Anchor 2

di Erule
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - Season finale ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Heart of darkness ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - The Desert Wolf ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Haunting ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Hurting memories ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Make it rain ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Wait for the living ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - The Church ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - His last vow ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - Burning flames ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - Season finale ***


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Anchor 2
The end of the lovers
 
Capitolo 1
Season finale

 
Dedicata a Vale, 
perché è l'amica che ti sostiene quando ne hai bisogno.

Lydia si guardò intorno circospetta. Quel pomeriggio, Stiles era uscito con Scott ed Allison, mentre lei era rimasta a casa perché si era presa un bel raffreddore di stagione e con il naso che gocciolava, le ombre sotto gli occhi, le gambe tremolanti, non se l’era sentita proprio di uscire. Lydia Martin doveva essere sempre impeccabile, quindi tanto valeva non mettere nemmeno il naso fuori di casa. Ma poi, circa cinque minuti dopo che Stiles era uscito, nella sua camera l’aveva visto: un enorme ragno nero e peloso con otto zampe. Voi direte: che schifo! Invece, tutto quello che pensò Lydia fu: CHE ORRORE! La natura non aveva avuto il minimo gusto con quegli orribili animaletti. Così, aveva preso la mazza da baseball di Stiles e si era diretta a passo deciso nella stanza, convinta che sarebbe bastato un solo colpo per metterlo K.O. Ovviamente no. Era rimasta immobile a guardarlo avanzare velocemente verso il soffitto, poi sull’armadio ed ora sul letto.
Il suo istinto materno la convinse a proteggere i suoi figli: i peluche. Il letto ne era pieno. Ogni volta, infatti, Stiles doveva toglierli per sedersi e riporli sullo scaffale o Lydia sarebbe andata fuori di testa. E fu allora che lo vide: quel dannato ragno era salito sulla testa di Mr. Pinky, il magnifico coniglietto rosa di pezza che Stiles le aveva regalato al suo ottavo compleanno. Adesso teneva a quel giocattolino più che mai. E quindi… BAM! E poi di nuovo BAM! E poi ancora BAM! Grazie a ben tre colpi andati a segno aveva messo fine alla vita di quell’essere obbrobrioso. Si girò soddisfatta, trotterellò fino alla stanza degli ospiti (dove in pratica dormiva Stiles quasi tutte le notti) e vi lasciò la mazza, accarezzandola con cura. La ripulì con un fazzoletto, poi tornò da dov’era venuta. Levò le lenzuola e le mise nel cesto della biancheria sporca, assieme alle mutande del fidanzato. Le nascose bene, così che sua madre non le vedesse. Andava fuori di testa, ogni volta che doveva pulire qualcosa che non apparteneva né a lei né alla figlia. Cambiò le lenzuola, spruzzò il deodorante alla cannella e poi si abbandonò alla lettura di un libro entusiasmante: The Maze Runner. Il protagonista somigliava tantissimo a Stiles: bello, coraggioso e forte. Va bene, forse la febbre le stava dando alla testa.
Il cellulare squillò. Avviò la videochiamata con Stiles, sebbene somigliasse ad una pazza da rinchiudere alla Casa dell’Eco.
<< Ciao, splendore. Come stai? >> esordì il ragazzo, sorridendo.
<< Splendore… Se lo dici tu. Ho appena fatto a pezzi un ragno gigante e peloso. >> replicò Lydia, rabbrividendo.
<< Oh… non credevo passassi i tuoi sabato pomeriggio così. >>
<< Se non ci sei tu, è l’unico modo. >>
Stiles fece quello che sarebbe dovuto sembrare un ghigno eloquente, ma gli uscì una smorfia. Lydia scoppiò a ridere, mentre dietro di lui comparivano i visi sorridenti della coppia dell’anno, alias Allison e Scott.
<< Lydia, riprenditi! Lunedì c’è scuola! >> esclamò Allison.
<< Se è per questo, fra qualche giorno è anche il mio compleanno! >>
<< Giusto. Ti abbiamo preso un regalo… >> stava dicendo Scott, interrotto da uno schiaffo di Allison sul collo. << Ahia! >>
<< Noi dobbiamo andare. Ciao, Lydia! Rimettiti! >> disse Allison, portando via Scott.
<< Lydia, posso chiederti una cosa? >> domandò Stiles, passandosi una mano sul collo. Lydia addolcì l’espressione.
<< Certo. >>
<< Preferisci Apple o Samsung? >>
 
Era passato un anno, dall’ultima volta in cui l’aveva vista. Malia era partita per cercare sua madre, una certa Cecily e da allora si erano sentite solo per telefono. A quanto pare, era stata vicina al trovarla, ma poi in qualche modo le era sfuggita via dalle mani. Ed allora Malia pensava che forse lei sapeva e non la voleva o che Peter l’avesse avvertita, magari adesso lui stava persino con il suo branco. Avevano perso le tracce di Peter da un bel pezzo. Secondo Derek, stava macchinando qualcosa, ma quell’assenza così prolungata era comunque strana.
Versò il tè caldo nella tazza e Malia avvolse le dita attorno alla porcellana. Paige si sedette accanto a lei, rigirandosi un biscotto al cioccolato fra le mani. Aspettò che cominciasse a parlare. Erano ovviamente nella cucina di Derek, dato che lei ci viveva da più o meno tre mesi, anzi no, dall’inizio dell’estate. Malia era arrivata con indosso un maglione di lana troppo grande, un cappello zuppo di pioggia fra le mani e l’aria smarrita. La ragazza bevve a malapena un sorso, poi tornò a guardare il tavolo senza vederlo realmente.
<< Malia, so che hai avuto una profonda delusione, ma significa solo che tua madre non ti merita. Anche se condividete il sangue, lasciarti andare è stata decisione peggiore che potesse prendere. >>
Malia si inumidì le labbra, prima di parlare. La sua voce apparve spenta e roca.
<< Sono arrivata al suo accampamento. Ero ad un passo da lei… I suoi uomini hanno attaccato me e Kira. Lei è stata ferita gravemente. Stavo per dirle Andiamocene, ma all’improvviso da una tenda è uscita una donna. Aveva i capelli lunghi, biondi e gli occhi castani. Era abbastanza alta e portava un cardigan grigio. Ha fatto portare dentro Kira, l’ha curata come poteva e poi ci ha chiesto di tornare a casa. So che mi ha riconosciuta e so che avrebbe potuto ascoltarmi, ma ci ha quasi intimato di tornare a casa. >> raccontò. Bevve un altro sorso. Paige sospirò. Malia era solo una ragazza giovane, così fragile… << Non capisco, io ero solo andata lì per parlarle! >> esclamò, battendo un pugno sul tavolo. Il tè si rovesciò. << Paige, mi dispiace. Ripulisco io… >>
<< No, non è un problema. >> replicò Paige, prendendo uno straccio per ripulire.
<< Sono confusa. Peter non si fa vedere da un sacco di tempo e proprio quando riesco a trovare mia madre, lei non mi chiede nemmeno se sto bene! >> continuò Malia. << Non so perché te ne sto parlando. Forse perché l’unica persona con cui vorrei davvero parlarne è troppo occupata. >>
<< O troppo lontana. >> disse Paige, guardandola. << Vuoi dire che non ti vuoi mettere in mezzo, vero? >>
Malia arricciò il naso.
<< Vero. >> rispose, incrociando le braccia. << Sta ancora con Lydia. Lo so. Scott lo ha detto a Kira. Non parlo con lui da quando mi ha fatto gli auguri per il compleanno. Saranno secoli. >>
<< Non c’è niente di male nell’essere innamorati. >> disse Paige, sorridendo leggermente.
<< No, certo, finché non sei un pericolo per la sua fidanzata. >> commentò Malia. Paige scosse la testa.
La porta si aprì e rivelò Derek con un iPod in mano e la maglia sudatissima. Paige gli sorrise, alzando le spalle. Malia si voltò e si alzò in piedi.
<< Bentornato, cugino. >>
Derek alzò un sopracciglio.
<< Malia? Che ci fai qui? >>
 
Allison alzò lo sguardo, mentre le sue dita stavano ancora sfiorando la tazza. Le era sembrata perfetta per il compleanno di Lydia, dato che in pratica ne faceva collezione. Aveva un disegno colorato di fiori che le ricordava la primavera. Lydia era nata a marzo, quindi niente di meglio, giusto? Poi l’aveva sentita. Inconfondibile. La risata di una persona che non sarebbe dovuta essere lì.  Si era stupita di saperla ancora riconoscere quando l’aveva udita la prima volta, dopo tutto quel tempo. Prese un bel respiro, poi uscì dal negozio. Secondo il cellulare, erano le sei e un quarto di sera. Era ora di tornare a casa o Lydia si sarebbe sentita sola. Compose il numero di Scott in fretta, ma un secondo dopo, un’ombra si fece largo sul pavimento di fronte ai suoi piedi.
<< Allison. >>
Non si era mai sentita così male e quasi colpevole, anche se non avrebbe dovuto, in tutta la sua vita. Deglutì, poi alzò gli occhi.
<< Quando sei arrivato? >>
Lui alzò le spalle.
<< Un paio d’ore fa, più o meno. Lydia mi ha detto che eravate qui. >>
Allison annuì, rivolgendogli uno di quei sorrisi tirati, in cui le fossette risaltavano quasi a disagio.
<< Già. Le abbiamo preso un regalo per il compleanno. Le serviva un tablet per seguire meglio le lezioni all’università e così… >>
<< Perché sembra che ti stia giustificando con me? >> chiese, sorridendo. << Allison ci siamo rivisti molto tempo fa. Stai con Scott e frequentiamo la stessa università in Francia, anche se io voglio diventare un avvocato e tu invece studi scienze politiche. Siamo ancora amici. >>
Allison annuì, attorcigliando le maniche della maglietta alle dita.
<< Certo. Siamo ancora amici. >>
Una voce dietro di lei la fece sussultare.
<< Allison! Credevamo di averti persa! Cosa stavi…? >> stava per chiedere Scott, poi si accorse di Isaac e si fermò a pochi passi da loro.
<< Chi non muore si rivede, eh? >> disse Stiles, scherzando.
<< Che battuta infelice. >> commentò Isaac. Allison scosse la testa.
<< Ma io non intendevo mica… >>
<< Cosa ci fai qui, Isaac? >> chiese Scott freddo, stringendogli la mano.
<< Siamo qui per il finale di stagione. >> rispose Isaac. << Sai, l’inverno è finito, così io e mio fratello ne abbiamo approfittato per tornare. Resteremo qui solo per una settimana come Allison. >>
<< Oh. C’è anche Parrish? >> chiese Stiles retorico, facendo trasparire nella sua voce una nota di fastidio non molto lieve. Non era geloso di Parrish e nemmeno arrabbiato con lui, ma dopo quello che era successo con Lydia, avrebbe preferito tenerlo alla larga da lei il più possibile.
<< Siamo qui solo un affare, Stiles, tranquillo. >>
<< Quale affare? >> chiese Allison.
<< Stiamo dando la caccia ad un lupo. Vi ricordate bene di chi sto parlando, credo. >>
Scott sospirò. Allison gli strinse la mano. Isaac posò lo sguardo sul loro gesto, mentre Stiles lo fissava.
<< Deucalion. >> rispose Scott. << Credevo che il padre di Allison vi avesse detto di non impicciarvi in questa storia. >>
<< Ha fatto del male a Jordan solo per fare del male a voi. Ci siamo dentro fino al collo. Se lo rapisce di nuovo per condurvi da lui, stavolta non sarà solo un messaggio. >>
<< Perché hai paura che accada di nuovo? >>
<< Perché è venuto a cercarci. >> replicò Isaac, abbassando la voce. Alcuni passanti nel centro commerciale li stavano fissando. << Jordan l’ha visto e dice che è spaventato da quello che potrebbe fare. Dobbiamo fare squadra e sconfiggerlo adesso che siamo forti insieme. >>
Scott deglutì.
<< E cosa ti fa pensare che lo siamo? >>
<< Abbiamo un asso nella manica. Una persona insospettabile che è dalla nostra parte. >>
<< E chi sarebbe? >>
<< Se vi dicessi il nome, non mi credereste. Venite con me. >>
 
Dopo avergli raccontato di nuovo tutta la storia, Malia ricadde con la schiena lungo la sedia, sconfitta e triste. Sua madre l’aveva lasciata da sola, così come suo padre. Di tornare dal suo padre adottivo non se ne parlava nemmeno, quindi non le restava molto da fare se non parlare con quella sua specie di famiglia acquisita. Paige stava ancora armeggiando con le stoviglie da pulire, tanto per dare un po’ di privacy ai due cugini. Derek stava ancora fissando il tavolo con un’espressione imperscrutabile sul viso.
<< Di’ qualcosa, okay? Quello che vuoi, ma parla. Non sopporto il silenzio. >> disse Malia.
Derek schioccò la lingua.
<< Che cosa vuoi che ti dica? Cecily ti ha abbandonata e non ha voluto parlarti. Tu e Kira siete quasi morte a causa sua. Peter è scomparso. È chiaro che non ti vogliono. >>
<< Derek! >> lo riprese Paige, arrabbiata. << Cosa stai facendo? >>
<< Cosa sto facendo? >> chiese, retorico. << Sto cercando di farle capire che non può più fidarsi di nessuno e che pagherà per ogni errore simile a quello che ha appena fatto. Hai voluto cercarla? Be’, queste sono state le conseguenze. Se avesse voluto parlarti, l’avrebbe fatto. >>
Malia si alzò velocemente, sbattendo le mani sul tavolo.
<< Credevo che mi avresti aiutata. >>
<< Lo sto facendo. >>
<< Dicendomi che i miei genitori mi odiano? Allora grazie, mi sento molto meglio! >> esclamò, ironica. << Grazie di tutto, Paige. Ora torno da Kira. Mi sta aspettando in auto da almeno mezz’ora. >>
<< Malia… >>
La porta del loft si richiuse alla spalle della ragazza con un tonfo secco.
<< Lascia perdere, Paige. Gli Hale sono fatti così: se vogliono qualcosa da te, vengono a cercarti. Malia deve capirlo. Adesso è una Hale anche lei. >>
 
<< Stiles, esci subito di lì. >> intimò Lydia dall’altro capo del telefono.
<< Non posso. Dobbiamo conoscere questa persona che dovrebbe essere il nostro Batman, tipo. >>
<< Stiles, ho un brutto presentimento. Esci adesso. >>
<< Lydia, non… >>
<< Stiles, VAI VIA! >>
La porta si aprì e Jordan si affacciò.
<< Ciao, ragazzi. Non ci vediamo da un sacco di tempo, vero? >>
Stiles sentì le gambe cedere. Guardò il cellulare: batteria scarica. La chiamata con Lydia era appena terminata. Lui, Allison e Scott entrarono nella stanza d’albergo. Sembrava estremamente pulita ed in ordine. Le pareti erano dipinte d’un giallo canarino e le finestre avevano i vetri pieni di graffi, come se nell’ultimo mese fossero state prese di mira da qualche specie di cane o di lupo. Un momento. Lupo?
Sentì indistintamente il rumore dell’acqua scorrere nel lavandino in bagno. Scott si accomodò sul letto accanto ad Allison. Isaac aveva già cominciato a parlare di qualcosa. Il viso di Jordan grondava di sudore e sembrava irrequieto. E lui riusciva solo a chiedersi chi c’era nel bagno e perché Lydia aveva preso ad urlargli addosso al telefono.
<< Chi devi presentarci? >> chiese Scott ad Isaac.
<< Lo conoscete già. Dovete solo… fidarvi, credo. >>
La porta del bagno si aprì lentamente. E Stiles lo sentì, quell’odore orribile di muschio misto a fumo. E capì che quella camera era stata per un mese la prigione o la dimora di un lupo molto aggressivo. E capì anche perché Lydia gli aveva gridato di andare via da quel posto.
<< No. Non ci fideremo di nuovo di lui. >> mormorò Stiles. Scott aggrottò le sopracciglia.
<< Stiles, di chi stai parlando? >>
La porta candida del bagno si aprì definitivamente e rivelò il proprietario di quell’appartamento. A Stile si chiuse lo stomaco. Allison e Scott saltarono subito su dal letto, increduli e pronti a tutto. L’uomo in piedi sulla soglia della porta appariva smagrito, la carnagione pallida e gli occhi d’un azzurro spento. La sua maglietta bianca con lo scollo a V sembrava persino più viva di lui. E Stiles seppe che doveva averne ancora più paura di prima. Sembrava un morto che camminava.
<< Ragazzi, credo che tutti vi ricordiate di Peter. >> disse Isaac.
Peter abbozzò un sorriso tirato.
<< Da quanto tempo. >> commentò, alzando il capo, ma senza uno dei suoi soliti ghigni malvagi ad illuminargli il volto ferino. << Sembra che non sia passato nemmeno un giorno. >>






Angolo autrice: 
Ciao a tutti! Finalmente sono tornata! :)
Ringrazio tutti quelli che hanno recensito "Anchor" (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2741400&i=1) anche dopo che era finita, quelli che l'hanno inserita fra le preferite/seguite/ricordate o chi ha solo letto. Spero di ritrovarvi di nuovo qui :)
Dico solo un paio di cose: è passato del tempo dalla storia precedente, il Mago, Deucalion e Peter non si sono fatti vedere. Allison ed Isaac frequentano l'università in Francia, che è la stessa, ma ognuno segue una facoltà diversa (scienze politiche per Allison, giurisprudenza per Isaac). Tutti gli altri invece vanno all'università di Beacon Hills, nuova di zecca, frequentando ognuno corsi diversi. Daige, Scallison e Stydia stanno ancora insieme. Malia e Kira erano andate a cercare la madre di Malia (Cecily), ma adesso sono tornate. Hanno tutti 19 anni e fra poco è il compleanno di Lydia. Mi pare che nella serie non venga specificato quando. Cercando su internet ho trovato che forse è nata a marzo, ma non è certo, quindi qui ho lasciato questa data. 
Ultime note:
Questa storia sarà un po' più cupa rispetto alla precedente, ambientazione misteriosa e personaggi nuovi.
Banner fatto da me.
In caso trovaste errori di battitura, mi scuso da subito.
Spero di aggiornare frequentemente come l'altra volta.
Ditemi cosa ne pensate :)
Erule

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Heart of darkness ***


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Capitolo 2
Heart of darkness
 

Allison si era immobilizzata sul posto, ma notò comunque come la luce aveva colpito gli artigli di Scott, risaltandone il riflesso. Stette per muoversi verso di lui, ma Scott era già partito. Si avventò su Peter, rotolando a terra insieme a lui. Allison si era aspettata di vedere Peter reagire, di assistere ad uno scempio, di provare paura per quello che sarebbe potuto accadere a Scott, di quello che sarebbe potuto diventare, invece no. Non ci fu un groviglio di zanne né tantomeno di artigli, non un ringhio o una parola di avvertimento da parte di Peter. E fu allora che si mosse.
<< Scott, lascialo stare! >>
Il sangue di Peter schizzò dappertutto, macchiando persino la felpa verde di Stiles. Isaac ed il fratello si gettarono su Scott, cercando di invano di portarlo via. Scott ruggì e si scrollò di dosso entrambi. Allora Stiles gli si gettò sulla schiena, tirandolo via da Peter, che stava tossendo furiosamente. Allison si buttò nella mischia, tentando di separarli o Stiles si sarebbe fatto davvero male. Scott lanciò Stiles dall’altra parte della stanza, preso dalla rabbia. Allison gli si gettò addosso, abbracciandolo da dietro per cercare di fermarlo. Non voleva fargli del male, non voleva colpirlo con la lampada che aveva fra le mani, presa qualche secondo prima inconsciamente. Scott ruggì di nuovo e si staccò da lei malamente. Si voltò rabbioso, la guardò con un paio d’occhi rossi e spiritati, alzò una mano rivelando gli artigli ancora sporchi di sangue, pronto a colpirla… ma si fermò. Allison si accorse solo in quel momento che il suo cuore aveva preso a battere troppo velocemente e che aveva trattenuto il respiro.
Respira, Allison. Respira.
Video Scott tornare piano piano al suo stato originario, senza più artigli o peli canini sul volto. Le mani attorno alla lampada tremavano. Certo, lei era rimasta sempre un arciere, ma in quel momento la paura che Scott, dannazione Scott, avrebbe potuto farle del male, aveva superato tutto, persino la costante fermezza che l’aveva sempre contraddistinta. La mano di Scott scivolò sulla sua, togliendole delicatamente la lampada dalla stretta. La guardò con quegli occhi tristi e privi di colore, lucidi. Si chiese se le stesse domandando perdono solo in quel modo. Le sue labbra si mossero senza pronunciare una parola. Mi dispiace.
Ed Allison lo abbracciò.
 
<< Jackson, stai tranquillo. Non sono un idiota, conosco la geografia meglio di te. >> disse, salendo gli scalini della villa. Si fermò sotto il portico, una mano in tasca ed un ghigno strafottente sul viso pallido. << Credo che tu mi stia sottovalutando, amico. Non giocare col fuoco, te lo sconsiglio vivamente. Sì, ma certo che sono a casa di Lydia! Dove altro dovrei essere? D’accordo, d’accordo. Ci penso io. Ciao. Ho detto ciao. >> replicò, poi gli attaccò il telefono in faccia.
La porta si aprì con un cigolio terrificante. Lydia aveva gli occhi cerchiati di rosso e le labbra esangui, un fazzoletto usato chiuso nel palmo di una mano. Il ragazzo alzò lo sguardo e la fissò a lungo. Lei non disse una parola, ma i suoi occhi dicevano benissimo quello che lui si era aspettato. Lo stava aspettando. Aveva sentito le voci.
<< Dammi una sola ragione per cui dovrei farti entrare. >>
Il ragazzo alzò un angolo della bocca in quello che era il suo solito sorriso, ma in realtà appariva più come un ghigno.
<< Credo che tu la sappia già. >>
Lydia indugiò per un attimo, poi si scostò di lato e lo lasciò entrare.
 
<< Scott, stai bene? >> chiese Stiles, mettendogli una mano sulla spalla. Scott si scostò da lui, deglutendo. Scosse la testa. << Ehi, non hai fatto niente di male, okay? >>
<< Avrei potuto. >>
<< Ma non l’hai fatto. >>
<< Avrei potuto fare del male ad Allison! Sai quanto mi sarebbe costato?! >> esclamò, allargando le braccia. Un rosso brillante guizzò nel castano dei suoi occhi. Stiles, anziché indietreggiare, mosse un passo in avanti. Scott si spinse contro il muro, cercando in tutti i modi di non farsi sfiorare da Stiles. << Mi sarebbe costato tutto. L’ho già persa una volta e giuro… lo giuro Stiles, se la perdo di nuovo, io impazzisco. >>
<< Scott, tu non hai perso la testa, okay? >>
<< Stiles, ma hai la più pallida idea di quello che stai dicendo? >>
<< E tu, invece? Tu ce l’hai? >>
<< Sì! Certo che sì! Il ritorno di Peter significa solo altri problemi! Se ci fidiamo di lui anche stavolta, credo che qualcuno morirà per davvero. Deucalion ed il Mago ci spezzeranno le ossa, ci faranno morire privandoci prima di tutti i nostri affetti e poi di noi stessi! Credi davvero che riusciremo a sconfiggerli in dieci? Non credo proprio. >>
Stiles buttò fuori l’aria, incrociando le braccia al petto e scivolando con la schiena contro il muro di fronte a Scott. Avrebbe voluto consolarlo per davvero, ma sapeva che ogni parola che avrebbe potuto dire non sarebbe stata d’aiuto.
<< Mi dispiace, Scott. Mi dispiace di non poterti aiutare. >>
Scott scosse la testa.
<< Allison parte fra sei giorni. Come faccio senza di lei? >> disse, rivolgendo all’amico un sorriso amaro. << Ogni volta che lei se ne va o che io torno dalla Francia, mi sembra un po’ di morire. È un periodo in cui mi sento solo, diciamo così. Però tu non preoccuparti, passerà presto. >>
<< Perché non me ne hai mai parlato? >> chiese Stiles.
<< Perché non volevo fartelo pesare. Questo è il mio carico, la mia croce. È giusto che io lo porti da solo. >>
<< Scott, no. Non è così. Io sono il tuo migliore amico. >> ribatté Stiles, facendo un passo verso di lui. << Scott, tu sei mio fratello. >>
Scott stette per replicare, ma la porta si aprì dietro Stiles. Jordan li osservò entrambi per un secondo, poi fece loro segno di rientrare.
<< Forza, la pausa è terminata. >>
 
Lydia continuò a guardare quello strano ragazzo di sottecchi. Se ne stava tranquillamente seduto di fronte a lei in cucina, le gambe accavallate e le labbra premute sulla tazza di tè caldo che aveva fra le mani. Lydia ingogliò quasi senza far rumore un pezzo di biscotto, continuando ad osservarlo. Aveva i capelli biondi, lunghi fino alla nuca, gli occhi d’un azzurro spento, quasi grigio ed un piercing all’altezza del sopracciglio sinistro. Era molto magro, troppo, ma non dava segni di malattia. Ad un certo punto, lui si accorse del suo sguardo e le sorrise.  Ogni volta che sorrideva, in realtà stava ghignando. Poggiò la tazza sul tavolo, poi si aggiustò il gilet di jeans. Lydia avvertì la sua gamba contro la propria e si affrettò a tirarsi indietro con la sedia. Se avesse dovuto descriverlo con una sola parola, avrebbe detto spezzato. Spezzato come uno dei suoi denti bianchissimi, rotto come il bottone della sua camicia scura, strappato come il tessuto dei suoi pantaloni neri all’altezza delle ginocchia. Spezzato come lo era il suo animo.
<< Credo che le voci ti abbiano già detto chi sono. >> esordì lo sconosciuto, passandosi una mano fra i capelli. Lydia notò un anello d’argento brillare all’anulare sinistro.
<< Stai morendo. >>
<< Non esattamente. >> replicò quello, alzandosi. Lydia avvertì tutti i sensi all’erta, la pelle staccarsi piano dai muscoli e tenersi pronta all’attacco. Lui si spostò verso di lei velocemente, ma senza far rumore. Sembrava un gatto pronto ad afferrare un topo. Si abbassò alla sua altezza, sfiorandole le spalle con le mani, respirandole contro l’orecchio destro. << In realtà, Lydia, io sono colui che è scampato alla morte. Il mio nome è Ades, in onore del Re dei Morti e sono qui per riscattare il mio trono. >>
 
<< Spero che la tua storia sia attendibile, Peter. >> disse Allison, continuando a stringere la mano di Scott fra le proprie, seduta sul letto.
Peter annuì stancamente. Sembrava una persona completamente diversa. Era come svuotato da tutta la cattiveria, l’astuzia, la voglia di vivere. Sembrava un fantoccio senza emozioni. Le fece quasi male al cuore vederlo in quello stato.
<< Lo sarà, perché è la verità. Ascoltate, non avrei davvero nessun tornaconto a mentirvi. Quindi, sappiate che d’ora in poi non racconterò nient’altro che la verità. Farò tutto quello che vorrete. Dovete solo promettermi di proteggermi. >>
<< Questo lo vedremo. >> replicò Scott. << Forza, parla. >>
Peter annuì.
<< Dopo il nostro ultimo scontro, sono scappato verso il Messico. Volevo semplicemente rimettere insieme i pezzi, leccarmi le ferite e poi tornare più forte di prima. Il problema è che mi hanno trovato prima loro. Il Mago ha fatto un incantesimo per fare in modo che non potessi scappare, chiudendomi in una specie di bolla e Deucalion mi ha… >> raccontò, prima che gli si spezzasse la voce. Abbassò il capo, gli occhi lucidi. << Deucalion mi ha fatto delle domande. Diciamo che io non avevo molta voglia di rispondergli, così lui mi ha torturato perché lo facessi. >> disse, poi si voltò e si alzò la maglia. Sulla sua schiena era ben visibile una cicatrice lunga quasi quanto la spina dorsale. << E poi mi hanno costretto a mandare i Berserker all’ospedale per cercare di uccidervi. >>
Allison si sforzò di rimanere concentrata, ma le veniva solo da vomitare. Isaac girò il capo dall’altra parte. Parrish sembrava l’unico che non stesse soffrendo a vedere Peter ridotto in quel modo. Forse per via del suo lavoro, ci era abituato o forse perché nel profondo gli faceva piacere, dopo tutto quello che Peter aveva fatto loro.  Stiles era sbiancato di colpo. Scott strinse semplicemente la mano di Allison senza dire una parola.
<< Cosa ti ha chiesto? >> domandò Parrish.
<< Mi ha chiesto come si fa ad indebolire un Alpha originale come Scott. Ed io ho dovuto rispondere. Gli ho detto che avrebbe dovuto uccidere tutti i suoi amici, ma che se davvero voleva distruggerlo, avrebbe dovuto inaridire il suo cuore e polverizzarlo dall’interno. Per esempio, bruciando vivo il corpo della sua amata. >>
Scott si alzò di scatto dal letto e tirò un gancio destro a Peter. Lo colpì dritto sul naso, facendolo sanguinare copiosamente.
<< Avrai una gran bella protezione, quando ti spedirò in galera! >> sbraitò Scott.
<< Scott, finiscila! Si può sapere che diavolo ti sta succedendo? Da dove viene tutta questa violenza? >> lo riprese Allison, in piedi dietro di lui.
<< Credi che non lo sappia? >> chiese Scott. Davvero non riusciva a capirlo? << Lui sta dalla parte di Deucalion! Sta cercando di fare il doppio gioco! >>
<< Lo giuro, non è così! >> esclamò Peter, tenendosi un fazzoletto sotto il naso. << Posso provarvelo. Posso redimermi. >>
<< Dicci cos’altro ti ha chiesto. >> ordinò Parrish.
<< No. Ho diritto ad un’altra richiesta. >>
<< Non hai diritto a un bel niente, dopo quello che ci hai fatto! >> urlò Stiles.
<< Invece sì! Mi dovete un’assicurazione. Vi sono stato d’aiuto, durante lo scontro! >>
<< Hai cercato di farci ammazzare! >> ribatté Scott.
<< Portatemi da lei. Adesso. >> disse Peter. << Portatemi da Paige. Lei mi darà ascolto. >>
 
<< Derek, vattene. Non ti farà del male. >>
<< Cosa? E chi l’ha detto? >>
<< Lo dico io. Lo devi a mia madre. >>
 
<< Non avresti dovuto trattare Malia in quel modo. >> disse Paige, appoggiando la schiena al muro. << Ha bisogno di una famiglia che creda in lei. >>
Derek sospirò.
<< Paige, mi fa davvero piacere che ti preoccupi per lei, ma non siamo i suoi genitori. Non possiamo più proteggerla dal mondo, è troppo grande. Deve imparare a combattere le sue battaglie da sola. >>
<< Derek, entrambi sappiamo che lo ha già fatto sino ad ora. Noi abbiamo passato la nostra infanzia da facendo conto solamente sulle nostre forze. Non dirmi che non sai com’è sentirsi soli. >>
Derek roteò gli occhi. Aveva ragione lei. Come al solito, d’altronde.
<< Non voglio farle credere che noi ci saremo sempre per lei. >>
<< Perché? >> chiese Paige, alzando un sopracciglio. << Perché non dovrebbe sapere che ci sarà sempre qualcuno pronto a difenderla? Perché non dovrebbe volere qualcuno che segue i suoi passi, anche se ha sbagliato? >>
<< Perché verrà un giorno in cui non potremo più farlo e lei si sentirà perduta! >> esclamò Derek. Paige rilassò le spalle, sciogliendo le braccia incrociate. Lo guardò a lungo, ascoltando il suo respiro tremare nelle sue orecchie. Non si era ancora abituata ai sensi di volpe, ma quella era l’unica cosa che non le dispiaceva: ascoltare il battito del cuore di Derek vicino a lei anche quando non lo era. << Quando è morta tutta la mia famiglia in quell’incendio, io me ne sono fatto una ragione. Però quando è tornato Peter… ho pensato… mi odio per averlo fatto, ma ho pensato che potessi avere di nuovo una famiglia. Mi sono sbagliato. Non avrei dovuto fidarmi di lui. >>
Paige gli si avvicinò, i piedi scalzi che scivolavano lungo il pavimento freddo. Gli prese la mano e lasciò che le sfiorasse una guancia.
<< Credi che questo sia reale? >>
Derek esitò.
<< Sì... >>
<< Lo credi davvero? Riesci a sentire la mia pelle sotto la tua mano? >>
Derek annuì.
<< Sì. >>
<< Anche noi lo siamo. E fin quando sarà così, saremo una famiglia. E nella nostra famiglia, tutti meritano di essere supportati. Okay? >>
Derek le sorrise.
<< Siamo una famiglia. >>
<< Sì. Lo siamo. >>
 
Lydia spinse indietro la sedia e lo colpì in pieno. Ades imprecò. Lei si spostò in salotto, impettita, tenendo ben stretto fra le mani un pacchetto di fazzoletti. Aveva pensato di scaraventarglielo addosso, ma le serviva. Magari un fazzoletto usato…
<< Sarei dovuto morire dieci anni fa, Lydia. Ero solo un bambino. È per questo che riesci a sentire le voci che mi chiamano. La morte mi reclama, perché sono riuscito a sfuggirle. >>
<< Okay senti, a me sembri solo un idiota che si finge essere un dio greco o roba simile. Conosco fin troppa gente con le rotelle fuori posto, a partire dal quell’imbranato del mio ragazzo. Per favore, esci da quella porta e non tornare. >>
<< Ho sconfitto una malattia mortale. Sono un morto che cammina. È per questo che sapevi chi ero. Tu sai che è vero, Lydia. Ascolta le voci nella tua testa. La morte mi ha marchiato e le Banshee lo avvertono. >>
<< Cosa cambia? >> chiese Lydia, sedendosi sul divano. << Perché dovrebbe importarmi? >>
<< Perché se ti fidi di me, puoi aiutarmi. Ed io ho bisogno del tuo aiuto. Jackson ha detto che tu avresti potuto farlo. >>
Lydia lo fissò. Jackson? In effetti, l’accento di Ades era tipicamente londinese… Ma cosa c’entrava lei con quei due?
<< Ades, non posso aiutarti. >>
<< Devi cercarla. Ti prego. >>
<< Solo perché Jackson è un tuo amico, io non posso… >>
<< Per favore Lydia, >> disse Ades, stringendo la piccolo mano di Lydia fra le proprie, << trova Persefone. >>
 
***
 
Sentì il guanto della notte sfiorarle i capelli. La strada era desolata e fredda. Sentì le lacrime pizzicarle gli occhi, ma non poteva piangere. La chiesa quella sera appariva più scura e desolata del solito. Sfiorò il portone e lo sentì vibrare sotto il suo tocco, poi lo spinse. Fu come ascoltare la marcia delle truppe, i soldati che cantavano ed entravano nella chiesa per pregare prima della guerra. Sentì le voci, il coro. Percorse la navata centrale con le mani giunte. Gli affreschi ai lati erano strappati da sempre. La chiesa era spoglia e triste come al solito. Eppure, solo quella sera le faceva davvero paura. Arrivò all’altare. La sua voce melodiosa risuonò per tutta la chiesa.
C’erano una volta tre amici.
Ognuno di loro aveva un talento,
ma anche una debolezza.
Il portone si aprì con uno scatto secco. Fu come se le fossero state appena recise le corde vocali. Si voltò piano, tenendo un lembo dell’abito nero con una mano.
<< Buonasera, mia regina. Sono venuto a porgerle i miei omaggi. >>
 
Stiles aveva preferito tornare a casa da Lydia, dato che non aveva sue notizie da un po’. Scott, Isaac, Jordan ed Allison tornarono a Beacon Hills. Il giorno dopo sarebbero dovuti tornare all’università, ma avevano cose più importanti da fare che dormire.
Bussarono alla porta. Dapprima non udirono nulla, poi i passi felpati di Paige raggiunsero la porta. Allison si strofinò le mani. La porta si aprì.
<< Dev’essere uno scherzo. >> disse Derek, dietro Paige. << Non è possibile. >>
<< Ti sembra questo il modo di salutare tuo zio, Derek? >> chiese Peter, scuotendo il capo. << Tua madre non ti ha mai insegnato l’educazione. >>
Paige fece scrocchiare le nocche.
<< Bentornato a casa, Peter. >> disse Paige. Lui alzò un angolo della bocca in un sorriso, poi il pugno di Paige gli arrivò giusto in pieno viso. << Questo è per farti sapere quanto tu ci sia mancato. Buona permanenza. >>   








Angolo autrice:
Saalve :)
Ho appena cominciato e sono già in ritardo xD Dunque, ho cambiato giorno di pubblicazione, che sarà il sabato e non più il lunedì come per l'altra storia.
Non so voi, ma a me è piaciuto molto il finale di questo capitolo :D Qui si vede meglio la situazione di Peter, ma anche un lato nuovo di questo personaggio: è quasi più docile, preoccupato, perché ha capito che il Mago e Deucalion sono più forti di lui e che lo vogliono morto. E sostanzialmente chiede l'aiuto di Derek e degli altri perché ha paura anche lui per una volta e non può fare altrimenti. Insomma, è una versione di Peter che non abbiamo mai visto nella serie e non è poi così male. 
Per quanto riguarda invece la reazione di Scott all'inizio del capitolo, c'è da dire che lui è uno di quelli che ha sofferto di più, dalla ricomparsa di Allison all'improvviso, al fatto che non potessero subito stare di nuovo insieme per motivi vari, al suo trasferimento in Francia, mettiamoci anche la gelosia nei confronti di Isaac... Scoprire che Peter, Deucalion ed il Mago sono più vicini che mai dopo un periodo di pace lo fa sentire attaccato fin da subito, senza controllo, ma un attimo prima di perdere del tutto se stesso riesce a fermarsi affidandosi come sempre alla sua ancora, ovvero Allison (mi riferisco alla scena che si svolge dopo aver colpito Peter, prima di fare del male a lei).
Nel banner si vedono subito i due nuovi personaggi della storia: Ades (Jamie Campbell Bower, ovviamente il personaggio è solo ispirato a lui, non è proprio uguale) e Persefone (Shay Mitchell). Fino ad ora si è visto solo il primo. Che ne pensate? Vi ha incuriositi? Lui sarà una presenza abbastanza importante per il corso degli eventi, mentre Persefone apparirà fra un po'. E ricordatevi dell'accenno a Jackson.
Grazie a tutte le persone che hanno recensito o messo la storia fra le preferite/seguite/ricordate, i lettori silenziosi.
Ciao :)
Erule

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - The Desert Wolf ***


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Capitolo 3
The Desert Wolf


  << Potresti smettere di fissarmi così? >>
<< Così come? >>
<< Come se volessi strapparmi la pelle di dosso. >> rispose Ades, poi si voltò verso di lui. << Okay, senti, so che pensi che io sia una potenziale minaccia per la tua ragazza, ma, notizia dell’ultima ora: non lo sono. >> replicò il ragazzo, allargando le braccia.
Stiles stette per aprire la bocca, gli occhi infuocati, ma Lydia s’intromise.
<< Okay, okay, che ne dite se ci diamo tutti una calmata? Sono solo le nove del mattino e non ho ancora preso il caffè. >>
Stiles si alzò da tavola con un’espressione irata sul volto e si diresse in salotto. Lydia roteò gli occhi, poi lo seguì. Sembrava una sciocca ragazzina in piena crisi ormonale. La faceva tanto lunga per niente. Insomma, la storia di Ades era abbastanza strana e fidarsi di lui o di Jackson era come fare un salto nel buio, ma loro ne avevano parlato insieme apposta. E probabilmente conosceva ciò che lo spaventava di più.
<< Tu pensi che questo sia tutto un piano di Jackson per tornare qui. >>
<< Correggiti, Lydia: io penso che questo sia tutto un piano di Jackson per rimettersi con te. >> replicò Stiles sarcastico, girandosi. Gli occhi grandi di Lydia si spalancarono, facendo risaltare quel meraviglioso verde oliva dei suoi occhi.
<< Non puoi essere così geloso. >>
<< Oh, direi che posso eccome, invece. Vogliamo elencare tutti i tuoi fidanzati? Perché avrei da fare. >>
<< Stiles, che ti prende? Neanche sei tornato, che già stiamo litigando. E noi non litighiamo mai per davvero. >>
Stiles buttò fuori l’aria, le mani che sfregavano spasmodicamente la faccia. Era stanco morto per il viaggio e per tutto quello che era accaduto, come l’apparizione di Peter o Scott che non reggeva più il peso del mondo,  per non parlare della storia assurda di quella fantomatica divinità greca che aveva dormito sul divano quella notte. Il problema era che non riusciva a mettere insieme una fila di parole, una frase che avesse significato, per poter spiegare tutto razionalmente a Lydia.
<< Hai ragione. Mi dispiace. È solo che… ero preoccupato per te. Credevo che questo tizio potesse farti del male o portarti via da me e… Lydia, io davvero non potrei sopportarlo. >> replicò Stiles. Lydia si avvicinò a lui e gli accarezzò una guancia con la mano. Era bello sapere che lei stava bene, che era lì, in piedi, di fronte a lui e respirava piano.
<< Ti amo. >> disse Lydia, come se pronunciare quelle due parole fosse la cosa più semplice del mondo, come se avesse imparato a dire quelle al posto di Mamma come prima parola. E Stiles sentì una stretta al cuore, come un battito mancante che gli toglieva il respiro, ma allo stesso tempo glielo ridava.
<< Grazie. >>
Lydia alzò un sopracciglio, sorridendo.
<< Sai, a questo punto tu avresti dovuto rispondere… >>
<< Ti amo anch’io. >> la interruppe Stiles.
Lydia annuì soddisfatta.
<< Esatto. >>
<< Volevo solo ringraziarti per il tuo amore, per tutto quello che fai per me anche se sono a miglia di distanza e puoi parlarmi solo attraverso un telefono e per darmi la sicurezza di cui ho bisogno nei momenti in cui non la chiedo. >> fece Stiles e Lydia vide in lui che qualcosa era cambiato. Era più maturo, più umano che mai in un mondo che di umano non aveva più che carne e sangue.
<< Non c’è di che. >> disse Lydia, con un’alzata di spalle. Stiles la baciò sulla fronte, le labbra più delicate di un fiocco di neve, dolci come il sapore del miele. Forse la sua parte romantica era Stiles. La sua parte migliore.
<< E sono anche preoccupato per Scott. >> aggiunse Stiles, inumidendosi le labbra. << Ho paura che sia molto provato, dopo l’ultima volta. È molto spaventato. >>
<< Ha paura per sé o per Allison? >> chiese Lydia.
<< Non chiedermelo, se conosci già la risposta. Sarebbe un insulto alla tua intelligenza. >>
<< Oh, per una volta che cerco di farti sembrare più perspicace di me! >> scherzò Lydia. Stiles le strinse la mano. << Lui si preoccupa sempre per tutti noi. Non so come faccia a sopportarci. >>
<< Ha paura che qualcun altro muoia per lui. Non vuole che accada di nuovo ciò che è successo a Boyd, ad Erica, a Eiden o… be’, ad Allison. >>
Lydia buttò fuori l’aria. Sapeva che Scott era preoccupata quanto lei per Allison e per tutti gli altri, ma non poteva non raccontargli quello che aveva sognato. Non poteva fare finta di niente ed andare avanti. Aveva giurato a se stessa che li avrebbe sempre protetti tutti, se avesse potuto. Ed ora poteva. Doveva.
<< Stiles, quello che dice Ades è vero. >> affermò lei. Stiles corrugò la fronte. << Cosa? Credevo che tu fossi dalla mia parte. >>
<< Stanotte le voci mi hanno svegliata. Non voglio dire che mi abbiano raccontato una profezia, ma potrebbe esserlo. >> continuò Lydia. Stiles serrò la mascella. << E non so come, ma credo che Ades c’entri in tutto questo fino al collo. >>
 
