Spericolato

di PuccaChan_Traduce
(/viewuser.php?uid=448787)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO I: in cui Kìli è costretto a rimangiarsi le sue stesse parole ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO II: In cui Kìli dà prova della caparbietà dei Nani ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO III: in cui Kìli fa la sua scelta ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO I: in cui Kìli è costretto a rimangiarsi le sue stesse parole ***


 
Autrice: ChasingPerfectionTomorrow (Tumblr / FanFictions AO3)
Fandom: Lo Hobbit (film)
Coppia: Kìli/Tauriel

~

“Kì, se arriveremo di nuovo in ritardo lo Zio ci ammazzerà,” disse seccamente Fìli, tamburellando con un piede e osservando accigliato la confusione che regnava nelle stanze di suo fratello.
L’impaziente Erede era vestito di una splendida armatura in bronzo e un ricco mantello purpureo bordato di pelliccia che gli avvolgeva le ampie spalle e si allargava sul pavimento in pietra dietro di lui. I suoi capelli e la barba biondi erano stati intrecciati con gemme e perline e una coroncina d’oro gli cingeva la fronte, mettendo in evidenza i suoi bei lineamenti e il profondo cipiglio. Era risaputo che il giovane Principe, erede al trono dei Nani, era lo scapolo più desiderato sia lì in Erebor che tra la gente dei Colli Ferrosi.
E suo fratello minore non gli era da meno.
Kìli armeggiò con la chiusura del suo pesante mantello blu e riuscì finalmente ad infilarsi gli stivali. I suoi capelli scuri si arruffavano in tutte le direzioni e un livido in via di guarigione faceva bella mostra di sè sotto l’occhio sinistro insieme a un graffio rossastro sul mento, conseguenze di un finto duello spintosi troppo in là. Mentre Fìli era assennato e impeccabile, l’immagine perfetta di ciò che tutti si aspettavano da un Figlio di Durin, Kìli era incurante e sbarazzino, si cacciava continuamente nei guai e non si comportava mai come si confaceva ad un Nano del suo rango. Le donne di Erebor si scioglievano al passaggio di Fìli, questo era vero, ma sussurravano tra di loro e dietro porte ben chiuse riguardo lo spericolato fratello minore.
Kìli imprecò ad alta voce quando si punse con la bella spilla di mithril che faceva da fermaglio al suo mantello. Se non era per quella dannata armatura da cerimonia, vestirsi sarebbe stato molto più facile. Qualcuno – certo non lui – aveva lucidato il pettorale in acciaio fino a farlo risplendere come oro e la luce della torcia che vi si rifletteva lo stava quasi accecando; sospettava fosse opera di sua madre.
“Non lo farà di certo davanti agli Elfi, Fì,” rispose con leggerezza quando riuscì finalmente a chiudere la spilla, voltandosi da tutte le parti alla ricerca della sua coroncina. “Si tratterrà almeno fino a che non se ne saranno andati, dandoci tutto il tempo per scappare... ah-ah!” Balzò di nuovo nella stanza e strappò la corona dalla testa di un  vecchio manichino di legno che aveva sgraffignato tempo addietro. Vi aveva dipinto su la faccia di Dwalin, appiccicandovi poi vecchi scampoli di pelliccia a guisa di barba e capelli; aveva trascorso ore e ore prima di riuscire a rappresentare il cipiglio che caratterizzava il Nano.
“E ora, dove diamine è finita la mia spada?” piagnucolò, girando su sè stesso e calcandosi contemporaneamente la coroncina sulla testa.
“Eccola qui, palla al piede che non sei altro,” rispose Fìli, lanciandogliela addosso già infoderata. L’impugnatura colpì Kìli quasi sul naso ed egli scoccò un’occhiataccia al fratello, che si limitò a sorridere. “Allàcciatela, mentre io ti sistemo i capelli.”
Kìli armeggiò con la cintura. “Cos’hanno i miei capelli che non va?”
“Niente, se vuoi dare l’impressione di essere appena sceso dal letto.”
“Alle signore piace questo look, Fì,” protestò Kìli con occhi scintillanti, mentre il fratello gli si avvicinava con un pettine in mano.
“Nostra madre invece ti darebbe una bella tirata d’orecchi, Elfi o non Elfi,” replicò Fìli, sorridendo mentre senza pietà partiva all’attacco dei grovigli sulla testa del fratello.
Parecchi minuti – e imprecazioni – più tardi, entrambi scesero nelle sale principali in tempo per vedere la loro madre che vi giungeva a sua volta. La Principessa Dìs, avvolta in metri di stoffa dorata e impreziosita di rubini, era più raggiante del sole stesso.
“Madre,” la salutarono entrambi, prostrandosi.
La Principessa si avvicinò ai figli con un lieve sospiro, squadrandoli con occhio critico mentre essi si risollevavano. Ella assomigliava molto a suo fratello, il Re: con gli  stessi capelli corvini – in quel momento abilmente intrecciati in una complicata acconciatura – e la stessa barba poteva passare quasi per il suo gemello, non fosse stato per i lineamenti del viso più morbidi e per l’evidente profilo del seno sotto agli abiti. Era una donna affascinante e possedeva una certa aura di comando che ispirava subito rispetto.
“Kìli, perchè sembra sempre che un maiale ti abbia appena trascinato nel fango?” domandò, secca.
“Ma mi sono pettinato,” rispose il figlio sulla difensiva.
“Errore, io ti ho pettinato,” interloquì il fratello, che se la godeva un mondo. Kìli gli rifilò una forte gomitata tra le costole, dove l’armatura era meno resistente; Fìli grugnì e gli rese subito il colpo.
La Principessa sbuffò e strinse le labbra con irritazione, e i due fratelli si affrettarono ad assumere un’espressione contrita; molti temevano l’ira del Re, ma tutti paventavano quella di sua sorella. “E’ mai possibile che dobbiate sempre comportarvi come bambini?”
Era ovviamente una domanda retorica e nessuno dei due fu tanto sciocco da rispondere. Come prima cosa ella raddrizzò il mantello di Kìli, drappeggiandogli sulle spalle il broccato blu e argenteo, e lisciò il colletto della tunica di velluto che ne sporgeva. Fìli gli aveva acconciato i capelli all’indietro sistemandovi alcuni zaffiri e lei ne intrecciò con destrezza le estremità, raddrizzandogli in ultimo la coroncina in modo che gli cingesse uniformemente la fronte. La barba invece era in ordine, forse più corta della moda del momento, ma liscia e avvenente; la madre gli passò una mano sulla mandibola, un gesto tenero che le addolcì lo sguardo e le strappò un piccolo sorriso.
Quando si fece indietro, però, i suoi occhi erano di nuovo austeri. “Mi aspetto che entrambi vi comportiate nel modo migliore possibile stasera, mi sono spiegata?”
“Sì, madre,” risposero i figli docilmente.
“Dico sul serio, Kìli,” lo avvertì. “Non voglio che si ripeta quel che è accaduto durante l’ultimo Dì di Durin. La figlia di Daìn non è uscita dalle sue stanze per una settimana.”
“Ma che peccato... ahia!” Kìli si strofinò mestamente il lato della testa dove sua madre l’aveva colpito; Fìli si coprì la bocca con una mano e sghignazzò.
“Questo incontro è molto importante per vostro zio e non vi permetterò di metterlo in imbarazzo davanti agli Elfi,” sbottò lei, gli occhi pericolosamente fiammeggianti.
“Chi se ne importa di quel che pensano i dannati Elfi,” osò Fìli gonfiando il torace; ma bastò un’occhiata della madre per metterlo a tacere.
“Vostro zio sta cercando di riallacciare i rapporti con il Reame Boscoso e questo è importante per il nostro popolo, figlio mio. A volte bisogna saper mettere da parte gli antichi rancori per un bene più grande; quando sarai Re, lo capirai anche tu.”
“Certo, Madre,” rispose Fìli umilmente, ma Kìli non abboccò. Perdonare gli Elfi?! Come no! Era vero che egli non era nemmeno del tutto certo del motivo per cui la sua gente nutrisse tanto rancore verso di loro, ma non era questo il punto.
“Beh, ora basta con gli indugi,” concluse la Principessa e si diresse con grazia lungo il corridoio, seguita da un gran numero di ancelle.
“Io non ho mai visto un Elfo,” confessò Kìli al fratello alcuni momenti dopo – come se egli non lo sapesse già, visto che nella loro vita di rado erano stati separati per più di un giorno.
“Ho sentito che le loro donne sono delicate e fragili, senza barba e flessuose come alberelli in una tempesta,” rispose Fìli con fare cospiratorio mentre entravano nella Sala Grande di Erebor. Era affollata di Nani, tutti impazienti di vedere il famoso Re degli Elfi e il suo seguito; molti però s’incantarono a guardare i due Principi, sussurrando eccitati al loro passaggio.
Era da settimane che ci si preparava per quell’evento: le antiche stanze, progettate per una visita degli Elfi fin da quando tra i due popoli correvano tempi migliori, erano state tirate a lucido e rifornite di tutti i cibi più esotici che si potessero trovare nella Terra di Mezzo, e ogni corridoio e più piccolo anfratto riluceva di pulizia e splendore. Kìli pensò che tutto quello sfarzo fosse totalmente sprecato per della gente che viveva tra gli alberi.
Fece una smorfia e scosse la testa. “Scommetto che sono orribili. Spero proprio che non saremo costretti ad ospitarne qualcuno qui.”
“Ah, lungi da me la sola idea,” gli fece eco il fratello; poi si zittirono, mentre una fanfara squillante annunciava il loro ingresso nella Sala del Trono.

~

“Nipoti, Sorella,” li salutò Re Thorin, la voce vagamente sardonica che echeggiò nella Sala, ma le labbra tese in un sorriso affettuoso. Dietro di lui stava sua figlia, la Principessa Briala, riccamente vestita nel blu profondo del loro casato e bella come un mattino di primavera. Tutti dicevano che somigliava a sua madre, ma Kìli ricordava a malapena il volto della Regina: era morta quando entrambi erano ancora molto piccoli.
Fìli e Kìli s’inchinarono profondamente alla base della scalinata che conduceva al trono, imitati dalla madre. Un riverente silenzio era sceso nella Sala. Era raro che l’intera famiglia reale si trovasse insieme nello stesso momento, poichè i doveri quotidiani impegnavano ciascuno altrove costantemente, e c’era dunque una profonda solennità in quella riunione. Guardando suo zio, il petto di Kìli si gonfiò d’orgoglio: ecco un vero Figlio di Durin, austero e fiero, gli occhi penetranti e il torace ampio, la corona di Re sotto la Montagna che gli scintillava sulla testa, luminosa e autentica.
Il Re fece loro cenno di avvicinarsi con calore: si chinò a baciare la sorella sulle guance e scambiò un abbraccio con ciascuno dei nipoti. La Principessa si sedette su uno dei sedili imbottiti più piccoli, a un lato del trono, e Fìli si accomodò sull’altro, con Kìli che restò in piedi accanto a lui; Thorin si prese un momento per sussurrare qualcosa a sua figlia, che arrossì e rivolse una timida occhiata a un ignaro Fìli, e poi si sedette a sua volta. Un istante dopo la fanfara riprese, riecheggiando tra le mura della Sala, e le porte si aprirono.
Kìli strinse l’elsa della sua spada e assunse un’espressione il più possibile austera, anche se il cuore gli batteva forte in petto. Suo malgrado, era eccitato. Aveva trascorso quasi tutta la sua vita nella montagna, senza mai viaggiare lontano dai confini del loro regno, ed era ansioso di conoscere il mondo esterno; e proprio lì, quella sera, ecco che una boccata d’aria fresca proveniente da quel mondo veniva a tentarlo ulteriormente. A differenza di suo fratello, e malgrado le sue stesse parole, lui voleva sapere tutto sugli Elfi e gli Uomini e le altre creature che dimoravano nella Terra di Mezzo.
Il silenzio nella Sala si ingrandì mentre le trombe tacevano, e la corte degli Elfi fece il suo ingresso dirigendosi verso il trono. Kìli soffocò l’incredulità con un colpo di tosse quando vide che Re Thranduil indossava una corona di ramoscelli intrecciati con fili d’argento  e d’oro e un chiaro ed elegante abito di seta che somigliava sospettosamente a una veste femminile. Anche i suoi capelli e la pelle del suo viso erano chiari, i suoi occhi blu e calcolatori mentre osservava con disinteresse l’ambiente intorno a lui, e Kìli si calmò un pò; la profondità di molte epoche si leggeva in quegli occhi. Accanto a lui stava un elfo più basso, simile per aspetto e abbigliamento, con una coroncina d’argento meno vistosa, ma che avanzava con la stessa grazia e sicurezza.
“Credevo che il Re avesse un figlio,” bisbigliò Kìli all’orecchio di Fìli, il quale soffocò uno sbuffo divertito con il pugno. La loro madre scoccò a entrambi un’occhiata inceneritrice ed essi cercarono di ricomporsi.
“Nemmeno un accenno di barba,” commentò Fìli un momento dopo, ma Kìli lo sentì a malapena, poichè i due Elfi erano arrivati al cospetto del loro zio e, dopo essersi inchinati, si erano fatti da parte, rivelando la creatura più incredibilmente bella che egli avesse mai visto.
Lei – perchè era sicuro che fosse una lei malgrado la fuorviante femminilità degli uomini elfici – era rossa di capelli e anche da quella distanza si vedeva che aveva gli occhi verdi, occhi che rilucevano come i più puri smeraldi che fossero mai stati tagliati. A differenza del suo Re non indossava un abito, ma un’armatura elfica, con una spada  di fine fattura appesa al fianco e due eleganti pugnali incrociati dietro la schiena. Le curve del suo candido viso erano un pò affilate ma perfettamente disegnate, come fossero state create dalla mano di uno scultore particolarmente abile. Era più bassa rispetto al suo Re e al Principe – anche se, ovviamente, non quanto un Nano – e meno slanciata. Gli altri membri della Guardia, cinque in totale, erano simili a lei per statura e aspetto. Kìli aveva sentito dire che gli Elfi variavano tra loro almeno quanto i clan dei Nani, ma non credeva che le differenze fossero così pronunciate.
Aveva la sensazione di precipitare nel vuoto. Qualcosa di strano e indefinibile era cambiato in lui, riassestandosi in un modo che non capiva, ma che gli faceva sentire le farfalle nello stomaco.
Battè le palpebre tornando bruscamente alla realtà quando suo zio si alzò e andò incontro agli ospiti, ad indicare che dovevano seguirlo.
“Benvenuto a Erebor, Re Thranduil del Reame Boscoso,” disse gentilmente il Re sotto la Montagna con una voce profonda che riecheggiò per tutta la Sala.
“Siamo onorati di essere qui, Re Thorin,” rispose affabilmente il sovrano elfico, chinando la testa.
“Permettimi di presentarti mia sorella, la Principessa Dìs, e mia figlia, la Principessa Briala,” disse ancora Thorin con un cenno della mano, “e i miei nipoti ed eredi, il Principe Fìli,” suo fratello s’inchinò brevemente, “e il principe Kìli.”
Egli chinò il capo a sua volta ma non riusciva a staccare gli occhi dalla fanciulla elfica, che in quel momento stava osservando con attenzione l’ambiente intorno a loro, una mano sull’elsa della spada. Aveva l’atteggiamento di una guerriera, si muoveva con audacia e fierezza. Il cuore di Kìli era diventato un frastuono di cavalli al galoppo che gli rimbombava fino in testa.
“Mio figlio, il Principe Legolas,” aggiunse il Re elfico in tono casuale, come se stesse parlando del tempo. Kìli ardeva dalla voglia di sapere il nome dell’Elfa, ma Thranduil non sembrava avere intenzione di rivelarlo.
“Per favore,” disse Thorin, “consenti alla mia gente di mostrarvi le vostre stanze cosicchè possiate ristorarvi dalle fatiche del viaggio. Spero che vi unirete a noi per i festeggiamenti, in serata.”
La fanciulla elfica, forse avvertendo il peso del suo sguardo, finalmente si voltò verso di lui e i loro occhi si incontrarono. Una miriade di emozioni le attraversò il viso, troppo velocemente perchè Kìli potesse discernerne una, ed ella si affrettò a distogliere lo sguardo. Una leggera sfumatura di rosa le era fiorita sulle guance e lui non riusciva a smettere di sorridere.
“Certamente,” replicò Thranduil e tutti si inchinarono di nuovo. Il loro delegato, Balin, si precipitò in avanti con un gruppo di servitori e gli Elfi li seguirono graziosamente verso un’anticamera lì vicino. Kìli osservò trasecolato la fanciulla elfica che si allontanava, i lunghi capelli che le scendevano sui fianchi ondeggianti, e per un breve, esaltante momento ebbe l’impressione che si girasse verso di lui.

