni, stanco di dovermi chiudere in me stesso per non sembrare troppo poco coraggioso.
Ora che il sistema delle fazioni è ormai storia passata, posso finalmente cercare di essere una persona diversa, migliore per certi aspetti. Ricordo il giorno in cui mi sono fatto fare il tatuaggio dietro la schiena: avevo qualche dubbio inizialmente, ma poi, vedendolo inciso sulla mia pelle, ho deciso che quello sarebbe stato il mio percorso; sarei stato coraggioso, intelligente, altruista, pacifico e onesto. Ora posso diventare migliore di quello che sono stato in passato. Posso cambiare in meglio, aiutare gli altri e trovare per una buona volta la mia vera strada.
Riapro gli occhi quando una guardia mi avverte che il mio tempo è scaduto. La ringrazio con un cenno della testa e rientro nell’edificio. Resto in camera fino alle nove, poi però decido che è ora di ricominciare, di riprendermi ciò che un gruppo di umani saccenti ha scelto per me.
Non seguirò il destino che qualcun altro ha deciso al mio posto. Segnerò la mia strada e lo farò come riterrò più opportuno.
Lascio la mia stanza e salgo lentamente al piano superiore. Anche se sono stato solo due volte nella stanza di Tris, il mio corpo riconosce la strada da solo. Giunto davanti alla camera senza quasi accorgermene, mi fermo  sulla porta senza muovere più muscolo. Non so se bussare o aspettare che qualche infermiere esca per farmi entrare.
Non mi si pone il dovere di scegliere: Christina esce dalla stanza di corsa, andando a sbattere contro il mio petto.
-Attento a dove cammini, Quattro.- il suo tono, però, sembra gioioso. –Ho parlato con Tris e… dovresti fare due chiacchiere con quella ragazza.- e se ne va così, facendomi l’occhiolino e canticchiando una melodia sommessa.
Alzo un sopracciglio, sospettoso, ma poi decido di entrare, visto che ormai Christina ha svelato la mia posizione. Busso senza attendere una risposta ed entro, trovandomi davanti Tris a un paio di metri.
-Sei scesa dal letto.- affermo contrariato. –Dovresti riposare.
Lei sbuffa sonoramente. –Sono stanca di starmene sempre chiusa qui dentro- indica con un gesto tutta la stanza –e il dover stare seduta su un lettino scomodo tutto il giorno mi sta uccidendo.-
Alla fine, però, si siede su quel suo lettino scomodo e mi fa cenno di sedermi. –Vieni, devo parlarti di una cosa.-
Il suo tono è piuttosto neutro, ma dal tremore della voce noto che c’è qualcosa che la intriga. –Prima ho parlato con una ragazza, Christina. La conosci?-Annuisco. –Mi ha detto che siamo amiche. Quella ragazza è un vero portento.-
-Direi più che è una spina nel fianco, a volte.- ribatto in modo scherzoso.
Lei coglie la mia battuta e annuisce. –Non volevo parlare con te di Christina. O almeno… non solo di lei.-
-Cosa intendi?- le chiedo con un filo di voce.
Lei chiude gli occhi, come se stesse rievocando un ricordo. Le sue parole suonano dolci e lente, come una ninnananna triste ma appagante. –Questa notte ho fatto un sogno piuttosto strano. Sono certa che fosse un sogno, eppure era così vero.-
-Cosa hai sognato che ti turba tanto?-
Lei non riapre gli occhi. Aspetta qualche attimo prima di rispondere. –Era notte. Tu e un gruppo di uomini mi siete venuti a svegliare per andare a… giocare a ruba bandiera con altri ragazzi. Siamo saliti su una ruota panoramica e tu avevi paura dell’altezza e mentre stavo cadendo tu mi hai presa per un braccio e…-
Il suo tono diventa sempre più conciso e veloce, tanto che alla fine rimane senza fiato. Apre di scatto gli occhi, forse aspettandosi una mia reazione di qualche genere. Ma io rimango come pietrificato: il suo cervello ha rievocato la notte dell’Iniziazione in cui io ed Eric abbiamo portato i ragazzi a giocare a ruba bandiera per sondare il loro spirito di squadra e la loro capacità di addestramento.
Tris mi chiama per farmi tornare sulla Terra. Io scuoto la testa, rendendomi conto si avere un sorriso che va da un estremo all’altro della faccia.
-Ricordi.- è tutto ciò che riesco a formulare.
Lei mi guarda perplessa, così cerco di spiegarmi meglio. –Credevo che avresti impiegato molto più tempo a ricordare o che non avresti più avuto indietro i tuoi ricordi. Eppure hai evocato uno dei primi momenti che abbiamo trascorso effettivamente insieme.-
Rimaniamo in silenzio per un attimo. –Ho riconosciuto Christina, la ragazza che prima mi è venuta a parlare. All’inizio, vedendola, credevo fosse un altro sogno. Poi però si è presentata e abbiamo iniziato a parlare lentamente, mentre nel sogno eravamo già conoscenti. Man mano che parlavamo, ricordavo qualche piccolo dettaglio su di lei. Nella mia mente è comparsa a un certo punto la parola “Candidi”. Poi ho visto scorrere immagini di questa ragazza dalla carnagione scura e i capelli corti, etichettata come Christina. È tutta una finzione? Sto impazzendo?-
Scuoto la testa, felice che stia ricordando qualcosa. –Temo che impiegherai un po’ per ricordare tutto e ricostruire la tua storia, ma prima o poi questo succederà. Riprenderai in mano le redini della tua vita. Tornerai a essere la ragazza che eri.- tornerai a stare con me, aggiungo tra me e me.
Lei annuisce piano, come se stesse ponderando le mie parole. Poi mi guarda ancora. –Non ricordo nulla della guerra, ma ho visto un uomo pieno di piercing. Il suo nome è… Ethan… Harry…-
-Eric.- suggerisco con voce piatta. Lei annuisce. –Era un istruttore proprio come me.-
-Dov’è ora?-
La sua domanda è legittima e spontanea, ma non voglio risponderle. Questo significherebbe rievocare ricordi che lei non ha e che io voglio cancellare. –Quando verrà il momento ricorderai. Lascia tempo al tempo.-
Restiamo lì ancora per un po’, parlando di banalità ed evitando di sfiorare tasti dolenti. Alla fine, però, la sua faccia si fa esausta. –Hai bisogno di un po’ di riposo.- le suggerisco lentamente.
-Sono pienamente d’accordo con te. Questa notte ho dormito pochissimo, giusto il tempo di fare quello strano sogno-ricordo.-
Concordiamo sul fatto che debba rilassarsi un po’, quindi mi dirigo verso la porta, accettando il fatto che forse è ancora troppo presto per intrattenere lunghe conversazioni. Il suono della sua voce, però, mi blocca all’istante. Sembra molto titubante mentre mi rivolge la domanda. –Puoi rimanere qui per un po’, almeno finché non mi addormento?-
Accetto volentieri e le rimbocco le coperte augurandole un buon riposo. Mi siedo su una piccola poltroncina accanto a lei e la guardo dormire, la cosa più bella che sia mai stata creata.
 
