Non mi serve un miracolo

di Lost on Mars
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Somewhere new ***
Capitolo 2: *** Practice ***
Capitolo 3: *** Unexpected ***
Capitolo 4: *** Silence ***
Capitolo 5: *** Answers ***
Capitolo 6: *** Friend ***
Capitolo 7: *** You ***
Capitolo 8: *** Everything I didn't say ***
Capitolo 9: *** Hold on ***
Capitolo 10: *** Dying twice ***
Capitolo 11: *** Oh Mother ***
Capitolo 12: *** Can you see me? ***
Capitolo 13: *** You keep me warm ***
Capitolo 14: *** The place I belong ***
Capitolo 15: *** Against your fate ***
Capitolo 16: *** Bring me to life ***



Capitolo 1
*** Somewhere new ***


Non mi serve un miracolo



1.
Somewhere new

 
La prima cosa che vedo quando mi sveglio è una luce bianca che mi acceca gli occhi, pian piano però mi abituo e scopro che non c’è nessuna luce bianca in particolare, sono semplicemente steso su un pavimento liscio e nemmeno troppo polveroso, l’ambiente è luminoso e sono completamente solo. Provo ad alzarmi e mi guardo intorno. Sono nel bel mezzo di un lunghissimo corridoio con le pareti bianche e il pavimento lucido, che rispecchia in parte la mia immagine. Non riesco a capire se ci sia un soffitto o meno oppure se questo corridoio abbia una fine. Cammino per un po’, ma mi sembra di essere sempre allo stesso punto. Ogni tanto incrocio qualche porta dipinta ognuna di un colore diverso, poi invece il corridoio continua senza nessuna porta. Continuo a camminare perché non so come ci sono finito qui, né cosa mi sia successo. Indosso dei vestiti, anch’essi bianchi. Dei semplici pantaloni lunghi e una maglietta, non ho le scarpe ai piedi, e nemmeno i calzini. Vorrei controllare di avere almeno le mutande, ma non mi sembra un gesto carino da fare in caso incontrassi qualcuno, e intanto che indosso i pantaloni non ho bisogno di preoccuparmi di queste cose. Dopo un po’ mi fermo, anche se non sento affatto la stanchezza, sono davanti ad una porta grigia. È un colore singolare dato che tutte quelle che ho incontrato finora erano dipinte con colori sgargianti come il rosso, il verde o l’azzurro. Incuriosito, mi avvicino, e per poco non ricevo la porta direttamente in faccia. La cosa a lasciarmi sorpreso, comunque, è il fatto che finalmente riesco a vedere qualcuno, stavo cominciando a preoccuparmi e ad avere seriamente paura.
Dalla porta è uscita una ragazza minuta, un po’ bassa, con i capelli lunghi e ondulati, di un castano molto scuro. Ha degli occhi grandi color nocciola e la pelle diafana, deve avere la mia età. La guardo e lei guarda me, prima curiosa e poi con molta attenzione, come se stesse cercando in particolare nel mio viso. Inclina la testa e mi si avvicina.
« Stai proprio uno schifo » commenta. La sua voce è molto bassa e delicata, ma nella mia testa l’ho sentita come se fosse un eco. Aggrotto le sopracciglia, probabilmente i miei capelli saranno sparati da tutte le parti e i miei occhi mezzi chiusi, come ogni mattina, d’altronde. Tuttavia, il suo commento non mi sembra la cosa più gentile del mondo, allora mi allontano bruscamente. Con la mia solita sfiga, era logico che la prima persona che incontrassi sarebbe stata un’acida senza peli sulla lingua. Continuo ad osservarla e lei fa lo stesso con me, allora mi schiarisco la voce.
« Non mi pare di aver chiesto il tuo parere » dico, guardandola un po’ male. Lei sospira e mi riserva un’occhiata esasperata.
« Siete tutti uguali, » borbotta, mi si avvicina e mi prende il polso, poi mi trascina di nuovo verso la porta grigia da dove è venuta. « Vi ubriacate e poi vi mettete a guidare. Siete degli idioti, e chi è quella che poi si deve occupare di voi? Io, ovviamente! ».
La ragazza continua a farneticare mentre io non capisco una minima parola di quello che dice. « Mi vuoi dire dove siamo? E chi sei tu? Che diavolo ci faccio io qui? ».
« Una domanda alla volta, biondino» dice, mi da le spalle e mi guida per un posto che assomiglia molto al parco che c’è dietro casa mia. Anzi, ora che ci faccio caso questo è il parco dietro casa mia. Come ci sono arrivato qui tramite una porta? Prima di rispondermi, la ragazza mi porta sotto l’ombra di un albero. Anche lei è a piedi nudi e indossa un prendisole bianco. Mi guardo attorno e vedo una cosa che non mi quadra: su una panchina alla mia destra, rivolta verso le altalene dove di solito giocano i bambini, c’è seduto mio nonno. È esattamente come me lo ricordo. La barba bianca, il bastone nella mano sinistra... però non indossa gli occhiali. E la cosa mi sembra strana, perché mio nonno è morto anni fa. Avevo undici anni e ho passato i due mesi più brutti della mia vita, ma tutti intorno a me andavano avanti, quindi ho immaginato di doverlo fare anche io. Ora, la mia domanda è: come fa mio nonno ad essere qui?
Mi rigiro verso la ragazza che mi guarda, in attesa di parlare.
« Siamo nell’Aldilà, Lucas. Io mi chiamo Clarisse e tu sei morto. Be’, quasi » dice, è assolutamente tranquilla e non c’è traccia di turbamento nella sua voce.
Sono morto? Aldilà? Di che sta parlando? Io non posso essere morto. Insomma, ho un sacco di cose da fare. Mi devo diplomare, devo fare il giro del mondo con Michael, devo arrivare ad un’età abbastanza avanzata da capire che voglio sposarlo, devo fondare un club su qualche cosa e devo convincere mia madre a tornare con mio padre. Io non posso morire. La ragazza, Clarisse, ha detto che suono quasi morto. Allora se sono quasi morto ma non interamente morto perché mi trovo qui? Perché riesco a vedere mio nonno?
« Puoi smetterla di pensare così rumorosamente? Mi dai fastidio » borbotta Clarisse.
« Mi leggi nel pensiero? ».
« Sono un angelo, leggo nel pensiero di tutti ».
Dopo quello non parlo e cerco anche di non pensare, ma la cosa mi riesce difficile. Quindi invece di fare domande a me stesso, sospiro e le faccio direttamente a lei.
« Sei un angelo... » dico, cercando di farla suonare più come un’affermazione, ma il mio tono di voce la fa sembrare una domanda.
« Sì, e sono addetta ai ragazzi deficienti che guidano ubriachi e poi vanno in coma, proprio come te, » mi risponde, rivolgendomi un sorrisetto un po’ scocciato. Ma gli angeli non dovrebbero essere buoni per natura?  « Dimentica queste leggende metropolitane, biondino, gli angeli sono guerrieri. Poi ci sono quelli nuovi come me, in giro solo da cinquecento anni, che vengono mandati a svolgere questi insulsi lavoretti... »
« Cinquecento anni... e ti pare poco? Io non sono arrivato nemmeno a diciotto, » borbotto, portando le ginocchia al petto. « Non esiste davvero una sezione chiamata “ragazzi deficienti che guidano ubriachi e poi vanno in coma”, vero? ».
Clarisse scuote la testa, ma poi passa ad un altro argomento. « Ma tu puoi viverne tanti altri ancora, Lucas-» inizia, ma io la blocco.
« Luke, chiamami Luke ».
« Oh, in quanto angelo posso dire solo la verità e Luke non è il tuo vero nome. Il nome che ti hanno dato alla nascita è Lucas e io non posso chiamarti altrimenti, » dice velocemente. « Comunque, non sei completamente morto. Sei a metà strada. Puoi tornare ».
Mi zittisco immediatamente. Posso tornare a vivere? Insomma, questa sì che è una notizia grandiosa! Se mi risveglio e sono vivo potrò fare tutto quello che voglio fare prima di morire per davvero. « E allora che ci faccio ancora qui? » chiedo.
« Be’, questo è il luogo dove passerai l’eternità se decidi di rimanere adesso, » mi spiega Clarisse, scrollando le spalle, si guarda attorno e io faccio lo stesso. Questo è senza dubbio il parco dietro casa mia, quello dove mio nonno mi portava da bambino, quello dove io e Calum abbiamo fatto il nostro primo tiro di sigaretta e quello dove ho giurato che non avrei fumato mai più in vita mia. Sposto lo sguardo su mio nonno, sempre seduto sulla panchina, mi sorride stavolta. Quindi questo è anche il suo posto? Non si annoia a stare sempre qui?
« Oh, no, » dice Clarisse, rispondendo ai miei pensieri. È un po’ snervante questa cosa. « A lui piace stare qui ».
« Non voglio starci, » dico, abbassando lo sguardo. « Tornerò qui quando arriverà il mio tempo, se posso tornare indietro, voglio farlo ».
« Rispondete tutti così, » mormorò Clarisse, incrociando le braccia al petto. « Io vi recupero nel Corridoio, mi prendo cura di voi e vi spiego ogni cosa e voi ve ne andate sempre, mi lasciate sempre qui da sola ».
« Senti, mi dispiace che tutti i ragazzi che hai incontrato ti abbiano mollata qui e ti abbiano spezzato il cuore, davvero, in ogni caso io sono gay e non credo che riuscirai a farmi innamorare ti te-» inizio, gesticolando.
« Taci, Lucas. Non hai capito un tubo, sei proprio un umano... » sbuffa Clarisse, spostando i suoi lunghi capelli ondulati su un lato del collo. Aggrotto le sopracciglia, confuso, a me è sembrato di capire che si sia semplicemente affezionata a tutti quelli come me.
« È un’offesa o cosa? » chiedo, ma lei non mi risponde.
« Io non mi innamoro. Sono un angelo e gli angeli non dovrebbero sporcarsi con un vile sentimento come l’amore, » dice Clarisse. Faccio un po’ fatica a seguire il suo ragionamento, agli angeli è proibito innamorarsi? Forse non possono innamorarsi di umani, cioè, di anime, ma degli altri angeli? « Siamo tutti fratelli, Lucas. Gli angeli non si innamorano degli angeli. Io voglio solo un amico... »
Annuisco. Be’, è comprensibile. Clarisse ha cinquecento anni ed è considerata “quella nuova” dai suoi fratelli angeli, quindi viene spedita a prendersi cura di quelli che finiscono in questo posto in bilico, sospesi tra la vita e la morte. Ma io non posso farci niente, voglio solo tornare a casa.
« Allora faremo meglio a sbrigarci » dice Clarisse, rispondendo ai miei pensieri. Si alza in piedi e io la imito, rivolgendo un’occhiata dispiaciuta a mio nonno. Da una parte vorrei rimanere qui con lui, ma non posso lasciare tutta la mia vita.
All’uscita del parco c’è di nuovo la stessa porta grigia da cui siamo entrati, Clarisse la riapre e ci ritroviamo di nuovo in quello che lei ha chiamato “il Corridoio”, forse aveva ragione e questo posto è davvero infinito.
« Quindi... questo è il Corridoio » dico io, rimanendo sul vago.
« Sì, e sì, » mi precede, rispondendo anche alla domanda che mi sto ponendo in questo istante, ovvero: quindi è un posto reale e concreto? « Il Corridoio è dove si svegliano tutti quando muoiono, poi vanno nella porta che gli spetta ».
« Quindi io sono morto? Mi sono svegliato qui... » osservo.
« No, tu sei solo più morto che vivo, ma puoi tornare indietro » mi spiega Clarisse. Io allora comincio a guardarmi intorno, stiamo percorrendo il corridoio all’incontrario e incontriamo di nuovo tutte le porte che ho notato prima che lei mi desse quasi una porta in faccia. Chissà perché sono dipinte tutte di un colore diverso...
« Simboleggiano il posto dove vanno a finire le persone » dice Clarisse.
« Puoi smetterla di rispondere ai miei pensieri? »
« Tu pensi troppo rumorosamente, è come se stessi parlando ad alta voce, abbassa il volume » borbotta lei in risposta, tutto quello che ottiene da me è un grugnito. Come cavolo faccio ad abbassare il volume dei miei pensieri?
« Comunque, ogni colore corrisponde al posto che spetta alle anime, » mi dice ancora Clarisse, io sto in silenzio e lascio che continui. « Il rosso è per chi è morto per amore, il verde per chi ha lasciato il mondo nella speranza di un futuro migliore, l’azzurro per chi ha sacrificato se stesso per salvare la vita o l’incolumità di qualcun altro, il giallo per chi ha affrontato la morte come una serena esperienza, mentre il viola per chi è morto con violenza-»
« Suicidi e omicidi... » dico, sovrappensiero.
 « Esatto, » sospira lei. « Poi, il bianco per chi è morto con la consapevolezza di aver realizzato e vissuto appieno la propria vita, e il nero per chi ha affrontato la morte con paura ».
« E il grigio? » chiedo, continuando a camminare accanto a lei.
« Il grigio è il colore per chi ha lasciato qualcosa in sospeso. Nel tuo caso, non sei ancora morto e hai tutta una vita da vivere » risponde Clarisse.
« E mio nonno? ».
« Quando è arrivato qui il suo tempo sulla Terra non era ancora finito, ma non ha potuto tornare indietro » mi dice Clarisse, senza guardarmi. Non voglio indagare oltre e la seguo, ricordo che mio nonno è morto a causa di una malattia. Sto pensando ad un sacco di cose, ma credo che siano troppe persino per lei, per questo continua a camminare senza distogliere lo sguardo dal pavimento.
« Posso farti una domanda? » inizio, dopo qualche minuto di camminata. Mi chiedo dove stiamo andando. Lei annuisce, allora io continuo. « Ma quindi, le persone finiscono in un posto a caso a seconda del modo in cui sono morti? Insomma, questo è una sorta di Paradiso o cosa? ».
« Questo è semplicemente l’Aldilà, Lucas. Voi non andate in Paradiso o all’Inferno » risponde Clarisse, come se stesse recitando una parte a memoria. Chissà a quanta gente morta deve averlo spiegato prima di me.
« E quindi cosa sono? Una specie di locali per VIP, dove noi poveri umani non possiamo andare? » chiedo.
Lei si lascia sfuggire una risata. Gli angeli ridono? E prima che possa rivolgermi un’occhiataccia, mi accorgo di aver pensato troppo rumorosamente.
« In Paradiso ci siamo noi angeli e all’Inferno ci sono i demoni, voi siete nell’Aldilà, non vorrai dirmi che vi hanno insegnato che alla fine si va o di sopra o di sotto? » continua Clarisse.
« In realtà, dicono anche non posso stare con un ragazzo perché sono un ragazzo anche io... » borbotto, ricordando che una volta mia zia ha cercato di chiamare un esorcista, ma mia madre l’ha fortunatamente fermata.
« Oh per Gabriele, non posso crederci! Ma che razza di esseri viventi siete diventati? » esclama lei, evidentemente deve aver letto anche i miei pensieri. Poi chiude gli occhi e sospira. « Scusa, cuginetto ».
« L’arcangelo Gabriele è tuo cugino? ».
« È una lunga storia e tu non hai il tempo di ascoltarla, dimmi, Lucas, come si chiama il tuo ragazzo? » mi chiede quindi Clarisse, guardandomi dritto negli occhi.
« Michael, perché? » rispondo di getto. Che razza di domanda è?
« E il tuo migliore amico? »
« Lui si chiama... » inizio, ma scopro di non saperlo davvero. Cosa mi sta succedendo? Perché non ricordo il suo nome? Eppure so tutto di lui, ha gli occhi scuri e profondi e i capelli neri, la pelle olivastra e una risata contagiosa, ma perché non riesco a ricordare come si chiama?
« Calum, si chiama Calum. E tutto questo significa che Morte sta avanzando sempre di più, devo farti subito scendere sulla Terra » dice, quindi affretta il passo e allora mi ritrovo a correre per il Corridoio, mi chiedo se abbia una fine...
« Tu non vieni? » le chiedo.
« Sono un angelo, non posso scendere in un posto così inferiore, il mio limite è l’Aldilà »
« Sarete angeli, ma siete un po’ spocchiosi... ».
Lei mi ignora, altrimenti credo che mi ritroverei già sulla panchina accanto a mio nonno, definitivamente morto, però. Arriviamo davanti una porta, questa è semplicemente fatta di legno scuro, color ciliegio, non ha nessun colore particolare. La guardo con attenzione prima di chiedere: « Questa dove porta? »
« Sulla Terra, ma solo noi possiamo aprirla e far passare le persone, » mi spiega. Allora, abbassa la maniglia e io mi ritrovo davanti il salotto di una casa. È piuttosto buio e silenzioso, e ora la visione cambia. È la stanza di qualcuno, ci sono due letti e un ragazzo dai capelli biondicci e ricci seduto su una sedia a leggere un libro. « Questa sarà la tua prima missione ».
« Non capisco » dico sinceramente, guardo quel ragazzo che studia e non capisco davvero.
« Conosci questo ragazzo? » mi chiede Clarisse. Scuoto la testa, non l’ho mai visto in vita mia. « Lui è Ashton. Suo padre se n’è andato di casa e sua madre soffre di depressione. Ha due fratelli più piccoli e deve badare alla sua famiglia, deve pagare le bollette, deve cucinare a pranzo e cena. Ha solo diciannove anni, ma studia da autodidatta perché non si può permettere l’università, lavora e torna a casa la sera tardi. Tu devi aiutarlo ».
« E come? » chiedo io. « Facendolo vincere alla lotteria? »
« Non è la cosa più nobile da fare, ma l’idea è quella... » sospira Clarisse.
« Okay, e quando avrò finito questa missione come farai a dirmi cosa devo fare? » chiedo, mentre lei mi spinge verso la porta. Ho un sacco di cose da chiederle, non posso tornare subito sulla Terra. Che poi, ci ritornerò come fantasma? La gente sarà in grado di vedermi, di sentirmi?
« Non preoccuparti, lo saprai quando sarà il momento. Ora vai! Non hai molto tempo, Lucas » mi dice. Allora faccio un grande sospiro e attraverso la porta, ritrovandomi nella stanza di quel ragazzo.
 

Salve a tutti! Allora, questa è la mia prima long Muke e sono emozionata ;__; prima d'ora ho scritto solo one-shot e questa idea è totalmente folle, lo so, quindi spero davvero di riuscire a portarla avanti come si deve.
Non temete per Luke! È morto ma non completamente morto, quindi è ancora in tempo per tornare sulla terra, dopotutti la storia si basa su questo. Don't worry u.u
Per il titolo ringrazio Domenico ♥ anche se non la leggerà mai, però mi sopporta mentre sclero su di loro, quindi va tutto bene u.u
E perdonatemi se questo angolo autrice - che è il primo - è così sclerato, ma sono appena tornata dal cinema, e ho visto nientemeno che Colpa delle Stelle e.... sì, non sto psicologicamente bene. È passata più di mezz'ora, ma io non sto ancora bene çç
Aiuto.
E niente, detto questo, spero che il primo capitolo vi sia piaciuto. È un po' introduttivo, lo ammetto, e anche i prossimi procederanno un po' a rilento, ma poi spero di riuscire a farli entrre nel vivo della storia! ;)
Fatemi sapere cosa ne pensate con una recensione :3
Bacioni,
Marianne

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Capitolo 2
*** Practice ***





2.
Practice

 
Fuori è sera, una radiosveglia sul comodino mi dice che sono le nove e dieci del 28 Ottobre. Ma è già passato così tanto tempo? L’incidente l’ho fatto solo ieri, eppure sono già passate due settimane. Devo aver dormito per un bel po’, nell’Aldilà. Il ragazzo di cui mi ha parlato Clarisse, Ashton, è seduto davanti la scrivania, con la testa china su un libro. Sta studiando, ma è troppo grande per andare al liceo, eppure non va all’università. Poi ricordo, è un autodidatta, forse si prepara per i test d’ammissione al college. Provo ad avvicinarmi, ma non succede niente. È come camminare, solo che non sento il pavimento sotto i piedi e mi sento fluttuare. Fantastico, ci manca solo che riesca a passare attraverso i muri e sarò un fantasma a tutti gli effetti, potrei provare, ma prima devo capire come aiutare Ashton e portare a termine la mia missione il prima possibile.
Mi siedo sul letto e, ovviamente, non sento il contatto con le coperte. Devo abituarmi a questa cosa o rischierò di diventare pazzo. Ashton continua a leggere sul suo libro e io non so che fare.
« Amico, mi senti? » provo a dire, e come c’è da aspettarsi non ricevo nessuna risposta. Ashton non mi sente e non mi vede. Sono invisibile. Non c’è poi così tanto da stupirsi, sono un fantasma. Dovrei stilare una lista di cose da fare mentre sono qui sulla Terra e nessuno mi vede. Potrei fare qualche scherzo e quel deficiente di Matthew, il fidanzato di una mia cara amica che è uno stronzo colossale, ma ora che ci penso sono qui per fare buone azioni, dovrei lasciare i risentimenti personali da un’altra parte.
« Okay, tu non mi senti e io sto parlando da solo, è perfettamente normale, riflettere a voce alta mi aiuta... allora, come faccio a farti fare una valanga di soldi? » dico tra me e me, guardare Ashton studiare è noioso, allora mi alzo e faccio un giro per la stanza. Qual è il vantaggio di essere invisibili se non quello di poter rovistare tra la roba altrui?
Al muro ci sono attaccati dei poster e delle foto, c’è questo ragazzo e altri due bambini, suppongo che siano i suoi fratelli. Sono un maschietto biondo e con le guance rosse e una femmina un po’ più grande di lui, con i capelli mossi e scuri. Tutti e tre sorridono felici e mi chiedo a quanto tempo fa risalga questa foto. Da quello che Clarisse mi ha detto, Ashton non se la passa bene e vedendo un sorriso sincero sul suo volto mi faccio non poche domande. La stanza per il resto è molto semplice, uno dei due letti è addossato al muro ed è separato dall’altro con un comodino pieno di caricabatterie, libri e altre cianfrusaglie. Accanto all’altro letto c’è una scrivania, quella dove Ashton sta studiando e alla sua destra c’è una grande finestra. Dietro di lui e di fronte ai due letti c’è un armadio tappezzato di disegni, poster e ancora fotografie. Mi avvicino all’armadio, in ogni disegno c’è almeno una scritta colorata, frasi di qualche canzone.
« Mi sento un demente a parlare da solo, ma fintanto che non puoi sentirmi, non faccio nessuna figura di merda in particolare. Ti servono soldi, e a me serve un modo per ritornare tra i vivi, quindi io ti trovo i soldi e farò un passo verso il mio risveglio. Ti serve un biglietto della lotteria, oppure un gratta e vinci... quindi è inutile che me ne sto qui a parlare da solo ».
Mi sento davvero stupido, soprattutto perché non ricevo risposte, allora provo a passare attraverso la porta dipinta di bianco – e non funziona. In compenso non mi faccio male, è solo come se fossi bloccato. Solo che, non sarebbe strano se l’aprissi? Insomma, se sono invisibile Ashton penserà che la porta si è aperta che chiusa da sola. Pazienza, io devo andarmene da questa stanza, non riuscirò a fargli avere dei soldi in questo modo.
Però c’è un piccolo problema, non riesco ad aprire la porta. Afferro la maniglia e non la sento sotto le dita, quindi mi è impossibile aprirla. Oh no, non posso aspettare finché la porta non si apre, poi dovrei aprire quella di ingresso, ed è difficile che qualcuno entra o esca a quest’ora. Potrei sperare in una finestra aperta, dato che l’estate è alle porte.
Comunque, non posso fare molto, dopo venti minuti, Ashton si alza e apre la porta, senza pensarci mi fiondo fuori nel corridoio e vedo una finestra aperta, mi fiondo fuori. Ora che ci faccio caso però, la casa è a due piani e io sono appena volato da tre metri di altezza. Sono atterrato in un giardino e non mi sono fatto niente.
Per certi versi essere un fantasma è davvero molto figo! Eppure non posso permettermi di perdermi in certe cavolate, ho dei gratta e vinci da rubare e da vincere, poi se mai ci riuscirò, lascerò quello vincente sulla scrivania di Ashton, è deciso.
Camminare – o fluttuare, dipende dai punti di vista – per la città di notte senza essere visto è a tratti rilassante. Devo cercare un bar o un tabaccaio che sia ancora aperto, poi entrerò. Sì, il mio piano è assolutamente geniale. Ne trovo uno con l’insegna ancora accesa all’incrocio tra Betton Street e Felix Avenue. Mi intrufolo velocemente attraverso le porte che un signore sta tenendo aperte per un ragazzo. Il bar è semivuoto, ci sono solo una ragazza dietro il registratore di cassa e il barista dietro il bancone. Io mi metto seduto su uno sgabello. Be’, non proprio seduto. Se potessi toccare gli oggetti sentirei la finta pelle sotto le mani, ma non riesco a sentire niente. È frustrante, e da una parte mi sento solo. Vorrei di nuovo Clarisse e il suo continuo rispondere ai miei pensieri.
Quando se ne vanno tutti, io rimango al buio nel bar, ma almeno, riesco a vedere perfettamente. Un’altra cosa dell’essere fantasmi è che si ha una sorta di vista a raggi X, e per forza!, altrimenti come faremmo a spostarci di notte?
Mi avvicino al muro dietro il registratore di cassa, quello dove sono appesi tutti i vari gratta e vinci. Provo a prenderli, ma non ci riesco. È come se il mio corpo non riuscisse ad afferrare niente, come se la materia mi passasse attraverso come fossi una stupida nuvola di fumo. Non voglio essere una nuvola, mi sento così lontano al mio obiettivo. Io devo svegliarmi, tornare a respirare e a sentirmi vivo, devo fare tutto ancora. Devo vivere la mia vita e non devo farlo solo per me stesso.
Se morissi sarebbe un disastro generale. Cosa faranno i miei fratelli? E mia madre? Lei non vuole ammetterlo, ma io so che sta ancora male per il divorzio con papà, mi sono sembrati degli adolescenti quando si sono separati, per questo devo convincerli a tornare insieme, almeno prima di morire, chissà se Clarisse mi darà una missione su questa cosa... potrebbe essere l’unica che farei per aiutare veramente qualcuno e non per l’interesse di risvegliarmi.
E poi Calum? Lui è il mio migliore amico e non posso assolutamente lasciarlo. Siamo cresciuti insieme e separarmene sarebbe come separarsi da un pezzo di me, e so che per lui è lo stesso. Non voglio che Calum viva una vita a metà solo perché io sono tanto stupido da non riuscire a portare a termine queste buone azioni.
Penso a Michael e credo che se avessi un corpo tutto mio adesso piangerei, o forse prenderei a pugni qualcosa. Di sicuro non posso morire e lasciare Michael da solo. Io so che mi ama e so di amarlo, non c’è nient’altro da aggiungere. Insieme abbiamo affrontato ogni cosa, ogni critica, ogni sguardo; e la cosa bella era che a me non importava di quello che diceva la gente finché Michael mi stringeva la mano per strada. Tra i due, quello che ha sempre ignorato tutto e tutti è stato lui, lo è sempre stato. Ho scoperto di provare qualcosa per lui solamente grazie alla sua naturalezza e spontaneità. Mi ricordo alla perfezione come è successo: io e Michael eravamo usciti un paio di volte, ma si trattava solo di uscite. Poi un giorno, dopo la prima partita vinta del semestre, Michael si è tolto l’elmetto, ha tolto il mio e li ha buttati entrambi a terra. Poi mi ha baciato in mezzo al campo di rugby, con ben due scuole a guardarci, dato che si trattava di una partita contro la Berrish High School. E all’inizio non me ne sono curato più di tanto perché avevamo vinto, l’adrenalina mi scorreva nelle vene e credevo che avrei potuto fare qualsiasi cosa. Solo un paio di settimane dopo mi sono veramente reso conto di quello che era effettivamente successo e ho cominciato a disperarmi, ma c’era Michael al mio fianco e tutto andava bene.
Con lui è sempre andato tutto bene. Anche quando l’abbiamo detto ai miei genitori. D’altra parte, i suoi lo sapevano e non si facevano troppi problemi, ma i miei, erano davvero molto rigidi su certe cose, e mia madre ha capito solo dopo un po’ che non poteva fare niente per separarmi da Michael. Lui era al mio fianco e tutto andava bene.
Ma adesso sono solo. Sono solo in una corsa contro il tempo e contro la Morte, sono solo in un bar ormai chiuso mentre cerco di afferrare degli stupidi pezzi di carta. E nessuno mi assicura che tra quei pezzi di carta ci sia quello che potrebbe far avere ad Ashton dei soldi, e allora dovrò trovare un altro bar, aspettare di nuovo che chiuda e cercare di prenderli. E il tempo passerà, ma io di tempo non ne ho molto, me l’ha detto Clarisse, quindi devo assolutamente trovare il biglietto vincente entro questa notte.
Ritraggo la mano dai biglietti appesi al muro e rifletto. Non posso toccare e spostare oggetti con il mio corpo, anche perché un corpo vero e proprio non ce l’ho, però posso farlo con una qualche sorta di forza del pensiero, no? Insomma, ho la vista a raggi X e non la telecinesi? Che razza di fantasma sono?
Mi allontano anche dal registratore di cassa e mi metto al centro del locale, in mezzo a due tavoli. Osservo con intensità i biglietti. Se non ho un corpo non dovrebbe farmi male la testa, quindi mi sforzo a più non posso. Continuo a guardarli con tutte le mie forze e comincio a pensare che voglio che si muovano verso di me, ma non succede niente.
Allora sospiro e mi avvicino un po’, rimanendo dietro al bancone. Devo farlo. Desidero che si muovano verso di me, tutti insieme. Lo desidero con ogni parte di me, anche con quella che è addormentata su un letto d’ospedale. Ed è allora che lo vedo, un velocissimo guizzo fa sì che un biglietto si stacchi dal muro e cominci a fluttuare lentamente verso di me.
Mi sento incredibilmente soddisfatto e vorrei mettermi ad esultare, ma non posso perdere la concentrazione o tutto il mio sforzo andrà perduto. Voglio che si fermi a qualche centimetro dal mio viso. Dopo un po’ il gratta e vinci si ferma, rimanendo sospeso nell’aria, come per magia.
Deglustico e sospiro. Adesso voglio che tutti gli altri biglietti facciano esattamente la stessa cosa. Li fisso con intensità e prendono a muoversi lentamente. Ce la sto facendo! Scoprire di poter muovere oggetti con la forza del pensiero è fantastico, certo, richiede un grandissimo sforzo e se fossi completamente vivo probabilmente mi sentirei sfinito. Eppure, mentre fluttuano tutti davanti a me non posso reprimere un sorriso compiaciuto.
Adesso continuo a guardarli e, lentamente, alzo la mano destra, desiderando che si posino tutti sul tavolo. Non sbatto gli occhi perché non sento il bisogno di farlo, il mio braccio destro, insieme alle dita della mano, è teso verso il tavolo, ma i biglietti ancora non si muovono
Oh, andiamo! Sono riuscito a staccarli dal muro, perché non si muovono? Contraggo tutti i muscoli del braccio e poi mi ricordo che non serve alcuno sforzo fisico. Mi ritrovo a desiderare ancora che quei biglietti vadano sul tavolo. Lo voglio con tutto me stesso e, pian pano, cominciano a fluttuare verso destra e si posano sul tavolo uno ad uno.
Perfetto, ora tutto quello che devo fare è trovare una moneta o un pezzo di metallo e cominciare a grattare via la patina argentata uno per uno, prendere quello con la somma più alta e portarlo ad Ashton. Ovviamente, devo anche capire come far sparire le mie tracce prima che apri il bar, ma sinceramente non mi interessa perché sono invisibile e nessuno lo scoprirà mai.
Setaccio il resto del bar e il meglio che riesco a trovare è un chiodo sul pavimento. Ora che ho capito come fare, mi basta pensare davvero tanto a quello che voglio che facciano gli oggetti e questi si spostano. Il chiodo dal pavimento raggiunge velocemente i biglietti sul tavolo.
Dopo un paio di tentativi riesco a spostare la sedia e a mettermi seduto. Ora che ci faccio caso, i biglietti di fronte a me saranno più di cinquanta, e mi chiedo come farò a controllarli tutti.
« Clarisse, mi dispiace averti dato della spocchiosa, ma non è che puoi darmi una mano? » chiedo, alzando gli occhi al cielo. Aspetto. Uno, due, tre minuti. Nessuna risposta. Ma che mi aspetto? Lei è un angelo e gli angeli sono troppo superiori per scendere sulla Terra. Devo cavarmela da solo.
Concentrandomi di nuovo, riesco a mettere tutti i biglietti in fila, ognuno distanziato di qualche millimetro dall’altro. Poi guardo il chiodo e mi concentro sul farlo raschiare sui biglietti così da togliere la patina argentata. La cosa procede senza intoppi per i primi dodici biglietti, la cui somma massima sono cinquecento dollari. Io non li butterei via, ma non aiuterei Ashton con cinquecento dollari. A lui i soldi servono per le bollette, per l’università, per mantenere la sua famiglia... cinquecento dollari non gli serviranno molto.
Continuo per altri cinque biglietti, ma niente. Ad un certo punto il chiodo cade a peso morto sul tavolo e io non riesco più a farlo muovere. Oh no, e adesso che faccio? Sbatto la mano sul tavolo, ma non sento l’impatto con la plastica e niente si muove, questo stupido chiodo non può mollarmi adesso, ho fatto solo diciassette biglietti e non ne ho ancora trovato uno che possa aiutare Ashton.
Cerco un orologio, è appeso alla parete alla mia sinistra, sopra le slot machine, sono le due del mattino. Cavolo, sono già passate quattro ore da quando me ne sono andato da casa di Ashton? Per staccare questi biglietti e giocarne diciassette mi ci sono volute quattro ore. Il bar aprirà verso le sette del mattino e io ne ho solo altre cinque.
Bene, Luke. Usa i tuoi potere da fantasma e trova questo biglietto vincente.
Chiudo gli occhi e mi concentro sul chiodo, lo visualizzo nella mia mente, lo vedo mentre ricomincia a fluttuare e si posa su uno dei biglietti. Lo vedo mentre di muove avanti e indietro e gratta via la parte argentata. Apro di nuovo gli occhi, sta funzionando!
Il chiodo ha ricominciato a fare il suo lavoro e io lo osservo rapito. Sono le quattro quando ho finito tutti i biglietti. Li passo in rassegna con gli occhi e poi lo vedo. Duecentocinquantamila dollari. Sono un sacco di soldi e possono davvero aiutare Ashton.
Chiudo di nuovo gli occhi e immagino che il biglietto voli direttamente in una tasca dei miei pantaloni, ed è solo adesso che noto di essere vestito diversamente. Ho i miei soliti jeans neri, una maglietta bianca e una felpa rossa. Le Vans ai piedi, e per un attimo mi sembra di essere tornato alla normalità, ma so che il merito di avermi tolto quei vestiti orribili è solo di una persona. Be’, di un angelo.
Alzo gli occhi al cielo e « Grazie » dico, prima di riuscire ad aprire la porta del bar con un facilità inaudita e fiondarmi in strada.
 