~

Kìli trasse un respiro profondo e si lisciò la tunica di velluto con entrambe le mani, riaggiustandosi poi la cintura e la coroncina sulla fronte per la centesima volta. Non si era mai sentito così scombussolato in vita sua e non aveva la minima idea del perchè.
Fìli lo fissò sollevando un sopracciglio. “Si può sapere che ti prende?”
Kìli sentì che le guance gli si arrossavano e scosse la testa. “Niente.”
“Ti comporti come una timida donzella,” lo schernì il fratello mentre aspettavano lo zio e la madre nel corridoio all’esterno del Salone Principale, “e sei perfino riuscito ad essere pronto in tempo. È chiaro che c’è qualcosa che non va. Ti senti male, per caso?”
Sollevò una mano per tastargli la fronte ma Kìli gliela allontanò con una manata, accigliato. Si erano entrambi cambiati per la serata e indossavano tuniche simili, di colore blu scuro ricamate con fili d’argento e d’oro; l’unica differenza era che Fìli indossava ancora il mantello, mentre Kìli no. Quei maledetti aggeggi ti si ficcavano sempre tra i piedi durante le danze, e Kìli era notoriamente un grande danzatore. Prima di quel momento aveva pensato di trascorrere la serata a ballare con ogni damigella Nana che gli capitasse a tiro, ma adesso riusciva a pensare ad una sola dama in particolare; e quel pensiero lo faceva sentire profondamente a disagio.
Fìli aprì la bocca per schernire il fratello ancora un pò, ma in quel momento la loro cugina, il loro zio e la loro madre scesero le scale, salvandolo. La principessa Briala appariva regale e bellissima in un abito azzurro decorato con molti scintillanti diamanti, i capelli sciolti fino alla vita e il viso nudo, salvo che per le basette acconciate in due trecce sottili lungo la mandibola – una nuova moda che la loro madre non approvava del tutto. Kìli ghignò e diede di gomito a Fìli: ora toccava a lui prenderlo in giro. “Stasera la tua futura sposa è proprio carina, fratello, non trovi?”
Fìli si schiarì la gola e strascinò i piedi, in un accesso di imbarazzo che non si addiceva affatto al suo carattere.
E adesso chi è la timida donzella?, pensò Kìli con aria trionfante mentre suo fratello restava là impalato a guardare Briala avanzare verso di loro. I due erano promessi fin dalla nascita della Principessa e avevano trascorso anni interi a odiarsi, combinandosi dispetti a vicenda, tormentandosi incessantemente e riducendo il Re quasi alla disperazione; ma negli ultimi anni qualcosa era cambiato e tutti se n’erano accorti, tranne forse i diretti interessati. Erano finalmente più cortesi l’uno con l’altra ma c’era sempre un certo imbarazzo tra loro, non si guardavano mai in faccia e in genere si evitavano il più possibile.
Kìli, sentendosi stranamente magnanimo, spinse il fratello in avanti; Fìli incespicò, ma si riprese subito e andò incontro alla Principessa.
“Mia signora,” mormorò e, in una rara dimostrazione di audacia, le prese una mano sfiorandola appena con le labbra in un rapido bacio; Briala divenne rossa fino alla punta delle orecchie, ma gli rivolse un sorriso luminoso e accettò il braccio che egli le porgeva. Accanto a loro, il Re e la loro madre parevano quasi scoppiare dalla soddisfazione.
Kìli poteva anche non esistere più per quel che concerneva il gruppo, che si avviò dietro al Re, cosa di cui egli fu grato; stava avendo una specie di crisi esistenziale.

~
 
La fanciulla elfica stava alle spalle del suo Re, fiera, eretta, assolutamente affascinante... e del tutto ignara della sua esistenza. Occorse a Kìli uno sforzo supremo per evitare di fissarla durante tutto il pasto, non faceva che rigirare il cibo nel piatto con un’aria imbambolata. Era talmente distratto dalla sua presenza che non si accorse minimamente della tensione che aleggiava sulla tavola fino a che Re Thranduil non la chiamò con un cenno, sussurrandole poi qualcosa nella loro lingua fluida; ella annuì brevemente e se ne andò.
Kìli la vide allontanarsi con uno strano senso di oppressione al petto, notando come i capelli di lei si accendessero di riflessi fiammeggianti quando passava vicino alle torce. Come se si fosse appena svegliato da una sorta di trance guardò il Re elfico, prendendo nota solo allora della sua espressione dura e del suo strano silenzio; c’era inoltre una piega profonda tra le sopracciglia di suo zio e sua madre teneva le labbra contratte. Anche Fìli stava fissando il piatto, ma il suo sguardo vagava spesso all’altro lato del tavolo dov’era seduta la Principessa Briala, silenziosa e contemplativa. Kìli inarcò le sopracciglia, confuso: evidentemente si era perso qualcosa.
Alcuni istanti dopo un altro Elfo venne a prendere il posto dell’attuale oggetto della sua attenzione – rifiutò di prendere in considerazione le implicazioni di quel pensiero – ed egli si schiarì la gola, scusandosi in silenzio. Solo sua madre girò gli occhi verso di lui vedendolo alzarsi da tavola, mentre suo zio si limitò ad un cenno indifferente.

~

Non si poteva certo dire che Kìli fosse giunto fin lì con la precisa intenzione di cercare la fanciulla elfica; gli era semplicemente venuta voglia di fare una passeggiata fino alle torri merlate... dopo aver chiesto innocentemente ad una guardia se gli fosse capitato di vedere un’Elfa dai capelli rossi passare da quelle parti. Sì, era solo un caso che ora si trovasse lì da lei.
Ella era in piedi con le mani poggiate sui parapetti che orlavano le grandi Porte di Erebor, il viso rivolto al cielo notturno e gli occhi che riflettevano la luce argentea della luna con perfetta chiarezza. Sembrava un sogno, o una visione; era troppo bella per essere vera.
“E’ scortese fissare le persone, Nano,” disse freddamente in quel momento, facendolo trasalire e spezzando l’incantesimo.
Egli arrossì e si schiarì la gola, uscendo dall’ombra ed emergendo nel cono di luce emesso dai bracieri accesi. “E’, ehm... una bella serata,” farfugliò, rendendosi conto solo in quel momento che non aveva ancora pensato a cosa le avrebbe detto. L’intera faccenda era pazzesca in ogni caso, lo sapeva bene, ma proprio non era in grado di dire cosa gli fosse preso. Era semplicemente curioso di sapere qualcosa sulla sua cultura, si disse; esatto, era solo questo.
Ella non si girò verso di lui. “E’ confortante essere uscita dal peso della montagna,” rispose.
Kìli aggrottò la fronte. “Stare sotto terra ti mette tanto a disagio?” Ora che era così vicino a lei, stabilì che la sommità della sua testa doveva arrivarle almeno alla base del mento; non è poi una differenza così eclatante, sussurrò la sua mente a tradimento.
“Ho trascorso tutta la mia vita nella foresta, con le stelle sopra di me; è strano ritrovarmi ora sotto terra, senza la loro luce.” Finalmente si voltò a guardarlo e allora arrossì, gli occhi sgranati, facendogli subito dopo un profondo inchino. “Ti chiedo perdono, altezza, non mi ero resa conto con chi stavo parlando.”
Lui si massaggiò timidamente la nuca. “Per favore, non scusarti. Sono curioso di conoscere il punto di vista di uno straniero sulla mia casa.”
Ella lo guardò esitante. “Ti assicuro, altezza, che non intendevo mancarti di rispetto, Erebor è magnifica e la tua gente è stata molto ospitale con noi.”
Sembrava quasi che stesse recitando una formula mandata a memoria e Kìli non potè fare a meno di ridere, il che la indusse ad assottigliare gli occhi. “Chiamami Kìli, per favore. E dicevo sul serio: m’interessa conoscere la tua opinione, la tua sincera opinione.”
La fanciulla inclinò la testa e tornò a guardare il cielo notturno. “E’ molto bello qui, solo... strano. È sconcertante alzare gli occhi e trovare solo buio e vaste caverne invece che le stelle e il cielo.”
Kìli si appoggiò a uno dei bastioni e incrociò le braccia sul petto, ostentando una sicurezza che non sentiva affatto. “Le stelle significano tanto per voi da fartene sentire la mancanza dopo sole poche ore, mia signora?” Non si era mai trovato in difficoltà a parlare con una donna, ma adesso aveva la bocca secca e non trovava le parole.
Lei strinse le labbra, riflettendo, e guardò ancora il cielo. “Il mio popolo considera sacra qualsiasi fonte di luce, ma... gli Elfi Silvani adorano in particolare quella delle stelle.”
Stranamente colpito, egli seguì il suo sguardo fino agli astri. “A me è sempre sembrata una luce fredda e remota.”
Con la coda dell’occhio la vide scuotere la testa. “E’ la luce della memoria, di tutte le ere trascorse e svanite. A volte, nelle lunghe ore della notte, cammino lì, al confine tra questo mondo e l’altro, dove c’è quella sola luce, preziosa e pura.” C’era una tale profondità e passione nelle sue parole che egli ne fu catturato suo malgrado, ancora una volta ammaliato dal suo strano incantesimo.
“C’è una caverna qui, noi la chiamiamo il Giardino della Regina, che dicono rispecchi il cielo notturno,” bisbigliò goffamente, facendola girare interessata verso di lui. “Ora che non c’è più una Regina sul trono in pochi ci vanno, ma è un posto stupendo. Le gemme e l’argento della volta superiore catturano la luce delle torce di modo che tutta la stanza luccica e brilla.”
Lei gli sorrise e i suoi lineamenti si ammorbidirono; per la prima volta gli apparve tangibile, reale, e il respiro gli si mozzò in gola. “Sembra meraviglioso, altezza; vorrei poterla vedere.”
“Potrei accompagnarti lì,” rispose subito lui, improvvisamente ansioso di mostrarle le meraviglie del suo regno. Voleva farle vedere le grandi fornaci dove il fuoco non si spegneva mai e le immense miniere da cui la sua gente estraeva pietre preziose come si colgono i frutti dagli alberi. Voleva mostrarle le botteghe in cui si creavano spade e armature, ma anche quelle in cui si fabbricavano complessi giocattoli e magnifiche opere in pietra e metallo. Avrebbe potuto mostrarle la grande biblioteca, con i suoi tomi rilegati in cuoio e le pergamene perfettamente organizzate, e poi i livelli inferiori, dove viveva la maggior parte del popolo e dove si teneva il mercato, sempre affollato di venditori e di gente festante che faceva musica e canti.
Ma il viso di lei s’indurì di nuovo e distolse lo sguardo. “Temo che non sarebbe appropriato, altezza. Io sono il Capitano della Guardia Reale, i miei doveri non lo consentirebbero.”
“Certo,” mormorò Kili, sentendosi sciocco e deluso al tempo stesso.
Lei gli rivolse un’altra occhiata, la sua espressione era indecifrabile. “Ora devo andare. Ti auguro una piacevole serata, altezza.”
Egli si inchinò brevemente. “Altrettanto a te, mia signora. Spero che avremo di nuovo occasione di parlare.”
Lei arrossì e si avviò; ma dopo pochi passi si fermò, esitante, e si volse ancora una volta verso di lui. “Il mio nome è Tauriel,” disse piano. “E’ meglio che ‘mia signora’.” Gli fece un breve, ma caldo sorriso che lo colpì al cuore come una freccia, e sparì prima che lui trovasse qualcosa da risponderle.
“Tauriel,” sussurrò Kìli tra sè e sè, guardando le stelle come se le vedesse per la prima volta.

~

Due giorni trascorsero prima che la rivedesse.
Erano stati risucchiati in una lunga e tediosa riunione per tutta la mattinata e l’attenzione di Kìli non faceva che vagare altrove, rivolta soprattutto verso una persona in particolare. Ella stava in piedi dietro al suo Re, come sempre, proprio all’estremità del tavolo rispetto a lui. Balin non faceva che parlare e parlare mentre un Elfo dai capelli scuri prendeva nota di tutto quel che diceva; qualcosa a proposito di barili, apparentemente. Ma Kìli non ascoltava più, e persino Fìli sembrava annoiato a morte.
Si appoggiò allo schienale della sedia incrociando gli occhi di Tauriel e le sorrise. Lei arrossì e avrebbe distolto lo sguardo, se non fosse che in quel momento egli si lanciò nella sua famosa imitazione di Balin, e riproduceva così bene i movimenti e le espressioni dell’anziano Nano che ella lo gratificò di una risatina, che tentò di mascherare con un colpo di tosse. Balin, da tempo avvezzo alle sue buffonate, gli lanciò un’occhiata di avvertimento ma Kìli congiunse le mani sul tavolo e si sporse in avanti, apparendo completamente assorto in quel che egli diceva; il Nano lo fissò ancora per un momento con le sopracciglia aggrottate prima di andare avanti. Kìli guardò allora Tauriel e vide che un sorriso giocoso le aleggiava ancora sulle labbra.