Tris
Dormo s lungo, senza sogni, e quando mi sveglio, dopo essermi stiracchiata un po’, noto che Tobias è ancora seduto vicino a me.
-Buongiorno, dormigliona.- mi saluta con un sorriso.
Ricambio la cortesia e mi alzo a sedere. –Che ore sono?-
-Quasi le due.- mi risponde sornione. –Sei andata in letargo.-
Spalanco gli occhi davanti a quella rivelazione. –Ho dormito tantissimo!-
Lui annuisce. –Hai fame?-
Poggio una mano sullo stomaco e sento che in effetti sta reclamando cibo. Negli ultimi due giorni non ho mangiato nulla di solido, se non qualche vitamina che i medici mi hanno fatto assumere attraverso le numerose flebo. –Forse un po’.-
Lui si alza e si avvicina a un piccolo tavolino poco lontano. Quando ritorna, ha in mano un piatto con della pasta al sugo. Storco il naso: sarà sicuramente scotta e fredda, ma la fame è pur sempre fame. Prendo il piatto con un sorriso e inizio a mangiare in silenzio. Avevo ragione: la pasta è scotta e fredda, ma è comunque buona. Dopo quattro avide forchettate, guardo Quattro, ringraziandolo.
-Non devi ringraziarmi.- mi risponde lui. –Per te questo e altro.-
Continuo a mangiare con la testa nel piatto, sperando che non mi abbia visto arrossire. Quell’uomo ha un non so che di misterioso e nello stesso tempo intrigante.
Finito di mangiare, Quattro prende il mio piatto e mi passa un tovagliolo, con cui mi pulisco la bocca. Dopo essersi di nuovo alzato per poggiare i residui del mio pranzo –tutto ciò che è rimasto è plastica sporca- mi guarda e scoppia a ridere.
-Ti sei sporcata perfino il naso e le guance.-
Mi affretto a pulirmi, ma lui si avvicina facendomi notare di aver tralasciato una parte ancora sporca. –Lascia fare a me.- mi sussurra sensualmente.
Il mio cervello va in black-out. Dovrei ringraziare e declinare gentilmente l’offerta, visto che sono abbastanza matura da riuscire a pulirmi la bocca da sola, ma tutto ciò che mi esce è un verso strozzato appena udibile.
Se anche l’ha sentito, Quattro fa finta di niente. Mi si avvicina lentamente, sedendosi sul letto accanto a me. Prende il tovagliolo sfiorandomi una mano con le sue lunghe dita e me lo passa dolcemente sulla guancia. Finito il lavoro, inclina la testa per ammirare l’opera. Non ancora soddisfatto lascia cadere il tovagliolo sul letto e mi studia con avidità la linea della mascella, facendo scivolare un dito per tracciarne i contorni.
Dopo un primo momento di stallo, il cervello ricomincia a funzionare, ordinando al corpo di farlo smettere,o avrà una brutta ricaduta. Ma io posso sentire quasi le fusa dei miei muscoli crogiolarsi sotto il tocco caldo di Quattro.
Lui continua a studiarmi il volto con avidità sempre crescente. Si avvicina e lo sento respirarmi sul collo. fisso le sue labbra, così belle da sembrare scolpite. Noto con piacere che ha tutti i lineamenti al posto giusto. Quando a sua volta fissa la mia bocca, l’adrenalina mi percorre tutta la schiena.
Si avvicina ancora, guardandomi un po’ negli occhi e un po’ le labbra. Quando siamo tanto vicini da poterci sfiorare, lui si allontana di scatto, lasciandomi confusa e leggermente tirata in avanti.
-Devo andare.- decreta lui alla fine, passandosi una mano tra i capelli ed evitando di incrociare il mio sguardo. –Ci vediamo, Tris.-
Senza permettermi di chiedere spiegazioni, Quattro esce in fretta dalla stanza, lasciandomi lì con la bocca ancora socchiusa.
 
Tobias
Scendo le scale saltando gli ultimi gradini. Che diavolo mi è venuto in mente? Dovrei essere in grado di moderare le mie emozioni e i miei istinti primordiali, eppure quando sono con lei ogni buona intenzione svanisce nel nulla.
Entro nella mia stanza e mi sbatto la porta alle spalle, poggiandomici con la schiena. Allargo un po’ le gambe, quel tanto che mi basta per posare i gomiti sulle ginocchia. Mi prendo la testa fra le mani, mentre la frustrazione sale velocemente.
Mi manca poterla baciare, questo è innegabile, ma non posso pretendere di tornare insieme a lei senza che abbia ricordato tutto. Sento il peso della condizione di Uriah gravarmi sulle spalle. Quando lei ricorderà cosa ho fatto, probabilmente non mi guarderà neanche più in faccia. Come darle torto?
Non voglio imporle di tornare insieme, sarebbe ingiusto nei suoi confronti. Ma mi rendo conto che anche solo due giorni senza la mia Tris mi stanno spossando all’inverosimile. Ho i nervi a fior di pelle e non so come comportarmi.
Tiro un pugno contro l’aria, sentendo il bisogno di sfogarmi. Non credo che qui abbiano una palestra, quindi decido di uscire a prendere una boccata d’aria.
Appena varcata la soglia, però, Amar mi viene incontro con un’espressione amareggiata e sofferente. –Dobbiamo parlare.- mi informa solamente. Poi si gira e rientra nella residenza, sicuro che lo stia seguendo. Durante il tragitto non proferisce parola e sento l’ansia montarmi dentro fino a raggiungere livelli altissimi.
Conosco Amar da molto tempo, abbastanza da saper riconoscere la gravità della situazione a un solo sguardo. E quello sguardo non mi piace affatto.
Dopo qualche infinito minuto di camminata e due piani più in alto, Amar si blocca davanti a una porta spessa tanto quanto quella della camera di Tris. Riconosco quella stanza: lì dentro c’è Uriah. Da quando è lì sono andato a trovarlo tutte le volte che potevo, chiedendo sempre ai medici di rivelarmi qualsiasi miglioramento, anche se insignificante. Ma loro sono sempre stati restii nel fornirmi informazioni. E ora capisco perché.
-Uriah non c’è più.- annuncia Amar senza preamboli o giri di parole.- Gli hanno appena staccato la spina.-
Sento il mondo staccarsi dai miei piedi. Precipito verso il centro della Terra, lontano da tutto e da tutti, risucchiato da un cuore di lava incandescente. È lì che dovrei essere: non sono riuscito a salvarlo e io non dovrei salvarmi a mia volta.
Sento le lacrime premermi contro gli occhi. Non resisto più. Le lascio uscire. Lascio che si sfoghino un po’, almeno loro. Le ho tenute dentro per troppo tempo. Chiudo gli occhi, sentendo il cuore trasformarsi in un ammasso di piombo. Uriah non c’è più perché non sono stato in grado di proteggerlo. Perché ho messo il mio bene prima del suo. Perché ho preferito salvare me stesso anziché lui.
Credevo che, quando tutto questo fosse finito, io e Tris saremmo potuti vivere in pace da qualche parte, protetti da amici e parenti. Questo sarebbe successo se avessi tenuto fede al mio giuramento: proteggere Uriah. Invece non l’ho fatto. E ora mi merito tutto questo, forse anche qualcosa in più.
Diversi minuti dopo riapro gli occhi, rendendomi conto di essere scivolato lungo la parete. Mi lazo a fatica, sentendo il corpo afflosciarsi sotto il dolore della perdita. Con la coda dell’occhio noto Amar fissarmi con le braccia incrociate. Non voglio leggere la delusione nei suoi occhi, quindi mi allontano a testa bassa, cercando un posto solitario dove trascorrere i miei ultimi giorni.