 
 
Ecco qui il secondo capitolo :) allora, mi dispiace se non succede niente di che, ma questo e il prossimo saranno i più noiosi della storia, scusatemi çç cioè, il prossimo sarà meno noioso di questo, quindi questo è definitivamente il più noioso e spero mi perdonerete e.e diciamo che è servito per far capire che la vita da fantasma non è così facile come Luke pensava e poi perché dato che - almeno per ora ehehe - è invisibile e tutto il resto volevo concentrarmi un po' sulle descrizioni. Spero vi sia piaciuto comunque çç
Vi ringrazio per le sette recensioni nello scorso capitolo e per le già 9 seguite e  4 preferite. Wow! Non mi aspettavo tutto questo solo al primo capitolo, siete bellissimi ♥
Oh, e se ho un po' di tempo rifaccio il banner che questo non mi ispira molto lol
Fatemi sapere cosa ne pensate ;)
Baci e alla prossima,
Marianne

 

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Capitolo 3
*** Unexpected ***





3.
Unexpected

 

Arrivo a casa di Ashton che il sole è già sorto, fortunatamente è quasi arrivata l’estate e Ashton dorme con la finestra aperta, altrimenti non saprei come intrufolarmi in casa sua. Lui dorme ancora, nel letto più esterno, mentre in quello attaccato al muro c’è un bambino, lo stesso della foto. Deve essere suo fratello. Mi avvicino alla scrivania dove ci sono ancora i libri aperti e le penne infilate in mezzo alle pagine. Con un sforzo più o meno grande, faccio volare via il biglietto vincente dalla mia tasca e lo faccio cadere sulla copertina di un libro chiuso: un manuale di anatomia. Deduco che Ashton stia studiando per entrare nella facoltà di medicina o di biologia. Ora devo solo trovare un modo per farglielo notare e avrò portato a termine a mia missione.
Dopo aver lasciato cadere il biglietto sul libro, provo ad accendere la lampada. Fisso con insistenza l’interruttore finché finalmente non scatta e la lampadina illumina quell’angolo della stanza.
Coraggio Luke, ora devi solo svegliare Ashton e fargli trovare questo maledetto biglietto. Sospiro, anche se non serve a molto. Dovrei creare del rumore, magari facendo cadere qualcosa, ma non un libro sulla scrivania, Ashton potrebbe raccoglierlo e non accorgersi del biglietto.
Penso, e dopo essermi guardato un po’ intorno, noto che sopra l’ultima mensola di uno scaffale c’è una scatola dall’apparenza pesante. Ci vorrà un grande sforzo per riuscire a farla cadere, ma non c’è altro modo con cui Ashton possa svegliarsi. Non so a che ora si svegli di solito, ma non posso aspettare: non ho tempo. Devo agire adesso e portare a termine questa maledetta missione, così Clarisse me ne darà un’altra e io mi avvicinerò sempre di più al mio obiettivo.
Mi allontano un po’ dallo scaffale e mi siedo ai piedi del letto di Ashton, fisso la scatola, chiudo gli occhi, la immagino mentre cade e mentre il suo misterioso contenuto si riversa a terra, producendo un rumore terribile. Quando apro gli occhi, la scatola cade e Ashton si sveglia di soprassalto, strofinandosi gli occhi.
« Ah, ‘fanculo » mugugna, scostando il lenzuolo. Quando si alza in piedi, noto che dorme solamente con dei pantaloni neri scoloriti, larghi e lunghi fino al ginocchio, mi soffermo a guardare il suo fisico. Sono un fantasma ed essendo invisibile, ho tutto il diritto di guardare dei ragazzi carini senza maglietta. Un attimo dopo vorrei prendermi a schiaffi, ma che mi prende? Io ho Michael, non mi interessa se Ashton Irwin ha degli addominali perfetti.
Si avvicina alla scatola e la raccoglie, rimettendola dove si trovava prima. Lancia uno sguardo alla sveglia e io lo imito, sono le sei e venti, forse l’ho svegliato troppo presto. Poi nota che la luce sulla scrivania è accesa, allora si avvicina per spegnerla, ma è proprio in quel momento che il suo sguardo si posa sul manuale di anatomia dove ho posato il biglietto.
Sì! Ce l’ho fatta! Ashton avrà i suoi soldi e io avrò completato la missione. Prende il biglietto colorato tra le mani e in quel momento la porta si apre, rivelando una donna di mezz’età, bionda, già vestita per uscire. Deve essere sua madre.
« Ashton cos’era quel chiasso? » chiede piano, la sua voce è bassa e delicata, come se avesse paura di parlare troppo rumorosamente. Poi mi ricordo che nella stanza c’è anche il fratellino di Ashton che sta dormendo. Io osservo tutta la scena dal letto di Ashton.
« Nulla, mamma. Solo... guarda cosa ho trovato sui miei libri, » inizia, mostrando il biglietto alla madre, lei si avvicina e lo osserva per bene. « Giuro che ieri non c’era! ».
« Ashton, come hai potuto mettere un biglietto che vale duecentocinquanta mila dollari in mezzo ad un libro? Se qualcuno lo apriva e lo trovava? » lo rimprovera lei.
« Non ricordavo di avercelo, devo averlo comprato con Michael... » sospira lui, passandosi una mano tra i capelli.
Alzo la testa. Michael? Come conosce Michael? Sono amici? Impossibile, conosco tutti gli amici di Michael e non ho mai visto Ashton in vita mia... quanto tempo è passato da quando ho fatto l’incidente? Se non ricordo male due settimane. È possibile che in due settimane Michael abbia conosciuto e stretto amicizia con Ashton? Questo davvero non me lo aspettavo...
Mi giro verso la sveglia e noto qualcosa che non mi torna, è il 28 Novembre. Sono pronto a giurare che ieri ci fosse scritto 28 Ottobre, come è possibile una cosa del genere? Lo chiederò a Clarisse... Intanto ritorno a pensare a come faccia Ashton a conoscere Michael.  Lui deve diplomarsi alla fine di quest’anno e Ashton ha già finito la scuola, quindi non si sono conosciuti in classe; Michael non va in palestra e Ashton sembra andarci, quindi non si sono conosciuti nemmeno lì. Dove si sono visti?
So benissimo che ora questa domanda non mi lascerà in pace, potrebbero essersi conosciuti ovunque: al parco, al supermercato... so solo che sento una cosa strana allo stomaco e non dovrei, perché un corpo vero e proprio non ce l’ho. È forse... gelosia?
No, non sono geloso. Almeno credo. Michael mi ama, non avrebbe senso pensare che gli possa piacere Ashton. Certo, se poi anche lui l’ha visto a petto nudo le cose cambiano, ma nel mio piccolo mi auguro che Ashton non si sia mai spogliato di fronte a lui. Insomma, se sono solo amici non avrebbe motivo di spogliarsi, no?
Ma cosa cavolo sto pensando?
« Devo assolutamente chiamarlo e dirglielo » continua Ashton, afferrando il cellulare dal comodino. Attira di nuovo la mia attenzione, chiamerà Michael. Voglio sentire la sua voce, ho un disperato bisogno di sentirla. Forse c’è un modo per attivare il vivavoce con i miei trucchi da fantasma...
« Sono le sei e trenta del mattino, per l’amor del Cielo! Non vorrai svegliarlo... » dice sua madre.
« Deve andare a scuola oggi, sarà già sveglio » la rassicura Ashton, mentre compone il numero sul cellulare. Sua madre alza gli occhi al cielo ed esce dalla stanza chiudendo la porta. Non riesco ad attivare il vivavoce perché non visualizzo bene lo schermo del telefono, appiccicato all’orecchio di Ashton, allora spero solo che oltre alla vista a raggi X e alla telecinesi, io abbia anche un udito finissimo.
Purtroppo non è così, e mentre Ashton parla al telefono con il mio Michael, tutto ciò che sento è un brusio di fondo. Sospiro avvilito, non è questa l’occasione in cui sentirò di nuovo la sua voce, ma ci sarà. Spero che ci sarà, mi farò aiutare da Clarisse, oppure posso andare a casa sua e sentirlo parlare. Poi però penso che sono invisibile e che non mi vedrà, e che allora sarà tutto più doloroso.
No, vedrò Michael quando sarò pronto a farlo, quando non rischierò un crollo nervoso. Che poi, i fantasmi hanno crolli nervosi? Ne dubito, ma è meglio non provare. Non voglio essere il primo caso di crollo nervoso nella storia dei fantasmi.
« Non ci crederai mai » dice Ashton dopo essersi scusato per l’orario a cui sta chiamando. So che Michael non è sveglio a quest’ora, prima delle sette non scende dal letto.
« Uno dei biglietti che abbiamo comprato la scorsa settimana.... vale duecentocinquantamila dollari... sì! » esclama ancora. Suo fratello si gira dall’altra parte e lui abbassa il tono di voce.
« Mikey, l’ho fatto per una buona causa. Dai, per scusarmi ti accompagno a scuola e ti pago il caffè. Ci vediamo » dice ancora, poi termina la chiamata e posa di nuovo il telefono sul comodino.
Mikey? Lo ha davvero chiamato Mikey? Oh no, qui la cosa è grave. Nessuno tranne me e sua madre lo chiama Mikey. Non conosco Ashton non e non ho idea di cosa sia successo mentre io dormivo in bilico tra la vita e la morte su un letto d’ospedale, ma la cosa non mi convince più.
Devo assolutamente finire queste missioni al più presto. Nessuno mi ruberà Michael, tantomeno Ashton. Che poi, non so nemmeno se ad Ashton piacciano i ragazzi... insomma, in genere queste cose le capisco, ma vedendolo non mi viene in mente nulla.
Non ho del tempo da perdere qui, Ashton ha quasi avuto i suoi soldi e io ho fatto quello che dovevo fare, scivolo via dalla finestra aperta, atterrando di nuovo in giardino. Comincio a vagare per strada, con le mani in tasca. La città si sta svegliando lentamente e io odio stare con le mani in mano. Non capisco come sia già passato un mese, ma la cosa non va bene. Ciò vuol dire che sono in coma da più di un mese e che devo svegliarmi al più presto. Mi chiedo ancora quante missioni ci saranno e quando Clarisse si degnerà di affidarmene un’altra, ma non faccio nemmeno in tempo a pensarlo che vengo attirato da un rumore alle mie spalle.
Mi volto e la vedo, sempre con il suo prendisole bianco e i piedi nudi. Ha i capelli castani sciolti come al solito sulla schiena e il viso luminoso.
« Ciao, Lucas! » esclama, poi viene verso di me e mi abbraccia. Di certo non me lo aspettavo e rimango fermo come uno stoccafisso per una buona manciata di minuti, poi ricambio l’abbraccio.
« La Terra non era un posto troppo squallido per voi angeli? » chiedo ad un certo punto, ricordandomi che Clarisse mi ha spedito qui da solo.
« Oh, non sono veramente io. O meglio, sono nell’Aldilà adesso, questa è solo una proiezione nella tua testa, ma è troppo complicato da spiegare, quindi passiamo alle cose interessanti, » inizia, e parla talmente veloce che faccio quasi fatica a seguirla. « Dunque, te la sei cavata discretamente, Lucas. Ashton questa mattina andrà a ritirare i suoi soldi e tu hai completato la tua missione. Complimenti! »
« Bene, vai con la prossima » dico io, andando immediatamente al sodo.
Clarisse sorride e poi un foglio appare magicamente tra le sue mani, me lo porge e io continuo a fissarlo, si aspetta che lo prenda? Non funzionerà.
« Coraggio, Lucas, prendilo » mi dice lei, tendendomi ancora di più il foglio.
« Non posso. Non riesco a tenere oggetti » le spiego.
« Lucas » continua lei.
Allora sospiro e allungo una mano verso il foglio, sono sorpreso quando le mie dita riescono ad afferrarlo e tenerlo senza che questo cada a terra. È magnifico, come ho fatto?
« Te lo avrei spiegato a breve » mi dice lei, e allora ricordo che può leggermi nel pensiero. « Ogni volta che completi una missione ti viene fatto un dono, Lucas. Ora hai il dono del tatto. Puoi toccare gli oggetti e spostarli con le tue stesse mani, senza usare la forza del pensiero. Ma attento, puoi utilizzare un solo potere per volta durante le missioni ».
« Cioè? » domando io, confuso.
« Significa che se, una volta completata questa missione riceverai un altro dono, nella prossima potrai utilizzare solo uno dei due » mi spiega Clarisse. Io annuisco. È un po’ una fregatura, ma meglio di niente. Se avessi avuto questo dono per far avere i soldi ad Ashton in mezz’ora avrei finito tutto.
« Be’, cosa devo fare adesso? » chiedo.
« Guarda la fotografia che hai in mano, » dice lei. Abbasso lo sguardo, è un bambino dai riccioli biondi e gli occhi color nocciola. « Lo conosci? »
« È il figlio della signora Weber. Gli ho fatto da baby-sitter quando mi servivano i soldi per la macchina » rispondo. Ricordo perfettamente tutti i guai che mi ha fatto passare questo bambino, non stava mai un attimo fermo, combinava disastri su disastri ed ero io quello che doveva ripulire prima che la signora Weber tornasse a casa.
« Si è perso per la città. I suoi genitori lo stanno cercando disperatamente, il tuo compito è riportarlo a casa, » mi spiega Clarisse sorridendo. È uno scherzo? Come farò? « Troverai il modo, Lucas » riprende lei. Accidenti, dimentico sempre che può vedere quello a cui sto pensando.
« Clarisse, è impossibile. Posso solo spostare degli oggetti, come faccio a riportarlo a casa? » chiedo, disperato.
« È qui che ti sbagli, Lucas. Hai il dono del tatto, il che ti permette di spostare oggetti con il tuo corpo. Ma puoi toccare qualsiasi altra cosa... ».
« Anche le persone? ».
« Cominci a capire ».
« E loro potranno sentirmi? ».
« Be’, sì... » inizia Clarisse. « Ma poi si chiederanno cosa sia stato e si convinceranno di averlo immaginato. Voi umani siete delle creature complicate, Lucas, l’ho sempre detto io che se aveste posseduto il dono di vedere noi essere soprannaturali sarebbe stato molto meglio... » sospira.
« Clarisse, aspetta! » esclamo io, so che sta per andarsene e lasciarmi solo con questa fotografia, ma ho una marea di cose da chiederle, non può mollarmi in questo modo.
« Cosa c’è? » mi domanda lei, gentilmente, con la voce pacata.
« Quante missioni rimangono? Quali sono gli altri doni? Perché questa mattina era già passato un mese? ». Parlo velocemente perché non posso permettermi di sprecare nemmeno un minuto.
« Lucas, non posso risponderti a tutte queste domande, lo scoprirai strada facendo. Buona fortuna, ci rivedremo quando avrai completato la missione » mi dice lei, fa per voltarsi, ma io la prendo per un polso.
« Un’ultima cosa. Non è che da lassù puoi darmi un aiutino? » le chiedo.
« Significherebbe barare, e se vuoi svegliarti devi fare tutto da solo. Sei un umano simpatico, Lucas, spero di non rivederti nell’Aldilà ancora per un sacco di tempo » sorrise.
« È un complimento o cosa? » chiedo, aggrottando le sopracciglia.
« Buona fortuna! ».
Detto questo, Clarisse si volta e sparisce all’improvviso, lasciandomi solo sul marciapiede con la foto di Jack Weber tra le mani. La metto in tasca, so perfettamente quale sia il suo aspetto, gli ho fatto da baby-sitter per sei mesi e sono stati i sei mesi più infernali della mia vita. C’era da aspettarselo che prima o poi combinasse un casino del genere. Scappare di casa a sei anni, ma cosa gli passa per la testa?
Quel bambino mi da problemi anche mentre sono mezzo morto, questa cosa è davvero... davvero incredibile, e nel senso letterale della parola. Sospiro, devo assolutamente trovarlo. Prima lo trovo, più possibilità ho di tornare nel mondo dei vivi.
 

 
 
Saaalve a tutti! Scusate se sono leggermente in ritardo, ma è ricominciata la scuola e sono impegnatissima, quindi non ho tantissimo tempo per fare tutto ahahaha, cercherò di aggiornare una volta a settimana, ma in caso non mi vedere non disperate, sono solo sepolta sotto i libri e aggiorno appena posso :)
 Duuuuunque, capitolo 3. Meno noioso (?) del 2, ma comunque ancora noioso. Su, le cose "belle" arriveranno nel prossimo ve lo giuro, io mantengo le promesse u.u
Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo (mi siete praticamente dimezzati, ma ok, vi voglio bene lo stesso), ovvero: Letizia25, FreeSpirit_ e Jade_Horan
E non siate timidi, io non vi mangio mica çwç anzi, rendereste la settimana di scuola che rimane e quella che inizerà un po' meno merdosa ♥
Detto ciò, rispondo e vado a studiare storia çwç
Bacioni,
Marianne
 

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Capitolo 4
*** Silence ***




4.
Silence

 
Sto camminando da venti minuti e non ho ancora trovato Jack. Insomma, non che mi aspettassi di voltare l’angolo e di trovare un ragazzino che mi correva incontro, ma almeno di vederlo da qualche parte. Inoltre c’è un problema: anche se lo trovassi, poi non avrei la più pallida idea di come convincerlo a tornare a casa. Posso sempre trascinarcelo, se si mette male farò così.
Tutto quello che devo fare è entrare nella testa di un bambino di sei anni. Dunque, se avessi sei anni e avessi qualche evidente problema psicologico che mi porta a scappare di casa senza la minima idea di dove andare e senza l’intenzione di tornare dalla mia famiglia, dove andrei?
Comincio per esclusione: di sicuro, non andrei da parenti o amici di famiglia, per cui non lo troverò a casa dei suoi nonni o a casa della vicina. Non lo troverei a casa dei suoi amichetti di scuola, perché qualsiasi genitori che si rispetti avrebbe già chiamato la sua famiglia, a meno che anche questi non abbiano evidenti problemi.
Ovviamente, non a scuola. Le maestre avrebbero di sicuro avvertito i suoi genitori.
Dove può essere un bambino di sei anni alle undici del mattino? Mentre continuo a chiedermelo, mi chiedo anche come possano già essere le undici. Erano appena le sette quando sono andato via da casa di Ashton, e non ho davvero camminato – o fluttuato – per quattro ore. Accidenti, questo scorrere del tempo versione fantasma mi farà impazzire, prima o poi.
In assenza di risposte, me ne vado al parco. Nei film ogni persona che vuole riflettere su qualche questione importante se ne va al parco. Perfino il Presidente degli Stati Uniti, il più delle volte c’è una scena del tipo: “Hey, ho un grande bottone rosso che potrebbe distruggere l’intera penisola della California, cosa faccio? Lo premo o non lo premo?” e intanto nel dubbio se ne va a fare una passeggiata nel parco… o nei giardini della Casa Bianca, che dovrebbero essere davvero molto meglio di un semplice parco pubblico con le altalene rotte.
Mi dirigo al mio solito parco. Quello dove andavo con mio nonno, quello dove mi sono ritrovato nell’Aldilà… e sì, anche quello in cui io e Michael abbiamo ormai una panchina tutta nostra, nascosta dietro qualche albero, dove passiamo – o meglio, passavamo – il tempo a baciarci.
Dio, come mi manca Michael.
Vorrei tornare qui, trovare Michael sulla panchina e sedermi accanto a lui. E scherzare per i primi cinque minuti e poi passare ad assaporare le sue labbra finché non si fa buio. Sarebbe bello riavere la vita di prima, almeno per un giorno, eppure so di non potermelo permettere. Devo lottare per riavere la mia vita e lo sto facendo. Sto facendo del mio meglio per portare a termine queste missioni, eppure questa è nettamente più difficile dell’altra.
Insomma, far avere dei soldi ad Ashton è stato più uno sforzo fisico, ma questa è tutta un’altra storia: qui si tratta di trovare una persona, un essere umano vivente e pensante che potrebbe essere praticamente ovunque e poi riportarlo a casa.
Oh Cielo, come farò  riportarlo a casa? Ammesso che lo trovi, io sono un fantasma e sono invisibile, e ora ho questo dono del tatto che non ho ancora capito come funziona, cosa fa e cosa comporta. Clarisse dice che ogni dono mi darà una mano a completare la missione corrente, eppure, non ho proprio idea di come il poter toccare le cose mi aiuterà a portare indietro un bambino.
Sospiro, mentre mi avvio verso l’entrata del parco, devo assolutamente farmi venire in mente qualcosa di intelligente. Non appena varco il grande cancello verde un po’ arrugginito, cammino sul pavimento di mattonelle in cotto che delineano un percorso, separato dal prato e dalle giostre per i bambini.
Mi guardo intorno: tutto è esattamente come lo ricordavo. Vedo l’albero dove Clarisse mi ha portato per spiegarmi tutto quello che era successo e vedo la panchina dove era seduto mio nonno, ora occupata da una donna molto giovane che tiene accanto a sé un passeggino e ha lo sguardo fisso sullo scivolo, mi giro e vedo un bambino piccolo fare su e giù come fosse la cosa più divertente del mondo; poi mi giro verso le altalene, entrambe vuote. Ora i bambini abbastanza grandi per salirci sono tutti a scuola e le altalene non sono occupate da nessuno.
I miei occhi poi si spostano in fondo al parco, dietro la coltre di alberi ornamentali e cespugli, che riparano un piccolo angolino dal sole. Lì dietro, all’ombra del mondo e degli sguardi indagatori, c’è la panchina mia e di Michael. Chi ci conosce sa dove trovarci e chi non ha mai sentito parlare di noi, viene lì dietro e poi si scusa per l’interruzione, e noi ridiamo e diciamo che non importa, ma poi ricominciamo come non ci fosse un domani..
Avrei voluto farlo anche il giorno prima del mio incidente, e anche se la mia memoria è un po’ ammaccata, ricordo d’aver passato il week-end fuori, a casa dei miei zii. Mio cugino compiva diciotto anni ed eravamo andati in discoteca, avevo bevuto e… e poi Clarisse mi aveva trovato.
Sospiro e mi avvio verso gli alberi, mi addentro tra i cespugli e mi aspetto di trovare la panchina vuota, e poi di toccarla, visto che ora posso farlo, di tracciare con le dita ogni singola incisione e ogni singola scritta, ricordando tutti i bei momenti che ho passato seduto qui.
Quando però alzo gli occhi, la panchina non è vuota, ma è occupata da un ragazzo che riconosco all’istante, anche se i suoi capelli sono colorati di verde e l’ultima volta che l’ho visto li aveva neri con delle ciocche rosse. Sorrido, anche se ha il capo chinato verso il cellulare e non riesco a vederlo davvero, so chi è. Riconoscerei Michael tra un milione di persone e un milione di voci, lo riconoscerei ovunque, con qualsiasi aspetto, perché ogni volta che è vicino sento una sensazione bellissima e indefinita, e l’ho sentita anche adesso che sono un fantasma.
Michael è qui, è seduto sulla nostra panchina. È qui! Morivo dalla voglia di vederlo. Mi siedo accanto a lui e vorrei potergli far alzare la testa per guardarlo negli occhi, anche se lui non può vedere me. Non importa, sento il bisogno fisico di perdermi e annullarmi per un momento negli occhi chiari e cristallini di Michael.
Non appena le mie mani si posano sulla panchina, sento il legno ruvido sulla pelle e capisco cosa volesse dire Clarisse, ora ho una sorta di materialità. Poso dolcemente la mano sulla spalla di Michael, sento il cotone pulito della sua maglietta, ma da parte sua non c’è alcuna reazione e il mio sorriso si spegne pian piano. È una materialità a metà: io posso sentire gli oggetti, le persone… ma niente può sentire me.
Deglutisco un po’ avvilito, avrei dovuto aspettarmelo, alla fin fine.
« Mikey… » sussurro. Non so cosa aspettarmi, di certo non che Michael mi risponda. So benissimo che la mia voce non si sente, che io per il mondo è come se non esistessi, che io in realtà sono ancorato in un letto d’ospedale, ma ci ho provato lo stesso. E continuo a provarci come uno stupido, dicendo che forse dopo un po’ funzionerà.
Non funziona, ma io non mi fermo.
« Mi manchi » continuo, tenendo la mano sulla sua spalla. Michael rimane con lo sguardo fisso sul cellulare. È su Facebook, ma scorre nella home con fare assente, come se non stesse leggendo davvero quello che c’è scritto.
Sposto le dita sulla pelle scoperta del suo collo, ed è proprio come la ricordo: fresca, morbida. Ricordo anche le parole di Clarisse: può sentirmi, ma sarà solo una sensazione, nulla di concreto.
« Sto facendo tutto questo per tornare da te, Michael… e non mi arrenderò tanto facilmente. Hai capito? » chiedo, passando ad accarezzargli i capelli, gliene aggiusto un po’ dietro l’orecchio e sospiro, ritraendo la mano per un po’. « Aspettami, va bene? So che ti sei già fatto nuovi amici, ma… non mollare tutto, Mikey. Io sto lottando per noi… spero che anche tu stia facendo lo stesso ».
Anche se so che Michael non mi sta realmente ascoltando, dire queste cose è risultato tremendamente difficile. Ho visto la realtà in faccia per la prima volta: io lotto, e Michael? Lui non si sarà arreso, no? Lui è vivo e ha sicuramente ha più speranze di me. C’è la  sopravvivenza a tirarlo avanti, io ho a stento la metà delle possibilità che ha lui.
Gli poso la mano sul braccio e lui alza la testa e guarda il punto in cui le mie dita stringono gentilmente la sua pelle. Non vede niente e allora scrolla le spalle, ritornando al telefono.
« Sono qui… » gli sussurro, ancora nella falsa convinzione che lui possa sentirmi. Ma è una bugia, per lui io non sono qui, sono in ospedale.
Ad un tratto il suo cellulare squilla e io sobbalzo, perché forse non me lo aspettavo. Non riesco a vedere il mittente della chiamata perché Michael fa scorrere rapidamente il dito sullo schermo e poi porta il telefono all’orecchio con un gesto fulmineo.
« Dimmi » dice. Ha la voce stanca e assonnata, quasi distrutta. Sento un vuoto incolmabile nel petto a vederlo così, sapevo di non essere pronto, ma la felicità che ho provato nel vederlo mi ripaga di ogni cosa. Questa volta, riesco a sentire anche chi c’è dall’altra parte del telefono, per il volume eccessivamente alto della voce di chi gli sta parlando. E quella voce arrabbiata, oh, anche quella la riconoscerei ovunque.
« Dove cazzo sei sparito? A scuola tutti pensano che ti sia andato a suicidare da qualche parte! ». Calum è visibilmente irritato e preoccupato, mi ha sempre divertito questo suo lato.
« Sono al parco, dì loro che non ho intenzione di suicidarmi » sospira ancora, adesso sembra annoiato.
« Michael, lo so che è difficile, ma a scuola devi venirci » dice ancora Calum. Michael sbuffa.
« No, non lo sai. Sentirsi dire che è vivo, ma più vicino alla morte, è ancora peggio che sentirsi dire che è morto » borbotta irritato. Mi scappa un sorriso triste.
« Sei stato all’ospedale? » chiede Calum.
« Questa mattina » risponde Michael.
« E…? »
« È sempre uguale, Cal. La situazione non cambia. Coma, non hanno previsioni per il risveglio. E sai cosa mi fa incazzare? Se mi dicessero che è finita probabilmente sarebbe meglio di tutta questa agonia, » dice Michael. E da una parte la cosa mi ferisce, preferirebbe forse che io sia morto? Solo perché così sarebbe più facile? « Non sai cosa vuol dire andare lì ogni giorno e vederlo da dietro quel vetro. Dorme e basta e io vorrei solo che si alzasse  –  si interrompe un momento perché la voce gli è lentamente morta in gola – se sapessi cosa succede veramente potrei farmene una ragione. Non ho il coraggio di andare dai suoi genitori e chiedergli se sanno qualcosa in più ».
« Puoi chiedere ai suoi fratelli » prova a dire Calum.
« Non ho mai parlato molto con loro… »
Mi lascio sfuggire una risatina, se ripenso al rapporto che Michael ha con i miei fratelli mi viene da ridere. È stato sempre esilarante quell’imbarazzo reciproco.
« Mike, » inizia Calum, dopo aver sospirato. « Sono già passati quasi due mesi, vedrai che tra poco si risveglierà. Ho sentito di gente rimasta in coma addirittura per sei anni e che ora conducono una vita normalissima ».
Non è molto incoraggiante, la frase di Calum, potrebbe esserlo se vista da un’angolazione un po’ particolare e distorta...
« Sei anni! Calum è un’eternità. Non… impazzirò prima che passeranno sei anni. Non ce la farò a stare sei anni senza di lui » protesta.
« Era solo un esempio… era per dire che Luke potrebbe svegliarsi in qualsiasi momento, non deve stare mica in coma per sei anni ».
Già, e intanto dopo a malapena due giorni sono passati già due mesi. Devo sbrigarmi, trovare quel bambino e accelerare i tempi. Senza di me Michael non esiste, lui ha bisogno di me e io ho bisogno di lui. Solo che io posso mollare tutto perché, in fondo, me lo merito… ma lui… lui ha tutta la vita davanti e io voglio farne parte.
« Senti, l’intervallo è quasi finito. Ti aspetto fuori scuola? » dice ancora Calum.
« No. Io ho da fare » risponde Michael, rimanendo sul vago.
Dopo essersi salutati, Michael termina la chiamata e mette il telefono in tasca. Si guarda attorno, si gira nella mia direzione e finalmente rivedo i suoi occhi e mi rendo conto di quanto mi siano mancati. Rimane a fissare qualcosa dietro di me per svariati minuti, in cui posso guardare ogni singolo dettaglio del suo viso, dalle labbra sottili al piercing al sopracciglio. Allungo titubante la mano destra e gliela poso sulla guancia, la sua mi raggiunge subito dopo, grattandosi un po’ la pelle.
Eccola, la sensazione di cui parlava Clarisse. Intreccio le sue dita con le mie, anche se lui non può capire che sono io. E rimango così per un lunghissimo momento, ritornando un po’ indietro nel tempo, ricordano quante volte questa scena si è presentata. Lui accanto a me e la sua mano nella mia. Vorrei baciarlo, ma so che poi soffrirei, quindi lascio perdere e mi limito ad osservarlo così tanto che ho paura di consumarlo. Immagazzino quanto posso, perché ho l’impressione che non avrò molte occasioni di vederlo, e non voglio dimenticarmi nemmeno un singolo dettaglio di lui.
Mi alzo piano e il suo sguardo si sposta da un’altra parte. Sospiro: è giunto il momento di impegnarmi e di portare a termine la missione. Devo trovare quel bambino, devo portarlo a casa, devo parlare di nuovo con Clarisse, devo continuare a lottare. Perché anche se tra noi due quello completamente vivo è Michael, senza di me lui è morto dentro e io devo tornare da lui.
Devo vivere e tornare a farlo vivere.
Devo farlo per noi, per quello che ci lega, perché io lo amo così tanto che non riesco a vederlo star male, soprattutto se è colpa mia.
Avanti Luke, hai un ragazzino da trovare.