~

Si dirigeva alle vasche termali quando la scorse, vicino alle caverne superiori. Era circondata da un nugolo di piccoli Nani, le cui vocette sottili risuonavano squillanti di eccitazione. La vide chinarsi tra loro con un sorriso mentre essi lasciavano scorrere le dita sulle sue orecchie appuntite e sul suo viso nudo, con esclamazioni di meraviglia. Una delle bimbe più grandi le disse qualcosa all’orecchio e Tauriel si lasciò andare ad una risata divertita, il cui suono melodioso riecheggiò per tutto l’ambiente e che lo lasciò stordito.
Avvertendo il suo sguardo ella alzò il viso e lo vide, incatenandolo a lei; il suo sorriso si affievolì e qualcosa di profondo e pieno di promesse le attraversò gli occhi. Lui sopportò quello sguardo solo per pochi momenti prima di girarsi e correre via, lontano da lei e da quella marea di emozioni che aveva risvegliato in lui. Si sentiva un vero codardo.

~

Dwalin lo intercettò subito dopo colazione, il giorno seguente: Kìli gemette infastidito.
“Poche storie, ragazzo, è da quasi una settimana che salti gli allenamenti,” lo redarguì il burbero guerriero.
“Ma Dwalin –”
“Niente scuse. Recupera la tua attrezzatura e porta subito il tuo regale sedere al campo, o farò in modo che ti ci costringa tua madre.”
Kìli sbuffò e si avviò, lamentandosi ad alta voce degli istruttori sadici e delle madri troppo impiccione.
Un’ora dopo tendeva pazientemente la corda del suo arco. Era tarda mattinata e la maggior parte dei guerrieri era già stata assegnata ad altri compiti, lasciando il campo di addestramento, in particolare quello per il tiro con l’arco, praticamente deserto. Kìli scosse le braccia un paio di volte per sciogliere i muscoli, poi tornò al suo allenamento. Nonostante tutto gli piaceva tirare con l’arco; era quasi una rarità tra la sua gente, che di solito ricorreva a quell’attrezzo solo durante la caccia. Lui invece lo aveva sempre preferito. Anche la spada dava soddisfazione, certo, ma c’era qualcosa di profondamente... rilassante nel tendere la corda al massimo, nel sentire i muscoli della schiena e delle braccia che si flettevano, nel prendere la mira e lasciar volare la freccia.
Ne incoccò dunque una, prese la mira, trasse un respiro, poi un secondo, e al terzo la lasciò partire: si conficcò proprio al centro del bersaglio. Sorridendo, stese una mano per prendere un’altra freccia.
“Impressionante,” disse in quel momento una voce, facendolo saltare per aria e quasi rovesciare la faretra in terra.
Kìli si girò e vide Tauriel dietro di lui che si copriva la bocca ridente con una mano. Arrossendo furiosamente, le rivolse un goffo inchino. “Ah, buongiorno mia signora, non ti avevo sentita...”
Lei si schiarì la gola e chinò il capo a sua volta. “Le mie scuse, altezza, non intendevo spaventarti.” Ma qualcosa nei suoi occhi, nel modo in cui brillavano, diceva altrimenti. Egli fece scorrere lo sguardo dal suo viso ai suoi abiti semplici fino alle sue mani, e vide che stringevano un arco.
“Anche tu qui per fare un pò di esercizio?”
Ella annuì. “Se a vostra altezza non dispiace la compagnia di un Elfo.”
“No, naturalmente no,” rispose lui, forse un pò troppo in fretta e un pò troppo forte, arrossendo di nuovo al modo un pò troppo consapevole con cui lei lo osservava.
Ella si portò sulla sinistra della faretra e vi mise dentro le sue frecce elfiche.
“Posso?” chiese Kìli indicando la freccia che teneva in mano; lei sollevò un sopracciglio, ma poi gliela porse. Egli la studiò con interesse, dato che creava le sue frecce da sè fin da quando aveva l’età per tenere un arco in mano, e fischiò ammirato.
“E’ davvero ben fatta,” aggiunse, soppesandola. “Perfettamente bilanciata. Anche lo stile è molto interessante.”
Alzò lo sguardo su di lei e vide che sorrideva di nuovo, ma questa volto con orgoglio ed entusiasmo. “Grazie. Le ho fatte io.”
Vieppiù impressionato, le riconsegnò la freccia; per un attimo le loro dita si sfiorarono e il gesto gli diede una botta di calore alle viscere. Deglutì a vuoto e notò, con un senso di primordiale eccitazione, ch’ella trattenne il fiato prima di distogliere lo sguardo.
La osservò con vivo interesse mentre lei incoccava la freccia, tendeva il suo arco e la lasciava partire con rapidità sorprendente, colpendo a sua volta il centro esatto del bersaglio. La sua tecnica era elegante e leggermente diversa dalla sua: usava tre dita per tendere la corda e la portava fino al livello degli occhi, mentre lui preferiva usarne due e tenderla fino al mento.
“Impressionante,” le fece eco, recuperando il suo arco.
Per un pò si esercitarono senza parlare; l’unico suono che si udiva era il sibilo delle corde tese e il tonfo delle frecce nei bersagli.
"Non sapevo che i Nani usassero l'arco con tanta... efficacia," commentò lei quando fu il momento di recuperare le frecce.
Kìli si strinse nelle spalle, anche se era molto lusingato, e iniziò a strappare via le frecce dal bersaglio. "Io sono un'anomalia, in un certo senso. Di solito i Nani preferiscono il combattimento corpo a corpo, con le asce e le clave, e più le cose si fanno sanguinarie meglio è; il tiro con l'arco è un po' sprecato con noi, ma a me è sempre piaciuto.".
“Sei piuttosto bravo,” ammise lei con una certa riluttanza; egli le rivolse una ridente occhiata e sorrise.
“Detto da te è un gran complimento, mia signora,” rispose estraendo l’ultima freccia.
Ella scosse la testa, imbarazzata. “Per favore, chiamami Tauriel.”
“Solo se tu mi chiami Kìli,” replicò lui; lei lo fissò incredula. Sospirò. “Beh, per lo meno in privato. Sai, come adesso,” aggiunse agitando una mano, ad indicare la loro solitudine.
“Molto bene, alte– Kìli,” concesse lei timidamente mentre andavano a recuperare le frecce. Da parte sua, egli cercò di ignorare il modo in cui il suo cuore si era messo a cantare. Era come se nessuno l’avesse mai chiamato con il suo nome fino a quel momento, anche se non comprendeva ancora appieno le implicazioni di quel pensiero.
Scosse la testa per schiarirsi le idee. “Ti andrebbe una gara amichevole?”
Lei lo guardò, un lento sorriso sornione che le si diffondeva sul viso. “Non credere che ti lascerò vincere solo perchè sei un principe.”
Lui le fece l’occhiolino. “E tu non credere che ti lascerò vincere solo perchè sei una signora nonchè mia ospite.”
“Non me lo sognerei mai.”
Vinse lei, ovviamente.

~~~

(Note della traduttrice) Anche voi, come me, siete grandi fan della trilogia dello Hobbit, avete adorato la velata ma dolcissima storia d'amore tra Kìli e Tauriel e da quel momento vivete nella negazione più assoluta? Qua la mano, allora! Consoliamoci con le fanfictions! XD
Fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando, anche l'autrice ci tiene molto!
Alla prossima! ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** CAPITOLO II: In cui Kìli dà prova della caparbietà dei Nani ***


Autrice: ChasingPerfectionTomorrow (Tumblr / FanFictions AO3)
Fandom: Lo Hobbit (film)
Coppia: Kìli/Tauriel

~

Nelle due settimane successive s’incontrarono tutte le mattine al campo di tiro con l’arco, come per un tacito accordo che Kìli non aveva la minima intenzione di infrangere. Mentre si esercitavano (sempre meno seriamente man mano che i giorni passavano) egli parlava a Tauriel della sua infanzia e della sua vita tra le vie della cavernosa città, senza tralasciare nemmeno i dettagli più imbarazzanti pur di vederla sorridere e di udire il suono dolce della sua risata; e lei gli parlava a sua volta della sua terra, delle belle abitazioni tra gli alberi e della musica che sempre risuonava tra le antiche sale. Gli confessò anche di essersi sempre sentita un pò sola e come fuori posto per ragioni che non capiva del tutto, e il suo desiderio di vedere il resto del mondo, anche se pareva allontanarsi da lei sempre più.
Kìli imparò che ella aveva un sano senso dell’umorismo e che la sua personalità si adattava perfettamente alla sua. Si prendeva in giro in tutti i modi possibili cercando di mettersi in mostra, ma lei si limitava a scuotere la testa e a sorridere dei suoi scherzi, gli occhi scintillanti e accesi di vitalità. Gli chiese il significato delle trecce nei suoi capelli e lui gliele spiegò nel dettaglio una per una, cercando di non pensare alle promesse segrete che gli sarebbe piaciuto intrecciare nei capelli di lei. Tauriel gli insegnò alcune frasi in Sindarin, spiegandogli le sottili differenze tra quella lingua e quella degli Elfi Silvani, e lui la mise a parte di molte cose riguardanti il suo popolo, cose che avrebbero fatto diventare blu d’ira suo zio se le avesse udite; e man mano che i giorni passavano sentiva che le barriere culturali e razziali tra loro svanivano fino a che fu come se non fossero mai esistite.
In pochi giorni ella arrivò a conoscerlo meglio di chiunque altro, tranne forse suo fratello. Lui le confessò la difficoltà di trovare a sua volta un proprio posto nel mondo e della sua sensazione di sentirsi ‘diverso’ tra la sua stessa gente; lei gli narrò storie di eroi coraggiosi e di tempi lontani in cui egli non era ancora nemmeno un pensiero nella mente di sua madre, quando l’orizzonte era più luminoso e c’era meno ombra sulla Terra.
“I confini del nostro Regno si restringono un pò di più ad ogni decennio,” gli disse piano lei un giorno, verso il tramonto, mentre sedevano su una panchina di pietra con gli archi al loro fianco. “L’oscurità avanza nella nostra foresta giorno dopo giorno, ma invece di combatterla preferiamo ignorarla e nasconderci.” La sua voce aveva assunto una sfumatura amara, gli occhi le lampeggiavano.
Kìli aggrottò la fronte appoggiando la testa all’indietro. “Il mio bisnonno e mio nonno morirono pochi anni prima che io nascessi, nel tentativo di riconquistare Khazad-Dûm, e poi anche la Regina, quando ero ancora un bambino. Credo sia a causa di tutto ciò che mio zio in questi giorni non vede altro che la Montagna Solitaria, malgrado le voci di un grande nemico su al Nord. Ce ne stiamo tra i nostri tesori e le nostre caverne senza mai mettere il naso all’esterno.”
“Forse i nostri popoli hanno molte più cose in comune di quanto credano,” disse lei; Kìli ridacchiò e annuì amaramente. “Siamo entrambi piuttosto bravi a dimenticarci che anche noi siamo parte di questo mondo.”
I loro occhi si incontrarono e qualcosa di profondo e pregno di significato passò tra essi. Kìli sapeva che lei doveva avere molti più anni di lui – decenni, forse addirittura secoli – ma in quel momento il tempo non esisteva, o forse non aveva semplicemente significato; c’era solo luce, preziosa e pura come le stelle che le erano tanto care.
“Cosa mai potrà venire di buono se lasciamo che il male cresca senza sosta, incontrastato, incontrollato?” domandò ancora lei prima di distogliere lo sguardo, gli occhi offuscati da un antico dolore. “Cosa mai resta di buono nel mondo se non facciamo niente per cambiare le cose, per migliorarle?”
“Tauriel...” cominciò lui, ma ella scosse la testa e gli rivolse un tenero sorriso che gli sciolse il cuore. C’era una strana tristezza in lei, come di qualcuno che ha perso molto, ed egli ardeva dal desiderio di prenderle le mani tra le sue e stringerle forte; avrebbe potuto farlo se lei non si fosse alzata in piedi in quel momento, traendo dei respiri profondi per ricomporsi.
“Ti va una rivincita?” lo sfidò, gli occhi che lo imploravano di lasciar perdere l’argomento.
“Ci sto,” rispose lui, anche se avrebbe preferito di gran lunga restare lì a parlare con lei fino a che non fosse stata notte inoltrata, ascoltando il suono morbido della sua voce e memorizzando tutte le espressioni del suo viso.

~
 
“Stavo pensando, zio,” disse Kìli con noncuranza il giorno seguente, dopo colazione, “che sarebbe una buona idea portare gli Elfi a visitare la zona del Mercato.” Erano solo loro due nella sala da pranzo privata della famiglia reale. Si era accertato che sua madre e suo fratello se ne andassero prima di parlare, gingillandosi con il proprio piatto fino a che tutte le sedie non furono vuote; Thorin alzò gli occhi dalle carte che stava leggendo, chiaramente sorpreso di trovarlo ancora lì.
“Che vuoi dire?” domandò, già sulla difensiva.
Kìli si schiarì la gola e aggiunse, con tutta la casualità possibile, “Beh, stavo solo pensando che sarebbe, come dire... istruttivo per loro se gli facessimo vedere come vive il nostro popolo.”
Thorin sollevò un sopracciglio con aria scettica. “E tu credi davvero che Re Thranduil sarebbe incline a visitare i livelli inferiori della città? Non sono del tutto sicuro che apprezzerebbe la vista del fango e dei maiali per le strade, Kìli.”
“Va bene, forse il Re no, ma qualcun altro sì e secondo me sarebbe bene, sai... condividere la nostra cultura per rinsaldare i rapporti tra noi,” concluse Kìli, agitando una mano imbarazzato.
Ci fu un lungo silenzio mentre Thorin corrugava anche l’altro sopracciglio. “Correggimi se sbaglio, nipote, ma ti stai offrendo volontario per scortare una delegazione di Elfi in una gita culturale?”
Kìli sentì un brivido risalirgli lungo la schiena e si strinse nelle spalle. “Ehm, ecco, in un certo senso...? Voglio dire, sì, sì, assolutamente.”
Thorin mise da parte i suoi documenti e si sporse sul tavolo, piantandogli gli occhi addosso; occorse a Kìli uno sforzo supremo per non tremare sotto quello sguardo penetrante.
“E’ una buona idea,” disse alla fine Thorin con riluttanza, non credendo quasi alle sue stesse parole. “Dirò a Balin di accompagnarvi.”
Kìli gli sorrise con gratitudine. “Grazie, zio...”
