Aware

di fewde
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'ultima settimana ***
Capitolo 2: *** Una sola persona ***



Capitolo 1
*** L'ultima settimana ***


Secondo me è troppo rischioso che io stia qui!
Zitto!
Non sto parlando.
Gilth si spostò in un angolo, vicino alla parete, ma Fede gli diede subito una botta, perché aveva creato un rigonfiamento visibile anche alla professoressa.
Aiha!
Non puoi metterti in quel modo! Accucciati e stai fermo.
Ma non mi potevo infilare nello zaino? Tanto non abbiamo bisogno di parlarci per sentirci.
E certo! E come lo vedi il compito? Stai fermo lì e non fare rumore!
Una donna con occhi verdi attenti iniziò a circolare per la classe distribuendo dei fogli.
Portava un vestito vistoso di seta rossa e i capelli scurissimi raccolti in un fermaglio verde.
Fede non capiva che interesse avesse la sua professoressa a venire così ben messa a scuola, ma ormai, dopo due anni, ci aveva fatto l’abitudine.
La donna le consegnò un foglio e Fede iniziò il suo compito.
Gilth, dammi una mano, non ci sto capendo niente!
Aspetta che da qui non vedo…
Fede fece per spostare il suo astuccio, ma nel piazzarlo davanti al suo compito, lo fece cadere a terra.
Scusa Gilth.
Si chinò a raccoglierlo facendo attenzione a non sballottarlo troppo, ma quando lo rimise sul banco si trovò davanti la faccia della professoressa.
«E’ un quarto d’ora che metti e togli le mani da questo astuccio! Cosa c’è dentro?»
«Niente professoressa!»
L’insegnante lo prese e lo ribaltò, vuotandone il contenuto sul banco: come Fede aveva affermato non avrebbe trovato nulla di compromettente. Dentro c’era una gomma, ormai ridotta alquanto male che Fede si divertiva a fare a pezzettini e a lanciare ai suoi compagni, due penne, un paio di forbici e una catenina d’oro. La professoressa esaminò attentamente il ciondolo. Lo caratterizzava un motivo circolare di rami intricati fra loro e all’interno un numero: 161.
«Molto bello» notò la professoressa, «continua il compito ora».
Fede rimise il tutto dentro l’astuccio e pulì il foglio del compito dai detriti di grafite, e da qualche pelo che erano caduti insieme alle penne sul banco e che, probabilmente, si erano depositati sul fondo dell’astuccio durante il corso  di tutto l’anno.
Gilth, tranquillo, torna.
Eccomi, ma cerca di non farti beccare!
Di nuovo si creò un piccolo rigonfiamento su un angolo dell’astuccio, questa volta, però, quasi impercettibile, e con cautela Fede vi avvicinò il foglio.
 
Gilth la aiutò ed il compito probabilmente le sarebbe andato più che bene.
Consegnò per prima, poi prese il ciondolo, se lo mise al collo e chiese alla professoressa di andare al bagno.
Gilth poteva nascondere i suoi pensieri a Fede quando parlavano, ma ora non poteva fare molto. La ragazza stava diventando abbastanza brava e lui era troppo debole in quella forma per respingere la sua mente.
Fede si lasciò invadere dalla sensazione mista di preoccupazione ed eccitazione di Gilth e provò ad analizzarla, come faceva spesso negli ultimi giorni, da quando l’aveva avvertita per la prima volta.
Non è che c’è qualcosa che mi devi dire?
Ma sapeva che in quel momento Gilth non le avrebbe potuto rispondere. Voleva solo prepararlo al discorso che le avrebbe fatto la sera a casa.
 