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Ciao a tutti, miei cari Divergenti! Okay, questo capitolo mi è venuto un po' più... melenso degli altri, ma (come mi ha saggiamente suggerito Hilly) un po' di dramma non guasta mai. Tranquilli, non ho intenzione di uccidere a random tutti i personaggi canticchiando allegramente canzoni di Natale. Non prometto nemmeno di non uccidere nessun altro... Muhahahah! No, vabbè, Non sono così cattiva...
Tornando alle cose serie... Ringrazio di cuore Hilly per la sua meravigliosa recensione (sono sopravvissuta a un attacco di cuore quando ho letto il tuo bellissimo commento!). So che per te scrivermi non sarà stato poi così difficile, ma per me ricevere la mia prima recensione equivale a un piccolo oscar. 
Che altro dire... pubblico questo quinto capitolo con la pancia ancora piena per l'ingozzata natalizia e vi auguro una buona lettura.
A presto, Crystal.

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Capitolo 6
*** Aria di cambiamento ***


Gocce di memoria
Capitolo 6: aria di cambiamento
 
Tris
Trascorro tutto il pomeriggio sola. Nessuno mi viene a trovare. Non ho visto Christina, la ragazza così gentile con cui ho parlato ieri. Neanche Quattro è passato, che pensavo fosse ormai un amico.
Cambio posizione sul letto per la decima volta in pochi minuti, abbracciandomi le gambe con le braccia. Poggio il mento sulle ginocchia e sento una brutta sensazione nascere dentro di me. Non so come, non so perché, ma avverto un sentore di… tristezza nell’aria. Come se qualcuno avesse risucchiato tutta la felicità dalla residenza.
Anche i medici mi sono sembrati infelici. Un paio mi hanno portato alcune medicine e hanno controllato che i miei valori fossero stabili, ma non mi hanno rivolto parola. Li ho visti demoralizzati.
Cambio di nuovo posizione, lasciando andare le gambe e incrociandole sotto di me. Tutta questa melanconia mi sta logorando. Decido di uscire dalla mia stanza e andare a fare un giro fuori. Infilo le pantofole, fredde e bitorzolute come il letto, e mi avvio verso la porta. Poggio una mano sulla maniglia e la tiro giù. Dall’altra parte qualcuno fa la stessa cosa. Mi ritrovo faccia a faccia con Amar.
-Dove stai andando?- mi ammonisce.
-In bagno.- rispondo con una scrollata di spalle. Lui alza un sopracciglio dubbioso, ma non indaga maggiormente. Lo ringrazio mentalmente di questo.
-Siediti, Tris. Dobbiamo parlare.- mi scorta fino al mio letto e lui prende posizione vicino a me, rimanendo il piedi con le braccia dietro la schiena. Odio sentirmi dire “dobbiamo parlare”, perché non presagisce nulla di buono. Forse però è qui per spiegarmi cosa sta accadendo.
Mi metto comoda sul letto e lo guardo mentre fa su e giù per la stanza, forse in cerca delle parole adatte.
-I tuoi ricordi sono ancora poco chiari- inizia lui –offuscati dal siero della memoria. Tu, però, hai sempre avuto una buona predisposizione a resistere a ogni tipo di siero, per questo è probabile che prima o poi tu riesca a riacquisire almeno parte dei tuoi ricordi. I medici sono d’accordo su questo, anche se sono certi che non riavrai indietro tutti i frammenti della tua vita. Credono che alcune delle tue sinapsi siano state completamente cancellate.-
Lo fisso per un po’. Il peso sul petto non si attenua affatto. Non riavrò mai indietro la mia vita.
-Fatto sta- continua fissando una parete –che è molto probabile che a breve inizierai ad avere piccoli flash-back, molto probabilmente non collegati tra loro. Ne hai già avuto qualcuno?-
Mi guarda per un momento e io annuisco. –Solo uno, in realtà.-
-È già qualcosa, non dubitare. Ma devi sapere che alcuni ricordi della tua vita sono più… intensi di altri.-
-Che vuoi dire?-
-Voglio dire che alcuni potrebbero fa riaffiorare scene della guerra, di perdite particolarmente importanti, di momenti che hanno segnato la tua persona. Sono qui per dirti che, quando questi si manifesteranno, non devi chiuderti in te stessa e isolarti da tutti noi. Cerca invece qualcuno con cui parlare, di cui credi di poterti fidare. Hai già trovato questa persona?-
Ci penso un attimo, fissandomi le dita delle mani. –Per ora ricordo solo di Christina e Quattro.-
-Bene.- il suo tono sembra leggermente sollevato. –Sono entrambi brave persone. Puoi fidarti di loro.-
Annuisco, ma non riesco ancora a capire per quale ragione sia qui. Il suo discorso, però, accendo qualche lampadina d’avvertimento.
-Come tu potrai contare sull’appoggio di Christina e Quattro, anche loro avranno bisogno di te. Ora più che mai. In questo momento sono scossi da una grave perdita, Tris. Fa’ in modo che non anneghino nel dispiacere, o tutto ciò per cui abbiamo combattuto fino a oggi scomparirà con la loro felicità.-
Ora mi è tutto un po’ più chiaro, ma non voglio chiedergli quale sia questa perdita, visto che sembra angosciare anche lui. Lo ringrazio di avermi tenuta al corrente e prometto di rendermi utile.
-Aspetta domani per parlare.- mi consiglia. –Hanno bisogno di qualche momento di solitudine. Il dolore tempra, questo è vero. Rende più forti per certi aspetti. Ma per farlo ha bisogno di rendere malleabile la sostanza, di trasformarla per un attimo. Questa è la fase che stanno passando in questo momento. Aspetta il tuo turno, cerca di rievocare qualche immagini. Forse non lo ricordi, ma eri un’ottima ascoltatrice.-
Mi lascia così, con le sue parole che fluttuano ancora nell’aria. Cercherò di fare del mio meglio. Ricorderò, prima o poi, e poi tutto tornerà alla normalità. Almeno spero.
 
Tobias
Sono sdraiato sul letto che la residenza ha messo a mia disposizione. Penso a quei momenti che ho trascorso con Uriah, alle prime volte in cui Zeke lo sgridava per essersi sporto troppo verso il Pozzo e lui, ignorando gli ammonimenti del fratello, si protendeva ancora verso il vuoto, facendo drizzare i capelli a Zeke.
Ricordo quando, durante la guerra, ho promesso a Zeke che avrei protetto Uriah con la mia vita. Ho stretto un patto con lui quel giorno, ma non l’ho rispettato. Non mi sono preso cura di lui come avrei dovuto.
A un certo punto, qualcuno apre di scatto la mia porta e illumina la stanza con una piccola torcia. È Tris. Si avvicina al mio letto, ma rimane a una certa distanza. Mi alzo a sedere e le sorrido, ma lei non ricambia il gesto.
-Ricordo vagamente qualcosa.- mi dice con una punta di risentimento nella voce. –Mi hai mentito. Non solo a me, ma anche a tutti i tuoi compagni. Hana ha perso suo figlio per colpa tua e tu non me l’hai detto. Me lo hai tenuto nascosto per cercare un tornaconto personale.-
Cerco di ribattere, ma la voce si rifiuta di uscire dalla mia gola, se non come un verso strozzato. Le lacrime mi iniziano a sgorgare dagli occhi, prima lentamente, poi sempre più veloci.
Lancio un urlo di frustrazione, che riempie presto tutta la stanza. Non volevo, non è stata colpa mia, continuo a ripetermi. Ma Tris mi guarda ancora infuriata, con le braccia incrociate sotto il petto.
Il mio urlo fa giungere anche Zeke e la madre Hana. Anche loro, però, mi guardano sprigionando faville dagli occhi. Hana piange il figlio perso; il dolore le impedisce di parlare. Imploro il loro perdono, ma Hana si gira dall’altra parte, trovando conforto tra le braccia di Tris. Zeke, invece, mi fissa con odio. Leggo nei suoi occhi il dolore immenso, ma anche tantissimo disprezzo.
-Vi prego.- li imploro, fissandoli tutti uno per uno. –Perdonatemi.-
Pian piano, però, Tris accompagna fuori Hana, non prima di avermi scoccato un’occhiata piena di rancore. Hana è troppo frustrata anche solo per reggersi in piedi e smettere di piangere. Zeke è l’ultimo a lasciare la stanza. Sembra non sentire le mie suppliche. Esce anche lui dalla stanza, lasciando il senso di colpa a uccidermi lentamente.
 
