THE SECRETARY (restaurata)

di controcorrente
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo (restaurato) ***
Capitolo 2: *** L'INTERROGATORIO DEL GIORNO DOPO LA CATASTROFE ***
Capitolo 3: *** GRANDIER'S OPTICAL CORPORATION ***
Capitolo 4: *** Return home ***
Capitolo 5: *** l'equivoco stravagante ***
Capitolo 6: *** silenzio ***
Capitolo 7: *** Cousin ***
Capitolo 8: *** HELP ***
Capitolo 9: *** IN ATTESA DEL CERVO FERITO ***
Capitolo 10: *** LA FUGA DI CAMILLE ***
Capitolo 11: *** LUISA MARIA ADELAIDE ***
Capitolo 12: *** LA TALPA ***



Capitolo 1
*** Prologo (restaurato) ***


THE SECRETARY (RESTYLING)


PROLOGO



 
L'ufficio era arredato in un perfetto ed elegante stile moderno, specchio dei gusti della sua proprietaria. Appositi marchingegni di marca, frutto degli studi più accurati del settore, diffondevano nell'aria il profumo artificiale dei fiori. L'intero complesso, dal tavolo con la superficie in cristallo, ai mobili, secondo il progetto di Pierre Paulin era un insieme di colori freddi e impersonali, all'insegna di un gusto sofisticato e al tempo stesso inaccessibile.
Qualsiasi visitatore, venendoci la prima volta, finiva con l'essere schiacciato da una simile maniera nel mostrare il proprio benessere. Non era infatti il lusso di qualcuno che voleva sfoggiare grottescamente la propria ricchezza ma, molto più semplicemente e banalmente, un semplice modo d'essere.
La stessa proprietaria, con il suo abito Elena Mirò, pareva perfettamente intonata a quell'ambiente. -Allora- disse questa, dopo averla studiata a lungo con lo sguardo- sono in attesa di conoscere il responso di questo mese. Come procede?-
Oscar si morse il labbro pieno, tentando di trattenere dentro di sé l'ondata di fastidio che quella domanda le scatenava dentro. Sembrava quasi che la vecchia non si rendesse minimamente conto delle conseguenze delle sue azioni...oppure, e questa era la cosa che la irritava maggiormente, lo sapeva ma se ne fregava, limitandosi ad intascare il risultato.
Del resto, Maria Teresa Asburghi era fatta così. Se la gallina deve fare un uovo al giorno, deve farne uno ogni dì era in fondo il suo motto ma, d'altra parte, era merito della sua eccezionale destrezza se la dinastia Asburghi era così in alto nel mondo degli affari...di questo, purtroppo, doveva dargliene atto. -Mi duole informarvi che si tratta di un essere vivente- rispose, senza privarsi di dare un tocco sarcastico all'intera frase.
La donna interruppe la lettura del rapporto. -Impulsiva come al solito-commentò .
-E'un dato di fatto, Madame-ribatté Oscar.
Maria Teresa appoggiò i fogli sul tavolo. -No. Sono affari, i dati di fatto. Io non faccio mai niente senza che segua una determinata linea  d'azione. Ciò che vedi è frutto di un'opera razionale e ponderata, che mira ad una conseguenza che sostiene un determinato gruppo di persone. Questo e soltanto questo è il mio modo d'agire, per quanto porti inizialmente ad una momentanea infelicità individuale.- rispose, prima di sospirare- E'un peccato che nessuno di voi abbia abbracciato con devozione questa causa. Per quanto strano possa sembrarvi, non c'è nulla di sadico nel mio modo d'agire[1].-
L'ospite inclinò la testa. -Ciò non toglie che, se dipendesse da me, non metterei mai piede in questo ufficio.-rispose, un po'sgarbata.
Maria Teresa annuì. -Non lo metto in dubbio-disse, prima di aggrottare la fronte- e, del resto, la questione è reciproca. Ora, però, risponda alla mia domanda. Non ho tutto questo tempo.-
Oscar sospirò.
Per quanto volesse essere in qualsiasi altro luogo tranne che lì, sapeva bene che aveva dei doveri da rispettare, anche se cozzavano contro i suoi stessi principi. In passato, aveva guardato alla sua figura con rispetto, nella speranza di ricevere una ricompensa ai suoi sacrifici...ma, appunto, quel particolare stato di dipendenza risaliva a 10 anni prima. -Le sue condizioni di salute sono buone. Pare che l'iscrizione ad un corso di nuoto abbia migliorato la sua debolezza nei confronti del disturbo d'asma, a cui era soggetto. E'un ottimo studente, come dimostrano i voti scolastici e le note di merito dei docenti. Inoltre è ben voluto dai suoi compagni di scuola. -riferì, monocorde.
Maria Teresa annuì, in segno di approvazione. -Lieta che il mio suggerimento di fargli fare sport sia stato accolto.-disse, ignorando bellamente l'improvviso irrigidirsi di quel giovane corpo.
-Come abbiamo stabilito otto anni fa-proseguì, aprendo il cassetto e tirando fuori il libretto di assegni- questa è la cifra che vi spetta, per il lavoro ben svolto questo mese.-
L'ospite però non mosse un muscolo, di fronte alla spaventosa serie di zeri che quel pezzo di carta portava sopra...e quell'immobilità non piacque all'Asburghi. -Cosa significa?-chiese, aggrottando la fronte.
Oscar sospirò e, dissimulando abilmente la palese condizione d'inferiorità in cui si trovava, rispetto alla magnate, la guardò dritto negli occhi. -Risparmia la carta. Non mi...-disse, prendendo un respiro profondo, come un nuotatore che si prepara ad andare sott'acqua- non ci servono i vostri soldi. Non sono una mantenuta e ho diverso denaro da parte. Non verrò meno al dovere nei confronti degli Asburghi né, tantomeno, al prezzo che sono tenuta a pagarvi...ma una cosa voglio che sia chiara. Se continuerò a venire, è solo per riferirle delle condizioni di quel bambino...anche perché, purtroppo, è per merito vostro se si trova in questo mondo e voi non avete alcun diritto a venire meno alla vostra responsabilità in merito, come me del resto.-
Maria Teresa s'irrigidì.
-Sia come credi-rispose con più durezza del solito- mi aspetto però che voi teniate fede all'accordo, Oscar. Non mi avete mai deluso e sono stata assai accondiscendente con voi. Fate in modo che la mia fiducia non sia malriposta.-
 
 
Restyling della storia. Questo restauro della storia avverrà passo passo, per riprendere in mano i fili narrativi della fanfic. Mi sono resa conto che questo tipo di storia non si abbini più al mio modo di scrivere. Una risistematina ci vuole, anche perché penso che la scrittura muti nel corso del tempo. Passando al resto, SECRETARY è una fanfiction AU e OOC per cui potrebbero esserci dei cambiamenti nei personaggi. Ora, teoricamente potrei cancellare l'intera storia e ripubblicare ma non mi sembra il caso. Per questo motivo, ho deciso di riscrivere volta per volta i capitoli, talvolta accorpandoli e, per comodità, ho deciso di scrivere, accanto al titolo se è stato rinnovato o meno.
Passando alla differenza tra un'originale ed una fanfiction, vorrei essere franca e, affinché non ci siano nuovi dubbi sul racconto, voglio riportare parte della risposta che ho dato, sul perché è una fanfiction e non un'originale:
 
Questa storia è nata leggendo una fanfiction nel sito di Laura Corner (dove si trovano tantissime storie su Lady Oscar. Quella a cui mi riferisco aveva reso Maria Antonietta un uomo...il titolo non lo ricordo minimamente purtroppo) e mi ha ispirato in termini di stile di racconto...cosa che può piacere o non piacere. Passando al resto, non so come scrivi tu o che idea hai dell'ooc...ma io non sono così rigida dallo snobbarlo alla grande e liquidare tutto nella sezione originale. Non mi chiamo Ryoko Ikeda e anche se non sembra, devo molto a Lady Oscar. Per merito di questa storia ho imparato ad amare la storia moderna ma non mi sognerei mai di scrivere qualcosa imitando completamente i personaggi. Tutti i fan della storia, in fondo, vedono i personaggi a modo loro, pur essendo particolarmente fedeli su certi aspetti. Non pretendo che tu condivida questo mio modo di pensare, assolutamente. I personaggi riprendono tutti qualcosa dell'originale, che tu ci creda o no: Maria Teresa ha un forte senso del dovere ed ha rafforzato gli Asburghi con delle strategie matrimoniali, in nome di qualcosa che va al di là della felicità personale (come nella storia); Oscar vive un tipo di vita voluto dall'alto che le calza come una seconda pelle ma non le dà serenità, lasciandola sempre in bilico, divisa tra essere e dovere; Luigi è l'erede considerato da tutti un povero sciocco; Maria Antonietta è la donna ingabbiata in una vita vuota che, pur standoci bene, desidera essere amata e non trova in quella comodità la felicità che desidera; Fersen è colui che la ama in silenzio e da lontano, non potendola avvicinare; Bernard è l'idealista che, colpito da una sconfitta, si è trincerato ancora di più nelle sue idee, al punto da non vedere il resto; Rosalie, per quante lacrime possa versare, è la sopravvissuta che alla fine rimane in piedi, seguendo l'esempio della madre; la Polignac è la madre che baratterebbe tutto pur di dare alla sua famiglia quel benessere che pensa sia di suo diritto; Philippe è il talentuoso che non ha la possibilità di assecondare le sue ambizioni e deve malvolentieri chinare il capo a colui che considera un demente. Quanto ad André, è molto più difficile dargli una caratterizzazione per il semplice motivo che il suo modo di essere non si scinde da Oscar...però è colui che smorza i lati del suo carattere, ponendola sotto una luce diversa. Immagino che tu sia molto fedele all'IC ma per quanto tu possa credere il contrario, io non ho scritto un originale e ci ho messo i nomi dei personaggi. Ho solo inserito i caratteri prendendo qualcosa dall'originale ma non ho nessuna intenzione di ricopiarli pari pari perché non sono l'autrice di questo magnifico fumetto. Tutto qui. La ragione per cui ci sono certe storie, come dici tu, non è dovuta al fatto che gli autori vogliono rimediare trillioni di recensioni in una sezione sicura ma, almeno per me, vedere come riesco a inserire una mia idea, all'interno del mondo di Lady Oscar. Non è semplice e può apparire stupido però offre molte possibilità di sviluppo narrativo. Nel mio piccolo, voglio vedere fin dove posso arrivare con la mia storia, mantenendo alcuni punti fermi dell'originale. Io non credo che le fanfiction debbano essere fiscali al punto da non contemplare altro che l'ambientazione settecentesca perché, a quel punto, si finirebbe con il creare sempre la stessa storia, ripetendola all'infinito...non è questo il mio modo d'intendere le fanfiction. Queste, a modo loro, possono essere originali...purché si mantenga chiaro nella mente di chi scrive un punto fermo: ovvero l'omaggio a Lady Oscar di Ryoko Ikeda, senza perdere di vista la propria sensibilità personale. Grazie per la recensione e spero di non averti offeso.
 
Ho deciso di pubblicare la risposta non in termini di polemica ma per chiarire il mio modo di scrivere, in termini di metodo, anche perché le lettrici che hanno dato delle recensioni critiche, come quelle positive, sono state molto gentili nello spiegare le loro ragioni e meritano un chiarimento. Ricapitolando, cancellerò i capitoli restaurati, accorpandoli.
 
[1] Citazione di Kill Bill

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Capitolo 2
*** L'INTERROGATORIO DEL GIORNO DOPO LA CATASTROFE ***


A tutti coloro che hanno letto qualcosa di mio, non posso che continuare a ripetere le mie scuse. Il modo di scrivere cambia continuamente e, per quanto strano possa sembrare, non avevo intenzione di cancellare questa storia. Il problema è che, quando ho cominciato a sostituire i capitoli, ho cliccato per sbaglio elimina e, invece di togliere il capitolo che volevo, ho finito per cancellare tutta la storia. Ecco spiegato il mistero di perché la fanfiction era sparita.
Detto questo, faccio ammenda dello sbaglio e bhé, se non volete leggere è comprensibile, data una simile discontinuità nella storia. In ogni caso, grazie dell'attenzione. Quanto alla lettera riportata prima, avrei  volentieri messo le altre dell'ultimo capitolo...ma sono riuscita a salvare solo quella. Niente gogna, in altre parole.
 
L'INTERROGATORIO DEL GIORNO DOPO LA CATASTROFE
 
Il Bonne Table era uno dei locali più alternativi e pittoreschi del quartiere latino e distava almeno tre quarti d'ora dal suo bilocale...eppure Oscar non riusciva a fare a meno del cappuccino che servivano. Ancora non aveva capito cosa ci mettessero dentro ma, qualunque cosa fosse, era decisamente buona.
Quella mattina, però, ebbe l'impressione di aver compiuto un passo falso e tale sospetto crebbe in modo esponenziale, non appena Jeanne Becu glielo servì, con il suo immancabile croissant al cioccolato.
-Allora, cosa significa tutto questo?-chiese, inarcando la fronte in una smorfia di disappunto.
La bionda le rivolse un sorriso arcaico. -A cosa alludi, cherie?-chiese a sua volta.
Oscar non disse una parola ma la sua espressione era tra le più eloquenti del suo repertorio. Poiché l'altra non faceva nulla, le indicò la tazza del cappuccino, come se, in qualche modo, vi fosse una risposta.
-Mai sentito parlare di arte naif?-domandò la Becu, con uno dei suoi sorrisi maliziosi.
L'altra non rispose, limitandosi a trucidarla con la sola potenza dei bulbi oculari. C'era un che di sadico nel modo di fare di quella donna, perfettamente speculare all'altra proprietaria del locale, Jeanne De La Motte, la mora che, da qualche minuto a questa parte, stava sorridendo con aria malefica nella sua direzione. –Lasciala stare- disse – non tutte apprezzano le tue trovate artistiche.-
-Ma davvero?-ribatté Becu, mettendosi una mano sul fianco.
-E’quello che vedo-rispose la Jeanne mora.
-Ci conosciamo fin da quando andavamo tutte e tre insieme al collegio-rispose la bionda- non prendermi in giro…e poi sentiamo. Cosa ti sembra?-
De La Motte rise. –Un punto esclamativo-rispose, passandosi le dita sulle labbra con malizia.
Jeanne Becu gonfiò le guance.
-E tu, Oscar?-chiese la bionda, guardandola con aria seccata. Anche la mora si unì a quella osservazione e Oscar, sentendosi così osservata, deglutì nervosamente.
-Cosa?-chiese, facendo la finta tonta.
Le due Jeanne le stavano facendo la radiografia, osservandola come se fosse un quarto di manzo in vendita sul tavolo di un macellaio. La De Jarjayes osservò le due con uno sguardo di sfida.
-Cosa ci vedi in questo disegno?-domandò la Becu.
Oscar fissò lo scarabocchio e inarcò il sopracciglio.
Sulla schiuma del cappuccino, c’erano due linee. Una lunga e l’altra ridotta ad un punto, in cioccolato. –Cosa dovrei vedere?-domandò guardinga e seccata.
La Becu sbuffò.
-Cosa ci vedi?-chiese di nuovo.
Oscar tacque.
Aveva sempre pensato che ci fosse un filo di follia nelle maniere delle due Jeanne e ancora si chiedeva come avesse potuto stringere amicizia con loro. Non potevano che essere più diverse di così. Avevano tutte e tre frequentato lo stesso collegio ma proprio non riusciva a non chiedersi come fosse possibile che le due fossero sue amiche. Senza contare che quel segno gli ricordava in tutto e per tutto un pene …ma non avrebbe mai ammesso il suo pensiero in loro presenza, nemmeno sotto tortura, soprattutto conoscendo l’indole lussuriosa delle due…un momento. Perché Jeanne De La Motte le sorrideva in quel modo? Conosceva quella smorfia mefistofelica e non era niente di buono. Meglio tacere! fu l’imperativo mentale che si impose…ma quando si accorse che la mora la guardava con un’odiosa espressione sadica, Oscar capì di aver fatto male i suoi conti.
-Amica mia-fece- lascia stare questa cosa.-
-Perché?-chiese l’altra.
La De La Motte si mise una mano sul fianco. –Mi sembra ovvio-disse- dobbiamo ancora sapere come è andata quella serata.-
La Becu sbatte le mani sul piano. -Ma certo!- esclamò…e insieme, in perfetta sincronia, si girarono verso Oscar. –Avanti De Jarjayes! Dicci come è andata la serata!-esclamò, alzando la voce più del necessario.
L’interessata incassò la testa.
-Jeanne ha ragione, tesoro!-s'intromise Meryl, uno dei clienti più assidui del locale.
Oscar si girò. L'interessato, dall'alto dei suoi 150 cm x 70 kg di peso le rivolse un sorriso fatto di rossetto e denti traforati di brillantini. -Ti abbiamo aiutato tutti...con l'abito, le scarpe ed il trucco...capisci anche tu che ora devi pagare, raccontandoci come è andata.-
-Ma certo- aggiunse Jimmy, con il suo abito gessato unisex da uomo d'affari-noi vogliamo sapere tutto...prima di riprendere lo spettacolo.-
La bionda deglutì. La seconda di Jimmy emergeva maliziosamente dal completo maschile, mentre l'abito frufru di Meryl non riusciva a celare il pomo d'Adamo di questi. Se su Jimmy aveva sempre dei dubbi sul fatto che fosse un uomo, sull'altro c'era solo la certezza...e si ritrovò a scuotere il capo. Cosa doveva aspettarsi? Malgrado la cucina del locale fosse ottima, il Bonne Table era noto per ospitare soprattutto personaggi con la caratteristica del travestitismo. Uomini vestiti da donne si accompagnavano da donne in abiti maschili...e questa era la vera peculiarità  del locale. Ultimamente molti alternativi frequentavano il luogo, complice anche una fortunata tournée francese del teatro takarazuka che aveva fatto un discreto successo alcuni mesi prima e che si era fermata spesso e volentieri in quella locanda. Era stata Jeanne Becu ad avere l'idea e, a quanto pareva, funzionava molto bene. A distanza di anni il Bonne Table si era fatto un certo nome, per l’eccentricità delle regole e dei suoi clienti.
Oscar si dimenò sulla sedia. -Io non so di cosa tu stia parlando.-affermò piccata.
La Becu le lanciò un’occhiata di sufficienza. –Tesoro, è inutile che tu faccia la finta tonta. Jeanne, Jeanne, aiutatemi! La ditta di André Grandier, il mio sogno erotico da una vita, è in pericolo!- fece, scimmiottando la sua voce e guadagnandosi le risate degli avventori -Sei stata tu a venire a supplicarci aiuto per un restyling completo!-
-E proprio vero, cherie!- esclamò Meryl, con la sua voce da baritono- Ti abbiamo aiutato senza nemmeno fare domande...-
-...perché aspettavamo questo momento!- concluse Jimmy- Ed ora, dolcezza, molla l'osso e soddisfa la nostra curiosità!-
Oscar si guardò attorno.
Tutti gli occhi degli avventori del Bonne Table erano puntati su di lei e questo voleva dire solo due cose. La prima era che le sue, non tanto, amiche avevano spiattellato tutto o quasi della ragione del travestimento...forse pure nei dettagli. La seconda era la certezza che, al minimo accenno di fuga, qualcuno di loro, tra cui Meryl in testa, l'avrebbero placcata pesantemente, onde impedirle di svignarsela.
In conclusione, era stata una pessima idea venire lì.
In sintesi, era fottuta.
 
 
 
 
In sintesi, era fottuto.
André Grandier, malgrado indossasse la migliore faccia di bronzo del suo repertorio, aveva compreso che era impossibile sfuggire al destino. Se, fino alla sera prima, dopo una settimana di evitamenti e scuse improvvisate, si era scioccamente illuso di avere anche solo una minima possibilità, ora  non aveva alcun dubbio: la Sfiga si era innamorata di lui...e aveva il viso sardonico di Alain De Soisson, 30 anni.
-Bene, bene- disse, appoggiandosi con arroganza al vetro della sua modernissima Porsche- adesso non mi scappi...e no, non ti conviene pigiare l'accelleratore. Potresti avere dei fastidi legali.-
André lo guardò severamente.
-Sarebbe abuso di potere...agente De Soisson-sibilò.
Alain alzò le spalle. -No, io sto facendo un controllo...e adesso devi darmi le risposte che voglio- fece, stirando le labbra in un sorriso mefistofelico- o la magica penna di Alain De Soisson, il miglior gardien della capitale colpirà la tua immacolata carriera di guidatore perfetto.-
André chiuse gli occhi, contando mentalmente fino a dieci. Non aveva minimamente previsto che quel giorno il suo amico lavorasse su quella strada ma gli dispiaceva non essersene ricordato. E pensare che ho personalmente controllato le strade, in modo da evitare simili inconvenienti si disse, rimproverandosi di una simile leggerezza. -Alain, devo andare a lavoro!- disse, tentando di ignorare il coro di clacson che suonavano da mezz'ora...ovvero da quando il suo amico lo aveva bloccato quasi in mezzo alla strada con una scusa, per chiedere delucidazioni sulla sua fantomatica serata.
-Avanti, amico-disse- vedi di raccontarmi tutto per filo e per segno. Non ho tutta la giornata e vorrei sapere.-
Il rumore dei clacson aumentò.
-Alain-sospirò l'altro- stai lavorando...io devo andare in azienda. Ti pare forse il momento adatto per chiedermi una cosa simile?-
De Soisson sorrise malefico. -Mi hai bidonato per una settimana, stronzo- rispose. Grandier chiuse di nuovo gli occhi, tentando d'ignorare il coro di maledizioni che sentiva nell'aria...ma non era semplice. Non sapeva su cosa occorresse concentrarsi...se sul suo amico oppure sulla serie di bestemmie che gli automobilisti inferociti facevano contro di loro.
-E va bene- disse, prima di fissarlo con rabbia- ma non c'è molto da dire.-
Alain si appoggiò allo sportello dell'auto. -Non temere-rispose- non ho fretta-
Il moro sgranò gli occhi.
Ma quelli là dietro sì, bastardo! avrebbe voluto ribattere...ma subito desistette. De Soisson, purtroppo aveva la testa dura dei Guasconi e questo voleva dire che niente, assolutamente niente, lo avrebbe salvato da quell'interrogatorio.
In conclusione, era stata una pessima idea passare di lì.
In sintesi, era fottuto.
 
 
 
 
In sintesi, era fottuta.
Gli occhi di tutto il Bonne Table erano fissi su di lei...e, nel dire tutti, si intendevano persino quelli dei personaggi presenti sulle foto del locale.
L'aria era densa di elettricità, da quando aveva sganciato la bomba e quel silenzio, che si protraeva da un po', alla fine cominciò a stancarla. -...e questo è tutto.-concluse, dopo aver snocciolato tutta la vicenda, bypassando tutte le parentesi sensuali che contornavano la cosa. Il cuore batteva nervoso, mentre attendeva il momento della verdetto finale...che non tardò ad arrivare.
-Minchia- esclamò Jeanne De La Motte, inclinando la testa.
-Caspita...Hai capito la nostra amica repressa!- rispose Jeanne Becu, sorridendo sghemba.
Oscar lanciò loro un'occhiata in tralice. L'espressione estatica delle due, persa in chissà quali scenari a luci rosse, non prometteva nulla di buono. -Mi raccomando...che non si sappia in giro.-si raccomandò, tentando di non dare alcuna sfumatura minacciosa alla voce...ma era difficile, a giudicare dalle smorfie delle due.
De La Motte inarcò la fronte. -Immagino che sia stata...come dire...una bella esperienza- commentò, con la sua consueta indelicatezza.
La bionda sospirò. -Spero solo che non abbia capito chi sono...o è la fine.- rispose, prima di fissare le due - e voi, mi raccomando, tenete la bocca chiusa.-
-Certamente- fece la Becu.
-Assolutamente- rispose Jeanne.
Oscar aggrottò la fronte.
-Ma sicuro-continuò la mora.
Poi le due proprietarie si guardarono negli occhi. La Becu fissò intensamente le iridi della mora, in una sorta di rapimento dei sensi perfettamente ricambiato dall'altra.-Jeanne- fece quest'ultima, avvicinando il proprio viso all'altra- pensi anche tu quello che sto pensando io?-
La signorina De Jarjayes, avvolta nel suo abito da ufficio, sentì distintamente un brivido lungo la schiena...ma non fece in tempo a dire nulla. Prima ancora di pronunciare Alla Bastiglia!le due diaboliche Jeanne fecero la loro mossa.
-UN ATTIMO DI ATTENZIONE, SIGNORI BELLI!-urlò la Becu.
Tutti si girarono.
-Ho un annuncio da fare- disse, dando poi una patina torbida alla voce- a proposito della nostra carissima OSCAR FRANCOISE DE JARJAYES!-
L'interessata fece uno scatto...ma prima che potesse mettere le mani al collo della Becu, si ritrovò placcata a terra dalla sua omonima mora, insieme ad altri due clienti della locanda. Si divincolò un paio di volte ma la presa era da manuale. -Maledizione! Stai zitta dannmmmmhmhmh- provò a dire, prima che la mano di uno di loro si piantasse saldamente sulla sua bocca, impedendo alla sfilza di maledizioni che stava pensando di uscire dalla sua testa.
Jeanne De La Motte sorrise all'indirizzo della sua collega.
-Dunque, signori belli-continuò la De La Motte- la nostra carissima Oscar ha sempre condotto una noiosissima vita, assolutamente piegata alla più grigia castità- Quella frase scatenò molte battute di approvazione...e nuovi istinti omicidi da parte della carissima. -Sapete, noi la conosciamo da anni e...davvero, disperavamo di farla rinsavire, convertendola alla nobile arte di assaporare i piaceri dell'ars amatoria.-
La bionda fece una seconda pausa ad effetto, giocando sul silenzio che faceva crescere l'attesa. Quasi si commosse, nel vedere che tutti pendevano dalle sue labbra, in attesa del resto...e si sarebbe maggiormente goduta l'intera popolarità se la diretta interessata non avesse fatto altro che mugugnare, malgrado la sua bocca fosse stata opportunamente tappata.  -In ogni caso, vi informo che gli sforzi di trasformazione di questa fanciulla sono valsi allo scopo.  Per una notte, la nostra Cenerentola ha potuto assaporare con mano cosa significhi essere un individuo con i cromosomi XX...senza offesa, Meryl ma ancora non hai fatto l'operazione e con quell'affare che hai tra le gambe, non possiamo fisicamente includerti nell'altra metà del cielo.- disse, con un tono materno.
-Non sarà per sempre!-strillò il diretto interessato, tra le risate generali dei clienti.
-Comunque-proseguì- non ci interessa parlare oggi del tuo uccello, cherie. Oggi è la nostra Oscar ad essere la protagonista di questa romanzesca vicenda.-
-Becu ha ragione.- fece solenne Jimmy.
-Grazie per l'attenzione, amico mio-fece la bionda- OGGI LA CASA OFFRE UN GIRO DI BIBITE GRATIS, QUALUNQUE LIQUIDO SCEGLIATE, OVVIAMENTE ALCOLICO, IN ONORE DI OSCAR FRANCOISE DE JARJAYES CHE A 28 ANNI SUONATI E'RIUSCITA A PERDERE LA SUA INOSSIDABILE VERGINITA'!-
Oscar rimase raggelata dalla pioggia di applausi e complimenti. Avrebbe voluto saltare alla gola della sua pessima amica ma la morsa in cui era stretta la bloccava a terra.
-E chi sarebbe il Buon Samaritano che ha salvato la nostra cara Oscar?-domandò uno dei travestiti, con una curiosità degna di una comare.
Jeanne Becu inclinò il capo, con fare civettuolo. Aprì la bocca per rispondere ma si bloccò, interrotta dalla risata forte della sua omonima mora. -Perché interrompi la mia performance?-chiese, guardando ora lei, ora Oscar.
De La Motte sospirò. -Mia cara- disse- come possiamo noi, rivelare questo segreto? La prima volta, per una donna, è molto speciale...soprattutto se ha una Jolanda nuova di zecca.- Poi si girò agli interessati. -Suvvia, gente! L'importante è essere riusciti a trasformare questa disperata in una donna capace di avere un rapporto sessuale con i fiocchi, come tutti i comuni esseri umani di questa Terra. Sapete bene che la cosa si colora di sentimento...non vorrete impicciarvi anche di questo, spero?- disse, con un tono cordiale che mascherava una vera e propria minaccia.
Un coro di sbuffi seguì quella frase...ma, vedendo che la mora non desisteva da quell'intento, decisero di lasciar perdere.
Becu fissò la collega per qualche momento poi alzò le spalle
Oscar si girò verso la mora, disorientata da quell'improvviso appoggio.
-Non ringraziarmi, cara- cinguettò De La Motte- lo farai sabato, coprendomi al locale...ovviamente con l'uniforme maschile che ti ho fatto preparare.-
La bionda spalancò gli occhi.
Ah, ecco fu tutto quello che riuscì a pensare.
 
 
-AHAHAHAHAHAH!- fece Alain De Soisson, tremando per le risa- Non mi dire!-
-Guarda che è la verità- sbuffò l'imprenditore, passandosi una mano sulla testa.
Il vigile inclinò il capo. -No, non me la bevo. Eri poco lucido e, malgrado questo, ti sei portato a letto una gnocca da paura...illibata per giunta!- disse, prima di aggrottare la fronte- Ma almeno ti ricordi come ci sei finito a letto?-
André chiuse gli occhi.
Era più che evidente che non gli credeva. -Alain De Soisson, ti pare che io sia il tipo da dimenticare una cosa simile? Non sto mentendo! Non so come ci sono finito a letto ma...ecco...il punto è che ci sono finito a letto!- rispose piccato.
Il gigante scosse il capo.
-Ma sei sicuro?No, davvero...-fece.
André si dette una manata sulla fronte. Perché le conversazioni con il suo amico dovevano diventare così imbarazzanti? -Senti, te lo ripeto per l'ennesima volta. Quando mi sono svegliato, lei non c'era più. In compenso, le lenzuola erano macchiate di sangue...e di due cose, sono davvero sicuro.- fece, sospirando- La prima è che mentre stavamo per ruzzolare sul letto, né io, né lei abbiamo battuto nello spigolo di qualche mobile della stanza. La seconda, invece è che lei non aveva le mestruazioni...cosa dovrei pensare?-
Il coro di clacson aumentò di nuovo.
Alain rimase un momento zitto e Grandier, con orrore vide la sua espressione scettica, farsi sbigottita. -Ma...insomma, sei sicuro?-chiese di nuovo.
Il moro arrossì, ripensando alla serata. Alcuni particolari della serata erano ancora poco chiari nella sua psiche...però ricordava benissimo quelle mani affusolate sul suo corpo. A quel pensiero, trattenne a stento un fremito. Certo, ora che ci pensava, all'inizio gli era parsa un po'incerta. ...Però dopo si è scatenata di brutto, poco ma sicuro si disse mentalmente.
Il vigile tacque.
Rimase silenzioso per un arco di tempo che parve infinito...poi, all'improvviso, un lampo balenò nei suoi occhi scuri. -Cribbio, André- fece- se è vero quello che dici...oh cazzo, sei un bastardo fortunato, lascia che te lo dica.-
-Ma che accidenti stai a dire?-esclamò l'altro.
Alain scosse la testa. -Non ci arrivi? Senti, ragiona un po': hai conosciuto una donna bellissima e, da come me l'hai descritta, priva di ogni esperienza sotto le lenzuola. Cosa ne deduci da tutto questo?- chiese.
André aprì la bocca, richiudendola di scatto quasi subito.
- Che sei un maledetto bastardo fortunato, che è riuscito nell'impresa titanica di essersi portato a letto l'ultima vergine maggiorenne di Parigi, ecco cosa!- sbottò il gigante, allargando le braccia, completamente invasato- Nei secoli, immediatamente successivi a questo, gli scapoli ed i maschi di tutta la Francia, schiavi del più gretto materialismo e delle più pura assenza di valori, sapranno che i miracoli esistono e che chiunque, con la classica botta di culo s'intende, può riuscire a portarsi a letto una donna integra sotto ogni punto di vista, senza il terrore di essere accoppato da qualche padre conservatore o di finire in galera perché la tipa in questione era minorenne ma non te lo aveva detto...sei primo vessillo lasciato in una terra immacolata, priva di...-
-Ok, ok, Alain. - disse il moro, mettendo le mani avanti- Ho...ho afferrato il concetto, grazie. Ora però mi dici cosa devo fare?-
Il guascone tacque, con un'espressione seria e pensierosa in volto.
André subì stoico quel silenzio. Quelle pause dalla chiassosità tipica del suo amico erano spesso foriere di uscite imprevedibili, talvolta azzeccate...e così attese, con la stessa devozione di chi aspetta il responso della Pizia. Può essere che oggi spari una cosa intelligente, invece della solita cazzata pensò speranzoso.
E, infine, l'Oracolo De Soisson parlò.
-E io che accidenti ne so? Sei tu quello nei casini, mica io!- esclamò.
André sgranò gli occhi.
-Muoviti, cretino!- tuonò allora un automobilista.
Alain ghignò. -Vedi?- disse- Anche quell'estraneo ti sta dando del fesso!-
L'imprenditore scosse la testa, rifiutandosi di rispondergli. -Senti, ne riparliamo nel fine settimana, altrimenti avrò delle grane a lavoro.- disse, pronto a girare la chiave.
-Vai vai-fece De Soisson, prima d'illuminarsi- Ah, André, prendi questa.-
Il moro afferrò perplesso il foglio.
-Una multa? Starai scherzando, spero.-disse, fissandolo sgomento- Andiamo Alain! Mi hai bloccato tu per la strada. Che senso ha?-
-Una sosta in doppia fila è una sosta in doppia fila-rispose con piglio severo il colosso- e poi dovevi pensarci prima.-
Grandier scrutò inebetito la sua espressione...poi, con un sospiro, tirò fuori il portafoglio, per dare tutti i dati. Non avrebbe mai dovuto fermarsi o non tener conto dei posti dove lavorava il suo amico. Era tutta colpa sua se le cose erano andate così...e mentalmente fece una promessa solenne. Se mai le ruote della sua macchina avessero incrociato di nuovo sulla via il vigile Alain De Soisson, avrebbe personalmente premuto a tutto gas sul pedale dell'auto con un unico e preciso scopo: portare il corpo del suo migliore amico (ma su questo, talvolta aveva dei dubbi) a diventare parte integrante dell'asfalto urbano parigino.
 