 
Saaaaalve a tutti! ^^
Mi scuso per il ritardo indecente con cui sto pubblicando, ma come si dice? Meglio tardi che mai, no? Okay, con l'inizio della scuola sono stata soggetta ad un po' di... stress e per qualche giorno non sono riuscita ad aprire né un documento word né a prendere una penna in mano con l'intenzione di scrivere. Ora mi sto un pochino riabituando e spero che le cose vadano meglio.
Comunque, ve lo avevo detto che da questo capitolo in poi le cose sarebbero state mooolto più movimentate, e come vedere abbiamo il primo "incontro" con Michael. Prima di una serie più o meno lunga che accadranno in situazioni abbastanza diverse. Okay, il punto è che ho tutta la storia in testa, ma scriverla è complicato ahahah cosa ne pensate? Non esistate a farmelo sapere, anche se sono in ritardo di tipo quattro giorni ahahaha la prossima volta spero di aggiornare in una settimana esatta, è solo che ho anche altre cose da scrivere, ma una delle mie 489189 storie in corso è quasi finita quindi spero di potermi dedicare di più a questa e all'altra long che sto scrivendo su Ashton (che se vi interessa, si chiama Indaco u.u)
Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo: heymichaelx, Letizia25 e FreeSpirit_ ♥ e ricordate che se recensite non vi mangio ahahah, anzi, vi regalo un biscotto u.u
Oh, e ho anche rifatto il banner perché quello di prima era abbastanza schifoso e provvisorio, che ne pensate? *w*
Bene, stasera rispondo alle recensioni, ora scappo a studiare arte e italiano T_T
Un bacione.
Marianne

 

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Capitolo 5
*** Answers ***




5.
Answers

 
Quando lascio la panchina, Michael non si è ancora alzato e andarmene richiede più sforzo di quanto abbia immaginato. Se lui se ne fosse andato prima di me sarebbe stato indubbiamente più facile, ma dato che è rimasto lì, io sarei disposto a rimanere tutto il giorno a provare a fargli capire che non lo avrei mai abbandonato.
Tuttavia, sono uscito fuori dagli alberi e dai cespugli e ho ricominciato a pensare con la mente di un bambino di sei anni. Ora, il parco mi sembra un posto dove andrei se fossi scappato di casa.
Bene, Jack, basta giocare a nascondino.
« Clary… Clarisse… posso chiamarti Clary? Hai un nome troppo lungo, comunque, sono stato un bravo fantasma finora, non trovi? Ho dato i soldi ad Ashton dopo aver faticato per tutta la notte, e ho addirittura lasciato Michael dopo averlo trovato… e ti ringrazio per il dono, ma, come dire?, gradirei un aiutino. Non credi che io me lo meriti? Avanti, sono stato bravo e–»
Non finisco la frase perché un rumore simile ad uno squarcio mi distrae e mi fa voltare dall’altra parte. Clarisse è appoggiata al tronco di un albero, con il solito prendisole bianco e i piedi nudi.
« Sei assordante, Lucas » sospira, incrociando le braccia al petto.
« Grazie a Dio, sei qui! » esclamo, sono così felice che mi abbia ascoltato che mi fiondo ad abbracciarla. Lei però osserva preoccupata il cielo. Alzo lo sguardo anche io. « Scusi… » mormoro.
« Primo, non chiamarmi Clary o ti trafiggo. Secondo, i tuoi pensieri mi frullavano in testa e io non potevo starmene un po’ in pace. Terzo, i miei fratelli oggi sembrano particolarmente propensi a darmi il tormento, quindi ho pensato che proiettarmi qui sarebbe stato più divertente, » mi spiega. « Cosa vuoi tu? »
« Dove posso trovare Jack? Poi ti giuro che lo riporto a casa da solo. Il fatto è che questa città è enorme, potrebbe essere ovunque! » dico ancora, con molta enfasi.
« Ovunque… » mugugna lei. « È solo un bambino, Lucas, pensa come lui ».
« Ci ho provato, non sono molto bravo » ammetto.
Lei sbuffa. « Okay, ti aiuterò, ma sappi che non è esattamente secondo il regolamento »
« C’è un regolamento? » chiedo io, confuso.
« Eccome! Dieci tomi rilegati… la parte che riguarda voi anime in bilico si trova nel secondo volume, parte terza, da pagina 435 a pagina 467 » risponde lei automaticamente.
« E tu li sai a memoria? » chiedo, sconcertato stavolta.
« Certo. Sono le prime cose che impari, quando sei un angelo. Il regolamento del Paradiso, Inferno e Aldilà. Insomma, all’Inferno è dedicato solo un tomo, non rispetta quasi nessuno le regole laggiù e a noi angeli serve solo come nozione teorica »
« E al Paradiso e all’Aldilà sono dedicati ben nove libri? ».
« All’Aldilà solo due ».
« Sette libri di regole per il Paradiso?! ».
« Siamo molto organizzati… »
« Okay, lasciamo stare. Cosa dice questo regolamento? » domando io, andando direttamente alla parte che mi interessa.
« Dice che devi sbrigartela da solo, ma nessuno mi vieta di darti qualche… suggerimento? Credo si chiami così. Insomma, non posso fare le cose al posto tuo, ma posso darti qualche idea che poi tu, ovviamente, dovrai sviluppare » mi risponde ancora lei. Annuisco, così allora diventa tutto più facile, perché non me l’ha detto prima? Ah, lo sapevo che gli angeli erano dei tali snob…
« Ti ho sentito, Lucas! » esclama lei, dandomi uno schiaffo sul braccio.
« Ahia! Okay, scusa. Non riesco a filtrare i pensieri, non ascoltarmi » dico per giustificarmi.
Clarisse sbuffa e si mette le mani sui fianchi. « Ovviamente non posso farlo sempre… solo in alcuni casi, e ammetto che questa missione è un po’ complicata. Quindi… ti aiuterò a trovare Jack » sospira.
« Perfetto! Da dove cominciamo? » chiedo io, elettrizzato. Con l’aiuto di Clarisse trovare Jack sarà una passeggiata. Poi per portarlo a casa potrò sperimentare diversi metodi. Nel caso peggiore, posso prenderlo in braccio e portarcelo di peso.
« Non so se funzionerà, ma tentar non nuoce » mi dice Clarisse, rispondendo ai miei pensieri. È snervante. Il fatto che abbia la capacità di leggerli, non lei personalmente.
La vedo addolcirsi un po’ e capisco che devo stare attento perfino a ciò che penso, altrimenti non avrò più il suo aiuto e le mie probabilità di risveglio si abbasseranno drasticamente.
« Comunque, » inizia lei, cominciando a camminare. « Fossi in te, non mi muoverei di qui ».
Si guarda attorno, ammetto che questo parco è enorme e Jack potrebbe davvero essere qui. La guardo, rivolgendole un sorriso grato, mi ha risparmiato tutta la città. Jack è in questo parco, sarà meglio incominciare la ricerca.
Mentre camminiamo sull’erba, parliamo. « Grazie di essere venuta, cominciavo a sentirmi solo » le dico, ficcando le mani in tasca.
Scrolla le spalle. « Figurati, » mi dice lei. « I miei fratelli litigano e quando cerco di riappacificarli mi dicono di togliermi dai piedi… e ora sai come mi sono sentita per cinquecentoventi anni ».
« Sei sempre sola? » le chiedo, un po’ dispiaciuto
Lei annuisce. « Talvolta mi capita di incontrare persone come te, ma loro decidono sempre di ritornare in vita » sbuffa. Vorrei dirle che al posto mio lo farebbe anche lei, ma adesso che penso deve avermelo letto in testa.
« E se non ci riescono? » domando ancora, guardandola meglio. Sotto la luce del sole i suoi capelli sono leggermente più ramati del solito.
« Vanno in una delle porte, e allora non li rivedo mai più. Sono addetta alla porta grigia, io » mi risponde.
« Solo quella? ».
« Già… ».
« Comunque, non li dimostri cinquecentoventi anni » sorrido, cambiando argomento.
« In realtà ne ho sedici, secondo il tempo terrestre sono cinquecentoventi. In Paradiso e nell’Aldilà il tempo scorre molto diversamente… ». Clarisse, affretta il passo per spostarsi e camminare all’ombra.
« Sedici anni angelici sarebbero cinquecentoventi terrestri? » le chiedo, aggrottando le sopracciglia. « E come funziona? ».
« Non è il momento di rispondere a questa domanda, Lucas, avevamo un bambino tra trovare, no? » mi fa lei, girandosi verso di me. Comincia a camminare all’indietro.
« Avevamo? Ce lo abbiamo ancora » grugnisco, velocizzando il passo per avvicinarmi.
« No, avevamo. Guarda lì » mi dice radiosa, e poi indica con l’indice la zona pic-nic, con i grandi tavoli di legno, sotto uno spiazzo ombroso. Jack è seduto su uno dei tavoli e sta cercando di leggere un fumetto, ma lo tiene all’incontrario. È proprio lui, capelli biondi e disordinati… finalmente l’abbiamo trovato.
« Fantastico, e ora come ce lo riporto a casa? » dico ad alta voce, anche se in origine doveva essere solo un pensiero. Una persona normale mi prenderebbe per pazzo, ma so che Clarisse avrebbe ascoltato comunque quella frase, che l’avessi detta o meno, quindi non mi faccio assolutamente alcun problema.
« Hai giurato che avresti risolto questo problema da solo » mi dice lei, scrollando le spalle. Io sospiro sconsolato.
Merda, ha ragione.
« Certo che ho ragione, biondino. E non imprecare in presenza di un angelo » mi ammonisce, con un’occhiata severa.
« Altrimenti? » le chiedo, divertito.
« Lucas, posso farti a pezzetti quando voglio e come voglio. Basta che vada da mio fratello Raph e gli chieda una spada »
« Una spada? Raph? »
« Una spada angelica, Lucas. Quelle che si usano contro di demoni. E lui si chiama Raffaele, ma lo chiamiamo tutti Raph »
« Credevo che gli angeli non potessero usare nomi diversi da quelli di battesimo » mormoro tra me e me.
« Lucas, ricordi i sette tomi che parlano del Paradiso? Se vuoi capirci qualcosa della vita di noi angeli dovrei farteli leggere tutti, ma poi brucerebbero i tuoi occhi, quindi dovrei raccontarteli, ma così sprecheremmo solo tempo e tu non ne hai molto. Sono passati quasi due mesi nella vita reale, devi darti una mossa » mi rimprovera.
« Il mio migliore amico, Calum, ha detto che ci sono persone che rimangono in coma per addirittura sei anni, perché loro hanno così tanto tempo? » le chiedo.
« Le persone sono tutte diverse, Lucas. Ora vai e porta Jack a casa. E grazie per avermi tenuto un po’ di compagnia. Torno di sopra e spero che abbiano finito di litigare » mi sorride.
« Grazie per tutto » le dico, abbassando lo sguardo.
« Sei uno degli umani a cui mi sono affezionata di più, mi dispiacerà moltissimo lasciarti andare, ma è giusto che tu sia felice » aggiunge lei, e io non faccio nemmeno in tempo a replicare che è già svanita.
Scrollo le spalle e mi avvicino a Jack. Casa sua non è molto distante da qui, se riesco a trovare un modo per portarcelo potrei addirittura finire prima che faccia buio. Intanto, non lo perdo di vista: sembra così assorto nel suo fumetto rigirato che quasi mi dispiace provare a disturbarlo, ma io devo tornare in vita e lui deve tornare a casa. Non ci sono molte cose da capire.
Mi avvio verso l’area pic-nic e mi siedo sulla panca di legno, proprio davanti a Jack. Lui non mi vede né mi sente, e scarto immediatamente l’idea di portarlo in braccio. Cosa si chiederebbe la gente se vedesse un bambino fluttuare per aria?
Quindi devo assolutamente trovare un altro modo per farlo andare via da qui. Passo diversi minuti a pensare e a guardarmi intorno, poi noto che Jack ha finalmente girato il fumetto dalla parte giusta ed è allora che vengo colpito da un’idea geniale.
Mi alzo dalla panca e lancio più o meno violentemente un sasso contro la corteccia di un albero, il tempo che Jack alzi la testa incuriosito da quel rumore che gli ho già sfilato il fumetto dalle mani e l’ho messo a terra. Lui si accorge di quello che è successo, allora si alza per riprenderlo, ma proprio in quel momento, lo lancio ancora più lontano.
È comunque strano vedere un giornalino colorato che si sposta da solo, ma è meno strano di vedere un bambino fluttuante, no? Mi basterà continuare a lanciare il fumetto fino alla veranda di casa sua, sperando che poi ci sia qualcuno in casa.
Prendo di nuovo il fumetto tra le mani e lo appoggio ad una panchina vuota, un po’ malconcia. Povero Jack, se fossi in lui mi innervosirei da morire, ma non posso fare altrimenti, e poi, questo bambino mi ha fatto impazzire a suo tempo, ora tocca a me.
Passiamo vicino agli alberi che nascondono la panchina mia e di Michael, ma riesco a trovare la forza di non girarmi a vedere se Michael sia ancora lì: devo concentrarmi sul fumetto e devo fare in modo che Jack non lo prenda in mano, altrimenti toglierglielo sarà più difficile del previsto.
Dalla panchina, il fumetto va a finire sul prato, e poi ancora su un’altra panchina, sul tronco mozzato di un albero, sull’altalena e sul muretto accanto all’uscita.
Siamo al cancello adesso, dovrò stare molto più attento adesso perché devo far passare Jack sui marciapiedi e prima o poi dovrà fargli attraversare la strada, il tutto senza fargli correre alcun tipo di pericolo.
Ce la puoi fare, Luke, forza e coraggio.
Sospiro. Metto il fumetto per terra, mentre Jack continua a rincorrerlo da una parte all’altra. Continuo a farlo spostare sull’asfalto: appena mi sveglierò gliene comprerò uno nuovo, lo giuro. Arriviamo all’incrocio ed è il momento di fargli attraversare la strada: è arrivato il punto in cui devo tenerlo sospeso in aria, ma Jack è un bambino, se vede un fumetto che vola se lo dimenticherà presto, oppure gli faranno credere di averlo solamente immaginato. Lo tengo sospeso sopra la sua testa e mi accerto che non passino automobili, per qualche strano caso divino – sospetto che Clarisse c’entri qualcosa – la strada è completamente deserta, allora non ci penso due volte e lo lancio sulla parte opposta del marciapiede: inutile dire che Jack si fionda subito a cercare di recuperare il suo bottino.
E la parte difficile è passata. Dovrò ripeterla tra un centinaio di metri, ma ormai ho capito come fare, quindi non dovrebbe essere troppo difficile.
Adesso ricomincio a far spostare il fumetto rasoterra, Jack lo rincorre con un’espressione molto confusa sul volto. Dopo un po’, arriviamo finalmente a casa sua: gli faccio salire le scale della veranda e poi suono al campanello. Fortunatamente, dopo pochi secondi il viso della signora Weber si affaccia alla porta e Jack lascia perdere il fumetto per abbracciare la madre.
« È un miracolo » sussurra lei, stupefatta. « Una benedizione del Cielo! ».
No signora, avrei voluto dire, è un miracolo firmato Luke Hemmings.
Lascio che la famiglia si riunisca e me ne vado via, la mia missione è finita e il tempo è passato più velocemente di quanto pensassi, difatti è già pomeriggio. Ora aspetto solo che Clarisse si presenti con una nuova missione.
Cosa che accade quasi immediatamente, subito dopo essermi allontanato abbastanza da casa Weber. Il solito squarcio mi fa voltare all’improvviso e lei è di nuovo in piedi di fronte a me, solo che stavolta ha capelli scompigliati.
« Ho picchiato mio cugino… » mormora, infastidita.
« Gabriele? » chiedo io.
« Ma ti pare? Lui è troppo grande per stare dietro a dei ragazzini come noi, non lo conosci comunque, qualche anno fa si è arrabbiato perché non lo citano abbastanza nei testi religiosi… e io che dovrei dire? Sono l’addetta alla porta grigia! » esclama, le sue guance si colorano lentamente di rosso e so che si sta arrabbiando. Ma non può farlo dopo avermi dato la prossima missione?
« Lucas! Ho sedici anni, sono praticamente una bambina e nessuno vuole mai passare del tempo con l’angelo più sfigato del Paradiso, lasciami sfogare! » continua, guardandomi dritto negli occhi.
Abbasso il capo e le chiedo scusa. Dopo cinque minuti di lamentele verso i suoi fratelli e sorelle più grandi, finalmente ho la mia missione, il che è una cosa molto particolare di cui, in fondo, sono anche un po’ felice.
« Conosci Mali-Koa Hood? » mi dice lei.
« Certo che la conosco, è la sorella del mio migliore amico » esclamo io, contento.
« Tra un mese ha una verifica di storia molto importante, devi aiutarla a studiare e a passare la verifica » continua Clarisse.
« Non sarebbe scorretto? » chiedo.
« Non devi aiutarla durante la verifica, devi aiutarla a prepararsi, poi farà da sé »
« Devo scriverle gli appunti e farle delle mappe concettuali in modo che capisca meglio gli argomenti? » tento allora io.
« Diciamo di sì. La ragazza è due classi indietro a te, quelle cose le hai già studiate e non dovrebbero essere troppo difficili, no? »
« No… » mormoro, con la testa tra le nuvole. Ora che ci penso, Clarisse non mi ha ancora detto che dono avrò stavolta, e poi, potrò vedere Calum!
« Una cosa alla volta, » inizia Clarisse, sorridendo a causa dei miei pensieri. « Puoi scrivere. Ti basterà pensare le parole e queste si trasferiranno ovunque tu vorrai. E poi sì, potrai vedere il tuo amico e comunicare con lui, ma non dimenticare il tuo obiettivo principale, Lucas ».
« Non lo farò » le assicuro, assumendo un’espressione seria.
« Buona fortuna » mi dice, dopodiché scompare all’improvviso.

 
Hola!
In ritardo di un giorno, ma ci sono ^^"
Allora, in questo capitolo non ci sono i Muke, ma in compenso c'è Clarisse, vedo che è molto apprezzata e io non potrei esserne più felice. Sono quasi carini insieme, lei e Luke, se non ci fosse Michael ovviamente e.e la Muke non si tocca. Quindi sì, sto shippando anche loro e ditemi che no sono l'unica, perché altrimenti mi sento stupida :c
Comunque, nel prossimo capitolo avremo taaaante belle cose Cake (intesa come bromance, ovviamente). Tempo fa shippavo Cake e li consideravo la cosa più bella dell'universo, mentre adesso mi sono "convertita" AHAHAH comunque sia, i Cake sono una ship bellissima, ma ora li vedo più come amici che altro ;)
Okay, non vi annoio più e vi ringrazio per le 5 recensioni allo scorso capitolo (dove c'è Michael ci sono recensioni, cos'è 'sta storia? lol), in particolare, grazie a: Sweetlove250513, Letizia25, Pika_Pi, FreeSpirit_, e Sureness ♥
Spero di pubblicare puntualmente la prossima volta, ma dipende dai compiti della settimana, dato che hanno già iniziato a manetta con verifiche e interrogazioni, lol
Spero vi sia piaciuto e alla prossima! :3
Un bacio,
Marianne
 

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Capitolo 6
*** Friend ***




6.
Friend

 
Clarisse mi ha lasciato da solo nel bel mezzo del nulla, ma ritrovare la strada per casa di Calum è quasi automatico. Saprei arrivare a casa sua da qualsiasi punto della città, è come una seconda casa per me, ho passato metà della mia infanzia a giocare nel suo giardino e a dare la colpa a Calum quando per sbaglio mandavamo il pallone nelle aiuole perfettamente curate di sua madre; e lo stesso ha fatto lui, dando la colpa a me quando il pallone andava a sbattere un po’ troppo forte contro la vecchia Harley che mio padre teneva in garage, quando ancora viveva con noi. Un giorno lui e la motocicletta erano spariti e io ero abbastanza grande da capire il significato della parola divorzio.
Sono passati quasi sei anni, ormai, e io vorrei tanto che i miei genitori tornassero insieme. Mia madre è completamente sola, ci siamo solo io e i miei fratelli con lei. A volte vorrei che cominciasse ad uscire con qualche brav’uomo, ma poi mi guardo attorno e mi dico che forse è meglio così, che se mio padre fosse stato un brav’uomo come lei credeva non ci avrebbe mai abbandonati: adesso vive un po’ fuori città, ora che i miei fratelli sono maggiorenni possono decidere di andare o non andare da lui una volta al mese, mentre io ho ancora diciassette anni e devo andare a casa sua per almeno tre giorni al mese – così aveva stabilito il notaio a suo tempo – ma credo che, di questo passo, quando mi sveglierò sarò ormai maggiorenne.
Sospiro, mi perderò un sacco di cose… ma per adesso mi interessa ritornare a fare l’essere umano, con uno scorrere del tempo terrestre, un corpo, la possibilità di interagire con le persone e tutto il resto. Soprattutto tutto il resto...
Eccomi qui, sono davanti casa di Calum. Per abitudine quasi salgo le scale della veranda, poi ricordo che sono invisibile e che da adesso non ho nemmeno più la mezza materialità. Faccio il giro, ritrovandomi in giardino. La finestra della stanza di Calum e Mali è aperta, e come ho fatto per entrare a casa di Ashton, salto e mi ritrovo accovacciato sul davanzale, per cui riesco ad entrare con estrema facilità. La stanza è tranquilla: Calum è sul letto a sentire la musica e Mali è seduta davanti alla scrivania, con il naso sul libro di storia. Dovrò passare la sera ad escogitare un modo per aiutarla e ho tutta la notte per mettere in atto il mio piano.
Ho a disposizione la possibilità di scrivere, ma Clarisse ha detto che non devo aiutarla durante la verifica, ma devo aiutarla a studiare. È assurdo! Non avrei fatto prima a passarle dei bigliettini? Insomma, di chi potrebbero sospettare, sono invisibile e posso benissimo far piovere biglietti dal cielo. Accidenti al regolamento e alle stupide regole di Clarisse.
E non mi importa se mi ha sentito.
La prima cosa che farò, è aspettare che Mali se ne vada, magari in bagno o da qualche altra parte. Voglio provare a comunicare con Calum. Intanto, penso a cosa fare per aiutare Mali... sono sempre stato un tipo che non ha molte idee, per questo fare queste missioni si sta rivelando più difficile del previsto.
Un colpo di fortuna fa sì che squilli il telefono, allora Mali, infastidita dalla presenza del fratello, va a parlare in un’altra stanza. Una parte di me ringrazia chiunque ci sia dall’altra parte del telefono e spera vivamente che sia una ragazza, così parleranno a lungo. Insomma, sono delle quindicenni!
Ora che Mali è uscita, posso finalmente comunicare con Calum. Ha il cellulare in mano, allora la prima cosa che mi viene in mente è fargli arrivare un messaggio. Non penso nemmeno alle parole da dirgli, escono semplicemente fuori, senza alcuno sforzo. Sono le parole che gli direi parlandogli normalmente.
Cal, sono Luke. No, non è uno scherzo e non c’è niente di paranormale. Credo. Non scaraventare il telefono da qualche parte, ti spiegherò tutto dall’inizio.
Lo schermo del telefono si illumina all’improvviso, mi avvicino per vedere se questa cosa funziona davvero, e con mia grande sorpresa, cominciano a comparire le parole l’una dopo l’altra. Calum balza a sedere sul letto, fissando il cellulare con uno sguardo quasi sconvolto: le sopracciglia aggrottate, la bocca semi aperta. Non ci crede, non ci credo nemmeno io.
« Che cazzo è? » esclama, togliendosi le cuffie.
Sono Luke. Il tuo migliore amico, quello che sta in coma? Hai presente?
« Oh mio Dio, questa casa è infestata » dice ancora.
No, idiota. Sono una specie di fantasma, ma non sono morto. Sono a metà. Insomma, più morto che vivo, ma ho la possibilità di tornare indietro.
« Mali, se è uno scherzo non è divertente, hai capito? » urla Calum, rivolto alla sorella, che probabilmente non l’avrà nemmeno sentito. Ma come faccio a fargli capire che non è uno scherzo? Stupido Calum, è sempre stato scettico su queste cose: sui fantasmi, sugli alieni e sui miracoli, ma adesso deve cominciare a crederci.
Non è uno scherzo di tua sorella. Sono veramente Luke, e sono in questa stanza, solo che tu non puoi vedermi, né sentirmi. Fino a qualche ora fa avevo una mezza materialità, ma ora ho il dono di mettere per iscritto i miei pensieri e l’ho persa, ora mi stai a sentire? Cioè, leggere?
Calum sospira e continua a guardare lo schermo del telefono inorridito. « Se sei veramente Luke, dimmi con chi ho perso la verginità ».
Ma che razza di domande sono? Solo Calum può uscirsene con roba del genere. Però forse è per questo che siamo amici, perché siamo entrambi strani ed entrambi propensi ad ascoltare l’uno le avventure dell’altro. Perché quando gli ho detto di essere gay, Calum mi ha detto che lo sospettava e che non sarebbe dovuto cambiare niente. Perché Calum mi capisce e sopporta ogni mia singola paranoia. Comunque, meglio rispondergli.
Nancy Harris della squadra di pallavolo. Dieci minuti dopo mi hai chiamato e mi hai detto che te ne saresti pentito per sempre.
« Sei davvero tu! »
Finalmente l’hai capito.
« Ma come fai ad essere qui e all’ospedale? Però stai bene, cioè, relativamente bene. Cavolo, mi sei mancato da morire, calcola che mi sono ridotto ad uscire con Josh Ferguson il sabato sera... una noia mortale! Però ha delle amiche carine, sai? È l’unica cosa davvero positiva di tutto questo » comincia a dire Calum. Io sorrido anche se non può vedermi: quando inizia a parlare non lo ferma più nessuno. E starei ore e ore ad ascoltare tutto quello che Calum ha da dirmi, ma voglio prima spiegargli la mia situazione per bene.
Con calma. Allora, sono una specie di fantasma, okay? Tu non mi vedi, ma io sono qui. E... posso svegliarmi, devo completare delle missioni. Ad ogni missione che completo mi viene fatto un dono, prima avevo quello del tatto, e adesso ho quello di mettere per iscritto i miei pensieri. Praticamente, ora devo aiutare tua sorella a passare la verifica di storia, e credo che passerò la notte a scriverle degli appunti.
Mi rendo conto che quello che ho appena detto – cioè, scritto – non deve avere molto senso per le altra persone. È comunque il meglio che posso fare. Con mia grande sorpresa, però, Calum si ritrova ad annuire.
« Ho capito. Più o meno, e mi pare sempre di più la trama di un horror, ma non ci darò troppo peso. E che c’entra mia sorella? » mi chiede, fissando il telefono.
Sono vicino alla finestra, comunque. E non lo so che c’entra tua sorella, mi hanno detto che devo aiutarla e io lo faccio. Più missioni porto a termine, più mi avvicino al mio obiettivo, e non ho tantissimo tempo a disposizione.
« Sai, sono già passati due mesi » sospira Calum, girandosi nella mia direzione.
Lo so, Cal. Sto facendo del mio meglio.
« Hai... hai già parlato con Michael? Cioè, gli hai scritto come stai facendo con me? » mi chiede. Sapevo che prima o poi avrei dovuto rispondere a questa domanda.
No. O meglio, questa mattina l’ho visto al parco. Ho provato a parlargli, ma non funzionava. Io riuscivo a toccarlo, ma lui non riusciva a sentire me. È stato orribile, ma bello allo stesso tempo. Aspetto di poter avere qualche altro dono prima di vederlo ancora. Non voglio sentirmi di nuovo così male.
Calum legge le parole che ho scritto e poi si gira verso la finestra, verso di me. Mi rivolge un’occhiata triste, mista però a qualche piccolo bagliore di speranza. Lui ci crede, come me.
« Ho parlato con lui oggi, e non se la passa troppo bene. Per me anche questo gli sarebbe di conforto » mi dice. Ci penso un po’ su, forse ha ragione, ma io non sono pronto. Non so se poi ce la farei a continuare le mie missioni.
Non è abbastanza. Ha bisogno di vedermi e aspetto di poter essere visibile.
« Ma tu non hai idea di quali siano questi doni, Luke! Potresti non ricevere mai quello della visibilità » esclama Calum. E di nuovo, ha ragione. Nessuno mi assicura cosa riceverò in futuro, o se riceverò effettivamente quello che voglio. Non rispondo. « Senti, puoi darmi un abbraccio da fantasma? »
Non so se i fantasmi danno abbracci.
« Be’, provaci, scemo! ».
Ma tu non sentirei niente di niente, e nemmeno io, dato che non ho più la mezza materialità.
« Oh, e sai che me ne frega? Ho bisogno di riavere il mio migliore amico al più presto, è uno schifo senza di te ».
Mi stacco dal davanzale della finestra mentre mi chiedo quanto sarà strano abbracciare Calum senza farlo davvero, e a quanto potrebbe fare male se succedesse la stessa cosa con Michael. Lui di fronte a me, che è conscio della mia presenza nella stanza, ma non può sentirmi. Deve essere uno schifo, sia per me che per lui. Però quando mi siedo sul letto e abbraccio Calum mi sento quasi bene. Lui è il mio migliore amico e mi è mancato da morire, e so che anche io sono mancato a lui quando solleva le braccia e circonda ciò che per lui non è altro che aria.
« Non sto facendo la figura dello scemo, vero? » mi chiede Calum. Deve essere una situazione strana per lui. Allora scrivo di nuovo sullo schermo del cellulare.
No, ti sto veramente abbracciando.
« Be’... grazie, Luke » mi dice piano. È strano, perché io e Calum non facciamo mai dimostrazioni d’affetto così esplicite, il volerci bene tra di noi è un dato di fatto, è quel pilastro che si trova alla base di tutto e che non potrà mai essere rimosso. Calum e io viviamo in simbiosi e separarmene mi sembrava inconcepibile, prima di oggi.
Proprio non posso contare su di te per quegli appunti, vero?
Provo comunque a chiederlo a Calum. Non ho mai amato particolarmente studiare e non amo quindi farlo per gli altri, ma la mia mente continua a ripetermi che devo farlo per tornare a casa, per tornare ad abbracciare sul serio Calum, magari un po’ più spesso, perché non ce lo dimostriamo mai abbastanza; devo farlo per tornare da Michael, e fargli capire che io resterò con lui sempre e comunque, che ci sarò sempre e che non me ne andrò mai più; devo tornare per mia madre, per mio padre e per i miei fratelli: non posso arrendermi e scaricare su tutti i loro il dolore del lutto. Sarebbe leggermente egoistico da parte mia, e lo so, io sono una persona con centinaia di difetti, ma non sono egoista. Questo lo so per certo.
« Sei il mio migliore amico, ma non prenderti tutta questa libertà » dice, e poi scoppia a ridere. Io lo seguo a ruota, anche se non può sentirmi, e mi sentirei stupido a scrivere “ahaha” su uno schermo.
Va bene, allora mi metto a lavoro.
Sposto il libro di storia sempre desiderando si muova. Dopo un po’ d’esercizio spostare oggetti con il pensiero è facile, e realizzo che questo dono non mi è stato portato via, forse perché ce lo avevo già prima di ricevere gli altri. Il libro viene raggiunto da alcuni fogli e sono quasi soddisfatto del mio lavoro quando sento Calum esclamare: « Oh, cazzo! »
Che c’è?
« Tu... quei cosi... volano! » mi risponde Calum. Si è appiattito al muro e osserva il libro di storia come fosse posseduto da qualche spirito demoniaco.
Non ho più il dono del tatto, ho dovuto usare la telecinesi, gli spiego, facendo apparire le parole sempre sullo schermo del telefono.
« Tele... cosa? Se avrò gli incubi stavolta sarà colpa tua. Un libro mi è quasi volato in faccia! » dice ad alta voce. A me viene da ridere, ma gli spiego con calma la situazione.
Non te lo avrei mai fatto volare in faccia, Cal. Va bene che a volte voglio picchiarti, ma questa non è una di quelle occasioni.
« Buona fortuna con quella roba, comunque, credo che fermare un treno in corsa sia più facile ».
Guarda il lato positivo, se cercassi di fermare un treno in corsa non mi farei un graffio.
Calum ride e torna a sentire la musica, mentre io comincio a trasferire nozioni, date, eventi e idee importanti sui fogli, devo impegnarmi anche in questa cosa, che sembra relativamente facile.
Devo impegnarmi in tutto. Devo. Dovere e sempre dovere. Non sono nemmeno nella posizione di lamentarmi, perché desidero con tutto me stesso ritornare a vivere, e sarei disposto a tutto pur di farlo.
 