Mi sveglio di soprassalto, grondante di sudore. Mi guardo intorno con occhi pieni di paura. Sono nella stanza della residenza, ma intorno a me non c’è nessuno. È stato tutto un brutto sogno, ripeto a me stesso. Eppure ciò no affievolisce il dolore che ho nel petto.
Chiudo per un attimo gli occhi, mentre riaffiorano i ricordi del momento in cui ho informato Zeke e Hana di essere la causa della morte di Uriah.
Uriah è rimasto gravemente ferito in un attentato. Mi sento ripetere lentamente. C’è stata un’esplosione e lui si trovava molto vicino. È in coma da allora e non si risveglierà.
Non si risveglierà. Riapro gli occhi di scatto. È questo che mi distrugge. Non sono stato in grado di salvarlo. Ho lasciato che morisse, senza alzare un dito per proteggerlo. Mi getto sul letto, scoppiando a piangere, sperando che la frustrazione mi abbatta velocemente e smetta di lacerarmi pian piano.
 
Tris
Sono nell’ascensore di un enorme edificio che il mio cervello ricorda come Centro. Mi dice anche che è il più alto della città. Per questo ho preferito no fare le scale per arrivare al ventesimo piano. Sento la voce registrata contare lentamente tutti i piani, uno per uno.
Vicino a me, un ragazzo con i capelli neri e gli occhi verdi mi rivolge la parola. Sembra alquanto teso. –Sei pronta, sorella?-
Sorella. Ho un fratello, allora. Altre due persone prendono parte alla conversazione. Un uomo in tutto e per tutto simile a mio fratello, che suppongo essere mio padre, con il naso adunco e i tratti che mio fratello ha ereditato. Accanto a lui c’è una donna, simile invece a me. Mi sorride e le fossette che le si formano sulle guance la rendono ancora più bella di quanto non sia già.
-Pronta?- chiedo lentamente.
Mia madre annuisce. –Pronta per il grande giorno.-
Apro la bocca per chiedere spiegazioni, ma l’altoparlante ci informa che siamo arrivati al ventesimo piano. L’ascensore apre le porte e noi usciamo. Ci dirigiamo verso un’enorme sala divisa in cerchi concentrici, colma fino all’ultimo posto.
Mia madre mi poggia una braccio dietro la schiena e mi spinge in avanti, dove molti ragazzi della mia età stanno prendendo posto sulla fina più vicina al centro.
-Ti voglio bene, Beatrice. Qualsiasi cosa accada.- mi sussurra con un sorriso. Poi sparisce tra al folla, lasciandomi con mio fratello.
Ci dirigiamo verso i nostri posti e mi siedo accanto a lui, guardandomi intorno. La sala è formata da cinque settori, in cui prendono posto persone vestite in modo diverso a seconda del settore che occupano. I miei genitori, per esempio, si collocano tra persone vestite di grigio.
Mio fratello, intanto, mi prende la mano e me la stringe tanto da farmi male. Glielo lascio fare, notando nei suoi occhi l’agitazione crescere esponenzialmente. Poco dopo un uomo si avvicina al podio posto al centro della sala e richiama al silenzio, prima di iniziare a parlare.
-Benvenuti alla Cerimonia della Scelta.- invita l’uomo allargando le braccia, come per racchiudere simbolicamente tutti i presenti. –Io sono Marcus, capo della fazione degli Abneganti. Oggi siamo tutti qui per onorare la filosofia democratica dei nostri antenati e supportare i nostri ragazzi nella scelta della propria strada.-
Continua così ancora per un po’, poi inizia a chiamare i ragazzi uno per uno. Il primo ragazzo si avvicina a un tavolo su cui sono poste cinque coppe di metallo, contenenti sostanze differenti. Prende un coltello, lo poggia sul palmo della mano e preme fino a farne uscire poche gocce di sangue, che fa cadere nella coppa contenente del vetro.
Mio fratello fischia sommessamente. -È  un trasfazione. La sua famiglia lo considererà un traditore.-
I ragazzi continuano così finché Marcus non chiama mio fratello. –Caleb Prior.-
Lui si alza lentamente e raggiunge il centro della sala. Anche lui pigia la lama del coltello sul palmo della mano e fa cadere alcune gocce in una coppa con dell’acqua. Mi guarda, implorando silenziosamente il mio perdono.
Registro questo momento nella memoria: anche lui ora è un trasfazione, esattamente come lo sarò io tra qualche istante. Ma lui sta chiedendo di perdonarlo non per questa scelta presa al momento, ma per qualcosa che farà in futuro e che cambierà per sempre le nostre vite.
 
Mi sveglio. È mattino presto. Ricordo vagamente quel sogno e sento il bisogno di parlarne con qualcuno nascere tutto a un tratto dentro di me.
Decido di essere in grado di andare un po’ in giro per la residenza. Mi faccio una doccia veloce, infilo un giacchetto e vestiti relativamente pesanti, poi indosso le scarpe. Le trovo vicino al letto, segno che Amar ha parlato con qualche medico e mi fa uscire.
Trovo un biglietto sulla porta della mia camera. Fa’ il tuo dovere, Tris. Non è firmato, ma so per certo che è di Amar. Prendo coraggio e lascio la stanza, diretta dove mi porteranno i piedi. Non sono sicura di riuscire poi a trovare la strada per tornare, ma ostentare sicurezza mi fa salire la voglia di scoprire qualcosa della residenza.
Scendo lentamente le scale, dopo aver visto che il piano dove mi trovo ora non offre niente più di qualche stanza chiusa uguale in tutto e per tutto alla mia: persone attaccate a macchinari ronzanti con pochi infermieri qua e là.
Mi blocco sul terzultimo gradino, fissando con desiderio crescente la porta socchiusa che dà sull’esterno. Chiudo un attimo gli occhi, acuendo il mio olfatto. Posso quasi sentire il profumo dei fiori, i prati verdi e le distese intorno a me. Vedo una ferrovia, un treno che mi trasporta da qualche parte, lontano da qui.
Scuoto lentamente la testa, tornando al presente. Scendo ancora e sfioro il piano terra. Qui, senza doverci neanche pensare, mi avvio verso destra. Ci sono altre camere simili alla mia. Mi avvicino a una di queste. Riconosco il suono del pianto. Quella è la stanza di Quattro. Faccio un respiro profondo e spingo la porta, sperando che non sia troppo scosso per poter parlare con me.