<< Dimmi che mi credi! >> esclamò Peter, tirandola verso di sé per un polso.
<< No! E mai lo farò! >>
<< Sai che ho ragione! >>
<< No! Tu vuoi solo qualcuno che cada giù con te! >>
<< Menti, sapendo di mentire! >>
<< Lasciami! >>
Paige cercò di divincolarsi, ma la presa di Peter si faceva sempre più stretta. Le vene risaltavano sulla sua mano come le increspature sulla carta argentata. Paige pensò che sarebbe persino riuscita a vedere il movimento dei muscoli, se ci avesse fatto più attenzione. Anche se era più magro e malconcio, lui era pur sempre più grande di lei ed allenato, quindi non si stupì di avere qualche difficoltà ad imporsi. In più, aveva cercato per tutta la mattina di fare piano per non svegliare Derek, che non aveva dormito per tutta la notte, ma ormai doveva essersi svegliato per le urla.
<< Sai benissimo che sto dicendo la verità. Mi hanno minacciato. Ho dovuto rispondere. >>
<< E cosa diavolo vuoi da noi, adesso? >>
<< Protezione. Fiducia. Aiuto. >>
<< Non avrai niente di tutto questo. >>
<< In nome di tua madre… >> disse Peter, poi la mano libera di Paige lo colpì. La sua guancia era rossa come il sole al tramonto. Peter strinse i denti, gli occhi lucidi.
<< Non chiedermi niente per lei. Non pronunciare il suo nome. E non credere che ti aiuterò, solo perché lei una volta ti amava. Se ti vedesse adesso, ti odierebbe. Derek ti odia. >> disse. Lo sguardo di Peter rimase fisso nel suo, ma la mascella gli tremava. << Gli hai fatto troppo male. E sai qual è la cosa peggiore? Lui non ti avrebbe mai abbandonato. Persino dopo tutto quello che gli avevi fatto. >>
Peter abbassò lo sguardo.
<< Tu perdoneresti te stessa per tutte le cose orribili che hai fatto? >> chiese. Paige boccheggiò, senza sapere come rispondere. << Dimmi Paige, ti perdoneresti se avessi ucciso tante persone innocenti? >>
<< Non dirmi che adesso vuoi redimerti ai nostri occhi, perché lo stai facendo nel modo sbagliato. >> fece la voce di Derek dietro di lui, uscendo a piedi scalzi dalla camera da letto. << In primo luogo, lasciala. Secondo: rivolgiti a me quando parli e non a lei. Vedo che non hai ancora fatto la prima cosa che ti ho detto di fare. Lasciala. >>
Peter allentò la presa e Paige si divincolò. Il suo polso era tinto d’un rosa scuro, che le ricordava lo stesso colore che vedeva quando la malattia la stava per uccidere lentamente, dopo essersi grattata a sangue le braccia.
<< Mi hanno torturato. Sai come sono fatto. Ho preferito tornare indietro vivo. >>
<< Certo, perché tradire chi ti è sempre stato accanto è normale, vero? >> chiese Paige, ironica. Peter deglutì. << Perché dovrei aiutarti? Tu vuoi uccidere Scott e mi pare che sia un nostro amico. >>
<< Avete bisogno di me, okay? Avete sempre bisogno di me, perché non siete che quattro lupi inesperti, una Banshee che non sa fare il proprio dovere ed una che se la cava con arco e frecce, che sa solo farsi ammazzare. >> disse. Derek strinse la mano destra a pugno e l’avrebbe colpito, se la mano di Paige non fosse scivolata lungo il suo braccio, facendogli capire che non avrebbe dovuto. << Avrei potuto comunque uccidervi tutti durante l’ultimo scontro, ma non l’ho fatto. Vi ho lasciato in pace anche dopo, vi ho lasciato ricostruire le vostre vite e tornare forti. Potete non fidarvi dei miei motivi, ma dovete darmi una chance. >>
<< Quali sono i tuoi motivi? >>
Peter deglutì.
<< Mi sono ricordato di aver fatto una promessa. Credo di doverla rispettare. >>
<< A chi l’hai fatta? >>
<< Non importa, adesso quella persona non c’è più. >>
<< Era mia madre? >> chiese Paige. Peter scosse impercettibilmente il capo.
<< No. Non la conoscevate. >> replicò. << Sentite, se non volete avermi fra i piedi lo capisco, ma io ho bisogno della vostra protezione o mi uccideranno. Ho fatto una promessa ed intendo rispettarla. Vi aiuterò. Dovete solo decidere se ne vale la pena. Aspetterò la sentenza. Avete due ore. >>
 
<< Devo andare, adesso. Ho il corso di chimica e non me lo voglio perdere. >> disse Scott, uscendo di casa con lo zaino in spalla.
<< Scott, non ti è mai piaciuto il corso di chimica. Smetti di scappare da me e dimmi cos’hai. >> replicò Allison, inseguendolo fuori di casa.
<< Sto bene, è solo che sono in ritardo. >>
<< Scott, per favore. >>
Il ragazzo si fermò a pochi passi da lei.  Guardò la strada di fronte a sé, le case vicine tanto solitarie da farlo sentire ancora più triste, il cielo dietro completamente azzurro. Sarebbe stato il paesaggio più bello del mondo, se non fosse stato per quel piccolo nodo in gola che non lo lasciava in pace dalla sera prima. Non sapeva dire da quanto tempo lui ed Allison si fossero allontanati così tanto. Deglutì piano, avvertendo tutti i suoni più vicini, le voci che si accalcavano nelle sue orecchie, che risalivano sulle sue braccia, che gli toccavano le guance calde… Scosse la testa, tornando in sé. Stava impazzendo lentamente e non sapeva neanche lui perché.
<< Non lo so, Allison. >> rispose. Sentì il suo respiro dietro di sé, persino il battito del suo cuore sembrava ansioso. << Forse è solo che pensavo che fosse finita e invece i miei peggiori incubi si sono rifatti vivi e… non so se saremo in grado di combattere contro tutto questo. >>
Scott si voltò ed Allison continuò ad osservarlo. Avrebbe voluto avvicinarsi a lui, abbracciarlo, stringerlo tanto forte da farsi male alle mani, ma non riusciva a staccargli gli occhi di dosso. Socchiuse le labbra, non se ne accorse nemmeno.
<< Hai paura. >> disse. Scott abbassò lo sguardo. << Scott, siamo solo dei ragazzi, okay? È assolutamente umano avere paura, anche se si è lupi. Non devi… >>
<< Ho paura per te. >> la interruppe Scott, guardandola dritto negli occhi. Il cuore di Allison cominciò a batterle all’impazzata nel petto. Sapeva cavarsela da sola, sapeva combattere e badare a se stessa, ma sentire quelle parole le provocava sempre lo stesso effetto. La facevano sentire al sicuro. << Non voglio che ti facciano del male. >>
Allison sapeva che avrebbe dovuto tranquillizzarlo in qualche modo, che avrebbe dovuto dirgli che lei sapeva badare a se stessa, che stavolta se la sarebbe cavata bene perché era più forte, ma le parole le si bloccarono in gola. Era come sentire gli spigoli delle lettere pungerle la pelle dall’interno, avvertire quelle N di Non e quella R di Paura ucciderla dentro. Ricordava quello che aveva confessato una volta al padre di Stiles: “Io non sono senza paura. Io ho paura tutto il tempo”. Ed ora, era come se le sue stesse parole la stessero punendo.
Io non sono senza paura.
<< Vorrei prometterti qualcosa, ma non posso. >> disse Allison, le guance pallide e gli occhi arrossati. Scott si sentì male per lei. << So solo che senza di te io cado a pezzi e quindi ti prego, ti prego Scott, non abbandonarmi adesso. So che hai paura, anche io ho paura, ho così tanta paura di perderti che certe volte mi sveglio e mi fa male la gola per quanto ho urlato nel sonno, ma mi faccio forza perché altrimenti so che non reggerei. Quindi, fallo per me, non cedere. >> replicò Allison, con le labbra rosse come la notte in cui era morta. Scott non avrebbe voluto pensarlo, ma era il primo pensiero che gli era venuto in mente. E non voleva che accadesse di nuovo. << Per favore, non cedere. >>
 
<< Jackson, chiudi quel becco da gallina. Dannazione, parli più di una donna! >> esclamò Ades, inveendo contro il telefono. << Non so se mi aiuteranno. Sì, Lydia è davvero simile a lei. Già. Vedrai che accetteranno. Persefone l’ha fatto, dopotutto. Lei mi ha sempre aiutato quando ne ho avuto bisogno. Sì, comunque avevi ragione: Stiles è davvero un idiota. >>
<< Ehi biondino, attento a come parli. >> lo rimbeccò Stiles, entrando nel salotto con Lydia al suo fianco.
<< Jackson ti devo lasciare, è arrivato l’ex posseduto. >> disse Ades. Stiles impallidì. Il ragazzo finì la telefonata. << Allora? Cos’avete deciso? >>
<< C’è una cosa che dovresti sapere, prima. >> rispose Lydia, incrociando le braccia. << Conosco la Profezia dei Morti e non intendo aiutarti, a meno che tu non mi dica tutto ciò che sai riguardo ad essa. >>
Il volto di Ades si trasformò in una maschera di cera. Deglutì piano, rigirandosi il telefono fra le mani.
<< Cosa volete sapere? >>
 
Peter sbuffò, roteando gli occhi per la terza volta in dieci minuti. Paige e Derek non smettevano di discutere riguardo a quello che dovevano fare con lui e dopo aver riascoltato la stessa pantomima per quattro o cinque volte (Dovremmo dirlo a Scott, Buttiamolo in un burrone, Cosa facciamo? Non possiamo fidarci di lui), Peter aveva perso quasi tutta la pazienza rimastagli. Si alzò dalla sedia e dalla cucina si diresse nel salotto.
<< Ehi, le due ore sono passate. Sembrate due genitori che stanno discutendo del loro figlio scapestrato. Sono abbastanza grande per queste cose, ormai. >>
<< Come puoi pretendere che non ci fidiamo di te ancora una volta, Peter? >> chiese Paige, le braccia incrociate.
<< Infatti ve l’ho solo chiesto. Se l’avessi preteso, probabilmente a quest’ora vi avrei già azzannati alla gola. >> rispose Peter, alzando le spalle. Derek assottigliò gli occhi, minaccioso. << Non fai paura a nessuno, cucciolotto. Sentite, dovete solo dirmi cosa volete fare. Avanti. Non mi metterò a piangere e non vi attaccherò. Ditemi solo se vi fidate o se me ne devo andare. >>
Paige guardò Derek. Credeva che solo in quel modo, fissando i suoi occhi, avrebbe potuto capire cosa fare, ma non fu così. Quando lui si girò per guardarla, non vide che il vuoto. Le sue iridi verdi rispecchiarono due immagini di lei, ferme e tristi, quasi senz’anima. Era quello l’effetto che Peter aveva su di lui? L’aveva sempre avuto? Non se n’era mai accorta?
<< La decisione spetta a te. >> disse solo.
<< Cosa? Perché? >>
<< Perché io mi fido di te. Io sono troppo coinvolto, rischierei di sbagliare. Ti appoggerò in ogni caso. >>
Peter alzò gli occhi al soffitto.
<< Che sentimentali. >> mormorò.
Paige buttò fuori l’aria, indecisa. Si mordicchiò il labbro inferiore, cercando di pensare attentamente, vagliando ogni ipotesi, valutando ogni scenario possibile, pensando a quello che sarebbe potuto andare storto, alle ripercussioni, ma si sa, il futuro non va mai come preannunciamo a noi stessi. E così, la sua decisione fu la più inaspettata.
<< Ci fideremo di te, Peter. >> affermò Paige alla fine. Peter ghignò soddisfatto, mentre Derek sospirava. << Ma ad una condizione. >>
<< Vi darò la chiave per distruggerli, cosa volete ancora? >> chiese Peter, stizzito. Derek non riusciva ancora a capire.
Il sorriso maligno che si fece strada sul volto di Paige non faceva presagire nulla di buono.
<< Dovrai proteggere Scott ad ogni costo. >>
 
***
 
Dopo che Lydia ebbe terminato il racconto, tutti rimasero in silenzio per una manciata di minuti. Era difficile elaborare le sue ultime parole ed era inevitabile indovinare a chi fossero rivolte. Erano tutti seduti sui divano nel loft di Derek, tranne Ades che se ne stava sul tavolo con una gamba penzoloni e Peter appoggiato allo stipite della porta. Malia e Kira erano presenti, ma sembrava che fossero più preoccupate per altro che per le parole di Lydia. Ad un certo punto, Malia allungò il collo come fa una giraffa e controllò la porta principale.
<< Non riesco nemmeno ad immaginare di chi possa parlare. >> disse Stiles, rompendo il silenzio.
<< Potrebbe essere chiunque. >> replicò Scott.
<< Non aprite. >> ordinò Malia, alzandosi dal divano.
<< Cosa? >> chiese Lydia, confusa.
Bussarono alla porta. Paige fece per avanzare, ma Derek la bloccò con una mano. Scosse la testa un paio di volte, poi si diresse verso la porta. Scott e Peter si prepararono all’attacco. La mano di Derek si posò lentamente sulla porta blindata, avvicinando le dita alla superficie.   
 
C’erano una volta tre amici.
Ognuno di loro aveva un talento,
ma anche una debolezza.
 
<< Derek, NO! >> urlò Malia, slanciandosi verso di lui.
Il suono della sua voce incrinata volteggiò nella mente di Lydia come il rumore che fanno i pezzi di un vaso rotto quando cadono a terra.
 
Il primo era forte come il busto di un albero,
ma allo stesso tempo fragile come un tavolo di cristallo.
Il secondo era gentile come una madre,
ma non poneva mai se stesso prima degli altri.
Il terzo era fedele come un soldato,
ma aveva la debolezza di un amante.
 
Derek aprì la porta. Si avvertì un cigolio leggero che rese l’aria ancora più tesa. Peter sbiancò e si dovette reggere allo stipite per evitare di cadere in ginocchio. Kira spalancò la bocca, incredula. La donna che si stagliava di fronte a loro era bella, doveva avere più o meno l’età di Peter, dai capelli color del miele, gli occhi castani e brillanti, il viso affilato, alta e molto magra, con un paio di uomini robusti al suo seguito.
<< Buonasera. Io sono Cecily, la madre di Malia. Posso entrare? >>
 
Uno di loro morì per potere.
L’altro per amore.
L’ultimo per lealtà.
 
Derek deglutì, annuendo.
<< Cecily, ma che piacere rivederti. >> disse Peter, andandole incontro a braccia aperte.
<< Non fare quel sorrisetto falso con me, Peter. >> replicò Cecily. Il sorriso di Peter si spense sulle sue labbra sottili. << Sono venuta per riportarti all’Inferno. >>
 
Promettimi che li salverai.
 
 
 
 



Angolo dell'autrice:
Ciao :)
Cosa ne pensate del finale del capitolo? Oltre al fatto che è entrata in scena la madre di Malia, c'è anche la scoperta dell'intera profezia. Avete già un'idea dei possibili personaggi collegati a quelle sentenze? 
Non credo ci sia molto da dire su questo capitolo, perché le parti più importanti sono quelle finali. Questo passaggio è molto importante per quello che accadrà nella storia, comunque. E il capitolo seguente mi piace davvero molto *_* In ogni caso, fino a questo momento oltre a mostrare i problemi delle varie coppie, uno dei personaggi che sta risaltando davvero è Peter. Vi sta piacendo? Vi sembra che il suo atteggiamento sia sempre il solito, che stia tramando qualcosa o che si sia davvero convertito? E Ades, invece? 
Grazie come sempre a tutte le persone che recensiscono, leggono, inseriscono la storia fra le preferite/seguite/ricordate.
Alla prossima!
Erule

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Haunting ***


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N.B.: consiglio di ascoltare "Do I wanna know?" degli Arctic Monkeys durante la lettura :)

Capitolo 4
Haunting
 
Il suono stridulo della campanella la fece ridestare.
Strinse di più i libri al petto e riprese a camminare. Non poteva fare altre assenze, ormai era guarita. Tornare a scuola le serviva per pensare ad altro, per annullare le voci nella sua testa che continuavano a cantarle la profezia che ormai sapeva a memoria. L’università di Beacon Hills era nuova di zecca, con i muri verniciati di bianco ed il tetto verde acqua. I corridoi erano pieni di studenti, peggio delle superiori. Lydia avanzò velocemente, dirigendosi verso la prossima classe. Qual era? Chimica, biologia o fisica? Tutta quella storia la stava facendo impazzire, tanto da non farle ricordare nemmeno una cosa così stupida. Cercò di prendere il foglio degli orari dal libro di biologia, ma ovviamente le scivolarono tutti i tomi dalle mani, cadendo a terra. Lydia sbuffò, esasperata, mentre il corridoio si svuotava per l’inizio delle lezioni. Raccolse i libri, si alzò e guardò il foglio.
Promettimi che li salverai.
<< No, adesso basta! >> sbottò.
<< Va tutto bene? >> chiese una voce dietro di lei. Lydia si voltò.
<< Cosa ci fai qui? >>
<< Avevo bisogno di uscire un po’. >>
<< Senti, mi dispiace per quello che stai passando, ma noi non possiamo aiutarti. >>
Ades mise le mani in tasca. Adesso non portava più il gilet, ma una giacca di pelle nera.
<< So che avete dei casini in corso Lydia, ma io devo ritrovare Persefone. Ho davvero bisogno di voi. Possiamo discutere su un’alleanza. >>
Lydia scosse la testa.
<< Un’alleanza? Ades, le alleanze si fanno solo in tempi di guerra. Noi non siamo più in guerra da… >> stava dicendo, ma qualcosa nel suo sguardo la fece interrompere. Il cuore cominciò a tamburellarle nel petto. << Noi non siamo in tempo di guerra, vero Ades? >>
I suoi occhi parlarono più della linea sottile delle sue labbra. E fu a quel punto che tutte le certezze di Lydia vacillarono, sino a crollare come un castello di carte spinto dal vento.
<< Il caos è tornato di nuovo. >>
 
Peter stava in piedi nel bel mezzo della stanza. Non riusciva a stare seduto per un attimo, era come essere costantemente sotto scacco. Muoveva un piede al ritmo di una vecchia canzone, cercando di tenere a bada il suo istinto di lupo che gli consigliava di azzannare quella donna e dissanguarla viva.
<< Dopo tutto questo tempo, quella canzone ti risuona nella testa, eh? >> disse Cecily, lasciando che i capelli le ricadessero lungo la spalla.
<< Vuoi davvero sapere cosa risuona nella mia testa, Cecy? >> chiese Peter, avanzando minacciosamente verso di lei.
<< Peter! >> esclamò Paige. Lui si bloccò a pochi centimetri dalla donna.
<< Ma guardati. Ti fai richiamare ancora come un cagnolino da una Hawthorne. >>
<< Sciacquati la bocca quando parli di lei, Cecy. Dalia era mille volte migliore di te e tu lo sapevi. Ti ha sempre trattata con i guanti. >>
<< A parte quella volta. >>
<< Quella volta te lo sei meritata! >>
<< BASTA! >> urlò Derek, frapponendosi tra i due. << Smettetela, non siamo qui per litigare. >>
Il viso di Cecily non era che una maschera di rabbia. Peter sembrava un toro rabbioso, pronto a colpire da un momento all’altro. Paige stava vicino alla scrivania con le labbra conserte, non sapendo che fare. I due accompagnatori di Cecily erano fuori dalla porta, in caso fossero serviti. I ragazzi erano tornati a scuola. Ormai non potevano più fare niente. Non era sicura che Malia e Kira fossero con loro però. Non erano neanche iscritte all’università. Isaac e Parrish invece erano tornati a casa loro.
<< Perché non la riporti indietro, allora? Perché non ti servi del Mago? >> domandò Cecily. Paige impallidì, ma Peter non si scompose. Non sembrava nemmeno sorpreso.
<< Perché Dalia non mi perdonerebbe mai per aver ucciso una persona innocente. >>
<< Non glielo confesseresti neanche sotto tortura. >>
<< Lei è intelligente, lo verrebbe a sapere in qualche modo. >>
<< E hai anche ucciso Michael. >>
<< Era giusto così. >>
<< Hai privato una bambina di un padre! >>
<< Tu hai fatto la stessa cosa! >>
Cecily cercò di calmare il respiro, ma era troppo furiosa. Nonostante tutto quello che avevano passato insieme, nonostante tutte le notti insonni che avevano trascorso scrivendo canzoni, le notti nella roulotte per andare ai concerti in bar scadenti, le bottiglie di Vodka nelle serate solitarie, lui ancora non l’amava. Non l’aveva mai amata. Ed era per questa ragione che se n’era andata.
<< Una mattina mi sono svegliato nella roulotte e tu non c’eri. Mi hai negato di poter essere amato da mia figlia. Ti ricordi come si chiamava la canzone, Cecy? Si chiamava Lo voglio sapere? Tu mi chiedesti se volevo sapere se la figlia di Dalia era mia ed io ti risposi di no, perché se l’avessi saputo avrei ucciso quel Michael Cotton con i denti e mi sarei ripreso Dalia, rovinandole la vita. Fu l’unica volta in cui mi comportai bene, senza essere egoista. Dalia voleva una famiglia, ma io no. Era giusto così. >>
Cecily deglutì piano.
<< Sei venuto da me, dicendomi che mi volevi accanto a te. Ma non è vero, tu non mi hai mai amata. >>
<< E sai perché, Cecy. Io ho amato solo una donna nella mia vita. >> disse Peter. Paige alzò lo sguardo e lo fissò a lungo, avvertendo una stretta al cuore. Gli occhi di Cecily erano lucidi come lo specchio d’acqua di uno stagno in pieno inverno. Lui non la guardò, ma Paige sapeva a chi Peter stesse pensando. << E mi dispiace Cecily, ma non sei tu. >>
Era Dalia. Sua madre.
 
<< Ehi. >> esordì Peter, raggiungendola sull’altura.
Phoenix di notte era la bellezza in persona. Le stelle rilucevano nel cielo come dei fari, illuminando il volto di Dalia. Ancora non riusciva a credere che una perla così rara fosse stata sua. Però adesso lei gli aveva detto che voleva riallacciare i rapporti, che potevano tornare vicini. Forse avrebbe lasciato quell’idiota, forse sarebbe tornata insieme a lui per sempre. Si sfregò le mani. Faceva un po’ freddo quella notte. Osservò il profilo di Dalia, che si stagliava lucido e netto contro il paesaggio scuro. I suoi capelli rossi e gli occhi azzurri erano comunque riconoscibili, come l’acqua ed il fuoco. Era bella da morire. L’amava così tanto da morire per lei.
<< Ciao. >> disse e la sua voce gli sembrò un po’ troppo bassa per essere reale. C’era qualcosa che non andava. Lei si alzò piano dalla roccia su cui era rimasta seduta fino ad un momento prima. << Peter, ho… mentito al telefono. Mi dispiace. >>
Peter aggrottò le sopracciglia.

<< Cosa? Perché? >>
<< C’è una cosa che devi sapere e devi saperla da me. Per favore, non ti arrabbiare. >>
<< Non potrei mai arrabbiarmi con te, Dalia. Certo, non cominciare a parlarmi di quel Cotton, perché  potrei dare di matto. >>
Dalia sorrise. Lui sapeva sempre quali erano i suoi punti deboli, come farla ridere. Ed era anche l’unico che conosceva dove si trovasse quel tatuaggio che aveva fatto a sedici anni contro i genitori, quella linea di stelle che nascondeva alla fine della schiena. Lo aveva confessato solo a lui. Non a Michael, a lui.
<< Mi manca poter parlare con te, Peter. >> disse. Peter aspettò per rispondere, perché sapeva che non aveva ancora finito. Se non facevi parlare Dalia per conto suo, eri certo che non avresti saputo niente da lei. Non le fece domande. << Io e Michael ci sposeremo, credo. Lui è entusiasta di questa cosa. A-anche io lo sono, ovviamente. Penso che tu debba saperlo da me. >> farfugliò, poi si passò una mano fra i capelli. Sintomo d’ansia. Cosa le stava succedendo? Peter non le staccò mai gli occhi di dosso per tutta la durata del suo discorso. << Non riesco a dirlo, non ci riesco! Sono una stupida. Non avrei dovuto chiamarti, non avrei dovuto farlo. Cecily ti vuole bene, io non dovrei davvero… no, non dovrei davvero… >>
<< Dalia, stai dicendo parole senza senso. >> disse Peter, avvicinandosi a lei. I suoi occhi umidi brillarono alla luce della luna. Anche Peter sentì le lacrime bruciargli gli occhi, sebbene non ne capisse il motivo fino in fondo. Le strinse le mani fra le proprie. << Tesoro, parlami. Andrà tutto bene. Sai che io non ti giudicherò. >>
Dalia si sentì più debole che mai. Avrebbe solo voluto aver già parlato, vedere Peter allontanarsi da lei, urlare, portarsi le mani alla testa, tutto estremamente rallentato, infinitamente doloroso.
<< Ieri ho schiaffeggiato Cecily, ti ricordi? Michael ha raccontato al preside che era stata colpa sua, che andava tutto bene. >>
<< Meno male che non è un selvaggio. Anche io avrei fatto lo stesso. La vita universitaria è già abbastanza dura senza note di demerito. >> replicò Peter. << E tu non le meriti. >>
<< Non è questo il punto. Cecily stava per dirti una cosa che io non volevo sapessi, ma ho capito che dovevo comunque dirtela, perciò ti ho chiamato. >>
<< Dalia, so che è difficile, ma è quasi l’una del mattino e tu non dovresti tornare a casa tardi. Michael non sa che sei qui, vero? >>
Dalia deglutì.
<< Lo sa. L’unica cosa che non sa è che potrebbe non essere suo. >>
Peter chiuse gli occhi, girando lievemente la testa. No, non poteva accadere ciò che stava pensando. Non poteva andare a finire così. Non poteva essere già così avanti.
<< Sei incinta? >>
Il viso di Dalia era deformato dal pianto. Riusciva malapena a respirare. Peter avvertì un dolore acuto al cuore, come se la punta di uno spillo stesse continuando ad infilzarlo, facendolo sanguinare.
<< Sì. >>
Le lasciò le mani e nella sua testa Dalia lo sentì urlare. Loro due erano sempre stati legati, troppo legati, come se fossero due metà dello stesso cuore. Peter rimase in silenzio, le braccia lungo i fianchi, i pugni chiusi. Voleva solo spaccargli la faccia. Voleva solo metterlo in ginocchio, picchiarlo, fargli capire cosa siginificava perdere Dalia, perdere tutto. Voleva uccidere quel dannato Michael Cotton.
<< Non voglio saperlo. Non voglio sapere se è mio. Non cercarmi più. >>
<< Sei tu che mi hai detto che non mi volevi più! Io non potevo fare altro! >>
<< Io ti ho detto che non volevo una famiglia! Non ho mai detto che non volevo te! >> sbraitò Peter. Dalia fece un passo indietro, come colpita dalle sue parole. << Io volevo te, più di qualsiasi altra cosa al mondo, più di dell’oro, del potere o della donna perfetta, io volevo solo te e mi saresti bastata, lo giuro su quello che vuoi. Tu sei il mio vuoto e la mia debolezza insieme, sei la mia parte mancante, sei…>> disse, poi dovette bloccarsi per via del groppo in gola. Dalia chiuse gli occhi. << Sei colpevole, Dalia. Perché dopo di te, io non riuscirò ad amare più nessun’altra donna. Non voglio sapere se il figlio che porti in grembo è mio, non dirmelo. Voglio pensare di averti persa per via di un altro uomo e non per qualcos’altro. >>
Peter si voltò e prese a camminare, perché ormai gli faceva davvero troppo male il cuore per continuare a guardarla.
<< Ti amo, Peter. >> disse Dalia. La sua voce era musicale come il canto degli uccelli in primavera. Peter si fermò. Avrebbe preferito che non l’avesse detto. Come poteva lasciarla andare, adesso? << So che non avrei dovuto dirlo, so che non avresti voluto sentirlo, ma non è colpa di nessuno se è andata a finire così. Abbiamo solo interessi differenti. Volevo solo che… >>
<< Cosa? >> chiese Peter, voltandosi. Dalia sentì il cuore mancare di un battito. << Volevi solo toglierti un peso dal cuore? Volevi solo darmi un contentino? >> chiese, avanzando a passi veloci verso di lei. << Volevi solo spezzarmi il cuore? >> domandò con voce più alta, prima di prenderle il viso fra le mani e baciarla.
La baciò come se fosse la fine del mondo e stessero per morire. La baciò come se non avesse mai baciato un’altra donna in tutta la sua vita che non fosse lei. La baciò come se quello fosse l’ultimo vero bacio che avrebbe mai dato. E le mani scottarono sulle sue guance fredde, mentre lui si sentiva cadere, cadere, cadere sempre di più.
La lasciò piano, mentre i loro respiri si confondevano nell’aria, creando nuvolette di vapore. Dalia aprì piano gli occhi, accecandolo con quel blu mare. Era come morire per mano di un’onda e non sapeva se gli piaceva o meno.
<< Volevo solo che tu lo sapessi. >>
 
Cecily s’inumidì le labbra, le braccia ancora incrociate al petto. Possibile che persino dopo tutti quegli anni lui riuscisse sempre a farle quell’effetto? Era assurdo, era sempre stato l’unico uomo capace di farle effettivamente sentire qualcosa, l’unico a cui era riuscita a legarsi davvero, tanto da avere una figlia da lui. Una figlia che poi aveva abbandonato per esigenza, urlando in quella tenda dove aveva partorito, chiedendo di portarla via subito per non avere ripensamenti. Ricordava solo i suoi occhi incredibilmente belli e brillanti, lucidi. Quando l’aveva incontrata per la prima volta dopo tutto quel tempo aveva pensato che era cresciuta davvero tanto, che era diventata una donna, ma l’aveva riconosciuta subito per via degli occhi. Erano rimasti identici. Belli, brillanti, lucidi. Le aveva chiesto di parlare, di raccontarle perché aveva dovuto lasciarla andare, se magari poteva tornare, ma non aveva potuto incontrarla. L’avevano minacciata molto prima di quell’episodio, ma non le era importato più di tanto. Adesso invece doveva proteggere sua figlia ed avrebbe fatto di tutto pur di raggiungere il suo scopo.
<< Lo so, Peter. Una volta io e Dalia eravamo amiche. Me lo ricordo bene. >>
Peter avanzò verso di lei.
<< Allora dovresti anche ricordarti che non ha mai fatto niente per farti del male. >>
Cecily alzò un angolo della bocca in un sorrisetto.
<< Non sono qui per Paige, se è quello che pensi. Sono qui per te. >>
Paige osservò Derek muovere la mano destra. Si stava preparando ad attaccare. Sapeva che non avrebbero dovuto fidarsi di Cecily.
<< Perché? >>
<< Donnie! Sam! Venite dentro! >> urlò Cecily, camminando all’indietro verso la porta per poi spalancarla. << Facciamo quello per cui siamo venuti. Prendiamo quel traditore. >>
Derek e Paige si mossero subito, frapponendosi fra lei e Peter.
<< Dovrai affrontare prima noi. >> disse Paige, mentre il suo viso si deformava in quello di una volpe.
<< Dovrò prima passare sul vostro cadavere, volevi dire. >> replicò Cecily, voltando il colore dei suoi occhi in un azzurro metallico e luminoso.
<< Hai parlato fin troppo. >> disse Derek, un secondo prima di saltarle addosso.
 
Scott si portò le mani alla testa, buttando fuori l’aria. Non era riuscito a dormire per via dell’arrivo della madre di Malia. Allison gli aveva inviato un messaggio in cui gli diceva che si sarebbe fatta un giro in città con suo padre, dato che non lo vedeva da un sacco di tempo. Era contento che almeno lei cercasse di apparire normale, così da dargli forza per sopportare tutto quello che gli stava accadendo intorno. Era come se tutto il suo mondo gli stesse per crollare addosso da un momento all’altro, come se dentro di sé ci fosse una macchia nera che si espandeva nel cuore e minacciava di inghiottirlo, tirandolo giù con sé, nell’oblio.
Alzò lo sguardo e sentì una fitta allo stomaco. Stiles stava avanzando verso di lui a fatica, le gambe che a malapena lo reggevano in piedi, la mano sinistra che cercava di aggrapparsi al muro, due ombre scure sotto gli occhi. Respirava male e sembrava molto agitato. La borsa con i libri gli cadde dalla spalla e lui crollò sulle ginocchia. Scott si alzò dalla panchina nel corridoio e corse subito verso di lui.  
<< Amico, ehi, stai bene? >> chiese Scott preoccupato, stringendogli una spalla.
<< Scott, non so cosa mi stia succedendo. >> rispose Stiles con voce tremante. Era irriconoscibile rispetto a quando l’aveva visto per l’ultima volta, la sera prima. << Stanotte non sono riuscito a dormire. >>
<< Nemmeno io, se è per questo. >>
<< No, no, tu non capisci! >> ribatté Stiles, gli occhi fuori dalle orbite. Sembrava che stesse per scoppiare a piangere. << Non riuscivo a capire se stessi sognando o se stessi vivendo la realtà! Stavo impazzendo! Stamattina mi sono chiuso in bagno pur di non dover vedere Lydia. >> disse, poi si guardò le mani. << Uno, due, tre, quattro… >>
<< Stiles, cosa stai facendo? >>
<< Sto contando. >> rispose, mentre il suo respiro saltava come un disco rotto.
Scott per un attimo si sentì cadere. Non era possibile. Non poteva accadere di nuovo. Forse era lui quello che stava sognando, quello era tutto un incubo, certo. Si diede un pizzicotto sulla mano, ma non si svegliò. Scosse la testa più volte, sulla soglia di una crisi di nervi. Poi, tutto il mondo si fermò e lui sentì solo nelle sue orecchie la voce di Allison che gli ripeteva quelle parole.
Non cedere.
E lui tornò a respirare.
<< D’accordo Stiles, adesso ti aiuto ad alzarti. Quante dita hai contato? >> chiese, mentre il sangue pompava velocemente nelle sue vene, facendoglielo avvertire come un fiume gelato negli argini bollenti della pelle. 
<< Dieci. >> rispose, deglutendo.
<< Okay, quindi non stai sognando. Ora dammi la mano ed alzati, okay? Così. >> replicò Scott, mentre si alzavano. Stiles si tenne ben ancorato all’amico.
<< Non riesco a leggere quello che c’è scritto sulla tua maglietta, Scott. Vedo tutte le parole sovrapporsi e… >>
<< Stiles, è solo un attacco di panico. >>
<< Non è solo un attacco di panico! >> urlò, staccandosi bruscamente da Scott. Alcuni studenti si voltarono a fissarli.
<< Stiles, abbassa la voce. >>
<< Sto impazzendo. Lui è tornato, non posso scappare. Dovrò farlo entrare di nuovo. >> disse. Scott scosse la testa. Stiles alzò lo sguardo verso di lui. << Dille che la amo. >>
Poi scappò via.
<< STILES! >>
Alla fine del corridoio, dietro le spalle di Scott, Lydia si sentì morire.
 