Salve fanciulle!
Eccomi qui con il sesto capitolo che, come mi avevo promesso, contiene l'incontro tra Calum e Luke.
Non sono bellissimi? Awwww, i Cake sono favolosi, sia come Romance che come Bromance, ma qui sono solo amici u.u
Duuunque, ormai dovete saperlo meglio di me che io ad inventare missioni e roba del genere sono una totale frana, quindi mi scuso in anticipo se parecchie delle cose che vedrete saranno banali. Ma io so che voi siete qui solo per i Muke, quindi non mi preoccupo. LOL
Non mi dilungo molto perché devo scappare a fare una versione e studiare italiano, spero solo che vi sia piaciuto e vi dico di prepararvi psicologicamente per i prossimi due capitoli: ci sarà una bella sorpresa u.u
Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo: Letizia25, Pika_Pi, Sweetlove250513, Madam Morgana (la cui icon mi ha fatto morire lol),  e Jade_Horan. Grazie mille anche a chi ha inserito la storia nelle seguite/preferite/ricordate.
Marianne vi ama ♥
Spero di arrivare in tempo con il prossimo capitolo perché da domani fino a venerdì prossimo sono piena di verifiche fino al collo ahahahaha
Un bacio,
Marianne
 

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Capitolo 7
*** You ***



 
7.
You

 
Quando finisco di scrivere gli appunti per Mali sta sorgendo il sole e se avessi una corporeità mi farebbe male la testa: uno degli aspetti della vita che non è mancato è proprio il passare le ore sui libri di scuola a studiare. Spero vivamente che Clarisse non mi dia di nuovo una  missione genere.
Calum e Mali dormono, io mi sono spostato sul pavimento dopo che Mali è rientrata in camera e si è addormentata. Ora metto i fogli sulla scrivania e rimango un po’ nella stanza. Se penso a tutti i pomeriggi passati qui dentro, un po’ di nostalgia mi assale, insieme ad una briciola di tristezza.
So benissimo però che non è questo il momento di farsi prendere da questi sentimenti negativi. Prendo un ultimo foglio bianco e lo guardo, indeciso su cosa scrivere a Calum: non me ne voglio andare così e sparire per chissà quanto tempo. Dopo questa notte è passato un altro mese ed è il 28 Dicembre. Tre giorni fa era Natale. Chissà cosa ha fatto la mia famiglia, chissà cosa ha fatto Michael...
Dopo un paio di minuti che passo perso nei miei pensieri, guardo ancora il foglio vuoto, un secondo dopo sopra c’è scritto “ci vediamo presto, Cal”. Ed è una promessa, un giuramento. Mi sveglierò e ci rivedremo sul serio; non posso garantire sul presto, ma ci proverò.
Lascio il foglio in un posto dove Calum lo vedrà, poi sguscio fuori dalla finestra come un ladro, sentendomi quasi in colpa mentre atterro nel giardino sul retro. Oggi Mali avrà la sua verifica e io saprò la mia prossima missione. La città si sveglia lentamente, e questo è un aspetto dell’essere mezzo morto che amo particolarmente: c’è una sorta di pace assoluta che rilassa i sensi, e poi l’alba è uno spettacolo straordinario e meraviglioso.
Cammino – o meglio, fluttuo – per un tempo che mi pare indefinibile, e Clarisse ancora non si fa viva. Quando finalmente mi degna della sua presenza, il sole è ormai alto nel cielo e io ho imparato a memoria tutte le vie e le targhe delle automobili di tutto il quartiere; i bambini tornano a casa con i genitori e dagli autobus scendono i ragazzi più grandi tornati da scuola. Dopo un po’ sento il suono familiare di qualcosa che scoppia e, girandomi, vedo Clarisse con il suo solito sorriso e il viso contornato dai capelli scurissimi.
« Ciao, Lucas! » esclama felice, nella mano destra stringe un foglio, ma stavolta non riceverò lo stesso dono di prima, quindi non potrò prenderlo in mano. Però confido nel suo ottimismo, insomma, è un angelo. Sa quello che fa, no?
« Alla buon ora » dico sarcastico. La vedo rivolgermi un’occhiata ammonitrice, tradendosi però con il sorriso che segue subito dopo.
« Sai cos’ho qui? » mi chiede. mostrandomi il foglio. È una domanda retorica, ma mi ritrovo a scuotere la testa, così che possa rispondermi. « La verifica di Mali. A – ».
« Non ho mai preso un voto così alto, io. È ingiusto! » esclamo-
« Suvvia, Lucas. Stavolta avevi una motivazione più che valida, dovresti esserne felice » dice lei, all’improvviso il compito di Mali sparisce e io non ci faccio nemmeno troppo caso, ormai ci sono davvero abituato. « Hai per caso bisogno di dirmi qualcosa? Ti vedo trepidante ».
« Ho... comunicato con Calum. Ed è stato bello, insomma, mi mancava e scrivergli delle cose e sentirlo rispondere è stato confortante. Mi ha spinto ad impegnarmi di più nelle missioni » rispondo, senza mettere freno ai miei pensieri perché so che sarebbe totalmente inutile e che Clarisse le vedrebbe lo stesso. Clarisse mi guarda con uno sguardo strano, quasi come se fosse... intenerita.
« È la parte più bella, questa » mormora con la voce che trema.
« Come? » le chiedo.
« Quando riuscite a mettervi in contatto con le persone che vi vogliono bene e quando dite di essere più motivati grazie a loro. Anche se so che alla fine ve ne andrete tutti, quando dite così... » s’interrompe per un attimo e alza lo sguardo. « I miei fratelli dicono sempre che provo dei sentimenti troppo umani ».
« Ehi, ma a me piaci così. Senza sentimenti non saresti tu, solo un banalissimo angelo antipatico e con la puzza sotto il naso » le dico, per confortarla almeno un po’. Lei sorride e poi cambia discorso.
« Hai una nuova missione, e di conseguenza un nuovo dono » mi dice. La mia curiosità si accende, aspettavo questo momento da un po’. Lei legge i miei pensieri e ride divertita, per poi riprendere a parlare. « Sarà una missione molto particolare a delicata: alle undici di questa sera una ragazza di nome Amber sarà sul tetto del municipio... »
La interrompo: « Come lo sai? »
« Lo so e basta. Sono un angelo. Devi fermarla, Lucas. Crede di non avere più ragion d’essere, ma sedici anni sono troppo pochi per voler morire. Insegnale il valore della vita ».
Devo far desistere una ragazza dal commettere suicidio. Proprio io che non sono nemmeno vivo. Come faccio a convincere qualcuno a non morire, se so perfettamente che quello che c’è dopo non è nemmeno tanto male?
« Avrai il dono della parola. Parlale, convincila » mi risponde Clarisse.
« Quando hai detto che devo andare lì? » le chiedo. Se posso parlare adesso, ho un intero pomeriggio per andare da Michael. Non potrebbe ancora vedermi, è vero, ma potrà ascoltare la mia voce. Gli parlerò, gli farò capire che gli sono vicino, sempre e comunque.
« Alle undici » risponde Clarisse. « Buona fortuna ».
Clarisse sparisce all’improvviso e io mi ritrovo da solo per la strada, nelle ore del primo pomeriggio, in cui il sole è più caldo. Guardandomi attorno, riesco a capire in che zona mi trovo, comincio ad avanzare verso la stazione della metropolitana, con un’unica meta nella testa.
Dio, sono terrorizzato. Non dovrei avere paura, lo so. Quale persona normale avrebbe paura di andare a casa del suo ragazzo? Ma dopotutto, io non sono una persona normale, ora che ci penso, non sono nemmeno una persona vera e propria.
Quando mi ritrovo davanti ai binari, dopo aver sceso le scale che mi sono sembrate infinite, come ogni volta, vengo inghiottito da un mare di gente, senza essere visto davvero. Vi siete mai sentiti soli in un posto affollato? Io non credevo fosse possibile, invece lo sto provando proprio adesso. La metro arriva, le persone si apprestano a raggiungerla, le porte automatiche si aprono e io scivolo velocemente dentro, non facendo attenzione a dove mi metto: non mi devo nemmeno reggere alle maniglia o ai pali appositi.
Mentre guardo la lista delle fermate, penso di rimanere qui e non scendere mai più. Di vivere all’infinito una corsa in metro, almeno finché il mio tempo non scadrà e morirò per davvero. E se Michael non capisce che sono io a parlargli? Se crede di essere pazzo, tipo quella tizia che ha liberato la Francia grazie alle voci divine che sentiva? In quel caso distruggerebbe entrambi e la sua distruzione verrebbe ad aggiungersi alla mia. Allora, chi mi assicura che avrò ancora qualcosa per cui lottare?
Nonostante tutti i problemi che mi sto ponendo, scendo alla fermata vicino casa di Michael. Ritornato in superficie, svolte a destra su Wilson Street e continuo a camminare finché la via non finisce e mi obbliga a girare a sinistra, in una viuzza minore. Qui ci sono solo quattro case, e la terza è quella di Michael. Prima di raggiungerla tentenno, mi fermo, considero l’idea di tornare indietro e costruire un discorso sensato e profondo per la missione che dovrò affrontare questa sera.
Eppure, quando mi ritrovo nel suo vialetto, la mia mente si svuota del tutto: lui è proprio lì, seduto sugli scalini della veranda.
Faccio uno, due, tre passi, finché non mi ritrovo praticamente catapultato sugli scalini accanto a lui. Sembra che la scena del parco si stia ripetendo, ma dentro di me sento che non sarà così e sprizzo felicità da tutti i pori. Mi basta una parola, un semplice sussurro, e lui si accorgerà di me. Ma ora che penso, dovrò anche stare abbastanza attento a quello che gli dico, la paura che possa pensare di essere completamente andato si insinua di nuovo dentro di me.
Giro la testa e vedo il suo volto, così perfetto, e il suo sguardo è rivolto verso la strada. Sta pensando, e vorrei tanto sapere a cosa. Vorrei anche toccarlo, ma so che se mai potrò farlo, la mia occasione non l’avrò oggi. Oggi è il momento per parlare, per dire tutto ciò che non ho mai detto: devo dirgli che mi manca, devo dirgli di non perdere le speranze e di non smettere mai, mai e poi mai, di lottare per ciò a cui tiene; devo dirgli che tornerò a qualsiasi costo, e poi devo dirgli che lo amo come non ho mai amato nessun altro in vita mia. E che lo so che a diciassette anni, forse, si è un po’ troppo giovani per amare qualcuno così tanto, perché a volte nemmeno gli adulti riescono a farlo, ma io ci provo e spero di riuscire a dimostrarglielo ogni giorno. Spero di tornare, così da dimostrarglielo tutti i giorni della mia vita.
Smetto di pensare, perché sono con Michael e con lui è sempre andato tutto a meraviglia, perché noi due esistiamo a prescindere delle parole selezionate attentamente, esisteremmo anche se ci fossimo odiati e se ci odiassimo ancora: è semplicemente destino, e questa possibilità mi è stata offerta per rimettere a posto le cose, perché la mia quasi morte, non era prevista da niente.
« Michael, » sussurro piano. Lui alza istintivamente la testa e si guarda attorno, osserva e scruta ogni cosa che lo circonda con molta attenzione; osserva me, me soltanto, per qualche lungo istante e poi aggrotta le sopracciglia. « So che ti sembra impossibile, ma sono davvero qui. È che non puoi vedermi, ma ci sono ».
« È... è uno scherzo? » boccheggia, allontanandosi un po’, fino a far cozzare le schiena contro la ringhiera. Rimango perplesso da questa cosa, forse perché vedere Michael che si allontana da me è una cosa che non mi è mai capitata, è una cosa nuova ed è una cosa che fa male. Sospiro, mi chiedo se Michael abbia sentito anche questo.
« No... perché mi chiedete tutti se è uno scherzo? » gli rispondo.
« Tutti? » chiede ancora Michael. Okay, non avrei dovuto dirlo, così sembra che io abbia preferito altre persone a lui, e non è assolutamente vero. Mi sono semplicemente dovuto adattare, e non ero pronto a dargli così poco come un tocco leggero e una parola scritta su un pezzo di carta.
« Calum per provare che fossi io mi ha chiesto delle cose abbastanza imbarazzanti » mormoro, per poi soffocare una risatina. Noto che Michael adesso si è riavvicinato e agita una mano esattamente dove mi trovo io adesso, forse per capire se ci sono o meno. Sorrido.
« Mi stai attraversando i polmoni in questo istante » gli dico, e lui ritrae subito la mano, facendo un sorriso imbarazzato. Dio, quanto è bello quando fa così...
« Allora sei davvero qui... » sospira piano, illuminandosi poco a poco.
« Sì, sono qui » gli dico, lo guardo negli occhi.
« Ma non riesco a vederti » mi dice lui, vorrei che potesse guardarmi come lo sto facendo io. Vorrei che ci perdessimo a vicenda l’uno negli occhi dell’altro, senza nemmeno accorgerci del tempo che scorre inesorabile.
« Non importa, ascolta la mia voce. Non mi muovo di qui, rimango con te » cerco di rassicurarlo, e vedo di nuovo quel sorriso tirato. Quello che fa quando non sa se essere triste o felice.
« Mi manchi, lo sai? »
« Anche a me manchi da morire, Mickey, ma sto facendo di tutto per tornare »
« Com’è possibile che io ti senta? Sei un fantasma? Un angelo? Io... oh, oggi sono andato all’ospedale e tu eri lì, come... come fai ad essere qui? ».
« Sono semplicemente io, ed è una storia davvero troppo lunga da spiegare ».
Segue un momento di silenzio che vorrei annullare con un bacio, ma so che non è possibile ed evito di provarci perché so quale sarebbe il risultato. Dopo un po’, la voce di Michael ritorna a fare capolino, io lo guardo negli occhi e mi ci perdo come fosse la prima volta: sento un’esplosione intera attraversarmi e infrangersi sulle pareti del mio cuore.
« Ti amo ».
Sono due semplici parole, due parole che ho ascoltato già, due parola che sia lui che io abbiamo detto tante volte: sia per scherzo che per davvero, due parole con un peso enorme. Due parole che mi spingono a lottare.
« Anche io, Michael. Ti amerò per sempre, qualsiasi cosa succeda ».
« Ti va di raccontarmi quella storia? ».

 
Ok.
Cioè, non è ok perchè io domani ho un compito di italiano e devo assolutamente scappare a studiare, però ok.
ODDIO I MIEI BAMBINI çwç
Vi dico solo che se siete morte in questo capitolo - come la sottoscritta - nel prossimo esploderete in un'esplosione molto esplosiva di feels.
Cioè, oggi mi sono letta la mia sclaletta e quello che dovrò far succedere e... boh, io piango solo al pensiero, perchè i miei Muke sono troppo bellini e non meritano questo dolore e ommioddio, cosa diavolo avevo in mente quando ho plottato questa storia così sofferente? *si butta dal balcone*
Dato che sono buona (???), e dato che fino a sabato pomeriggio scrivere sarà off-limits per via di scuola, vi dico come si intitolerà il prossimo capitolo ,anche perché c'è la possibilità che non riesca ad aggiornare tra una settimana precisa :c quindi, il capitolo otto si chiamerà *rullo di tamubri* Everything I didn't say! Proprio come la canzone dei ragazzi, solo che ovviamente avrà un significato diverso :)
Ora sparisco perché OMG, sono già le 16:10 e io DEVO scappare.
Ringrazio i_love_calum_hood, Letizia25, backforsel, Jade_Horan, Sureness, Sweetlove250513, JKRowling e Madam Morgana per aver recensito lo scorso capitolo! Vi rispondo stasera ♥
Love ya,
Marianne

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Capitolo 8
*** Everything I didn't say ***



 
8.
Everything I didn't say

 
In casa di Michael non c’è nessuno. Ci siamo solo noi due, o meglio, teoricamente c’è solo lui, ma a me basta che Michael sappia della mia presenza. Mi ha tenuto la porta aperta perché gli ho parlato della mia non-materialità e l’ho visto sorridere tristemente.
La sua stanza la conosco meglio di me stesso. Non appena si entra c’è il letto ad una piazza e mezza addossato alla parete destra. Su quel letto abbiamo passato interi pomeriggi l’uno tra le braccia dell’altro, a sognare pezzi del nostro futuro che, lui me lo giurava sempre, sarebbe stato meraviglioso. E ancora adesso sarei capace di promettergli che mi sveglierò e che avremo il nostro futuro: gireremo il mondo, e se sarà necessario andremo fino a Las Vegas per sposarci. Michael si siede sul letto e il vecchio materasso sprofonda sotto il suo peso: non riesco a non pensare a tutte le volte in cui quel materasso è sprofondato sotto di noi mentre facevamo l’amore, a volte silenziosamente, con le bocche rosse e piene di baci, altre volte senza pensare al mondo, che ci sentissero pure urlare l’amore vero.
« Puoi dirmi dove sei? Non vorrei sembrare un deficiente a guardare da tutt’altra parte » dice. Io sorriso divertito.
« Sono seduto accanto a te » gli rispondo io, un secondo dopo si volta verso di me. So che non sa dove guardare esattamente, ma io lo guardo dritto negli occhi. Mi manca, mi manca da morire, e riaverlo qui di fronte a me, senza la possibilità di far nulla se non parlargli mi distrugge.
« È strano, » inizia lui, sospirando. « Sei qui... ma non sei qui ».
« È complicato » dico io.
« È bellissimo » si lascia sfuggire.
« Cosa? »
« Sono tre mesi che ti aspetto. I dottori dicono che sei coma, ma lo dicono come se non avessi più speranze e come se io non dovessi averne, ogni giorno torno e la situazione non cambia. Ma io non mi do per vinto, non se mi dici cosa sta succedendo ».
« Ho un ultimatum, » gli dico. « Devo svolgere delle missioni, come delle buone azioni. Se ci riesco mi risveglierò ».
« Che tipo di missioni? Quante sono? E perché ti ci vuole così tanto? ».
La mole di domande che mi fa è decisamente esagerata, ma io lo capisco e sospiro.
« Aiutare le persone, cose così. Ne ho già fatte tre, non so quante saranno esattamente, e devi sapere che per me il tempo scorre diversamente: non so come funzioni, ma nel mio mondo sono passati a malapena tre giorni ».
« Ho capito... » sospira. « Cioè, in realtà no, ma se è così immagino di non poterci far nulla ».
« Fidati di me, Michael ».
« Non ho mai smesso di farlo ».
Il mio cuore fa un tuffo nel vuoto e precipita. Nemmeno io so cosa fare: è tutto così bello ma terribile allo stesso tempo che rimango quasi impassibile. Le mie emozioni contrastanti si annullano a vicenda.
« Quando mi sono svegliato mi trovavo in un immenso corridoio, » comincio a raccontargli. « E c’erano diverse porte, ognuna di un colore diverso. Ho incontrato una ragazza, lei è... un angelo, ma è simpatica. Mi ha spiegato che, se avessi deciso di finirla lì e di provare a non tornare indietro, sarei andato nella porta grigia ».
« Porta grigia? » mi chiede Michael, confuso.
« Lì ci vanno le persone che sono morte e hanno lasciato le cose in sospeso, se io fossi morto avrei lasciato davvero troppo. Avrei lasciato te... ». E qui la voce mi muore lentamente.
« E poi? » mi incita Michael.
« E poi quest’angelo mi ha spiegato che potevo tornare sulla Terra, ma che sarebbe stato difficile. Ho accettato perché avevo troppi conti in sospeso, Mike, non potevo andarmene così, anche se l’Aldilà è un bel posto per passare l’eternità... io non potevo andarmene. Allora, ho cominciato queste missioni.
La prima è stata per Ashton. Ho passato tutta la notte a trovare un gratta e vinci effettivamente vincente. Senza poter toccare nulla, ho capito dopo che dovevo usare la forza del pensiero ».
« Allora sei stato tu? » mi chiede Michael, quasi divertito.
Gli dico di sì, e poi vorrei chiedergli come fanno a conoscersi, già che ci sono, ma non mi importa più. Non mi porta perché sono finalmente con lui e non voglio parlare di Ashton. Ricomincio a parlare.
« Poi ho dovuto cercare quella peste di Jack Weber in giro per il parco e riportarlo a casa da sua madre, » Michael ride divertito. « E poi ho aiutato Mali con lo studio, ed è stato allora che ho avuto l’occasione di parlare con Calum. Cioè, non gli ho proprio parlato, ma hai capito ».
« Per caso sono io la tua prossima missione? » mi chiede Michael, dopo un po’.
« No, ma devo aspettare che faccia buio per portarla a termine. Ho pensato di stare con te finché posso. Sai, ogni volta che faccio una missione mi viene fatto un dono. Prima avevo una sorta di... materialità. Ti ho visto al parco e ti sono venuto vicino, ma tu non potevi vedermi sé sentirmi; poi ho potuto scrivere e sono andato da Calum, perché per te era troppo poco. Adesso puoi ascoltarmi, anche se non è molto, lo so. Mi dispiace, vorrei poter essere qui per davvero e stringerti, ma non so quali altri doni riceverò, potrei non avere mai più un’occasione del genere ».
« Non dirlo » mi blocca Michael.
« Che cosa? » chiedo io.
« Che non è abbastanza. Sentire la tua voce dopo... va benissimo così, » mi risponde. « E non dire che non avrai altre occasioni ».
« Non so se ne avrò prima di tornare ».
« Be’, speriamo di sì » dice, e poi scoppia a ridere. Dio, quando mi è mancata la sua risata.
Michael si butta all’indietro sul letto e io mi stendo accanto a lui. Sarebbe bellissimo poter sentire le sue mani attorno a me, e sarebbe bellissimo poter intrecciare le mie gambe alle sue. Sarebbe bello che lui sapesse dove mi trovo, per potermi guardare, toccare, per potermi dire qualsiasi cosa, consapevole del fatto che lo sto ascoltando.
« Luke? » mi chiede piano, apre piano gli occhi e si guarda attorno confuso e quasi terrorizzato. Forse ha pensato che fossi tutta parte di un sogno, lo capirei.
« Sì, Michael? » gli dico, per fargli sapere che ci sono.
È un’odiosa situazione, questa, per quanto bella possa essere dopo tre giorni senza lui, e tre mesi senza me.
« Dove sei di preciso? Così almeno so dove guardare mentre di parlo » mi dice Michael, cerca di far trasparire la sua solita ironia anche qui, ma difficilmente gli riesce, tant’è che sembra detto quasi con un tono di rassegnazione.
« Accanto a te, sul letto » gli dico gentilmente. Michael guarda verso la finestra, ma io non sono lì. Soffoco una risata. « Dall’altra parte ».
« Non sono ancora pratico con queste cose da fantasma » si giustifica, guardando dalla parte giusta.
Posso a stento calarmi nei suoi panni, parlare con qualcuno senza poterlo vedere. Deve essere orribile ma confortante allo stesso tempo, se si calcola che quel qualcuno è in coma su un letto d’ospedale.
 « Un fantasma è una persona morta e, tecnicamente, io sono vivo » gli spiego, forse per la centesima volta, ma se servisse a tornare da lui, glielo direi mille e mille altre volte ancora.
« Più morto che vivo » mi corregge lui, con una nota di tristezza.
« Ma non sono un fantasma... sono solo io » cerco di fargli capire.
« È strano non poterti vedere, toccare » sussurra piano, i nostri visi distano davvero poco.
« Lo so. E vorrei piangere dalla rabbia ».
« Non farlo ». Sembra quasi una preghiera, da come ha parlato a bassa voce e piena di sofferenza.
« Non ci riuscirei comunque, sai, non ho un corpo vero e proprio »
« Sto provando ad abbracciarti, ci ho preso? »
« Sposta il braccio un po’ più su » gli dico, non riesco a non pensare al fatto che, se fossi completamente vivo, adesso sentirei Michael stringermi e mi farei minuscolo tra le sue braccia. « Ora ci sei »
« Impazzirò senza di te ».
« Io sto impazzendo » gli rispondo.
« Forse io sono già impazzito quando mi hanno detto che avevi avuto un incidente » dice Michael. Ma adesso c’è qualcosa di diverso nella sua voce adesso, è cambiata repentinamente. È pesante, affannata, come se stesse cercando di... di non piangere. Provo a rassicurarlo, ma non ho molto successo.
« Fa male da morire senza di te. Sono passati tre mesi e mezzo, esattamente centocinque giorni che vado in ospedale e la risposta è sempre la stessa. Io non so se questa è un’allucinazione o un sogno, ma rimani con me, Luke. Ti prego, rimani con me » mi sussurra piano, quasi disperato.
« Non me ne vado » gli assicuro. Voglio stringerlo forte, voglio baciarlo. E fa male, cazzo, fa male essere così impotenti e assistere a tutto questo.
« Rimani per tutta la notte, come ai vecchi tempi? » mi chiede, alzando lo sguardo, forse in cerca dei miei occhi. Sorrido tristemente a questo suo gesto, vorrei che potesse guardarmi davvero.
« Per tutta la notte non posso, Mike. Devo... devo fare la mia missione. Te l’ho detto: ogni giorno ho delle missioni diverse, se riesco a portarle tutte a termine mi sveglierò. Sarò di nuovo vivo e passerò qui con te tutte le notti che vorrai, passerò con te tutte le notti della mia vita. Te lo giuro, perché non c’è nient’altro che vorrei, vorrei poterti sentire sotto le dita e vorrei che tu potessi guardarmi negli occhi » gli dico, sinceramente, mettendoci tutto me stesso. È la verità,
« Cosa stai facendo adesso? » mi chiede, piano. Tiene gli occhi chiusi. È bellissimo.
« Ti sto toccando le labbra » gli rispondo. Con i polpastrelli traccio il profilo della sua bocca sottile e piena allo stesso tempo. Nessuno sa quante volte abbia baciato queste labbra, non lo so nemmeno io, e mi piace pensare di avergli dato così tanti baci da averne perso il conto.
« Non ti sento » sussurra, mentre si lascia sfuggire un primo singhiozzo.
« Non piangere, Michael » gli dico, con la voce che trema. Oh, Michael, stai facendo piangere anche me.
« Non sto piangendo... » mi dice, deglutendo. È sempre stato così orgoglioso da non mostrare a nessuno le sue debolezze, ma sa bene che con me non deve fingere. Con me può essere debole quanto vuole, ci sarò io a dargli forza.
« Vorrei poter asciugare questa lacrima » mormoro piano, gli tocco la guancia, ma quella lacrima rimane lì. Non si asciuga, continua a scivolare sul suo volto.
« E io voglio baciarti, ma non si può ».
« Questo lo dici tu ».
Mi avvicino a lui e gli sfioro le labbra con le mie. Non sento niente, fa male, ma me lo aspetto. Da una parte è meglio così, perché se ci fossimo baciati per davvero sarebbe stato un bacio triste, e io odio dare baci tristi. Soprattutto a Michael, perché la nostra storia è meravigliosa e in essa non deve esserci tristezza.
Perché lui è meraviglioso, e non è giusto che sia triste.