“Mi aspetto che ti occupi tu di tutto, Kìli, e vedi di non presentarti all’ultimo minuto.”
Kìli scosse la testa e balzò in piedi, sperando di riuscire a contenere l’eccitazione. “Certo che no, non me lo sognerei mai.”
Thorin sembrava ancora scettico mentre lui chinava il capo e si girava per andarsene, ansioso di raccontare il suo piano a Tauriel e sperando ch’ella si unisse a lui.
“E, Kìli?” lo richiamò suo zio mentre era sulla porta. “Mi fa piacere vedere che cominci a prendere sul serio certe questioni. So che a volte possono essere noiose, ma quando tuo fratello sarà Re, un giorno, avrà bisogno del tuo aiuto.”
Kìli si morse un labbro, cercando di tenere a bada il senso di colpa. “Grazie ancora, zio, farò del mio meglio.”

~
 
“E’ sempre così rumoroso qui?” si lamentò il Principe Legolas con aria corrucciata, mentre qualcuno che suonava un corno da qualche parte si lanciava in una nota particolarmente acuta; egli sembrava tanto scontento di essere lì quanto Kìli lo era di averlo nel loro piccolo gruppo.
“In realtà credo si stiano mettendo in mostra per te, altezza,” gli rispose in tono allegro.
Si trovavano nel Distretto Zaffiro, uno dei posti che amava di più frequentare con suo fratello ogni volta che riuscivano a sgattaiolare via dagli obblighi di corte. Lì c’erano le migliori osterie, cibo, musica... e donne, ovviamente, anche se in quel momento lui era interessato a una sola donna in particolare e a mostrarle quanto di meglio la sua cultura aveva da offrire.
“Forse dovremmo proseguire,” suggerì goffamente Balin – il poveretto sembrava invecchiato di almeno 30 anni durante le ultime tre settimane – richiamandoli lontano dalla via più vivace in un ampio cortile.
Kìli lanciò un’occhiata a Tauriel, vestita della sua armatura e con una mano sull’elsa della sua spada, e fu contento di vedere che si guardava intorno con un sorriso colmo di interesse. Il cortile era pieno di Nani, tutti eccitati all’ avere lì il loro Principe con quei notevoli stranieri al seguito. La sua gente aveva accolto la possibilità di dare sfoggio della loro cultura con un entusiasmo che Kìli non aveva previsto. Ovunque guardasse c’erano banchi carichi di tutte le merci possibili e immaginabili, armi, stoffe, giocattoli, gioielli; giocolieri, musicanti, mangiatori di fuoco e cantastorie indugiavano a ogni angolo, attirando folte schiere di spettatori. A quanto pareva il comune odio per gli Elfi era temperato solo dal desiderio di impressionarli.
Mentre Balin cercava di spiegare a Legolas la tipologia della loro architettura, Kìli ne approfittò per avvicinarsi a Tauriel. “Allora, che ne pensi?” le chiese, con un sorriso accattivante.
Lei gli restituì il sorriso, con occhi scintillanti. “E’ davvero un posto vivace. Ma cosa cantavano prima?”
Lui si strinse nelle spalle. “Solo una vecchia canzone di minatori sul roteare asce e far piovere gemme dal cielo. E per caso c’erano anche un pò di barbe e di teste di orchi fatte ruzzolare via e danze sfrenate sui loro cadaveri...”
“Molto nanesca.”
“Cioè, profondamente simbolica e filosofica?”
“Naturalmente,” concordò lei impassibile; ed entrambi scoppiarono a ridere.
Balin richiamò il principe elfico presso un banco su cui erano esposte spade e pugnali di fattura nanica, e per la prima volta in tutto il pomeriggio egli apparve vagamente interessato. Fiducioso nella distrazione del principe, Kìli condusse Tauriel presso un altro banco vicino.
“Sono bellissimi,” mormorò l’Elfa facendo scorrere le dita su alcuni diademi in fine argento e diamanti.
“Non ne troverete l’uguale in tutta Erebor, mia signora,” disse orgogliosamente il venditore, gonfiando il torace e accarezzandosi la barba argentea.
“E’ così ben fatto,” disse ancora Tauriel, toccando un altro diamante da cui era stata ricavata la forma di un drago: ciascuna scaglia della sua pelle era perfettamente cesellata e i due rubini che aveva per occhi catturavano la luce in modo tale che sembravano mandare scintille di fuoco. “Sembra vivo.”
Kìli, sentendosi un pò sciocco, sollevò tra le dita una collana fatta di sottili fili di mithril intrecciato con piccoli smeraldi dell’esatto colore dei suoi occhi: non aveva mai dato molto peso ai gioielli prima d’allora, ma quell’oggetto sembrava fatto apposta per lei. Adesso credeva di capire perchè Fìli s’incantasse tanto a guardare stoffe e pietre preziose quando pensava che nessuno lo vedesse.
“Le maglie sono così sottili... sembrano tele di ragno,” disse piano Tauriel sbirciando da sopra la sua spalla, con un tono vagamente bramoso.
“Un dono,” disse il venditore, “per questa amabile signora.”
Ma Tauriel si tirò indietro scuotendo la testa con veemenza. “Oh, non posso proprio...”
L’uomo aprì la bocca per insistere, ma in quel momento Balin li richiamò ed ella assunse un’espressione confusa e sollevata al tempo stesso, prima di raggiungere Legolas.
Kìli fissò il gioiello nella sua mano e tirò fuori una gran manciata di monete, sapendo che probabilmente era troppo e non curandosene affatto. “Incartamelo, ti spiace?”
“Certamente, altezza,” rispose subito il venditore; il suo tono di voce era neutrale, ma i suoi occhi ammiccavano consapevoli.

~
 
La taverna straripava di persone e il Principe Legolas sembrava del tutto intenzionato a rifiutare di entrarvi, ma poi si girò verso il volto entusiasta del suo Capitano e Kìli lo vide capitolare, rassegnato. Ebbe subito la netta impressione che tra loro ci fosse più che una mera cortesia professionale, specie da parte del Principe, e si sentì travolgere da una rabbia improvvisa e irrazionale; con un certo sforzo, si costrinse a sorridere.
“Il primo giro sta a me!” esclamò ammiccando mentre Balin roteava gli occhi impotente. Thorin aveva messo in chiaro che quella gita sarebbe stata responsabilità sua; e che razza di anfitrione sarebbe stato se non avesse mostrato ai suoi ospiti tutte le meraviglie del suo popolo, inclusa la loro birra?
Stringendo quattro tazze piene fino all’orlo, ne porse ciascuna ad ogni membro del gruppo e sollevò in alto la sua. “Al consolidamento di nuove amicizie e nuove alleanze,” disse vivacemente. Tenne gli occhi incollati in quelli di Tauriel mentre lei sollevava la sua tazza e ne beveva un piccolo sorso, le guance accese di un lieve rossore. Non gli sfuggì nemmeno il fatto che il Principe faceva guizzare lo sguardo ora su di lui ora su di lei, con occhi indagatori; ma non riuscì ad evitare che le sue labbra si stendessero in un sorriso compiaciuto, che cercò di mascherare bevendo una lunga sorsata di birra fresca.
“Principe Kìli!” chiamò una voce familiare ed Ori sbucò tra la folla, il viso acceso di entusiasmo fino a che non scorse i due Elfi che torreggiavano su tutti gli altri. Come avesse fatto a non notarli fino a quel momento era un vero mistero, ma del resto Ori era noto per essere uno che non faceva mai caso a ciò che aveva intorno; colpa del troppo tempo che trascorreva col naso ficcato tra vecchi tomi polverosi.
“Oh, ah...” balbettò, inchinandosi imbarazzato. “Altezza, mia, ehm... signora.”
Kìli lo strinse in un rude abbraccio e disse, “Cugino Ori, ti presento il Principe Legolas del Reame Boscoso e Lady Tauriel, Capitano delle Guardie Reali.”
“E’ – é un piacere,” rispose Ori, arrossendo.
Il Principe si limitò a un lieve cenno del capo, annusando acidamente la sua birra, ma Tauriel gli sorrise con gentilezza. “Piacere mio, Lord Ori” gli disse, facendolo arrossire ancora di più; era chiaro che anche Ori era rimasto alquanto colpito da lei.
“Allora, come va il tuo lavoro in biblioteca?” chiese Kili all’altro Nano con simpatia.
“O – oh, molto bene, molto bene davvero. Ma Nori ed io speravamo che tu suonassi per noi; a quanto pare il violinista della taverna si è dileguato.”
Stavolta toccò a Kìli arrossire. “Ah, uhm, non saprei Ori, stavo facendo fare al Principe Legolas il giro della città e...”
“Per favore,” intervenne il Principe fissandolo con una certa malizia, “sarei onorato di sentirti suonare, altezza.”
Kìli trattenne un’occhiataccia, leggendo la silenziosa sfida negli occhi del Principe, e con determinazione si dispose al compito. “Va bene, Ori,” disse con fermezza. “Suppongo tu abbia un violino a portata di mano?” Spinse la sua birra in direzione di Balin, che sembrava sempre più confuso, e seguì l’entusiasta cugino.
Un momento dopo, con un violino ben stretto in mano, balzava su uno dei tavoli in un boato di applausi: fece un profondo inchino a tutta la sala, indirizzò un occhiolino impertinente a Tauriel – senza curarsi minimamente dello sguardo iroso del Principe – ed esclamò: “Cantate con me se conoscete questa canzone, signore e signori!”
Cominciò a battere un piede per darsi il ritmo, che subito la gente fece suo mettendosi a battere le mani, e mise mano allo strumento intonando una complicata e vivace melodia; dopo solo pochi secondi l’intero locale fu scosso da voci di Nani che cantavano tutti insieme nella lingua corrente. Per tutto il tempo Kìli tenne gli occhi fissi in quelli di Tauriel, beandosi del calore del suo sorriso mentre lei batteva entusiasticamente le mani insieme agli altri e a quel punto avrebbero anche potuto essere rimasti i soli in tutta la taverna, perchè lui suonava solo per lei e lei aveva occhi soltanto per lui.

~
 
La incontrò il pomeriggio seguente lungo i corridoi del palazzo, mentre si recava ad incontrare lo zio e il fratello; le sembrò in grave difficoltà.
“Tauriel!” esclamò, preoccupato. “Cosa c’è, non ti senti bene?”
Lei trasalì, evidentemente sorpresa di vederlo, e gli rivolse un’espressione di accurata freddezza che lui non le aveva mai visto in viso fin dalla prima volta che avevano parlato sui bastioni.
“Va tutto bene, maestà,” gli rispose seccamente distogliendo lo sguardo; Kìli aggrottò la fronte, sentendo che c’era qualcosa di terribilmente sbagliato in tutto ciò.
“Sicura che non ci sia niente che possa fare per –?”
“Tauriel,” disse in quel momento una voce severa; Kili si girò e vide il Principe Legolas che li fissava con un’espressione di muto rimprovero.
“Chiedo scusa, mio signore,” disse lei e un momento dopo era sparita, oltrepassando il suo Principe senza più voltarsi indietro.
Il Principe fissò Kìli per un lungo momento e un silenzioso ma fermo avvertimento si leggeva nei suoi occhi. Kìli sostenne il suo sguardo, anche se il cuore gli batteva forte di trepidazione. Un istante dopo il Principe lo lasciò senza dire un’altra parola; Kìli deglutì a vuoto, sperando inutilmente di sciogliere il groppo che gli serrava la gola.

~
 
Da quel momento in poi Tauriel lo evitò: non venne più ad esercitarsi nel campo di tiro con l’arco e non lo guardava mai in viso se le circostanze la obbligavano a stare nella stessa stanza con lui. Il Principe Legolas pareva altamente soddisfatto e Kìli dovette combattere il desiderio di cancellargli quel ghigno dal bel viso a suon di pugni; era tutta opera sua, non aveva il minimo dubbio.
Più i giorni passavano e più l’indifferenza di lei lo rendeva scontroso e agitato con gli altri.
“Si può sapere che ti prende?” gli chiese Fìli una mattina a colazione, dopo che Kìli aveva aspramente ripreso una delle cameriere che aveva lasciato cadere una forchetta.
“Nulla,” rispose truce il fratello distogliendo lo sguardo.
“Sono tre giorni che sei nervoso come un maiale in trappola; che ti succede? Dwalin ti sta di nuovo col fiato sul –?”
“Lascia perdere, Fì,” sibilò Kìli alzandosi da tavola; improvvisamente non aveva più fame.
Ma Fìli lo bloccò prendendolo per un braccio e costringendolo a guardarlo in faccia. “Se è per l’Elfa, allora sei tu che dovresti lasciar perdere, Kì. So che non te ne sei accorto ma i negoziati con loro sono molto tesi, e l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è –”
Kìli si liberò con uno strattone furibondo. “Ti ho detto di lasciar perdere, Fì. Non sono affari tuoi, accidenti!”
Fìli assunse un’espressione profondamente ferita, ma Kìli si voltò e lasciò la stanza a grandi passi; aveva bisogno di schiarirsi le idee.
Il fato volle che trovasse Tauriel di nuovo sui bastioni: teneva gli occhi chiusi e offriva il viso al tardivo vento d’autunno, che le faceva sventolare i capelli come una bandiera. Kìli sentì che il cuore gli batteva forte e che lo stomaco si metteva a fare le capriole, come sempre gli accadeva in sua presenza, ma si fece coraggio e si avvicinò a lei, raddrizzando le spalle e intenzionato ad avere risposte.
“Mi stai evitando,” esordì; lei si girò sorpresa, per poi voltarsi di nuovo dall’altra parte quando vide che era lui.
“Certo che no, sono solo molto occupata...”
“Per Mahal, non mi guardi nemmeno in faccia!” sbottò lui, i pugni stretti lungo i fianchi. Sapeva che non si stava comportando in modo razionale, ma l’indifferenza di lei e lo scherno del Principe avevano smosso qualcosa di stranamente simile alla gelosia in lui.
Ella gli lanciò un’occhiata fulminante. “E perchè mai dovrei guardarti? Cosa sono io se non un umile Elfo al servizio del suo Re? Non sono niente per te...”
Niente?” la interruppe Kìli, incredulo. “Come puoi pensare questo di te stessa?”
Il cipiglio di lei si approfondì e si mosse per allontanarsi. “Non prenderti gioco di me,” sibilò con voce tremante di sdegno.
Kìli le andò dietro – la sua incoscienza innata ebbe il sopravvento – e le sbarrò la strada; rimase sconvolto nel vedere che aveva gli occhi pieni di lacrime.
