Come utilizzare la biblioteca nella maniera più sbagliata in questo mondo ed essere felici

di Mikirise
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** E te ne accorgi solo adesso, Pips? ***
Capitolo 2: *** Mijo, il fatto è che hai preso tutto da tuo padre ***
Capitolo 3: *** Le avventure di una quercia ***
Capitolo 4: *** Sapresti fare il lavoro di Leo? ***
Capitolo 5: *** La prova del nove, che Leo non sa più fare ***
Capitolo 6: *** No, no, no, non hai capito. Sono io il fratello maggiore, non tu! ***
Capitolo 7: *** Non sei un investigatore segreto e se lo fossi faresti schifo ***
Capitolo 8: *** Dovresti saperlo che l'orgoglio è uno dei sette peccati capitali ***
Capitolo 9: *** Fogli, testa e cigni-gru, non ho dimenticato niente, mi piaci tu ***
Capitolo 10: *** Non pensare di essere speciale ***



Capitolo 1
*** E te ne accorgi solo adesso, Pips? ***


Come utilizzare una biblioteca nella maniera più sbagliata in questo mondo, ed essere felici

Ossia di quando Leo scoprì dei retroscena della vita di tutti che non avrebbe mai, mai, proprio mai, confessato a Piper

Capitolo uno: E ci arrivi solo adesso, Pips?




Alle mie sorelline, che amano Leo Valdez, che mi rassicurano durante i miei deliri, che squittiscono tutte le volte che qualcosa le emoziona.



Ora.

Piper non pensava che sua madre fosse stupida, o qualcosa del genere. Per niente.

Piper non pensava, per carità, che sua madre fosse un'idiota analfabeta incapace di comprendere metafore ed allusioni in un libro.

C'erano momenti, ok, in cui Afrodite esordiva con frasi superficiali, fuori luogo ed assurdamente invasive -come quando aveva chiesto ad Hazel per quale motivo avesse una carnagione così differente da suo fratello Nico, mentre Piper sbatteva la testa al muro e Leo gridava fosse tutta colpa del gelato che il signor Ade mangiava mentre era incinto di loro-, ma la ragazza conosceva abbastanza bene sua madre da poter dire che non solo era una donna intelligente e ben istruita, ma era anche così furba da captare dettagli ed informazioni in pochissimo tempo su un argomento che l'interessava.

Quindi, sì, Piper aveva una grossa considerazione della madre, in un certo senso. Riconosceva la bellezza e l'intelligenza di lei. Anche la cultura, certo, visto che i suoi nonni avevano speso in Afrodite oro ed argento, perché conoscesse tutti i tipi di culture e potesse recitare senza alcun accento od esitazione il Romanzo della Rosa in originale -non per niente, ma Piper aveva imparato a parlare francese dalla mamma, che le leggeva le favole nella lingua neoromanza-, ma… ma, perdinci!, Afrodite non era il tipo di persona che finisce per fare la bibliotecaria!

In fondo, su, tutti abbiamo in mente la bibliotecaria-tipo.

Le bibliotecarie o sono quelle dolci signore, con il viso paffuto, che, davanti ad un computer, si fanno in quattro per trovare il libro che stavi cercando, per poi rimanere ore ed ore incantate a parlare di letteratura, intrappolandoti in un vortice di metafore sulla vita quando tu volevi soltanto riconsegnare un libro -aggiungiamo anche: oltre il giorno di scadenza. Non si è mai così affidabili nelle scadenze, no?- e tornartene a casa, o sono quelle vecchiette scorbutiche che ti fissano con occhi di ghiaccio, aspettando che tu apra la bocca per starnutire, per intimarti di tacere -piccolo teppistello, aggiungiamolo: le vecchiette dicono sempre piccolo teppistello alla fine di una frase-.

Afrodite non era così.

Jason non si era espresso al riguardo, ma secondo Leo quella donna era più la vicina sexy che i mariti del vicinato guardano di nascosto, i figli dei mariti sognano la notte e le mogli dei mariti invidiano, mentre mordono un fazzoletto per la rabbia. Poi il messicano aggiungeva “Una donna del genere poteva avere una figlia più femminile, però. E magari meno problematica. Perché non chiedi consigli sulla moda a tua madre, Pips?” e lei gli ringhiava contro, mentre lui rideva come un matto.

Insomma, Piper non poteva capire per quale motivo sua madre fosse diventata una bibliotecaria. Seriamente.

Afrodite era più una tipa da telenovelas e drammi, che da Jane Austen e Angela Carter.

Anche soltanto immaginarla seduta su una scrivania, davanti ad un computer, con un libro-mattone in mano, i suoi occhiali senza lenti sul naso, squittendo allegra a causa delle lunghe descrizioni di Dostoevskij, causava a Piper un rigetto e la sensazione che la realtà in cui viveva non fosse più la realtà.

“Ci pensi troppo su” aveva concluso Leo, facendo origami con il suo libro di matematica, seduto sul bordo della finestra della biblioteca “Tua madre è una forte. Altrimenti mio padre non avrebbe mai voluto sposarla” il ragazzo sorrise al pensiero di suo padre corteggiando senza speranza la madre di Piper “Saremmo potuti essere fratelli” rise provocatorio poi, lanciando un cigno di carta fuori dalla finestra.

In quel momento si alzò una brezza leggera ed il cigno prese a volare in circolo, cadendo sull'erba circostante la biblioteca, accanto ad una ragazza castana, che leggeva un piccolissimo romanzo sotto la luce del sole.

Non appena il cigno sfiorò le dita della ragazza, Leo si buttò sul tavolo su cui Piper stava facendo gli esercizi di matematica, rosso in viso e piuttosto agitato.

“Avere un fratello come te non mi sembra un granché” sbuffò lei, sfilando da sotto il petto del ragazzo il libro di matematica.

Leo sorrise imbarazzato e lanciò una breve occhiata agli esercizi da svolgere “Ci vuole niente” disse a mo' di scuse, sedendosi sulla sedia accanto a quella della ragazza ed indicando la figura di un triangolo rettangolo sul libro “Devi semplicemente trovare il seno di gamma, usando la formula inversa dell'ipotenusa. Così facendo dovresti avere tutti gli elementi per trovare l'arcoseno di gamma per poi trasformarlo in radianti ed avere il risultato. Oppure, strada più semplice, prendi l'angolo alfa, di 90 gradi, e l'angolo beta, 37, e fai 90 meno 37. Il risultato dovrebbe essere lo stesso. Matematica. Semplice, lineare, meccanica, con più modi per arrivare ad un risultato” concluse con un sorriso trionfante, appoggiando i piedi sul tavolo e sospirando soddisfatto.

Piper non aveva capito un accidenti della spiegazione di Leo, ma poco le importava in quel momento.

Studiò la faccia del suo amico, fece roteare la sua matita fra le dita e chiese “Ti stai chiedendo perché le persone non sono semplici come la matematica?” per Piper la matematica non era semplice; era complicata e senza alcun fondamento, ma aveva imparato ad entrare nei termini di ragionamento di Leo, anche se molte volte non li condivideva.

“Mi conosci da troppo tempo, per dirti che ti sbagli” sorrise il messicano, mentre piegava un altro pezzo di carta, perché prendesse la forma di un altro cigno.



●◇●◇



Annabeth aveva sedici anni, fisicamente parlando. Puntualizziamo fisicamente parlando perché dai suoi ragionamenti e vaneggiamenti filosofici dimostrava almeno sessanta noiosi e vissuti anni. Ed il fatto che fosse vecchia dentro era scientificamente provato.

Per prima cosa Annabeth Chase amava genuinamente leggere, nonostante la sua iperattività. Le sue letture, poi, erano della pesantezza di Anna Karerina e La grande Illusione, che non la portavano in cima alla lista delle persone con cui parlare se sei un sedicenne superficiale di un piccolo paesino degli Stati Uniti d'America. E già questo non la portava nel top della lista delle ragazze più popolari del liceo.

Annabeth, poi, era fissata con l'architettura. Passeggiava per le strade della sua città con un block notes ed una matita, si fermava davanti ad una casa a caso ed iniziava ad annuire, disegnando qualcosa e commentando i suoi disegni ad alta voce, come se stesse parlando con qualcuno. È interessante scoprire che due sole persone le risposero durante uno dei suoi solitari colloqui sull'architettura: una volta, a dodici anni, Percy Jackson che rispose alla solitaria domanda "Pianta quadrata irregolare?” con un “No, preferisco la pizza, grazie”, per poi correre sul suo skateboard e gridare “Problemi, Ragazza Saggia?”, con un sorriso insolente e provocatorio. La seconda persona che gli rispose, ai suoi quindici anni, le disse “Sarebbe forte anche incrementare la luce del sole creando una finestra sul lato superiore della casa. Ci vorrebbe un vetro più spesso, certo, ed anche una base solida per essere sicuri che tutto non crolli, ma spostando il muro più in qua e dando maggior stabilità al vetro, si creerebbe un capolavoro architettonico”. Leo Valdez, quattordici anni, le sorrideva, mostrando tutti i denti ed assottigliando le fessure degli occhi. Fu un modo piuttosto bizzarro d'iniziare un'amicizia, e forse non era neanche la migliore amicizia che Annabeth avesse dovuto fare -per vivere in pace, s'intenda-.

Leo era impopolare come lei, isolato dalle sue strane manie e dal suo sarcasmo. Ed era la migliore amicizia che Annabeth avesse mai voluto fare. Nonché la terza ragione per cui lei continuava ad essere felicemente impopolare e sfigata.

La quarta ragione, poi, era quella che la faceva odiare da ogni singola ragazza del suo paesino.

Usciva con Percy Jackson, suo portatore di guai personale.

Non erano in poche a chiedersi come una ragazza del genere fosse finita in coppia con un ragazzo come Percy Jackson, infantile, istintivo e piuttosto insolente. Insomma, non che Percy fosse il ragazzo più popolare ed ambito di tutti, ma… secondo le credenze popolari del paese, il ragazzo poteva ambire a molto meglio, visto che nella scala sociale da Dio del Paese a Nullità, lui era un Nobil Ragazzo e lei un Meno Di Una Nullità alla meno 34, grado raggiunto, oltre che da lei, solo dal povero piccolo Leo, che trovava rassicurante il fatto che la sua amica fosse riuscita ad uscire con Percy, un po' perché, beh, era sua amica e Percy era veramente un bravo ragazzo, un po' perché questo voleva dire che, forse, anche lui aveva una speranza con una ragazza di un grado superiore.

Dava il tormento a Jason, sostenendo che, se quelli erano gli ordini della vita a New Olympus -nome della stramba e peculiare città dove si trovavano-, allora probabilmente sarebbe stato suo cognato, un giorno, visto che aveva una cotta da sempre per sua sorella maggiore, Thalia Grace. Jason, dal canto suo, annuiva ai vaneggiamenti dell'amico, mormorando che, messa in quel modo, Leo Valdez si sarebbe dovuto sposare anche con Chione, o con Hazel, o con qualunque altra ragazza del paesino che l'aveva rifiutato almeno una volta nella vita, che era una lunga lista. Una lunghissima lista.

Annabeth trovava questi pensieri piuttosto irritanti ed infantili, per questo staccava il cervello tutte le volte che Leo iniziava a lamentarsi teatralmente del fatto che non fosse giusto che lei avesse un ragazzo e lui non avesse una ragazza.

Però, quando Piper si gettò stancamente sulla sedia accanto alla sua, seguita da un Leo sovrappensiero, e le chiese come avesse fatto a decidere di parlare a Percy, conoscerlo e poi innamorarcisi, la bionda alzò gli occhi dal suo libro, incrociò gli occhi policromatici dell'amica e sorrise al ricordo.

“Gli ho buttato un libro in testa” disse, alzando le spalle con un sorriso. Osservò l'espressione poco sorpresa di Leo, che giocherellava distratto con una matita, mentre Piper alzava un sopracciglio ed apriva la bocca in maniera molto poco elegante "Oh, sì" continuò annuendo "Me lo ricordo come se fosse ieri. Ero venuta in biblioteca per leggere in pace un romanzo, forse Piccole Donne, perché, sapete, a casa mia non si può stare in pace cinque secondi prima che quelle pesti combinino qualcosa di distruttivo. E certamente Leo non aiuta dando loro idee come quella di modificare le biciclette..."

"Sarebbero state le bici più belle del mondo. Con un motore ad acqua, rifiniture in bronzo e porta-patatine incorporato" brontolò il ragazzo, tenendo la matita tra il labbro superiore ed il naso "Guastafeste"

"Comunque" riprese la ragazza, facendo un gesto con la mano, per scacciare le lamentele di Leo "Stavo leggendo tranquillamente, quando è arrivato questo ragazzino moro, che guardava annoiato gli scaffali. Non che stessi guardando Percy, eh, solo che era difficile vederlo in luoghi come questi. Lui non è tipo da biblioteca" Annabeth fece cenno con la testa verso un tavolo accanto alla finestra, nell'area Letteratura per Bambini, in cui il suo fidanzato ronfava beatamente, sbavando sulla sua maglietta azzurra e dando il tormento a Jason, che cercava di svegliarlo, visto che aveva deciso di usare il suo libro Il mio nome è Nessuno, come cuscino "Sapete bene che ai tempi Percy era sinonimo di tormento per me e cercavo di stargli alla larga il più possibile. Ma successe una cosa strana. Una serie di coincidenze, penso. Quel giorno Percy era in bilioteca, io ero piuttosto irritata con i miei fratellastri e mi sembrò di aver sentito la voce di uno di loro. Casualmente la voce proveniva proprio da Percy. Io mi mossi in automatico e tirai il libro che avevo in mano verso Percy, e lo colpì esattamente qui, "indicò con il dito la fronte "penso gli sia rimasto il segno. Altra cosa strana, tua madre era lì, Piper, come se si aspettasse una cosa del genere. Iniziò a gridare che Percy poteva andare all'ospedale, che poteva essere morto, o diventato più stupido di quello che già era. Aggiunse poi che chiunque avesse fatto quello al povero Percy, avrebbe pagato non potendo più entrare nella sua biblioteca. Capisci che stavo sudando freddo e mi ero fermata a metà strada tral tavolo in cui ero seduta e Percy. Ricordo che Percy mi guardò e disse ad Afrodite che era inciampato ed era andato a sbattere sullo spigolo di un tavolo. Il che era ridicolo, visto che il tavolo più vicino a Percy in quel momento era a tre metri da lui, ma tua madre ci credette ed io ero in debito con Percy. Per questo gli parlai per la prima volta, per ringraziarlo e poi, beh, il resto penso che sia di pubblico dominio"

Piper sorrise dolcemente e pensò a quanto fosse possibile comunicare il proprio amore con il solo uso della grammatica.

Annabeth magari non era quel tipo di ragazza che amava le effusioni pubbliche, non diceva ad alta voce cose troppo sdolcinate, il massimo a cui era arrivata era un bacio sulla guancia al suo ragazzo, davanti al loro gruppo di amici. Eppure il suo amore le era chiaro, perché tutte le volte che poteva, in ogni frase, Annabeth non perdeva occasione di ripetere Percy -con quella speciale flessione della voce e quel sorriso soppresso sulle labbra-, nonostante le ripetizioni grammaticali, come se ignorasse completamente i pronomi personali, o, meglio, come se un semplice pronome personale -per quanto personale potesse essere- non potesse esprimere l'essenza di Percy e tutto quello che lui significava per lei.

Piper stava per far notare questo dettaglio squisitamente orale e colloquiale, ma fu fermata dalla matita di Annabeth, che aveva in mano Leo, caduta sul legno del tavolo e dall'espressione pensierosa del ragazzo che chiese alla bionda "Sicura? Cioè, aspetta. Voi avete iniziato a parlare a causa di Afrodite?"

Annabeth aggrottò la fronte ed assottigliò lo sguardo "Beh" disse scuotendo la testa "io direi per una serie di coincidenze"

Leo annuì pensieroso, poi sorrise verso le amiche e disse "Mi conviene, allora andare a tirare libri in testa alla gente!", prese a girare sulla sua sedia "Dirò a Nico di andare a caccia di ragazze. Libri in mano e cerotti in tasca!"

"Oppure potresti chiedere ad Afrodite da farti da consulente amorosa" esclamò sarcasticamente la bionda, riprendendosi la sua matita e facendola ballonzolare tra l'indice ed il medio.

Leo le sorrise e si alzò dalla sua sedia, con un gesto plateale "Sei un genio, Annabeth Chase!" per poi correre verso l'ufficio della madre di Piper, senza neanche salutarle.

Piper alzò un sopracciglio, mentre guardava il moro correre felicemente per la biblioteca, con la sua cintura da meccanico sempre dietro. Lo vide rallentare solo quando incrociò la strada con una ragazza coi capelli color cannella e gridò a squarciagola "Togliti, Raggio di Sole!"

La ragazza si spostò velocemente, per poi gridare contro il ragazzo qualcosa come Omuncolo Maleducato.

Piper non pensò che tutto ciò fosse importante. Semplicemente si girò verso Annabeth, appoggiò la sua guancia su una mano, sospirò e si chiese se seriamente il suo migliore amico volesse andare a chiedere aiuto sentimentale a sua madre. Per un millisecondo si sentì offesa, visto che Leo poteva semplicemente chiedere aiuto a lei, la sua migliore amica, la sua prima vera amica, l'unica che lo sopportava in classe, escluso Jason e... Piper spostò lo sguardo verso Jason che punzecchiava la testa mora di Percy con la matita, mentre l'altro dormiva incurante di tutto e tutti.

Eh, già, hai ragione Leo. Come puoi chiedere aiuto a qualcuno che ha, più o meno, il tuo stesso problema? Sarebbe da idioti, praticamente un modo per rimanere incastrato in un circolo dove nessuno dei due trova la soluzione, e...

No, aspetta Piper McLean. Se tu e Leo Valdez siete nella stessa situazione vuol dire che... "Oh, perbacco!" esclamò la ragazza "Leo è innamorato di una ragazza! Una vera ragazza! Una che conosce! che è sua amica!"

Annabeth ruotò gli occhi, girando i palmi verso il cielo in un gesto disperato "E ci arrivi solo adesso?"

"Gli si spezzerà il cuore. Cavolo, andrà in cortocircuito, come le sue macchine"

"Parti dal presupposto che sarà rifiutato?"

"Non è quello che succede sempre?"

Annabeth si morse l'interno della guancia. Ruotò la matita tra le sue mani ed abbassò la testa sui suoi libri "È già stato rifiutato" disse tra sé e sé.

◇◆◇◆


La donna arricciò le labbra, puntando i gomiti sulla scrivania e poggiando il mento sul dorso delle mani "Quindi questa è la tua richiesta" annuì divertita "Thalia Grace. Grossa sfida"

"Troppo grossa?" chiese insicuro il ragazzo, seduto davanti a lei, muovendosi a disagio sulla sua sedia di legno.

"Leo Valdez. Leo, Leo, Leo" scosse la testa lei "Qual è il mio nome?"

Doveva essere una domanda retorica, ma il ragazzo strizzò gli occhi, cercando di rispondere "Signora Mamma di Pips?" disse infine, muovendo le mani in circolo ed orizzontalmente, con un sorriso tirato.

"Afrodite" scosse la testa la donna "E da dove viene il nome?"

"Dall'Africa?"

"Dalla dea dell'amore, Leo. Stavi scherzando, vero?"

Leo fece spallucce, abbandonando la schiena contro la sedia e sorridendo "Forse. Mi aiuterà?"

"Ti ha già rifiutato"

"Un paio di volte" ammise il ragazzo, abbassando lo sguardo.

Afrodite girò sulla sua sedia girevole, annuendo divertita. Alcune ciocche bionde, caddero sulla guancia della donna, creando un bellissimo contrasto con le labbra carnose e rosse. Lei incrociò le gambe sulla sedia, per poi riportare i suoi occhi su Leo, che la guardava con i suoi enormi occhi scuri, pregando interiormente che lei avesse la risposta a tutti i suoi problemi sentimentali "Potresti... potresti... oh, sarebbe divertente" mormorò Afrodite con un enorme sorriso, che tutto sembrava fuorché rassicurante "Sai che Eros è partito per andare al college e, ovviamente, sono rimasta sola in quest'enorme e bellissima biblioteca e, sai, avrei bisogno di un aiutino. Avrei chiesto a Piper ma lei... lei ancora non può capire, sembra non voler accettare completamente l'idea di essere mia figlia e... ma questo non conta. Ho bisogno di una mano. Qualcuno che..."

"Avviti le lampadine?" chiese Leo, grattandosi la guancia abbronzata, anche perché poco comprendeva cosa potesse fare lui che Pips non potesse fare. L'unico campo in cui lui superava l'amica era nella meccanica. Ma a cosa poteva servire un meccanico in una biblioteca?

"Anche" annuì Afrodite "Dovresti venire qui subito dopo scuola e passare qualche ora ad aiutarmi. Perché il lavoro del bibliotecario non è dare solo libri"

"Li rimette anche nei suoi scaffali?"

La donna lo zittì con un gesto della mano "Aiutare le persone". Gli occhi della donna si posarono su qualcuno dietro le spalle di Leo e sorrise tristemente "Hai il cuore spezzato, Leo?"

Che domanda strana. Come avrebbe dovuto rispondere?

"Beh, spezzato. Non esageriamo. È più spiaccicato contro la strada, per colpa di un trattore. Ma per il resto sta bene. Cioè pompa sangue e tutto il resto e..." disse lui, dando così tanta emozione alle sue parole da risultare teatrale e quindi falso. Eppure stava dicendo la verità. Era un trucco che aveva imparato qualche anno prima. Lo aiutava a non sentirsi un bugiardo, ma, allo stesso tempo, a rimanere protetto dal suo velo di sarcasmo ed ironia. Adorava quelle sue risposte.

Afrodite rise, per poi annuire e pizzicare le guance del ragazzo "Non sei l'unico mio caro. Allora, accetti?"

Leo si morse il labbro, indeciso "E lei mi aiuterà a conquistare Thalia?"

La donna rise e la sua risata si espanse per tutta la stanza, come una canzone armoniosa, che vorresti continuare ad ascoltare ed ascoltare ed ascoltare "Quando avrai finito di lavorare per me, sta sicuro che non avrai più problemi amorosi"

"È una risposta molto vaga" tentennò il ragazzo.

"Prendere o lasciare" ribattè Afrodite.

Leo si morse l'unghia del dito pollice, valutando attentamente le parole della donna "Ci sto" disse infine, annuendo.

Afrodite sorrise intenerita e gli disse che, il giorno dopo, lo voleva rivedere ripulito e pettinato, come lo era suo figlio Eros pochi mesi prima.




 

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Capitolo 2
*** Mijo, il fatto è che hai preso tutto da tuo padre ***


Come utilizzare la biblioteca nella maniera più sbagliata in questo mondo ed essere felici

Ossia di quando Leo scoprì dei retroscena della vita di tutti che non avrebbe mai, mai, proprio mai confessato a Piper

Capitolo Due: Mijo, il fatto è che hai preso tutto da tuo padre




Alle mie sorelline, che amano Leo Valdez, che mi rassicurano durante i miei deliri, che squittiscono tutte le volte che qualcosa le emoziona.



Leo ricordava sempre a Piper che sarebbero potuti essere fratelli.

Non perché adorasse Afrodite, no, no. Anzi, adesso che lavorava per lei si rendeva conto di quanto quella donna potesse essere prepotente e superficiale, e si chiedeva come fosse possibile che Piper fosse così differente dalla madre.

Lo faceva per motivi molto semplici.

Per primo perché Piper era diventata sua amica proprio per dar fastidio a sua madre, che diceva di poter rivedere negli occhi vivaci del ragazzo gli stessi scintillii negli occhi del padre. Come se dentro di loro bruciasse fuoco, fuoco vivo, che fa male.

Il secondo motivo era che si divertiva terribilmente ad immaginare suo padre cercare di corteggiare una donna come Afrodite, che di uomini ne poteva avere a bizzeffe, più affascinanti, più ricchi, più divertenti, più... no, più intelligenti no. Leo riconosceva che suo padre, piccolino, bruttino e freddo, era l'uomo più intelligente e creativo che avesse mai incontrato. Ma ciò non toglieva che era un uomo perfettamente incapace di dimostrare affetto, amore, interesse...insomma, una volta, a Natale, dopo aver regalato la cintura per gli attrezzi a Leo -cintura che portava sempre con sé ed amava con tutto se stesso-, davanti allo sguardo stupito e felice del ragazzino era scoppiato in un "Eh, no! Se ti metti a piangere mi riprendo tutto!", che fu molto meglio della pacca imbarazzata sulla spalla ed il "Bel motore" durante la Fiera della Scienza, quella che Leo non vinse perché il suo motore andò in panne e se non fosse stato per il progetto di Percy -secchi d'acqua che dovevano creare un orologio ad acqua, forse. In realtà sembravano essere stati portati per caso, ed infatti era così. Percy aveva dimenticato Fiera e Progetto-, avrebbe dato fuoco alla scuola.

No, Efesto non era fatto per effusioni romantiche, smancerie e corteggiamenti. E cosa si era inventato per corteggiare Afrodite?

Le donava circuiti? Pezzi d'auto? Inventava per lei scudi riflettenti? O si nascondeva dietro il muretto di casa sua, spiandola nel buio, come farebbe uno stalker?

Efesto non gli parlava di quella fase della sua vita, anche se sua madre Esperanza diceva che nulla la poteva turbare, visto che in quel momento in cui parlavano, beh, Efesto era suo marito.

Leo aveva pochissime certezze nella vita. Una era che, se proprio si doveva sposare, voleva che sua moglie fosse anche soltanto un quarto incredibile quanto sua madre. E che lui ed Efesto erano stati fortunati. E che Efesto doveva mettersi a dieta.

"Togliti di mezzo, Omuncolo" sbuffò irritata la ragazza dai capelli cannella, spingendo rabbiosamente la scala sulla quale si trovava Leo e facendolo ballonzolare.

Il ragazzo le ringhiò contro, aggrappandosi allo scaffale per mantenere l'equilibrio e non schiantarsi a terra "Scusami se ho del lavoro da fare, eh" sbottò, infilando nella sua cintura il livellatore.

"Non ti scuso" ribattè lei, scuotendo un libro a mezz'aria con fare vagamente minaccioso "Sai per quale motivo le persone vengono in biblioteca?"

"Per il wi-fi?"

"Per il silenzio!" gridò lei, stringendo i pugni e sbattendo il piede a terra. Il rumore della sua rabbia rimbombò per tutta la stanza vuota intorno a loro, creando un leggero eco.

Leo si portò l'indice alle labbra e con uno sguardo serio abbassò il busto per arrivare occhi negli occhi con la ragazza "Raggio di Sole, fa silenzio. Non lo sai che le persone vengono qua per il silenzio?"

Il ragazzo sorrise, per poi prendere il suo cacciavite dalla cintura e riprendere a sistemare gli scaffali lenti, dando botte sul legno chiaro e poggiando l'orecchio su quello. Calypso lo guardò per qualche secondo, per poi sopprimere un urlo frustrato e buttarsi su un divanetto davanti alla finestra "Proprio qui dovevi venire?"

"Qui mi hanno mandato"

"Finirai in fretta?"

"Se non cercherai di uccidermi di nuovo"

Calypso sbuffò, si rannicchiò su divanetto, aprì il libro e si sforzò d'ignorare il messicano sulle scale. Aprì le Metamorfosi e cercò di farsi cullare dai versi di Ovidio, sorridendo, a volte, trattenendo il respiro, altre volte.

Leo, anche se non era sua intenzione, anche se avrebbe preferito continuare a lavorare senza neanche guardarla, quella snob, si riscoprì a fissarla insistentemente, ogni volta che poggiava i suoi attrezzi da lavoro.

Se non fosse stato perché quella ragazza era una musona rompiscatole, forse, avrebbe anche ammesso quanto fosse bella. Però non bella come Thalia.

Thalia era una bellezza altra, forte, rude, aggressiva, combattiva.

Calypso era più... femminile, forse? Più delicata, più bambola. Così perfetta da ricordare, a Leo, Afrodite, con i suoi capelli chiari, i suoi occhi allungati, le sue labbra rosa e la sua pelle pallida. La sua smorfia di disgusto quando gli parlava, la sua aria da so-tutto-io, la sua probabile puzza sotto il naso.

Il ragazzo alzò le spalle e riportò la sua attenzione agli scaffali da sistemare. Prima finiva, prima poteva essere sfruttato dalla mamma di Pips con altri lavoretti.

Non vedeva l'ora. Si noti il sarcasmo.

Calypso dalla sua poltrona sospirò, appoggiando il libro sulle sue ginocchia e puntando lo sguardo fuori dalla finestra, verso il giardino rosso, a causa delle foglie caduche.

Leo sbatté le palpebre e si morse il labbro, poggiando il suo cacciavite nella cintura. Gli sembrò di vedere molta malinconia nello sguardo annoiato di lei e, per qualche strana ragione, si sentiva in dovere di dire qualcosa, fare qualcosa di sciocco per riportare quella scintilla di vita negli occhi scuri di lei.

Solo due cose lo fermarono.

La prima era che, dai, cosa poteva fare per una ragazza a cui stava antipatico? E, aggiungiamo, che gli stava antipatica. Sarebbe stato divertente irritarla, non aveva dubbi ma era fermo nella convinzione che, in fondo, lui non aveva niente da condividere con lei e che, probabilmente, era meglio così.

Il secondo motivo era un po' più complicato. Leo Valdez aveva preso molti tratti fisici dalla mamma, fortunatamente: occhi scuri, capelli ricci, sorriso inseparabile dalla bocca... però aveva preso poche caratteristiche caratteriali da lei. In quanto ad essere incapace di parlare con le persone e comprenderle, aveva preso tutto da suo padre. Non a caso, Jason, il suo migliore amico, non lo aveva mai sentito dirgli "Ti voglio bene" o roba sdolcinata come quella, e nemmeno Piper. Leo si spiegava tutto ciò dicendo che era un uomo e che gli uomini non andavano in giro a lanciare fiori e dire che vogliono bene alla gente. Beh, a meno che quell'uomo non sia Grover Undewood. Lui diceva sempre a Percy quanto gli volesse bene. E tirava anche fiori alla gente. Ma lui non era un tipo normale, dai!

"Continuerai a fissarmi a lungo?" disse atona la ragazza "Vuoi una foto?" terminò senza neanche guardarlo negli occhi, o girarsi verso di lui.

"Il fatto è che hai un brufolo enorme proprio qui" indicò la guancia lui "E vorrei seriamente studiarlo. Per il bene della biologia moderna, sai?"

Calypso scattò verso di lui, in un movimento fluido e calcolato. Strisciò sotto la scala, guardò dal basso all'alto Leo, lo fulminò con lo sguardo e gli diede un pugno sul braccio, che lo fece barcollare.

Quella ragazza poteva sembrare delicata quanto voleva, ma i pugni li sapeva dare piuttosto forti. Leo si accarezzò il braccio sorridendo "Ne valeva la pena" disse, mentre osservava Calypso sbuffare ed andarsene in un'altra stanza, con passo aggraziatamente infuriato.


◇◆◇◆


"Su, sputa" Leo si buttò davanti alla ragazza con un sorriso sulle labbra ed in posa cupcake -viso poggiato sui dorsi di entrambe le mani-, che, teoricamente, doveva fare in modo che sembrasse più dolce ed adorabile di quello che in realtà era "Com'è successo, eh?"

Se Hazel fosse potuta arrossire, sarebbe arrossita fino alla punta delle orecchie. Mosse le mani a disagio, poi si carezzò il collo "C-cosa?" balbettò, spostando il suo sguardo da una parte all'altra della stanza.

"Zhang è venuto da te con aria da scimmione dicendo Io Tarzan, Tu Jane e sei caduta ai suoi piedi?" scherzò lui, poggiando il dorso della sua mano sulla fronte, con fare drammatico.

"Idiota" borbottò lei, chiudendo il suo libro e poggiando la sua penna sul tavolo "Non dovresti lavorare?"