 

 
Salve a tutti.
Con il nemmeno troppo ritardo di un giorno, eccomi a postare il capitolo otto. Sarà un angolo autrice molto flash perché ho da fare, help çwç
Mi odio da sola per tutto questo. Io... i miei Muke, piccini. Soffrono tanto, troppo, un lieto fine se lo meritano, vero? No, perchè ho due possibili finali e sto ancora decidendo quale scegliere OuO *scatena il panico generale*

È una specie di "pausa" che Luke si prende dalle missioni, ma non dimenticate che nel prossimo capitolo assisteremo ad una delle missioni che sarà probabilmente la più difficile da scrivere, e perdonatemi perchè l'ultima frase non ha molto senso è grammaticalmente sbagliata, ma al momento non ho tempo per curarmene çwwwç
Spero vi sia piaciuto, ditemelo con una ricensione, un messaggio, quello che volete ♥
Baci,
Marianne



 

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Capitolo 9
*** Hold on ***



 
9.
Hold on

 
Michael si è addormentato con tutti i vestiti addosso e io sono rimasto accanto a lui finché non mi sono reso conto di parlare da solo. Sono rimasto a guardarlo e ad ammirarlo, perché non c’è mai stato qualcosa di più bello di lui. Sembra sereno, calmo... le sue palpebre si muovono impercettibilmente: sta sognando. Spero di esserci anche io in quella nuvola del suo subconscio, spero di renderlo felice, almeno lì. L’orologio sul comodino segna le dieci e trenta, devo andare al municipio, devo convincere quella ragazza a non morire, a rimanere qui, perché la vita è meravigliosa e non ti rendi conto di rivolerla indietro finché non ce l’hai più, o almeno finché non rischi di perderla per sempre.
Lascia Michael fa male. È quasi una pugnalata al cuore. Mi piacerebbe potermi infilare sotto le coperte assieme a lui, tenerlo stretto e la mattina svegliarsi accanto lui. Però so benissimo che se cado nel tranello poi ne pagherò le conseguenze e farò soffrire tutte le persone a cui voglio bene. Mi alzo lentamente dal letto e mi avvicino alla finestra, mi siedo sul davanzale e scendo giù, non prima d’aver dato un ultimo sguardo a Michael.
Aspettami, amore mio.
 
***
 
Di notte, tutti acquista una nota diversa: contrariamente a come si può pensare, si colgono molto più particolari, spesso non molto positivi. Si vivono le storie metropolitane che non sono poi così entusiasmanti, solo tanto pericolose. La mia meta è il municipio, più precisamente, il tetto. Il solo pensiero di quello che succederà se fallirò mi fa stare male. Come riuscirò a fare una cosa del genere? Ho paura di peggiorare ulteriormente la situazione, d’altronde, se io sentissi una voce provenire dal nulla, crederei di essere pazzo. Eppure non ho molta altra scelta, o porto a termine la missione o muoio anche io, e io non posso morire.
Arrivato davanti al municipio, mi chiedo addirittura come salire sul tetto, poi mi ricordo che mi basta semplicemente saltare. Non so se funzionerà con un edificio così alto, ma tentar non nuoce – e nel mio caso, letteralmente: anche se cadessi non mi farei un graffio – allora sospiro, guardo in alto, poi piego le ginocchia e salto. In un primo momento chiudo gli occhi, poi mi ritrovo a fluttuare a una ventina di metri da terra. Un momento dopo, spingendomi in avanti, atterro sul pavimento di cemento armato, che fa da tetto a tutto l’edificio. Mi guardo attorno, in cerca della ragazza di cui Clarisse mi ha parlato, Amber.
La vedo: è seduta sul cornicione, le basterà spostarsi un po’ di più e sarà tutto finito. Mi avvicino velocemente e mi siedo accanto a lei, cercando di non guardare giù. Mi aspetto di vederla piangere, o qualcosa del genere, invece è impassibile, ha uno sguardo fermo e deciso, consapevole che con un piccolo movimento del bacino potrebbe mettere fine alla sua vita. Osserva le automobili sfrecciare veloci, mentre la leggera brezza serale fa svolazzare piano la sua maglietta bianca. I capelli biondi risultano ancora più dorati grazie alla luce dei pochi lampioni ancora accesi. Non ho idea di che ore siano, ma devo agire subito. Ora che ci penso, sono stato tutto il pomeriggio con Michael e non ho pensato ad un discorso che abbia almeno un minimo di senso. Improvviserò.
« Non farlo » dico. È la prima cosa a cui riesco a pensare, e probabilmente la più stupida. Se vuole suicidarsi lo farà, ignorando qualsiasi voce. Lei si gira repentinamente, prima verso sinistra e poi nella mia direzione, visibilmente confusa.
« C’è qualcuno? » chiede, guardando la porta da cui probabilmente si accede all’ultimo piano del municipio. Le rispondo o no? Sono invisibile, posso comunque fingermi la sua coscienza o qualcosa del genere.
« Sì, proprio qui » le dico ancora. Guarda nella mia direzione adesso e aggrotta le sopracciglia, allontanandosi un pochino.
« Non c’è niente lì » sussurra, forse più rivolta a se stessa che a me.
« Vedila così… sono un fantasma, niente di cui aver paura. Sono qui per recuperare la mia vita » le spiego. Oh, cielo, perché non mi sono inventato la storia della coscienza?
« Sono pazza... » continua, scuotendo la testa.
« Non sei pazza ».
« Si può sapere chi sei? »
« Mi chiamo Luke, qualche mese fa ho avuto un incidente e ora sono in coma. Sono una specie di fantasma adesso, e ho la possibilità di tornare indietro, ma per farlo devo... portare a termine delle missioni – fa per aprire bocca, ma io continuo – e lo so che è strano, sembra un film, ma è la verità. E ora sto cercando di tornare a vivere perché l’Aldilà è un bel posto, vero, ma qui ci sono tutte le persone che mi vogliono bene e... non posso lasciarle » le dico, guardando la strada insieme a lei. La sento sospirare.
« Okay Luke, credo di essere pazza comunque, ma la tua storia ha senso. Dimmi, io che c’entro? » mi chiede Amber, lo sguardo tranquillo e placido sul volto, le gambe a penzoloni nel vuoto. Vorrei prenderla e trascinarla dentro il municipio, al sicuro, perché vederla così ad un soffio dalla morte senza poter fare nulla se non parlare mi fa diventare ansioso. Se non ci riesco sarà finita per entrambi, e io non me lo perdonerei mai, né per me stesso, né per lei. Perché anche se non la conosco, non voglio che poi si guardi indietro e si penta.
Se ripenso alla veloce spiegazione che Clarisse mi ha dato del Corridoio, e se fallisco, Amber finirà nella porta viola. Chissà chi accoglie le anime lì... Clarisse è addetta alla porta grigia e non mi ha mai parlato del suoi “colleghi”. Ma Amber finirà nella porta bianca, vivrà la sua vita e la vivrà per molto ancora. O almeno, ci proverò.
« Tu sei la mia missione » le rispondo.
« Cosa? » continua lei.
« Devo portarti via da qui, non devi buttarti di sotto. Devi vivere e basta. Hai solo un anno meno di me, abbiamo ancora un sacco di cose da fare prima di morire sul serio... davvero vuoi farla finita ora? » chiedo io, sospirando.
« Luke... tu magari sei in coma e non vuoi morire, per questo stai cercando di tornare indietro. Hai detto che lo fai per le persone che ti vogliono bene, perché vuoi tornare da loro e non è giusto che affrontino la tua morte, no? » inizia lei. Io annuisco e la lascio continuare. « Be’, è questo il punto. Tu non vuoi morire, io sì. Non c’è nessuno che piangerebbe la mia morte, nessuno a cui volere bene davvero... non ha semplicemente più senso ».
« No, non è vero! Sono sicuro che c’è qualcuno che tiene a te, sono sicuro che... » mi blocco, perché gli occhi di Amber sono tranquilli, consapevoli di quello che dicono, sono seri, forse troppo, e la cosa mi spaventa.
« Non c’è, fidati » continua, sospirando sconsolata.
« Ma hai solo sedici anni... devi incontrare un sacco di persone, devi ancora sapere cosa il destino riserva per te... » cerco di dirle.
« Quali erano i tuoi piani prima dell’incidente? Sono sicura che ne avevi, che ne hai anche adesso. Io non ce li ho »
« Io... devo diplomarmi, poi andrò  al college con Michael e Calum, ci laureeremo. Poi io e Michael faremo  insieme il giro del mondo, e poi ci fermeremo un pochino in qualche stato dell’America per sposarci, ritorneremo qui, saremo una famiglia. Non sono molto entusiasmanti, ma mi rendono felice. Non riesco a credere che tu non ne abbia nemmeno uno ».
Lei abbassa lo sguardo sulla strada. « Eppure è così. Non ho molte ambizioni, non sono brava in niente... io non... non ho senso, ecco. E poi non è una vita facile, la mia. Preferisco scappare che affrontarla ».
« Nemmeno la mia lo era, ma io l’amavo ».
« Lo era, invece, Luke. Hai qualcuno che ti ama ».
« A quale prezzo, però? » dico io. « Michael mi ama, io amo lui, e sembra facile dire che non ci importa niente della gente, però è solamente una bugia. Perché la gente pensa, parla a sproposito e dice cose cattive. La gente giudica, la gente dice che... dice che siamo malati. La gente è cattiva, lo è sempre stata, anche quando non ci conoscevamo ancora e non riuscivamo a supportarci a vicenda, ma noi siamo sempre andati avanti. Sempre ».
« Mi dispiace che le persone siano così coglione, » sospira Amber. « Perché sono sicura che tu sei una bella persona, Luke. E anche questo Michael deve esserlo, se ti rende felice ».
« Ma sono qui per parlare di te, » riprendo il discorso. « Il fatto è che la vita mi manca tantissimo. Me ne sono reso conto solo quando ho rischiato di perderla, rischio di perderla anche adesso. Non voglio che tu te ne renda conto troppo tardi ».
« Non me ne pentirò. Dimmi, Luke, com’è l’Aldilà? » mi chiede.
« È un immenso corridoio, costeggiato da porte colorate. In ogni porta vanno le anime, a seconda di come sono morte. Io ero nella porta grigia, perché avevo lasciato le cose a metà, per questo ho la possibilità di tornare indietro ».
« E io in quale porta andrei? ».
« Quella viola, ma non so cosa ci sia dietro ».
« Sicuramente un posto migliore di questo ».
« Senti, morire non è poi così brutto. Non ti accorgi di niente, è come svenire e addormentarsi. E va bene, va bene morire perché è l’unica cosa che ti manca da provare, è l’ultima esperienza da fare. Ma appunto, è l’ultima. Resisti, almeno per questa notte » le dico, lei mi guarda come se mi vedesse per davvero, come se riuscisse a farlo. Sorride tristemente e abbassa lo sguardo.
« Non ce la faccio a vivere un altro giorno, domani non ci sarà nessuno qui con me a fermarmi, perché sprecare così tante energie? » mi chiede, scuotendo la testa.
« Se non lo fai, salverai due vite. Non solo la tua... » le rispondo io. Lei sgrana gli occhi e capisce.
« Se muoio stanotte, tu non avrai portato a termine la tua missione » riflette ad alta voce. Io annuisco, ma so che non può vedermi.
« Già, » sospiro. « Non volevo metterla su questo piano, ma se tu muori io fallisco e dovrò tornare nell’Aldilà. Non rivedrò mai più Michael, Calum, la mia famiglia ».
È l’ultima carta che mi rimane da giocare, ed è anche piuttosto scorretta, ma mi sono reso conto di non poter fare altrimenti.
« Davvero? » chiede lei, assumendo un’espressione dispiaciuta.
« Più o meno » rispondo.
« Va bene, Luke, per stanotte resisterò ».

 
***
 
Amber si è alzata dal cornicione ed è tornata sul tetto, l’ho riaccompagnata a casa e ho aspettato che sorgesse il sole. Mi sono seduto sul marciapiede e ho aspettato Clarisse con un vuoto nel petto. In qualche modo mi sembra di aver fatto qualche disastro con Amber, di non aver dato il massimo, di non essermi impegnato davvero. So che è passato tanto tempo dalla notte appena trascorsa, perciò vorrei vedere Amber camminare per strada, con un largo sorriso sul volto.
E che sia vero, stavolta.
Ma quando Clarisse compare con un sonoro pop al mio fianco, so che non vedrò mai una cosa del genere. Rimane in silenzio.
« Hey » sussurro per attirare la sua attenzione.
« Ciao, Lucas » mi risponde lei, sorridendomi tristemente.
« Come... – inizio – come sta Amber? » le chiedo alla fine, con un groppo in gola.
« Qui sulla Terra faranno il funerale dopodomani, mia sorella Tamara l’ha accolta nel Corridoio, me l’ha raccontato » sospira Clarisse. Il mondo mi cade completamente addosso.
Spalanco gli occhi, provo a dire qualcosa, ma non esce niente. Ho fallito. Non sono riuscito a salvare né la sua vita né la mia.
« Non hai fallito, Lucas » mi dice Clarisse, guardandomi negli occhi. « Amber si è suicidata due settimane dopo la vostra conversazione. Ha resistito per altre lunghissime quattordici notti, tecnicamente, tu ce l’hai fatta ».
« No, » dico io, ad alta voce. « Non è vero. È morta comunque, non sono stato in grado di salvarla, io... Dovevo insegnarle il valore della vita, dovevo farle capire che non poteva morire a sedici anni, e non ci sono riuscito! ».
« Hanno trovato un biglietto nella sua stanza, credo che debba averlo tu ». Clarisse mi guarda e mi porge un foglietto di cara, stranamente riesco a prenderlo e capisco di aver perso il dono della parola, riacciuffando quello della materialità.
Mi tremano le mani quando afferro il biglietto, lo apro e leggo: Ho resistito, Luke. Spero che tu sia felice, non mollare mai e vivi la vita che io non rimpiangerò.
Stringo la carta tra le dita e serro la labbra.
« Qual è la mia prossima missione? ».
 


 

 
Ciao bellezze!
Questo capitolo è il più triste e struggente che io abbia mai scritto e mi odio per questo. Però ho dovuto riconoscere che a Luke non può andare sempre tutto bene, lui ci prova, ma è umano e a volte sbaglia. In questo caso, se avesse magari preparato una sorta di discorso ci sarebbe riuscito, ma è rimasto con Michael e non l'ha fatto. E niente... ho delle congetture strane a volte, non volevo far morire la povera Amber, era così carina e dolce all'inizio çwç

Mi dilungo poco perché ho una marea di roba da studiare, stasera rispondo alle recensioni e intanto vi ringrazio tantissimo, in particolare: LittleDirectionOfFavij, Sweetlove250513, zjamskisses, Jade_Horan,Sureness e Letizia25
Giuro che stasera rispondo, ho davvero tantissimi compiti ultimamente çwç
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e spero di aggiornare in orario, la prossima settimana!
Bacioni,
Marianne
Marianne

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Capitolo 10
*** Dying twice ***


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10.
Dying twice

 
Non credo di essere mai stato così determinato in vita mia – o in morte. Clarisse ha detto che ormai rimangono poche missioni da fare, anche se forse queste saranno proprio le più difficili. Per esempio, la missione che mi aspetta adesso è piuttosto personale e non so cosa fare con esattezza. Clarisse era cupa e non è stata di molte parole, sembrava quasi che l’avessi delusa... Ad ogni modo, mi ha semplicemente detto che devo entrare nei sogni di una persona in particolare, mia madre. Ho ricevuto, appunto, il dono di potermi intrufolare nei sogni altrui, il fatto è che non so cosa fare una volta lì, nella testa di mia madre.
Dovrò rassicurarla, parlarle, dirle determinate cose? Non ne ho la minima idea e sto già impazzendo, non posso nemmeno andare da Michael o Calum perché ora non posso più scrivere né parlare. Allora, comincio ad incamminarmi per la città.
Clarisse mi ha spiegato che da quando ho fatto l’incidente sono passati esattamente cinque mesi, come i cinque giorni che ho passato qui sulla Terra. Ogni mese corrisponde ad un giorno e solo ora mi rendo conto di quanto il tempo vada velocemente e di quanto io debba sbrigarmi.
Anche questa missione dovrò svolgerla di notte, così ho di nuovo tutto il giorno libero. Sono tentato di andare da Michael, ma non potrei parlargli o scrivergli, non posso farmi vedere, posso solo entrare nei suoi sogni, ma non posso passare la notte con lui, devo andare da mia madre, anche se non ancora come agire.
« Clarisse, non so perché sei arrabbiata con me, ma non potresti darmi un suggerimento? » chiedo, alzando gli occhi al cielo.
Niente di niente.
« Dai, uno piccolo piccolo? – provo ancora – vuol dire che ti assillerò con i miei pensieri finché non ti deciderai a venir giù e aiutarmi! »
Non ricevo nessuna risposta. Aspetto, ma niente. Arrabbiato, faccio per calciare un sassolino per la strada, ma sembra soltanto attraversare il mio piede, e allora mi arrabbio di più e ficco le mani nelle tasche della felpa che, lo sto notando solo ora, indosso da quando ho fatto la missione per Ashton.
« Almeno puoi darmi dei vestiti nuovi e puliti, per evitare cattivi odori? » chiedo, ancora rivolto a quell’angelo dei miei...
« Sei uno spirito, non puzzi » mi dice una voce dietro di me, mi volto, Clarisse è in piedi sul marciapiede, col suo solito prendisole bianco.
« Grazie per avermi degnato della tua presenza » le dico.
« Non sono arrabbiata, comunque. Almeno non con te ».
« Menomale, » sospiro. « Cioè, con chi sei arrabbiata? »
« Tua madre è davvero preoccupata per te, Lucas » inizia lei, raggirando completamente la mia domanda.
Aggrotto le sopracciglia. « Tanto? » chiedo istintivamente.
« Sì, risponde Clarisse. « È difficile per lei. Da una parte è speranzosa, dall’altra crede di averti già perso ».
« Quindi questa notte devo dirle che tornerò? Devo rassicurarla? »
« Più o meno, ora devo scappare. Buona fortuna, Lucas ».
Clarisse scompare e io mi ritrovo di nuovo da solo per strada, con dei jeans e una maglietta nuovi. Sorrido e mi domando sul da farsi. Mi ha lasciato con un più o meno, il che non mi ha chiarito le idee poi così tanto, ma è sempre stato meglio di niente.
Dopo un po’, decido di andare da Michael, starei tutta la vita ad ammirarlo e guardarlo vivere, una giornata spesa in questo modo passerà facilmente.
Quando imbocco la sua via, però, lo vedo uscire di casa. Sembra stare meglio dell’ultima volta che lo visto e la cosa mi fa piacere. chissà dove sta andando...
Senza rendermene conto, mi ritrovo a seguirlo per la città.
Non fraintendetemi, non sto facendo lo stalker! Semplicemente non ho niente da fare, in più sono invisibile, quindi ho tutto il diritto di seguirlo. Dopo un quarto d’ora circa, arriviamo di fronte ad una casa che mi sembra alquanto familiare. Michael sale le scale della veranda e suona il campanello, non riesco a capire chi abita qui.
Quando però la porta si apre, rivelando Ashton, tutto si fa più chiaro e io ricordo ogni cosa. Mi ero quasi dimenticato che lui e Michael sono amici e dato che io mi trovo in ospedale da cinque mesi... be’, si vedono relativamente spesso.
Michael entra in casa e Ashton chiude la porta. A questo punto, forse, dovrei girare i tacchi e andarmene via, trovare qualche altro modo per passare il tempo. Eppure c’è qualcosa che mi spinge ad andare nel cortile sul retro, dove da la stanza di Ashton.
 Guardo la finestra aperta – per fortuna che è estate – e ho la tentazione di entrare, anche se questo significherebbe violare la privacy di entrambi. Cammino avanti e indietro per qualche minuto e poi decido di saltare. Atterro sul davanzale della finestra e scivolo nella stanza, è molto più disordinata di come la ricordi: libri aperti sul letto e sulla scrivania, foglia sparsi sul pavimento e vestiti sulla sedia.
« Come va a scuola? » chiede Ashton a Michael, spostando un po’ i libri per sedersi sul letto, Michael si mette accanto a lui.
« Non ci vado da una settimana » risponde Michael, sospirando.
Ashton corruga la fronte e posa lo sguardo nel vuoto, pensieroso. « E perché? » gli chiede.
Michael lo ignora. « Lo sai che quando ho detto a mia madre di aver sentito Luke mi sono guadagnato una seduta dallo psicologo? ».
« In effetti Mike, non è davvero una cosa normalissima ».
Oh, al diavolo Ashton! Nessuno crede a Michael, la gente pensa che sia pazzo e da un lato è tutta colpa mia. La part ottimista del mio cervello, invece, continua a ripetermi che sentirmi e parlare con me gli ha fatto davvero bene e che quindi non ho motivo di sentirmi in colpa. Eppure non ci riesco, sono sparito per chissà quanto tempo e con una spiegazione ridicola, anche se vera. E ora stare qui, nella stanza di Ashton, e vedere Michael parlargli di me, parlargli di tutto, mi fa stare male.
Mi metto in un angolino e li guardo. Parlano del quotidiano, della scuola, degli esami dell’università, dell’estate che è quasi finita, di Ashton che è geloso perché a Lauren piace un ragazzino della sua classe. Sorrido tristemente e mi rendo conto che se fossi vivo adesso Michael potrebbe stare con me, potrebbe essere felice e non piangere sulla spalla di Ashton.
Poi succede l’impensabile.
Smettono di parlare all’improvviso, Michael abbassa lo sguardo e sospira, mentre io vorrei tanto sapere a cosa sta pensando, di preciso. Ma intanto Ashton si muove, si sposta, si avvicina col busto e la testa. E quando Michael alza di nuovo gli occhi, aggrotta le sopracciglia confuso, perché forse gli occhi verdi di Ashton si trovano troppo vicini, e sono pericolosamente acquosi, pieni, luminosi di una luce che però non vedo in quelli di Michael.
E poi è un attimo, un battito di ciglia, Ashton che si avvicina sempre di più fino ad annullare ogni distanza, Michael che non si oppone, che forse inizialmente non realizza cosa sta succedendo, ma poi non si tira indietro e le sua labbra e quelle di Ashton si scontrano veloci tra di loro, si mordono, diventano subito rosse; le mani sul collo, sul viso, tra i capelli; i respiri affannati.
Mi sento come se tanti coltelli mi stessero trafiggendo.
Mi sento tagliato in minuscoli pezzetti, mi sento cadere a terra, mi viene voglia di picchiarli entrambi, mi viene voglia di vomitare, piangere.
Devo andarmene. Non riesco più a guardarli, non riesco più a stare in questa stanza. Ma non riesco nemmeno a muovermi, sono come paralizzato e costretto e rimanere inerme e in silenzio di fronte ad una cosa che mi uccide più della morte stessa, perché mi sta corrodendo l’anima. Mi sta distruggendo l’unica cosa che mi è veramente rimasta.
Non so come, riesco a riavvicinarmi alla finestra, a sedermi sul davanzale e a scivolare giù, anche se mi sento quasi prosciugato di ogni forza. Atterro sul giardino di Ashton e qualsiasi cosa che appartenga a lui mi rivolta, me ne vado, cerco di correre, vado via veloce da lì. Una meta non ce l’ho, ma spero di trovarne una il più lontano possibile.
Quasi non riesco a credere a quello che ho visto. Ad un certo punto mi fermo, non perché sento la stanchezza, ma perché realizzo che dovunque io vada l’immagine di quel bacio continuerà a seguirmi, non mi lascerà mai pace, sarà sempre lì presente e costante a ricordarmi che tutto quello per cui sto combattendo mi sta lentamente abbandonando, perché qualsiasi persona dopo tutto questo tempo cederebbe, ma onestamente credevo che io e Michael fossimo diversi dal resto del mondo e che niente tra di noi avrebbe potuto essere talmente debole da cedere in questo modo.
Allora mi lascio cadere su un marciapiede. Chiamo Clarisse, nella speranza di poterle chiedere cosa fare, come comportarmi. Lei non viene. Sospiro. Devo sbrigarmela da solo perché, effettivamente, lo sono. Sono uno spirito sulla Terra, non posso essere visto né sentito da nessuno, ho una missione da compiere per tornare a vivere, ma adesso... tutto questo ha ancora un senso?
Con grande forza di volontà mi alzo e so che la missione di oggi è la mia risposta. Sì, ha tutto ancora senso.
Ha senso per mia madre, per i miei fratelli, per mio padre scomparso a bordo di un’Harley tanti anni fa e per Calum che mi sta ancora aspettando. E sto cercando di autoconvincermi che di Michael che bacia Ashton alla fine non me ne importa poi così tanto, perché di certo non sarà lui o quello che è appena successo ad impedirmi di tornare. Io tornerò, e allora lo perdonerò perché so che senza di lui non ci so stare. Spero soltanto che lui mi voglia ancora.
Aspetto che faccia buio mentre cerco di non pensare a niente. Quando finalmente i lampioni si accendono e la città imbrunisce, mentre i suoi abitanti si addormentano, decido di avviarmi verso casa mia. Mi sono appena reso conto di non esserci mai andato da quando sono qui. Non so sinceramente quale effetto potrebbe farmi salire di nuovo le scale, vedere la mia vecchia stanza, vedere mia madre... non ci ho mai pensato quanto ero ossessionato da tutto il resto, e adesso capisco che forse non sono pronto, che tutto questo sta diventando troppo grande e complicato per me, ho paura di non farcela, ho paura di morire una seconda volta.
Ho paura di passare l’eternità separato dalle persone che voglio bene, perché spero che nessuna di loro vada nella porta grigia a cui io sarei destinato se fallissi.
Quando arrivo, provo una sensazione strana. Una parte di me sa benissimo che quando entrerò, dovrò farlo da qualche finestra, che nessuno mi vedrà, che non riceverò nessuna accoglienza, che mia madre non mi sgriderà per aver fatto tardi e che non ci sarà mio fratello a dirmi di non fare casino perché lui sta studiando; eppure, le mie emozioni, forse, mi spingono a salire le scale e a cercare di suonare il campanello. Non riesco a toccarlo, ma mi sono quasi dimenticato di avere la forza del pensiero. Lo fisso insistentemente e cerco di immaginare il suono che mi ha sempre dato fastidio, mia madre che apre trafelata la porta...
Il campanello suona e io quasi non credo. Vedo dalle finestre che la luce in salotto di accende, poi dalla porta provengono alcuni rumori, mia madre apre, ma so benissimo che non vedrà nessuno che richiuderà immediatamente. Allora scivolo dentro e le passo accanto, per poi sentirla borbottare « Questi ragazzini... domani mi sentiranno! »
Sorriso tristemente perché è sempre stata così, e rivederla adesso mi fa stare paradossalmente meglio. Non mi ero reso conto di quanto mi mancasse. Di quanto sentissi la nostalgia della sua voce, arrabbiata o dolce che sia, di quanto sia bello averla nella mia vita. Semplicemente perché lei è mia madre e io le voglio bene.
Rimango immobile a guardare quello che fa. Chiude la porta di casa e poi si avvia per le scale, una volta lì spegne la luce e io mi ritrovo al buio. Sta andando a dormire, il che mi ricorda che ho una missione ben precisa da fare, anche se non ho la minima idea di come funzionerà.