“Perdonami, Tauriel, non intendevo offenderti,” sussurrò; la sua rabbia era già scemata e le prese le mani senza pensarci, stringendo le dita intorno alle sue. Era come se qualcuno avesse instillato una fiammella tra loro che, adesso che erano di nuovo insieme, ruggiva a vita nuova più forte di prima; ella rabbrividì, mentre le pupille le si dilatavano significativamente.
“Come puoi credere di non essere niente per me, o per chiunque altro?” le chiese ancora lui seriamente, avvicinandosi di un passo a lei.
Ella trasse un respiro tremante. “Tutto questo è folle, Kìli. Quel che c’è tra noi...”
“Beh, sai cosa si dice dei Nani," sorrise Kìli. "Sono dei veri testoni e non hanno neppure un briciolo di buon senso.”
“E’ davvero questo che si dice?” chiese lei, sollevando un sopracciglio.
Lui si strinse nelle spalle, accarezzandole i palmi con i pollici. “Uhm... magari lo dicono di un solo Nano in particolare.”
Tauriel gli sorrise, un piccolo sorriso che stavolta le raggiunse anche gli occhi e sciolse un pò della tensione in lei. “Mi domando chi possa essere.”
Kìli fece un altro passo verso di lei, guidandola in una rientranza ombreggiata dalla montagna sovrastante. “Ah, non ne ho la più pallida idea.”
“Kìli,” sussurrò lei; paura, incertezza e desiderio si leggevano nel suo sguardo mentre lui stendeva una mano e le sistemava una ciocca di capelli dietro un orecchio, poggiandogliela poi sulla guancia; lei chiuse gli occhi e, con un sospiro tremante, premette il viso sul suo palmo.
“Mia madre dice che sono spericolato,” mormorò lui, avvicinandosi ulteriormente e avvertendo il profumo di lei, un sentore dolce come di brezza ed erba che gli mandò un fiotto di calore all’inguine.
Lei tenne gli occhi chiusi. “E lo sei?”
Lui immerse le dita tra i suoi capelli, saggiandone la morbidezza e inclinando il viso di lei verso il suo. “Nah,” sussurrò, un attimo prima di alzarsi in punta di piedi e catturare le sue labbra con le proprie, soffocando il suo lieve gemito di sorpresa.
Aveva già baciato diverse damigelle in vita sua, ma quelle erano conquiste del tutto insignificanti a paragone di quel bacio. Il sangue gli cantava nelle orecchie e il mondo tutt’intorno non esisteva più. Era come se non fosse mai vissuto fino a quel momento, un pensiero che sarebbe stato terrificante se quell’istante non fosse stato così tremendamente meraviglioso; era come rinascere.
Lei era esitante, dolce, insicura mentre lui continuava a baciarla; ma le sue dita lo raggiunsero e trovarono il suo viso e i suoi capelli fermandosi poi sulla barba, come affascinate da quella rude consistenza. Kìli premette gentilmente la lingua sulle sue labbra, che tremarono un pò prima di schiudersi e accoglierla al loro interno; subito egli reclamò la lingua di lei, le sue mani salirono ad accarezzarle le orecchie strappandole un gemito di piacere dalla gola che lo fece quasi ringhiare di desiderio.
Fu lei la prima a scostarsi e appoggiò la fronte alla sua; entrambi respiravano affannosamente. “Non dovremmo,” sussurrò con voce poco convincente.
“Sì, dovremmo” le rispose lui, baciandola ancora.

~
 
“Non posso restare a lungo,” bisbigliò lei sedendoglisi accanto mentre il sole tramontava nel cielo, ammorbidendo i suoi lineamenti e facendole brillare gli occhi. Lui stese una mano e tracciò con le dita la strada che una ciocca di capelli si faceva lungo il suo collo e la clavicola, godendo del modo in cui il suo tocco la fece rabbrividire. Solo dopo il pasto serale era riuscito a venire via inosservato.
“Lo so,” mormorò, tracciando poi con le labbra il percorso fatto dalle dita. Lei gemette dolcemente in risposta e gli infilò le dita tra i capelli, tirandolo piano verso di lei. Certo che fosse opportunamente distratta, Kìli le fece scivolare la collana intorno al collo chiudendola poi con un rapido movimento prima che lei potesse reagire. Aveva trascorso nottate intere ad esercitarsi a farlo nella sua stanza; non che l’avrebbe mai ammesso con nessuno.
Si fece indietro soddisfatto di sè, mentre lei toccava le sottili maglie fissandolo con occhi sbarrati. “Kìli, non posso –”
“E’ un dono,” la interruppe, sorridendo e arrossendo come un ragazzino alla sua prima cotta.
Tauriel scosse la testa e fece per togliersela. “Ma è troppo bella...”
Lui le fermò le mani con gentilezza e le baciò le nocche. “Non c'è dono che lo sia abbastanza.”
La bocca di lei si sollevò rassegnata agli angoli. “Non c’è nulla che possa dire per farti cambiare idea, vero?”
Lui le rivolse un largo sorriso e poi fece scorrere le dita lungo le finissime maglie del gioiello, pericolosamente vicine al rigonfiamento dei suoi seni sopra lo scollo della tunica. “Non una singola parola.”
“Nano testone,” lo accusò lei, anche se già inclinava la testa verso il basso e le sue dita strisciavano con bramosia lungo la sua mandibola.
“Elfa ostinata,” rispose lui catturando delicatamente il suo labbro inferiore tra i denti, beandosi del gemito di piacere che ottenne in risposta.

~
 
“Morirono quando ero ancora molto giovane,” sussurrò lei dopo un lungo silenzio mentre le fiamme delle torce si abbassavano, gettando lunghe ombre sul corridoio deserto; grazie ad anni di pratica nell’elusione delle proprie responsabilità, Kìli conosceva più di un posto in cui potevano restare soli.
Le prese una mano e la strinse forte; il suo cuore era colmo di pena per lei. “Come?” la incoraggiò, sentendo che, malgrado l’apparente riluttanza, era un argomento che ella desiderava condividere con lui.
Tauriel fece un respiro profondo e chinò la testa, lasciando che i capelli le nascondessero un pò il viso. “Un’imboscata di orchi, mentre tornavano da una battuta di caccia.”
Kìli deglutì e le strinse la mano ancora di più.
“Io... beh, oramai li ricordo a malapena, ma ho... perso qualcosa quel giorno,” continuò lei, alzando infine la testa e rivelando le lacrime che le brillavano negli occhi. “Era come se stessi svanendo. È stato il Re a riportarmi indietro, mi ha presa con sè, mi ha dato una sorta di nuova vita.” La sua voce aveva acquisito una sfumatura amara ed ella scosse il capo. “Mi ha trasformata in un’arma da puntare in qualsiasi direzione egli veda un pericolo. E per lungo, lungo tempo ho dimenticato cosa voglia dire... provare un’emozione qualunque. Mi convincevo che non ne avevo bisogno, che la compassione e la gentilezza fossero debolezze da sopprimere ad ogni costo.”
Si girò verso di lui e il suo sorriso triste si tramutò in uno pieno di profonda gratitudine. “Tu mi ricordi ciò che ho perso quel giorno di tanto tempo fa. Mi ricordi cosa vuol dire provare passione e gioia e... e qualunque cosa ci sia tra noi, Kìli, io te ne sarò per sempre grata.”
“Tauriel,” sussurrò lui, asciugandole una lacrima dalla guancia. “Sei tu che mi dai uno scopo, una via da seguire. Non avevo mai provato nulla di simile prima d’ora in tutta la mia vita. Io... T – tu...”
“Shh,” lo interruppe lei mettendogli un dito sulle labbra, il suo sguardo di nuovo triste e impenetrabile. “Va bene così. Potrebbe essere tutto ciò che avremo mai.”
Lui si tirò la sua testa sul petto con un cupo ringhio e la baciò a lungo sulla fronte. “Giuro che non lo sarà,” bisbigliò con veemenza, stringendola forte. “Lo giuro.”

~
 
“Gli altri non la vedranno?” chiese Tauriel; la sua voce era dolce, ma il tono era difficile da decifrare. Kìli non poteva vederla in viso poichè gli dava le spalle, ma sospettava fosse accigliata. Le passò una mano sul braccio in una rilassante carezza e le baciò la parte esposta del collo, strappandole un lieve sospiro.
“Hai così tanti capelli,” mormorò, un pò in risposta e un pò in un’adorante constatazione. “Te la farò molto piccola, così potrai nasconderla facilmente nel mezzo” ragionò, il cuore che gli batteva all’impazzata in petto. Fin dal primo momento in cui l’aveva incontrata il mondo sembrava essere divenuto tutto una sfocatura e gli eventi gli scorrevano intorno senza che lui quasi se ne accorgesse.
Che Mahal lo aiutasse, la desiderava così tanto che era diventata una sofferenza fisica. Voleva rimuovere lentamente tutti gli strati del suo vestiario così come quelli del suo cuore fino a che non fossero stati entrambi nudi e vulnerabili l’uno di fronte all’altra, con nient’altro che luce e musica tra essi; voleva catturare il suono della sua risata e tenerlo con sè per sempre; voleva continuare a vedere il suo sorriso per tutti i giorni della sua vita e vederla arrossire alle sue battute audaci fino al momento della sua morte; voleva tenerla per mano e non lasciarla andare mai più.
“Se ne sei certo...” mormorò lei, la paura che le faceva tremare la voce.
“Lo sono,” rispose subito lui con fermezza, cercando di non pensare al significato di ciò che le sue parole comportavano e alla promessa impossibile che si stavano scambiando.
Con mani leggermente tremanti intrecciò con attenzione una treccia sottile alla base del collo di lei; era più piccola di come avrebbe voluto la tradizione, ma era lo stile che contava – un’altra delle cose su cui aveva fatto pratica a lungo nella solitudine della sua stanza. Nel silenzio più totale la fermò con un semplice filo d’argento, profondamente rammaricato dal non potervi apporre un gioiello ben più vistoso. Un giorno, un giorno, si disse.
“Ecco,” esalò mentre un emozione potente e improvvisa gli serrava la gola, e fece scivolare la treccia tra le dita lasciandola fondersi con il resto della massa fiammeggiante. “Fatto.”
“Questa è follia,” sussurrò lei, voltandosi a guardarlo con occhi in cui si leggevano tutta la sua paura e le sue speranze.
“Sì,” concordò lui, poggiando la fronte alla sua. La baciò lentamente e a lungo; poi le mostrò come intrecciare la loro segreta promessa nei propri capelli, continuando a ripetersi che sarebbe andato tutto bene.
Doveva andare tutto bene. Perchè ormai non era più certo di poter vivere senza di lei.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** CAPITOLO III: in cui Kìli fa la sua scelta ***


Autrice: ChasingPerfectionTomorrow (Tumblr / FanFictions AO3)
Fandom: Lo Hobbit (film)
Coppia: Kìli/Tauriel

~

Parecchi giorni dopo – Kìli aveva costantemente l’impressione di camminare sollevato a un metro da terra – giunse il momento in cui gli Elfi avrebbero fatto ritorno alla loro patria, e una grande festa era stata organizzata per salutarli degnamente. Kìli si sarebbe sentito a pezzi se non fosse stato così sicuro che Tauriel sarebbe rimasta; erano promessi, dopotutto.
Si vestì con più attenzione e cura di quanto avesse mai fatto in vita sua, spendendo molto più tempo di quanto avrebbe mai ammesso a scegliere l’abbigliamento perfetto per l’occasione e tuttavia sentendosi completamente inadeguato. Fìli lo trovò che si lisciava la tunica davanti allo specchio: Kìli vi vide riflesso lo sguardo del fratello maggiore e notò che era turbato e come diffidente. Ricordando la scena accaduta qualche tempo prima a colazione, si sentì sommergere dalla vergogna.
“Kìli, dobbiamo parlare...”
“Mi dispiace moltissimo, fratello,” lo interruppe Kìli raggiungendolo e stringendogli le braccia. “Non avrei dovuto parlarti in quel modo. Mi perdoni?”
Fìli esitò, ma poi gli sorrise brevemente. “Certo, ma non è per questo che sono qui.”
Gli indicò le seggiole davanti al focolare e si sedettero l’uno di fronte all’altro. Nella stanza come sempre regnava il più completo disordine – Kìli avrebbe proprio dovuto decidersi a sistemare quel caos di frecce, pugnali, abiti sporchi e briciole, prima o poi – ma in qualche modo si adattarono.
“Ascolta, Kì, dobbiamo parlare di... beh, di qualunque cosa stia accadendo tra te e l’Elfa.”
Kìli represse un sospiro insofferente. “Non c’è nulla da dire...”
“Vuoi starmi a sentire, per una volta?” sbottò suo fratello. “Lo zio comincia ad essere sospettoso e irritato.”
Kìli fissò accigliato i propri stivali. “E allora? Lascia che si irriti.”
Fìli sbuffò esasperato. “Questo capriccio deve finire, Kìli, interferisce con i negoziati di pace e –”
“Non è un capriccio,” mormorò Kìli, facendo tacere il fratello. “Io...” esitò, le mani che stringevano la stoffa dei pantaloni. “Credo di amarla... anzi, so di amarla.”
Fìli gemette incredulo e si lasciò ricadere sulla sedia. “Non puoi dire sul serio! Giuro che tra tutte le stupidaggini che hai fatto questa è sicuramente –”
“Ehi!” protestò lui offeso, ma suo fratello lo ignorò.
“Nostro zio non acconsentirà mai, Kìli. Mai.”
Kìli si sentì ribollire di rabbia e scattò in piedi. “Non mi interessa avere il suo consenso.”
“Lei è un Elfo! Sono immortali, non muoiono mai...”
“So cosa vuol dire essere immortali, Fì, grazie tante!”
Fìli balzò in piedi a sua volta e lo afferrò per le spalle, costringendolo a guardarlo in faccia. “E cosa accadrà quando un giorno tu morirai e la lascerai? Ci hai pensato? La abbandonerai senza il conforto del suo popolo – nè tantomeno del nostro? La condanneresti a un simile destino?”
Kìli scosse la testa ostinatamente. “Non puoi saperlo! Non sai cosa proviamo l’uno per l’altra...”
“E tu?” gli chiese il fratello con serietà, guardandolo fisso. Kìli lo spinse via con rabbia.
“Lei mi fa sentire vivo, Fì!” esclamò. “Prima che arrivasse a Erebor tutti i giorni erano uguali per me, non avevo alcuno scopo, alcun obiettivo, se non quello di vivere all’ombra di mio fratello maggiore.” Fìli trasalì a queste parole, ma Kìli non vacillò. “Non ho chiesto io di provare questi sentimenti, ma non farò finta che non esistano. Tutti meritiamo di essere fautori del nostro destino.”
Fìli sospirò e si passò una mano tremante sulla barba. “Tu sei mio fratello e io desidero solo la tua felicità, ma questo... questo è sbagliato, Kì, sono certo che lo sai anche tu.”