Leo fece spallucce "Signora Africa mi ha detto che devo andare in giro a chiedere alle persone roba romantica perché la gente si sente sola e blablabla" il ragazzo alzò gli occhi al cielo, con aria schifata "Pensa che mi voleva mandare da tuo fratello. Mi sono avvicinato e Nico ha iniziato a bisbigliare roba strana in una lingua strana e, cavolaccio, sembrava starmi maledicendo e scusami tanto, Nico è tanto... emm, tanto... inquietante e caro, ma quando fa così non riesco a parlargli. Sai che mia mamma vede i fantasmi? E lui..."

Hazel lo fermò con un gesto ed uno sguardo assassino. In quel momento Leo non poté far a meno di pensare che, in effetti, qualcosina in comune ce l'avevano Nico ed Hazel "A Nico non piace essere disturbato durante le sue ore di lettura"

"E cosa legge? Come uccidere i Leo Valdez selvatici a forza di maledizioni?" il ragazzo sbuffò.

"Lo sai che a lui piacciono quei giochetti mitologici. Stava solo scherzando. In greco antico. Credo" borbottò quasi offesa lei, incrociando le braccia, imbronciata "Starà leggendo Lo scudo di Thalos. Di nuovo"

Leo sorrise pensando a quanto, in fondo, Nico fosse solo un ragazzino. Un po' inquietante, con tanta voglia di rompere le scatole, forse anche con troppe manie sull'Aldilà. E pensò che quel ragazzo aveva anche bisogno di dormire, viste le occhiaie sotto gli occhi. Ragazzini. E dire che aveva solo un anno più di lui "Devo imparare a giocare a Mitomagia, a quanto pare, almeno potrei rispondergli per le rime" rise poi.

"Faresti un piacere a tutti" sorrise la ragazza, facendo scomparire quell'aria omicida che l'avvolgeva fino a pochi secondi prima.

"Insomma, dicevamo te e Zhang" riprese l'altro l'argomento, con un sorriso innocente.

"Programma Tutor" sospirò Hazel "È stato il mio primo anno di scuola, dopo aver passato tutta la mia vita in casa, studiando quello che Persefone mi insegnava, entrata a scuola, avevo un sacco di lacune e avevo bisogno di un aiuto. Fortunatamente c'è questo programma di tutoraggio. Ho avuto numerosi tutor, ma nessuno sembrava esser fatto... per me, diciamo. Finiva sempre allo stesso modo"

"Risse in biblioteca?" rise Leo, scuotendo la testa incredulo.

Stava ovviamente scherzando, ma Hazel annuì grave, accarezzandosi la fronte imbarazzata "Il fatto è che... capisci che Nico è stato per molto tempo il mio unico contatto umano. Quando mi ha trovato... e poi mi ha riportato a casa, da nostro padre... anche se capisco che non è esattamente la persona più accessibile in questo mondo, non ho mai accettato che qualcuno potesse dire qualcosa di... cattivo su di lui, ecco" spiegò, affondando il viso tra le sue mani.

"Aspetta. Vuol dire che pochi secondi fa stavi per prendermi a calci?" chiese Leo incredulo "Cosa facevi? Li... li mordevi fino a farli sanguinare?"

"A volte"

"Stai iniziando a farmi paura, ragazza"

"La maggior parte delle volte non andavano neanche all'ospedale!"

"L-la maggior parte?"

"Un giorno Afrodite è arrivata con Frank al suo fianco e mi dice Questo è quello giusto. Alla fine aveva ragione. Frank è stato così goffamente gentile da aiutarmi e diventare mio amico. È stato l'unico a cercare di parlare con mio fratello... sai che a volte giocano a Mitomagia insieme? È incredibile pensare che Nico possa sorridere così tanto quando gioca, lui è... Frank è stato fantastico, sia con lui che con me. È stata la sua gentilezza a farmi innamorare e, no, Valdez, niente Tarzan e Jane. Sono stata io a chiedergli di stare con me. E adesso sono felice. Davvero" finì la ragazza, con un sorriso sulle labbra e lo sguardo sognante.

Leo si sentì vagamente imvidioso di lei, ma non disse niente. Pensò, comunque, che due delle due storie che aveva sentito dai suoi amici, iniziavano nella biblioteca Columba, con una Afrodite che spuntava dagli scaffali con un sorriso a trentadue denti.

Coincidenze, Valdez, pure e semplici coincidenze.

"Hazel" chiamò in un sussurro "lo sai, vero, che in questa biblioteca non esiste un Programma Tutor?"

Hazel aggrottò le sopracciglia e sbatté velocemente le palpebre "Leo, non scherzare" rise, poi, dando una pacca sulla spalla del ragazzo.

Leo sorrise. Ma non stava scherzando.


◇◆◇◆

"D'accordo" sorrise condicendente Afrodite "Le Metamorfosi di Ovidio. Di solito non prendi i libri in prestito. È successo qualcosa?" continuò senza guardare la ragazza negli occhi, troppo concentrata cliccando roba a caso sullo schermo del computer, senza capirci niente.

Calypso sbuffò irritata, roteando gli occhi "Valdez mi è capitato. Sta in giro per la biblioteca per tutto il giorno, facendo rumore, martellando, facendo battutine squallide e infestando l'aria con la sua sola presenza. Ecco cosa mi è capitato. Valdez" ed ancora non lo chiamava per nome. Valdez non è il mio nome, aveva sbuffato trai denti lui, mi chiamo Leo, non Omuncolo, non Valdez. Forse continuava a chiamarlo in quel modo semplicemente per dargli fastidio. In fondo, lui non faceva altro se non darle fastidio. Tanto fastidio. Quell'Omuncolo.

"È un tipo simpatico, alla fine, eh?" punzecchiò la donna, lasciando il mouse e sorridendo dolcemente "Un tipo non male, nonostante i suoi genitori, non pensi?"

"Non male?" borbottò la ragazza mordendosi le labbra "È il tizio più fastidioso che io abbia mai conosciuto. La persona meno intelligente esistente in questa stupida, noiosa ed isolata città da due soldi" Calypso alzò la mano verso la finestra, con un gesto molto elegante, indicando le case colorate che accerchiavano l'edificio. Nelle sue parole molta rabbia e rancore, ma Afrodite non ci fece molto caso e scosse la testa, come se stesse ascoltando una canzone.

"Che non hai ancora abbandonato, Calypso. Non è da quando avevi cinque anni che sogni di andartene?" continuò Afrodite con indifferenza, scuotendo la testa "Eppure ancora non vai a scuola. Sei isolata. Respingi il mondo sperando che poi lui non respinga te. Un modo piuttosto stupido di andare avanti, non trovi? Rimani sotto l'ala protettiva di tuo padre, incontri ragazzi e non hai neanche il coraggio di lottare per loro, per il tuo amore, ma" la donna alzò il dito ed anche la sua voce, per sottolineare la propria convinzione "se con gli altri ragazzi che hai incontrato hai semplicemente sospirato, guardandoli da lontano, troppo intimidita dal tuo amore per loro per poter parlare veramente con loro, con il nostro piccolo dolce Leo è diverso, vero?"

"Cosa vuoi dire?" chiese irritata Calypso, stringendo i pugni.

"Ti sento parlare della tua idea di andartene via, conoscere il mondo... eppure sei ancora ferma nello stesso posto in cui ti trovavi a cinque anni. Potresti" Afrodite fermò la sua frase a metà, portando una mano davanti alle labbra rosse, come se stesse oltrepassando un limite, che però aveva oltrepassato molto tempo prima. Continuò, comunque, con un sorriso innocente e divertito "potresti usarlo, Leo, non trovi? Iniziare a conoscerlo per davvero questo mondo, aiutata da un ragazzino che lo conosce anche troppo bene. Chissà. Ma no. A te lui non piace. Già lo hai etichettato, poverino. Non pensi che, oltre all'amore, potresti conoscere, finalmente anche l'amicizia?"

Calypso prese con violenza il libro dal tavolo della donna e sbatté il piede, fasciato dolcemente da una ballerina rosa. Girò su se stessa, per andarsene via infuriata, mentre Afrodite continuava a gridarle "Me lo potresti chiamare? Non ci capisco niente di computer!"

Stupidaggini. Quella donna diceva solo stupidaggini.

Lo vide, comunque, Leo.

Stava parlando con una ragazzina coi capelli cannella come i suoi, rideva come un matto, gesticolando in continuazione. Anche la ragazzina rideva, anche se ogni tanto sbuffava irritata e lo colpiva con leggerezza sulla spalla.

"Afrodite ti chiama, Leo" lo disse a così bassa voce che nemmeno lei si sentì. Portò il libro al petto, lo strinse a sé, quasi fosse uno scudo e continuò a camminare, più velocemente possibile, cercando di arrivare alla porta di vetro ed uscire da quella gabbia di matti che era diventata la sua biblioteca preferita.

"Come?" sentì dire lei dal ragazzo, che si era girato di scatto.

Poi la porta si chiuse e lei respirò aria aperta, aria pura.

Aria solitaria.





Note dell'autore:

Uau. Cioè. Woo! Ed international: WOW!

Non mi aspettavo un benvenuto così caloroso! Ossia, l'unica cosa a cui pensavo era: “Farò un bel regalino alle mie sorelline, mangerò delle patatine fritte e farò finta di niente, anche se la storia sarà ignorata”, invece mi avete veramente fatta arrossire dal piacere col vostro approvare la mia storia! ❤️

Grazie mille!

Avendo dei capitoli già scritti, so per certo che i primi capitoli verranno pubblicati con cadenza quasi regolare, mostrate al mondo e… spero tutto ciò continui a piacervi!

Sì, in un certo senso la storia dovrebbe andare avanti secondo questo schema ( che mi sono dovuta scrivere per non dimenticarla. Insomma): Caleo // coppia a caso // Caleo. Difatti la mia FF, per quanto possa essere incentrata su Calypso e Leo, voleva dare dei frammenti di storie di coppie altre, come dire, grazie allo spunto (che è molto piaciuto, ho visto) di Afrodite bibliotecaria.

Grazie mille per aver recensito, seguito, ricordato e preferito la storia e… non so! Grazie ancora :))

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Capitolo 3
*** Le avventure di una quercia ***


Come utilizzare una biblioteca nella maniera più sbagliata in questo mondo ed essere felici

Ossia di quando Leo scoprì dei retroscena della vita di tutti che non avrebbe mai, mai, proprio mai, confessato a Piper

Capitolo tre: Le avventure di una Quercia



Alle mie sorelline, che amano Leo Valdez, che mi rassicurano durante i miei deliri, che squittiscono tutte le volte che qualcosa le emoziona.



Un bambino forte e sano mangia enchiladas mattina, pomeriggio e sera. A volte potrebbe mangiare anche un burrito. E vogliamo parlare dei nachos? E vogliamo parlare della salsa piccante nei tacos? Sono la roba più buona in questo mondo! Ed Esperanza Valdez non aveva mai lasciato il suo bambino senza un sacchetto di nachos a merenda, o quel buonissimo formaggio, che diceva al ragazzino di fondere, in un modo o nell'altro, creando del fuoco o, beh, in qualsiasi modo possibile, visto che il formaggio non sciolto non va per niente con i nachos.

Leo, frugando nel suo zaino, aveva esultato con gioia vedendo proprio i suoi nachos sui libri, con accanto un formaggio da fondere, sotto lo sguardo divertito di Jason, che, per merenda, aveva soltanto un panino al prosciutto, poverino.

Non che fosse ancora un bambino con il bisogno della mamma che gli rifacesse lo zaino ogni mattina, ma -udite udite!- Leo era un ragazzo iperattivo, troppo preso da tutte le bellezze intorno al mondo per potersi ricordare di prendere la sua merenda, o il suo pranzo, nonostante fosse consapevole del fatto di dover rimanere fuori casa fino a sera, a causa del suo nuovo lavoro da meccanico-bibliotecario, che, aveva scoperto, essere in realtà una specie di psicologo per persone a caso, secondo il punto di vista di Afrodite.

"No, mamà" continuava a ripetere al telefono, con in mano il formaggio ed il sacchetto di nachos, frugando nella sua cintura per gli attrezzi mentre usciva nel giardino della biblioteca, con la testa attaccata alla spalla "Sì, claro, ho sempre dietro i fiammiferi. Sì, por el fuego . Sto cercando delle piedras per mantenere il fuego controllato. Mamà! Confìa! Non darò fuoco a niente. Non de nuevo. Al massimo darò fuoco alla señora Afro. Ti giuro, penso venga dall'Africa! Questo spiegherebbe el cabello di Piper. Nah. Sì. Mamà!" Leo appoggiò sacchetto e formaggio su una pietra enorme e grigia, per andare alla ricerca di pietre, che avrebbe disposto in circolo per terra. Dalla sua cintura prese un pentolino "Y papà? Secondo me dovresti metterlo a dieta. No, seriamente! È gordo, mami. Cosa? V-vivavoce? Scherzavo papà... ahehm..." il ragazzo prese qualche rametto nel circolo, accendendo un fiammifero e tirandolo insieme a pezzettini di carta. Eh, già, non era la prima volta che Leo faceva una cosa del genere "Pa', sto lavorando su un progetto che ti farà impazzire! No, dalla gioia. Perché mi chiedete tutti se le mie macchine scoppieranno?" gettò il pentolino col formaggio sul fuoco "No, mamà, Pips non è la mia ragazza. Come che non ti piace? Hai sempre detto che ti piaceva! C-chi preferisci? Mamà! No, papà, non sono gay! Ma porco... no, non ho detto niente! Ma siete impossibili! Non avete da lavorare? Cosa? Oh, mi Dios! Sentite, ho fame. Non lo voglio sapere! No quiero saber! No! No! Sto attaccando, giuro! Seh, a stasera. Ciao. Sì, sì."

E, dopo la tradizionale chiacchierata familiare prima di pranzo -Esperanza aveva sangue latinoamericano, purtroppo o per fortuna, e ci teneva molto ad alcune tradizioni. Efesto l'aveva dissuasa dalla preghiera prima di ogni pasto, essendo lui ateo e con il complesso di dio, ma la donna non mangiava se non aveva sentito suo figlio almeno al telefono, cosa per cui Leo veniva spesso preso in giro, ma che, coraggiosamente, non aveva mai nascosto a nessuno, essendo sempre stato orgoglioso, più o meno, della propria famiglia- era finalmente l'ora dei nachos con il formaggio fuso.

Leo, col sorriso sulle labbra e l'entusiasmo dipinto in volto, versò il formaggio sui nachos ed annusò il contenuto chiudendo gli occhi, estasiato.

Oh, sì, quella era vita. Cibo, calore e...

"Quello è fuoco?"

Porco qualsiasi porco! Possibile che quella ragazza dovesse apparire nei momenti più inappropriati in questo mondo?

Calypso si avvicinò alla fiamma ardente, per poi accovacciarsi accanto a quella, come se non avesse mai visto un fuoco in vita sua. Lo guardò interessata per qualche secondo, poi posò il suo sguardo sugli occhi di Leo, come se avesse fatto la scoperta più importante in questo mondo.

"Nah, sono riuscito ad intrappolare dell'anidride carbonica dal mesozoico per farlo arrivare ai giorni d'oggi" ruotò gli occhi il ragazzo, mangiucchiando un nachos ed annuendo eccessivamente, per risultare falso e sarcastico.

Si chiedeva da dove fosse comparsa quella ragazza; prima di accendere fuoco ed iniziare a mangiucchiare con piacere, aveva dato un'occhiata in giro, per assicurarsi di essere solo, visto che, l'ultima volta che lo avevano notato accendere un fuoco, avevano fatto divulgare in giro la falsa voce che stava cercando di incendiare la scuola per sacrificare qualcosa, o qualcuno, a suo padre.

La non bellezza di Efesto aveva portato alla sua famiglia parecchi problemi, visto che era noto a tutti quanto la stupidità fosse una malattia molto comune a New Olympus. Quando era piccolo, Leo ringhiava contro chiunque avesse avuto qualcosa da ridire contro suo padre, ma, come Efesto aveva presto smesso di ascoltare le voci che giravano sul suo conto -molti raccontavano storie su di lui, per spaventare i bambini quando si comportavano male, o almeno così aveva detto Frank-, così fece anche Leo, nonostante dovesse ancora mordersi il labbro per non gettarsi su chiunque parlasse male della sua famiglia.

Calypso si mordicchiò il labbro inferiore "È così che dai fuoco alle scuole?"

"Roba vecchia, Raggio di Sole. È successo mesi fa!" rise togliendogli importanza, con un gesto leggero, mentre continuava a mangiare i suoi nachos "E comunque, almeno, a scuola io ci vado"

"Con i plebei"

"Sono un plebeo, milady" rispose lui con un inchino e la bocca piena, probabilmente per darle fastidio. Si aspettava da lei uno sguardo assassino, almeno disgustato, ma Calypso sorrise sarcastica.

"Ovviamente lo sei"

"Dovresti andarci" continuò Leo "a scuola, dico. Ci sono un sacco di ragazze come te. Entreresti probabilmente nel Club delle Barbie e staresti tutto il tempo a parlare di moda e vestiti, sputando veleno sulla gente, gratuitamente"

Oh, no. Non lo guardare così, povero Leo. Erano settimane, intere settimane, che doveva sopportare quella ragazza sgridarlo per ogni più piccola inerzia, per ogni battito del martello, per ogni risata che si faceva con Pips, con Jason o con Annabeth, gridandogli dietro ogni insulto possibile ed immaginabile, senza neanche averlo conosciuto.

Ah, sì, certo. Adesso dirai che, in fondo, Thalia e Chione, più o meno, facevano la stessa cosa ma lui se ne era innamorato. Il fatto è che... la differenza era... era che Thalia... lei non era una bambolina e... i sentimenti sono irrazionali, no? In fondo Thalia aveva lo stesso sguardo di Jason; non poteva essere cattiva; era sua sorella, perdinci! Qualcosa in comune dovevano pur averlo; doveva esserci qualcosa sotto quella sua scrorza dura da Ucciderò tutti gli uomini che incontrerò sulla mia via, qualcosa di sicuramente molto dolce, che Leo voleva scoprire.

Calypso ancora non gli aveva detto nemmeno come si chiamava, non ufficialmente, insomma, ed aveva quello sguardo, quando lo guardava, lo stesso sguardo che il Club delle Barbie gli lanciava a scuola, mentre lo trattavano male ed insultavano sua madre o suo padre.

La differenza era nello sguardo. Thalia probabilmente lo disprezzava, ma perché disprezzava tutti gli uomini. Calypso lo disprezzava, perché?

Qual era il suo motivo per tormentarlo durante il suo lavoro part-time?

Leo sapeva di essersi chiuso a riccio davanti alla ragazza dalla prima volta in cui lei gli aveva gridato Omuncolo, quando era inciampato sui suoi piedi e cercava di aiutare Annabeth a portare tutti i libri che le interessavano sul tavolo più isolato di tutti. E non capiva, non riusciva nemmeno ad immaginare, per quale ragione Percy dicesse che era una ragazza dolce e molto gentile. A lui sembrava solo una ragazzina viziata.

"E sarebbe divertente?"

Leo si riprese dai suoi pensieri, mentre mangiava nachos. Scosse la testa per riprendersi "Come?"

Calypso aveva portato entrambe le sue mani, arrossate per il freddo, davanti al fuoco e le osservava con particolare interesse, come se gli occhi di Leo le avessero detto più del necessario "Andare a scuola sarebbe divertente?"

Leo ci dovette pensare su qualche secondo "Non per tizi come me" ammise sospirando "Ma penso che per il Club delle Barbie sia divertente il liceo"

"Se mi prendessero in un club, sarei accettata dal mondo, immagino" borbottò la ragazza appoggiando il mento sulle ginocchia, con fare malinconico "Sarebbero mie amiche"

Leo si soffermò a guardare la figura minuta della ragazza, notando per la prima volta che, nonostante il freddo, non portava né il giubotto né la sciarpa né niente che la potesse coprire e salvare da un raffreddore imminente. Aveva solo il suo fuoco a dargli calore, cosa che gli sembrò strana "Non penso che vorresti amiche come le Barbie" sospirò gettandole addosso il suo giubotto militare -quello vecchio, che ormai stava iniziando a stargli pure piccolo, un po' sporco, che gli aveva regalato sua madre anni prima, per Natale- "Sono tizie strane. Non sono sicuro siano veramente amiche tra loro. Forse stanno tutte insieme per non sentirsi sole. Beh, che ne so, non sono nella loro testa, ma Pips dice che è così, quindi..."

"Sono sole" annuì distrattamente Calypso "Allora forse entrerei seriamente in quel Club"

Leo prese un secchio d'acqua che aveva preparato prima ed aveva nascosto dietro la roccia grigia, di cui prima. Gettò l'acqua sul fuoco e lo spense con quel semplice gesto, mentre Calypso saltava all'indietro col suo giubotto militare alle spalle "Ma cosa...?"

"Va bene che sono un piromane, ma i miei fuochi li so controllare, Raggio di Sole"sorrise lui, mostrando il secchio vuoto tra le sue mani.

"Calypso; chiamami Calypso"

Leo storse la bocca, confuso, poi fece spallucce, come se nulla fosse stato "Entriamo, altrimenti ti prenderai una polmonite ed avrai altri motivi per volermi colpire tutte le volte che ti vedo" dovette mordersi il labbro e muovere tutto il suo corpo in avanti, per poter dire quello che avrebbe detto, come stesse ripetendo una poesia a memoria e si fosse dimenticato la parola chiave del verso, o della strofa intera "Calypso" borbottò, offrendole la mano per aiutarla ad alzarsi.

"Grazie, Leo" disse lei in un sussurro.

Lui aggrottò le sopracciglia e poi sorrise. Suonava bene, come lo diceva lei, il suo nome, con quella cadenza mediterranea che non aveva nessuno dei suoi amici e che, probabilmente, non avrebbero mai avuto.

Ovviamente era una considerazione generale, eh.

A Leo piaceva anche come Nico pronunciava il suo nome, quindi...


◇◆◇◆


Leo prese il sacco della spazzatura nera e seguì Grover velocemente, fuori, nel giardino della biblioteca.

Lui non era mai stato un ragazzino grande e forte, come Frank. Non era mai stato tonico e bello come Percy e Jason. In quanto a struttura fisica era molto simile a Nico e Grover, anche se loro non avevano una mamma che riempiva il loro piatto fino all'orlo, temendo che non mangiassero abbastanza e che di conseguenza non crescessero. Certo, Nico aveva una nonna -nonna adottiva, madre della matrigna di Nico, Persefone, il che portava a Leo un enorme dilemma. Una nonna adottiva veniva chiamata nonnigna? O nonnastra? Domanda che lo assillava dalla sua più giovane età-, che riempiva il suo piatto di cereali ed agrumi, ma non era la sua stessa situazione. Alla fine, Nico doveva crescere per davvero, ed anche Grover. Leo non avrebbe mai perso il suo fisico magrolino e le sue orecchie a punta, per quanto Esperanza lo facesse mangiare.

Il succo del discorso, comunque, era che Leo era sempre stato piccolino, rachitico ma con la faccia paffuta, che suggeriva a tutti l'espressione furba di un folletto. Ed il sacco della spazzatura era più grosso di lui. Sicuramente, se qualcuno avesse voluto rapirlo e portarlo via in quel sacco, non avrebbe avuto alcun problema. Anzi, sembrava, quel sacco, essere un invito ufficiale a rapirlo.

"La natura, Leo, è la risorsa più importante per l'uomo. Dobbiamo imparare a conoscerla, amarla e rispettarla. Sai quanto progresso potremmo avere, semplicemente studiandola? Senza combatterla, senza cercare di distruggerla" ripeteva Grover prendendo da terra delle lattine che dei ragazzini avevano lanciato a terra poche ore prima "Ma l'uomo è cieco. Più che cieco, stupido. Pecca di ambizione e di tracotanza"

"Traco-che?" chiese il ragazzo aggrottando le sopracciglia e correndo verso di lui, cercando di non cadere sul sacco nero, che aveva aperto per aiutare il ragazzo "Tipo i tacos? Sono buoni i tacos. Cibo, no?"

"Nah" scosse la testa Grover "Tracotanza. È un modo per dire arroganza, solo più... ma non stavamo parlando di questo, vero?"

"All'inizio stavamo parlando di Juniper, non so come siamo arrivati a questo. Anche se, sì, le enchiladas stanno bene in qualsiasi argomento"

"Juniper" ripeté con aria sognante l'altro, guardando davanti a lui un enorme albero, con delle foglie cadute a terra, ma con un bellissimo colore rosso, arancione e giallo che gli dava un'aria viva, un'energia positiva e buona. Era una quercia enorme, che d'estate donava alle persone un'enorme ombra, che donava tranquillità a chi voleva leggere fuori, seduto sull'erba. D'inverno quando qualcuno rimaneva fuori dalla biblioteca, per qualche ragione -non era mai successo personalmente a Leo, ma aveva visto a chi era successo e poteva immaginare anche il perché. Non era pronto, però, a saperne i particolari, non ancora, anche se prima o poi sarebbe stato pronto ad ascoltare anche quella storia dai diretti interessati. Prima o poi-, donava una debole protezione dalla pioggia battente. Tutti erano stati legati a quell'albero, in un modo o nell'altro.

"Come vi siete conosciuti?" si riscosse dai suoi pensieri il ragazzo più giovane, mostrando un enorme e bianchissimo sorriso.

"La Grande Quercia" sorrise Grover, infilandosi dei guanti da giardino "Lo sapevi che, qualche tempo fa, Afrodite voleva abbattere questa bellezza? Pensare che sicuramente ha visto più cose di quanto io e te potremmo vedere in tutta la nostra vita! Quanti anni avrà? Cento? Duecento? Sotto quest'albero i miei genitori si sono innamorati. Sotto quest'albero, dicono, sia nata l'intera città di New Olympus e lei voleva abbatterlo! Non poteva farlo! Io non glielo avrei permesso! Mi sono incatenato al tronco e ho iniziato ad urlare slogan come Senza natura Sei solo spazzatura!, ma pensavo di essere completamente solo nella mia battaglia, visto che, beh, né Percy né Annabeth volevano incatenarsi con me e gridare contro Afrodite. Thalia non faceva altro che venire a parlarmi di quanto fosse stupido quello che stavo facendo. Mi venivano a fare compagnia, certo, ma nessuno di loro era mio compagno in battaglia, mi capisci?"

"Fammi indovinare. Juniper è sempre stata dalla parte degli alberi e dei fiori" disse Leo, inginocchiandosi per terminare di pulire un tratto di giardino. In effetti Juniper era molto Figlia dei Fiori, con quei vestitini fluidi, bianchi e verdi, i suoi capelli mai legati, lasciati liberi al vento e la sua mania di essere vegetariana. Non si sarebbe stupito se la storia con Grover fosse iniziata per una lotta contro un'Afrodite cattiva nemica degli animali e degli alberi. Anche se qualcosa non tornava in quel racconto... Afrodite poteva essere capricciosa e rompiscatole, ma amava il Bello, e il giardino della biblioteca, ripeteva sempre lei, era Bello, il fiore all'occhiello della sua biblioteca. Non avrebbe mai fatto niente per distruggerlo, anche perché lei stessa amava la Grande Quercia, altrimenti non capiva perché passasse ore ed ore ad osservarla, dal suo ufficio. Era un piccolo dettaglio che gli ronzava per la testa, dandogli fastidio, ma lo scacciò, dicendosi che no, non era possibile. Afrodite non era poi così furba, no?

"Diciamo qualcosa del genere. In realtà lei non sapeva niente di questa voglia improvvisa di andare contro la Grande Quercia di Afrodite ma... hai mai letto il Barone Rampante?"

Leo arricciò le labbra a disagio.

Essere dislessico non aiutava molto nella lettura, essere iperattivo non aiutava tanto ad avere la pazienza per provare a voler leggere. Però Nico aveva letto quel libro -nonostante anche lui fosse dislessico- e glielo aveva raccontato, in uno dei loro tanti momenti di noia -brutta storia essere gli unici single in un gruppo di coppie, o quasi coppie. Alla fine Leo stava veramente imparando a giocare a Mitomagia, suo malgrado-, ed annuì convinto, pur di non parlare dei suoi problemi di lettura con Grover "Non mi dire che con te si comporta come Viola, perché perderebbe molti punti ai miei occhi" riuscì anche a tirar fuori, memore delle filippiche di Nico contro il personaggio.

"No, no" rise Grover "Direi che lei sarebbe Cosimo ed io Viola. L'ho vista che si arrampicava sui rami degli alberi. Fin da quando era piccola ci si arrampicava, è un suo modo per divertirsi. A volte non scende dagli alberi per giorni, o settimane. Sono come la sua casa, sai? Penso che la Grande Quercia fosse il suo quartier generale, il posto dove tornava sempre. Sembrava una ninfa degli alberi. Lo sembra ancora. Ma non le piaceva il fatto che io stessi incatenato alla sua Quercia. Continuava a gettarmi addosso pigne, e bacche e qualsiasi cosa avesse per le mani. A volte anche libri. Penso abbia preso lezioni da Annabeth. E quando ha scoperto quello che voleva fare Afrodite, ha iniziato ad aiutarmi, a portarmi cibo"

"Vi siete innamorati combattendo la Cattiva Afrodite? "

"Già" annuì Grover. Poi sospirò nostalgico e puntò i suoi occhi su quelli scuri di Leo, che rifletteva sul racconto del ragazzo "E come stanno i tuoi amici?" sorrise innocentemente.

Il sorriso di Leo divenne forzato, poi s'indicò col dito e rise "Non ho mica il cartello Terzo Incomodo attaccato sul petto! Capisco quando in tre si è troppi"

Grover sorrise comprensivo "Continui ad essere il loro migliore amico, lo sai, vero?"

Leo chiuse il sacco della spazzatura, ormai pieno fino all'orlo e se lo mise in spalla, con noncuranza "Sì, sì. Il Grande Leo sa quando si deve mettere da parte. Macchine, essere umani, blabla. È tutto meccanico. La Reginetta di Bellezza si deve mettere con il Principino della Città, è ovvio, e il Ragazzo delle Riparazioni qui presente sarà sempre il loro migliore amico, il che vuol dire che mi sono già comprato un deck di Mitomagia, per dar loro tempo. Che figo" il ragazzo trottò verso l'uscita della biblioteca "Spazio, tempo. Sono più bravo di Eros in questo lavoro"

Grover sospirò, continuando a raccogliere spazzatura da terra, mentre il corpo rachitico e curvo -per la tristezza, il disagio?- di Leo veniva nascosto dall'enorme sacco nero che il ragazzo portava sulle spalle.



◇◆◇◆


"E io evoco Afrodite in posizione di attacco. Non hai protezioni, Di Angelo! Ti sconfiggerò con un solo gesto!" gridò Leo, sbattendo le mani sul tavolo e ridendo come un matto, mentre sfilava dal suo deck una carta e la alzava verso il soffitto "Sei fritto!"

Nico lo osservò per una frazione di secondo, poi schioccò la lingua e girò una carta, mostrando la sua protezione contro Afrodite "Sei una frana, Valdez" ridacchiò "Afrodite è troppo schifata dai lemuri. Perdi duecento punti, per la ritirata. È troppo facile, dai, impegnati"

Leo s'imbronciò "Non mi piace questo gioco " bofonchiò offeso.

"Cinque secondi fa dicevi che era la roba più divertente dopo la tua Palla-Tuttofare" sbuffò l'italiano, prendendo nelle sue mani una delle sue statuine preferite e collocandolo sulla sua porzione di tavolo "Allora, evoco Ade, in posizione ci difesa e sposto Dioniso in posizione di difesa" mosse le statuine, girandole verso destra.

"Ma quando Dioniso è in difesa non fa altro se non bere e fare festa. Non ti protegge!" protestò il messicano, prendendo la sua tazza di caffè annacquato. Odiava il caffè, lo rendeva più iperattivo di quanto lui già non fosse, ma gli sembrava strano che Nico bevesse da solo, quindi aveva accettato di accompagnarlo nella sua merenda-mitomagica. Leo non voleva ammetterlo, ma stava iniziando a piacergli quel gioco, nonostante le regole assurde ed i comportamenti capricciosi degli dèi e dei mostri.