 
 

 
Hola!
Mi scuso per il ritardo, ma sapete... scuola, miseri tentativi di avere una vita sociale, sono leggermente impegnata in questo periodo e vi porgo ancora le mie scusa più sentite cwc
Comunque, se credevo che lo scorso capitolo fosse triste, qua mi sono data la zappa sui piedi. Non è stato troppo doloroso perché, in un certo senso, io i Mashton li shippo e sono carini :3, anche se non quando i Muke e... Luke, cucciolo della mamma, mi dispiace farti soffrire così, ma resisti ancora un po' u.u
Non mi odiate per quello che ho fatto: VI GIURO CHE HA UN SENSO E UNO SCOPO BEN PRECISO.
Io non faccio mai le cose a caso u.u
Ringrazio di cuore chi ha recensito lo scorso capitolo: LittleDirectionOfFavij, Letizia25, jamesguitar, Sweetlove250513, Sureness e Jade_Horan
Spero ci sia rimasto qualcuno a cagarmi nonostante la settimana di ritardo AHAHAHAH
Alla prossima,
Marianne

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Capitolo 11
*** Oh Mother ***


 
11.
Oh Mother

 
Sono le due di notte e io sono seduto ai piedi del letto di mia madre, come quando ero piccolo, solo che nel letto c’era anche mio padre e io mi mettevo sempre in mezzo a loro. Adesso non c’è più uno spazio in cui infilarsi, perché mio padre è chissà dove e io sono quasi morto. Non pensavo che le cosa sarebbero potute cambiare fino a questo punto. Ma tornando a noi, devo capire come si fa ad infilarsi nei sogni delle persone. Clarisse non mi ha spiegato nulla ed è stata anche piuttosto fredda con me, aggiungerei, anche se mi ha detto di non essere arrabbiata. O magari lo è, solo che non con me, forse sta succedendo qualcosa che non so a i piani alti. Qualcosa in cui, effettivamente, non dovrei immischiarmi.
E poi, Clarisse è sempre stata gentile e disponibile con me: mi ha aiutato in molte occasioni e io non le sono mai stato riconoscente come si deve. Che stupido che sono! È arrivato il momento di cavarsela da soli, dopotutto, lei me lo ha anche detto che, andando avanti, le missioni si sarebbe rivelate man mano più complicate. Questa è una di quelle difficili, perché la notte finirà tra quattro ore e io devo assolutamente portare a termine questa. E devo farlo con successo, non farò lo stesso errore fatto con Amber.
Stare con Michael dopo tutto quel tempo mi ha impedito di impegnarmi davvero; vedere Michael voltarmi le spalle mi ha spronato a farlo.
Alzo di nuovo lo sguardo e vedo la figura di mia mamma raggomitolata sotto il lenzuolo, dalla finestra entra un po’ di luce che le illumina i capelli biondi, proprio come i miei. Papà ha sempre detto che io e lei siamo due gocce d’acqua, che io ho i suoi stessi occhi e lo stesso modo di sorridere, mentre i miei fratelli assomigliano più a lui. Lo noto quella notte, mentre la guardo dormire tranquilla, anche se so che in realtà ha mille preoccupazioni, tra cui me. Probabilmente mi troverò quasi in cima alla montagna delle sue preoccupazioni, e solo pensarlo mi fa stare male. Non voglio essere un peso per lei, non ho mai voluto esserlo. Non avrei mai voluto fare quell’incidente, mesi fa, come non avrei voluto ritrovarmi in questa situazione che credevo pressappoco inverosimile. Invece eccomi, sono uno spirito, con il corpo attaccato a diversi macchinari in una stanza d’ospedale, probabilmente poco frequentata, dopo tutto questo tempo. Ho visto com’è la vita senza di me e ho visto che ci sono persone che hanno gettato la spugna e che per un attimo mi hanno fatto pensare di rinunciare a tutto.
Ma non è per loro che sono rimasto in piedi. Continuo a metterci tutto me stesso per chi aspetta in silenzio che da lassù qualcuno faccia qualche miracolo, lo faccio per chi sa che tornerò perché gliel’ho promesso, lo faccio per il futuro che ho il diritto di vivere, lo faccio per chi non ha la mia stessa possibilità e mi ha detto di tornare a vivere senza mai rimpiangerlo, perché loro non l’avrebbero fatto, perché hanno detto che dall’altra parte sarebbero stati più felici.
Lo faccio per tutte le persone che sono entrate in qualche modo in contatto con la mia vita – e con la mia quasi-morte – perché non voglio che nessuno di loro soffra per me. Perché, in effetti, mi sentirei un vero schifo a far star male le persone.
E allora, dopo tutti questi pensieri, mi ritrovo catapultato in un posto diverso dalla camera di mia madre: sono nel giardino di una grande villa, il cielo è grigio, ma a colorare l’ambiente ci sono i fiori di mille colori diversi. Mi faccio strada per il vialetto, mentre cammino con circospezione, osservando ogni angolo: non ho mai visto questo posto in vita mia, e forse mia madre lo sta solo immaginando. Non so nemmeno come ci sono arrivato qui, ma so con certezza che ora faccio parte del suo sogno.
Ma lei dov’è? Forse è dentro la villa. Lo scoprirò solo entrando. L’interno è elegante come suggerisce l’esterno della struttura, ci sono lampadari di cristallo e marmo sui pavimenti e sugli scalini. Attaccati alle pareti ci sono diversi quadri, riesco a riconoscerne qualcuno di qualche autore famoso. Le scale che sono all’ingresso conducono ad una porta imponente, che probabilmente si affaccerà su un corridoio. Da quella porta esce un uomo.
Ma aspettate un attimo, io lo conosco! È mio padre, ed è vestito in giacca e cravatta, ha la barba curata e uno sguardo tranquillo. Dopo di lui escono i miei fratelli, anche loro vestiti di tutto punto. Manca mia madre, e non ho la minima idea di dove sia. Dubito che loro possano vedermi, però, e infatti, quando salgo le scale per dirigermi verso la porta da cui sono usciti, non fanno minimamente caso a me. In questo sogno, sembro essere solamente invisibile, infatti riesco ad aprire la porta e cammino sul serio sul pavimento, non fluttuo come faccio di solito. Ciò vuol dire che non sono un fantasma e la cosa mi rassicura.
Il corridoio in cui mi ritrovo subito dopo è a dir poco immenso, adornato con quadri e con finestre enormi, che danno sul giardino perfettamente curato. Provo ad aprire ognuna delle porte in cui mi imbatto, ma sono tutte chiuse a chiave. Dopo un po’, però, una si apre.: al centro della stanza, c’è un tavolo con un mazzo di fiori sopra, davanti ad esso, attaccato al muro, c’è un letto a baldacchino. Accanto alla porta-finestra che conduce ad un balcone c’è una poltrona e su quella poltrona c’è seduta una donna, avvicinandomi capisco che è  la persona che sto cercando, mia mamma.
Mi domando se lei riesca a vedermi o meno, ma quando faccio quasi cadere – involontariamente – il vaso, alza repentemente il capo e mi guarda, visibilmente confusa.
« Chi sei tu? ».
Okay, Luke. Mantieni la calma.
Insomma, mia madre mi ha appena chiesto chi sono. Ma siamo in un sogno, quindi potrebbe essere normale, questa potrebbe... essere la vita senza di me. La mia famiglia è ricca, vivono in una villa piena di quadri famosi e mobili pregiati. Forse io sono solo uno sbaglio.
No, devo riflettere. Questa non è la realtà, magari è un incubo, mia madre non pensa davvero tutte queste cose. Devo cambiare il sogno, anzi, forse prima dovrei rispondere.
« Sono Luke, » dico, mettendomi le mani in tasca. « Tuo figlio ».
« Non ho un figlio di nome Luke » risponde lei, continuando a guardare fuori dalla finestra.
« Be’, magari non qui. Ma nella realtà ce l’hai, e... ha fatto un incidente, » continuo. Mi mordo il labbro, sono sempre stato uno schifo ad improvvisare. « E adesso sta cercando di trovare una soluzione al suo essere così idiota, per questo deve fare delle cose, tra cui rassicurarti e dirti che ce la farà ».
Dio, questo discorso fa davvero schifo.
All’improvviso mi viene in mente Clarisse, lei può apparire nei sogni insieme a me? Può raggiungermi qui? Dal momento che nessun angelo sbuca dal nulla e che nessun lampo squarcia il cielo, la risposta è no, qui Clarisse non può sentirmi. È come se fossimo su due stazioni radio diverse.
« Mi dispiace, ma io ho solo due figli e la realtà è questa » dice mia madre, sospirando sconsolata.
La guardo pensieroso e poi sbuffo. Bene, passiamo alle maniere forti.
« Okay, » comincio, sedendomi sulla poltrona di fronte a lei. «Mettiamola così, sono entrato qui dentro senza essere visto da nessuno, e intendo letteralmente: sono passato davanti a mio padr... a tuo marito senza essere notato. Non trovi strano che solo tu mi veda? ».
« Ci sarà un festa di beneficienza tra poco, se non sei tra gli invitati sei pregato di andartene ».
La ignoro.
« Ammettendo che questa sia la realtà, non senti come se ti mancasse qualcosa? ».
« Mi hanno diagnosticato la depressione anni fa, Lenny...».
« Lucas » la correggo io, sperando che almeno il mio vero nome le faccia ricordare qualcosa, ma ho scarso successo.
« Quello che è. Mi sento sempre come se mi mancasse qualcosa, è un sintomo della malattia. E poi, perché dovrei dirlo a te? » chiede lei, spostando finalmente lo sguardo su di me.
« Perché sono tuo figlio, okay? E sono in coma. Quello che vedi non sono io, sono una specie di... spirito, e voglio tornare sulla terra, perché nella realtà non lo dai a vedere, ma stai male e io lo so! Quindi non mi interessa che tu non mi creda: questo è un sogno e sto cercando di portare a termine la mia missione. Mi basta che tu ti ricordi di me, » esclamo, quasi senza rendermene conto. Ho parlato così velocemente e così ad alta voce che adesso mia madre mi guarda spaesata. « Mamma... ».
Qualcosa si accende in lei, un lampo le attraversa gli occhi. Si alza dalla poltrona, si avvicina a me. Io deglutisco, forse troppo rumorosamente. Ma all’improvviso la scena cambia: non siamo più nella stanza, e nemmeno nella villa. Siamo a casa mia adesso, e almeno qui spero di esistere e spero che le persone si ricordino di me.
Mio fratello è sul divano a guardare un film, e io sono seduto sulle scale. Ad un certo punto la porta si apre ed entrano Jack e mia madre. Ben allora si alza dal divano e « Novità? » chiede.
Jack scuote la testa, mentre mamma risponde direttamente: « È sempre uguale, le cose non cambiano ».
« Ti hanno detto quando c’è la possibilità che si svegli? ».
« Hanno detto che se ci sono possibilità, sono minime. E... ci hanno proposto una cosa » inizia Jack, sospira e mamma posa borsa e giacca sul divano, rimanendo semplicemente con una maglia maniche corte.
« Cosa? » chiede mio fratello.
« Ben, tra quattro mesi sarà già un anno che Luke è bloccato lì dentro. Ci hanno detto che in genere dopo un anno tutte le possibilità calano vertiginosamente e che... se proprio capiscono che non c’è niente da fare possiamo... » inizia Jack. « Staccare la spina ».
All’improvviso sento un nodo allo stomaco e non so se la cosa è normale. Non possono farlo. Primo, non hanno il diritto di decidere sulla mia vita e sulla mia morte e poi... io non lo so se riesco a completare le mie missioni in quattro giorni. No, no!
Ma questo è solo un sogno, forse non è vero. Questa conversazione potrebbe essere frutto dell’immaginazione di mia madre, potrebbe non essere accaduta realmente.
« Non lo faremo » dice risoluta mia madre.
« Certo che no! » Ben le da manforte.
Sento tutti i miei muscoli rilassarsi e mi lascio sfuggire un grande sospiro, ma a quanto pare in questa versione del sogno non sono visibile, nemmeno per mia madre. Mi alzo e mi avvicino a tutti loro, sarebbe bello riabbracciarli, tornare a fare tardi la sera e venir coperto da Ben, avere Jack che mi aiuta con i compiti e che mi porta a vedere il football. Loro due in questi ultimi anni hanno sostituito la figura di mio padre e per me ci sono sempre stati. E poi vorrei tornare ad essere sgridato da mia madre, a trovare il pranzo da portare a scuola sul bancone della cucina, vorrei di nuovo tutta la sua apprensione, anche se moltiplicata per cento. Vorrei discutere all’infinito sulla facoltà da scegliere al college e vorrei essere sorpreso in situazioni imbarazzanti mentre sono con Michael.
Michael, ecco che di nuovo ritorna a far capolino nei miei pensieri. No, almeno in questa missione devo lasciarlo fuori dalla mia testa. Questa missione è per la mia famiglia.
Dopo un po’ sento lo sguardo di mia madre su di me, lo ricambio e lei sgrana gli occhi. Forse mi vede, cosa che però non succede con Ben e Jack. Fa per parlare, però non dice niente. Io la guardo e provo a sorriderle, poi mi butto. « Mi sveglierò, te lo giuro. Solo, non staccate la spina, mi serve un po’ di tempo ».
Lei annuisce e dopo un po’ sento la voce di Jack che la richiama. « Mamma, tutto bene? » le chiede.
E lei: « Sì, mi era sembrato di vedere... mah, sarà la stanchezza ».
« Ordino cinese, » dice Ben afferrando il telefono. « Tu vai a riposarti ».
« Già che ci siamo invito Tamara, più siamo meglio è, no? » continua Jack.
Tamara è la sua fidanzata ed è piuttosto simpatica. Mi piace e sono felice che Jack stia con lei, ha sempre un sorriso enorme quando lei viene a casa nostra e quando ci esce assieme. Piace anche a mia madre e trova che sia una nuora perfetta, non per niente, ogni volta spera che Jack si svegli e che avanzi una proposta di matrimonio. Però sono troppo giovani, dico io, e di questi tempi si è sempre un po’ restii a sposarsi.
Subito dopo mi ritrovo di nuovo nella stanza di mia madre, è mattina presto e lei dorme. Sono uscito dai suoi sogni, e non l’ho fatto di proposito. Forse ci sono riuscito e ho completato la mia missione. Ad ogni modo, lo saprò solo quando Clarisse si rifarà viva. Non so cosa fare fino a quel momento, quindi decido di andarmene e aspettare che sia mattina per poter parlare con Calum. Perché sto pensando a Michael – di nuovo – e se non dico a qualcuno quello che ho visto rischio di esplodere.
Il sole è già abbastanza alto nel cielo quando sono davanti casa sua. Dovrebbe essere domenica, quindi non c’è scuola. Non mi serve più entrare nei sogni quindi credo che recupererò il dono della parola. Per fortuna la madre di Calum tiene le finestre aperte mentre fa le pulizie, così io riesco ad entrare senza troppe difficoltà e come mi aspettavo, Calum è ancora in pigiama nel suo letto, a giocare con il cellulare.
« Hey, Cal, » sussurro, sperando di attirare la sua attenzione. Lui si gira verso di me e aggrotta le sopracciglia, e come biasimarlo? « Sono sempre Luke... altri poteri strani da fantasma ».
« Oh, mi era preso un colpo » sorride Calum. Dopo il cellulare che scriveva da solo... be’, credo sia un po’ pronto a tutto.
« Tutto bene? » gli chiedo.
« Io sì, tu sembri stare di merda ».
Incredibile. Riesce a capire come sto anche solo ascoltando la mia voce, anche se non mi guarda negli occhi. Adoro Calum e lo considero il miglior amico che avessi mai potuto desiderare.
« Ho visto Michael baciare Ashton, il mondo mi è crollato sulle spalle e ho perso tutta la determinazione che avevo. È abbastanza esauriente come risposta? » dico io, sospirando. Mi avvicino a lui, anche se non può saperlo.
« Sei davvero arrabbiato? » mi chiede Calum, sconsolato.
« Non sono arrabbiato, sono... deluso. Credevo che le cose tra me e Mike fossero diverse » sospiro io.
« Magari non è come sembra... » dice lui. Ecco un’altra caratteristica di Calum: cerca di sempre di trovare il buono in ogni cosa che succede.
« Calum, lui diceva di amarmi, diceva che gli mancavo, diceva un sacco di cose. E sai qual è il punto? Erano tutte stronzate! » esclamo io, che al contrario suo, tendo sempre ad essere pessimista. Solo che stavolta credo di avere pienamente ragione. « Io li ho visti. Si stavamo baciando. E  non lo so se è possibile per un fantasma o qualsiasi cosa sia io adesso, ma mi sento davvero malissimo »
« Luke... » prova Calum.
« Luke un cazzo! Io sto facendo tutto questo per lui e... e lui forse preferirebbe che fossi morto ».
« Ascolta e chiudi quella bocca che ti ritrovi. Sei sparito per tre mesi dopo esservi visti, okay? Per tre mesi Michael è venuto ogni giorno a chiedermi se avessi tue notizie, una tua apparizione, un tuo messaggio... un qualcosa, ma non c’era niente. Come credi che debba essersi sentito? »
« Non gli dava il diritto di baciare Ashton » replico.
« Credeva che avessi fallito nelle tue missioni, che non saresti mai più tornato. Lui ti ama, Luke, Ashton è stata una sua debolezza » mi spiega Calum, e lo fa con calma, proprio come ha fatto finora e allora mi fermo a pensare.
Forse Cal ha ragione, forse è stato un momento di debolezza, in fondo, Michael è umano. Però mi ama, ma se mi ama perché ha baciato Ashton? Che casino, non riesco più a capire nulla!
« Puoi... puoi chiederglielo per me? » comincio.
« Chiedergli cosa? ».
« Cosa prova per me, cosa vorrebbe. Ti prego, Cal, ne ho bisogno e non ho il coraggio di farlo di persona » lo supplico. Lui sospira.
« E va bene, dopotutto, a che servono gli amici? ».
 

 
 

 
Chiedo umilmente perdono per le quasi-due settimane di ritardo ç____ç
Nonostante ci sia stata occupazione, ho avuto poco tempo per scrivere perché dovevo studiare, Ora ho finito quasi tutte le interrogazioni e mi sento mooolto più leggera.
E poi, per farmi perdonare il capitolo è anche più lunghetto del solito u.u
Probabilmente, almeno dal mio punto di vista, è uno dei capitoli più "difficili" che abbia scritto per questa storia, quindi spero che vi piaccia!
Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo: Letizia25, backforsel, LittleDirectionOfFavij, Figlia_di_Atena,Sweetlove250513, jamesguitar, Sureness e Jade_Horan
Ora vado a godermi il mio pomeriggio intensivo di Merlin xD
Alla prossima,
Marianne

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Capitolo 12
*** Can you see me? ***


 
12.
Can you see me?

 
Non sento Clarisse da un po’: l’ultima volta che l’ho vista – ovvero quando mi ha affidato la missione – mi era sembrata delusa, come se avessi fatto qualcosa di sbagliato, nonostante mi avesse detto che non era assolutamente colpa mia. Non so perché, ma non le avevo creduto.
Stranamente, oggi, non appena penso a lei, Clarisse si presenta subito dietro di me, facendomi prendere un colpo. Eppure, dovrei esserci abituato, ormai.
« Ciao, Lucas, » mi saluta. Io mi volto, è radiosa: ha un sorriso che va da un orecchio all’altro e sono felice di vederla così, ho già dimenticato come fosse fatta la tristezza sul suo volto. « Come va? »
« Uno schifo, ma si tira avanti... » le rispondo, sospirando sonoramente. So che nasconderle qualcosa sarebbe inutile, lei lo saprebbe comunque.
« Per Michael? » mi chiede lei?
« Come fai a... » inizio io, ma lei mi blocca, come al solito.
« Io so tutto, e poi l’ho visto nei tuoi pensieri, » mi dice. « Michael ha fatto davvero una cosa scorretta, ma è semplicemente caduto in tentazione. D’altra parte Ashton non ha alcuna colpa, cercava solo di far star bene la persona che ama ».
Le sue ultime parole mi lasciano interdetto per un breve momento. « C-che... ama? ».
« Sì, Lucas. Non sei l’unico ad amare Michael a questo mondo, così come è probabile che Michael non sia l’unico ad amare te, » risponde Clarisse. « Devi sapere che ci sono tanti tipi d’amore ».
« E io e Michael che tipo d’amore siamo? » le chiedo.
« Questo lo scoprirai da solo, adesso è giunto il momento di annunciare la tua prossima missione! » esclama, battendo le mani.
« Vuol dire che l’ho superata? ».
« Egregiamente, direi, » dice lei, sorridendo. « Mi sono quasi commossa. E prima che tu possa chiedermi qualcosa: ero lì, ma nessuno poteva vedermi »
« Oh, bene. Dunque, cosa devo fare? ».
« Come te la cavi a fare il bagnino? » mi chiede Clarisse, io aggrotto le sopracciglia.
« Bene, se potessi davvero nuotare » le rispondo.
« Avrai una materialità, infatti, potrai essere visto e avrai il tuo corpo a disposizione. Però non potrai parlare, ad esempio » mi dice lei.
Sarebbe un dono bellissimo se non fosse successo il disastro con Michael.
« Non pensare a lui, Lucas, la tua missione è salvare una bambina caduta nel canale, » dice Clarisse. Ricordo quel canale, da piccolo ho rischiato di caderci anche io innumerevoli volte. « Buona fortuna! »
E poi sparisce, lasciandomi solo come tutte le volte.
Ho fatto l’aiuto-istruttore di nuoto per un’estate, ma solo perché l’istruttore vero e proprio era un figo e potevo vederlo in costume tutti i giorni, ma adesso questa è una situazione del tutto nuova per me, anche se non è la prima volta che mi ritrovo a che fare con acqua e bambini.
Mi avvio per la strada, cercando di ricordare quale sia la via per arrivare al canale dove da piccolo passavo sempre. Per arrivarci devo passare per casa di Michael, ma decido di prendere una via alternativa, che mi richiederà sicuramente un po’ più di tempo. Clarisse non mi ha dato né un’ora né una scadenza precise, ma mi ha comunque fatto capire che p meglio darsi una mossa. Però proprio non riesco a passare lì davanti: ho paura di vedere Michael, di vederlo insieme ad Ashton; ho paura di vederli felice mentre si sorridono e non hanno preoccupazioni per la testa, e mentre io lotto per tornare indietro; ho paura che il mio ricordo stia sbiadendo sempre di più nel cuore di Michael.
Stavolta però posso essere visto dagli altri e non so proprio dove trovare i soldi per un biglietto della metro, ma Clarisse ha pensato a tutto: ho due biglietti nelle tasche. Sorrido e la ringrazio col pensiero.
Il viaggio è piuttosto veloce, e stento ancora a rendermi conto di quello che sto effettivamente facendo. Quando esco dalla metro, faccio qualche centinaio di metri a piedi, poi l’asfalto sparisce e c’è solo strada sterrata.
Avanti, Luke, si tratta di nuotare e riportare una ragazzina a riva. Non sarà troppo diverso da ciò che facevi tempo fa.
I miei piedi vanno più veloci di quanto dovrebbero e non so spiegarmelo davvero, forse perché sentire la terra sotto i piedi, dopo tutto questo tempo, è una sensazione bella quanto strana. È strano sentire di nuovo il caldo, il freddo, i muscoli indolenziti, avere di nuovo fame e sete. È ciò che comporta avere un corpo, è come essere vi nuovo vivo, e lo amo.
Arrivo al canale, una giovane donna ha appena lanciato un grido, deduco che la bambina è caduta. Allora affretto ancora di più il passo fino ad arrivare a correre, la donna mi vede, io ricambio il suo sguardo, ma prima che possa dire qualcosa, io mi sono già tuffato.
L’acqua è fredda e per un attimo rabbrividisco; è sporca e io sento il bisogno di riprendere aria. Mi do una spinta ed emergo in superficie. La bambina è a pochi metri da me e annaspa per tenersi a galla. Ringrazio le vacanze al mare in cui mio padre mi ha insegnato a nuotare e mi avvicino a grandi bracciate. Mi tengo a galla con i piedi e con una mano, l’altra la tengo verso la bambina.
Vorrei poterle gridare di prenderla, ma dalla mia bocca non esce un suono. Fortunatamente lei mi vede e prende la mia mano. Subito la tiro verso di me e porto un suo braccio sulle mie spalle, e allora comincio a nuotare – con un po’ più di fatica – verso la riva del fiume.
Quando i miei piedi toccano il fondale mi rilasso, e poi quando arriviamo finalmente a riva, mi butto sul terreno fangoso, con la testa rivolta verso il cielo, e riprendo fiato.
Vivere per certi versi è difficile,  eppure è meraviglioso, non lo ricordavo così bello.
Apro gli occhi a causa di una manina che mi tocca il viso, vedo la bambina che, anche se è completamente zuppa e infreddolita, mi sorride.
La madre arriva un secondo dopo e la prende in braccio, io provo ad alzarmi a sedere, ma sento la stanchezza schiacciarmi completamente.
« Grazie! » esclama la donna, mettendosi al mio fianco. Provo a rivolgerle un sorriso perché non potrei fare nient’altro. « Stai bene? »
Annuisco.
« Posso fare qualcosa per te? Riaccompagnarti a casa? » mi chiede, penso che non posso parlare e allora non saprei come dirle dove andare.
Scuoto la testa.
« Sicuro che sia tutto a posto? ».
Annuisco di nuovo, le sono grato per l’apprensione che sta dimostrando nei miei confronti, non credo che tutti farebbero la stessa cosa.
« Grazie ancora! Deb, ringrazia anche tu ».
« Grazie, bimbo! » esclama la bambina, la guardo e la saluto, agitando la mano.
Se ne vanno e io rimango sulla riva finché non sento il freddo entrarmi nelle ossa. Penso di andare a casa di Calum: lui sa cosa mi sta succedendo e spero che possa ospitarmi a casa sua finché non saprò la mia prossima missione.
Il secondo biglietto della metro ora è fradicio, forse avrei dovuto almeno togliermi i pantaloni prima di tuffarmi, allora mi preparo psicologicamente ad attraversare la città a piedi, fino a casa di Calum.
Questa missione è stata relativamente facile, rispetto a tutte quelle che ho svolto finora. Non ho trovato particolari difficoltà: sapevo di dover fare una cosa e l’ho fatta, senza nemmeno pensarci. Non doveva affidarmi alla mia intelligenza o all’intuizione, qui si trattava solo ed esclusivamente della mia forza e delle mie capacità fisiche.
È strano che proprio questa sia una delle ultime missioni, ma decido di non darci troppo peso. L’unica cosa a cui riesco a pensare in questo momento è quando Clarisse si rifarà viva: prima ha detto che ci saremmo visti quasi subito dopo la missione.
Sono in uno stato d’ansia che non so realmente spiegarmi.
Dopo almeno un paio d’ora, arrivo davanti casa di Calum. Vado nel giardino sul retro e comincio a lanciare sassolini alla sua finestra, nella speranza che mi senta. Non posso certo suonare il campanello e rischiare che sua madre o sua sorella mi vedano.
Lo sento imprecare con tutta la finestra chiusa, allora la apre ed è già pronto ad urlarmi contro qualche insulto, ma quando mi vede sgrana gli occhi e...
« Luke?! » esclama.
Mi metto un dito sulle labbra e gli faccio cenno di stare zitto, e, a gesti, gli chiedo se posso salire. Lui mi dice di si e io ritorno davanti la porta principale. Calum apre e mi fa entrare. Subito dopo saliamo in camera sua – fortunatamente è solo in casa – e, come prevedevo, mi chiede delle legittime spiegazioni.
« Ti sei svegliato e non mi hanno detto niente? » esclama. « Io ammazzo Michael ».
Scuoto la testa e vado alla ricerca di un foglio e una penna. Quando li trovo, sotto lo sguardo confuso di Calum, comincio a scrivere.
È una missione, ho il mio corpo, ma solo finché non riceverò la prossima. Però manca poco (non posso parlare).
Gli porgo il foglio e lui lo legge. « Ah, capito, » sospira. « Ci avevo sperato ».
Mi riprendo il foglio e: hai parlato con Michael?
« Sì, » dice Calum. Lo sguardo che gli rivolgo parla praticamente da solo. « Ha detto che ti rivuole più di ogni altra cosa. Di certo non potevo dirgli che l’hai visto, ma lui tiene a te,        questo posso assicurartelo ».
Mi rabbuio per un attimo. Sarebbe facilissimo e bellissimo credere alle parole di Calum, ma c’è qualcosa che mi frena. E non so cosa sia con esattezza.
« Te lo giuro, Luke, me l’ha detto... ha detto che lui spera e continua a farlo, non smetterla mai di farlo. Quello con Ashton sarà stato solo un piccolo incidente, non puoi buttarti giù per una cosa del genere, e se dici di non volerlo rivedere allora menti. Lo so che non riesci a vivere senza di lui, e so anche che lui non riesce a vivere senza di te, soprattutto questo. Luke... questi mesi senza di te sono stati terribili per tutti, ma Michael ne ha risentito molto di più. Per tutto questo tempo lui è semplicemente sopravvissuto, ed è terribile vederlo stare così male... »
Guardo il mio migliore amico per tantissimo tempo e comincio ad annuire lentamente. Mi sto convincendo. Ed è troppo facile. Forse Cal ha ragione.
Io e Michael da soli, separati, non riusciremmo mai ad esistere come si deve.
Gli scrivo questi miei ultimi pensieri sul foglio.
« Allora che ci fai ancora qui, idiota? Corri dal tuo ragazzo! » esclama Calum.
Sorriso e mi alzo dal suo letto, per poi avviarmi verso la porta. Lo guardo prima di andare a fare quello che mi ha detto: corro da Michael.