Kìli riflettè attentamente su quelle parole; c’era del vero in esse, ma la verità insita nel suo cuore gridava più forte. “Se l’amore è sbagliato, Fì, allora cosa ci resta? Se veniamo costretti a tradire il nostro cuore, cosa mai potremo fare di buono della nostra vita?”
Fìli continuò a fissarlo e nel suo sguardo si leggeva un conflitto tremendo; poi gli si avvicinò e lo strinse in un rude abbraccio. “Ti prego, ritrova la ragione: nostro zio ti bandirà, il nostro popolo ti disprezzerà. Non farlo, fratello mio.”
Kìli chiuse gli occhi e rispose all’abbraccio, mentre un dolore improvviso gli stringeva il cuore come una morsa. “So quello che provo, Fì, e non ho paura. Mi dispiace, fratello, ma è già troppo tardi.”
 
~
 
Avia lo trovò non appena entrata nella sala da ballo e ci volle tutto l’autocontrollo di cui Kìli era capace per impedirsi di gemere ad alta voce. La figlia di Dàin Piediferro era una ragazzona grande e grossa, con un’espressione perennemente acida in volto come se avesse mangiato un limone troppo aspro e una personalità in perfetta sincronia.
“Che piacere rivederti, cugina,” la salutò Kìli a denti stretti e desiderando disperatamente di fuggire. Avrebbe potuto rifugiarsi da Fìli, ma Briala aveva già catturato la sua attenzione e non c’era da sperare di ricevere alcun aiuto da quella parte. Avia era l’ultima persona che avrebbe voluto vedere quella sera. Aveva sperato che il signore dei Colli Ferrosi non sarebbe arrivato in tempo per il ballo – una speranza vana, a quanto sembrava. Tutti sapevano che la figlia di Dàin gli teneva gli occhi addosso da tempo e che sollecitava costantemente il padre ad organizzare un’unione tra loro due; per fortuna Thorin sembrava diffidare di Avia almeno quanto lui, ma sapeva che molti invece favorivano quel matrimonio.
Avia gli sorrise sbattendo rapidamente le ciglia come una specie di cervo impazzito. “Il piacere è tutto mio, mio Principe,” rispose rocamente posandogli con fare possessivo una mano sul braccio; Kìli dovette reprimere l’urgenza di scrollarsela di dosso. “Balliamo, mio signore?” gli chiese ancora lei timidamente guidandolo verso la pista, dove suo fratello e Briala già volteggiavano sorridenti.
In quel momento però l’ingresso in sala degli Elfi giunse a salvarlo. Lo sguardo di Kìli si spostò subito su una massa ardente di capelli e su occhi di smeraldo, come una falena attirata da una lampada. Gli sembrò che i suoi polmoni si svuotassero completamente dell’aria. Lei era sempre bella, anche quando indossava la semplice uniforme da Capitano della Guardia ed era tutta scarmigliata dopo una sessione di allenamento, ma quella sera era splendida più della luna, più ancora dell’Archengemma. Indossava un leggero abito di seta verde e tulle che le lasciava le spalle nude e aveva i capelli sciolti fino alla vita, senza alcuna acconciatura; in più aveva la collana che lui le aveva donato e che brillava luminosa intorno alla sua gola elegante.
In quel momento Kìli seppe di essere perduto. Seppe, mentre gli occhi di lei cercavano e si posavano sui suoi, che avrebbe dato via il suo titolo, i suoi privilegi, perfino la sua casa pur di stare con lei; seppe che l’avrebbe seguita fino ai confini della Terra di Mezzo e oltre, se solo lei gliel’avesse chiesto.
Aveva attraversato mezzo salone prima ancora di rendersene conto, a malapena conscio dello sguardo irato di Avia e non curandosene affatto.
“Miei signori,” disse chinando brevemente il capo. Re Thranduil chinò la testa a sua volta, con un’aria vagamente divertita, mentre Legolas gli rivolse un’occhiata fulminante; Kìli lo ignorò.
Si girò poi verso Tauriel, trovandosi ancora una volta a corto di fiato. Vista così da vicino era ancora più bella, la sua pelle era luminosa come fosse composta da nient’altro che luce e bellezza. Lui le sorrise e lei gli restituì il sorriso e di nuovo c’erano solo loro due. Lui le prese la mano e depose un bacio leggero sulle nocche, e lei vibrò impercettibilmente trasmettendogli una scarica di calore fin nelle viscere.
“Mia signora,” mormorò Kìli contro la sua pelle.
Tauriel s’inchinò, gli occhi che le brillavano timidi. “Altezza.”
La musica iniziò e, anche se il Principe aveva l’aria di volerlo trafiggere sul posto e suo zio gli lanciava sguardi affilati come pugnali attraverso la sala, Kìli non avrebbe potuto curarsene di meno. Avevano convenuto di dover fare attenzione, di agire solo in segreto, ma in quel momento voleva che tutto il mondo sapesse che lei era sua e lui suo.
“Mi concedi l’onore di questo ballo?” le chiese in tono quasi di sfida. È questo che vuoi?, sembrava dire. Sei abbastanza coraggiosa da compiere questo passo con me?
Gli occhi di lei scandagliarono i suoi, leggendovi le stesse domande; Tauriel deglutì. “L’onore sarebbe mio,” gli rispose.
Anche se lei era più alta, stavano bene insieme. Lei gli posò una mano sulla spalla mentre lui gliela mise sulla vita, stringendola di riflesso al calore che filtrava attraverso la stoffa leggera; poi le prese la mano libera con l’altra e si sentì ancora una volta completo. Aveva detto a Fìli che lei lo faceva sentire vivo, ma c’era molto più di questo: lo faceva sentire eterno, invincibile, in grado di fare qualsiasi cosa.
La melodia era lenta e semplice ma era evidente, dal modo in cui le sue dita gli stringevano la spalla, che Tauriel non conosceva i passi. Kìli le sorrise incoraggiante, col cuore che gli batteva forte.
“Non ti preoccupare,” sussurrò. “Basta che segui me.”
Lei annuì e s’inumidì le labbra nervosamente mentre lui la guidava. Tauriel poteva anche non conoscere il ballo, ma la sua grazia innata compensava egregiamente la mancanza di esperienza. Era come una fiamma viva tra le sue braccia, come una stella che orbitava attorno al proprio sole; gli occhi di lei non lasciavano mai i suoi.
“Questo è sbagliato,” mormorò mentre volteggiavano, gli occhi ancora luminosi.
Kìli si sentì stringere il cuore. “Lo pensi davvero? Perchè per me... niente è mai stato più giusto.”
La sentì rabbrividire e se la tirò più vicino mentre la musica continuava a trascinarli. “Oh, Kìli,” mormorò ancora Tauriel. “Non c’è futuro per noi, di certo lo sai anche tu...”
“No,” disse lui con durezza. “Non parliamo di questo adesso. Adesso... balla con me. Fingiamo ancora un altro pò.” Il suo tono si era fatto implorante.
Lei gli rivolse un sorriso gentile, stringendogli la spalla con fare rassicurante, e annuì. “Come vuoi, ma solo un altro pò.” Ma nelle sue parole c’era la promessa di un tempo molto più lungo, e nei suoi occhi lui vedeva tutte le epoche che ancora dovevano venire.
 
~
 
“Cosa accadrà se ci scoprono?” chiese Tauriel mentre scivolavano attraverso il cancello in ferro battuto all’interno del Giardino della Regina. Erano riusciti a sgattaiolare via non visti nel corso di un turbolento limerick eseguito nientedimeno che da un Balin ubriaco fradicio; Kìli sapeva che non sarebbe durato a lungo, ma comunque gli permetteva di trascorrere alcuni momenti con lei.
“Beh, per prima cosa ci frusteranno ben bene, poi ci faranno bollire e ci scuoieranno, e infine useranno le nostre pelli come decorazioni per la galleria principale,” le rispose tutto serio.
“Esilarante.”
“Non temere, posso infilarmi o uscire da qualsiasi luogo io voglia,” affermò Kìli alzando le sopracciglia, e Tauriel gli diede una spintarella divertita.
Si addentrarono nel corridoio buio, lasciandosi alle spalle la luce delle torce; Tauriel stese una mano e intrecciò le dita alle sue. Il ricordo delle sue labbra era per Kìli commovente e intrigante al tempo stesso e le fece scorrere le dita lungo il braccio, beandosi del sussulto e del lieve ansito che ottenne in risposta.
“Dovrebbe essere così buio?” chiese allora Tauriel facendolo tornare alla realtà.
“Aspetta qui,” le rispose stringendole la mano prima di addentrarsi a tentoni nell’oscurità. Erano passati anni dall’ultima volta che era stato nel Giardino, ma lo conosceva come le sue tasche. Da bambino era il suo posto preferito, vi trascorreva ore mano nella mano con sua madre o suo fratello, prima che la Regina morisse e la luce negli occhi di suo zio si offuscasse.
Trovò facilmente il meccanismo di illuminazione e girò la maniglia arrugginita, grugnendo per lo sforzo. Si sprigionò una scintilla che accese i grandi bracieri che correvano lungo tutte le pareti dell’ambiente; Kìli si girò e vide la meraviglia sul volto di Tauriel. Lei fece un passo avanti, esitante, gli occhi spalancati fissi sulla volta della grotta sopra di loro che riluceva in una perfetta imitazione del cielo notturno. Faceva quasi male guardarla, era così bella, e Kìli non riusciva a credere che quella fosse davvero la loro ultima notte insieme. Di certo Mahal e tutti i Valar non potevano essere così crudeli.
Le venne vicino e lei lo guardò, gli occhi che ancora le scintillavano di meraviglia. “E’ bellissimo,” disse piano, quasi intimorita. Kìli stese una mano e le accarezzò il viso, la linea definita delle sue guance fino alla mandibola e alle labbra dischiuse.
“Sapevo che ti sarebbe piaciuto.”
Lei sorrise e lui le prese di nuovo la mano guidandola in avanti. Statue d’oro e di marmo erano poste lungo tutto il viale, oscurando un pò il percorso ma comunque bellissime. Al centro del Giardino stava una grande statua d’oro di Mahal, completa di incudine e martello. Tauriel la fissò per un lungo momento in silenzio, il viso pensieroso come stesse ricordando qualcosa d’importante.
“C’erano fiori qui una volta,” disse Kìli distrattamente. “Bellissimi fiori dai petali che sembravano di cera e che mio zio aveva portato qui dalle grotte dell’estremo sud.”
“Com’era la Regina?” chiese lei mentre continuavano la loro passeggiata, oltrepassando aiuole vuote e panchine scavate nella roccia.
Kìli dovette pensarci a lungo. “Ero appena uscito dall’infanzia quando è morta, ma ricordo il suo sorriso e la sua gentilezza. Mi ricordo anche di un’altra volta in particolare: lei era arrabbiata con mio zio per non so più cosa e lo sfidò davanti all’intera corte.”
Tauriel ridacchiò. “Dubito che Re Thorin l’abbia presa bene.”
Kìli rise a sua volta e scosse la testa. “Secondo mia madre divenne così rosso che Balin temette potesse andare a fuoco, ma alla fine venne fuori che la Regina aveva ragione.”
“E tuo zio era ancora arrabbiato?”
“Oh sì, e lo rimase per settimane, ma poi ammise le sue colpe ufficialmente e da quel momento non alzò mai più la  voce.”
“Deve averla amata molto... com’è morta?” chiese ancora Tauriel esitante.
Kìli le rivolse un sorriso triste mentre raggiungevano una grande piattaforma che sorgeva accanto a un piccolo laghetto sotterraneo. “Dando alla luce mia cugina. Thorin, lui... beh, non è stato più lo stesso da allora. La sua morte, subito dopo quella di mio nonno, lo ha reso più duro, più freddo.”
Qualcosa di oscuro attraversò il viso di Tauriel e inconsciamente intrecciò più forte le dita alle sue. Kìli la aiutò a salire i fatiscenti gradini di pietra della piattaforma, avvertendo un fremito come di apprensione in lei.
L’area, un tempo cosparsa di comodi divani e cuscini, era ora quasi uniformemente coperta di morbido muschio. Era più buio lì, le torce erano un pò più lontane, e sembrava quasi di trovarsi all’esterno, sotto la luce delle stelle. Kìli, sentendosi stranamente nervoso – aveva le mani calde e sudate – la fece sedere accanto a lui.
“A cosa pensi?” le chiese piano mentre lei fissava le placide acque del laghetto. Gli occhi di lei erano come distanti e si era seduta un pò staccata da lui; le pieghe del suo abito si stagliavano nette nell’oscurità.
“A come la mia vita prima di incontrarti sembri stranamente... remota e indistinta,” gli rispose con calma, senza guardarlo. “Come se non fosse nemmeno più la mia.”
Kìli si schiarì la gola. “Hai dei rimpianti... voglio dire... su di noi?” Quasi si strozzò a pronunciare quelle parole, improvvisamente certo di non voler sapere la sua risposta.
Lei si girò finalmente verso di lui, con un sorriso malinconico venato da una punta di tristezza. Senza parlare allungò una mano e gli toccò il viso, sfiorandogli con le dita le guance e la mandibola. “Gli uomini del mio popolo non hanno la barba,” mormorò mentre lui sentiva come un fuoco laddove lei lo toccava.
“Ti dà fastidio?” le chiese rocamente.
Lei scosse piano la testa. “No, mi piace. È ruvida... ma anche morbida. Come te.” Il suo sorriso diventò più vivace mentre la mano continuava la sua esplorazione, passando lungo i contorni della sua gola e fermandosi poi sulla vena pulsante del suo collo. Kìli rabbrividì, il respiro che gli si strozzava in petto. Le dita procedettero poi sui suoi capelli, accarezzandogli deliziosamente lo scalpo fino a fargli fremere ogni singolo muscolo del corpo; strinse i pugni lungo i fianchi. Alla fine le dita trovarono la loro promessa segreta e Tauriel, con gli occhi socchiusi, svolse la treccia da sotto la fascia che lui portava.
“Non potrei mai avere rimpianti su di te, Kìli.”
Senza rendersene pienamente conto, egli si spostò in avanti fino a inginocchiarsi sopra di lei e le prese il viso tra le mani. Si perse per un istante nei suoi occhi – che lo fissavano profondi da dietro le palpebre socchiuse – e nella contemplazione delle sue labbra semiaperte e delle sue guance arrossate prima di baciarla, a lungo. Le mani di lei scivolarono sulla sua schiena mentre un gemito le sfuggiva di bocca, dandogli un assaggio del piacere, del desiderio che sentiva per lui. Kìli aveva l’impressione di annegare e fece scorrere le mani sul suo collo e sulle spalle nude, sentendo che tutto quel desiderio stava per farlo impazzire.