John li osservò parlare a lungo, le mani sui fianchi, fingendo di interessarsi profondamente alla storia che gli stava raccontando l’infermiera. A quanto pare, il suo fidanzato le aveva rubato un sacco di soldi, così aveva deciso di denunciarlo. Il problema era che era una chiacchierona (probabilmente lui l’aveva mollata per quello ed aveva anche fatto bene, pensò John), quindi anziché dargli un identikit gli stava propinando la storia della loro relazione. Avrebbe preferito tagliarsi le orecchie pur di non ascoltare ancora un’altra parola di quella storia malata, ma doveva continuare a fingere che gli importasse per poter spiare – no, controllare, perché lui non era mica un criminale ma un nobile servitore della legge – Melissa e Rafe che stavano discutendo come al solito di qualcosa. Ultimamente quella donna non riusciva mai ad essere felice e siccome a lui piaceva il suo sorriso (aveva dei denti bianchissimi, meravigliosi), avrebbe preferito che Rafe se ne andasse di nuovo senza più fare ritorno, lasciandola in pace. Invece no, lei gli andava ancora dietro e lui continuava a gironzolarle intorno. Lei lo faceva perché provava ancora dell’affetto per lui, perché aveva un animo gentile e lui perché non riusciva a stare senza di lei, dato che era una persona divertente, simpatica, estroversa… Insomma, se Rafe se ne fosse tornato di nuovo a quel paese o dove voleva lui, Beacon Hills sarebbe tornata ad essere un covo pieno di esseri sovrannaturali, ma privo di un uomo che non faceva altro che rendergli più difficile l’esistenza. E sì, perché mica dava fastidio solo a Melissa. No, troppo facile. Il caro Rafe dava fastidio anche a lui, dato che praticamente ogni mattina si trovava puntualmente nel suo ufficio alla otto del mattino per aiutarlo con i casi irrisolti (che nella testa di John suonava tanto come Tu sei un incapace, quindi tocca a me risolvere i tuoi casini). Siccome lui non era un poliziotto inesperto ed aveva anche una certa anzianità di servizio, finivano sempre per litigare, perché John ogni volta era costretto a mandarlo a quel paese almeno cinque volte prima della seconda tazza di caffè della mattinata. E attenzione: la giornata non era ancora finita.
<< Rafe, abbiamo finito per oggi o devi ancora tormentarmi con le tue assurde ipotesi sugli esseri sovrannaturali? Perché avrei da fare. >> replicò Melissa stizzita, le braccia incrociate al petto.
<< Melissa, tuo figlio stanotte è tornato a casa con dei peli di animale sulla felpa. >>
<< Perché quando fa qualcosa di apparentemente sbagliato è sempre mio figlio e mai tuo? Sai, queste cose si fanno in due, Rafe. Non dirmi che non te ne sei accorto. >> ribatté Melissa. John represse il bisogno di scoppiare a ridere. Rafe fece per replicare, ma Melissa continuò. << E fra parentesi, tuo figlio è uno di loro, quindi non dovrebbe stupirti. >>
<< Anche se fosse stato lui a trasformarsi, >> disse Rafe, abbassando la voce, << sarei comunque allarmato, perché vorrebbe dire che c’è qualche pericolo di cui non siamo al corrente. >>
<< E allora chiedilo a lui. >>
<< Ma non me lo racconterebbe di certo! >>
<< E credi che lo direbbe a me? >>
<< Sì, perché tu sei la madre! Ha più confidenza con te che con me! >> esclamò l’uomo.
Melissa strabuzzò gli occhi, sul punto di gridargli contro. John liquidò con un gesto la donna, Sarah Friser, che stava ancora parlando imperterrita e corse ad aiutare Melissa.
<< Melissa, ehi, potrei parlarti un secondo? >> domandò. Rafe gli lanciò un’occhiataccia, ma stranamente non disse nulla.
<< Sì, ma certo. >> rispose Melissa. Rafe sospirò, poi prese la via della porta e scomparì fuori dall’ospedale. << Grazie per avermi salvata. Stavo per tirargli un vaso in testa. >>
<< Figurati. >> disse John, alzando le spalle.
<< Torno al lavoro. >>
<< A-aspetta! >> ribatté John, mentre Melissa girava l’angolo. Lei si voltò, incuriosita. << Non è che ti… insomma… >>
<< John, ti stai comportando esattamente come Stiles. >> commentò Melissa, sorridendo.
John prese un bel respiro.
<< Ti andrebbe di uscire insieme a cena, stasera? >>
Melissa aprì leggermente la bocca, sorpresa. John si guardò intorno, maledicendosi mentalmente per essere stato così avventato. Be’, in realtà, aveva pensato di chiederglielo da qualche mese, ma alla fine non l’aveva mai fatto. L’ultima volta in cui era uscito a cena con una donna risaliva a molti anni prima, quando Claudia era ancora in vita.
<< Okay. >> rispose Melissa. John alzò un sopracciglio.
<< Davvero? Cioè, niente No, scusa, ho un’emicrania terribile o I nostri figli sono amici? >>
Melissa rise.
<< Veramente è proprio per questo: ho mal di testa per via di tutte quelle parole pronunciate da Rafe e mi farebbe bene uscire con un amico, mentre per quanto riguarda i ragazzi, Scott mi ha sempre detto che gli stai molto simpatico. >> replicò. A John parve di avvertire una leggere insinuazione in quelle ultime parole, come un messaggio segreto (Esci con lui così vi mettete insieme ed io divento il fratello di Stiles).
John alzò le spalle.
<< Bene. Stasera alle otto? >>
Melissa gli sorrise.
<< Stasera alle otto. >>
 
Derek venne ribaltato all’indietro con una forza straordinaria. Si rialzò a fatica, la schiena dolorante, per poi fiondarsi di nuovo contro Cecily. Quella donna era forte come il tronco di un albero. Sarebbe riuscita a buttare giù persino un muro di pietra. Donnie, il ragazzo moro, stava combattendo freneticamente contro Peter, che gli teneva testa, ma era già piuttosto stanco. Da quello che aveva capito, Cecily doveva aver fatto un patto col diavolo, ovvero con il Mago o con Deucalion. Magari anche con tutti e due insieme, dato che sembravano lavorare aiutandosi l’un l’altro. Sam e Paige erano invece dall’altra parte della stanza, dove non si vedevano che capelli biondi e movimenti veloci. Sembravano un tuono ed un fulmine che danzavano in una notte di pioggia. Sarebbe stata anche un’immagine romantica, se non fosse stato che Paige stava perdendo abbastanza sangue dal torace. Doveva fare in fretta per aiutarli entrambi. Non aveva il tempo per chiamare aiuto, doveva cavarsela da solo.
Si slanciò verso Cecily, riuscì a graffiarla sul braccio sinistro, poi la scaraventò contro la porta blindata. La lupa ringhiò ferocemente contro di lui, poi lo attaccò di nuovo, prendendolo per le spalle e cercando di scagliarlo via.
<< Perché vuoi Peter? >>
<< Non ti rivelerò niente! >> replicò Cecily, rigandogli la pelle con gli artigli. Derek avvertì un dolore profondo, ma cercò di non darlo a vedere.
<< Alleati con noi! Possiamo sconfiggerli! >>
<< No, invece! Saranno loro a distruggere voi! Datemi Peter e voi ne starete fuori! Fatemelo uccidere! >>
<< Non ne avresti il coraggio! >>
<< Davvero? >>
Cecily pompò i muscoli delle braccia, poi spinse Derek di lato, facendolo scivolare lungo il pavimento. Si diresse verso Peter e Donnie con passo deciso, gli artigli sporchi di sangue. Paige si girò per un secondo a guardarla e vide la determinazione nei suoi occhi. L’avrebbe ucciso. L’avrebbe fatto.
<< Derek! >> gridò, poi Sam la prese di peso e la scaraventò via.
Derek si alzò rintontito, ma ancora lucido. Vide Donnie spostarsi e lasciare spazio a Cecily. Osservò Peter deglutire, scivolare contro il muro del loft, il sudore sulla fronte e gli occhi consapevoli. Avrebbe potuto lasciarlo morire. Avrebbe potuto lasciare che Cecily lo uccidesse, lasciare che nessuno li cercasse più, lasciare che un problema del genere andasse via per sempre. Il tempo rallentò. Le sue palpebre si aprirono e si chiusero una volta in più. Non sentì la voce della coscienza. Non sentì la voce di Paige e nemmeno quella di sua madre. Non sentì niente. 
Avrebbe potuto lasciarlo morire.
Cecily ghignò, mentre Peter la pregava di non farlo, di risparmiarlo, mettendo le mani di fronte al volto per proteggerlo. Non guardò verso Derek e fu un bene, perché se l’avesse fatto lui non sarebbe riuscito a resistere. Sam si stava ancora occupando di Paige in quel momento, probabilmente e pensò di andare ad aiutarla, poi vide Sam essere scagliato a molti metri da lei e per poco non scoppiò a ridere. Gli prudevano le mani. Il tempo aveva ricominciato a scorrere e Cecily stava già graffiando ogni parte possibile del corpo di Peter, prima di tagliargli la gola. Voleva godersi il momento. Be’, Derek non gliel’avrebbe lasciato fare.
È vero, avrebbe potuto farlo, ma in quel caso non sarebbe stato diverso da quelli che stavano tentando di ucciderlo.
Uno scatto dopo, aveva preso Cecily alle spalle e l’aveva intrappolata. Lei cercò in tutti i modi di divincolarsi, ma non ci riusciva. Peter scivolò verso il pavimento, sedendosi, gli occhi pieni di terrore.
<< Se vuoi lasciare questa casa viva, ti conviene dirci quello che sai. >>
Cecily si divincolò dalla presa, gli occhi d’un rosso fiammante.
<< Hanno una donna dalla loro parte. È molto potente. >> disse Cecily, mentre Donnie e Sam si riunivano feriti alle sue spalle. << L’hanno catturata. Lei potrebbe far crollare il mondo. Non avete idea di cosa potrebbe succedere, se la corrompessero a tal punto da comandarla. >>
<< Scommetto che si chiama Persefone. >> replicò Paige, dietro di lei. Cecily strabuzzò gli occhi.
<< Come fai a saperlo? >>
<< Salta subito alla parte in cui ci dici cosa vogliono da lei e da Peter. >>
Cecily sorrise.
<< Per quanto riguarda Peter, lo vogliono morto e lo hanno chiesto a me perché sapevano che avrebbero potuto fare leva su mia figlia. L’avrebbero uccisa, se non l’avessi fatto. Per questo ho cercato di tenerla il più lontano possibile da me. Dovevo proteggerla. >> spiegò. << Per la Regina dei Morti invece, non so cosa dirvi. Hanno bisogno di lei per una profezia, ma non ne so niente. >>
<< Proteggeremo noi Malia. Hai la nostra parola. >>
<< Non ne dubito. >> replicò Cecily. << Mi chiedo solo: chi proteggerà voi? >>
Cecily sfiorò la spalla di Paige mentre avanzava verso la porta, gli altri due lupi alle sue calcagna. Uscirono allo stesso modo del fumo, invisibili e silenziosi, lasciando un alone di tristezza sparso per tutta la stanza.
<< Perché non hai lasciato che mi uccidesse? >> chiese Peter in un filo di voce. Derek sospirò.
<< Perché non sarebbe stato giusto. >> rispose. Poi andò in camera sua e Paige lo seguì. Peter non pronunciò un’altra parola per tutta la serata.
Avrebbe potuto lasciarlo morire.
Ma non l’aveva fatto.
 
***
 
<< Per chi ti stai facendo bella? >> chiese Scott, cercando in tutti i modi di sorridere.
<< Sto per uscire con… >> stava dicendo Melissa, di fronte allo specchio, poi si bloccò. << Vieni qui. >> disse, sedendosi sul letto. Scott staccò la spalla dallo stipite della porta ed avanzò verso di lei, sedendosi accanto alla madre.
<< Che succede? >>
<< Come la prenderesti se ti dicessi che stasera esco con il padre di Stiles? >>
Scott avvertì una specie di stretta alla pancia, come il cuore gli fosse appena crollato in fondo allo stomaco. Se non ci fossero state di mezzo tutte quelle complicazioni, si sarebbe persino goduto il momento. Al contrario, dovette sforzarsi di nuovo di sorridere.
<< Bene. >> rispose Scott, ma senza abbastanza convinzione. Melissa si guardò le mani.
<< Scott, se non ti va bene, io… >>
<< Mamma, credimi, è okay. Sono solo… stanco. Sono davvero stanco. >> replicò Scott, con gli occhi lucidi. Non si era nemmeno accorto della sua voce che lentamente si stava sgretolando. Melissa non sembrava essersi accorta di tutti questi dettagli, perché gli sorrise in modo incoraggiante.
<< D’accordo, se a te va bene, noi stasera usciremo insieme. >>
<< Certo. >> replicò Scott, alzandosi. << Divertitevi. >>
Melissa tornò a guardarsi allo specchio, armeggiando con i capelli che non ne volevano sapere di ridursi a meravigliosi boccoli e non in ricci selvaggi. Scott avanzò velocemente verso la porta, sperando di passare inosservato. Non aveva voglia di mentire di nuovo a sua madre, né tantomeno di farle capire che Stiles era scomparso e che non volevano dirlo a suo padre per non farlo preoccupare. Infatti aveva raccontato ad entrambi i genitori che quella sera sarebbero usciti insieme con gli altri ragazzi del gruppo.
<< Ehi. >> disse sua madre all’improvviso e Scott sudò freddo. << So che certe volte fingo di non aver capito che stai male, ma lo faccio solo perché non voglio costringerti a parlarne con me, se non vuoi. Quindi se c’è qualcosa che non va, ti prego di dirmelo. >>
Scott deglutì. Ecco, adesso sì che aveva davvero complicato tutto. Sua madre era incredibile: riusciva a capire sempre tutto. Scott aprì la bocca per parlare, ma suonarono alla porta.
<< Scott! >> gridò una voce femminile, quella di Lydia.
<< Devo andare. >> replicò Scott. Melissa gli sorrise.
<< Buona serata. >>
E lo sarebbe stata davvero, in un’altra occasione.
<< Anche a te. >>
 
Lydia scese dalla macchina ansiosa, le mani che stringevano le chiavi dell’auto con il portachiavi che Stiles le aveva regalato (una stella a cinque punte, perché lei era la sua stella) che non faceva altro che pizzicarle il palmo come fanno cinque aghi messi insieme. I suoi occhi erano rossi e stanchi e camminava a malapena su quei dannati tacchi. Allison le corse dietro, seguita a ruota da Scott.
<< Forse dovremmo dividerci. Io vado nel bosco, tu Lydia vai a scuola, mentre Allison lo cerca per strada. >> propose Scott.
<< No, non possiamo dividerci. Potrei perdere anche voi. Non posso perdere anche voi. Allison, non posso perdere anche voi. >> ribatté Lydia, con il cuore che pulsava nel petto in maniera dolorante. Allison si sentì male per lei.
<< Lydia, andrà tutto bene. Lo troveremo. >>
<< No, invece. >> disse una voce roca nascosta nel buio. Lydia strinse i pugni. << Dovete lasciare che torni. Ormai l’oscurità si è impossessata di lui. >>
<< Spero che Persefone sia morta. >> fece Lydia a denti stretti e le sue parole erano piene di una rabbia repressa. Ades guardò in basso, le mani nelle tasche dei jeans.
<< Mi dispiace, ma anche il tuo Stiles potrebbe esserlo, a quest’ora. >>
Scott si frappose tra i due.
<< Ehi, ma che diavolo stai cercando di fare? Sei dalla nostra parte oppure no? >>
<< Sto solo dicendo le cose come stanno. >>
<< Be’, non sei d’aiuto. Ragazze, andiamo. >>
<< Cercatelo dove lui ama essere trovato. >>
Lydia sbatté le palpebre, pensando intensamente. Probabilmente a scuola o a casa sua, dove diceva sempre che ogni oggetto profumava di lei e lui amava stare lì. Già, forse era andato a casa sua a cercarla!
<< Sai che è a casa mia? >> chiese Lydia, la voce lievemente febbrile.
<< No, ma io vorrei essere cercato lì. >>
<< A casa di Lydia? >> domandò Scott, confuso. Allison scosse la testa.
<< Nel posto che amo di più. >>
Lydia prese a correre verso l’auto e Scott assieme a lei. Allison esitò. Ades la osservò a lungo, aspettando in silenzio.
<< Dove sei stato per tutto il pomeriggio? >>
Ades scrollò le spalle.
<< Non ha importanza. >>
<< Hai cercato Persefone, non è vero? L’hai cercata nel posto che ama di più. >>
Lui annuì.
<< Sì, ma non l’ho trovata. >>
Allison gli sorrise.
<< C’è sempre speranza. La troverai. >>
<< Ho paura che qualcun altro l’abbia trovata prima di me. >>
<< Allison! >> sbraitò Lydia, suonando il clacson. << Muoviti! >>   
“Dille che la amo”.
<< Non è morta. Me lo sento. >> replicò Allison, poi andò dagli altri.
Ades alzò le spalle.
<< Lo spero, Allison. Lo spero davvero. >>
 
Anche io ti amo, Stiles.  








Angolo autrice:
Ehilà :)
Questo è il mio capitolo preferito fino ad ora, soprattutto per una parte: il ricordo di Peter. Era quello il punto cruciale in cui la musica combaciava benissimo con le parole. Non si sa molto sul passato di Peter, quindi questo mi permetteva di immaginare tutto ciò che gli è successo da giovane. Nella storia precedente già si era accennato quello che era accaduto: era stato fidanzato con la madre di Paige (Dalia) all'università, poi lei si era messa con Michael Cotton (il padre di Paige) ed infine era morta per la malattia che ha sconfitto Paige grazie al morso (Michael invece era stato ucciso da Peter, ma probabilmente sarebbe morto lo stesso per mano degli aguzzini a cui doveva dei soldi). Peter, Dalia e la madre di Malia erano stati amici durante quel periodo e poi be', alcune cose sono già state spiegate in questi ultimi due capitoli, quindi non le ripeto. La coppia Peter/Dalia mi piace molto, spero che li shippiate insieme anche voi :D
E poi finalmente si vede anche la coppia John/Melissa :3
Ovviamente quello che salta all'occhio è ciò che succede a Stiles ç_ç Questo è solo l'inizio, se ne saprà di più nei capitoli a venire.  
Ditemi cosa ne pensate del capitolo! :)
Grazie a tutti quelli che recensiscono, inseriscono la storia fra le seguite/preferite/ricordate, leggono e basta.
Alla prossima! 
Erule
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Hurting memories ***


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Consiglio di ascoltare "Feels like coming home" di Jetta, mentre leggete :D

Capitolo 5
Hurting memories
 
Melissa, seduta sul divano, si passò una mano fra i capelli stancamente. Ormai erano le quattro del mattino. Se Stiles avesse voluto farsi trovare, l’avrebbe già fatto. Si ricordava ancora di quando lei e Rafe uscivano di nascosto, perché sua madre aveva paura che lei corresse qualche pericolo a stargli vicino, dato che lui era un agente di polizia. Era sempre tutto così magico, avvincente, nuovo. Il mondo era capace di sparire per ore, quando stava con lui. Si arrampicavano in cima alla collina più alta della città e lui le mostrava tutte le stelle, inventandosi nomi assurdi per tentare di colpirla, facendola ridere. Non credeva che avrebbe mai potuto ritrovare una sensazione del genere, di pace e di allegria, eppure era successo. A distanza di molti anni, adesso aveva John. Quella sera era stata davvero divertente. John era brillante, simpatico, gentile e lei ne aveva avuto davvero bisogno.
A proposito di John, lui non stava affatto bene. Stava camminando per la stanza da almeno mezz’ora, chiedendosi dove fosse andato a cacciarsi suo figlio. Lei aveva già pensato a sgridare Scott e gli altri per non averne parlato loro, ma la paura di perdere Stiles (di nuovo) era troppo forte per poter lasciarsi andare alla rabbia.
La porta di casa si aprì senza neanche cigolare. John si voltò subito, preoccupato ma speranzoso, il cuore scalpitante nel petto. Lydia entrò fermandosi di fronte alla porta, Allison e Scott dietro di lei. John lesse il risultato delle ricerche sui loro visi affranti. Allison sembrava dispiaciuta, Scott era quasi arrabbiato con se stesso, più che altro perché si sentiva in colpa, ma Lydia… Lydia era tutta un’altra storia. Lydia non si reggeva più sulle gambe, aveva gli occhi grandi e rossi, ma non per il pianto, bensì per la stanchezza. Sembrava che stesse per crollare da un momento all’altro.
<< L’avete trovato? >> chiese John, tanto per smorzare la tensione, per dire qualcosa, perché quell silenzio maledetto lo stava facendo impazzire.
Lydia strinse le labbra, gli occhi lucidi che brillavano sotto la luce che filtrava dalla finestra di tanto in tanto, dato che la stanza era buia. Scosse la testa.
<< No. >>
E poi non parlo più, perché non ne aveva la forza. Allison le cinse le spalle con un braccio. Avrebbe volute dire qualcosa di rassicurante, davvero, ma intuì che ogni parola che avrebbe potuto pronunciare non avrebbe potuto fare altro che scivolare addosso come acqua corrente.
<< Faremo qualcosa. Lo troveremo. >> disse Scott, stringendo i pugni. << Fosse anche l’ultima cosa che faccio, giuro che lo troveremo. >>
<< Il problema è solo sapere come. >> replicò Ades, arrivando dal corridoio. Lydia alzò lo sguardo su di lui, sperando che non dicesse quello a cui stava pensando. << Se vivo o morto. >>
 
E allora no, in quel momento Lydia non ci vide più.
<< Chi sei tu per dirmi queste parole? Chi ti credi di essere? Sei solo una stupida imitazione di divinità greca che crede di essere il re del Regno dei Morti, ma andiamo, un idiota del genere non potrebbe mai esserlo! E stai inseguendo una chimera, solo perché è stata l’unica donna che ti abbia mai rivolto la parola. >> sbraitò Lydia, avanzando verso di lui.
<< Lydia, fermati. >> disse Scott. Per quanto gli facesse quasi piacere che finalmente qualcuno ne dicesse quattro ad Ades, capì che parlare male di Persefone era spingersi troppo oltre.
<< Ma da che parte stai, Scott? >> chiese Lydia, lo sguardo di fuoco tenuto puntato su Ades. << Non ha fatto altro che portarci guai da quando è arrivato! È venuto fino a casa mia per chiedermi aiuto e poi non fa altro che parlare male del mio fidanzato! Magari l’hai rapito tu, forse adesso sai persino dov’è e non vuoi dirmelo! >> urlò, spintonandolo.
Ades sospirò piano, cercando di mantenere la calma.
<< Lydia, so di non essermi comportato molto bene nei tuoi confronti, ma per favore, lascia fuori Persefone da questa storia. Tu non sai niente di lei e di certo non potresti mai, quindi lasciala stare. >>
<< Tu sei un pazzo, Ades! Porterai quella ragazza alla rovina! Il tuo amore per lei è tossico! Non la ritroverai mai. Perché non ti decidi a lasciarla in pace, una volta tanto? >> gridò Lydia, con gli occhi lucidi e rossi come il sole al tramonto. La tensione nella stanza si tagliava col coltello. Eppure, Ades non si scompose e la sua calma riflessa in una voce quasi spezzata, la fece rinsavire. E Lydia sprofondò ancora di più nel senso di colpa.
<< Perché sono innamorato di lei. >>
 
<< Per amore si fanno cose terribili. >> disse Persefone, le mani sulla pancia ed i lunghi capelli scuri sparsi sull’erba.
Ades continuò ad osservare il cielo trapunto di stelle. Aveva sempre amato guardarlo in silenzio, era come immaginare di avere tante amiche intorno a lui che erano sempre pronte ad aiutarlo. Avrebbe voluto guardare lei, ma ogni volta che lo faceva si perdeva nei suoi occhi e finiva per balbettare parole a caso.  
<< Come fai a dirlo? >> chiese solo, mettendo un braccio dietro la testa.
Persefone chiuse gli occhi, le labbra tremanti. Per fortuna che Ades non poteva vederla o si sarebbe vergognata a morte. Non voleva confessargli tutto, non adesso che l’atmosfera era così perfetta. Non voleva rovinare quello che c’era fra di loro. Aveva solo omesso qualche particolare della storia, non gli aveva mica mentito. Ma sapeva che Ades, una volta averlo scoperto, non sarebbe stato poi così clemente con lei. Le persone più dolci e calme sono anche quelle che quando si arrabbiano, sono capaci di perdere il controllo e di farti paura. E Ades faceva parte di quella categoria, per quanto non volesse darlo a vedere.
<< Okay, facciamo un gioco. >> disse Persefone, sedendosi. Ades lo notò e la imitò, incuriosito. << Descrivimi con le parole più belle che conosci. >>
Ades alzò un sopracciglio, confuso. Era impazzita totalmente? Da dove era uscito fuori quel gioco?
<< Sei… bellissima? >> tentò, insicuro. Persefone rise.
<< No, intendevo dire: descrivimi con le tue parole più belle. Trova un modo per parlare di me come se dovessi descrivermi ad uno sconosciuto. Cosa gli diresti? >>
Ades si grattò un braccio, indeciso. Avrebbe potuto usare davvero tutte le parole del mondo per descrivere Persefone, ma non sarebbero bastate. Sarebbero state insulse, banali, già sentite. Come avrebbe potuto farle capire cosa provava quando stava con lei, come il suo cuore si bloccava in un punto imprecisato fra petto e stomaco quando la baciava o quanto si sentisse fortunato ad averla incontrata?
<< Non lo so, Persefone. Io potrei usare mille parole per descriverti e credo che non sarebbero mai abbastanza belle quanto te. Le sprecherei inutilmente. >> replicò Ades. Persefone lo guardò intensamente, mentre il vento faceva arricciare la sua gonna lunga. << Io amo le stelle. Mi tengono compagnia quando sono da solo e brillano anche quando noi non possiamo vederle. Tu sei bella come una stella, sei splendente come una stella e lo sei anche quando io non ti guardo e lo so, perché gli altri ragazzi ti guardano come ti guardo io e non è un modo molto casto di guardarti, te lo assicuro. >> spiegò. Persefone sorrise, le guance lievemente rosse per l’imbarazzo. << Ma la cosa che amo di te, la cosa più bella di te è che tu ne sei consapevole, ma non ti interessa. Tu cammini per i corridoi e tutti si voltano per guardarti, ma tu non ci fai caso. Quando ti vidi per la prima volta, pensai che fossi una dea e lo sei, ma pensai che fossi l’incarnazione di Afrodite, la dea dell’amore. Tu mi fai innamorare ogni giorno della mia vita e credo che persone del genere siano davvero rare da incontrare. Quindi, se ti dovessi descrivere a qualcuno che non ti conosce, io non potrei farlo, onestamente. Gli direi solo di guardarti, perché con me ha funzionato. Ti ho vista e mi sono innamorato di te. Non so se quello che dico ha un senso, forse ha senso solo per me, ma davvero Faith, tu sei la stella più fulgida e sei mia. Non potrei chiedere di più. >>
Persefone deglutì, ma il groppo in gola non la faceva respirare comunque. L’aveva anche chiamata Faith, il suo nome da “umana”, il suo nome prima di sapere da sua madre Demetra (che non era la dea dei Greci, ma solo una sua lontana parente) che lei era la discendente di Persefone. Si guardò le mani, senza parlare. Non ne era più in grado ormai dopo tutto quello che le aveva detto Ades, parole stupende, ma anche perché aveva bisogno di raccogliere le idee per fargli capire che anche per lei era lo stesso, ma non voleva sembrargli ripetitiva.
<< Per amore si fanno cose terribili, Ades. >> fece Persefone. << Innamorarmi di te è stata la cosa più terribile che potessi fare. >>
 
John si avvicinò ad Ades con le mani sui fianchi, riuscendo a stento a mantenere la calma.
<< Ascoltami bene, ragazzo: mi hanno parlato di te, so chi sei, ma questo non ti dà il diritto di parlare in questo modo di mio figlio o di rivolgerti così a Lydia. Qui tutti stiamo cercando di aiutarti e di fare qualcosa per trovare Stiles contemporaneamente, quindi per favore, non farmi perdere le staffe, perché non ne ho la forza. >>
Ades abbassò il capo, annuendo.
<< Ha ragione, signore. Mi perdoni. >> replicò. << Vorrei dire solo un’ultima cosa, in ogni caso. Mi scuso in anticipo, signore, ma mi creda: lo faccio per il vostro bene. Probabilmente è già morto, Lydia. Arrenditi. Non c’è cosa peggiore della speranza: prima ti illude, poi ti uccide. È come un amante che non ti lascia in pace. >>
Lydia aprì la bocca per rispondere, ma Scott la portò via prima che potesse farlo. Era troppo stanca per cantargliene quattro, ma niente le vietava di mandarlo poco gentilmente a quel paese.
Allison prese Ades in disparte, trascinandolo in un angolo lontano dagli altri. Fu solo il pensiero di Lydia a non farla cedere. L’avrebbe fatto a pezzettini, se solo l’avesse potuto, ma non voleva procurare a Lydia altre preoccupazioni. Era pur sempre il discendente di un dio greco. Chi le diceva che l’ra del vero Ades non si sarebbe scaraventata contro di lei come un’auto in corsa?
Lo mise con le spalle al muro, ponendosi di fronte a lui con gli occhi che brillavano sotto la luce, sfavillanti d’ira.
<< Si può sapere cosa diavolo ti prende? Le hai chiesto di aiutarti a ritrovare Persefone, lei ha accettato, il minimo che potresti fare è trattarla bene, no? >> disse. Ades dischiuse le labbra, ma Allison non gli diede il tempo di continuare. << Non ho ancora finito. Lydia ne ha passate tante, in parte anche a causa mia, è la mia migliore amica ed una brava persona, non puoi trattarla in questo modo. Di certo, io non te lo permetto. >>
<< Allison, il suo ragazzo sta correndo un grosso pericolo. Potrebbe trasformarsi in qualcosa che non è. Se Lydia lo lascia perdere adesso, forse non soffrirà così tanto e lo dimenticherà presto. >> ribatté Ades, poi fece un passo in avanti, ma Allison lo rigettò contro il muro con un braccio.
<< Non hai sentito? Ho detto che non ho ancora finito. >> ringhiò.
Ades le strinse un polso e la spinse via, più frustrate che arrabbiato.
<< Se il Nogitsune è tornato dal Mondo dei Morti, può saperlo solo Persefone, perché lei ha accettato il dono, mentre io no. Quando tu sei uscita, Persefone ti ha vista. >> spiegò. Allison lo guardò bene, lo guardò negli occhi e lo vide veramente per la prima volta. È buffo quando accade, perché ti rendi conto che solo in quel momento hai capito più cose della persona che ti sta davanti, che mai. << Se lo lascia andare adesso, sarà meglio per lei. Credimi. >
Allison si accarezzò il polso. Ades fece per andarsene, ma qualcosa nella voce della ragazza lo fermò.
<< Sei tu che hai perso la speranza, non è vero Ades? >> chiese Allison. << Non l’hai trovata e adesso credi di averla persa per sempre. Se la ami, non dovresti perdere la speranza. >>
<< Non è questo il problema, Allison. >> replicò Ades, quasi come punto nel vivo. << Io sono inamorato di lei, sono perso senza di lei, sarei morto senza la sua protezione, non potrei vivere se non avessi Persefone al mio fianco! >>
<< Il tuo amore per lei è… >>
<< Non è malato, Allison. >> disse Ades, prima che lei potesse finire, ricordando le parole di Lydia. << Lei è mia moglie, Allison. Non posso smettere di amarla. Anche se mi fa troppo male, non potrei nemmeno se volessi. >>
Poi uscì dalla stanza silenziosamente, ma le ossa sembrarono sgretolarsi ad ogni passo che faceva. Pregò di diventare presto cenere, di unirsi alla polvere, pur di non vedere il cadavere della sua adorata amata.
 
Allison entrò nel salone e si avvicinò a Scott, notando l’ora tarda sull’orologio. Le sfuggì un lieve sorriso. Era mercoledì ed era l’alba. Scott le accarezzò la schiena, sospirando. John e Melissa stavano seduti sul divano, Lydia era in cucina, mentre Ades era scomparso chissà dove. La ragazza sorrise lievemente, sebbene il cuore le pesasse nel petto come un macigno.
 << Lydia, è già mattina. Buon compleanno. >> disse Allison.
Lydia la guardò sorpresa, poi fece un sorriso di scherno, prendendo in mano una bottiglia di vino rosso. Aveva appena trascorso la note più lunga della sua vita. Tirò su la bottiglia di vetro, come in un brindisi, poi buttò giù un lungo sorso.
<< Tanti auguri a me. >>
 
***
 
Erano le sei di pomeriggio. Gli invitati sarebbero arrivati per le sette, quindi lei aveva tutto il tempo per ultimare i preparativi. Era già andata dal parrucchiere, si era vestita con quell’abito azzurro che le aveva regalato Stiles, si era truccata. Si guardò allo specchio e non vide Lydia Martin. Quella ragazza che conosceva era scomparsa, smarrendosi, perché senza Stiles lei non era più Lydia Martin. Ed era questa la verità e non c’è vergogna in questo, perché senza le persone che ci amano o che ci hanno aiutato a crescere, noi adesso non saremmo chi siamo. Nel bene o nel male. E Stiles l’aveva resa migliore. Era persa. Era persa e basta. Avrebbe voluto annullare la festa, ma quando aveva visto casa sua addobbata, dopo tutto il lavoro che ci aveva messo Allison, le era mancato il coraggio. Si disse che era giusto così, che forse una festa l’avrebbe aiutata a distrarsi, che magari Stiles sarebbe tornato da solo a mezzanotte e le avrebbe confessato che era stato tutto uno scherzo. Oh, sarebbe stato divertente. Sarebbe stato liberatorio. Almeno avrebbe potuto piangere. Invece adesso no, lei non poteva piangere. E non solo perché ci aveva messo tre ore per truccarsi, ma anche perché doveva essere forte. Lydia Martin era forte, allora lei, che era una parte di Lydia, quella senza Stiles, doveva essere coraggiosa almeno la metà di quella ragazza.
<< Lydia. >> disse una voce dietro di lei. Lydia sobbalzò leggermente sulla sedia, poi si voltò.
<< Ehi, Scott. >>
<< Non volevo spaventarti, scusami. Stai… benissimo. >>
Lydia alzò le spalle.
<< Ho messo la prima cosa che ho trovato. Sembra che le parole ti escano dalla bocca come se fossero chiodi che ti fanno male. >>
Scott deglutì, abbassando lo sguardo.
<< Devo andare. Volevo solo farti gli auguri. >>
Lydia si alzò, confusa.
<< Che stai dicendo? C’è la festa. Per quanto non mi vada, non posso annullare gli inviti ora. È troppo tardi. >>
<< Ho da fare all’università. Paige ha chiesto di fare una ricerca e devo finirla in fretta. >>
<< Scott, Paige ci conosce. Credo che ti perdonerà se… >>
<< Non posso costringerla a fare favoritismi. >> la interruppe Scott. << Mi dispiace. Auguri. >> disse, poi si voltò per andarsene.
<< Sei un codardo. >> disse Lydia, stringendo lentamente i pugni. << Non c’è nessuna ricerca, Paige è anche la mia insegnante, lo saprei. Vuoi solo allontanarti, perché ti fa troppo male. Non posso crederci. Sai una cosa, Scott? Anche a me fa male, mi fa male da morire, ma non posso lasciare che il dolore abbia il sopravvento su di me o finirei per annientarmi. >> continuò la ragazza, con le guance rosse. Scott fece scivolare una mano sullo stipite della porta, ancora girato dall’altra parte. << Stiles avrebbe trovato una soluzione, se tu fossi stato al suo posto. Ti credevo migliore di così. Sei solo come tutti gli altri. >>
Lydia abbassò lenta lo sguardo verso terra, triste. Poi Scott lasciò la stanza, scese le scale ed infine lasciò sbattere la porta alle sue spalle.
 
<< Ti consiglio di inventarti qualcosa al più presto o ti spedisco fuori da questa casa a calci. >> lo minacciò Derek, sbattendo le mani sul tavolo.
<< Ci sto provando! Mi piacerebbe solo evitare di sentire la tua voce petulante nelle mie orecchie per tutto il tempo! >> sbraitò Peter, seduto, con gli occhi puntati sul foglio bianco.
Paige aprì la porta del loft furiosa, poi uscì facendola sbattere dietro di lei. Derek sbuffò, mentre raggiungeva il divano dove avrebbe voluto sprofondare. Peter lo stava esasperando. Paige non sopportava più i loro litigi, così aveva deciso di lasciarli da soli e di andare alla festa di Lydia. Lui, al contrario, sarebbe dovuto rimanere a casa con Peter per elaborare un piano di attacco. Certo, sarebbe stato carino conoscere quello che avevano architettato il Mago e Deucalion contro di loro, ma stava cercando di non lamentarsi troppo. Alla festa avrebbero partecipato anche Malia, Kira, Jordan ed Isaac. Tanto per far vedere che andava tutto bene. Per lui suonava tanto come “Non vi preoccupate, Derek non ha bisogno di divertirsi, può benissimo fare da baby sitter a Peter per tutta la notte”, ma ehi, la sua ragazza era dalla sua parte, no? Sempre meglio di niente.
<< Allora? >>
<< Devi lasciarmi pensare. C’è qualcosa che hanno detto, mentre pensavano che non stessi ascoltando. C’è qualcosa. C’è sempre qualcosa. >> rispose Peter, la testa fra le mani.
Gli occhi saettarono per tutto il foglio, pensando, pensando, pensando. E poi eccola lì, la miccia che una volta accesa avrebbe fatto esplodere la bomba.
 
Non conosceva praticamente la buona metà degli invitati, ma non c’era alcun problema, lei avrebbe dovuto solo sorridere ad un altro paio di invitati e poi correre in camera sua a mettere Gossip Girl su Netflix. Accidenti, quanto le piaceva il personaggio di Blair! Così dannatamente alla moda ed autoritaria, ma anche dolce e spensierata quando ci voleva. Le ricordava qualcuno.
<< Non pensare di poter sgattaiolare via per vedere Gossip Girl, perché ho staccato tutte le spine dalle prese che hai di sopra. >> le bisbigliò Allison all’orecchio, porgendole un bicchiere di spumante. Lydia sbuffò. << Auguri, vecchietta. >>
Allison le schioccò un rumoroso bacio sulla guancia.
<< Cin cin! >>
Allison bevve un sorso, poi lo sguardo le cadde lontano, dove c’erano Malia ed Isaac che si stavano presentando. Le scappò una risatina. Se si fossero messi insieme, sarebbe stata la coppia del secolo: determinata, arrogante, vincente. Fra l’altro, lei non avrebbe più avuto Isaac a seguirla per tutti i corridoi dell’università fingendo di trovarsi lì per caso e Lydia non avrebbe più dovuto lamentarsi di Malia. Un piano perfetto.
<< Ehi, guarda quei due. >> disse, dando un colpetto a Lydia.
<< Oh cielo, non posso credere che ad Isaac piaccia quella gatta morta! >> esclamò Lydia, sorseggiando il suo spumante.
<< Dai Lydia, guarda che Malia non è così male. >>
<< Sì e allora io sono Blair Waldorf. >> replicò Lydia, poi si allontanò in direzione del tavolo con le vivande.
 
<< Guarda qui. >> disse Peter, srotolando la mappa. Indicò Beacon Hills con un dito, poi cerchiò l’università con un pennarello rosso. << Se loro riuscissero ad attirarci tutti qui sotto, sarebbe molto semplice ucciderci tutti, non credi? Il loro piano non è quello di uccidere me o Scott, ma tutti noi perché in qualche modo ognuno di noi ha contribuito a rovinare le loro macchinazioni. Se ci attirassero in un luogo chiuso tutti insieme, potrebbero ucciderci molto facilmente. >>
<< D’accordo, ma come farebbero? Usando Stiles? >>
<< Ricordo perfettamente Deucalion che diceva Lo useremo per ucciderli tutti. Deve riferirsi per forza a Stiles! Lo hanno appena rapito o chissà cosa gli hanno fatto, quindi è arrivato il momento per colpirci! >>
<< E se invece si riferesse a qualcun altro o a qualcos’altro? È sicuro che succederà lì dentro? >>
<< Derek, ascoltami: ogni maledetta scuola qui a Beacon Hills nasconde un posto appartenente agli Hale da generazioni. Sotto l’università c’è una camera piena di nostri documenti molto importanti, ma che per loro sono solo scartoffie. Sono stato io a far costruire quell’edificio, so benissimo cosa nasconde. >>
<< Perché l’hai fatto? >>
<< Per nascondere quelle carte, ma non ci interessano in questo momento. Lo faranno, perché è ciò che farei io. Gli ho dato l’idea, perché è la migliore per uccidere il tuo amico colpendolo al cuore. Quel posto è tutto per la nostra famiglia. È ingiusto, ma se vuoi avere la tua vendetta, devi colpire il tuo nemico al cuore. >>    
Derek sospirò.
<< D’accordo, ma lo faremo a modo mio. Dobbiamo avere un piano B. Andremo lì sotto prima di loro. >>
<< Sono sicuro di quello che dico: Stiles è rinchiuso lì dentro. Ci uccideranno. >>
Derek arrotolò la mappa fra le mani, sorridendo.
<< Se ho capito come pensa la mente del Mago, io credo invece che Stiles tornerà presto. Lui ama le cose teatrali, giusto? E allora diamogli la teatralità. >>
 
Paige si avvicinò a Malia con un bicchiere di ponch fra le mani. Era, in qualche modo, l’unico legame che aveva davvero adesso, dato che Derek aveva la testa da un’altra parte per via di Peter. Non che lo biasimasse, solo che anche lei si sentiva abbastanza confusa e smarrita per tutta quella storia con Cecily ed i suoi genitori. Avrebbe voluto perlomeno sapere com’era andata a finire, cos’aveva fatto suo padre, se sarebbe morto comunque. Forse poteva non essere stato una brava persona, ma era pur sempre suo padre. Lei portava il suo cognome. Sarebbe stato fiero di lei? Aveva avuto i capelli biondi come lei? Aveva davvero amato sua madre? Era possibile che le mancasse una persona che non aveva mai conosciuto? O le mancava l’idea che si era fatta di lui fin da bambina: un brav’uomo, alto, gli occhi verdi ed i capelli biondi? E sua madre? Era stata davvero una bellezza da mozzare il fiato, come le aveva raccontato Peter o lo era stata solo agli occhi dell’unico uomo che l’aveva amata veramente? E dire che sarebbe potuta essere figlia di Peter e così non avrebbe mai potuto stare con Derek. Forse era quello il disegno del destino e degli dèi greci: far andare le cose in quel modo in passato, così che potessero andare diversamente in futuro. Dopotutto, una Hawthorne si era comunque innamorata di un Hale e fidanzata anche. Chissà cos’avrebbe detto sua madre…
<< Paige, ciao. >> esordì Malia, avvicinandosi a lei. << Ho saputo di mia madre. Mi ha lasciato una lettera. Derek è stato grandioso. Dice che le ha tenuto testa. >>
Paige alzò le spalle.
<< Credo che sia il gene degli Hale: se vuoi una cosa, te la prendi. E lui ha riconquistato la tua libertà. >>
Malia annuì.
<< Be’, grazie per averlo fatto. >>
<< Figurati. >> replicò Paige. << Andiamo, Lydia sta aprendo i regali. >>
 
Le stelle non avevano più niente da dirgli, se non forse che Persefone non sarebbe più tornata. L’aveva cercata nella chiesa in cui si erano sposati, ma niente, lei non c’era. Aveva girato tutti i paesi vicini in auto, ma non c’era traccia di lei da nessuna parte. Avrebbe solo voluto tagliarsi il cuore e bruciarlo nel bosco, così da non soffrire più. Gli veniva da piangere. Il cuore gli era ormai sprofondato nello stomaco e non ne voleva sapre di risalire in superficie. Certo, se avesse accettato il dono, adesso avrebbe potuto controllare se lei era nel Mondo dei Morti. O forse non l’avrebbe fatto comunque, perché sapere che lei non era più viva, l’avrebbe fatto morire.
Ricordava ancora i tempi dell’università, quelli in cui lei era felice ed allegra, senza pensieri, quasi superficiale. Poi, una volta saputo chi era davvero, era diventata cupa, fredda, scostante. Quell’orribile donna di sua madre le aveva quasi imposto di accettare chi era davvero, l’aveva convinta e da quel momento in poi, Faith era diventata Persefone e lui l’aveva seguita all’Inferno. In tutti i sensi. Aveva visto l’Ade, dove avevano consolidato la loro unione. Solo in quell momento, la scintilla negli occhi della sua amata era stata quella di un tempo, ma solo per poco, poi i suoi occhi erano divenuti di nuovo scuri come l’oblio. Però erano sempre rimasti insieme, sempre e comunque, contro qualsiasi cosa. Anche dopo quel segreto. Persino dopo la litigata, quando aveva smesso di cercarla per un breve periodo. Si levò piano l’anello al dito, facendolo brillare sotto la luce della luna. Quando Persefone non c’era, lei brillava lo stesso. Il problema era che lui non era con lei.
E adesso gli mancava.     
 
<< Sono caduta in basso così tante volte, che contarle sarebbe un’impresa. C’è solo un punto fermo nella mia vita ed è il punto in cui ti trovi tu. Sempre. Sei la bussola che punta sempre verso nord, sei… io non so parlare, Ades. So solo buttarti addosso tutta la mia malinconia, trascinandoti nei miei casini. Credo che sopportarmi sia un’impresa, ma tu lo fai benissimo. Ed io ti amo, perché riesci a rendere bella qualsiasi cosa e mi coinvolgi come se appartenesse anche a me. >> disse, poi la voce crollò. << Io non mi sono mai sentita così felice. Mai. >>
Ades l’abbracciò, stringendola forte a sé. Erano due pazzi, completamente fuori di testa, dannatamente innamorati l’uno dell’altra per motivi diversi e quasi contrastanti, ma pur sempre veri.