Mancava ancora un’ora alla fine delle lezioni, un’ora inutile. La scuola era agli sgoccioli e la maggior parte degli insegnanti preferivano starsene lì fermi e lasciare gli alunni liberi di fare ciò che volevano.
«Lo stress prende anche loro eh?»la voce di Luca veniva da un angolo della classe nel quale lui, Fede, Giulia, Flavia e Marco si stavano rilassando, mentre la professoressa di inglese aveva preferito rifarsi lo smalto che fare lezione
«Dai, infondo anche loro sono dovuti stare rinchiusi qua dentro per nove mesi».
Flavia sorrise un attimo. «Oggi a che ora ci vediamo?»
«Direi alle 3 in piscina».
Fede stava per dire che le andava bene quando all’improvviso un no le iniziò a girare nella testa.
Vuoi che non vada Gilth?
Il no si fece più forte nella mente di Fede. «Non so se io posso venire, ieri ho litigato con mia madre, poi vi faccio sapere». Cercò di mettere più amarezza possibile nel tono di voce, ma l’unica cosa che riuscì a trasmettere fu preoccupazione.
Dopo un po’ di proteste da parte degli altri quattro suonò la campanella e Fede fu salva dal dare spiegazioni.
Mentre uscivano Flavia la affiancò. «Se non puoi venire in piscina, vengo io da te, non ho voglia di lasciarti sola».
«Se mia madre non mi fa uscire non ti farebbe neanche venire a casa mia» mentì Fede. «Dai, dopo ti chiamo e, al massimo, ci vediamo domani a scuola».
«Ok… ciao».
 
Arrivata a casa Fede si tolse il ciondolo e lo lanciò sul letto in modo che Gilth potesse trasformarsi.
Era abbastanza turbata. «Perché non hai voluto che andassi con gli altri in piscina oggi?»
Gilth si mosse sul letto, poi dal bordo saltò sulla scrivania di Fede. «Siediti, dobbiamo parlare. Ho capito che ormai aspettare non avrebbe più senso».
Fede si sedette sul letto, con le ginocchia al petto e la schiena appoggiata alla parete.
«A sedici anni ogni proprietario di un aware deve fare una scelta: o continuare il suo cammino con lui, oppure abbandonarlo e perdere tutti i ricordi a lui legati».
«E’ ovvio che voglio restare con te!»
«Aspetta. La cosa non è così semplice». Gilth fece passare la lunga criniera di pelo nero e rosso che gli ricopriva tutto il dorso nella sua preziosissima gemma rosso vermiglio. «Quando compirai sedici anni io dovrò tornarmene nel mio mondo, e se sceglierai di venire con me non potrai più tornare qui fino ai diciannove anni. E’ una scelta importante e che devi compiere da sola». Gilth continuava a passeggiare a quattro zampe sulla scrivania con un’aria imperiosa e più seria che mai. «Verresti per affrontare una scuola di tre anni nella quale impareresti ad usare i tuoi poteri e poi dovresti scegliere cosa fare della tua vita».
Fede era profondamente turbata dalle parole del suo aware, ma cercò di non scomporsi e chiese a Gilth di lasciarla pensare da sola. Il suo aware tornò una catenina dorata.
Mancava una settimana ai suoi sedici anni.

 


Angolo dell'autore. Mi auto scrivo Alleluia! Io amo il genere fantasy, e questa storia la volevo scrivere da tempo! Spero di riuscire ad andare avanti abbastanza spedito e non come al mio solito *tossicchia*. Fatemi sapere che ne pensate mi raccomando!

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Capitolo 2
*** Una sola persona ***