"Dilettante" sputò Nico con fare canzonatorio "È vero, Dioniso in difesa fa soltanto feste e beve vino rosso, ma, Valdez, sai a chi altro piacciono le feste? Afrodite. E non può resistere al suo istinto festaiolo, poverina, soprattutto se Apollo ed Ermes ci partecipano. E, guarda, anche Ade si è unito ai festeggiamenti. Certo, è in posizione di difesa... Afrodite, quindi, passa dalla mia parte, novellino, e dalla tua, rimane solo Artemide-sono-troppo-forte-per-accettare-l'aiuto-di-un-uomo. Beh, ancora per poco, comunque"

"Io ho il Drakon! E un esercito di eroi!" cercò di difendersi Leo, gesticolando esageratamente per mostrare le sue statuine e carte sul suo campo.

"La metà dei semidei segue i suoi genitori divini. Parte del tuo esercito lavora esplicitamente per me e ti combatterà con le spade. Vogliamo parlare anche delle mie spie? Loro ti distruggeranno sulla carta. Ti ho in pugno. E poi i drakon sono stupidi"

"Drakon, hai sentito? Va a uccidere quei traditori!"

"Oh" Nico prese la sua tazzina di espresso, la portò alle sue labbra pallide e sorrise divertito "Hai fatto arrabbiare Ade. Non si uccidono i suoi figli"

"E questa non è una buona cosa" sbuffò Leo, incrociando le braccia, facendo spostare le sue pupille da una statuina all'altra, cercando di ricordare le capacità di ogni suo personaggio.

"Ovviamente no" rispose Nico "Evoco le Furie ed i demoni degli Inferi, che ti attaccano e ti tolgono trecentocinquanta punti" Leo notò un sorriso sadico sulle labbra del ragazzo, mentre soddisfatto segnava i punti su un foglio.

"Siamo sicuri che tu non ti stia approfittando di me perché non so tutte le regole di questo gioco?"

"Valdez, mi credi così meschino? "

"Devo proprio rispondere?"

Nico sorrideva, come se quella conversazione basata su un gioco di carte e statuine rivelasse più di quanto una persona normale potesse captare. E Leo sorrise sarcastico, bofonchiando un "Il fatto è che io ti lascio vincere" poco convinto.

"Un'altra partita?"

Leo poco ci capiva di persone, seriamente.

Passava le giornate ad ascoltare Piper lamentarsi di quanto fosse ingenuo Jason che, nonostante il suo modo di flirtare costantemente con lui, ancora non aveva capito quel che la ragazza provasse nei suoi confronti. Annabeth cercava di spiegargli i rudimenti della complessa anima umana, ogni tanto, visto che il messicano sembrava essere l'unica persona al mondo che l'ascoltava nei suoi vaneggiamenti filosofici -questo perché poi potevano vaneggiare insieme sulle strutture architettoniche, o meccaniche, o ingegneristiche di qualsiasi edificio, ma Leo non aveva mai espresso questo pensiero ad alta voce-. Frank, dal canto suo, sembrava essere più ingenuo di Leo, nonostante riuscisse a muoversi tra gli esseri umani con molta abilità e sicuramente molto più tatto e tempismo.

Leo comparava tutti quanti a tante macchine. Dei robot fatti da qualcuno, con un meccanismo complesso e studiato nei minimi dettagli, per fare in modo che ognuno potesse avere una vita lunga e felice.

Siamo macchine molto complesse, aveva detto una volta a suo padre, tenendo dei progetti in mano e ridacchiando, all'idea di poter creare una mini-macchina umana, od animale. In fondo, i medici, i chirurghi, sono semplicemente i meccanici del corpo umano, aveva pensato. C'è sempre, in un intoppo nella macchina più perfetta esistente in natura -voi li chiamereste esseri viventi, in effetti-, un modo per aggiustarla, un modo per farla funzionare, ripartire. Per quanto creare la vita sia qualcosa d'incredibilmente difficile, mantenerla dovrebbe essere relativamente semplice. Ed il chirurgo -che lavoro affine, razionale e splendido!- era colui che apriva quella macchina perfetta, che l'aggiustava, come se un corpo umano fosse fatto di circuiti, rotelle, fili elettrici, parti di plastica o metallo.

Però.

Una volta Piper aveva detto qualcosa che rimase nella testa di Leo, chiara, forte, nitida.

È come se mi spezzasse il cuore. E allora pensi: Ehi! Mi ha spezzato il cuore, non mi potrà più fare così male. E invece poi lo rispezza di nuovo. Come se il cuore ricrescesse, nutrito da speranze, certezze, parole. Lo capisci? Ricresce anche se va in mille pezzi. Non so perché. Però fa male come la prima volta, quando si rompe.

Leo spesso lavorava nell'officina di Esperanza ed Efesto. Quando c'era qualcosa che non andava in una macchina, la sostituiva. Soprattutto se andava in mille pezzi.

Ora, non sapeva chi cambiava i cuori alla gente, o come facesse, quando si rompevano -Esperanza diceva che era Dio a farlo. Sentiva i cuori spezzati dal Paradiso e lui, di cuori, ne aveva così tanti nel suo di cuore! Per questo, per fare in modo che le persone potessero amare di nuovo, beh, allora dava loro nuovi cuori, che dimenticasserro il dolore dell'essere spezzati, ma ricordassero l'amore che quella persona poteva provare e dare, senza che loro se ne rendessero conto. Anche se poi avrebbero sofferto. Leo non capiva come facesse Dio ad avere tanti cuori nel suo cuore, né come facesse a cambiarli, come si cambia il motore o la frizione ad una macchina, ma gli sembrava carina la storia di sua madre. Annabeth, che in Dio non ci credeva, aveva una visione simile. Pensava che i cuori fossero cambiati, mantenendo un pezzo del vecchio cuore, e che fosse un Dio di tutti i giorni a donare le nuove parti del cuore. E quel Dio, che non era un Dio religioso, era la certezza che tutto sarebbe andato bene, che tutto si sarebbe sistemato. La speranza donava un nuovo cuore memore della sofferenza, ma abbastanza coraggioso da decidere di fare lo stesso errore due volte. Innamorarsi-, ma Leo vedeva i cuori spezzati rinascere, o cambiare, tutti i giorni. Quindi, forse, nella complessa macchina umana, come abbiamo un meccanico che aggiusta il nostro corpo, c'è un meccanico che aggiusta la nostra anima, tutte le volte che siamo distrutti.

Quante volte l'anima di Nico è stata distrutta?

"Ragazzo delle Riparazioni" chiamò Calypso, sbucando dalla porta che dava sulle scale "Afrodite vuole un aiuto col computer. Dice che è rotto"

"Di nuovo?" alzò un sopracciglio Leo, girandosi di tre quarti verso la ragazza, per poi sospirare.

"Giochiamo un'altra volta" la voce di Nico, seduto esattamente dove era prima, solo con la statuina di Ade stretta in mano, come se fosse indeciso sul cosa farci esattamente. Non sapeva se rimetterla nel suo zaino o fissarla ossessivamente, per non incontrare lo sguardo di nessuno in quella stanza.

Dio aveva avuto il tempo di cambiare il cuore di Nico? Secondo quel che pensava Leo, perdeva molto olio, quel muscolo.

Nico ne aveva dovute passare tante e non era esattamente la persona più popolare della scuola -per questo poteva essere amico di Leo-, e tutte le volte che il messicano lo ascoltava, o lo guardava, pensava che il suo cuore non fosse andato solo in mille pezzi, ma in duemila, tremila, trecentocinquanta milioni di pezzi. E magari qualcuno lo voleva aggiustare, invece di dargliene uno nuovo, perché se dai un cuore nuovo a qualcuno, quello prende tutti i ricordi di quello vecchio e deve pompare più ottimismo e allegria per aggiustare quei ricordi che fanno male, e nessun cuore doveva essere abbastanza, per quel piccoletto. Quando sei Nico DiAngelo, devi aver bisogno di un cuore enorme, più grande di quelli di tutti gli abitanti di New Olympus, per ritrovare Dio, o, come direbbe Annabeth, per ritrovare la Certezza che Tutto Andrà Bene.

È da dire, però, che quando Hazel sorrideva al fratello, quando Frank e Leo giocavano a Mitomagia con lui, forse Dio riusciva almeno a provare un cuore nuovo per Nico.

O, almeno, Nico sembrava ritrovare il sorriso. Sembrava felice.

Peccato che poi tutti se ne andavano quasi subito. Hazel aveva un ragazzo, degli amici, una vita e Frank era legato a lei, per quanto gli potesse piacere giocare a Mitomagia, beh, abbandonava Nico a metà partita, a volte, lasciandolo solo nel suo angoletto buio. Non per cattiveria, ma perché la sua vita girava, girava, girava e continuava a girare, mentre Nico voleva rimanere fermo ed aspettare. Aspettare cosa? Ancora non si sapeva. Ma il cuore di Nico sembrava andare a pezzi, di nuovo, quando rimaneva da solo, quando nessuno sceglieva lui e non gli altri.

Leo non ci capiva tanto di persone, eh.

Lui parlava di macchine.

"Senti Raggio di Sole" sospirò il messicano muovendo con indifferenza la mano in aria "Io e Nico stiamo giocando ad una roba fichissima. Non per niente, ma Afrodite penso ce la possa fare da sola. E io sono in pausa. Piuttosto, sono sicuro che tu fai schifo quanto me. Facciamo squadra ed abbattiamo il tiranno, qua"

L'italiano lo guardò sorpreso, mischiando il suo deck "Vuoi fare cosa?"

"E a cosa stareste giocando, di grazia?" chiese Calypso avvicinandosi al tavolo dei due, con fare circospetto.

"Hai sentito come parla? Come un'adorabile vecchietta. Non hai scampo DiAngelo. In due ti battiamo di sicuro. Conosci Mitomagia?" le frasi di Leo prendevano sempre più velocità, man mano che il sopracciglio di Nico si alzava e Calypso si avvicinava.

"Ovviamente"

"Beh, è un gioco di... come?"

"Ovviamente" ripeté irritata la ragazza, sedendosi accanto al riccioluto e controllando il suo deck e le sue statuine "Sarà dura" borbottò mischiando il deck tra le sue piccole ma incredibilmente forti mani.

Nico sorrise in maniera strafottente "Già dai forfait? " chiese quasi divertito.

"Ho detto che sarà difficile, non impossibile"

"Qual è il suo cognome? Ho bisogno di un cognome per trattarla da degna avversaria"

"Non lo so. Non m'interessa" rispose Leo alzando le spalle "Ma se la chiami Raggio di Sole s'infuria, quindi penso tu possa sfotterla così"

"Calypso. Ricorda il nome di chi ti sta per annientare. Calypso"

"Nico, se vuoi un nome da maledire quando ti renderai conto di essere stata sconfitta"

"Leo. Ma anche il Signore Supremo di Tutto. Se volete una battutina, ve la posso sussurrare all'orecchio con fare da galantuomo"

Nico e Calypso girarono i loro sguardi verso di lui "Leo" lo rimproverarono per aver guastato l'aria di rivalità tra loro due.

Il ragazzo pensò che era la prima volta che entrambi lo chiamavano per nome in contemporanea e che, per Efesto!, amava i due accenti che avevano utilizzato. Un giorno li avrebbe registrati ed usati per creare la sua suoneria personalizzata.



Note dell'autore
Nico è uno dei miei personaggi preferiti. Piccolino lui, è la notte e non posso coccolarlo (?)
Calipso non ha un cognome; roba che mi sono scervellata per riuscire a ricordarne uno che poteva andare bene per lei. Stavo pensando di darle lo stesso di Zoe. In fondo hanno lo stesso papi. Vedrò. Anche perché non so se inserirla un po' di Zoe.
Grazie mille a chi segue, ricorda, preferisce e, soprattutto, recensisce la storia. È bello sapere che c'è un qualcuno che legge ed apprezza quello che scrivo. Penso che sia uno dei regali più belli che si possano fare :3





 

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Capitolo 4
*** Sapresti fare il lavoro di Leo? ***


Come utilizzare la biblioteca nella maniera più sbagliata in questo mondo ed essere felici

Ossia di quando Leo scoprì dei retroscena della vita di tutti che non avrebbe mai, mai, proprio mai, confessato a Piper

Capitolo Quattro: Nei panni di Leo




Era bastato uno sguardo per far capire a Leo che non era il momento di stare in quel posto.

Un solo sguardo, per cacciarlo, senza neanche una parola, o un movimento della mano. Era bastato un solo sguardo, seriamente, e Leo aveva capito che no, non era il momento, non era il posto.

Però, in quel momento, in quel posto, Leo aveva bisogno del suo miglior amico. Aveva bisogno di stare un po' con Jason e chiacchierare, scherzare, dargli fastidio, come ai vecchi tempi, come quando il biondo si era trasferito e non aveva amici ed era il suo vicino di casa e aveva chiesto a Leo cosa stesse costruendo, e Leo aveva detto che quello che aveva in mano era il prototipo del suo drago meccanico, che avrebbe costruito non appena il padre gli avesse lasciato usare i materiali dell'officina, e Jason aveva detto che sembrava divertente e Leo aveva detto che, se voleva, quando avrebbe finito di progettare il suo drago, sarebbe potuto salire in sella insieme a lui e avrebbero potuto volare per New Olympus, fingendo di essere dei supereroi e gridando che avrebbero salvato il mondo. Ed erano diventati amici. Non c'era ancora Piper, o Percy, o Annabeth, o Reyna. Erano Jason e Leo.

Leo e Jason, contro chiunque dicesse al biondo che il messicano era un relitto della società e che non era utile o conveniente essergli amico.

Jason li mandava sempre a farsi una bella passeggiata per New Olympus, quando dicevano qualcosa contro Leo e, ai tempi, stavano sempre insieme. Neanche Reyna li aveva mai divisi.

Poi era arrivata Piper e Leo era stato felice: insomma, lei era la sua migliore amica, la conosceva da prima di Jason e le voleva un gran bene. Era stato lui a presentarli ed era stato così felice, vedendoli legare. Aveva pensato Dai, ché qui diventiamo un trio fichissimo!

Poi loro avevano iniziato a piacersi e... a volte in tre si è troppi. E lui era il numero tre, non l'uno, o il due, il tre, quello che deve andarsene se uno e due vogliono stare insieme, no?

"Ne riparliamo dopo, va bene, Leo?" aveva detto lui, distratto dagli occhi caleidoscopici e attrattivi di Piper.

Leo si era semplicemente alzato e aveva annuito con la testa.

Certo, ne avrebbe potuto parlare più tardi.

Sempre più tardi. Sempre più tardi.

Errore suo.

Sapeva che sarebbe andata a finire così, prima o poi. In fondo, sai, c'era un motivo se Leo non era riuscito a mantenere nessuna amicizia, prima di Jason. Perché sapeva come sarebbe andata a finire, che prima o poi le persone si sarebbero stufate di lui e lo avrebbero escluso e mandato via e Leo si sarebbe sentito male.

E l'unico lato positivo di sentirsi male interiormente era che Esperanza cucinava le empanadas per lui. Ma le empanadas finivano, il dolore non sempre.

E questa volta, probabilmente, sua madre non avrebbe potuto cucinare niente.

“Cos'è, Leo?”

Il ragazzo sobbalzò, lasciando cadere l'oggetto di metallo, che teneva in mano, sul tavolo “Raggio di Sole, seriamente, pensavo avessi smesso di comparire alle spalle delle persone!”

“Avevo perso il vizio, ma Nico mi ha ricordato quanto è divertente farlo” alzò lei le spalle, raggirando il tavolo, con calma impressionante “Cos'è?” ripeté la domanda, indicando l'oggetto di metallo sul tavolo “Una statuina di Mitomagia?”

Il messicano riprese in mano il modellino, mordendosi le labbra, incerto se continuare quella conversazione oppure no. Pensò che, in fondo, era andato da Jason perché voleva mostrargli quel modellino. Si chiese se parlarne a Calypso sarebbe stata la stessa cosa che parlarne col suo migliore amico. Probabilmente no, ma non aveva migliori opzioni per distrarsi.

Le alternative erano: parlare con Calypso, e quindi distrarsi per qualche minuto, magari stuzzicandola, o starsene lì, seduto senza far nulla, crogiolandosi nel vittimismo, nell'attesa che Afrodite andasse verso di lui, gridando qualche elegante imprecazione contro un gradino cigolante e l'antenna non funzionante.

Per quanto la seconda opzione fosse invitante, la prima sembrava più divertente.

In fondo, Calypso aveva dato modo di dimostrare quanto fosse una brava ragazza, no? Era gentile con tutti, tranne che con Leo, ovviamente. Ma questo perché faceva parte del Team Leo.

Tutte le ragazze del Team Leo lo trattavano così.

“Tu lo sai come ho conosciuto Jason?”chiese Leo, senza guardarla negli occhi. Era ovviamente una domanda retorica ma la ragazza scosse la testa, osservando i movimenti delle mani di lui “Stavo creando un drago col fango. Sai, mio padre è sempre stato bravo a progettare ed aggiustare macchine. Mia madre ha un dono naturale per queste cose. È sempre stato il mio sogno seguire le loro orme. Ma ero troppo piccolo e non mi facevano usare i loro attrezzi. Mi era venuta in testa questa strana idea che un giorno avrei potuto costruire un drago. Penso fosse perché avevo visto Dragonball in tv. O forse era Merlin. Può essere che l'idea fosse venuta da Harry Potter. Proprio non me lo ricordo. Volevo costruirne uno enorme, capace di volare e darmi un modo per andarmene via, scappare il più lontano possibile da tutto e da tutti. Sono sempre stato un fuggiasco. Anche se non ho mai avuto il coraggio di allontanarmi da mia madre. Eh, lo so. Sono il tipico latinoamericano: grande, grosso e mammone”

“Io penso tu sia piuttosto gracilino, eh”

Leo sbuffò “Stavo parlando, io! Dicevo. Jason mi ha visto cercare di fare una bozza del mio drago. Io lo avevo dimenticato ma… pochi mesi dopo, mio fratello…”

“Hai un fratello?” chiese sorpresa Calypso, cadendo a sedere su una sedia di legno.

“Fratellastro. Lui è… figlio di mio padre. Adesso studia al college. Non ricordo bene cosa faccia, ma penso qualcosa legato all'ingegneria. È un tipo forte, Charles. Tutti lo chiamano Beckendorf. Non ne hai mai sentito parlare?” Leo arricciò le labbra. Sembrò aspettare veramente una risposta dalla ragazza, che lo osservava dritto negli occhi, come aspettandosi una reazione, o delle parole significative da lui “Percy dice che è brutto” concluse il riccio, con un sorriso divertito “Comunque, Charles mi ha portato nell'officina di mamma e papà e mi ha detto Leo, prima e ultima volta che ti porto qui. Crea questo cavolo di drago. Ha detto anche altre cose, ma non me le ricordo. Alla fine sono riuscito a creare qualcosa con tutto quel metallo di bronzo, ma non aveva la forma di un drago. Allora Charles aveva iniziato a lavorare con me e mi ha aiutato a sistemare il mio piccolo capolavoro. Mancavano ovviamente delle parti, ad esempio le ali, le rifiniture ma… per Era! Quant'era bello! Non l'ho potuto tenere io, però. Nel senso, ho scelto di darlo in custodia a Charles, finché io non avessi avuto le idee chiare su come sistemarlo e migliorarlo. Ovviamente lui, essendo mio fratello, non è stato con le mani in mano e, seguendo le mie fantasie da bambino, ha aggiunto un dispositivo sputa-fuoco a quella piccola bozza che gli ho dato in custodia. Mi ha lasciato l'onore delle rifiniture e delle ali. Le ho fatte questa notte; non ho dormito finché non è comparso il sole, ma ne è valsa la pena. Charles mi ha portato il mio drago e io l'ho terminato. Oggi. Volevo dirlo a Jason. Volevo che lui vedesse il suo primo volo. Sai, gli avevo promesso che sarebbe potuto salire su di lui… è un po' troppo piccolo, però…”

Calypso portò le sue mani in avanti, tenendo i palmi all'insù, come se stesse attendendo delle gocce di pioggia dal tetto. Sorrise dicendo “Posso vederlo io, questo primo volo?”

Leo strizzò gli occhi, guardando il piccolo drago di bronzo nella sua mano.

Perché no? si chiese.

Spingendo un piccolo bottone sulla pancia del suo draghetto, lasciò che questo iniziasse a sbattere le ali, in un primo momento lentamente, per poi iniziare a prendere sempre più velocità ed iniziare a staccarsi dalla sua mano callosa.

Il draghetto sembrava essere titubante, come se non sapesse esattamente che cosa fare. Poi prese confidenza, esattamente come se fosse stato un uccellino che aveva appena imparato a volare.

Fece un giro della morte, poi girò intorno alla testa di Leo e poi si posò sulla spalla di Calypso.

Il draghetto sbattè le ali, disfacendo in parte la treccia color cannella della ragazza. Poi, girando orizzontalmente su se stesso, si posò sul palmo della mano di lei, per accucciarsi su di essa.

Lei rise, carezzando la testa della macchina, esattamente come se fosse un cucciolo “Incredibile” si lasciò sfuggire le con un tono ammirato “Conoscendoti, pensavo scoppiasse” riaggiustò il tiro, ironicamente.

“Sono ufficialmente offeso, sai?” scherzò lui.

"Era il mio obiettivo. Come si chiama?"

"Chi?"

"Draghetto piccolo. O Piccolo Draghetto. O Bronzo Celeste. Magari più semplicemente, si chiama Steve" tirò ad indovinare la ragazza, osservando, divertita, il piccolo drago creare piccole scintille pericolosamente vicino alla sua pelle pallida.

Leo rise, grattandosi la testa in imbarazzo.

Già Jason, all'inizio della loro amicizia, aveva riso del nome scelto dal messicano, trovandolo poco eroico e più adatto ad un gatto, o, meglio, ad un cane, che scodinzola e fa le feste ed ama il proprio padrone incondizionatamente. Un drago non dovrebbe avere queste qualità. Dovrebbe essere forte e nobile.

Leo si era sempre chiesto perché forte e che ama incondizionatamente non potessero essere due qualità affiancabili nella stessa persona.

"Festus"

"Felice" tradusse con un sorriso Calypso, alzando il suo sguardo su Leo, con un bellissimo sorriso "Gli sta bene"

"Jason diceva che era un po' ridicolo andare a salvare il mondo su Felice il Drago"

"E se lo dice Jason!" ribattè lei, alzando la sua mano libera all'altezza del capo ed arricciando le labbra.

Leo represse una risa, poi, poggiando le mani sul tavolo di legno, prese dalle mani della ragazza Festus, che continuava ad aprire la bocca, creando piccole scintille "So che ti mancherò oggi, Raggio di Sole"

"Perché dovresti mancarmi?"

"Perché ti stai affezionando a me" gongolò il ragazzo, inconciando le braccia sul petto e sorridendo soddisfatto "E oggi ho un appuntamento"

"Scusa?" Calypso aprì la bocca per lanciare veleno sul ragazzo, per dire cose come E chi vorrebbe uscire con un Omuncolo? ma la richiuse, osservando l'abbigliamento curato del ragazzo, i capelli pettinati -Leo sapeva anche pettinarsi? Voleva seriamente chiedergli da quando aveva scoperto di essere una femminuccia- e quell'enorme sorriso sul suo viso.

Leo sorrideva e rideva sempre, ma la maggior parte delle volte erano risate sarcastiche, o dovute ad una cattiveria detta ad un povero amico -il suo soggetto preferito era Frank, ma non per questo lasciava che gli altri membri del suo gruppo la passassero liscia. Non che Calypso lo sapesse tutte queste cose su Leo! Mica lo spiava! Mica passava la maggior parte del tempo a fissarlo da lontano! Mica era una stalker!-.

Ma quel sorriso... quel sorriso...

"Non piangere durante la mia assenza!" canticchiò Leo saltellando allegramente verso la porta. Calypso lo ignorò, mettendo su un adorabile broncio e girandosi verso la finestra "Calypso?" chiamò preoccupato il ragazzo.

Non era normale che lei non rispondesse ad una sua provocazione. Leo lo sapeva. Lo aveva imparato durante quelle settimane di non-lavoro alla biblioteca.

Il loro rapporto -se-ti-avessi-incontrato-in-un-altro-mondo-ti-avrei-ucciso? dopo-tutto-non-sei-così-male? amicizia? Amicizia?- aveva un grafico ben preciso, dei punti immancabili, delle cerimonie di inizio e di fine. E le processioni sono importanti, per Efesto! Erano dei rituali tutti loro, che creavano un legame solo tra loro!

Punto Uno: Essere entrambi nella stessa stanza, per puro caso -trovarsi sempre alla stessa ora, sempre nello stesso posto, non era roba da Leo. Gli appuntamenti non erano roba da Leo, ma questo lo avrebbe scoperto più avanti. Il pensiero di incontrarsi per caso, come se tra le loro onde cerebrari si fossero allienate per un attimo, uno soltanto, portandoli nella stessa stanza, nello stesso posto... non era un miracolo meccanico del mondo? Del cervello? Fantastico-

Punto Due: Salutarsi coi nomignoli da loro inventati -eh, sì, all'inizio erano dispreggiativi... questo punto era sempre pienamente rispettato da Leo, che gridava Raggio di Sole anche solo guardandola da lontano, cosa che metteva in imbarazzo lei, ma Calypso aveva smesso tempo prima di gridargli dietro Omuncolo Fumacchiante, preferendo un semplice Leo. E lui ne era felice perché sentire il suo nome dalle sue labbra gli piaceva. Lo adorava.-

Punto Tre: Punzecchiarsi su qualsiasi argomento ed iniziare un Discorso Serio -strano ma vero, Calypso e Leo a volte parlavano Come Se Fossero Amici. E questo apriva un quesito nella testa del ragazzo. Seriamente, erano amici? E se la risposta è sì... come cavolo erano finiti ad essere Amici? Come?-

Punto Quattro: Buttare un discorso che sta diventanto moooooolto personale in caciara -anche se nessuno dei due vorrebbe. Anche se Leo aveva iniziato a raccontare a Calypso cose che non sapevano neanche Piper e Jason. Solitamente Nico arrivava sbuffando seguito da Grover, o Afrodite piangnucolava per un lavoro, o Percy rompeva di nuovo uno scaffale, o Frank aveva un problema frankoso e, niente, venivano interrotti sul più bello. Era un po' frustrante, in effetti-

Punto Cinque: Salutarsi con un insulto ed un sorriso sulle labbra -tutti dovrebbero ricordare sempre Calypso sorridente-

Quindi, secondo questo schema, Calypso avrebbe dovuto dire qualcosa come Non pensarci nemmeno, Ragazzo delle Riparazioni, o Sarai ovviamente tu a piagnucolare, come la femminuccia che sei!, per poi ridere e salutarlo con la mano.

"Sei un irritante omuncolo" sputò invece acidamente, senza neanche alzare gli occhi verso il ragazzo.

E Calypso sbuffò, aprendo un libro che era stato lasciato lì su quel tavolo, da qualcuno veramente molto smemorato -come potrebbe un essere umano con un minimo di cervello abbandonare a se stesso Cime Tempestose?

Leo sbattè le palpebre ed aggrottò le sopracciglia. Poi sospirò, infilandosi le mani nelle tasche e girando su se stesso per potersene andare.

Non era cattiveria, ma non trovava un motivo serio per cui la ragazza volesse litigare con lui. Nè perché fosse irritata con lui.

In fondo lui non aveva fatto niente di male, no? E non avrebbe lasciato che quella ragazzina viziata gli rovinasse il suo sospirato appuntamento con Thalia Grace -sì, anche questo era parte di quello che voleva dire a Jason-. Non le avrebbe lasciato questa soddisfazione!

No! No, proprio no.

Ma questo non impedì al suo cervello di continuare a chiedersi cosa cavolo avesse fatto per far arrabbiare Calypso. Ed anche perché non riuscisse a togliersi dalla testa quel suo broncio ferito.



☆★☆★

"Non sto spiando nessuno" ripeteva la ragazza coi capelli rossi e mossi, dietro a dei libri impolverati. Calypso, ogni tanto, le lanciava un'occhiata curiosa, cercando di dimenticare la sua irritazione sempre crescente verso un povero meccanico mezzo messicano "Sto solo... solo... controllando. Sì, ecco. Controllo."

Calypso chiuse il libro dietro il quale si stava nascondendo ed iniziò a guardare gli occhi chiari di lei spuntare trai libri per poi scomparire con un'imprecazione, o un gridolino soffocato. Era divertente vedere quella massa scomposta di capelli che saliva e scendeva senza una ragione logica.

Guardare quella ragazza, stava per far dimenticare a Calypso il fatto di essere arrabbiata. Quasi.

"Stronzo!" gridò la rossa, dando un calcio al legno chiaro degli scaffali, facendolo oscillare avanti ed indietro. Lei era troppo occupata ad imprecare, spostando i libri di lato, mentre si mordeva il labbro rabbiosamente, per rendersi conto che alcuni libri oscillarono pericolosamente, per poi cadere direttamente sulla sua chioma disordinata. La ragazza si portò le mani in testa, massaggiandosi, mentre si acovacciava a terra emettendo squittii acuti.

Era troppo.

Calypso scoppiò a ridere, portando le sue ginocchia al petto e socchiudendo gli occhi, mentre la rossa alzava il suo sguardo ferito verso di lei "Sì" ammise, mettendo il broncio "Anch'io avrei riso se fossi stata in te"

"Mi spiace"

"Non importa"

Calypso si morse il labbro, cercando di convincersi a continuare una conversazione. Poteva farcela. Doveva farcela. Mica doveva continuare ad essere una piccola ragazzina isolata. O no?

La rossa sospirò, tenendo la mano sulla sua enorme massa di capelli, prendendo tre libri che erano caduti a terra.

Sembrava triste, mentre si alzava in punta di piedi per poggiare i libri al loro posto, con quei suoi occhi socchiusi e quei movimenti lenti e quella smorfia addolorata sulle labbra. "Sembri veramente molto triste" si lasciò sfuggire Calypso, abbassando le ginocchia di lato, sulla poltrona, verso un cuscino sulla poltrona.

"Senti chi parla" rispose inaspettatamente l'altra, raccogliendo l'ultimo libro da terra, per poi rimetterlo in ordine "Miss Allegria"

"Scusami?"

"Stai leggendo la stessa pagina da esattamente quaranta minuti, che è stato il tempo in cui io sono stata qui. Non per niente, ma, quando non riesco a leggere o sto disegnado sui margini dei libri, o sto pensando a qualcosa che non mi piace. Tu non hai una matita, quindi..." la rossa si sedette a terra, accanto alla finestra e vicino alla poltrona dove era seduta la castana, che la osservava con le braccia incrociate "Sono Rachel, comunque"

"Calypso"

"Non c'è bisogno. So chi sei. Sono amica di Leo. Raggio di Sole, sbaglio?"

Calypso alzò un sopracciglio, ricordando al nome quanto fosse irritata con moro, nonostante non riuscisse a capire esattamente il perché. Sbuffò irritata, guardando verso la finestra, decisa a non riaprire più bocca per parlare con Rachel, visto che era collegata a Leo e visto che lei, in quel momento, con Leo, non voleva averci nulla a che fare.

"Strano" borbottò la ragazza seduta per terra, ed in quel momento Calypso notò che stava masticando una gomma "Pensavo fossi una tipa come Annabeth. Tutta biblioteca e libri. Pensavo dicessi Ah, ecco chi distrugge i miei amati libri con quegli scarabocchi odiosi! Invece te ne stai lì, zitta, a guardare la finestra"

"Avrei dovuto fare qualcosa come: Ah, disgraziata! Me la pagherai tu e tutta la tua discendenza?" alzò il pugno la castana, aggrottando sopracciglia e assottigliando lo sguardo, in un movimento che aveva visto fare molte volte ad Efesto ed Ermes. Le piaceva prenderli in giro, quando l'andavano a trovare, visto la differenza d'età.

Rachel scoppiò a ridere "Ma allora è vero che parli come un'anziana!" si asciugò una lacrimuccia dall'occhio e poi riprese "In effetti Annabeth mi ha detto qualcosa del genere"

"Io li trovo carini quei disegni. Sembrano far parte del libro, quindi..."