<< Siamo davvero una bella coppia. Io sono la bussola e tu sei la stella. Ci completiamo a vicenda. >>
Ades avvertì la schiena di Persefone scuotersi, segno che stava ridendo. Non avresti mai potuto dire a cosa assomigliava la risata di Persefone, ma a lui era sempre sembrata simile al canto delle rondini, perché lei sorrideva solo in primavera, il tempo in cui Demetra poteva rivedere sua figlia.
<< C’è una cosa che ti devo dire, Ades. Ma non lo farò adesso. >>
Ades annuì.
<< Prenditi tutto il tempo che vuoi. >>
 
Lydia chiuse gli occhi, poggiando il mento fra le mani. La serata era finita e tutti erano andati a casa. Si era seduta di nuovo di fronte allo specchio, guardandosi. La festa era passata molto velocemente, quasi come se lei non fosse stata nemmeno lì. Isaac e Malia sembravano aver fatto amicizia, Jordan si era seduto in un angolo con una bottiglia di vino, Kira si era ritirata chissà dove (probabilmente davanti alla tv in cucina) per poi ricomparire a fine serata dal nulla, mentre Allison aveva cercato di tirarla su in tutti i modi. Apprezzava quello che stava facendo per lei, sul serio, ma stare lì dentro senza poter muovere un dito la stave facendo impazzire. Doveva tornare lì fuori, doveva trovarlo, anche morto, ma doveva trovarlo. Doveva perlomeno piangerlo. Doveva averne il diritto.
<< Ehi. >>
Si alzò di scatto, voltandosi. Guardò in direzione della porta. Scott se ne stava appoggiato con una spalla allo stipite, Allison di fianco a lui con una mano sulla sua schiena.
<< Ciao. >> disse Lydia, troppo stupita per dire alcunché. C’era qualcosa di strano in quel quadretto. Era come se fossero d’accordo su qualcosa.
<< Non sono andato all’università, stasera. Non sono nemmeno tornato a casa, a dire il vero. >> affermò Scott. Lydia rimase in silenzio. << Sono andato a cercare Stiles. Ho vagato per ore in auto, ore, ma non l’ho trovato. E non te l’ho detto, perché altrimenti saresti voluta venire con me e non potevo permettertelo. Ognuno ha i suoi problemi da risolvere, Lydia. E per quanto Stiles sia la persona che tu ami di più adesso, non potevo scaricarti addosso anche questo peso. Dovevi distrarti. È per questo che ho lasciato qui Allison, mandandole un messaggio ogni ora per tenerla aggiornata. >>
Lydia fece scivolare le dita lungo i fianchi, aggiustandosi il vestito.
<< Non avevi il diritto di scegliere per me. >>
<< Lo so, mi dispiace. >> fece Scott. << Però un buon leader è quello che sa qual è il meglio per i propri compagni e tu avevi bisogno di non pensarci. So che non l’hai fatto, ma credimi, se ti avessi portata con me sarebbe stato peggio. Volevo solo risparmiarti un’ulteriore sofferenza. >>
Lydia annuì.
<< Grazie, ma la prossima volta preferirei che mi interpellassi. >>
<< Certo. Lo faro. >> replicò Scott. << Lo sceriffo è ancora in giro a cercarlo, comunque. Spero che le sue ricerche siano meno inconcludenti delle mie. >>
Lydia si inumidì le labbra, gli occhi lucidi.
<< Anche io. >>
 
***
 
Lydia si svegliò con i piedi gelati. Sì, è così, gelati. Si stropicciò gli occhi, poi accese la luce. Ah, ecco spiegato il motivo: quella dannata coperta si era rotolata sul pavimento. Alzò le spalle. Ormai era sveglia, tanto valeva guardarsi un po’ di Gossip Girl con il piatto della torta in mano per riaddormentarsi. Andò in cucina, prese la torta e si avviò di nuovo per le scale. Poi tornò al piano di sotto, perché uno strano presentimento le attanagliava lo stomaco. Non aveva davvero visto il suo tappeto, il suo meraviglioso tappeto, macchiato di qualcosa che sembrava vino, vero? Vero? No, Lydia doveva andare a dormire. Non poteva perdere tempo a piangere sul tappeto o lo avrebbe bagnato di lacrime e ci mancava pure quello. La tintoria le avrebbe chiesto il doppio dei soldi e non se lo poteva permettere. Così spense la luce ed avanzò verso le scale.
Bussarono alla finestra. Si fermò di colpo, nel bel mezzo del salotto con il sangue che le scorreva intimorito nelle vene. Il vento ululò fuori dal balcone, facendo tremare i vetri. Ma sì, era quello. Chi bussa alla tua porta alle quattro del mattino? Riprese a camminare.
Lydia!
No, no, no. Questa non poteva essere una coincidenza. Okay, possibilità numero uno: fuori di casa sua c’era un cadavere e le voci la stavano chiamando. Possibilità numero due: fuori non c’era un bel niente. Possibilità numero tre: era pazza da legare. Possibilità numero quattro: c’era effettivamente qualcuno che la stave effettivamente chiamando. Decise di andare a vedere. Tornò al piano di sopra velocemente, calzò le pantofole, mise la vestaglia, prese la sua amata mazza da baseball e tornò di sotto. Avanzò verso il balcone in punta di piedi, poi alzò la tapparella con il pulsante e… piano piano, la figura di un uomo si fece ben visibile ai suoi occhi, dai piedi, alle gambe, fino ad arrivare al tronco ed infine alla testa. La mazza le cadde dalle mani. Per poco non svenne. Non era un uomo, era molto più giovane. Era un ragazzo. Era il suo ragazzo.
Aprì il balcone e di colpo, tutta la tristezza provata fino a prima, tutta la rabbia, l’amarezza, la paura erano scomparse. C’era solo l’odore della pioggia e gli occhi caldi di Stiles. Gli gettò le braccia al collo, sorridendogli.
<< Dove sei stato? >>
Stiles le posò un bacio sulla fronte.
<< In posti che odiavo. >> rispose Stiles, sorridendo. << Ovunque tu non ci fossi. >>
Poi l’abbracciò, stringendola così tanto forte a sé da poter sentire il suo cuore battere all’unisono con il proprio.
     








Angolo autrice:
Ciaooo :)
Che ne pensate del capitolo? Stiles è tornatooo! Apparentemente non è successo niente, ma si scoprirà di più, non temete.
Però si viene a sapere qualcosa in più sul passato di Ades e Persefone. Vi piace questa coppia? A me piacciono molto insieme, li trovo carinissimi :3
Sul Mago e Deucalion si saprà tutto fra non molto, comunque. Qui si cominciano solo ad interpretare i segnali. Questo è un capitolo di passaggio, seppure lungo ed in cui accadono un po' di cose importanti, ma era importante soprattutto far capire come fosse il rapporto fra Perfesone ed Ades. E poi devo dire che il personaggio che risalta di più è Lydia: distrutta, fragile, sarcastica, felice. Ha un moltissime sfaccettature che si sono viste nella quarta stagione più che nelle altre, secondo me (oltre che nella tre, comunque), come quando si vede la sua tristezza per non essere riuscita a salvare Allison (più o meno velata) quando asoclta le voci, quando le cadono i bicchieri di vino fra le mani o quando dice che Scott non è un mostro.
Grazie a tutti quelli che recensiscono o inseriscono il capitolo fra le preferite/seguite/ricordate, i lettori silenziosi.
Alla prossima!
Erule

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Make it rain ***


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Consiglio di ascoltare "Make it rain" di Ed Sheeran :D

Capitolo 6
Make it rain
 
Erano giorni che non dormiva così bene. Anzi, erano giorni che non dormiva e basta.
Si era alzata con la sensazione che quella sarebbe stata una bella giornata. Due secondi dopo, aveva sentito un botto proveniente dal piano di sotto e siccome il suo fidanzato appena tornato da chissà dove non era più sotto le coperte, fece due più due. E due più due faceva Stiles.
Alzò gli occhi al cielo, poi scese le scale ed entrò in cucina.
<< Buongiorno, tesoro. >> esordì sua madre con in mano una tazza di caffè ed un sorriso assassino sul volto.
<< Buongiorno, mamma. Cosa sta succedendo? >>
<< Ho visto qualcuno che si aggirava per il salotto, così ho urlato e lui è caduto all’indietro, ha fatto una capriola sul divano e poi si è accasciato sul tappeto. >> spiegò la donna. << Coprendo fra l’altro quell’orribile macchia di vino risalente a ieri sera. >> disse, poi alzò la voce per rivolgersi a Stiles, che stava ancora steso sul tappeto. << Stiles, caro, non è che potresti rimanere lì come un carinissimo soprammobile? >>
Stiles mugolò qualcosa di inudibile in risposta.
<< Certo, signora. Tanto non ho nessuna intenzione di muovermi da qui. >> rispose.
Lydia sbottò.
<< Oh, per l’amore del cielo, Stiles! >> esclamò, andando in salotto e ponendosi di fronte a lui con le mani sui fianchi. << Alzati immediatamente da terra o giuro che ti faccio calpestare da una mandria di elefanti. >>
<< Lo vorrei tanto tesoro, intendo alzarmi, non venire calpestato da una mandria inferocita di elefanti, ma non ci riesco. >>
Lydia ghignò.
<< Ah, sì? Allora vorrà dire che ti dovrò far alzare io. >> disse. << Non vorrai certo farmi andare all’appuntamento con Parrish da sola, vero? >>
 
Derek continuò a sorseggiare il suo caffè appoggiato al bancone della cucina, senza dire una parola. Si era svegliato da poco, così aveva ancora indosso un paio di pantaloni da ginnastica ed una canottiera come pigiama ed i capelli scompigliati dal sonno. Continuò ad osservare Paige di sottecchi, che stava seduta al tavola mentre leggeva un giornale. Lei, al contrario di lui, era già vestita di tutto punto, con la giacca e la gonna stirate per andare all’università, i capelli biondi stretti in una coda di cavallo. Sapeva che le cose fra di loro non andavano più bene come un tempo, da quando era ricominciata tutta quella storia di Peter e dei suoi genitori. Era bastato davvero poco a rompere le loro abitudini, i loro discorsi appena svegli, i loro abbracci. Era vero, ultimamente lui aveva avuto la testa da un’altra parte e l’aveva allontanata senza volerlo. Non aveva dovuto offenderla o scostarsi da lei, aveva semplicemente cambiato il suo atteggiamento nei confronti delle altre persone in maniera più negativa del solito. Insomma, non ci voleva un genio per capire che fra di loro il meccanismo non girava più.
<< Io vado. >> disse Paige, alzandosi. Prese la borsa dalla sedia, gli diede un veloce bacio sulla guancia, poi uscì dalla cucina. << Ci vediamo a pranzo. >>
<< Paige, aspetta. >> ribatté Derek, dopo aver posato la tazza di caffè sul tavolo ed averla raggiunta in salotto. Paige si voltò, curiosa. << Non è che potremmo parlare? >>
 
<< Stiles, mia madre non ti odia. È solo che non le piaci particolarmente, tutto qui. Però lei sa che tu mi rendi felice e questo per lei è importante. >> disse Lydia, camminando velocemente nella via dei negozi.
Stiles alzò le spalle, le mani in tasca.
<< Sarà pure come dici tu, ma io non ne sono convinto. Scommetto che preferirebbe mille volte Parrish a me. Solo perché lui ha più muscoli di me, ma andiamo! Se avessi fatto il militare, e non l’avrei fatto comunque, lei mi amerebbe! >>
Lydia si fermò e si girò, alzando un sopracciglio.
<< Perché ti importa tanto di quello che pensa mia madre? Tu stai con me, okay? Non con lei. Non devi piacerle per forza. Anzi, se non le piaci è anche meglio. Così posso infastidirla baciandoti nel salotto. >>
A quelle parole, negli occhi di Stiles ci fu un guizzo. Lydia non avrebbe saputo dirne il motivo, ma era strano. A Stiles non capitava mai di guardarla in quel modo. Un brivido freddo le corse lungo la spina dorsale, irradiando la schiena di scariche elettriche.
<< E come mi baceresti? >> chiese, facendo un passo verso di lei. << Voglio dire, in maniera dolce e casta o passionale e bruciante? >>
Lydia balbettò, interdetta. Che domande erano? Si ritrovò a sbattere con la schiena contro il muro inconsapevolmente, il cuore che prendeva a batterle velocemente nel petto, veloce, veloce, fin troppo veloce e la mano di Stiles sulla parete del negozio accanto al suo viso.
<< In che – in che senso? Non lo so, io non… >>
<< Vuoi che ti faccia un esempio? >>
Lydia sentì il sangue fluirle nelle guance di botto, le gambe tremolanti e gli occhi di Stiles troppo vicini ai propri, che quasi si confondevano con i suoi. La bloccò al muro con entrambe le braccia, i palmi delle mani aperti sulla parete grigia. Sembrava che la poca gente che passava neanche li vedesse, ma quello era l’ultimo problema di Lydia. La ragazza deglutì piano, senza riuscire a staccare per nemmeno un secondo lo sguardo da quello di Stiles. Sembrava quasi famelico, assetato, irriconoscibile.
<< Tipo? >> chiese, con la voce talmente bassa da stupirsi di averla sentita lei stessa.
E Stiles le sorrise.
<< Tipo questo. >>
Nel giro di due secondi, Stiles aveva poggiato le sue labbra su quelle di Lydia e la stava baciando come non l’aveva mai baciata. Era un bacio dolce e delicato allo stesso tempo, niente di nuovo sotto il sole, ma aveva un sapore diverso. Era come se quello non fosse lui, come se stesse baciando qualcun altro, che però sapeva di lui. L’elettricità statica le correva nelle vene e le guance le bruciavano.
Quando Stiles si staccò da lei, Lydia sbatté le palpebre tre o quattro volte, prima di rendersi conto di dove fossero. Per un minuto, il tempo era andato a farsi benedire ed erano rimasti solo loro due, solo quell’effetto di stomaco in subbuglio e cuore palpitante. Stiles mise le mani in tasca e le sorrise, inumidendosi le labbra prima di parlare.
<< E l’altro? >> chiese Lydia, deglutendo.
<< La prossima volta che tua madre ci passa di fianco. >> rispose semplicemente, poi entrò nel negozio. << Allora, vieni con me o no? >>
Lydia si tenne una mano sul cuore, tanto per assicurarsi che non le saltasse fuori dal petto. Sperò solo che sua madre si sbrigasse a tornare a casa quel pomeriggio. Poi corse subito nel negozio, lasciando che le porte scorrevoli si chiudessero dietro di lei senza far rumore.
 
<< Mia regina, è ora di svegliarsi. >> disse la solita voce roca, vibrando contro le pareti di quella stanza fredda e buia.
Persefone si alzò piano, poi si mise in piedi, lasciando che l’orlo dell’abito le nascondesse i piedi. Il potere dei morti le scorreva ormai lungo le vene. Non avevano più molto tempo o sarebbe fuoriuscito da solo ed avrebbe distrutto tutto. Lei non sarebbe più riuscita a controllarlo.
<< Sai che alla fine di tutta questa storia ci sarà una sola persona ancora in piedi e non sarai tu, vero? >>
Deucalion fece un passo verso di lei, le mani dietro la schiena e gli occhiali da sole a coprirgli gli occhi. La squadrò dalla testa ai piedi, in seguito le sorrise.
<< Non devi preoccuparti di niente, mia cara. So benissimo quello che sto facendo. >>
<< La tua fine è vicina, Deucalion. Il Regno dei Morti ti reclama. >>
<< Be’, digli che non mi avrà così facilmente. Adesso vieni con me e mettiti qualcosa addosso. Si prospetta un bel temporale per stasera. >>
 
Malia aprì la porta con un sopracciglio alzato ed ai piedi le ciabatte di Winnie The Pooh. Sì, erano ridicole, è vero, ma gliele aveva regalate Kira per consolarla dopo quello che era successo con sua madre e dato che praticamente vivevano insieme, le dispiaceva deluderla non indossandole. Isaac la squadrò dalla testa ai piedi, nascondendo a stento il bisogno che aveva di ridere.
<< Posso entrare? >>
<< No. >> rispose Malia, seccata. Poi gli sbatté la porta in faccia, ma Isaac la fermò con un piede.
<< Se rispondi così a tutti ragazzi, ci credo che hai la fama di una che spezza i cuori. >> replicò Isaac. << Allora mi fai entrare, adesso? >>
 
Scott sbuffò, le braccia incrociate e le palpebre che minacciavano di chiudersi da un momento all’altro. Peter schioccò le dita sotto il suo naso, facendolo ridestare.
<< Senti un po’ ragazzino, ma hai capito almeno contro chi stiamo combattendo? Perché se hai intenzione di fregartene, quella è la porta. È casa tua, dovresti saperlo. >> disse Peter, indicandogli il salotto.
<< Ho capito benissimo, Peter. Sono solo stanco. Ho passato dei giorni che hanno messo davvero a dura prova la mia mente, ti pregherei di lasciarmi in pace. >>
<< Scott, ascoltami bene, perché è l’ultima volta che te lo ripeto: questa gente vuole ucciderci tutti e non si fermerà, finché non l’avrà fatto. Quindi non venirmi a dire che sei stanco, perché lo siamo tutti. Perciò adesso muoviti e fai lavorare quel piccolo cervello che ti ritrovi, elaborando una strategia. Ci rimangono poche ore. >>
Melissa scese le scale parlando amabilmente con Allison, ma Scott non diede caso alle chiacchiere, doveva trovare una soluzione in fretta. Sua madre lo salutò velocemente, poi uscì di casa. Allison entrò in cucina con la punta d’argento di una freccia tra le mani.
<< Ehi. Tutto bene? >> chiese, sorridendo.
<< No. Il tuo caro fidanzato, qui, non riesce a risolvere un semplicissimo problema di strategia. Mi domando come giochi a Risiko. >>
Scott gli lanciò un’occhiataccia, poi tornò a guardare la mappa che stava sul tavolo. Da quanto aveva capito, Peter e Derek si erano già occupati del piano B, quindi lui doveva pensare al piano A. Tutto quell’alfabeto lo stava uccidendo. Così chiuse gli occhi, lasciando che i suoi sensi di lupo scemassero, in modo tale da potersi chiudere nel silenzio. Era una tecnica che aveva imparato da solo, forse l’aveva addirittura inventata per la prima volta nella storia, quando Allison era morta. I suoni gli arrivarono come distanti, attutiti. Non avvertì più nemmeno il suo stesso respiro. Le sue gambe erano immobili. E poi, eccola lì, lìdea che stava cercando gli stava andando incontro.
Riaprì gli occhi.
<< So esattamente che cosa fare. >>
 
Isaac prese posto sul divano con un sorriso, mentre Malia si mangiava furiosamente le unghie. La sua presenza la rendeva nervosa ed era la prima volta, per quello che ricordava, dopo Stiles. Si guardò intorno, sperando che Kira uscisse immediatamente dalla doccia o che il suo telefono squillasse, ma niente, sfiga assoluta. Avrebbe voluto sprofondare, nascondersi o scappare, ma quella era casa sua, non poteva mica sbatterlo fuori senza una buona ragione. E di sicuro la scusa della madre che stava male non avrebbe mai funzionato.
<< Sono venuto, perché volevo rivederti. Ecco, l’ho detto. Preciso, diretto, senza tanti giri di parole. Allison mi ha sempre detto che sono un tipo prolisso. Ah! Non mi sembra proprio. >> esordì Isaac.
Malia alzò un sopracciglio, confusa. Era più pazzo di Stiles. E ce ne vuole, eh. Poi, invece di fare qualcosa come tirargli un pugno in faccia, scoppiò a ridere. Ed era una di quelle risate belle e cristalline, svagate, che è raro sentire in giro. Isaac deglutì, sperando di averle fatto una buona impressione.
<< Sei uno spasso. >> disse Malia, asciugandosi le lacrime. << Sei davvero un idiota. >>
<< Ma come mai me lo dicono tutti? >> si chiese Isaac e Malia rise di nuovo.
<< Ehi, che sta succedendo? >> domandò Kira, uscendo dal bagno.
<< Isaac è un idiota. >> rispose Malia.
<< Questo è risaputo, ma cosa c’entra? >>
<< Aspettate un attimo, ma voi vivete insieme? >> chiese Isaac, strabuzzando gli occhi. << Perché? >>
Malia e Kira si scambiarono uno sguardo, poi si rivolsero ad Isaac parlando all’unisono.
<< È davvero un idiota. >>
 
Paige incrociò le braccia, alzando gli occhi verso il soffitto. Ma dovevano davvero andare ancora avanti così? Stavano litigando da almeno mezz’ora e lei ormai aveva bellamente fatto tardi al lavoro. Fantastico. Buttò fuori l’aria, mentre Derek ancora parlava. Non ne poteva più. Ormai le cose fra loro andavano a scatti, come il meccanismo di un vecchio orologio.
<< Mi stai ascoltando, Paige? >>
Paige chiuse gli occhi, inumidendosi le labbra.
<< Sì. >> rispose.
<< Allora dimmi cosa ne pensi. >>
<< Cosa ti dovrei dire? Da quando tuo zio è tornato nelle nostre vite non ha fatto altro che confonderti e cambiarti. Ti sta plasmando a sua immagine e somiglianza. Ho paura che tu possa diventare come lui. >> replicò Paige, con cuore pesante. Derek sbatté le palpebre un paio di volte, guardando il pavimento. << Non riesco più a vederti come prima. So che un lasso di tempo di pochi giorni non dovrebbe contare, ma sono davvero proeccupata per te. >>
Derek prese a torturarsi le mani, giocando con le dita quasi spasmodicamente. Stava davvero diventando come Peter? Era un manipolatore senza scrupoli, un doppiogiochista ed un assassino? No, non era ancora arrivato a quel punto. Ma le cose che aveva fatto... tutte le orribili azioni del passato che lo perseguitavano… E se stesse indossando solo una maschera? E se Paige lo rendesse migliore, ma senza di lei non era che una copia di Peter? Le dita presero a rincorrersi, quasi come se volessero raggiungersi per ferirsi. Gli veniva da piangere. Poi, altre dita, più piccole e più pallide delle proprie, si posarono sulle sue. Le mani si fermarono. Per un attimo, pensò che il tempo si fosse addirittura fermato, che forse stava vivendo in un altro periodo, che magari non era nemmeno più reale, niente casini, niente Peter, niente di niente.
Guardò quella donna come non aveva mai guardato nessun’altra in tutta la sua vita. Gli occhi gli bruciavano e rischiavano di andare a fuoco. Sentì lo stomaco stretto in una morsa d’acciaio che gli faceva un male cane, il respiro mozzato dalla paura.
<< Per favore, non innamorarti di nessun altro. >> disse, con voce spezzata. Non si era mai sentito così vulnerabile e giurò che mai più sarebbe successo. << Ti prego. >>
Vide gli occhi di Paige diventare lucidi piano piano, la bocca semi aperta per lo stupore. Non avrebbe dovuto, ma vederlo in quello stato lo fece sentire meglio. Perché significava che lo amava.
<< Non lo farò. >> soffiò Paige, scuotendo lievemente la testa, perché le rimaneva solo un filo di voce.
Poi lui l’abbracciò.
 
***
 
Peter riconobbe subito che quello era il segnale. La pioggia l’aveva sempre inseguito come una fedele compagna di vita. Deglutì. Quella sarebbe potuta anche essere la sua ultima notte o la prima di un incubo lunghissimo. Ripensò alla promessa fatta e si chiese se dovesse ancora tenervi fede, dopo tutti quegli anni. Non era mai stata una vera promessa, ma probabilmente Persefone gli avrebbe chiesto di rispettare i morti, quindi lo fece. Prese in fretta il cappotto, poi uscì dal loft.
 
<< Devi solo raccontarci cosa ti è successo, Stiles. Tutto qui. >> disse Parrish, poggiando i palmi delle mani sulla scrivania, la schiena che sfiorava il bordo del tavolo di legno.
<< L’appuntamento era con Parrish, Isaac, Malia e Kira, Lydia. Mi hai ingannato. >> disse Stiles, voltandosi per guardarla. Lydia gli sorrise malandrina, ma un secondo dopo si sentì pervadere da una strana sensazione di imbarazzo. SI sentiva in soggezione? Veramente? << Vedo che hai imparato a non fidarti di una volpe. >>
Lydia spalancò gli occhi, sudando freddo. Gli occhi di Stiles erano quasi inquisitori, famelici, continuamente famelici. Poi, lui le sorrise, alzando le spalle.
<< Stiles… >>
<< Tesoro, è solo un modo di dire. >> disse Stiles, accarezzandole una mano. << Stai bene? Ti vedo un po’ pallida. Bevi un sorso d’acqua. >>
<< Ehi, vuoi dirci com’è andata o no? >> chiese di nuovo Parrish, spazientito.
<< Ti consiglio di chiudere il becco, Parrish. Sto parlando con la mia fidanzata e non gradisco che mi si dica cosa fare o qualsiasi cosa in generale, in effetti, quando sto parlando con lei. Quindi, cortesemente, chiudi a chiave quella fogna. >> replicò Stiles, con sguardo di fuoco. Malia per poco non cadde dalla sedia, dopo averlo sentito.
<< Stiles, sto bene. Vado a prendere dell’acqua. >> fece Lydia, togliendo la mano di Stiles dalla propria con dita tremanti. Lui le sorrise.
<< Se hai bisogno, chiamami. >>
Lydia annuì, poi andò in cucina. Cosa diavolo gli era successo? Perché a questo punto era ovvio che gli avessero fatto qualcosa. Ecco perché era sempre così strano, da quando era tornato. Versò l’acqua nel bicchiere, le mani che ancora tremavano. Avvertì i loro discorsi provenire dal salotto, ma non ne coglieva davvero il significato, perché era ancora spaventata per quello che era appena successo. Stiles era cambiato e sembrava più simile al Nogitsune, che a se stesso. Però non era cattivo. Il Nogitsune li avrebbe già uccisi tutti a quell’ora, ma lui non l’aveva fatto. Era quasi una versione a metà fra il vero Stiles ed il Nogitsune.
<< Così, dopo aver vagato per tre ore nel bosco, sei andato nei sotterranei dell’università? >> chiese Parrish. << Perché? >>
<< Perché le mie gambe mi hanno portato lì. Poi ho sentito la voce del… del… >> stava dicendo, poi si bloccò, come se la voce gli si fosse strozzata in gola.
Lydia si fermò sulla soglia della porta e Stiles alzò lo sguardo fino ad incrociare il suo. Dopo tutti quegli anni, lui era sempre rimasto il ragazzino spaventato da un essere superiore a sé. E questo, pensò Lydia, in qualche modo gli faceva onore. Perché significava che non aveva dimenticato, che era rimasto sempre lo stesso. Perché sapeva che era importante ricordarsi sempre di come abbiamo reagito nei nostri momenti più bui. E Stiles era sempre stato migliore di lei, in quello.
<< Hai sentito la voce del Nogitsune che ti chiedeva di entrare nella tua testa, non è vero? >> domandò Lydia, con estrema dolcezza. Parrish sembrava stupito. Stiles annuì, mordendosi le labbra. Lydia lasciò cadere le braccia lungo i fianchi, come sconfitta. << E tu l’hai lasciato entrare. >>
Stiles annuì di nuovo, appoggiandosi al divano con i piedi, abbracciando le gambe con le braccia e sprofondando con la testa fra le ginocchia. Lydia si avvicinò piano a lui e lo abbracciò, avvertendo la sua schiena muoversi su e giù per il pianto.
Malia si portò le mani alla bocca, scuotendo la testa. Perché alle persone migliori devono sempre capitare le cose peggiori? Perché?! Avrebbe voluto arrabbiarsi davvero, infuriarsi ed azzannare Deucalion per quello che aveva fatto a Stiles. Stava cercando di distruggerli tutti e ci sarebbe riuscito in quel modo: dall’interno.  
 
<< Siamo arrivati. >> disse Scott, scendendo dall’auto di Allison.
<< Siamo sicuri di volerlo fare? >> chiese Parrish, caricando la pistola. << Non siete costretti a partecipare. >>
<< Ci siamo dentro tutti, Jordan. Fino al collo. >> replicò Isaac. << Loro rimangono. >> disse, lanciando un’occhiata a Malia, che non lo stava osservando. Sospirò, poi seguì Peter verso l’entrata segreta.
Il nascondiglio si trovava dall’altra parte dell’università e per certi versi era molto simile al caveau, solo che era più grande. E pieno di scartoffie. Entrarono tutti in fila indiana. C’erano Peter, Derek, Parrish, Isaac, Allison, Scott e Malia. Peter usò gli artigli per aprire la porta, facendo girare un meccanismo. Sapeva benissimo che avrebbe visto un sacco di raccoglitori pieni, scaffali altissimi e polvere da tutte le parti, quindi non rimase sorpreso quanto gli altri quando fece il suo ingresso in quell’antro sotterraneo. Mentre gli altri si guardavano intorno, Peter si affrettò a prendere una cartellina nascosta fra due raccoglitori e se la infilò sotto la maglietta, chiudendo il giubbotto di pelle. Derek notò che stava facendo qualcosa di losco come suo solito, ma non ebbe abbastanza tempo per farci caso.
La festa stava per iniziare.
<< Buonasera! >> esordì Deucalion, entrando a braccia aperte. << Scommetto che per qualche motivo la mia presenza qui non vi sconvolge. >>
<< Come fai a dirlo, se non puoi nemmeno vederci? >> chiese Parrish, caricando la pistola.
Deucalion sfoggiò uno strano sorriso che svanì in meno di un secondo.
<< Sei il solito idiota. È ovvio che io senta il vostro odore, dato che sono un lupo. >>
<< Basta con le chiacchiere. >> disse Derek, facendosi avanti. << Sappiamo benissimo quello che hai fatto a Stiles. Adesso o ci uccidi o ti fai uccidere, perché stai certo che non finirà in un modo diverso. >>
<< Sono d’accordo, Derek. Voglio solo farvi una domanda: cosa ci fate qui? >>
<< Sapevi che non avremmo resistito a combatterti di persona. Quello che hai fatto a Stiles è stato un avvertimento per farci sapere che eri nei paraggi, così siamo venuti direttamente per picchiarti. Oh, certo, aver ripristinato lo spirito del Nogitsune in Stiles è il tuo piano B, perché nel caso in cui tu dovessi perdere, lui ucciderebbe tutte le persone che ama, facendoti un favore. >>
Deucalion annuì soddisfatto.
<< Ci sei arrivato da solo o ha dovuto spiegartelo la tua fidanzata? Dov’è, a proposito? >> chiese, aggiustandosi gli occhiali da sole sul naso.
Derek si scagliò contro di lui più veloce della luce, atterrandolo con fin troppa facilità. Deucalion ghignò, mentre Derek lo teneva fermo a terra. Se credeva che ucciderlo fosse così semplice, be’, allora si sbagliava di grosso.
<< Salutami Jennifer, quando andrai all’Inferno. >> disse Derek, poi alzò una mano per tagliargli la gola, ma un fortissimo dolore alla testa lo fece fermare.
<< Scott, credevo che il tuo branco fosse più intelligente di così. >> disse Deucalion, scrollandosi Derek di dosso. Si scrocchiò il collo, sorridendo. << Vogliamo cominciare davvero a divertirci oppure no? >>
Scott ringhiò.
<< Con vero piacere. >>
 
Lydia si sedette accanto a lui. Gli passò una mano sulla schiena, poi gli passò un bicchiere d’acqua. Erano tornati a casa di lei ed ora non voleva fare altro che aiutarlo a sentirsi meglio. Non sapeva quando sarebbe tornato di nuovo il Nogitsune a prendere pieno possesso di Stiles, quindi voleva godersi tutti i momenti possibili con lui, prima di trovare una soluzione che concludesse quel dannato incubo.
<< Non sei costretto a raccontarmi tutto. >>
<< Voglio farlo, Lydia. Voglio che fra di noi non ci siano più segreti. >> disse Stiles, accarezzandole la mano. Prese un bel respiro, prima di cominciare a parlare. << Ho sentito di nuovo la sua voce nella mia testa. Era uguale: metallica, roca, quasi come se stesse cercando di trascinarsi da sola. L’ho sentito arrancare verso di me come una mano invisibile. Mi ha tolto il respiro. Ero spaventato come non mai. Ha iniziato con un indovinello, poi mi ha minacciato. Ha continuato così per ore, finché non l’ho lasciato entrare. >>
<< Cosa ti ha detto? >>
<< Avrebbe ucciso tutte le persone che amo. Gli ho detto che avrei preferito morire io al loro posto, ma lui è stato irremovibile. Non era me che voleva distruggere. Il suo obiettivo era quello di Deucalion, quell’orribile lupo per cui lavora: mandarci tutti in rovina. >>
Lydia poggiò la testa sulla sua spalla e lasciò che Stiles le accarezzasse il braccio, che il suo profumo aleggiasse nell’aria e le entrasse di nuovo nei polmoni. Si sentiva al sicuro quando stava con lui. Ed odiava ammetterlo, ma era una sensazione che aveva provato anche prima di capire che si era innamorata perdutamente di lui, mentre stava ancora con Aiden. La prima volta in cui lo aveva baciato, dopo essersi staccata da lui, aveva realizzato che c’era qualcosa che non andava. Aveva capito che l’aveva baciato, perché era da un po’ di tempo a quella parte che si chiedeva come fosse stargli tanto vicina da potere sentire il suo respiro attaccato alla pelle, non solo perché voleva aiutarlo. Si chiese cosa ne sarebbe stato di lei, se non l’avesse mai incontrato o peggio, se l’avesse perduto prima ancora di poter capire che le sarebbe mancato per sempre.
<< Adesso sei al sicuro. >>
Stiles annuì.
<< Sto bene, adesso. >>
 
Deucalion lo scaraventò di nuovo contro gli scaffali, facendo cadere alcuni raccoglitori. I fogli sul pavimento si macchiarono di sangue. Scott cercò di riprendere fiato, ma era come se avesse un macigno a schiacciargli il diaframma. Allison era a terra, la mano destra che giaceva inerte su di un foglio, le vene verdastre che risaltavano sul polso bianco, mentre l’altra sfiorava la balestra. Isaac aveva un mal di testa pazzesco e stava in piedi per inerzia, mentre il fratello sparava di continuo, mancando il bersaglio. Peter se ne stava in un angolo in disparte, con il cuore in gola. Fingeva di essere svenuto, quando in realtà aveva solo una ferita da dove fuorisciva del sangue, che dalla fronte gli scivolava sulla guancia. Malia si scagliò di nuovo contro Deucalion, colpendolo al polpaccio sinistro, facendolo urlare da dolore. Un secondo dopo, il lupo l’artigliò alla gola, graffiandole il collo. Le bruciarono gli occhi, ma decise di stringere i denti e di aggrapparsi alle sue mani per tenersi in piedi. Gli lacerò il dorso della mano destra con i denti, prima di essere sbattuta contro gli scaffali e di rimanere sommersa sotto l’immenso schedario di Peter.
<< MALIA! >> gridò Isaac, cercando di strisciare verso di lei. Parrish, nel frattempo, aveva ormai esaurito le munizioni.
<< Morirete tutti, prima o poi! Uno di voi dovrà pur essere il primo! >> esclamò Deucalion.
<< Suppongo che tu sia a conoscenza della profezia. >> disse Scott, alzandosi da terra. << Il verso finale dice che le persone si possono salvare. Non morirà nessuno. >>
<< Tu cercherai di salvarli, Scott, lo so. Il problema è che non ci riuscirai. >> ribatté Deucalion, avvicinandosi a lui. << E prima ti ficchi in testa quest’idea, prima li piangerai e soffrirai di meno. Perché stai certo che io vi ucciderò tutti, uno per uno. >> scandì infine, e poi, con un unico movimento del polso, gli rigò il viso, squarciando la carne.
Il grido di dolore di Scott riecheggiò per tutta l’università.
 
Stiles si appoggiò allo stipite della porta con un braccio, le caviglie incrociate, mentre guardava Lydia sparecchiare la tavola. Era stato lontano da lei solo per un giorno, ma dato che la sua attesa per mettersi con lei era durata decisamente molto più di un giorno, per lui era stato anche troppo tempo. Per una volta, gli andava benissimo poterla osservare, perché lei non si sarebbe girata spazientita e gli avrebbe urlato contro. Voleva godersi quegli ultimi momenti con lei, prima che il Nogitsune riapparisse e rovinasse tutto di nuovo.
<< Cosa stai facendo, Stiles? >> chiese Lydia, voltandosi.
<< Niente. >> rispose il ragazzo, preso in contropiede.
<< Mi stai fissando. >>
<< Oh, quello. >> disse, sorridendo. Si avvicinò a lei. << Quella è l’esatta definizione di Niente per Stiles Stilinski. >>
Lydia incrociò le braccia la petto, con un sorrisetto sul volto. Si morse il labbro inferiore, guardandosi intorno.
<< Sai, questa cosa dello Stiles sicuro di sé non è poi così male. >>
<< Ah, no? >> chiese Stiles, cingendole i fianchi con le braccia.
<< No. Perché non facciamo finta che stia passando mia madre, qui e ora? >> domandò Lydia, alludendo ad una certa chiacchierata fatta giusto quella mattina.
Stiles non se lo fece ripetere due volte e la baciò. Le sfiorò delicatamente i fianchi con le mani. Poi approfondì il bacio e si lasciò trascinare, come succedeva sempre, dal suo profumo, che era capace di farlo estraniare dal mondo. Lydia gli allacciò le braccia al collo, sorridendo. Dopotutto, quello era sempre lo stesso Stiles di sempre, non era cambiato niente. E lo pensò davvero, finché i brividi che le percorrevano la schiena non le fecero accendere una spia nel cervello. E se Stiles si fosse trasformato nel Nogitsune? E se quello che stava baciando in realtà era Void Stiles e non il suo Stiles impacciato e goffo?
<< Stiles… >> disse, staccandosi piano da lui.
Stiles sbatté le palpebre.
<< Sì? Cosa c’è? Va tutto bene? >> chiese, le guance rosse ed i capelli scompigliati. Si chiese se lui vedesse lo stesso di lei.
Oh, dannazione, quanto era bello anche così. Si morse il labbro quasi a sangue, reprimendo il desiderio di continuare a baciarlo come se non ci fosse un domani.
<< Non posso. >>
Stiles in un primo momentò non capì, poi realizzò. Abbozzò un sorriso, prendendo una ciocca dei capelli di Lydia che le era scappata dallo chignon.
<< Nessun problema. >>
E Lydia sprofondò nei sensi di colpa.     
 
Derek gli saltò addosso, prendendolo di sorpresa alle spalle. Deucalion cercò di invano di scrollarselo di dosso. Nella foga, Derek gli strappò gli occhiali e li lanciò dall’altra parte della stanza. Fece leva sulla sua gamba ferita e lo fece crollare al suolo.
<< Peter! Il piano B! >> urlò Derek, mentre lottava con Deucalion, cercando di non farsi colpire e nel medesimo tempo di colpirlo più forte che poteva. << Peter, ORA! >>
Peter si alzò a fatica, poi tirò fuori alcuni raccoglitori, gettandoli a terra. Dietro di essi c’erano quegli aggeggi che il padre di Allison usava per stanare i lupi, quelli che producono un rumore fastidioso udibile solo dai lupi. Li prese in fretta e schiacciò il pulsante. Il suono si propagò per tuto il bunker. Tutti i lupi si coprirono le orecchie, tranne Derek che cercò di non farlo, perché doveva tenere le mani di Deucalion lontane dalle sue orecchie. Ovviamente questo richiedeva uno sforzo enorme, quindi Derek cercò con tutte le sue forze di non cedere, ma un minuto dopo, dovette portarsi le mani alle orecchie e Deucalion ne approfittò per gettarlo al tappeto. Si rialzò a denti stretti, ma si rialzò. Poi avanzò dritto verso Peter.
E poi, il rumore di uno sparo. Deucalion urlò, mentre il proiettile lasciava una scia di fumo proveniente dalla sua schiena. Un altro colpo. Deucalion crollò sulle ginocchia, le lacrime agli occhi.
<< Dimmi dov’è. >> disse una voce maschile dietro di lui.
<< Non so… di cosa… tu… stia parlando. >>
Un altro sparo. Deucalion ruggì.
<< Persefone! Dov’è Persefone?! >> sbraitò Ades, raggiungendolo. Lo prese per i capelli e lo minacciò, puntandogli la pistola alla tempia.
<< Ah, tu sei lo sfortunato amante. >>
<< Quante persone ci sono in questa stanza? >> chiese Ades. Deucalion balbettò. << Rispondimi! Te compreso, me compreso, quanti siamo? >>
<< Nove. >> fece Deucalion.
Ades sogghignò.
<< Non eri mica cieco? >>
Deucalion spalancò la bocca, sconfitto. Un attimo dopo, il rumore della pioggia cominciò a farsi strada nella sala. Derek ansimò velocemente, senza respiro. Eccola lì, la teatralità del Mago aveva appena fatto il suo ingresso. Era sicuro che fosse opera sua, perché l’urlo di quella donna fu udibile solo alle sue orecchie. E fu straziante, doloroso e solitario. Era frustrante doverlo sentire. Era come se la terra emanasse tutto ciò che sentiva lei, perché la sua schiena appoggiata al muro e le sue mani che toccavano il pavimento, s’impregnarono del suo stato d’animo. Era Persefone, c’avrebbe scommesso tutto l’oro del mondo.
<< Ades… >>
<< FAI PIOVERE! >> urlò Deucalion all’improvviso. << Scatena tutto il tuo potere, mia regina! Fai tremare questi stupidi mortali! >>
Scott si avvicinò ad Allison, stringendola forte a sé, anche se non vedeva niente e gli faceva male tutto per via della ferita al volto. Allison aprì piano gli occhi, rendendosi piano piano conto di quello che stava succedendo.
<< Dov’è?! Dimmi dove diamine l’hai nascosta! >> esclamò Ades, premendo di più la pistola contro la testa di Deucalion.
<< Qui fuori. >> rispose. << Sta scatenando un ciclone. Presto dovrete uscire, giusto? E lei vi ucciderà. >>
<< Mi sono stancato di te. >> disse Ades, caricando la pistola.
<< Ades, no! >> gridò Allison con voce roca.
Il rumore dello sparo riecheggiò dappertutto, mentre Allison si portava le mani alla bocca e Scott inorridiva. Ades mise via la pistola, poi corse fuori, urlando il nome di Persefone a squarciagola.
 