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Ciao a tutti, Divergenti! Ritaglio questo spazietto per ringraziare Hilly (e le sue bellissime recensioni) e tutti coloro che hanno aggiunto la mia storia alle preferite, seguite o ricordate. Inoltre auguro a tutti un buon 2015 pieno di felicità, gioia e... fantasy!
Con affetto,
Crystal :)

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Capitolo 7
*** Cambiamenti drastici ***


Gocce di memoria
Capitolo 7: cambiamenti drastici
 
Tobias
Sento la porta aprirsi. Ti prego, non di nuovo, penso. Non posso sopportare un  altro sogno come quello che ho fatto poco fa. Alzo la testa di scatto, incontrando gli occhi spaventati di Tris. Trovo coraggio, parlo prima che lei possa giudicarmi di nuovo un assassino.
-Ti prego, perdonami.- la imploro sussurrando, le lacrime che scendono ancora copiosamente. –Non ho mai voluto fare del male a Uriah. Volevo proteggerlo, ma non ci sono riuscito.-
Finisco le parole e mi getto di nuovo sul letto, con le ginocchia a terra e le braccia poggiate sul materasso. Sento Tris avvicinarsi e sedersi accanto a me, lasciandosi cadere lentamente in ginocchio. Mi posa una mano sulla spalla e parla con quella sua voce dolce e rilassante.
-Va tutto bene.- cerca di rincuorarmi. –Qualsiasi cosa sia successa, ora sono qui. Possiamo parlarne, se vuoi. Non tenerti tutto dentro, altrimenti prima o poi il fardello diventerà troppo pesante da reggere.-
È già troppo pesante, penso, ma tengo quella riflessione per me. Non trovo parole, quindi mi abbandono a lei, cingendole la vita con le braccia e posando la testa sul suo petto. Il suo battito regolare, pian piano, stabilizza anche me. Mi passa ripetutamente una mano sulla schiena, accarezzandomi con fare protettivo, e quel gesto ha il potere calmante di una bella botta in testa.
Passa qualche secondo, o forse minuti interi, ma alla fine riprendo un po’ di forza e mi alzo a sedere. Le parlo, senza però trovare la forza di guardarla negli occhi.
-Non è un sogno, vero?-
Lei scuote lentamente la testa. Devo sembrarle uno stupido, ma ho un enorme bisogno di sentirmi dire che sono sfuggito a quell’incubo in cui si sta trasformando la mia vita. -È tutto reale. Io sono reale.-
Annuisco, sentendomi almeno in parte soddisfatto di quella risposta.
-Guardami.- mi sussurra lei.
Scuoto la testa. Non voglio leggere l’odio nei suoi occhi ancora una volta.
- Quattro, guardami.- insiste lei con dolcezza, tirandomi su il mento con una mano fino a incontrare i suoi occhi. Sento una scarica d’adrenalina percorrermi tutto il corpo mentre lei mi sorride. –Vieni, sediamoci sul letto.-
Mi aiuta ad alzarmi in piedi, poi mi adagia dolcemente sul letto, sedendosi poi accanto a me. Mi prende una mano nella sua, tanto piccola eppure tanto confortante.
-Ne vuoi parlare?- mi chiede dolcemente.
Il suo tono delicato mi spinge a raccontarle tutto d’un fiato il mio sogno. Le racconto tutto, da quando Amar mi ha riferito la perdita di Uriah, a quando nel sogno lei, Zeke e Hana se ne sono andati dalla mia camera, ripugnanti del mio comportamento nient’affatto intrepido.
Alla fine prendo fiato, scoprendo i miei polmoni senza più ossigeno. Reprimo l’impulso di gettarmi ancora tra le sue braccia, quindi mi cingo da solo la vita con le braccia.
Lei aspetta un attimo che io mi sia calmato, poi prende a parlare con voce melodiosa. –Non è facile dimenticare certe cose, soprattutto se queste ti hanno impressionato in modo negativo. Ognuno nella sua vita vive momenti felici e momenti tristi. E sono proprio questi ultimi che formano meglio le persone. Perché la felicità, a mio parere, non è altro che la forma più dolce del dolore. Ed è proprio questo dolore che ci tempra, che ci rende quello che siamo. Ci fortifica, ci rende migliori. È vero: talvolta si impiega più tempo a cancellare un evento negativo che uno positivo. A volte, per smettere di soffrire per una perdita, si impiegano mesi, forse anche anni. Altre volte, invece, non basta una vita intera per cancellare un solo ricordo. Eppure questi sono parte della nostra vita e dobbiamo imparare a trarre sempre il meglio da ciò che ci capita.-
La guardo per un momento, ricordando uno dei tanti motivi per cui mi sono innamorato di lei: riesce sempre a dare consigli, a tirare su il morale anche quando la situazione sembra essere irrisolvibile. La ringrazio e lei si stringe nelle spalle, arrossendo un po’.
Rimaniamo in silenzio per qualche altro minuto: io penso e ripenso a ciò che mi ha appena detto, ponderando ogni singola frase. Certo, magari non ricorda ancora nulla del suo passato, della guerra, delle perdite… ma so che in fondo al cuore c’è qualcosa che la spinge a parlare in questo modo. Magari un ricordo offuscato di ciò che ha vissuto.
È anche vero, però, che tutti sono in grado di dare consigli e conforto al dolore che non provano in prima persona, ma sono sicuro che Tris si sia comportata in questo modo solo per aiutarmi, come del resto ha sempre fatto fin da quando ci siamo conosciuti per la prima volta.
Alla fine ritrovo un po’ di serenità grazie al suo discorso di conforto. Il senso di colpa è ancora vivo dentro di me, ma grazie a lei ora mi sento più tranquillo, come se la mia vita, in fin dei conti, contasse qualcosa. Mi prendo qualche attimo per cancellare dal viso i segni del pianto e riacquistare un po’ di fiducia in me stesso.
-Ti ringrazio, Tris.- le dichiaro dopo un po’. –Ne avevo davvero bisogno.-
Lei annuisce di nuovo. Tra noi cala il silenzio ancora una volta. Ma non è imbarazzo; è solo l’inizio di qualcosa di più grande e potente.
 