Le mani di lei si spostarono poi sul davanti, scorrendo lentamente e deliziosamente sul suo stomaco fino a raggiungere i lacci del suo gilet: Kìli guardò disorientato le agili dita che correvano lungo il filo argentato per liberarlo dalle sue sedi.
“Tauriel,” gemette con voce roca mentre le dita si facevano strada tra i lembi della camicia, fino ad esporre la pelle nuda del suo petto.
“Shh,” mormorò lei, piegandosi in avanti per baciare il punto che le sue dita stavano accarezzando e lasciandolo senza fiato. Le dita di lui salirono tra i suoi capelli e trovarono a sua volta la treccia della promessa, accuratamente ripiegata e appuntata sulla nuca; la liberò mentre le labbra di lei risalivano lungo il suo petto e la sua gola.
“Nessun rimpianto,” mormorò Tauriel sulla sua pelle, facendogli scivolare la camicia giù dalle spalle.
 
~
 
Qualche tempo dopo, quando i loro respiri si erano fatti più lenti e rilassati, Kìli si girò su un fianco e depose un bacio delicato su una cicatrice sopra il suo seno sinistro – e ci volle tutto il suo autocontrollo per impedirsi di indugiare.
“Hai molte più cicatrici di me,” osservò mentre Tauriel gli passava languidamente una mano tra i capelli.
“Hmm,” mugugnò lei, spostandosi in modo da appoggiargli la testa su una spalla e osservandolo da sotto le ciglia abbassate. Aveva i capelli scompigliati, le guance arrossate, le labbra leggermente gonfie; Kìli si morse un labbro per trattenere un gemito. Ogni volta che pensava che non avrebbe potuto essere più bella, più perfetta di così, lei gli dimostrava che si sbagliava.
“La maggior parte è dovuta all’addestramento; quella credo che me l’abbia lasciata una recluta particolarmente goffa.”
Lui abbassò la testa e passò il pollice su un’altra cicatrice sul suo fianco.
“Un’imboscata di orchi,” rispose lei baciandogli il collo con voluttà; poi fece vagare la mano su una grande cicatrice che gli attraversava il petto fino all’ombelico. “E questa? Un altro scherzo andato storto?” ironizzò. Kìli ridacchiò, ma smise subito quando i ricordi gli affollarono la mente.
Lei dovette accorgersene, perchè si sollevò un pò. “Cosa c’è?”
Lui scosse la testa senza riuscire a guardarla, scostandole i capelli da una spalla. “E’ che... beh, è successo il giorno in cui mio padre è morto.”
“Oh, Kìli,” ansimò Tauriel, “mi dispiace, non sapevo–”
“Non importa, amore mio,” le rispose baciandola. “Non scusarti.”
Ci fu un momento di silenzio mentre lei tornava ad appoggiare la testa al suo petto e lui le poggiava la guancia sui capelli. Avrebbero dovuto tornare indietro da tempo, ormai la loro assenza doveva essere stata largamente notata, eppure Kìli non riusciva a muoversi. Non avrebbe mai più voluto muoversi, di fatto, e sapeva con certezza assoluta che se avesse potuto rimanere lì per sempre, con la sua tunica a far loro da materasso e il mantello da cuscino e il corpo nudo di lei stretto al suo, sarebbe stato l’uomo più felice del mondo.
“Eravamo usciti per una battuta di caccia, io, Fìli e nostro padre,” si ritrovò a dire, mentre lei tracciava con le dita simboli immaginari sulla pelle del suo petto e del suo stomaco, apparentemente affascinata dalla peluria che li ricopriva. “Era solo la terza volta per me ma, come al solito, io credevo di sapere già tutto.” Tentava di apparire spensierato ma sapeva di non riuscirci, perchè lei gli si strinse un pò di più.
“Stavamo seguendo un manzo e io mi ero portato più avanti, troppo avanti: volevo essere io ad ucciderlo per potermene vantare con mio fratello.” S’inumidì le labbra e si accorse che i ricordi erano più dolorosi del solito, che la vicinanza di lei lo rendeva emotivo, indifeso, come se gli fossero stati rimossi diversi strati di pelle. “La tana era ben nascosta e io non vidi il Mannaro fino a che non mi fu quasi addosso. Ricordo di aver urlato, prima il nome di Fìli e poi quello di mio padre, mentre la bestia mi caricava. Riuscii a schivare il suo assalto, ma non ad evitare che mi artigliasse il petto – e infatti ho ancora questa cicatrice a dimostrare quanto poco mi sia mancato alla fine. Mio...” si bloccò esalando un respiro tremante, ma le dita di lei continuavano la loro azione lenitiva sul suo petto, incoraggiandolo a continuare proprio come una volta aveva fatto lui con lei. “Mio padre mi ha salvato, affondando la spada nel petto della bestia, ma non prima che lei lo azzannasse ad un fianco. Fili ed io lo riportammo a casa... e lui morì tre giorni dopo.”
Tauriel gli sussurrò qualcosa nella sua lingua, parole di conforto alcune delle quali egli comprese e altre no, ma il cui significato era comunque chiaro. “E’ stato tanto tempo fa,” concluse, ricacciando indietro le lacrime.
“Alcune ferite non guariscono mai, meleth,” mormorò lei, chinandosi a baciargli la cicatrice. “Alcune siamo destinati a portarle per tutta la vita.”
Lui la fece risollevare e la baciò, cercando di mettere in quel bacio tutta la dolcezza e l’amore che sentiva per lei. “Dovremmo tornare indietro,” disse quando si staccarono.
“Sì,” concordò lei con riluttanza.
Si aiutarono a rivestirsi a vicenda, ciascuno indugiando sul corpo dell’altro per prendere quanto più tempo possibile. Kìli fece per nasconderle di nuovo la 'loro' treccia tra i capelli, ma lei gli fermò la mano.
“Adesso non possiamo più tornare indietro, meleth; forse il tempo dei segreti è finito.”
Kìli deglutì, mentre paura e aspettativa si fondevano in egual misura in lui. “Se sei pronta tu, sono pronto anch’io.”
“Qualsiasi cosa accada, Kìli, voglio che tu sappia che il tempo trascorso con te è stato il più felice di tutta la mia vita.”
“Beh, anche se tu hai qualche centinaio d’anni in più, per me è lo stesso.”
Risero entrambi, brevemente, poi lei lo baciò sulla fronte prima di risistemargli la coroncina; in qualche modo, era come se gli stesse già dicendo addio.
 
~
 
Scivolarono tra i corridoi tenendosi per mano e ridacchiando come fanciulli birichini, per niente preparati a ciò che li aspettava dietro l’angolo.
Kìli si bloccò di colpo e Tauriel andò a sbattergli dietro, e quasi caddero entrambi a terra davanti ai rispettivi Re. Legolas era accanto a suo padre con una luce omicida negli occhi; la madre di lui stava aggrappata al braccio di suo zio, il viso contratto in un’espressione di profondo stupore, e alle loro spalle c’era suo fratello, chiaramente sconvolto.
“Non volevo credere che fosse vero,” disse piano Thorin, scuotendo la testa incredulo.
“Zio, io...” cominciò Kìli, impappinandosi; non sapeva cosa dire e non avrebbe mai pensato di dover rivelare la loro relazione in maniera tanto... pubblica.
“Dimmi che non ti sei promesso a questo... questo Elfo, nipote,” sbottò Thorin mentre la rabbia gli andava tingendo il viso di un’allarmante tonalità di rosso. Re Thranduil, da parte sua, sembrava più divertito che sorpreso e li osservava con occhi in cui si celava qualcosa di stranamente misterioso.
Kìli fece un respiro profondo e poi un altro quando sentì che Tauriel intrecciava le dita con le sue; gli diede coraggio. “E’... è così, zio. Siamo promessi,” rispose con quanta più fermezza possibile. Aveva l’impressione che un enorme fardello gli fosse stato tolto dalle spalle e si sentì molto più sicuro: ciò che stava facendo era giusto, non aveva il minimo dubbio.
La furia divampò negli occhi di Thorin. “Sei un folle!” sbraitò. “Non ti rendi conto di quello che hai fatto!” Si liberò dalla stretta della sorella e avanzò minaccioso verso di lui; Kìli non retrocesse, anche se gli costò uno sforzo farlo, la mano di Tauriel stretta nella sua come un' àncora nel mare in tempesta. Non aveva mai visto suo zio tanto infuriato.
“Tu sei un figlio di Durin! Secondo in linea di successione dopo tuo fratello! Come hai potuto farlo, come puoi essere tanto egoista?”
“Egoista io?” sbottò Kìli, perdendo l’autocontrollo. “L’egoismo è starcene rintanati qui a contare le nostre ricchezze mentre il mondo all’esterno viene ingoiato dall’oscurità. L’egoismo è voltargli le spalle come se non ne facessimo parte anche noi. E tu accusi me di essere egoista quanto il tuo odio e la tua avidità ti hanno reso così cieco da non vedere niente o nessuno al di là di questa monta–”
Lo schiaffo arrivò tanto improvviso da fargli perdere per un attimo la visuale; Kìli si massaggiò la guancia scioccato e perse la presa sulla mano di Tauriel, che emise un gridolino strozzato, altrettanto sconvolta. Si leccò le labbra, avvertendo il sapore del sangue, e fissò suo zio cercando di ricomporsi.
“Thorin!” esclamò sua madre con voce colma di incredulità e timore mentre il fratello muoveva un altro passo verso il nipote, e in quel momento Tauriel si frappose con decisione in mezzo a loro.
“Basta, mio signore,” disse con voce rotta. “Me ne andrò.”
“Cosa? No,” balbettò Kìli scuotendo la testa.
Lei si girò dalla sua parte: il suo viso era stravolto da dolore e impotenza. “Questo è il tuo popolo, meleth; non permetterò che tu lo perda per causa mia.”
“Tauriel, no,” insistette lui; il cuore gli batteva tanto forte in petto da eclissare il dolore al viso.
Una lacrima scivolò lungo la guancia di Tauriel. “Nessun rimpianto, Kìli... ma questo è stato solo un bellissimo sogno, l’abbiamo sempre saputo. Tu hai i tuoi doveri qui, ed io i miei. Non lascerò che tu venga bandito dalla tua terra e dalla tua famiglia per me.”
Lui le afferrò disperatamente una mano. “Rinuncerei a questo e altro per te.”
Lei gli rivolse un sorriso che gli spezzò il cuore. “So che lo faresti, lo so. Ma come posso dire di amarti se ti porto via tutto ciò che ti è più caro al mondo? No, è... è meglio così.”
Ritirò la mano e fu come se qualcosa di puro e luminoso morisse in lui.
“Tauriel,” disse in quel momento Legolas, ricordandogli che non erano soli; Kìli lo fissò come istupidito. Era tutto surreale, era come se stesse osservando quegli eventi attraverso uno specchio distorto. “Vieni,” comandò il principe elfico con occhi colmi d’ira e voce venata di dolore e tradimento; Kìli sospettò che il suo cuore non fosse stato il solo a venir infranto, quella notte.
Tauriel si chinò in avanti e nel silenzio più totale lo baciò sulla fronte, mormorando il suo amore per lui nella sua lingua; poi se ne andò dietro al suo Principe, le spalle curve e scosse dai singhiozzi. Re Thranduil lo osservò per un momento con curiosità, come rimuginando qualcosa, dopodichè scomparve a sua volta.
“Tauriel!” gridò allora Kìli lanciandosi in avanti per seguirla; ma suo zio lo bloccò stringendogli un braccio.
“Hai già fatto abbastanza danni per oggi, non peggiorare la situazione,” ringhiò Thorin. “Ritìrati, nipote. Parleremo di nuovo quando gli Elfi se ne saranno andati.”
Kìli si liberò con uno strattone e fissò duramente suo zio. “Non ti perdonerò mai per questo,” disse con voce incolore; poi si allontanò lungo il corridoio ignorando i richiami di sua madre.
 
~
 
Suo zio gli aveva espressamente proibito di essere presente alla partenza, ma lui avrebbe rischiato tutto pur di rivederla anche solo un’ultima volta. Arrivò proprio mentre se ne stavano andando, intrufolandosi tra Balin e Dwalin; suo zio si accorse di lui quasi subito e gli lanciò un’occhiata che avrebbe incenerito un drago, ma Kìli trasse un respiro profondo e gridò il suo nome, correndo in avanti e schivando la presa di suo fratello.
Tauriel incontrò il suo sguardo e nei suoi occhi c’era una tale infinita tristezza ch’egli avrebbe fatto qualsiasi cosa, scalato qualsiasi montagna, affrontato qualsiasi impresa, pur di rivedere il suo sorriso. Lei scosse la testa, con occhi che lo imploravano silenziosamente di non renderle quella prova più difficile di quanto già non fosse, e si voltò senza dire una parola, seguendo il suo Re.
Con un basso ringhio, Kìli mosse un passo verso di lei.
“Kìli!” La voce di suo zio era carica di avvertimento ma lui lo ignorò; la raggiunse e la afferrò per un polso. Tauriel si girò a malincuore, gli occhi pieni di lacrime. Le premette qualcosa nel palmo della mano e lei battè le palpebre sorpresa, tracciando col dito le rune incise sull’oggetto e scuotendo la testa.
“Cosa –”
“E’ una promessa: tienila e sappi che io verrò da te.” La voce di lui non lasciava spazio a discussioni di sorta. Non era mai stato più sicuro di qualcosa in tutta la sua vita. Aveva trascorso la notte nel Giardino della Regina, spremendosi le meningi alla ricerca di una soluzione impossibile al loro problema e sapendo comunque che non esisteva al mondo che si separasse da lei così.
“Kìli,” gemette Tauriel, “non lo permetteranno mai...”
“Non m’importa di cosa permetteranno, io ti amo e non avrò pace finchè non saremo di nuovo insieme.”
Tauriel trattenne il fiato alle sue parole, anche se le guance le si arrossarono e i suoi occhi sembrarono più luminosi. Kìli le chiuse le dita intorno alla pietra runica e poi, sentendosi particolarmente baldanzoso, la tirò verso di sè per un rapido, tenero bacio.
“Costi quel che costi, Tauriel,” sussurrò quando si separarono, mentre tutti quelli intorno al loro mormoravano scioccati.
Lei tirò su col naso e gli sorrise, cedendo. “Costi quel che costi,” ripetè; poi, con un ultimo sguardo, si separò da lui.
“Beh,” disse in quel momento Fìli alle sue spalle, con disinvoltura forzata. “E’ stata certamente una scena rivelatrice.”
“Già; suppongo che dovremo iniziare a fare i dovuti preparativi,” aggiunse tranquillamente sua madre. Kìli si girò scioccato, mentre Thorin fissava la sorella come se le fosse spuntata una seconda testa.