"Vero? Prima non li facevo mai, ma, sai, uno scrittore mi ha detto che adora quando io faccio certe cose. Devo essere sincera, non mi sarebbe mai venuto in mente se non mi avesse detto che... sono felice che fosse felice, nel senso lui... cioè... senti, perché mi hai detto così? " se Rachel fosse stata una figura animata, probabilmente in quel momento avrebbe avuto gli occhi a vortice e la sua testa avrebbe preso a muoversi a destra ed a sinistra "Non sono affari tuoi! " si difese debolmente, come se Calypso avesse detto qualcosa. Cosa che poteva succedere, visto che la ragazza aveva preso a sorridere divertita, processando tutti i personaggi che vivevano a New Olympus.

Uno scrittore? Un amante dell'arte? Un rompiscatole bell'e buono che va dietro a tutti, maschi e femmine?

L'unico scrittore latinlover di New Olympus era...

"Ma parli del signor Apollo?"

"No! Non voglio saperlo, non devi neanche pronunciarlo, quel nome. Non dirlo! Non dirlo!"

"Cosa? Apollo?"

Rachel si portò le mani sulle orecchie iniziando a ripetere "Lalala" senza neanche riprendere fiato, come molte Calypso aveva visto fare ai bambini delle elementari. Poi, la rossa, alzò gli occhi verso la ragazza seduta sulla poltrona, con un piccolo broncio ed alcuni ricci che le cadevano sul naso, in maniera graziosa ed armoniosa "Teoricamente parlando" disse, incrociando le gambe e le dita delle mani "conosco una ragazza che si è innamorata del signor Apollo. È stato per puro caso. Stavo... cioè, stava ripassando le battute per lo spettacolo scolastico di fine anno, era la coprotagonista ed era anche piuttosto brava, ma m-si è fatta prendere dall'ansia e, a pochi minuti dall'inizio del primo atto, si è andata a nascondere nello sgabuzzino della biblioteca..."

"Lo spettacolo lo ha fatto qui?" decise di stare al gioco Calypso.

"Quasi tutti gli eventi culturali sono finanziati dalla signora Afrodite" spiegò annoiata Rachel, facendo svolazzare la mano per aria, mentre con l'altra si sistemava da una parte i ricci e si inumidiva le labbra, nervosamente "Il fatto è: lei si è andata a nascondere nello sgabuzzino, sotto consiglio di Afrodite -diceva essere un posto rilassante, beh, se lo dice lei-, ma lì c'era anche questo scrittore, il signor Apollo, che amoreggiava felicemente con... una" , strinse i pugni sulle ginocchia, nascondendo a malapena un ringhio "Lei ha chiuso quasi subito la porta e non voleva pensare di aver appena interrotto qualcuno mentre amoreggiava. Sai, ai tempi era nel panico per il ruolo di coprotagonista. Era solo una ragazzina, in fondo. Però, il signor Apollo legge questa paura nei suoi occhi e, sai come nei film romantici, o nei telefilm? La ferma per il polso, la gira verso di lui e le chiede Cos'è successo? con quegli occhi così profondi, quel sorriso rassicurante... lei dice tutto, ovviamente. E lui fa la cosa più bella in questo mondo. Le racconta della prima volta che doveva presentare un suo libro e di come tutto era andato male e le dice che lei sarebbe stata perfetta, che lui l'avrebbe vista recitare e sarebbe stato deliziato dalla sua bravura. Lei recita per lui quella sera, solo per lui, anche se nessuno lo sa. E dopo quel giorno, lui non fa che tornare"

"In che senso?"

"Nel senso che torna!" allargò le mani esasperata Rachel, con un'aria vagamente isterica "Vuol dire che questa mia amica cerca di andare avanti con la sua vita ma continua a vederlo ovunque. Lo ossessiona, Calypso. Ossessiona! E quando lei pensa di stare meglio, quando riesce a trovare il suo sbocco in qualcosa, lui le compare alle spalle, sorride, dice qualche parola carina e lei cade di nuovo ai suoi piedi. Rotola per lui e lui nemmeno lo sa."

La castana annuì "E, a questa tua amica, non preoccupa la differenza d'età?"

"Tutto il mondo sa che Apollo ha l'età cerebrale di un tredicenne, sotto questo punto di vista, lei è più grande, no?"

"Allora perché questa tua amica non dice quello che prova al signor Apollo?"

Rachel si alzò in piedi ed iniziò a girare in cerchio per la stanza, accarezzandosi il mento, con fare nervoso "Perché non... seriamente? Conosci la reputazione di Apollo?"

"Idiota?"

"Dongiovanni!"esclamò nervosa Rachel "E continua ad incontrare ragazze e a baciarle. A portarle a mangiare in ristoranti, a vedere un film al cinema, o a casa sua e... non è giusto"

"Perché queste cose dovrebbe farle con lei." borbottò a mezzavoce Calypso, sentendosi stranamente vicina alla posizione dela ragazza.

Lei aveva avuto innumerevoli cotte, l'ultima delle quali si chiamava Percy Jackson, e sapeva cosa voleva dire vedersi rubare da qualcuno la persona che ti sembra amare di più a questo mondo. È come se ti portassero via un pezzo di te, e continuassi gridare "Smettila! Ridammi indietro il mio occhio! La mia mano! Il mio cuore!" ma nessuno ascolta mai un cuore spezzato. Al massimo ci fanno delle battute sarcastiche, o si creano delle barzellette sul dolore. Leo diceva che era il miglior modo per superarlo, invece di maledire da lontano quelle ragazze che erano riuscite in quello in cui lei aveva sempre fallito -far innamorare qualcuno di lei-, facci una bella battuta. Ridici sopra, chissà perché poi ti verrà voglia di ridere per davvero. Ed in quel modo era lui che faceva di nuovo sorridere lei.

Calypso non aveva mai pensato che anche Leo si sarebbe innamorato di qualcuno; non immaginava proprio che, già dalla prima volta in cui lei gli aveva gridato contro Omuncolo, lui era già innamorato di un'altra. Leo era...il Ragazzo delle Riparazioni, che flirta senza flirtare davvero, rimanendo sulla superfice della risata e non va in profondità. Solo in profondità ci si può innamorare. Lui non poteva innamorarsi. Era controproducente.

Ma l'aveva fatto; aveva conosciuto una ragazza ed aveva intravisto l'anima di lei e l'aveva trovata bella e...

E non capiva perché questo la ferisse così tanto.

"Teoricamente parlando, la tua amica è molto innamorata di lui"

Rachel si morse il labbro, sbattendo le palpebre velocemente "Teoricamente parlando, sì"

"E teoricamente parlando, poco fa lo stava spiando durante un suo appuntamento" punzecchiò la castana, spostando la testa di lato, di modo tale che sembrasse più innocente di quello che in realtà era.

La rossa sbuffò "Vederlo da lontano è l'unica cosa che potrebbe rimanere mia"

Non aggiunse nient'altro, si sedette per terra ed iniziò a disegnare sui bordi delle pagine dei libri. Erano disegni tristi ed anche se non erano espressi esplicitamente, in quelli, Calypso vide tanti cuori spezzati, tanto dolore nel non poter avere chi desiderava.

Mai come in quel momento, Rachel sembrò essere lo specchio della figura di Calypso.



☆★☆★


"Nico, tu non capisci la gravità della situazione" ripeteva per l'ennesima volta Leo, spostando in posizione d'attacco Dioniso e mandando le Baccanti nel campo nemico, perché decapitassero parte dell'esercito del ragazzino "Non mi saluta neanche", piagnucolò passando il turno.

Nico arricciò le labbra, annuendo e controllando le carte che aveva in mano "Non è l'unica ragazza che ti ha tolto il saluto, mi pare" rispose posizionando una trappola per ninfe nel mezzo del suo campo, per poi evocare Apollo in posizione d'attacco, che lanciò una pestilenza nel campamento nemico "Chione non ti ha retrocesso al grado di Sasso, dopo che hai fatto squagliare la sua pista di pattinaggio artistico? "

Leo sbuffò di malumore "È stato un incidente" bofonchiò "E comunque almeno lei un motivo per avercela con me, ce l'ha". Il ragazzo fece avanzare la sua statuina di Artemide verso il confine dei campi, mentre le Cacciatrici si posizionavano in difesa della Rocca. Si stava facendo paura per quanto stava diventando bravo a giocare a Mitomagia e -ma questo non lo avrebbe mai detto a Nico, neanche sotto tortura- per quanto quel giochetto da nerd gli stesse piacendo. Forse c'era un motivo se i suo compagni di scuola lo chiamavano in quel modo -"Quel tizio strano e nerd"-, magari era una sua parte nascosta a se stesso, ma chiarissima agli occhi degli altri.

Preso atto di questo, cosa doveva fare, allora? Mettersi gli occhiali da vista ed iniziare a tirare su col naso moccioli inesistenti?

Sembrava forte.

"Come Thalia. Che le hai fatto? È sbattuta contro un muro di cemento mentre cenavate? La tua compagnia è così terribile?" ridacchiò con un tono cupo il ragazzino, posando le carte sul tavolo e guardando negli occhi il messicano, che non poté fare altro se non abbassare lo sguardo e borbottare qualcosa d'incomprensibile.

Per quanto si potesse avvicinare a Nico, quell'aura oscura che lo circondava permaneva inalterata. Leo si chiedeva quanto tempo ci mettesse il suo cuore a ripararsi. Non aveva idea che il cuore di Nico fosse ancora in fase di rottura.

"Da quando ti sei dato alle battute, tu?" aveva chiesto aprendo la bocca il meno possibile, con fare offeso.

Nico alzò le spalle, facendo comparire Poseidone dal mare e facendogli causare uno tsunami, che devastò i campi coltivati di entrambi i campi, e Nico sarebbe stato nei guai, se solo non avesse avuto Demetra dalla sua parte.

Leo imprecò interiormente e si ripromise che avrebbe comprato le espansioni del suo deck il prima possibile.

"Non mi può ignorare per sempre"

"Dici?"

"Non le ho fatto niente!"

"Davvero?"

"Amico, non sei d'aiuto" concluse il messicano, incrociando le braccia con fare da ragazzino viziato e sempre più offeso.

"Non ho mai detto di voler essere d'aiuto. Anche se tu sei ovviamemte confuso"

"Ti ci voleva una laurea per capirlo?"

Nico sbadigliò, dimostrando quanto poco s'interessasse della conversazione, poi si stropicciò un occhio e, controllando a destra ed a sinistra che non ci fosse nessuno che potesse vederlo o sentirlo, disse l'unica cosa che Leo non avrebbe mai voluto sentire in quel momento:"Ma tu non dovresti pensare al fatto che il tuo appuntamento con Thalia è andato male?"

Eh, niente male Di Angelo. Touche.

La verità era che Leo non aveva pensato all'appuntamento con Thalia, neanche durante l'appuntamento con Thalia, e neanche prima o dopo. Tutto per colpa di quella ragazzina viziata, che si era arrabbiata con lui perché... perché... doveva chiedere spiegazioni su questo dettaglio.

Lui faceva cose stupide, continuamente.

Dimenticava le chiavi di casa, a volte anche il gas acceso, creava marchingegni, che donava ai suoi amici, e scoppiavano loro in faccia -povera Piper. Si era beccata un'esplosione almeno quattro volte, per quattro anni di fila, il giorno del suo compleanno. Non era cattiveria però, era affetto che non raggiungeva il suo scopo-, copiava durante i compiti in classe di letteratura, punzecchiava le persone col sarcasmo... ma, prendendo in considerazione la settimana prima dell'arrabbiatura di Calypso, non aveva fatto cose troppo stupide e -volutamente- cattive; non nei confronti della ragazza, almeno.

Era un'intera settimana, dal Giorno del Grande Fiasco, che Calypso non lo insultava neanche più. E no, Leo non era masochista, ma punzecchiare una persona è qualcosa che si fa in un rapporto d'amicizia, o, almeno, si faceva nel loro rapporto di amicizia. Ricordate la scaletta? Eh, appunto. La scaletta è sacra! Non si può tralasciare la scaletta!

All'inizio aveva sperato che la ragazza si fosse dimenticata della sua arrabbiatura. In fondo, per quanto ne sapeva Leo, Calypso poteva essere nei Suoi Giorni e avrebbe potuto cambiare stato d'animo continuamente -Come? Ah, no. Leo non sapeva se questa fosse una leggenda metropolitana o no. Ad esempio, sua mamma non era mai irritata, ma Annabeth e Piper lo erano quasi sempre, roba che confondeva non poco il Calendario della Luna che Leo teneva in camera, per sapere in quali giorni poteva scherzare liberamente con le sue amiche, ed in quali no. Aveva provato a chiedere direttamente alle ragazze "Quando avrete il ciclo?", ma la reazione era stato un pugno dritto in faccia. Che non era una risposta. Forse quel giorno avevano il ciclo.-. Seriamente, Leo non ricordava di averle fatto niente di terribile. Eppure la ragazza, il giorno dopo il Grande Fiasco, era entrata nella biblioteca, gli occhiali da sole sul naso a coprirle gli occhi, e, senza girare nemmeno la testa dalla parte di Leo, che, sulla scala, avvitava una lampadina a risparmio energetico, aveva oltrepassato la stanza senza una sola parola.

E così aveva fatto per sette lunghissimi giorni, non lasciando Leo lamentarsi né con lei, né interiormente, della cena con Thalia andata male.

La sua testa era piena di domande che avrebbe voluto fare a Calypso e gli macava parlare con lei, farla arrabbiare e -sì, beh, magari un po' masochista lo era- farsi insultare.

Avrebbe dovuto pensare a Thalia, nel frattempo?

"Dovrei?"

"Dovresti"

"Nico?" la testa di Calypso spuntò dal corridoio, lasciando la sua treccia svolazzare sulla sua spalla.

Era aggrappata allo stipite della porta, mostrando solo la metà superiore del suo corpo. Nonostante questo, Leo riuscì a vedere la sua maglietta rossa svolazzare e pensò a quanto il rosso potesse starle bene.

Il ragazzino sbattè le palpebre, annoiato, facendo cenno con la testa verso la ragazza, per farle capire che sì, purtroppo l'aveva sentita. Leo, che poco prima aveva girato in fretta la testa, lasciando che alcuni suoi ricci mori gli cadessero sugli occhi, cercando d'incontrare gli occhi scuri di lei, aveva già in bocca una battuta che avrebbe detto col sorriso.

Ma non disse niente.

Si congelò, come se, per una volta nella sua vita, avesse paura di Calypso e di un possibile rifiuto da parte sua. Ossia, no, lui aveva sempre avuto paura di essere rifiutato dagli altri -guarda come si era sentito quando Jason aveva preferito parlare con Piper, piuttosto che con lui-, in quel momento aveva il terrore che qualcuno, dopo aver visto qualcosa di nascosto in lui, lo allontanasse a causa di quella parte di se stesso che le aveva mostrato. Capito, no? Terrore, non semplice paura.

"Afrodite dice che è ora per voi di parlare di quella cosa" roteò gli occhi la ragazza, appoggiando una mano sul legno della porta.

"Quale cosa?" chiese diffidente Nico. Era impallidito e la sua voce suonava debole e lontana.

Che fosse nei guai?

Leo iniziò a tamburellare le mani, seguendo il codice morse che sua madre gli aveva insegnato quando era più piccolo. I. L. O. V. E. Y. O. U.

Il più piccolo aveva preso a guardare le sue dita sbattere leggermente contro il legno, alzando un sopracciglio, quasi avesse compreso il codice del messicano. Se anche fosse stato così, non disse niente e Leo tirò un sospiro di sollievo.

Sarebbe stato imbarazzante, se qualcuno avesse scoperto che, tutte le volte che s'innervosiva -fosse a causa di qualcosa che doveva affrontare lui di persona, o qualcosa che colpiva i suoi amici e lui non poteva far nulla per aiutarli-, iniziava a tamburellare a tutti quanto volesse loro bene.

Insomma, già lo abbiamo detto che Leo non era Grover!

"Ha detto che avresti capito"

Nico annuì gravemente "Giochiamo un'altra volta" disse, infilando velocemente il suo deck e le statuine nel suo zainetto. Con la mano salutò Leo, con un cenno della testa ringraziò Calypso per averlo chiamato, poi scomparve a passo lento, senza una sola spiegazione.

La ragazza seguì i suoi movimenti con lo sguardo, a metà tra il preoccupato ed il solidale, dimentica della presenza del messicano nella stanza.

"Allora..." iniziò Leo, imbarazzato.

Calypso non si degnò neanche di guardarlo, iniziò a camminare velocemente nella stessa direzione del ragazzino, lasciando le parole di Leo volare per la stanza vuota.

Il ragazzo strinse i pugni sul tavolo, mordendosi rabbiosamente le labbra.

Adesso anche lui era arrabbiato.




Note dell'autore
Non so esattamente cosa dovrei aggiungere a questo punto della storia. Ho calcolato, più o meno, dieci capitoli in tutto, fatti di battibecchi e scene fluff. Perché ci vogliono cose che non ci fanno soffrire. Nonostante questo, ho dovuto inserire qualcosina di più serio. Un po' per Nico, un po' anche per Leo e per Thalia.
Se siete curiosi di sapere com'è andata tra Thalia e Leo, sappiate che la prossima settimana avrò l'onore di pubblicare il capitolo d'esordio della maggiore dei Grace.
Ultimo punto: Leo computa I love you solo perché, avendo ambientato il tutto negli Stati Uniti, Leo parla inglese. Ed in inglese non c'è differenza tra "Ti voglio bene" e "Ti amo", almeno così mi hanno detto. Cioè, se lo trovo lo scrivo, giuro. Ma questo era solo un Ti voglio bene da amico. Davvero.
Ringrazio chi segue, ricorda e preferisce la storia :)
Ed un ringraziamento speciale a chi recensisce! Mi scaldate il cuore (❤️=> mio cuore)  

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Capitolo 5
*** La prova del nove, che Leo non sa più fare ***


Come utilizzare la biblioteca nella maniera più sbagliata in questo mondo ed essere felici

Ossia di quando Leo scoprì dei retroscena della vita di tutti che non avrebbe mai, mai, proprio mai, confessato a Piper

Capitolo cinque: La prova del nove, che ormai Leo non sa più fare


Alle mie sorelline, e a chi, come loro, ama Leo Valdez e squittisce per ogni singola cosa che l'emoziona







La pronuncia del nome di Leo, nelle diverse bocche dei suoi conoscenti e dei suoi amici, era oggettivamente diversa.

Era a questo a cui stava pensando il ragazzo, mentre stava dividendo con Thalia un pezzo di pizza americana, ai lati del parchetto, in mezzo al gelo. Il che era odioso, visto che era da anni che aspettava la sua opportunità con quella ragazza. Praticamente dalla prima volta in cui l'aveva vista, seduta accanto ad un grande falò, mangiando mashmallow bruciacchiati, insieme alle girl scout e criticando la sezione maschile dei boy scout -a quei tempi lo faceva molto bonariamente, lasciandosi scompigliare i capelli da Luke-, e da prima di aver guarito, grazie a Piper, la sua irrazionale paura nei confronti delle ragazze.

Già, erano millenni che Leo Valdez aveva una cotta per Thalia Grace.

"Leo" aveva chiamato la maggiore, indicando, con la bocca piena, la Coca-cola . Il ragazzo annuì assente, prendendo la lattina e porgendogliela, senza staccare gli occhi dalla terrazza, arricciando le labbra ed aggrottando le sopracciglia, in un'espressione pensierosa.

A Thalia questo silenzio di Leo non sembrava dar fastidio, anzi. Per la prima volta nella sua vita lo stava trovando gradevole, in qualche strana e curiosa maniera.

Niente battutine, niente flirt, niente marchingegni esplosivi. Solo un ragazzino preso dai suoi pensieri e non troppo rumoroso. Il che, ad essere sinceri, non era assolutamente da Leo, era da... qualcuno che non era Leo.

Forse, Luke era così.

Sorriso triste, discorsi convincenti, mente elastica, vivacità repressa. Sì, quello era Luke. Leo era più un folletto rompiscatole che salta per le praterie, con un irritante sorriso felice e una lingua troppo lunga.

E così avrebbe dovuto essere in quel momento, soprattutto dopo che Thalia aveva acconsentito ad uscire di nuovo con lui, dopo il Disastro del loro primo appuntamento. Leo si rendeva conto che la ragazza aveva deciso di dargli una seconda possibilità più perché aveva in mente qualcosa, che perché fosse realmente interessata a lui. Ma a caval donato non si guarda in bocca, si era detto davanti allo specchio del bagno, con le mani impiastricciate di gel, che avrebbe buttato nel water, visto che non sapeva cosa doveva essenzialmente farci.

Insomma, neanche Leo si sarebbe dato un secondo appuntamento, non dopo aver accidentalmente causato una reazione a catena, con l'aiuto di Festus, facendole scoppiare una bottiglietta di gassosa tra le mani, che l'aveva fatta balzare indietro e l'aveva mandata a sbattere contro un ciclista poco attento, facendole colpire violentemente la testa.

Per chi pensa che Leo Valdez, piccoletto e smilzo, non sarebbe riuscito mai a mettere KO nemmeno una ragazza: alla faccia vostra!

Thalia aveva un bernoccolo in testa, ma questo non era niente. Sembra che dopo l'impatto con la bicicletta, dalla testa della ragazza avesse iniziato ad uscire un mare di sangue, cosa che aveva mandato nel panico più totale il piccolo messicano. Fortunatamente una Annabeth munita di fasce e cerotti era corsa verso di lui -seguita da una Piper con un bicchiere d'acqua. Fu così che Leo Valdez capì che quelle due, più i rispettivi fidanzati, o quasi fidanzati, che seduti su una panchina del parco lo salutavano allegramente, lo stavano spiando durante il suo Appuntamento. Ma non poté arrabbiarsi con nessuno. Fece promettere loro che non lo avrebbero mai più seguito con binocoli e occhiali da sole; non per questo aveva la speranza che effettivamente rispettassero la parola data. Già-, ed aveva salvato Thalia da un possibile dissanguamento. E poi l'aveva portata via.

Un Appuntamento da raccontare ai propri nipoti. Almeno per farli ridere... Vostro nonno Leo, quando era giovane... suona bene.

Detto questo, a Leo dispiaceva veramente molto per Thalia. Ma la cosa finiva lì.

Strano, no? La mente del ragazzo era completamente occupata ad essere arrabbiata con Calypso, ripassando i loro vari incontri casuali nella biblioteca e pensando a come farle pesare il più possibile il loro litigio, con stupidi scherzetti, alcuni giorni, ignorandola completamente, altri.

Litigare, che ci crediate o no, è uno spreco infinito di energie e di tempo.

"Leo?"

"Mmm?" mugugnò il ragazzo, prendendo da sopra la pizza una patatina fritta, ricoperta di ketchup e maionese, attento a non sbrodolare sulla sua maglietta rossa.

Stava morendo di freddo, ma, da quando aveva lasciato il suo giubbotto militare a Ragazzina Viziata, non aveva niente con cui coprirsi, se non i vecchi giubbotti di Efesto, che però erano deformati e troppo grandi per lui, ed il ragazzo aveva preferito lasciarli a casa, pensando che, in fondo, non doveva fare poi così freddo, quel giorno.

Una cosa era sicura: Leo non sarebbe mai diventato un meteorologo.

"Pensavo oggi saresti andato in visibilio. Ero pronta a dover sopportare per almeno due ore un Leo iperattivo" borbottò con un tono semplice ma straordinariamente comprensibile ed autorevole la ragazza. Sorrise -cioè, uau, sorrise!- girandosi verso il ragazzo e, per una frazione di secondo, si potè intravedere quella dolcezza che la ragazza aveva quando parlava con Jason. Leo non commentò il fatto, semplicemente, alzò le spalle "Invece te ne stai lì zitto zitto. A cosa pensi?"

Si sarebbe dovuto offendere? Anche soltanto un pochino? Essere trattato dalla ragazza che ti piace come un fratellino minore doveva essere quantomeno umiliante, ma Leo ci passò sopra senza problemi.

Sembrava che, in fondo, tutte le ragazze intorno a lui lo vedessero semplicemente come un fratellino, bastava prendere come esempio Annabeth, o Piper. Che alla sua lista di sorelle maggiori si aggiungesse anche Thalia, avrebbe dovuto irritarlo?

"A come le persone dicono Leo" rispose, riportando il suo sguardo annoiato verso l'orizzonte. Dalla parte di Thalia si alzò un verso sorpreso, seguito da un leggero sorriso accennato e rumoroso "Lo giuro" continuò il ragazzo annuendo.

"Perché?"

"Voi " spiegò, indicando la ragazza, senza troppa attenzione "dite Lio. Ehi, Lio, ti va di andare a prendere una pizza? All'inizio non capivo neanche steste parlando con me. Mia mamma mi ha sempre chiamato Léo, alla spagnola, quindi sono sempre stato abituato a questa pronuncia. Anche Reyna mi chiamava in questo modo, prima di... beh, sai: Jason... Poi, con la scuola mi sono abituato al vostro Lio, ma ultimamente mi suona di nuovo strano"

"Non mi sembra tu abbia smesso di andare a scuola" rispose l'altra, infilandosi in bocca una cannuccia per poter bere la sua Coca-cola.

"No, infatti. Ma sai come mi chiama Nico? Lèo, all'italiana. Ed è fantastico. Solo per come mi chiama lui, mi trasferirei in Italia a farmi chiamare Lèo, Lèo, Lèo"

"Sembra divertente"

"Penso lo sarà"

"Ti piace Nico?"

"È veramente un buon amico"

"Non intendevo quello" Thalia abbassò la testa, fino a far toccare il suo mento alle mani, poggiate sulla fredda ringhiera di ferro, davanti a lei "Penso dovreste stare più attenti a Nico"

"In che senso?"

"In tutti i sensi" Thalia dondolò sui talloni "Come altro pronunciano il tuo nome?"

"Calypso" rispose immediatamente il ragazzo, girando la sua testa verso quella di lei "lo dice in modo strano. È bello quando pronuncia il mio nome, non so..."

"Dici perché la sua lingua è il maltese?"

"Maltese? Una salsa?"

"Una lingua. Lo sai, vero, che lei viene da Malta?"

Leo si grattò il mento, pensieroso "Mi stai dicendo che chi viene da Malta parla il Maltese? Oh, per favore! Questa te la sei inventata! È come se dicessi che chi viene dal Brasile parla il brasiliano, o dal Messico il messicano, o dal Sudafrica il sudafricano, o..." la lunga lista di esempi che Leo aveva preparato in quei pochi sencondi, fu interrotta da un pugno sulla sua spalla forte e deciso da parte di Thalia, che lo guardava visibilmente irritata.

"Ovviamente parlano il maltese, Leo. Come lingua esiste" roteò gli occhi, scuotendo la testa, con aria da superiore "Comunque ti piace come Calypso pronuncia il tuo nome"

"Sì"

Cadde nuovamente un piacevole silenzio ed i due, seduti su una panchina di pietra, davanti al panorama fatto di natura e case, che offriva loro la posizione di New Olympus, terminarono di mangiare la loro tiepida pizza, condita con patatine fritte e salse di tutti i tipi.

Erano anni che Leo desiderava quello. Lui e Thalia, insieme, condividendo qualcosa, senza che il silenzio li mettesse a disagio, senza quello sguardo altero di Thalia e la sua maschera di irraggiungibile nobiltà, senza mura costruite da lui. Magari, in più, si aspettava solo la sua giacca militare ed una sciarpa. Chissà perché, tutte le volte che fantasticava sul suo primo appuntamento con Thalia, pensava che avrebbe indossato una sciarpa rossa. In fondo, non ce l'aveva neanche una sciarpa rossa.

Ma, adesso che, bene o male, le sue fantasie erano diventate realtà, l'unica cosa su cui riusciva a concentrarsi era che, a volte, anche con Calypso rimaneva in silenzio. Lei leggeva, o studiava, lui avvitava lampadine o progettava nuove macchine, o motori. A volte lei si occupava del giardino della biblioteca, per svago, non per dovere, amava piantare fiori e canticchiare a bassa voce e lui adorava il fatto di poterla ascoltare, mentre lavorava. Od il semplice saperla lì, lo faceva sentire più sicuro, non sapeva il perché.

Pensava a quanto fosse diverso il silenzio tra loro, in quel periodo. Era tutto così disagevole, così pesante, così pieno di rabbia... odiava quel tipo di silenzio.

Lo odiava come non aveva mai odiato niente al mondo, prima di allora.

"Penso che tu non mi piaccia più, in quel senso" Leo osservava una nuvoletta di anidride carbonica formarsi davanti alla sua bocca, mentre diceva l'unica frase che non aveva mai pensato di dire nella sua vita a Thalia Grace. E mentre terminava la frase, fu colpito dalla verità delle proprie parole, che, sincere e libere, volavano ancora nell'aria del parco.

"Lo so" fu la sorprendente risposta di lei, sorridente "Finalmente ci sei arrivato"

"Perché hai accettato di uscire con me?"

"Per la fine" la ragazza s'infilò le mani nelle tasche, nascondendo le proprie guance nella sciarpa viola, che portava intorno al collo "Ogni amore ha bisogno di un punto fisso, Leo. Anche quelli che non hanno mai avuto inizio. Un momento in cui dici Basta, più di così non si può fare, in cui entrambi mettono un punto alla storia. Altrimenti si chiederanno sempre se c'è un modo per continuare un amore mai nato, o già morto. Potrebbe esserci ancora una speranza, per noi?" Thalia non lo guardava negli occhi, guardava verso le luci delle case, con un'aria triste e malinconica. Leo comprese che, in quel momento, non stava parlando necessariamente di loro due "Questo è il nostro Punto Fisso. La fine della nostra non-storia d'amore. Da qui c'è un punto, non puoi che andare avanti, quindi," la ragazza prese la scatola, in cui pochi minuti prima si trovava la pizza tonda, ormai vuota e fece per alzarsi in piedi "addio Leo Valdez che aveva una cotta per Thalia Grace"

"Aspetta" la fermò il ragazzo, prendendola dalla giacca "Non dovrei avere un bacio d'addio? Tutti gli amori hanno un bacio d'addio" aveva il solito sorriso furbo, con quel suo tono di voce scherzoso che sempre utilizzava con le ragazze. Era il tono di voce che usava con tutte le ragazze. Con quelle che non erano speciali per lui. Non aveva mai parlato così a Piper, figuriamoci ad Annabeth! Non aveva parlato così neanche a Calypso, ma quella era solo una coincidenza. Prima di allora, non l'aveva usato mai neanche con Thalia...

La ragazza alzò gli occhi in cielo e colpì in testa il ragazzo, con la scatola della pizza "Aspetta e spera, Valdez"

"Addio Thalia Grace per cui avevo una cotta" sorrise lui.

E si chiese tante cose, mentre Thalia se ne andava, chiusa nel suo giubbotto a vento e nascosta dalla sua sciarpa.

Perché sembrava tanto triste, parlando della fine di una storia d'amore? Perché ci teneva tanto a dare un punto di fine e partenza a Leo? Perché proprio in quel momento, e non prima?

Come faceva a sapere Thalia che lui non era più innamorato di lei?


☆★☆★


"E questa roba a cosa serve?" chiese Rachel, passando la casetta di legno a Calypso che, insieme ad Ella e Juniper, era seduta su un ramo della Grande Quercia, con un martello in mano e dei chiodi in bocca "Non potevi chiedere semplicemente a Leo di aiutarti?"

"No!" gridò indignata la castana, incastrando le gambe tra loro, intorno al ramo, per potersi sporgere in basso, verso Rachel e la casetta di legno. La prese, mentre i suoi capelli caddero verso terra, come le ultime foglie attaccate sugli alberi, per poi dondolarsi e spingersi di nuovo in alto, non con poca difficoltà. Ella prese la casetta tra le mani, mentre Juniper, più esperta nell'arte di vivere sopra gli alberi, in piedi sul ramo, aiutò la ragazza a sistemarsi la treccia e rimanere in equilibrio "Quell'omuncolo non avrebbe mai capito. Come non lo fanno tutti gli uomini"

Rachel sospirò, alzando gli occhi al cielo "Questa roba deve finire" borbottò, prendendo da dietro l'orecchio la matita, incastrata trai suoi riccioli rossi "Perché non parlate?" chiese, sedendosi con le gambe incrociate sotto l'albero.

"Solo gli idioti parlano con gli idioti" rispose Calypso, iniziando a martellare il tronco dell'albero con violenza, quasi dovesse uccidere il povero vegetale.