Tris
Mi fa davvero piacere essere riuscita ad aiutare Quattro in questo momento così difficile. In realtà non mi ero preparata il discorso. L’ho inventato al momento. Eppure era come se la mia coscienza sapesse cosa dire fin da quando ho iniziato a parlare.
Mi ringrazia ben due volte per quello che ho fatto per lui, ma non trovo nulla da dire. Ho fatto solo quello che ritenevo giusto: consigliare un amico in un momento di bisogno. Voglio che sappia che può contare sul mio appoggio sempre e comunque, che io ci sarò quando gli servirà una spalla su cui piangere. Ma mi mancano le parole, quindi resto in silenzio.
Quando poi mi ringrazia per la seconda volta, intuisco che in lui qualcosa sta cambiando: i meccanismi stanno tornando al posto giusto. Magari, prima o poi, riuscirà a mettere una pietra sopra a quello che è successo.
Decido di cambiare discorso. –Stanotte ho fatto un altro sogno-ricordo.-
Lui mi guarda interessato. –Cosa hai sognato?-
Mi sistemo meglio sul letto, fissando un punto sulla parete mentre racconto ogni dettaglio: parlo della mia famiglia, dei miei genitori e di mio fratello; parlo di Marcus, di quando ha preso parola durante la Cerimonia della Scelta; parlo delle scelte che entrambi abbiamo preso, della decisione che mi ha spinto a rinnegare la mia famiglia e a essere etichettata come traditrice.
Alla fine riprendo fiato e noto una ruga di preoccupazione solcare la fronte di Quattro. –Hai ricordato la tua famiglia.-
-Cosa mi puoi dire di loro?- chiedo lentamente. Noto troppo tardi che lui è percorso da un brivido ed evita di rispondere.
-Preferirei parlarne quando avrai ricordato qualcos’altro.-
Annuisco, anche se la risposta non mi esaudisce positivamente, né tantomeno negativamente.
Quattro porta l’argomento da un’altra parte, iniziando a parlare della residenza, di quanto il suo letto sia scomodo (concordo pienamente) e altri temi simili, sicuramente meno pesanti dei precedenti.
Parliamo del più e del meno e sento di provare affetto per quell’uomo che sembra tanto forte e indipendente, ma che ha pianto accanto a me e mi ha confidato i suoi dispiaceri. Ringrazio mentalmente Amar di avermi spronato ad aiutarlo.
Dopo un po’ Quattro mi invita a mangiare qualcosa insieme nella mensa della residenza. Accetto volentieri, quindi usciamo insieme dalla sua camera e ci avviamo alla caffetteria. Io ordino un hamburger con doppio bacon, pieno di ketchup e maionese. Lui, invece, prende una misera insalatina scondita.
Quando arriviamo al nostro tavolo con i vassoi in mano aggrotto le sopracciglia, pronta a fargli una strigliata con i fiocchi. –Non puoi mangiare solo quelle quattro foglioline. Finirai per perdere tutti i tuoi muscoli!-
Lui sorride malignamente. –Hai paura che io diventi meno attraente?-
Alzo le spalle, fintamente noncurante della sua domanda. Devo però ammettere che, effettivamente, mi dispiacerebbe che si… sgonfiasse.
-Pensala come ti pare.- rispondo alla fine, addentando il mio panino. –Ma sta di fatto che non puoi andare avanti mangiando insalata.-
-Non ho molta fame…-
-Non provare a giustificarti!- lo minaccio, agitandogli una patatina fritta sotto il naso. –Muscoli o non muscoli, hai bisogno di cibo. Sai, è una stupidaggine quella dell’“insalata fa bene alla salute”. Sarà anche più salutare di un buonissimo hamburger a due piani, ma non dà le stesse soddisfazioni che puoi avere addentando una delizia del genere.-
Lui alza gli occhi al cielo, sorridendo. Ho fatto centro, penso tra me e me, fiera di aver raggiunto l’obiettivo. Come ricompensa addento di nuovo il mio panino.
-Assaggialo.- gli avvicino il panino, ma lui lo rifiuta gentilmente.
-Ti ringrazio dell’offerta, ma penso che farebbe meglio a te mettere su mezzo chilo.-
Mi fingo offesa. –Non ho bisogno di “mettere su mezzo chilo”.- lo cito, mimando le virgolette con le dita sporche di salsa. –E comunque la mia non era un’offerta.-
Lui apre la bocca per ribattere, ma io con uno slancio gli infilo il panino in bocca. Quattro sgrana per un attimo gli occhi, poi morde. -È buono.- risponde masticando, evidentemente in estasi.
Io annuisco con convinzione. –Non è solo buono.- lo correggo staccandone un pezzo per me. -È buonissimo.-
Lui conferma con un vago gesto della mano, fissando la sua misera insalatina con evidente disgusto.
Così gli offro il mio panino. –Prendilo.-
-No, ti ringrazio…-
-Ma smettila!- lo interrompo. –Non avrai mica intenzione di mangiare quelle quattro foglie secche d’insalata se puoi gustare una meraviglia del genere!- affermo indicando il panino. –E poi io ne ho mangiato una metà e sono già sazia. Forza, prendilo.-
Dopo un momento di incertezza, Quattro accetta con un sorriso e mangia con voracità quello che resta del mio pranzo. Lo osservo soddisfatta. Probabilmente non mangia da ieri e l’essere riuscita a farlo sorridere almeno per un po’ mi rincuora.
Finito di mangiare, Quattro si pulisce le mani con un fazzoletto (con mio disappunto) e mi guarda quasi orgoglioso. –Era davvero buo… cioè, buonissimo.- stavolta è il suo turno di citarmi, quindi annuisco sorridendo.
-Ora tocca a me farti una sorpresa.- lo informo.
Mi alzo dal tavolo, mentre lui mi segue perplesso.
 
Tobias
Usciti dalla caffetteria, Tris mi prende per mano e mi conduce fuori dalla residenza. Quel contatto improvviso genera un brivido che mi percorre tutta la schiena. Mi manca poterla abbracciare, questo è vero, ma quel misero contatto ha il potere di risvegliare i miei sensi.
Appena varchiamo la soglia, però, i due soldati di guardia ci bloccano il passaggio.
-Dove state andando?- chiede uno di loro con voce talmente stentorea da risuonare nell’atrio della costruzione.
-A fare un giro.- risponde Tris con una scrollata di spalle.
-Devo sapere dove state andando.- la incalza l’uomo.
-Mi ascolti bene.- spiega lei, spazientita. –So che il suo lavoro è quello di proteggere le persone che vivono qui dentro, che ha a cuore la nostra incolumità e affari di questo tipo. Ma non ho intenzione di starmene tutto il giorno chiusa in una stanzetta piccola e umida, solo perché mi è stato imposto da qualcuno che, francamente, non mi sta neanche tanto simpatico. Staremo fuori per poco, giusto il tempo di… scaricare la tensione. Rimarremo nei paraggi, lo prometto.-
Lui la fissa con un sopracciglio alzato tanto a lungo che penso che stia avendo una visione di qualche genere. –Tu sei Beatrice Prior, esatto?- chiede alla fine.
Tris annuisce, anche se leggo nei suoi occhi un guizzo di sorpresa. Evidentemente non si rende ancora conto di quanto sia stata fondamentale nella guerra. La mia piccola Tris che è diventata una grande eroina.
Dopo un primo momento di incertezza, la guardia annuisce a sua volta e ci fa passare. –Mezz’ora al massimo, signorina Prior.- la avverte. –O dovrò fare rapporto ad Amar.-
Lei storce il naso, ringrazia e, dopo avermi di nuovo preso per mano, si allontana dalla costruzione, girando a destra dietro l’angolo.
Quando poi si ferma accanto a un muretto, do voce ai miei interrogativi. –Amar ti sta veramente tanto antipatico?-
Lei sorride maliziosamente. –Non direi antipatico. È solo che è molto… severo. Sì, severo è la parola adatta.-
Io alzo gli occhi al cielo. –Cosa ti aspettavi da un istruttore degli Intrepidi?-
Lei mi guarda incuriosita. –Tu non sei così. Almeno non con me.-
Passo distrattamente una mano tra i capelli. –Non saprei come rispondere.-
-Allora dimmi solo la verità. Nient’altro che la verità.-
La fisso per qualche istante, incerto su cosa fare, su cosa dire. –Francamente, non so se sia una buona idea.-
-Allora parlami solo della mia famiglia.- incalza lei, con le lacrime agli occhi. Vederla così mi fa restringere il cuore. –Ho bisogno di sapere, Quattro.-
Lotto con tutta la buona volontà contro l’istinto di raccontarle tutto dall’inizio alla fine, aiutandomi nel ricordare le parole di Amar: “Ha bisogno di tempo. Lascia che ricordi.” So che per lei sarà difficile, ma non posso solo riferirle i fatti come se le narrassi una storia da quattro soldi. Ha bisogno di rievocare quei ricordi da sola.
Scuoto la testa, pregando che Tris non si rifiuti di parlarmi da oggi alla fine dei miei giorni, altrimenti ne morirei. –Mi dispiace.-
Lei annuisce contrariata, ma evidentemente accetta la sconfitta. Almeno per ora. Rimaniamo a fissarci le mani per un altro po’ di tempo, poi un gemito di Tris spezza il silenzio che si è creato fra noi. La vedo accasciarsi lentamente a terra con la testa fra le mani.
Entro nel panico. Non so che fare, come comportarmi, come poterla aiutare. La fisso per qualche secondo impotente, cercando di trovare un modo per fornirle assistenza. Dopo qualche lunghissimo attimo, Tris si siede a terra, cingendosi le gambe con le braccia. Vista così sembra ancora più piccola di quanto non sia realmente.
Mi accovaccio accanto a lei e rimango in silenzio, non trovando le parole adatte per chiederle cosa le sia preso. Ma non servono parole: mi avvicino maggiormente al suo corpo tremante e la copro con le braccia con fare protettivo. Trascorriamo qualche secondo così, poi lei di lascia andare e mi abbraccia forte, come se potessi fuggire da un momento all’altro.
Lei mi ha aiutato a superare (almeno in parte) la perdita di Uriah. Ora è il mio turno di ricambiare il favore.
Rimaniamo così, seduti sulla terra umida, per almeno cinque minuti. Sento il suo pianto lento e silenzioso e ogni tanto si stacca da me, giusto il tempo di asciugare una lacrima.
Alla fine, però, alza il volto, palesemente disperata. –Li ho visti, Quattro.- mi spiega tra i singhiozzi. –Ho visto i miei genitori morirmi in braccio, ho visto mia madre esalare l’ultimo respiro e mio padre immolarsi per la guerra. Ho visto le armi, le persone che sfilavano accanto a noi come tanti automi. Ho visto mio fratello, ho visto Caleb, scusarsi per non essere stato un bravo fratello. Li ho persi tutti. Ho perso la mia famiglia.-
In preda al pianto, la stringo forte al petto, sperando che tutti questi ricordi che si stanno manifestando a troppa poca distanza l’uno dall’altro non la distruggano più di quanto non lo sia già.