Fede passò tutto il pomeriggio al parco vicino casa, sdraiata sull’erba all’ombra di un albero. Si convinse che tre anni non erano poi tantissimi e che sarebbe stato affascinante imparare ad usare dei poteri, anche se non sapeva bene in cosa consistessero, in quanto non aveva mai visto Gilth farne uso, se non si considerava il leggere nel pensiero alle persone e trasformarsi in un medaglione in qualsiasi momento avesse voluto.
Fede però continuava a chiedersi una cosa: in questi anni nessuno aveva dovuto sapere della presenza di Gilth nella vita di Fede. Nel caso in cui lei ne avesse parlato ad altri oppure lui si fosse fatto vedere da qualcuno, Fede lo avrebbe perso e dalla sua memoria sarebbero stati cancellati tutti i ricordi relativi a lui. Come avrebbe fatto a scomparire dalla circolazione senza che nessuno sapesse dove fosse finita? Questa era di sicuro una prima domanda da fare a Gilth. E poi come funzionava il suo mondo? Come erano fatte le persone, o meglio gli aware? Si sarebbe ritrovata in una terra abitata da esseri minuscoli? Dove avrebbe vissuto? Cosa avrebbe fatto?
«Hey, cosa fai ancora qua?» La voce profonda di Andrea la sorprese nel bel mezzo di quei pensieri.
«Ciao. – Fede non riuscì a trattenere un sorriso. Non riusciva mai a trattenerne uno quando si trovava davanti ad Andrea.
«Sono passato prima e ti ho vista qui, ripasso ora e ti trovo nella stessa posizione. Quando stai ferma troppo tempo a pensare non è mai buon segno». La sua voce si fece subito da scherzosa a seria. «Che succede Fede?»
Lei sorrise sorpresa di come lui avesse indovinato subito che qualcosa non andasse, e che non stava lì a guardare il cielo sperando nell’arrivo del principe azzurro. Il sorriso non riuscì  mantenere la sua natura e si trasformò in un’espressione triste. Andrea era come un diario segreto, e non potersi confidare con un diario segreto era davvero impensabile.
«Ci vediamo domani». Gli diede un bacio sulla guancia e si allontanò.
Lui sospirò e si sdraiò al posto di Fede sul prato.
Tornò a casa per cena, con una moltitudine di domande che le ronzavano in testa.
Sua madre le aveva uno dei suoi piatti preferiti. Per quanto sciocca, le iniziò a ronzare in testa l’idea che non avrebbe trovato lo stesso cibo, nel caso in cui se ne fosse andata, e che avrebbe dovuto godersi al massimo questi ultimi giorni di cucina italiana, così si abbuffò finché sua madre non la bloccò.
«Se continui finirai con il sentirti male».
«Domani mi fai i ravioli?»
La madre sorrise, Fede non aveva mai molto appetito. «Va bene».
 