"Solo gli idioti partono senza neanche salutarti" ringhiò Juniper, attaccando con rabbia una casetta dipinta di verde sul tronco dell'albero.

"Solo gli idioti non si accorgono quando qualcuno è innamorato di loro" sospirò con la matita in bocca Rachel, appoggiando la testa sul grande tronco della Quercia, sperando che, da un momento all'altro, questa potesse passarle la sua forza. "Ma cosa siamo? Il club delle pene d'amore?" rise amaramente, agitando la matita in aria e cercando lo sguardo delle ragazze che, a cavalcioni sui rami continuavano ad inchiodare le casette di legno sul tronco.

"In lotta per un migliore mondo per gli uccelli!" rise, scuotendo la testa Juniper, con le braccia tese ad afferrare un ramo più alto di quello sul quale era poggiata.

"Se hai pene d'amore, finirai ad attaccare casette di legno sugli alberi. Mi piace." annuì Calypso, togliendosi dalla bocca l'ultimo chiodo " È anche sincero. Potresti fare un cartello, Rachel. Finirete come noi"

"Ella non è triste" sorrise Ella, dondolandosi su un ramo, tenendosi per le mani, le braccia allungate verso il basso ed un sorriso che Rachel vide al contrario, dalla sua postazione "Ella è felice. E le piacciono gli usignoli! A Ella costruire case per gli uccelli piace!" e rise, mentre continuava a dondolarsi avanti ed indietro, quasi si trovasse su un'altalena al contrario.

Le altre tre ragazze, al vedere i movimenti bruschi di lei, si mossero in contemporanea verso la piccola rossa, allargando le braccia per assicurarla al ramo. Rachel scattò in piedi, fermando il busto della bambina con entrambe le mani e dedicandole un sorriso preoccupato "Ti sfido a trovare qualcosa che non ti piace, Ella" disse, facendola scivolare sulle sue spalle e tenendola come un sacco di patate, per poi rotearla ed appoggiarla a terra, sui suoi piedi.

"È un male?" chiese, aggrottando le sopracciglia, Ella, e seguendo con lo sguardo la rossa, che porgeva altre casette di legno ed altri chiodi a Calypso, mentre Juniper, passata la preoccupazione per la più piccola, continuava ad arrampicarsi sui rami più alti.

"Ella" disse la castana, con i nuovi chiodi in bocca e lo sguardo concentrato sul tronco, le sue mani accarezzavano la corteccia con delicatezza, mentre decideva qual era il posto migliore per la casetta "sei l'essere più saggio che io abbia mai conosciuto"

"Lo ha detto anche la signora Afrodite" annuì la bambina pensierosa, sedendosi accanto a Rachel sul prato pieno di foglie secche. La ragazza aveva preso un blocco di fogli, che teneva sulle sue ginocchia, e teneva la punta della matita ferma sul foglio bianco.

Con la mano libera, Rachel accarezzò dolcemente i capelli spettinati della bambina "E sei anche troppo piccola per capire le pene d'amore" le sorrise con tenerezza.

"Oh, lo pensava anche la signora Afrodite, ma poi mi ha detto che non è così." Ella prese dei colori dalla borsa di Rachel e si buttò sul foglio, ancora bianco, per disegnare un grosso sole giallo nel mezzo.

"E perché mai Afrodite ha cambiato idea? Ammettendolo per di più! Quella donna non ammette mai di avere torto" chiese Calypso, sedendosi all'amazzone sul ramo, mentre guardava in basso verso le due. Non voleva ancora scendere dall'albero, anche se, di casette sulla corteccia della Grande Quercia, ce n'erano abbastanza.

"Tyson?" chiese Juniper saltano sul ramo in cui si trovava la castana e sedendosi a cavalcioni su quello "Sempre detto che Ella non è stupida. Si è accaparrata il ragazzo migliore di tutta New Olympus, ed anche il più dolce"

Ella continuò a colorare il suo enorme sole, sulle gambe di Rachel "Signora Afrodite dice che siamo stati un effetto collaterale. Non so perché. Dice che Ella e Tyson non dovevano incontrarsi."

"Perché mai?" esclamò Calypso dondolando le gambe, ma la sua voce fu oscurata dalla domanda più chiara e forte di Rachel.

"E come vi siete conosciuti?"

Ella guardò la ragazza e spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, arricciando le labbra "Dei cani stavano inseguendo Ella. Percy ha salvato Ella sul suo skateboard e poi ha lasciato Ella alle cure di Tyson. E siamo diventati amici"

Le tre ragazze sorrisero teneramente alle parole della ragazzina, che aveva ripreso a colorare in obliquo il sole. "Tyson è fantastico" ruppe il silenzio Calypso, guardando verso il tronco d'albero le casette per gli uccelli "è stato lui, no?, a costruire le casette, intendo. Sono fantastiche"

Ella sbattè le palpebre, sdraiandosi sulla schiena "No" rispose, alzando una mano verso le foglie caduche "Tyson doveva farlo, ma non poteva finirle in tempo. Allora Signora Afrodite ha dato il compito a Leo Valdez. Le ha finite tutte in un pomeriggio"

Calypso continuò a dondolare le gambe, mentre Rachel alzava lo sguardo verso di lei, con un sorrisetto furbo e sul viso scritto Leo, eh?

"In effetti, queste casette non sono poi così belle" sbuffò la castana, gettandosi dal ramo verso terra. La rossa stava ancora guardandola con quel sorrisetto, come a dirle E chi ti crede?, ma non disse niente, in presenza di Ella e Juniper. Raccolse invece, una foglia rossa, a forma di cuore e la infilò tra i fogli del suo album.

"Una settimana" mormorò, canticchiando.

Calypso la fulminò con lo sguardo e sbuffò “Al diavolo”


☆★☆★


"Non potresti farmi, che so, da avvocato?" chiese Leo, seguendo la bionda in mezzo agli scaffali della biblioteca, mentre riponeva dei libri.

"Sto studiando per diventare architetto, non avvocato, Leo" sbuffò lei, tirandogli un libro perché lo infilasse trai libri più alti.

Il ragazzo arricciò le labbra, facendo passare da una mano all'altra il detto libro, pigramente, mentre Annabeth andava a destra ed a sinistra, accarezzando le copertine dei libri "Architetto, avvocato, c'è differenza?"

"Direi di sì" sorrise l'amica, girandosi verso di lui e poggiando le spalle contro gli scaffali, mentre incrociava le braccia "Anche se penso che nessuno si farebbe imbrogliare come te"

Leo, col libro sotto il braccio ed un foglietto nella mano destra, la fulminò con lo sguardo, assottigliando gli occhi scuri "Non è divertente"

"Afrodite ti sta pagando con consigli amorosi" mise in chiaro Annabeth, portandosi una mano davanti le labbra per nascondere un sorriso che voleva sfociare in una fragorosa risata "È esilarante" si dovette mordere le labbra per non scoppiare.

Leo mise il broncio "E non posso neanche denunciarla"

"Santo cielo! No!" scoppiò la bionda, tenendosi la pancia "Il vostro era un patto orale. Ha promesso niente più problemi sentimentali, non economici. Era ovvio che sarebbe andata a finire così"

"Se era così ovvio, potevi sempre avvertire" sbuffò il ragazzo, scuotendo la testa.

"E perdermi i consigli Made in Afrodite? Neanche matta" Annabeth salì sulla scaletta, chiedendo con il solo gesto della mano il libro con cui lui continuava a giocherellare "La paga di questo mese è stato...?"

Leo alzò gli occhi al cielo, lasciando il libro nelle mani della bionda, per poi infilare le sue mani nelle tasche e mostrare un altro libro, solo in formato tascabile e con l'aria di esser stato appena comprato. Annabeth assottigliò gli occhi, cercando di focalizzare il titolo dall'alto della sua scaletta, ma il messicano aprì alla prima pagina del libro per leggere ad alta voce "Ti piace qualcuno a cui non puoi piacere perché è più facile sopravvivere all'amore non corrisposto che ad un amore non più corrisposto"

"Vedo che anche Afrodite è caduta davanti al fascino di John Green" sorrise Annabeth, leggendo i codici dei libri con i quali la biblioteca li ordinava.

"Jason?" chiese stupidamente il ragazzo, ripensando al fatto che, se Percy Jackson per il signor Dioniso -proprietario di alcuni pub e preside di quasi tutte le scuole di New Olympus, va a sapere come fosse possibile- era Peter Johnson, Jason Grace nei registri della scuola appariva sotto le mentite spoglie di John Green, nonostante le proteste del biondo e di suo padre. La verità era che il signor D era l'unico preside in tutti gli Stati Uniti a fare quello che cacchio gli pareva, come far entrare ed uscire dal complesso scolastico gli alunni senza alcuna giustificazione, o, e questo aveva scaturito lo sdegno di quasi tutti i genitori -tranne di Zeus, che aveva detto "Sono adulti e vaccinati, non mi porteranno alcun motivo di vergogna, i miei figli", mandando una frecciatina ai suoi due fratellini ed ai suoi nipoti, intenti a lottare tra loro, tirandosi addosso Happy Meal-, far bere vino rosso a tutti gli alunni durante i consigli d'Istituto, obbligatoriamente e proclamando, a volte, la superiorità della Coca-cola sulla Pepsi, a volte, al contrario, quella della Pepsi sulla Coca-cola.

"Jason è uno scrittore?" alzò un sopracciglio Annabeth.

"Jason sa scrivere?"

"Sa parlare latino..."

"Parlare, appunto"

Entrambi scoppiarono a ridere, a discapito del biondo che, probabilmente stava di nuovo litigando con Percy su chi fosse il più fantastico trai due, nei campetti da calcio, poco lontano dalla biblioteca.

"Devi leggere quel libro?" disse iniziando a scendere dalle scalette la ragazza, anche se il suo occhio fu catturato da qualcosa sullo scaffale dei libri, un volume che credeva non fosse nella biblioteca, avendolo richiesto più volte ad Afrodite senza che lei lo trovasse.

"Ho mai letto un libro che mi hanno detto di leggere?" la distrasse Leo, inconsapevole del percorso mentale della bionda.

"Hai letto Kangaroo? a quattordici anni, perché te lo aveva detto Chione" Annabeth sorrise, portandosi entrambi le mani sui fianchi ed aspettando una risposta che scusasse il conportamenti di un Leo Valdez quattordicenne ed in preda agli ormoni.

"Se una bella ragazza mi dice Va a leggerti Kangaroo?!, io, per amor suo, me lo leggo" rispose perfettamente in linea col suo personaggio il ragazzo.

Annabeth pensò che, forse, Will ti presento Will sarebbe potuto essere terapeutico per lui "Era un modo per mandarti a quel paese" spiegò, annuendo velocemente.

"Queste ragazze d'oggi" sbuffò Leo, scuotendo velocemente la testa "Mica le capisco. Potrebbero dirmi tutte Va al diavolo!, questo lo capisco"

"Leo, nessuno dice Va al diavolo da decenni" mormorò la bionda, prendendo il libro che aveva adocchiato poco prima, più per paura che una possibile conversazione seria con Leo -conversazioni non rare, per quanto ragazze come Thalia le trovassero tanto rare quanto un buon professore di educazione fisica, e che li avevano portati a discutere tutta la notte su piante di edifici e possibili attrezzi da costruzione per un minimo di cinque ed un massimo di quindici ore, mentre Percy li guardava, mangiando pizze e cercando di superare il record di Jason riguardo il rimanere a testa in giù per un tot di tempo-, la potesse distrarre dall'acchiappare una tale rarità e bellezza.

Annabeth con un sorriso quasi estasiato, con lo sguardo con cui guardava soltanto Percy, sfogliò il libro, odorandone le pagine -polvere ed antichità- e non ebbe il tempo di pensare quante ragazze avrebbero avuto la stessa reazione davanti al De profundis, perché un foglietto cadde sul naso di Leo, che aveva aperto la bocca nell'intento di andar contro le ultime parole di lei.

Il ragazzo arricciò il naso, acchiappando, con qualche difficoltà il foglietto, stropicciato ma visibilmente nuovo, nonostante il maltrattamento ricevuto, e portandoselo davanti ai suoi scuri occhi curiosi.

La prima cosa che pensò, da ragazzo dislessico, fu che chiunque avesse scritto quel bigliettino era dislessico. La seconda cosa che pensò fu che c'era scritto -per quel che era riuscito a capire-il nome di Calypso, la terza cosa che pensò fu "Eh?", mentre Annabeth gli strappava dalle mani il foglietto e lo studiava attentamente.

Alzò un sopracciglio.

Mi disp tnt Calypso.

"Percy?" domandò lei alzando un sopracciglio.

"È nel campo di calcio..." iniziò a rispondere confuso Leo, inclinando la testa.

"No, no" rispose velocemente la bionda, scendendo altrettanto velocemente le scalette e correndo accanto al messicano. Gli sventolò sotto il naso il foglietto, per poi mostrarglielo quasi fosse un cartello "Percy. Lo ha scritto Percy"

I due si guardarono e sbatterono le palpebre, visibilmente a disagio. Annabeth prese a mordersi furiosamente le labbra, e Leo riuscì a sentire i suoi neuroni lavorare nella sua testolina così furiosamente che gli ricordò il surriscaldamento e la conseguente esplosione della sua macchinetta per fare caffè fai da te. Quindi ebbe paura che la testa di Annabeth esplodesse.

Certo, per farla calmare avrebbe potuto dire qualsiasi cosa. Un Sarà un vecchio biglietto, un In fondo dice solo che gli dispiace -forse, Leo non era mai stato bravo a capire il linguaggio messaggini, ed ammetteva essere colpa sua, visto che non gli era mai interessato nemmeno a cercare di capirlo. Il problema era che gli dava fastidio dover reimparare l'inglese scritto dai suoi coetanei-, magari Calypso ha qualche problema, un Percy ci potrà spiegare tutto.

Invece optò per un "Mi spiace che il tuo ragazzo non sappia scrivere", mentre Annabeth guardava dalla finestra Calypso parlottare con Rachel. 





Note dell'autore

Non so perché,  ad un certo punto, Thalia inizi a parlare come una Whovian. Insomma, punti fissi, storie che devono finire. Aspettavo che facesse una battuta sui Dalek -inside joke-
Nonostante non ci sia molta Caleo, vi giuro che ci sono personaggi che stanno iniziando a muoversi e...
Ringrazio chi segue, ricorda e preferisce la storia. E a chi recensisce, mando un cuore enorme ♥♡
Grazie mille!!

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Capitolo 6
*** No, no, no, non hai capito. Sono io il fratello maggiore, non tu! ***


Come utilizzare la biblioteca nella maniera più sbagliata in questo mondo ed essere felici

Ossia di quando Leo scoprì dei retroscena della vita di tutti che non avrebbe mai, mai, proprio mai, confessato a Piper

Capitolo sei: No, no, non hai capito. Sono io il fratello maggiore, non tu!






Successe che, una volta, il giorno del tredicesimo compleanno del fratello minore, Charles avesse voluto portare Leo fuori da New Olympus, per la Fiera delle Macchine.

Non gli aveva detto niente, durante la settimana, del suo progetto, semplicemente si era limitato a buttare il piccoletto dal letto il sabato mattina e, con uno sguardo, indicargli la macchina, gridando anche di sbrigarsi. Leo era sicuro che il fratellone avesse dimenticato il suo compleanno e che lo stesse portando nell'officina per aiutare nel lavoro i loro genitori, ma, una volta arrivati nel Texas -Leo si era addormentato durante il viaggio e non aveva sentito le tre ore di macchina-, guardando tutti quei marchingegni strani, inventati da gente completamente matta, non aveva potuto far altro se non abbracciare il fratello, che, imbarazzato, lo aveva allontanato, premendo contro la sua testa e aggrottando le sopracciglia, come a chiedere come si fosse permesso ad esternare così tanto affetto in pubblico.

Comunque.

Nel vedere i due fratelli discutere di meccanica con molto fervore, un uomo chiese a Charles se avesse rubato quel bambino -Leo era sempre sembrato più piccolo della sua età, quindi, a tredici anni aveva l'aspetto di un bambino di nove anni, purtroppo-. Charles aveva chiesto cosa gli facesse pensare una cosa del genere. L'uomo disse che non vi era alcuna somiglianza tra i due e che il piccoletto sembrava denutrito e sonnolento -il detto piccoletto, non sapeva se l'uomo facesse riferimento all'immigrazione illegale negli Stati Uniti d'America. Non voleva neanche saperlo, a dirla tutta, visto che aveva sentito le cose peggiori sulla schiavitù in America-. Leo alzò un pugno verso l'uomo e Charles sospirò pesantemente, fermandolo con un braccio e dicendo che quel piccoletto era il suo fratellastro.

Magari quell'uomo non aveva neanche cattive intenzioni, ma aveva dato molto fastidio a Leo e gli rovinò il giorno del suo compleanno.

A scuola, quelle scene -Charles era sempre stato un tipo tranquillo, che se ne stava in disparte, a volte troppo schietto, a volte troppo silenzioso, per essere considerato simpatico da qualcuno. Leo, fin da tenera età, aveva tessuto odi favolose su suo fratello, ma veniva sempre fermato da ragazzini che, ignoranti ed idioti, gli ripetevano che, per prima cosa, era il suo fratellastro, e poi che quel Beckendorf mica era tutto quel granché- si ripetevano spesso, e portavano a liti furiose di cui era protagonista il messicano. Non perché lui fosse aggressivo, ma perché la sua famiglia non era qualcosa che le persone dovevano toccare.

Il ragazzino aveva sempre trovato odioso il fatto che nessuno capisse la sua ammirazione per suo fratello maggiore e quanto sarebbe stato importante per lui avere qualcosa, qualsiasi cosa, che li accomunasse.

A quattordici anni, Leo scoprì cosa lo rendeva simile a Charles, cosa dava indizi alla gente perché capisse che erano fratelli, ma non tutti lo colsero, dovuto al suo carattere, e continuarono ad osservare cosa li rendeva differenti tra loro.

La differenza più grande, a detta di Jason, era l'espressione dei loro visi.

Leo, lo ripetevano tutti, con un sorriso bonario, sembrava un folletto giocherellone, con in mente cento scherzi e quarantaquattro modi per farsi perdonare. Guardare Leo, sentirlo parlare, era un sorridere continuo, nonostante delle volte, sempre a detta del suo migliore amico, poteva diventare petulante. Charles, per quanto gentile potesse essere, non comunicava la voglia di sorridere.

Aveva uno sguardo triste, solo.

La malinconia, sapeva perfettamente Leo, era un male che derivava da suo padre. Efesto era la quintessenza della malinconia, che aveva dato in eredità ai suoi figli, senza cattiveria, insieme alla sua incapacità emotiva.

L'essenza dei due fratelli, quindi, era la stessa, nonostante la superficie fosse completamente diversa e, per quanto Charles potesse sembrare duro e freddo, Leo negli anni aveva imparato a voler bene al ragazzo e a rimanere in silenzio in sua presenza, come piaceva stare a lui, accettando il suo modo di mostrargli affetto -rude e diretto- e senza lamentarsene, visto che riusciva a comprendere molto meglio questo linguaggio, piuttosto che quello di persone come Travis e Connor Stoll.

Per questo se ne stava seduto sul tavolo della cucina, giocherellando con Festus, la testa bassa e la presenza di suo fratello maggiore che, silenziosamente, si sedeva di fronte a lui, con un sospiro pesante.

Le mani di Leo si muovevano nervosamente, acchiappando e lasciando libero Festus periodicamente. I suoi occhi non ardivano incontrare quelli di Charles, ma sapeva perfettamente quello che stava facendo il suo fratellone, davanti a lui: lo osservava, cercando di capire, invano, quali parole avrebbe dovuto dire in quel momento.

Leo riusciva a percepire anche la presenza di Silena, la ragazza di Charles e sorellastra di Piper -famiglie quasi incestuose. Il ragazzino si divertiva a punzecchiare i due fidanzatini, normalmente, quando tornavano per le vacanze a New Olympus, mettendo in mezzo Efesto ed Afrodite, dicendo che sarebbero potuto essere fratellastri, quegli scellerati!-, che, da dietro il muro vicino alla porta, faceva segnali a Charles perché iniziasse a parlare.

Quel mese era mora. Il suo sguardo poco luminoso. Leo aveva il sospetto che avesse fatto una cosa del genere -tingersi i capelli- a causa dell'occasione per cui stava tornando a casa. Non esattamente delle più serene.

"Tua madre non morirà" fu l'esordio di Charles, incrociando le dita sul tavolo e facendo alzare a malapena la testa del fratellino che, assottigliò lo sguardo, mentre riusciva a distinguere senza problemi il rumore del palmo della mano di Silena sbattere contro la sua fronte. Non il miglior modo di cominciare, ma il più diretto, come il carattere di Beckendorf voleva "È stato solo un malore dovuto allo stress, perché invece di avere un figlio che la aiuta in officina, ha un Leo che vagabonda per la città e brucia scuole"

La testa di Leo si riabbassò, sotto il senso di colpa che già lo attanagliava da giorni. Tirò su col naso, passandosi il dorso della mano sopra le narici, poi riprese maniacalmente a giocare con Festus. Quando ebbe il coraggio di alzare gli occhi e scontrarsi con Charles, si ritrovò davanti lo specchio della sua espressione: ferita, triste e colpevole.

Leo avrebbe tanto voluto piangere, ma sapeva che, se avesse fatto qualcosa del genere, Charles sarebbe andato in tilt, esattamente come una macchina. Era un'altra cosa che li accomunava: non saper reagire nel modo giusto davanti ai sentimenti altrui. Eppure, diceva una vocina dentro la testa di Leo, eppure Charles ha la ragazza, il che voleva dire che qualcosina aveva dovuto imparare, sul campo sentimenti, no?

Silena comparì per un breve istante, fulminando con lo sguardo il suo ragazzo, per poi tornare nell'oscurità del corridoi, con un il labiale minaccioso di "Pensa meglio, prima di parlare"

Di nuovo i due fratelli stettero in silenzio, ascoltando il ticchettio dell'orologio, che, anni prima, avevano costruito insieme ad Efesto, con un po' di legno, un po' di metallo e tanta pazienza. L'orologio a cucù, appeso sopra la porta della cucina, non aveva mai sbagliato orario e, esattamente quando il sole era più alto in cielo, un fabbro usciva dalla casetta e colpiva un cucchiaio per 12 volte, per poi rientrare deditamente nella casetta. Leo ricordava che Esperanza era stata fiera dei suoi ragazzi quando le avevano regalato quell'orologio per compleanno ed aveva dato un bacio sulla guancia di tutti e tre.

"Non pensi sia ora di crescere?" chiese Charles, rompendo di nuovo il silenzio della stanza. Forse voleva aggiungere anche qualcos'altro, ma la cosa bella di essere fratelli è che si è stati per così tanto tempo uno accanto all'altro che, le parole non dette, le azioni non fatte, i pensieri mai pensati, si materializzano davanti all'altro, senza che si debba fare nient'altro se non accennarli con una parola, con un solo gesto.

Leo sentì perfettamente tutto il rimprovero.

Ti comporti ancora come un bambino. Non ti prendi le tue responsabilità. Sembri voler diventare un peso per i nostri genitori. Perché non metti la testa a posto?

Abbassò di nuovo la testa e riprese a giocare con Festus con insistenza.

Sentiva sulle spalle la colpa di aver portato Esperanza ad un punto di rottura, di averla portata lui allo svenimento. Sapeva perfettamente che non era quello che voleva dire Charles. Non gli stava dando la colpa assoluta di niente, ma diceva che poteva allegerire il peso sulle spalle di sua madre, semplicemente comportandosi in maniera meno imprevedibile, diventando un figlio più tranquillo, meno fuggiasco e tendente al teppistello.

Il ragazzo capiva che, come lui si stava martirizzando per qualcosa che non poteva cambiare -il suo carattere imprevedibile anche a lui, il fatto di essere un combina-guai, il fatto di essere un grattacapo per i suoi genitori; se avesse trovato un modo per cambiarsi, lo avrebbe fatto anni prima, per amore di sua madre, che era sempre chiamata da Mr. D per le bravate di suo figlio, o dal Signor Zeus, che continuava a dire ad Efesto che Leo aveva una brutta influenza su Jason. La verità era che Leo si ritrovava naturalmente nei guai, i guai lo chiamavano a loro e lui non poteva resistere, non poteva che trovarcisi in mezzo, a causa del suo carattere, a causa della sua iperattività, che andava oltre la normale iperattività. Eppure, Esperanza ed Efesto non avevano mai neanche pensato d'impasticcarlo di calmanti, come molti genitori fanno con i loro bambini iperattivi. E guarda in che condizioni si stava ritrovando sua mamma-, anche Charles si stava colpevolizzando, perché era lontano da casa e non poteva occuparsi di dare sollievo alla sua famiglia.

Esperanza non era la mamma di Charles, lui non la chiamava memmeno Mamma. Ma questo non voleva dire che non le volesse bene. Non voleva dire che non fosse grato a quella donna per essere stata buona con lui negli ultimi sedici anni della sua vita.

Di nuovo, il silenzio cadde nella cucina e, questa volta, Leo sentì la sedia dov'era seduto Charles strusciare contro le mattonelle e dei passi pesanti avvicinarsi a lui.

Quando alzò, per l'ennesima volta, la testa verso suo fratello, che si trovava al suo fianco, con quello sguardo naturalmente malinconico, si rese conto di star cercando di trattenere le lacrime che già rendevano i suoi occhi lucidi e di dover tirar su col naso con troppa insistenza.

Charles gli passò goffamente un braccio sopra le sue spalle, in un timido tentativo di un abbraccio, e poi, con fare fraterno, gli diede un buffetto sulla testa. Doveva essere una carezza.

Il messaggio era chiaro. Sono tuo fratello, ti voglio bene, sarò sempre qui per te.

Leo avrebbe voluto dire: "Silena è riuscita, finalmente, a farti diventare un Orso Abbraccia-tutti", ma quando aprì la bocca per parlare, il groppo alla gola che gli si era formato si sciolse, diventando un singhiozzo. E le lacrime che aveva cercato di trattenere caddero sulle sue guance e dovette nascondere il viso sulla pancia di suo fratello, abbandonando Festus sul tavolo, ed abbracciando il ragazzo accanto a lui.

Charles, preso in contropiede, non seppe esattamente come reagire e gli diede due pacche sulla schiena. Se fossero stati in una situazione normale, Leo lo avrebbe preso in giro, ma visto che, una volta che si è riusciti a far piangere Leo non si sa quando riuscirai a farlo smettere, lui continuò a piangere, senza lasciare il fratello.

Silena entrò in cucina con passi leggeri e l'aria di chi era molto arrabbiata. Arrivata accanto a Charles lo colpì in testa, con un movimento molto aggraziato "Lo hai fatto piangere" sibilò, mentre il ragazzo le chiedeva un muto aiuto. La ragazza si sedette davanti al piccoletto, incrociando le dita delle sue mani affusolate "Tesoro" lo chiamò ed in quel momento assomigliò a sua madre più di quanto chiunque possa immaginare "Ehi" chiamò di nuovo, allungandosi sul tavolo per raggiungere Leo con la mano e, con sole due dita, spostare il suo sguardo verso di lei. Gli occhi del ragazzino sembravano più grandi, c'erano dei moccioli intorno a tutto il naso e le lacrime erano sparse su tutte le guance. Sembrava un cartone animato. Era incredibile quanto Leo potesse ispirare tenerezza anche nei momenti meno probabili "La vuoi sentire una storia divertente?"

Leo si asciugò vergognosamente le lacrime con le maniche della maglietta ed annuì.

"Quando la tua futura cognatrasta aveva, più o meno, quattordici anni, era corteggiata da milioni di ragazzi di tutti i tipi di ragazzi, dai più nerd ai più fighi"

"Perché parla di se stessa in terza persona?" chiese il messicano, suonandosi il naso, verso Charles che alzò le spalle.

"Dicevo" continuò la mora, alzando la voce, come a rimproverare i due " diciamola tutta: tuo fratello non aveva una possibilità. Non dico di piacermi. Dico di attirare la mia attenzione. Se non fosse stato per un asso nella manica che Charlie aveva"

"Il martello!" gridò Leo, sbattendo l'indice destro sul tavolo, con ancora la voce leggermente roca.

Charles non disse niente, portò il suo sguardo verso la finestra, leggermente in imbarazzo e facendo finta di non sentire una sola parola della conversazione.

"No"

"Il cacciavite"

Silena rise, spostando alcune ciocche dei capelli dal suo viso "No, no. Non indovinerai mai, Leo" intrecciò le dita delle sua mani sotto il mento, lasciando intravedere alcuni denti bianchi, dietro le labbra rosee

"Tu"

"Io?" gridò il ragazzino, alzandosi di scatto dalla sedia "Tu!" continuò a gridare verso Charles "Mi avevi giurato che non mi avresti mai usato come acchiappa-ragazze! Era il nostro patto! Cosa... cosa vuol dire? Eh? Adesso andrò in giro a raccontare della volta in cui ti sei fatto la pipì addosso per paura di Cerbero!"

"Che patto?" chiese Silena evidentemente divertita.

Charles alzò le spalle di nuovo, come se il tutto fosse completamente estraneo a lui "Leo ha avuto paura delle ragazze fino ai dodici anni" spiegò con fare indifferente, come se il fratellino non fosse rosso ed indignato, in piedi accanto a lui "quindi mi ha fatto giurare, dopo aver visto Big Daddy, di non usarlo mai per avvicinarmi ad una ragazza"

Silena scoppiò a ridere "Aveva paura delle ragazze"

Charles e Leo posarono entrambi i loro sguardi contrariati su di lei "Mica stupido" dissero in coro.

"Comunque" riprese, cercando di ricomporsi e di capire cosa facesse tanta paura a dei ragazzi "non si piange sul latte versato. Charlie ha attirato la mia attenzione grazie a te, Leo. E così stanno le cose. Non lo avrei mai notato se non fosse stato un fratello dolce, che invece di costringere il piccoletto a correre trai prati del parco, per far felice Esperanza, gli insegnava a costruire elicotteri con un paio di paletti e le unghie delle dita" Silena sorrise verso Charles, inclinando la testa verso destra.

"Ecco perché scomparivi sempre" mormorò Leo, ricordando che, proprio in quel parchetto, mente terminava il suo elicottero, lasciato solo da Charles, una Piper annoiata si era avvicinata a lui, lamentandosi del fatto che sua sorella l'abbandonava sempre quando erano nel parco. Lui si era congelato, sapendo una femmina così vicino a lui, e gli aveva dato rudemente un foglio, visto che, a scuola, le ragazze si avvicinavano a lui solo per chiedere un foglio. Quando lei aveva riso e gli aveva mostrato che, con quel foglio, era riuscita a creare un cigno, gli occhi di Leo avevano iniziato a brillare e le aveva chiesto insistentemente d'insegnargli come fare un origami.

Quel giorno fu molto importante per Leo. Per prima cosa, imparò cosa fosse un origami e che, se fosse riuscito a fare mille cigni, avrebbe potuto esprimere un desiderio -a dodici anni ne aveva fabbricati trecentotrentaquattro, prima di riporli tutti in uno scatolone, in un angolo del suo armadio. Ci voleva troppa concentrazione- . Poi imparò che le ragazze, chi lo avrebbe detto?, sono esseri umani con sentimenti e tutto. Ed infine, ma non perché quella fosse l'ultima parte della sua lista delle cose più importanti, era diventato amico di Piper. La sua prima vera amica.