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Ciao a tutti, Divergenti! Mentre scrivevo ho pensato più volte: "Oh mio Dio, sto diventando quasi come una vera scrittrice! Colpi di scena, morti incalcolabili..." Insomma, questo capitolo è leggermente diverso dagli altri (forse perchè ho scelto di finirlo con Tris che è sopraffatta dai ricordi). Riuscirà a sopravvivere all'ondata di brutte notizie? Perdonerà Tobias per ciò che ha fatto a Uriah? E lui stesso si perdonerà?
Questo e altro nel prossimo e ultimo capitolo!
A presto,
Crystal :)

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Capitolo 8
*** Nulla si crea, Nulla si distrugge. Tutto si trasforma ***


Gocce di memoria
Capitolo 8: nulla si crea, nulla si distrugge. Tutto si trasforma
 
Tris
Rimango abbracciata a Quattro per un tempo che mi sembra un’eternità. Mi sento al sicuro tra le sue braccia, mi sento viva. Sto iniziando a odiare questi flash-back improvvisi: ogni volta che incrocio lo sguardo di una persona nella residenza, rivedo il volto di qualcuno che ho perso in guerra.
I ricordi si fanno man mano sempre più vividi. Quando ho sognato per la prima volta la mia famiglia, non ero certa di chi fossero veramente. Ma ora rivedo sfilarmi nella mente tutte quelle persone con cui o trascorso la mia vita, specialmente l’ultimo periodo.
Rivedo mia madre, con le sue bellissime fossette sulle guance, mentre mi taglia i capelli per la Cerimonia della Scelta. La rivedo mentre si intrufola nella residenza degli Intrepidi e mi informa indirettamente che un tempo anche lei era una di loro. La rivedo mentre si accascia a terra, spirando tra le mie braccia.
Ricordo mio padre, l’uomo che per anni è sempre stato un punto di riferimento per tutti gli Abneganti. Lo ricordo nella guerra, mentre tenta si salvare tutti noi lasciandosi uccidere.
Intravedo Caleb, il fratello che, alla Cerimonia della Scelta, mi aveva stretto forte la mano perché sapeva che, davanti a quelle dannate ciotole, avrebbe scelto la fazione degli Eruditi. Lo intravedo mentre parla con Jeanine, mentre la aiuta nel suo piano folle. Lo intravedo mentre mi caccia dalla residenza degli Eruditi, cercando di troncare ogni contatto con me. Lo intravedo infine seduto accanto a me, mentre cerchiamo di respingere degli uomini armati, che implora il mio perdono per tutto quello che ha fatto e che non ha fatto, prima di incontrare morta certa. Non prima di aver salvato tutti noi.
Ricordo Uriah, il suo sorriso solare, sempre pronto alla battuta. Ricordo la volta che ha sparato a un muffin posizionato sulla testa di Marlene, solo perché quest’ultima lo aveva sfidato a colpire un piccolo bersaglio a trenta metri di distanza. Uriah, il ragazzo che non c’è più, che a causa della guerra ha vissuto i suoi ultimi giorni alimentato da una macchina.
Ricordo lo zip-line. Uriah mi ha proposto un piccolo “rituale di iniziazione”, una cosa pericolosa, come mi ha risposto lui evasivamente, prima di trascinarmi sull’Hancock, un enorme grattacielo abbandonato. Rivedo il cavo d’acciaio che mi ha sostenuto mentre guardavo la città sotto di me da un’altezza spropositata. Ricordo di aver volato tanto vicino ai grattacieli da farmi urlare di gioia, anziché di paura.
Vedo Will, la prima volta che l’ho conosciuto: spariamo ai bersagli e io non riesco a colpirli. Poi, la sua frase che mi rimarrà impressa nella mente per tutta la vita: “Statisticamente avresti dovuto centrarlo almeno una volta, anche solo per sbaglio”. Ricordo di avergli voluto un gran bene, come amico. Ma ricordo anche di avergli sparato mentre era in stato di incoscienza. Di aver sparato per uccidere, non per ferire.
Ricordo Tori, di quando mi ha aiutata durante l’iniziazione, di come mi ha consigliato di non parlare a nessuno della mia divergenza. Rivedo le immagini del mio Scenario della Paura, poi anche quello di Quattro. È per questo che lo chiamano Quattro, perché è il numero delle sue paure. Mi osservo seduta sulla poltrona davanti a Tori, mentre lei, con dita abili, mi tatua tre uccelli in volo sulla clavicola. La vedo poi a terra, senza vita, nel disperato tentativo di sfuggire alla guerra. Io ce l’ho fatta; a lei il destino non ha riservato lo stesso trattamento di favore.
E infine, come se stessi vedendo un film dalla platea, rivedo me e Tobias. O Quattro, come è chiamato da tutti gli Intrepidi. Ricordo la prima volta che ci siamo conosciuti, la sua espressione quando incredula quando mi ha afferrato una mano, aiutandomi ad abbandonare la rete, dopo che mi sono buttata per prima. vedo i suoi occhi, blu come la notte, talmente scuri da sembrare neri. Ricordo quando l’ho involontariamente sfidato, chiedendogli qualche informazione su di lui – se per caso fosse un trasfazione come me. Ricordo la ruota panoramica e tutto ciò che ne è derivato. Ricordo il nostro primo bacio, il brivido che mi ha percorso la schiena quando mi ha mostrato il suo tatuaggio. Ricordo il nostro amore che è sbocciato lentamente e poi si è consolidato sempre di più. Ricordo il mio sollievo nell’intuire che non era sotto il siero di Jeanine. Ricordo l’ultimo litigio che abbiamo avuto prima di lasciarci, prima che il mondo precipitasse e che io perdessi la memoria.
La vita mi passa davanti. Prima ero Beatrice. Poi sono diventata Tris. Ora sono Tris Prior, un mix nato dalla collisione di un’Intrepida con un’Abnegante. Ora sono divergente. È per questo che sono ancora qui, che posso permettermi di definirmi viva. Per questo non sono caduta sotto la soggezione dei sieri. Non hanno avuto potere su di me. Nessuno ha potere su di me. Perché ora sono una Divergente, e non posso essere controllata.
 