Bene questo è il nuovo capitolo del restyling della storia. Ho allungato alcune parti, risolvendo l'eccesso di mistero che faceva incartare un po'tutto. Non so se piacerà ma penso che sia venuto meglio. Intanto, chiedo scusa per i ritardi ma rielaborare la trama non è uno scherzo e ridefinire alcuni personaggi è davvero complicato. Mi auguro che questa nuova veste vi sia piaciuta. Intanto ringrazio tutti voi per la vostra pazienza.
 
 

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Capitolo 3
*** GRANDIER'S OPTICAL CORPORATION ***


Benvenuti cari lettori e lettrici. Questa revisione della storia sta procedendo come sempre abbastanza a rilento ma, come ho già avuto modo di dire, purtroppo ho davvero poco tempo libero. Non sono inoltre molto presente a casa e questo fatto ma spero di poter aggiornare il prima possibile.

 

 

GRANDIER'S OPTICAL CORPORATION

 

La Grandier's Optical Corporation era una fiorente industria, specializzata nel settore ottico e negli strumenti di precisione. Distribuita in parte della Loira ed in alcune zone della Provenza, dava lavoro a circa 1500 persone, un numero sufficiente per un settore di nicchia, con sede centrale a Parigi...e non per un caso.

Ogni anno giungevano richieste dai committenti più disparati, dai ricchi magnati del petrolio, alle stazioni spaziali, allo stesso governo: questi ultimi erano i clienti più importanti, per la preparazione di strumenti ottici d'avanguardia. André non ne andava comunque molto fiero. Parte delle cose che venivano prodotte dalla sua attività, venivano associate all'industria militare...un pensiero che il suo animo di pacifista non apprezzava molto.

Doveva comunque ammettere che, per arrivare nel punto in cui si trovava, non aveva minimamente potuto sperare di convincere il prossimo parlando di dialogo e uguaglianza. Doveva ammettere che la sua esperienza non favoriva la sua naturale indole tranquilla e pacata...e doveva ammettere che il suo inossidabile self control aveva subito un duro contraccolpo, quella mattina. Giuda Ballerino, chi me lo ha fatto fare di andare per quella maledetta strada?si disse, fissando con stizza i corridoi. Alain era purtroppo il suo amico più rognoso, quando si metteva in testa di riuscire a scoprire qualcosa.

Ed ora non sfuggirò nemmeno a Bernard e alle sue odiose prediche sulle donne aggiunse mentalmente la sua coscienza. Era ovvio, inevitabile. Come dei gemelli siamesi, era sufficiente che uno di loro sapesse qualcosa perché anche l'altro ne fosse al corrente. André scrollò il capo. Altro che DPSD![1] pensò, mentre salutava meccanicamente tutti i dipendenti ed i collaboratori.

A passo deciso, raggiunse la porta dell'ufficio.

-Signor Grandier-disse improvvisamente una voce alle sue spalle. André alzò gli occhi al cielo. Non è proprio giornata pensò. -Monsieur De Bouillet-salutò, sfoderando un sorriso cordiale.

-Monsieur Grandier- disse questi, avanzando minaccioso- sono qui che la aspetto da dieci minuti.-

L'imprenditore mantenne inalterata la sua espressione. -Mi dispiace per l'inconveniente- rispose, fissando di sbieco l'orologio che aveva al polso- ma il traffico parigino era molto impegnativo. Ho incontrato l'ora di punta e...-

-Questo non ha alcuna importanza, signore-rispose piccato l'altro- lei doveva essere in assemblea già da un po'. La stiamo aspettando.-

-Va bene-concesse l'altro.

De Bouillet lo guardò arcigno, prima di sbuffare. -Monsieur Grandier, io non voglio passare per pedante ma dovete comprendere la gravità della situazione. Noi siamo una ditta con una reputazione non trascurabile...-cominciò a dire, scrollando il capo- ah, se suo padre e suo nonno fossero qui, avrebbero di certo disapprovato la sua maniera di condurre gli affari.-

André mantenne il suo sorriso.

-Provvederò a raggiungerla-rispose, appoggiandosi alla maniglia dello studio.

-Lo spero bene-disse l'uomo, prima di accigliarsi- ah, signore.-

L'altro si girò. -Dica-fece.

-A proposito di quella faccenda...-cominciò.

André scosse il capo. -Ne abbiamo già parlato...e la mia risposta è no. Non ho nessuna intenzione di accettare.- rispose.

-Ma Monsieur- disse l'altro- Julian è un bravo soggetto. Ha preso il massimo nel master di economia e archiviazione e...-

-...E si dia il caso che è suo nipote.-ribatté André, tentando di tenere a freno il fastidio di quel nemmeno tanto velato tentativo di raccomandazione - Non ho nessuna intenzione di dare adito al consiglio di amministrazione di essere parziale. Ho letto il curriculum di suo nipote. Ha voti eccellenti e titoli di studio insindacabili ma non ha nessuna esperienza sul campo.-

De Bouillet storse le labbra in una smorfia.

-Capisco che lei abbia molta fiducia nel suo parente ma voglio evitare qualsiasi possibile accusa di raccomandazione. Mi rendo conto che il suo giudizio è assolutamente giusto...ma sono io il capo dell'azienda e non voglio rovinare la reputazione di nessuno, facendo un favore a qualcuno di cui non ho una comprovata dimostrazione di esperienza.- continuò.

-Ma signore...-provò a dire l'altro.

-La prego di non insistere- fece Grandier, massaggiandosi le tempie con le mani- ed ora se permette...-

L'altro sbuffò. -Signore, però...-continuò a dire.

André non ascoltò il resto. Con un gesto rapido della mano, aprì la porta che dava nei suoi studi. -Non ho nessuna intenzione di ritornare sui miei passi. Se ha qualcosa da dire, a proposito della segretaria che, si ricorderà bene, lei stesso mi ha rifilato con il beneplacito dei suoi illustri colleghi...-disse, notando come il volto grasso dell'altro cominciasse ad assumere tonalità rossastre e rabbiose.

Il mal di testa crebbe, direttamente proporzionale alla previsione dell'ennesima serie di prediche che sapeva sarebbero uscite da quell'uomo baffuto. -Ne riparleremo durante la riunione. La raggiungo tra un attimo.-disse, aprendo di scatto la porta.

De Bouillet fece per dire qualcosa...ma quando vide la persona presente nella postazione che si trovava davanti all'ufficio del direttore. -Va bene- disse meccanicamente- ma si ricordi il mio suggerimento.-

Per tutta risposta, André annuì...ma quando chiuse la porta alle sue spalle, non poté fare a meno di sbuffare risentito. Come accidenti si permetteva quel ciccione di dargli ordini? Aveva quasi compromesso il suo fegato per riuscire a prendere in mano le redini dell'impresa avviata dal suo bisnonno e stava tuttora incontrando difficoltà nell'imporre la sua visione delle attività produttive al consiglio d'amministrazione.  Da non crederci pensò, gettando l'impermeabile di lato.

-Cose da pazzi-borbottò, massaggiandosi la testa.

-Cosa, signore?-domando una voce.

André sobbalzò.

Da dove veniva? Girò la testa a destra e sinistra...salvo poi notare, con un filo di sconcerto che qualcosa non quadrava. L'attaccapanni si trovava vicino al vaso del Ficus Benjamin...perché era invece vicino alla porta? -Signore?-disse di nuovo la voce.

André sgranò gli occhi, per poi darsi dello sciocco. In un primo momento, aveva temuto di vedere di fronte a sé l'immagine del cugino Itt, della famiglia Addams...ma era durato un istante. -Oh, mi scusi, signorina De Jarjayes!- esclamò -Non l'avevo vista!-

Preso com'era dai suoi pensieri, non aveva notato la segretaria e gli aveva gettato addosso l'impermeabile...ottenendo, appunto, il cugino Itt. Ok, devo smetterla si disse, mentre tentava di non ridere per il bizzarro abbinamento.

Proprio mentre era preso da quell'attacco d'ilarità, la donna si tirò via di dosso il capo che le aveva gettato contro...e gli riservò la migliore delle sue espressioni accigliate. André allora rise ancora più forte, non seppe dire per l'intrinseca dose di ridicolo che quella serietà gli suscitava o per un bieco tentativo di esorcizzare la stizza che sembrava volerlo perseguitare in modi sempre più creativi e odiosi.

-Mi scusi-disse, prendendo il cappotto che questa le porgeva- ma ero sovrappensiero e non ho avuto modo di accorgermi di lei.-

-Lo vedo-replicò la segretaria, inarcando la fronte. Con una mossa fulminea si aggiustò gli occhiali a bottiglia che era solita portare- In ogni caso, le suggerisco di avviarsi alla riunione. -

André si grattò nervosamente il collo. Quando faceva in quel modo, quasi da maestrina, gli dava sui nervi. Pareva quasi che volesse comandare a bacchetta. E sono io che la pago! fu l'osservazione irritata delle sue sinapsi.

-Lo faccio, lo faccio- disse, mentre si avviava verso l'uscita...e, senza salutarla, andò via.

 

 

Mentre percorreva i corridoi, ripensò a quando la signorina De Jarjayes era entrata nella sua ditta come segretaria personale.

Inizialmente non ne era rimasto molto felice.

Insediatosi da pochi mesi, a capo della ditta in pianta stabile, aveva capito che le persone intorno a lui volevano solo manipolarlo...ma era comprensibile. Orfano dall'età di otto anni, era stato portato in un collegio nemmeno una settimana dopo le esequie. I tutori avevano detto che non c'era nessun parente disposto ad ospitarlo e loro non potevano fare nulla per lui...a parte gestire i suoi soldi. André non gliene faceva una colpa comunque. Ripensandoci, era assolutamente impossibile che degli uomini scapoli o in là con gli anni come loro, fossero capaci di prendersi cura di un bambino timido e silenzioso.

Quello che non poteva sopportare, comunque, era la finta aria di accondiscendenza che gli riservavano. Quando era giunto nella ditta, tutti avevano preso a dirgli cosa doveva fare, approfittando del fatto che non era mai entrato nell'impresa. Non avevano previsto che il suo Q.I fosse intorno ai 139, ovvero che fosse un genio e che fosse maledettamente semplice per lui memorizzare cifre e dati. Così, non ci aveva messo molto a capire come funzionavano le cose nell'azienda.

Con un sorriso pacato, si avvicinò alla porta dell'ufficio del consiglio d'amministrazione.

-Buongiorno signori-salutò, accomodandosi nella poltrona a capotavola.

Mentre così faceva, si prese il disturbo di guardare tutti i presenti. Non mancava nessuno. Bene, si entra in scena si disse, sfoderando tutta la pacatezza con cui si era fatto conoscere.

Gli altri ricambiarono...e la riunione cominciò.

 

 

 

Oscar fissava l'orologio dell'ufficio. Aveva messo in ordine tutti i documenti, dispondendoli per argomento e dimensione, fotocopiato tutti i testi che il capo aveva richiesto...ed ora fissava il quadrante a cifre arabe, chiedendosi molte cose.

Quanto sarebbe durata quella riunione?

Come avrebbe passato il tempo?

Cosa avrebbe dovuto fare quando sarebbe tornato?

Questo non lo sapeva.

Con aria stanca, osservò il cellulare. Lo teneva sempre in modalità silenziosa e, come sempre, non vedeva nessun messaggio. Come sempre si disse, stiracchiando con calma le gambe.

L'occhio cadde poi sull'arredo. Malgrado lavorasse lì da circa 4 anni, non aveva messo mano all'ufficio, dandogli un tocco personale. Il fatto era che non sapeva quanto sarebbe rimasta lì...e, considerando i trascorsi del suo capo, non poteva certo fare diversamente.

Persino in quel momento, mentre se ne stava lì senza far niente, aveva quell'incertezza addosso, così forte da non lasciarla mai, nemmeno un secondo. Con calma, si mise a fissare la piccola cornice che teneva sopra al tavolo. Era l'unica cosa che aveva messo, per personalizzare la stanza...e, con fare assorto, si mise ad accarezzare il vetro. La Normandia...pensò, assorta.

Erano passati dei mesi da quando non aveva più fatto una visita...e un po' si sentiva in colpa, anche se non lo avrebbe ammesso con i diretti interessati. La ragione? Non lo sapeva nemmeno lei.

Oscar chiuse gli occhi, immaginandosi l'aria salmastra dell'oceano accarezzarle impudente il viso, dandole quel tocco di libertà a lei negata per così tanti anni.

Improvvisamente la porta bussò...e con essa finì anche il sogno ad occhi aperti della segretaria.

-Buongiorno-disse.

L'uomo che era entrato proveniva dall'ufficio di De Bouillet. Si chiamava Mathieu ed era uno dei suoi collaboratori di fiducia. -Buongiorno, signorina- rispose, avvicinandosi alla sua scrivania- il signor Grandier non è ancora uscito?-

-Temo di no-fece la donna, sistemandosi gli occhiali.

Mathieu sorrise beffardo.

-Il capo lavora molto, a quanto vedo.-disse, osservando obliquo la stanza- non si può certo dire lo stesso di lei.-

La segretaria inarcò la fronte. -Mi sembra ovvio che in questo momento la densità di lavoro sia inferiore. Ho appena cominciato l'orario d'ufficio e le nuove pratiche non sono arrivate. Non trova che sia troppo presto per saltare alle conclusioni?- disse, appoggiando una mano sul fianco.

L'altro scosse la testa. -La verità è che non mi sarei mai aspettato che il signor Grandier riuscisse a sopportare una donna tanto a lungo-disse, prima di sorridere malefico- ah già, ma lei non è una donna.-

Oscar incassò malamente la frecciata.

Malgrado si aspettasse quel genere di uscite da quell'uomo, era sempre doloroso riceverle. -Chissà, forse è per questo che mi tiene qui. Se sono riuscita a resistere è merito del mio aspetto. Il capo non si distrae ed io posso lavorare tranquillamente senza sconti...d'altra parte è per questo che sono qui. Io non sono una donna e, cosa ancora più rilevante, non sono qui per via della parentela- disse- non ho forse ragione, Mathieu De Bouillet?-

L'uomo storse la bocca, tentando di tenere il sorriso di superiorità. Non gli venne bene, però, come ebbe modo di vedere la segretaria. -In ogni caso, non durerà per sempre. Quando lei farà un passo falso, allora quel posto sarà mio-disse- e so che farà un passo falso, perché lei è una donna.-

Con queste parole, chiuse la porta alle sue spalle.

Oscar si appoggiò malamente alla sedia, mandandolo al diavolo con la forza del pensiero. Non seppe dire se quell'accidente lo raggiunse ma sperò vivamente di sì. Non aveva fatto tutta quella strada per niente, assolutamente no. Con la coda dell'occhio, fissò lo specchio che si trovava dall'altra parte della stanza...e gli venne spontaneo sorridere beffardamente.

-Io, una donna?-fece retorica- Ma non dire cazzate.-

 

 

-Io dico che questa soluzione non sia fattibile, ai fini dell'azienda.-disse uno dei membri del consiglio- Abbiamo visto la crescita delle spese di manutenzione dell'impianto, con l'aggiunta di notevoli costi, per quanto riguarda il pagamento dei dipendenti.-

-A maggior ragione, collega- ribatté un altro- è necessario delocalizzare la ditta. Questo Paese sta attraversando una crisi di non poco conto. Intende forse rimanere qui? Io dico che bisogna delocalizzare in un luogo dove il costo industriale è più sostenibile.-

André si massaggiò la fronte, tentando di frenare il pizzicore che gli stava imperlando la fronte, facendogli il solletico. Erano passate circa un paio d'ore, se l'orologio non lo ingannava...ed era successo ciò che temeva. Odio le situazioni di stallo si disse, passandosi lentamente le dita ai lati della fronte, con moti lenti, in senso antiorario.

Era un trucco per rilassarsi...o almeno così aveva detto lo strizzacervelli, durante il primo e ultimo incontro della sua vita.

-In ogni caso- si inserì De Bouillet- dobbiamo tenere conto delle nostre esigenze e credo che la delocalizzazione sia l'ideale. Il saldo è per il momento positivo ma non sarà per sempre così. Dobbiamo provvedere.-

Seguì allora un  brusio di assenso.

De Bouillet annuì, con fare soddisfatto. Le sue maniere, autorevoli e pacate insieme, sapevano essere accattivanti oltre ogni umana comprensione, grazie forse a quella patina di umanità che sembrava renderle così sincere da non sembrare nemmeno vere. Godeva di molta considerazione all'interno dell'azienda, di cui era un collaboratore storico.

-La sua competenza è assolutamente degna di lode, come sempre-disse André, rompendo quel coro di consensi- ma deve risolvere un'incertezza che il suo ragionamento non mi soddisfa.-

L'uomo si girò, stirando le labbra in un sorriso di circostanza.

-Dica pure signore-rispose, con fare cortese.

André si grattò la testa, con finta timidezza. In passato era un bambino molto schivo e silenzioso e, malgrado il tempo avesse smussato questo lato del suo carattere, continuava comunque ad assumere quell'atteggiamento, quasi giocandoci, con una naturalezza tale da rendere impossibile capire quando scherzava e quando no.-Lei sa che questa ditta punta all'eccellenza e che occorrono persone specializzate per tenere alta la qualità dei prodotti- disse- come pensa di risolvere il problema della formazione del personale, su cui abbiamo investito considerevoli capitali e tempo, una volta lasciato il confine?-

I membri della commissione si guardarono a vicenda. -Monsieur -disse uno di loro- per quanto la cosa sia lodevole, dobbiamo pensare alla sopravvivenza del lavoro operato dai Grandier, fin dalla fondazione dell'impresa. Non possiamo perdere con la concorrenza...-

-Perderemo sicuramente se abbasseremo la qualità e minori costi di produzione equivalgono a prodotti scadenti. La nostra clientela è selezionata.-disse, prima di sorridere- Oppure pensate seriamente di poter competere con multinazionali che producono su scala mondiale?-

-Signore-rispose De Bouillet- noi dobbiamo approfittare di un possibile ampliamento del mercato...dobbiamo considerare che i nostri prodotti sono molto apprezzati ma sono rivolti a clienti selezionati. Tutto questo non durerà.-

André annuì.

-In ogni caso, non cambierò disegno. I nostri clienti ci cercano perché diamo un prodotto di peso, tanto da giustificarne la spesa. Se delocalizziamo dove i costi industriali sono minori, producendo su larga scala, otterremo oggetti che chiunque potrebbe comprare benissimo altrove...e non voglio correre questo rischio-disse, prima di sorridere- anche perché, fino a prova contraria, il capo qui sono io.-

 

 

 

André camminava tranquillo per i corridoi, salutando i suoi dipendenti. Fece un giro dei vari reparti, visionando i dati dei macchinari in funzione, poi, una volta giunto alla porta dell'ufficio della direzione, si concesse  un lungo sospiro.

-Tutto bene, Monsieur?-domandò una voce.

L'uomo fece un balzo per lo spavento...salvo poi rilassarsi. -Oh, signorina De Jarjayes!-disse, passandosi una mano sul petto- Non mi ero accorto che era lei.-

La segretaria si portò una mano sulla bocca. -L'ho visto-rispose, con un tono che sapeva di presa in giro.

André scosse il capo.

-Senta-fece- non intendo cominciare a discutere con lei...-

-Caffé?-lo interruppe la donna.

Il moro la fissò perplesso. -E caffé sia!-esclamò, accettando volentieri il bicchiere che questa gli porgeva. La riunione aveva demolito le sue capacità di sopportazione e non aveva voglia di litigare con la sua segretaria personale.

Per questo motivo, senza fare una piega, accettò ben volentieri quel sorso di nettare amaro. -Aaah- sospirò, dopo averne bevuto un sorso- non sente che meraviglia?-

-Cosa?-chiese la segretaria.

André la guardò.

-Il silenzio.-rispose, stirando le labbra in un sorriso sempre più largo.

 

 

 

Questo è uno sviluppo assolutamente inedito, rispetto alla prima versione...ma era già lì, comunque. Ho voluto approfondire il personaggio di André, dandogli un po'di spessore. Come sempre mi scuso per i ritardi ma è un periodo incasinato e quindi aggiorno con minor frequenza. Ho deciso di riprendere in mano alcune storie, in modo da dargli una forma migliore. Spero che questo capitolo sia venuto bene. Ho introdotto un nuovo personaggio, assolutamente inedito...preparatevi, perché ne vedremo delle belle.

 



[1] Servizi segreti francesi

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Capitolo 4
*** Return home ***


Ora, immagino che l'attesa di questi aggiornamenti sfianchi...ma il fatto è che sono incasinatissima con l'università, con la tesi e con gli esami. Mi dispiace per questi inconvenienti ma è così. Intanto vi informo che sto sistemando alcune originali oltre a questa, sperando di farle in modo molto più dignitoso di quello che sono. Inoltre, vi informo che sono andata a vedere l'Officina dei Papiri e Napoli e la biblioteca annessa, un sogno per chi fa lettere antiche.

Cribbio, come è messa male controcorrente...e non posso che essere d'accordo con voi. Quando si affoga nella melma dei decreti e si studia in un ex manicomio, queste uscite ingloriose sono inevitabili.

In ogni caso, sono andata in quel posto e, credetemi, vedere i papiri di Ercolano dal vivo è stata un'esperienza strepitosa.

 

RETURN HOME

 

Oscar non era mai stata una di grandi pretese ma doveva riconoscere che quel posto di lavoro era stato un vero e proprio colpo di fortuna. Un'autentica e colossale botta di culo avrebbe detto Jeanne Becu, in uno dei suoi più raffinati slanci espressivi...e forse non era stata una definizione tanto astrusa. Da quando era diventata segretaria personale, prendeva uno stipendio a 4 cifre, cosa che si poteva solo sognare quando era entrata inizialmente nell'azienda.

Con tutta calma, fissò la porta dell'ufficio da cui era uscito il giovane Mathieu, nipote del responsabile De Bouillet...e stirò le labbra in una smorfia malevola.

Non le era mai piaciuto molto quel viziato.

Aveva molta presunzione e si comportava sgarbatamente con gli addetti alle pulizie. Lo aveva visto prendersela con uno di loro per un'inezia...scosse leggermente il capo. Malgrado fosse avvezza dalla culla a quel tipo di maniere, non significava che le approvasse. Non è così che ci si comporta con un collega di lavoro fu il pensiero che l'attraversò a quel ricordo, mentre visionava tutte le carte presenti.

-Signorina De Jarjayes?-domandò una voce.

Oscar sobbalzò, vedendo il suo superiore. Persa nei suoi pensieri, non si era accorta che era sulla soglia. -Signore-rispose, fissandolo da dietro le lenti degli occhiali.

-E'ancora qui?-domandò il capo perplesso.

La segretaria rimase qualche momento interdetta...poi vide l'orologio. -Oh, è già finito l'orario di oggi.-commentò.

-Esatto-rispose André- intende pernottare nell'ufficio?-

Oscar lo fissò di rimando. -E lei intende rovinarsi la salute?-chiese, con quel tono a mezzo tra sfrontatezza e formalità.

L'altro alzò le spalle. -Ma sono il responsabile dell'azienda! Qualcuno dovrà pur fare questo sporco lavoro, no?-fece retorico, con un'espressione da bambino.

La segretaria aggrottò la fronte, fissandolo in tralice. -Non se ne parla, signore!-esclamò- Lei deve tornarsene a casa e prendersi un po'di riposo. Si ricordi che è l'unico proprietario di questa azienda e non può permettersi nessun tipo di malanno.-

Eccola che ricomincia si disse André, fissandola sardonico. -Devo forse ricordarle che sono io che le pago lo stipendio?-domandò retorico.

Oscar s'irrigidì un momento. -Non ricordo che ci fosse scritto il suo nome sulla mia busta paga-replicò, voltando la faccia verso la finestra.

Il capo la fissò con palese ironica. Quel fare piccato era ai suoi occhi piuttosto divertente, più di quanto si aspettasse. Per molti aspetti, la signorina De Jarjayes era un essere abbastanza bizzarro. Vestiva perennemente abiti che giravano nella seconda guerra mondiale, quei tailleur smorti e squadrati, privi di decorazioni, che la rendevano una riproduzione vivente della moda di quel periodo. Portava capelli legati in chignon strettissimi e, come se non bastasse, indossava degli occhiali con lenti a fondo di bottiglia, così spessi da impedirgli di vedere bene il colore degli occhi.

André si passò una mano sui capelli. Erano 4 anni che lavoravano insieme, gomito a gomito e ancora non riusciva a scrollarsi di dosso lo sgomento per una simile sciatteria. Maledetto consiglio d'amministrazione!pensò, ancora po'risentito dalla situazione in cui si trovava, da quando l'aveva presa come segretaria personale, su imposizione dei suoi collaboratori. -E va bene- concesse- tornerò a casa alla fine dell'orario di lavoro, mammina.-

Oscar si trattenne dal mandarlo al diavolo, ma non dal fissarlo severa, con un fare quasi da maestrina che fece ridere Grandier. Benché non la considerasse una donna, quell'essere amorfo era maledettamente divertente, con una risposta sempre pronta. Senza contare che, almeno lei, non mira a farmi le scarpe si disse.

-Signorina De Jarjayes-fece- mi stavo chiedendo una cosa. Come torna a casa?-

Oscar rimase un po'interdetta da quella richiesta. -Con la metropolitana-rispose, dopo qualche momento.

-Oggi abbiamo superato l'orario di lavoro di una ventina di minuti. Considerando che è anche colpa mia se lei è rimasta qui e considerando che non mi ha mai chiesto niente, credo che sia giusto che io la accompagni alla metro, che ne pensa?Aspetti un altro po' e poi ce ne andiamo. Le darò ovviamente un aumento per questo impiccio.-disse, passandosi una mano sui capelli corti.

La segretaria annuì quasi senza accorgersene. Non era avvezza a quel genere di premure ma quel ragionamento, basato su un secco do ut des la rese abbastanza lucida da accettare. Non c'era niente di romantico sotto. Non si era accorto che era lei la donna con cui aveva fatto sesso alcune notti prima. Poteva funzionare, senza nessun problema...eppure, malgrado questa rassicurazione, non riuscì a togliersi di dosso l'amarezza di quel pensiero. -Va bene-concesse- ma non più di dieci minuti, altrimenti perdo la metropolitana.-

 

 

 

 

André guidava silenzioso con la sua Mercedes Classe S Coupé concept metallizzata. Le strade scorrevano di fronte a lui, come su un nastro trasportatore, con quelle vetrine decorate e quei marchi di lusso che tanto piacevano ai danarosi turisti. Oscar fissava la via con una delle sue consuete espressioni indecifrabili, persa in uno dei suoi silenzi.

Quell'assenza di rumore non disturbava il moro.

Non era abituato a scarrozzare in giro le sue conquiste con la sua macchina, anche perché quest'ultime erano solite lasciare sempre qualcosa del loro passaggio, che fosse una cicca, o un reggiseno, souvenir dell'ennesima sveltina. Grandier non apprezzava mai quelle mosse. La Mercedes era il suo sancta sanctorum, dove non era ammesso nemmeno il minimo graffio...e la segretaria sembrava averlo intuito, come dimostrava la sua posa composta e, al tempo stesso, finalizzata ad occupare il minimo spazio possibile.

-Signorina De Jarjayes, mi tolga una curiosità-fece- dove devo portarla?-

-Abito nel V Arrodissement, nei pressi del Quartiere Latino-rispose, passandosi una mano sul collo.

-Un distretto intellettuale allora-rispose l'imprenditore.

-Ho solo avuto molta fortuna, anche perché non ho l'auto.-si schermì la segretaria.

André ne rimase sorpreso. -Non ha la patente?-chiese.

-Certo che ce l'ho. Non ho mentito sul curriculum-rispose la donna, un po'risentita- ma non è economica da tenere...e poi mancano i parcheggi.-

-Ah-fu tutto quello che disse il moro...anche se cominciarono a frullargli in testa molte domande. Possibile che lo stipendio non le bastasse? E, allora, per quale motivo non aveva chiesto un aumento?

-E poi, francamente, non mi va di buttare via denaro in questo modo. Non mi piacciono gli sprechi. Con lo stipendio che ricevo, posso tranquillamente permettermi di pagare il mutuo del mio appartamento, l'abbonamento ai mezzi pubblici e per qualche piacere sul momento.-rispose pragmatica.

Grandier sorrise. -Effettivamente, il ragionamento non fa una piega. Comunque, considerando che lei è la mia diretta subordinata e non ha mai dato grane, si senta libera di chiedere. Un no non equivale ad una lettera di licenziamento sa?-fece ironico.

Oscar si portò una mano sulla bocca.

-Le sembra divertente?- chiese questi- Guardi, è la verità.-

-Ci penserò.-rispose. Proprio in quel momento giunsero in prossimità della stazione della metro. -Siamo arrivati-disse - signor Grandier, grazie per il passaggio. Mi ha risparmiato molti problemi logistici.-

-Prego- rispose André e, dopo averla salutata, riaccese il motore.

 

 

 

Oscar se ne stava appoggiata al bordo della scala mobile.

Mentre fissava il via vai di viaggiatori, si ritrovò a pensare a come era finita ad occupare quel posto di lavoro.

 

Caen, 4 anni prima.

 

La sede distaccata della Grandier's Corporation di Caen era un edificio di modeste dimensioni. Oscar era stata presa fin da quando frequentava la facoltà di economia all'università e da quel momento, occupava un posto di archivista nel settore della contabilità.

-Signor Gilbert, è sicuro di quello che sta dicendo?-chiese, mentre tentava di mantenere il suo consueto autocontrollo.

-Certamente, signorina-rispose l'uomo, in quel periodo responsabile della sede. Oscar era stata assunta proprio da lui, malgrado le perplessità iniziali nemmeno 4 anni prima. All'epoca, la donna aveva 20 anni ed era una studentessa. Gilbert si era chiesto se sarebbe stata capace di reggere i ritmi lavorativi ma si era subito ricreduto, quando aveva notato l'impegno che metteva nello svolgere le sue mansioni.

Così, dopo poco, si era guadagnata la sua fiducia. -Mi dispiace dirglielo...ma...ecco, non credo di essere adatta...-si schermì la donna.

Gilbert scosse la testa. -E'una brava dipendente, non dovrebbe limitarsi in questo modo-fece- senza contare che ha lavorato bene per questa azienda.-

Oscar non rispose subito.