"Tuo fratello non innamora con trucchetti, o con gesti eclatanti. Non so se tu sei così, Leo. Lo sembri. Ma non so dire se lo sei. Charlie innamora nel modo più subdolo e silenzioso in questo mondo. Piccoli gesti, poche parole. Ti dà un po' di Charlie alla volta. E poi, ti rendi conto che senza di lui, non puoi stare" i suoi occhi non si staccavano da quelli di Charles, mentre Leo si guardava intorno, consapevole di star rubando attimi troppo intimi di una relazione troppo solida "Ma ha provato a fare un gesto eclatante. Aveva preparato tutto, in piena estate, il 15 agosto. Voleva dirmi che gli piacevo la notte, prima sotto le stelle, poi sotto i fuochi d'artificio. Invece. In un modo o nell'altro, niente è andato come doveva andare. Io ero raffreddata. Lui più imbarazzato del solito. Mi portò sul ponte di Saffo e per ben cinque minuti non fece altro che aprire e chiudere la bocca. Finalmente prende il coraggio di dirmi qualcosa e, beh, niente, i fuochi d'artificio coprono quello che dice, mentre io, con un fazzoletto in mano, lo guardo con la faccia da pesce lesso e poi, poco elegantemente, devo dire, mi soffio il naso. Quindi, io sto lì e me lo guardo. Lui sta lì e mi guarda, aspettando che io dica qualcosa. Finiscono i fuochi d'artificio e, questa è bella, c'era mia madre sotto il ponte, in compagnia di Ares che mi grida Ti ha detto che gli piaci! Oh, per Zeus! Ma sicura di essere mia figlia?, il che fu esilarante, visto che mi sono girata tanto in fretta verso Charlie che mi è venuto un capogiro e gli ho starnutito in faccia"

"Un buon primo bacio" scherzò Leo.

"Un meraviglioso primo bacio" sorrisero Charles e Silena.

"Tua madre ti ha seguito durante il vostro primo appuntamento? "

La ragazza sorrise "Penso tu abbia le tue teorie, a questo punto, no?" arricciò le labbra e fece spallucce, rispondendo alla muta domanda di Charles -Ma di cosa diavolo parlate?- poi tornò con lo sguardo al fratello minore "Comunque. Voglio tornare un attimo al discorso di tuo fratello" sorrise rassicurante, mentre Leo aggrottava le sopracciglia "Penso tu abbia troppa energia e non fai altro che disperderla. Se trovassi qualcosa in cui canalizzarla, un motivo, probabilmente faresti scoppiare meno marchingegni e la cosa a cui ti dedicherai sarà... perfetta! Non so se capisci" il ragazzino assottigliò lo sguardo, inclinando leggermente la testa "Nel senso che penso sia ora per il piccolo Leo dovrebbe iniziare a cercare una strada tutta sua, non pensi? E, per capirla, per comprenderla, devi trovare un Posto, al di fuori della Famiglia, a cui Appartieni. Mi capisci?"

"No"

Silena scoppiò a ridere "Degno di te", poi, scontrandosi con lo sguardo dubbioso di Charles, annuì.

È per il suo bene?

Ovviamente.



☆★☆★


"Nico!" gridò felicemente la ragazzina, piantandosi dietro le spalle del moro, che sobbalzò e si girò di colpo, dando immediatamente la schiena alla libreria, per dedicare un sorriso tirato alla sorella.

"Hazel" la salutò teso, tenendo le sue mani dietro la schiena, nascondendo disperatamente qualunque cosa avesse in mano "Che ci fai qui?" continuò, cercando di sistemare qualsiasi cosa che dovesse sistemare sugli scaffali, con gesti nervosi e di spalle.

Hazel alzò un sopracciglio, studiando il fratello maggiore comportarsi da ladro "Cosa nascondi?"

Vigeva una regola in casa di Ade. In realtà ne vigevano parecchie, tutte infrante periodicamente dal capofamiglia, ma le più importanti erano tre -Non tradire la tua famiglia, tieni unita la tua famiglia, non deludere la tua famiglia-, che Nico aveva riassunto nella regola massima, la prima che aveva insegnato a Hazel, quando alla tenera età di sette anni si era trasferita a casa sua: Mai mentire alla tua famiglia. Regola che il ragazzino non aveva mai infranto, se non due volte in quattordici anni, in nome delle sotto-regole imposte da Ade.

La prima volta che aveva mentito a suo padre aveva dieci anni ed era appena morta Bianca, sua sorella maggiore e sua quasi figura materna, in un incidente stradale.

La verità è che Nico poco ricordava del suo periodo di vita prima dell'arrivo a New Olympus. Si era ritrovato a dieci anni, lì, davanti all'enorme casa del signore più sinistro della città, con uno zainetto in mano, le carte di Mitomagia e la statuina di Ade -quella che Bianca cercava d'afferrare prima di essere uccisa- ed aveva pensato, beh, che quella sarebbe potuta essere la sua nuova casa, che avrebbe avuto una famiglia. Aveva dieci anni e già doveva andare ad un cimitero, per trovare una persona che aveva tanto amato, però, e questo lo aveva frenato molto dall'affezionarsi alle persone che vivevano con lui, ad eccezione di suo padre, stranamente, per il quale, aveva scoperto, avrebbe fatto di tutto.

Persefone trovava il bambino irritante e Nico si divertiva a confermare questa sua idea, non perdendo occasione di litigare con lei.

Bianca, comunque, ripeteva che due cose erano importanti nella vita, una era la salute, l'altra la famiglia. Non per niente, Bianca e Nico erano stati cresciuti da una mamma italiana: la famiglia, con tutte le sue ramificazioni -il che, purtroppo, comprendeva anche quella megera di Persefone- doveva essere rispettata e... il ragazzino aveva sempre avuto problemi a terminare la frase... amata.

Nico venne a sapere dalla nonna adottiva, che già lo riempiva di cereali -ma disprezzava il suo amore per il latte-, che Ade aveva un'altra figlia, a New Orleans, una bimba poco più piccola, di nome Hazel, figlia di una ciarlatana che si fingeva una strega e chiromante.

Il ragazzino aveva già dovuto imparare a memoria tutte le regole della casa, o meglio, di Ade, ed aveva già effettuato l'equazione secondo cui l'onestà lo avrebbe portato alla pace domestica, ma quando Ade gli chiese se c'era qualcosa che non andava, una notte di febbraio -in cui, sempre per la lingua lunga di Demetra aveva scoperto che anche sua sorella era rimasta orfana-, aveva alzato le spalle e detto "Tutto bene", con lo stesso comportamento strafottente che aveva visto in Percy -che avrebbe scoperto, esattamente quattro anni dopo, essere suo cugino- e Ade non si era fatto troppi problemi perché, se Nico diceva che andava tutto bene, si doveva lasciarlo solo alle sue carte, prima di rimanere invischiati in una partita di Mitomagia -roba pericolosa, quella-.

Fu quella notte che Nico prese un treno, tre autobus ed un taxi, per arrivare davanti la casa, che sembrava abbandonata, di sua sorella. Fu quella notte che bussò alla porta e vide per la prima volta Hazel, con gli occhi dorati e ed i ricci cannella, le prese la mano, dicendogli di essere suo fratello e che l'avrebbe portata da loro padre, facendolo, per di più.

Tecnicamente, quello che fece Nico, portando via Hazel fu... rapimento.

Nel testamento di Marie Levesque c'era scritto che la figlia sarebbe stata affidata ad una zia, ma, trovandosi la figlia davanti agli occhi, Ade, che pure aveva un cuore, decise di pagare abbastanza avvocati che trovassero un pelo nella legge e lasciassero sua figlia vivere insieme a lui ed a suo figlio. Cosa che rese molto felice Hazel.

In meno di un anno, la casa di Ade, da zero mocciosetti, ne aveva ricavati due. Perché Nico aveva mentito, cosa che, capì, a volte lo portava ad essere il figlio prediletto, a volte il piccoletto che aveva portato non pochi problemi.

In quei pochi secondi prima di rispondere, Nico ripensò, però, alla seconda volta in cui aveva mentito, non a tutta la sua famiglia, ma, più precisamente, alla sua adorabile ed imbarazzante sorellina. Che poi non era una vera e propria bugia, ma una semplice distorsione della realtà, innocente e senza gravi conseguenze come quelle della sua Prima Bugia.

Era successo un anno prima, a settembre.

Il primo giorno di scuola di Hazel, esattamente quattro anni dopo la Prima Bugia.

Il primo giorno di entrambi al liceo -Hazel era più intelligente di quel che credeva ed era riuscita a superare i test per riuscire a seguire i corsi di Nico, anche se aveva dovuto chiedere aiuto ad un tutor, Frank, che il fratello sperava non doversi sorbire più a lungo di tre mesi. Quanto si sbagliava-, la prima persona che incontrarono fu Percy Jackson, che saltellava felicemente per i corridoi -secondo la teoria di Nico, il moro aveva già fatto incavolare Mr. D, in pratica, Percy andava a scuola solo per litigarci. Era una cosa loro-, e lei si era bloccata davanti a lui, con la bocca leggermente aperta e gli occhi dorati che studiavano ogni più piccolo dettaglio del corpo del ragazzo.

Hazel, in un primo momento, si pizzicò il braccio, poi scosse la testa e colpì Percy con uno schiaffo. Mentre il più alto si carezzava la guancia ed iniziava a chiedere cosa le fosse preso, Hazel sbattè le palpebre, si girò verso il fratello ed esclamò "Santa Venere! Ma è proprio bello! Un dio? Ci giochi a Mitomagia?", cosa che fece arrossire Nico, che si nascondeva dietro la mano, con gli occhi chiusi, e fece ridere Percy, che le passò un braccio sopra le spalle e le lasciò un innocente bacio sulla guancia.

"Poco ti conosco ma, non perché sei la mia unica cugina femmina, sei già la mia cuginetta preferita!"

E fu così che i figli di Ade si resero conto che Ade aveva due fratelli, che, a loro volta avevano dei figli e Percy e Jason erano tra loro -c'era anche Thalia, in mezzo, ma, chissà per quale motivo, Percy la considerava a tutti gli effetti un maschio-.

Nico passò l'intera giornata mordendosi le labbra. Si era appena reso conto di avere una cotta per suo cugino. Eppure, diavolo!, aveva tutti gli indizi sempre a portata di mano -cioè, dai, sapeva perfettamente che Ade aveva dei fratelli. Sapeva perfettamente che vivevano a New Olympus. Sapeva perfettamente che il destino ce l'aveva con lui, per qualche strana ed odiosa ragione!- . E Jason, biondo senza cervello, pur avendo scoperto la sua cotta per loro cugino -lo aveva messo con le spalle al muro, quello là. Lo aveva incalzato con giochi di parole, fino ad arrivare alla verità, quello là. Il tutto davanti a Jason-, non aveva aperto bocca su questo piccolo dettaglio. "Pensavo lo sapessi già, e poi, beh, siamo cugini solo da parte di padre" era stata la stupida risposta del biondo davanti all'arrabbiatissimo Nico, che gli rispose acidamente, affondando nel suo cuscino, che tipi di cugini fossero, quelli da parte di entrambi i genitori.

E, mentre tutto il suo cervello gridava al suo cuore che quello che desiderava era incesto -INCESTO, Nico, roba seria!-, Hazel gli fece la fatidica domanda, ossia: "Ma ti dà fastidio che Percy sia nostro cugino?"

Hazel ha adorato Percy dalla prima volta in cui l'aveva schiaffeggiato e Percy ha adorato Hazel dalla prima volta in cui gli ha dato del dio. Avevano creato un rapporto idilliaco e Percy non aveva sorelle -solo Tyson, il suo campione-, ma considerava Hazel come una sorella minore, un'amica preziosa, un piccolo tesoro da custodire con la sua vita -Frank, per stare con Hazel come il suo ragazzo, dovette passare tre test. Uno di Nico, che però non fu serio, visto che pensava che chiunque giocasse a Mitomagia fosse degno di sua sorella. Uno da Demetra, che lo fece passare non appena vide che mangiava cereali tutti i giorni. Uno da Percy, durato esattamente 12 ore, torchiato di domande, mentre entrambi erano appesi sul quadro svedese della scuola: una risposta sbagliata e Percy non solo non l'avrebbe fatto diventare il ragazzo di Hazel, ma lo avrebbe addirittura fatto cadere a terra, con un calcio. E tutto questo nonostante Percy e Frank fossero parenti, non stretti, certo, ma alla lontana. Alla fine, Frank dimostrò la sua buona indole, tanto che Percy lo accettò felicemente nella sua famiglia, promuovendolo da nipote a nuovo fratello, e forse quella prova a cui l'aveva sottoposto, era stata, sotto il punto di vista del moro, semplice ed agevolata, perché Frank era veramente suo nipote e lo conosceva da quando era un piccolo mocciosetto e si faceva chiamare da lui zio Percy. Era incredibile, comunque, quanto per quel ragazzo fosse facile non tanto legare con le persone, quanto legarsi a loro senza nessuna riserva ed essere sempre pronto a prendersi un buon calcio nei gioiellini, per difenderli. Per la cronaca: è successo-.

Avere Percy dalla loro parte aveva i suoi lati positivi.

Certo, lui non era Jason il perfetto ragazzo in tutto -che comunque stava sempre dalla loro parte e da quella di Percy- ed il moro non era nè molto intelligente, né benvoluto da tutti, ma aveva quell'aria sincera che rendeva tutto più semplice, quella lealtà che rende tutto più credibile.

"No, non mi dà fastidio" aveva mentito Nico alla sorella, perché se le avesse detto che gli dava problemi, senza nessuna spiegazione, lei avrebbe rovinato il suo rapporto col moro col sospetto che Percy non meritava, e perché era convinto che, se gli avesse detto che gli dava problemi con spiegazione e tutto, Hazel lo avrebbe detto a qualcun altro e questo pettegolezzo, come tutti i pettegolezzi amorosi, sarebbe arrivato alle orecchie di Afrodite, portando ancora più caos nella sua vita.

Alla fine, comunque, il pettegolezzo arrivò lo stesso alle orecchie della bibliotecaria, purtroppo.

Purtroppo.

"Nascondo delle carte di Mitomagia. Sai, Leo ha detto che ne voleva alcune e gliele faccio trovare per la biblioteca, così possiamo fare dei duelli alla pari" mentì Nico, distogliendo i suoi pensieri dal passato, dal Fronte Percy e dal Disastro di Mezz'Estate -come lo chiamava bonariamente Jason-

Hazel, al nome di Leo, annuì tristemente per poi dare una pacca sulla spalla del fratello maggiore "Stai migliorando" si congratulò.

Nico sorrise in maniera forzata, per poi prendere le spalle di sua sorella e girarla verso la porta, accompagnandola fuori "Perché sei qui?"

Il sorriso della ragazza si allargò ulteriormente "Papà" iniziò a dire "ci porta fuori a cena, perché dobbiamo festeggiare" squittì, saltellando.

"Festeggiare cosa?"

Hazel si lasciò sfuggire una risatina "Oggi papà e gli zii avevano una riunione per l'amministrazione della compagnia. Allora zio Poseidone inizia a parlare di navi e papà di petrolio. Zio Zeus non li sta neanche ad ascoltare, perché una bella donna si avvicina al loro tavolo. Zio Zeus prende a corteggiarla, come sempre. Lei sembra accettare la corte e si siede con i nostri zii. Poi, in mezzo alla cena, inizia a gridare contro zio Zeus e gli tira addosso del costosissimo champagne. Arriva una donna uguale e inizia a gridargli contro. Arriva un esercito di donne che grida contro zio Zeus tirandogli addosso qualsiasi cosa. Quel donnaiolo ha avuto un brutto quarto d'ora"

"E quelle donne erano lì per caso?" Nico già sapeva la risposta, per questo non aspettò neanche pochi secondi per continuare a parlare "No, le hanno chiamate Poseidone e Ade"

"E hanno filmato tutto col cellulare"

"Ovviamente"

Nico sogghignò "Si deve festeggiare" poi girò distrattamente la testa verso la libreria e, uscendo dalla stanza con sua sorella, sperò con tutto se stesso che quella ragazza trovasse quel che le aveva lasciato.



☆★☆★


Calypso passò tra gli scaffali quasi per caso.

La biblioteca stava per chiudere e il messaggio di Afrodite era stato piuttosto chiaro.

Libreria 14, scaffale 23.

Aveva dimenticato di cercarlo, visto che Rachel l'aveva tenuta concentrata sul terzo atto di Cats, il prossimo musical che avrebbe dovuto portare in scena.

Codice MALZ002.

Calypso passò un dito sui pezzi di carta attaccati alla base di ogni libro. C'erano tre copie dello stesso libro. La ragazza alzò gli occhi al cielo e prese una copia tra le mani.

La sfogliò con fare annoiato per poi ripoggiarla sullo scaffale e prendere il libro accanto a quello. Non appena prese quello in mano, vide un foglietto balzare fuori e lo sfilò con sole due dita.

Era abbastanza abituata ad utilizzare quel sistema di messaggi, ma non ricordava più cosa voleva dire ricevere il primo bigliettino.

Rigirò mano e foglietto, sorrise tra sé e sé ed uscì dalla stanza.


La Meccanica del cuore. Beh, ti dice qualcosa? Benvenuta nel mondo di Leo!








Note dell'autore

ESPERANZA STA BENE! Sì, non potevo farla stare bene per tutta la storia, perché avevo bisogno di un espediente per molte cose, prima tra tutte Charles e Silena…

Ho paura di non poter aggiornare molto presto la storia, perché voglio ricontrollare tutto, per il finale (essendo arrivati oltre la metà della long).

Spero di poter continuare presto e di riaver riordinato le idee prima del 2015!

Ringrazio chi segue, ricorda e preferisce la storia.

Grazie mille per le recensioni! Mi fanno veramente taaaanto piacere ❤️

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Capitolo 7
*** Non sei un investigatore segreto e se lo fossi faresti schifo ***



Note pre-testo: Questa volta mi ritaglio un angolino qui, per un motivo molto semplice. Poi mi odierete, quindi tanto vale mettere la mani avanti.

Non capisco perché la gente odi così tanto Octavian…

Detto questo, buon Natale in ritardo e mangiate tanto fino al 31!

Nico risolverà tutti i nostri problemi di cuore ❤️





 

Come utilizzare la biblioteca nella maniera più sbagliata in questo mondo ed essere felici

Ossia di quando Leo scoprì dei retroscena della vita di tutti che non avrebbe mai, mai, proprio mai, confessato a Piper

Capitolo sette: Non sei un investigatore segreto e Se lo fossi faresti schifo





Smettila di preoccuparti tanto por mi. Esto bene. Proccupate de fare il bravo bambino e mangia le tue enchiladas.




Leo bloccò il cellulare e se lo infilò in tasca, sistemandosi con l'altra mano gli occhiali da sole sul naso.

Aveva promesso a Charles che non avrebbe più fatto stupidaggini -beh, una promessa muta vale quanto una sonora- e già stava facendo qualcosa di stupido.

Il problema con quelle situazioni era che lui si rendeva perfettamente conto di star facendo idiozie, ma le faceva lo stesso, perché, cavolo, altrimenti a cosa servono gli amici?

Annabeth, accanto a lui, teneva un ginocchio a terra e adocchiava la situazione davanti a lei, in cui Octavian e Rachel litigavano su qualcosa di assolutamente futile, sotto il punto di vista di una divertita Calypso, che teneva in mano un libricino e girava tra le sue mani un bigliettino.

"Non facciamo prima a chiedere a Percy?" bisbigliò Leo nell'orecchio della bionda che, irritata, fece svolazzare una mano per aria, cercando di farlo smettere di parlare.

Poi sospirò, girandosi verso l'amico "Da quando in qua ti piacciono le strade più facili?"

"Mi sono sempre piaciute, ma nessuno di voi mi ascolta mai, quando lo consiglio"

"Non sempre gettare fuoco su qualcuno è la strada più semplice" lo rimproverò Annabeth, riportando il suo sguardo verso la saletta, coperta dalla sua maglietta nera, il suo cappello nero ed i suoi pantaloni neri. Se non fosse stata Annabeth, Leo si sarebbe spinto fino a dire che era vestita da sexy spia. Stava aspettando che dicesse qualcosa degno di un telefilm per iniziare a saltellare e puntarla con dito gridando Sara!* "E comunque, quell'idiota non avrebbe detto tutto. Mi parla poco o niente delle sue ex"

"Ma tu e Percy non state insieme dall'alba dei tempi?"

Annabeth alzò un sopracciglio, guardando il ragazzo dal basso all'alto, più che altro confusa dalla scelta delle sue parole "Stiamo insieme da qualche mese" rispose alla fine, e, davanti allo sguardo poco sicuro del messicano, la bionda sbuffò, riportando la sua attenzione verso i tre dietro la libreria.

Era comprensibile che il ragazzino pensasse che i due stessero insieme da molto tempo. Quei due erano sempre stati nei confini tra amicizia e amore.

La verità, però, era che Annabeth e Percy si conoscevano da molto tempo, ma si ritrovavano ad essere il ragazzo dell'una e la ragazza dell'altro da così poco tempo che non sapevano esattamente come comportarsi. Avevano lasciato, in un primo momento, che le loro conversazioni, i loro modi di comunicare -parole, insulti, a volte colpi in testa- rimanessero gli stessi di quando erano semplici amici.

Ma Annabeth capiva che c'era qualcosa di diverso, adesso.

Prima Percy le parlava di tutto, Tyson, cuscini, surf, caccole, a volte addirittura di ragazze. In quel momento, invece, si mordeva il labbro, quasi ci fossero argomenti che loro due non potevano affrontare.

Ed il loro rapporto, basato su una schietta sincerità, sembrava essere arrivato ad un punto morto, in quanto lei stessa si mordeva il labbro per non parlare di niente che potesse scomodare il suo ragazzo, a partire dal problema di comunicazione, perché, beh, pensava che l'avrebbe potuta trovare lagnosa e troppo insicura.

"È l'appostamento più noioso del mondo" si lamentò Leo, incrociando le braccia "Durante l'interrogatorio, posso essere il poliziotto cattivo? Nel senso, tu fai quello buono, io il cattivo, no?"

"Oh, Leo, taci" lo zittì lei.


☆★☆★


"È il musical più idiota in questo mondo" ringhiò Octavian, incrociando le braccia ed assottigliando le fessure degli occhi.

"Oh, per favore" alzò gli occhi al cielo Rachel, scuotendo la sua testa piena di ricci rossi e chissà perché solo quelle parole -che non erano una tesi, non erano nessuna antitesi a quello che aveva appena detto-, fecero mordere le labbra al ragazzo e dare un piccolissimo passo indietro, che però coprì con un enorme passo avanti, verso la ragazza, arrivando ad imporle quasi invasivamente la sua presenza.

"Parla di gatti" lasciò chiaro, abbassando leggermente lo sguardo, quel tanto che bastava per guardarla negli occhi "Gatti"

"Il mondo non gira intorno a te" rispose lei, puntando i suoi occhi verdissimi e chiarissimi su quelli di lui azzurri e penetranti "Non intorno a te" ripetè, prendendo a masticare con più forza per poi soffiare e creare una bolla di gomma, che esplose al contatto col naso del biondo.

Octavian mise il broncio, allontanandosi impercettibilmente da lei, che prese a sorridere vittoriosa.

Calypso sbattè le palpebre, per poi alzare un sopracciglio e distogliere lo sguardo dai due, abbassandolo sul libro e portando una mano sulla fronte.

Aveva conosciuto Octavian esattamente due settimane, quattro giorni e cinque ore prima. E, se se lo ricordava così bene, c'era un motivo.

Esistono almeno tre tipi di persone in questo mondo: quelle di cui non ti ricordi esattamente giorno ed ora dell'incontro, ma che ami incondizionatamente, perché diventati parte di te in maniera delicata -come diceva Silena-; quelle che ti colpiscono dalla prima volta in cui le vedi, in positivo, a causa del loro carisma; quelle che detesti dal primo momento in cui le guardi.

E quel biondino rompiscatole era così.

Octavian era insopportabile. O, almeno, cercava con tutto se stesso di essere insopportabile. E non si capiva perché.

Insomma. Octavian faceva parte della famiglia più solare del mondo -eccezion fatta per Artemide, che aveva fondato il Club contro gli uomini in cui era entrata a far parte qualche mese prima Thalia Grace, donna lunare e lunatica-, con miliardi di cugini e zii dolci, premurosi e col sorriso più caldo in tutta America -spiccavano fra tutti Apollo stesso e Will-, in più aveva anche una faccia quantomeno gradevole, quindi non avrebbe dovuto aver problemi in quella stupida cittadella basata su certe cose superficiali.

Eppure Octavian, entrato nell'asilo statale di New Olympus, aveva preso il panda peluche di Percy e lo aveva squarciato, per poi guardare il moro dare di matto, con gli occhi gonfi dalle lacrime ed un sacco di parolacce sentite dal suo fratellasto-no-non-sono-tuo-fratello-fattene-una-ragione Tritone, per le quali venne punito duramente dalle maestre. Quello fu il suo primo atto d'intimidazione, seguito da molti altri, contro tutti i tipi di persona, azioni che, però, ebbero un brusco stop quando decise di prendersela con una rossa di nostra conoscenza.

Rachel fu, fin da quando aveva la tenera età di quattro anni, l'unica persona in questo mondo davanti alla quale Octavian indietreggiò.

Certo, anche Reyna, a volte, gli faceva abbassare la testa, ma era solo una vittoria apparente, visto che il biondo era sempre pronto a darle contro in qualsiasi momento, non accettando il ruolo che la ragazza si dava a scuola, in classe, o nelle squadre di sport.

Octavian sembrava temere Rachel. Poteva essere perché, a quattro anni, Rachel lo aveva morso in testa fino a farlo sanguinare, dopo che lui aveva rubato e rotto un suo disegno. O forse, secondo il punto di vista di Calypso, sebbene con qualche riserva e sebbene non lo volesse ammettere, il biondo, forse, pensava a Rachel come ad una sua pari, come se fosse l'unica che poteva comprenderlo, in un modo o nell'altro.

Alla rossa tutto ciò poco interessava, o almeno così diceva. L'unica cosa riguardante Octavian che le interessava era che quel pallone gonfiato figlio di una buona donna era anche pronipote di Apollo, il che voleva dire che, se un giorno si fosse veramente voluta sposare con Apollo, se lo sarebbe ritrovato nelle riunioni familiari della domenica e già quando se lo ritrovava a Teatro, ogni lunedì, mercoledì, venerdì ed eventualmente la domenica, non riusciva a fare altro se non gridargli contro.

In realtà, il rapporto tra Rachel ed Octavian non era molto chiaro a nessuno, neanche ai due, che, seppure continuamente in contrasto, trovavano l'interesse nelle stesse materie, negli stessi oggetti, negli stessi settori d'arte... il teatro, ad esempio. Un piccolo dettaglio che Rachel aveva dimenticato di raccontare a Calypso era che, tempo prima, quando si era innamorata di Apollo, stava recitando sul palco della biblioteca il romanzo di Cime Tempestose -adattato dal loro professore, Chirone, che si divertiva a seguire quasi tutti i corsi extracurricolari dei suoi alunni, chissà per quale ragione, dal tiro con l'arco alla danza interpretativa-, il suo coprotagonista, Heatcliff, era Octavian -nessuna novità, Octavian e Rachel si dividevano sempre i ruoli dei protagonisti-.

Quel che invece la rossa non poteva raccontare, visto che nemmeno lei ne era al corrente, era il punto di vista di Octavian durante quella recita. Punto di vista che venne raccontato a Leo, in seguito, durante una sessione di allenamento estremo sugli addominali -perché Leo aveva sempre fatto schifo in Educazione Fisica e Octavian lo sapeva, non perdendo mai occasione di andarlo a deridere in palestra-, dallo stesso Octavian.

Leo non pensava di poter ispirare tanta fiducia in qualcuno che reputava antipatico e al confine per essere un suo bullo, ma prese comunque appunti mentali su quello che il biondo continuava a ripetere, non ricordava bene per quale motivo, mentre lui faticava a respirare a causa dello sforzo fisico.

"Lo trovo stupido lo stesso" continuò il ragazzo, accarezzandosi il collo e portando il suo sguardo verso il pavimento "E trovo stupido anche l'assegnamento dei ruoli"

Calypso e Leo, pur in due parti completamente diverse ed opposte della stanza, focalizzarono il loro sguardo sul biondo, che sembrava aver appena fatto un complimento a Rachel e, se proprio non fosse stato un complimento, era come se Octavian avesse coluto esprimere la sua empatia su qualcosa. Come se fosse preoccupato per la rossa.

"Non hai avuto Macativity? Sei praticamente nato per quel ruolo" rispose la ragazza, senza smettere di masticare la gomma.

"Ma tu non sei nata per quello di Cassandra" sbuffò quasi inudibilmente lui, continuando a mantenere lo sguardo basso "Tu sei più..." continuò mentre il suo sguardo da arrogante e strafottente, cervcava di diventare dolce e con un accenno ad un sorriso sognante.

Mentre Calypso studiava attentamente il ragazzo, con i suoi occhi allungati e scuri, immaginando quali pensieri potessero passare per la mente di un biondino come Octavian, Leo, accovacciato accanto ad Annabeth, ricordò le parole del ragazzo in quella palestra puzzolente.

Aveva detto La migliore attrice che io abbia mai visto. La migliore Catherine che abbia mai fatto innamorare il suo Heatcliff ed ammaliato chi lo interpretava.

Dovette sbattere le palpebre almeno quattro volte per riprendersi dalla scottante sorpresa della verità che Octavian gli aveva confidato. Perché gli aveva detto per davvero un segreto, mentre erano soli, premettendo il fatto che sembrava che, tra tutte le persone che conosceva, l'unico che lo avrebbe potuto capire e che sarebbe stato zitto sarebbe stato proprio lui, Leo. Perché non avrebbe capito le parole del ragazzo completamente e, se lo avesse fatto, beh, Leo era il Mollato per eccellenza, come aveva scoperto leggendosi Teorema Catherine, e sapeva quanto umiliante potesse essere far scoprire alla persona per cui hai una cotta che hai una cotta per lei -l'esempio per eccellenza era stata Thalia: Leo lo aveva detto ad Annabeth e Jason. Annabeth lo aveva spifferato a Percy, che lo aveva commentato a Hazel, che lo aveva detto a Frank, che se lo era lasciato sfuggire coi fratelli Stoll che, per dare una lezione a Leo, che non voleva aiutarli a progettare uno scherzo ai danni di una certa Katie, avevano fatto dei manifesti per attaccarli ad ogni muro e palo della città, con una rosa ed una poesia-dichiarazione per Thalia. Comunque, quando i fratelli Stoll mettevano in atto la loro vendetta, Thalia Grace già sapeva tutto: Jason glielo aveva raccontato non appena era uscito da scuola. Che amici!

E dovette riprendersi anche dallo shock di scoprire che Octavian -l'uccisore di peluche, il demagogo che aveva fatto insorgere una rivolta a scuola contro le fotografie di fine anno, solo per evitare l'esame finale, il ragazzo che voleva diventare presidente del consiglio studentesco per mandare a morte tutte le persone che tiravano su col naso e quelle che il naso se lo suonavano in pubblico- avesse addirittura dei sentimenti.

Dèi, il mondo è pieno di sorprese.

"Non insultare la mia capacità di recitazione!" puntò il dito contro di lui Rachel, senza comprendere quelle parole nascoste che il biondo aveva lasciato cadere all'interno della stanza.

"Non sto..." cominciò Octavian, per poi iniziare a balbettare e mordersi il labbro con tanta forza da riuscire a sentire il sapore del suo sangue sulla lingua.

Non stava dicendo che Rachel non recitava bene. Stava dicendo che Rachel recitava troppo bene per quel ruolo di semplice spalla. No, lei non era la ragazza carina che rimaneva nell'oscurità, senza un vero e proprio momento di gloria, senza una canzone che strappava le lacrime ai peggiori spettatori. Lei non era Cassandra, agli occhi di Octavian, che, all'età di quattordici anni si era visto essere trasportato in un modo di recitare nuovo, accanto ad una persona che lui ammirava, che lui am...

Rachel, agli occhi del biondo poteva avere di più. Doveva avere di più.

Doveva essere Grizabella, perché solo lei sarebbe riuscita a dare tutte le sfumature di un tale personaggio, anche se in pochisime scene. Solo lei poteva capirlo. Solo lei poteva portarla in scena, solo lei poteva far innamorare gli spettatori di lei e di ciò che interpretava, non Lou Ellen. Perché Lou Ellen, per quanto potesse sembrare vera, era solo ipnotica, non mostrava una parte di sé nel suo recitare: mostrava quel che tutti volevano vedere, non più, non meno, dando l'impressione di essere una maschera piatta, una donna senza carattere. E probabilmente lo era, secondo quel che pensava Octavian.

Nel club di teatro c'erano solo due persone che valevano la pena di vedere e di ricordare i nomi. Una era lui. L'altra era la rossa.

Rachel.