Tobias
Rimango accanto a lei mentre la sento soffrire. Non so che fare: ogni tanto sussurra qualche nome, altre volte, invece, sorride o scoppia a piangere.
Trascorrono diversi minuti prima che si calmi. Prima che torni a comprendere dove si trova. Mi guarda prima con sguardo vacuo, poi, mentre le immagini tornano al loro posto, tutto le si fa chiaro. Ho paura di sapere cosa ha appena visto, quindi le rimango accanto, facendomi un po’ più vicino.
-Tobias.- sussurra, con occhi pieni di lacrime.
Sento anche i miei occhi diventare umidi. La abbraccio con forza, emettendo un sospiro pesante. Finalmente ricorda.
Finalmente ricorda. Sento un brivido percorrermi tutto il corpo, dalle punte dei piedi, fino a farmi drizzare i capelli sulla nuca. Ora ricorda. Probabilmente non vorrà più avere nulla a che fare cin me, visto l’ultimo litigio che abbiamo avuto.
Sbianco velocemente, tanto che ho bisogno di poggiare la schiena contro il muro.
Tris cambia subito espressione, allarmandosi. –Tobias, che ti succede?-
Avvicina una mano alla mia faccia per sentirmi la febbre, poi poggia le sue labbra sulla mia fronte. Io devio il contatto e faccio in modo che le nostre labbra aderiscano le une alle altre. Premo un po’, quel tanto che basta per sentire ancora una volta il suo sapore. Rivivo il nostro primo bacio e deve ricordarlo anche lei, tanto che, dopo un primo momento di sconcerto, chiude lentamente gli occhi e approfondisce il bacio, schiudendo le labbra.
Io mi ritraggo di scatto, evitando vigliaccamente di incrociare il suo sguardo.
-Tobias.- mi chiama dolcemente. Scuoto piano la testa, sentendomi il viso bagnarsi di lacrime. So di non essermi comportato bene con lei, ma non posso accettare di perderla di nuovo e di non ricevere mai più un suo bacio.
Tobias- ripete gentilmente. Mi alza il mento con due dita, fino a riportare i nostri sguardi sullo stesso livello. Ho paura di guardarla negli occhi, paura di leggere avversione nei miei confronti, rancore, odio.
Ma, appena alzo il viso, ciò che vedo mi fa emettere un lieve gridolino prontamente represso: non vedo tracce di odio nel suo sguardo, che è invece pieno di… ammirazione.
-Potrai mai perdonarmi per tutto quello che ho fatto?- le chiedo con un filo di voce, facendole passare lentamente una mano sulla mascella. –So di aver combinato complicazioni che hanno solo aggravato ciò che la guerra stava lentamente distruggendo. Ho messo in pericolo la vita di tante persone, non sono stato in grado di salvare Uriah, di mantenere fede alla promessa fatta a Zeke. Non sono stato capace neanche di salvare te, la donna per cui, durante la guerra, avevo giurato di fare qualsiasi cosa.- sento la gola stringersi, ma non mi fermo. Continuo il mio discorso, anche se, probabilmente, ai suoi occhi sembro solo un povero pazzo senza un minimo di pudore. -Mi sento un mostro nel ricordare tutti i danni che ho causato. Non sono riuscito a fare niente di buono ed è giusto che io soffra da solo, in silenzio, per il resto della mia vita. Forse è giusto anche che io sogni sempre la scena in cui Uriah… e il momento in cui ho creduto che tu…-
Non riesco a finire la frase. Mi copro la faccia con le mani e mi lascio sopraffare dalle emozioni.
Tris mi abbraccia con tanta forza da sembrare che non mi lascerà mai più, poi però alla fine si stacca lentamente, cingendomi le spalle con un braccio.
-Non devi più dire una cosa del genere.- mi rimprovera lei, anche se usa un tono piuttosto dolce. –E non devi neanche pensare a questi discorsi. Ciò che è accaduto non è stata colpa tua, ma di qualcuno che ha deciso il nostro destino, lo ha cancellato, lo ha riscritto come voleva e ha giocato con noi come se fossimo bambole di pezza o cavie da laboratorio.-
Mi toglie delicatamente le mani dalla faccia, posando le sue sulla mia mascella. I suoi occhi brillano mentre parla. –Non dimenticherò mai tutto quello che hai fatto per tutti noi, per i tuoi amici, per i membri delle fazioni, per me. E io ti ringrazio di tutto questo, di essermi stato accanto quando ne avevo bisogno, di avermi sempre protetta anche quando ho perso tutto.- Il suo tono si fa più basso. -Di essere stato la mia famiglia quando la mia è stata lacerata dalla guerra.-
La guardo e lei mi sorride dolcemente. –Non dico che verrà un giorno in cui dimenticheremo tutto quello che è successo. Non direi mai una cosa che non penso. Ma sono sicura che, rimanendo insieme e vivendo ciò che resta della nostra vita uniti, riusciremo a colmare il vuoto che la guerra ha creato, squarciando le nostre vite e riempiendole di devastazione e sangue. Ce la faremo, Tobias, vedrai. Io e te contro il mondo intero.-
Detto questo, mi fissa ancora un po’, spostando lo sguardo dagli occhi alle mie labbra. Alla fine mi bacia. Inizialmente è un bacio, lento, pieno di frustrazione, un bacio che esprime tutto il dolore che abbiamo passato, tutte le vite che abbiamo perso in questo periodo, tutte le persone che si sono sacrificate per creare un mondo più giusto dove vivere in pace. Poi, però, si trasforma in un bacio passionale, che mi trasporta nel futuro, in un futuro neanche troppo lontano con me e Tris insieme, uniti per sempre.
Quel bacio è una promessa di una vita da trascorrere congiuntamente, io e lei, nel ricordo della memoria di tutti i caduti che hanno sacrificato la propria vita per noi, per garantirci un futuro migliore, per sfidare quel potere che per anni ci ha resi parte di un esperimento più grande di noi, ma che, alla fine, siamo riusciti a debellare. È la forza che ci ha spinto a combattere fianco a fianco, a credere in noi stessi e a reclamare i nostri diritti.
Perché questo significa amore: mettere il bene degli altri prima del proprio, pensare alla salvezza del prossimo e non a quella di se stessi. E i miei compagni l’hanno fatto: i genitori di Tris, perfino Caleb, si sono sacrificati per questo, e noi li ricorderemo come eroi, come è giusto che sia.

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Ciao a tutti, Divergenti! E bene... siamo giunti all'ultimo attesissimo capitolo di questa mia prima fanfiction. Ne approfitto per ringraziare Hilly e le sue bellissime recensioni e tutti coloro che seguono questa storia, chi la legge fin da quando l'ho inizxiata a scrivere e chi ha avuto (forse) la fortuna di leggerla tutta insieme. Comunque sia, vi ringrazio di cuore di aver letto e continuato a leggere la mia storia. Sto scrivendo qualcos'altro, ma nno sono proprio sicura di volerlo ancora pubblicare. Comunque suppongo che, come prima fan fiction, non sia andata male.
Per ora vi saluto e vi auguro un buon proseguimento e... rimanete divergenti!
Con affetto,
Crystal.

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