Dopo cena andò in camera e si buttò sul letto. Gilth era accucciato sopra un armadio e la fissava.
Aspettò un bel po’ prima di parlare. Aveva preso una decisione, ma non aveva il coraggio di dirla ad alta voce, sarebbe significato renderla definitiva. Provò a rifletterci su ancora un po’, ma era almeno la decima volta che si contorceva attorno agli stessi pensieri. Conosceva bene ciò che avrebbe lasciato. Ad un certo punto aprì la bocca: «Come faremo a farmi sparire da questo mondo senza destare sospetti?»
«Verrai iscritta in un istituto inesistente in Canada».
«E come faremo con i miei genitori? Non posso scappare in una scuola in Canada senza il loro permesso!»Fede si raggomitolò nel letto presa dalla stanchezza, Gilth la raggiunse e si mise accanto a lei. «Cinque giorni prima di partire ti sarà concesso di parlare di me e di dove andrai ai tuoi genitori e ad un’altra, una sola, persona a tuo piacere».
Nella testa di Fede un impulso di felicità si spostò nel cervello cercando di raggiungere il luogo nel quale sarebbe potuto diventare consapevole per la sua padrona, ma un altro impulso, molto più profondo e lugubre, viaggiando ad una velocità maggiore, lo superò e le arrivò prima.
Avrebbe dovuto essere contenta? Avrebbe potuto dire ai suoi genitori di Gilth, ma nei tanti anni in cui lo aveva avuto, tenerglielo nascosto era stata la parte più facile.
La vera difficoltà era stata non poter dire tutto a quelle persone che sentiva come sorelle. Quelle che le dicevano tutto. Fede ogni volta stava male nell’avere questo segreto da non poter condividere con nessuno.
E ora le si dava la possibilità di condividerlo. Ma non era contenta.
Pensò istintivamente a quel gioco che faceva qualche anno prima nei momenti di noia insieme agli amici: salvataggio, obbligo o verità. Nel salvataggio, forse una delle cose più stupide, ti veniva chiesto: “Chi salveresti tra… “ e poi venivano detti due nomi. Tu dovevi semplicemente decidere tra le due persone. Veniva fatto per cercare di capire quale fosse la persona che ti stava più a cuore. A volte questo gioco finiva anche in litigi, Fede si stava ricordando quando da bambina una sua amica non sapeva chi salvare tra due ragazzi: pressata nel decidere finì con l’andarsene imbronciata e non tornare per la mezz’ora successiva. Ma questo era solo un gioco sciocco per passare il tempo, ora a Fede questa scelta si presentava nella realtà. Le parole di Gilth ancora le ronzavano in testa “ad un’altra, una sola, persona a tuo piacere”.
A chi ne doveva parlare? All’inizio indirizzò il suo pensiero ad Andrea con il quale il pomeriggio aveva sofferto tantissimo a non essere sincera, poi però si disse che la persona alla quale ne avrebbe dovuto parlare era certamente Flavia. Erano amiche da anni e Fede aveva sempre sentito di non poter ricambiare a pieno la fiducia che l’amica riponeva in lei, e questo era il momento per riparare. Nonostante Fede si cercasse di convincere della sua scelta, però, la figura di Andrea le riappariva in testa , dandole fastidio e creandole indecisione.
Gilth intanto, sceso dall’armadio, se ne stava fermo e buono, con il muso appoggiato sulla pancia di lei, e Fede non poté notare, esitante com’era nel prendere una decisione, la sua espressione contrariata.
La porta della camera si aprì mentre lei stava sul letto. Gilth si trasformò subito in medaglione.
«C’è della spazzatura da buttare. Ci vai tu?»
«Va bene. – In realtà non aveva voglia di fare nulla, però si sarebbe riappoggiata un po’ sul prato. quando vi arrivò però, trovò sdraiato nella stessa posizione in cui l’aveva lasciato qualche ora prima Andrea.
«Ho pensato che in quelle condizioni non avresti tardato a tornare qua».
«Ero solo passata a buttare la spazzatura». Fede si distese accanto a lui. «Andrò in una scuola in Canada. Parto Mercoledì. Non potrò tornare qui per i prossimi tre anni».
Accanto a lei Andrea non fiatò, la bocca stava aperta ma non ne usciva alcun suono.
Fede non sapeva cosa dire, normalmente lei raccontava ed Andrea se ne usciva con dei consigli fantastici quasi come quelli di Gilth. Solo che Andrea era un umano.
Nei minuti successivi Fede non trovò nulla da dire e rimase lì ferma.
«A me dispiace…» fu l’unica cosa che riuscì a balbettare Andrea un po’ di tempo dopo.
«Anche a me». Fede si appoggiò sul suo petto, sperando che lui non la spostasse. Si addormentarono in quel modo e Fede non senti le sensazioni di reclamo che venivano dal suo medaglione.
Un pizzicò la destò e si alzò trattenendo a malapena un urlo. Si abbassò e cerco la fonte che gli aveva causato dolore. Dopo un attimo vide Gilth che si spostava da sotto una sua gamba. «Ti ho morso scusa. Ma ti conviene tornare a casa».
Svegliandosi prese coscienza che sarebbe potuta essere l’una di notte. «Va bene, che ora è?»
«Non troppo tardi, sbrigati».
Si alzò e si diresse di corsa verso casa e senza controllare se i suoi fossero svegli o no si infilò nel letto. «Grazie Gilth». Sussurrò una volta sotto le coperte.
Per quanto impossibile da vedere, un rossore invase il volto peloso dell’ aware, che si accucciò in fondo a letto, aspettando che la sua padrona si addormentasse.
 
 
 
Angolo dell’autore. Ho scritto due capitoli in 3 giorni, e cosa è successo? Magari non sono curatissimi, però mi piacciono così come sono, spero piacciano anche a qualcuno di voi. Bisous!

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