Rachel metteva in disaccordo tutti e tutto col suo modo di stare al palco, ipnotizzava perché era se stessa attraverso altri nomi. Lei brillava, splendeva illuminava le vie, creando delle ombreggiature dove Octavian, che era un sole più oscuro, amava sedersi e contemplarla in tutta la sua bellezza.

E avrebbe voluto dirglielo, gridarglielo in faccia, proprio in quel momento in cui lei stava a pochi millimetri da lui.

Ma lui era Octavian, lo stesso ragazzo che aveva tagliato i capelli a Reyna in quinta elementare per poter attirare la sua attenzione e, per orgoglio, l'aveva trattata come le peggiori delle nemiche, una volta che lei, gridando gli aveva scagliato contro i suoi due vecchi -ed orrendi, a detta del biondo- cani.

Non poteva dire a Rachel che la trovava fantastica.

"Dico solo che attrici migliori potrebbero interpretare la tua parte" bugia "che dovresti prendere lezioni di canto, visto che stoni ogni due note" parzialmente vero " e che non emozioni. Come attrice sei un completo fallimento" assolutamente falso.

Rachel sostenne il suo sguardo per un millesimo di secondo, assottigliando i suoi meravigliosi occhi verdi e studiando la postura nervosa di Octavian.

La pausa fu così densa che Calypso alzò il suo sguardo dal libro, con in bocca un "Che succede? Vi baciate?", ma riuscì a terminare a malapena la prima frase, perché la rossa diede una ginocchiata in pancia al ragazzo, che si dovette piegare e concentrarsi con tutto se stesso per non gridare.

"Pensa piuttosto alla tua dizione" replicò irritata, sbattendo a terra le sue vecchi scarpe Nike e e prendendo a camminare verso l'uscita della stanza, mentre Calypso inclinava la testa e la seguiva ripetendo un "Per come stavano andando le cose, pensavo dovesse esserci un matrimonio!"

Ma si fermò, mentre passava davanti agli scaffali, dietro i quali, pochi secondi prima si nascondevano Annabeth e Leo.

Quando girò la testa verso destra, facendo fare un piccolo salto alla sua treccia laterale, era rimasto solo Leo, fermo a nascondersi dietro un libro, perché la bionda, più allenata negli inseguimenti e nello spionaggio, era corsa verso l'area di letteratura latinoamericana non appena aveva capito che Rachel si era arrabbiata con Octavian ed aveva preso a scalciare furiosamente.

Gli occhi dei due ragazzi s'incontrarono, lui mentre cercava una maniera per scappare lontano da quella che già da due settimane e mezzo non gli rivolgeva più la parola, lei mentre lo osservava attentamemte, per poi abbassare lo sguardo verso il suo libro ed infilarci in mezzo quel foglietto che, poco tempo prima, teneva in mano.

"Tieni" disse tirandogli il libro come se fosse una palla da baseball e, quando Leo -che a baseball non era per niente bravo- riuscì a prenderlo, seppure con molta difficoltà dopo averlo fatto passare in volo da una mano all'altra, rise "Comunque, quegli occhiali da sole ti fanno il naso più grande, Ragazzo delle Riparazioni" disse a mo' di saluto, per poi scappare dietro le orme di Rachel.

Il bigliettino che la ragazza aveva lasciato spiccava nel libro, e Leo ci mise un po' per decifrarlo.

Ti voglio dare cinque buone ragioni per cui non è consigliato ad una persona normale essere amica di Leo Valdez...

"Per come la vedo io" gli diede una pacca sulle spalle Annabeth, che si era materializzata accanto a lui non appena aveva capito che quasi tutti se ne stavano andando -e con quasi tutti la bionda stava pensando a Calypso, l'oggetto del loro spionaggio-, ed aveva appoggiato il suo mento sulla spalla del più piccolo leggendo velocemente il foglietto che il ragazzo teneva in mano " questo è un passo avanti per le nostre indagini" sorrise e, soddisfatta, si stirò la schiena.


☆★☆★


Nico arricciò le labbra, allungando le sue corte gambe sotto il tavolo della biblioteca, mentre Piper, Annabeth e Leo, osservavano il bigliettino davanti a loro, neanche fosse stato scritto in greco antico.

A New Olympus, per quanto FedEx potesse essere un buon modo per mandare messaggi per tutti gli Stati Uniti, era preferibile spedire i propri pacchi per mezzo di HermesPoste, o IrideMessage. Le due ditte erano controllate rispettivamente dal signor Hermes e dalla signora Iride, che annoiata dall'essere portatrice di messaggi, aveva abbandonato la città ed aperto l'Associazione Arcobaleno, facendo diventare matta tutta la sua famiglia, ma, soprattutto, la sua assistente.

I figli ereditieri della fortuna delle due poste, volenti o nolenti, erano Butch -che Leo trovava buffo, visto che era tutto un omaccione, con il tatuaggio di un arcobaleno e la mancata scritta I love Mum- e Luke, che si vedevano costretti a viaggiare da una parte all'altra della città in bicicletta, più velocemente possibile, cercando di rallentare l'altro. Nelle loro corse contro il tempo, cercavano di sabotare l'altro in modi poco carini, non tanto Butch, quanto Luke, che, con un sorriso furbo, ripeteva sempre quanto in amore ed in guerra tutto fosse possibile, andando a trovare il rivale all'ospedale.

Nonostante questo, HermesPoste e IrideMessage non erano gli unici modi per comunicare, in quella cittadella, dove telefoni e cellulari sembravano essere banditi.

"Numero Uno:" lesse Piper, spostando leggermente l'amico a destra "hai un pessimo senso dell'umorismo"

"Bugiarda," sbuffò Leo, poggiando la schiena sulla sedia "ride sempre alle mie battute!"

C'era un modo per comunicare legato ai libri della biblioteca. Chi lo aveva usato almeno una volta, lo chiamava Viaggio Ombra, per svariate ragioni. La prima tra tutte: il libro compare dal nulla davanti al destinatario, senza che nessuno si accorga di niente; sembrano essere, i messaggi, trasportati da un'ombra, silenziosa ed invisibile.

"Numero due:" continuò Annabeth, mordicchiando una penna "sei troppo rumoroso"

"Per i canoni della biblioteca? Tutti sono rumorosi in biblioteca! Altrimenti, sai che mortorio?"

Per chi non l'avesse capito, l'ombra è sempre stato, e sempre sarebbe stato, Nico, che ascoltava la conversazione, nascosto, come sempre, dietro ad il Giro di vite, il giusto libro per ingarbugliarsi un poco la testa. Intrappolato con un trucchetto, da Eros, era stato costretto ad aiutare Afrodite nel suo lavoro da bibliotecaria, nonostante non fosse del tutto schiavizzato come lo era Leo. Il suo lavoro consisteva, essenzialmente, nell'essere un messaggero. E a lui poco importava, fintanto che nessuno gli desse fastidio, o lo scoprisse.

"Numero tre:" riprese Piper, ignorandolo " a volte, sembra tu voglia capire tutto, come se tutto fosse una macchina"

"Numero quattro:" Annabeth non lasciò al ragazzo neanche il tempo di prendere fiato per rispondere alla precedente affermazione che Calypso aveva lasciato nel foglietto "sembra tu voglia aggiustare tutto, come se tutto fosse una macchina"

"Non capisco cosa..." iniziò Leo, arricciando le labbra e scuotendo la testa.

Le due ragazze si lanciarono uno sguardo veloce, prima di abbassare lo sguardo verso il bigliettino e sbattere le palpebre velocemente.

Nico, incuriosito dal silenzio, abbassò il libro quel tanto che bastava per poter tenere d'occhio i tre, cercando una parola, o un bisbiglio che gli suggerisse l'origine dell'inquietudine delle ragazze.

"Che c'è?" chiese il messicano.

Annabeth si leccò velocemente le labbra, prendendo in mano il foglietto "Punto cinque:" lesse, soffocando un sospiro "io non sono una macchina"

"Questa è una dichiarazione d'amore" si sorprese Piper, incrociando le dota tra loro e sorridendo come un ebete verso l'amico, che, invece, la guardava dubbioso.

"Tu dici?" chiese la bionda, facendo oscillare la penna tra il dito indice e medio, con una pinta di nervosismo "A me sembra una ragazza che cerca di farsi chiedere scusa"

"Scusa di che? È lei che ha iniziato!"

"Anche" ammise la castana, continuando ad ignorare il moro che sbuffava e borbottava indignato "Ma queste sono le parole di chi non vuole perdere qualcuno"

"Non capisco cosa hai letto tu, perché io non leggo niente del genere"

"Oh, sei così ingenua! È così ovvio"

"Ragazze, mi state confondendo"

"Se avesse avuto veramente così tanta voglia di non perderlo, avrebbe almeno scritto Mi dispiace per essermi comportata come una matta in queste settimane. E dico almeno. Se non chiedi scusa, rischi di perdere le persone, sai? Se è così disperata all'idea di perdere Leo" Annabeth alzò la mano, indicando il moro accanto a lei, che dovette abbassare in fretta la testa per non essere colpito da lei "avrebbe usato tutte le armi per farlo riavvicinare. Soprattutto le scuse"

Piper alzò gli occhi al cielo "Ovviamente no! Questo è un rapporto con Leo. Hanno iniziato insultandosi e senza mai chiedersi scusa. Le scuse non sono normali per loro! Lo sta punzecchiando per riportarlo all'inizio della loro relazione-barra-amicizia"

"Ragazze"

"Perché Leo non merita scuse?"

"Leo merita tutte le scuse del mondo, ma non per questo le avrà mella maniera più tradizionale, no?"

"Calypso non lo vuole più vedere!"

"Calypso è pazza di lui!"

"E io che devo fare?" chiese Leo, sempre più confuso, facendo saltare il suo sguardo da Annabeth a Piper, che tamburellavano con le dita sul tavolo, lanciandosi veloci sguardi in contrasto.

"Va da lei, santi dèi!" "Allontanati e non farti più rivedere da lei", le risposte, in contemporanea, delle due ragazze, prima di lanciarsi l'ennesimo sguardo contrariato.

Nico scoppiò a ridere, poggiando il libro che teneva in mano sul tavolo. Leo girò la testa verso di lui, non troppo sorpreso di vedere il piccoletto lì, seduto a pochi metri da loro.

"Ti chiederei perché ridi, se non sapessi che sei un sadico"

Nico sfoggiò un sorriso sghembo, che doveva esser stato formato in sede, perché Leo non l'aveva mai visto sorridere in quel modo "Rido perché sei stupido" fece spallucce il più piccolo, per poi indicare l'oggetto che, in precedenza, conteneva il messaggio di Calypso "Puoi risponderle, no?"

Il messicano e le ragazze intorno a lui poggiarono i loro occhi sul libro, che innocentemente era rimasto aperto ad una pagina a caso.

Leo rise, prendendolo in mano, per poi indicare l'italiano "Sei un genio"

"Non ho bisogno che un essere inferiore come te me lo dica, ma grazie"



*Sara: certo, ovvio, Leo sta parlando della serie tv Chuck

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Capitolo 8
*** Dovresti saperlo che l'orgoglio è uno dei sette peccati capitali ***


Come utilizzare la biblioteca nella maniera più sbagliata in questo mondo ed essere felici

Ossia di quando Leo scoprì dei retroscena della vita di tutti che non avrebbe mai, mai, proprio mai, confessato a Piper

Capitolo otto: Dovresti saperlo che l'orgoglio è uno dei sette peccati capitali



"Perché ridi?" chiese Rachel, con in bocca una matita, mentre ripassava il suo copione.

Calypso avvicinò le ginocchia al petto, portando il fogliettino davanti ad i suoi occhi e lasciando che un piccolo sbuffo, caratterizzato da un sorriso divertito, le uscisse dalla bocca e dal naso "Certamente non ho mai pensato che tu fossi una macchina" lesse "Forse un ballo caraibico. Tipo: Ehi! Balliamo un calypso! Ma sono abbastanza sicuro che la mia rumorosità e le mie battute ti piacciano così tanto da essere quasi innamorata di me" la ragazza alzò gli occhi al cielo, per poi incontrarsi con lo sguardo della rossa.

"Qualcosa mi dice che Leo non ha poi tutti i torti"

"Che vuoi dire?"

"Leo e Calypso si vanno a sposar!" canticchiò la rossa, alzandosi per andare verso l'amica "Trallallero, trallallà! Sei cotta, cotta, cotta, cotta" sorrise, passando un braccio sopra le spalle di Calypso che cercava di respingerla in tutti i modi.

"No!" borbottò, mettendo il broncio "E tu da che parte stai?"

"Dalla parte di entrambi. Non ti ricordi? Sono anche amica di Leo, sai?"

"Ti devo rimpiazzare"

Rachel sorrise, dando un leggero colpetto alla testa della ragazza "Direi che sono la prima scelta per essere la madrina di vostro figlio" punzecchiò "Ed in quanto tua futura testimone, devo dirti che quando scrive, Leo fa un sacco di errori ortografici. È dislessico. Quindi, qualcuno lo ha aiutato a scriverti. E, sì, Annabeth vuole sapere qualcosa sul tuo Periodo Percy e deve pensare che il percorso più diretto per arrivare a te sia Leo. Detto questo" aggiunse in fretta, vedendo il sorriso dell'amica scemare "Leo è tremendamente onesto. Se ti ha scritto è perché vuole parlare veramente con te. Devi mancargli"

La castana sospirò "Sei sicura?"

"Sicurissima" assicurò Rachel con un sorriso, per poi sedersi sul tavolo e far dondolare la sedia davanti a lei con il piede "Che vuoi fare sul fronte Annabeth? Ti avverto che non inizierò una faida con quella ragazza. Vuoi raccontarle di Percy?"

Calypso fece spallucce "Non c'è granché da raccontare", poi prese a scrivere, per lasciare quello che lei non sapeva sarebbe stato l'ultimo bigliettino che avrebbe lasciato ne La meccanica del cuore.


☆★☆★



Leo aveva sempre pensato che l'essere più fuori luogo in una biblioteca era lui. Nel senso: cosa ci fa un ragazzino iperattivo e dislessico in una biblioteca, piena di libri e con solo mezzo piano dedicato alle letture per bambini, con tantissime immagini? Cosa ci avrebbe mai potuto fare, lui, in un inferno come quello?

Alla fine, aveva dovuto trovare un suo posto tra gli scaffali, col suo martello -a volte fingeva di essere Thor e lo alzava drammaticamente, gridando che Odino li avrebbe puniti tutti per non trattarlo come il principe di Asgard, che lui era- ed aveva iniziato a trovarsi a suo agio, diventando salvatore di ragazzine troppo basse per arrivare agli scaffali più alti -la prima volta nella sua vita in cui Leo si sentì alto, nonché l'ultima, visto che, cavolaccio, doveva ammettere di essere basso per la media della sua età-, e di bambini alla ricerca di qualche svago, ingannando le mamme che pensavano stessero studiando.

Leo, insomma, aveva trovato il suo posto nella biblioteca. Ma per Luke, che si guardava in giro con occhio diffidente ed agitato, quel posto doveva essere ancora l'inferno.

"Che ci fai qui?" chiese, sperando che la sua voce non fosse tremolante come l'aveva percepita. Non per niente, ma Luke non era un tipo rassicurante, nonostante Percy lo vedesse come un fratello maggiore, da ammirare ed adulare, e Annabeth lo guardasse come se fosse un Adone uscito da chissà dove per salvarla dalla volgarità dei ragazzi intorno a lei. Luke era lo stesso ragazzo che aveva fatto cadere Butch dal ponte di Saffo, solo per rallentarlo nella sua corsa alla consegna di un messaggio inutile. Luke aveva quasi ucciso Percy per vincere in una gara di nuoto -"Ucc... Leo, sei così melodrammatico! Voleva solo affogarmi!" aveva detto il diretto intetessato, citando, forse senza neanche volere, le sirene di Peter Pan, cosa che non sembrava essere rassicurante-. Luke aveva fatto rubare, con l'inganno l'elmetto portafortuna di Ade che, per la depressione, aveva fatto affidamento sui ragazzini pur di ritrovarlo.

Luke era il figlio di Ermes meglio riuscito, per così dire. Non è cattivo, dicevano quasi tutti. E okay, diciamo che non era cattivo, certamente, però, Leo non riusciva a capirlo e tantomeno a fidarsi di lui.

"Consegne" rispose Luke, mostrando un pacco tra le sue mani "Afrodite? "

Leo storse le labbra, chiedendosi come fosse possibile che quel ragazzo riuscisse a comunicare con le persone senza usare dei verbi "Fuori" provò a farlo anche lui "Tornerà tra poco" mannaggia, non possedeva il dono del figlio di Ermes "Vuoi consegnarlo a me?"

Luke lo osservò, per poi scuotere la testa "No. Aspetterò" ma allora anche tu allora usi i predicati verbali! Certo, magari non andare avanti a frasi minime, no?

"Ti devo offire un caffè, o..."

"Sei uscito con Thalia ultimamente"

Leo non seppe se sorprendersi di più del fatto che Luke sapesse certe cose legate alla su vita sentimentale -si divertì, in quel secondo, ad immaginare un Luke che si univa al circolo di spetteguless di Percy e Jason-, o che Luke sapesse usare complementi e, addirittura, gli avverbi. Aveva l'istinto di battere le mani e gridare Bravo! Bravo!

Si contenne "Sì" rispose "due o tre settimane fa, se non sbaglio"

"E...?"

"E...?" Leo inclinò la testa, seriamente confuso "Forse e... due settimane e qualche giorno. Non ne sono sicuro, va bene?"

"E com'è andata?" chiese bruscamente il biondo, appoggiando il pacco che doveva consegnare sul tavolo più vicino ed alzando un sopracciglio.

Leo si morse un labbro, cercando di non ridere "Ho scoperto che Thalia è una whovian e probabilmente ha combattuto contro i dalek, o gli angeli piangenti. E, sì, certo, abbiamo creato un Punto Fisso"

Luke forzò una risata, per poi tornare dannatamente serio ed aggrottare le sopracciglia "Cioè?"

"Niente" alzò le spalle il messicano "Le ho dato un colpo in testa e ci siamo quasi sposati"

"Come?" chiese Luke, stringendo i pugni e facendo un passo in avanti verso il ragazzino.

"Scherzavo, amico. Calmati" rise Leo, aprendo le mani davanti a lui, come a fermarlo "Abbiamo messo in chiaro che non saremmo mai potuti stare insieme. Non per niente, ma penso che abbia qualche conto in sospeso. Per questo voleva mettere un punto con me" si grattò la testa, con un sorriso sincero "Magari il conto in sospeso era con te, eh?"

Luke fece spallucce, iniziando a giocare col fiocco sopra il pacco "Boh" rispose.

"Parli sempre a monosillabi? No, perché sta diventando piuttosto irritante"

"Forse" sorrise il maggiore, guardando Leo alzando gli occhi al cielo e sospirare irritato "Tendo a non voler lasciare troppe informazioni al nemico"

"Nemico?"

"Questo è territorio di Afrodite. Capisci che nessuno qui è al sicuro. Nemmeno tu, tirapiedi"

"Sarei un tirapiedi di Afrodite? No, non penso. I tirapiedi devono essere pagati, immagino. È scritto nel regolamento dei Super Cattivi" Leo posò le sue mani sui suoi fianchi, con un sorriso di scherno.

"Non mi piacciono le persone che fanno troppe battute" lo zittì Luke ed il messicano ebbe l'istinto di fare un'ulteriore battuta, quasi volesse rendersi nemico di quel ragazzo. Si trattenne, più perché aveva paura di scoprire chi Percy ed Annabeth avrebbero appoggiato in quel litigio stra-ordinario "ma ti darò un consiglio. Fidati poco di Afrodite. Gioca a fare la dea, accoppiando le persone e facendole lasciare. Si diverte a vedere le persone col cuore spezzato. Io lo so. L'ho visto. Siamo i suoi burattini. E tu, in questo momento, stai facendo il suo gioco"

"L'ho pensato anch'io. Ma non è vero. Signora Africa non crea le coppie. Crea le occasioni, per fare in modo che due persone si possano parlare. E, la maggior parte delle volte, è perché uno dei due vorrebbe parlare con l'altro" Leo si passò un indice sopra il labbro "Io lo so. L'ho visto" ripensò a Frank e Percy, a Charles ed al fatto che, se non fosse stato per il continuo ficcare il naso di Afrodite, non avrebbero mai neanche parlato a Hazel, troppo ferma nella sua situazione familiare, per poter vedere oltre, a Annabeth, chiusa nel suo pregiudizio su Percy, cercava sempre di stargli lontano, ed a Silena, che era circondata da ragazzi che la portavano lontana dal suo fratellone.

Se non fosse stato per Afrodite, non si sarebbero mai realmente incontrati e mai avrebbero potuto vivere la loro storia d'amore. Sotto quel punto di vista, Afrodite portava il suo nome egregiamente.

Luke si leccò le labbra, avvicinandosi al ragazzino "Come può quella donna farvi il lavaggio del cervello? Per lei è tutto un gioco. Anch'io le credevo. Mi ha fatto fare i salti mortali, mi ha fatto correre da una parte all'altra dela città, mi ha usato come un suo schiavetto, perché le credevo. E, alla fine di tutto, mi sono reso conto di star facendo il suo giochetto della bottiglia. Le avevo chiesto aiuto per poter stare con Thalia. Se Thalia, in realtà, non mi fosse mai piaciuta e lo avessi fatto solo perché lei voleva divertirsi? Se fosse stata lei a portarmi a certe conclusioni, a certi ragionamenti? Ero stato accanto a Thalia dai suoi dodici anni, ero il suo miglior amico, la sua famiglia e..."

"E adesso usi il passato per dirlo"

"Io non voglio stare sotto il comando dei grandi, per così dire. A New Olympus decidono tutto loro, fanno il buono e cattivo tempo. Io voglio soltanto un po' di libertà ed essere riconosciuto. Se per raggiungere questo ho dovuto sacrificare l'amicizia di Thalia, l'ho fatto col cuore leggero e senza ripensamenti"

"Hai sacrificato l'amore di Thalia e per Thalia" lo corresse Leo "Sei veramente tu il suo conto in sospeso. Ti sei allontanato prima ancora che qualcosa potesse iniziare tra voi. Consapevolmente" il ragazzino passò la mano trai capelli, con un sorriso forzato e cercando di mantenere una faccia da poker -anche se lui non aveva una faccia da poker, sembrava più essere una faccia da biscotto-

"Ho fatto la cosa giusta"

"Sei stato un codardo" mise in chiaro il messicano "Sei scappato da una relazione, lasciando in sospeso una ragazza. Un codardo egoista. E non usare la scusa del cavaliere anarchico in cerca del suo posto nel mondo perché non sei credibile. Ti sei visto davanti a Thalia e ti è venuto l'istinto di nasconderti dietro alle colpe di tuo padre. Dèi. Pensavo di star parlando con un adulto e alla fine l'adulto sono io"

"Cosa ne vuoi sapere tu di queste cose? Puzzi ancora di latte"

"Ne so più di te, a quanto pare. E, signora Africa può essere superficiale e poco comprensibile, ma non è cattiva. Fa semplicemente in modo che le persone possano vivere il loro Punto Fisso. Incontrare una persona, innamorarcisi, mettersi insieme e vedere come va a finire. Non controlla certo l'amore, ma non vuole farci del male. Ci fa solo crescere. E se sei così ottuso da non capirlo, mi chiedo se sia vero che i biondi sono stupidi" chiese mentalmente scusa ad Annabeth, ma non a Jason "Che tu sia un codardo è un altro discorso"

"Ricontrolla bene il codice dei Super Cattivi. Dovresti essere pagato, sei un tirapiedi in piena regola"

"Fiero di esserlo"

Luke lo guardò con disprezzo, prima di lasciare un foglietto sul pacco e chiudere la porta della biblioteca con un tonfo. Tutti i ragazzi nella biblioteca si girarono verso Leo e, abituati a doverlo sgridare, essendo un casinista in piena regola, lo ripresero con un Ssh! anche troppo rumoroso.

Leo ci passò sopra ed afferrò il pacco.

Alzandolo, aggrottò le sopracciglia.

Non pesava nulla. Era vuoto.



☆★☆★



"Abbiamo fatto pace?" la domanda timida di Leo si alzò nella stanza, mentre le sue mani piegavano il foglio bianco, dando a quello la forma di un cigno.

Calypso alzò lo sguardo, si morse il labbro e si chiese quale fosse la risposta giusta a quella domanda. Avevano mai litigato? Leo non aveva farto niente per iniziare quella guerra fredda, che non era mai sfociata nella vera guerra, ma questo perché il secondo litigante era Leo Valdez e non avrebbe mai fatto del male ad una persona volutamente. A lui piaceva solo punzecchiare le persone, non farle star male.

Tutto era iniziato a causa della gelosia -sì, Calypso lo stava ammettendo- della ragazza. Se Leo non fosse mai uscito con Thalia, lei non si sarebbe mai sentita tradita e non avrebbe mai capito quanto Leo, con tutti i suoi pregi e difetti, potesse mancarle.

Prese il giaccone che le aveva prestato mesi prima e glielo porse, con aria colpevole. Lo aveva sistemato e rammendato, per questo non lo aveva restituito subito, ma sapeva perfettamente che, nell'ultimo mese, lo aveva tenuto a casa sua più per non renderglielo che per altri motivi.

Leo lasciò il suo foglietto di carta -il quarto, da quando era lì seduto, trasformato in un cigno bianco- e sorrise verso la ragazza, prendendo il mano il giaccone.

"Mi dispiace" dissero nello stesso momento e, dopo un attimo di silenzio, in cui i loro occhi si erano incontrati, avevano iniziato a ridere, sollevati.

"Cosa fai?" chiese lei, lanciando un'occhiata ai foglietti di Leo "Sembri assorto"

"Quando io e Piper ci siamo conosciuti, mi ha insegnato a fare l'origami di un cigno e mi ha detto una cosa, che ai tempi mi ha lasciato meravigliato"

"Ossia?" si stava sedendo accanto al ragazzo, trascinando la sedia il più vicino possibile a lui, senza neanche rendersene conto.

"La leggenda dei mille cigni. Che se fossi riuscito a farne mille avrei potuto esprimere un desiderio"

"Ti ci sei fiondato, immagino" rise Calypso.

"Hai imparato un po'del gergo giovanile. Sono così fiero di te" sorrise Leo, girando la testa verso di lei. Erano così vicini che, se avesse voluto, Leo avrebbe potuto far toccare i loro nasi "In realtà, però, gli origami che Piper mi ha insegnato a fare sono delle gru, non dei cigni, né io né lei sapevamo la storia intera delle mille gru, ma il risultato non cambia molto. Facendone mille dovrei poter esprimere il mio desiderio. Io ne avevo fatte più o meno trecento, ma, vedi, ai tempi quello che volevo non mi ha dato la voglia di continuare a piegare carta"

"E cosa volevi?"

"Enchiladas" rispose immediatamente il ragazzo "Echiladas per tutta la vita"

"Che desideri profondi" lo prese in giro Calypso "E adesso perché hai ricominciato?"

Leo le sorrise, alzando il dito indice e muovendolo da destra a sinistra "Non lo sai che i desideri non devono mai essere rivelati?"

"Me ne hai appena rivelato uno!"

"Cosa? Chi? Quando?"

"Sei un idiota" sorrise lei, poggiando la guancia sulla mano.

"Grazie" rispose lui, lasciandole un bacio sulla guancia, per poi alzarsi in fretta, raccattando tutti i cigni di carta sul tavolo, e salutarla con la mano, mentre andava via, di fretta "E ricordati che io non sono un codardo!"

Calypso nemmeno lo sentì, era troppo occupata a sentirsi avvampare tutto il viso.




Note
Buon anno nuovo!

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Capitolo 9
*** Fogli, testa e cigni-gru, non ho dimenticato niente, mi piaci tu ***



Note:
*nervosanervosanervosanervosaaaaanervosa* Volevo aggiornare la storia ieri, perché ieri si tornava a scuola e addio libertà *faciaociaoconlamanina*, ma ieri mi sono resa conto di tutti i compiti che dovevo fare per oggi e che non ho fatto -ma che sorpresa… dai, qualche saggio breve, una dozzina di versioni e tre racconti di Joyce non erano poi neanche troppo male. Penso che se avessi fatto tutto con calma, mi sarebbero piaciuti i racconti di Joyce, ma, beh, sono una studentessa! Siamo fatti così- eeee quindi…

*nervosanervosanervosa* Annuncio, quindi, che, ufficialmente questo è il penultimo capitolo della storia, o, beh, la fine, per chi non ama gli epiloghi. Perché il capitolo dieci sarebbe l'epilogo… odio quando le fanfiction diventano lunghissime e tendo a prefiggermi capitoli limitati e…

*nervosanervosanervosa* Sono sicurissima che dopo l'epilogo la storia mi mancherà tanto ed è per questo che, beh, ho creato la serie Tutta colpa di Afroditee che verrà arricchita di altre due storie -una Octachel/ Rachollo tanto perché mi è piaciuto utilizzare la famiglia di Apollo, ed una Thaluke, che è quasi finita, quindi sarà la prima che pubblicherò, forse il giorno stesso in cui finirò la Biblioteca- e *nervonervosanervosa* ho dovuto modificare alcuni dettagli di questa storia per far incastrare le tre storie. Ma niente di che.

Il fatto che una trentina di persone abbia deciso di seguire questa storia, fino alla quasi fine, mi ha scaldato il cuore. Siete, non so, fantastiche incredibili ed avete sprecato così tanto tempo con la mia storia e… grazie.

Certo, i miei ringraziamenti spero di poterli fare a modo nell'epilogo. E l'epilogo sarà l'inizio di altre due storie, quindi…

Va bene, taglio.

Buona lettura!






 

Come utilizzare la biblioteca nella maniera più sbagliata in questo mondo ed essere felici

Ossia di quando Leo scoprì dei retroscena della vita di tutti che non avrebbe mai, mai, proprio mai, confessato a Piper

Capitolo nove: Fogli, testa e cigni-gru, non ho dimenticato niente, mi piaci tu






La consapevolezza era arrivata, come Calypso era arrivata nella sua vita: con un colpo in testa, i suoi attrezzi che cadevano a terra ed un dolore pazzesco che lo fece lamentare con un “Aho” lamentoso.

“Non mi stavi ascoltando” si giustificò la ragazza coi capelli cannella, assottigliando lo sguardo e scuotendo la testa, con ancora il libro con il quale lo aveva colpito a mezz'aria.

“Ovviamente non ti ascoltavo” aveva borbottato Leo, accarezzandosi il cuoio capelluto, con un leggero broncio “Vedi? Il mio pollice tutto è tranne verde”

“Forse se mi ascoltassi, la smetteresti di ridurre in cenere, o seccare le piante della biblioteca, potresti fingere, per lo meno, di…” e di nuovo la sua voce divenne ovattata, mentre il messicano osservava le sue labbra muoversi a rallentatore, le sue mani muoversi in circolo davanti al suo petto, la maglietta rossa che cadeva perfettamente sul suo busto -con la deliziosa scritta Who Am I?, che lo stava facendo impazzire- ed i suoi occhi assottigliarsi, aprirsi, chiudersi, passare da un particolare all'altro, ricadendo sempre sulle mani veloci di Leo, che continuava a piegare origami.

Il ragazzo sospirò, forse troppo pesantemente.

“Non mi stai ascoltando di nuovo, vero?”

Il messicano arricciò le labbra, chiedendosi cosa avrebbe dovuto dire “Beh” sorrise alla fine “potresti iniziare a mettere i sottotitoli, quando parliamo, magari aiuta”

“Sei dislessico”

“Allora siamo fregati. Non ti ascolterò mai. Potremmo provare con i gesti, tipo i sordomuti” scherzò, lasciandosi scappare una piccola risata.

“Possiamo provare con i pizzicotti, magari il dolore ti aiuta ad ascoltare” suggerì Calypso con un sorriso troppo sarcastico -ma maledettamente bello-.

E Leo Valdez alzò un lato della bocca, che sarebbe dovuto essere un sorriso non controllato dalla sua mente, ed abbassò subito lo sguardo sul suo origami, prendendo a piegare i fogli ancora più velocemente.

“Adesso m'ignori anche?”