Quando il Mago chiese a Persefone di fermarsi, capì davvero quello che aveva appena scatenato e ne fu affascinato. La cicatrice che gli aveva procurato Allison bruciava ancora, a distanza di tanto tempo, sulla sua guancia. Rimase immobile, mentre il vento attorno a lui scorticava i tronchi degli alberi e sfasciava i tetti delle case. Si aggiustò il cappuccio sulla testa, poi si dissolse nella notte come una stella che lascia il posto al cielo azzurro quando si fa l’alba, mentre Ades appariva all’esterno dell’università.
<< Stammi lontano! >> gridò Persefone, con le braccia in alto e l’orlo del vestito nero che le danzava intorno alle caviglie. << Ades non voglio farti del male, non ti avvicinare! >>
<< Persefone, ti prego! >>
<< No! Tu non hai accettato il dono! Sei ancora un mortale! Ti farei solo del male! >>
<< Ma tu l’hai già fatto! >> urlò Ades, con gli occhi lucidi ed il viso deformato dal pianto. << Non tenermi fuori, per favore! Stavolta dovrai raccontarmi tutto! >>
Persefone chiuse gli occhi, singhiozzando. Piano piano, le sue mani si chiusero e lei abbassò le braccia. Lentamente, al passo con i suoi movimenti, il tornado scemò. Persefone cadde in ginocchio, i palmi delle mani aperti sull’erba ed i lunghi capelli neri che le coprivano la schiena come se fossero un mantello.
<< Mi dispiace… mi dispiace così tanto, Ades… >>
<< Io ti amo, Faith. >> disse Ades, con le braccia lungo i fianchi e le mani che sfioravano le cosce, impotenti.
Il pianto di Persefone accompagnò l’uscita degli altri dal covo come una ninnananna.






Angolo autrice:
Salve :3
Scusate il ritardo, ma in questi giorni sono stata abbastanza occupata xD Cooomunque, questo capitolo è più lungo degli altri ed anche più ricco di soprese :D 
Credo che la parte migliore sia il finale ed anche il combattimento. Il primo perché adoro la coppia Ades/Persefone ed il secondo per quello che accade a Scott, per Peter e Derek e per l'esito che nessuno si apsettava. Sì, tutti avrebbero voluto uccidere Deucalion, ma il fatto che arrivasse Ades a farlo a sangue freddo, non era premeditato. Per non parlare dei meravigliosi Stydia *-* E so che continuo a ripeterlo, ma il comportamento di Peter qui mi piace un sacco, perché è ambiguo come al solito, ma in qualche modo si vede che sta cercando di redimersi un po'. Ma soprattutto, i Daige sono sempre i miei preferiti *___*
Grazie a tutti quelli che recensiscono/preferiscono/seguono/ricordano la storia o leggono e basta.
Ditemi cosa ne pensate! :)
A presto,
Erule


 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - Wait for the living ***


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Capitolo 7
Wait for the living
 
<< Ho… delle scuse da fare. >> disse subito, sporgendosi in avanti, come se stesse per perdere l’equilibrio. << Vorrei che la terra mi inghiottisse adesso per quello che ho fatto. Chiedo perdono a voi, spiriti dei morti, perché non posso porgerle ai vivi o comunque non mi ascolterebbero. No, non è vero, Ades lo farebbe. Sono io che non lo ascolterei, perché mi farebbe troppo male sapere che non mi ama più. >> continuò, gli occhi rossi, le labbra troppo carnose per via del pianto ed il pallore bianco della pelle, quasi trasparente del viso, che faceva risaltare le vene. Per poco non le cadde il foglio che teneva fra le mani, perché continuavano a tremare. << Devo raccontare a qualcuno la mia colpa, quindi vi prego, ascoltatemi e poi decidete la mia punizione, perché io non ce la faccio più. >> proseguì Persefone, mossa dai singhiozzi, che stava in piedi a fatica sul limitare dell’altare, voltata verso il pubblico inesistente. << Ho mentito e di conseguenza tradito mio marito. Merito la peggiore delle pene, perché il Regno dei Morti non perdona i traditori di fiducia. Nemmeno se si tratta della sua regina. >>
 
Allison corse dentro l’ospedale con l’arco fra le mani ed il fiatone. Le facevano male le costole e poteva sentire ancora le ferite bruciare come se ci avesse appena gettato del sale sopra, ma non era importante. Non poteva pensare a quello, mentre Scott veniva portato su di una barella d’urgenza, perché stava troppo male, troppo male per riprendersi. Le veniva da piangere, ma decise di non lasciarsi andare, non finché non avesse saputo che Scott stava bene e che si sarebbe rialzato. Melissa le andò incontro ed il mondo si fermò intorno a lei. Pregò che no, per favore no, che non le chiedesse niente, perché non avrebbe retto, non avrebbe potuto guardare i suoi occhi lucidi, mentre lei le spiegava che suo figlio non riusicva a curarsi da solo, che grondava sangue dal viso, che magari non sarebbe neanche più stato in grado di vederla. Avrebbe solo voluto sprofondare, smettere di tremare e di sembrare la ragazzina debole ed indifesa che era stata.
<< Allison, cos’è successo? >> chiese Melissa, posando una cartella sul bancone e fissandola preoccupata.
Allison aprì la bocca, ma non ne uscì alcun suono. E se Scott non avesse più potuto guardarla? E se non si fosse mai rimesso in sesto? E se non fosse più stato in grado di sfiorarle i capelli, senza che la sua mano cercasse alla cieca la sua guancia o le sue labbra o il suo collo… No, no, adesso no. Gli aveva chiesto di non cedere, giusto? Be’, nemmeno lei lo avrebbe fatto.
<< Signora McCall, Scott… >>
<< Ci penso io, Allison. >> disse una voce dietro di lei, sfiorandole la spalla con una mano. Suo padre le fece l’occhiolino. << Andrà tutto bene. Pensa a te. >>
Avrebbe voluto rispondergli che non ci sarebbe riuscita, che avrebbe voluto vedere Scott e chiedere a raffica di lui, di come stava, ma qualcosa nel suo sguardo rassicurante le fece cambiare idea.
Fu solo un minuto dopo, mentre lei rimaneva ferma nel corridoio, che dovette spostarsi per far passare un’altra barella su cui c’era Malia, un polpaccio ferito. Dietro di lei, a parte i paramedici, arrivarono anche Parrish, Isaac, Peter ed il padre di Stiles. Un secondo dopo, Stiles e Lydia stavano correndo dentro, mano nella mano.
<< Allison! Dov’è Scott? >> domandò Stiles, il panico ben visibile negli occhi. << Dove l’hanno portato? È grave? Perché i suoi dannati poteri da lupo non funzionano? Io Deucalion lo ammazzo, lo faccio fuori… >>
<< Non farti questi problemi Stiles, perché è già morto. >> disse Allison, più dura di quanto volesse. Lydia spalancò la bocca.
<< Cosa? E chi l’ha ucciso? >>
Allison alzò lo sguardo ed incrociò quello di Ades sull’uscio dell’entrata.
<< Lui. >> rispose, indicandolo con un cenno.
I due amici si girarono. Stiles era incredulo. Poi, un attimo dopo, la sua espressione cambiò radicalmente ed un ghigno si fece strada sul suo viso. Lydia se ne accorse e lasciò delicatamente la sua mano.
<< Credo che sia stata l’unica cosa buona che tu abbia fatto da quando sei qui. >> commentò ed Ades deglutì piano, per una volta senza replicare.
<< Lydia! >> urlò Paige, entrando in ospedale con le guance rosse per la corsa in auto. Superò Ades senza neanche vederlo ed andò subito dalla ragazza. << Non riesco a trovare Derek, nessuno mi ha detto niente di lui, ti prego, dimmi che non è uno dei morti della profezia, perché se lo è, me lo devi dire. >> disse, prendendola per le mani. << Se lo è, me lo devi dire. Prometto che non ti urlerò contro, ma me lo devi dire se è lui. >>
Lydia balbettò, presa in contropiede. Forse Derek stava ancora arrivando, magari in un’altra ambulanza. Perché Paige la stava tempestando di domande? Perché credeva che sapesse chi erano i morti della profezia? Significava che non si potevano salvare?
<< Ehi, non prendertela con Lydia. Vedrai che il tuo fidanzato starà per arrivare. >> disse Stiles, con quel luccichio strano nello sguardo.
Paige lo osservò per un attimo, ponderando se prenderlo a calci o meno, in tutta onestà, ma la voce del paramedico che chiedeva di spostarsi superò il rumore dei suoi pensieri. E vide Derek steso su di una barella. Li lasciò da soli, inseguendo il dottore, chiedendo se Derek aveva per caso riportato delle lesioni gravi.
<< Allison, mi dispiace. >> disse Ades e Lydia si voltò per guardarli. << Non avrei dovuto comportarmi in quel modo orribile con te, perdonami. Ma adesso è tutto finito. >>
Allison gli mollò uno schiaffo. Lydia trasalì per lo schiocco. La guancia di Ades era più rossa di un papavero ed i suoi occhi erano lucidi.
<< Dov’eri? >> chiese Allison, la bocca impastata. << Dov’eri, mentre Deucalion feriva Scott? Ti ho sempre trattato bene, ti abbiamo sempre aiutato, dov’eri quando noi avevamo più bisogno di te? >>
<< Vi ho salvato la vita! Mi dovreste assere riconoscenti! >> esclamò, piccato.
<< Quella è stata un’esecuzione! Ascolta la tua voce, Ades! Io non so più chi sei! >> disse Allison, alzando la voce. << Avresti dovuto prenderti cura di noi, come noi abbiamo fatto con te. È questo ciò che fanno gli amici. >>
Ades alzò il capo.
<< Hai mai pensato che forse non siamo mai stati amici? >>
Allison indietreggiò e le voci si spensero nelle sue orecchie, lasciando solo un ronzio fastidioso in sottofondo. Lydia strinse il braccio di Stiles per la rabbia e lui la guardò. Accadde tutto nel giro di un secondo. Stiles avanzò verso di loro, spostò Allison da un lato e tirò un pugno ad Ades in pieno viso, rompendogli il naso. Una bambina urlò. Un paio di infermieri presero Stiles per le spalle e lo trascinarono lontano da Ades. A Lydia ricordò tanto una scena già vista, anche se non sapeva bene quale. Chiuse gli occhi lentamente e li riaprì, mentre seguiva gli infermieri, chiedendo loro di lasciarlo andare. Stava succedendo: il Nogitsune aveva quasi preso il pieno controllo di Stiles di nuovo.
E lei sentì la lancetta dell’orologio segnare l’ultima ora.
 
Erano le sei del mattino. La luce del sole rischiarava il cielo, rendendolo d’un arancione scuro. Non le era mai capitato di vedere tanti tramonti e tante albe prima di quella settimana. Sarebbe stato più bello o certamente più romantico, se li avessi ammirati in riva al mare assieme a Stiles. Lydia non era mai stata una di quelle ragazze che crede nel principe azzurro o che aveva sempre pensato che la sua vita sarebbe un giorno stata completamente dipendente da quella di un uomo, ma a certe cose non avrebbe mai rinunciato: come il sapore del limone mischiato al sale o il suo rossetto color ciliegia. Be’, fantasticare era una di quelle cose a cui non avrebbe mai rinunciato. Se c’era una cosa che le aveva insegnato “Le pagine della nostra vita” era proprio quella: non rinunciare mai a         quello che vuoi, devi sempre cercare di raggiungere l’obiettivo, costi quel che costi. Peccato che dare consigli sia molto più semplice che seguirli. Per qualche motivo, lei finiva sempre per lasciarne qualcuno per strada, come quello di cercare di essere più tollerante o di smettere di mettere tutto quel trucco, perché le faceva male alla pelle.
Alzò lo sguardo e notò Ades seduto nella sala d’aspetto con le cuffie nelle orecchie, bianche, il cappuccio nero della felpa in testa ed il cellulare in mano. Gli avevano fasciato il naso con una benda chiara. Per qualche motivo, anche se sapeva che lui ero un dio greco, non le sembrava strano vederlo in quel modo. Fece caso a questo particolare: le cuffie bianche. Aveva sempre pensato che il colore delle cuffie rappresentasse il contrario di quella persona. Ovvero: il bianco non rappresenta una persona innocente, ma una tormentata, mentre il nero dimostra che, sotto tutti quegli strati di cattiveria ed indifferenza, in realtà sei il più puro fra i mortali. Alzò le spalle. Era solo un suo vezzo, quello di continuare a farsi seghe mentali su cose inutili come analizzare la mente umana in quel modo.
Gli si sedette accanto, sulla poltrona, posando il giubbotto accanto a lei. Ades dapprima non se ne accorse, poi il profumo di Lydia lo fece voltare. Si abbassò subito il cappuccio, perché era scortese portarlo quando qualcuno ti parla e si levò le cuffie dalle orecchie.
<< Dov’è Persefone? >> chiese Lydia, massaggiandosi le cosce, seduta di fronte ad Ades nella sala d’attesa.
Ades si passò le mani sulla faccia.
<< Non lo so. >> rispose, sospirando stancamente.
<< Può essere che sia tornata a casa? Ha una casa? >>
<< Sua madre è morta poco tempo fa. Non ha più una casa. >>
<< Intendi Demetra? >> domandò Lydia.
<< Sì, lei. >>
<< Ma se lei era una dea o discendente della vera dea, perché è morta? >>
<< Lei si è solo liberata della sua forma mortale. Gli dèi non muoiono e non sono fatti nemmeno come ti appaiono o li puoi immaginare. Sono già saggi e vecchi, in realtà. È solo che da umani il tempo passa più lentamente, quindi devono adeguarsi agli altri. Se ne vanno quando arriva il loro momento. Nessun mortale potrà mai sapere come sono fatti veramente gli dèi. Nasciamo come divinità, ma abbiamo il passaggio obbligato per il mondo dei mortali, per capire come ragionano, così da poterli aiutare al meglio quando saremo sul trono che ci spetta. E così, alla nostra morte, rimaniamo fra gli Spiriti Arcani del Consiglio. >>
<< E li incontri tutti nell’Ade? >>
<< Sì. >> replicò Ades, incrociando le braccia. << Nell’Ade ci sono tutti i morti e gli spiriti degli dèi che si riuniscono. Ovviamente le assemblee si svolgono sull’Olimpo, però. >>
Lydia si sporse verso di lui, guardandolo negli occhi.
<< Tu saresti dovuto morire, non è vero? >> chiese Lydia. Ades strabuzzò gli occhi, preso alla sprovvista. << Te lo chiedo, perché da quando mi hai raccontato la tua storia, questa domanda mi perseguita. Dato che tu sei il dio dei Morti saresti dovuto morire in fretta per liberarti del tuo corpo mortale, ma non è successo. Perché? Che cosa è cambiato? >>
Ades abbozzò un sorriso, lasciando scivolare la schiena lungo il cuscino della poltrona.
<< La vita. >> rispose Ades. << È la vita che cambia le carte in tavola, Lydia. La vita supera la morte. La medicina mi ha curato e non c’è niente di magico in questo. Ero un malato terminale, sono nato così. Avevo sette anni quando mi hanno ricoverato per l’ultima volta. Ero spacciato. Poi hanno scoperto un nuovo farmaco e mi hanno salvato. Questa è la mia storia. Sono stato fortunato, lo ammetto. Mia madre ha pregato tanto, perché sopravvivessi. Sono più figlio suo che del mio vero padre. Ogni umano ha il proprio destino ed il mio era quello, ma qualcosa ha fatto girare diversamente la ruota. I miracoli esistono e non sempre le divinità ne sono fautrici. >>
Lydia sbatté le palpebre. Era colpita e confusa. Credeva che fosse Zeus a decidere le sorti di tutti, soprattutto quelle dei suoi fratelli e dei suoi figli, ma a quanto pare si sbagliava. Almeno il cinquanta percento delle probbilità era affidato agli uomini ed alle loro capacità.
<< Dove sono ora i tuoi genitori? >> chiese.
<< Nell’Ade. >> rispose il ragazzo. << Avevo sedici anni quando morirono in un incidente d’auto. Io e Persefone eravamo soli. Suo padre le aveva lasciate quando lei era piccola, ma Demetra è sempre stata troppo autoritaria con lei. Persefone non si è mai sentita accettata da nessuno, anche se sapeva che sua madre voleva solo proteggerla e che non tutti gli uomini sono infedeli come suo padre. >> raccontò. << Quando Demetra mi conobbe, capì subito chi ero. Lei aveva spiegato da poco a Faith che avrebbe dovuto sposarmi, per via della nostra vera natura. È per questo che lei mi ha notato, perché aveva un compito da portare a termine. Sua madre gliel’aveva detto: “Un giorno lo incontrerai” e lei capì subito chi ero io. Mi mancavano dei pezzi che Faith mi ha spiegato solo l’altra notte. Mi ha ingannato per tutto il tempo. Non mi ha mai amato. Ha sempre e solo fatto quello che voleva sua madre. Che idiota, che sono stato. >> disse, con gli occhi umidi ed un sorriso amaro sul volto. Lydia si sentì male per lui.
<< Perché dici che ti ha salvato? >>
Ades sospirò, evitando di guardarla negli occhi.
<< Ha inventato lei la profezia. >> confessò Ades. Lydia spalancò la bocca. << Non volevo accettare il dono, aveva troppa paura. Quindi per non morire, ha inventato la profezia ed accettato il dono per me. >>
 
Paige concluse la telefonata con Kira e si andò a sedere di nuovo accanto a Derek, sulla sedia vicina al suo letto. Gli accarezzò la mano, poi i capelli, sorridendo in una maniera che di solito criticava, perché è la stessa che si vede in tutti i film romantici ed a cui lei non aveva mai creduto. Insomma, sei davvero così bella quando ti preoccupi? Lei lo era? Il ragazzo che sta dormendo davvero non si accorge della tua presenza? Derek poteva? Si sarebbe svegliato e lei avrebbe capito che ogni cosa sarebbe andata bene, che non importava se lui era quasi morto, perché era quel quasi a cambiare un’intera frase?
Lei non ci aveva mai creduto, ma quando Derek mosse le palpebre ed aprì gli occhi, cominciò a farlo. E le venne da piangere. Le venne da piangere, perché lei non era stata lì con lui, perché aveva lasciato che lui fosse certo che lei stesse al sicuro. Non gli aveva nemmeno detto addio, perché farlo avrebbe significato una cosa sola: lei non aveva fiducia in lui e lui sarebbe morto. Eppure, contemporaneamente, si era preoccupata per non averlo fatto, dato che dire addio una volta significa farlo per sempre, perché stai certo che non potrai farlo nel momento in cui vorrai tu. Paige lo sapeva: non c’è mai il momento giusto per dire addio, perché non sei tu a deciderlo. E lei aveva dovuto dire addio già a troppe persone, nella sua vita. Dire addio a Derek sarebbe stato un peso troppo pesante da sopportare.
<< Ehi. >> disse Derek, cercando di mettersi a sedere, sorridendo. Poi guardò fuori dalla finestra. << Che giorno è? >>
<< Venerdì. >> rispose Paige, aspirando l’aria come quando, dopo aver pianto troppo, viene a mancare il respiro.
Derek si voltò subito verso di lei, facendo andare i suoi occhi da una parte all’altra, osservando i suoi. Gli occhi straordinariamente blu di Paige facevano adesso a cazzotti con il rosso dei capillari rotti e sembrava così un mare di acqua che si espandeva nella lava bollente. In un’altra occasione, forse avrebbe anche potuto dirle che era un capolavoro d’arte moderna, ma non ora.
<< Mi dispiace. >> disse Derek scuotendo la testa, facendo per sfiorarle una guancia, ma lei si ritrasse. La delusione gli balenò sul viso. Lo sapeva anche se non poteva vederlo. << Se fra di noi è finita, vorrei saperlo. Preferisco conoscere come stanno le cose in modo chiaro e tondo, Paige, lo sai più di chiunque altro. Dimmelo qui e adesso, così smetteremo di farci del male a vicenda. Una volta per tutte. >>
<< Una volta per tutte le cose che non ti ho detto. >> replicò Paige, guardandosi le mani strette a pugno, mentre le unghie rigavano i palmi, chiusi sulle cosce. Derek scosse la testa, confuso. << Una volta per tutte, perché non ci diciamo le cose come stanno? Voglio dire, perché non ci raccontiamo i nostri segreti? >> chiese Paige, guardandolo.
<< Credevo che non ci fossero più segreti fra di noi. >> rispose Derek, sorpreso.
<< Perché non mi racconti di Jennifer? >>
 
<< Ragazzi, andate a casa a dormire. Dopo una notte del genere, avrete bisogno di riposare. >> disse John a Lydia, Isaac e Parrish, che erano appena arrivati. Ades abbassò la testa, facendo finta di non sentire, perché aveva di nuovo le cuffie nelle orecchie. << Tanto qui non potete fare niente. Melissa mi ha assicurato che entro la fine della giornata torneranno tutti a casa. >>
<> chiese Stiles, comparendo dal nulla, guardando il padre con un paio di occhi vuoti. John aveva creduto che avrebbe visto preoccupazione, lacrime non versate, labbra tremanti, ma non c’era niente di tutto questo. Nessuna emozione. Niente di niente.
<< Melissa ed Allison sono in camera con lui. Ha la testa fasciata e non ci vede bene da un occhio. Però non ti servirà stare qui, Stiles. Ti chiamo io quando avrò notizie. >>
<< No, io resto. >> ribatté il figlio.
<< Stiles, adesso sei sconvolto e preoccupato. Non aiuterai Scott in questo modo. Vai a casa con Lydia. >> disse John, anche se non avrebbe voluto lasciarlo da solo con Lydia. Aveva paura di quello che avrebbe potuto farle. Aveva paura di quello che avrebbe potuto fare a se stesso, se solo l’avesse toccata, una volta tornato in sé.
<< Papà, Scott è come un fratello per me. Non lo lascerò da solo. >> contestò risoluto e con sguardo fermo, quasi brillante, ma non era il suo. Era quello di qualcun altro, come se gli avessero impiantato un paio di occhi bionici. Quello era più Void che Stiles.
<< Figliolo, lo so. >> disse John, mettendogli una mano sulla spalla. << So che gli vuoi bene, ma adesso non serve qui la tua presenza. Sarai qui al suo risveglio. Ti chiamerò io, te lo prometto. >>
Stiles sospirò, sconfitto. Poi fece un cenno a Lydia.
<< Andiamo. >> disse, poi si rivolse al padre, scostandosi da lui.
<< Ricordati che me l’hai promesso. >>
E John ebbe la sensazione che lui sapesse che aveva capito.
<< Certo. >>
Sapeva che suo padre non intendeva affatto fidarsi di Void e che voleva tenerlo il più possibile lontano dagli altri per evitare di fare loro del male. Ma gli andava bene così. Ed era questo, più di tutto, che terrorizzava John, perché significava che aveva qualcosa in mente. E non prometteva niente di buono.
 
 << Cosa vuoi sapere? >> chiese Derek, evitando il suo sguardo.
<< Eravate fidanzati? >>
<< Sì. >>
<< Quando hai scoperto che non era la persona che credevi che fosse? >>
<< Troppo tardi. >>
<< La amavi? >>
Derek si zittì per un attimo. Il silenzio crollò su di loro come se fosse stato quel soffitto d’ospedale, robusto e tanto, tanto pesante, quasi asfissiante. Sentì il cuore battere forte, sentì odore di sangue ed il profumo pizzicante di Paige alla lavanda.
<< Non quanto amo te. >> rispose Derek, alzando gli occhi. Paige deglutì piano, le mani ancora chiuse a pugno e le unghie conficcate nei palmi, fin dentro, sempre più dentro. E Derek capì di chi era il battito del cuore, l’odore di sangue e di profumo. << C’è per caso qualcosa che non mi stai dicendo, Paige? >> domandò.
Paige ci penso su per un attimo, guardandolo intensamente negli occhi. C’era qualcosa che non gli aveva detto, ma che voleva fare adesso. Era stata la prima cosa a cui aveva pensato quando le avevano detto dell’attacco finito male e lei aveva persino ringraziato il cielo per la morte di Deucalion. Si morse il labbro inferiore, cercando di mantenere la calma e le lacrime, ma non era semplice. Prese un bel respiro, cercando di calmare la voce ed il battito cardiaco, ma era davvero arduo. E poi lo disse, estraniando gli altri suoni, ascoltando solo il respiro di Derek e guardando i suoi occhi che si irradiavano di incredulità.
<< Sono incinta. >>
 
La stanza era in penombra, ma illuminata dal pallore delle pareti chiare. Peter aveva sempre odiato gli ospedali da dopo il coma e sperava di non tornarci più, ma a quanto pare la vita ha sempre qualche impedimento da offrire.
<< Come ti senti? >> chiese Malia, guardandolo con la coda nell’occhio.
<< Bene. >> rispose Peter, laconico, cercando di togliersi la fasciatura al braccio.
Malia annuì, osservando il muro di fronte a lei senza vederlo veramente.
<< Non mi hai nemmeno chiesto come sto. >> replicò la ragazza, cercando di non dare a vedere quanto fosse infastidita, ma senza sforzarsi troppo.
Non che le importasse cosa Peter pensasse di lei o se gli importasse effettivamente di lei, ma dato che era suo padre biologico si sentiva in diritto di aspettarsi il minimo da lui. Come sapere se stava bene. Sapere se aveva voglia di piangere. Sapere se si era spaventata. Anche solo una bugia.
<< È ovvio che tu non stai bene. Sei in un letto d’ospedale e sei ferita, come dovresti stare? >> rispose Peter, acido.
<< Io intendevo dire… >> stava dicendo, poi si fermò. Peter alzò lo sguardo ed incontrò il suo. Non aveva niente di lui. Né il colore dei suoi occhi, né le sue labbra sottili o i suoi zigomi alti. Non aveva niente di lui. Nemmeno le sue dannate orecchie a punta! << Lascia stare. Non è importante. >>
Peter rimase in silenzio per un paio di minuti, pensando a cosa dirle. Doveva dirle qualcosa, doveva. Aveva voluto che il figlio di Dalia fosse suo quando aveva appena vent’anni ed ora stava gettando al vento la sua unica possibilità di averne uno. E che importava che non fosse di Dalia? I figli sono sempre figli, non poteva non amarla, perché era sua.
<< Sai, ho visto come lo guardi. Quando lui sta con lei, tu lo guardi come se quello ti stesse torturando. >> esordì Peter. Malia continuò a non guardarlo. << Quell’idiota ti piace da morire. E lo so, perché io guardavo Dalia nello stesso, identico modo. >>
<< Senti, >> ribatté Malia, con il sangue che le ribolliva nelle vene, << non mi interesa se tu hai amato o meno mia madre, ma fingere che ti importi di me è una bugia a cui adesso non mi va di credere. >> replicò. << E smetti di offendere Stiles in mia presenza, mi disturba. >>
<< Tu sei mia figlia. >>
<< Non quanto Derek o Paige. >> ribatté Malia, sfidandolo con lo sguardo.
Peter indietreggiò sulla sedia, come colpito. Avvertì una fitta allo stomaco e non sembrava che fosse per fame.
<< Derek è mio nipote e Paige non è che la figlia di una donna che ho amato un tempo. >>
<< Una donna per cui hai ucciso, a quanto pare. L’unica donna che tu abbia mai amato veramente. Non dirmi che non è rilevante, per te. >> replicò Malia. << E Derek è il figlio che non hai mai avuto. L’hai cresciuto. Lo stuzzichi di continuo, perché ti piace vedere come reagisce. Tu non hai mai voluto me. Quando pensi al tuo figlio ideale, il figlio tuo e di Dalia che hai perduto, tu pensi a lui e non a me. >> disse Malia, abbozzando un sorriso che non sembrasse troppo forzato. << Ed anche se io vorrei che lo fosse, dato che ci siamo conosciuti solo da poco tempo, non è colpa tua. >>   
 
Allison si stropicciò gli occhi stancamente. Praticamente non aveva chiuso occhio per tutta la notte ed era andata avanti a furia di bicchierini di caffè. Probabilmente adesso se n’erano tutti andati a casa ed avevano fatto anche bene, dato che non c’era nulla che potessero fare. Però, in caso contrario, lei li avrebbi capiti. Insomma, dopotutto lei era rimasta lì e non voleva muoversi. Tutti volevano bene a Scott ed erano preoccupati per lui esattamente come lei, quindi era giusto che stessero lì per vederlo al risveglio.
Si alzò e si avvicinò alla finestra, poi spalancò le tende. Era mattina inoltrata, ormai. Però facevano ancora un po’ freddo, così si strinse nelle spalle, massaggiandosi le braccia, allungandosi le maniche del maglione fino alle dita. Se Scott non avesse più potuto vedere il cielo azzurro, i bambini che correvano ad abbracciare le loro madri fuori dall’ospedale o lei, i suoi occhi, il suo naso, la sua bocca… forse sarebbe pesato meno a lui che a lei. Perché nessuno l’aveva mai guardata come la guardava lui e farlo con un occhio solo non sarebbe stata la stessa cosa. Anche se, sia chiaro, lei avrebbe continuato a sostenerlo ed amarlo. Non l’avrebbe lasciato solo come lui non aveva lasciato sola lei.
Sentì un movimento, come un fruscio, provenire da dietro le sue spalle. Si voltò di scatto e vide la mano sinistra di Scott che cercava di stringere le lenzuola, il viso contratto in una smorfia di dolore. Corse fuori dalla stanza senza perdere tempo per chiamare un’infermiera. E magari anche per piangere dalla gioia, chissà.   
 
Ades uscì fuori dall’ospedale con l’accendino nella mano destra. Gli era sempre piaciuto l’odore del fumo, ma non aveva mai potuto provarlo per via della malattia. Però poteva sempre usare l’accendino come anti-stress, toccandolo spasmodicamente con le dita, come per aggrapparsi a qualcosa che non poteva avere. Eh sì, alcune volte si era chiesto se non somigliasse un po’ al pensiero fisso di Persefone che non lo lasciava in pace.
<< Credevo che te ne fossi andata. >> disse, accendendo e spegnendo l’accendino con il pollice.
Persefone deglutì in silenzio, a pochi passi da lui, armeggiando con la stoffa del vestito come faceva sempre quando era nervosa.
<< E dove? >>
<< Non lo so, non mi interessa. Via, lontano. Molto lontano da me. >>
<< Ades, so di averti fatto del male e mi dispiace davvero, davvero tanto, ma è stato difficile anche per me. Dovevo proteggerti, in qualche modo. Non potevo dirti la verità. >>
<< Non ti voglio più vedere. >> disse Ades, stringendo lentamente il pugno sinistro.
<< Ades, per favore… >>
<< TU NON MI HAI MAI AMATO! >> urlò, voltandosi con occhi di fuoco. Persefone indietreggiò, rischiando di inciampare. Non le aveva mai parlato in quel modo. Mai. << Hai sempre fatto i tuoi interessi o quello che diceva tua madre! Non hai mai fatto niente per me! Mentre io, idiota, al contrario ti sono sempre stato vicino, mi sono fidato di te e… dannazione! >> esclamò, portandosi le mani alla testa, gli occhi lucidi, passandosi una mano nei capelli. Persefone non l’aveva mai visto così distrutto. Non sapeva cosa dire. Non sapeva come reagire. << Faith, io non so cosa tu volessi e non so se tu abbia mai cercato di non farmi del male, ma l’hai fatto. L’hai fatto comunque e questa cosa mi fa morire dentro, perché eri l’unica persona che mi era rimasta ed ora non ho più neanche te. >>
Persefone abbassò le braccia, portandole lungo i fianchi, con il cuore ormai a brandelli e gli occhi che le bruciavano per il pianto e la stanchezza insieme. Aveva distrutto tutto quello che aveva costruito. Aveva distrutto lui, l’unica persona che le fosse mai stata davvero accanto. Il senso di colpa minacciava di divorarla dall’interno, ma si fece forza e si avvicinò a lui piano, la voce calma ed una specie di sorriso dolce ad illuminarle il volto pallido.
<< Hai presente quando chiudi gli occhi stringendo le palpebre, per concentrarti e vedi tutto nero? E poi quando li riapri vedi tutto sfocato e a mano a mano che riprendi a scrivere qualcosa torna tutto di nuovo a fuoco. Forse tu non lo ricordi, ma questo era esattamente quello che facevi tu durante gli esami all’università. Ed io ti osservavo, ogni tanto, alzando gli occhi dal foglio e sorridevo. Mi piaceva guardarti nel tuo ambiente, immaginare come lavora il tuo cervello geniale, osservare i tuoi sforzi doloranti, per me erano quelli i momenti d’oro. Perché tu sei geniale, Ades. >> disse Persefone. Ades non avrebbe voluto, ma il suo corpo rispose alla lusinga e lui arrossì. << Io posso solo immaginare quali sforzi debba compiere il tuo cervello, perché analizza e ricorda tutto, troppo ed allora poi si stanca e vorrebbe risposare, ma non può. E non può, perché in realtà vive di conoscenza, non ha bisogno di ozio, ma solo di svago. Ed io ti conosco, solo che a te piace solo risolvere calcoli e non scrivere temi. E so anche che ogni volta che potevi tu guardavi me e soffrivi, perché tu mi amavi, ma io no. E credimi Ades, anche essere la parte amata fa male. Ogni volta mi chiedevo se potessimo continuare ad essere amici, se magari ti avessi dato false speranze con una parola o un gesto, se magari un giorno mi saresti piaciuto anche tu. >> continuò Persefone, poi fece una pausa. << Nessuno parla mai di chi sa di essere amato, tutti parlano solo di un amore non ricambiato. È giusto così, perché sono più gli amanti che gli amati consapevoli di esserlo, dico solo che nessuno parla mai dell’altra parte. C’è sempre qualcuno che ti ama, ma non ti basta mai, perché la verità è che egoisticamente tu apprezzerai di più la persona che ti interessa ma che non ti vuole. >> continuò lei, per fermarsi in seguito a guardare il pavimento, lo sguardo serioso. << Forse mi sono lasciata condizionare da mia madre, non lo nego, ma dopo averti conosciuto, io mi sono affezionata davvero a te. Quindi per favore Ades, non dire che non ti ho mai amato. Ti ho ingannato, ti ho mentito, ti ho ferito, ho fatto tante cose brutte, che non giustifico ma fra queste non c’è il peccato di cui tu mi accusi. Io ti ho amato fin dal momento in cui te l’ho confessato. Io ti ho sempre amato davvero, completamente, interamente. >> concluse, con le lacrime agli occhi ed un buco nello stomaco.
 
Allison gli strinse la mano per tutto il tempo in cui le infermiere lo visitavano. Una volta che furono uscite, Scott la guardò e le sorrise. L’occhio sinistro era mezzo aperto e non riusciva a fare più di così, perché il taglio era troppo vicino alla palpebra e gli faceva male ogni volta che la muoveva. Probabilmente sarebbe comunque guarito in pochi giorni, perché il taglio non era superficiale, ma neanche troppo profondo. Allison cercò di fingere che andasse tutto bene e non parlò finché lui non cominciò.
<< Come stai? >> chiese Scott.
<< Starò meglio. >> rispose Allison, le dita bollenti perché le mani di Scott erano belle calde. << Non avrei dovuto portarti con me. Sarebbe potuta finire peggio di così. >>
<< Senza di me, sarebbe potuta finire peggio. Come al solito, sei tu che ne hai pagato le conseguenze. Fai sempre l’eroe ed io ho sempre troppa paura di perderti. Avrei dovuto fermarti. È colpa mia. >>
<< Tu sei sempre troppo gentile. >> replicò Scott, accarezzandole una guancia.
<< E tu sei sempre troppo buono. >>
<< Siamo una coppia vincente. >>
Allison scoppiò a ridere, anche se le sue labbra cominciarono a tremare e la voce le si incrinò. Gli occhi le si riempirono di lacrime, ma le cacciò indietro. Non voleva che Scott la vedesse piangere per una cosa così stupida. Ne erano sempre usciti fuori e lo avrebbero fatto anche ora, non c’era di che preoccuparsi. Non sarebbe morto più nessuno.
<< Scusa, io… scusa. >> mormorò Allison, lasciandogli la mano ed asciugandosi gli occhi con le dita.
<< Ehi, non devi scusarti di niente, chiaro? >> ribatté Scott, guardandola intensamente, ma con tono dolce.
Ad Allison mancò un battito. La sua gentilezza la faceva sempre crollare a picco, non ne conosceva il motivo. Aveva scelto di essere gentile, perché nessuno lo era mai stato con lei e quindi voleva diventare migliore e far stare bene gli altri. Però quando qualcuno si dimostrava gentile nei suoi confronti la faceva sempre sentire bene, come se non se lo meritasse e per qualche motivo, le veniva da piangere. Sì, era stupido, ma era anche un aspetto di lei che le piaceva in fondo: dimostrava che era ancora sensibile, sebbene avesse passato tutto quello schifo.
<< Okay. >> disse Allison, alzando le spalle. << Mi abbracci? >>
Scott allargò le braccia e la strinse forte a sé, dandole un bacio sulla guancia.
<< La prossima volta che avrai paura, vieni da me e giuro che te la farò passare. >>
 
***
 
<< Melissa, ehi, Scott sta bene? Ho sentito che si è svegliato. >> disse John con un sorriso.
Melissa annuì.
<< Sì, a quanto pare sta meglio. Le sue ferite sono guarite tutte, tranne quella vicino all’occhio. >> rispose, ordinando le cartelle.
<< E tu? >> chiese. Melissa lo guardò. << Come stai? >>
<< Oh, io sto bene. Ho chiamato Rafe, sta arrivando. Era molto agitato, come al solito quando si parla di Scott e degli esseri sovrannaturali. >> sussurrò sorridendo per fare il verso a Rafe. John ridacchiò.
<< Senti, se hai bisogno di me, basta che mi chiami. Io vado a casa. >>
<< Okay. >> replicò.
John si voltò e fece per dirigersi verso la porta, ma un singhiozzo lo bloccò. Si girò e vide Melissa che cercava, senza farsi notare, di reprimere le lacrime, stropicciandosi gli occhi violentemente. Riprese le cartelle ed alzò lo sguardo, incontrando il suo. Balbettò qualcosa, poi gli sorrise, pensando che aveva fatto proprio una bella figura, sì, davvero e se ne andò lungo il corridoio.
<< Melissa! >> la chiamò John, correndole dietro. Una volta, sua moglie Claudia, gli aveva detto che aveva capito che lui l’amava davvero, quando l’aveva rincorsa per quella strada di New York, quando lei stava cercando di scappare da lui per trasferirsi da sola a Sydney e non fargli del male. Poi, però, era rimasta. Ed aveva anche saputo di essere incinta. << Melissa, fermati! >>
Melissa si fermò alla fine del corridoio, stringendo le cartelle al petto. Si voltò e John la guardò a lungo, soffermandosi su ogni particolare di lei, come i suoi occhi rossi o i suoi ricci stanchi che le ricadevano sulle spalle. Quando aveva perso sua moglie, credeva che non avrebbe mai amato nessun’altra donna con la stessa intensità con cui aveva amato lei ed era vero, perché ami ogni persona in modo diverso, ma la ami comunque. E lui amava Melissa e vederla in quello stato, lo faceva sentire malissimo.
<< Ho creduto di perderlo. >> confessò, guardandosi i piedi come quando faceva da ragazzina durante le interrogazioni. << Lui è la mia famiglia. >>
<< Lo so. Anche io ho avuto paura di perdere Stiles e ce l’ho ancora. Quindi so cosa si prova. Puoi parlarne con me, se vuoi. Puoi sempre parlare con me di qualsiasi cosa. Lo sai, non è vero? >>
Melissa gli accarezzò una spalla, sorridendo.
<< Grazie, John. >>
<< Le persone che ti vogliono bene ti stanno sempre accanto nei momenti peggiori. >> replicò John.
Melissa mosse un passo verso di lui, osservando il suo viso, le sue rughe, i suoi occhi, le sue labbra. Somigliava molto al figlio, ma aveva qualcosa che Stiles non aveva: quel luccichio che la faceva sentire importante quando la guardava. Probabilmente Stiles ce l’aveva quando guardava Lydia, ma a lei piaceva che John, proprio lui e nessun altro, la guardasse così. Rafe non l’aveva mai fatto. Gli allacciò le braccia al collo e si mise in punta di piedi per baciarlo. Lui, seppure sbalordito in un primo tempo, la strinse delicatamente a sé.
Melissa non si era mai sentita così bene. Mai, mai in tutta la sua vita, si era sentita così in pace con se stessa.
 
<< Ehi. >> disse Lydia, mentre Paige entrava in bagno per lavarsi le mani.
<< Ciao. >> rispose Paige, con due ombre sotto gli occhi.
<< Stai bene? >>
<< Non proprio, ma ce la farò. >>
<< Derek? >>
<< Sta bene. >>
<< Io e Stiles stiamo per tornare a casa, ma ho bisogno di chiedertelo: come facevi a sapere che io potevo conoscere chi sarebbe morto? Insomma, solo perché sono una Banshee o sai qualcosa che io ignoro? >>
Paige si rinfrescò la faccia ed i polsi, ma qualcosa le diceva che se non fosse tornata a casa subito, sarebbe svenuta lì davanti a tutti. Si toccò la pancia solo per un secondo, poi alzò le spalle.
<< L’ho immaginato. >>
<< So che hai letto il Bestiario. Ce lo hai detto tu stessa. >>
<< Non c’entra niente il Bestiario. Ho solo pensato che tu potessi saperlo per via dei tuoi poteri. Tu predici la morte, Lydia. Sai benissimo chi morirà. >> replicò Paige, scuotendo la testa. << E so che è un peso troppo grande da portare, ma è il tuo, purtroppo. Ed io ho il mio. >>
Lydia si morse un labbro, non capendo l’allusione di Paige. Era troppo lontana dai suoi pensieri, era qualcosa di troppo strano su cui riflettere. Incrociò le braccia, appoggiandosi con la schiena al lavandino.
<< Deucalion non era cieco. Jennifer gli aveva restituito la vista l’ultima volta in cui l’avevamo incontrato, ma tutti ce n’eravamo dimenticati. E poi c’è la profezia da spiegare. Quella è più facile, perché è già cominciata. Deucalion è quello che è morto per potere. Ne mancano solo due. Non possiamo salvarli, Paige. A questo punto, ho capito che non possiamo. >> disse Lydia.
Paige le mise le mani sulle spalle, guardandola negli occhi.
<< Non puoi salvarli tutti, Lydia. Devi accettare che, purtroppo, qualcuno di loro lo perderai. Devi solo sperare che non sia qualcuno a cui tieni molto. >>
Lydia annuì, ma ormai era troppo tardi: il cuore le era già crollato nello stomaco.  
 