 

 
 
 
Salve gente!
Questa volta sono in oriario! ^_^
Mi scuso se il capitolo è un po' corto e di passaggio, ma è essenziale. 1) Non potevo tralasciare la storia delle missioni, per fortuna che (SPOILER) questa è la penultima perché la mia inventiva comincia a fare cilecca. 2) Dovevo introdurre il prossimo capitolo, che sarà mooooolto fluff, ve lo dico già, quindi preparatevi. Detto questo, ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo: LittleDirectionOfFavij, Letizia25, Jade_Horan, Sureness, Figlia_di_Atena, Sweetlove250513, jamesguitar e zjamskisses.
Bacioni e (speriamo) alla settimana prossima! ♥
Marianne

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Capitolo 13
*** You keep me warm ***


 
13.
You keep me warm

 
Corro da un tempo che non so definire. Non ho i soldi per il biglietto della metro, perciò sono costretto ad andare a piedi. E corro, corro, non mi fermo più. I miei piedi vanno così veloci che toccano a malapena l’asfalto. Le persone si girano a guardarmi curiose, ma non mi importa più di tanto: tutti i miei pensieri sono rivolti a Michael, a cosa succederà quando ci vedremo, a cosa mi dirà, a cosa io non potrò dirgli. Per la prima volta in tutta la mia vita non ho la più pallida idea di quello che succederà, o di come dovrò comportarmi, mi sento così... disarmato, ed è una sensazione opprimente, che mi attanaglia lo stomaco e non lascia respirare nemmeno per un po’.
Mentre corro veloce non sento il freddo. Il vento autunnale soffia forte, è quasi Maggio, ormai, l’inverno è alle porte e le persone vanno in giro con sciarpe e capelli. Io ho solo una felpa e una maglietta, ma mi sento benissimo. Anzi, non credo di essermi mai sentito meglio. Il solo pensiero di Michael mi riscalda il cuore e il corpo, anche se un po’ il dolore persiste, però non mi importa, perché quasi non ci credo che lo vedrò, che lui vedrà me. A cosa pensavo quando ho giurato a me stesso di non volerlo più vedere, pensare? Calum ha maledettamente ragione: io senza il mio Michael non riesco ad esistere.
Ci sono quasi, manca poco e io sento una strana sensazione, come... energia che scorre nelle vene. Mancano pochissimi metri, solo due villette mi separano da lui, perché la terza è la sua, e allora io salirò le scale della veranda, suonerò il campanello, lui mi aprirà la porta e... e poi? Poi cosa succederà? Non lo so, e forse è proprio questo che frena leggermente il mio slancio. Dopotutto, ho sempre avuto paura dell’ignoto, di fare un enorme salto nel vuoto, nonostante negli ultimi giorni io non abbia fatto altro che avventurarmi in un ignoto relativo: Clarisse mi ha dato la certezza che, se riesco a portare a termine tutte le missioni, mi risveglierò. Non so quante ne manchino esattamente, ma spero poche. Prima di tutto questo non credevo in Dio, negli angeli e tutte queste cose qui... adesso, diciamo che ne ho avuto una mezza prova, ed è decisamente diverso da ciò in cui ho deciso di non credere e da ciò che hanno provato a farmi entrare in testa, tanto tempo fa.
Arrivo davanti casa di Michael, eccomi, non so nemmeno se sono davvero pronto a vederlo, soprattutto dopo quello che è successo, e poi non potrò parlargli, non potremo chiarire come si deve.
Salgo sul primo gradino, ho paura, mi viene la nausea; salgo sul secondo, chiudi gli occhi e faccio un respiro molto profondo; eccomi sul terzo, ormai è troppo tardi per ripensarci, non mi resta altro che fare gli ultimi passi e suonare il campanello. Sono pervaso da un’ansia che so spiegarmi fin troppo bene: Michael mi vedrà in carne ed  ossa – più o meno – da quando ho fatto l’incidente, non so che aspetto ho, probabilmente distrutto e non credo di volerlo sapere sul serio. Le assi di legno scricchiolano leggermente sotto i miei piedi, arrivo fin troppo velocemente davanti la porta e le mie dita indugiano per troppi secondi davanti al campanello. Poi, finalmente, suono.
È fatta, non posso più tornare indietro.
Mezzo minuto dopo, la porta si apre, rivelando Michael, con la sua nuova tinta rosso fiammante, che in questo momento amo e trovo fantastica, soprattutto su di lui. Non appena mi vede strabuzza gli occhi e fa un passo indietro, come se fosse... spaventato. « Oh mio Dio » mormora, con la voce piena di incredulità. Non è proprio la reazione che mi aspettavo, a dir la verità, ma lo capisco: che faccia fai quando il tuo ragazzo mezzo morto si presenta a casa tua sotto forma di fantasma?
« Michael, chi è? » dice una voce, proveniente dall’interno della casa. È sua madre, la riconosco subito.
Lo guardo negli occhi e mi metto l’indice sulle labbra, per dirgli di non dire a sua madre che sono qui.
« Nessuno, » risponde Michael, continuando a guardarmi. « Solo qualche bambino in vena di scherzi... senti, mamma, devo uscire un secondo a comprare una cosa, torno subito ».
« Va bene! » gli dice sua madre. Lui esce di casa e si chiude la porta alle spalle.
Io indietreggio lentamente, scendendo le scale, Michael mi segue con uno sguardo confuso sul volto. Ho davvero una paura tremenda di quello che succederà adesso. Mi guarda, non smette di farlo, è come se non ci credesse, come se volesse scavarmi dentro per trovare tutte le risposte.
Oh, come vorrei dargliele. Come vorrei dirgli tutto quello che sento, che provo, come vorrei potergli dire che lo perdono senza aggiungere altro; come vorrei fare e dire quello che non ho mai detto e fatto. Vorrei, ma non posso. Il silenzio è il prezzo da pagare per poterlo sentire veramente sulla pelle, ma sembra quasi che abbia paura di me, e la cosa mi ferisce, ma non posso dire nulla.
Ad un certo punto mi sorpassa e si dirige verso un posto che conosco bene: vicino casa sua c’è un parco non molto frequentato, soprattutto in questo periodo dell’anno. Lo seguo senza fare il minino rumore, mentre il cuore mi batte velocissimo nel pezzo e il respiro mi muore in gola. Arriviamo in meno di cinque minuti, entriamo, raggiungiamo una panchina.
Michael si siede e mi guarda, mettendo la mano sul legno accanto a sé. Mi siedo anche io. Tutto quello che voglio fare, in questo momento, è perdermi tra le sue braccia, perché è da troppo tempo che non lo sento veramente, che non sento le sue mani vagare sulla mia schiena, il suo respiro tra i capelli. Michael mi manca da morire e io lo rivoglio indietro.
« Puoi spiegarmi? » chiede, con la voce che gli trema. « Perché io non ci sto capendo niente. Stamattina eri all’ospedale, su quel letto, eri più bianco del lenzuolo e adesso sei qui, di fronte a me e sembri... vivo. Credo di essere pazzo ».
Scuoto la testa velocemente. No, non è pazzo, sono io che non riesco mai a combinare nulla di buono, nemmeno da morto. Allora cerco di spiegargli prima che non posso parlare, poi spero di passare al resto.
Mi indico, poi mi tocco le labbra, e poi scuoto la testa.
« Non puoi parlare? » mi chiede. Annuisco. « Quindi questo è come quando... potevi parlarmi, ma non potevo vederti. Solo che è al contrario, giusto? ».
Annuisco ancora. Sono felice che Michael stia capendo tutto al volo, altrimenti non avrei saputo minimamente come fare.
« Questo significa che non sei davvero qui. Insomma, sei ancora un fantasma. Non ti sei svegliato » osserva, con una nota di tristezza. Non parlare mi uccide, ne ho sempre avuto bisogno, ho sempre sentito la necessità di dire tutto quello che mi passasse per la testa, specialmente a lui, specialmente a Michael, perché lui è l’unico che mi ha sempre capito, è l’unico che mi ha sempre ascoltato ed è l’unico a cui sono certo di poter dire ogni cosa senza provare alcun tipo di vergogna, semplicemente perché Michael è... non so come definirlo, ma è molto di più della persona di cui sono innamorato, Michael è la mia persona e sono sicuro che nessun’altro al mondo potrà mai amarlo quanto lo amo io.
Non mi importa di Ashton, non mi importa se gli ha promesso il mondo, non mi importa di quel che gli ha detto: Michael sa che non ha mai avuto, non ha e non avrà bisogno di promesse da parte mia per ricevere tutto il meglio che ho da offrirgli.
Scuoto la testa per dargli ragione: non sono vivo, non ancora, ma lo sarò presto, e allora niente potrà dividerci una seconda volta. È questo quello che vorrei dirgli, ma non so assolutamente come esprimerlo a gesti.
« Quando torni da me, Luke? Mi manchi da morire » sussurra piano, quasi avesse paura di farsi sentire.
Vorrei dirgli: presto. Gli metto una mano sulla spalla e lo guardo negli occhi, mi ci perdo, mi chiedo se anche lui senta lo stesso. Anche lui sente il cuore andare troppo veloce? Anche lui ha voglia di piangere per un sentimento che nemmeno riesce a definire? Anche lui sente l’improvviso bisogno di toccarmi, di sentire la mia pelle sotto il le sue dita? Anche per lui è stata una tortura vivere senza di me?
Perché io queste cose le sento tutte, dalla prima all’ultima, dalla testa ai piedi. Mi sento percosso da un brivido, mi mordo le labbra, ma non perché trattengo dentro qualcosa da dire. È un gesto abituale, una sorta di vizio che ho da sempre. Sembra così facile riabituarsi alle cose quotidiane, agli occhi di Michael nei miei, ai nostri pomeriggi sulle panchine, ma allo stesso tempo, realizzare di essere ancora lontanissimi dal rifare tutte queste cose è un colpo così duro che non sono pronto di incassare.
E poi succede all’improvviso, mi dimentico delle difficoltà che ci separano perché sento la sua mano sul collo e poi sulla guancia. Sta per baciarmi, ne sono sicuro. Non aspetto altro da quando sono sceso sulla terra.
Quante volte, vedendolo, ho desiderato di assaporare le sue labbra anche per un solo istante? Quante volte ho chiesto di poter sentirmi così bene per un insignificante momento? Troppe, e troppe volte non sono stato soddisfatto in nessun modo.
Michael, però, non posa le labbra sulle mie, ma fa una cosa che, se possibile, mi riempie di gioia allo stesso modo, anzi, forse di più. Mi abbraccia, mi stringe forte, passa le braccia dietro la mia schiena e sembra quasi volermi non lasciare più. Le sue dita premute contro la mia pelle, il suo viso sepolto nel mio collo, le sue labbra che lo sfiorano, il suo respiro che mi accarezza. Mi sento pieno, Michael sta colmando il vuoto che mi distrugge lentamente e  non potrei essergli più grato. E io, dal canto mio, non posso far altro che accoglierlo tra le mie braccia come fosse la prima volta che lo faccio e tutto ad un tratto mi sento rinascere, mi sento potentissimo, mi sento il ragazzo più forte dell’interno universo.
Michael mi tiene caldo, la sua sola presenza qui, accanto a me, stretto a me, basta per non farmi tremare più.
Chi se ne frega se attualmente sono in fin di vita su un letto di ospedale, sto abbracciando la persona più importante della mia vita e non vorrei staccarmi mai più, sembra quasi un dolce sogno da cui prima o poi dovrò svegliarmi. Eppure il risveglio, ovvero quando Michael e io ci separiamo, non è così brutto come si potrebbe pensare, anzi...è infinitamente bello, guardo nei suoi occhi e vedo solo luce pura.
Mi dimentico di Ashton, del bacio, mi dimentico di tutto. Michael mi ama e ne ho appena avuto l’ennesima conferma, come se il fatto che mi stia aspettando da quando ho fatto l’incidente non bastasse già.
 
Oh, Mike, ci sono così tante cose che vorrei dirti, ma che non posso. Vorrei dirti che non ho mai smesso di pensarti, di volerti, di amarti con ogni scheggia del mio cuore che, in questi giorni – ma mesi, per te – si è rotto tante volte, ma tu con un solo abbraccio l’hai rimesso in piedi. Vedi quanto sei importante per me, Michael? C’è stato un momento in cui ho creduto di non contare più nulla per te, ed è stata la peggior sensazione della mia non-vita. Ho quasi gettato la spugna, lo ammetto, ho creduto che non vi fosse più niente per cui valesse la pena lottare, dato che credevo d’averti perso, mi hai dimostrato il contrario quando ho sentito la sofferenza nella tua voce, la stessa sofferenza che mi ha tolto il respiro. Non so dirti esattamente se il mio amore per te sia misurabile, e se lo è, non so dirti quanto misuri esattamente. So solo che una grandezza tanto elevata quanto la distanza da qui alle stelle sarebbe comunque troppo poco per esprimerci. Ho sempre pensato che noi andassimo bene così, chiusi tra le quattro mura della tua stanza, tra le altre quattro della mia, rintanati dietro un albero al parco... ma ho deciso, amore mio, che quando tornerò a vivere per te tutto questo cambierà: cammineremo alla luce del sole, faremo il nostro viaggio per il mondo, studieremo insieme, avremo un lavoro e una famiglia. La mia vita la voglio con te e con nessun’altro. Non mi importa il fatto che abbia solo diciassette anni... e anzi, forse quando mi sveglierò ne avrò già diciotto, chi può dirlo? L’età non conta se io ti amo e tu ami me. Ti ho appena preso la mano ed è soffice, calda anche nel freddo autunnale.
Tu mi riscaldi, Michael, mi riscaldi l’anima con un soffio gentile e pieno di tutto ciò che ho sempre voluto. Mi completi e non so come farei a vivere o ad esistere senza di te. Non lasciarmi mai e continua a ripararmi dal freddo e dal buio, perché la mia paura più grande è che tu possa smettere di aspettarmi.

 
 
 
Buon pomeriggio fanciulle!
Come vi avevo anticipato, questo è il capitolo per cui dovevate prepararvi. Io non ero pronta. Scriverlo è stato... quasi più disarmante che immaginarlo e... tenete conto che l'ultima parte, ovvero tutte le cose che Luke vorrebbe dire a Michael, nell'idea iniziale non era presente, poi ieri sera ho deciso di danneggiarmi psicologicamente e quindi questo è il risultato.
AHHH, non ho mai scritto una cosa così così tanto flungst in vita mia e mi odio per questo.
Spero possiate perdonarmi.
Vi anticipo che mancano davvero pochi capitoli alla fine! Secondo il mio fedele quadernino, i capitoli "importanti" saranno solamente due, il 14 e il 15, mentre il 16 sarebbe più da considerarsi come una sorta di epilogo, quindi potrebbe uscir fuori qualcosa di leggermente corto. (oh questo capitolo è speciale perché ha un numero di parole pari a 2222... la cosa è inquietante! ahaha)
Bene, ora vi lascio e corro a rispondere alle bellissime recensioni dello scorso capitolo, per cui ringrazio: Letizia25, jamesguitar, sweetlove250513, Sureness, zjamskisses e Jade_Horan
Un bacione,

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Capitolo 14
*** The place I belong ***


 
14.
The place I belong

 
Ho passato tutto il pomeriggio insieme a Michael, lui mi ha parlato di questi mesi, mi ha tenuto la mano, mi ha abbracciato e poi sono entrato di soppiatto nella sua stanza. Ha cenato in camera, con la scusa di non sentirsi bene e io sono rimasto con lui, l’ho guardato addormentarsi, accarezzandogli piano i capelli tinti di rosso, poi ho cominciato ad avere sonno – per la prima volta da quando sono un fantasma – e allora, mi sono tolto le scarpe e mi sono steso sul letto, accanto a lui.
È stata una sensazione speciale, sentirlo dormire tranquillo tra le mie braccia è una cosa che avevo quasi dimenticato quanto fosse bella. Sono rimasto abbracciato a lui finché la sua stanza non è stata illuminata dalle prima luci dell’alba.
Allora mi sono alzato, assonnato e sono rimasto accanto a lui finché un “pop” fin troppo familiare, alle mie spalle, non attira la mia attenzione. Mi rigiro, rischiando quasi di cadere dal letto per la sorpresa.
Clarisse sorride divertita, da sopra in davanzale della finestra dov’è seduta, scende sul pavimento con un balzo agile, io cerco di alzarmi dal letto e di ritrovare le mie scarpe.
« Ciao, Lucas » mi saluta lei, con il sorriso sulle labbra.
« Hey! » esclamo io. Un secondo dopo mi sono reso conto che ho appena parlato, di conseguenza credo che il dono della materialità sia appena svanito.
« È così, » dice Clarisse, rispondendo ai miei pensieri. Ormai ci sono abituato. « Perdonami se sono arrivata così tardi, ma ci sono stati, uhm... problemi in Paradiso ».
« Oh, non ci ho quasi fatto caso » sospiro, permettendomi di lanciare uno sguardo a Michael, avvolto nelle coperte, l’espressione serena e tranquilla.
« Io e i miei fratelli e sorelle addetti alle porte dell’Aldilà abbiamo convenuto di darti un dono speciale, Lucas » esclama lei, battendo le mani. Vorrei dirle di non fare troppo rumore per non svegliare Michael, poi penso che lui non può sentirci.
Rivolgo la mia attenzione a Clarisse. « Davvero? E perché? » chiedo, non capisco perché debba meritare un dono da parte degli angeli.
« Hai mostrato costanza nelle tue missioni, hai mostrato sentimenti per tutto ciò che hai dovuto affrontare, hai sconfitto ogni sofferenza e hai sopportato tutto. Ci è sembrato giusto premiarti » mi spiega.
« Be’... grazie! « Be’... grazie! » dico io, pieno d’entusiasmo. Un dono! « E che cos’è? »
« Potrai essere completamente te finché non completerai le tue missioni, » risponde Clarisse. « Potrai parlare, camminare, toccare, mangiare... fare tutto quello che facevi prima. Ovviamente, il mio consiglio è stare solo con chi sa della tua vita a metà qui sulla Terra. Per gli altri sarebbe troppo strano, non credi? ».
« Stai parlando sul serio? » chiedo io, incredulo.
« L’hai dimenticato? Sono un angelo, non posso dire altro se non la verità » dice Clarisse.
« Io... » inizio, non sapendo cosa dire. Allora con uno slancio l’abbraccio forte. « Grazie ».
« Ti resta una sola missione, Lucas, te la comunicherò quanto prima. Per svolgerla potrebbe servirti questo nuovo dono, chissà » sospira Clarisse.
« Va bene, » dico io. « Grazie, davvero ».
Lei sorride. « Te lo meriti: sei uno degli umani migliori che io abbia mai conosciuto. Meriti di essere felice più di chiunque altro ».
Non faccio in tempo a replicare che lei è già sparita. Credo di avere di nuovo il mio corpo. Guardo Michael: devo fargli una sorpresa... non sarà granché, ma ho già qualcosa in mente.
Dopo essermi accertato che in casa sua non ci sia nessuno, scatto giù in cucina e richiamo alla mente le mie poche conoscenze culinarie per preparargli la colazione. Uovo, latte, burro e farina, un po’ di cioccolata. Se non farò bruciare nulla verranno fuori dei pancake abbastanza buoni.
Dopo una decina di minuti sento provenire dei rumori dal piano di sopra. Non ho finito di cucinare, Michael non può essersi svegliato. Lo sento chiamare il mio nome, ma rispondergli significherebbe mandare a monte tutto, non posso ancora farlo. Faccio scivolare le frittelle nei dalla padella nei piatti, ci metto sopra la cioccolata e quando li poso sul tavolo, lo sento scendere le scale.
« Luke? » chiede ancora, entrando in cucina.
« Ciao » biascico. La mia voce è strana, forse troppo emozionata.
« Sei... puoi parlare... » osserva Michael, con gli occhi spalancati.
« Sì, e posso anche cucinare » esclamo, indicando i due piatti. Poi provo a sorridergli, ma non sono sicuro di esserci riuscito. Sono nervoso, emozionato, non capisco la metà delle cose che faccio, che penso, che dico.
« Mio Dio » dice lui, ancora incredulo. Mi si avvicina, ignorando la colazione ancora calda. Gli sorrido di nuovo, in modo più convincente, stavolta. Temo che abbia paura di me, o forse no. Sinceramente non ho idea di cosa pensare.
Ma quando mi stringe forte a sé ogni pensiero mio si annulla, la mia testa si svuota, non riesco a pensare a niente se non al calore del suo corpo e al fatto che ogni suo abbraccio è come una boccata d’aria. Non oso pensare a come sarà quando lo bacerò, perché ho tutta l’intenzione di farlo.
Eppure, anche in quell’occasione non riesco a pensare a niente. So solo che è esattamente come lo ricordavo, e che mi è mancato da morire, che Michael mi è mancato davvero troppo, che io sono mancato a lui. Succede tutto in modo semplice ed estremamente naturale, come è sempre successo tutto, tra noi due.
Io gli passo una mano dietro il collo, gli tocco piano l’attaccatura dei capelli. Lui si ritrae un po’ dall’abbraccio, in modo da potermi guardare negli occhi. Mi accarezza il viso: prima la tempia, la guancia, il mento e poi il collo. Mi avvicino piano, come se fosse il nostro primo bacio – e da uno strano punto di vista lo è –, i nostri nasi si sfiorano, lui sorride e questo non fa altro che attirarmi verso di lui come una calamita.
E poi, finalmente, le ime labbra trovano le sue, si incastrano perfettamente, si muovono con naturalezza, trovano finalmente il loro posto.
Baciare Michael mi fa perdere ogni cognizione del tempo e dello spazio. Quasi non penso al fatto che è passato un giorno solo sia per me che per Michael; non penso al fatto che mi rimane una sola missione e potrò tornare finalmente da lui, senza alcun limite di tempo; non penso nemmeno al fatto che lo sto baciando e che lui sta baciando me, con le mani premute sulla mia schiena e ogni parte del suo corpo perfettamente sovrapposta a ogni parte del mio. Non so quanto dura questo bacio, ma non mi importa: non sento Michael così vicino da troppo tempo per potermi curare del tempo che passa. So solo che ad un certo punto sentiamo entrambi il bisogno di respirare, che ci guardiamo negli occhi quanto basta per riempire i polmoni, e che poi ricominciamo a baciarci, stavolta però è diverso.
Stavolta Michael toglie le mani dalla mia schiena e mi circonda il volto, stavolta succede tutto con meno foga, stavolta è cento volte meglio. Tengo gli occhi chiusi e sento tutti gli altri sensi amplificarsi.
Non c’è altro rumore se non il battito dei nostri cuori e lo scontrarsi delle nostre labbra; non c’è altro odore se non il profumo della pelle di Michael; non c’è altro sapore se non quello della sua bocca; e non c’è altro calore se non quello del suo corpo sotto le mie dita.
È tutto semplicemente perfetto.
E lo amo. Amo Michael con tutto me stesso, col mio cuore, i miei sensi, con tutte le parole che non riesco a dire perché effettivamente baciarlo è più bello che parlare. Non ho più fame, non ho bisogno di niente se lui è con me. Quando torno ad aprire gli occhi, ritrovo i suoi incredibilmente vicini. Vedo il suo sorriso luminoso e lo vedo felice, questo basta a riempire ogni singolo vuoto che si è aperto mentre gli sono stato lontano. Michael è bellissimo, sia dentro che fuori, e io sono la persona più fortunata del pianeta ad averlo sempre avuto con me anche quando non c’ero davvero.
« Come hai fatto? » mi chiede semplicemente, appoggiando la fronte alla mia.
« Uno dei miei doni. Tornerò prestissimo, mi manca solo una missione » gli rispondo.
« Non vedo l’ora, » sussurra. Dopo un paio di secondi sento il suo stomaco brontolare. « Possiamo mangiare? ».
« Certo » gli dico, per poi scoppiare a ridere. « Per chi altri avrei cucinato? ».
Io e Michael ci sediamo e facciamo colazione. È una cosa così normale e... umana, da vivo, che mi fa diventare stranamente euforico. Dovevo aver parecchia fame perché ho spazzolato tutto il meno di dieci minuti, mentre Michael mi guardava divertito e mi diceva che non si deve mangiare troppo in fretta.
Lui e il suo essere così attento ad ogni cosa...
Michael poi va in bagno e si veste. Io lo aspetto giù e intanto ripercorro il salotto e il corridoio dove sono stato milioni di volte in vita. Oggi potremmo fare un sacco di cose: uscire insieme come ai vecchi tempi, andare alla panchina dietro il nostro cespuglio nel parco dove ho trovato Jack Weber, ad esempio, oppure potremmo rimanere a casa, sul divano, a far finta di guardare un film mentre in realtà parliamo di tutt’altro.
Ad un certo punto, però, sento che mi chiama dal piano di sopra. Sarà successo qualcosa? No, no di certo. Salgo le scale completamente tranquillo ed entro in camera sua. Ora è vestito normalmente, non ha più il pigiama, anche se lo trovavo carino in quel modo.
« Ti serve qualcosa? » gli chiedo.
« No, scusa. Avevo paura che fossi sparito. Sai com’è, tutte le volte che ti ho... visto, o sentito... sei sempre sparito » dice, con lo sguardo rivolto a terra.
Io sorrido e mi siedo sul letto accanto a lui. « Non sparisco stavolta » gli assicuro, sussurrando.
« Davvero? ».
« Se sparirò, sarà dopo la missione. Ma solo per risvegliarmi in quel maledetto ospedale e tornare immediatamente qui da te » continuo io, annuendo.
« Oh, Luke, » sospira, abbracciandomi di nuovo. Sembra che non ne abbia mai abbastanza, e così io. « Ti amo così tanto ».
Il mio cuore perde un battito, o forse due. Forse si immobilizza per un po’, poi tutto ritorna al proprio posto e la mia testa riesce a funzionare come dovrebbe. Sentirglielo dire, dopo tutto quello che è successo – dopo Ashton – è bello. Ho quasi rimosso il ricordo di quel bacio, ormai mi sono quasi convinto che non sia contato nulla per il mio Michael.
Calum ha sempre avuto ragione.
« Lo so, Mike, lo so. Nemmeno io ho mai smesso » gli dico.
Quando sono lui tutto quello che riesco a dire è la verità. Lo amo. Non ho mai smesso di amarlo. Ho sempre saputo che niente ci avrebbe mai diviso, nemmeno la Morte, e adesso sto combattendo proprio contro Lei, la sto sconfiggendo, sto vincendo per ritornare da lui e non infrangere la promessa di non lasciarlo mai.
Voglio baciarlo ancora, lui mi precede. Finiamo per rotolarci goffamente sul letto, scoppiamo a ridere, Michael mi toglie la felpa nera, io la maglietta che si è appena infilato. Il letto non è rifatto e forse è meglio così. Accade tutto con naturalezza: ben presto la mia schiena finisce appiattita contro il materasso e io non vedo niente se non Michael. Non sento niente, solo lui. Non dico niente, solo il suo nome.
Non mi sono mai sentito così bene, così felice, così completo. È forse possibile essere ad un passo dalla morte e non avere bisogno di assolutamente nulla, essere consapevoli di aver trovato il proprio posto, la propria destinazione? La mia risposta è sì, perché io ho finalmente raggiunto la mia meta. Ho capito tutto. Ora ogni singolo pezzo ha senso.
Lui è il posto a cui appartengo.

 
 
Buona Vigilia a tutti!
So che vi aspettavate l'aggiornamento ieri, ma dovevo finire di scrivere il capitolo. Quindi prendetelo come una sorta di uhm, regalo di Natale! So che probabilmente lo leggerete in poche perché è il 24, ma non importa :)
Questo capitolo mi piace particolarmente tanto e spero che piaccia anche a voi. Il conto alla rovescia si accorcia, ora mancano solo due capitoli, e Luke ancora non si è svegliato ahahaha vi terrò sulle spine fino all'ultimo, i'm sorry. Sono sicura che non vedete l'ora di scoprire la missione di Luke.. ehehe, sappiate solo che ogni personaggio e ogni azione in questa storia ha un suo perché *coff* Ashton *coff* e poi mi avete fatto venire una mezza idea su Clarisse che all'inizio non avevo proprio preso in considerazione. Che dire? Bless you! 
Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo: Letizia25, jamesguitar, Sureness, LittleDirectionOfFavij e Sweetlove250513
Buon Natale!
Baci,
Marianne

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Capitolo 15
*** Against your fate ***


 
15.
Against your fate

(Ascoltate Endlessly dei The Cab durante la lettura, se vi va)

 
 
È tardi. Fuori è notte fonda, Michael dorme profondamente: io non ho sonno perciò sono seduto su una sedia sotto la sua finestra lo guardo dormire. Vedo una stella cadente, ma non esprimo nessun desiderio, perché tutto quello che voglio è tornare a vivere e c’è un solo modo per farlo. È stata una giornata a dir poco meravigliosa. Oltre ad aver fatto una doccia dopo un sacco di tempo, ho passato una giornata intera come ai vecchi tempi. Io e Michael non siamo usciti di casa: troppo strano vedere un ragazzo quasi morto camminare mano nella mano con il suo fidanzato, ma a me andava bene così. Quando sua madre è tornata a casa, non ho lasciato la sua stanza, ma lui è rimasto con me, e a me andava ancora bene così.
Torno a guardare le stelle, stanotte sono più luminose del solito. La mia attenzione, però, viene catturata da un rumore che proviene dal vetro. Mi affaccio alla finestra e sull’erba vedo Clarisse, che mi saluta. Non indossa mai abiti diversi, comincio a pensare che sia una sorta di divisa da angelo. Dopo aver capito che non posso più saltare dalle finestre, esco dalla stanza senza far rumore e cerco di raggiungere il giardino. La sua pelle brilla sotto la luce della luna, sembra eterea e irraggiungibile.
« Buonasera, Lucas » mi saluta. Si mette seduta sull’erba e mi invita a sedermi accanto a lei. Lo faccio e incrocio le gambe.
« Buonanotte, direi » replico io, scherzosamente. La vedo sorridere, ma c’è qualcosa che non va nel suo sguardo. Sembra triste, oppure è dispiaciuta. Forse ho fatto qualche cazzata e ho bruciato le mie possibilità di ritornare in vita. Se è così, giuro che trovo un modo per ammazzarmi un’altra volta. Sono così vicino!
« Frena le tue supposizioni, » mi riprende, sorridendo ancora. « Non hai fatto nulla di sbagliato, e non puoi morire una seconda volta. Non sono triste, nemmeno dispiaciuta, sono solo... non volevo essere io a darti quest’ultima missione, perché la trovo estremamente crudele e... logorante. Sì, credo sia la parola giusta. Ma sorvoliamo... ».
« Aspetta, » la blocco io. « Sto per ricevere la missione che mi farà ritornare sulla Terra? ».
« Esatto. Dovrebbe essere un momento eclatante, ma non lo è. Non sono per nulla felice di comunicarti questa missione, Lucas, mi sono opposta. Ho detto ai miei fratelli che era assurda, troppo perfino per un umano come te ».
« Un umano come me? Che ho di speciale? ».
« Voi uomini siete la cosa creata più bella. Provate emozioni così forti, che noi angeli possiamo solo immaginare. Io mi sento fortunata perché in tutti questo tempo ci sono quasi riuscita, a provare quello che provate voi, intendo. Insomma, a volte vi invidio, sai? Voi vi innamorate, soffrite, piangete, ridete, amate con tutti voi stessi e siete disposti a fare qualsiasi cosa per qualcuno a cui tenete veramente. Noi angeli non siamo fatti così, voi siete di gran lunga più belli » dice.
 Non so come ribattere, mi sento colpito. È la prima volta che Clarisse mi rivela tutte queste cose. Secondo me, quella con più umanità di tutti, qui, è proprio lei. Lei che mi ha accompagnato in questa pazza avventura e che rimarrà fino alla fine. Mi dispiacerà lasciarla.
« Anche tu mi mancherai tanto, » continua. « Ma tornando a prima, tu sei l’umano più speciale che abbia mai avuto il piacere di incontrare. Per questo non credo sia giusto che i miei fratelli abbiamo deciso per te una missione così... impegnativa. Ecco, hai fatto tante cose grandiose, Lucas, e spero con tutta me stessa che riuscirai anche in questa ».
« Sono tutte orecchie » le assicuro io, sorridendo. Voglio sapere. Devo. Cosa sta aspettando? Sapevo che questa missione sarebbe stata la più difficile, non ho paura di niente. Sono disposto a tutto pur di tornare a vivere.
Lei sorride di nuovo, poi fa un grande sospiro. « Devi aiutare Michael. Devi aiutarlo a capire chi è il suo vero amore ».
Il mondo si congela. Smetto di respirare per un istante. No, devo aver sentito male. Questa missione non ha senso! Insomma, detta così sembra che Michael abbia dei dubbi sui suoi sentimenti e io so che non è così. Me l’ha dimostrato da sempre, quando ero vivo, adesso che sono quasi morto e me lo dimostrerà fino alla fine. Non ha senso, non ha senso!
« Lucas, calmati, ti prego, » mi dice Clarisse. « Lasciami spiegare ».
« No! » urlo io. Mi alzò immediatamente dall’erba. E se Michael non mi amasse davvero? Allora quello che sto facendo non ha senso. Voglio piangere. Non mi rendo nemmeno conto che l’azione ha preceduto la volontà. Un momento dopo sento la mano di Clarisse sul viso che mi asciuga ogni lacrima.
« Siediti, devo spiegarti tutto o non riuscirai a portarla a termine ».
Annuisco, respiro, mi calmo. Sono pronta a sentire tutto. Devo solo cercare di non pensare al peggio. Stavo così bene prima. Cinque minuti fa guardavo Michael dormire ed ero felice. Adesso sento il peso del mondo sulle spalle.
« Questo non significa che non sia tu. Ci sono tanti tipi di amore, questo te l’ho già detto. C’è quello di una vita e c’è quello che sembra essere destinato. Ma come penso avrai capito con queste missioni, il destino si può cambiare, può avere tante sfaccettature, la vita no. La tua vita, Lucas, è in bilico e puoi salvarla solo credendo in te stesso e in quello che fai. Se ti arrendi è finita, e so bene quanto tu voglia tornare a vivere. Ora, c’è un motivo in ogni cosa che hai fatto, visto, o sentito. Non me ne hai mai parlato, ma io percepisco ogni tuo pensiero: ti sei sentito morire quando hai visto Michael e Ashton, non è vero? »
Mi ci vuole un po’ per metabolizzare il tutto. Poi comprendo la sua domanda. Annuisco.
« Ashton è... il destino ha designato lui per Michael. Ma Michael non è stato fatto per lui. A volte capitano certe crudeltà, che il destino ci sia da una parte sola. Ma nel tuo caso è un bene. C’è qualcun altro che aspetta Ashton, là fuori, che non sarà felice se non sarà con lui. Tu puoi rovesciare il destino di Michael, puoi farcela, Luke. Devi solo convincerlo. Devi fargli capire cos’è meglio per lui. E la scelta sta te. È inutile dirti quello che devi fare, sei umano, scappi dalla sofferenza e questo è uno dei motivi per cui vi ammiro tanto. Scappa dalla sofferenza e convinci Michael che il suo vero amore sei proprio tu. Non dovrei dirti tutte queste cose. Il mio... discorso doveva fermarsi molti consigli fa, ma tu sei speciale, Lucas. Ti meriti il meglio ».
« È tutto? Devo convincere Michael che lui ama me e nessun’altro? » le chiedo, con la voce spezzata.
Lei annuisce e mi sorride per incoraggiarmi. Lo apprezzo. Mi sta aiutando tantissimo.
« Non so se te l’ho mai detto, ma ti voglio davvero bene, Clarisse. Mi stai aiutando più di quanto ti sia permesso farlo » le dico. Poi mi viene spontaneo, l’abbraccio. Il suo corpo è piccolo e sembra fragile, ma so che potrebbe polverizzarmi con uno schiocco delle dita. Questo pensiero fa sorridere entrambi. Ingoio il groppo che ho in gola e cerco di pensare lucidamente. Sono ad un passo dal riavere la mia vita e ad un passo dal lasciare Clarisse per sempre.
« Non mi lascerai per sempre, » mi dice lei, con le braccia attorno al mio collo. « Io ti guarderò sempre da lassù. Sarò il tuo angelo custode ».
« Non eri addetta alla porta grigia? » le dico, scherzando.
« Compirò diciassette anni terrestri tra pochissimo tempo. Posso avere un regalo ».
« E sceglieresti vegliare su di me finché non muoio? ».
« Te l’ho detto che sei speciale, no? Adesso vai, il sole sorgerà tra poco e tu hai un ragazzo da convincere ».
***
 