-Signorina, sarò sincero con lei. C'è un motivo preciso per cui l'hanno chiamata.-disse l'uomo, con un filo d'imbarazzo- Ma questo, naturalmente, non significa che lei non sia qualificata! Le suggerisco di accettare, senza pensarci due volte.-

La donna aggrottò la fronte. L'idea di andare a Parigi non le dispiaceva...ma c'era un piccolo particolare. -E come la mettiamo con la questione della "guerra delle segretarie"?-chiese, fissandolo piccata.

 

A quel pensiero, Oscar trattenne un ghigno.

Già, la guerra delle segretarie.

La ragione per cui era diventata la persona che rispondeva direttamente agli ordini di André Grandier.

 

 

 

 

 

Mentre il traffico parigino scorreva, veloce come sempre, André fissava laconico i segnali stradali. Ne conosceva a memoria il tipo e la posizione ma preferiva tenere la guardia alta, non sapendo bene come comportarsi. Mentre così faceva, si ritrovò a pensare a come avesse finito con l'abituarsi alla sua segretaria.

Fino a 4 anni prima avrebbe ritenuto orribile quella possibilità. Era rimasto orfano molto presto. Un incidente aereo si era portato via entrambi i suoi genitori e lui era rimasto solo, con la servitù ed un patrimonio milionario alle spalle. Di quel periodo, André ricordava bene i pianti del suo maggiordomo e di sua moglie, sinceramente dispiaciuti per la perdita e di come i tutori designati, non appena misero piede nella dimora, avessero subito fatto presente che le cose sarebbero cambiate, data la triste vicenda.

Ed effettivamente è andata così si ritrovò a pensare. Nemmeno quattro giorni dopo le esequie, i suoi tutori avevano disposto che venisse condotto in un rigido collegio gesuita. Per prepararlo degnamente e correggere le sue mancanze avevano detto, alludendo al suo carattere, introverso per natura. Fin da quando era piccolo, infatti, non era mai stato un bambino vivace e chiassoso. Se ne stata sempre zitto, intento a fissare il mondo con quegli occhi verdi che aveva ereditato da una trisavola.

Motivo per cui era considerato un bambino serio e mite, a tratti sciocco.

-Ovviamente si sbagliavano-commentò ad alta voce con un sorriso, mentre accendeva la manopola della radio. Subito l'assolo del clarinetto della Rapsodia in Blues di Gershwin riempì l'abitacolo, dandogli quel tocco di relax che in quel momento la sua psiche richiedeva.

Era stata una giornata piuttosto seccante.

Aveva fatto una lunga e noiosa riunione con i responsabili del consiglio di amministrazione...e gli sfuggì una risata. De Bouillet aveva di nuovo fatto l'ennesima allusione a suo nipote. -Quel testardo vuole mettermi uno dei suoi galoppini nello studio...ma ha fatto male i conti. Non si è ancora rassegnato. Sono il capo dell'azienda da otto...ed adesso facciamo come dico io.- sentenziò, mentre il traffico si muoveva ozioso verso l'Arco di Trionfo.

 

 

 

 

Oscar salì le scale a passo svelto.

Era riuscita a prendere la metropolitana solo per un soffio ed ora si trovava a camminare rapida lungo i marciapiedi, passando veloce tra un pedone e l'altro. Il V Arrondissement era noto per la vivacità culturale che animava ogni singolo edificio, ogni vetrina. Oscar aveva scelto quel posto per la sua nuova avventura parigina, dopo la lunga permanenza a Caen, dove aveva fatto il suo primo rodaggio nell'azienda e perfezionato i suoi studi. Mettere piede a Parigi era stato un vero sogno.

-Oh, buongiorno Oscar-disse una voce in alto.

La signorina De Jarjayes alzò la testa. Era giunta nei pressi di un edificio dai toni pastello, circondato da un muro altrettanto colorato. -Buongiorno Nanny!-esclamò, all'indirizzo della donna che, con le mani sul bordo della terrazza, la fissava con aria di rimprovero. Si trattava di un'anziana signora che viveva in quella palazzina da tempo immemore. Oscar non aveva mai saputo quanti anni avesse, anche perché il suo aspetto non cambiava mai. Era una buffa vecchietta, perennemente vestita con abiti interi. -Oggi è tornata piuttosto tardi.-commentò, con un tono di rimprovero.

-Ho avuto molto da fare.-rispose la bionda.

Nanny, Marons Glacés all'anagrafe di Lille, scosse la testa. -Non sta bene che una giovane donna come te torni a casa tanto tardi. Al giorno d'oggi, solo il Cielo sa che pasticci potrebbero succedere per queste strade incivili!-

La signorina De Jarjayes alzò gli occhi alle nuvole. -Per favore, le ho già detto che sono cintura nera di aikido. Me la cavo bene con l'autodifesa e poi non mi è mai successo niente!-esclamò.

Nanny però continuò a far oscillare la testa. -No, signorina!-fece- Hai delle responsabilità e non puoi trascurarti in questo modo. Lavori troppo e poi non ti curi abbastanza...ma stasera risolverò io stessa la cosa!-

La segretaria impallidì. -Ma no...davvero, non è il caso...-provò a dire.

La vecchietta gonfiò allora le guance, con fare indispettito. -Non accetto un rifiuto, signorina! E'sempre così sciupata e non le fa bene mangiare sempre il cibo take away del ristorante indiano all'angolo. Abbiamo una delle migliori cucine del mondo e lei non ha nessun diritto di rifiutare questo dovere alla Patria.- fece, con crescente enfasi.

-Oscar!- esclamò allora una vocina accanto alla vecchietta- Nonna Nanny ha promesso che ci preparerà Il Gratin dauphinois!-

A quella notizia, la segretaria si fece ancora più pallida di prima. La cucina dell'arzilla vecchietta era molto saporita e, per qualche strano motivo, piuttosto pesante per il suo stomaco. Persino quel piatto unico, notoriamente semplice e leggero diventava eccezionalmente ricco e pesante, sotto le sue abili e rugose mani. Stava quasi per rifiutare, questa volta in modo più netto, quando vide la bionda testolina uscire dallo spazio della ringhiera della terrazzina...e le parole, che premevano con violenza per uscire, morirono in bocca.

-E va bene-concesse.

Il bambino, allora, le rivolse un sorriso luminoso. -Joseph-fece Nanny- che ne dici di aiutarmi ad apparecchiare?-

Il piccolo annuì ed entrò spensierato dentro.

Oscar lo seguì con lo sguardo, vigilando con attenzione ogni sua mossa. -Ragazza mia, quel bambino è davvero un tesoro. Lo hai educato bene ma non puoi fare tutto da sola.-fece Nanny, fissandola con amarezza.

La più giovane non rispose subito. Malgrado vivesse lì da 4 anni, continuava a sentirsi a disagio per quell'affetto che trasudava dalle parole dell'anziana donna. Non era abituata a quel genere di calore. -Lo so-ammise- ma non ho altra scelta.-

Nanny scosse il capo. -Esiste sempre una scelta...e poi, anche se hai un bambino, sei sempre una donna giovane, bella e in gamba. Se ti curassi di più, sono certa che farebbero la fila per te.-disse, con ottimismo.

Oscar sorrise debolmente. La vecchietta, quando si presentò 4 anni prima alla porta con quel bambino, aveva tratto subito le sue conclusioni e lei non aveva detto nulla al riguardo. Si era aggrappata a quella spiegazione di comodo, senza curarsi troppo del resto...e così era passata per una ragazza madre, abbandonata dal fidanzato perché incinta.  -Comunque, mia cara, ho preparato anche il Ratatouille, proprio come piace a te.-disse, strizzandole l'occhio, prima d'incamminarsi dentro, per vedere cosa faceva il bambino.

 

 

Rimasta sola nel cortile su cui la palazzina si affacciava, Oscar trasse un profondo sospiro. Non aveva di che lamentarsi. Alla fine, la scelta che aveva fatto otto anni prima era stata la più giusta che potesse concepire, malgrado i contro che ne venivano fuori. C'erano comunque dei momenti in cui quel senso del dovere si faceva pesante, tanto da levarle il respiro...ed era allora che si chiedeva se tutto quello che aveva fatto valesse la pena di un simile sacrificio.

Un giorno, Joseph avrebbe cominciato a fare delle domande  e lei non avrebbe saputo cosa rispondergli. Si era sempre imposta di essere sincera con quel bambino ma era anche vero che non avrebbe mai compreso la verità, se fosse giunta prima del dovuto. Quel pensiero la riempì di angoscia.

Come avrebbe potuto tenere fede al patto con la dama di ferro e, al tempo stesso, riuscire a mantenere serena l'infanzia di Joseph?

-Oscar-disse allora una voce gentile.

La donna si riscosse dai suoi pensieri e vide una sagoma a lei molto familiare. -Buonasera, Rosalie-salutò, con quel fare naturalmente cortese che lusingò e imbarazzò insieme la bionda.

-Mangi da Nanny?-chiese questa.

Oscar annuì meccanicamente. -Come sta Nicole?-chiese, con un filo di apprensione.

-Non temere-rispose -mia madre ha una salute di ferro ma ha il difetto di lavorare troppo e non le fa bene. Ora ha preso dei giorni di riposo.-

-Allora non è il caso che gli affidi Joseph-commentò la signorina De Jarjayes-potrebbe affaticarsi.-

Rosalie scosse vigorosamente il capo. -Assolutamente no!- esclamò, fissandola con decisione- Quel bambino è un vero angelo. Mia madre stravede per lui e, almeno, standogli appresso, non penserà ai lavori domestici. Alla fine, fa pure comodo.- Poi le rivolse un sorriso divertito. -Volevo dirti che Jeanne ha appena ricevuto i biglietti dell'opera di Rossini L'equivoco stravagante.-confidò, ponendo le mani davanti, con fare quasi cospiratorio.

Oscar si illuminò.

-E'una magnifica notizia.- fece -E'sempre al  Théâtre national de l'Opéra-Comique? -

-Certamente-rispose Rosalie -Due biglietti, come al solito.-

Oscar sorrise grata. -Bhé, ora devo andare.-si congedò.

-Un giorno, mi dirai chi è la persona che porti con te a quel teatro?-domandò, interrompendo la camminata della segretaria che, voltandosi, le sorrise malinconica.

-Ora devo proprio andare, Rosalie. Sarà per un'altra volta.-disse, sparendo nel portone del condominio.

Rosalie Lammorliere non commentò quell'uscita. La sua vicina di casa era un personaggio piuttosto affascinante. Aveva delle maniere cortesi e garbate ed era dotata di un piglio autorevole che raramente aveva visto in qualsiasi altra persona. Al tempo stesso, vederla con quegli abiti che guastavano il suo aspetto, la lasciava oltremodo interdetta. Per quale motivo si conciava in quel modo per andare a lavoro? Per quale ragione andava sempre a teatro, quando c'era L'equivoco Stravagante?Sua cugina, Jeanne De La Motte, le aveva dato i biglietti, grazie agli agganci che aveva con i teatri della città ma nemmeno lei aveva saputo dire molto. Quell'opera di Rossini non aveva niente di rilevante...se non fosse stato per un piccolo particolare: la protagonista era un contralto.

Tutto questo comunque, insieme a molti altri interrogativi che occupavano la mente della donna, rimase irrisolto e Rosalie, forte del suo pragmatismo, decise di lasciar correre. Prima o poi, avrebbe saputo la verità e, se così non fosse stato, non avrebbe smesso di stimare e ammirare la signorina De Jarjayes che, a 28 anni, viveva da sola in una città grande come Parigi, insieme ad un bambino che pendeva letteralmente dalle sue labbra.

 

Questo capitolo di passaggio è un mio personale modo di augurare a tutte le lettrici della storia Buona Pasqua. La nuova veste della storia si vede già da questi capitoli e lo vedrete ancora meglio nella mise con cui ho deciso di rappresentare un personaggio che mi convinceva poco nella prima versione.

Dare più spazio a questi personaggi mi sembra doveroso. I piatti citati sono tipici della cucina francese: il primo è un piatto di patate mi sembra, che cambia un po' da famiglia a famiglia; il secondo è invece un piatto di verdure. La famosa Guerra delle Segretarie sarà spiegata meglio tra un po'. André ha molta stima di Oscar perché è una persona seria e professionale ma non è andata sempre così...comunque questo è il ritorno di Oscar.

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Capitolo 5
*** l'equivoco stravagante ***


Benvenuti a questo nuovo capitolo della storia. Non so bene se vi piace la nuova veste del racconto. Non ne ho la minima idea ma sono contenta di vedere che continuate a seguirla. Immagino che comunque ognuno di voi abbia i suoi impegni. Immagino poi che molti di voi stiano affilando le armi contro la sottoscritta per questa lentezza ma preferirei che riponeste spade e oggetti contundenti per cortesia. Fatemi prendere questa benedetta laurea, suvvia! In ogni caso, ringrazio la vostra resistenza e spero che questo aggiornamento sia gradito.

 

 

L'EQUIVOCO STRAVAGANTE

 

 

André raggiunse la sua dimora dopo circa tre quarti d'ora. Malgrado fosse provvisto del permesso nelle zone a traffico limitato, non era riuscito a evitare l'ora di punta e, anche se la melodia di Gershwin aveva da sempre un potere rilassante sui suoi nervi, doveva ammettere che era piuttosto seccato della cosa.

Così, quando raggiunse la villa liberty che il suo bisnonno aveva comprato, poco prima di andare in guerra, non poté fare a meno di sentirsi impicciato da tutte le preoccupazioni che da qualche tempo lo assediavano. Preoccupazioni che andavano nel seguente ordine: scovare la talpa che si aggirava nella sua azienda, trovare il modo di non avere più intromissioni da parte del consiglio,assicurarsi di non dover fare tagli al personale, trovare la bella di notte con cui aveva fatto sesso.

Irritato, pigiò il pulsante del cancello automatico e, lasciando scivolare la sua macchina, entrò silenziosamente dentro, fino a raggiungere la grossa rimessa della sua residenza. Lì vi erano custoditi tutti i veicoli della casa, più l'attrezzatura necessaria al giardinaggio. Malgrado fosse una villa di medie dimensioni, il fazzoletto di terra intorno ad esso non minuscolo...ma questo era il vantaggio di vivere in periferia.

-Padroncino, siete tornato?-domandò una voce nasale.

André si girò. -Dagout...a quanto pare.-rispose, con un sorriso stanco. Era il maggiordomo della famiglia Grandier da tempo immemore. Originario di Amiens, viveva a Parigi da molti anni e, insieme alla moglie Edmée, lavorava nella casa dell'imprenditore.

André li conosceva da una vita.

-Monsieur- disse l'uomo-Edmée ha preparato i suoi piatti preferiti ma, se vuole, può andare subito a farsi una doccia.-

Così facendo, allungò le mani, pronto a prendere l'impermeabile che il padrone di casa era solito portare fuori. -Grazie-rispose questi, sgranchendosi il collo- ne approfitterò sicuramente.-

A passo strascicato cominciò a salire le scale, ben deciso a rilassarsi sotto il getto rovente dell'acqua. Mentre muoveva i suoi passi, vide una minuscola sagoma sul pianerottolo...e sorrise di conseguenza. La figurina però si girò, correndo in tutta fretta dentro una delle camere.

-Mi scusi per mia figlia, signore-disse il maggiordomo-ma non si è ancora abituata.-

-Lo capisco, D'Agout-rispose il moro-del resto, sono passati solo due mesi da quando lei e sua moglie avete avuto Anja.-

Il maggiordomo annuì, con un filo d'imbarazzo. -Non ha idea di quanto le sia riconoscente per aver esortato le autorità a lasciarci avere quella bambina. Se avessero tergiversato ancora, avremmo superato il limite massimo per poterla adottare.- disse commosso.

-Non ho fatto nulla di che-si schermì l'uomo- e poi lei e sua moglie mi siete rimasti accanto come nessun altro ha fatto sinora. Non potevo che ricambiare.-

Con queste parole, si chiuse in bagno, badando bene di dare una mandata alla serratura. Uff, che fatica tutte queste attenzioni si disse, appoggiando la fronte alla porta. Adorava il maggiordomo e la moglie. Erano la cosa più vicina al concetto di "famiglia"che avesse mai avuto in vita sua. I suoi genitori, pace all'anima loro, non erano così affettuosi. I doveri verso l'azienda avevano la loro priorità...e tutto questo, malgrado ora ne stesse cogliendo i frutti, non gli impediva di avere un filo di acredine anche nei loro riguardi.

Per averlo lasciato solo, ovviamente.

Con questo pensiero, aprì la manopola dell'acqua calda e, sotto il getto, l'imprenditore sospirò estasiato. Non c'era niente di meglio di una doccia o di un bagno caldo, per far riposare i muscoli indolenziti.

 

 

 

Oscar sospirò, tentando di mantenersi risoluta. -Mi raccomando, Joseph, fai il bravo con Nicole e Rosalie-disse, per la decima volta da quando si erano svegliati. Benché ormai fosse un appuntamento abituale, non se la sentiva di lasciarlo solo. Nemmeno vederlo tranquillo, in compagnia di Rosalie e Nicole la rassicurava. Un dubbio la colse. Stava forse diventando possessiva nei confronti di Joseph?

-Suvvia, il piccolo è in buone mani e starà bene, vero tesoro?-disse la signora Lammorliere, sorridendo luminosa al biondino. La segretaria alzò meccanicamente gli occhi al cielo. Le sue vicine si erano innamorate di quel bambino, fin dal primo giorno in cui aveva messo piede nella palazzina...ma era comprensibile. Joseph aveva i tratti di un cherubino, con i suoi riccioli biondi ed i suoi occhi color cielo. Oscar gli rivolse un'occhiata di sbieco, studiandone sgomenta i tratti. Avrebbe potuto tranquillamente sfilare per una linea di moda dell'infanzia, tanto era perfetto. Ed è merito mio fu il pensiero esterrefatto che la attraversò.

-Sì-disse questi, prima di girarsi verso di lei- torni presto?-

La signorina De Jarjayes si fece rigida.

Joseph la guardava intensamente, con quegli occhioni...e mentalmente si dette dell'idiota. Si abbassò e, con una certa difficoltà, gli dette un bacio sulla guancia. -Certo che torno- farfugliò- che domande!-

Poi, a passo svelto, raggiunse l'uscita, sotto lo sguardo perplesso delle due donne. La camminata di Oscar Francoise sembrava veloce , troppo per una tranquilla passeggiata. -Chissà con chi sarà uscita-disse Nicole, non appena si avvide che la vicina era uscita dal palazzo e non poteva così sentirla.

-Non saprei, mamma-rispose Rosalie- forse con una persona speciale.-

La signora Lammorliere sbuffò divertita. -Con quei vestiti?-chiese scettica.

La figlia non rispose. La signorina De Jarjayes, in effetti, si era vestita in modo abbastanza bizzarro per andare ad un teatro. Indossava un tailleur giacca e pantaloni scuro, privo di qualsiasi decoro, eccetto un rolex al polso. Un paio di mocassini e degli occhiali con la lente gialla completavano la sua mise. -Bhé, non stava male-bofonchiò, arrossendo leggermente.

-Non per un appuntamento galante, figlia mia.-fu la risposta di Nicole.

 

 

 

 

 

 

 

Il teatro era come sempre piuttosto affollato. Oscar si guardò attorno, tentando di frenare la stizza che cominciava a crescerle dentro.

Poi udì dei passi alle sue spalle.

-Uff, scusami Oscar! Ho fatto tardi!-disse una voce, leggermente affannata.

Oscar si girò. -Dannazione, Hans-rispose, portandosi una mano alla testa- quando la smetterai di venirmi alle spalle?-

L'uomo ridacchiò, lasciandole così tutto il tempo di osservarlo. I capelli biondo cenere erano corti e ben tagliati, incorniciando un volto che sembrava scolpito nel marmo, tanto era perfetto. Indossava un completo Calvin Klein che esaltava il corpo tonico e muscoloso. -Scusa ma è sempre molto divertente coglierti di sorpresa.- ammise, passandosi una mano sulla chioma.

La segretaria scosse il capo. -Trovo sempre difficile vederti in questa mise-rispose- di solito, preferisci gli abiti un po'hippie.-

Hans sorrise felino. -Questo genere di abiti non è ben visto -rispose- e poi non erano abiti da hippie. Si trattava di un modello in stile coloniale.-

-Se lo dici tu...-buttò lì, mentre abbassava lo sguardo- oh, sta per cominciare.-

L'uomo guardò il suo orologio. -Hai ragione-convenne...e, insieme, a passo deciso, si avviarono dentro.

 

 

Il Théâtre national de l'Opéra-Comique era una costruzione molto antica. Risaliva al 1714 e possedeva una facciata in marmo bianco, modellata secondo i dettami dello stile rococò. Oscar era sempre stata un'assidua frequentatrice di quel genere di posti, malgrado il lavoro e gli impegni avessero centellinato le occasioni di andarci. Con calma percorse gli scalini, camminando al fianco dello svedese. -Ho saputo che sei tornato in patria-disse.

-Mio padre- rispose laconico questi.

Oscar alzò gli occhi al cielo. Ek Fersen era il padre di Hans e non aveva mai visto di buon occhio la sua idea di lasciare la Svezia per seguire gli studi di matematica. Avrebbe preferito per lui giurisprudenza, oppure ingegneria...ma Hans non aveva voluto sentire ragioni e si era trasferito in Francia per studiare al Les Écoles. Come poi avesse preferito fare l'antiquario...bhé, quello era un vero e proprio mistero anche per Oscar. -Allora è stata dura, eh?-domandò, mettendogli una mano sulla spalla.

-Non ha fatto altro che lamentarsi di come conduco la mia vita, come se gliene fosse importato qualcosa. Sul serio, più torno in Svezia, più desidero rimanere qui.-rispose, scuotendo il capo.

-Bhé, almeno non hai vissuto qui con i suoi soldi. Di questo, dovresti esserne fiero.-fece la donna, mentre, dopo aver dato i biglietti all'ingresso, si faceva dare le indicazioni per raggiungere i posti a sedere.

Lo svedese non rispose, limitandosi a fissare il posto con fare assorto.

-Sì-fece- se così possiamo dire-

Oscar fece per dire qualcosa...poi si spensero le luci e lo spettacolo ebbe inizio.

 

 

 

 

Talor serpeggia celere il sangue nelle vene;

Talor mi sento accendere

D'un vivo ardore, oimè!

Né so di certe pene

Trovar la causa in me.


[1]


-Immagino che l'affare di metallurgia con l'industria tedesca sia stato davvero vantaggioso. Ammetto che siete stato molto abile, Philippe.-disse la voce nasale di una donna anziana.

-Ebbene sì, zia Vittoria- rispose questi, con fare dimesso- ma ho avuto notevoli difficoltà, nell'esporre le clausole dell'accordo. -

Il piatto di lumache alla bourguignonne giaceva nel piatto, emanando un profumo gradevole e allettante. Non mancava nessuno all'appello...ma era comprensibile. La cena del patriarca era un momento sacro per tutti.

-Nostro nipote è molto astuto...ed anche modesto, mie care- decretò una seconda donna, dagli occhi piccoli ed il volto grasso.

-Zia Luisa Elisabetta- fece- voi mi lusingate, come sempre. Non merito simili complimenti, non trovate nonno?-

A quelle parole, tutti si girarono verso il capotavola. Luigi Senior, che fino a quel momento non aveva ascoltato una sola parola di quella conversazione, sentì gli occhi di tutti addosso...e ne rimase infastidito.

-Padre, non trovate che vostro nipote sia stato molto bravo?-chiese Luisa Elisabetta, fissandolo con apprensione.

Luigi aggrottò le sopracciglia, studiando tutti i presenti: le sue cinque figlie, alcune con i rispettivi consorti, le altre da sole in quanto nubili, osservavano il suo viso con aria trepida. Philippe aspettava un suo cenno, con aria seria e compassata...e il patriarca, girando il viso verso la figura che gli sedeva accanto, trattenne a stento un filo di disappunto. L'altro nipote, Luigi, pareva più concentrato a mangiare il piatto che aveva davanti, mostrandosi disinteressato al resto, piuttosto che prestare attenzione a quello scambio di moine ed elogi.

Quella vista accrebbe il suo malumore, tanto da impedirgli di rispondere alla domanda della figlia la quale, infastidita dal suo silenzio, riprese a mangiare, senza rivolgere più la parola a nessuno. Mentre così faceva, lo sguardo cadde sulla figura bionda ed eterea che sedeva al fianco di quest'ultimo...una vista che fece crescere la stizza, un tratto proprio del suo carattere bilioso.

Maria Antonietta pareva completamente disinteressata a quanto stava avvenendo in quel momento. Con indosso il suo completo chanel color cipria ed un filo di perle intorno al collo, mangiava silenziosamente il proprio piatto.

-Ebbene, cosa ne pensate, cara nipote?-domandò la Borbone, tentando di tenere un tono gradevole.

La giovane posò il cucchiaio nel piatto, sollevando gli occhi color cielo verso di lei. -Prendere una posizione in merito è assai difficile per me, anche perché non ho nessuna competenza in merito. Sono certa che Monsieur Borbone sappia perfettamente quali siano i pregi di suo nipote e, per quel poco che posso sapere, siamo tutti grati per la sua perseveranza.-rispose con pacatezza, senza concedere né un complimento, né un biasimo.

-Dunque non concordate sul fatto che Philippe non meriti un elogio?-chiese scettica Luisa Elisabetta.

Maria Antonietta fissò la donna, poi le sue sorelle. -E'una decisione del capofamiglia. Egli agisce per il meglio.-ripeté, in modo meccanico e privo di colore.

Le sei figlie di Luigi XV non parvero soddisfatte della sua risposta...ma la giovane non vi fece particolarmente caso. Continuò a fissare apatica un punto indefinito della stanza, guardando i presenti senza vederli davvero. Si limitava ad ascoltare passiva la conversazione di quel pranzo in famiglia, mentre la mente e l'animo seguivano critici la melodia che la radio trasmetteva. L'Equivoco Stravagante era ormai al secondo atto...ed un velo di malinconia attraversò la donna. Quell'Ernestina, la saccente protagonista del dramma, le pareva oltremodo sgradevole.

Più di una volta aveva steccato delle note, raggiungendo malamente quelle più basse. Non è un vero contralto, come hanno potuto scegliere Alina Petrova?si chiese, con un filo di dispiacere. Se avesse potuto, ben volentieri avrebbe calcato di nuovo il palco, offrendo un'Ernestina degna di quel nome. Subito si vide di nuovo sotto quelle luci, con indosso l'espressione più intellettuale del suo repertorio.

Si immaginò mentre si schermiva dagli assalti del suo pretendente, mentre tramava per ottenere l'amore della sua vita...Ah, ma perché illudersi? Ormai non posso più fu il pensiero che frenò la sua fantasia.

Erano ormai passati 9 anni...e con uno sforzo non indifferente, Maria Antonietta bloccò quelle immagini che ora la facevano tanto soffrire. Il suo posto non era più su un palco ma accanto all'uomo che se ne stava seduto e che non parlava quasi mai.

Luigi Jr. Borbone, suo marito ed erede della dinastia.

 

 

 

 

 

 

-E'stato uno spettacolo molto piacevole, non trovi?-chiese l'uomo mentre, con un gesto galante, apriva la porta del teatro.

-Non quanto vorrei. La protagonista non era molto brava. Ha steccato alla grande alcuni passaggi, malgrado fosse piuttosto esperta.-commentò severamente la bionda, scivolando sulla strada, con il suo consueto passo sicuro.

Lo svedese scosse il capo. -Io non me ne sono accorto.-fece sincero.

L'altra si girò. -Non lo metto in dubbio, Hans. Non hai mai suonato uno strumento, pur avendo una certa passione per l'arte.-disse, aggiustandosi gli occhiali. -E'un peccato, sai?- continuò, alzando gli occhi al cielo- Se la nonna glielo avesse permesso, a quest'ora sarebbe uno dei contralti più famosi del Mondo e invece...-

Oscar non continuò la frase.

Hans Axel Von Fersen non chiese spiegazioni. Non ve ne era motivo, tanto era palese la verità che stava dietro a quelle parole.

-Bhé, almeno ha i suoi agi-continuò la donna con un filo di sarcasmo- e non deve nascondersi, come faccio io.-

-Maria Antonietta non è così, lo sai bene- ribatté lo svedese -Non è merito suo se sei in questa situazione. Lei non ti ha mai odiato.-

Oscar tacque. Quello che Hans le stava dicendo era tutt'altro che falso...ma l'amaro in bocca rimaneva. -Lo so-disse infine- ma non pensi che sia ingiusto? Io ho sempre preso le rogne, eppure sono quella che, bene o male, è la meno insoddisfatta...se escludiamo le zone d'ombra, ovviamente. Maria Antonietta, mia sorella, ha vissuto sempre sotto le luci, assecondando i capricci della nonna e di Sophia...e cosa ne ha ricavato? Niente. Ha dovuto sposarsi a 19 anni con il rampollo dei Borbone e dire addio alla possibilità di diventare una cantante lirica professionista...e pensare che ha pure l'orecchio assoluto.-

Lo svedese la guardò affranto.

-Mi dispiace molto per quello che stai passando-fece, sincero.

Oscar lo guardò. A me dispiace più per te avrebbe voluto dire, mentre raggiungevano, quando raggiunsero l'ingresso della metro. La segretaria mosse i passi, pronta a scendere...quando qualcosa afferrò la sua mano. Era di Fersen.-Hai saputo niente di lei?-domandò.

La bionda sospirò. -Hans...-provò a dire.

Fersen si mise una mano tra i capelli. -Guarda che lo so che è sposata! Eppure...diamine, non posso stare tranquillo, sapendo che si trova in quel posto! Lo so che è sempre vissuta nel lusso ma non posso vedere quelle serpi soffocarla in quel modo!- fece- Dovrei starle lontano, rimanere al mio posto...ma non posso fare a meno di pensare a lei!-

Oscar scosse il capo. -Dovresti sapere come funzionano le cose-rispose- e sai anche che, per ogni cosa, c'è un prezzo da pagare. Io lo so...come lo sai pure tu.-

Lo svedese  chiuse gli occhi. -Almeno...lei è felice?-domandò.

La bionda guardò una vetrina. Il riflesso sul vetro dava l'immagine del teatro da cui erano appena usciti entrambi. -Sì- disse, dopo qualche momento.

-Vuoi prendermi in giro?- fece beffardo lo svedese- Grazie del tentativo ma non ci casco.-

Oscar si girò. -Pensi veramente di avere anche una sola, minima possibilità?-chiese- Pensi veramente che quello che stai facendo sia giusto? Maria Antonietta è sposata da ormai nove anni. Lei e suo marito stanno tentando disperatamente di avere una famiglia, di costruirsi un futuro. Non hai nessun diritto d'interferire...-

-Non prendermi in giro! Maria Antonietta non ha sposato Luigi perché voleva farlo. Lei ha agito per la stessa ragione per cui tu hai agito nella maniera che sai...perché entrambe volete il rispetto da quella vecchia...e questo è il risultato. Lei ha rinunciato alla sua passione per la musica, per diventare una borghese annoiata e tu, invece...-disse, di sentire uno schiaffo violento abbattersi sulla sua guancia.

Fersen la guardò sbigottito, mentre si toccava la guancia.

Anche Oscar aveva la stessa espressione. Incredula, fissò il palmo con cui lo aveva colpito. -Ok, ho esagerato. Senti, io...-provò a dire.

-Hans, finiamola qui. Non aggiungere altro.-lo interruppe la donna, limitandosi a guardare la mano. Tremava ancora e non seppe dire se fosse dovuto alla sua reazione impulsiva o all'effetto dovuto alle parole dell'uomo.

Non avrebbe saputo dirlo.

Il braccio era partito da solo, con una naturalezza tale da spaventarla...e quello stato di cose durò a lungo, anche quando fece ritorno a casa, in quel bilocale che ora rappresentava tutto il suo piccolo, fragile mondo. Quanto durerà tutto questo?si chiese, fissando laconica le parti della sua dimora.

Aveva fatto molti sacrifici, tentando di plasmarsi una vita decente...ma le nuove incognite che si profilavano all'orizzonte, la riempivano d'angoscia. La verità, quella nuda e cruda, era che lei non avrebbe mai voluto condurre un'esistenza del genere.

Per anni, aveva proceduto tentoni, tentando di elemosinare un riconoscimento per i suoi sforzi, ottenendo solo indifferenza.