L’ultima volta in cui aveva sentito la sua voce metallica era stata proprio in quella chiesa. Non avrebbe potuto immaginarla diversamente. Era come stare in una grotta in riva al mare ad ascoltare l’abbattersi lento delle onde contro gli scogli e gli uccelli cantare. Si accarezzò le braccia scoperte dallo scialle rosso, abbassando il capo. Non le andava più di litigare e nemmeno di urlare o di sentire la sua voce spezzata per il pianto, a causa sua. Si era rifugiata lì per chiedere perdono agli antenati, ma adesso si rese conto che era stato inutile. Aveva solo preferito scappare, piuttosto che affrontare lo sguardo di Ades: distaccato, freddo, deluso. In lacrime. Assente. O forse fin troppo presente. Fin troppo innamorato. Il loft di Derek sembrava troppo grande per due persone perse come loro. Due persone che non avevano mai avuto una vera casa.
<< Ti avrei amata comunque. >> esordì Ades, con quello strano schiocco che fanno le labbra quando sono troppo secche. Persefone alzò lo sguardo su di lui. << E tu lo sapevi. Tu sei sempre stata un passo avanti, furba come una volpe, quasi matematica a volte. Sapevi che però mi sarei ricordato per sempre di quello che avevi fatto, delle tue bugie e non avresti sopportato il mio sguardo inquisitorio addosso. >>
<< Avevo paura di perderti. >> disse Persefone, gli occhi grandi lucidi.
<< No, tu avevi paura di rimanere sola. >> ribatté Ades, scuotendo il capo. << Ed è questo che ti rende la persona più egoista che abbia mai conosciuto. >>
Persefone si strinse ancora di più nelle spalle, non sapendo cosa dire. Avrebbe voluto replicare che non era vero, che si stava sbagliando, ma c’era qualcosa dentro di lei che la bloccava. Forse era vero. Forse, dopo aver perso sua madre, lei aveva davvero paura di rimanere da sola con tutto quel potere, quell’enorme carico di responsabilità e voleva legare qualcuno a sé per sempre per non dover rimanere da sola a combattere. Ma lei non lo voleva. Non consciamente, perlomeno.
<< Non ho mai voluto tutto quello che è accaduto. >>
<< Lo so, ma è successo. Ed è successo a causa tua. >> disse Ades, le mani in tasca. I capelli biondi sembravano più scuri nel buio, come se la sua stella non rilucesse più. << Ho giustiziato un uomo per te. >>
<< Hai salvato delle persone innocenti. >>
<< L’ho fatto per te, non per loro. Ho montato su tutto questo casino per te, per cercare te, per proteggere te, perché amavo te. Mi sono preso la briga di venire qui da Londra, di conoscere gente nuova, di guadagnarmi la loro fiducia, per poi tradirli in quel modo. Ma che razza di persona mi hai fatto diventare? In cosa mi hai trasformato, Faith? >> chiese Ades, il tono di voce poco più alto, ma lo sguardo inorridito, rabbioso. << Se l’amore non ti rende migliore, allora non è vero amore, ma è un amore malato. Ed io sono guarito. >>
Persefone si sentì cadere. Le gambe stettero per cedere. Aveva la gola secca, le mani tremanti intorno allo scialle che minacciava di scivolarle dalle spalle. Le palpebre stavano per cascarle dal sonno, ma resistette, perché la situazione era troppo importante.
<< Che – che vuoi dire? >> chiese a scatti, con il cuore che le faceva un male cane nel petto.
Ades deglutì piano ed ogni suo battito di ciglia sembrava un decennio che passava.
<< Mi hai perso, Faith. Hai tirato troppo la corda. >> rispose Ades, senza guardarla negli occhi.
<< Se mi stai lasciando, lo devi fare guardandomi negli occhi. Mi devi dire che non mi ami più. >>
<< Io non sono come te. Io non mento alle persone che amo. >> ribattè Ades, con sguardo di fuoco, fissandola. Persefone quasi indietreggiò, come colpita da una freccia avvelenata. << Abbiamo chiuso. È finita. >>
Ades si voltò e camminò verso la porta come sempre, come se non fosse cambiato niente, come se fosse tutto normale. Persefone cadde in ginocchio, mentre la porta del loft le si chiudeva in faccia.
E scoppiò in lacrime. 






Angolo autrice:
Saaalve :3 So che non aggiorno da tempi immemorabili, ma ho avuto davvero moltissime cose da fare ed attualmente non so quando riuscirò a pubblicare di nuovo, ma godetevi questo capitolo! 
Serviva un pezzo di passaggio fra la prima battaglia ed il resto che sarà ancora più incasinato della prima parte, ma già molti nodi si sono sciolti in questo capitolo, più lungo dei precedenti comunque.
Andiamo al sodo: MA PAIGE. Ve lo aspettavate? I Daige sono una coppia meravigliosa, quindi speriamo in tanta felicità per loro due (tre) :3
E poi Ades e Persefone che si mollano ç_ç In realtà, in questo capitolo si vede un lato di Persefone che la farà risultare forse antipatica, perché non si capisce se si era innamorata di Ades anche se sua madre l'aveva spinta verso di lui o se lo ha ingannato fin dall'inizio, per non parlare della storia della profezia che ancora non si è risolta. Voi cosa ne pensate? State dalla parte di Persefone o da quella di Ades?
E poi, ovviamente, non poteva mancare un momento Scallison, perché quei due sono il mio OTP preferito (a parte gli stydia, ma qui c'è molto poco stydia). Ed anche il momento Malia/Peter è molto dolce e malinconico, perché alla fine lei ha sofferto molto per via di Peter e lui ancora non se ne rende davvero conto. Però sta cercando di cambiare, di capire la figlia. Meglio di niente, no?
Grazie a tutti quelli che recensiscono o inseriscono la storia fra le preferite/seguite/ricordate :)
P.s. Avete saputo della triplice vittoria meritatissima di Dylan agli MTV Awards?? *_* 
Alla prossima! :)
Erule

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - The Church ***


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Capitolo 8
The Church

 
Fu con un urlo disumano che si svegliò quella mattina. Un urlo trattenuto in gola per tutta la notte, che usciva fuori solo adesso, lasciandosi alle spalle una scia di fuoco, dritta nella trachea. Respirò piano, male, cercando di riprendere il controllo del suo corpo, di capire dove fosse, se fosse da sola, perché gli occhi le pizzicavano. Si guardo intorno terrorizzata, i piedi congelati per il freddo e la pioggia che ticchettava sui vetri della sua finestra. Pensò di chiamare Stiles, ma la voce le si smorzò in gola, ricordandosi che quello non era più il suo Stiles e che non lo aveva nemmeno fatto dormire accanto a lei. Aveva addirittura chiuso la porta a chiave, talmente era terrorizzata che potesse farle qualcosa. Il punto era che, dato che alla fine non aveva ancora dato di matto completamente, era meglio tenerlo d’occhio e fare sembrare tutto normale, quindi era rimasto con lei. Non l’aveva mai nemmeno sfiorata, quasi non le aveva rivolto la parola, dopo la sera prima. L’unico che era rimasto in ospedale quella notte era stato Scott, perché a quanto pare non era riuscito a guarire da solo abbastanza velocemente. Sul suo viso torreggiava ancora un’orribile cicatrice che gli accarezzava l’occhio, come se fosse sempre stata lì e combaciasse perfettamente con la sua palpebra sinistra.
Decise di alzarsi con cautela, accendendo il telefono. Erano le 7:37 di sabato mattina. Avrebbe voluto vestirsi in fretta per andare all’università, ma portarsi dietro Stiles per controllarlo era un peso che avrebbe voluto evitare di caricarsi addosso. Si vestì velocemente, indossò l’abito del suo compleanno, raccolse i capelli in una treccia e mise le scarpe nere con i tacchi. Scese al piano di sotto con cautela, cercando di sentire se era da sola o meno. Niente. Neanche un rumore di sottofondo che non fosse quello della pioggia. Questa cosa la mandava in bestia. Manco fosse stata la protagonista (bellissima, meravigliosa) di un film horror! Sbraitò, entrando nel salotto.
<< Buongiorno. >> esordì Stiles, seduto sul divano. Indossava una familiare felpa marrone che si apriva su di una maglietta scura, un paio di jeans e degli stivaletti neri.
Ma porca di quella miseria, doveva per forza rimanere così bello anche in una situazione del genere? Ma si è mai vista un’entità maligna brutta, che possibilmente non faccia apparire il tuo ragazzo come il re degli strafighi? No, eh?
Lydia mandò giù saliva ed aria insieme, sperando di dover evitare una seconda doccia (fredda, stavolta).
<< Buongiorno. >>
<< Stamattina ci sono cereali al contorno di lussuria o fette biscottate con sguardi languidi inclusi. >> replicò Stiles, alzandosi. Lydia notò che stava armeggiando con qualcosa che somigliava molto ad un paio di manette. Un paio di manette? << Ehi, era una battuta. >>
Lydia si ridestò.
<< Cosa? >>
<< A quanto pare, il mio umorismo non fa per te. Be’, non importa, abbiamo altro da fare adesso. Mangia qualcosa e poi usciamo. >>
<< Dove andiamo? >> chiese Lydia, sedendosi a tavola. Cereali o fette biscottate? Davvero, mamma?
<< In ospedale, ovviamente. Scott ha bisogno di noi. >> rispose Stiles, prendendo posto di fronte a lei.
<< Sai, se non fosse per quello sguardo inquietante, direi che tu sei lo Stiles di sempre. >> disse Lydia senza pensarci, addentando una fetta di pane. Se ne pentì due secondi dopo.
<< Davvero? >> chiese Stiles, guardandola con quegli occhi intensi, come se potesse passarla a raggi X in meno di dieci secondi. Si tirò giù il lembo dell’abito, perché si sentiva improvvisamente scoperta di fronte a lui. << Sai, questo vestito ti dona molto. >>
Se n’era accorto. Fantastico.
<< Grazie. >> replicò Lydia, guardandosi le nocche rosse per lo sforzo di tirare giù quel dannato vestito che non voleva saperne di andare giù.
<< Non ne avrai bisogno. >> disse Stiles. Lydia alzò lo sguardo, ma lui non era più di fronte a lei.
<< Di cosa stai parlando? >>
<< Delle mani. >> rispose Stiles, dietro di lei. << Non ne avrai più bisogno. >> ripeté, poi, con uno scatto, le chiuse le manette intorno ai polsi. Lydia gridò. << Stai tranquilla, tua madre sta dormendo nella rimessa delle barche, sarà molto difficile per lei sentirti. E se ti stai chiedendo da dove provengono queste manette, be’, sono quelle dello sceriffo, le stesse che usò l’ultima volta su di me. >> disse, poi la prese per un braccio e la portò in salotto, gettandola sul divano. Lydia cercò di rimanere calma, ma era spaventata a morte. Avrebbe potuto farle del male e nessuno l’avrebbe mai saputo. Avrebbe potuto ucciderla con le mani di Stiles e nessuno l’avrebbe fermato. << Se ti stai chiedendo come mai sto facendo tutto questo è perché ho l’ordine di farlo. Il problema è che la trasformazione non è ancora ultimata. Non possiedo ancora interamente il corpo di Stiles, quindi ho un unico veto. >> disse, mettendosi di fronte a lei, facendo leva sugli avampiedi per stare alla sua altezza e poter racchiudere il suo mento fra due dita. Lydia non sentì male al mento e nemmeno cattiveria nella sua voce. Stiles le passò lo sguardo addosso come se la potesse spogliare con gli occhi e questo la rendeva inquieta, spaventata ai massimi livelli. Qual era il veto? Non poteva ucciderla? C’erano cose peggiori della morte, cose orribili che avrebbe potuto farle. << Non posso farti del male. >> replicò e lei lo vide, vide davvero Stiles nelle sue pupille scure, intrappolato in una gabbia che gridava aiuto e piangeva.
<< Liberami. >>
<< Tu prova ad urlare, ed io giuro che non avrò pietà. >> ribatté Stiles, alzandosi. << E per la cronaca, il vestito mi piaceva davvero. Adesso l’hai strappato tutto. >>
Lydia si guardò l’abito e vide quello che aveva effettivamente fatto, ma non aveva importanza. Stiles aprì la porta.
<< Ucciderai Scott? >>
<< Questo è il piano. >>
<< Avresti fatto prima a chiudermi nel bagno. >>
<< Non potevo toccarti più di così. >>
<< Davvero? >> chiese Lydia, alzandosi. Stiles si voltò, la porta ancora aperta dietro di lui. Lydia sapeva che era rischioso, ma doveva provarci.
<< Mi hai baciata. Ieri sera, mi hai baciata. >>
<< Un bacio sulla guancia non significa niente, lo danno anche i bambini alla loro mamma. >>
<< Mi hai sfiorato un fianco con le dita. Quello non era solo un bacio, per me. >> ribatté Lydia, sfidandolo con lo sguardo. Stiles sbatté la porta di casa e le andò incontro rabbioso, stringendo il pugno destro lentamente.
<< Dove vuoi arrivare? >>
Il cuore di Lydia minacciava di uscirle fuori dal petto, ma lei doveva fare qualcosa. Non era più la sciocca ragazzina in pericolo, adesso era forte anche lei, poteva fare qualcosa. Poteva perlomeno provare a fermarlo.
<< Non hai più rispettato quella promessa. Quella riguardante un certo bacio. >>
Stiles la osservò per qualche secondo, molto intensamente, fin troppo, mentre Lydia sperava che il suo piano andasse per il meglio. E poi… la spinse contro il muro, incastrandola fra le braccia, le labbra screpolate incollate alle sue, non sapendo se lo faceva per via dello Stiles vero o per qualcos’altro, ma lo fece. Lydia fece scviolare le mani verso la tasca laterale dei suoi pantaloni e piano, molto piano, sfilò la chiave delle manette e cercò di aprirle. Il problema era che la farsa non poteva reggere a lungo, perché un bacio, per quanto passionale possa essere, non può durare dieci minuti buoni senza lasciarti respirare. Ma a lei bastavano solo altri due minuti. Non chiedeva troppo. Due minuti ed avrebbe risolto la cosa. Due soli minuti.
<< Che diavolo stavi cercando di fare? >> chiese Stiles, buttando le chiavi dall’altra parte della stanza. << Credi davvero che io sia stupido quanto il tuo fidanzato? >>
<< N-no, io non… >>
<< Noi due abbiamo chiuso. Fine dei giochi. >> disse Stiles, prima di tirare fuori un coltello dall’altra tasca. Lydia sbiancò in volto.
<< Avevi detto… >>
<< L’hai perso. >> disse e Lydia morì dentro, un pezzo alla volta. << Avete perso tutti. >>
Conficcò il coltello nel muro, squarciandole il vestito ed anche la pelle, mentre Lydia si muoveva, ferita ad una gamba e si gettava sul pavimento. In qualche modo ne sarebbe uscita. Non avrebbe lasciato che Stiles avesse provato a proteggerla invano. Strisciò verso il mobile per tirare giù qualcosa, il sudore che le colava dalla fronte e dalle tempie ed il battito cardiaco nelle vene più amplificato che mai. Avrebbe voluto scoppiare a piangere, ma doveva rimanere lucida. Stiles la bloccò per le gambe e la voltò, il coltello sempre stretto in pugno e quegli occhi famelici, fuori dall’ordinario. Lydia urlò a squarciagola.
La porta si aprì con uno schianto. Lydia non fece in tempo a vedere niente che sentì solo un brivido freddo correrle lungo la schiena e qualcosa di caldo gocciolarle sul ventre. Le pupille di Stiles si dilatarono, lasciò andare il coltello e si accasciò contro il muro, una mano ferma sulla gamba sinistra piena di sangue. La freccia di Allison stava accanto a lui, argentea e bellissima. Lydia buttò fuori l’aria, mentre la sua migliore amica l’aiutava ad alzarsi.
<< Non mi rispondevi al telefono e Scott ha detto che dovevo venire ed io ero spaventata a morte e pensavo che se eri morta… se eri morta per colpa mia, io… >>
<< Allison, va tutto bene. >> disse Lydia, appoggiandosi a lei, digrignando i denti per via del dolore al fianco. << Starò bene. >>
Lydia lasciò la mano dell’amica e scivolò accanto a Stiles, che aveva gli occhi chiusi ma una smorfia di dolore dipinta sul volto. Lydia gli accarezzò una guancia, le guance umide di lacrime. Se quella doveva essere la fine della loro storia, voleva almeno che le fosse cancellata la memoria, perché non voleva ricordarsi di quegli ultimi momenti. Voleva ricordare solo i momenti belli, quelli in cui l’aveva amato di più, quelli in cui lui l’aveva toccata con dolcezza o le aveva detto che sarebbe impazzito se lei fosse morta.
<< Lydia… >>
<< Io ti amo, Stiles. E vorrei essermene accorta prima, così avrei potuto amarti di più. >> disse Lydia, stringendogli forte una spalla, bagnandogli la maglietta con le sue lacrime. Allison si tormentò le dita. << Avrei voluto essere in grado di salvarti. >> disse, chiudendo gli occhi sulla sua spalla, baciandogli la mandibola.
Rimasero così per un tempo indefinito, forse qualche minuto o poco più, finché non lo sentì muoversi sotto di lei. Allison preparò l’arco, ma Lydia le fece cenno di non agire. Stiles aprì gli occhi e sbatté le palpebre un paio di volte, prima di rendersi conto di dove fosse. Guardò Lydia ed impallidì.
<< Lydia, cosa… cosa è successo? Sono stato io? >> chiese, alludendo al suo fianco. Si portò le mani alla testa, poi il dolore alla gamba esplose e gridò.
<< Shh, Stiles, adesso Allison chiama un’ambulanza e ci portano in ospedale. >> disse Lydia, accarezzandogli una guancia. << Grazie al cielo sei vivo. >>
Stiles l’allontanò da sé.
<< Non mi toccare. >> disse. Lydia era confusa. << Avrei potuto… avrei potuto farti tante cose. Lydia, io… >>
<< Non mi hai fatto niente di tutto quello a cui stai pensando. Niente. >> replicò Lydia. << Mi hai protetta fino all’ultimo. Sto bene. >> disse, mentre il sangue defluiva dalle guance ed il ronzio nelle orecchie si faceva sempre più forte. << Siamo due sfortunati amanti, Stiles. Non trovi crudele che Shakespeare si sia preso Giulietta per prima? >> chiese.    
<< Lydia, cosa stai dicendo? Lydia! LYDIA! >>
 
John mise le mani sui fianchi, poi ai lati della tasca, di nuovo sui fianchi, sulla pistola, ancora sui fianchi… Avrebbe voluto urlare. Avrebbe dovuto saperlo. Era un agente di polizia, avrebbe dovut proteggerla. Per quanto poteva saperne adesso, suo figlio aveva ucciso la sua fidanzata e senza neanche volerlo, per giunta.
<< John, stanno arrivando. >> disse Melissa, posandogli una mano sulla spalla. << Andrà tutto bene, vedrai. >>
<< Natalie ha solo lei… >> mormorò John.
Melissa scosse la testa.
<< John, ascoltami… >>
<< Mio figlio… mio figlio… non so nemmeno più se quello è mio figlio o… per l’amor del cielo, basta! Basta, basta, basta! >> esclamò John, portandosi le mani alla testa. Melissa lo abbracciò da dietro, stringendolo forte a sé, sperando che in qualche modo solo quello potesse bastare per alleviare un po’ il dolore.
<< Andrà tutto bene, John. Te lo prometto, andrà tutto bene. >>
Poi, la calma diventò solo un ricordo lontano. Melissa lo sapeva bene: quando si aprono le porte dell’ospedale con così tanta violenza, non si promette mai nulla di buono all’orizzonte. I paramedici portarono in fretta la barella di Lydia in stanza, mentre Stiles ed Allison li inseguivano.
<< Volete spiegarmi cosa diavolo sta succedendo? Ehi! >> esclamò Stiles, ma Allison cercò di tenerlo per un braccio.
<< Stiles, non puoi fare niente. >>
<< Ehi! Rispondetemi! >> urlò invece lui, senza ascoltare Allison.
<< Sei un mostro! Sei solo un dannato, misero mostro! >> abbaiò suo padre, prendendolo per il colletto e spingendolo contro il muro.
<< JOHN! >> gridò Melissa.
<< Avresti potuto ucciderla! >>
Stiles lo guardò terrorizzato, le mani bloccate contro il muro ed il respiro mozzo. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma si ritrovò a fissarlo in quel modo, con il cuore a mille e le gambe molli.
<< Signor Stilinski, lo lasci, è Stiles! >> replicò Allison, sfiorandogli un braccio.
John per un attimo ci pensò su, osservando gli occhi di suo figlio, pensando che era davvero tornato. Un attimo dopo, però, tutte le sue speranze svanirono nel nulla.
<< Tu non sei mio figlio. >> disse, senza lasciarlo nemmeno per un secondo.
<< Papà, ma che stai… >>
<< Preferirei che mio figlio fosse morto, piuttosto che dover vedere il suo corpo controllato da un’entità schifosa che sa solo giocare con i sentimenti delle persone. >>
L’espressione del ragazzo cambiò radicalmente e scoppiò a ridere. Allison si bloccò sul posto, terrorizzata da quella risata così fredda e glaciale. Come aveva fatto a cascarci?
Stiles rivolse a John un sorriso di scherno, che sembrava tanto quello di un animale feroce, più che quello di Stiles.
<< Oh, non preoccuparti, paparino. Tu lo perderai. È solo questione di tempo. >>
<< Andrai all’Inferno, per questo. >>
<< Se è per quello, sono già all’Inferno. >> ribatté quello, stortandogli il polso. John emise un gemito. << E sai qual è la cosa migliore? Che vi ho portati tutti giù con me. >>
 
Quando Scott si svegliò, tutto quello che sentì fu un sacco di rumore. Era come se i suoi sensi di lupo fossero diventati all’improvviso più sensibili a tutto, acuti come non mai. Si mise a sedere a fatica sul letto, portandosi una mano alla testa che girava leggermente. Si tastò la parte sinistra del volto ed avvertì una cicatrice all’altezza dell’occhio. Ci vedeva abbastanza bene, però qualcosa gli offuscava la vista e continuava a strizzare gli occhi.
Si mise a sedere sul bordo del letto, i movimenti lenti come quelli di una tartaruga, poi fece scivolare i piedi lungo il pavimento freddo. Si alzò piano, tenendosi al materasso per evitare di cadere. In realtà, il suo equilibrio era a posto. Avanzò verso la porta, strinse la maniglia con le dita e la aprì. E fu lì che il suo cervello esplose. Troppo casino, troppo frastuono. L’allarme di un’auto in lontananza, la spia dell’ambulanza, le infermiere che gridavano, il rumore dei passi, il ticchettio dell’acqua contro la porcellana del lavandino nel bagno… No, no, no, era come ricominciare tutto daccapo! Fece un passo indietro per tornare in camera e chiudersi dentro, sperando che i muri attutissero in qualche modo i suoni, ma Allison lo vide e corse da lui.
<< Scott! Ehi, ti sei svegliato. Stai bene? >> chiese, mettendogli una mano sulla spalla.
Ma lui non sentiva solo la pressione leggera della sua mano sulla propria spalla. Lui sentiva anche il respiro di Allison, il rumore dei battiti, il tintinnio delle frecce che si scontravano fra di loro nel fodero. Guardare Allison era come guardare la figura del corpo umano sui libri, quando a scuola ti insegnano a confrontare i vari organi, a studiare i muscoli, la piccola e la grande circolazione, la figura rossa dove si vede solo la carne. Si spaventò così tanto da mettersi a tremare.
<< All… Allison, io non mi sento molto bene. >> rispose, deglutendo. << Sento tutti i suoni amplificati e ti vedo come se fossi un pezzo di carne con la voce, io… non capisco cosa mi stia succedendo. >>
<< Scott, ascoltami… >>
<< Scott! >> lo chiamò qualcuno da lontano. << Scott, non c’è più tempo da perdere! >>
Peter andò loro incontro con il viso allarmato, qualche piccola ferita sulle braccia, ma quasi in perfetta salute. Allison vide che Scott stava tremando, così gli strinse una mano per cercare di fargli sentire la sua vicinanza, ma per Scott era ancora peggio, perché adesso doveva anche sentire il battito del suo cuore pompare nelle vene e… Santo cielo, stava impazzendo.
<< Peter, no, io non… >>
<< Stiles ha quasi ucciso la sua ragazza. >> disse Peter. Scott strabuzzò gli occhi.
<< Cosa? No, Stiles non farebbe mai del male a… >> stava ribattendo, poi la lingua si fermò tra i denti. La consapevolezza lo colpì nello stomaco come un pugno troppo forte. << Non è più Stiles, vero? >>
Peter scosse la testa. Possibile che sembrasse quasi… dispiaciuto?
<< Mi dispiace. È il Nogitsune, adesso. >> rispose. << Lydia è in camera. Per fortuna Allison è arrivata in tempo o… >> stava dicendo, ma la voce gli si smorzò in gola. Non sembrava più nemmeno lo stesso Peter che conosceva. Quanto tempo aveva dormito? << Dobbiamo andare a cercarlo. È scappato via. >>
<< Stiamo cadendo nella sua trappola, lo sai, vero? >> chiese Allison.
Peter annuì.
<< Certo che lo so. Per chi mi hai preso? >>
<< Non cominciate a litigare, vi prego. Mi fa male la testa. >> disse Scott. Peter lo squadrò.
<< C’è qualcosa che mi stai nascondendo, Scott? >> domandò Peter, assottigliando gli occhi. Scott quasi sbiancò.
<< Sono solo stanco, tutto qui. >> rispose. << Forza, andiamo a cercarlo. >>
<< No, tu resti qui. Ce ne occuperemo noi. >> ribatté Allison.
<< Allison, lui è comunque il mio migliore amico. Ho il dovere di cercarlo, di trovarlo e di riportarlo a casa sano e salvo. >>
Allison lo guardò con un paio di occhi lucidi.
<< E se morissi nel tentativo? >> replicò la ragazza. << La profezia parlava della morte per amore. L’amicizia è una forma di amore. O magari dovresti sentirti costretto a salvare me ed allora… >>
<< Non gli accadrà niente. >> disse una voce dietro di loro. Si girarono. << Verrò con voi. Ci penserò io a lui. >>
<< Isaac, non devi... >>
<< Voglio che mi perdoni. >> replicò Isaac, guardando Scott. << Prima di quello che è successo ad Allison, noi eravamo amici. Vorrei che fosse di nuovo così. Voi state insieme ed io ho ritrovato mio fratello. Non c’è nisogno di essere ancora rivali. >>
Scott si passò una mano sul collo, poi annuì sorridendo. Si diedero la mano.
<< E così sia. >>
Peter roteò gli occhi.
<< Ma ogni volta dovete fare tutte queste smancerie? Mi fate vomitare. Forza, andiamo. >>
 
Da dove cominci a cercare un pazzo psicopatico che non vede l’ora di ammazzare la gente? Esatto, proprio lì: a scuola. Parrish entrò dentro con la pistola in pugno, Isaac e Scott dietro di lui già trasformati, Allison con l’arco puntato e Peter… be’, Peter faceva già paura così, secondo Scott. Si sentì un rumore provenire dallo spogliatotio maschile. Scott chiamò Isaac e Parrish con sé, mentre Allison e Peter andavano dalla parte opposta per controllare. Scott guardò Allison un secondò in più, poi entrò nella stanza. I suoi sensi di lupo gli fecero capire subito che qualcosa non andava.
<< Scott, c’è qualcosa che non quadra. >> disse Isaac.
<< Tipo? >>
<< Troppo silenzio. >>
La porta venne chiusa a chiave. Si voltarono tutti e tre. Erano in trappola. Scott avvertì il fruscio di un mantello e poi… tre Oni comparvero di fronte a loro, spaventosi e con un sorriso deformato sul volto. Gli occhi di Isaac s’ingrandirono così tanto per il terrore da minacciare di scoppiare ed era pallido come un cencio. Parrish caricò la pistola.
<< Cosa ti ricordano, Scott? >> chiese una voce che rimbombava nella stanza, fin troppo simile a quella di Stiles.
<< Fatti vedere, codardo. Vieni a farti mordere di nuovo. >>
<< Oh no, non funziona così stavolta. Oltre al fatto che non faresti mai del male al tuo migliore amico, non avrebbe senso farlo, perché il Mago ha cambiato le regole. Ho un solo punto debole e non quello dell’ultima volta. Spero che tu abbia salutato la tua Allison, perché non credo che uno dei due sopravvivrà alla notte. >> replicò Stiles. << Addio. >>
Ognuno degli Oni li guardò per un secondo, poi si slanciarono verso di loro. Scott balzò in aria e lo graffiò, ma sapeva che non sarebbe servito a niente. E mentre lui cercava disperatamente di sopravvivere, la sua testa non faceva altro che pensare ad Allison.
 
Allison avanzò lentamente, una freccia già incoccata ed i sensi vigili, più vigili che mai. Peter camminava dietro di lei con una piantina della scuola fra le mani. Ci fu uno scintillio su di un tubo nel locale caldaie, seguito da un sibilo che si arrampicava lungo le pareti. Peter la sorpassò e corse lungo il corridoio, fino ad arrivare ad una porta. La aprì con una chiave d’argento, poi entrò velocemente. Sembrava quasi che qualcuno gli stesse andando dietro.
<< Cosa stai facendo? >> chiese Allison.
<< Devo lasciare una cosa qui al sicuro. >> rispose Peter, armeggiando con dei raccoglitori negli scaffali. Quella stanza era piena di raccoglitori e di fogli. Perché diamine era fatta in quel modo?
<< Peter, questo posto è della famiglia Hale? >>
<< Ogni dannato sotterraneo di ogni dannata scuola a Beacon Hills ne ha uno, sì. >> replicò Peter, nascondendo una specie di picocla videoccassetta in uno dei raccoglitori.
<< Peter… >> lo chiamò Allison.
<< Se dovesse succedermi qualcosa… >>
<< Non ti accadrà niente. >> affermò Allison.
<< Devi solo dire a Derek di venire qui a prendere il nastro. >> continuò Peter, voltandosi. << C’è qualcosa che Paige deve sapere e dovrà saperlo da me. >>
<< Perché non gliel’hai detto? >>
<< Perché non era il momento giusto e perché sono stato egoista. >> rispose Peter, con un sorriso amaro. << Io non sono una brava persona, Allison e sono troppo vecchio – seppure bello – per diventarlo adesso. E mi dispiace. Avrei voluto fa soffrire meno persone. >>
<< Perché lo stai facendo ora? Perché lo stai dicendo a me? >>
Peter alzò le spalle.
<< Perché tu sei una brava persona. >> disse. Allison deglutì, colpita dalle sue parole. << E perché in questa stanza ci sei solo tu. >>
Allison scosse la testa. Peter rimaneva sempre Peter, dopotutto. Però adesso sembrava che stesse cercando di cambiare per davvero. Fu in quel momento che Allison lo sentì. Si voltò in meno di un secondo e lanciò. Stiles prese la freccia al volo, graffiandosi la mano.
<< Avresti potuto uccidermi, Allison. >> fece Stiles, con una finta espressione offesa. << Non vorrai mica perderti lo spettacolo. >>
<< Cosa? >>
<< Dove sono Scott e gli altri? >> chiese Peter, facendosi avanti.
<< Quello che interessa a te è piuttosto come fare ad uscire da questa situazione. >> rispose Stiles, muovendo l’altra mano verso la tasca anteriore dei jeans.
Allison incoccò un’altra freccia.
<< Dimmi dov’è Scott. >> intimò.
<< Gli Oni lo stanno divorando al piano di sopra. Il loro dolore mi sta rendendo più forte. >>
Allison assottigliò gli occhi, prendendo bene la mira. Stiles ghignò.
<< Non mi farai del male. >>
<< Io credo di sì, invece. >> replicò Allison e detto questo, la freccia andò a conficcarsi proprio nella manò sinistra di Stiles. Gridò dal dolore, facendo cadere dalla tasca una pietra bianca. Peter trattenne il respiro. << Prendi la pietra e scappa! >>
Peter corse a prendere la pietra, ma non avanzò verso la porta, bensì tirò fuori gli artigli e voltò il colore dei suoi occhi in un blu elettrico. Allison lo guardò per un secondo, stupita, poi tornò a concentrarsi su Stiles. Dovette mettere da una parte l’arco per poter usare i coltelli. Fu abbastanza facile in realà, perché lei con una mossa lo aveva ferito ad una gamba, mentre Peter lo aveva buttato contro il muro. Stiles non sapeva come difendersi e nemmeno il Nogitsune, quindi lei e Peter avevano dovuto lavorare insieme solo per poco tempo.
<< Ritira gli Oni. >> ordinò Allison. << O ti uccido. >>
<< Sono sempre nel corpo di Stiles. Non lo faresti mai. >> affermò il Nogitsune, ghignando, la schiena fermo contro il muro.
<< Ma io sì. >> replicò Peter, prima di stritolargli il braccio sinistro. Stiles gridò dal dolore, dimenandosi.
<< Okay, basta, credo che abbia capito. >> disse Allison.
<< Potete farmi quello che volete, ma Scott e gli altri a quest’ora saranno di sicuro già morti. >> sentenziò Stiles.
Allison riprese l’arco e corse via. Peter la seguì a ruota, la pietra in mano e con gli artigli che piano piano tornavano al proprio posto e lasciavano di nuovo spazio alle dita. Al piano di sopra, si sentirono due spari. Allison scivolò velocemente sul pavimento e si fermò di fronte alla stanza dov’erano chiusi i suoi amici e forzò la serratura. Aprì la porta e rotolò indietro. Uno degli Oni si era già dissolto, adesso ne rimanevano solo due. Isaac aveva una ferita lungo l’addome, mentre Parrish aveva dei graffi sulle braccia ed un taglio sulla guancia destra. Scott sembrava quasi esserne uscito indenne, a parte qualche livido sulle gambe.
<< Allison, esci di qui! >> urlò Scott, schivando un colpo ben assestato del nemico.
Per un attimo, il mondo di Allison si fermò. Tornò a quella notte, la notte della sua morte e rivide mille volte l’Oni che la colpiva. Era come tornare dopo anni in un incubo che hai rifatto per mesi e ricordare il dolore, il panico, le ferite. La sua mano partì da sola e la freccia dalla punta d’argento intercettò il secondo Oni.
<< Non ti lascio qui, Scott! >> replicò Allison, ridestandosi. << Non se ne parla nemmeno. >>
<< Quanti proiettili hai ancora, Jordan? >> chiese Isaac, poi l’Oni gli diede una gomitata nello stomaco e lo ferì con la lama.
<< Ancora un paio. >> rispose Parrish.
Isaac cadde in ginocchio. Scott gli si parò di fronte e diede un calcio all’Oni, facendogli perdere l’equilibrio. E fu allora che Parrish sparò. Due pallottole d’argento, veloci come un fulmine, colpirono in pieno l’oni e lui sparì trasportato dal vento, fumo nella polvere. Scott sorrise, rincuorato.   
E poi, come alla fine del boss all’ultimo livello dei videogiochi, il finale si aprì di nuovo. Stiles ricomparve nel corridoio, le mani dietro la schiena, un ghigno ferino sul volto che non gli si addiceva proprio. Allison tremò. Aveva assemblato lei quei caricatori per la pistola di Parrish, ma ora non en avevano più neanche uno.
<< Credevate di aver vinto? >>
Peter mise la pietra nella tasca dei pantaloni e si preparò a combattere. Allison diede una freccia ad ognuno di loro, ma ne avevano ancora poche. Doveva chiamare i rinforzi, ma non c’era tempo. Ci mise due secondi per capire che erano appena comparsi cinque Oni e che stavano per morire.
 
Lo scontro andò in questo modo: Scott era arrabbiato come non mai, quindi se qualcuno di que bestioni aveva intenzione di uccidere Allison di nuovo, quella non era davvero la serata fortunata. Prese la freccia in pugno mentre l’Oni muoveva la spada, scivolò sotto le sue gambe e quando quello si voltò per colpirlo, Scott lanciò la freccia con tutte le sue forze verso il nemico e lo prese in pieno. Fuori uno.
Isaac se la cavò bene all’incirca per i primi cinque minuti, poi si diede per vinto e si accasciò contro il muro, il fiato mozzo e le gambe che non lo reggevano più. Non era da lui agire in quel modo, soprattutto dopo tutto quello che aveva passato, ma era davvero stanco. Gli si chiudevano gli occhi e quando l’Oni stava per attaccarlo, lui cadde in ginocchio di nuovo.
<< Isaac! >> urlò Parrish, poi corse da lui e colpì l’Oni con un calcio.
Isaac deglutì, cercando di rialzarsi, ma diamine, le gambe non volevano saperne di muoversi! Fece leva sui palmi delle mani con tutta la forza che gli era rimasta e così lanciò una freccia per richiamare l’oni dalla sua parte, in modo che non colpisse Parrish. Quello si girò e Jordan gli conficcò la freccia nel collo. Fuori due.
Allison schioccò le dita per darsi il ritmo, poi prese l’Oni alla sprovvista con una sforbiciata di gambe e lo fece crollare a terra. Prese la freccia e fece per colpirlo, ma un altro Oni la colpì da dietro, provocandole una ferita lungo la schiena. Allison gridò dal dolore e Scott si slanciò verso l’Oni, cercando di levargli di mano la katana. Un minuto dopo, si ritrovarono schiena contro schiena circondati dai due Oni.
<< Io creo un diversivo, tu ne colpisci uno con la freccia che ti spetta e poi me ne passi un’altra per questo qui. Intesi? >>
<< Intesi. >> disse Allison.
Scott saltò ed Allison fece una capriola all’indietro, colpendo uno dei due Oni. Scott graffiò l’altro, poi gli fece saltare l’armatura con un pugno e lo rovesciò sull’altro. Allison preparò l’arco ed incoccò la freccia. Scoccò e prese in pieno un Oni. Fuori tre.
<< Allison, dietro di te! >> urlò Scott.
Allison si voltò. La katana affondò, ma lei non chiuse gli occhi. Voleva vedere tutto fino alla fine. Voleva sapere se era lei quella che sarebbe morta per amore. Di nuovo. Si chiese se l’Ade la stesse richiamando indietro, se Persefone stesse sussurrando il suo nome come l’ultima volta, ma non accadde niente. Non sentì niente. Solo il metallo che cozzava contro altro metallo. Abbassò lo sguardo e vide che Kira aveva intercettato la lama. Rimandò indietro l’Oni con un calcio, poi suo padre gli sparò con due pistole. Scott la prese per un braccio e la fece allontanare da lì.
<< Non mi sono accorta di niente… io… >>
<< Stai bene? >> chiese Scott, prendendola per le spalle e facendo scorrere gli occhi su tutto il suo corpo.
<< Sì… credo di sì… >> rispose Allison, poi Scott l’abbracciò.
Ma c’era un problema. C’era la falla nel sistema e, oh, se solo l’avessero saputo prima. Se solo l’avessero saputo prima, forse adesso tutto questo non sarebbe successo. O forse sarebbe morto qualcun altro.
 
Lydia si svegliò ed uscì dalla sua stanza. Quell’ospedale non aveva il minimo gusto per le camicie da notte, poco ma sicuro. Le luci andavano ad intermittenza, quasi come se fosse stato un codice Morse. Il suo cuore prese a bruciare, mentre lei camminava nel corridoio. Sentì dei passi dietro di lei, frettolosi e li riconobbe, ma non erano quelli che avrebbe voluto sentire.
<< Lydia, stai bene? >> chiese Melissa, mettendole una mano sulla spalla.
<< Sta per morire. >> disse solo, con sguardo assente.
<< Lydia, non ho sentito. Che succede? >>
<< Stiles è qui fuori. >> replicò e vide un filo rosso legato al suo anulare sinistro che la portava fuori dall’ospedale. << Non è mai stato il Nogitsune. Il Mago ha manipolato la sua mente. Mi ha fatto del male solo alla fine. Era tutto un diversivo. Un enorme diversivo per… >> stava dicendo, poi si bloccò. << Oh cielo, no. No! No! No! >>
Melissa la prese per un braccio, ma Lydia si divincolò e scappò via. Melissa la inseguì fuori, fermandosi sulla soglia. Lydia era scomparsa e con lei anche Stiles. Prese il telefono e chiamò John.
 