“È uno dei miei privilegi poterti ignorare”





🔆🔅🔆🔅




"Potevate anche chiedermelo direttamente" disse Percy, spegnendo il nintendo DS, accanto a Jason che esultava per la sua vittoria in Mario Kart "Mi hanno distratto. Jason, non vale!"

Il biondo scosse la testa "Grace è il vincitore. Inginocchiati davanti al vincitore, su!"

"Lo farei" rispose il moro, tamburellando le dita sul tavolo "ma non sei credibile, giocando con Baby Peach" e stava giusto per riaccendere la Nintendo DS, ma Annabeth gli prese le mani, cercando di riportare la sua attenzione su di lei e Leo, che, accanto alla bionda, piegava origami su origami.

"Concentrati, Testa d'Alghe"

Percy la guardò e sbattè le palpebre "Certo" sorrise "Calypso. Non c'è molto da raccontare... Jason, per Ade!, non iniziare una nuova partita! Dicevo...?"

"Calypso" lo aiutò Leo, senza neanche alzare lo sguardo sul ragazzo.

"È succeso più o meno, due anni fa? Jason!" Percy non sembrava essere a suo agio con la conversazione, Leo se ne rendeva conto pur non guardandolo. Ma Annabeth aveva bisogno di sapere e per questo, solo per questo, il moro avrebbe affrontato la situazione, sperando che il passato non rovinasse il presente. Anche se, certamente, non c'era molto da raccontare.

Jason corse dal divano della biblioteca accanto a Percy, come soltanto un amico con legami di sangue avrebbe potuto fare per una persona e lo rassicurò con un semplice "Sono qui, bro" che fece sorridere sia il messicano che il cugino "Sì, due anni fa"

"Beh, ecco. Non stavamo ancora insieme. E io stavo spesso nel campetto da calcio e da basket insieme a Jason e Grover. Un giorno stavamo giocando a baseball con la palla da basket e Grover colpisce così bene la palla da mandarla fuori campo"

"Io direi fuori dallo stadio" integrò il biondo.

"È stato proprio un bel lancio" convenne Percy "che finì nella mansione di Atlante. Atlante è il papà di Calypso e…” lasciò che il nome di Zoe non toccasse l'aria, abbassando lo sguardo e deglutendo, scosse la testa, cercando di lasciare in pace il ricordo della ragazza, che ragazza sarebbe stata per sempre “ricordi? Quello che non condivide le mele con nessuno..." si riprese, con uno sbuffo ed alzando gli occhi al cielo.

"È per questo che gliele rubiamo" Leo portò davanti a sè il pugno, come fecero anche Jason e Percy, per farli scontrare, in un gesto che Annabeth li vedeva fare in continuazione.

"Insomma, dovevamo decidere chi sarebbe andato a prendere la palla. Per giustizia, ci sarebbe dovuto andare Grover, ma, il traditore, chiede di decidere giocando a carta sasso e forbice. E chi perde secondo te? Questi barano e perdo io. Quindi mi preparo ad andare contro la morte e sopportare la rottura di scatole che sarebbe stata la paternale di Atlante. Invece mi ritrovo una bella ragazza, con la palla in mano che si lamenta perché l'hanno colpita in testa"

"Questa è Calypso" sorrise Leo "Cosa ti ha fatto? Ti ha colpito in testa con la palla o...?"

"Il codardo qui, mica le ha detto che la palla era sua! Abbiamo dovuto comprare un altro pallone per colpa di quest'idiota!" borbottò Jason, incrociando le braccia "Ci avrà iniziato a flirtare da quando l'aveva vista da lontano. Dongiovanni"

Percy fece spallucce "Più forte di me" si giustificò "in realtà, ancora mi dovete spiegare come flirto, perché io ci ho seriamente provato a dirle di ridarmi la palla, ma lei sembrava non ascoltarmi. Non è colpa mia se sono affascinante!"

Annabeth lo fulminò con lo sguardo e lui arricciò le labbra.

"Va bene. Dopo quel fatto non è successo granché. Lei ha iniziato a parlarmi ed era molto dolce, premurosa, gentile..."

"Parliamo della stessa ragazza, noi due?" chiese Leo, assottigliando lo sguardo.

"Lei..." il moro sospirò abbassando la testa e muovendo su e giù la mano trai capelli "È colpa mia. Si era aperta molto con me. Parlavamo di tutto, lei mi aiutava in tutto quello che era possibile. Ma per me era solo un flirt. Ho pensato potesse essere anche solo mia amica. Non so lei... forse non era il mio tipo, o forse io ero troppo preso da altre cose, non lo so. Abbiamo iniziato a parlare attraverso il Viaggio Ombra e lei è diventata, non so come spiegarlo, l'ombra di una ragazza. Non la vedevo in carne ed ossa, non la vedevo come ragazza, ma come quelle stupide lettere che ci mandavamo, delle quali non ci capivo niente, perché non riuscivo a leggerle e... avrei potuto, in un inizio, non farla diventare nella mia mente una ragazza che ho abbandonato, in un modo o nell'altro. Potevo decidere di rimanere al suo fianco, di rimanere con lei ma c'era qualcosa, qualcuno, che m'impediva, in un certo senso, di farlo" Percy abbassò la testa "E quando le scrivevo non pensavo mai a lei. Calypso se n'era accorta e mi aveva scritto una lunga lettera che forse era d'addio. Io le ho risposto con un semplice mi dispiace. Capisco, adesso, che si era innamorata di me. E io l'ho abbandonata senza che lei avesse amici, o comunque qualcuno per potermi, non so, maledire in un modo o nell'altro. Io so di averla lasciata sola. Per questo non mi piace parlarne. Nè ricordarlo. Ma potevi chiedermelo senza problemi. Non ho segreti, per te"

Annabeth si leccò le labbra, prendendo fiato per poter dire qualcosa al moro, che teneva la sua testa sempre più bassa, ma fu interrotto da Leo che commentò il tutto con uno sprezzante "Ma che bravo ragazzo"

Jason lo fulminò con lo sguardo, rimproverandogli mutamente le parole appena dette, ma Leo non sembrò darci peso.

"Mi dispiace per davvero" mormorò Percy, giocando con le mani "Avrei dovuto stare più attento, starle più accanto, esserle amico e non il ragazzo che le ha spezzato il cuore. Ma sono felice che abbia trovato te. Nel senso, Leo Valdez, sei il ragazzo che Calypso deve aver aspettato per tutti questi anni. La fai ridere, la fai arrabbiare, la rendi serena. Sei tutto per lei e, se ancora vale qualcosa, un aiuto, un qualsiasi favore, chiedimelo e lo avrai. Avrei dovuto stare più attento in passato, ma ciò non toglie che voglio veramente vedere uno dei miei migliori amici e Calypso felici. Se lo siete insieme poi..."

"Ora che lo dici" sorrise il messicano "avrei proprio bisogno di un aiuto"


☆★☆★



Fu Nico a consegnarle il libro.

Era corso giù dalla collina della biblioteca, nell'intento di fermarla e l'aveva fatto, appoggiandole una mano sulla spalla e facendola girare verso di lui.

Calypso gli aveva sorriso dolcemente, ringraziandolo di cuore per averle portato La meccanica del cuore, senza però dare cenno a voler aprire il libro davanti a lui.

"È importante" aveva detto il piccoletto, indicandolo.

Lei aveva alzato le spalle, per poi chiedere, sospettosa, cosa fosse importante.

"Torna indietro. È importante" sbuffò Nico, ancora col fiatone "E appena incontri quell'idiota del tuo amichetto, digli che non sono Luke o Butch"

Calypso lo guardò di sbieco, mentre lui la spingeva verso la salita della collina, con poca eleganza, ma, alla fine, iniziò a camminare verso la biblioteca, di nuovo, tenendo sotto braccio il libro che il moro le aveva lasciato.

Arrivata al portone della biblioteca, chiuso, girò la testa verso Nico che, con una forcina per capelli -probabilmente rubata ad Hazel- apriva il portoncino che dava al giardino. Con un paio di colpi di polso, riuscì a far sentire un plick! leggero alla castana, che aprì la bocca, sentendosi poco al sicuro accanto al piccolo italiano.

"Che c'è?" aveva chiesto lui, come se avesse fatto la cosa più normale in questo mondo "Me lo hanno insegnato Travis e Connor. E Leo ha perfezionato la loro tecnica"

"Leo?" chiese Calypso, incredula.

"Cosa pensi? È un teppistello" Nico le fece cenno di entrare con lui.

"Dove dobbiamo andare?"

"Leo ha detto che ha lasciato le indicazioni dentro il libro" disse lui, come se nulla fosse, camminando sui sassolini che, ad ogni passo, sembravano volerlo far inciampare o affondare "Non so cosa intendesse" disse per prevenzione ad ogni domanda.

Lei rimase qualche passo dietro di lui ed aprì il libro, alla ricerca del fogliettino.

Ti ricordi dove ci siamo parlati la prima volta? Ti sto aspettando lì.

"Eh?" l'intelligente risposta della ragazza, che girò il fogliettino, nella speranza di trovare qualche indizio in più.

La prima volta che si erano incontrati? E dove?

Bella domanda.

Letteratura per bambini? Quando Leo aveva gettato in aria i libri di Zafon e imprecato contro Marina nelle maniere peggiori? No, no. Lei già sapeva il suo nome, ai tempi, e ricordava di aver riso dell'indignazione del ragazzo. Risposta sbagliata.

"Insomma?" incalzò Nico, con le braccia incrociate e battendo un piede sui sassolini bianchi.

Letteratura latina? Quando Leo aveva iniziato a battere il martello contro gli scaffali, non tanto perché doveva lavorare, ma perché voleva darle fastidio? No, no. Ai tempi ricordava di aver litigato con lui, ma solo perché lo aveva notato tempo prima e l'infastidiva da qualche settimana. Risposta sbagliata.

"Non mi mettere ansia"

Letteratura francese? Quando Leo aveva iniziato a cantare quelle odiose canzoni Disney, con un ridicolo balletto, per strapparle un sorriso, visto che l'aveva vista un pochino triste? No, no. Ai tempi già la conosceva, altrimenti, perché la voleva far ridere? Risposta sbagliata.

"Prima di notte, magari"

Calypso sbuffò, accarezzandosi il collo, con un poco d'irritata inquietudine. Letteratura americana? Letteratura spagnola? Letteratura inglese? Italiana? Manuali? Filosofia? Pedagogia? Psicologia? Era incredibile quanto ogni sezione avesse almeno un ricordo legato a Leo. Ma non era quello giusto. Non lo era mai.

Finché...

"Lo studio di Afrodite" la ragazza si portò una mano sulle labbra, trattenendo una risata "Ma certo!" si girò verso Nico e lo prese dalle spalle, quasi scuotendolo in avanti ed in indietro "La prima volta che ci siamo incontrati è stato davanti ad Afrodite! Io ero lì perché dovevo parlare con Afrodite sull'ultimo... non giudicarmi, Afrodite è stato il mio unico contatto umano per anni... dovevamo discutere sull'ultimo libro di Saramago e lui era lì perché Jason e Percy avevano distrutto uno scalino e la colpa era ricaduta su di lui. Leo ha fatto una battuta sul mio nome e io l'ho insultato con un Omuncolo Ignorante. Non una delle nostre migliori conversazioni... nemmeno insulti, a dirla tutta"

Nico sbattè le palpebre, per indicare la biblioteca, di nuovo, ed iniziare a camminare verso la parte opposta "Io non ti avevo chiesto niente" la salutò "Me ne torno a casa. Tu vai. Cioè, perché mi dovete raccontare tutti le vostre smielate storie d'amore? Non m'importa niente! Dèi!"

Calypso lo salutò con la mano, per poi girarsi ed iniziare a correre, senza neanche rendersene conto.

Entrata in biblioteca, guardò a destra e poi a sinistra, come se non riuscisse a riconoscere il luogo in cui passava i suoi pomeriggi da dieci o nove anni. Ricordarsi, comunque, dove fosse lo studio di Afrodite non le fu difficile e, dirigendosi verso quello, ascoltò i suoi passi rimbombare per la biblioteca, che sarebbe dovuta essere chiusa.

Aprì la porta con cautela ed infilò la testa, per controllare che non ci fosse niente di strano nella stanza, e che non fosse il solito scherzo di Leo Valdez per farsi due sane risate.

Pur avendo fatto pace da qualche settimana, in effetti, Leo non aveva smesso di punzecchiarla e prenderla in giro, a volte anche con scherzi innocenti, dai quali Calypso aveva dovuto imparare a difendersi, se non voleva tornare tutti i giorni a casa con il naso dipinto di rosso.

Rosso. Era il colore preferito di Leo e, chissà per quale motivo, Rachel aveva fatto notare a Calypso che stava iniziando a vestirsi continuamente di rosso.

Coincidenze.

Come no. Coincidenze.

Leo era seduto sulla sedia di Afrodite intento a piegare il solito origami. Ultimamente ne stava piegando parecchi. Doveva essere arrivato, l'ultima volta che la ragazza l'aveva incontrato -qualche ora prima, quindi- a quota ottocentotrentaquattro.

"Mi volevi vedere, Omuncolo?"

Leo alzò la testa, guardando la ragazza sulla soglia della porta "Raggio di Sole!" salutò, facendo volare il cigno dietro la sua testa, senza volere. Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, ricercandolo per terra "Qual buon vento?"

"Adesso sei tu che parli come un vecchietto"

"Sei contagiosa" alzò le spalle lui, per riprendere il cigno di carta ed avvicinarsi a lei "Sai che numero è questo? Il novecentonovantanove" sorrise soddisfatto, mostrandole l'origami "Me ne manca solo uno"

"Dev'essere un desiderio importante se hai fatto mille cigni in nemmeno un mese. E come mai tutta questa fretta?"

"Segreto professionale"

"M'inalberi con questi segreti" borbottò lei "Mi hai chiamata qua per vederti finire il tuo millesimo origami ed esprimere un desiderio che non mi vuoi rivelare?"

"Più o meno"

"Io te lo direi il mio desiderio" sbuffò Calypso, mettendo su un piccolo broncio contro il ragazzo, che sorrideva "Ci ho seriamente provato a fare degli origami, ma vengono tutti male. In tre giorni ne ho fatto solo uno. Quindi tanto vale dirlo subito il desiderio, no? Tanto ho capito che le leggende giapponesi mi odiano"

"E quale sarebbe il desiderio?" chiese Leo, prendendo l'ultimo foglietto ed iniziando a piegarlo in fretta "Vorrei tanto incontrare i favolosi semi di luna. Altolà Rapunzel. Erano i raggi di sole a creare il fiore del sole, eh"

"Uno, i semi di luna esistono, Valdez. Due, no" Calypso si morse le labbra e lasciò che le parole fluissero dalla sua bocca, senza neanche pensarci "Vorrei piacerti come ad un ragazzo piace una ragazza"

Leo sbattè le palpebre, tenendo in mano i due cigni di carta ed osservando la ragazza che, ancora sulla soglia della porta, si accarezzava il braccio, diventata rossa a causa delle sue parole. Lei prese a boccheggiare, per scoprire di non aver più voce per dire niente e stava anche per andarsene -insomma, Leo stava lì che la fissava senza dire una sola parola-, quando il ragazzo tossì.

"Questo è inaspettato" borbottò lui, riavvicinandosi a lei e prendendola sotto braccio, per poi trascinarla fuori dalla stanza per tutta la biblioteca "Allora ci avevo preso, eh? Sei cotta di me!"

"Perché corriamo?" chiese con qualche difficoltà la ragazza.

"Sei vestita di rosso. È il mio colore preferito"

"Non è una risposta"

"Dici?"

"Dove staremmo andando, poi?"

"Fuori" rispose Leo, aprendo la porta che dava al giardino "Conosci la Grande Quercia?"

"Tutti la conoscono"

"È lì che ti porto"

"Perc..." la domanda le morì tra le labbra, davanti all'albero "Cosa...?"

Leo le sorrise, portandola sotto la Grande Quercia, spostando le centinaia di gru o cigni di carta che erano stati appesi ai rami.

Calypso li osservò, pensando quanto fosse simile ad un salice piangente, in quel momento, quell'enorme quercia.

Mille, no, novecentonovantotto origami cadevano dai suoi rami, a diverse altezze, con diverse sfumature di bianco e tutti creati con un tale zelo che la ragazza non potè fare niente se non ammirare quell'immenso lavoro, fatto da un ragazzino come Leo.

Per istinto, i suoi occhi si posarono sulle casette che, un mese prima prima, aveva attaccato insieme a Juniper ed Ella, e ricordò come avesse voluto elogiare quel lavoro, se solo non fosse stata in litigio con Leo.

Il ragazzo attaccò sugli ultimi due fili liberi gli ultimi origami, per poi fare cenno alla ragazza di avvicinarsi.

"È incredibile"

"Ti sto lasciando sulle spine, eh?" sorrise Leo "Jason mi ha detto che devo lasciare almeno per un po' le ragazze sulle spine"

"E se lo dice Jason"

"Ma se tu non fai altro che distruggere i pochi piani che mi faccio in testa, non ti avrei lasciato sulle spine. Forse tu lo avresti fatto, con me, però"

"E quale sarebbe stato il tuo piano?"

Leo rovistò nella sua cintura, fino a trovare un foglio stropicciato e, stirandolo con le due mani, si schiarì la gola "Fase uno, fa tornare Calypso nella biblioteca. Fase due, fa in modo che torni nel posto in cui ci siamo incontrati la prima volta -ci metterà un po', perché non è fantastica come te, quindi porta pazienza-"

"Ma che dolce" alzò gli occhi al cielo lei.

"Fase tre, dille che stai per rivelarle il tuo desiderio. Fase quattro, portala nel luogo in cui vi siete parlati per davvero per la prima volta. Fase cinque, rivelale il desiderio"

"Per adesso non vedo come io ti abbia rovinato il piano"

"Dovevo dirtelo io per primo che mi piaci. È così che funziona. Penso. Di solito è il maschio a dire che gli piace la ragazza, no? Secondo Piper..."

Calypso sbattè le palpebre "Cosa?"

"È il maschio che deve dire che gli piace la ragazza, no?"

"No, prima"

"È così che funziona. Penso"

"Prima"

Leo si grattò la testa, visibilmente imbarazzato "Mi piaci" disse, abbassando lo sguardo "Questo è così imbarazzante. Possiamo passare direttamente alla fase intermedia? Anche perché io già so tutti i tuoi difetti quindi, potremmo anche saltare..."

"Il tuo desiderio era che io ricambiassi?"

"No!" rispose lui bruscamente, scuotendo velocemente la testa e riportando il suo sguardo sul viso di lei "Non sono così meschino. Penso avrei dovuto capire da subito che mi piacevi, non è stato... non sei mai stata come le altre. Io ho sempre pensato che avrei capito quando sarei stato davanti alla persona che veramente avrei potuto amare, ma si vede che... ho sempre avuto un debole per le belle ragazze e pensavo che con loro sarei potuto essere felice, ma, vedi, di loro mi piaceva solo la facciata. Beh, Hazel è una grande amica, ma nient'altro, insomma. Invece, prima di capire te, ti ho guardato nel profondo ed è il profondo che mi piace, non solo il fatto che sei veramente bella e che il rosso, cavolo, ti sta da dio. Io con te ci sto bene. E... non volevo fare la stessa fine di Luke. Io non sono un codardo. Credo. Il mio desiderio era avere il coraggio dirti queste cose"

Calypso prese tra il dito indice e medio un cigno di carta, con un sorriso dolce " Sei complicato"

"Una delle mie qualità" sorrise lui nervosamente.

"Il tipo da gesti eclatanti"

"Così dicono" giocò con le dita, intrecciandole e piegandole tra loro "È per questo che ho scelto la Grande Quercia. Perché è grande. E ho schiavizzato Percy, Jason e Nico per poterli attaccare qui in tempo e Annabeth mi ha aiutato a pensare a cosa dire e mi sono perso anche le repliche di Sherlock per poterti parlare"

"Per lo meno so di essere più importante di una serie televisiva"

"Non intendevo... oh, al diavolo! Sappi che io amo Sherlock e se ho messo te sopra di lui è perché ti..." Leo si bloccò a metà della frase, comprendendo solo in quel momento cosa stava dicendo e l'importanza delle sue prossime parole "...amo più di quanto ami lui" terminò, aprendo a malapena la bocca.

Calypso gettò le braccia al collo del ragazzo e, con le labbra rosa socchiuse, gli lasciò un bacio leggero sulle labbra di lui, per sorridere e dire "Adesso tocca a me tenerti sulle spine, eh, Valdez?"





 

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Capitolo 10
*** Non pensare di essere speciale ***




Note: E queste sono le ultimissime note di questa storia. Con l'ultimissimo ringraziamento, quindi mi ci devo impegnare:

Grazie. Tante. Davvero.

Come ho già detto, non ero molto sicura su questa storia. All'inizio sono stata spinta dalle mie sorelline che dicevano “Ma sì, dai, è una buona idea” ma non mi aspettavo un'accoglienza così calorosa.

Avete recenaito, seguito, ricordato e preferito. E questa è stata la storia più amata di quelle che ho già scritto e… beh, è grazie a voi. Quindi, alla fine, questa storia è stata - nel senso di esistere- per ognuno di voi che sta leggendo in questo preciso istante. Altrimenti, mi sarei deloralizzata e avrei lasciato tutto a metà. Mi capita sempre.

Grazie :)

 

Come utilizzare la biblioteca nella maniera più sbagliata in questo mondo ed essere felici

Ossia di quando Leo scoprì dei retroscena della vita di tutti che non avrebbe mai, mai, proprio mai, confessato a Piper

Capitolo dieci, o Epilogo, o Prologo: Non pensare di essere speciale




"Allora, com'è avere una vera ragazza e non una immaginaria?" chiese Nico, bevendo Coca-cola, con aria innocente.

"È come...” prese a rispondere Leo, ignorando, volutamente o no, la sottile presa in giro del ragazzino “è come avere un'Afrodite in miniatura che mi comanda di fare questo o quest'altro. Lo sapevi che, per regola, i ragazzi devono sempre aprire le porte, portare il caffè e le borse? Sai quanto cavolo pesano i libri? Tanto"

"Benvenuto nel mio mondo" borbottò Percy, sorseggiando del tè blu, probabilmente di mirtilli "e quando ti chiedono di condividere i tuoi dolci con loro? Se lo mangiano sempre tutto loro!"

"Mi ha chiesto di fare da modello a Rachel. Sono dovuto stare fermo per tre ore. Tre ore! Sai cosa vuol dire?"

"Questo non è niente. Io devo affrontare Atena tutte le volte che vado a prenderla a casa. Quella donna ha cercato di uccidermi!"

"Hai paura di Atena? Mai visto in faccia Atlante? Ha cercato di schiacciarmi sotto i pesi che usa per fare esercizio. Cento chili su un ragazzo come me!"

"E poi quei Fai sempre cose stupidissime! Per una volta, potresti non farmi prendere questi spaventi?"

"Illuse" rise Leo.

"Sembra divertente" commentò il più piccolo "Perché non ti fidanzi anche tu, Jason?"

"Perché per sopportare certe cose devi essere innamorato, no?"

"Più che innamorato" ammise Leo, con un sorriso "Nico, possibile tu ci voglia far sempre parlare dei nostri sentimenti?"

Nico continuò a bere la sua Coca-cola, alzando le spalle.



☆★☆★



“Questo vale come appuntamento?” Calypso afferrò il gelato che il ragazzo aveva in mano, per leccare del pistacchio e poi scuotere la testa, valutando il gusto e se sarebbe potuto diventare un suo gusto preferito.

“Non saprei” sbuffò Leo, contemplando il gelato, ma lasciandolo in mano di lei, come gli aveva detto di fare Jason qualche ora prima -Percy gli aveva consigliato quello che Charles aveva consigliato a lui quando aveva iniziato ad uscire con Annabeth: se una ragazza ti vuole distruggere, sicuramente ti ama, sta tranquillo. Ora, Leo non sapeva cosa doveva farci con questo consiglio, ma lo aveva tenuto a mente, per cercare di capire i pensieri della sua ragazza -questa è una bella bomba: per chi pensava che Leo Valdez non avrebbe mai avuto una ragazza, alla faccia vostra!- “Sono nuovo in questo campi”

“Sì, è un appuntamento” riprese lei, ridandogli il gelato tra le mani e porgendogli il suo “Anche se il mio naso è gelato” e rosso. Ma non disse che il suo naso era rosso. Semplicemente fece un sorrisetto ed alzò leggermente le spalle. Non so dice mai no ad un gelato, nemmeno in pieno inverno.

“Il mio naso è caldo” rise lui, alzando il mento, come se fosse un merito tutto suo.

Calypso alzò la mano con in mano il cono gelato e lasciò un po' di fragola sul naso di Leo, che aprì la bocca in protesta.

Lei lo zittì con un bacio e scoppiò a ridere prima ancora di staccarsi da lui. E lui anche iniziò a ridere, ma sentiva freddo sul naso.


🔅🔆🔅



"Ah" gongolò Afrodite al telefono "Devi vederli. Sono riuscita a farli parlare e loro si sono piaciuti ed innamorati. Se devo dirtela tutta, pensavo che Leo fosse gay. Cioè, scommettendo, avrei detto che avrebbe scelto Nico. E sarebbe stata una buona scelta. Se fossi maschio e con una decina d'anni in meno, avrei scelto Nico"

"Mamma" rispose Eros "questa conversazione sta diventando imbarazzante. Di nuovo. E, non per dirti niente, c'è qui Psiche che..."

"Ma ha scelto Calypso. Ed anche lei è un buon partito. In fondo, sì, perché non ci ho pensato io? Quei due si stavano cercando da anni, ormai"

"Mamma, quest'argomento non m'interessa"

"Sai che nome ha la loro coppia? Caleo..."

"Mamma"

"In greco vuol dire Chiamo. Ed in effetti loro non hanno fatto altro che chiamarsi. Cercavano e chiamavano amore, finché non si sono trovati. Devi vederli. Litigano, fanno pace, si punzecchiano e ricominciano da capo. Pensa che lei ha trovato il modo per costringerlo a portarle il caffè tutti i giorni"

"Che bello"

"E lei lo sopporta in tutte le sue stranezze! Pensa che lo ha aiutato a costruire una torre di controllo nel giardino della biblioteca!"

"Non è illegale?"

"Non con il permesso del proprietario. Io"

"Mamma, senti, sono felice che tu sia felice, ma io e Psiche..."

"E tu che pensavi che non sarei riuscita a fare niente, senza di te"

"Penso che la maggior parte del lavoro lo abbiano fatto i ragazzi e non tu"

"Oh, taci" Afrodite scosse la mano in aria "La prossima coppia chi dovrebbe essere?"

"Mamma, senti, smettila. Non ce la farai, è troppo difficile e non è alla tua portata. E poi, davvero?, non tentare la sorte. Calypso e Leo si sono trovati da soli. Certamente non sei stata tu ad aiutarli"

"Porta rispetto a tua madre! Forse non mi aspettavo che Leo mi chiedesse direttamente aiuto, ma sapevo perfettamente come farlo muovere e come farlo arrivare a certe conclusioni. Fargli fare il tuo lavoro, anche se ha fatto più macelli che riparazioni, è stato un colpo di genio. L'ho fatto parlare con le persone che si sono innamorate, con Calypso e Nico. L'ho accompagnato con la mano ad affezionarsi ad una persona che lo avrebbe potuto capire meglio di tutte le altre, perché abbandonata e quindi respinta, così tante volte da essere disillusa. E quella scintilla che avevano loro quando li ho visti litigare davanti a me, la prima volta, non ce l'hanno tutte le coppie. Ad esempio, tu e Psiche…” lasciò cadere l'argomento con un gesto della mano, come se il figlio avesse potuto vederlo “Certo, non pensavo che Leo fosse così idiota, e che Calypso fosse così testarda. Ho dovuto chiedere a Thalia una mano, ricordandole la sua situazione con Luke, almeno per poter far capire a lui quanto non fosse la ragazza che faceva per lui, e a lei… ho usato vecchie teorie idiote sull'evoluzione. Ma non sarebbe durata se non ci fosse una base, eh! Poi ho lasciato che facessero quello che si sentivano di fare”

"Litigare" borbottò dall'altra parte della cornetta il ragazzo, sospirando “Potresti anche smetterla di dar fastidio ai poveri ragazzini. Ogni tanto, qualche sbandata dovrebbero prenderla, sai? Certo, qualche pena d'amore farebbe loro bene. Hai visto Nico? Non mi sembra sia venuto fuori così male. E nemmeno Reyna” la voce annoiata avrebbe dovuto far capire alla madre quanto poco l'argomento lo interessasse.

"Il mio prossimo obiettivo è Rachel. Sai che è diventata amica di Calypso? Chi lo avrebbe mai detto, eh?" Afrodite saltellò sul posto "La sfida di cui avevo bisogno"

"Mamma"

"Mi dovrò far aiutare dalla famiglia di Apollo..."

"Dèi, mamma. Fa come ti pare" Eros attaccò il cellulare in faccia alla mamma.

Afrodite lanciò un'occhiata fuori dal suo studio, soddisfatta, senza neanche pensare al fatto che il figlio le avesse -per l'ennesima volta- mancato di rispetto. Ad essere sincera, non le piaceva l'idea d'amore che Eros aveva maturato: troppo crudele, troppo doloroso. A lei piaceva giocare con i ragazzi di New Olympus, ma amava il fatto che, dopo una lunga sfida, dopo tanto penare, avrebbero trovato la loro felicità, in un modo o nell'altro. Al contrario di quello che Luke pensava, Afrodite adorava vederli felice -al contrario di suo figlio-. Eros giocava con i ragazzi, senza insegnare loro niente e senza portarli alla loro felicità -esempio ne era davvero Nico di Angelo-.

Ma se c'è qualcosa che Afrodite ama tantissimo, così tanto da trovare sempre un motivo ed un modo per far sì che si realizzi, è l'Amore -quello vero-.

Per questo le sue labbra carnose si curvarono in un sorriso dolce, mentre sul dorso delle mani poggiava il suo mento, guardando fuori dalla porta, poco distante dall'area Ludoteca, c'erano i suoi neoinnamorati.

Leo stava sorridendo con dolcezza a Calypso, lasciando che quel piccolo draghetto volasse intorno a loro, per poi posarsi sui capelli legati di lei. La donna dovette aggrottate le sopracciglia e porgere bene l'orecchio destro, per riuscire a sentire cosa si stessero dicendo, anche se aveva già qualche teoria sulla conversazione.

"Mi terrai ancora per molto sulle spine o...?" stava dicendo il ragazzo, muovendo l'indice per aria, con fare scherzoso.

"Non so. Oggi ci sono le repliche di Sherlock?" rispose lei, poggiando le sue mani sui suoi fianchi ed alzandosi in punta di piedi.

"No" sbuffò il ragazzo "del Dottor Who. Non so se ti rendi conto"

"Meno male che Merlin è finito"

"E nel peggiore dei modi" piagnucolò lui, scuotendo indignato la testa.

"Ma Once Upon a time me lo devo sorbire tutto"

"Anche Supernatural. Lo sai che ho un debole per Dean" disse lui, con un sorriso ed alzando il suo tono di voce di alcune ottave, ad imitare la voce acuta di lei, congiungendo le due mani ed alzando gli occhi al cielo, come se stesse aspettando l'arrivo di un Principe Azzurro.

Calypso aggrottò le sopracciglia con aria dubbiosa, verso Leo, che scoppiò a ridere "Mi stai prendendo in giro?"

"Nah" continuò a ridacchiare il messicano "Anche se, ogni tanto, quando vieni a vedere Supernatural da me, ho paura che tu inizi a baciare la tv tutte le volte che vedi Dean"

"Senti, io amo Dean" iniziò Calypso "Ma metto te sopra di lui. E se metto te sopra di lui è perché ti amo più di quanto ami Dean" abbassò il tono di voce di alcune ottave, ad imitare la voce di lui.

Leo sorrise e le rubò un bacio veloce "Mi stai prendendo in giro?" rise, per poi riavvicinarsi a lei e lasciarle un bacio più consistente.

"Mai" disse lei, in mezzo al bacio.

Afrodite sorrise ancora più soddisfatta.

Stia zitto Eros. Quella coppia, lei aveva aiutato a formarla.


 

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