Ora, invece, avrebbe desiderato essere ignorata e lasciata semplicemente in pace.

Senza dover fare quel compito ingrato e crudele... un compito che aveva il volto di un angelo dai capelli d'oro e gli occhi blu.

 

 

Capitolo nuovo, nuovissimo...con il nuovo personaggio riprogrammato che fa testo a Maria Antonietta. Per chi non lo sapesse, le cantanti contralto sono rarissime, più dei soprano. Ho citato l'opera perché la protagonista è un contralto. Maria Antonietta ha la stessa età di Oscar, come Fersen del resto.

Qui, abbiamo uno sviluppo di passaggio...e spero che piaccia. Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno gentilmente recensito e preso in considerazione la fiction. Per molti aspetti, la trama è rimasta la stessa, anche se non sembra. Più in là, avremo qualche altro spaccato della famiglia Borbone. Intanto, ringrazio tutti coloro che mi hanno letto sinora. Il voi sarà usato dai Borbone e dagli Asburgo quando parlano tra loro...scelta mia.



1 L'Equivoco stravagante, citazione dal libretto.

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Capitolo 6
*** silenzio ***


Benvenuti a questo nuovo capitolo.
Non so come ringraziarvi per la cortesia.
Onestamente, questa nuova versione della storia, sebbene sia un rimaneggiamento della prima, altro non è che il terzo tentativo di dare corpo ad un racconto che ho per la testa già da un po'.
Scusate per i miei continui cambi d'idea ma queste sono le conseguenze che succedono quando voglio dare forma ad una storia che mi interessa.
 
 
SILENZIO
 
 
Rosalie si guardò allo specchio un'ultima volta.
Indossava una semplice camicia bianca ed una gonna in jeans, lunga fino al ginocchio. Si tirò su i capelli in una coda di cavallo, muovendola alternativamente ora in una direzione, ora in un'altra.
Nicole, seduta sul letto, la fissò con un sorrisetto divertito. -Vedo che ti stai preparando con estrema cura-disse, passandosi una mano sotto il mento.
La figlia si irrigidì appena. -Sto solo andando a lavoro-disse, senza guardarla.
La donna scosse bonariamente il capo. -Mi ricordi tanto quando ero giovane-mormorò.
Rosalie sorrise forzatamente. -Suvvia, non esagerare.-
-No, seriamente...e tu sei troppo modesta. Non dovresti lavorare così tanto, non per quel lavoro...-Nicole provò a dire, fermandosi a metà discorso..
-Sai bene anche tu che non ci sono altri lavori. Dopo che pa...Yves...-azzardò la più giovane.
-Lo so benissimo!- esclamò Nicole, infastidita da quel nome- Dopo che quel buono a nulla è scappato con tutti i nostri risparmi, ho dovuto vendere la lavanderia di cui devo ancora pagare il mutuo...non c'è bisogno di ricordare di nuovo quello che è successo.-
Rosalie si morse il labbro.
Yves era un argomento tabù in casa Lammorliere. Lo scorno che aveva fatto ad entrambe, scappando di casa con tutto il denaro che avevano messo da parte, era ancora vivo nella loro mente. -Per piacere, mamma- sbuffò- non sto mettendo niente di particolare. Vado semplicemente a pulire quell'ufficio. Nulla di più.-
Nicole strinse le labbra, limitandosi a fissare la figlia con profondo dispiacere. -Va bene- fece- però avrei preferito che tu facessi un altro lavoro. Mi raccomando, non trascurare la scuola serale, però.-
Rosalie annuì, prima di avviarsi verso l'uscita. Certo che continuerò a studiare, non sono così matta da rinunciare proprio adesso che sono alla fine della scuola! si disse, mentre ripensava ai sacrifici fatti.
Mosse qualche passo e raggiunse le scale ma, fatti i primi scalini, un pensiero la colse, bloccandola nel punto in cui si trovava. Già, Rosalie, ma chi vuoi darla a bere?Hai fatto una fatica del diavolo per non metterti in ghingeri per lui...serietà professionale un accidenti! pensò, incamminandosi stizzita verso l'uscita della palazzina.
Mentre così faceva, vide la sua dirimpettaia. -Signorina De Jarjayes!-esclamò.
Oscar si girò e le rivolse uno dei suoi sorrisi dimessi. -Buongiorno, Rosalie-disse- come sta sua madre?-
La bionda stirò le labbra, un po'impacciata. -Molto meglio, grazie. Ieri ha preso una tisana ma comincia a non poterne più dell'ingessatura. Non vedo l'ora che gliela tolgano.- rispose, sollevando a fatica lo sguardo...salvo abbassarlo di nuovo.
L'altra sembrò non accorgersene. -Nicole è una donna in gamba. Ha carattere.-rispose Oscar, fissandola da dietro gli occhiali spessi.
Rosalie annuì velocemente. -Ora però devo proprio andare...altrimenti il capo mi farà a fettine.-disse, avviandosi frettolosamente verso la fermata della metro e lasciando l'altra indietro.
Oggi aveva un completo color grigio perla si disse, mentre ripensava alla sua vicina. Fin da quando si era trasferita. Rosalie Lammorliere aveva provato un fortissimo interesse per Oscar Francoise De Jarjayes. Forse era colpa della sua natura sfuggente, dei modi composti e distaccati che sapevano attrarre e respingere al tempo stesso, questo non avrebbe saputo dirlo. Il punto però era che quella donna le piaceva molto.
Non sapeva nemmeno come tutto fosse cominciato...e tale interesse, malgrado tentasse in ogni modo di nasconderlo, era stato oggetto, spesso e volentieri delle battute ironiche di Nicole e di sua cugina Jeanne.
Sei per caso innamorata della mia amica?le chiedeva ironica quest'ultima, sostenuta da sua madre che, per parte sua, sorrideva dell'imbarazzo di sua figlia. Rosalie sbuffò. Non aveva minimamente voglia di pensare a quegli scherzi. Non era colpa sua se trovava la signorina De Jarjayes interessante.
Inizialmente era rimasta colpita dal fatto che non le avesse rivolto alcuna commiserazione o domanda indiscreta, quando diceva che viveva da sola con sua madre ed aveva lasciato la città di Marsiglia tagliando i ponti con tutto e tutti. Di solito, le persone che sentivano qualcosa in proposito, erano solite farle domande su domande, ficcanasando senza alcun permesso né vergogna.
Così, quando venne a sapere che il bilocale di fronte a lei era stato comprato, non aveva potuto fare a meno di provare una profonda diffidenza. Escludendo Nanny, infatti, il resto del quartiere aveva spettegolato a lungo su di loro, almeno agli inizi...invece, non appena vide la signorina De Jarjayes, qualcosa si mosse.
Era la donna più strana che avesse mai visto, da quando si era trasferita a Parigi. Malgrado fosse poco più grande di lei di uno-due anni, non conduceva alcuna vita sociale. Lavorava dalla mattina alla sera, faceva una passeggiata nel week-end e passava il resto del tempo insieme ad un bambino biondo che pendeva letteralmente dalle sue labbra.
A quel pensiero, la donna scosse la testa. Proprio in quell'istante, il treno della metro raggiunse la fermata.
 
 
 
 
 
- Buongiorno- disse, camminando incerta verso la porta. L'ufficio era ancora deserto ma Rosalie aveva l'abitudine di salutare ugualmente. Lo faceva d'istinto, salvo poi darsi della sciocca, non appena si accorgeva di essere da sola. Così fu anche quella mattina...e sospirò di conseguenza.
A passo cadenzato raggiunse la stanza dove si trovavano le scope e gli stracci. Non aveva molta voglia di pensare a quel genere di cose...poi sentì un fruscio di carta. Il cuore prese a battere velocemente. Oh, no si ritrovò a pensare. Piano si avviò verso il punto da cui proveniva quel rumore, pregando mentalmente ogni divinità possibile e inimmaginabile che tutto ciò non fosse altro che un incubo.
Seduto davanti alla scrivania, con il suo immancabile netbook, stava il suo capo, l'avvocato Bernard Chatelet.
Rosalie si morse il labbro pieno, mentre lo studiava con palese nervosismo. Moro e con gli occhi blu scuri, Bernard era il fondatore dello studio associato di avvocati che si trovava nei pressi di Place De La Concorde. Aveva aperto quel posto solo un paio di anni prima, dopo essersi staccato dal suo mentore ed ora, grazie ad una serie di parcelle abbordabili per ogni tipo di portafoglio, poteva vantare una clientela di tutto rispetto.
La donna deglutì nervosamente. Quei particolari, benché assai interessanti, passavano drammaticamente in secondo piano...e con la coda dell'occhio, fissò il capo.
Aveva la fronte aggrottatta e con quei lapislazzuli che aveva al posto degli occhi, come tutti i comuni esseri viventi, continuava a leggere concentratissimo i fascicoli che teneva nel database. La camicia era leggermente sgualcita e sbottonata, senza quella dannata cravatta a cui non sembrava per nulla affezionato. Non gli piaceva, come aveva detto molte volte alla sua fidanzata di turno. Quel pensiero rabbuiò Rosalie...ma preferì non farci caso.
-Signorina Lammorliere-disse il diretto interessato, facendola sobbalzare- cosa fa sulla porta?-
-Mi scusi, signore. Non pensavo che fosse in ufficio. Ho salutato e non ha risposto nessuno.-rispose a scatti la donna.
L'avvocato alzò la testa. -Mi ha chiamato?-chiese perplesso- Mi scusi. Probabilmente, devo essermi distratto con queste pratiche. Ho in mano una causa che, anche se semplice da finire, mi impegna. - Poi inclinò la testa, muovendo nervosamente il collo. -Ho passato tutta la notte in ufficio e sono decisamente a pezzi. Se non ha cominciato, potrebbe andare a prendermi un caffé per cortesia?-
-Subito-rispose Rosalie. Non appena fu in corridoio, però, si dette della sciocca. Non c'era nessuno nell'ufficio e poteva tranquillamente rimanere in sua compagnia...ma aveva colto l'occasione del caffè per andarsene. Idiota fu il pensiero che la prese, mentre si avviava alla macchinetta.
Non mi ha nemmeno guardata si disse, mentre fissava laconica la Mokissima Trio, usata indifferentemente da tutti i dipendenti dello studio. L'aveva portata lo stesso Chatelet, di ritorno da una causa in Italia che aveva dato molta visibilità a tutti i collaboratori.
Quel pensiero la innervosì. Santo Cielo, stai pensando al tuo capo in una maniera assolutamente inopportuna! Non puoi vederlo in quella maniera, diamine! E'il tuo datore di lavoro e basta! si disse, rimproverandosi della sua debolezza.
Prima di trasferirsi a Parigi, non aveva mai dato molto peso ai maschi e questo, indipendentemente dal fatto che suo padre era scappato da Marsiglia rovinando lei e la mamma. Studio e Casa, Casa e Studio. Rosalie era sempre stata una Brava Ragazza nella più pura accezione del termine. Quand'anche ne avesse avuto voglia, non avrebbe comunque potuto dargli molto tempo a cose come svaghi e simili. Aveva sedici anni quando suo padre se ne era andato e lei aveva dovuto rinunciare alla scuola. Il ricordo di quei momenti la rese di ghiaccio. No, non era il momento di pensare alla strana reazione che l'avvocato Chatelet suscitava dentro di lei. Doveva portare lo stipendio a casa e lasciar perdere il resto, fine.
La donna sospirò. Più facile a dirsi che a farsi fu il pensiero che nacque spontaneo nella sua testa, quando provò a tenere in considerazione quel proposito.
 
 
 
Maria Antonietta contemplava assorta il paesaggio, un modo come un altro per evitare d'incrociare lo sguardo con la donna di fronte a lei. -Figlia mia, vi prego di riportare la vostra attenzione su di me. Vi sto esponendo la situazione esclusivamente per il vostro interesse. E'disdicevole che abbiate una simile trascuratezza.-disse questa, con fare indolente.
-Avete perfettamente ragione. Vogliate perdonarmi, madre.-si scusò, chinando appena gli occhi.
-No, figliola. Voi non dovete mai abbassare lo sguardo. Siete la figlia del primogenito degli Asburghi, il mio povero marito Pierre, e di un membro di una delle famiglie più altolocate della Loira.-la ammonì- Questo gesto è indice di un'intrinseca debolezza.-
Maria Antonietta non rispose.
Sophie Liliane Lephevré Asburghi era una donna dal fascino languido e vagamente indolente. Maria Antonietta aveva preso da lei i lineamenti perfettamente cesellati ed una pelle color avorio che non si abbronzava mai, nemmeno sotto il sole più cocente. Si era sposata a 18 anni con il figlio prediletto della dama di ferro, rimanendo vedova pochi anni dopo la nascita di Maria Antonietta. Rimasta sola, passava il tempo tra visite nei club di cui era socia e nelle visite mensili che somministrava regolarmente a suocera e figlia...come stava avvenendo in quel momento. Era una donna che non passava inosservata, nemmeno volendo. Malgrado fosse la ormai sulla cinquantina, era eccezionalmente avvenente. Possedeva un ovale perfetto, intorno al quale crescevano dei capelli color inchiostro che facevano da contrasto a due occhi grigi. -Tornando a noi, sono curiosa di sapere come procede il vostro matrimonio.- disse, inclinando lieve la testa.
-Piuttosto serenamente.-rispose la figlia, irrigidendosi appena.
La madre la squadrò. -Vostro marito è spesso via, però.-osservò, tenendo le mani in grembo.
Maria Antonietta non fiatò.
L'espressione di Sophie si fece severa. -Dovete impegnarvi maggiormente, altrimenti vostra nonna potrebbe rattristarsi. Anche io non sono serena al pensiero che voi non avete assolto al compito.- Prese uno dei biscotti dietetici che si trovavano nel piattino e li avvicinò alla bocca. -Questo matrimonio ha uno scopo molto importante. Vostra nonna ha la massima fiducia nel fatto che terrete unita questa alleanza, indispensabile ora che la crisi sta mordendo un po' ovunque. Noi ricchi dobbiamo aiutarci a vicenda.- rispose- E tenere in piedi questo matrimonio è una delle vostre priorità.-
L'altra non rispose.
-Vi volevo informare, inoltre, che ho ricevuto una lettera da parte del patriarca della famiglia Borbone. Mi ha detto che è molto soddisfatto di voi ma che si aspetta di vedere presto il suo bisnipote.-la informò, con tono monocorde- Naturalmente, ho acconsentito a dirglielo non appena avverrà il lieto evento.-
-Ma, madre...-provò a replicare la giovane.
-Non interrompetemi. Una gravidanza è essenziale, al di là di ogni ragionevole dubbio. Un matrimonio deve cementificarsi con una prole, la sola e unica garanzia di un sereno rapporto tra le famiglie dei due sposi.- rispose Sophie, con tono noncurante- Vostra nonna ha generato, oltre a vostro padre, sei figlie femmine, ciascuna delle quali ha avuto, a testa, quattro figli. Io sono rimasta incinta poco dopo il mio matrimonio, quando avevo diciannove anni.-
-Luigi è molto impegnato con gli affari. Suo nonno lo manda in giro per il mondo, per concludere accordi con la sua famiglia. Non posso pretendere che lui sacrifichi i suoi impegni in questo modo.-provò a dire la figlia, mordendosi l'interno della guancia.
Sophie scosse la testa. -Mia cara- fece, prendendole la mano- voi sapete meglio di me come funzionano questi matrimoni. Avere un figlio è essenziale per la buona riuscita di queste unioni. Vostra nonna ed io abbiamo apprezzato il fatto che abbiate deciso di lasciar da parte i gorgheggi....ma, in tutta franchezza, speravamo che l'uso del tempo che voi avete sottratto al vostro passatempo fosse impiegato in altro modo.-
Maria Antonietta non emise un suono ma non poté fare a meno di sentirsi delusa dalla madre, per l'ennesima volta. Non l'aveva mai incoraggiata nella sua passione per il canto e, in mancanza di un pubblico con cui pavoneggiarsi, aveva mostrato un profondo disinteresse nei suoi confronti.
-Avete mai pensato alla possibilità di una visita di controllo?- chiese infine questa, del tutto ignara del malessere della più giovane.
La più giovane sussultò. -Madre...-provò a dire.
-No, ascoltatemi invece.-la interruppe Sophie, troncando le sue parole sul nascere, per l'ennesima volta-  Tra le clausole del contratto prematrimoniale, è previsto che voi generiate un figlio, preferibilmente maschio, entro il trentesimo anno d'età. Ne avete 28 e c'è il rischio che l'accordo salti. Vostra nonna, ovvero mia suocera, ha grande fiducia nel vostro operato...il tempo stringe però e non c'è bisogno che vi dica come finirebbe, nel malaugurato caso in cui non foste all'altezza del compito..-
Poi, senza nemmeno darle un momento per rispondere, prese un biglietto da visita. -Questo, mia cara, è l'indirizzo di un medico molto bravo. Ha aiutato la mia famiglia in più occasioni...e credo che risolverebbe il vostro problema.-ammise, prima di fissarla con dispiacere- Siete la figlia migliore che potessi avere e non dubito che possa aiutarvi. Non siete la sola a soffrire di questo disturbo.-
Maria Antonietta non rispose. Non ve ne era motivo. Tutti si aspettavano un figlio da quel matrimonio ma erano passati dieci anni e non era successo nulla. Luigi la toccava raramente e malvolentieri, preferendo il lavoro alla sua compagnia. Quel foglio, contenente l'indirizzo del ginecologo, sembrava tuttavia bruciarle tra le mani, come una condanna.
In dieci anni, non era mai rimasta incinta.
Quel dato di fatto la rese inquieta. Aveva fatto molte rinunce ed ora conduceva una vita che non la soddisfaceva per niente. Da dieci anni, viveva una vita che non era la sua, dissimulando perennemente il suo malessere con sorrisi vuoti e di circostanza.
Che questo bambino che non arriva sia il mio castigo? Forse, merito tutto questo, per aver rinunciato alla musica senza combattere. era il pensiero ossessivo che la coglieva, giorno e notte.
Non passava un momento in cui non si sentisse completamente inadatta al suo ruolo, completamente fuori parte rispetto a quello che tutti si aspettavano da lei...eppure non era sempre stato così. Prima che si sposasse, tutto era perfetto.
Maria Antonietta quasi non respirò, schiacciata da quella considerazione.
-Ad ogni modo, vi suggerisco di recarvi da questo specialista al più presto, in modo da stornare da voi ogni possibile accusa. Se il Mondo saprà che siete sana, sarà tutto più semplice.-disse sua madre.
-State dicendo che io...-provò a dire l'altra, allibita. Possibile che sua madre pensasse che fosse malata?
-Sto solo esponendo una possibilità.- la interruppe Sophie, infastidita da quel tono- Ricordatevi che chiunque si aspetta che voi facciate un figlio. Del resto, lo scopo del matrimonio è questo, senza contare che una prole cementifica l'alleanza tra le nostre famiglie. Sapete bene quanto i rapporti fossero difficili, prima delle vostre nozze... la gioia del lieto evento non è forse un modo per siglare la pace?-
Maria Antonietta chinò il capo. Non aveva mai pensato a quella possibilità. -Suvvia, tesoro-disse la donna- siete una delle gentildonne più avvenenti di Francia, avendo ereditato il meglio da entrambe le famiglie. Come madre, desidero che voi abbiate ogni felicità e ciò passa irrimediabilmente da questa gravidanza. Se voi aspetterete un bambino, avrete meno preoccupazioni...e le vostre giornate appariranno meno oppresse dai vostri affanni.-
La figlia chiuse gli occhi. Prese il foglio che la madre le aveva allungato con profonda insofferenza.
La vedova Asburghi sorrise. -Fidatevi, agisco esclusivamente per il vostro bene e perché vorrei vedervi meno infelice. Questa inquietudine vi passerà, quando avrete un pargolo tra le braccia, non temete. Sono vostra madre e so cosa è meglio per voi.-disse.
Maria Antonietta stirò le labbra, non sapendo cosa dire. Sentiva sempre un odioso fastidio, tutte le volte che sua madre veniva a farle visita...ma non poteva farci niente. Sophie, vedendola in quello stato, cambiò subito argomento e mentre così faceva, la figlia si chiese se l'altra si era accorta della sua infelicità e del fatto che dissimulava continuamente i suoi sentimenti. Era sempre stata una persona docile ed obbediente, una di quelle che pendeva dalle labbra degli adulti, alla ricerca di approvazione...ed ora che era più che maggiorenne, continuava a sentire su di sé le aspettative altrui.
In quel momento, l'unica cosa che voleva era la solitudine.
Voleva rimanere sola, senza avere intorno tutte quelle persone che non facevano altro che pretendere, pretendere, pretendere.
 
 
Questo è un capitolo di passaggio e, come potete vedere, ho cambiato qualcosa. Abbiamo Rosalie e Maria Antonietta, ciascuna alle prese con i rispettivi problemi. Questo capitolo è stato scritto velocemente ma ho preferito metterlo subito. Ad ogni modo, lo rileggerò, in modo da ricontrollarne la forma.
 

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Capitolo 7
*** Cousin ***


Benvenuti a questo nuovo capitolo.

Questa volta non dirò molto, dal momento che mi trovo in un periodo abbastanza impegnato. Colgo l'occasione di segnalare, per il settore storico, il prequel della mia precedente storia LEGAMI. No, non è la telenovela che mandano su rai1...non sono il tipo. Il prequel comunque si intitola LA SCALA DEL DOLORE, una storia drammatica, come avete avuto modo di vedere.

Così, giusto per fare un po'di pubblicità occulta.

 

COUSIN

 

Gli invitati erano tutti riuniti nella grande sala dell'hotel. In buona parte, erano giornalisti e imprenditori come lui. Ogni tanto, vedeva qualche top-model o ragazza immagine zigzagare tra i presenti...ma era spesso difficile distinguerle.

André camminava tra queste persone, somministrando generosamente sorrisi e parole di circostanza. La maschera cordiale che sfoggiava in quell'occasione calzava sul suo volto come una seconda pelle, tanto che nessuno riusciva a vedere bene cosa ci fosse, oltre la soglia di quel sorriso.

-Grandier- disse una voce morbida -quanto tempo!-

L'imprenditore si girò. -Oh, mia cara Mademoiselle Ivanova, che piacere rivederla in Francia!- disse, esibendosi in una smorfia falsamente seria che fece ridere la diretta interessata.

-Lo dirò per l'ennesima volta...odio questi formalismi! Mi chiami Svetlana, siamo amici da molti anni...perché tutte queste cerimonie?-sbuffò la donna, con finta esasperazione.

-E come potrei non farlo?-chiosò il moro- Sto parlando con uno degli angeli di Victoria's Secret...insomma, un po'di galanteria ci vuole...-

L'altra rise di gusto. -Il suo umorismo mi rallegra tutte le volte. Di solito, mi capita sempre di sentire battute volgari e prive di tatto. Lei è uno dei pochi uomini di classe che abbia avuto l'occasione di conoscere.-rispose, passandosi una mano sulla chioma ramata. Aveva l'inconfondibile accento duro delle donne dell'Est, che rendeva bizzarro il suo francese. Quel tono aspro si contrapponeva ad un corpo formoso a clessidra che, fin dal suo arrivo, aveva fatto girare molti presenti. Svetlana era un vero e proprio gioiello del Don, con un ovale morbido e due occhi castani che incantavano i più. Parlava sei lingue: russo, finlandese, giapponese, mandarino, inglese e, ovviamente, francese.

-Non sapevo che l'avrei rivista qui-disse schietto André, lasciando scivolare l'occhio sul tubino nero che evidenziava le morbide forme.

Svetlana sorrise felina. -Questioni d'immagine-rispose, indicando un uomo poco distante con il mignolo, facendogli bene intendere che si trattava del suo accompagnatore del momento - e poi perché sono curiosa di vedere gli eredi della dinastia dei Borbone. Queste vostre particolarità francesi sono per me fonte di estremo divertimento.-

André, in un primo momento, non capì...poi, seguendo la direzione del dito di Svetlana si accorse di un gruppo di uomini. Erano alti e dai colori algidi, come il mare d'inverno. -Chi sono?-domandò.

La russa prese un bicchiere di champagne. -Sono gli Asburghi...per la precisione, il marito di Maria Amalia, Ferdinando Parmi, un abile esperto del settore dell'agricoltura. Alberto Soisson, marito di Maria Elisabetta, noto per la sua abilità nel settore automobilistico, giusto per citarne alcuni. La dama di ferro ha avuto quattordici figli, di cui il maggiore è il defunto Pierre, erede designato della dinastia. Tutti i membri comunque sono impiegati nei vari settori di famiglia, ciascuno con una propria quota.-disse, sorseggiando distratta- La matriarca ha garantito a tutti una relativa dose di benessere, così da evitare lotte intestine.-

André scosse il capo. -Saggia mossa...così non ci saranno problemi di successione.-rispose, fissando disinteressato quel gruppo.

Svetlana sospirò. -Penso di no. Giuseppe, il suo primogenito, è un uomo dall'aria sana...nonché un abilissimo uomo d'affari. Peccato che non abbia figli. Ha perso la prima moglie e le bambine nate da questa, molto presto. Qualche hanno dopo, si è sposato di nuovo, salvo poi divorziare quasi subito. Quelle nozze non erano volute.-disse la russa. Il moro alzò le spalle. Quel genere di pettegolezzi non lo interessavano molto, anche perché non aveva mai avuto molto a che fare con quella famiglia. Ambiti lavorativi diversi...ed un patrimonio assai meno imponente. I Grandier erano di ascesa recente e non potevano vantare la fama degli Asburghi...e lo stesso discorso valeva per l'altro gruppo che si trovava sul lato opposto della sala. Quest'ultimo era costituito da degli uomini di corporatura simile ma dai colori mediterranei. Se i primi erano soprattutto toni freddi, questi prediligevano quelli caldi. -C'era da aspettarselo-commentò la russa- sono come il gatto e la volpe...dove vanno gli Asburghi, ci sono pure i Borbone.-

André non disse niente. Si limitò ad osservare i nuovi arrivati, con una punta di curiosità. Li riconosceva abbastanza bene....grazie ai giornali.

 

 

-Moinsieur Soisson- esordì uno dei presenti- è un piacere rivedervi. E'da...perdonatemi l'ardire ma non lo ricordo più.-

-Monsiuer Charles-rispose il diretto interessato, con un distacco innaturale- non abbiamo mai avuto modo di discorrere ma ci siamo incontrati due anni or sono, durante una delle mie visite in Francia.-

L'altro sorrise con condiscendenza. - Vogliate scusarmi ma non è mia abitudine ricordare eventi così lontani nel tempo, soprattutto considerando particolari di così infima importanza.- rispose.

Monsieur Soisson non gradì quell'allusione alle sue condizioni sociali. -Non vedo cosa vi possa essere di tanto indecoroso. I miei vini hanno origini antichissime e sono una qualità che compirà quest'anno la bellezza di trecento primavere...ben diversa cosa dalla vostra recente attività, nonché più sicura.-rispose.

Charles Borbone stirò forzatamente le labbra. -Non direi, considerando che lo scorso anno, i vostri raccolti hanno subito una spiacevole disavventura con una condizione atmosferica favorevole.-ribatté, piuttosto piccato.

-Vogliate perdonare Charles-s'intromise uno dei presenti- ma questo tipo di discussione non è molto piacevole a udirsi. Tanto più che si tratta di persone di famiglia, ormai. -

Sia Charles, che gli Asburghi si irrigidirono. L'uomo che aveva parlato era rimasto in silenzio fino a qualche momento prima, sorseggiando con grazia dal proprio bicchiere. -Monsieur Soisson, mi duole molto per quanto accaduto alle vostre terre. Incredibile come la Natura possa avere un tale cattivo gusto nel prendersela con persone tanto stimabili.-rispose questa, con un tono indolente e distratto.

-Philippe-intervenne Charles-dunque non concordate con me?-

L'uomo scrollò le spalle. -Dico solamente che è impossibile attribuire una coscienza ai fenomeni naturali e, di conseguenza, non possiamo certo occuparci di cose simili, visto che siamo miseri uomini.- Con fare tranquillo, si avvicinò ai presenti. -Suvvia, non penserete che dobbiamo mostrarci tanto volgari alla presenza della Buona Società? Abbiamo un buon nome da difendere e quindi essere all'altezza di tale titolo è indispensabile.-

-Monsieur Philippe ha perfettamente ragione-intervenne una voce monocorde, prima che qualcuno avesse da ridire- è assolutamente inutile continuare su argomenti tanto spiacevoli. A nome dei miei fratelli acquisiti, chiedo scusa per il loro comportamento.-

L'interessato scosse la testa. -Monsieur Giuseppe, la vostra pacatezza è ammirevole e non posso che accettare queste parole, malgrado io non sia altro che un cadetto.-rispose, con tono dimesso.

L'altro annuì. -Vogliate porgere i miei saluti al marito di mia nipote. Ho notato che non è presente.-disse, guardandosi attorno.

Philippe alzò gli occhi al cielo. -Mio cugino è impegnato in una serie di viaggi per dirimere alcune questioni con mio nonno. In quanto erede, ha molti impicci...se così vogliamo chiamarli.-rispose indolente.

Monsieur Soisson avrebbe voluto aggiungere qualcosa...ma l'occhiata gelida del cognato lo spinse a retrocedere. Chinò lo sguardo, indurendo la mascella, quasi senza accorgersene. Quando si allontanarono, pronti a discutere con gli altri invitati, Charles si avvicinò al cugino.

-Come avete potuto rivolgervi a me in questo modo?-chiese, stizzito.

-Calmatevi. Giuseppe Asburghi è il primogenito della dama di ferro, nonché suo figlio prediletto. Non vorrete rimanere in pessimi rapporti con loro, spero?-ribatté l'altro, con una punta di noia...ma Charles pareva di tutt'altro avviso.

-Voi non comprendete la tremenda umiliazione...-cominciò a dire- dovermi incontrare con quegli individui è così mortificante. Per quale ragione nostro nonno ci ha umiliato in questo modo?-

Philippe lo osservò con sufficienza. -Non dite sciocchezze.  Egli agisce nel nostro interesse, senza contare che dobbiamo avere buoni rapporti con tutti, per una proficua alleanza commerciale. Non vorrete forse avere un rimbrotto da parte sua, spero!- disse, sgomento.

Charles impallidì. -Avete perfettamente ragione. Come sempre, mi avete salvato da un errore davvero molto grave. Vi prego di non dire nulla al nonno.-disse, timoroso.

Il cugino annuì. -Potete sempre contare su di me. Sarà il nostro piccolo segreto.-mormorò, riprendendo a sorseggiare il suo vino.

 

 

 

 

-André, non ho mai visto uno spettacolo tanto divertente!-esclamò Svetlana, ridacchiando al suo braccio. Da quando era cominciato quello scambio di battute aveva tentato in ogni modo di controllarsi...con scarsi risultati, secondo il giovane imprenditore. La vedeva mordersi continuamente le labbra piene, simulando malamente un sorriso arcaico. -Mademoiselle- disse- forse è il caso che usciamo fuori a prendere una boccata d'aria.-

La russa si bloccò un momento. Guardò a destra, poi a sinistra...e rise, socchiudendo gli occhi languidi. -Forse ha ragione-bofonchiò, appoggiandosi con più decisione al moro che, imbarazzato per quella piega, si allontanò dalla stanza a passo svelto. Zigzagando gli invitati, raggiunsero un grande terrazzo che si trovava sul retro dell'edificio. Una volta lì, la modella si appoggiò alla balaustra, sospirando con soddisfazione. -Aaah- mormorò con quella voce piena e leggermente roca- finalmente sono fuori!-

André la fissò interdetto.

-Sta meglio?-domandò impacciato.

Svetlana si stiracchiò, muovendo languida il collo. -Monsieur, volevo solamente un modo per uscire da tutte quelle persone che non fanno altro che adularmi e venerarmi come una divinità scesa in terra.-disse, fissandolo...per poi scoppiare in una calda risata -Naturalmente, scherzavo! Non farei il mestiere della modella, se non mi piacesse questa venerazione!-

André si dette dello sciocco per non averci pensato. Era del tutto impossibile che una donna tanto avvenente non facesse quel tipo di mestiere. L'indossatrice, ovviamente. -In ogni caso, ho sempre avuto un debole per gli uomini svegli e promettenti come lei...-disse, socchiudendo gli occhi -...e mi piacerebbe molto conoscerla meglio. In amicizia, ovviamente.-

Il moro ridacchiò, lusingato da quei complimenti.