L’Oni buttò Peter a terra e calò la katana. Peter chiuse gli occhi, ma il colpò non arrivò. Li riaprì e vide che Scott aveva atterrato l’Oni ed ora si stava rialzando. Avrebbe potuto lasciarlo lì a morire e scappare, ma si ricordò della promessa di proteggerlo e si costrinse a rialzarsi. Era una persona migliore, adesso. DObveva proteggere Scott ad ogni costo. La porta della scuola si aprì e rivelò Derek e Paige, entrambi umani. Sembrava che stesse per succedere qualcosa di epico, perché di solito quando tutti quelli di un branco sono insieme, significa che sta per accadere qualcosa. Scorllò le spalle, poi raggiunse Scott e colpirono l’Oni insieme.
<< Allison, la freccia! >> esclamò Scott.
<< Vi state muovendo troppo, non posso fare niente! >>
Peter prese un braccio dell’Oni, ma quello gli tirò una gomitata e gli fece sanguinare il naso. Scott si avventò su di lui e lo colpì con gli artigli, ma l’Oni fu più veloce e sferrò un colpo con la spada. Scott cadde di schiena e gridò. L’Oni si scagliò contro Scott e Peter pensò perché diamine nessuno li stava aiutando, perché stavano in disparte per paura di essere colpiti o per curare gli altri, ma la verità era che il tempo si era come ghiacciato intorno a loro e tutto accadde in meno di dieci secondi. Non si rese conto assolutamente di niente. Si parò di fronte a Scott senza nemmeno pensarci e la katana gli si conficcò nel petto. Qualcuno gridò. Forse Paige. Qualcuno corse verso di loro. Forse Derek. Lui vedeva tutto sfocato. Lui crollò sulle ginocchia e poi ricadde su di un fianco. Qualcuno si avvicinò a lui, qualcuno con due cuori.
<< Peter… Peter, andarà tutto bene, te lo prometto. >> disse una voce femminile, singhiozzando sull’ultima sillaba.
<< Dalia…Dalia, sei incinta. Dalia, tu sei la cosa più bella che… >> stava dicendo, poi tossì sangue. Paige chiuse gli occhi. Csao avrebbe dovuto dirgli? Che lo amava anche lei, cioè Dalia? << …mi sia mai… Ti amo, Dalia… Ho sbagliato così tante cose nella mia vita… >>
<< Andrà tutto bene. Ti perdono, Peter. Ti perdono per tutto quello che hai fatto. >> disse Paige e Peter sembrò crederci, poi tossì di nuovo.
<< L’amore non è debolezza. L’amore è potere. >> replicò Peter, poi la sua mano smise di stringere la spalla di Paige e guardò da tutt’altra parte. << Ricordatelo sempre, Paige. >>
Si dice che negli ultimi sette minuti di vita si ripercorrano tutti i nostri ricordi. Nessuno ha mai saputo esattamente quali, ma nel caso di Peter, Paige lo sapeva. Per almeno cinque di quei sette minuti lei scommise che lui stesse vedendo Dalia. Dalia che gli sorrideva, che gli diceva di amarlo, sua sorella e Derek. E poi, forse, lui rivide lei che gli diceva, da parte di Dalia, che lo perdonava.
E poi, il suo cuore si fermò.
 
Lydia smise di gridare e gli occhi le si riempirono di lacrime. Avrebbe dovuto fermarlo. Avrebbe dovuto dire che Peter sarebbe stato il prossimo, ma non credeva che lui sarebbe morto per amore, ma per potere. E così, capì tutto. Peter era stato il primo, lui era morto per potere.
<< Bella serata, non è vero, Lydia? >>
Il sangue le si raggelò nelle vene. Di fronte a lei c’era Stiles, o meglio, Void Stiles, con la stessa felpa della sua ultima notte e lo stesso sguardo, gli stessi occhi rossi, la stessa malvagità nelle mani che nascondeva dietro la schiena.
<< Cosa vuoi? >>
<< Sai chi morirà stanotte, Lydia. Tu lo sai. >> affermò Stiles, facendo un passo verso di lei. << Sai chi morirà ancora. >>
Lydia deglutì.
<< Non posso fare niente per fermarlo. >> replicò. << Dimmi cosa vuoi da me. >>
Stiles ghignò.
<< Voglio solo che tu soffra. >> rispose, poi si portò velocemente la pistola alla tempia e premette il grilletto.
 
Quella notte sembrava non finire mai. Persefone accese l’ultima candela nella chiesa, pregò e si sedette sulla panca. Non sentiva i lamenti dei soldati, quella sera. Adesso avevano trovato riposo. Era giunto il tempo di tornare nell’Ade, lo sapeva. Doveva dirlo ad Ades, ma non ne aveva più la forza. Non voleva che la seguisse solo per dovere, ma anche perché l’amava. Chiuse gli occhi e quando li riaprì, Peter si trovava di fronte a lei, un sopracciglio alzato.
<< Peter? >>
<< Allora? Dove si va? >>
Persefone lo guardò stranita per un attimo, poi capì.
<< Andiamo da Dalia. >>
 
Scott accorse con Allison e si inginocchiò di fianco a Stiles. John e Melissa presero una barella per portarlo in ospedale. Lydia stava di fianco a lui, la pistola vicino a lei e le mani in grembo che le tremavano.
<< Non c’è sangue… >> continuava a dire.
<< Cosa? >> chiese Scott.
<< Si è suicidato, ma non c’è sangue. Non è possibile. >> disse Allison.
<< In realtà è umanamente possibile, signorina Allison, se il soggetto in questione non si fosse davvero suicidato. >> replicò una voce proveniente dal giardino. Il Mago li guardò uno per uno, ma non c’era cattiveria sul suo viso e nemmeno vittoria. Solo stanchezza. << Vi rivordate che io sono solo un mero illusionista, senza quella pietra? Bene, datemela e nessuno si farà male. >>
<< Non sappiamo dove sia. >> rispose Scott, lanciando un’occhiata ad Allison. Lei si zittì.
<< D’accordo, adesso ci riprovo. Datemi quella pietra o vostro padre morirà, signor Scott. Avete due giorni. >> disse il Mago, poi guardò Lydia prima di andarsene. << Ho fatto in modo che venisse ucciso solo il Nogitsune e non il vostro fidanzato, signorina Lydia. Il signor Stiles ha solo creduto di essere quell’orribile creatura. Spero di non avervi causato troppi guai. >>
Il Mago scomparve pochi secondi dopo e Stiles sbatté le palpebre. Lydia si portò le mani alla bocca e lo osservò svegliarsi e riprendere conoscenza.
<< Sei tornato. >>
Stiles le sorrise.
<< Cosa mi sono perso? >>









Angolo dell'autrice:
...
Lo so, sono in tremendo ritardo, ma ehi, considerate che pubblico a tre giorni dalla messa in onda in America di Teen Wolf e quindi gioite :D
In questo capitolo succede di tutto, lo so, ma d'ora in poi sarà tutto più intenso, quindi dovrete abituarvici xD Vi è dispiaciuto per Peter? A me sì :( Era una morte preannunciata fin dall'inizio, ma in ogni caso è stato brutto dirgli addio. 
La frase su Giulietta pronunciata da Lydia viene da questo post (l'ho tradotta in italiano ovviamente): http://professorfangirl.tumblr.com/post/79951380823/you-die-at-seventeen-in-your-first-loves-arms.
Grazie a tutti quelli che recensiscono o inseriscono la storia fra le preferite/seguite/ricordate! Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo!
Ciao :)
Erule

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - His last vow ***


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Consiglio di ascoltare "Tattoo" di Hilary Duff :)

Capitolo 9
His last vow
 
Scott appoggiò la spalla destra allo stipite della porta ed osservò Allison preparare le valigie. L’aveva fatto altre volte prima di allora, ma ogni volta era sempre più dolorosa dell’altra. Non è che lei volesse partire o che Scott volesse tenerla al sicuro in quel modo, stavolta era solo che doveva andare, perché l’università le aveva dato solo una settimana di vacanza. Sarebbe partita quella domenica sera e Scott avrebbe dovuto salutarla per l’ennesima volta, baciarla e dirle che gli sarebbe mancata. Era un loro rituale, non che ci fosse niente di male nell’essere un po’ smielati in certi momenti, ma adesso gli sembrava inaudito pensare ad un momento così normale in mezzo a tutte le assurdità sovrannaturali che gli stavano succedendo intorno.
Allison si voltò e gli andò incontro, le mani che sprofondavano nelle tasche posteriori dei jeans. Gli sorrise, facendo risaltare le fossette ai lati della bocca che Scott amava tanto e pensò che forse era meglio così, dopotutto. Allison sarebbe stata al sicuro in Francia e così anche Isaac. Nessuno avrebbe potuto farle del male e sarebbe andato tutto bene.
<< Ehi. >> disse Allison, avvolgendogli le braccia al collo.
<< Ehi. >> ripeté Scott, sforzandosi di apparire tranquillo.
<< Vorrei starti accanto, ma se mi assento ancora, l’università… >>
<< Devi andare, Allison. Sapevamo che sarebbe andata così, ma abbiamo voluto provarci lo stesso. Starò bene. >>
Allison lo guardò per un attimo, poi scosse la testa.
<< So che sei preoccupato per tuo padre, non devi fingere con me. >>
<< Non possiamo consegnargli la pietra, Allison. Non posso permettere che qualcun altro muoia. Stiles sta per dire a Malia che suo padre è morto e non oso nemmeno immaginare come si potrà sentire. Ma devo farlo, capisci? Io devo salvare tutti, io… >>
Allison lo abbracciò e lo strinse forte a sé. Si ricordava com’erano i crolli di Scott e lui adesso era vicino a quel crollo. Perché doveva rischiare la vita di suo padre per salvare quella di molte altre persone? Perché sempre lui era costretto a veder morire le persone a lui più care davanti ai suoi occhi? Non era giusto, non era affatto giusto. Non doveva essere sempre l’eroe, non doveva essere quello il suo destino.
<< Scott, ascoltami, okay? >> disse Allison, prendendogli il viso fra le mani. << Lo salveremo, va bene? Salveremo tuo padre, ci inventeremo qualcosa. Non gli faranno niente. >>
Scott aveva gli occhi rossi e le sue pupille continuavano a cercare quelle di Allison e faceva paura tutta quella connessione che c’era fra di loro, ma Allison non riusciva più ad immaginarsi una vita senza di lui e si fa tutto per le persone che amiamo, quindi lei avrebbe salvato suo padre, in un modo o nell’altro. Avevano ancora un giorno.
<< Resta con me. >> fece Scott, a voce bassa. Allison sbatté le palpebre un paio di volte, sorpresa. << Resta con me, non partire. Resta a Beacon Hills. Per sempre. >>
<< Vieni tu con me. >> replicò Allison.
<< Non posso imparare il francese da un giorno all’altro, Allison. >> ribatté Scott, con un lieve sorriso.
<< Se rinuncio a quella scuola, rinuncio anche al mio futuro in Europa, Scott. Non voglio che quel mago da strapazzo ci faccia rinunciare ai nostri sogni. >>
Scott si slegò dalla sua stretta e fece un passo indietro.
<< Sai benissimo che io rinuncerei a tutto per te. >>
Allison sospirò.
<< La verità è che non voglio rimanere a Beacon Hills per sempre. Vorrei che tu venissi con me. Per sempre. >>
Quelle parole colpirono Scott allo stomaco come un pugno. Gli stava chiedendo di rinunciare alla sua vita, alla sua famiglia, gli amici, Stiles, la scuola per andare con lei in Francia e sparire per sempre dai radar americani?
<< Non posso abbandonare i miei amici. >>
Allison aprì la bocca per rispondere, ma non ne uscì un suono. Incrociò le braccia e lasciò che il suo sguardo si andasse a perdere nel vuoto, senza accorgersi le unghie che le stavano rigando la pelle delle braccia.
<< Scott, io ti amo, ma non puoi chiedermi di rinunciare al mio futuro per i tuoi amici. >> disse Allison. << So che posso sembrarti egoista, ma io voglio davvero trovare un lavoro gratificante in una bella città e Beacon Hills mi ha uccisa. >>
Scott sbiancò di colpo ed Allison se ne accorse. Sussurro qualcosa come No, Scott, non intendevo…, ma Scott non aveva più voglia di sentire quelle stupidaggini, così si voltò, scese le scale e si diresse in salotto.
<< Li avete trovati? >> chiese.
<< Sì, sono tutti qui. >> rispose Isaac, indicando il divano dove stavano seduti Lydia, Persefone ed Ades.
<< Dov’è Stiles? >>
<< Fuori. È con Malia. >>
<< Allora cominceremo senza di lui. >>
 
Scott si mise di fronte a loro tre, mentre gli altri gli stavano alle spalle, come se fosse un interrogatorio. Lydia ogni tanto si girava nervosamente per vedere se Stiles fosse tornato, ma la porta continuava a rimanere serrata. Aveva bisogno di lui adesso più che mai e lui era con Malia, invece. Sapeva che non avrebbe dovuto essere gelosa, ma era comunque qualcosa che la infastidiva e non poco. Notò anche che Allison si era messa vicino ad Isaac e non a Scott. E figurati se quei due non avevano appena litigato, ovviamente. Guardò Persefone, che aveva le braccia posate sui braccioli, lo sguardo puntato su Scott e la solita gonna lunga che le copriva i piedi. Per un attimo le sembrò di sentire il suo potere o perlomeno di immaginarlo, una specie di nuvola d’oro di profumo attorno a lei che emanava scariche elettriche. Quel potere era troppo per una persona sola e si chiese come facesse a gestirlo. E poi riuscì a sentirlo, esattamente forte nel silenzio, il tacco della sua scarpa che sbatteva a ritmo contro la poltrona. Era così che lo controllava, al ritmo della musica. Ma lei la sentiva, quella musica. Era quella che stava ascoltando Ades alla sua sinistra, con le cuffiette nelle orecchie e gli occhi chiusi, mentre le dita picchettavano sui braccioli della poltrona. Assurdo. Erano coordinati anche se avevano litigato, anche se erano lontani. Si chiese se lei avesse un segno significativo, magari qualcosa di strano che faceva anche Stiles.
<< Persefone, comincia tu. >> disse Scott. << Dicci quello che ancora non sappiamo, dicci la parte mancante della storia. E riassumi tutto, abbiamo poco tempo. >>
Persefone deglutì.
<< Ho sposato Ades, perché ero innamorata di lui, ma anche perché eravamo predestinati. Sapevo che un giorno saremmo dovuti tornare nell’Ade, così lo dissi ad Ades. Gli dissi che sarebbe dovuto morire, prima o poi e che già da bambino sarebbe dovuto tornare di sotto, ma si era salvato miracolosamente. L’Ade vuole entrambi, ma lui è il re, quindi lo rivoleva per primo. Il potere viene distribuito equamente fra re e regina, ma entrambi devono accettare il dono e giurare sullo Stige, solo che io sono stata l’unica a farlo, quindi tutto il potere adesso è nelle mie mani e potrebbe esplodere. Deucalion in qualche modo deve averlo scoperto, perciò voleva usarmi come arma. >> spiegò. << Il punto è che lui non voleva morire, così ho inventato la profezia. >>
Scott strabuzzò gli occhi, così come tutti gli altri nella stanza.
<< Hai fatto… cosa? >>
<< Lasciatemi finire. >> disse Persefone. << Io non so chi morirà, so solo che tre persone con quelle caratteristiche sono destinate a morire. L’Ade dice sempre che vuole una vita per una vita, così com’è accaduto con Allison, ma Ades è il re e lui ne vale tre. >>
Lydia non avrebbe voluto dirlo, ma ormai ci era arrivata e la verità le stava bruciando nelle vene.
<< Ma Ades sarebbe dovuto morire comunque. >> replicò. << Quindi la profezia era inutile fin dall’inizio. E tu lo sapevi. >>
Ades si levò le cuffie dalle orecchie e si alzò piano dalla poltrona. I suoi occhi erano puntati su Persefone, ma lei non ricambiò il suo sguardo. La ragazza aveva le lacrime agli occhi, ma le labbra serrate e cercava di fare finta di niente.
<< Era tutto un inganno? Fin dall’inizio? >> chiese Allison, facendo un passo avanti. << Ci avete condannati a morire per salvare una persona che non poteva essere salvata?! >> urlò.
<< Io non lo sapevo! >> esclamò Ades. << Avevo paura di morire, lo ammetto e fa ridere, perché sono il Re dei Morti, ma non l’avrei mai fatto a quel prezzo! >>
<< Solo perché adesso li conosci e ti sei affezionato a loro. >> ribatté Persefone, premendo le unghie nella poltrona.
<< Li hai mandati a morire per me, sapendo che sarebbe stato inutile. Perché? >> domandò Ades, avvicinandosi a Persefone. Lei non rispose e nemmeno si alzò.
Lydia capì che non avrebbe parlato, così ci pensò lei a toglierla dai guai. Non le doveva niente, è vero, ma in qualche modo, provava pena per lei.
<< So chi morirà. >> disse Lydia, alzandosi. Tutti la fissarono, sconvolti.
<< Troppe rivelazioni mi stanno uccidendo. >> commentò Isaac.
<< L’ho sempre saputo, ma avevo sbagliato i calcoli e credevo ci fosse una persona in più. In realtà quello a morire per potere è stato Peter e non Deucalion. Ci sono altre due persone che stanno per morire ed io so chi sono. >>
<< Non puoi farlo. >> replicò Persefone, alzandosi. Lo sguardo di Ades addosso la stava facendo infiammare da capo a piedi. << Nessuno può conoscere il suo destino o le Parche ti puniranno. >>
<< Io non credo nella mitologia greca, Persefone. >> ribatté Lydia.
<< Allora credi a me, quando ti dico che non puoi farne parola con nessuno o ti accadrà qualcosa di molto brutto. >>
Lydia si ritrovò faccia a faccia con lei e si erse in tutta la sua minuta altezza (Persefone era molto più alta di lei, in confronto).
<< E sarai tu a farmi del male? Forse userai qualche altra tua magia o profezia, eh? Ho superato l’inferno, Persefone. So cosa significa bruciare e camminare sui carboni ardenti, finché il tuo corpo non chiede pietà. >> sputò Lydia.
<< Credimi, Lydia: tu non sai neanche minimamente cosa sia l’inferno. >>
<< Ragazze, finitela. >> intervenne Scott. << Non ci serve litigare fra di noi. Quello che ci serve è un piano. >>
Lydia annuì.
<< E per quello ci serve Stiles. >>
 
<< I – io non capisco. Non riesco a capacitarmene. Perché non riesco a smettere di piangere? >> chiese Derek, le braccia incrociate al petto e gli occhi rossi, con il tono di chi sembra stia scherzando. << Peter è già morto una volta e non ho battuto ciglio! >>
Paige non rispose. Era ancora scossa per quello che era successo e non aveva proprio la forza di litigare con Derek riguardo a Peter, a chi stava più male o ad aiutarlo ad affrontare il lutto. Perché per quanto si potesse discutere sulle azioni orribili compiute da Peter, lui restava sempre suo zio ed in qualche modo, aveva sempre fatto parte della sua vita, nel bene o nel male. E lei, una volta, quando era più piccola e si chiudeva in camera piangendo al buio, avrebbe fatto qualsiasi cosa per avere anche solo per poco tempo qualcuno della sua famiglia con cui passare la giornata.
Si alzò, mentre Derek ancora continuava a parlare. Non l’aveva mai visto così sconvolto, perso, quasi fuori di sé.
<< È perché gli volevi bene. >> disse Paige, a mezza voce.
Derek smise di camminare e si fermò di fronte a lei.
<< Cosa? >>
<< Il motivo per cui stai soffrendo. È perché stavolta gli volevi bene. È perché eravate complici. È perché ti manca. Puoi anche non ammetterlo con me, ma devi farlo con te stesso. Gli volevi bene, ti fidavi di lui ed ora lui non c’è più. >> rispose Paige.
Derek scosse la testa.
<< No, io non gli volevo bene. >> ribatté Derek. Paige strinse un pugno e sentì che stava per perdere le staffe. Forse era per colpa degli ormoni, forse era perché aveva dovuto mentire ad un moribondo, forse era perché si stava chiedendo se fosse andato nell’Ade anche se non credeva in alcuna religione, fatto sta che qualcosa in lei stava per scoppiare. << Ti stai sbagliando. >>
<< Gli volevi bene anche se ti ha ferito, era tutta la tua famiglia ed ora non c’è più! Non puoi mentire a me, so che ti dispiace! >>
<< Peter era una persona orribile e meritava quello che gli è successo! >>
<< Tu MENTI! >>
<< Non è vero! >> urlò Derek e Paige lo vide fare quasi un balzo verso di lei, prima di stringerle i polsi. << Io sto benissimo e Peter ha fatto del male a tante persone! Meritava di morire! >>
Paige chiuse gli occhi per un attimo, mugolando per il dolore.
<< Lasciami, mi stai facendo male. >>
Derek sbatté le palpebre un paio di volte, poi la lasciò e guardò i segni rossi sulle sue braccia. Indietreggiò, una mano fra i capelli e l’espressione di orrore dipinta sul volto. Ma che diavolo gli era preso? Aveva appena fatto del male alla persona che amava di più al mondo, solo per provare che non era vero che aveva voluto bene ad un pazzo assassino. In cosa si era trasformato?
<< Paige, non volevo, mi dispiace… >>
<< Me ne vado. >> disse secca, senza neanche massaggiarsi i polsi, eppure bruciavano ed anche tanto. Non voleva che lui la vedesse fragile, non voleva fargli capire che il suo punto debole era proprio lui.
Derek sentì il cuore sprofondargli nello stomaco. Non aveva mai avvertito tanto una sensazione di vuoto nella sua vita. Lui e Paige stavano diventando all’improvviso due estranei. E mentre la pioggia scrosciava sulle finestre del suo loft, lui capì i danni che Peter aveva fatto alla sua mente. Forse quelle erano le cicatrici che l’amore di Peter, se così si poteva chiamare, aveva lasciato in lui. Non fidarti di nessuno. Scappa finché puoi. Evita di amare o sarai deluso. Ma lui non aveva mai avuto più paura in vita sua, eppure non voleva scappare. Lui era migliore di così, lui era migliore di Peter. E non voleva perdere Paige, questo l’aveva sempre saputo. Non ora che era incinta di suo figlio.
<< Peter mi ha amato in un modo che fa male ancora oggi, ma mi ha amato. È per questo che non riesco ad accettare che sia morto, perché le cicatrici che mi porto dietro sono tutto ciò che mi rimane di lui. E se c’è una cosa che ho imparato, è che tu mi scorri nelle vene, esattamente sotto la pelle e non posso lasciarti andare in questo modo. >> replicò Derek, poi deglutì e si guardò le mani intrecciate.
Paige si toccò istintivamente la pancia, forse per sentirsi in qualche modo più al sicuro, mentre il pianto le saliva su, dritto per la trachea e si sentiva morire. Forse lui non aveva ancora capito quanto anche lei stesse male, ma non le importava più a quel punto. Aveva appena detto che era nel sangue che gli scorreva nelle vene e per lei era la stessa cosa nei suoi confronti, dato che avrebbe dato alla luce suo figlio.
<< Voglio che questo bambino abbia tutto quello che è mancato a me. >> disse Paige, le labbra secche. Derek alzò lo sguardo. << Voglio che abbia due genitori a cui importi di lui e voglio che siano sempre presenti, voglio che gli stiano accanto per tutto il resto della sua vita. Voglio che suo padre gli insegni ad andare in bicicletta e che sua madre gli dia dei consigli in fatto di donne, voglio che suo padre gli racconti la favola della buonanotte prima di andare a dormire e che sua madre gli prepari la cena, che si sieda a tavola e che ringrazi ogni giorno per essere un bambino sano e con una bella famiglia. >> replicò Paige, una mano sulla pancia e le lacrime agli occhi. Derek aveva gli occhi umidi e la mascella serrata. << Voglio che sia amato. Voglio che si senta protetto. Voglio che stia bene. Se puoi promettermi questo, allora significa che farai di tutto per proteggerci. >>
Derek annuì e le andò incontro, mettendole piano una mano sulla pancia, accanto alla sua.
<< Lo prometto. >>
Paige sorrise e Derek l’abbracciò, stringendola forte a sé.
 
Stiles se ne stava seduto sullo scalino più basso di casa di Allison, mentre Malia stava su quello al di sopra di lui. Era strano parlare con lei adesso da solo, dopo tanto tempo, come rivivere i mesi in cui erano stati insieme e pensare che non era più così. Aveva studiato la sua specie e sapeva che per un coyote, il partner con cui passano la maggior parte del tempo è l’amore della loro vita. Insomma, probabilmente per Malia non era più così, ma gli piaceva pensare di avere lasciato un segno, di essere stato importante per una sua ex fidanzata. Era comunque un bel traguardo per un tipo come lui che era stato innamorato per anni di una ragazza che non lo ricambiava.
<< Stiles, smettila. >> disse Malia, interrompendo il flusso dei suoi pensieri.
<< Cosa? >>
<< Stai facendo ancora quella cosa che fa Lydia. >> replicò, accennando alle sue mani.
<< Io e Lydia non facciamo le stesse cose. >>
<< Stai battendo a ritmo le dita della mano destra sul palmo della sinistra. Lydia lo fa di continuo, quando sta pensando. Se ti stai annoiando… >>
<< No, ma ti pare? >> esclamò, poi scosse la testa ed abbassò il tono di voce. << No, Malia, non mi sto annoiando, figurati. Scoprire che tuo padre è morto… so cosa vuol dire, okay? Però io ero piccolo e non ci avevo pensato su poi così tanto. Non in quel momento, perlomeno. >>
Malia avvolse le braccia attorno alle gambe ed appoggiò il mento sulle ginocchia, osservando Stiles. Per qualche motivo, anche se la sua testa non voleva, qualcosa dentro di lei continuava a rimanere attaccata a lui. Il suo profumo sapeva di casa e contare i nei sulle sue guance la faceva stare meglio, le dava sicurezza. Sapeva che era una cosa stupida e da ragazzina, ma Stiles era stata la prima persona che aveva creduto in lui e la prima che lei aveva amato davvero. Non avrebbe potuto dimenticarlo anche volendo.
<< Come ti sei sentito? >>
Stiles sospirò.
<< All’inizio non lo avevo capito. All’inizio mi sembrava che lei se ne fosse andata o forse ero io che volevo crederci, poi i giorni sono passati ed io mi sono reso conto che lei non avrebbe più varcato la soglia di casa ed a quel punto ho capito che era finita. La malattia l’aveva portata via ed io non potevo farci niente. >> raccontò, con gli occhi lucidi.
Malia sentì l’improvviso impulso di abbracciarlo, ma non lo fece. Le dispiaceva per Stiles e le dispiaceva per Peter, ma la verità era che… lei non sentiva niente. Peter non era mai stato suo padre e lei non avrebbe pianto per la sua morte.
<< Secondo te dovrei piangere? >> chiese.
<< In che senso? >>
<< Peter non era mio padre. Lui non mi voleva bene, non mi ha cresciuta. Dici che sono una cattiva persona, se non piango? >>
Stiles abbassò le spalle, sorridendo teneramente. Gli sembrava una bambina. Una piccola bambina che aveva appena perso suo padre. Si sedette accanto a lei e l’abbracciò.
<< Fai quello che ti senti, Malia. È il miglior consiglio che mi abbia mai dato mio padre. >> replicò Stiles. << Però non dire che tuo padre non ti voleva bene, perché negli ultimi tempi ci ha provato. Ci ha provato davvero. >>
Malia lo guardò negli occhi e deglutì, cercando di frenare le lacrime. Avrebbe voluto dire che stava piangendo per suo padre, ma sarebbe stata una bugia. Peter non le mancava e lei apprezzava che lui avesse provato a starle accanto, ma non le pesava seppellirlo. A lei pesava di più dover abbandonare Stiles di nuovo, perché era chiaro come il sole che non poteva più rimanere a Beacon Hills, dove c’erano lui e Lydia.
<< Tu mi piaci davvero, Stiles. >> disse Malia e Stiles sorrise. << E ti ringrazio per quello che continui a fare per me, ma io non posso più rimanere. Vi aiuterò a finire questa storia con il Mago e poi partirò. >>
Malia si alzò e Stiles la imitò. Rimase ferma a guardarlo per un attimo, a pensare a quanto fosse cresciuto in quegli ultimi anni, a pensare se fosse giusto o sbagliato partire senza dirgli il motivo, ma se l’avesse fatto, Lydia l’avrebbe uccisa. La mano destra sprofondò nella tasca posteriore dei jeans, così che non potesse più muoversi, ma senza accorgersene stava continuando a mordersi le labbra e la mano sinistra era fin troppo libera. Stiles le fece un sorriso per salutarla, ma lei invece di indietreggiare si fece avanti di un passo e lui si immobilizzò a guardare il suo viso. Stiles deglutì, mentre il viso di Malia si faceva sempre più vicino al suo. E mentre la porta cigolava dietro di loro, Stiles si tirò indietro.
Lydia spostò lo sguardo dall’uno all’altro, la fronte corrucciata.
<< Stiles, abbiamo bisogno di te. >>
Stiles annuì.
<< Arrivo. >>
 
<< Non lo faremo. >> disse Stiles, le braccia incrociate.
<< Ma non possiamo fare altro o moriranno altre persone! >> esclamò Scott.
<< Scott, non possiamo fidarci della buona fede di questo tizio. Abbiamo già perso troppe persone in questi ultimi anni e non permetterò a questo damerino da quattro soldi di farmene perdere altre. >>
<< La mia priorità è sempre stata questa. >> replicò Scott, facendo un passo in avanti verso l’amico.
Stiles fece lo stesso verso di lui.
<< Ne sei sicuro? Perché negli ultimi tempi mi sembra che tu stia pensando ad altro. >>
Scott scosse la testa, confuso. Che cosa stava insinuando? E perché sembrava che fosse arrabbiato con lui, adesso? Forse aveva paura di perdere Lydia o forse era spaventato, perché il Nogitsune era riuscito ad impossessarsi di nuovo di lui e tutto questo lo aveva costretto a chiedersi quanto fosse semplice fare del male o morire senza riuscire a controllare l’unica cosa che si pensa possa essere controllata: se stessi.
<< Da che parte stai? >> chiese Scott e Stiles sembrò quasi rinsavire.
<< Dalla tua. Come sempre. >> ripose. << Però non voglio che qualcuno muoia per un nostro errore. Dobbiamo essere sicuri del piano. >>
<< Lo saremo. >>
Lydia si alzò dalla poltrona e si portò in mezzo alla stanza, con le dita della mano sinistra che battevano incessantemente sul palmo della destra. Stiles se ne accorse e non riuscì ad evitare di sorridere.
<< Ragazzi, dobbiamo stare attenti. C’è un’altra persona destinata a morire. >>
<< Chi? >> chiese Ades.
<< Non posso dire chi, ma è un padre. Un padre morirà. >>
 
***
 
Erano tutti pronti. Sapevano quello che avrebbero dovuto fare e sapevano che sarebbe stato rischioso, ma dovevano farlo. Uno di loro aveva la pietra vera, uno di loro aveva quella falsa creata in fretta e furia da Chris Argent. Avrebbero fatto lo scambio e poi sarebbero scappati. Niente sarebbe andato storto. Non potevano permettersi altri errori.
<< Ci vediamo fra due mesi. >> disse Scott, dandole un bacio sulla guancia.
<< Sai che mi dispiace. >> replicò Allison, cercandod i sfiorargli la guancia per fargli una carezza, ma Scott si voltò.
<< Buon viaggio. >>
Allison lo guardò per un attimo, poi annuì e si sedette nel taxi. Scott mise le mani in tasca e finse di essere interessato alle chiome degli alberi più che a lei. Non era arrabbiato con Allison perché voleva un futuro migliore per loro, era amareggiato perché non volevano le stesse cose. Lui avrebbe preferito rimanere in America e non partire per la Francia, un posto che a malapena conosceva e senza sapere il francese.
<< Mi mancherai. >> disse Allison e poi fece segno all’autista di partire.
Le gomme fecero rumore contro l’asfalto e poi Scott osservò l’auto sparire nel tramonto, in quel rosso sangue ed in quel rosa pelle che Allison amava e si toccò il braccio sinistro all’altezza della spalla, dove c’era il tatuaggio che aveva fatto in onore di lei alle superiori.
<< Anche tu mi mancherai. >>
 
Erano tutti lì: Scott, Stiles, Malia, Isaac, Lydia e Derek. Durante il tragitto per arrivare davanti a scuola, Lydia aveva raccontato di Ades e Persefone a Stiles, così lui non aveva fatto altro che inveire contro di loro ed ora era infuriato. Sapevano che il Mago avrebbe saputo che loro volevano incontrarlo, quindi avevano tutti i sensi all’erta. Si guardarono intorno, ma niente: non c’era nessuno, solo la notte ch eli avvolgeva da capo a piedi.
Forse era il modo in cui la guardava, ma Lydia aveva capito Stiles sospettava che lei sapesse. E lei sapeva. Non le era di certo sfuggito. Prese un bel respiro e strinse fra le mani la mazza da baseball di Stiles. Fare pugilato ogni tanto come Malia o Allison non faceva per lei e dato che non aveva ancora scoperto esattamente quali fossero i suoi poteri, aveva preferito seguirli armata di quella stupida mazza, perché dove andava Stiles, andava anche lei (soprattutto se c’era Malia nei paraggi).
E fu in quel momento che lo sentirono: il fruscio inconfondibile delle foglie, proprio come nei film dell’orrore, che trasportava l’odore del sale marino e con esso anche il mantello blu del Mago.
<< Avete già la pietra, come vedo. Bene. >> disse, poi fece comparire una persona con un unico movimento del polso.
Scott spalancò gli occhi.
<< Papà! >> esclamò. << Credevo che fossi fuori città, no… >>
<< Voglio la pietra. >> affermò il Mago. << Datemi quella vera o giuro che lo ucciderò. Scommetto che la detiene il signor Stilinski. >>
Stiles deglutì, mentre la mano che aveva in tasca si stringeva intorno a qualcosa. Ed il Mago sorrise, perché ne era sicuro. Allora Stiles, molto lentamente, prese la pietra ed avanzò verso di lui. La posò a metà strada fra loro due. Il Mago si avvicinò alla pietra, allungò una mano per prenderla, ma si fermò un secondo dopo. L’aveva capito. E quindi, Scott diede il segnale.
<< ADESSO! >>
Isaac lo prese da sinistra, Malia da destra e Scott dal centro. Stiles e Lydia corsero verso Rafe e gli tolsero le manette che lo tenevano legato. Derek attaccò il Mago dopo che aveva gettato Isaac nei boschi. Malia lo azzannò alla gamba con un impeto mai visto prima. E poi boom, delle scariche elettriche risalirono sulle sue zanne e la paralizzarono in un altro mondo.
 
<< Come fa un essere così bello come te ad essere il discendente diretto di Ade e non di Apollo? >> chiese Lydia. Stiles arricciò il naso.
<< Perché gli angeli caduti vanno all’Inferno, non in Paradiso. >> rispose Ades, amaro.
Persefone schioccò la lingua, avvicinandosi al marito.
<< Dovresti smettere di flirtare con il mio uomo, carina. Tu ne hai già uno che nessuna vuole, dovresti considerarti fortunata. >>
Lydia aprì la bocca per risponderle a tono, ma Stiles mise un braccio in avanti, tirandola indietro.
<< Certo che tua moglie è davvero simpatica, Ades. >> commentò Peter. << Nemmeno io sono così acido. >> disse. Derek gli lanciò un’occhiata. << Lo sai anche tu. >>
<< Peter, sei simpatico come un morso avvelenato di un serpente a sonagli. >> disse Lydia.
<< Un serpente che ti morde in una giornata torrida. >> aggiunse Stiles.
<< Tu stai zitto, scheletro d’ossa. >> lo rimbeccò Peter.
<< Ehi, non provare mai più a dire al mio fidanzato cosa deve o non deve fare. >> lo sgridò Lydia. Stiles le mise un braccio attorno alle spalle, un sorriso soddisfatto ad illuminargli il volto pallido. << Solo io posso farlo. >>
<< Esatto. >> replicò il ragazzo, convinto. Poi corrucciò la fronte. << Aspetta, cosa? >>
<< Siete vomitevoli. >> commentò Peter, le braccia incrociate e lo sguardo schifato.
Ades ridacchiò.
<< No, invece. Sono totalmente simili a noi. >>
<< Ades, forse non te ne sei accorto, ma Persefone non è come Lydia. >> sussurrò Stiles, mentre Persefone era lontana. << Non vorrei offenderla, ma, detto fra noi: lei è acida. >>
<< Se stessi un attimo in silenzio, forse potrei spiegare la mia affermazione. >> ribatté Ades, tagliente. << Quando ci incontrammo all’università, lei somigliava molto a Lydia. >>
<< E tu somigliavi a Stiles o sei sempre stato così spaccone? >> replicò Lydia, con un sorrisetto sarcastico. Stiles scoppiò a ridere.
<< Io sono sempre stato naturalmente perfetto. >> rispose Ades. Lydia sbuffò.<< Comunque, stavo dicendo che Persefone era davvero una ragazza brillante, affascinante, orgogliosa. Era bella come la luna di notte, un viso argenteo e dei capelli scuri… >>
<< Un viso argento? Ma è un robot? >>
<< Stiles, chiudi il becco. Sto citando gli scritti dei poeti lirici greci, significa che aveva il viso pallido. Veniva considerato un segno di beltà. >>
<< Senti Ades, non ci interessano gli scritti di Alcmane. >> replicò Lydia. << Vai avanti. >>
Tutti si voltarono a guardarla, stupiti. Lydia alzò le sopraciglia, scuotendo al testa.
<< Che c’è? Io leggo. Almeno qualcuno di noi deve pur farlo. >>
<< Voi rovinate tutta la poesia. >> si lamentò Ades, sbuffando. << Persefone cambiò dopo aver letto la profezia. Quell’arpia malefica di sua madre le aveva parlato del mondo dei morti e da quel momento lei non faceva altro che parlarne in modo ossessivo. >>
<< Uh, non so proprio chi mi ricorda. >> fece Lydia, lanciando un’occhiata a Stiles, che non se ne accorse.
<< È andata fuori di testa. Diceva di sentire le voci dei morti che la chiamavano al trono e le chiedevano di portare giù anche me, il re. E così, dopo avermi parlato delle sue paure, ci sposammo. Credeva che forse, facendo quello che gli spiriti ci avevano chiesto, sarei stato salvato dalla profezia. >>
<< Quindi, lei ha fatto tutto questo per amore, perché non voleva perderti. >> disse Allison. Ades annuì.
<< Cosa non si fa per amore, eh? >>
Scott alzò lo sguardo, ma non parlò.
<< Scusa Ades, ma quando hai detto che Persefone ti dovrebbe portare giù con lei… cosa intendevi? Giù dove? >> domandò Lydia.
Adese le rivolse un sorriso amaro.
<< Sei più intelligente di così, Lydia. Secondo te? Dove si trova il posto in cui Ade e Persefone hanno sempre regnato? >> chiese. Lydia impallidì. << Proprio lì, Lydia. Giù nell’Ade. Dobbiamo andare nel Regno dei Morti. >> 
 
<< Avete visto un mondo che sarebbe potuto esistere nel tempo se le cose fossero andate diversamente, non è vero? >> chiese il Mago con un ghigno, respingendo Derek e Scott. Isaac saltò fuori dal bosco e gli andò alle spalle, facendolo capitolare a terra. << Un mondo in cui siete tutti amici, nessuno è morto e Persefone sembra ancora la brava ragazza di sempre, che aveva solo cercato di proteggere il suo amato. Oh, se vostro zio non mi avesse ostacolato, adesso sarebbe ancora vivo! >>
Malia deglutì, rialzandosi e stringendo i pugni.
<< Malia, non ascoltarlo! Non esistono altri mondi, né altri tempi! Sta solo giocando con la tua mente! Non lasciarglielo fare! >> urlò Stiles.
E gli Oni apparvero. Ce n’erano troppi, più dell’altra volta. Era una trappola. Il Mago li avrebbe uccisi tutti e si sarebbe impossessato della pietra. Scott gli saltò addosso e gli morse un braccio. Il Mago cacciò un grido, poi se lo scrollò di dosso come se fosse stato un cane.
<< Non era mio zio. >> disse Malia, tirando fuori la pietra dalla tasca. << Era mio padre. >>
E così facendo, scaraventò la pietra dall’altra parte della strada e la distrusse. Si sentì un rumore stridulo, come di vetro che va in frantumi. Il Mago strabuzzò gli occhi e rimase per un attimo immobile, poi allargò le braccia e fece scaturire dalle sue dita tante piccole fiamme che sparse per tutto il campo di battaglia, così da intrappolarli tutti lì.
<< Morirete qui, adesso. Morirete tutti qui. >> disse il Mago e Scott sentì l’odio nella sua voce, anzi, il rancore. Ma non verso di loro, verso qualcosa che non poteva controllare, come se si stesse rassegnando.
<< Stiles, cerca un passaggio e scappa con mio padre e Lydia. Corri! >> ordinò Scott.
<< Non ti lascio qui! >> replicò Stiles.
<< Nemmeno io! >> urlò Rafe, caricando la pistola.
<< SCOTT, DIETRO DI TE! >>
Ma la voce di Derek arrivò troppo tardi. Scott spalancò gli occhi e sentì il freddo della lama trapassargli lo stomaco, ancora prima che arrivasse. Nelle orecchie, solo il ronzio di una voce che urlava ed il crepitio del fuoco che divampava.
<< ABBASSATI! >>
Scott abbassò la testa, la spada gli colpì i capelli ed una freccia dalla punta d’argento si conficcava nel petto dell’Oni con una precisione magistrale. Scott buttò fuori l’aria, rialzandosi. Allison gli corse incontro e gli mise le mani sulle spalle, squadrandolo.
<< Stai bene? >>
Scott era ancora incredulo. Aveva appena oltrepassato il fuoco per lui? Si era appena bruciata una gamba per lui?
<< Perché sei tornata? >> chiese Scott.
<< Perché ti amo. >> rispose Allison, ancora con la paura negli occhi.
Scott scosse la testa con le lacrime agli occhi, poi la baciò. C’era il caos attorno a loro e c’erano le fiamme, ma quella donna era tutta la sua vita ed era tornata per lui, aveva appena rinunciato a tutto per lui, quindi sì, per una volta aveva voluto fare l’eroe dei fumetti.
<< DEREK, NO! >> urlò Stiles a pieni polmoni e Scott si voltò per vedere, ma non sarebbe mai stato abbastanza veloce per fare qualcosa.
Il Mago sparò una palla d’energia che avrebbe colpito Derek in pieno petto, se non fosse stato per Rafe, che si era parato di fronte a lui, lasciando a terra la pistola scarica. Gli occhi di Scott videro tutto a rallentatore e lui capì che quell’aria elettrica non avrebbe fatto niente a Derek, ma a suo padre sì. E lui morì dentro.
<< PAPÀ! >>
Lydia sentì l’eco del suo urlo mille volte nelle sue orecchie e le fece sanguinare il cuore, come quando lei stessa aveva urlato per la morte di Allison. Il Mago sparì e con lui gli Oni. L’aria primaverile intorno a loro si fermò e tutta la foresta in compenso apparve una landa desolata. Stiles prese la pietra e se la mise in tasca, mentre Isaac e Malia si alzavano da terra. Scott se ne stava ancora lì, in piedi, con Allison che lo sosteneva, gli occhi spalancati, lucidi e persi oltre il cielo scuro. Non riuscì a pensare a niente per un paio di minuti, poi lasciò la mano di Allison e si diresse barcollando verso il padre disteso a terra, gli occhi aperti. Gli si inginocchiò di fianco e gli abbassò le palpebre lentamente. Deglutì, sforzandosi di non piangere, ma fu più forte di lui. Appoggiò la testa fra le braccia, sul petto del padre e gli vennero in mente le parole di Derek: “Tu non sei più un umano, Scott. Gli umani si spezzano facilmente, noi lupi mannari no. È questo ciò che ci distingue dagli altri”. Lo odiò, in quel momento. Odiò Derek, perché non gli aveva detto che avrebbe dovuto cercare di proteggerli comunque, gli umani. E lo odiò, perché aveva lasciato che il padre morisse al posto suo.
Ma la verità era che non era colpa di nessuno, se suo padre era una brava persona. La verità era che lui non era stato un bravo figlio.
Non abbastanza.