Quando Michael si sveglia, sembra sorpreso di trovarmi ancora lì, nella sua stanza. Io sono pensieroso, invece, è giunto il momento di tirar fuori l’argomento “Ashton” che, personalmente, avrei preferito non dover mai tirar fuori. Cerco di comportarmi normalmente. Rifacciamo colazione come il giorno prima, stiamo sul divano, abbracciati, ma io sembro assente. Michael lo nota subito. E come potevo pensare che non si accorgesse di una cosa del genere.
« Sei strano, sicuro che vada tutto bene? » mi chiede.
Vorrei dirgli di sì, ma sarebbe una bugia grandissima. E so che non me lo perdonerei mai se gli mentissi. Non sono capace a mentirgli, lui lo scoprirebbe.
« Devo parlarti di una cosa » gli rispondo, sospiro. Lui spegne immediatamente la televisione e mi guarda negli occhi, in cerca di risposte. Mi sento venir meno. Non volevo che questo momento arrivasse, Clarisse ha ragione, sotto certi punti di vista è una missione crudele. Ho affrontato tante cose, ma non so se sono pronto ad affrontare anche questa.
Faccio un respiro profondo e raccolgo tutto il coraggio che ho in me.
« Ti ho visto, con Ashton » dico. Ho sganciato la bomba, è fatta, non si torna indietro. Non so cosa aspettarmi da lui, che tipo di reazione potrebbe avere. Mi viene da vomitare. Sto facendo del male ad entrambi e ne sono consapevole, e mi odio per non riuscire a venirne a capo. Ero pronto a dimenticare Ashton. Ero pronto a passare sopra ogni cosa, ma ora deve ritornare tutto a galla.
« Io... » inizia lui. Abbassa lo sguardo. Non sa cosa dire. Nemmeno io saprei cosa dire, ad essere sincero, se mi trovassi nei suoi panni. Vorrei dirgli che l’ho già perdonato e che non sono mai stata arrabbiato veramente. Sono stato solo tanto male, ma il suo sguardo, i suoi tocchi e i suoi baci hanno guarito ogni ferita.
« Non c’è bisogno che ti scusi » ribatto. Non sono arrabbiato con lui. Non potrei mai farlo, non farei mai niente che possa allontanarlo da me in qualche modo.
« Era passato tanto tempo » continua Michael. Cerca di giustificarsi e lo capisco. Che la smetta, prego qualsiasi cosa ci sia lì fuori di farlo smettere. Clarisse, mi senti? Fallo smettere.
« Stavo cercando di tornare indietro » continuo io, cercando di cambiare argomento. Non ho bisogno di scuse. Non deve scusarsi di nulla.
« E ci sei riuscito? » mi chiede. Rialza lo sguardo, i suoi occhi incontrano i miei. Sono così belli che potrei morirci dentro.
« Mi manca una sola missione » gli dico, sto col fiato sospeso. Non sono pronto, non sono pronto!
Segue una pausa. Michael ha sgranato gli occhi, sorpreso.
« Ovvero? ».
« Devo aiutarti a capire che è il tuo vero amore ».
« Non capisco ».
« Ashton. Lui è tipo la tua amia gemella, è il destino, capisci? Ma io ti amo, e tu ami me. E so benissimo che non credi nel destino ».
« Ho baciato Ashton perché la mia vita è un casino. Io non sono innamorato di lui... e lui non— ».
« Michael, ho voglia di baciarti e di fare l’amore con te finché la tua vita non sarà più un casino ».
« Finché non ti svegli la mia vita sarà sempre un casino ».
« Ma io ho ancora voglia di baciarti ».
« E allora fallo, ti prego ».
Non mi oppongo. Credevo sarebbe stato peggio di così, ma non importa. Gli prendo il viso tra le mani e lo bacio. Dio, è il miglior bacio di sempre. Ne assaporo ogni momento, sorrido contro le sue labbra, lo spingo giù sul divano e sento le sue mani sui miei fianchi. Ha detto che non lo ama. Ha detto che non è innamorato di lui. L’ho convinto? Dovrei scomparire adesso, forse. Dovrei svegliarmi. Ma per quanto mi piaccia baciare Michael, perché sono ancora qui?
Mi blocco all’improvviso.
« Che c’è? » mi chiede, preoccupato.
« Non sta funzionando. Sono ancora qui » mormoro.
« Magari funziona a scoppio ritardato. Su, non vorrai perderti i tuoi ultimi momenti da fantasma? » scherza, io sorrido e torno a baciarlo come fosse il mio ultimo giorno. E in certi sensi, lo è, è l’ultimo giorno che passerò sospeso tra la vita e la morte, per ritornare ad essere finalmente una persona vera.
***
« Sono giunto ad una dimostrazione matematica ».
Le mie parole fluttuano nella stanza di Michael, mentre lui mi tiene tra le braccia e io non sento freddo. Sono passate altre dodici ore e non ha funzionato nulla. Mi sono un po’ scoraggiato, lo ammetto, Clarisse non si fa sentire nonostante io la chiami. Deve esserci un meccanismo. Michael ha detto che non ama Ashton, ma non è bastato. Forse deve dirlo, deve riconoscere che io sono il suo vero amore.
« Per cosa? » mi chiede lui, accarezzandomi i capelli.
« Per provare che sono io il tuo vero amore » rispondo.
« Non c’è bisogno di nessuna dimostrazione ».
Lo sento ridere.
« Sì, ma io te la dico lo stesso. Guardaci, Michael, andiamo in giro con i jeans strappati, mentre ci urlano dietro di comprarne un nuovo paio, ma non lo facciamo mai perché questi jeans parlano di noi e della nostra storia, e di tutte le volte che li abbiamo buttati sul pavimento, di tutte le volte che ce li siamo scambiati, anche per sbaglio. E ci segniamo la pelle con l’inchiostro per raccontare ad immagini quello che non tutti vogliono sentire a parole. Non siamo perfetti e non lo saremo mai, per questo ci bastiamo così, con tutte le nostre imperfezioni e tutti i pezzi mancanti. E io dico che tutti i miei vuoti, quelli che mi fanno male, puoi riempirli solo tu, e spero di poter essere io a riempire i tuoi fino alla fine del mondo »
« Non ho mai conosciuto e mai conoscerò qualcuno che riesce a riempire i miei vuoti come sai fare tu, Luke. Non abbiamo bisogno di dimostrazioni, lo sappiamo e basta. È così e nemmeno il destino può dirci cosa dobbiamo fare » mormora, mi lascia un bacio sul collo, sulla guancia, sulle labbra. « E sai perché? Perché noi siamo più forti. Anche se tu non sei veramente qui e domani sarà passato un altro mese, noi siamo invincibili »
« Devi dirlo, così mi sveglierò e sarà davvero domani, non sarà un mese ».
« Sei tu il mio vero amore, quello che voglio per tutta la vita ».

 
Salve a tutti! Ecco qui il penultimo capitolo.
Sigh, siamo già alla fine. Ma è inutile tirare avanti quando le cose sono perfette, no? Dunque, prima una comunicazione di servizio (?) poi il capitolo. Martedì prossimo è il 6 Gennaio e io probabilmente non sarò a casa. Cercherò di aggiornare lunedì, ma nulla è sicuro perché è l'ultimo capitolo e voglio scriverlo per bene, in più ho un sacco di compiti da fare e non so quando farli. 
Adesso, oddio, non potete immaginare quanto sono stata male scrivendo della mia bambina, il mio agioletto Clarisse. Io le voglio troppo bene e temo che il lieto fine qui non ci sarà per tutti *piange*, no, sul serio. Mi inventerò qualcosa. Mannaggia a me, non potevo creare un angelo asessuato? Senza emozioni?
Piango troppo.
Però mi sono rifatta con la parte Muke. Allora, una veloce precisazione: i loro dialoghi sembrano affrettati, ma è fatto apposta. Tutto quello che Luke aveva da dire su Michael l'ha detto in tutti questi capitoli, ormai è proiettato già verso la vita e mi pareva inutile aggiungere sensazioni descritte un milione di volte :) Spero vi sia piaciuto!
Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo: jamesguitar, sogni_impossibili, AbbracciamiFavi (mi ero abituata all'altro nome :c), Jade_Horan, zjamskjsses, Letizia25 e Sureness ♥
Bacioni,
Marianne

 

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Capitolo 16
*** Bring me to life ***


 
16.
Bring me to life


 
 
 
Mi sento strappato via dal mio corpo abbastanza bruscamente e non capisco dove sono finito. Il pavimento è chiaro, lucido e pulitissimo, mi ricorda tanto quello del Corridoio che ho visto quando sono finito nell’Aldilà. Mi fa male la schiena e mi alzo con qualche difficoltà, poi mi guardo intorno. Il pavimento non sembra quello del Corridoio, ma lo è veramente. Sono ritornato indietro, davanti la porta grigia in cui Clarisse mi ha fatto entrare la prima volta che ci siamo visti. Mi ritrovo da solo, non vedo Clarisse da nessuna parte e per un attimo mi faccio prendere dal panico. Senza di lei io qui non so orientarmi. E poi ho lasciato Michael da solo, cosa gli sarà successo quando sono sparito? Come l’avrà presa?
Ma ecco che la ragazza angelo spunta al mio fianco. Mi tende la mano. « Sei pronto per tornare alla tua vita, Lucas? » mi chiede, sorridendomi. Io sento il petto gonfiarsi, ho paura ma sono anche pervaso dall’eccitazione. Annuisco con forza e le sorrido a mia volta.
« Certo che sì! » rispondo, stringendo la sua mano. Ha le dita delicate, Clarisse, più forti delle mie senza alcun ombra di dubbio. So che sa leggermi nel pensiero e so anche che lo sta facendo in questo preciso istante, perciò dirle che le voglio bene e ringraziarla per tutto non avrebbe senso. Mi basta pensarlo.
Penso che mi mancherà, che sarò felice di saperla sempre a vegliare su di me, ad impedirmi di combinare altri casini e di ritrovarmi di nuovo in questo posto, con la differenza che stavolta sarò bloccato nella porta grigia per sempre, assieme a mio nonno. Non avrò una seconda possibilità e nessuno può immaginare quanto sia grato a lei e a chiunque altro per tutto questo, per aver avuto una scelta.
Lei sorride e continua a guardare fieramente davanti a sé, davanti alla luce. Dove mi sta portando? In Paradiso?
« No, non puoi entrare in Paradiso, la tua anima verrebbe incenerita all’istante » mi spiega Clarisse, rispondendo ai miei pensieri. Non mi da più fastidio e in per un certo verso mi mancherà, lo ammetto. Le stringo ancora di più la mano e smetto di pensare a delle domande.
Mi concentro su tutte le persone che mi aspettano, sulla Terra. Penso a Calum e a tutte le cose che avrà da dirmi, a tutte le sigarette che mi chiederà di rollare al posto suo mentre mi fa domande su domande; penso a mia madre, a cui prometto di non lasciarla mai più per nessun motivo al mondo, di dimostrarle che le voglio un bene profondo più spesso, perché non si sa mai quello che può succedere e non voglio che lei pensi il contrario; penso ai miei fratelli che mi mancano da morire e con cui giuro di passare più tempo; penso a mio padre che non ho ancora perdonato e al fatto che riuscirò a farlo tornare a casa, un giorno, assieme alla sua motocicletta. E infine penso a Michael. Penso che gli ultimi due giorni assieme a lui siano stati la cosa più bella che possa esistere, e il mio cuore scalpita e si agita furioso e trepidante, al pensiero che tra poco tutti i giorni della mia vita saranno così. Mi proietto già nel futuro, a quando saremo grandi e avremo una vita tutta nostra. Immagino la sua mano stringere la mia anche quando sarà rugosa, ma calda come è sempre stata. Penso al mio amore per lui che non cesserà di esistere nemmeno dopo la morte e penso che condivideremo la Porta Bianca, quella delle anime che hanno lasciato la Terra con la consapevolezza di essere complete. Perché a me basta lui, e passare il resto della nostra vita insieme è l’unica cosa che chiedo.
« Stiamo per entrare in un posto particolare. Rispondi solo quando ti viene fatta una domanda e sii sincero. Ricorda che noi possiamo vedere se stai mentendo. Alla fine, quando ti farò un cenno, devi dire “La mia richiesta è quella di venir riportato in vita.” e allora, ti auguro buona fortuna per il viaggio di ritorno » dice Clarisse, distogliendomi dai miei pensieri.
« Ci saranno altri angeli? » chiedo.
« Ci saranno tutti gli angeli. Gli arcangeli, i miei cugini, sono troppo impegnati per questioni del genere, ma non preoccuparti. Devi solo rispondere “sì” o “no” quando ti viene fatta una domanda » mi assicura Clarisse.
Mentirei se dicessi di non essere nervoso. Un intero consiglio di angeli mi farà delle domande per decidere se posso tornare sulla Terra. Che ansia!
« Sei pronto? »
« No ».
Ma un momento dopo, siamo stati entrambi risucchiati dalla luce che c’è alla fine del corridoio.
 
Mi ritrovo seduto al centro di una stanza circolare. Addossate al muro ci sono diverse pedane, su ognuna di queste c’è un angelo. Sono tutti vestiti di bianco, gli angeli che sembrano ragazze, come Clarisse, indossano il suo stesso prendisole bianco, mentre i ragazzi hanno pantaloni bianchi e magliette a maniche corte. Continuo a chiedermi perché non ho mai visto le loro ali. Cerco Clarisse con lo sguardo e la vedo, in una pedana di fronte a me, accanto ad un angelo molto più alto di lei, con i capelli chiari e un accenno di barba sul mento. Lui indossa anche un mantello bianco, oltre agli altri capi. Sento un fastidioso vociare attorno a me, l’angelo col mantello alza un braccio e cala immediatamente il silenzio.
« Lucas Hemmings, diciotto anni terrestri, indirizzato alla Porta Grigia? » chiede l’angelo. Ha una voce davvero molto bassa e profonda che mi incute quasi terrore, guardo ancora Clarisse e la sua espressione è più seria che mai. Mentre mi domando se gli angeli avvertano anche la paura, mi affretto a rispondere.
« Sì ».
« Hai affrontato un numero di missioni pari a sette? » mi chiede ancora l’angelo.
« Sì » rispondo.
« Clarisse, accompagna l’anima qui, per favore » dice ancora.
« Sì, Aniel » dice Clarisse con voce solenne. Scende dalla sua pedana e si avvicina a me, mi tende la mano, io l’afferro mentre tremo come una foglia. Sembra che lei riesca a ancora a leggermi nel pensiero. Non dice nulla, ma mi guarda dolcemente, come se volesse darmi sicurezza.
Io mi alzo e vado di fronte all’angelo di nome Aniel, è molto, molto più alto di me e continuo ad importmi di non avere paura di lui.
« Hai mai fallito una missione? ».
« No ».
« Hai mai abusato dei tuoi doni? ».
Che razza di domanda è questa? Se ne ho abusato? Non lo so, forse. Con alcuni doni ho sistemato alcune situazioni nella mia vita che andava a rotoli. Nonostante questo, ho sempre capito quali  fossero i miei limiti e ho sempre dato priorità alle missioni che mi venivano affidate.
Con sicurezza, rispondo: « No ».
Vedo Aniel sorridere leggermente, spezzando quella maschera di austerità che ha ricoperto il suo volto fino a questo momento. Clarisse torna al suo posto e mette le mani dietro la schiena, per un momento, si alza sui talloni e mi guarda.
Che mi stia dando il segnale per porre la mia richiesta?
Prima ancora che riesca a parlare, la voce di Aniel riempie la stanza. « Fai la tua richiesta, Lucas ».
« Desidero di venir riportato in vita » mormoro, nella speranza che almeno lui, di fronte a me, sia riuscito a sentire la mia voce.
Aniel tuona ancora: « L’anima richiede di venir ricongiunta al suo corpo mortale. Come da prassi, le anime che giungono alla Porta Grigia hanno la possibilità di rimanere o provare a ritornare sulla Terra. Secondo i rapporti di nostra sorella Clarisse, l’anima ha svolto tutte e sette le sue missioni in modo esemplare. Questa corte ritiene esaudibile la sua richiesta? ».
E di nuovo ricomincia il vociare. Credo sia assurdo che dopo aver affrontato tutte le mie missioni, una corte di angeli debba decidere se posso tornare o meno sulla Terra, ma non spero altro che in una loro risposta positiva. I miei occhi si posano su Clarisse, sembra serena.
Aspetto un tempo che a me pare un’eternità, ma probabilmente saranno solo pochi minuti. Dopodiché, cala nuovamente il silenzio e, alle mie spalle, un angelo scende dalla sua pedana. I lunghissimi capelli rossi svolazzano mentre cammina e anche lei indossa un mantello. Aniel scende dalla sua pedana e va a prendere il suo posto, dietro di me.
« Io, Hariel, portavoce della corte angelica qui riunitasi, decreto in comune accordo di esaudire la richiesta dell’anima. Lucas Hemmings si ricongiungerà al suo corpo mortale ».
Spalanco gli occhi. Cosa succederà adesso? Mi addormenteranno? Sento dei passi dietro di me, ma non riesco a girarmi. Due grandi mani mi si posano sopra la testa. Cerco di guardare Clarisse un’ultima volta, ma è già tutto buio.
***
 
Ho un mal di testa allucinante e voglio aprire gli occhi, solo che le mie palpebre sono pesantissime e non riesco a sollevarle. Mi piace il buio, mi da la sensazione di essere al sicuro, perché non so dove mi trovo e non ricordo assolutamente nulla di quello che mi è successo. C’era una strada ed era notte, e forse ero da solo, non ricordo bene. Alla fine, però, il mio istinto prevale sulla mia volontà e riesco, con uno sforzo immane, ad aprire gli occhi.
È bianco da tutte le parti. I muri sono bianchi, le lenzuola in cui sono avvolto sono bianche, persino il cielo e la luce che entra dalla finestra sembrano bianchi, per un attimo, credo di avere la pelle bianca, poi mi abituo e comincio a distinguere nitidamente le cose e i loro reali colori.
Le pareti sono verdine, mentre le lenzuola sono davvero bianche, il cielo però è azzurro con qualche nuvola e la mia pelle è rosata. Non riesco a capire dove mi trovo precisamente, ma sono da solo. Mi sento così debole che non ho nemmeno la forza di alzare le braccia o di parlare, ho quasi paura di essermi dimenticato come si faccia, ma non ho l’occasione di rimuginarci sopra, perché mi addormento di nuovo.
Quando mi sveglio, il mal di testa è passato e nella stanza c’è qualcuno, anche se non riesco a capire chi è. Adesso aprire gli occhi è molto più facile, respirare non mi sembra una cosa così strana e riesco addirittura a muovere tutti i muscoli del corpo. Provo a tirarmi su e sento il rumore di qualcosa che struscia violentemente contro il pavimento, una sedia, forse... un momento dopo, una donna dai capelli biondi e gli occhi azzurri è in piedi accanto a me.
« Ehi, mamma... » mormoro piano, riscoprendo di sapere ancora parlare.
« Lukey, piccolo mio, riposati » mi dice lei, ha quasi le lacrime agli occhi e se non fossi collegato ad una macchina con dei tubi di plastica l’abbraccerei.
« Mi sento riposatissimo, devo aver dormito per giorni interi » dico.
« Magari fossero stati solo giorni... vado a chiamare la dottoressa, cerca di rimanere sveglio, tesoro, va bene? » mi dice ancora mia mamma. Mi limito ad annuire e ad incurvare le labbra. Lei esce e io faccio come mi ha detto: cerco di rimanere sveglio. Non ho capito la sua risposta, ma mi sento intorpidito e riposato come se avessi dormito davvero del giorni interi, ma a quanto pare è stato molto di più. Sono in un ospedale, quindi deve essermi capitato qualcosa di brutto. Per quanto tempo sono stato qui? Settimane, mesi? Nella mia testa non sembra che questo tempo sia mai passato, per quanto mi riguarda potrei esserci finito la notte scorsa.
Quando la porta della mia stanza si apre, rientra mia madre insieme ad una donna dai capelli castani e la pelle olivastra, che indossa un camice bianco. « Ciao, Luke » mi saluta raggiante. « Come andiamo? »
« Salve, » rispondo imbarazzato. « Ehm, bene? »
« Dolori alla testa, all’addome? Sonnolenza? »
« No, sto benissimo »
« Che dire, signora? » continua la dottoressa, rivolgendosi a mia madre. « Un vero e proprio miracolo, non avevamo mai visto un caso del genere. Suo figlio deve avere un angelo custode che lo protegge, da lassù »
Mia madre si lascia sfuggire un sorriso quasi commosso, mentre io sono confuso e il commento della dottoressa mi fa ridere: “lassù” non esiste, e nemmeno gli angeli. Evidentemente mi è capitato qualcosa di tragico, forse a quest’ora avrei dovuto essere morto, e invece eccomi qui.
« Quando sarà dimesso? » chiede mia madre.
« Quando avrà fatto tutti gli esami d’accertamento » risponde la dottoressa. Mia madre ringrazia e la dottoressa esce. Continuo a non capirci molto.
« Mamma, puoi spiegarmi cos’è successo e perché sono qui? Quanto ho dormito? Perché la dottoressa ha detto che è stato un miracolo? »
Lei sorride e mi viene vicino, prendendo la mia mano nella sua. È calda, confortevole, mi rassicura. « È una storia che preferirei dimenticare, quando starai bene te la racconterò. Adesso l’importante è che tu ti sia svegliato ».
Decido di non riparlarne più, quando uscirò di qui mi spiegheranno tutto con più calma.
 
I dodici giorni che ho passato in ospedale sono stati i più noiosi della mia vita. Non ho fatto altro che dormire, mangiare cibo insapore e rimanere ancorato a letto: potevo uscire solo per andare in altre stanze e sdraiarmi su altri letti. Le infermiere mi portavano in giro con la sedia a rotelle. L’unico lato positivo, erano le visite che ricevevo.
Quando Michael è venuto a trovarmi, il giorno dopo il mio risveglio, non c’è stato giorno che non l’ho visto entrare nella mia stanza col sorriso sulle labbra. Una volta ha detto di voler rimanere a dormire, ma il personale gli ha consigliato di tornare a casa, riposarsi e tornare il giorno seguente. Michael è tornato tutti i giorni. Non mi ha mai tenuto annoiato, a volte è venuto Calum con lui. Siamo stati a ridere e scherzare nella mia stanza, loro seduti sulle sedie e io steso sul letto. La circostanza è stata parecchio strana, ma mi è piaciuto rivederli e stare con loro.
Non ho aspettato che mia madre mi raccontasse l’accaduto. Ci ha pensato Michael, un giorno in cui Calum non c’era. Mi ha detto che avevo fatto un incidente, che ero stato portato d’urgenza in ospedale ed ero rimasto in coma per quasi un anno. Mi ha detto che a volte aveva la sensazione che io fossi lì con lui, che a volte avrebbe addirittura giurato di vedermi e sentirmi. A me è dispiaciuto così tanto che avrei voluto solamente stringerlo a me e dirgli che per fortuna ero sopravvissuto - « Anzi, la dottoressa ha detto che è stato un vero miracolo! » - e che non l’avrei lasciato mai più. La mia vita e la sua sono legate indissolubilmente, io senza di lui non vado da nessuna parte, figuriamoci se posso morire!
Mi sono completamente rimesso, ma la dottoressa ha detto che devo tornare in ospedale ogni settimana per almeno un mese, per fare ulteriori controlli medici. Mia madre e i miei fratelli sono venuti a prendere, nel parcheggio ho intravisto un’harley nera, e mentre aspettavo che mia madre parlasse con qualcuno davanti l’entrata e i miei fratelli tornassero dal bar, un uomo con degli occhiali da sole e una giacca di pelle mi ha appoggiato alla sua motocicletta.
Avrei voluto urlare a pieni polmoni che quello era mio padre, ma non l’ho fatto. Mi sono limitato a raggiungerlo, l’ho abbracciato e gli ho detto che mi manca. Che ci manca. Che manca a tutti noi e che lo stiamo ancora aspettando. Quando mia madre è tornata lui è sfrecciato via, ma quando si è tolto gli occhiali ho letto la promessa nei suoi occhi: ritornerò.
Adesso sono steso sull’erba, sotto il sole di fine primavera. La mia testa poggia sulle gambe di Michael e lui mi passa le dita tra i capelli.
« Luke? » inizia. Apro gli occhi, il suo volto copre il sole e mi fa ombra.
« Sì? »
« Devo confessarti una cosa » continua, sembra triste. Mi tiro su a sedere e lo guardo meglio negli occhi: il mio ragazzo non deve essere triste. Sono finalmente qui e sto bene, io non ho avvertito lo scorrere del tempo, ma lui sì, e credo di essergli mancato tanto.
« Che cosa? »
« Qualche mese dopo il tuo incidente, mentre stavo perdendo le speranze, ho baciato un mio amico. Avrei ceduto del tutto se non ci fossi stato tu, nella mia testa, come a ricordarmi che prima o poi ti saresti svegliato. Ho capito che non potevo mollare in quel modo e... ho capito che ti amo sul serio. Lo so che te l’ho detto tante volte, ma questa è la più importante, perché adesso ho la certezza che tu sei l’unica cosa di cui ho bisogno. Quindi... perdonami, va bene? »
Non rifletto nemmeno sulle sue parole. Gli sorrido, non riuscirei ad arrabbiarmi con lui per nessun motivo al mondo. Tutto quello che mi ha detto mi è appena entrato nel cuore e non credo che ne uscirà mai più. Gli accarezzo il volto con una mano, mentre passo l’altra dietro la suo collo e lo attirò verso di me.
Lo bacio, a lungo e lentamente, mettendoci tutto l’amore che posso. Non gli dico nulla perché so che parlare non servirebbe, che Michael ha ragione e che siamo abbastanza fortunati da bastarci a vicenda, da amarci e non farci mai mancare niente.
La dottoressa ha detto che il mio risveglio è stato un miracolo, ma a me non servono miracoli per tirare avanti. A me basta Michael.


 
Mi scuso per il ritardo inecente, ma ho le mie buone motivazioni!
1 - è ricomincaiata la scuola e vi giuro che io non arrivo nemmeno alle dieci di sera che sono stanca morta e tutto quello che voglio fare è dormire.
2 - il capitolo è il più lungo, sono quasi tremila parole e per scriverlo ci ho messo un po' di più.
3 - volevo farlo per bene e sono stata giorni interi sull'ultimo pezzo.
Okay, ora... SALVE FANCIULLE.
Oh mamma, mi sento triste, ma mi sento anche felice! Insomma, questa storia va avanti da settembre e sono passati ben quattro mesi! Mi sento quasi orgogliosa, ma mi dispiace finirla çwç davvero. Non è una cosa certa, ma se è attuabile, pensavo di scrivere una one-shot sulla nostra (mia) piccola Clarisse, la mia bambina, perché per lei è finita davvero male. Luke non ha alcun ricordo delle vicende passate sotto forma di spirito e quindi non si ricorda di lei, mentre lei... be', aveva detto che gli angeli non provano sentimenti umani, ma Clarisse aveva sempre invidiato gli umani per questo, quindi diciamo che forse un pochino di Luke si è infatuata uwu
Quindi ripeto, non è una cosa sicura, ma in caso la scrivessi ditemi se volete essere avvertiti e mi manderò un messaggio.
ADESSSSSSSO (con tante esse perché sì) eccoci giunti alla fine. Un lieto fine, direi. Luke si sveglia e ritorna dalla sua famiglia, da Calum, da Michael... persino da suo padre! Insomma, sono (quasi) tutti felici e contenti e noi non potremmo chiedere di meglio ^_^ (Oh, amatemi percHé ho saputo dare un significato al titolo improvvisato ahahaha)
Ringrazio con tutto il cuore chi c'è stato sin dall'inizio, chi si è aggiunto lungo il percorso e chi ha letto silenziosamente. Ringrazio tutti quelli che mi hanno lasciato una recensione, che mi hanno fatto sapere il loro pensierosu questa storia nata un po' per caso, per divertimento, ma che poi è diventata una cosa importante. Non farò nomi, ma vi ringrazio davvero tutti, dal primo all'ultimo. Grazie per aver seguito questa storia! ♥
Bacioni,
Marianne

 

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