Gli erano sempre piaciuti, malgrado lo imbarazzassero un po'.

-In ogni caso, sono André Grandier, piacere di conoscerla.-disse, porgendole la mano.

-Svetlana Ivanova-rispose la donna, ricambiando con un sorriso.

 

 

 

 

Un rumore secco riscosse André dai suoi pensieri.

Non sapeva spiegarsi il perché ma aveva ricordato il suo incontro con una fantastica top model di stampo internazionale che, con il passare del tempo, era diventata una cara amica.

-Pensare a lei...deve essere la stanchezza.-si disse, mentre fissava i documenti che aveva chiesto di poter visionare. Con la coda dell'occhio, fissò la porta dell'ufficio accanto.

Sentiva il tic-tac della tastiera battere deciso il tempo, scandendo i minuti ed i secondi. -Sono le 20.-notò mentre si alzava in piedi- Signorina De Jarjayes! Dobbiamo chiudere!-

Il rumore s'interruppe. La sedia si spostò, accompagnata da un passo deciso e privo d'incertezze, simile ad una marcia militaresca. -Mi dica-fece, mettendosi sulla soglia.

André fissò la segretaria. -Dobbiamo chiudere. Per quale motivo non mi ha informato?-chiese, studiandola.

Oscar fissò il quadrante digitale. -Non mi ha detto che dovevo avvertirla. - rispose, con il suo solito tono inflessibile.

L'uomo si passò una mano tra i capelli. -E'vero anche questo- ammise, del tutto ignaro dell'espressione della donna, più rigida del solito- ma avrebbe dovuto accorgersi che avrei potuto essere distratto.-

La segretaria lo fissò sgomenta. Il suo capo aveva sempre le antenne perfettamente funzionanti...quando mai aveva la testa fra le nuvole? Istintivamente, si passò una mano sugli occhiali, badando bene a non farsi notare troppo dall'uomo. -Ha ragione.-disse meccanicamente.

André si girò verso di lei...poi scosse la testa. -No, sono io ad essere in torto, invece, mi scusi. Ho effettivamente dei pensieri che non mi lasciano in pace da qualche tempo.-ammise, salvo poi fissare una delle fotografie alla parete -signorina De Jarjayes, prima di andare a casa, può mandarmi il modulo XF140? Vorrei vederlo, prima di chiudere l'ufficio.-

La segretaria non obiettò. Il capo pareva abbastanza assorto nei suoi pensieri ma si guardò bene dal farglielo notare. Sapeva, infatti, che non le avrebbe rivelato nulla. Lo aveva capito nel momento in cui aveva improvvisamente cambiato discorso.

Quel modo di fare disorientava Oscar tutte le volte...ed aveva tutte le ragioni per farlo. André Grandier aveva sempre mostrato al Mondo la sua aria da bravo bambino, con un sorriso fanciullesco ed un'aria da finto tonto che traeva in inganno chiunque. Pareva sempre quello meno informato dei fatti, come se il suo candore non fosse una montatura. Oscar deglutì. Aveva conosciuto molte persone, abili nel dissimulare...ma nessuno lo faceva con lo stile del suo capo, ovvero come se fosse naturale e non frutto di un duro esercizio recitativo. La naturalezza con cui André celava i suoi pensieri la riempiva d'angoscia. Cosa sta pensando?si disse, mentre si avviava verso la porta a prendere quanto chiesto.

 

 

 

 

 

 

Rimasto solo, l'imprenditore guardò stancamente la finestra. Portò la mano sotto la scrivania e colpì delicatamente ma con decisione un punto, di questi. Il legno cedette, cadendo verso il basso insieme al fruscio della carta.

André stirò le labbra. I fogli erano ancora lì...ma non vi sarebbero rimasti a lungo. Con un gesto rapido, li mise sotto la giacca, prima di rimettere tutto a posto, per poi posizionarsi nell'esatto modo in cui aveva congedato la signorina De Jarjayes. Con la coda dell'occhio,guardò le telecamere e mise una mano in tasca. Pigiò qualcosa. La telecamera si azionò e l'immagine preregistrata venne sostituita dalla ripresa reale. Ecco fatto, si riprende la recita si disse, con un sorriso sornione sulle labbra.

Proprio in quel momento, qualcuno bussò alla porta. -Avanti...ah, è lei, Monsieur Bouillé.-disse l'imprenditore.

-Signore, ho visto la sua segretaria uscire rapidamente dal suo studio-osservò questi, chiudendo la porta con delicatezza- è successo qualcosa?-

-Assolutamente no-rispose il moro. Aveva notato quell'uomo aggirarsi nei pressi dei suoi uffici ma non aveva detto niente. Si era limitato ad osservarlo con la coda dell'occhio, sebbene quel ficcanasare lo irritasse parecchio. Purtroppo faceva parte del carattere di quel tipo...e, se da un lato era utile negli affari, dall'altro lo trovava abbastanza irrispettoso. -Posso sapere la ragione della sua visita?-domandò, intrecciando le mani.

De Bouillet fissò nervosamente la porta. -Signore- disse- sono qui per parlarle della questione del cambio di personale. Ci sono delle operazioni che deve assolutamente visionare.-

André prese il foglio...salvo poi imprecare. -Come è possibile questo improvviso aumento di uscite? Noi abbiamo visionato tutti i bilanci del mese...-provò a dire, prima di assottigliare lo sguardo- tutto questo non può andare.-

-Signore, se le cose continuano in questa direzione, sarà difficile quadrare il bilancio, senza contare che molti dei prodotti cominciano a non essere più richiesti come prima.- osservò il responsabile del consiglio di amministrazione- a meno che non si tagli il personale.-

-Ovviamente no. Preparare i nostri dipendenti richiede sforzi economici di rilievo, anche perché occorre una competenza che non si può ricavare così, di punto in bianco. Gliel'ho già detto. Selezioniamo i nostri fin dalle superiori e dall'università...ed è questo che rende ottimo il prodotto.- disse, portandosi una mano sui capelli.

-Signore- disse l'altro- comprendo il suo punto di vista. Infatti ho riflettuto e, anche se non condivido completamente la sua ottica, non sono venuto qui per esporle questi dati con quello scopo.-

André lo fissò...ma si guardò bene dal commentare quelle parole. Non aveva però molta voglia di cominciare l'ennesima, noiosa discussione. Così, con fare seccato, lesse i primi fogli...salvo poi aggrottare la fronte. -Cosa accidenti significa?-domandò, fissando severamente l'uomo.

-Quello che vede, signore. Mentre lei era impegnato nel meeting di due mesi fa, sono stati prelevati dei liquidi.-rispose questi- Non le abbiamo detto niente perché queste sottrazioni erano avvenuti in vari settori e sempre per cifre irrisorie. Inoltre abbiamo ricevuto la segnalazione dalla sorveglianza che, di notte, qualcuno ha rotto delle finestre...ovviamente abbiamo subito provveduto alla sostituzione.-

Il moro si alzò bruscamente dalla sedia. -E perché la signorina De Jarjayes non mi ha detto niente?-domandò, fissando irritato la porta.

De Bouillet non mutò espressione. -Per il semplice motivo che non è lei la responsabile dell'azienda. Ultimamente le cose intorno alla ditta sono meno sicure, per via di una minor cura della sicurezza.- disse, prima di abbassare la voce- Inoltre, preferivo parlarle a quattr'occhi anche della questione relativa ad un nuovo finanziamento.-

André scrollò la testa.

-Avanti, parli alla svelta perché non ho molta voglia di fare conversazione, specie con questi conti.- disse, allargando le mani verso i fogli che stava visionando da qualche tempo.

-L'ho notato-rispose l'uomo, allungando l'occhio- ed è per questo che le dico che non è salutare per lei stare troppo a lavoro. Inoltre, deve tenere conto di questi bilanci.-

Il moro gli lanciò un'occhiataccia. -E'quello che sto facendo ma ci sono dei parametri che rischiano di virare pericolosamente verso il negativo.-  fece, sempre più scocciato da quella presenza.

De Bouillet storse la bocca. -Il fatto è che negli ultimi tempi, gli affari non sono riusciti mai del tutto. Abbiamo ricavato solo una parte dei guadagli previsti e tutto questo è dovuto sicuramente a qualcosa che non ha niente a che vedere con l'attuale situazione di crisi.-spiegò- Comunque, il pagamento dei prodotti destinati alle ditte è risultato inferiore a quanto stabilito in precedenza. Non è qualcosa su cui possiamo passare sopra, non crede?-

Andrè stirò le labbra. Per quanto fosse seccante, il membro del consiglio di amministrazione aveva ragione su tutta la linea. Si era ormai accorto, da qualche tempo, di come gli affari, dietro il relativo successo generale, stessero cominciando a perdere il loro smalto. -Su questo non ho alcun dubbio ma preferirei attendere, prima di chiedere dei finanziamenti.- mormorò, fissando nervosamente le cifre.

-Ad ogni modo, mi sono preso la briga di chiedere per lei un invito al convegno delle prossime due settimane ed un incontro privato.- disse l'uomo.

André posò il foglio. -A cosa allude?-chiese, irrigidendosi.

De Bouillet lo fissò severamente. -Beneficenza, in buona parte.-rispose.

-Ci sono stato alcuni mesi fa-disse l'altro, palesemente annoiato. L'idea di andare in quel posto, di nuovo, lo irritava. Tutti quei blablabla vuoti, senza alcun significato, completamente estranei agli affari veri che si muovevano sotto la superficie, erano odiosi ai suoi occhi.

I primi tempi, quando era padrone dell'azienda solo di nome, provava divertimento per quello stato di cose...ma ora era tutto diverso. Questo è il prezzo del potere, in fondo si disse, mentre appoggiava pensieroso il mento sulla mano.  -Ad ogni modo, cosa suggerisce? Immagino che lei abbia delle idee.-disse, fissandolo laconico.

L'altro, per parte sua, sorrise e gli porse un foglio. 

André lo lesse...salvo poi fare una smorfia. -Oltre a quello...devo pure andare dai Borbone, in veste non ufficiale? Intende chiedere un prestito a loro? Spero che stia scherzando.-disse- Non abbiamo ancora i conti in rosso.-

De Bouillet storse la bocca. -Non intendevo questo, signore. Ho chiesto quell'appuntamento esclusivamente per studiare il campo. Vorrei solo che prendesse in considerazione l'idea di sondare il terreno, in modo da poter fare le vostre giuste riflessioni. Sono anni che le dico che una chiacchierata con loro non farebbe male, anche perché...-disse, prima d'interrompersi.

-...anche perché la dama di ferro è praticamente irraggiungibile, mentre i Borbone non fanno tanto gli schizzinosi, giusto?-completò il moro.

-Signor Grandier!-lo rimproverò il membro del consiglio.

-Sì, sì...va bene, non dirò altro. Chiedo scusa.-rispose André...ma non c'era nessuna traccia di pentimento nella voce ed anche De Bouillet se ne accorse. Si guardò bene però dal dirlo. Era la prima volta che il suo capo gli dava parzialmente ragione...e voleva approfittarne, finché poteva.

 

 

 

 

 

 

André Grandier non aveva molta voglia di accettare quel consiglio. In realtà, la sola idea di andare dai Borbone lo infastidiva...ma aveva deciso di appoggiare, per una volta, la bislacca idea di De Bouillet, più per noia che per reale interesse. La sede centrale di quella dinastia si trovava nel centro di Parigi, in un edificio del 1600, in pieno stile barocco. Quel luogo apparteneva alla famiglia da 4 secoli, se doveva prestare fede alla targa che si trovava all'ingresso. Megalomani si disse mentre, a passo deciso raggiungeva la portineria.

-Desidera?- domandò il responsabile, un uomo di carnagione mulatta, magro e dallo sguardo molle.

-Ho un colloquio con Monsieur Borbone- disse, mentre si guardava attorno con crescente sgomento. Se l'esterno era barocco, l'interno possedeva un arredo ancora più pesante.

-Monsieur è all'ultimo piano, stanza 304.-disse l'altro, congedandolo con fredda cortesia. André non vi badò molto e, a passo sciolto, si incamminò verso la sua destinazione.

Si trattava di una porta in legno massello, grande e pesante.

Alzò la mano per bussare...ma ebbe un ripensamento. Che stesse facendo la cosa giusta? -Temo che non potrete trovare ciò che cercate. In questo momento, mio cugino sta facendo un colloquio con mio nonno.-disse una voce calma e compassata.

André si girò e vide un uomo alto e snello, con un viso squadrato e smunto. Indossava un completo grigio scuro che gli calzava come un guanto. -Voi siete...-provò a dire.

-Oh, per carità, la prego di darmi del Lei. Malgrado mio nonno sia...come dire...all'antica, preferisco parlare in modo più moderno, quando non è nei paraggi.- si schermì questi- Con chi ho il piacere di parlare?-

-Sono André Grandier- si presentò il moro, porgendogli la mano.

-Io mi chiamo Luigi Philippe...ma potete chiamarmi semplicemente Philippe. Purtroppo, la mia famiglia tende a ripetere sempre gli stessi nomi, cosa che spinge tutti a raddoppiarli.-disse questi, ridacchiando della sua stessa battuta- In ogni caso, posso conversare con lei. Credo di essere in grado di darvi tutti i possibili ragguagli della questione. Non sembra ma il nonno ha una grande fiducia in me.-

Grandier lo studiò. -De Bouillet mi ha detto che i Borbone si occupano di prestiti.-fece -Potrei avere dei chiarimenti?-

Philippe annuì. -Posso darle tutte le indicazioni che occorrono ma, si capisce, lei non è obbligato ad accettare niente, se non è convinto.- disse, invitandolo nel suo studio.

Il moro annuì, seguendolo dentro.

 

 

 

 

 

 

 

 

La porta dell'ufficio si aprì, scivolando lenta sul parquet. -Cugino? Siete qui?-domandò una voce.

Philippe alzò la testa. -Dove dovrei essere, Luigi?-chiese retorico.

L'altro lo guardò, facendo tentennare gli occhi miopi ora da una parte, ora dall'altra della stanza. -Ecco...sono passate tre ore...ma temo che sia saltato l'appuntamento.-fece.

-Appuntamento?-domandò Philippe.

Luigi sussultò. -Vedete...oggi mio nonno mi ha detto che sarebbe passato un uomo che dovevo assolutamente convincere per ottenere i finanziamenti. Purtroppo non l'ho visto...e...pensavo...-disse, inciampando sempre più nelle parole.

-Non vi dovete preoccupare. Ho visto poco fa un uomo nel corridoio e ci ho parlato. Non mi ricordo come si chiamasse...purtroppo non ci ho fatto caso. Sono reduce dall'ultimo viaggio in Costa Rica e, davvero, non saprei dirvi.- mormorò dispiaciuto.

L'altro abbassò gli occhi. -Oh...capisco.-mormorò.

-Può essere che abbia cambiato idea, o che sia un altro giorno. Avete almeno il foglio dell'appuntamento con voi?-chiese, interessato.

Luigi frugò nelle tasche...e sussultò. -No-disse, esalando quella risposta in un sospiro- Il nonno si arrabbierà con me.-

Philippe gli mise una mano sulla spalla. -Siete terribilmente disordinato, cugino...ma può essere che lo abbiate scordato a casa, come l'altra volta.-disse- Perché non vi riposate? Tra qualche giorno, dovrete partire per Cuba e il fuso orario è impegnativo.-

Luigi annuì.

Mosse pesantemente due o tre passi, rimuginando nei suoi pensieri. -Cugino- mormorò- io...io...davvero non so come fare. Come posso rendere il nonno soddisfatto di me? Come posso essere io, l'erede dei Borbone?-

Philippe non rispose...però non poté che essere d'accordo con lui sulla domanda e sulla risposta. Per una volta, si ritrovò sulla stessa lunghezza d'onda del goffo Luigi Augusto. Un coincidenza che gli apparve bizzarra e straniante al tempo stesso...tanto che si ritrovò a ridacchiare silenziosamente, come se avesse sentito una battuta divertente...ma subito ritornò serio. Beffare Luigi era maledettamente facile ma questo non cambiava i fatti. Caro Philippe, per quanto tu sia abile, resti pur sempre un cadetto...per ora. si disse, passeggiando flemmatico sulla moquette, con ancora il sorriso di sufficienza stampato in volto.

 

Bene, scusate ancora per il ritardo. Il capitolo non dice molto ma spero che piaccia.Optando per dei capitoli più lunghi spero di risparmiarvi una storia chilometrica. Passando al resto, noto che siete in molti a leggere questa prodezza ed ammetto che non è semplice mantenere i personaggi in questo modo. Approfittando di un allentamento dei miei impegni, ho proseguito con questa storia. Purtroppo ho avuto degli impegni che mi hanno tenuto un po'lontana ma spero che il capitolo sia piacevole. I nuovi personaggi inseriti, delle due famiglie, hanno uno scopo puramente indicativo, tranne uno.

Quanto a voi, cari lettori e lettrici, ammetto di sentirmi un po'in imbarazzo. Malgrado aggiorni con maggiore lentezza, aumentate a vista d'occhio, tanto che siete più voi delle recensioni stesse...che dire...GRAZIE MILLE PER AVERMI SEGUITO FINORA!!!!

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Capitolo 8
*** HELP ***


Benvenuti cari lettori. Questo è un nuovo aggiornamento della storia e spero che le cose piacciano lo stesso. Nel precedente, avete visto un simpatico incontro tra Asburghi e Borbone e vi ringrazio per l'apprezzamento che avete dato a questa storia. Adesso però passiamo ad un nuovo capitolo.
 
 
HELP
 
 
Maria Antonietta leggeva silenziosamente una rivista, tentando di tenere una condotta fredda e distaccata. Il suo corpo, però, sembrava pensarla diversamente...come dimostrava quel battere ritmato e insieme frenetico del piede contro la gamba della sedia.
-In nome del cielo, Maria!-esclamò Sophie, aggrottando la fronte.
La bionda si bloccò, guardando sua madre.
-Vi chiedo di smettere di farlo. E'assolutamente volgare.-la ammonì, guardandola male.
Maria Antonietta chinò la testa. -Scusatemi-rispose, fissandola con rammarico.
Sophie scosse leggermente la testa. -Sono venuta in questo luogo per darvi tutto il sostegno necessario...ma voi dovete cessare questo atteggiamento così negativo. Non è possibile questa ritrosia.-la rimbrottò, passandosi una mano sul profilo del volto- Se avessi potuto beneficiare, a suo tempo, dell'ausilio di un medico di tale livello, senza seguire le pressioni di vostra nonna, avrei sicuramente evitato molti dispiaceri.-
La bionda si morse le labbra.
-E' di grande esperienza ed un luminare del settore. Saprà sicuramente porre rimedio ai problemi del vostro matrimonio.-continuò con sicurezza.
Maria Antonietta non commentò. Sua madre era assolutamente certa che la responsabilità delle nozze fosse inesorabilmente sua e che fosse necessario provvedere il prima possibile. Come se fosse semplice si disse, mentre osservava quei corridoi bianchi e intrisi di disinfettante.
-Madre- disse improvvisamente- per quale motivo non possiamo andare dal dottor Lasonne?-
Sophie strinse le labbra.
-Il dottor Rouen...ecco...non mi sembra una buona idea...-provò a dire.
-Vi ho ammonito molte volte, che non è assolutamente decoroso per una dama del vostro calibro questa balbuzie. Il dottor Rouen è un medico stimato in tutto il mondo, che ha a cuore la salute delle sue pazienti...e non voglio sentire altre sciocchezze, sulle vostre presunte sensazioni. Non sono reali.- ribatté con durezza, stroncando le sue deboli proteste.
Maria Antonietta tacque. Sua nonna non aveva molta stima per quel medico. Non permetterò che un uomo, per quanto blasonato,tocchi uno solo dei membri della mia famiglia... non con una fama tanto vergognosa! aveva detto, alludendo alle voci poco onorevoli che avevano accompagnato quel medico fin dall'inizio della sua carriera, quando si diceva che avesse accumulato delle ricchezze, mentre lavorava con Emergency in Ciad.
Quel fatto non era stato accompagnato da prove concrete e schiaccianti ma lo rendeva comunque una persona poco lodevole, almeno per la dama di ferro, la quale aveva sempre preferito il dottor Lasonne.
Maria Antonietta si era sempre chiesta se fosse veramente il caso di andarci. Ogni volta che lo incrociavano, quell'uomo la guardava in un modo che non le piaceva affatto. Le sembrava quasi che volesse vederla senza vestiti. Ed io dovrò farmi mettere le mani addosso da questo maniaco si disse, con crescente sgomento. Non avrebbe mai voluto andarci...ma le pressioni e la veemenza di Sophie erano un peso troppo gravoso, per permetterle di resistere a lungo, cedendo come al solito.
Istintivamente sperò che quell'impressione fosse sbagliata, tentando d'innestare nel cervello un ottimismo che non sentiva...ma quando la porta si aprì, comprese che era impossibile tenere lontano lo sconforto che provava. Come se il fatto che tutto avvenisse dopo la chiusura degli ambulatori, non fosse già sufficientemente deprimente. -Buongiorno, Madame-disse l'uomo, fissando alternativamente ora la più grande, ora la più giovane- è un piacere per me vedervi. Spero che i miei servizi siano di vostro gradimento.-
-Mi aspetto la massima discrezione...sapete, l'argomento è delicato.-mormorò Sophie, fissandolo con freddezza.
Il medico annuì vigorosamente. -Naturalmente- disse questi, umettandosi le labbra- non una parola uscirà dalle mie labbra...segreto professionale. Ora faremo una semplice visita ginecologica, in modo da evitare qualsiasi difetto.-
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-Ecco cosa dicevo. Occorre una grande competenza nella nobile dottrina della medicina. Vostra nonna si ostina a fissarsi con quel Lasonne, malgrado sia ormai prossimo alla pensione. Assolutamente, mia cara, era giusto venire qui.-andava dicendo Sophie.
Camminava impettita, con un sorriso soddisfatto, come se fosse su una passerella. -Madre, posso andare un momento alla toilette? Devo incipriarmi il naso.-disse la figlia, fissando la via di fronte a sé.
Sophie non gradì la sua interruzione ma il cellulare suonò, spingendola a uscire fuori dalla struttura. -Vi aspetto in macchina. Non fatemi attendere molto.- disse, allontanandosi.
 
 
 
 
Rimasta sola, Maria Antonietta si precipitò in bagno, correndo letteralmente verso la porta. Non c'era nessuno nella toilettes...e quasi benedì quella solitudine. La donna si aggrappò al bordo del lavandino, sentendo il cuore martellarle furioso. Ansimando si sciacquò il viso, incurante degli schizzi sul suo completo cipria.
Quando chiuse il rubinetto, però, altra acqua scendeva dal suo viso. Sgomenta, Maria Antonietta si vide in lacrime. Come aveva potuto sua madre farle una cosa simile? Come aveva potuto farla visitare da quell'uomo dagli occhi porcini? Perché dubita sempre di me? Perché non mi ritiene mai all'altezza? Perché non riesco ad essere degna del loro rispetto? Perché è sempre colpa mia? Andava chiedendosi, mentre il cuore martellava furioso e la vista iniziava ad annebbiarsi.
Maria Antonietta di adagiò a terra, sperando di placare quel malessere...e chiuse gli occhi, aspettando la fine d quel tormento.
 
 
 
 
 
-Mademoiselle? Mademoiselle!!!-disse una voce, bassa e preoccupata.
Maria Antonietta riprese conoscenza...per poi bloccarsi.
Era ancora nel bagno delle donne...e non era sola. Davanti a lei, c'era un uomo alto e slanciato...l'uomo più bello che avesse mai visto. I capelli biondo cenere incorniciavano un viso dai lineamenti perfetti, su cui erano incastonati due occhi grigi. La donna rimase imbambolata per qualche momento, colpa anche del fatto che quella vicinanza era quanto di più avesse mai sperimentato in vita sua...e sperato. -Monsieur...-provò a dire, tentando di dare un senso alla voce.
-Si sente meglio?-chiese questi- Stavo passando da queste parti, per fare visita ad un amico e ho sentito un rumore.-
Maria Antonietta scrollò la testa, tentando di recuperare un po'di controllo. -Oh, mi scusi allora, le ho fatto perdere del tempo. Me ne vado subito.- disse, alzandosi in piedi e barcollando per il movimento. L'uomo la prese al volo, facendole perdere un battito.
-Non deve muoversi in modo così brusco- la ammonì questi, tenendola saldamente- venga, la accompagno ad una sedia.-
 
 
 
 
 
Non aveva previsto una situazione del genere. L'uomo l'aveva accompagnata al bar dell'ospedale, a quell'ora affollato perché era il momento in cui c'era il massimo afflusso di persone, tra pazienti e famigliari, come succedeva nell'orario di visita serale.
-Ecco, si metta a sedere...le porto qualcosa da mangiare.- disse questi, prima di voltarsi verso di lei – Dolce o Salato?-
Maria Antonietta guardò l'uomo con sconcerto. -D..dolce, ecco...senza zucchero.- bofonchiò, più per abitudine che per desiderio vero e proprio.
L'altro rise. -Spero che stia scherzando! Ha avuto un calo di pressione e non è il momento di pensare alla linea...anche perché io ho sempre pensato...sì, ecco...che lei sia bellissima così com'è.- disse, balbettando per l'imbarazzo di quell'ammissione.
Anche la signora Borbone arrossì.
Non era abituata a ricevere un complimento così schietto. -Allora scelga pure quello che ritiene più opportuno, Monsieur...-
L'altro si irrigidì. -Monsieur?- domandò questo, prima di fissarla sorpreso -Maria, davvero non vi ricordate di me? Io sono Fersen!-
A quel nome, la donna sobbalzò.
 
 
Quel giorno era stato terribilmente pesante. Sua madre e la nonna l'avevano messa sotto pressione per via dei preparativi per le nozze, tanto da lasciarla priva di energie.
Che senso aveva andare negli atelier, quando alla fine era la mamma a scegliere i vestiti e le bomboniere? Lei non aveva avuto alcuna voce in capitolo...eppure, ci sperava! Almeno questo, avrebbe voluto che le fosse concesso. Avrebbe voluto conversare con Luigi ma questo era partito improvvisamente per Cuba, lasciandola sola in quel pandemonio. Quasi invidiò il suo futuro marito. Avrebbe pure lei voluto partire per una meta lontana da Parigi, per staccarsi da quel caos...ma non le era consentito.
Fu proprio mentre pensava quelle cose che incrociò una persona che non vedeva da tempo. -Oscar!-esclamò.
L'altra ebbe un sussulto. -Oh, Maria-disse questa, come soprappensiero.
Maria Antonietta rimase spiazzata. Non era da Oscar perdersi così nelle sue riflessioni ma erano passati due anni, dal giorno del suo diciottesimo compleanno, che la vedeva così...spenta. Avrebbe voluto chiederle molte spiegazioni, come il fatto di non averla seguita nel suo stesso collegio, di non vederla spesso, di come stava...avrebbe voluto parlarle, come mai aveva fatto...in quel momento così grigio e teso che anticipava il matrimonio programmato per lei.
-Cosa posso fare per voi?-domandò invece l'altra.
Maria Antonietta tacque. Non si aspettava una simile freddezza...ma, da qualche tempo, lei era lontana. Forse era colpa sua, per averla trascurata, non avrebbe saputo dirlo. L'unica cosa certa era che le dispiaceva quella distanza.
-Ora, scusatemi...-disse Oscar, senza guardarla- ma ho da fare.-
L'altra chinò la testa, abbattuta.
-Oscar!- fece allora una terza voce che, fino a quel momento, era rimasta muta- Non è così che ci si deve comportare! Almeno salutarla...non è una cosa cattiva.-
Maria Antonietta si girò...e rimase paralizzata. L'uomo che aveva parlato era un giovane, forse suo coetaneo, dai capelli chiari e gli occhi scuri. Mosse le labbra, come a voler parlare...ma non ci riuscì. Era come annichilita da quello che vedeva.
-Piacere di conoscervi. Il mio nome è Hans Axel Von Fersen e sono un amico di Oscar.- fece, fissandola in un modo che la mise letteralmente in imbarazzo.
Maria Antonietta chinò lo sguardo. Si sentiva stranamente in soggezione, come se si trovasse improvvisamente nuda, davanti a lui. - Io...-provò a dire.
-Hans!- la interruppe bruscamente Oscar- Dobbiamo andare...quanto a voi, sorella, conoscete le regole della casa.-
A quelle parole, Maria Antonietta impallidì. La mamma le aveva categoricamente vietato di parlare con Oscar, giudicandola non alla sua altezza...e quel modo di fare aveva incontrato il silenzioso beneplacito della nonna. Il panico si impossessò di lei. Cosa sarebbe successo, se la mamma lo avesse saputo? No, non voleva pensarci. -Vogliate perdonarmi. Me ne vado subito.-disse, allontanandosi da loro a passo svelto.
 
-Oh- disse la donna, ricordando quel momento – è lei, Fersen!-
Lo svedese annuì.  -Avrei voluto parlarle allora ma Oscar me lo ha impedito.- ammise, prima di sbuffare. -Mi chiedo perché la mia amica sia stata così sgarbata ma appena la trovo...-
-No- lo interruppe la bionda- la colpa è mia. Nessuno vuole che io abbia un rapporto confidenziale con Oscar...è una regola della casa.-
Fersen non commentò, limitandosi ad annuire meccanicamente. -Le ho portato un cornetto alla nutella. Non avevano altro.-disse, porgendole il piattino.
Maria Antonietta guardò la pasta. -Va bene così, anche se...ecco, io non dovrei mangiare queste cose.- fece, con rammarico.
-Non dovrebbe...ma nessuno la guarda e quindi può mangiare in tutta tranquillità.- disse lo svedese, con un sorriso che fece battere il cuore alla signora Borbone la quale, annuendo, cominciò a mangiare silenziosamente quel dolce. L'aroma del cioccolato scivolava dolcemente nella gola, allontanando tutte le cose brutte che avevano reso la sua vita uno strazio: quel ginecologo dagli occhi porcini, le pressioni della madre e dei Borbone, il silenzio della nonna in tutto questo, la lontananza da Oscar.
Al diavolo! Si disse, mentre addentava la pasta e lasciava che il cioccolato le invadesse la bocca.
Fersen non disse una parola, limitandosi a guardarla.
 