“Non puoi dire sul serio...” cominciò, ma Dìs lo mise a tacere con un’occhiata fulminante.
“Il loro legame può essere il ponte tra i nostri due popoli, Thorin.”
“Può darsi, ma non è mai successo prima...”
“E che ne sappiamo? In passato i nostri popoli convivevano in perfetta amicizia, come possiamo sapere che non sia già successo?”
“Di certo una simile notizia sarebbe giunta sino a noi, almeno un accenno...”
“Tu credi?” rispose Dìs, chiaramente intenzionata a non lasciarsi influenzare. “Gran parte delle nostre antiche conoscenze è rimasta sepolta a Khazad–Dûm e il resto sotto pregiudizi ancora più antichi.”
Thorin scosse ostinatamente il capo. “Non voglio saperne. Nessun Principe di Durin sposerà mai una qualche... fatina dei boschi.”
Kìli strinse i denti. “Allora io non sono più un Principe.” Fìli si voltò verso di lui con un gridolino strozzato, ma egli proseguì. “Rinuncerò al mio titolo, ai miei privilegi e a tutti i miei beni. Se devo averli al prezzo del mio cuore, allora non li voglio.”
Thorin gli lanciò un’altra occhiata fulminante. “Ascoltami bene, ragazzo –”
“Non sono un ragazzo, zio,” sbottò Kìli. “Sono un Nano adulto e so benissimo cosa provo. Se non acconsentirai alla nostra unione, me ne andrò.”
Cadde il silenzio mentre Thorin lo fissava come se volesse fulminarlo sul posto, ma Kìli non cedette di un millimetro. Non avrebbe potuto parlare più seriamente e non aveva alcuna paura. Se ne sarebbe andato quella notte stessa, avrebbe preso con sè il minimo indispensabile e l’avrebbe pregata di andare con lui. Avrebbero potuto dirigersi a nord, verso i boschi che contornavano le Montagne Blu, e le avrebbe costruito una piccola capanna da qualche parte e avrebbero potuto avere una vita tranquilla ma felice, soltanto loro due...
“Re Thranduil ci ha già offerto la sua mano,” disse infine Thorin, visibilmente sconfitto.
“C–cosa?” balbettò Kìli; doveva aver sentito male.
“E’ venuto da me dopo... l’incidente di ieri sostenendo che sarebbe stata un’unione fruttuosa e benedetta per entrambi i nostri popoli,” ammise suo zio, mentre la madre aveva tutta l’aria di volerlo spingere giù dal ponte.
“Allora,” intervenne Fìli, spostando il peso del corpo da un piede all’altro. “Si farà un doppio matrimonio?”
Thorin si girò verso di lui. “Cosa vorresti...?”
Fili si schiarì la gola imbarazzato e Briala sorrise abbassando la testa mentre il viso di suo padre s’illuminava di consapevolezza: sembrava quasi che Durin in persona fosse apparso a offrirgli un boccale di birra e a dargli una pacca sulla schiena.
“E’ vero?” domandò rivolto alla figlia che rialzò gli occhi con un sorriso ancora più luminoso, ed ecco che improvvisamente la treccia della promessa faceva bella mostra di sè sulla sua spalla destra.
Hah!” Thorin perse finalmente la sua compostezza e li strinse entrambi in un abbraccio da orso; Kìli sorrise partecipe vedendo che il fratello restava quasi senza fiato. Il loro zio si fece indietro e stampò un grosso bacio sulla guancia di entrambi, con un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro.
Fìli lanciò un’occhiata al fratello e fece un respiro profondo, ergendosi in tutta la sua altezza. “Ho solo una richiesta, zio,” disse girandosi verso la sua promessa sposa, che gli prese una mano.
“Da parte di entrambi,” aggiunse Briala, assumendo un’espressione molto simile a quella di sua zia.
“Devi dare il tuo consenso al matrimonio di Kìli e Tauriel, perchè sarebbe un bene per la nostra gente e perchè... beh, lui è mio fratello e merita di essere felice come tutti.”
Kìli sentì di non aver mai amato suo fratello come in quel momento e, forse per la prima volta, realizzò che un giorno sarebbe stato Re; ed era certo che sarebbe stato un grande Re.
Thorin contrasse la mascella per un attimo, gli occhi ardenti come quelli di un drago, prima di sospirare e abbassare le spalle. Si rivolse a Kìli. “Sei proprio sicuro che è questo che vuoi? Non sarà facile per la tua sposa elfica vivere in mezzo a noi e potrebbero essere in molti a sentirsi offesi dalla vostra unione...”
“Ti riferisci a Dàin?” intervenne sua madre roteando gli occhi. “Sua figlia non è che una piccola scrofa isterica, lascia che si agiti e strida quanto vuole.”
“Sì,” concordò cupamente Thorin, “ma potrebbe non essere la sola ad agitarsi o stridere. Questa unione scuoterà tutto il regno fin nelle fondamenta e io non acconsentirò che avvenga se prima non avrò la certezza che Kìli ci ha pensato bene.”
Kìli fece un respiro profondo e s’inchinò davanti a suo zio. “Non sono mai stato più sicuro di qualcosa in tutta la mia vita, zio. Farei di tutto per dimostrartelo.”
Thorin si passò una mano sul viso, borbottando qualcosa tra sè e sè. “Molto bene, nipote: hai la mia benedizione.”
Ci fu una lunga pausa piena di sconcerto, e poi Kili corse da suo zio e lo stritolò in un forte abbraccio. “Grazie, zio, grazie!” esclamò, talmente felice e sollevato che tremava da capo a piedi.
Thorin sospirò e gli diede qualche colpetto sulla schiena. “Sì, beh, sono certo che me ne pentirò; cerca solo di prendere i tuoi doveri più seriamente d’ora in poi, d’accordo?”
“Certo, zio, tutto quello che vuoi! Grazie!”
Thorin si fece indietro e lo fissò con un sopracciglio sollevato, mentre sulle sue labbra aleggiava qualcosa di molto simile ad un sorriso. “Ebbene?”
“Ebbene cosa?” domandò Kìli, ancora scombussolato al punto da non riuscire a mettere insieme due pensieri di fila.
“Non hai intenzione di recuperare la tua promessa sposa?”
Gli occhi di Kìli brillarono mentre si lasciava andare ad una gran risata. “Grazie, zio, grazie!” ripetè, incapace di dire altro.
“Sparisci, prima che cambi idea,” sospirò Thorin roteando gli occhi.
Kìli si voltò verso il fratello, lo abbracciò e poggiò la fronte sulla sua, esprimendo anche a lui tutta la sua gratitudine. “Tu avresti fatto lo stesso per me,” disse Fìli sorridendo.
“Mille volte,” rispose Kìli, e poi sollevò tra le braccia la futura cognata facendole fare un paio di giri; Briala emise un gridolino di sorpresa e rise mentre lui la baciava su entrambe le guance, tra il divertimento di Fìli.
Infine si rivolse a sua madre che, in maniera più contenuta, lo baciò sulla fronte; gli occhi però le brillavano pieni d’amore per lui. “Và, mio spericolato e incorreggibile figliolo. Sono fiera di te.”
“Grazie, madre,” rispose Kìli baciandola sulla guancia; poi si precipitò giù per la scalinata, urlando che sellassero un pony immediatamente.
 
~
 
Non aveva mai cavalcato con più impeto in vita sua, ma presto scoprì che non ce ne sarebbe stato bisogno, perchè la vide venirgli incontro a mezza strada per Dale.
Mentre le si avvicinava notò che aveva sul viso un’espressione molto particolare e il cuore cominciò a battergli forte di apprensione. Scese dal pony e si precipitò al suo fianco mentre anche lei smontava.
“Cosa c’è? Cos’è successo?” le chiese concitatamente.
Tauriel gli prese una mano tra le sue. “Muoviamoci,” bisbigliò, gli occhi spalancati e pieni di frenesia. “Possiamo andare a nord, o anche a sud se vuoi, non m’importa, ma andiamocene. I–io non posso sopportare di separarmi da te, e non lo farò. Ho sofferto abbastanza perdite in vita mia e farò di tutto per non soffrirne più.”
Finalmente Kìli comprese le sue parole e un gran sorriso gli spuntò in volto: se Mahal avesse deciso di fulminarlo in quell’istante, sarebbe morto felice. Stese una mano e le carezzò il viso, ma lei la tolse con un sospiro tremante.
“Non c’è tempo per questo, dobbiamo andarcene... un momento, ma dove stavi andando? Va tutto bene? Tuo zio ti ha forse punito?” Ad ogni domanda appariva più sconvolta.
Il sorriso di Kìli si allargò ancora di più. “Beh, qualcuno forse la considererebbe una punizione.”
Tauriel aggrottò le sopracciglia, confusa. “Cosa? Non capisco... non ti avrà bandito, vero?! Oh, Kìli... mi dispiace così tanto!”
Amrâlimê,” sussurrò lui con affetto, scuotendo la testa. “Ci ha dato la sua benedizione.”
“Credo che se cavalchiamo abbastanza veloci possiamo raggiungere le Montagne Grigie in tre giorni e poi costeggiando il fiume... un momento, cos’hai detto?” Tauriel arrossì mentre l’incredulità le faceva di nuovo sgranare gli occhi.
Lui le prese il viso tra le mani e la tirò verso di sè baciandola a lungo e con voluttà, visto che oramai avevano tutto il tempo del mondo. Quando si scostò, gli occhi di Tauriel erano ancora colmi di perplessità.
“Commissionerò subito una nuova serie di stanze,” disse Kìli, “con balconi e un ampio giardino; a meno che tu non preferisca vivere tra la tua gente, ma dubito che il tuo Principe riuscirà mai a prendermi in simpatia...”
“Re Thorin ha davvero dato la sua benedizione?” lo interruppe lei.
Lui le sorrise mentre le mani scorrevano lungo le sue braccia fino a trovare ancora una volta le sue. “Sì e con la benedizione del tuo Re, a quanto pare. Secondo mio zio, è stato Re Thranduil ad offrire la tua mano.”
Tauriel scosse la testa incredula. “Mi sembrava strano che non mi avesse impedito di partire...” Deglutì a fatica. “I–io non so cosa dire...”
“Non vorrei farti pressioni, ma magari un ‘Sì, Kìli, mi piacerebbe sposarti e trascorrere il resto dei miei giorni al tuo fianco’ sarebbe appropriato.”
E allora Tauriel rise, una risata di pura gioia il cui suono cristallino riempì tutta la vallata e il cuore di Kìli. “Sì,” rispose senza esitazioni. “Sì, Principe Kìli, mi piacerebbe sposarti.”
La tirò giù per un altro bacio appassionato, tra la polvere della strada che vorticava intorno a loro e i cavalli che scalpitavano impazienti. Lei si tirò indietro e appoggiò la fronte sulla sua, il suo respiro caldo sulle sue labbra. “Ad una condizione, però.”
“Qualunque cosa,” rispose lui con molto entusiasmo e stupidità.
 
~
 
“E così...” disse Kìli dopo quello che era probabilmente stato il silenzio più lungo e imbarazzante della sua vita.
“...Già,” rispose il principe Legolas incrociando le braccia sul petto e mettendo il broncio.
Dall’esterno della piccola stanza giungevano musiche e canti festosi – era la festa del suo fidanzamento, in effetti. Però era stato loro proibito di uscire da lì senza prima aver appianato le loro divergenze, pena una morte lenta e atroce.
“Tu non mi piaci molto,” aggiunse Kìli con ovvietà, puntando i gomiti sul tavolo tra loro.
“E tu mi piaci ancor meno,” rispose secco il principe Legolas.
“E mi sembra chiaro che non usciremo mai da questa stanza come amici.”
“Sembra chiaro anche a me.”
“Ma se non andiamo d’accordo, Tauriel ne sarà contrariata,” gli ricordò Kìli.
Legolas annuì cupo. “Pare sia questo il problema.”
“E, a quanto pare, la amiamo entrambi,” aggiunse Kìli, cercando di non indurire troppo la voce.
Legolas non disse nulla, ma aggrottò la fronte.
“Stando così le cose, vedo solo due soluzioni.”
“Che sarebbero?”
“La prima, e la mia preferita, combattiamo fino alla morte di uno di noi. Sfortunatamente però il sopravvissuto dovrebbe vedersela con l’ira di Tauriel per il resto della sua vita, e sappiamo bene che uno di noi due ha un’aspettativa di vita molto più lunga dell’altro.”
Legolas grugnì e Kìli notò che sembrava un pò troppo deluso per i suoi gusti. Non che avesse paura di lui, ovviamente; era solo che uno di loro aveva avuto chissà quanti secoli di tempo per perfezionarsi nell’arte del combattimento, mentre l’altro no.
“Oppure... potremmo semplicemente fingere.”
Legolas sollevò un sopracciglio. “Fingere?”
Kìli annuì con entusiasmo. “Proprio così. Fingere di andare d’accordo, almeno quando Tauriel è nei paraggi.”
“E non pensi che potrebbe scoprirlo?”
Gli occhi di Kìli scintillarono per il piacere della sfida. “Io posso metter su una scenetta se ce la fai tu, Elfo.”
Legolas socchiuse gli occhi fino a che non furono ridotti a due fessure. “Ci sto, Nano.”
 
~

Tauriel corse da lui in un turbinio di seta e di capelli profumati, più radiosa di quanto egli non l’avesse mai vista. Gli prese il viso tra le mani e lo baciò a lungo, del tutto incurante della folla riunita intorno a loro. Kìli avrebbe potuto giurare di aver visto con la coda dell’occhio Ori che sputava il vino in un occhio di Nori per la sorpresa, e aveva il sospetto che Thorin avesse stretto il calice di vetro tanto forte da romperlo; ma in quel momento non avrebbe potuto curarsene di meno.
“Sono così felice che tu e il Principe Legolas siate riusciti a superare le vostre divergenze,” disse lei entusiasta, staccandosi da lui; ma Kìli le mise un braccio intorno alla vita e se la tirò più vicina. Se dovevano provocare uno scandalo, tanto valeva farlo per bene.
“Qualsiasi cosa per te,” rispose seriamente, gli occhi che brillavano.
Lei mandò un’esclamazione gioiosa e lo strinse in un forte abbraccio. Oltre le sue spalle, tra la fitta cortina dei suoi capelli, Kìli scorse Legolas che li fissava accigliato da dietro il bordo del suo calice di vino. Sempre sorridendo, gli fece un gestaccio che il Principe gli restituì graziosamente.
Tutto era perfetto.
 
~~~

(Note dell’autrice) Ecco fatto. Perdonatemi per tutto il mal di denti che vi ho causato con questa fiction, io ci ho provato...!

(Note della traduttrice) Meleth e Amralime significano, rispettivamente nella lingua degli Elfi e dei Nani – e semplificando un po' – 'amore mio'.
Spero che questa fiction vi sia piaciuta! Presto ne tradurrò un’altra sempre della stessa autrice e sarà un pò diversa da questa, più cupa in un certo senso... ma non meno bellissima. E con protagonisti sempre Kìli e Tauriel, ovviamente~ continuate a seguirmi! Alla prossima! ;)
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2981171