Writer's corner:
Happy Moonday a tutti! (sì, so che lunedì era ieri, ma la puntata noi possiamo vederla solo il giorno dopo se non facciamo le quattro di notte per la diretta, quindi happy Moonday)
Questo è un capitolo di passaggio/sconvolgente in cui succedono molte cose fra cui la rivelazione di Persefone, la morte del padre di Scott, i Daige, Allison che ritorna a sorpresa, ecc. Ancora non si è capito effettivamente cosa voglia fare il Mago con quella dannata pietra, ma per il momento un sacco dei nostri stanno morendo, perciò è tipo l'ultimo dei problemi xD Coomunque, il prossimo è probabilmente uno dei capitoli più cruciali, preparatevi u.u
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e sappiate che è uno degli ultimi, quindi se volete recensire la storia e lasciare un vostro parere, fatelo adesso o mai più :D
Grazie a tutti quelli che inseriscono la storia fra le preferite/seguite/ricordate, chi legge e basta.
Alla prossima e buone vacanze! :)
Erule



 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 - Burning flames ***


Consiglio di ascoltare Human di Gabrielle Aplin, durante la lettura :)

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Capitolo 10
B
urning flames
 
Lydia ha otto anni e le dà fastidio che quello strano bambino continui a fissarla con quello sguardo da pesce lesso. Vorrebbe liberarsene dicendogli che è ridicolo e che le dà noia tutti i giorni, facendo così, ma sua madre le ha chiesto di essere carina con lui, perché ha perso la sua mamma e lei vorrebbe che i bambini fossero carini con lei, se lei avesse perso uno dei suoi genitori. In effetti, suo padre non è mai stato molto presente nella sua vita, ma Lydia non ne sente la mancanza. Lei vuole solo dimostrargli che è una brava bambina, una studentessa brillante e che prima o poi lei riuscirà a renderlo fiero e forse tornerà. Sì, forse così tornerà da lei e smetterà di dirle che è stata un errore, che sposare sua madre è stato un errore e smetterà di urlare di continuo.
Adesso Lydia è grande, non ha più otto anni, ma in questo momento si sente comunque più incapace che mai. Si sente inutile. Il suo migliore amico ha appena perso suo padre e lei non ha potuto dirglielo, non ha potuto fare niente per salvarlo. A che serve essere una Banshee, se puoi solo predire la morte senza riuscire a salvare le persone? Perché nella profezia Persefone le chiedeva di salvare quelle anime, se in realtà nessuno avrebbe potuto? Non era importante quanto gli altri, si disse. Lei non aveva artigli o zanne o una super forza. Lei era solo Lydia, una ragazza bassina dai capelli biondo fragola, gli occhi verdi e tante voci nella testa che continuavano a chiamarla. Avrebbe potuto urlare quanto voleva, ma la situazione non sarebbe cambiata: la polizia avrebbe continuato ad indagare, l’ambulanza avrebbe continuato a muoversi e Scott avrebbe continuato a rimanere lì, fermo, in piedi nel bel mezzo del nulla con il cuore dilaniato, una cicatrice che sfiorava l’occhio sinistro e le mani chiuse a pugno. C’era solo dolore nell’aria, dolore e sapore di morte in bocca. E poi c’era sangue sulle mani di Stiles, non suo per fortuna, ma che la spaventava da morire, perché era come se lo fosse. Era il sangue di tutti loro che lei, Scott, Stiles, Allison, Malia, portavano sulle mani. Era il sangue degli innocenti e quello non si levava facilmente, se ti sentivi in colpa. Si chiese se Scott sarebbe mai riuscito a superare del tutto quella notte, per quano forte fosse. Per quanto avesse già dovuto piangere tante persone nella sua vita. Per quanto non meritasse tutto quello schifo che gli stavano buttando addosso. Forse lui non lo sapeva, ma era così: Scott era sempre stato il migliore fra di loro, persino dopo la morte di Allison. Non aveva spaccato uno specchio in frantumi nella sua stanza; non aveva mandato all’aria un tavolo e due sedie come Stiles o riempito di botte un tizio in palestra come Malia. Scott non aveva fatto niente di tutto questo. Si era limitato ad andare al cimitero una volta a settimana, a portare dei fiori ed a parlare con lei. Forse era stato quello il modo in cui si era sfogato, Lydia non lo sapeva, ma di certo non aveva picchiato nessuno e non si era nemmeno autolesionato. Non aveva incolpato nessuno, non aveva urlato come faceva suo padre, non aveva detto niente. Si era tenuto tutto dentro, come fanno i veri leader. Anche se questo lo avrebbe portato solo ad autodistruggersi. Grazie al cielo Allison era tornata in vita. Questo aveva reso tutto più facile ad ognuno di loro. Stiles aveva smesso di sentirsi in colpa, lei aveva smesso di piangere e Scott aveva ripreso a sorridere come prima. Adesso era sparito tutto di nuovo. Scott non stava sorridendo e la mano destra di Stiles tremava. Si domandò cosa dovesse fare, ma non le venne in mente nulla. Rimase a guardare la schiena di Scott e la mano di Stiles che tremava, mentre stava accanto al suo migliore amico in silenzio. Le tremò il labbro inferiore per un secondo, ma lei lo bloccò con i denti. Non poteva cedere. Doveva essere forte per Scott, che l’aveva sempre risollevata da terra quando lei era caduta.
Si fece coraggio e fece un passo avanti. I pompieri stavano ancora cercando di spegnere l’incendio causato dal Mago e questo, in qualche modo, le fece ricordare la cicatrice sulla sua guancia. Gliel’aveva provocata Allison, ma lui non aveva mostrato il minimo interesse verso di lei per vendicarsi. Però si era infuriato quando la pietra era stata frantumata da Malia. Ed aveva evocato le fiamme. Aveva voluto punirli per non avergli dato una pietra. Perché? Cosa poteva fare quella cosa? Forse il Mago non era interessato a loro o alla pietra in sé, forse la pietra gli serviva solo a fare qualcosa. Non a dargli più potere o ad uccidere persone, ma a fare qualcos’altro. Ma cosa? E perché sembrava sempre che parlasse come un maggiordomo del 1800? Qualcosa scattò nel cervello di Lydia, ma l’ingranaggio non mise in moto la ruota. C’era ancora un pezzo del puzzle che le mancava.
<< Scott! >> esclamò la madre di Scott correndo verso di lui. << Oh cielo, Scott! >>
Melissa abbracciò il figlio con impeto, stringendolo fortissimo a sé. Lydia si sentì quasi di troppo in quella circostanza, ma non rriuscì a fare a meno di osservarli. Erano una famiglia e stavano piangendo insieme. Melissa e Rafe erano diventati ormai come cane e gatto, ma lei aveva gli occhi rossi e lucidi. Scott non rispose all’abbraccio in un primo tempo, poi alzò lentamente le braccia e le mani fino ad avvolgere il corpo più piccolo della madre. Lo sentì tirare su col naso mentre sprofondava con la testa contro il petto di Melissa e fu come sentirlo urlare. L’eco del suo urlo taciuto le rimbombava di nuovo nelle orecchie. Chiuse gli occhi per un secondo, come per liberarsene e sembrò funzionare. Guardò Stiles, che stava indicando qualcosa alle sue spalle. Si voltò di scatto e la vide. Conc he coraggio si faceva vedere lì da loro in un momento del genere?
<< Vattene. >> sibilò.
<< Chiedigli se c’è qualcosa che vuole dirgli. >> replicò Persefone, la lunga gonna nera del vestito che le svolazzava fra i piedi.
<< Cosa? >>
<< Le anime vengono da me, quando muoiono. Posso trattenerle solo per un istante. Chiedi a Scott se c’è qualcosa che vorrebbe dire a suo padre. >>
Lydia scosse la testa.
<< Dov’è? >>
<< Non puoi vederlo. >>
<< Io non credo alle cose che non vedo. >> ribatté Lydia, incrociando le braccia.
<< Allora non dovresti nemmeno credere alle voci. Mi sbaglio? >>
Lydia si inumidì le labbra, mentre Stiles si avvicinava a loro e si frapponeva fra le due ragazze.
<< Non sei la benvenuta qui, Persefone. >> disse Stiles.
<< L’anima di Rafe sta svanendo. Spero che Scott vi perdoni per questo. >>
Stiles corrucciò la fronte.
<< Di cosa diavolo stai parlando? >>
Lydia si girò ed urlò il nome di Scott a pieni polmoni, come se solo quello potesse fargli capire tutto, come se solo quello potesse chiamarlo ed al tempo stesso spiegargli tutto, chiedergli scusa, consolarlo, aiutarlo. Scott si voltò, lasciò la madre e guardò prima lei, poi Persefone. Lo sguardo che scambiò con Persefone fu elquente, unico nel suo genere e raro. Lei non ci sarebbe mai arrivata.
<< Digli che gli voglio bene. E che mi dispiace. >> fece Scott, deglutendo. << Digli che… >>
<< Se n’è andato. >> replicò Persefone, le mani che si cercavano spasmodicamente, con un lieve sorriso ad incresparle le labbra sottili. << Ti voleva bene anche lui. Ti ha sentito. >>
Scott serrò la mascella, annuendo un paio di volte.
<< Ha trovato la pace, non è vero? >>
Persefone chiuse le palpebre per un secondo e Scott capì che quello era il suo modo per dire “Sì”. Avrebbe voluto almeno ringraziarla, ma aveva la bocca impastata per via delle lacrime ed era difficile parlare, ora. Stiles fece per posargli una mano sulla spalla, ma Scott si voltò ed andò via.
<< Scott! >> esclamò Allison, saltando giù dall’ambulanza, dopo essersi divincolata dalla coperta e dal paramedico che stava cercando di curarle la gamba ferita. Zoppicò verso di lui e gli posò le mani sulle spalle. << Dove stai andando? Vengo con te. >>
Scott scosse la testa, poi le diede un delicato bacio sulla fronte. Allison si sentì di nuovo una bambina di cinque anni che sta per andare a scuola e suo padre le dice che andrà tutto bene. Ma lei in cuore suo sa che non sarà così.
<< Ci sentiamo domani, okay? Adesso sono stanco. >>
<< Scott… >>
Ma lui proseguì per la sua strada e non le rispose.
 
***
 
Lydia si sfregò di nuovo le mani piene di crema. Allison era ancora alle prese con dei moduli riguardanti la scuola in Francia e lei avrebbe voluto aiutarla, ma aveva avuto una giornata dura in università, poi il funerale del padre di Scott… e insomma si erano fatte le undici e mezza e tutto quello a cui riusciva a pensare era dormire nel suo letto. Levò la coperta e fece per sdraiarsi, ma qualcuno bussò alla sua porta. Oh, andiamo, indossava la camicia da notte, i suoi amici l’avevano vista anche in condizioni peggiori di quella. E poi erano passati due giorni dalla morte del padre di Scott e fra di loro si erano parlati a malpena. Non poteva essere che una sola persona…
<< Lydia, posso entrare? >> sussurrò una voce che conosceva da una vita, facendola sorridere.
<< No, aspetta, mi devo mettere qualcosa addosso. >> mentì e la porta si aprì lievemente. << Stiles! >> urlò, lanciandogli un cuscino in faccia.
<< Avanti Lydia, ti ho vista ricoperta solo di foglie solo qualche anno fa. Ormai non mi stupisce più niente. >>
Lydia avrebbe dovuto sorridere, anche perché sapeva che Stiles stava solo scherzando, ma non ci riuscì. Si sedette sul letto senza dire una parola con le mani in grembo. Stiles entrò chiudendosi la porta alle spalle, la felpa rossa slacciata addosso. La guardò per un attimo, poi le si avvicinò.
<< Lydia? C’è qualcosa che non va? >>
<< Cosa sarebbe successo l’altro giorno se non fossi uscita? >> chiese. << Forse non siamo più sulla stessa lunghezza d’onda, forse non riesco più a stupirti come una volta, io non… >>
<< Ehi Lydia, frena. >> la interruppe Stiles, parandosi di fronte a lei. << Era solo una battuta. A te piacciono le mie battute. >>
<< Il problema sono io, non la tua battuta. >>
<< Tu non sei mai stata un problema, per me. >> replicò Stiles e Lydia lo fissò.
<< So quello che sarebbe successo, se non fossi venuta a chiamarti, Stiles. >> disse Lydia, torcendosi le dita. << Ti ho visto insieme a Malia. >>
Stiles pronunciò un “Oh” e guardò il pavimento, deglutendo. Lydia si chiese perché evitasse il contatto visivo con lei, poi notò le mani tremanti. Era il senso di colpa. Anche lui lo sapeva, entrambi lo sapevano. Che stupida, che stupida era stata a non accorgersene prima. Stiles non era più innamorato di lei. Ovvio. Eppure non le era sembrato, davvero, non si era accorta di niente. Era diventato bravo a mentire, ma non credeva che avesse mentito anche a lei. Era certa che lei sarebbe sempre stata l’unica persona a cui non avrebbe mai raccontato una bugia. Lei e Scott.
<< Lydia, io e Malia non… >>
<< Ti sei tirato indietro, lo so. Magari quella è stata l’unica volta… >>
<< Cosa stai dicendo? >> chiese Stiles, sbattendo le palpebre. << Vorresti dire che ho pensato ad un’altra donna? Vorresti dire che non ti amo più? I sentimenti sono i miei, Lydia ed io so benissimo quello che provo. >> replicò lui. Lydia si sentì colpevole, come una bambina quando viene sgridata. << Sono innamorato di te da quando avevo otto anni, otto anni e sai che non ho mai smesso, nemmeno quando mi hai spezzato il cuore con Jackson, nemmeno quando hai calpestato la mia dignità in quarta elementare facendomi lo sgambetto davanti a tutta la classe, io non… >> stava dicendo, poi si fermò per un secondo, respirando l’aria, respirando, respirando. << Lydia, io non ho mai smesso di amarti. Neanche per un secondo. Tu sei nelle mie vene stasera come ieri sera e come lo sarai domani. E mi dispiace se per un momento ti ho fatto dubitare di questo, ti prometto che sarà un uomo migliore e ti amerò come meriti un giorno, ma stasera sono troppo stanco per fingere che vada tutto bene. Quindi se credi che quello che ti sto dicendo non sia la verità, ti prego di dirmelo ora. >>
Lydia lo guardò a bocca aperta, incredula. Aveva dubitato di lui senza ragione. Non si era tirato indietro perché era arrivata lei, si era tirato indietro perché non provava più niente per Malia e non voleva illuderla, nemmeno nel suo momento più buio. Gli tese la mano e Stiles gliela strinse.
<< Mi dispiace. Tu e Scott siete fatti della stessa pasta: umili e leali, ma avete anche un grande cuore. Non avrei dovuto accusarti, scusami. >>
Stiles fece scivolare le dita sul dorso della sua mano.
<< Non fa niente. >>
<< Stiles… >>
<< Non ti ho mai detto come mi chiamo veramente. >> replicò lui, sorridendo. << Il mio vero nome è M… >>
Lydia si alzò sulle punte e gli mise un dito sulle labbra, scuotendo la testa. Non le importava saperlo, non le importava chi fosse stato in passato, adesso era una delle persone migliori che conoscesse e le piaceva così com’era. E lui era Stiles, solo Stiles.  
<< Tu sei la mia famiglia, Stiles. >> disse Lydia. << Qualunque sia il tuo nome. >> aggiunse subito dopo.
Lui le sorrise, poi la strinse a sé e si accocolarono abbraciati nel letto. Solita serata in casa Martin – Stilinski, insomma.
 
L’alba rischiarò il foglio bianco ed Allison si fermò per un attimo a guardare il sole sorgere fuori dalla finestra. Era da tanto tempo che non scriveva, pensò Allison. L’ultima volta era stata qualche anno prima, quando era stata Smistata nella Casata di Grifondoro su Pottermore. Ovviamente aveva costretto Scott, Lydia e Stiles a farlo subito dopo di lei ed erano risultati appartenere rispettivamente a Grifondoro (Scott) e Corvonero (Stiles e Lydia). Dentro di lei sapeva che anche Paige era una Covonero o magari una Tassorosso per il suo cuore nobile, mentre Derek sarebbe stato di Sepreverde. Non aveva mai visto di buon occhio i Serpeverde, ma Derek era un’eccezione. Ades e Persefone invece, loro erano i classici Serpeverde che persino Harry potter avrebbe evitato come la peste.
Si strofinò le dita. Per alcune persone, scrivere era come respirare, come una seconda pelle che non avresti potuto scarnificare da te stesso neanche volendo. Per lei non era così, ma adesso aveva scritto così tanto, da farle bruciare i polpastrelli. Immaginò che per le persone brave a scrivere quello non fosse altro che una specie di “riscaldamento”, mentre lei dovette fermarsi per qualche minuto, prima di riprendere. Stavolta aveva preso a scrivere con la furia di chi ha tanto da raccontare, senza un computer. Aveva recuperato carta e penna dalla cameriera di quella tavola calda, dopo che la ragazza aveva avuto pietà di lei, che aveva iniziato a scrivere con uno stuzzicadenti sul tovagliolo di carta. Aveva una bella calligrafia, Allison ed anche leggibile, ma stavolta c’era qualcosa di diverso. Sembrava quasi… stanca, seppure frettolosa. Forse rispecchiava solo il suo morale a pezzi e la tristezza che l’attanagliava grazie a quella stupida canzone d’amore che la porprietaria continuava a rimettere ogni due per tre. Quel dannato sentimento che continuava a rovinarle la vita da quando aveva conosciuto Scott McCall, praticamente. Non che lei si pentisse di qualcosa, sia chiaro. Scott era stato il suo punto di partenza per la sua vera vita, per scoprire se stessa, per farsi degli amici e fare pace con i suoi genitori. Il punto è che lei era preoccupata per lui, ora. Erano passati giorni dalla morte valorosa del padre di Scott e lui era diventato sempre più distante. Lei lo capiva, perché dopo la morte di sua madre aveva provato quelle stesse emozioni. Vuoi vendetta e ti fai pervadere dalla rabbia per una volta, per provare com’è non piangere, perché non vuoi arrenderti al fatto che la persona che amavi non c’è più. Il problema era che lei non era fatta in quel modo e Scott neanche.
Aveva provato a parlargli. Oh, il cielo lo sapeva che lei ci aveva provato in tutti i modi, ma lui le rispondeva solo a monosillabi e non la guardava nemmeno in faccia. Lei ed Isaac erano rimasti prevalentemente per lui e lei di sicuro aveva gettato bellamente all’aria la sua chance di un futuro in Europa, ma non era giusto arrabbiarsi adesso. Dopotutto, Scott aveva comunque perso tante cose ed aveva rinunciato a tutto per lei, una volta. Quindi, in qualche modo, glielo doveva. Quello che non riusciva a capire era solo… il silenzio. Scott aveva passato ore intere seduto in camera sua accanto a Stiles in totale silenzio ed ogni volta lo guardava come se gli avesse fatto il favore più grande dle mondo. Forse a lui serviva solo qualcuno che lo ascoltasse e non gli dicesse “Mi dispiace” o “Non è colpa tua”. Quello possono farlo tutti. Quello che un migliore amico fa è dirti “Stai vicino a tua madre e cerca di essere forte per lei, amico: il dolore non passa mai”. Era questo che Stiles aveva detto a Lydia, quando lei stessa era morta? Allison non voleva davvero conoscere la verità: ci sono cose che a volte noi non dobbiamo sapere. Come il modo in cui gli altri affrontano il dolore. Come il rumore che fa un cuore spezzato, quando sai che la persona che ami non ricambierà mai il tuo amore. Come quante volte hai sorriso in modo più luminoso del solito, per distogliere l’attenzione dalle ombre sotto i tuoi occhi. Ci sono alcune cicatrici che solo la tua anima conosce e lacrime che solo il tuo specchio ha dovuto vederti versare, impotente. Forse era così, per Scott. Forse lo specchio di casa sua conosceva più segreti su di lui di quanti ne conoscesse lei stessa. Per lei era stato così con sua madre e per quanto si vergognasse ad ammetterlo, anche con Kate.
Bussarono alla porta. Non si eranemmeno accorta dii stare ormai scrivndo sulla scrivania di camera sua. Mise via i fogli in fretta e furia ed aprì la porta.
<< Lydia. >> disse, sorpresa.
La ragazza dai capelli biondo fragola si torse le dita.
<< Abbiamo un problema. >> esordì ed i suoi occhi verdi si spalancarono. << Allison ci serve il tuo aiuto. Si tratta di Scott. È scomparso. >>  
 
Paige posò la scatola sul tavolo e la aprì. Derek se ne stava seduto lì accanto, senza staccare gli occhi da quel cartone. Lì dentro c’era tutta la vita di Peter. In una scatola di cartone. Questo era tutto ciò che gli rimaneva di lui: una scatola di cartone. Incrociò le braccia, mentre Paige posava degli oggetti sul tavolo: il testamento, alcuni mazzi di chiavi, una vecchia videocamera, un manifesto della band in cui aveva suonato, la foto con Cecily ed un vecchio libretto di scuola dell’università. Fece scivolare il testamento in direzine di Derek, mentre lei apriva il libretto. Perché peter avrebbe dovuto tenere per anni quel ricordo? A cosa gli serviva? Lo sfogliò velocemente ed una foto scattata da una Polaroid cadde sul tavolo.
<< Mamma… >> sussurrò Paige, riconoscendola all’istante, come se l’avesse vista ogni giorno della sua vita.
Derek lasciò da parte il testamento e le si avvicinò. Somigliava un po’ a Paige, anche se non tantissimo: lei aveva i capelli d’un rosso fuoco, il viso color del latte e gli occhi blu elettrico. Aveva delle lentiggini sulle guance e vicino al naso, ma era davvero bella. Faceva fatica a pensare a lei insieme a Peter, ma nella foto erano abbracciati e sorridevano. Non aveva mai visto suo zio sorridere in quel modo, per quel che si ricordava. Paige aveva gli occhi lucidi e non riusciva a lasciare la fotografia. Era come se le sue dita fossero incollate a quella Polaroid. Derek le accarezzò una guancia col pollice, come faceva sempre per tranquillizzarla.
<< Era felice. >> disse.
Paige annuì, asciugandosi qualche lacrima che stava iniziando a scendere. Non avrebbe voluto piangere, ma gli ormoni le stavano complicando la vitta da qualche giorno a questa parte e riconobbe subito anche l’impellente bisogno di divorare qualunque cosa fosse commestibile nelle vicinanze.
<< Cosa dice il testamento? >> domandò, infilando la foto di nuovo nel libretto.
<< Lascia tutto a me. >> rispose Derek. Paige lo guardò, incredula. << Tutto. Tutti i soldi nel caveau, gli archivi di tutte le scuole qui a Beacon Hills, tutto. La storia degli Hale è racchiusa in quelle scartoffie ed è tutto mio, ora. >> spiegò. << E poi c’è una cosa… c’è una cassetta che tu dovresti vedere, che è nell’archivio dell’università. Allison dice che l’ha nascosta lì. >>
Paige corrucciò la fronte.
<< Per me? >>
<< Sì, per te. Forse c’entra qualcosa con la tua famiglia, non lo so. >> replicò Derek, poi le porse il testamento e Paige cominciò a leggere.
“Sono tremendamente dispiaciuto per quello che ho fatto in passato, Paige. E non parlo di tutti gli innocenti che ho ucciso, mi riferisco a te. A quello che ti ho fatto. La rabbia ha preso il sopravvento quella notte ed io… Parliamoci chiaro, Paige: tuo padre non è mai stato uno stinco di santo, ma amava tua madre ed io ti ho depistato sempre, facendomi passare per il buono della favola. La verità è che non c’erano né eroi né cattivi, ma solo una vittima ed eri tu. Ho pensato per tanto tempo che fosse Dalia, ma non è così. Lei ha sempre saputo quello che stava facendo, a differenza mia. Ho fatto una promessa ad una persona prima che morisse e guardando la videocassetta, tu capirai chi è. Ti ho portata all’orfanotrofio subito dopo quella notte, si chiama ORFANOTROFIO DI SUOR CORDELIA e si trova nella via delle case rotte, qui a Beacon Hills. Lo troverai, ne sono certo. Il potere che cercavo non era altro che mancanza di amore, Paige ed io dovevo rimepire il vuoto che la morte di Dalia aveva lasciato dentro di me. Sono stato avventato e ho fatto una cosa orribile, privandoti di un padre, quando in realtà ero arrabbiato con me stesso per non essere riuscito a salvare tua madre. Ho cercato il perdono per tutta la vita, per capire solo adesso che non ti serve a niente, perché tutte le cose brutte che hai fatto rimangono con te. Per sempre.
Non sono mai stato uno dei buoni, Paige. Io sono sempre stato solo il lupo che mangia la nonna di Biancaneve. Spero che Derek non diventi mai come me, ma c’è una cosa che ho imparato: prima o poi, tutti fanno qualcosa di cui si pentono. Forse i buoni sono solo quelli che hanno retto più a lungo prima di diventare cattivi”.
Paige posò il foglio sul tavolo con le lacrime agli occhi. Alzò lo sguardo e fissò Derek, che stava rimuginando su qualcosa. Perché Peter le aveva scritto di quell’orfanotrofio? Quando aveva tre anni era stata trasferita in un altro orfanotrofio, ma non sapeva come si chiamasse il primo. Che bisogno c’era di dirglielo?
<< Hanno usato il piano B, prima del piano A. >> disse Derek, prendendo la cartina di Beacon Hills. << Credevamo che Void Stiles volesse ucciderci tutti dall’interno, ma non è vero. Stavano solo coprendo qualcos’altro. >> spiegò, tracciando un cerchio in rosso sulla carta. << L’orfanotrofio si trovava qui, una volta, prima che chiudesse. C’è qualcosa lì e noi dobbiamo scoprirlo. >>
Paige annuì.
<< Vado a prendere il giubbotto. >>
 Forse i buoni sono solo quelli che hanno retto più a lungo prima di diventare cattivi.
 
<< Perché dovrebbe essere andato alla Casa dell’Eco? >> chiese Lydia e Melissa scosse la testa, non sapendo cosa dire.
<< Non lo so, Lydia. Davvero, io non riesco più a capire cosa gli stia passendo per la testa. >>
John le avvolse le spalle con un braccio e Stiles sorrise lievemente nel vedere che suo padre non si vergognava di quel gesto. Non portava più la fede da un po’ ormai, ma lui sapeva che non era perché aveva dimenticato sua madre, ma solo perché voleva andare avanti e trovare qualcuno che riuscisse ad amarlo di nuovo, qualcuno con cui condividere i momenti e quel qualcuno era Melissa. Suo padre era felice questo gli faceva sentire uno strano senso di torpore nel petto. Per non parlare del fatto che, se si fossero sposati, lui e Scott sarebbero diventati fratelli a tutti gli effetti. Stava già fantasticando sulle nottate che avrebbero fatto per vedere Star Wars, maratona che almeno una volta nella vita devi fare e rovinarti gli occhi al buio, ma Lydia lo riportò alla realtà dandogli una gomitata nel fianco destro. Gli lanciò un’occhiata eloquente, come a dire “Svegliati, stupido fanboy!”, per poi rivolgersi di nuovo a Melissa.
<< Sta cercando il posto in cui vanno tutte le anime perdute. >> disse una voce roca proveniente dalla porta.
Ades entrò nel soggiorno indossando un paio di jeans neri, logori ed una maglietta bianca che doveva aver visto giorni migliori. Lydia notò subito un paio di ombre sotto i suoi occhi e l’anello al dito, che negli ultimi giorni aveva evitato di portare. Era tornato insieme a Persefone, forse?
<< No, io non torno in quel posto. >> disse Stiles e Lydia si ridestò. Aspetta, di cosa stava parlando?
<< Sta cercando il Mago. Vuole vendetta per la morte di suo padre. >>
<< Dov’è? >> chiese Melissa, avvicinandosi pericolosamente ad Ades. << Dov’è mio figlio? Dov’è Scott?! >>
<< Scott è alla Casa dell’Eco, Melissa. >> rispose Stiles per lui, le mani sui fianchi ed il viso stanco.
Lydia sentì il telefono vibrare nella sua tasca. Lo prese e lesse il messaggio. Per poco non svenne. Si morse il labbro inferiore così forte da sentire il sapore di sangue in bocca, maledicendosi mentalmente, perché era colpa sua. Era tutta colpa sua.
<< Non solo Scott. >> replicò Lydia. << Non c’è solo lui. >>
<< Cosa? Chi c’è alla Casa dell’Eco? >> chiese John.
Stiles le mise le mani sulle spalle e cercò in qualche modo di onfonderle coraggio per parlare. Ades lo guardò ed una profonda tristezza si riversò nei suoi occhi e nel suo petto, comr un fiume in piena che sta cercando di farti annegare.
<< Chi altro c’è alla Casa dell’Eco, Lydia? >> ripeté Stiles, guardandola dritto negli occhi.
Il panico si fece strada nelle iridi verdi di Lydia e Stiles si sentì già perso. “Oh cielo, no”, pensò. Qualcosa dentro di lui si ruppe ed all’improvviso si sentì di nuovo in colpa per tutto quello che aveva fatto, per aver ucciso Allison, per aver provocato tutto quel dolore al suo migliore amico, per essersi salvato, per aver avuto invece come premio la cosa più bella della sua vita.
<< Allison. >> disse Lydia in un sussurro. << C’è Allison. >>
 
Aveva seguito le trace di Scott fino alla Casa dell’Eco. Sapeva che non poteva entrare senza permesso, ma per qualche ragione, credeva che Scott non fosse mai entrato lì dentro. Fece il giro e si ritrovò dietro l’edificio, mentre la mano della notte calava su di lei. Incoccò una delle sue frecce, tanto per essere preparata a tutto. Cercò di fare meno rumore possibile con gli stivali, calpestando foglie e fiori. C’era una specie di fontana inattiva con degli scalini e lei riconobbe Scott seduto su uno di essi, il viso nascosto dall’ombra.
<< Scott? >> chiamò Allison, abbassando l’arco.
Scott alzò lo sguardo ed Allison video per un secondo i suoi occhi illuminarsi di rosso. Strinse l’arco nella mano sudata, ma sapeva di essere al sicuro con Scott. Conosceva i sentimenti di Scott: suo padre era morto senza che lui potesse fare niente e si sentiva in colpa. Ma più di questo, più che incolpare se stesso, c’era qualcosa di peggiore: si chiedeva come sarebbe stata la sua vita d’ora in poi. Insomma, aveva vissuto senza un padre per anni, prima che tornasse dall’oblio e proprio ora che si era abituato ad averlo intorno, lui non c’era più.
Scott si alzò e le andò incontro. Il suo passo lento diventò corsa verso il finale e strinse Allison fra le sue braccia come la notte in cui era morta, come quando avevano saltato la scuola il giorno del suo compleanno, come quando avevano danzato insieme al ballo. E quel tipo di abbraccio era ossigeno per lui e sicurezza per Allison. Scott poggiò la testa nell’incavo fra la spalla ed il collo di Allison, respirando il suo profumo a pieni polmoni, ricacciando indietro le lacrime ed il senso di colpa per non essere riuscito a salvare lei o suo padre o Stiles. Li aveva condannati tutti a morte, non era riuscito a proteggere nessuno di loro. Si accurse che la mano di Allison sulla sua schiena si muoveva a ritmo dei suoi singhiozzi, ma non voleva piangere, non era il momento di farlo. Fu quando sentì un fruscio dietro di sé che si ridestò.
<< Devi andare, adesso. >> disse Scott, dandole un fuggevole bacio sulla fronte.
<< No, io non ti lascio qui da solo, Scott. >> replicò Allison, risoluta.
<< Allison, devi andare. Non voglio che ti succeda qualcosa a causa mia. >> ribatté Scott. Allison fece per replicare, ma lui strinse la presa sulle sue spalle e la guardò con occhi supplicanti e rossi da far paura. Non l’aveva mai visto in quello stato, mai. << Allison, stavolta ti proteggerò a tutti i costi, lo giuro sulla mia vita. Ma non è accanto a me che sarai al sicuro, quindi devi andartene. Scappa via di qui e non voltarti indietro, non voltarti. >> disse con tono determinate, ma la sua voce partiva a scatti, come una vecchia cassetta musicale.
<< Ti ricordi quello che mi hai detto la sera del mio compleanno? >> chiese, prendendolo per il colletto. << Me lo hai promesso, Scott. Me lo hai promesso con le lacrime agli occhi e con il cuore in mano, me lo hai promesso! >>
Scott la baciò d’impeto, senza darle nemmeno il tempo di respirare o di aggiungere qualcosa, una parola qualsiasi che gli ricordasse di nuovo di quella notte. Oh, Allison era sempre stata affascinante, ma quella sera era bella da fare male al cuore. E gli aveva davvero fatto male un punto imprecisato nel petto, mentre la guardava scendere le scale di casa sua per andare alla festa a sorpresa. Lei gli aveva stretto le mani fra le proprie e gli aveva chiesto di prometterle una cosa, prima di uscire.
Si staccò da lei e le accarezzò una guancia, la vista offuscata dale lacrime e dalla stanchezza. La cicatrice vicino all’occhio pizzicò. Forse certe ferite non erano in grado di guarire nemmeno sul corpo di un lupo. Forse era stata troppo profonda o forse era stato lui a volerla tenere, inconsciamente, come memoria di quello che era accaduto.
<< Me lo ricordo. Ed è esattamente quello che intendevo. >> rispose Scott.
E poi, come se qualcuno avesse gettato una scacchiera dal tavolo, la terra sotto di loro esplose. Allison venne scaraventata via, lontana dalle sue mani e dal suo cuore e Scott non riuscì nemmeno ad urlare. Sentì un macigno sullo stomaco e fece fatica a rialzarsi. Di fronte a lui c’era una voragine ed il corpo di Allison era dall’altra parte, una gamba fasciata e la mano che tenva l’arco era vuota, lo smalto rosso che brillava nel buio come quella maledetta sera. Il panico si sparse nei suoi muscoli e nel suo cervello, facendo attivare le sue difese, i suoi denti ed i suoi occhi che scintillarono alla luce dei neon. La notte si fece improvvisamente piena di luce.     
<< Sento l’energia della pietra. Dov’è, signor McCall? L’avete rubata per me o il signor Stilinski sta arrivando a salvarvi? >> domandò il Mago, passeggiando verso Allison.
<< Stavolta è quella vera. >> rispose Scott.
<< Lo spero per voi. >> disse il Mago, inginocchiandosi di fianco ad Allison. << Ma voglio comunque darvi un piccolo incentivo. Diciamo solo che è una vendetta per quello che mi avete fatto passare. >>
Il Mago posò un dito sulla fronte di Allison e la spinse giù nel dirupo.
 
A Stiles sembrava di muoversi al rallentatore, come in quelle vecchie serie tv degli anni ’90. Controllò se la pietra era ancora nella sua tasca. Tutto a posto. Poi corse ancora, sempre più veloce, con il sudore che gli colava giù per la spina dorsale e Lydia al suo fianco aveva il fiatone. Arrivarono alla Casa dell’Eco, ma era tutto buio ed il cancello era chiuso.
<< Cosa facciamo, adesso? >>
<< Di qua! >> esclamò Ades, facendo loro segno di dirigersi verso il retro dell’edificio.
Arrivarono di fronte ad una voragine e si fermarono appena in tempo per non cadere. Stiles mise un braccio in avanti per fermare Lydia. Ades guardò di fronte a sé e Stiles lo vide stringere i pugni.
<< Scott, stai bene? >> chiese Lydia, notando che Scott stava in ginocchio di fronte al confine dell’abisso.
<< Datemi la pietra. >> disse il Mago dall’altra parte, aprendo una mano. << Non voglio uccidere nessuno. Non è mai stato il mio obiettivo. >>
Gli occhi di Scott, dapprima rossi, adesso erano diventati improvvisamente d’un rosso sague, non più rubino. Lydia lo fissò confuso, poi prese a guardarsi intorno impaurita.
<< Scott, dov’è Allison? >> chiese, con il battito del cuore a mille.
Scott non rispose. Prese solo a camminare all’indietro e poi a correre, correre più veloce della luce, come se stese prendendo la rincorsa per arrivare da Allison quel dannato 17 marzo 2014. Arrivò al limite della voragine e saltò. Si ritrovò subito dall’altra parte e ruggì così forte da fare male alle orecchie.
<< Tu sei un mostro. >> disse al Mago e quelle parole sembrarono colpirlo dritto al centro del petto, ma non si scompose. Era sempre troppo calmo, come se in realtà fosse arrabbiato per tutto il tempo.
<< Datemi quella pietra. >>
Scott ringhiò e gli saltò addosso, squarciandogli la pelle del volto e mordendolo alla spalla. Il Mago gridò, poi tutto intorno a Stiles, Lydia ed Ades cominciarono a scaturire delle fiamme dal terreno. Erano circondati, mentre Scott lottava contro il Mago, che si difendeva a malapena nel corpo a corpo senza la sua amata magia. Le fiamme presero a danzare verso di loro ed a chiuderli nel cerchio, lasciando che l’aria si riempisse unicamente di anidride carbonica. Il cielo sembrò chiudersi su di loro.
<< Cosa facciamo? >> chiese Lydia, tossendo.
<< Non riesco a pensare. >> disse Stiles. << Mi manca il respiro. >>
Ades si guardò intorno, ma la verità era che erano spacciati. Non c’era niente che potessero fare e nessuno che potessero chiamare. Solo in quel momento si rese conto di quanto gli mancasse Persefone e capì quello che doveva fare. Era giunta l’ora.
<< Giuro sullo Stige che rimarrò insieme a te per sempre, Persefone. Tu sei la mia regina e sei mia moglie ed io… io ti amo. E regnerò in eterno insieme a te. Accetto il mio dono. >> pronunciò, mentre Lydia si accasciava a terra avvolta dalle braccia di Stiles, che lo guardava come se fosse impazzito.
<< Cosa diavolo stai…. facendo? >> chiese Stiles, respirando sempre più l'ossigeno che era rimasto, sempre di più, finché la gola non gli si chiuse e gli occhi si rovesciarono all’indietro.  
La luce che attorniava Ades esplose ed accecò Scott ed il Mago. Ades chiuse gli occhi e respirò l’aria primaverile per l’ultima volta, poi si gettò tra le fiamme, mentre Stiles e Lydia sprofondavano nelle viscere della terra. Scott sentì la gola bruciare per un attimo, poi aprì gli occhi e vide che le fiamme erano scomparse, esattamente come la voragine. L’unica cosa che era rimasta era la pietra, che il Mago si affrettò a prendere, per poi sparire.
E Scott rimase lì da solo, senza Allison, né Stiles o Lydia. E soprattutto, senza avere la più pallida idea di cosa fosse successo o di dove fossero. Però qualcosa aveva capito: Ades si era appena sacrificato per loro e la profezia era ad un passo dall’avverarsi completamente. Si chise se non fosse più una punizione sua e non di Ades, perché l’unico che aveva perso tutto, fino a quel momento, era stato lui.







Angolo dell'autrice:
Saaalve :3 Sono tornata con un nuovo capitolo in piena estate, yey! 
Okay, so che il finale sa davvero di qualcosa lasciata a metà, ma non temete, nel prossimo capitolo verrà spiegato tutto! Colgo l'occasione per dire che questo è uno degli ultimi capitoli e quindi la storia sta volgendo verso la fine. Era così che avevo pensato dovesse finire il ciclo di Anchor e volevo che raccontasse la vita dei personaggi dopo la scuola, far capire cosa succederà, chi resterà insieme e chi no, come andrà in futuro.
Non so quando aggiornerà di nuovo, spero presto ma non prometto niente. Ditemi se vi è piaciuto il capitolo e cosa ne pensate della storia, le vostre recensione fanno sempre piacere :)
Ciao e buone vacanze!
Grazie a tutti quelli che recensiscono o inseriscono la storia fra le preferite/seguite/ricordate!
P.s.: questa stagione di Teen Wolf è una bomba!   
Erule 

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