 
 
 
-Ah, finalmente siete tornata!-esclamò Sophie, con irritazione.
-Perdonatemi, madre.-rispose, sommessamente.
La donna scosse la testa. -Vi ho atteso a lungo...quanto vi ci è voluto per incipriarvi il naso? Non avete idea del tempo che abbiamo perso! Cosa penserà vostro marito e le sue adorabili zie, quando saprà di questo inconveniente?-disse, alzando gli occhi al cielo.
Maria Antonietta impallidì. -Non avrete loro detto del motivo della visita!-esclamò sgomenta.
Sophie non parve interessata. -A volte mi domando come possiate essere così sciocca...è naturale che, dopo dieci anni di matrimonio, qualcuno non si faccia delle domande.  Non temete, le zie di vostro marito sono assai discrete e non ne hanno parlato con il loro anziano padre...ma voi dovete fare il vostro dovere. L'alleanza commerciale tra gli Asburghi ed i Borbone dipende tutta dalla vostra capacità di dare un erede.- disse con durezza.
La figlia incassò il colpo. Da quando si era sposata, sua madre non aveva smesso di starle addosso e presentandosi ad ogni incontro, come un vero e proprio convitato di pietra, con il beneplacito dei Borbone.
-Perché ci avete messo molto?-domandò la donna, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
Maria Antonietta rimase un momento in silenzio. -Ho notato che il bagno femminile era molto affollato ed ho atteso. Non volevo essere vista.-fece.
-Avete agito bene. Farsi scoprire dai media significherebbe aprire una parentesi spiacevole alla nostra notorietà. Se si sapesse in giro di questa nostra visita, la vostra condizione sarebbe irrimediabilmente compromessa.- concesse Sophie.
L'altra non rispose. Una strana euforia aveva preso possesso di lei. Era la prima volta che riusciva a mentire alla madre e non veniva scoperta...e quell'esito imprevisto la rese improvvisamente felice, cancellando per un momento le mani sudaticce del ginecologo durante la visita. Fersen, vi ho rivisto...come sono felice! Quanto vorrei poter stare accanto a voi! Pensò, mettendo da parte la sua malinconia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Hans Axel Von Fersen sorrise beato.
L'aveva rivista...ed era ancora più bella. -Vedo che sei contento- disse una voce guardinga, accompagnata dal fruscio della carta di giornale.
Lo svedese sbuffò. -Santo Cielo, Oscar!-esclamò, fissando la bionda. Non si era minimamente accorto che li aveva spiati per tutto il tempo che erano rimasti al bar dell'ospedale ed ora che lo sapeva, non poteva fare a meno di essere imbarazzato della cosa.
-Non guardare me. Io dovevo farlo.-disse l'altra, mettendosi nella sedia vuota. Fersen la fissò. Era la stessa su cui era prima seduta Maria Antonietta...e la differenza tra le due donne si fece palese. Tanto la prima era fragile e femminile, tanto la seconda era irraggiungibile e altera. Ignara di tutto, Oscar ordinò un caffé.
Quel giorno indossava un tailleur scuro giacca e pantaloni.
L'aveva sempre vista così, fin da quando si erano conosciuti.
-Immagino che tu gli abbia parlato.- disse, prendendo la tazzina.
Lo svedese rispose con un cenno. -Non potevo fare diversamente...ma mi sono spaventato. L'ho trovata in preda ad un attacco di panico nel bagno delle donne.-disse.
Oscar si bloccò. -Cosa stai dicendo, Hans! Non scherzare!-esclamò.
-Quello che ho detto.-ripeté l'altro- Davvero, non sapevo come fare. Stava piangendo e pareva disperata.-
La bionda rimase gelata sul posto.
-Oscar, tua sorella stava soffrendo ed io non sapevo come aiutarla. Non mi ha detto nulla.-continuò -Però posso dirti che ho visto tua madre entrare frettolosamente al secondo piano della struttura. Prima di separarsi da lei, stavano discutendo...o meglio, parlava solo Sophie.-
L'altra socchiuse gli occhi.
-Parlerà sicuramente del matrimonio. Se Maria Antonietta non darà alla luce un figlio entro la fine del contratto prematrimoniale, potrebbero essere annullate le nozze, con il pagamento di una somma considerevole da parte delle due famiglie, che si tradurrebbe con il possibile esubero di una certa parte delle imprese di entrambi.- disse- Ho personalmente visionato il contratto e non è niente che mia sorella non conosca.-
Hans sobbalzò. -Quindi, se Maria non avrà un figlio, potrà divorziare.- esalò.
Oscar gli mise una mano sulla spalla, invitandolo a tacere. -Non credere che sarà possibile. La nonna ed il resto della famiglia non permetterà una cosa simile. Sophie non lo permetterà, tanto che si presenta perennemente alla casa dei Borbone come intermediario. Inoltre non dimenticare che Maria Antonietta deve tutto quello che è proprio al nome che porta e mia nonna ha tanta fiducia in lei.-disse, pronunciando sarcasticamente le ultime parole.
-DIAMINE, OSCAR!- esclamò lo svedese- Come puoi parlare così? Come puoi dire questo, sapendo che tua sorella è sposata infelicemente, prigioniera di quella gabbia d'oro in cui la nonna l'ha messa? Come puoi dire questo del matrimonio? Non ci si sposa solo se ci si vuole bene?-
Oscar non rispose subito. In cuor suo, condivideva il suo punto di vista...e lo ammirava per questo. -Siete una persona speciale. Non dubito che voi e mia sorella sareste una coppia molto felice insieme. Purtroppo le cose stanno in questi termini. Maria Antonietta non è una principessa da salvare...e voi non siete il cavaliere dall'armatura scintillante.-
 
 
 
 
La zuppa di verdura fumava nel piatto ma non la toccava.
-Non avete fame?-domandò Luigi, mentre mangiava tranquillo.
Maria Antonietta sospirò. -Non mi sento molto bene- disse- posso chiedervi il permesso di ritirarmi?-
-Ma certo-concesse l'altro, prendendo il pane- una buona dormita vi rimetterà in sesto. Chiederò al cuoco di farvi dei sandwiches, in modo che abbiate qualcosa mangiare, nel caso in cui il malessere passi.-
-Grazie-sussurrò, alzandosi in piedi. Mosse alcuni passi, prima di fermarsi di nuovo. -Marito...ecco...verrete...verrete da me, stanotte?- chiese, in preda all'imbarazzo.
Luigi si bloccò. -Temo di non potervi accontentare. Domani prenderò l'aereo per Lima. Ho un summit con alcuni finanziatori e non posso assolutamente permettermi il lusso di fare tardi.- disse, riprendendo a mangiare.
Maria Antonietta non rispose.
-Buona notte- mormorò, tornando al piano di sopra. Quando raggiunse la propria camera, non riuscì a non sentire su di sé il peso del fallimento dei suoi propositi. La nonna e la mamma contavano su di lei...perché era così difficile?Aprì la porta della camera e, a passo deciso, si mise di fronte allo specchio della toilette.
Perché doveva essere tutto complicato?
Perché Luigi non si accorgeva che quelle pressioni la facevano soffrire? Eppure sembrava una persona gentile, migliore del resto della sua famiglia...come era possibile tutto questo? -Luigi, siete un idiota!-esclamò, gonfiando le guance.
-Su questo, sono d'accordo anche io.-disse una voce.
Maria Antonietta sobbalzò, salvo poi sgranare gli occhi.
Si girò di scatto e vide una figura bionda, fissarla sardonica. Istintivamente, si portò una mano sulle labbra. Non poteva crederci. -Oscar...-esalò.
-Allora, non mi dite niente, sorellina?-domandò questa.
Maria Antonietta si rizzò in piedi.
-OSCAR-ripeté, correndole incontro ed abbracciandola di getto. -Oscar, Oscar, come mi siete mancata! Oscar, Oscar, ditemi voi cosa posso fare...ditemelo, perché sono disperata!-
La donna perse per un momento l'equilibrio ed ebbe quasi la tentazione di rimproverarla per quel comportamento ma tutti i suoi propositi scemarono, quando sentì la camicia che indossava improvvisamente umida.
Maria Antonietta stava piangendo...e quella situazione la lasciò senza parole. Tutto quello che riuscì a fare fu di abbracciarla, sia pure in modo goffo e impacciato.
-Allora, che cosa vi ha gettato in un simile sconforto?-domandò questa, quando l'altra smise di piangere e sembrò essersi calmata.
-Vedete, è successo...oh, ma non dovete arrabbiarvi con lei...io so che agisce in buona fede...-balbettò, prima di cominciare a raccontare.
Oscar si accomodò sulla sedia.
-Avanti allora.-la esortò.
-Promettete di rimanere calma?-chiese di nuovo Maria Antonietta.
Oscar, sbuffando, annuì...e, con quella sicurezza, l'altra Asburghi cominciò a raccontare. -Vedete, per tenere fede al contratto tra le nostre famiglie, devo assolutamente avere un figlio. Purtroppo, mio marito ed io stiamo fallendo e, quel che è peggio è che il tempo concessoci è ormai prossimo alla fine. Così oggi sono andata con la mamma dal ginecologo...ma, vi prego, non ditelo alla nonna.- disse, tenendo gli occhi bassi.
-Perché, non siete andate dal dottor Lasonne?-domandò Oscar, aggrottando la fronte.
L'altra si morse le labbra. -No...non lui. La mamma non voleva che la cosa arrivasse alle orecchie della nonna.- confessò colpevole.
Oscar sobbalzò. -Diamine! Sophie è completamente impazzita! Il dottor Lasonne è un medico discreto...-fece, prima di girarsi e vedere l'altra tremare.
Maria Antonietta si mise una mano sul volto. Ripensare a quella visita la rendeva nervosa, come quel maledetto pomeriggio...ma sentiva che se non avesse parlato, sarebbe esplosa. -La mamma mi ha portata da un ginecologo con cui ha un buon rapporto di confidenza. Mi ha detto che era molto bravo...ma, quell'uomo non mi piaceva. Mi ha fatto la visita ginecologica...insieme ad un'ecografia. Eppure...oddio, mi sento una stupida, però non mi piaceva il modo in cui mi toccava. Non sembrava che volesse visitarmi...che sensazione orribile...-cominciò a dire, balbettando tutte le volte che il ricordo la pungolava, dandole il tormento.
-Sapete dirmi come si chiamava?-domandò Oscar, accarezzandole la testa per rassicurarla.
-Rouen...-mormorò l'altra, ormai tranquilla- si chiamava Rouen.-
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Sophie era comodamente distesa nella vasca da bagno. L'aroma di fiori permeava l'aria, leggermente umida per via del vapore. Una musica ritmata e rilassante copriva il resto, permettendole di bearsi della tranquillità di quella che era la parte più bella della sua fastosa villa.
Si immerse nell'acqua profumata, cacciando via tutti i pensieri e le preoccupazioni che la attanagliavano. Quandò però tirò fuori la testa dall'acqua, qualcosa, una mano, la spinse di nuovo sotto, prima ancora che potesse prendere fiato. Sophie, prima sorpresa, poi spaventata, si agitò, battendo le mani nell'acqua e tentando di liberarsi...ma quella stessa mano, stringendo la presa, la tirò bruscamente su.
L'aria entrò violenta nei polmoni, facendola tossire con forza, fin quasi a toglierle il respiro...e quando riuscì a regolarizzare il respiro, vide chi l'aveva quasi fatta affogare. A quella vista, si arrabbiò. -Cosa ci fate nella mia casa? Volevate uccidermi!-esclamò.
L'altra la afferrò per la gola. -Siete pregata di tacere...avete fatto abbastanza danni. Non avete nessun diritto di rovinare la vita di Maria Antonietta!-rispose l'altra.
-Come vi permettete?Io sono sua madre...e voi, voi non siete nessuno per dirmi cosa fare!-ribatté.
Oscar non mutò espressione. -Cosa pensate di me, non è affar mio. Vostra figlia è una persona speciale e voi non siete capace di apprezzarla come merita.-disse, severa- Come potete usarla in questo modo?-
-Mia figlia deve ereditare i beni che le spettano...e non sta certo a me spiegarvi la ragione. Potrei denunciarvi per quello che state facendo...anzi no. Potrei parlarne con mia suocera e lei non apprezzerà.-disse, venendo interrotta da una risata da parte della più giovane.
-Cosa ho detto di tanto divertente?-domandò.
-Il fatto che pensiate di mettermi in cattiva luce presso la nonna. Sì, sicuramente si arrabbierà con me...ma sono sicura che si arrabbierà ancora di più con voi, se sapesse che avete portato Maria Antonietta dal dottor Rouen, un uomo corrotto che è stato radiato dall'ordine e che, misteriosamente, lavora nell'ospedale senza alcun sospetto.-fece, allontanandosi- Riflettete bene su cosa dire...perché potreste pentirvene...e a quel punto sarebbe solo colpa vostra.-
 
Capitolo superlungo ma spero che vi piaccia. Questo capitolo è venuto in questo modo e spero che vi piaccia. Grazie a tutti coloro che mi leggono. A presto!

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Capitolo 9
*** IN ATTESA DEL CERVO FERITO ***


Benvenuti a questo nuovo capitolo, scritto migliaia di volte. Non mi veniva come volevo. Sophie è una brutta gatta da legare ma spero che verrà bene tutto l'intrigo.

 

IN ATTESA DEL CERVO FERITO

 

La collezione di foto in Roue Le Pont era uno degli eventi che, grazie al passaparola, era passato come uno degli eventi di punta della prima metà del mese. Bernard aveva colto l'occasione di partecipare a quell'evento.

Rosalie non ne sarebbe rimasta molto sorpresa, se non fosse stato che il signor Chatelet aveva deciso d'invitarla a quella mostra. Istintivamente si guardò allo specchio. Indossava una semplice camicetta chiara ed una gonna a pieghe che aveva cucito con sua madre, copiando da una rivista il modello di Max&Co che avevano visto alcune settimane prima. Stai bene, cara! Le aveva detto Nicole, mentre la fissava alla porta, con fare orgoglioso.

Rosalie non ne era molto sicura.

Inizialmente, aveva pensato pure lei quelle cose ma quando era entrata in quella galleria, la sua sicurezza aveva clamorosamente vacillato. Le altre donne che visitavano quel posto, infatti, parevano molto più eleganti di lei che, con quel completo camicia e pantaloni si sentiva quasi una collegiale. Di getto, osservò il suo datore di lavoro. Bernard non aveva prestato molta attenzione a ciò che indossava. Si era limitato ad osservarla un momento, prima d'invitarla a sbrigarsi.

Rosalie non ci era rimasta benissimo e, per tutta la durata del viaggio che l'avrebbe condotta alla mostra, venne perennemente colta dal dubbio di non avere gli abiti adatti per entrare...ma questa impressione era subito svanita, non appena aveva varcato l'ingresso.

Nessuno l'aveva degnata di uno sguardo, a conferma della sua bellezza sciatta e anonima. Lammorliere non poteva lamentarsi di ciò. Sapeva benissimo di non avere alcun fascino per cui non poteva certo prendersela, eppure...

Eppure la cosa ti fa arrabbiare, non è vero?

Quel pensiero la rese ancora più nervosa, tanto da farla inciampare sui suoi stessi piedi.

-Mademoiselle Lammorliere!-esclamò questi, cogliendola proprio in quel momento. Rosalie si sentì sprofondare. Non avrebbe mai voluto farsi cogliere in un momento del genere. Aveva quasi rischiato di cadere, preda dell'agitazione e del terrore di sbagliare...qualcosa che non era assolutamente da lei.

Istintivamente si mise una mano sul cuore, tentando di calmarsi.

-Mademoiselle-disse Bernard- si sente bene? Vuole mettersi a sedere?-

Rosalie alzò lo sguardo. -No...-fece, chinando leggermente la testa- non è necessario.-

L'avvocato non rispose, limitandosi a osservarla un momento. Quell'istante venne benedetto e maledetto dalla donna con tutto il cuore. Odiava sinceramente quegli occhi blu, dal piglio indagatore. La facevano sentire nuda, come poche volte era successo nella sua vita. Al tempo stesso, però, li amava...perché era la prima volta che la guardava così. E non succederà più fu il pensiero triste che la colse.

-Mademoiselle, si metta a sedere. La vedo davvero troppo pallida. Se preferisce, usciamo- fece il moro, fissandola con preoccupazione.

-No-rispose Rosalie, scuotendo il capo- possiamo rimanere qui. Mi metto a sedere e mi sentirò meglio.- Senza dire una parola, si avviò ad una delle sedie, tentando di prendere un po'di fiato. Non era semplice, però.

Le sembrava di essere completamente inadeguata a quel ruolo. Non aveva avuto modo di studiare fotografia, avendo dovuto lasciare la scuola anni prima. Sapeva solo cucire ed era discreta nelle attività manuali...però era ben consapevole che tutto ciò non bastava. Non era così sciocca da non vederlo...e le venne spontaneo pensare a quando le era stato proposto quell'invito.

 

Aveva appena finito di spolverare le finestre, arieggiando l'ambiente, quando vide la porta aprirsi. -Buongiorno...-disse, prima di arrossire lievemente- Monsieur Chatelet.-

L'avvocato rimase sulla soglie, incerto se entrare o meno.

-Non ho ancora dato il cencio, signore-disse- se le servono dei fascicoli, può fare tranquillamente.-

Bernard annuì. Mosse un passo, poi si fermò di nuovo. Quell'esitazione destò l'interesse della donna. Era la prima volta che si comportava in quel modo con lei. -Posso esserle d'aiuto?-chiese.

-Ecco...è libera questo sabato?-domandò, con un tono brusco e nervoso.

 

Rosalie fissò la stanza. Non era altro che l'anticamera della galleria ma anche lì si respirava l'aria sofisticata e sobria del luogo. Non ci capiva molto di arte e si vergognò non poco della sua ignoranza. Guardò Chatelet scambiare qualche parola con altre persone, a lei completamente sconosciute. Li studiò con aria critica. Indossavano abiti costosi e si atteggiavano con aria snob e vissuta. Il suo capo ascoltava con interesse le loro parole, ribattendo all'occorrenza nei punti che non condivideva. Quel modo di fare le scatenò un nuovo sospiro.

Non aveva mai capito come potessero, quelle persone, sembrare tanto affascinanti. Li aveva guardati a lungo ma, per quanto ci provasse, non riusciva a comprenderne la ragione. Così, un po'spaesata, fissava il modo con cui il signor Chatelet sfoggiava tutto il suo savoir fair, per ribattere le idee espresse e studiare contemporaneamente i suoi interlocutori. Aveva avuto modo di studiarlo, in tutti quegli anni e si era resa conto che quella persona era molto più interessante di quello che sembrava. Rosalie si maledisse, fissandolo. Aveva passivamente ceduto a quell'invito, cogliendolo in un modo quasi inatteso e sciocco. Ora però, con quell'ansia e quel senso d'inadeguatezza che le stava praticamente incollato addosso, cominciava a pentirsi di aver ceduto tanto velocemente.

Quel pensiero crebbe esponenzialmente quando vide due donne venire incontro a Chatelet.

Una era rossa, con un corpo voluttuoso che le fece rimpiangere la sua seconda striminzita. Non avrebbe mai avuto quella terza nemmeno se avesse pagato il migliore chirurgo parigino in circolazione. L'altra, invece, aveva il potere di mortificarla ancora di più. Di media statura, possedeva tratti botticelliani: una pelle di neve su cui si stagliava una chioma color dell'oro. Rosalie, a quella vista, si sentì ancora più avvilita e, demoralizzata, si mise a sedere, aspettando e pregando che quella serata finisse il prima possibile.

 

 

 

 

 

Bernard non riusciva a credere a ciò che vedeva...eppure i suoi occhi non potevano tradirlo. -Moncher- fece la rossa, con un francese ruvido e spigoloso- sono davvero felice di vederla!-

L'avvocato annuì, stirando le labbra. Prese una mano e ne baciò il dorso, con un tocco quasi impalpabile che fece sorridere la donna. -Non potrebbe essere diversamente, Mademoiselle Seredova.-esordì.

-Madame-rispose questa, suscitando una risata da parte della rossa.

-Ho sbagliato?-chiese Bernard, sorpreso.

-Temo proprio di sì-fece, sfilandosi il guanto destro e mostrandole fiera un anello.

Chatelet sgranò gli occhi. -Questo non me lo aspettavo.-rispose, sorridendo divertito- Chi è il fortunato?-

La donna socchiuse gli occhi. -Oh, ho deciso di accettare la proposta di uno dei miei ammiratori. Si chiama Ivanov Petrov ed è un magnate dell'acciaieria. Mi ha fatto una corte serrata ed ho ceduto. Non ha una vita mondana molto attiva ma ammiro la sua intelligenza.-spiegò, socchiudendo le labbra rosse.

Bernard ne rimase stupito. -Complimenti-fece.

La rossa sorrise -Ora però vorrei presentarle la mia amica. Ha sposato un noto avvocato che sicuramente conosce. Si chiama Yolande Martine Gabrielle Pollastrion Polignac.-esordì, con fare civettuolo.

A quel nome, l'avvocato si girò.

-Piacere di vedervi-disse, guardandola fisso -certo che non mi aspettavo che voi aveste una nuova amica, Svetlana.-

Yolande si limitò a tenere quel sorriso educato, una smorfia che rimaneva perfettamente al suo posto, qualunque fosse la situazione.

-Ci siamo incontrate durante uno dei miei servizi fotografici e quindi...-cominciò a raccontare la rossa ma Bernard non la ascoltò. I suoi occhi erano puntati sulla donna bionda che, compostamente, ascoltava il discorso dell'altra. Non lo degnò di uno sguardo, in un modo così ostentato da essere tutto tranne che naturale.

 

 

 

 

 

 

 

-Non immaginavo di vederla qui.-disse infine Yolande, rompendo il mutismo in cui era lentamente scivolata.

Bernard la guardò. Erano rimasti soli da circa dieci minuti. La Seredova, infatti, era stata chiamata da una giornalista e, dopo aver rivolto le sue scuse ai suoi interlocutori, si era allontanata. -Di cosa si soprende? E'naturale che frequenti questi ambienti. Quello che mi sorprende è il fatto che lei sia qui, a Parigi. Non la vedo da sei. Perché è tornata?-chiese con freddezza.

Yolande socchiuse gli occhi cerulei. -Nulla di particolare. Mi mancava questa città.-disse, osservandolo. -E lei, ovviamente.-aggiunse, in modo quasi provocatorio.

Bernard scosse il capo.-Lo immagino-rispose, con un filo di sarcasmo. Yolande si lasciò sfuggire una risatina delicata, di quelle che vengono insegnate nelle scuole di Bon Ton dei quartieri più altolocati...un suono che irritò notevolmente Bernard.

-Mi perdoni, ma ho sempre trovato questa sua qualità assai affascinante, anche se non le perdono la sua eccessiva schiettezza.-confessò la donna- Eppure ho davvero sentito la sua mancanza, sa? Non sto scherzando.-

-Non ha più importanza.-rispose il moro.

-Mi farebbe davvero piacere rivederla, uno di questi giorni-rispose, con un piglio distratto-ma temo che la questione non le sia gradita. Non sarebbe possibile, temo...tornare ai vecchi tempi, intendo.-

Bernard non disse niente. Non vi era ragione di aggiungere niente...ma vederla lì era qualcosa che non aveva minimamente previsto. -Infatti-aggiunse secco-non frequento la sua famiglia ed è mia intenzione rispettare questo accordo fino in fondo.-

Yolande assunse allora un'espressione sorpresa. -E'davvero molto spiacevole quello che dice perché mio marito ha fatto molto per lei, preparandola alla sua esperienza di avvocato.-ammise, con aria dispiaciuta.

-Ho il dono della schiettezza.-rispose questi.

La bionda si fece seria. -Davvero, non avrei mai pensato che lei fosse un individuo simile.-confessò- Pensavo che avesse maggiore garbo e cortesia. Mio marito ha sbagliato a sceglierla.-

Bernard preferì il silenzio. Razionalmente, non vi era alcuna causa forte, in quel contesto, per risponderle come meritava ma il mutismo che si impose fu quanto di più difficile potesse fare in quel momento. Pensava di riuscire a non mostrare alcuna emozione...ma non potè nulla contro la rabbia che quella vista gli provocava. -Mi stupisce che siate tornati a Parigi, dopo tutto quello che avete combinato.-sibilò -Con quale coraggio?-

Yolande non parve molto stupita da quel tono. -Nulla che le interessi. Al contrario di quello che potevo pensare, non ha tratto alcun beneficio dall'allontanamento di mio marito. Pensavo che fosse molto pià intelligente e invece...così idealista, così sentimentale, così sciocco. Mio marito ha sbagliato a darle fiducia a questo modo ed ha pagato.- fece- Ad ogni modo, non intendo vendicarmi. Non ne vedo la ragione, visto che non ha minimamente imparato le lezioni dello studio. Ha fatto la sua scelta e ne prendiamo atto. Ora però ognuno per la sua strada.-

Bernard non apprezzò quelle parole. -Lo spero per voi.-disse, prima di darle le spalle ed allontanarsi. Non voleva rimanere un minuto di più in sua compagnia e si incamminò, così, a passo veloce verso l'uscita dalla galleria.

-Chatelet!-fece Madame Yolande, fermandolo di nuovo.

L'avvocato si girò, fissandolo con diffidenza.

La donna era rimasta indietro, nel medesimo luogo in cui si trovava e con la stessa espressione da bambola che lo aveva accolto agli inizi. -Vi prego di lasciar perdere il passato. Non pensiamoci più.- disse, sorridendogli amichevole. Mosse qualche passo, raggiungendolo con grazia e, con una mossa lieve, gli prese la cravatta e, fulminea, lo tirò a sé, a pochi centimetri dal suo viso- Ma voglio che una cosa sia chiara. Noi Polignac torneremo agli albori da cui ci hai cacciato. Per quanto ci proverai, noi torneremo sempre...-

Bernard non disse una parola. Si limitò a guardarla fisso, come se fosse un nemico da temere...e mentre faceva questo, sentì nuovamente la ferita che aveva dentro, riprendere a pulsare dolorosamente. Non poteva negare a sé stesso quello che sentiva, quella morsa gelida che gli stritolava lo stomaco, togliendogli il respiro. Il passato era tornato...ed aveva le fattezze di una donna dal viso d'angelo e dall'anima nera.

 

 

 

 

Rosalie fissava in silenzio la via scorrere di fronte a lei, fingendosi interessata alle vetrina che vedeva lungo le vie. Con la coda dell'occhio, però, osservava il signor Chatelet. Teneva il volante tra le mani, seguendo i vari incolonnamenti con gli occhi incollati alla strada.

Apparentemente, sembrava tutto come prima.

Rosalie comunque non si fece ingannare. Anni di lavoro nello studio le avevano insegnato a conoscere bene i suoi atteggiamenti. Tuttora lo stava guardando, badando bene a non farsi vedere troppo. -Monsieur...-provò a dire, prima di fermarsi di colpo.

Bernard pareva pensieroso e scosso. Eppure, prima di lasciarlo solo, sembrava tutto ok si disse, non riuscendo a spiegarsi come mai il suo atteggiamento fosse tanto cambiato, nel giro di poco tempo. -Monsieur, mi scusi se non ho potuto farle compagnia, come mi aveva chiesto. Mi sono fatta prendere dall'ansia.- fece. Lo vide irrigidirsi un momento, come se fosse ritornato improvvisamente con i piedi per terra.

-No, non se ne faccia una colpa. Non ha commesso nessuno sbaglio. Ho solo partecipato ad una visita che dovevo fare per tenere d'occhio una possibile clientela. Doveva comunque dirmi che non si sentiva bene.- rispose- Perché non lo ha fatto?-

Rosalie chiuse gli occhi. Non sapeva come rispondergli, come spiegargli il disagio che aveva provato, stando in quel posto, pieno di persone troppo sofisticate per lei. Penserà che sono una sciocca si disse. -Ecco, pensavo di creare altri disturbi. Mi ha invitato là e...-provò a dire, balbettando un po' e non riuscendo a spiegarsi. Sentì la sua voce ripetersi nell'abitacolo della macchina, in un effetto eco che la mise in imbarazzo più di prima.

-Non si preoccupi. Capita.-rispose infine l'avvocato, con un tono privo di ogni inflessione che troncò sul nascere qualsiasi domanda che affollava la sua testa.

Come il sapere chi fosse quella donna bionda che aveva avvicinato Chatelet a sé. Rosalie li aveva visti grazie ad uno specchio che, posto in un modo particolare, permetteva di vedere cosa succedeva in una parte della stanza. Quel pensiero la privò di ogni energia, togliendole quel buonumore che aveva agli inizi.

C'era qualcuno nel passato di Bernard...lo aveva sempre saputo ma non immaginava che fosse una persona del genere. Rosalie non seppe dirsi cosa le impedì di lasciarsi andare ad un pianto sconsolato. Per molto tempo, aveva provato ad immaginarsi quale potesse essere la donna ideale di Bernard. Pensava ad una persona bella e raffinata, dai modi intriganti...e quella sconosciuta con cui aveva parlato Chatelet corrispondeva proprio a ciò che aveva pensato.

Qualcosa di amaro e doloroso scivolò nel suo stomaco, grattandole dentro, come se avesse gli artigli. Non aveva mai creduto che potesse esistere una donna del genere. I gusti di Chatelet erano così complicati e contorti da rendere una simile eventualità qualcosa di pericolosamente vicino ad un racconto di fantascienza. La realtà però superava tutte le sue più nere fantasie.

Aveva sempre rispettato il signor Chatelet, perché era completamente diverso da suo padre ma quando lo aveva visto in quel modo, così fermo e arreso a quell'angelo biondo, aveva capito che non era diverso dagli altri. Così, quando tornò alla casa dove viveva con la madre, non poté fare a meno di sospirare.

Sconfitta, per l'ennesima volta nella sua vita. Forse non era come suo padre ma sapere che fosse così debole nei confronti di quella donna, le mise addosso un profondo malessere. Come poteva pensare di vedere Bernard come l'uomo integro che aveva tanto ammirato?Comr poteva pensare di avere anche solo una speranza con lui?

 

 

Oscar correva.

Correva come se avesse i diavoli dell'Inferno alle calcagna. A bordo della sua Honda, che aveva battezzato Cesar, si destreggiava sul circuito di moto-cross, saltando i dossi con una maestria degna di un professionista. Aveva scoperto quel posto, poco dopo essersi trasferita nella capitale, e ci si recava ogni due settimane, per smaltire la tensione. La sua attività non era stata ben vista da Marons, quando l'aveva scoperta. Non è minimamente appropriata ad una signorina aveva borbottato, arricciando il nasino.

Oscar però aveva continuato a correre. Non aveva mai badato ai rimproveri della sua famiglia e non aveva tenuto in considerazione nemmeno le lamentele della sua vicina che, imperturbabile, continuava a guardarla torva.

A quel pensiero, la donna sghignazzò. Per quanto ci provasse, Marons non riusciva proprio ad essere minacciosa. Fu proprio mentre pensava alla sua vicina che vide un ombra superarla, un bolide scuro che le passò davanti con una destrezza potente e un po'sfrontata.

Quella mossa la sorprese. Fino a quel momento, nessuno era riuscito a superarla. Merito della sua Honda CBR 1000 RR SP, 180 CV per esperti. Oscar stravedeva per il suo bolide, che aveva fatto dipingere di bianco e lo aveva soprannominato Cesar e quello sconosciuto aveva osato superarla. Non credere che ti farò finire per primo il giro! Si disse, dando gas al motore. Con un'accellerata improvvisa lo raggiunse, posizionandosi in modo da poterlo superare alla prima occasione.

 

 

 

 

 

 

André guardò lo specchietto con la coda dell'occhio. Quella moto bianca gli stava praticamente incollata alle chiappe e sembrava smaniosa di superarlo. Cosa che non ti permetterò di fare, pomposo snob! Pensò, con un sorriso bastardo, dando improvvisamente gas. Il bolide ruggì improvvisamente, superando rapido alcuni dossi, con dei balzi di qualche metro. Il motociclista della Honda però non si scompose e continuò a tallonarlo, con una testardaggine che lo divertì ed irritò al tempo stesso.

André provò ed accellerò varie volte ma quel tizio non mollava. Diamine, non riesco a scrollarmelo di dosso! Si disse, continuando a zigzagargli davanti per impedirgli di passare. Fu così che prese delle curve piuttosto spericolate, saltò dei dossi in modo più deciso e avventato al tempo stesso. Il suo inseguitore lo tallonava da presso e non era semplice da seminare...ma non si limitava a questo. Non solo lo inseguiva ma tentava pure di superarlo, approfittando di ogni sua più piccola distrazione.

Fu proprio mentre tentava di ostacolargli questa operazione che vide una chiazza scura sbucare sulla pista e dovette fermarsi. Il suo inseguitore fece lo stesso ma lo spazio di frenata non era sufficiente...ed alla fine urtò contro la sua moto, facendogli perdere l'equilibrio. -Ehi! Ma che...-provò a dire...ma le parole gli morirono in gola.

Il motociclista, dopo essersi fermato, avanzò minaccioso verso di lui. Indossava una tuta color rosso fuoco e, sebbene fosse molto più basso di lui di almeno una decina di centimetri, pareva comunque dotato di un'insolita capacità di metterlo in soggezione. -No, sono io a dovermi lamentare! Cosa le è saltato per la testa?-domandò, togliendosi il casco.

Una morbida cascata d'oro uscì, libera all'aria, incorniciando un'ovale dai lineamenti decisi che teneva incastonate due iridi color del mare.

-Lei è un pazzo completo!-ruggì -Se non avessi avuto i riflessi pronti, adesso saremmo tutti all'ospedale!-

André provò a parlare ma sentiva la lingua incollata al palato...e non poteva essere diversamente. -C...Camille?-gracchiò, riuscendo alla fine a tirare fuori la voce.

La donna si bloccò.

-Ci conosciamo?-chiese, aggrottando minacciosa la fronte.

Lui si tirò su. L'adrenalina della corsa era ormai scemata, lasciando il posto alla sorpresa e all'incredulità. -Bhé, direi di sì-disse e, con queste parole, si levò il casco.

Così facendo, non si accorse che la donna si era fatta improvvisamente pallida.

 

 

 

 

Oscar si sentì sprofondare. Aveva quasi investito il suo datore di lavoro. Era anche il primo uomo con cui era andata a letto ma preferì ignorare quella precisazione, malgrado il cervello gliela ripetesse con insopportabile pedanteria. Buon Dio, ho quasi rischiato di perdere il mio lavoro si disse, adottando una via di mezzo che faceva felici, simultaneamente, cuore, cervello e ovaie.

L'aveva chiamata con il nome fittizio con cui si era presentata la sera della sua prima (e unica) volta. -Mi dispiace, ma non mi ricordo di lei- disse, tentando di eludere e smorzare quell'entusiasmo, così minaccioso ai suoi occhi.

Lo vide rimanerci leggermente male...e, per un momento, si pentì di avergli risposto in quel modo. Non avrebbe mai voluto dire quelle parole ma razionalmente si persuase che fosse meglio così. Non poteva riprendere il teatrino di quella maledetta sera. Era meglio così. Fingere di non conoscerlo.

Per un momento, appunto.

-Ne è sicura? Io non ne sono tanto convinto...ma a questo rimedierò subito.-domandò André.

Oscar non rispose subito. La voce del suo capo era sovrastata dal rombo del suo cuore che, in quel momento, attutiva il suono. Si ritrovò comunque a ringraziare l'immobilismo dei suoi muscoli facciali, completamente immobili nella posa diffidente che teneva su da quando l'altro si era tolto il caso.

-Come sarebbe a dire? Io...-provò a rispondere ma qualcosa glielo impedì. Per la precisione le labbra di André. Il cervello di Oscar andò in black-out. Come cavolo aveva fatto il suo capo, ad un metro di distanza circa, a trovarsi ora incollato al suo corpo in un abbraccio e bacio e che avevano ben poca formalità e poco spirito di verifica razionale? Si chiese, mentre ricambiava a sua volta, non senza maledirsi.

Aveva avuto una giornata orrenda. L'incontro con Maria Antonietta e la sua confessione, l'angoscia e la rabbia contro Sophie ed ora, come ciliegina sulla torta, c'era pure il suo capo. Quell'ultimo pensiero la fece cedere d'impulso. Non era così forte da esercitare l'autocontrollo in modo costante e irriducibile. La sua guerra perenne la stava logorando e la mossa della dama di ferro non aveva messo fine agli asti in famiglia. Così si ritrovò a muovere le labbra, rispondendo alla mossa decisa di André con altrettanta veemenza. Si ritrovò ad afferrare i capelli mori di lui, stringendoli con forza.

Al diavolo si disse, pronta a lasciarsi andare a quell'assalto...ma il capo sembrava essere di tutt'altro avviso. Pochi secondi dopo, proprio quando aveva deciso di mollare la presa sul suo autocontrollo, André Grandier si era staccato ed ora la fissava con un'espressione vittoriosa in volto.

Oscar lo guardò, un po'frastornata da quel brusco cambio d'intenzione.

-Avevo ragione io. Lei è Camille ed è inutile che provi a negarlo. Solo Camille bacerebbe in quel modo, come se stesse duellando su una pedana di scherma. Ormai l'ho trovata...finalmente, direi.-disse...e la segretaria capì due cose.

Quella era una giornata estremamente sfortunata e, cosa ancora più grave, il suo capo non aveva mollato la presa. Un po'ci aveva sperato...dopo che la ragione aveva passato nel tritacarne la parte avversa. Doveva immaginarselo, però. Una delle doti di André Grandier era la perseveranza. Per l'acquisto di alcuni prodotti che aveva incontrato un secco NO dai fornitori, aveva aspettato ben cinque anni prima di riuscire ad ottenere una risposta affermativa. Come poteva pensare di farla franca?

Quello che non immaginava era che avrebbe applicato quella dote anche per lei.

Bhé...forse Jeanne ha ragione: non gli sono rimasta indifferente...peccato che sia il momento e la situazione più sbagliata che potrebbe capitarmi fu il pensiero spaesato che riuscì a formulare.

Fece per rispondere ma un rantolo soffocato interruppe i suoi propositi. I due si girarono e videro una cosa scura e sanguinante a terra. -Forse è meglio pensare a lui, non crede?-domandò.

 

 

 

 

 

 

André non aveva mai creduto al Destino. Aveva sempre lasciato perdere quegli inutili discorsi. Pensava che, per quanto le difficoltà potessero sembrare insormontabili, era sciocco pensare troppo a quelle cose e mettersi d'impegno. Da quella fatidica notte, tuttavia, non aveva smesso di pensare a lei.

Era qualcosa che non poteva impedirsi di fare, per quanto fosse maledettamente bravo a nascondere le sue emozioni. Anni e anni passati in collegio gli erano serviti a capire bene quali fossero i nemici e chi le persone di cui potersi fidare davvero. Quello però che era successo, lo lasciava tuttora sgomento.

Dopo il lavoro, non aveva smesso di spulciare le agenzie di modelle, nella speranza di trovarla, continuando a cercare. Bernard aveva provato a dissuaderlo ma non era servito a nulla. Voleva ritrovare Camille ed ora era riuscito a ritrovarla...nel posto più inaspettato. Quando aveva cominciato la ricerca, si era immaginato molte cose: cosa si sarebbero detto, il luogo, cosa sarebbe successo dopo e nei giorni successivi...ma non immaginava di trovarsi insieme a lei in una sala d'attesa di una clinica veterinaria.

La cosa che aveva centrato la sua moto altro non era che un daino. Il percorso di moto-cross era circondato da una fitta boscaglia. Fino a quel momento aveva pensato che fosse per una questione estetica, dal momento che il proprietario del parco aveva fama di essere molto strano. Non immaginava che avesse liberato dei daini e quando erano tornati ai box, avevano mostrato l'animale ferito. Fossi in voi, vi suggerisco di metterlo in pentola e di farci uno stufato aveva detto, non prima di proporsi per prendere il daino al loro posto. A quel punto, Camille era scattata furente, dicendo cose inudibili che il proprietario del percorso, di temperamento sanguigno, aveva poco gradito. Così, in maniera del tutto inattesa, si era messo in mezzo, prima di vedere la donna che lo ossessionava tanto beccarsi un occhio nero.

Ora era di fronte a lui, su una delle sedie della sala d'attesa.

Aveva trovato la donna che tanto voleva, in un modo del tutto inatteso...ed ora era con lei. Non come si aspettava però. Perlomeno l'ho trovata e stavolta sono meno sbronzo. Fu l'unico pensiero rassicurante che riuscì a trovare, in quella strana serata.

 

Allora, scusate il ritardo. Il fatto è che la tesi che sto facendo presenta molti impicci. Questo sviluppo è nuovo, completamente rinnovato. Bernard ha invitato Rosalie per andare ad una mostra...il perché sarà presto spiegato. Vorrei ringraziare tutti coloro che mi hanno letto sinora. Buon Week End.

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Capitolo 10
*** LA FUGA DI CAMILLE ***


Benvenuti a questo nuovo capitolo e spero di tenere un buon livello a questa fic. Le cose si complicano e vi ringrazio per avermi seguita finora. Il mio silenzio è dovuto al fatto che ho un po'di impegni, cosa che mi impedisce di dedicarmi alla storia come vorrei.

Spero di poter continuare senza troppi impedimenti e intanto vi ringrazio.

Controcorrente

 

LA FUGA DI CAMILLE

 

Chissà come aveva fatto a finire in quel pasticcio. Non aveva commesso nessuna colpa, tranne forse quella di non aver portato a termine l'annegamento di Sophie Lefevre Asburghi, fonte di ogni suo male...ma era anche vero che avrebbe addolorato Maria Antonietta, compiendo quell'azione buona e giusta.

Oscar guardò con afflizione il soffitto. Per quanto i misteri della genetica fossero oscuri e insindacabili, era vero che la giovane Madame Borbone era sangue del sangue di quella sciagurata e, come tutti i filosofi e gli scrittori insegnavano, sia pure senza alcuna spiegazione razionalmente soddisfacente, la mamma era sacra.

L'odore di medicinale le invadeva il naso, dandole non poco fastidio. Odiava quella puzza. Le ricordava...

-Se vuole, può andare-fece André, rompendo quella lunga pausa di silenzio che aveva accompagnato il tragitto alla clinica veterinaria. Oscar lo guardò. Indossavano ancora la tuta da motociclista con cui avevano gareggiato in pista, tanto era stato repentino quanto era successo in poco tempo.

-Non se ne parla-rispose decisa.

Il rumore dell'orologio della sala d'attesa ingoiò quello spazio di vuoto che divideva loro due. Non c'era nessuno a quell'ora della notte. Dovevano quasi essere le tre ma il display era così sciupato da non mostrare bene i numeri. -Ad ogni modo, lei avrà qualche impegno e poi non è raccomandabile aggirarsi da sola a quest'ora della notte.-disse il moro.

-Non ho fretta-ribatté con testardaggine lei.

André si stiracchiò sulla sedia, fissandola. Camille aveva un portamento quasi marziale: schiena dritta e gambe ben allineate. I capelli erano sciolti, in una sorta di criniera d'oro. Persino il viso, dai lineamenti cesellati, non era atteggiato nella tipica dolcezza a cui era avvezzo di solito, al contrario. Le labbra piene erano piegate in un broncio corrucciato, ben diverso da quello che vedeva sulle starlette delle riviste patinate che Edmée era solita leggere. Era bella, bella come mai aveva visto fino a quel momento. -Ha almeno un modo per tornare a casa, senza pericoli?-chiese, pacato.

Oscar non si fece incantare. Conosceva quel tono morbido e sapeva cosa voleva dire: nient'altro che una morbida guaina di velluto per celare una testardaggine di ferro. -E'inutile che insista. So badare a me stessa e non voglio discutere. Resto quanto voglio e non ho bisogno della balia.-rispose acidamente.

Grandier rimase sorpreso. -Senta, non è che voglio fare l'insistente ma mi hanno insegnato che bisogna essere dei gentiluomini per farci strada nel mondo. Per cui insisto: voglio riaccompagnarla, quando sapremo cosa è successo a quel daino.- disse, deciso.

La donna lo fissò accigliata. -E'un cervo- lo corresse.

André sgranò gli occhi, trattenendo a stento un sospiro. Aveva la sensazione che quelle parole fossero state pronunciate con meno durezza rispetto a pochi istanti prima. Camille non aveva dato segni apparenti di cedimento...però, quel tono meno duro gli fece ben sperare. Che il lupo sia meno cattivo di quello che si dice? pensò.

Proprio in quel momento, la luce della sala operatoria si spense. Grandier sussultò. Per qualche strana ragione, sentiva qualcosa alla bocca dello stomaco. Un'ansia ed una vaga insoddisfazione che lo rendevano desideroso di un passo ulteriore. Camille pareva una donna ruvida e poco propensa alle moine ma, da quel poco che aveva visto, niente era costruito. Aveva un che di selvaggio che lo affascinava, un tratto che non aveva mai visto fino a quel momento. Aveva sempre odiato le smancerie ma quella donna non aveva dato segno di queste fastidiose pratiche...e ne fu contento. Forse, per una volta, avrebbe potuto permettersi di essere sincero. La vide alzarsi e, a passo deciso, la vide raggiungere il veterinario. -Allora?-fece, con un tono energico che tradiva la preoccupazione.

L'uomo fissò silenzioso i due. -Il paziente si rimetterà. Ha ricevuto una bella botta ma non dovrebbe avere danni particolari e permanenti. Ugualmente, se potete, vi suggerisco di tenerlo in un luogo dove è possibile fargli passare la convalescenza.-fece.

André vide Camille rilassarsi, almeno un po'. Sembrava che la notizia la rendesse molto felice. -Grazie dottore-rispose questa, piuttosto sollevata da quanto aveva sentito.

 

 

 

 

 

 

 

-Perché ha fatto tutto questo?-domandò Grandier, rompendo il silenzio. Il medico si era allontanato, non prima d'informarli che avrebbero preso l'animale solo al mattino, non appena avesse smaltito gli effetti dell'anestesia.

-Non lo dovevamo fare?-ribatté Camille, squadrandolo minacciosa, tanto da far ridacchiare l'imprenditore.

-In realtà, ero semplicemente curioso di sapere la sua versione. Non è da tutti occuparsi di un cervo.-rispose, fissandola.

La donna lo guardò a sua volta. -Non amo chi fa del male agli animali e non trovo giusto lasciare uno di loro in quelle condizioni, specie quando so di esserne responsabile.-fece -Sono cresciuta facendomi carico del peso delle mie azioni. Non posso accettare la possibilità di non curarmi dei miei errori quando sono altri a pagare.-

André fissò il neon della stanza. Aveva sempre pensato di essere uno dei pochi, nel suo ambiente, a pensarla in quel modo...ma, evidentemente, non era così. Quel pensiero lo rallegrò perché lo faceva sentire meno fuori posto. -La mia non era un'accusa, anzi. Sono rimasto stupito che ci sia qualcun altro a pensarla così.-

Camille sospirò. -Chi altro la pensa in questo modo?-domandò, abbassando il volto. L'altro le afferrò il mento, costringendola a guardarlo negli occhi. -Io-rispose, fissandola.

A quelle parole, seguì il silenzio. André la fissò, studiando critico i lineamenti severi del viso. Una parte di lui sperò che dicesse qualcosa, che rispondesse alle sue parole...qualcosa, qualsiasi cosa ma non una parola uscì da quella bocca.

Camille si limitò a fissare laconica il vuoto, lasciando tutto il Mondo fuori da sé. Poi si alzò, con un scatto improvviso e fluido al tempo stesso. Il gesto, per la sua rapidità, colse impreparato l'imprenditore. -Abbiate cura di lui-esalò...prima di scivolare nei corridoi.

Grandier la guardò allontanarsi, incantato da quel passo marziale e femminile al tempo stesso...poi si rese conto di una cosa. Qualcuno doveva occuparsi del daino ferito. Lui era stato il solo a dare dei recapiti. Camille se ne era andata e quindi...

-Per la miseria, dovrò occuparmi io di quell'animale!- esclamò.

 

 

Oscar camminava a passo svelto, superando agilmente i pochi passanti lungo la via. Raggiunse rapidamente la moto che aveva lasciato poco distante e, senza voltarsi indietro, vi salì sopra. Una volta a bordo, fece un sospiro, tentando di mantenere il sangue freddo.

Le era parso qualcosa di strano e bizzarro parlare con il capo in quel modo. Non aveva mai creduto possibile una simile eventualità...però era così. Aveva parlato con il suo datore di lavoro senza doversi preoccupare di niente. Né della presenza di Joseph, né dell'infinita serie di doveri che la schiacciavano, giorno dopo giorno. Oscar si mise una mano sul petto. Non aveva senso quello che era appena successo. Aveva sempre condotto la sua vita con freddo raziocinio, evitando i colpi più violenti della sorte. Non poteva rovinare tutto in quel modo, ne era maledettamente conapevole. Sarebbe finita male, lo sapeva...ma non riusciva a smettere di pensarci.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

André rincasò tardi. Aveva percorso le vie cittadine in lungo ed in largo...ma di Camille, nessuna traccia. Alla fine, dopo tanto girare, aveva deciso di ritornare alla sua dimora, malgrado la stanchezza e gli eventi appena successi lo avessero scombussolato fin dentro le viscere.

Aveva ritrovato Camille.

Quel pensiero lo rese nervoso.

Aveva pensato di parlarle, di chiederle se era stato brusco o, perlomeno, sapere se era stata felice...invece non aveva fatto nulla. L'aveva baciata, stringendola a sé come se avesse il timore di vederla sparire, da un momento all'altro.

E poi si è data alla macchia concluse mentalmente.

André avrebbe voluto mordersi le mani dalla rabbia. Quell'esito lo aveva colto alla sprovvista, soprattutto perché non aveva previsto di vederla andarsene così. Doveva riconoscere che Camille aveva una testa molto dura. La più testarda che abbia mai conosciuto ammise, con un sorriso stentato.

I contorni della città, leggermente fumosi per la nebbia, coprivano tutto. Piano piano salì le scale, non prima di essersi assicurato che non ci fosse nessuno in casa. Non aveva voglia di dare spiegazioni a nessuno, troppo scombussolato per farlo. Aveva bisogno di un po'di tempo, prima di poter affrontare Dagout. Non aveva dubbi sul fatto che avrebbe avuto un interrogatorio da parte sua, non appena avesse smaltito la gioia per la paternità che aveva favorito. André doveva ammettere che la distrazione del suo maggiordomo, dovuta all'arrivo della piccola Anja, era una vera benedizione, soprattutto perché Edmée non era in grado di avere dei figli. Non aveva ancora avuto modo di vedere molto la bambina...e, in qualche modo, era contento così. Anja gli ricordava molto sé stesso, quando aveva messo piede nell'istituto.

Preferiva rimanere ai margini, anche perché, e questo lo rimpiangeva in ogni momento, era sicuro che Dagout e sua moglie avrebbero potuto crescerlo benissimo, se i Grandier non avessero avuto così tanti soldi. Con un sospiro, andò all'armadietto dei liquori e ne prese uno. Non guardò molto la marca...né si curò molto della cosa. Camille è nuovamente ricomparsa ed io me la sono lasciata sfuggire si disse.

Guardando il paesaggio, si rese conto che Parigi era molto grande, più di quello che pensava. Mille strade, mille edifici dove poteva trovarsi quella donna. E c'è pure la metropolitana si disse, ingoiando il liquore tutto d'un fiato, salvo poi piegarsi in due e tossire con forza.

-Ma che diavolo...-provò a dire, salvo poi sbiancare di colpo.

Malgrado fosse un buon bevitore, capace di reggere qualsiasi litro di alcol senza sforzi eccessivi, aveva letteralmente ingurgitato un fiume di fuoco. Perplesso, fissò la bottiglia...dandosi dello sciocco. Aveva preso lo spirito d'anice, fatto in casa, di Edmée. Lo stesso liquore che tanto piaceva a Dagout e che sua moglie, dopo l'adozione della piccola Anja, aveva deciso di portare nella sua dimora la suddetta bottiglia. Non voglio che nostra figlia beva per sbaglio aveva spiegato, con voce dolce e risoluta. André si passò una mano sulla chioma scomposta. Aveva bevuto la sacra bottiglia di Edmee...ed ora si poneva un nuovo quesito da sciogliere.

Come poteva nascondere il misfatto ai coniugi Dagout, soprattutto sapendo che il maggiordomo era ghiotto di quel liquore? Come poteva evitare l'ira della donna ed il dolore di questi per la perdita?

 

 

 

 

 

 

 

Oscar fermò bruscamente Cesar.

Aveva girato per le vie cittadine senza meta ed ora, con il serbatoio quasi a secco, si era ritrovata con la moto in panne nei pressi dei Giardini di Lussemburgo. Attorno a lei, non c'era nessuno nei paraggi ma quella solitudine non la turbava molto. Il suo unico pensiero era di sapere se il suo capo l'avesse seguita, oppure no.

Quel dubbio la infastidiva enormemente, quasi quanto la vita d'ombra che era stata decisa per lei.

Una linea che non aveva mai condiviso ma che doveva assolutamente rispettare, almeno nei limiti del possibile. Improvvisamente, da dietro uno dei cespugli, sentì il rumore di alcuni passi. Oscar si girò, aggrottando la fronte. Il rumore veniva verso di lei. Istintivamente guardò i cespugli, domandandosi se fosse opportuno nascondersi là. Erano ormai le tre di notte. Sono proprio una deficente a fermarmi qui, a quest'ora si disse, pensando con rabbia al fatto che, con la moto a secco, non poteva fare in altro modo.

Così si nascose nella boscaglia, pregando che nessuno notasse la sua moto.

Sentiva le foglie umide del cespuglio dietro al quale si era nascosta, accarezzare la sua tuta, dandole mille brividi.

Proprio in quel momento, vide una sagoma scura raggiungere lo spiazzo e fermarsi per qualche istante. Era avvolta da un mantello nero, che celava interamente la sua figura, tanto che non si capiva se era una donna o un uomo.

Istintivamente, si appiattì.

Era risaputo che, a quell'ora della notte, girassero per il parco tipi poco raccomandabili ma non poté fare a meno di augurarsi di riuscire a scamparla, almeno per quel giorno di evitare quel genere di fastidi. La sagoma incappucciata si guardò attorno, con fare guardingo e sospetto, salvo poi prendere un cellulare e digitare dei numeri. In seguito, ripartì, dopo aver gettato qualcosa di metallico in un angolo. Pochi istanti dopo una seconda auto passò nel medesimo punto. Anche in quel caso, uscì una sagoma scura, anch'essa incappucciata che raccolse l'oggetto che l'altra aveva gettato, prima che il mezzo ripartisse, sgommando a tutta velocità.

Solo allora, Oscar uscì dal suo nascondiglio.

La moto era abbandonata in un angolo, con il serbatoio vuoto e inutilizzabile. La donna chiuse gli occhi, massaggiandosi la testa. Non avrebbe mai potuto pensare che le capitasse una cosa simile. Mancavano alcuni chilometri per raggiungere la sua casa ma da quel punto, purtroppo, passavano solo sporadici taxi.

L'aria era decisamente umida, malgrado la tuta.

Non è effettivamente un sogno passeggiare nei boschi in questo modo convenne, rimproverando la sua testardaggine, così deleteria in quel momento. Guardò con dolore Cesar, abbandonato pigramente dietro ad un albero, al riparo da occhi indiscreti. Non poteva portarlo con sé. Qualche quintale di metallo non era un peso che poteva trasportare tra le braccia, come un bebé...e la cosa gli dispiacque non poco. Spero di ritrovarti intero pensò, dopo averlo silenziosamente salutato ed essersi messa in marcia con una scarpinata lunga alcuni chilometri.

Mentre così faceva, ripensò a quello che aveva visto. I parchi dove si era fermata non erano molto frequentati ma, di certo, erano privi di teppisti. Quelle sagome scure però sembravano dirla diversamente e quella particolarità non piacque alla donna. Che il tasso di criminalità si fosse improvvisamente impennato in quegli anni?

Oscar non lo sapeva ma si ripromise di consultare i giornali quanto prima...ovviamente recuperando il povero Cesar.

 

Mi scuso di nuovo per il ritardo ma sono in tesi ed ho i tempi contati, in termini di scrittura dei capitoli. Il restyling è totale e come vedete le cose sono molto diverse ma non troppo nella sostanza, visto che i punti fermi restano quelli.

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Capitolo 11
*** LUISA MARIA ADELAIDE ***


LUISA MARIA ADELAIDE

 

 

 

Maria Antonietta osservava silenziosamente il paesaggio fuori dal finestrino. Presto avrebbero lasciato le vie cittadine, per immergersi nel verde della campagna. Aveva contato stoicamente i giorni che la separavano da quel momento, dietro una maschera perfettamente sorridente e vacua.

Non poteva più rimandare quel momento e anche se non lo desiderava, aveva finito con il chinare la testa, anche per evitare di dare qualche dispiacere a Luigi, l'unico che davvero non aveva alcuna colpa in quella storia e che Maria Antonietta non voleva offendere, neanche per sbaglio...anche se il fastidio rimaneva.

Odiava quei momenti ma era come se, dall'età di diciotto anni, la sua vita fosse solo una serie d'intervalli tra una cosa sgradevole e l'altra. Con un gesto meccanico, si aggiustò i piccoli guanti che portava in quelle occasioni.

-La moglie di mio cugino ci aspetta nella sua dimora di campagna- disse Luigi, rompendo il silenzio nell'abitacolo.

-Ho avuto poche occasioni di vederla ma ho sentito molto parlare di Luisa Maria Adelaide. Mademoiselle di Penthièvre è l'unica figlia di Luigi Giovanni Di Maria Borbone, il Principe dei Poveri. Mi hanno parlato molto bene di lei.-osservò pacatamente la donna.

-Oh, lo è.-confermò Luigi.

Maria Antonietta posò la sua attenzione sulla scia di alberi che accompagnavano la via, scortandoli verso la campagna. Osservò con pacatezza quei colori pastello, fissandone la tonalità nella memoria. -Luigi, perché non l'ho vista al nostro matrimonio?-domandò.

Udì un silenzio un po' più prolungato del solito, tanto che decise di girarsi verso di lui. -Era in ospedale. Pochi mesi dopo le nostre nozze ha dato alla luce il suo primogenito, Luigi Filippo.- spiegò. Così dicendo, prese a guardare il paesaggio, perdendosi così nei suoi pensieri. Maria Antonietta lo seguì docilmente, con un'arrendevolezza tipica di chi non poteva sfuggire al proprio destino. L'attendevano almeno 24 ore di supplizio, dal suo punto di vista, seguiti da incontri e chiacchiere velate che avevano solo il potere di umiliarla.

 

 

 

 

 

Luisa Maria Adelaide viveva in una splendida dimora rococò in piena campagna, separata dal marito Philippe che, a differenza sua, amava poco la vita agreste. Malgrado la distanza, aveva comunque dato alla luce una ricca prole, costituita da tre figli maschi e da una femmina, nata da poco.

Maria Antonietta non l'aveva mai vista, a differenza del cugino del marito. Chissà che persona è? Si chiese, fissando con curiosità le cime degli alberi. L'edificio che aveva di fronte a lei era comunque molto bello, con una schiera ordinata di meli e di ciliegi ornamentali.

La macchina si fermò proprio davanti all'ingresso, dove era già schierata la servitù.

-Benvenuti nella dimora. La padrona vi attende nel portico dell'ala est.-disse il maggiordomo, non appena li vide scendere.

-Vi ringrazio.-rispose Luigi, prima di girarsi verso sua moglie e porgerle il braccio. Maria Antonietta obbedì meccanicamente ed insieme si incamminarono nella direzione loro indicata.

Mentre così facevano, la donna ebbe la sensazione di udire l'eco di alcune risate infantili nell'aria...e non poté fare a meno di percepire una stretta dolorosa allo stomaco. Sta per cominciare pensò, trattenendo dentro di sé un violento sospiro.

-Philippe!-esclamò suo marito, lasciandola improvvisamente.

-Luigi! Benvenuto nella nostra casa.-disse il padrone di casa con un sorriso gaio- Avete fatto buon viaggio?-

-Sì-rispose il Borbone-il traffico è stato abbastanza agevole, meglio di quanto ci aspettassimo. Sono molto felice di sapere che siete diventato di nuovo padre.-

-Questa volta ho avuto una figlia, la principessa della casa. Mia moglie è felicissima di ciò perché era stanca di essere la sola donna in famiglia.-rispose ridendo Philippe, prima di voltarsi verso sua moglie- A questo punto, comunque, non voglio essere il solo. Il nonno vuole avere dei bisnipoti anche da voi. Non possiamo mica farlo aspettare troppo no?-

-Naturalmente-rispose Luigi, con tono monocorde- la volontà del nonno è sacra.-

Philippe scosse il capo. -Il vecchio è così. Ad ogni modo, non facciamo aspettare troppo la neomamma. Diventano tutte piuttosto nervose.- fece, incamminandosi dentro.

-Prima o dopo?-chiese Luigi.

Il cugino rise. -Tutte e due.-fu la sua risposta.

 

 

 

 

 

-Oh Luigi!-esclamò, venendogli incontro.

-Mia cara cugina, vi trovo in splendida forma. Come state?-chiese l'uomo, guardandola cordiale.

Luisa Maria Adelaide gli sorrise con gratitudine. Aveva due, tre anni più di lui ma non li dimostrava affatto. Possedeva una bellezza poco appariscente, quasi dimessa, malgrado indossasse un abito di ottima fattura. Lunghi capelli castani incorniciavano un viso rotondo, dai lineamenti dolci e amorevoli. -Sono molto felice che abbiate avuto il tempo di venire a farmi visita. Purtroppo non ho avuto la possibilità di farlo ultimamente.-disse, a mo'di scuse, poi si girò -Voi siete la donna che ha sposato il nostro Luigi, dunque. Siete più bella dal vivo che in foto, concedetemelo.-

Maria Antonietta arrossì. Era abituata ai complimenti ma non ad una simile schiettezza. -Vi ringrazio.-rispose, impacciata.

Luisa Maria Adelaide ridacchiò, portandosi una mano sulla bocca. -Siete una donna molto modesta e spero di avere occasione di vedervi più spesso...-fece.

-Mia cara- la interruppe Philippe- credetemi, la moglie di mio cugino verrebbe più che volentieri ma ha molti impegni in città. Verrà sicuramente ma non serve insistere così. La mettete in imbarazzo.-

Maria Antonietta fece per aprire bocca...ma qualcosa la spinse a tacere. La verità era che non sapeva cosa dire. Il cugino di Luigi aveva tratti di durezza e di decisionismo che Luigi non possedeva. C'erano dei momenti in cui venivano fuori con insospettabile veemenza ma erano così rari che preferiva tenerli nella mente, pensando che fossero solo un'invenzione della sua testa. -E'così. A volte sono molto impegnata ma, se Monsieur Philippe è d'accordo, e ovviamente Luigi, farò ben volentieri una piccola visita.-disse, tenendo gli occhi bassi.

-Oh-mormorò la donna- allora vi chiedo di venire assolutamente.-

Maria Antonietta annuì, lanciando occhiate oblique a Philippe. L'ombra che aveva visto sul suo viso era improvvisamente sparita, lasciando il posto alla cordiale cortesia che lo contraddistingueva.

-Ad ogni modo- disse cordiale Luisa Maria Adelaide- mi piacerebbe presentarvi i miei bambini.-

Madame Borbone annuì, più per educazione che per reale sentire. La gentilezza della donna la disorientava, complice la sua mancanza di affettazione. Si lasciò condurre nei corridoi, seguita ad una certa distanza dai rispettivi consorti. Mentre così faceva, fissava l'arredamento campestre della dimora, accompagnato da una serie di foto di famiglia. Quella vista le lasciò addosso una spiacevole sensazione ma non fu abbastanza veloce da nascondere l'interesse che quelle immagini le suscitavano.

-Sono molto belli i miei bambini, non trovate?-disse la padrona di casa.

Maria Antonietta annuì. Trovava i piccoli assolutamente piacevoli, malgrado non avesse mai avuto molte occasioni di passare il tempo con gli infanti. -Deve essere una bella esperienza-mormorò.

-E'così- ammise la moglie di Philippe- ma è difficile organizzare le giornate, scegliere la tata e le scuole più adatte. Per fortuna mio marito è molto efficiente.-

L'altra la guardò incredula e quell'espressione scatenò una risata divertita. -Vedete- proseguì Luisa Maria Adelaide- la tradizione dei Borbone sceglie sempre il meglio per loro. Anche io sono stata educata nelle migliori scuole e quindi so che una mia lontananza non influirà sulla loro crescita. -

-Non sentite la loro mancanza?-chiese.

La padrona di casa si fermò un momento. -E'stato molto difficile agli inizi-ammise- ma so che Philippe sceglie sempre il meglio per loro.-

Maria Antonietta non rispose. Comprendeva il suo punto di vista, dal momento che era cresciuta nelle migliori scuole femminili d'Europa. -Posso sapere come mai non venite a Parigi?-domandò.

Luisa Maria Adelaide sospirò. -Ho avuto diverse gravidanze ma non godo di buona salute. L'aria cittadina non è di mio gradimento e preferisco la campagna, dove posso coltivare i miei passatempi. In città non saprei proprio cosa fare.-spiegò-Ho dei vigneti che producono una marca di fragolino piuttosto prestigioso, anche se sono ancora agli inizi.-

-Mi fa molto piacere.-rispose Maria Antonietta, camminandole accanto. Proprio mentre facevano tutto ciò, sentirono l'eco di alcune risate infantili in lontananza. Quel suono bloccò di nuovo la giovane, tanto da strappare una risatina alla padrona di casa.

La Asburghi non comprese subito...ma poi apparvero due piccoli piedi, accompagnati da un corpicino minuscolo e da una chioma scura. -Mamma!-esclamò l'esserino, venendole incontro.

Luisa Maria si chinò. -Dimmi amore, cosa è successo?-chiese, prendendolo in braccio. Il bambino nascoste il viso dietro il collo, borbottando qualcosa. -Oh, caro. Non sai che non si fanno queste cose?-lo ammonì con dolcezza.

-Mamma, la tata ha detto che devo fare i compiti ma voglio giocare con mio fratello.- disse questo, senza alzare la voce.

La donna sospirò.

-Hai comunque sbagliato. Tuo fratello deve studiare perché va a scuola e tu devi ascoltare quello che la tata dice.- lo rimproverò.

Il piccolo sbuffò, salvo poi irrigidirsi. -Va bene, madre-esalò, occhieggiando rigido verso destra.

Maria Antonietta si girò e si accorse della sagoma del cugino di suo marito. Le stava fissando. La Asburghi sentì un brivido scivolarle lungo la schiena, sentendo quelle pupille addosso. Non sapeva dirsene la ragione ma quegli occhi la gettavano in una profonda inquietudine, malgrado Philippe non le avesse mai mancato di rispetto.

-Mia cara, che ne dite se facciamo una passeggiata nel giardino?-domandò, prendendola a braccetto.

 

 

 

Il giardino della dimora degli Orleans era bello e accogliente. Madame Orleans era una donna che amava molto la natura. Originaria della Provenza, aveva portato il suo pollice verde anche in quel luogo. -Immagino che non abbiate un'aria così pulita-disse, camminando a passo lento.

Gli alberi da frutto facevano da corollario all'immensa spianata, emanando un perenne e piacevole odore di mele. Alcuni cespugli di lavanda tingevano di lillà la parte inferiore, diffondendo un profumo morbido e avvolgente. -Io preferisco questo luogo a Parigi.- disse serafica- ma mio marito adora la capitale e quindi abbiamo deciso di vivere separati.-

-Ne sentite la mancanza?-chiese Madame Borbone.

Luisa Maria scosse il capo. -Nemmeno i miei genitori vivevano nella medesima dimora ma è giusto così, perché ognuno ha bisogno di avere i propri spazi.-rispose- Anche i coniugi Asburghi vivevano così, no?-

Maria Antonietta, anche se incerta, si ritrovò costretta ad annuire. Suo padre Pierre, dopo la sua nascita era impegnato con il lavoro e, dopo un anno, se ne era andato. Non sapeva se avrebbe vissuto con loro, se fosse sopravvissuto. Era una cosa che non aveva mai considerato.

-Ad ogni modo, mio marito ha deciso per il meglio e, comunque, sono impegnata in attività che la cura dei figli non mi consentirebbero di svolgere come desidero.-spiegò -Per fortuna, Philippe ha scelto una tata in tempi ragionevoli...ma quando avrete dei figli anche voi, credo che vi accorgerete di quanto sia comodo poter conservare i propri spazi.-

La donna non commentò. La pressione della maternità era un tarlo che la affliggeva da qualche tempo. Doveva dare un figlio alla famiglia dei Borbone. Così aveva detto sua madre.

Così voleva sua nonna.

-Mia cara-disse Luisa Maria- mi rendo conto del peso che portate dentro, anche se non sembra. La famiglia Borbone è molto conservatrice e, fino a quando non avrete assolto al compito richiesto, vi starà con il fiato sul collo.-

-Lo so ma non riesco a risolvere questa cosa. Gli impegni di mio marito sono molti ed abbiamo poco tempo da passare insieme.-disse l'altra mesta.

Luisa la guardò con dispiacere. -So che il nonno lo sta impegnando molto, con i viaggi all'estero. Vi ha mai detto di andare con lui?-chiese.

-Mia nonna non lo consente. Nelle clausole del matrimonio, fino a quando non nascerà un figlio, non mi sarà consentito lasciare la Francia.-spiegò Maria Antonietta -Mio padre morì durante un incidente d'auto e, da allora, non vede di buon occhio alcun tipo di mezzo di trasporto.-

-Tutto questo mi rattrista, cara cugina. Spero che questo ostacolo venga superato presto. Mi ha fatto molto piacere incontrarvi, voglio che lo sappiate.-disse la donna.

 

 

 

 

 

 

 

-Allora, cugino-disse Philippe- come vanno le cose con vostra moglie?-

Luigi sussultò, come sovrappensiero. Stavano passeggiando lungo i corridoi del casale di Luisa Maria e, mentre così facevano, si era perso nell'osservazione dell'arredo. La moglie di suo cugino aveva un gusto spartano e privo di fronzoli, che si mostrava dimesso nella scelta di mobili di gusto campagnolo e di arte povera. -Vanno-rispose infine.

Philippe sospirò. -Cielo, cugino!-disse, scuotendo il capo- Davvero ancora niente?-

Luigi non commentò, più interessato a vedere le piante grasse che decoravano gli angoli. Ogni volta che veniva, ce ne erano alcune in più. -Ti pare tanto strano?-chiese- Non ho un attimo di respiro e vedo mia moglie solo negli attimi che il nonno e la famiglia mi concedono...e quando ci vediamo sono troppo distrutto per pensarci.-

Philippe non gradì quella risposta. -Il nonno è uno stakanovista, lo sappiamo tutti e fa a gara solo con la dama di ferro. Però il problema non cambia. Se voi non darete un erede, il vostro ruolo come successore sarà in pericolo, ci avete pensato?-chiese.

Luigi alzò le spalle. -Alla fine non mi importerebbe nemmeno. Sappiamo bene che, per quanto mi impegni, mio nonno non ha alcuna stima di me. Avrei voluto che mio fratello fosse vivo, o che gli altri fossero più grandi di me e prendessero sulle spalle questa cosa. E'un compito che cederei volentieri.-ammise, amareggiato.

Philippe scosse il capo. -Come vi compatisco-commentò, dandogli una pacca sulla schiena- ma sappiamo bene che il nonno è un uomo molto...come dire, invadente.-

Luigi alzò le mani al cielo. -Vorrei semplicemente avere quella serenità che finora non riesco ad avere...e, dannazione, né io né mia moglie ce lo meritiamo.- continuò, sempre più impacciato- In dieci anni di matrimonio, non ho mai avuto il tempo di rilassarmi neanche cinque minuti. Luigi va qui, Luigi vai là...che Iddio mi sia testimone, ma preferirei essere al vostro posto!-

Quel pensiero non lo aveva mai lasciato in pace e, da molto tempo, non riusciva a trovare un momento di serenità. I viaggi all'estero si erano moltiplicati e, per quanto ci provasse, poteva contare i momenti passati con Maria Antonietta sulla punta delle dita. Il lavoro era sempre più impegnativo, man mano che gli anni passavano.

Philippe sospirò. -Posso solo immaginare questa difficoltà ma dovete resistere. Sappiamo bene che la famiglia conta su di voi e sapete bene quanto vi stiate impegnando. Il problema è che a volte non basta ma voi non dovete mollare.-disse, fissandolo comprensivo.

Luigi annuì.

-Purtroppo non potrò rimanere a lungo in Francia. Devo andare di nuovo in viaggio.-lo informò -Non so quanto ci vorrà. Ci sono delle trattative per una transazione e dobbiamo revisionare alcuni passaggi.-disse- Potreste assicurarvi di essere a disposizione di mia moglie, qualora le cose si prolunghino troppo?-

-Naturalmente, Luigi.- rispose l'altro.

 

 

 

 

Maria Antonietta guardò apatica la via che scorreva ai lati della macchina. Avevano lasciato la dimora di Luisa Maria da circa tre quarti d'ora ma non poteva che essere felice della cosa. Vedere la moglie del cugino di suo marito alle prese con i figli le aveva stretto il cuore,ricordandole la sua mancanza.

Quella sarebbe stata la sua sorte, se avesse assolto ai doveri a lei richiesti.

Partorire dei bambini e vederli di tanto in tanto, quando era possibile e lecito.

Come aveva fatto sua madre, Sophie.

Chissà cosa ne pensa di tutto questo si chiese, fissando Luigi con la coda dell'occhio.

-Madame-disse, interrompendo i suoi pensieri.

La nipote della dama di ferro si girò. Suo marito la stava guardando con un'espressione che ormai aveva imparato a conoscere. Gli occhi, celesti e miopi, osservavano istintivamente le sue labbra. Maria Antonietta non disse niente. Docile inclinò la testa, lasciando che suo marito prendesse la sua bocca come più desiderava.

Era giusto così.

Era per questo che doveva portare avanti quel matrimonio. Luigi aveva maniere goffe e gentili, capaci di disorientarla tutte le volte. Lasciò che la spogliasse, vezzeggiandola ma nulla di quelle maniere riusciva a toccarla davvero. Non doveva andare in quel modo...ma era necessario.

Lasciò che le liberasse i seni e che vi calasse sopra, nascondendo il volto. Mentre così faceva, Maria Antonietta si ritrovò a guardare il soffitto della limousine, lasciando che la mente viaggiasse verso immagini che la eccitassero, quel tanto che bastava per fargli credere di essere lì.

Docile si adagiò sul sedile e, sempre nello stesso modo, allargò le gambe, come a volerlo accogliere. -Ah- fece, quando lo sentì sfiorarla incerto. I suoi tocchi erano molli ma non cattivi. Sembrava quasi che avesse il terrore di farle del male...e le venne spontaneo dedicarsi con maggiore insistenza al ricordo di quelle immagini spinte che passavano sottobanco nella scuola che frequentava, quando era un'adolescente. Si aggrappò ad esse con cieca disperazione ma non poté fare a meno di cacciar fuori un gemito dolente. Lo trattenne a stento, mentre sentiva i colpi svelti di Luigi dentro di lei. Maria Antonietta si aggrappò alla sagoma grassoccia del marito, sentendo la sua carne entrare ed uscire da lei, quasi con fatica. Il respiro si mozzava ad ogni affondo, accompagnando gli ansiti di lui, fino a quando non udì un sospiro più forte e qualcosa di umidiccio spandersi dentro.

A quel punto, lo sentì allontanarsi da lei, prima di cedere alla stanchezza e gravarle addosso.

Maria Antonietta non disse nulla, fissandolo.

-Vi ho...vi ho fatto male?-chiese il Borbone, con il respiro ancora irregolare.

-No-rispose lei.

Come in sincrono, si ricomposero, aspettando l'arrivo alla villa e guardando ognuno dalla finestra che avevano vicino. Madame Borbone seguì con gli occhi i contorni degli edifici, illuminati dai lampioni elettrici. Istintivamente si sfregò le cosce, tentando di levarsi di dosso il fastidio ed il senso di colpa per la bugia che aveva appena detto.

Lo faceva sempre.

Non era vero che non le aveva fatto male...ma, da tempo, aveva smesso di dire la verità. Maria Antonietta sentì una profonda afflizione a quel pensiero. Non riusciva mai a rilassarsi sotto di lui ed il risultato era che non si eccitava mai. Quel dolore nasceva da questa sua impossibilità di provare piacere...e Luigi si sentiva in colpa per questo.

Non siete voi il responsabile avrebbe voluto dirgli.

Invece rimase muta, pregando che quel rapporto frettoloso generasse quel bambino che le loro famiglie volevano tanto.

 

Esperienza goffissima di una lemon. Scusate il ritardo ma sono presa dalla tesi ed ho deciso di mettere capitoli più lunghi. Qui abbiamo un assaggio della vita matrimoniale di Maria Antonietta e Luigi. Le pressioni non aiutano i due sposini, messi lì quasi per caso...ma spero che vi sia piaciuta la scena. Le lemon non sono mai il mio forte.

Mi imbarazzano molto ma questo è l'effetto che volevo. Risponderò a tutte le domande che vorrete farmi, non temete. Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno letto finora. Grazie ancora.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 12
*** LA TALPA ***


Cari lettori scusate il ritardo ma l'università mi dà non pochi impicci per cui chiedo scusa per il lungo ritardo. La fic, per chi seguiva la vecchia versione, ha uno sviluppo completamente nuovo. Mi auguro che vi piaccia. Purtroppo, non ho potuto aggiornare subito perché il capitolo non era pronto, nel senso che non avevo finito di scriverlo.

Vorrei ringraziarvi per avermi seguito finora.

Siete molto gentili.

Penso di aver risposto a tutte le recensioni, come faccio di solito, prima di aggiornare...in ogni caso, vi ringrazio di nuovo.

 

LA TALPA

 

 

André venne bruscamente svegliato da uno strano trambusto al piano inferiore. Stizzito, si mise a sedere sul letto, guardandosi attorno stranito.

Si era addormentato molto tardi, preda dei pensieri che quell'incontro gli avevano scatenato dentro. Quei capelli biondi, lunghi e mossi, senza alcun laccio, pronto a legarli. Quegli occhi, carichi d'inquieta veemenza, come i flutti del mare tempestoso.

Che serata fu il primo pensiero mentre, con i soli pantaloni del pigiama, si avviava ciondolando in bagno. Non era un tipo mattiniero per natura e, a causa della notte insonne, era spossato e molto, molto seccato. Camille lo aveva preso in pieno e, non contenta, aveva preso a trattarlo come se fosse uno zerbino. Come fosse successo, bhé, era un mistero. Pensava che il nuovo incontro fosse diverso...ed era stato così ma non nel modo che credeva.

Ancora mezzo ubriaco di sonno, si gettò sotto la doccia, sperando di rinfrescarsi le idee. Poi, una volta uscito, lindo e profumato come un bebé, scese piano piano le scale.

Mentre così faceva, si vide di fronte una bambina.

Lei lo fissò a sua volta, da dietro gli occhi marroni e inespressivi. André aggrottò la fronte. Aveva sempre associato il color nocciola al calore ma quelli della piccola Anja non possedevano nulla di tutto ciò. Indossava un vestito largo e privo di fiocchi. Edmée aveva dovuto lasciar perdere ogni decorazione vagamente femminile. La piccola strappava sistematicamente tutti i vestiti che la donna gli comprava, senza dire nulla.

-Ciao-fece, abbozzando un sorriso...ma la bambina corse via.

-Non ci faccia caso, padroncino-disse il maggiordomo, vedendo la scena- Anja deve solamente ambientarsi.-

André non commentò.

-Sono passati alcuni mesi-fece-ha parlato?-

L'uomo scosse il capo. -Non spiccica una parola. Non abbiamo mai sentito la sua voce. Mia moglie non se ne preoccupa e neanche io lo farò. Ci siamo affezionati ad averla intorno però...-disse, non riuscendo ad andare oltre.

André non parve sorpreso da quelle parole. Aveva fatto pressioni perché il suo maggiordomo e sua moglie riuscissero ad avere un figlio...ma l'unica cosa che erano riusciti a fare era stato di rivolgersi ad un'associazione religiosa. Così era arrivata Anja, una piccola bielorussa di sette anni.

I risultati erano stati in chiaroscuro. Dopo un primo momento di gioia, i coniugi D'Agout avevano dovuto ridimensionare gli entusiasmi iniziali. Anja non sorrideva mai né, tantomeno, parlava. Guardava nervosamente ogni angolo, correndo a nascondersi sotto i mobili, non appena vedeva delle auto scure passare fuori dal cancello della sua casa.

-Ve l'avevano detto gli assistenti sociali-.La bambina veniva da una zona di guerra...sarà meno semplice di quello che sembra. Limitatevi a lasciarle i suoi spazi e a ricoprirla d'affetto. Sono certo che prima o poi, Anja vi darà la sua fiducia.-

D'Agout annuì. -Voglio darle fiducia, padroncino. Anja è tutto quello che abbiamo desiderato e che non speravamo di avere.-

-A questo proposito, devo andare in un posto. Stasera porterò un animale. Starà nel giardino.-disse.

Il maggiordomo ci pensò su. -Oh, Anja sembra apprezzare gli animali domestici, tranne i cani- fece, prima di bloccarsi- non è un cane, vero?-

André si fermò. -No-rispose, senza alcuna esitazione.

D'Agout annuì, mentre l'altro cominciò ad avviarsi.

-Non è un gatto, vero? No, perché Edmée è molto affezionata ai divani della casa...-continuò, facendolo fermare di nuovo.

André pensò al cervide in salotto...ed un brivido gli corse lungo la schiena. Edmée era una donna dolce e sempre sorridente. Suo marito la venerava, amandola teneramente da tempo immemore, eppure ricordava bene il timore delle sfuriate che questa era in grado di sfoderare, nel malaugurato caso in cui qualcuno avesse messo a soqquadro, in modo irreparabile, qualsiasi angolo della casa. Anche i suoi tutori la temevano e André la adorava per questa ragione. -No, non succederà. Rimarrà nel giardino.-rispose, prima di raggiungere a passo svelto la propria auto.

 

 

 

 

André si guardò attorno, chiedendosi se fosse opportuno fare una mossa del genere ma quando vide la sagoma alta e minacciosa del vigile, ogni dubbio passò in secondo piano.

-Agente De Soissons- disse, mentre lo vedeva girare tra le macchine, occhieggiando le targhe.

-Chi mi cerca?-chiese questi...prima di ghignare -Che ci fai qui, di prima mattina?-

André alzò le spalle.-Volevo vederti-rispose serafico.

Alain lo fissò, salvo poi scuotere la testa. -Mi dispiace, so di essere un bell'uomo ma, seriamente, non sei il mio tipo.-disse, serio in volto.

Grandier non apprezzò molto quella battuta, limitandosi a guardarlo minaccioso.

-Oh Oh- disse il guascone, notando l'espressione truce del moro dagli occhi verdi -Notte in bianco?-

L'altro sospirò. - Più o meno...ho trovato Camille-disse, stirando le labbra- O, forse, dovrei dire che lei ha trovato me.-

Alain inarcò la fronte. -Oh, bhé, adesso hai tutta la mia attenzione. Spara, sono curioso di sapere cosa è successo.-disse, accomodandosi sul cofano della macchina e accavallando le gambe con classe. André sospirò. Non voleva vedere il modo grossolano con cui le terga del suo amico prendevano possesso del cofano della sua macchina...ma aveva fretta e non voleva scatenare una delle sue imprevedibili reazioni. Rapidamente snocciolò tutto quello che era successo, occhieggiando nervosamente la via e la penna di De Soissons.

Man mano che proseguiva con il racconto, il guascone si fece sempre più attento, tanto da alzarsi in piedi. -Quindi hai trovato quella topa che ti sei trombato allegramente dopo quella noiosissima serata...anzi no, mi correggo. Quella sventola ti è piombata addosso come una zecca su un cavallo e tu, invece di rimediare un rewind meraviglioso...hai preferito una bestia pulciosa e agonizzante.-disse, tremando leggermente- Ti prego, dimmi che mi vuoi prendere per il culo per quella volta che mi sono spacciato per te per concludere con quella supermodella, dimmi che è così!-

André non rispose a parole...ma bastò il suo silenzio.

-No, sul serio. Non posso credere che tu ti sia lasciato andare la Venere per la quale mi hai rotto i coglioni nelle ultime settimane...dimmi che non è andata in questo modo.-lo supplicò il gigante, stravaccandosi maggiormente.

André aggrottò la fronte, guardandolo storto. Non aveva molta voglia d'indugiare in quel dialogo ridicolo, così finse un'espressione tesa alla vista del rolex. Sperava di simulare con l'impazienza la voglia di concludere quella conversazione di cui ora era seriamente pentito...ma cosa poteva aspettarsi? De Soisson era un seguace della dottrina filosofica do ut des "do perché tu dia". Non avrebbe fatto niente per niente e,dopo aver saputo della sua avventura con Camille, era più che ovvio che avrebbe domandato quello. Mai una volta che chiedesse di Anja...sempre e solo Camille.

Alain lo guardò incredulo. -Il crollo di un mito- ripeté, facendo crollare di schianto i suoi 90kg sulla macchina.

E della mia povera auto, testa d'asino si disse, guardando con preoccupazione il cofano e non sapendo se, dopo quell'incontro, avrebbe celebrato le esequie del suo bolide.

Un vero peccato che il guascone non si rendesse conto della sua possibile dipartita ma cosa doveva aspettarsi? Scialla! era il suo ultimo motto, dopo aver abbracciato per anni la frase Fracassa e vedrai cosa si incassa, ereditato dalla nonna. -Ad ogni modo, Alain, sono qui per chiederti un aiuto.-disse il moro, tentando di non perdersi nelle sue pessimistiche riflessioni.

-Se l'aiuto consiste nel mettermi una parrucca bionda e le lenti a contatto azzurre, non contare su di me. Posso sacrificarmi, andando con quella virago della tua segretaria ma non certo fare questo per te.-disse il vigile.

André, udendo quelle parole, scoppiò in una profonda e grassa risata.  -Alludi alla signorina De Jarjayes? Fidati, non credo che sia il caso.-disse, tentando di rimanere serio. L'idea che la sua segretaria potesse attirare qualcuno lo lasciava sgomento, tanto da fargli pensare che fosse una cosa contronatura.

-No, sei tu che non capisci. Può essere che abbia del potenziale...tutte le donne ne hanno uno. Dammi retta, amico. Anche la signorina De Jarjayes ha dei pregi, dietro a quella mise da nonna.- osservò, con un'espressione da bambino. Prese una delle penne che teneva nel taschino e, con fare esperto, cominciò a giocarci, facendole scivolare tra le dita. -Ad ogni modo, è inutile che ti venga a fare l'ennesima osservazione a riguardo, anche perché credo che una così, capace di reggere la tua odiosissima faccia ogni giorno senza farsi intimidire, può essere ammirata...ma amata, bhé, quello mi pare un parolone...anche se credo che quel seno che ha sia taroccato.-azzardò, guadagnandosi un'occhiataccia- O, stai calmino  André! Io faccio una mera osservazione oggettiva e te la dico pur non avendo visionato la cosa di mano...-continuò.

-Dannazione De Soisson! Non ho voglia di parlare delle tette della signorina De Jarjayes...non mi sembra proprio il caso...e poi mi spieghi come siamo arrivati a parlare di lei in questi termini?-chiese, tentando di mantenere un barlume di lucidità.

-Sono cose basilari invece! Tutte le donne sono fatte allo stesso modo anche se, come diceva la mia povera nonna Berenice, a chi troppo, a chi punto. Noi abbiamo il dovere di valorizzarle e loro ci ricompenseranno...come giustamente insegna il nostro Giacomo Casanova.- spiegò- Anche la tua segretaria, probabilmente, ha del potenziale, anche se ben nascosto. Basterebbe dargli una sbirciatina...-

-NO!- lo interruppe l'imprenditore.

Alain si bloccò, stirando le labbra con un sorriso allo Stregatto...e Grandier, vedendolo, si gelò sul posto. Come aveva potuto pensare a quella negazione tanto netta? Decise di soprassedere a quella possibile riflessione all'istante. -Alain, senti, io avrei davvero bisogno del tuo aiuto e queste domande non portano da nessuna parte. Ho trovato Camille e tu devi aiutarmi a scovarla.-fece.

Il guascone incrociò le braccia. -E come posso trovarla? Mica l'ho vista, io!-disse, inclinando la testa...salvo poi illuminarsi. -Hai una foto?-

André sospirò, dandogli un pezzo di carta.

-Speriamo che sia bella osè- disse il vigile, prima di sbottare un elegantissimo- e questo che cazzo è?-

-Numeri, come puoi vedere- rispose impassibile il moro dagli occhi verdi- per la precisione, la targa del bolide di Camille.-

-E che ci dovrei fare, scusa?- chiese l'altro.

André alzò le spalle. -Mi pare che tu ti occupi del traffico...non dovrebbe essere difficile per te.-rispose imperturbabile.

 

 

Non dovrebbe essere difficile gli aveva detto.

Alain si passò una mano sulla fronte. Miseria ladra, altro che difficile! Quello era un incarico quasi da 007. -Sono stato un'idiota a tirare così la corda con André- disse, mentre il foglio tra le mani continuava a ricordargli la fesseria appena compiuta.

Non avrebbe mai dovuto fare tanto lo spiritoso, soprattutto conoscendo la spaventosa capacità mnemonica di Grandier, una qualità che molti sottovalutavano, ingannati dall'aspetto dimesso che questi sfoggiava. De Soisson non si era mai lasciato fregare...salvo rari casi come quello appena avvenuo. Ora però era tardi per rimangiarsi la parola ed avrebbe dovuto pagarne le spese.

O almeno così pensava, mentre camminava ciondolando verso la stazione di polizia.

-Agente De Soisson!-esclamò improvvisamente una voce vagamente stridula.

Il vigile si bloccò. Anche questo, deve capitarmi! si disse, vedendo la sagoma grassa dell'uomo di fronte a sè. -Comandi, signore!- rispose, ormai abituato a quel tono e al fischio che quello stridio gli procurava.

-Agente!-esclamò di nuovo, venendogli incontro- Dannata testa di legno che non è altro...dove diavolo era?-

Alain se lo vide di fronte. Basso e sovrappeso, abbastanza per i suoi 2 metri, De Bouillet era considerato una leggenda negli anni 70, malgrado si fosse distinto per azioni non sempre ortodosse. Non ne aveva una grande simpatia, soprattutto perché aveva partecipato negli anni 70 alla contestazione nelle scuole...per metterle a tacere.

Non potevano che essere assolutamente incompatibili.

De Bouillet era basso, lui era alto.

L'altro era di destra, lui era erede della più pura e sincera tradizione della sinistra.

De Bouillet ascoltava le gerarchie, lui se ne fregava, mirando a rispettare la legge.

Non potevano essere più diversi di così e sicuramente non si sarebbero mai guardati, se non fosse stato per un particolare... e cioé che il primo era il capo e Alain il sottoposto.

Questo era un dettaglio che il vigile aveva digerito piuttosto malvolentieri...ma ormai ci aveva fatto l'abitudine. -Ho diretto il traffico come stabilito dal turno, signore.-rispose, ligio al dovere.

-Sempre a fare il simpatico, quando la smetterete?-domandò De Bouillet.

Alain subodorò il pericolo. -Scusi signore.-rispose, tentando di recitare un tono afflitto. Aveva perfezionato un modo tutto suo per fingere rimorso ma era anche consapevole che una simile mossa era controproducente per il suo apparato gastrico. Sapeva benissimo a cosa alludeva...ma fece comunque il finto tonto. Per non dargli soddisfazione, questa era la verità.

-Aaah, davvero, io non so cosa fare con lei! L'ultima volta ho dovuto risolvere l'equivoco che aveva portato un membro della giunta comunale perché, equivocando, ha fatto una multa non autorizzata e poi...e poi ho perso il conto. Le sue azioni scriteriate hanno rischiato di mettere in ridicolo il corpo dei vigili.- disse, interrompendo la sua predica - Ora però non ho tempo da perdere. E'inutile combattere i mulini a vento.-

Alain lo guardò andarsene, un po'imbambolato.

Gli era sembrato strano che il suo superiore avesse mollato la presa così velocemente, come gli era parso altrettanto insolito che non avesse prolungato il suo predicozzo fino alla fine dei tempi. Che abbia litigato con sua moglie?si ritrovò a pensare, mentre andava in ufficio. In caserma girava voce che la signora De Bouillet fosse una donna tirannica e autoritaria e che , in sua compagnia, il suo superiore diventava praticamente un agnellino. Comunque vadano le cose, ci vado di mezzo sempre io si disse, scrollando il capo.

-Oh Alain!- esclamò un uomo basso e dal viso rubicondo.

-Marcel- salutò questi- mi sai dire che gli è preso al commissario?-

Questi si ritrovò a sbuffare. -Pare che ci siano nuovi movimenti in città...-disse sibillino.

Il guascone non commentò. Sapeva bene che, pur essendo un vigile, il suo reparto era comunque interessato alle indagini poliziesche. Compiti marginali e monotoni, come  bloccare il traffico. Nulla di particolarmente rischioso, anche se doveva ammettere che una simile posizione lo annoiava un po'. -Immagino che tocchi a noi ricevere la sua stizza- commentò serafico.

-Esatto- rispose Marcel-gira voce che ci sia qualcosa di nuovo nell'aria ma noi siamo esterni. Ad ogni modo, ora ti aspettano quattro ore di straordinari in ufficio.-

-QUATTRO!-esclamò il gigante, strozzandosi con la sua saliva- Dannazione, ho sgobbato come un mulo nel traffico, facendomi il mazzo nelle ore di punta...perché diavolo...-

-Il turno, Alain. Oggi Armand ha ricevuto la chiamata dall'ospedale. Sua moglie è entrata in travaglio.-rispose.

 

 

 

 

Giuda Ballerino! Proprio oggi Annette doveva partorire? Proprio oggi che c'era la partita del Paris Saint Germain...dannazione, aveva ragione mio zio Claude. Le donne hanno la tempistica di un diavolo! pensava, mentre  scriveva i testi ed i fascicoli da compilare. Armand si occupava della parte d'archivio, uno dei settori più sedentari e noiosi del dipartimento...e Alain odiava stare fermo.

Era più forte di lui. Istintivamente si avviò verso il computer. Mi conviene mettermi al lavoro si disse, prendendo in mano il foglio. Considerando le noiose ore che lo attendevano, tanto valeva avvantaggiarsi nel favore nei confronti di Grandier.

 

 

 

 

André batteva seccamente la penna contro il piccolo vaso sulla scrivania. Non sapeva quanto fosse opportuno fidarsi di De Soisson. Sarebbe riuscito a trovare Camille? Avrebbe finalmente messo fine a quella caccia? A quella domanda, non sapeva quale risposta dare.

La ricerca di lei era ormai diventato un chiodo fisso, che non riusciva a togliersi dalla mente.

Non sembrava comunque l'unico.

La signorina De Jarjayes pareva avere la testa tra le nuvole, malgrado il suo lavoro non ne avesse minimamente resentito. Continuava a prendere appunti e a fare le ordinazioni da lui emesse, senza sbagliare un colpo, perennemente avvolta da quel tailleur anni 40 grigio antracite.

Chissà come fa fu il pensiero dell'imprenditore, guardandola con un filo d'invidia. -Mademoiselle De Jarjayes- disse improvvisamente, facendo voltare verso di lui le spesse lenti della montatura vintage che era solita portare. Chissà come fa a vedere con quei fondi di bottiglia...io non ci riuscirei mai pensò, guardandola pensieroso.

-Monsieur.-fece.

-Cosa posso fare per lei?-chiese.

-Ho ricevuto la telefonata del consiglio d'amministrazione. Hanno chiesto di lei, due minuti fa ma non ho potuto informarla subito. Il suo telefono non era raggiungibile.-disse, studiandolo da dietro le lenti spesse.

-Urgente, ha detto?-domandò di nuovo.

La segretaria annuì.

 

 

 

 

 

André raggiunse a passo di marcia l'ufficio, posto all'ultimo piano dell'edificio. -Spero che abbiate una buona ragione per avermi fatto venire fin qui-disse, entrando dentro.

Tutti i vecchi collaboratori di suo padre erano riuniti al suo interno, capeggiati da De Bouillet. -Signore, dobbiamo discutere delle ultime entrate dovute alla vendita di quei prodotti.-disse, porgendogli alcuni fogli.

-Immagino che vi riferiate al prodotto K398H, destinato all'ottica di consumo, non è così?-chiese, fissando il foglio ed aggrottando la fronte di conseguenza.-Cosa significa tutto ciò?-domandò.

De Bouillet incrociò le braccia. -Da quattro anni stiamo osservando una fuga d'informazioni. I prodotti venduti presentano somiglianze con altri beni venduti sul mercato, malgrado l'anticipo ci abbia finora messo al riparo da ogni accusa di spionaggio industriale.- spiegò- Il problema è che adesso le cose sono peggiorate. L'anticipo si sta facendo sempre più risibile e noi rischiamo una causa che può farci finire sul lastrico.-

Grandier incassò la notizia.

Era peggio di quanto pensava. -Quindi cosa deducete?-domandò.

-Pensiamo che ci sia una talpa. Le somiglianze sono troppo evidenti per non far supporre una cosa del genere.-rispose uno degli anziani collaboratori di Grandier senior.

-Dunque la faccenda si è aggravata. Perché non mi avete informato?-domandò l'imprenditore, dominando i sentimenti che la notizia avevano scatenato in lui.

De Bouillet sospirò. -Volevamo avere la sicurezza che vi fosse effettivamente una talpa...e abbiamo provato fino all'ultimo a credere il contrario. Gli archivi non sono stati violati da manovre di aggiramento né da forzature. I codici di accesso sono rimasti perfettamente al loro posto, quindi la soluzione è una sola. Chi ha spifferato le informazioni, riducendo le entrate previste dalla vendita dei prodotti, è interno all'azienda.- spiegò, fissandolo gravemente -Dobbiamo trovare la talpa, signore, prima di avere perdite considerevoli. Non possiamo aspettare oltre.-

 

Bene, questo nuovo capitolo è di passaggio. Mi auguro che piaccia e che non sia troppo frettoloso. Mi auguro che in questo tempo così sfortunato, questo piccolo pezzo sollevi un po'dalla situazione drammatica con cui è iniziato questo 2015. Ci sarà un po'di movimento in questa fic e spero di trovare il tempo.  Scusate il ritardo ma spero che non ci siano strafalcioni.

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